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||
A424
–l
Osterreichische Nationalbibliothek

+Z219633402
LA SCUOLA

DI S. TOMMASO D'AQUINO
:

º
LA SCUOLA

| S. TOMMAN | AllIN
DOTT. Il. C. PLASSMANN
PER CURA

DI GERO LA MO GIUDICI

PRETF MILANESE

..º.
- s a
se' , º
-

«Q

MILANO

TIPOGRAFIA DI ALESSANDRO LOMBARDI

1 85 8
1553 ) 2 – B
Mediolani, die 18 Julii 1858
ADMITTITUR.

P. Ballerini Th. D. Vic. gen.


LA

FILOSOFIA DI S. TOMMASO
COMPRENDENTE

LA LOGICA, LA FISICA, (PSICOLOGIA)

LA MORALE E LA METAFISICA
IN CINQUE von Unna

AD US O D I L E ZI ON I A CC AD E MI C II E
-

DEL

Dott. H . C. I PLASSMANN.

MAESTRO DI S. TEoLoGIA, PRoFEssoRE DI FILosoFIA A PADER BoRN,

PRECEDUTA

I) A UNA INTRODUZIONE E DALLA TEORICA

DELLE COGNIZIONI DI S. TOMMASO.


QUESTA VERSIONE
DI UN'OPERA DALL' AUTORE DEDICATA

A MARIA IMMACOLATA

SEDE DELLA SAPIENZA,

A S. TOMMASO D'AQUINO
PER PUREZZA, SCIENZA, ZELO INDEFESSO
SALUTATO ANGELO DELLE SCUOLE -

ED AI SUOI DILETTI MAESTRI

P. CARB0, P. GUIDI, P. LO CICERO, P. DE CRESCENTIA, P. GATTI

- DELL'ORDINE DEI PREDICATORI

MAESTRI DI S. TEOLOGIA
NEL COLLEGIO DI S. TOMMASO IN ROMA

DETTO DELLA MINERVA

IL TRADUTTORE

AI GIOVANI ITALIANI

STUDENTI DI FILOSOFIA E TEOLOGIA

D. I).
AL BENEVOLO LETTORE.

IL TRADUTTORE.

Il titolo di quest'opera dovrebbe bastare di per sè a


spiegarne l'indole e lo scopo: pure in tempo di discre
panze filosofiche, a scanso d'equivoci, non reputo super
fluo d'ammonire chi la prende in mano a non pensare
di trovarvi altro di quello che promette, cioè altro che
la nuda e pura dottrina di s. Tommaso. Le scienze filo
sofiche possono progredire, e in molte parti per opera
di uno immenso ingegno italiano, appoggiato appunto ai
grandi principii fissati da questo sommo Maestro, tengo per
fermo abbiano difatto progredito. Certo, come dice molto a
proposito il signor Plassman, tutta la verità non è rac
colta negli scritti di s. Tommaso, e si potrà sempre vie
vie dedurre e conchiudere. Chi vorrebbe impugnare questa
verità? Ciò però non vuol dire se non che l'opera non
10

gioverebbe di molto a coloro i quali spinsero più in là


le loro investigazioni filosofiche; ma il libro non è fatto
direttamente per questi pochi, esso è libro può dirsi in
qualche modo elementare per la gioventù studiosa, alla
quale il poter giungere a una retta intelligenza delle
dottrine di s. Tommaso è somma lode e merito sommo.
Se la Scuola di s. Tommaso è la sua vera scuola, non
v'è pericolo che la scienza indietreggi, e si ricada in er
rori già svelati. Se, poniam caso, il signor Plassman pro
fessa la massima devozione ed adesione alle dottrine di
Aristotele, del quale furono già rilevati ed ampiamente
esposti i difetti, si ricordi ch'egli ha socio in questa de
vozione lo stesso s. Tommaso, e nessuno può apporgli a
colpa o difetto di seguire lo Stagirita fin dove lo segue
il sommo Maestro, per quanto possano parer mobili e
pregevoli i pensamenti anche di altre scuole. Tutta la
questione qui si risolve a sapere se il signor Plassman
abbia interamente ed esattamente comprese le dottrine
dell'Angelico. Dire: lo credono questi o quelli tra i più
valenti nostrali che lessero l'opera, sarebbe già di molto
peso; ma dire che ne sono convinti i sommi Maestri Do
menicani della Minerva in Roma, gli eredi e gli inter
preti i più legittimi della dottrina del loro grande com
fratello, può e deve suffragare a chiunque non abbia am
ticipatamente già preso il suo consiglio. Che poi com'altri
ebbe a scrivere, l'opera sia dettata in uno stile volgare
e con poco garbo, non è cosa che conti. Oltrecchè non
11

parrà forse a tutti così, ciascuno scrive come sa e gli


torna meglio, e, parlando a giovani non addestrati, qual
che imagine anche un po' materiale riesce allo scopo più
delle astruse peregrinità. Del resto lo scopo non è uno sfog
gio letterario, ma dare intera la dottrina di s. Tommaso; e
questa è quella che dà il signor Plassman, e finchè non
sia provato ch'egli si dilunghi o non comprenda in tutta
la sua ampiezza ed esattezza la dottrina del Santo, re
sterà sempre vero essere l'opera sua, checchè ne sia del
merito letterario, altamente commendabile e di somma
rilevanza, non solo per la Germania, ma per ogni paese.
Se però alcuno immaginasse d'aver trovato ragionevoli
appunti o validi argomenti ad opporgli, posso fin d'ora
guarentire che il signor Plassman è uomo da farsene ca
rico e dare quelle più ampie spiegazioni che si possano desi
derare, così come adoperò testè, a proposito di quest'o-
pera, con un riputato giornale viennese, per rispondere
al quale dettò in pochi giorni un'operetta, che rimase,
com'era naturale, senza replica.
Fatte queste avvertenze sull'opera dovrei dire del modo
tenuto nella traduzione, ma è sì poca cosa una tradu
zione che quasi non merita parlarne. Tuttavia avverto
che là dove il concetto non importa necessità scientifica
di tenersene strettamente alla parola, vòlto con qualche
libertà, ma dove una frase, una parola potrebbe essere
occasione d'equivoco od anche di una questione, bado
alla cosa nè mi curo della parola, e, a rischio di qual
12

che barbarismo, rendo letteralmente la frase tedesca.


Contuttociò per essere idioma tanto discosto dal nostro,
forse non vi sono riuscito o non vi riuscirò sempre bene, ma
se sarò riconvenuto di inesattezza, la cosa più facile a
farsi per me è confessarla ed emendarla nel senso più
retto che mi sarà suggerito. Coloro però che non amano
cavillare potranno sempre dal contesto rilevare il vero
senso. Che se qualche volta riuscirà un po' oscuro e dif
ficile, una più attenta riflessione lo renderà chiaro, poi
chè molte sottili distinzioni ed astrazioni non si possono
afferrare senza una determinata volontà di comprenderle.
Mi pare d'essermi chiaramente spiegato, il libro terrà
luogo d'ogni altro commento.
AVVERTIMENTO DELL'AUTORE.

Ho trascelto, non senza ragione, anche nell'introdu


zione all'opera la forma oratoria nella esposizione, perchè
dovendo l'opera secondo ogni verosimiglianza incontrare
la taccia di arida e scabra, come di solito avvien colle
cose degli scolastici, volli dare una giusta idea del mio
modo di esporre, e far vedere che all'uopo so adoperare
del pari il far largo oratorio che il linguaggio rigorosa
mente scolastico. Mi sono esteso poi un po' a dilungo in
questa introduzione perchè avevo a trattare di cose che
non ricorrono nel corso dell'opera, e le quali non sarebbe
stato bene trattar brevemente.
14

Oltracciò faccio osservare, una volta per tutte, che se


mai avvenisse alla suscettibilità del lettore di trovare nel
mio discorso una cotal vivezza od asprezza, io non di
fendo la causa mia, sel tenga bene a mente, ma la
causa di un altro: ed ho in questa difesa, dal canto mio
come potrà di leggieri convincersene, tal cumulo di testimo
nianze che non ho a temere contraddizioni di sorta. Vero è
bene ch'io non faccio autorità; e nemmanco il pretendo.
Però ove si tratti di difendere verità chiare e lam

panti, e sia d'uopo tutelare l'onore della Chiesa, ma


dre mia, io parlo franco e non mi lascio imporre da
inopportuna modestia. Il lettore perdonerà il tono grave
che diedi a tutta l'opera, tanto più idi buon grado quanto
meno del mio ci ravviserà.
Nell'antica letteratura sono specialmente pregevoli sulla
filosofia tomistica le seguenti operette:
1.º Goudin 0. P. P. – « philosophia juarta inconcussa tutissima
que D. Thoma dogmata » – Parisiis 1679. Recentemente Roux
Lavergne ne diede una nuova edizione con piccole abbreviazioni,
intralasciando però per intero la Physica specialis, 4 Volumetti
in-12. -

2.º Roselli 0. P. P. Summa philosophica, Romae, 1772, 6. vo


lumi in-8.

5.° Alamanni S. I., « Summa philosophiae D. Thoma, adaucta


studio Canonicorum Regularium Ord. s. Agustini. Congreg. Gallicana.
« Parisiis, 1639. Fol.

La prima di queste tre è la migliore e serve tuttora


a Roma presso i Domenicani qual libro di testo. Farne
15)

una nuova edizione, oggidì che si ricerea tutt'altra forma,


mon parevami il caso. Però io la rifusi mella mia: e cia
schedumo potrà, confrontando questa com quella, rilevare
qual servigio io renda com questo mio lavoro. Nell'anno
vegnente attenderò ad uma nuova edizione dell'Alamanni,
la quale potrà servire quasi di commento alla mia.

Quisquis ergo cum legit, dicit : hoc non bene dictum


est, quoniam non intelligo, locutionem meam reprehendit,
non fidem. Et forte vere potuit dici planius ; — verum
tamen mullus hominum ita locutus est ut in omnibus ab
omnibus intelligeretur. Videat ergo cui hoc in sermone
meo displicet, utrum alios in talibus rebus quæstionibus
que versatos intelligat, cum me non intelligit. Et si ita
est, ponat librum meum vel etiam, si hoc videtur, abji
ciat, et eis potius, quos intelligit, operam et tempus ìm
pendat. Non tamen propterea putet, me tacere debuisse,
quia non tam eæpedite atque dilucide , quam illi quos
intelligit, eloqui potui. Neque enim omnia, quæ ab om
nibus conscribuntur, in omnium manus veniunt ; et fieri
potest ut nonnulli, qui etiam haec nostra intelligere va
lent, illos planiore8 non inveniant libros , et ìn ìstos
saltem incidant. Ideoque utile est, plures a pluribus
fieri diverso stylo , non diversa fide , etiam de quæ
stionibus eisdem , ut ad plurìmos res ipsa perveniat ;
ad alios sic , ad alios autem sic. ( S. Aug. lib. I. de
Trinit.) —
16

Ecce Deus salvator meus! fiducialiter agam et non ti


mebo — quia fortitudo mea et laus mea Dominus , et
factus est mihi in salutem. Haurietis aquas in gaudio
de fontibus Salvatoris. Is. 12.
Paderborn, il dì della festa del ss. Cuor di Gesù 1857.

L. I. Ch.

—-*-> (;go9:) e<-—


INTRODUZIONE

PARTE PRIMA

anafſſuſſſſunmºv

DELL'AUTORITÀ DI S. TOMMASO.

e Sapientia aedificavit sibi domum. »


ProV. 9.

« Sapientia laudabit animam suam, et in


Deo honorabitur, et in medio populi sui
gloriabitur ».
Eccl. 24, 1.

Aristotele, il principe dei Peripatetici, di cui Giovanni


Müller scrive che fu la mente più lucida che sia ap
parsa nel mondo, incomincia la sua Metafisica con que
sta verità di fatto. a omnes homines natura scire deside
rant ». Chi impugna questa proposizione è pregato a
non por piede in questa sala, perch'egli sederebbe ad
una mensa ospite non invitato: ma chi lo sente questo
a desiderium scientiae n, sia il benvenuto, tanto più ac
cetto quanto più grande è il desiderio, più ardente la sete
ch' egli ha di sapere. Sapere è conoscere la causa, co
noscer la cosa nelle sue cagioni. La domanda della
2
18

causa prima, è la domanda della causa delle cause, è la


domanda della causa suprema. Un a perchè? » chiude
in sè tutti i perchè. Il gran Maestro della scuola peri
patetica, il gran santo della scuola cristiana, Tommaso
d'Aquino, egli è che ce n'ha a dar la risposta. Si do
mandi arditamente. Da che un Concilio della Chiesa Cat
tolica ha formulato l'adagio a veritas veritati contradi
cere nequit n la speculazione della filosofia cattolica tras
vola ardita sino alle più rimote regioni, e calma e se
cura fende gli spazi dell'universo, immensurabili ad occhio
mortale, e forse soltanto dagli immortali compresi. Chieg
gasi pure arditamente.
Come guarentigia io metto qui una risposta del gran
Maestro, sulla quale i suoi commentatori esercitarono con
instancabile ardore la loro intelligenza per distinguere
in essa quanto sia frutto dell'abbondanza della grazia da
quanto è opera della ragione naturale. Nella Summa
theolog. 1, 2, 3 a 8, l'Angelo delle scuole così risponde
alla domanda: a utrum beatitudo hominis sit in visione
divinae essentiae ? n a respondeo dicendum quod ultima
et perfecta beatitudo, non potest esse, nisi in visione di
vince essentiae. Ad cujus evidentiam duo consideranda sunt.
Primo quidem, quod homo non est perfecte beatus, quam
diu restat sibi aliquid desiderandum et quaerendum. Se
cundum est, quod uniuscujusque potentiae perfectio atten
ditur secundum rationem sui objecti. Objectum autem
intellectus est, n quod quid est u i. e. essentia rei, ut
dicitur in 3. de anima (text. 26). Unde in tantum pro
cedit perfectio intellectus, in quantum cognoscit essentiam
alicujus rei. Si ergo intellectus aliquis cognoscat essen
tiam alicujus effectus, per quan non possit cognosci es
sentia causae, ut scil. sciatur de causa, quid est, non
1$}
dicitur ìntellectus attingere ad causam simpliciter, quam
vis per effectum cognoscere possit de causa , an sit ; et
ideo remanet naturaliter homini desiderium, cum cogno
scit effectum, et scit eum habere causam, ut etiam sciat
de causa , quid est ; et illum desiderium est admiratio
nis , et causat inquisitionem , ut dicitur in principio
IMetaph. (c. 2. cir. med.); puta si aliquis cognoscens
ecclipsim solis, considerat, quod eæ illa causa procedit,
de qua, quia nescit quid sit, admiratur et admirando
inquirit. Nec ista inquisitio quiescit, quousque perveniat
ad cognoscendam essentiam causæ. Si igitur intellectus
humanus cognoscens essentiayn alicujus effectus creati non
cognoscet de Deo , nisi an est , nondum perfectio ejus
attingit simpliciter ad causam primam , sed remanet
ei adhuc naturale desiderium inquirendi causam : Unde
nondum est perfecte beatus. Ad perfectam igitur beatitu
dinem requiritur quod intellectus pertingat ad ipsam es
sentiam primæ causœ. Et sic perfectionem suam habebit
per unionem ad Deum , sicut ad objeetum , in quo solo
beatitudo hominis consistit. m
Per ben intendere le eose contemute in questo magni
fico testo, il lettore veda il commentario del Cajetamo.
Qui voglio solo avvertirlo di mom sospettare che s. Tom
maso ignorasse che la visiome beatifica è uma verità, ri
velata. Quello che mi importava mostrare è come lo sguardo
serutatore dell'Angelico Maestro, certo per benigmo favore
del Cielo, penetri ai remotissimi pumti, d'onde l'intelletto
ereato trova il valico all'imereato. La dottrina di s. Tom
maso mom risente per mulla dell'arroganza ed insolemza del
raziomalismo, ma è seevra del pari delle serupolosità e timi
dezze di um falso pietismo. L'intelletto im virtù della pro
pria matura domanda: a perchè? * Im questa prima do
20
manda è inchiusa altresì la domanda dell'ultimo a perchè?
n essendochè non si può capire come vi sia una causa pros
sima, che non sia preceduta da una causa di tutte le cause.
E in verità gli è bene di molto che lo sguardo d'aquila
dell'Angelico Maestro sia acuto al segno di rilevare preci
samente gli ultimi confini, oltre ai quali sono le regioni
sopraumane, per iscrivere là con umile discrezione di
spirito: a Fin quì e non oltre. » Certo che nè l'onni
scienza de panteisti, nè l'assoluta ignoranza degli scet
tici sono il retaggio de mortali. Fra questi due estremi
con animo pieno di entusiasmo del pari che con calma
imperturbata, con lo slancio del più arditi concepimenti
del pari che con la più sobria assennatezza, condotto a
mano dalla sua madre, la Chiesa, con semplicità infan
tile cammina il figlio fedele, il frate devoto, il dottissimo
dei santi, il santissimo fra i dotti, l'Angelo delle scuole,
s. Tommaso. E mentr'egli vincitore del razionalismo (il
falso) con mirabile umiltà trionfa, tu lo vedi sollevarsi
con sublimità pure ammiranda sulle rimpicciolite specu
lazioni del dogmatismo. Nè perch'egli tira via diritto al
suo fine per quest'aurea via di mezzo si deve credere
d'aver che fare con taluno degli ecclettici. L'aurea via
di mezzo non consiste già nel pigliare da questo o da
quello, ma sì nella grand'arte di colpir giusto i veri
estremi e le stravaganze, onde con saggia avvedutezza
strigarsi di dove l'apparenza può fuorviare. Essere ec
clettico è la cosa più facile del mondo: ma trovare l'au
rea via di mezzo e tenerla è la più difficile, anzi la è
cosa impossibile se non si hanno ben chiari in testa i
veri principii supremi. Ciocchè s. Tommaso rilevò benis
simo con quell'occhio aquilino proprio del suo potente
genio, quando scrisse in fronte al celeberrimo suo Opu
21
sculum de ente et essentia a Parvus error in principio
fit magnus in fine. » Chiunque sappia cosa voglia dire
principio in bocca di s. Tommaso, intenderà la forza di
questa proposizione messa in testa alla primissima diser
tazione metafisica. Non dar mai passo innanzi se non
appoggiata su d'incrollabile fondamento, e dopo posti i
principii in tale evidenza, che sia giuoco forza o com
sentire, o rinunciare a sapere (ciò che sarebbe uno sco
noscere la propria intelligenza) è appunto la caratteri
stica della filosofia di s. Tommaso, il discepolo, se piace
dirlo, dei peripatetici. Là dove gli altri sistemi sono va
cillanti, là appunto, cioè a dire nei principii, questa fi
losofia mostrasi incrollabile. Avverrà talora di trovarne
difficile l'applicazione, e tanto più quanto più sieno
le varie derivazioni che vi hanno capo; avverrà di trovare
i discepoli di un tal Maestro discordanti fra di loro nello
sciogliere certe difficoltà! Il Maestro stesso si troverà che
dà varie soluzioni, contuttociò i principii staranno incon
cussi. Ed è anzi prova evidente delle loro verità questo
stesso variare e moltiplicarsi delle loro applicazioni. Perchè
la verità è moltilatere, e abbraccia molte cose, tantochè in
un solo concetto cela una ricchezza senza fine. Onde
quel gettar in faccia, come non di rado avviene ai grandi
scolastici, il rimprovero che essi sono incoerenti e vanno
a sbalzi è perchè non si riconosce questo vero; mentre co
loro che sanno valutare la forza dei loro principii, vi
trovano in fondo la più intima coesione.
Ai tempi che corrono, lo so bene, che si tiene per
difficile cosa svegliare interesse per la filosofia. E non si
vede ancora oggidì quello che più volte avvenne anche
in remotissimi tempi, condannare una scuola perchè prende
decisamente le parti di questa o quella filosofia? Certo
che chi girasse intorno lo sguardo avanti entrare nella
palestra filosofica, n'avrebbe di che perder l'animo. Gli
anni della mia gioventù sono trascorsi, io non mi faccio
illusione di sorta, prima che si rimettano le forze per af
fidarsi a nuove lotte del tempo n ha da passare, tanto
più che l'addimesticarsi coi tomi polverosi della filosofia
scolastica non è impresa da pigliarsi a gabbo. E chi può
dire che il Cielo non abbia lasciate cadere sì dense e
oscure nebbie nel mondo scientifico anche per vendicare
il superbo disprezzo con cui si cacciarono in disparte
i pii campioni dei tempi andati?
Ma quello che altre volte fu, può essere ancora. Può
tornare il tempo ancora in cui i nobili connazionali d'Al
berto Magno, apriranno con devoti sensi i suoi tomi in
folio, in cui i tedeschi valenti alunni moveranno corag
giosi ai collegi colla Somma dell'Angelo delle scuole. Sì,
verrà giorno che maggior somma di denaro si darà per
un compendio della filosofia di s. Tommaso, che non per
tutta intiera una libreria d'un tempo di gente materiale,
che con aria sprezzante scuote le spalle su tali compendii.
Certo, questo tempo è lontano, forse una generazione an
cora; per adesso la speranza è il nostro conforto. I tempi
però possono mutarsi prodigiosamente. E non siam noi
presso a veder compiuto, dopo un lungo indugio di secolo,
anche il Duomo di Colonia? Se n'eran pur iti quei tempi
quando dalle province tedesche torme di pellegrini traevano
alle tombe dei principi degli Apostoli. Solo di quando in
quando alcuni pochi, lungo il corso dei secoli, dirizzavano
per quella via i loro passi solitarii. Or ecco che lo scorso
anno, e chi l'avrebbe pensato? inaspettata giunse alle
porte di Roma eterna una piccola carovana di ventiquat
tro pellegrini tedeschi. I luoghi santi di Gerusalemme ne
23
videro di ben più numerose in questi ultimi tempi. Ep
però coll'animo confortato metto mano all'opera, alla
quale ho consacrato gli anni della mia vita. La lode sia
di Colui che dà l'incremento – il volere come il com
piere. Finattanto che nelle sante aule di Roma annun
eerassi la dottrina dei secoli che furono, la mia speranza
non sarà mai troppo ardita. Nelle celebri aule dei Do
menicani, al Convento di Maria sopra Minerva, per
antichità e per scientifiche celebrità venerando, ancora
oggidì, vale a dire dopo quasi sei secoli, la parola del
gran Dottore della Chiesa, come fosse pur mo' uscita
dalla sua bocca, è tenuta nella più alta venerazione, e
verbo a verbo se ne impara il testo a memoria. Il Santo
Padre Pio IX non ha guari confermava il rescritto dei
suoi predecessori che permette agli Eeam. dei promo
vendi ad gradum magisterii nel Collegio di s. Tommaso
in città, di fare, oltre al giuramento della professione di
fede anche quello della dottrina di s. Tommaso. Negli altri
collegi di Roma, sebbene non si lasci da parte veruma
delle autorità classiche della Chiesa, e tutte vi siano
rispettate a gran segno, pure quella del Dottor Angelico
è tenuta per decisiva.
La Spagna ha recentemente dato a vedere, per mezzo
di quel degno alunno dell'Ordine dei Predicatori che è
il Balmes, uomo di sommo grido nella scienza, come
serbi tuttora vive e in fiore le dottrine del gran Maestro.
L'eminente P. Xarrie dell'O. P. P., il maestro di Balmes,
ora di ritorno colà, dettò lungo tempo in Roma, e vi
formò molti dei valenti professori attuali (1). In Italia
nell'ultimo quinquennio apparvero cinque diverse edizioni
(1) È da porsi vicino a lui il degnissimo P. Sendil, 0. P. P. De
vera ac salubri philosophia libri X. Gerunda » -- Figarò, 1852.
24
della Summa di s. Tommaso. Anche in Francia dove tutto
si agita in gran fermento, si torna per ogni dove a grandi
passi alla dottrina di s. Tommaso. I valenti professori Ben
sa (1) e Roux-Lavergne a Nismes (2) hanno già fatto di
molto. Il dotto oratoriano Gratry a Parigi opera nello stesso
spirito, tuttochè assorto ne' suoi calcoli infinitesimali. Oltre
quella del Migne uscirono in luce nella Francia già due
altre edizioni della Summa theolog. E chi non sa della
gloriosa perseveranza del Belgio (3)? O mia cara patria,
e tu? tu il celebre paese delle idee speculative! Da ven
t'anni hai già date prove bastevoli per dimostrare che
ti anima ancora uno spirito schiettamente cattolico: tu
procedi lentamente, è vero, ma secura. Or via, se dav
vero ti move uno schietto senso cattolico, comprendi di
quale spirito è figlio il grande Tommaso.
Dopo tu potrai di per te con occhio riposato, giudi
zioso, scrutatore esaminarne la dottrina. Gli argomenti
estrinseci e le autorevoli testimonianze non ti giovino che
a richiamar la tua attenzione, se debba risolverti ad im
piegare le tue nobili fatiche intorno alle opere di un mo
naco, che visse or fanno già secent'anni. Leggi e pon
dera questi estrinseci argomenti che qui ti arreco un dopo
l'altro compendiati, e poi di che mi si possa apporre
quando mi permetto d'indicare s. Tommaso quale univer
salis Doctor Ecclesiae. -

(1) Bensa : « Juris naturalis universi Summa , 2 tom. Parisiis


apud Leroua el Jomby 1855. Logique. Ibid. 1855.
(2) Roux-Lavergne: « Compendium philosophiae juata doctrinam
S. Thoma'. » – Parisiis 1856.
(3) Nel tempo del mio soggiorno in Roma si spedivano nell'Ir
landa e nell'America interi magazzeni di tomi in foglio di Padri e
scolastici. Sia detto pei tardi nepoti: io dovetti pagare all'asta una
Summa di s. Tommaso coi Commenti del Cajetano e del Caponi a
Porrecta circa tentatrè scudi romani, cioè 45 talleri ! -
ARGOMENTI ESTRINSECI -

A FAvoRE DELLA DottaINA DI S. ToMMAso (l).

Prima di venire a questi argomenti estrinseci, credo


opportuno di premettere alcuni riflessi, i quali io spero
che, malgrado la loro brevità, non solo basteranno ad
ovviare il pericolo di dar loro un'importanza maggiore
o minore di quella che per avventura loro si convenga;
ma gioveranno anzi a far comprendere tutto il valore
ch'essi hanno per qualsiasi intelletto sano ed imparziale,
non che per un credente cattolico.
Osservazione prima. È un fatto attestato dall'esperienza
quotidiana e da tutta la storia fin dalla più remota an
tichità, che singole eminenti individualità, qualunque
sia il campo ove distinguonsi, più o men determinato,
più ampio od angusto, portano seco una specie di ege
monia. Le straordinarie loro qualità, i loro grandi ta
lenti, mente chiara ed acuta, volontà forte eroica, ga
gliardezza ardente inestinguibile di fare, una cotal forza
magnetica e d'attrazione ch'esercitano sui contemporanei
e sui posteri, insomma una certa visibile palmare voca
zione, li rendono guida, maestri, signori degli spiriti.
Tutti stringonsi sotto il loro vessillo. E i discepoli rac
colti intorno a tali maestri, e il popolo guidato da tali
signori, e le generazioni avviate da tali guide pel correre
dei secoli, sentonsi illuminate, secure, potenti sotto le ban
diere di questi genii straordinarii. La storia ce ne offre

(1) Al più presto possibile pubblicherò in un' opera apposita


queste approvazioni in extenso. -
26
esempi in Mosè, Confucio, Zoroastro, Platone, Aristotele;
e se vuolsi allargar la cosa anche ai tempi cristiani,
io per mostrarne la connessione continuata, di cui più
tardi avrò occasione di mostrarne gli anelli, non avrei
bisogno che di accennare come punti saglienti ai seguenti
momi: s. Paolo, – s. Agostino, – Giovanni Damasceno,
– Anselmo, – Tommaso. Che se volessi anche coll'e-
sperienza giornaliera e l'eterna legge della divina prov
videnza convalidare questo fatto storico, m'avrei di che
farci su di molte degne osservazioni e trarne delle con
clusioni stringentissime. Ma io penso che il lettore intel
ligente saprà apprezzare di per sè questa verità, anche
solo ponendo mente alle condizioni alle quali è vincolato
il modo di un consorzio sociale.
Osservazione seconda. La verità, io mel so benissimo,
non è parziale, essa è solamente universale. La verità
è la realtà delle cose, non questa o quella, secondo
la mente di questo o quel filosofo. In questo senso non
si può quindi parlare di una filosofia Platonica o Ari
stotelica, Cartesiana o Leibniziana, Wolfiana, Kantiana
Schellinghiana, Hegeliana, Günteriana. Perchè quanto
più i particolari ci entrano nei singoli sistemi, quindi
modi unilaterali di vedere, tanto più la verità se ne
fugge.
Ed io volli denominare i succennati sistemi dai loro
autori appunto per far rilevare la loro particolare pro
prietà in opposizione alla universale. Questa particolare
proprietà si deve considerare come il modo unilaterale
di vedere, e quindi come il falso del sistema. Errare hu
manum est... Di infallibili non ce n'ha: nissuno può dire
di possedere proprio tutta intera la verità. Gli ecclettici
si danno bene il vanto di vagliare i sistemi, e raccogliere
27
da tutti il vero rigettandone il falso. Baie ! gioco di
parole! come se ogni altro filosofo non fosse ecclettico e
nello stretto senso della parola non sostenesse di esserlo.
Chi stette mai in forse nello scegliere tra la verità e
l'errore? Or queste cose che io dico son pura e pretta
verità, e per tali io le sostengo; ma siccome questi prin
cipii possono essere da certuni portati sino all'estremo
da trarne argomento di rifiutar ogni filosofia concre
tata in un nome, a costoro, m'è agevole del pari il di
mostrare a quali gravissimi inconvenienti con ciò essi
darebbero luogo, e trarli fuori dal loro gravissimo errore
partendo dagli stessi loro principii. L'inconveniente gra
vissimo sarebbe questo di non voler nominare la verità
col proprio nome, come speculata e presentata da un
tale, non monta se filosofo o nò. La cosa va da sè.
Per fermo ogni filosofo, anche senza bisogno di riflet
tervi, si è sempre dato a credere di voler cercare e im
parare la verità, e affè quella che è verità per gli altri
non men che per lui, la verità generale insomma. Se
poi questa verità si debba denominarla dal nome soggettivo
del filosofo, o non anzi dal determinato punto oggettivo
del suo sistema, questo che importa? la cosa è poi sem
pre tutt'una. E tali denominazioni si veggon in uso in
qualsiasi manuale di storia della filosofia. Volendo far
questa distinzione cosa sem'avrebbe? a vece d'un mome
un altro, e l'istessa cosa ancora. Oppur se n'intenderebbe
un'altra forse? peggior confusione allora. Non solo si avrebbe
un inconveniente massimo, ma un massimo errore. Per
chè con tal principio di dubbio totale, o si dovrebbe
andar in traccia di chi ha detto la verità anche sol re
lativa, e allora è un mettersi a star cogli scettici – o me
desimamente si negherebbe la realtà della verità, e quindi
28
l'effettiva sua esistenza, facendo come i protestanti che
negano l'esistenza della Chiesa visibile, perchè visibile.
La Chiesa di certo è cattolica, è universale. Ciò nulla
meno ella è Cattolica romana, appunto perchè essa la
Chiesa cattolica è reale visibile, e tuttociò che è reale
visibile, nello stato presente delle cose, è soggetto a por
tare l'impronta del materiale-particolare. A quel modo
che la Chiesa cattolica è universale, ed è anche, almen
come stanno ora le cose, romana (dico come stanno ora
le cose perchè non ho da entrar qui in ricerche, s'ella
non potrebbe essere anche gerosolimitana cattolica, o
costantinopolitana cattolica) all'istessa maniera, dico, e
per la stessa ragione io posso e devo con tutta esattezza
divisare la filosofia, vo dire la verità universale, col nome
particolare di Colui che è in certo modo l'originale rap
presentante della sua manifestazione. E in questo senso
io posso dire a tutto rigor di termini che la filosofia cat
s
tolica è la tomistica. Il che potrà sempre dirsi a buon
diritto finchè non trovisi alcun nome più degno d'ap
porre alla filosofia cattolica. Ratione veritatis la verità
è universale, ratione originis seu inventionis, essa è par
ticolare. Lascio al benevolo lettore più ampie dilucida s
zioni e mi affretto alla
Osservazione terza. Le testimonianze che son per ad
durre le chiamo argumenta ea terna, e spero che i lettori
cattolici intenderanno questa mia maniera di dire nel
giusto significato attribuitole generalmente dai teologi, e
secondo il quale la adopero. Devesi quindi ritenere che
gli argomenti estrinseci si possono bensì disgiungere, ma
non distinguere da quelli che diconsi intrinseci. Gli ar
gomenti estrinseci e non sono mò superficiali, chè anzi
gli intrinseci non ci varrebbero se non si appoggiassero
2)
a questi. Si badi seriamente alla cosa che ben sel me
rita. Il nome o la parola per me non la curo se non
risguarda la sostanza della cosa. L'animo mio abborre
dal parteggiare: se io chiamo tomistica la filosofia che
propugno lo faccio nel senso sovra esposto, e quando
io chiamo tomistica la filosofia che difendo, nulla io ho
che fare col nome di questo o quel santo, umeno ancora
di questo o quell'Ordine monastico, di questa o quella più
o men celebre scuola. Si tratta dell'onore di nostra santa
Chiesa. Non dico già solo qui c'è di mezzo una lunga se
rie di Papi che celebrarono la dottrina di s. Tommaso
con tali espressioni che quasi più in là non si potevamo
spingere; non dico neppure si tratta dell'onor dei cattolici
che in tutto l'orbe civilizzato resero omaggio per tanti se
coli a questa filosofia. Dico si tratta dell'onore di mostra
santa Chiesa. Leggansi i fatti e i testi seguenti e poscia
nessuno, lo spero, vorrà frantendermi. So benissimo che
s. Tommaso non è un apostolo, quindi che non è infalli
bile. Ma so del pari che ogni più piccolo catechismo cat
tolico intanto è infallibile in quanto s'appoggia all'infal
libilità della Chiesa. Lascio al lettore il dedurre i più
ampii corollarii che scenderebbero da questi riflessi. La
norma però che se ne deve cavare è questa: l'ortodos
sia non toglie la libertà delle opinioni; la libertà delle
opinioni ha però dei limiti, valicando i quali offende l'or
todossia.
Le seguenti testimonianze in favore della dottrina di
s. Tommaso le partisco in tre classi. La prima com
prende le immediate testimonianze del Cielo, la seconda
quelle della Chiesa, la terza le testimonianze puramente
Ullmalme.
30

I. Testimonianze del Cielo.

Testimonianze del Cielo dico quelle rese da Gesù Cri


sto, dalla Beata Vergine e dai santi apostoli Pietro e
Paolo.
Tutti sanno le parole che Gesù Cristo dalla croce im
dirizzò al Santo, là nella cappella di s. Nicolò a Napoli,
ove s. Tommaso erasi raccolto in orazione. « Bene scri
psisti de me Thoma, quam ergo pro tuo labore recipies
mercedem ? » Per far conoscere tutto il peso di questa te
stimonianza sarebbe mestieri scrivere un lungo com
mento sulla connessione delle circostanze e delle conve
mienze del tempo in cui vennero proferite. Era Tommaso
presso a dar compimento a quel ultimo suo capolavoro
la Somma teologica, quando i sensi più non reggendo a
seguire lo spirito ne' potenti suoi voli su nelle regioni
delle cose sopraumane, era ridotto al segno di non poter
più nè scrivere nè parlare. Ratto in estasi continova
nella contemplazione dell'immensa altissima verità, pare
vagli che tutto quanto aveva scritto fosse veramente
nulla, tanto era immensa, inesauribile la potenza della
verità che raggiavagli nell'anima. E temendo d'averla
con alcun error suo offuscata, egli che l'amava di pu
rissimo amore, si diº a pregare e supplicare vivamente
al Signore con digiuni e sospiri incessanti, gli facesse im
tendere: se mai veramente fosse d'alcun errore ingombra
la sua Somma teologica. Fu allora che gli fu resa dalla
bocca stessa di Cristo la testimonianza. a Thoma, bene
scripsisti de me ». Cristo sapeva ciò che Paolo aveva
lasciato scritto di Lui a in quo Deus omnia recapitula
vit, creatam divinamgue naturam conjungendo, e statui
31
mil scire nisi Christum ». Anche Tommaso il sapeva,
comprese le parole dettegli, e ricuperò la pace. I Pom
tefici a perpetuare la memoria del fatto arricchiromo di
indulgenze la visita alla cappella ove avvenne. La ve
racità del miracolo è fuori d'ogni dubbio. Domenico Ca
sertano che in quell'ora non visto era nella cappella, me
depose giurata testimonianza. La cosa risuonò per tutto
l'orbe. « Thomas bene scripsit ».
La testimonianza che gli rendè la Beata Vergine si
legge nel Breviario Domenicano, approvato da Giulio III,
ove è scritto come la Beata Vergine apparisse al Santo
e lo guarentisse a de vitae et Doctrina integritate. » Chi
sa della straordinaria divozione che l'Angelico Dottore
ebbe fin dalla più tenera fanciullezza verso la Madre di
Dio, capirà benissimo la ragione di questa testimonianza
dell'Eccelsa sua Proteggitrice.
Per quello che riguarda i ss. apostoli Pietro e Paolo,
il padre Reginaldo, confessore e compagno costante di
s. Tommaso, ci assicura, qual cosa degnissima di fede, che
essi apparissero al Santo, il quale dopo lunghe preghiere
e fervorose suppliche ancor non veniva a capo di sciogliere
alcune difficoltà incontrate in Isaia profeta, e gli dicife
rassero ogni cosa. -

Felio doctor, cujus solatio


Angelorum servit attentio –
Petrus, Paulus favent obsequio –
Dei mater mulcet alloquio –
Elevatus a terra cernitur,
Crucificus eum alloquitur.
(Brev. 0. P. P.)
La classe delle testimonianze della Chiesa per amor
di coloro che volessero spingere le cose più in là, la
32
suddivido in due partizioni, a) i sommi Pontefici, b)
la Chiesa; le quali due rubriche se non si possono se
parare, tuttavia si possono distinguere.

II a. Testimonianza dei Papi.

La mia adesione alla dottrina di s. Tommaso era senza


dubbio già grande, quando venutomi fra le mani la prima
volta il Bullarium Dominicanorum ci trovai di sì grandi
lodi ivi impartite alla dottrina del Santo, che ne fui ve
ramente sorpreso, tanto erano al di là di quelle che mi
sarei immaginato.
I sommi Pontefici chiamano la dottrina di s. Tommaso
1. a ab omni erroris suspicione liberam. »
2. a veridicam. »
3. a certissimam ad veritatem viam. n
4. a clypeum impenetrabilem. n
5. « inconcussam, tutissimam, imo omnem laudem su
pergressam. n
6. a dogmata tutissima et inconcussa. »
7. Essi comandano: a illam sectari et totis viribus am
pliare. »
Ascoltiamo i testi stessi per brevi estratti.
Johan XXII:... tot miracula patravit quot articulos
scripsit, quia omnes resolvit lumine plusquam humano. »
Pius V:... a (St. Thomas) miraculorum signis et cer
tissima christianae regula doctrina, qua S. Doctor apo
stolicam Ecclesiam, infinitis confutatis ha resibus illu
stravit. n
Clemens VIII:... a Doctrina D. Thomas testis et in
gens librorum numerus, quos ille brevissimo tempore in
omni fere disciplinarum genere, singulari ordine ac mira
perspicuitate, sine ullo prorsus errore, scripsit, in qui
bus conscribendis interdum S. S. Apostolos Petrum et
Paulum colloquentes, locosque illi quosdam Dei jussu
enarrantes habuit , et quos deinde conscriptos eaepressa
Domini voce comprobatos audivit. m
Innocent. VI:... hujus doctrinae præ cæteris , eaecepta
canonica, habet proprietatem verborum, modum dicendo
rum, veritatem $ententiarum ; ita ut numquam, qui eam
tenuit, inveniatur a veritatis tramite deviasse, et qui eam
impugnaverit, semper fuerit de veritate suspectus.
Paulus V: chiama s. Tommaso u splendidissimum ca
tholicæ fidei athletam, cujus scriptoris clypeo Militans
Ecclesia hæreticorum tela feliciter elidit. n
Urban. V: a (ad Academiam Tolosanam). Volumus
et tenore præsentium vobis ìnjungimus ut D. Thomæ do
ctrinam tamquam veridicam et catholicam sectemini, eam
que studeatis totis viribus ampliare.
Aleaeand. VII (ad Lovanienses). D. Augustini et
Thomæ dogmata inconcussa tutissimaque , quorum san
ctissimorum virorum penes Catholicos universos ingentia
et omnem laudem supergressa nomina novi præconii com
mendatione plane non egent.
E per ora bastimo questi; ch'io potrei seguitare e mo
verare bem ventitrè Papi tra quelli che sì luminosi elogi
resero alla dottrina del Santo. Che più? da GiovammiXXII
fimo a Pio IX veramente può dirsi essere stato questo
il comum loro linguaggio. Ora io domamdo al lettore per
chè sarà troppo il dire che si propugna l'onore della
samta Chiesa Cattolica pigliando a diffendere la dottrima
di s. Tommaso ? Forse um gallicano ci avrebbe a dire,
ma ogni altro cattolico mò. Nè mi si dica che: i testi
succemmati non hanmo valore di definizioni dogmatiche.
•»
34 -

Lo so anch'io, ma eglino sono usciti dalla bocca di coloro,


ai quali per l'alta loro dignità s'aspetta di recare la di
finitiva sentenza dei dogmi. O sarebbe mai l'assistenza
dello Spirito Santo maggior per alcun altro che per co
loro i quali suggellano l'infallibilità? Ovvero soltanto al
lorchè definiscono dogmi sono ispirati i sommi Pontefici,
quei sommi Pontefici per mezzo dei quali lo Spirito Santo
regge ed ammaestra la Chiesa? Non vi son altre verità
che quelle de fide definita?
II. b. Testimonianze della Chiesa.

Che se le testimonianze dei Papi non bastano, io mi


appello alla testimonianza della Chiesa. Forse taluno farà
le meraviglie di questa proposizione, perchè quando mai
la Chiesa ha formulato un dogma o fatto una legge rap
porto alla dottrina di s. Tommaso? Vediam come va la
cosa. Ma prima siami lecito di premettere qui quel riflesso
che fa il Pontefice s. Gregorio nella sua 17. Omelia sul
Vangelo. a Designavit Dominus et alia septuaginta duo. »
Egli dice: a Dominus et Salvator noster aliquando nos
sermonibus, aliquando vero operibus admonet. Ipsa enim
facta eſus praecepta sunt, quia dum aliquid accitus facit,
quid agere debeamus innotescit. n. Non parrà strano che
io allarghi questo principio anche alla Chiesa, tanto più
a chi consideri i fatti proprii coi quali dessa ha par
lato. Senza pericolo di paradosso, anzi senza voler dir
nulla di sorprendente, posso sostenere questa importan
tissima verità: che dall'epoca della morte del Dottore
angelico, non fu tenuto alcun Concilio generale, senza
la sua assistenza ed il suo voto. Si consultimo gli storici
ecclesiastici sui Concilii Lionese II, Viennese, Fioren
35
tino, Lateranese, Tridentino. Dal Concilio Lionese, al
quale per ingiunzione del sommo Pontefice il Santo do
veva recarsi in persona con quelle opere, che dove
vano servire contro gli avversarii, e al quale non potè
intervenire nelle spoglie mortali, egli ebbe sempre come
incorporeo Angelo delle scuole, colla sua dottrina e coi
suoi scritti, invisibile spirito, sede e voce nelle vene
rande assemblee dei Padri. Su di ciò veggasi Gravina
a Cherubin. Paradisi. » Qui basti l' addurre due fatti
che provano compiutamente quello che noi vogliam pro
vare, l'umo tratto dal Concilio Fiorentino, l'altro dal
Tridentino. Quando i Greci, vista l'insuperabilità dei
Padri latini rimpetto a loro, sorpresi della maravigliosa
destrezza e completa loro superiorità, attoniti domanda
romo d'onde traessero la loro sapienza, vennero loro
mostrati gli scritti di s. Tommaso. L'esito del Concilio è
moto; ma tra gli effetti di lui, certo il minimo non fu
quello che i Greci imprendessero tosto la traduzione delle
opere di tanto Maestro (1).
Più noto è il fatto con cui il Tridentino pronunciossi
sulla dottrina di s. Tommaso. Nella chiesa di santa Ma
ria in Trento, dove erano radunati i Padri, in mezzo
alla spaziosa mave della Chiesa, stava un gran tavolo.
Su questo era collocata l'imagine del Crocifisso (statui
nil scire, nisi Christum !) e dallato furon poste le sante
Scritture, i decreti dei Pontefici e la Summa theolog. di
s. Tommaso – nient'altro. Ecco un fatto che non ha
riscontro. Di tutti i grandi campioni della scolastica, di
tutti il gran numero di questi campioni, di tutta la

(1) Demetrio Cidonio tradusse le due Somme di s. Tommaso in


Greco. (Ea Possevino S. I.)
36
sehiera dei Padri , di questi Padri che veramemte la
Chiesa venera per tali, di tutti uno è trascelto, e que
st'uno è il Dottore Angelico, s. Tommaso è quegli che è
prescelto dalla Ecclesia Universa. Si odano le parole
che l' Oratore del Concilio indirizzò ai Padri radunati:
w Non potuit D. Thomas ecclesiasticis interesse Conciliis
morte praeventus. Verum ecce superste8 atque in aeter
'num victurus vobis adest, bona sua spirituales doctrinae
thesauros, hereditario jure vobis delegavit. Nulla proinde
ab ejus felici transitu Concilia sine S. Doctore cele
brata sunt. Ut enim de caeteris sileam, quod audimus ,
quod videmus, quod contrectamus, quidni aperta voce ad
ejus laudem testemur? Vestra comitia perpendite. Eae plu
rimo eoque honorabili Doctorum coetu quotus quisque
Consultor accedit, qui D. Thomæ authoritate veluti splen
dente gemma suam sententiam non eaeornet ? At in con
sultissimo Patrum recessu Doctor hic sententiam rogatus
frequentissime censet, ad quem ut, ad lidium lapidem
si quid ambiguitatis aut controversiæ fuerit eaeortum ,
communibus votis referendum eæistimetis, et qui eum sui
placiti patronum obtinuerit , incertam judiciorum aleam
non sit habiturus, quin secundum eum sententia ferenda
sit. Atque adeo hujus religionis nomine gravissimæ Ve
stræ authoritati gratias agere libeat, quod Doctoris Tho
mœ nomen ubique celeberrimum Vestra cum observantia
celebrius posteritati reliqueritis. E il Baronio scrive :
a Viæ quisquam enarrare posset quot vir sanctissimus
atque eruditissimus Theologorum præconiis celebretur quan
tumque illius, illibatae , doctrìnae a S. Patribus in
sacrosanto æcumenico Concilio Tridentino considentibus
fuerit acclamatum. Chiumque sa com quale scrupolosità
adoperi um Concilio mel misurar ogni parola, avrebbe di
37
che restar grandemente stupito, se volesse fare la prova
e raccogliere tutti i Decreti del Concilio Tridentino, che
corrispondono letteralmente al testo di s. Tommaso. La
scio di qui accennarli particolarmente, nonostante che un
tal confronto diverrebbe sempre più interessante man
mano si estendesse. Altrettanto può dirsi del Catechismo
del Concilio Tridentino (il così detto Catechismo Romano)
il quale, dopo le tante disamine a cui lo sottoposero i
sommi Pontefici, e dopo le tante approvazioni, è un fatto
incontestabile, che può esser tenuto in conto di simbolo della
Chiesa. Solo mi piace qui aggiungere che appunto fu
rono tre fedeli discepoli di s. Tommaso quelli che com
pilarono assieme questo Catechismo, per ingiunzione di
retta dello stesso Concilio. Leggasi attentamente la storia
della umanità, e vedrassi, che non di rado si connette
ad un fatto impercettibile estrinsecamente una lunga fila
di avvenimenti, che son poi materia di opere complica
tissime. Così avvengon fatti, talvolta anche di niun va
lore, che ti danno le premesse di una verità conclusio
male, a cui non basterebbe un tomo in folio. Uno di tali
fatti nel nostro caso è il seguente. Il Concilio di Trento
aveva di già definita al quistione, ben inteso affermativa
mente, a utrum Christus in coena Domini instituerit S. Sa
crif Missae? m già eransi esaurite tutte le ordinarie com
sultazioni e le sessioni preliminari, quando venuta la
Sessione della decisione, un dottore si alza, e dice: a S. Do
ctor Thomas videtur mihi esse contrarius. m Che ne av
venne ? Un ignoto dottore dice videtur: ma il suo vide
tur si rapporta al celeberrimo Dottore Angelico, e le sue
parole esercitano una forza magica sull'assemblea. L'in
tera Sessione è sciolta senz'altro: imposto a tutti di com
sultar di bel novo l'Angelico Dottore, se mai fosse di
38
parere contrario. Solo il giorno dopo, quando riaper
tasi la Sessione, tutti dissero: a Thomas non est contra
rius, m fu compilato il Decreto (Didacus a Payva tom. 2,
conc. Serm. 2. de Thoma). Or si dia uno sguardo a
quella veneranda adunanza di Prelati e Dottori che vi
avevano sede e voce, si pensi come ella fosse altamente
compresa dalle veci che fungeva, e come l'un l'altro ap
presso seguitino questi pensieri: che diranno i posteri se
ci lasciamo imporre da un semplice Dottore, da un uomo
di nessun conto? I nostri atti verranno consegnati a carte
imperiture: non corriam noi pericolo di porre a repen
taglio l'onore e la verità della cosa cattolica? Amici e
nemici non ci rinfacceranno ugualmente che chi ha com
pilato il Decreto non fu già un Concilio, ma un uomo
che non ha tampoco voce deliberativa? – Non importa
– la Sessione è sciolta e si va a consultar s. Tommaso.
Tutto il mondo istrutto applaudì alla saviezza, di cui
diede prova in tal fatto il Concilio: si studiò, si disputò,
e infine per la competente decisione si appellò di nuovo
all'Angelo delle scuole, da tanti secoli già trapassato.
Un'altra illustrazione di fatto aggiungerò a questa
classe delle testimonianze della Chiesa. Se a taluni pa
resse di doverla piuttosto rimandare sotto la rubrica an
tecedente, lecito il farlo, ma badino di non trovarsi ap
piccato a loro insaputa un cartellino col motto: a Ostulti
corde et tardi ad credendum ! » Codest'altra illustrazione
della Chiesa si è ch'Ella non aggiunse s. Tommaso al mu
mero dei Dottori nella maniera comune, ma in un modo
straordinario. La Chiesa lo annoverò tra i primi quattro
Dottori della Chiesa latina. Altrove non ci sarà grave
di riportarne intera la bolla, per ora basti questo brano:
a Annuneravit ipsum quatuor primae classis Doctoribus,
39
ut quemadmodum illos in ea ponendis sacris scripturis et
positiva, ut vocant, theologia magistros habet, ita quoque
Theologiae metodicae seu scholasticae principe m ac ma
gi strum s. Thomam agnosceret. Sapienti sat. » Chiudo
questo S coll'orazione della Chiesa a s. Tommaso: a Deus
qui ecclesiam tuam b. Thoma, Cfs. tui mira eruditione
clarificas et sancta operatione faecundas, da nobis et quae
docuit intellectu conspicere, et quae egit imitatione com
plere. P. Ch. D. N. »
v

III. Testimonianze puramente umane;


ma che tra le umane sono di primo ordine.

Mi limito a riportar brevi schemi, per non avere a


ripetere quelle riflessioni, per le quali ci sarà in fine un
luogo apposito.
Incominciamo, come ragion vuole, dalle Università e
dagli Ordini religiosi.
L'Università di Parigi, – un tempo sì gloriosa,
– chiama in un suo Decreto (in init. tabulae aurea op.
D. Th. ) s. Tommaso: a Ecclesiae lumen, Doctorum fon
tem , candelabrum insigne et lucens, per quod omnes
qui vias vitae et scholas sanae doctrinae ingrediuntur, lu
men vident. » Così parlano quel grand'uomini della Sor
bona, che non eran sì facili a chinar le dotte loro teste.
L'Università di Salamanca: a jurat in verba
s. Thomae et Augustini. » Con queste poche parole la
celeberrima Università volle caratterizzarsi. Chi non co
mosce i Salmaticesi ?
L'Università di Lovanio: non solum pro aris et
focis Thomae doctrinam defendit; sed etiam statuit, ut
proferentes nomen D. Thomae nu dato pron o q ue ca
40
p i te ipsum venerentur. » Ho adoperata l'espressione
latina per dar questa qualificazione, perchè nei docu
menti ricorre di continuo e dà meglio la Caratteristica
stereotipa.
L'Università di Padova e di Douvais: a ele
gerunt Thomam ut Doctorem suum et patrem specialem: »
Quanto brevi, altrettanto succose parole.
L'Università d'Avignone, altre volte straordina
riamente fiorente e propugnatrice dichiarata della dottrina
Tomistica: a gloriatur sequi doctrinam et philos. et theol.
divi Thomae. »
Rammentisi adesso ciò ch'erano queste Università nel
tempo del massimo loro splendore. Insorgeva alcun pro
cesso intricato a decidere nei consigli dei potenti e dei
Principi? lo si spediva alle Università, ed esse senten
ziavano. Se v'era a sciogliere alcuna questione, su cui
contendessero i dotti, tosto s'invocavano come giudici le
Università. Egli è d'uopo conoscere ben poco la forza
morale di queste Università, il merito intrinseco, la ca
pacità dei loro campioni, per disconoscere il peso delle
loro testimonianze.
Passiamo agli Ordini religiosi. Riporto anche qui la
loro caratteristica in compendiose parole latine.
Dei Domenicani come giudici in causa propria, è cosa
naturale ch'io tralasci di parlarne: solo richiamo di bel
nuovo l'attenzione su cosa della quale già da principio
ebbi occasion di far cenno, cioè che secondo i Rescritti
di parecchi sommi Pontefici, recentemente confermati da
Pio IX, nei Collegi Domenicani coloro che son per es
sere promossi ad gradum magisterii prestano, oltre l'or
dinaria professione di fede anche il giuramento de se
ctanda D. Thomaº doctrina. A Roma si comprende assai
-
41
bene ciò che vogliasi dire un giuramento. Se l'impor
tanza di un giuramento merita di richiamarselo alla me
moria, valeva ben la fatica d'annotare ripetutamente il
fatto, pregando di ben ponderarlo.
I Carmelitani scalzi e i figli di s. Fran
cesco di Paola (Minimi) a jurant in Doctrinam
D. Thoma'. n
Degli Agostiniani, senza distinguer qui tra l'antica
e la nuova scuola, rammento solo due fatti: Il primo,
che AEgidio Romano, questo ardente tomista, ( auditor
et amanuensis D. Thoma ) fu creato Generale supremo
degli Agostiniani. Il secondo, che la Congregazione
La te ranese e Gallic an a dei Can on ic i rego
la ri: a speciali decreto ad tenendam D. Thoma do
ctrinam se adstrinacerunt. n
I Benedettini: la Congregazione Cassinese fece un
decreto: « ut alumni sequantur doctrinam et philos. et
theol. Divi Thomae: e questo decreto osservano in pra
tica anche le altre loro Congregazioni.
L'Ordine del Riscatto degli schiavi (Ordo
redemptionis captivorum) ingiunge a' suoi, a in virtute obe
dientiae ut Doctorem Angelicum sequantur cum commen
tariis Zumel. m Zumel è uno dei più distinti commenta
tori di s. Tommaso.
I Francescan i tuttochè, come aderenti al loro Do
menico Scoto, appaiano contrarii alla dottrina di s. Tom
maso, stabilirono con un decreto: a ut debita reverentia
echiberetur opinionibus angelici Doctoris. Ad onore del
grande e veramente ammirabile s. Francesco Serafico
merita qui d'essere citata la sua testimonianza in favor
dell'Angelico Dottore. Un Francescano era angustiato un
giorno per non so quale difficoltà scientifica, quando gli
42
apparve s. Francesco con allato s. Tommaso. a Crede huic
– disse Francesco accennando a s. Tommaso, – crede
huic quia doctrina eſus non deficiet in aeternum. n Il Fran
cescano ne fu mirabilmente consolato. Così, sulla fede
del venerabile Carmelitano scalzo P. Giovanni di Gesum
maria, morto in odore di santità, marra il Padre agosti
niamo Basilio Ponzio nel suo a Salmaticensi judicio pro
tenenda doctrina s. Augustini et Thomae, n che venne
approvato da tutti i dottori dell'Università. Questo fatto
è raccontato anche dal Vaddingo e da Pietro de Alva,
e inoltre trovasi in termini nel 1.º tomo degli scritti po
stumi di Fr. Eleuterio, come il mostraron poscia accu
rate disamine. cf a de authoritate D. Thomae, m a P.
Francisco Janssens. (Gandavi 1664).
La Compagnia di Gesù: non solo gli statuti di
s. Ignazio obbligano i membri della Compagnia ad atte
nersi a s. Tommaso: ma la quinta Congregazione gene
rale stabilì espressamente: a ut Thomam tanquam pro
prium Doctorem habeant et sequi teneantur. » (Cong. V
can. 9 et 41) e la Reg. 13 pro theologiae professore
dice: a non satis est Doctorum referre sententias, et
suam reticere, sed defendat opinionem s. Thomae, vel
quaestionem ipsam omittat. » Lo stesso stabilirono con
ispeciali decreti la Congregazione de' Barnabiti e quella
dell'Oratorio.
I Passionisti e di Lazar is ti obbligano ancor
più strettamente i loro collegi a seguir s. Tommaso,
come ebbi io stesso a convincermene. Altrettanto l'Or
dine de'fratelli delle Scuole Pie a Roma.
Or che voglio io dedurre da questi brevi cenni qui
recati? Nient'altro che questo, che tutti gli Ordini mo
nastici consuonano in mirabile accordo nelle lodi di
43

s. Tommaso. E che dir poi dell'accordo dei teologi di


tutto quant'è ampio l'universo cattolico, non vincolati da
decreto di sorta, da missuna consuetudine ? Posso racco
glier tutto in un motto solo. In quel modo che prima
di s. Tommaso tutti si applicavano alla spiegazione di
Pietro Lombardo, da cui prese le mosse anch'esso s. Tom
maso: così dopo s. Tommaso, come per patto giurato di
consorteria, tutti non si occuparono d'altro che dei
commenti degli scritti di s. Tommaso. Il Possevino, della
C. di G., ed altri autori fin dal principio del secolo pre
cedente numeravamo già settecento commentatori di san
Tommaso. – a Ecce totus mundus abiit post eum. – º
a Digitus Dei est hic. »
I fatti qui riferiti abbracciano dalla morte di s. Tom
maso, (an. 1274) un periodo di circa 400 anni – ed ora i
Domenicani hanno segnato nei loro annali la ragguarde
vole serie di quasi 600 anni che rendono testimonianza alla
dottrina del loro grande confratello. Posso accertare che
non v'è cosa di qualche rilevanza, che non la sia stata
da qualche eminente ingegno o tra i professori o tra i di
scepoli, in ogni senso possibile ricercata. Ora se un ar
ticolo disputato non una sol volta lunghe ore, ma più e più
volte, non per un secolo ma per molti secoli, da uomini
non solo di talento e conscienziosità, ma di sommo ta
lento e d'altissimo grado di virtù e santità, ciononostante
rimane invariato, si può ben arrischiare di farsi difen
sore della possente espressa parola. Volli dir questo per
chè davvero non mi ponno che muovere a un sorriso
di compassione quei cotali, che avendo passato alle Uni
versità il tempo di studio nel ciarlare di mode e movità,
fanno le viste di arricciare il naso sulla Scuola di s. Tom
maso. Parrebbe meno insensato soggiungere: il giura
44

mento lega e stringe ad esser fedeli alla dottrina di s. Tom


maso. Vero; ma il giuramento lega e stringe ad esser
fedeli alla dottrina di s. Tommaso, solo in quanto la
dottrina di s. Tommaso consuoma a quella della Chiesa,
a cui fu prestato il primo giuramento, e non più in là.
Leggansi i commentarii dei Domenicani e veggasi qual
libertà si permettano, malgrado il giuramento. E' parmi
non v' abbia in ciò maggior contraddizione di quella vi
sia, s'io, nonostante la mia profession di fede qual uom
battezzato, prendessi a disaminar quale sia dottrina cat
tolica e quale non sia. Bisognerebbe avere una ben cir
coscritta idea del campo della verità per imaginarsi che
s. Tommaso l'abbia compresa per tal guisa ne'suoi tomi
in folio, che altro più non resti a cercare. Dio è la ve
rità; e il cielo dei cieli non lo comprende. -

Egli è della Somma di s. Tommaso come del Duomo


di Colonia, al cui compimento tanto resta ancora da
fare. Ma certamente non si conduce a termine un edi
ficio coll'abbatterlo. Si va più longi: si compie la fab
brica che s. Tommaso, il maestro dei doni e delle grazie
eccezionali, fondò e condusse fino a vertiginose altezze, i
fondamenti, la pianta, le colonne, il tetto della quale non
sono vane imagini della fantasia, ma sono dommi della
Chiesa. Forse suonerà un po'strama a certe orecchie simile
tesi; vediamo però brevemente se nulla vi sia a ridire.
Trascelgo per amor di brevità l'esempio dalla Teologia,
perchè s. Tommaso non ha scritto propriamente una
Summa philosophica. Tuttavia, come mostrerallo l'opera, ci
corre la stessa relazione. Qual è il sistema della Summa
theologica di s. Tommaso, di questa Summa secentenne?
Rispondo: a Deus unus et trinus est principium et fi
n is omnium rerum, in primis rationalis creatura per
45
I. Ch. N. » Ecco il fondamento, – la pianta, – le co
lonne, – il tetto, – l'intero sistema: principio, mezzo,
fine, (principium, medium, finis): puri dommi della
Chiesa. Il principio, il mezzo, il fine, son dessi retta
mente compresi? anche il sistema è esatto: il principio,
il mezzo, il fine sono invariabili ? anche il sistema è in
variabile. Lascio di buon grado al sensato lettore più
ampie considerazioni sulla formazione del sistema: solo
mi giova fare osservare che, se v'è scuola filosofica la
quale sappia cosa si dica quando adopera i termini prin
c i piu m, fin is, m e di um, quest'è certamente la to
mistica.
Ho qui usato un linguaggio grave, perchè io mi sono
mimico d'ogni sofisticheria. Ma la mia nimicizia contro
ogni sorta di sofismi, intesa come è, si fonda sui danni
che nel seguito da essi derivano. Onorevoli alemanni,
teste speculative, non si son messe bastantemente in guar
dia sotto questo rapporto. La smania di cercar ogmi di
nuovi sistemi, nuovi metodi, nuove organiche partizioni,
e nuove maniere di comprendere, e sempre poi anche di
innovare l'espressione, questa smania ha in gran parte il
suo fondamento in un sofisma dell'orgoglio, che crede poter
rigettar dall'un lato la buona antichità. Non è la smania
della moda, è l'amor della verità che deve dominare nel
regno della scienza. L'acutezza non deve per difetto di sem
plicità trascorrere a delle sconvenienti sottigliezze, le quali
di certo non potranno stare a lungo nascoste sotto i loro
belli e pomposi velami. Anche troppo questo spirito, quasi
reggendoci con le falde, ci ha lungamente quà e là rigirati
a de'fallaci sistemi. Coloro che non ischerzano colla verità,
potranno comprendere e valutare l'indegnazione ch'io
provo, quando considero come sì spesso i nostri gio
46 -

vani di tanta speranza, sprechino e consumino dietro


vane chimere le mobili loro forze, mentre con esse avreb
bero forse potuto misurare le vie più ardue della verità,
se da principio non fossero stati avviati per sentieri fal
laci. Si deve pure rimpiangere il tempo prezioso della
vigorosa gioventù, ma missuno vorrebbe chiamarsene in
colpa. Adunque ove trovarla? Rispondo: ella è là dap
pertutto dovunque si atterra senza sufficiente motivo un
edificio che poteva essere condotto più innanzi; là dap
pertutto dove si abbatte un fondamento che in sè era
buono; là dappertutto dove credesi doversi rifare una
strada già da tempo intralasciata, solo perchè non è fatta
a vapore; là dappertutto dove le nuove mode son tenute
per buone e le vecchie per cattive; là dovunque il pro
gresso è scambiato colla novità; dovunque una ciarliera
pompa di parole è avuta in conto di verità, e l'arida lo
gica per una sofisticheria ed un giuoco da ragazzi. Cia
scuno esamini sè stesso. L'onoranda vocazione e il côm
pito degno del filosofo è di cercare la verità, e quando
crede di averla trovata, francamente additarla. Segua
poscia ciascuno la via che crede. Da ogni punto della
periferia si move ad un punto centrale, – ma solo per
raggi. Questi son tutti eguali. Come la sarebbe scioc
chezza, che non cade in mente a nissun novizio mate
matico, quella di ricostruire di novo le leggi fondamen
tali delle sue invariabili figure: altrettanto può dirsi del
l'immutare gli assiomi e i fondamenti di qualsiasi scienza.
Non c'è nessuno, per quanto affetti ignoranza, il quale
non sappia pure quello che già da lungo tempo è tro
vato. Ciò che io dico qui degli assiomi e delle leggi fon
damentali, convien del pari anche alle stesse applicazioni
nel corso successivo delle scientifiche deduzioni; certo più
47
o meno, secondochè più o meno complicate saranno le
applicazioni dei principii che si internano e penetrano
dentro a cogliere l'intimo delle cose. Si può sempre va
riar nell'applicazione dei principii, – è vero – le prove
ripetute più e più volte daranno in fine un risultato
esatto. Ma per amor del cielo nel far le applicazioni non
si abbandonino i principii dai quali si è partiti. Si lasci
del pari, quando si hanno prove più che bastevoli, il
goffo vezzo di dire: è cosa già fatta da altri. Lo scet
ticismo, anche mel più leggiero suo senso, è un veleno
al tutto pericoloso; esso si copre coll'onorevole manto
del dubbio ipotetico. La prudenza del serpe e la sempli
cità della colomba debbono ir di conserva per ismasche
rarlo.
Questi sono i principii che si professano in Roma; prin
cipii di una mente sana. Che se dessi non ponno attecchir
sul suolo germanico, non ci sia grave se altrove si revo
chi in dubbio la sanità della mostra mente. Dopo aver io
prodotto, come qui sopra ho fatto, rispetto alla dottrina
di s. Tommaso, testimonianze siffatte, non mi resta che
d'appellarmene a una mente sana. Epperò io dico col
cardinale Toleto: a Pace aliorum diaerim: unus Divus
Thomas est instar omnium. m Si leggano e si esaminino
tutte le opere dei vecchi tempi, si leggano e si esaminino;
e quindi (se pure non è troppo tardi questa lettura e
questo esame), si dica, se le gravissime parole che scrisse
un giorno il P. Labbé della C. di G., abbiano, dopo il
corso di un secolo, nulla perduto della loro verità. Egli
dice nel suo magnifico inno a s. Tommaso. a Thomas in
sua Summa theologica, quae est mysteriorum compendium,
collegit quidquid doceri potest aut sciri. Inclusit Hie
ronymos, Augustinos, Ambrosios, Gregorios. Epitomen
48
fecit alienae sapientiae et Summam suae: didicit Omnes,
qui Thomam intelligit, etc. » Quimdi comprenderassi quan
t'egli era vero quel che sclamò una volta um eretico,
Βucero a Destruite Thomam et dissipabo Ecclesiam. »
E se non vuol darsi alcum peso alle parole di um eretico,
leggasi la seguente Epistola di dedica (lib. 7. de virt.
et Sac. poenit. ad P. Vincent. Preto. O. P. P.) del
Cardinal Pallavicimo, certamente di motoria autorità. m
a Hoc mihi dolendum accidit commentationes meas rude
quid et impolitum esse pro ingenio tuo. Sed tamquam
tabulas fabre pictas eaeornare studii, illito auro, utique
orphirio , nempe ab illis venis eruto , unde tu quoque
locupletatus es , D. Thomae codices loquor : viri qui
non tam ordo tuus , quam Christi ecclesia, ipsumque
humani generis nomen, merito glorietur. Sentio equidem
me tanti scriptoris pretium una cum aetate, sed longe
supra aetatis incrementa crevisse. Viae crederem , nisi
eæpertus ab aliquibus in theologica luce diu versatis,
tanti doctoris magnitudinem , sibi inaspectam favori ac
famae quadamtenus assignari. Perinde his accidere mihi
videtur , ac terricolis coelum auspicatis , quibus quanto
sole inferìorìbus , tanto ipso minor apparet. Praeclare
mihi egit divina bonitas , quod me vocavit ad eam re
ligiosam cohortem , quae jubetur Angelici praeceptoris
theologiam 8equi: eam namque sequerer vel injussus ; imo
viæ nom sequerer vel prohibitus ; certe perinde sequerer
scriptoris authoritatem nihil illectus, sed cujus non essem
ignaru8. Nimirum egregia scripta ceu vina, 8oli quam
quam incerti sint, cum sapore pretium ferunt. Jam vero
hae postremi hujus anni disputationes , quas e suggestu
dictavi, et quarum tibi Summam dico, plus aliquanto,
quam superiores editae a me, tibi Aquinatem tuum ve
49
dolebunt: quo tantopere nunc delector , ut viæ alium e
Scholasticis diu teram sine fastidio: non quod in cae
teris multa nom ìnveniam ignota mihi et oppido pul
chra ; sed alia plura longe pulchriora me inventurum
fuisse intelligo si D. Thomae tempus illud impendis
sem. Quis autem piscatoris consilium probaret , qui
omisso vivario, certissimam lectissimamque praedam pol
licente , in fluvio potius quamquam piscoso retia for
tunae committeret? Id eae me saepe audiunt, qui me au
diunt: quamvis tanta sit D. Thomae et sectatorum fre
quentia et laudatorum approbatio, utramque tamen adeo
infra merita mihi videri, ut inde communem humanae
perspicientiae tenuitatem vel aspernari cogar, vel mi
sereri. Ipse vero, qui tibi longe prae me Sanctissimi
scriptoris ut doctrinam ita gratiam comparasti , id
mihi ab eo impetra ut non minor mihi sit ejusdem îmi
tatio , ac admiratio. Haud quidem tanta mihi votorum
superbia est , ut eo aspirem , quod summis summum ,
minoribus inseparabili hujusmodi esset scribendo tra
dere , non quae sed qualia ipse tradidit, quæque mi
ocyus a cœlo terris ereptus , tradidisset. Egregie collo
catam a me operam interpretabor si aliqua eae iis , me
allaborante, detegantur quae ab ipso tradita , ab aliis
seu stellulae minutiores in cælo tot frequente syderibus
inobservata. Nimirum non stellas modo , sed gemmas
procreare , conditionis est nostram aetatem supergre
dientis ; abditos earumdem thesauros reperire, ac reipu
blicae bono prodere, et praeclarum inventionis titulum et
præmium habet. -

Scorrendo il cumulo delle citate autorità, l' animo del


lettore mom può a meno di risemtirne um senso di stima
e venerazione. Ma quest' impressione dei testi staccati,
4
50
che solo ho qui potuto addurre, non può memomamente
ragguagliarsi a quella che si prova, quando si leggon
per esteso le attestazioni delle Bolle, de'Brevi, Rescritti e
Diplomi in cui sono celebrate le lodi del sommo Maestro.
Essa è poi incomparabile, e la penna è impotente a de
scriverla, quando si consacra il suo tempo allo studio
delle opere di questo Maestro. Allora ad uno sembra che
tutti questi elogi non siano che una imagine affatto sbia
dita di quella, ch'egli incapace di rendere a parole, o
custodisce nel petto silenzioso, o sceglie solo amici pa
rimenti impressionati per intrattenersi confidenzialmente
sull'inesauribile tema. Qui ogni cosa si rammoda all'altra,
come l'ingegno delle ruote in un capolavoro d'arte. Prim
cipio, mezzo, fine si stringono in cerchi moltiplici mara
vigliosamente l'un l'altro, e tutti mettono al centro co
IIlllme,

Nell'opra del pensier s'avvera quello


Che in perfetto telajo tu ravvisi:
Qui un ordigno dà moto a mille fili,
Passa la spola d'una parte all'altra,
Le fila impercettibili trascorrono:
Un colpo sol mille legami spezza.
GöTHE, Faust.

L'altissimo principio cogli assiomi a lui subordinati,


vien giù giù a colpire per mille modi di applicazioni
fino la più tenera fibra del fiorellino sulla strada, la pol
vere che calpestiamo coi piedi. Tutte le regioni dell'es
sere e della vita si movono e dispiegansi secondo le leggi
che lo sguardo d'aquila del Maestro intuisce nell'umile
sua contemplazione, dopo averci acuito l'occhio purifi
51
cando il suo cuore colla penitenza, colle preghiere, coi
sospiri, consecrando lagrime d'ammirazione, come un
santo sacrificio all'eterna Sapienza. Imperocchè così del
santo dottore scrive Bernardo di Guido : « In difficulta
tibus convertit se ad orationem, a qua surgens inveniebat
apertum, quod prius erat occultum, sic habens in prom
ptu quod dictaret, quasi in libro aliquo didicisset. n Tale
illustrazione ben la comprende chi conosce la massima
dell'angelico Dottore: a se velle potius in inferno esse
quam peccatum leve committere. » Tale illustrazione ben
la comprende chi sa che una delle tre cose, le quali fu
rono l'oggetto delle sue suppliche quotidiane, era questa:
che Dio non permettesse mai ch'egli fosse innalzato dal
l'umile stato di monaco a dignità nissuna. Convien sapere
qual posto assegnava il grande Maestro nell'ordine delle
virtù alla preghiera ed all'umiltà, onde apprezzar al giu
sto la confessione ch'egli stesso ebbe a far un giorno al pa
dre Reginaldo suo confessore a scientiam suam non tam
humano studio et naturali ingenio, quam orationis suffra
gio divinitus se impetrasse, m Dappertutto, sì nella dottrina,
che nella vita, appare in questo uomo l'imagine fedele di
que grandi Padri della Chiesa, dei quali recavasi ad altis
simo onore d'essere il commentatore, specialmente di s. Ago
stimo. Egli applicossi quanto quel gran Maestro sugge
riva: a Magnus esse vis ? a minimo incipe. Cogitas ma
gnam fabbricam construere celsitudinis ? de fundamento
prius cogita humilitatis. Et quantam quisque vult et dis
ponit superimponere molem aedificii, quanto erit majus
aedificium, tanto altius fodit fundamentum. Et fabbrica
quidem cum construitur, in superna consurgit; qui autem
fodit fundamentum, ad ima deprimitur. Ergo et fabbrica
ante celsitudinem humiliatur, et fastigium post humilia
52
tionem erigitur. (S. August. Serm. 10 d. Verbis Dom.) m
Dopo un tal sentimento missuno vorrà pigliar in mal senso,
ma sì interpretare come una doverosa ricognizione ad
onore di Colui, a cui solo appartiene l'onore, quello che
il Maestro un giorno ebbe a dire alla raccolta scolaresca:
a Se nullum librum legisse, quem divino adjutus spiritu
non intellecisset. »

anaſſſſſſſſº
PARTE SECONDA.

-cocob Se

DELLA NECESSITA ED IMPORTANZA DELLO STUDIO FILOSOFICO.

Questa seconda parte la divido in due sezioni. Nella


prima dirò della base fondamentale sulla quale si fonda
l'investigazione filosofica in tutta la sua possibilità, pro
fondità ed altezza. Il che val come ricercare quanta co
gnizione avesse di una tal base la scuola tomistica. Nella
seconda parlerò delle tesi messe in campo contro lo studio
della filosofia. -

SEZIONE PRIMA.

LA BASE DELLA FILOSOFIA

Scienza è un conoscere per via di cause, di ragioni,


– un conoscere ben ragionato, e nello sviluppo progres
sivo delle cognizioni un complesso concatenato di fondate
cognizioni. La base pertanto della filosofia è oggettiva
insieme e soggettiva; oggettiva è l'essere reale fondato
e la connessione delle cose, soggettiva è la facoltà co
noscitiva che investiga quest'essere fondato, questa com
messione delle cose. Quanto saranno più alti, più pro
fondi, più ampi i principii, tanto diverrà più fondata la
54

cognizione, la scienza. Onde l'altissima e suprema scienza


sarebbe quella che comprendesse la cognizione delle al
tissime e supreme cause delle cose. Parlando però noi
della filosofia o cognizione filosofica, è necessario, a scanso
d'inutili discussioni, determinare l'oggetto della filosofia.
L'oggetto della filosofia, della cognizione filosofica è
a tutto quanto è n essa abbraccia l'intero campo d'ogni
cosa. Ma s'ella è così, in che distinguesi la filosofia, la
cognizion filosofica dalle altre scienze, dalle cognizioni
non filosofiche? La differenza sta in ciò che queste s'at
tengono alle ragioni, alle cause più prossime, quella in
vece si spinge più su fino alle più alte rimotissime cause,
sicchè da ultimo ogni scienza può e deve entrare nel
dominio della filosofia. Cadrebbe però in un grossolano
errore chiunque ne volesse quinci inferire: se la filosofia
non è che una specie più elevata di cognizione, una co
gnizione delle cause più alte e rimote, essa non ha dun
que un oggetto suo proprio, ma sì lo piglia dai diversi
campi di tutte le cose. Questa conseguenza sarebbe falsa,
perchè le cause delle cose non sono altrimenti chimere,
ma son reali anzi più reali che le cose stesse. Epperò
il dominio delle cose su cui s'aggira la filosofia, è un
campo di realtà, tanto distinto dalla realtà delle altre
scienze, quanto le cause più alte e rimote si differen
ziano dalle più basse e più prossime. Ciò diverrà più
chiaro tostochè avremo imparato a conoscere nella su
bordinazione delle cose esistenti il nesso causale, in forza
di cui una cosa realmente esistente, l'effetto stesso di
una causa più alta diventa alla sua volta causa di nuovi
effetti. Qui basti per ora l'aver accennato come su di
un punto fondamentale la filosofia tomistica ha sovra i
novi modi di vedere della scienza un vantaggio, del quale
55
non potrei divisar intero il pregio senza dir tutto quello
che si contiene nel corso dell'opera. Dal detto parrà chiaro,
ciò che qui basta, tanto la determinazione del concetto
di filosofia, come anche il perchè abbia detto ogni volta,
filosofia o cognizione filosofica. Prego si badi a questo
a o m per non cadere in grave abbaglio circa il com
cetto di filosofia. Si prende cioè la parola filosofia in
doppio, o più precisamente in triplice senso; cioè si di
notano con questa parola:
1.º Le più rimote speculazioni di qualsiasi scienza giù
giù fino alle cause più prossime, le quali ultime vera
mente sono già proprie d'un altro ordine, ma pure ap
partengono anch'esse alla filosofia per la ragione che
ogni scienza contiéme in sè come in germe gli altissimi
loro principii.
2.º Quello che le è proprio come effettivamente vero
e reale oggetto di questa scienza.
3.º La cognizione corrispondente all'oggetto o modo
di conoscere. -

È per non aver tenuto conto di questa triplice distin


zione che si moltiplicarono le tante contese nelle scuole
moderne sull'oggetto, la partizione o membratura della
filosofia.
Or tra la scienza Metafisica e le altre scienze v'ha
quella stessa relazione che le scienze filosofiche hanno
coi loro proprii oggetti, onde la Metafisica fino da Ari
stotele fu già denominata Philosophia prima ed anche
theologia. Parlerò di ciò nella Metafisica; ora, fissato il
concetto della filosofia, passo senz'altro a quello che è lo
scopo di questa seconda parte dell'introduzione, cioè alla
base della filosofia.
Quando s. Tommaso comincia il suo prologo alla Me
56
tafisica colle parole a quando aliqua plura ordinantur
ad unum, oportet unum eorum esse regulans sive regens,
et alia regulata sive recta », e con alcuni fatti d'indu
zione ci dà in brevi termini la dimostrazione di questa
verità, rapporto a quello di cui ivi specialmente si tratta,
cioè il reggente l'unione, egli presuppone come mota
un'altra verità, il non aver badato alla presupposizione
della quale è fors'una delle principali cagioni dell'avere
i filosofi posteriori tenuto in sì poco conto la scolastica
e parlatone con tanto disprezzo, non che della orgogliosa
loro presunzione d'aver raggiunto una ben più alta sa
pienza. Le parole del testo citato a quando aliqua or
dinantur ad unum », corrispondono alla domanda: se le
molte cose son dirette ad una, e la moltiplicità all'unità,
e per conseguenza se vi tendono. La risposta afferma
tiva è il palladio d'ogni scienza, che si vanta di sapere
al giorno d'oggi chiunque pretende a coltura scientifica.
Ma anche gli antichissimi campioni della scienza la te
mevano come il loro palladio: e poichè dessa era il vello
d'oro che allettava gli scolastici avidi di lotte e vittorie,
l'inconcusso loro fondamento, il visibile faro con cui si
orientavano nell'ardito loro veleggiare; poichè per loro
era presupposizione evidente fino ai ragazzi di scuola,
che reputavano cosa superflua ripeterla continuamente
e dappertutto, val bene il pregio di richiamarla adesso
quanto si pensa più daddovero a rintegrare l'onore della
scuola antica. Questo fatto storico della scienza pare che
certi albagiosi dei nostri di mol vedano ancor troppo bene.
Toltone infatti un piccol numero di onorandi dotti cat
tolici, i quali da vent'anni in quà son tornati o tornano
con tutte le forze e la riverenza alla scuola antica, e'
son tuttora necessarii, specialmente pegli acattolici, i ri
57
formatori della scienza, di ben gravi ammonimenti. Im
perocchè se avessimo a tenerci ai parti della nuova scienza
dovremmo entrar in sospetto e per forza richiamarci al
pensiero quella fisica e psicologica verità: che quanto più
ombra tu gitti su tuoi predecessori, più insistentemente
ne accusi i difetti, ne dipingi a più foschi colori la dot
trima, come non foss'altro che vòte ciance e bolle logiche,
tanto più dai risalto alla tua propria luce sul dinanzi
della prospettiva. Ma le parti ponno scambiarsi. Astra
zion fatta che nel nesso di relazione tanto il bianco mo
strasi dipendente dal nero, che questo da quello, v'è
sempre a temere in tal sorta di artifizii che non appena
la luce irraggi d'altra parte, appaia chiaro quello che
prima era tenebre e quel ch'era chiaro si perda nel buio.
Che se si volesse pigliar la rivincita di questo riflesso
e gridarmi: medice, cura te ipsum ! io risponderei: se
cercassi l'onor mio particolare, l'onor mio è nulla, ma
io non cerco l'onor mio, è quello dei nostri padri, è l'onor
della Chiesa indegnamente conculcato, quello ch'io cerco.
Si condomi al sentimento del dover figliale la lunghezza
di questa riflessione, or vengo al punto.
La risposta affermativa alla domanda: se nella plura
lità è da cercarsi l'unità non può incontrare difficoltà
di sorta, per quantunque possa soventi volte esser dub
bioso dove e come trovare quest'unità. In ragione che
è più grande la moltiplicità delle cose in noi o fuori di
noi, quelle che sono particolarissime si rapportano a una
sfera più larga, la quale essa pure ad una più alta
altissima, in cerchi affatto speciali. Questi cerchi poi alla
lor volta vie vie s'aggruppano per vari modi ad un
gemere. E i varii generi, malgrado la loro diversità, anzi
appunto per la loro diversità fondonsi assieme l'un l'altro
per rapporti e intrecciamenti più alti più ampii. Ciò che
prima era genere ridiviene, rispetto ad una dipendenza
più alta, specie tra le molte specie subordinate. Il pro
cesso dell'unità si va di volta in volta ripetendo, anzi
ogni qual volta ricompare la moltiplicità che può minac
ciare l'unità od anche in certo modo annientarla, noi
siamo sempre rinviati e indirizzati all'unità, sempre in
forza della intelligenza, anche quando non fosse della
matura delle cose. Lo stretto vincolo tra il campo fisico,
il metafisico ed il morale è un fatto da lungo tempo
constatato. Chi potrebbe divisare sin dove può giungere
ancora l'investigazione nella ricerca dell'uguaglianza,
rassomiglianza, diversità ed unità delle leggi di tutti
questi campi intrecciantisi tra loro? a Unità nella mol
tiplicità n. Ecco la parola d'ordine della natura intelli
gente. Scorriamo i campi di tutte le cose, della vita del
l'industria, dell'arte, della scienza – dappertutto l'intelli
genza cerca e trova l'unità. Solo la facoltà sensitiva delle
bestie si accontenta di singolarità particolari, e per con
seguenza di spezzata moltiplicità. L'intelligenza, l'essen
ziale proprietà della quale consiste nel domandare a per
chè ? » e a come? » paragona, separa, riunisce, com
prende nel congiunto la ragione del singolo, trova e forma
regole che tanto più soddisfanno alle sue esigenze quanto
più si allargano nelle loro applicazioni. Il contadino cerca
e trova le leggi a cui soggiace la coltura del terreno
ch'egli dissoda; e dietro queste leggi calcola anticipata
mente il reddito che gli frutteranno le sue fatiche. L'ar
tigiano cerca e trova quelle leggi che possentemente gio
vano a perfezionare il modo di fabbricare nel suo me
stiere. Il macchinista cerca e trova le leggi secondo le
quali, in forza di leggi più alte si semplificano istru
59
menti complicatissimi, per modo che nel loro assetto e
reciproco consertamento d'ordigni, queste mirabili opere
dell'arte non sono governate che da un'unica legge che
move migliaja d'intrecciamenti. L'uomo di stato cerca e
trova le leggi che per la loro universalità uscendo fuori
dall'angusta cerchia di una carovana, solcano come vena
la potentissima monarchia, affluendo ad un punto cen
trale, al cuore del tutto. Così avviene di qualsiasi scienza.
Il medico, il giureconsulto, il fisico, l'astronomo, tutti cer
cano per l'amore stesso della scienza ch'essi coltivano,
di generalizzare la moltiplicità delle leggi, e, quando è
possibile, d'abbracciare in una singola legge fondamen
tale le immense ricchezze delle loro svariate cognizioni.
a Suum cuique m dice il giureconsulto e con ciò dà la
legge centrale di tutte le leggi parziali. « Contraria con
trariis m dice l'allopatico a similia similibus n risponde
l'omeopatico. E così entrambi ci hanno data la loro legge
fondamentale caratteristica in un'altissima generalità.
Gravitazione – sistema solare! ecco un intero mondo
di corpi che per l'astronomo si riuniscono in forza di un'u-
mica legge ad un punto. Il fisico non si dà requie finat
tantochè, attraverso le molteplici sue speciali discipline,
elevando il suo sguardo sopra le limitazioni della geo
grafia e della geognosia, non arriva alla cosmologia che
abbraccia il tutto.
Trovar l'unità nella moltiplicità, cioè nell'uno le pro
posizioni rinchiusevi, fu il gran punto al quale mirarono
tutti i filosofi assetati di verità, che meditarono tutta la
loro vita sulla concatenazione dei pensieri. I nostri re
centi filosofi Kant, Fichte, Hegel, Schelling, Baader e
Günter non furono essi i primi che impiegarono con pal
piti febbrili le loro forze alla conquista di questo punto
60
allettante. Wolf, Leibnitz, Spinosa, Malebranche, Des
Cartes che li precedettero, meditando i loro imaginosi
sistemi anch'essi ebbero in mira questo punto sublime
onde acchetare l'irrequieta intelligenza in traccia dell'u-
mità. E nemmanco fu la scolastica la prima, che co'suoi ve
merabili corifei, Tommaso, Bonaventura, Alberto il gran
de, Anselmo, Giovanni Damasceno, portò l'astrarre, il
generalizzare, il dedurre a vertiginose altezze, sicchè
i posteri dovendosi quasi rompere il capo per seguirli
nell'altissimo regno dello spirito, incapaci d'afferrare la
concreta particolare realtà, ebbero ricorso all'astuto par
tito di venirci a contare che le astrazioni degli scolastici
non danno nel vero. Vedremo più giù come sia loro riu
scita l'astuzia. (Qui basti aver accennata l'accusa per
constatare colla confessione stessa degli avversarii quello
che vogliam dimostrare). Finalmente non fu nemmeno la
veneranda remotissima antichità cristiana che prima diede
il segnale alla ricerca dell'unità. Certo all'apparir delle
divine idee cristiane il movimento scientifico prese tale
uno slancio che non ha quasi paragone nè prima mè poi,
ma lo sforzo all'unità del sapere si vede già presuppo
sto come noto in cento espressioni e fatti visibili. Tanto
egli è vero che leggendo Giustino, Clemente Alessandrino,
Basilio, Gregorio Nazianzeno, Boezio, Agostino, si po
trebbe dire che ogni proposizione dei loro scritti fa prova
com'essi sapessero uscir fuori da una limitata cerchia di
pensieri, e sollevarsi a idee grandiose abbraccianti cielo
e terra; ma, dico io, eglino presuppongono già questo
sforzo all'unità del sapere, come cosa ch'era già nota al
mondo pagano. Anzi l'intelletto dei pagani, questi figli
di matura, era siffattamente acceso da questo ardore di
cercar l'unità, che si dovrebbe scrivere sulle porte del
61
tempio di tutto il paganesimo come la di lui caratteri
stica queste parole: a g, zai ra,l n. Fin là dove s'inse
gnava a ea professo n non la monade ma il dualismo,
volevasi tuttavia in questo dualismo comprendere l'altis
sima e suprema verità. Non è senza una profonda ra
gione che la sapienza di Confucio governa già da quattro
mila anni un regno smisurato, che per la sua industria
e per le sue arti, è tuttora argomento di maraviglia alle
così dette nazioni civilizzate. Leggansi le opere oratorie
e drammatiche di quegli scrittori che rappresentano il
paganesimo classico, e si vedrà quanto abbian ragione
i nostri filologi di volerne raccomandato lo studio, non
solo come modelli di dire, appena o non mai raggiunti,
ma ben anco per l'ampiezza delle loro idee e il loro
contendere sempre all'unità. S'interroghino infine quelle
menti speculative tenute in conto di filosofiche par eaccel
lence. Pitagora ci risponderà col a i recºrn viva; n e colla
a geuota ro: 3,20 m. Socrate col a v60 gsari, m in cui quel
savio intese certamente rinchiudere il a voº riv 6-3, m,
chè io non credo Socrate meritasse mai il rimprovero
che (a detta di Eusebio, de praeparat. Evang. XI, 3),
l'Indio pensò dovergli fare, d'aver egli trovato ridicolo
di voler incominciare la filosofia col roſſº, asaori, e non col
v56 rºv 6:3, vale a dire non colla cognizione di Dio, ma
colla cognizione di sè stesso. Platone, detto il divino ri
sponderà colle generalissime note delle sue idee: a za) ,
zai &yabov m e si uta» retòia» ovopºsta a ſerv . ro),Maxi 8tso raggiva
(Fedro); egli risponde dappertutto che la filosofia a non
abbraccia il sapere di questo o di quello n ma tutta in
tera la sapienza, (rò, qxiaoºo copia; pioguev iribounty siva:

25 e gi», ri: 8'o, 3,3 rion; n Rep. V) ed egli la dimota


espressamente come a irrigan roº ro; m. Brevemente lo
62
sforzo costante di Platone di sollevare lo sguardo dalle
particolarità delle cose alle universali, dalle singolarità
al tutto, dal limitato all'illimitato, o se meglio pare
d'abbracciare nell'universale, nel tutto, nell'illimitato, il
particolare, il singolo, il limitato è cosa così evidente che
Schleiermacher (nella sua Introduzione generale alla tra
duzione delle opere di Platone) propose di distinguere le
opere di Platone in tre classi: 1.º I dialoghi che hanno
per tema di rendere evidente la nullità delle viste co
muni delle cose (cioè particolari, individuali) Fedro, Pi
tagora, Parmenide) 2.º I dialoghi che hanno per iscopo
di dimostrar l'unità delle contrapposte (Gorgia, Menone,
Entidemo, Cratilo, Sofista, Simposio, Fedone). 3.º I dia
loghi, lo scopo dei quali è di dar la scienza stessa come
un tutto (Timeo, Repub. Crizia, Leg.). Del resto, che Pla
tone mirasse a sollevare lo sguardo dalle singole scienze
ad una scienza generale non è un riflesso fatto solo ai
nostri giorni. Presso Eusebio de praeparat. Evang. XI il
peripatetico Aristo tra gli altri dà questo suo giudizio
su Platone: « II,avo zaravonaa, 6; sin p4a ttg º cºn ºsio, za
3,6eorisov irtorium » e poi soggiunge che Platone voleva
suddividere questa scienza una in tre partizioni; 1) ri» gi»
trva repl ri; voi tanto, gioso; si va Trpo fu are ov; 2) tv 8à òsſ, repa»
Trapè rôv 3,0portivo; 3) ti» dà rpirn» ri» repl rod; 67ous.
Domandiamo da ultimo sulla moltiplicità ed unità ad
Aristotele, il principe dei Peripatetici, ed egli daracci in
tutta la lunga serie delle sue opere tale una risposta,
che di leggieri non avremo più esitazione alcuna a rico
noscere con Giovanni Müller: che Aristotele fu la mente
più lucida che sia mai apparsa nel mondo. (Lett. a Gleim
nella raccolta delle lettere di Gleim). Noi non possiam
qui trascrivere le sue opere, ma anche solo citan
63
done alcuni brani vedrem tosto con qual sorta di mente
noi abbiamo a fare. Aristotele comincia la sua Metafisica
colle modeste parole: « rars; gogoro, voi sibiva ègi era
gias m, ma subito dopo spiega ciò che è il desiderio di
sapere, cioè: a toui» oi N) a (6a) rai; parzo 2t, i, zai rai;
urrºgati, i gara pia; 3i usrix: utzpºv, rè di rov a 696rov nivo; zzi ri . » ,
zai xen ager, – cioè a dire: tutte le altre nature animali
accontentano delle particolari cognizioni sensitive, ma
l'uomo solo di cognizioni sviluppate con grand'arte e
secondo regole esatte. Indi egli aggiunge: noi aneliamo
al sapere, non per essere mossi da un interesse qualum
que (oè zgiatº, reo, sezio) ma proprio per amor di sapere
a r 8tá rº siòiva iriora 6a i3 ozov n. Veggasi dunque che il
peripatetico sa librarsi ben alto su ogni meschino interesse
o veduta. Egli piglia il suo punto di vista in più alta,
più pura atmosfera. Indi egli rileva acutamente la matura
della scienza intellettuale a differenza della sensitiva em
pirica: “ , usº spregiato, zai ixzará sar piat:, i ds rexºn voi,
za63).oo n. Ora questa razr rºo zabºxoo è il principio crea
tore di cui si vale per comporre il maraviglioso edificio
della scienza nel campo di tutte le cose con tal maestria,
che par veramente Dio abbia voluto mostrarci in questo
gentile fin dove può giungere un figlio della natura, se
noi figli della grazia, abbiam ben d'onde raumiliarci es
sendoci forza compitar tanto a lungo per intendere questo
savio pagano. Epperò qual maraviglia che gli scolastici
s'accordassero nel chiamar brevemente e semplicemente
il principe dei Peripatetici a il filosofo » senza darsi briga
di declinarne il nome ? Ma poichè gli scolastici lo com
prendevano, poichè specialmente il grande Maestro, l'Am
gelo delle scuole non solo lo intende, ma rileva le lacune
che restano nell'edificio aristotelico e le colma, scopre i
(54
difetti e vi rimedia, mostra le più lontane induzioni e in
gran parte le deduce egli stesso, in una parola perchè
il filosofo cristiano, come ben lo si può dire, e come lo
ha di già osservato il Cajetano, l'acutissimo tra i com
mentatori di s. Tommaso, ha battezzato il pagano,
forse avverrà che le tardive generazioni sien desse prime
a dirne le mirabili cose. Aristotele dinota la Metafisica
come « i ro5 pt) oa o irrarian coi ro; i 3» (Metaph. XI, 3),
e pi) oao a io ti piat; rò, vrov, i vrz iar m cioè le cose che
sono come tali (Metaph. XIII. 3). L'idea di cercar dap
pertutto l'unità era siffattamente nel concetto dello Sta
girita che si possono adottare per divisa di tutta la sua fi
losofia le sue proprie parole: o 6si; zai i pºst, cioè» giro»
roto3a tv 77 (de coelo II, 4).

Sebbene io potessi citare qui in prova del mio assunto


e de' sinceri sforzi filosofici di Aristotele, di cercare e
trovare nella moltiplicità l'unità, un intero volume di ma
gnifici e calzantissimi testi, tuttavia posso a buon diritto
intralasciarli, avvegnachè la filosofia tomistica, di cui son
per parlare altro non sia che la peripatetica, cioè l'ari
stotelica, e quindi dovrei ripeter sempre la stessa cosa.
Prima però di passare a s. Tommaso mi resta a fare
un riflesso, rispetto al fatto storico succennato, che gli
scolastici denotavano Aristotele come a il filosofo m e
come tale il seguivano, il quale è tanto più importante
quanto più di solito non è dato nel suo giusto senso.
Questo riflesso concerne il tempo precedente la scolastica,
e specialmente la relazione di esso con Platone ed Ari
stotele. Siccome però la completa soluzione di questa que
stione dipende dall'esposizione della relazione tra la filo
sofia platonica e l'aristotelica, così la riservo per un'altra
occasione, e qui trascelgo solo ciò che è necessario e ba
stevole per raggiungere lo scopo che qui mi sono proposto.
- 65

Quando io parlo del tempo precedente la scolastica in


tendo il tempo dei Padri della Chiesa fino a Giovanni
Damasceno col quale, a mio avviso, ha principio la sco:
lastica. Del resto poco monta fissarne l'epoca esattamente,
qui si tratta solo di mostrare come in ogni tempo si
abbia saputo assai bene ciò che dicesi pigliar le cose filo
soficamente, saputo assai bene distinguere l'occhio dello
spirito dall'occhio corporeo, e sollevare lo sguardo dalle
sparse moltiplicità e dalle spezzate pluralità a più alta
connessione, all'unità. Questa maniera di veder le cose
appar sì chiara in Giovanni Damasceno (i a 754 o 787)
che la raccolta delle sue opere è veramente una a fiºr
copia: » la quale tanto rispetto alla filosofia della sua
2.axazzº, come rispetto alla teologia a de ortodoaca.fide » ,
ixosa; ri: ebo885oo riarso, ci dà la più chiara testimonianza,
ch'egli alla sua maniera sta ai tempi posteriori come
stanno Anselmo, Pietro Lombardo a s. Tommaso, e prima
di lui come sta s. Agostino a tutti i secoli successivi.
Invece di addur qui una lunga fila di citazioni tes
tuali, che ingrossirebbero sformatamente questa introdu
zione, darò brevemente la risposta a due dimande, che
ci varrà egualmente allo scopo. La prima di queste do
mande è: le teste filosofiche dei tempi precedenti la sco
lastica conoscevan essi i filosofi pagami ? la seconda è :
come spiegasi il fatto di non trovarsi presso loro nissun'o-
pera che comprenda un corpo di scienza filosofica o teo
logica, o con altre parole nissun a Summarium º nis
suna a Summa n nissuna enciclopedia? Se vuolsi si può
estendere questa domanda anche a tutto il tempo suc
cessivo fino a quando questo titolo o scritto o stampato
venne apposto in fronte alle opere.
Affine di gittar luce maggiore sulla cosa rispondiamo
ri
66
alla seconda domanda che ci darà buono in mano per
rispondere alla prima. Noi abbiamo in pronto un ricchis
simo materiale per evadere questa domanda, ed egli val
bene il pregio di non ispicciarsene troppo alla sfuggiasca,
trattandosi qui di presentare al nostro tempo uno spec
chio in cui rimirarsi, onde impari a conoscere le dense
sue tenebre scientifiche e le millanterie dello smodato suo
orgoglio. Se non ci foss'altro a fare che citar frasi am
pollose, davvero che il nostro secolo vince tutti i tempi al
paragone, ma se si tratta di fatti, che parlano ben più
chiaro che le parole, la cosa è tutt'altra; e la remota
antichità ci si para innanzi in tale sembianza che noi
più non sembriamo che pigmei raffrontati a giganti. Io
non sono per nulla amico delle lodi cavillose all'uno a
spese dell'altro: ogni tempo ha il suo buono come il suo
cattivo, le sue grandezze come le sue piccolezze, ciascuno
al suo modo e secondo l'indole sua. Onde però rinsavire
dal nostro orgoglio scientifico e fare che sottentri un po'
di riflessione a rilevare se mai non s'addica alquanto più
d'umiltà ai nostri tempi scribacchianti, egli è necessario
di sperimentare con mano possente il manto lieve lieve
intessuto dei mostri millantatori eroi, anche a rischio di
strapparlo loro di dosso, e vederceli innanzi nella loro
seminudità. Dico, seminudità ; veggasi dunque che so
serbar modo. Non voglio negare al nostro tempo quanto
di buono e di grande realmente egli ha. Non gli con
tendo il grande, il grandioso per rapporto a modi di
manifatture, a costruzioni di macchine, nella
fisica sperimentale, nella critica filologica, nei
calcoli matematici. Ecco in termini molto espliciti
quanto di più rilevante il nostro tempo può ragionevol
mente vantare entro confini abbastanza ampii. Si è di
(i i
mostrato nelle illazioni speculative di queste scienze, quello
ch'io miro dimostrare in questa introduzione per altri
tempi, per ogni tempo, cioè: che le intelligenze sempre
e dappertutto hanno conteso pel loro proprio oggetto,
sempre e dappertutto si seppe ciò che chiamasi professar
filosofia; che l'umanità sempre e dappertutto rese testi
monianza del suo spirito e delle doti di questo spirito.
Un tempo fa testimonianza della sua grandezza e supe
riorità in questo, l'altro in quel modo; l'uno per questa,
l'altro per quella tendenza; l'uno in questi, l'altro in quei
fatti, registrati a lettere incancellabili nei volumi della
storia. Vuolsi essere giusti, lasciare il suo a ciascuno.
Questa è la prova più necessaria e sicura di un elevato
e leale sentir filosofico.
Ora gittando un'occhiata tranquilla, imparziale sulla
remota antichità, di cui ho cominciato a parlare, si può
senza esitar un istante accingersi a sostenere ch'ella,
l'antichità precedente la scolastica, ha dimostrato co'suoi
fatti, coll'operosissima sua vita il suo sentimento e la sua
capacità a concepire le grandiose veramente metafisiche
idee, sicchè tutte le successive generazioni hanno ben
d'onde rimanerme edificate. Il suo compito non era d'ap
prontare o accatastare fasci di scritture, o di stendere
nella solitaria stanza trattati ammisurati, nè di meditare
in cella romita. Il suo compito era, ed ella ben sel sa
peva, di creare un mondo novello, epperò ci vole
vano fatti. Due volte venne combattuta vittoriosamente
la lotta: per tre secoli nella insanguinata arena del co
losseo, per sei secoli contro la falsa gnosi del ben aguer
rito dialettico paganesimo. Il cielo cinse d'immarcesci
bile corona di lauro una tale vittoria, e noi vorremo
sfrondarla, invece di sentirsi incoraggiati a vittorie so
miglianti?
(58

Spero nissuno vorrà frantendermi quando io chiamo


questa lotta, lotta di interessi fisici e metafisici. Ma i
fatti non escono che dalle idee, dove queste sono piccole
certo anche quelli non possono essere sublimi. Sublimi
idee dovevano animar quegli eroi ch'esser dovevano i
trionfatori del mondo. Sublimi esser dovevano le idee in
coloro che ne seguivano la direzione con tale fermezza
che solo cessava sul palco sanguinoso. Dovevamo essere
ben profondamente abbarbicate le radici di quelle idee
che la più sottile sofistica degli spiriti delle tenebre non
valeva ad estirpare. Dovevano volgersi in una sfera ben
ampia quelle idee che traevano coloro che ne erano ani
mati non solo fuori dalla cerchia della famiglia per tutto
l'amplissimo impero romano, ma sì fino agli estremi con
fini del mondo. Ben alto dovevan poggiar quelle idee
colle quali era dato parlare delle celesti regioni con tale
chiarezza, intelligibilità, precisione, come potrebbe farsi
quando occorre parlare di cose materiali.
Ora sarà egli mestieri ch'io dispieghi qui innanzi quei
tomi, che i venerabili Padri ci han lasciato, quasi per
arrota, come nobilissimo legato? Da essi noi rileviamo
come portassero l'armi contro il moltiforme gnosticismo,
il manicheismo, il platonismo, il realismo, l'idealismo,
l'empirismo e lo scetticismo. Interrogate i nostri critici
più dotti da qual origine procedessero quelle opere che
formam tuttora il più bel ornamento delle nostre più
doviziose biblioteche. Ed essi vi risponderanno che quelle
opere altro non sono che le idee enigmatiche (dicifrate
interamente o per metà?) che quegli uomini scrissero a ca
ratteri indelebili sulle pergamene. O replicherete che
quelle sono singoli, stralciati, astrusi pensieri, squarci,
– non Messiadi o Tunisiadi – pietre staccate, non
(5!)
edificii, paragrafi particolari, non un libro completo di
tutta la scienza. Ebbene io vi rispondo: questi singoli
paragrafi tratti dall'Enciclopedia della scienza son falsi
o son veri? Son falsi, via dunque mostrate dove è l'errore?
Ma se son veri certo non ci vuol di molto acume per
ravvisare che una singola proposizione della verità,
quanto è più centralmente compresa, evidentemente pre
suppone tanto più di penetrazione nel campo universale
della verità. Non è possibile dinotare dirittamente le
cose particolari senza aver esatti principii scientifici.
Prego di dar a questa riflessione tutta l'attenzione che
merita. Poichè, io spero, riusciranno affatto a tutt'altro
tanti precipitati giudizi sui meriti degli antichi. I fon
datori del cristianesimo, gli Apostoli divinamente illumi
mati, non ebbero eglino alcune generali connesse idee
della scienza cristiana, cioè a dire della divina? Eppure
dove son le Somme, le Enciclopedie, in cui le hanno re
gistrate? Ma ogni singola proposizione dei loro scritti
mostra l'acuto loro sguardo, lo spirito potente, come le
loro idee abbracciavano cielo e terra. Chi non sa risa
lire all'unità del suo sapere, non la comprende con tutta
chiarezza e stabilità, egli non muovesi tra molteplici par
ticolarissime singolarità, con tal precisione, con tal cor
rispondevole armonia, nè dietro regole sì sode, principii
incontrovertibili, abbraccianti il tutto. Si piglino come
modelli di tal carattere gli scritti di s. Paolo. « Statui
nil scire nisi Christum et hunc crucificum! » – « Deus
in ipso omnia recapitulavit, creatam divinamque naturam
conjungendo ! n Ecco ! come questo metafisico sa pigliar
alto il punto di partenza ed inalzarsi ad idee universali.
Egli parla a dell'altezza, ampiezza, profondità, º della
scienza, è vero senza scrivere un'enciclopedia; ma ne
TO
parla come uno che ne ha misurata l'altezza, l'ampiezza
e la profondità. Così gli altri Apostoli, così i Padri apo
stolici, i Padri della Chiesa e i Dottori; così general
mente tutti coloro che in qualche particolare occasione
dettarono qualche cosa per iscolpire nella memoria quello
che in relazione al tempo era degno di speciale riguardo,
– ma il loro compito non era di scrivere ma di fare,
in un tempo in cui era mestieri predicare e afforzar la
scienza venuta dal cielo con miracoli, colla santità della
vita, colle opere apostoliche, con fatti. La direzione pra
tica delle idee, la pratica introduzione delle idee, il pra
tico passaggio delle idee in istituzioni, a cui per secoli in
tesero con tutta l'anima, ecco espresso in poche parole
il vero spirito filosofico speculativo, caratteristico, degno
dei secoli antichi. Le grandi idee buttate giù su fogli
sparsi da tali uomini d'azione, non comprendevano tutta la
loro scienza; ma ch'esse facciano fede di una scienza com
pleta, o della scienza di un tutto, ne è prova l'essere
tuttora questi testi, tali quali caddero dalla penna di
quei grandi così abborracciati, citati nelle nostre Somme,
come le prove migliori a dimostrare la nostra sapienza. Chi
volendo erigere un grandioso fabbricato a più comparti
menti tra loro incrociantisi, e senza condurlo a termine,
murandone un locale, una camera sola, seppe disporli
per modo che nella continuazione dell'edificio s'avven
gano al tutto, sicchè non sia il fabbricato che debba
adattarsi alla camera, al locale, ma questi che per la
loro assestata giacitura entrino bellamente nel compi
mento del tutto, costui diede prova d'essere buono e va
lente architetto. Or così sta la cosa rispetto a quei ve
nerandi antichi architetti del tempio della sapienza. Se
condo che la necessità, l'occasione, la circostanza impor
71
tava, avevamo a fare con increduli, eretici o superstiziosi,
fabbricavano questa o quella parte. Più tardi quando
tornò pace e tranquillità nel paese, quando la sapienza
della fede ebbe gittate radici in forti caratteri e gran
diose istituzioni, e cominciava a produr frutti copiosi,
naturalmente sottentrò all'operoso apostolato, esterna
mento più o meno romoroso, il tacito apostolato delle
scuole e delle accademie. Allora fu naturale che si scrives
sero Sommarii, Somme, Enciclopedie – continuando a
lavorare sulle fondamenta gettate ai numerosi punti del
terreno della scienza, riunendo le mura maestre trac
ciate in ampie linee, congiungendo assieme le celle par
ticolari, solcando in ogni senso l'edificio con corridoi e
spartimenti, numeri e paragrafi.
Mi ricorda qui d'aver soventi volte parlato con vecchi
camuti i quali avevano ricevuto la loro scientifica istru
zione in un tempo in cui v'era maggior sodezza e co
stanza di dottrina, e quindi tale anche nell'uso dei
manuali d'insegnamento. Discorrendo seco loro di libri
nuovi, e narrando io come ogni dì ne vedessero la luce
di sempre nuovi, l'ultimo dei quali intendeva cacciar
in bando i precedenti, allora quei vecchi dottori crol
lando le spalle (N. B. erano professori laureati, consu
mati negli studii più profondi: mi spiegavano i diffici
lissimi tra gli articoli della Summa di s. Tommaso)
crollando dico le spalle mi fecero questa osservazione:
a poichè i giovani sono sì corrivi allo scrivere, è matu
rale che l'uno debba correggere l'altro, ed escano sem
pre di nuovi libri. Ai nostri tempi non si pensava a
scrivere, si pensava allo imparare. Prima di por mano
a scrivere, si rivedeva, si ripensava le cento volte quello
che pure si aveva insegnato per lunga serie d'anni, e
72
l'opera usciva in fine della vita. Invece di correggere
gli antecessori con un libro nuovo, s'insegnava con que
sto – era la Summa di s. Tommaso. » Io non ho do
mandato a quei signori il loro giudizio sui tempi anteriori
alla scolastica, ma son certo che mi avrebbero risposto: che
quello non fu tempo di scrivere, ma d'operare
come dice s. Cipriano (de bono pat. Serm. 3) a nos au
tem fratres dilectissimi qui philosophi, non verbis, sed
factis sumus, nec vestitu sapientiam , sed veritate prae
ferimus ; qui virtutum conscientiam magis quam jactan
tiam novimus, qui non loquimur magna, sed vivimus
quasi servi et cultores Dei, patientiam, quam magisteriis
coelestibus discimus, obsequiis spiritualibus praebeamus. »
E Isidoro (ea lib. 2. Off. ad. s. Fulg. e. 5): a Qui enim
alium de peccatis arguit, ipse a peccato debet esse alie
nus.... Primitus quippe semetipsum corrigere debet, qui
alios ad bene vivendum admonere studet, ita ut in omni
bus semetipsum formam vivendi praebeat, cunctosque ad
bonum opus et doctrin a et opere provocet. »
Rispetto ai giudizii sin qui motivati sul tempo prece
dente la scolastica, mi resta ancora una breve osserva
zione da aggiungere, cioè, la è cosa chiara da sè, che
tant'altre cagioni contribuirono a disporre le cose tal quali
le ho rappresentate nel quadro qui sopra. Tutto è in
intima connessione nel mondo. Non dovrebbe riuscir dif
ficile di ravvisare lo stretto vincolo di quest'altre cagioni
con quelle già date. Rivoluzioni nel campo dello spirito
del pari che in quello del mondo, guasti, rovine d'ogni
genere, guerra della barbarie colla civiltà e di questa
con quella in tale un modo, quale forse difficilmente po
tremmo raffigurarcelo; mancanza d'ogni sorta di mezzi
d'aiuto, e di poi vie vie succedentisi, rinnovantisi guasti
73
e rovine, e tra quasi non interrotti incendii di rivoluzioni,
di guerre, travolgimenti di stati, immigrazioni di popoli,
esterminii di popoli: ecco quello che appar sulla scena
del tempo precedente la scolastica. Si metta assieme
tutto ciò a quanto abbiam accennato di sopra, e do
vrassi confessare, lo si dovrà per certo, che quello non
era già tempo di scrivere, ma sì d'operare.
Dopo aver dato una risposta alla seconda delle due
domande proposte qui sopra, cioè: come si spiega che il
tempo anteriore alla scolastica, non presenti un tutto,
una Somma, un'Enciclopedia? posso sbrigarmi più spic
cio rispetto all'altra: se quel tempo abbia conosciuto i
filosofi pagani, specialmente la filosofia Platonica ed Ari
stotelica; ma avverto di por tanto più seria attenzione
alla breve occhiata data qui sopra, quanto è più impor
tante la massima che ebbi a stabilire sulla posizione e
il senso dei Padri della Chiesa.
Quand'io domando: conosceva egli quel tempo la filo
sofia pagana ? non intendo pigliar qui la parola a co
noscere m nel senso ordinario, ma sì in un senso più
piemo; non intendo quindi una cognizione elementare,
qual sarebbe quella dello scolaro che sa l'A, B, C, ri
spetto alle lettere del suo alfabeto; ma una cognizione
qual deve averla un filosofo, quand'egli vuole giudicare
fondatamente di un sistema filosofico. Epperò io presup
pongo la conoscenza della scuola romana (o se così
meglio piace, romana-africana) e alessandrina. Si può
aggiungere anche l'anti o che ma anzi e l'ateniese,
poichè noi quì vogliamo dare un'occhiata in generale
alla coltura scientifica. Presuppongo come moto che in
quel tempo tanto la filosofia Aristotelic a che la
Platonica (Neoplatonica-Plotimica) avevamo i loro ar
74
denti seguaci. Basta citare, oltre la splendida fila dei
Padri, dei quali presuppongo come noto il nome, ma che
io non divido in due schiere, (v. la 3 parte dell'introd.,
e caratteristica) rispetto a quella i nomi di Alessandro
da Afrodisio, di Nemesio, (vescovo d'Edessa) di Enea
da Gaza, di Zaccaria scolastico, di Giovanni Filopono,
di Simplicio –, e per rispetto a questa Porfirio, Proclo
(due nemici del cristianesimo!), Giamblico, a cui di solito
piace aggiungere l'illustre Sinesio, vescovo di Tolemaide.
Ma a voler prendere le due schiere così separate sa
rebbero necessarie altre osservazioni che ci condurreb
bero troppo lungi. Per esempio Porfirio, (platonico) scrisse
il celebre trattato: a de universalibus isagoge ad prae
dicamenta Aristotelis ! » Quello che quì m'importa chia
rire è per l'un canto il fatto storico incontrastabile, che,
appena la guerra e l'armi diedero un po' di tregua, la
vita letteraria fu tosto potente; l'altro di richiamar l'at
tenzione a quegli eroi, specialmente i Padri della Chiesa,
che meritano per la loro venerabilità d'esser riguardati
da uno speciale punto di vista.
Anzi tutto si faccia attenzione che il primo secolo,
dopo quel mirabile fatto divino, compiuto sul Golgota
per la rinnovazione del mondo, ha lo stesso rapporto ai
secoli susseguenti, di quello dissi più sopra che hanno i
secoli precedenti la scolastica fino a Giovanni Damasceno,
ai secoli successivi. Quel primo secolo con que fatti gran
diosi al suo principio è zarigoxi, il secolo dei fatti. I nomi
succitati appartengono già al periodo susseguente a quel
primo secolo. Del pari che gli Apostoli, anche i Padri
apostolici non erano uomini da scrivere; non deposero
nell'archivio della scienza per le più tarde età che sin
goli documenti, dei quali dicasi lo stesso di quello che os
75
servammo rispetto ai Padri. Ora volendo comprendere
nell'elenco dei Padri anche quegli scrittori, certamente
pochi di numero, che, è egli vero, non ci brillano in
manzi come santi, ma che furono sempre dimotati come
scrittori ecclesiastici, od anche solo come d'un identico spi
rito, quali sono Boezio e Cassiodoro, ecco che ci compare
inanzi una schiera trionfale di scientifici eroi di fronte a
nemici contemporanei o posteriori, in tale una falange da
rimanerne soprafatti dallo stupore. I nemici coi quali
hanno a combattere questi eroi sono a Legione». Il mani
cheismo, il gnosticismo, il neoplatonismo nelle loro svaria
tissime forme. – Sistemi che accoppiavano gli altissimi
voli della fantasia, le più acute sofisticherie, le più sottili
astrazioni e combinazioni di pensieri con tale prodigiosa
disposizione dello spirito e dell'animo, di pietà ed em
pietà, che proprio sembrava tutto l'inferno avesse con
giurato contro la sapienza del cielo – ecco i nemici,
io dico, coi quali questi eroi dovevano entrare in lizza.
Ed essi li affrontavano con pace, placidezza, dolcezza,
colla pazienza dei santi, ma ad un tempo con arte e
destrezza di spirito, con tal superiorità d'acutezza filo
sofica, con tal scientifica chiaroveggenza, sapienza della
fede divinamente illuminata, che tutte le successive ge
nerazioni posson ben fare oggetto dei loro studii, il come
riportassero allora la vittoria. Quant'era più grande la
luce che spandeva intorno la fede, tanto sembrava esser
divenuto più acuto l'occhio dei nemici. Riunendo la scienza
pagana con quella coltura di spirito, che procedeva dalla
sapienza della fede, la quale sopranaturale è vero nella sua
essenza e sopranaturale ne'suoi effetti, tuttavia non poteva
a meno di non esercitar un'azione anche in modo naturale
su quegli intelletti, l'assalto dei nemici diveniva sì vigoroso
76
che ben si può comprendere, perchè alcuni dei Padri
abbiamo denotata la filosofia come la madre di tutte le
eresie, e ricorressero alla solidità della fede, piutostochè
ad argomenti veramente filosofici per ottenere vittoria.
(Del resto non si volgano le parole che in tal senso, a
cagion d'esempio adopera Lattanzio, contro la vera, ma
contro la falsa filosofia, la sofistica). Egli è facile capire
come le divine verità della fede, scese dal Cielo, irradias
sero, invigorissero naturalmente in una misura incom
parabilmente più grande che la scienza terrena derivata
dal mondo. Ma altro è il dominio del naturale e di quanto
avviene naturalmente, ed altro è quello del sopranatu
rale e di quanto avviene sopranaturalmente. « La fede
è un dono di Dio. » Questo dono è sopranaturale,
come dicono i teologi, tanto rispetto al formale che al
materiale. Questa illustrazione sopra naturale per
mezzo della fede, può di novo esser duplice o una ordi
maria, che segue cioè il consueto ordine delle cose, od
una straordinaria o insolita. Questa straordinaria può
ella stessa essere di due sorta. Ella è o fallibile od
infallibile. Questa, cioè l'infallibile, è quella che toccò in
sorte agli Apostoli; quella, la fallibile, è quella che noi
possiamo e dobbiamo reclamar pei Padri della Chiesa.
Questa è cioè con altre parole nient'altro di quello che
vuol darci a intendere la Chiesa, col dare a quegli uo
mini santi illuminati il nome di « Padri » Ma la Chiesa
non solo tributa loro tal nome ad onore, ma ha sempre
dimostrato di tributar loro l'onore corrispondente a tal
nome, interrogandogli per consigli e lumi ogni qualvolta
si tratta di dottrina. Come gli Apostoli in una maniera
loro propria, del pari anche i Padri – alla loro maniera
– sono le colonne e i fondamenti della verità. Essi sono
s
i ,

chiamati Dottori, ma appunto perchè sono Dottori. Come


Dottori e Padri e Santi essi sono – come ho detto alla
loro maniera – la Luce del mondo – il Sale della
terra.

E così eccomi giunto a quel pensiero capitale, su cui


richiamo la più seria considerazione: si conoscevano al
lora i filosofi o no? Si ascoltano e leggonsi tante e sì ma
gnifiche cose del potente progresso nelle ricerche e tro
vati scientifici, odonsi dei nostri filosofi e leggonsi cose
sì grandi delle innovazioni scientifiche, che si sarebbe
tentati di dar a questi non solo un posto d'onore, ma sì
la presidenza nell'assemblea dei filosofi e dei Dottori della
Chiesa. Scrivesi un catechismo, un sommario di tutta la
scienza, tosto s'imagina di meritar la gloria del sommo
architetto che ha divisato il grandioso edificio. Usansi
nuove espressioni, che pure in ogni tempo ebbero un
dotto suono, s'imagina d'aver trovato nuove idee, colle
quali misurar l'altezza, la profondità e l'ampiezza. Io non
mi so tuttora contener dalle risa, rimembrando quel che
m'avvenne, non è gran tempo, parlando di cose scienti
fiche con un dotto, il quale uscì fuori con queste parole:
a Mio signore, la non usi più questa parola a Dio »
dica a l'altissima Essenza » – l'Assoluto – od anche
– l'Eterno – o come lei crede meglio per esprimersi
scientificamente; allora potrò reputare d'aver a fare con
un uomo scienziato. Così lui ! » Il lettore può imagi
mare s'io mi sia creduto in dovere di dargli una ben
soda lezione: ma una lezione non meno severa dovrebbe
darsi a tutti quei dotti, che come quello scienziato soffrono
di tali inferme imaginazioni. Egli è d'uopo affrontar con
tutta severità tali esorbitanze, tali pregiudizii ed orgogli,
chè una tale scientifica redarguzione è sempre ben coll -
78
cata ogni qualvolta v'è evidente pericolo di scambiare
la sapienza colla stoltezza. Le più semplici nozioni del
Catechismo, che giù trapassarono pei secoli, l'origine
anzi delle quali si potrebbe facilmente dimostrar colla
genealogia dei Padri, son frutti di una speculazione in
comparabilmente più profonda di queste inorpellate parole
di moda. Dove è la verità ivi è la profondità. La verità
è la realtà. Tutte le realtà si fondano in un'altissima
realtà. L'altissima realtà è la verità, Dio è la verità.
L'uma realtà conduce all'altra realtà. Tutte all'altissima
e suprema realtà, a Lui a che è m all'essere ratioxiv.
Ogni singola realtà esiste solo per partecipazione all'altis
sima realtà. I nostri vecchi lo sapevano tanto bene quanto
lo si sa al giorno d'oggi; ma l'occhio dei nostri vecchi era
bastantemente acuto per non riconoscervi alcun pam
teismo, mentre, i nostri spiriti forti credettero recen
temente trovarvi la chiassosa storia del panteismo. Parmi
tempo che corre, un linguaggio abbastanza severo.
Onde riassumere in poche parole il detto risguardo ai
Padri, ripeto adunque che: i Padri essi sono e devon
esser la luce che c'illumina – non siam noi la
luce che ha illuminati i Padri. I Padri sono i Mae
stri e noi gli scolari, e non viceversa i Padri inesperti
discepoli che abbiamo cosa alcuna d'apprendere alla nostra
scuola. Le sentenze dei Padri son quelle a cui noi dobbiam
dirizzare i nostri sistemi, non sono i nostri sistemi, secondo
i quali abbiano a spiegarsi le cose dette dai Padri. I termini
dei Padri sono le misure, non sono le nostre dietro le
quali abbiansi a correggere quelle dei Padri; ben inteso
sempre secondo il modo e la norma della Chiesa. Questo
è punto fondamentale su cui non si può esser mai at
tenti abbastanza. E per compendiare ancor più breve
79
mente questo breve riassunto in una sola proposizione,
che potrà parer sorprendente, ma che perciò stesso si
fisserà meglio nella memoria, così io dico: verrà un
tempo in cui dalle nostre dotte cattedre sarà citato il
Catechismo Romano come documento per le più pro
fonde speculazioni.
Ho delineato con ciò i tratti capitali del punto di vi
sta sotto il quale dev'essere giudicata la filosofia pagana
e la celeste dottrina del periodo precedente la scolastica,
rispetto alla coltura filosofica, di cui qui specialmente
si trattava.
Egli non mi sarebbe difficile di dimostrar la verità di
quanto ho qui detto, riassunto da me nella proposizione ge
nerale, che ogni tempo ha le sue proprietà, le sue grandezze,
anche negli altri campi vuoi di coltura e civiltà, vuoi
d'interessi mercantili o d'imprese guerresche, e fino nel
l' intime cerchie di famiglia. Non è dunque ch'io voglia
diniegar per nulla affatto anche al nostro tempo le sue;
solo amerei un po' più di modestia quando si tratta
di portar giudizio su altri tempi. Ammiransi i nostri
giardini all'inglese? non si dimentichino i giardini pensili
di Semiramide. Ci piace meravigliando lodar ed esaltar le
nostre ville o casini? non si taccia delle ville Mazema
a Tivoli, della villa Adriani. Si contemplano con molta
compiacenza i grandiosi nostri mausolei? ricordinsi anche
i colossali obelischi d'Egitto. Per un Napoleone non si
ponga in oblio un Alessandro. Forse e' potrebb'essere
profittevole molto lo scrivere un tomo intero su tali pa
ralleli, massime se si avesse tanto di modestia da porre
nelle tavole comparative anche le idee delle nazioni in
culte e barbare. In generale torno a far osservare che
in tutta questa esposizione non è mio disegno di mostrar
SO

direttamente dove sia a trovarsi la reale sostanziale verità;


ma solo più prossimamente dove la cosidetta coltura for
male dello spirito, ossia la grandezza speculativa delle
idee. Quantunque l'una cosa sia strettamente legata al
l'altra, particolarmente riguardo a quello dissi dell'antico
tempo patristico, contuttociò al nostro scopo è pienamente
bastevole l'aver dato un'occhiata alla parte così detta
formale, specialmente rispetto alla coltura filosofica. Questo
cenno era poi necessario anche per un'altra ragione,
cioè per giudicar dirittamente s. Tommaso, alla sposizione
del quale or possiam trapassare. I principii fin qui svi
luppati sono cioè i punti di vista sotto i quali questo
grand'uomo comprende e giudica il tutto. Nella indescri
vibile sua umiltà egli certamente li presuppone come noti,
ma se non si conoscono, si considera come cosa da nulla
quella che è grande in s. Tommaso, anzi si corre peri
colo di scambiar le più sublimi idee per minuziosi giuochi
di parole. Persuaso che il lettore in quella guisa che di leg
gieri comprenderà di per sè, non essere qui mia intenzione
di scrivere un compendio della storia della filosofia, ciò
che sarebbe di tutta necessità a voler mostrare che sem
pre e dappertutto si seppe ciò che chiamasi pigliar le
cose filosoficamente, o per esprimerci col titolo della no
stra domanda a d'abbracciar l'unità nella moltiplicità »; allo
stesso modo comprenderà da sè perchè io lasci intatto un
abbondevolissimo materiale, e di tutto il periodo della
scolastica non trascelga che il suo rappresentante col
quale ho che fare coll'opera intrapresa. Solamente m'è qui
duopo fare un'altra osservazione, diretta a togliere un
modo radicalmente falso di giudicare della speculazione
scolastica. Certo, come dissi più sopra, non ho qui a
fare direttamente colla sostanziale verità delle idee, ma
81
si come vuolsi dire, col formale. L'osservazione concerne
il giudizio corrente a i Padri han seguito Platone, gli
scolastici Aristotele. m So bene che si cerca di circoscrivere
la portata di questo modo di dire spiegandolo così: i Padri
hanno le idee platoniche, gli scolastici hanno introdotta
la forma aristotelica. Modificata così quella proposizione
generale, per sè già non vera che a metà, diventa total
mente falsa; poichè se questa proposizione, limitata così,
la si vuole intendere letteralmente; riesce a una parola
affatto vuota di senso. Altrove vi ritornerò su più a lungo.
Qui basti d'accennar l'abbaglio, indicando le due cause
che pare abbian dato luogo all'errore. La prima causa
è che veramente la forma d'esposizione di cui si servono
i Padri può esser detta platonica. Certo non è dello
sillogismo che fa uso lo spirito quando è mosso da vi
vissime idee: è la potente forma oratoria che deve servire
alla sublimità e pienezza dei pensieri, principalmente
quando si tratta d'operare non solo sull'intelletto, ma ad
un tempo su tutte le facoltà dello spirito, in modo par
ticolare sull'animo. Altro dev'essere lo stile di un ser
mone, altro quello di una rigorosa dissertazione di scuola.
Quindi il così detto formale dipende molto dal gusto dei
tempi, ma non si deve scambiar la forma accidentale
colla cosa. Epperò il cristianesimo che aveva appunto a
trasfondere quella pienezza di idee da cui era compreso,
non aveva bisogno alcuno dell'analisi aristotelica per tro
varle queste idee, oltrecchè ciò che allora più importava
era di esporle queste idee divine. La seconda causa è lo
aver saputo i Padri certamente apprezzar l'alto valore
delle idee. Nessun disse più vero di s. Agostino quand'egli
scrisse in L. 8 Qq – q. 46: a tanta vis in ideis con
stituitur, ut nisi his intellectis sapiens esse non possit. »
6
S2
Da qui se ne dedussero conseguenze falsissime in favore
della filosofia platonica: ma anche ogni scolastico ade
risce con tutta schiettezza alle parole di s. Agostino,
ogni scolastico anch'esso sa apprezzar l'alto valore delle
idee. Ogni peripatetico dice: se non è ben inteso il
Trattato sulle idee, tutta la teorica delle cognizioni, tutta
la filosofia è falsa. Rimetto qui alla logica: introduzione
agli universali. Ma chi tiene la filosofia scolastica per
qual cos'altro che la peripatetica, costui non conosce ette
della filosofia scolastica. Si badi a questo, perchè sempre
m'occorse negli scritti recenti, dove avvenga caso di par
lar della scolastica, di trovarvi quest'errore. Da ciò ne
viene, come troppo spesso succede, il credere che gli sco
lastici e parimenti i peripatetici camminino sempre em
tro lo strettoio del sillogismo formale. Se tornerassi amco
una volta a leggere Aristotile e gli scolastici entreranno
in capo di ben altre idee sul fatto loro. – La filosofia
scolastica è l'aristotelica, modificata s'intende con quelle
emende di cui abbisognavano le conchiusioni aristoteliche.
E questa filosofia scolastica aristotelica è stata in ogni
tempo la cattolica, purchè sappiasi dall'un canto astrarre
dalla dizione accidentale, dall'altro rettamente valutare gli
sforzi del tempo precedente la scolastica, come abbiam
detto più sopra.
Il qui detto diverrà compiutamente evidente nel corso
dell'opera: questa osservazione però era necessaria, oltre
l'altre ragioni anche per quello che poc'anzi toccammo
del rapporto della forma di esposizione aristotelica, sulla
quale dirò brevemente quanto importa allo scopo propo
stomi, ciò che basterà a convincerci del fatto, che la fi
losofia tomistica riconosce assai bene per base di tutta
la filosofia, l'unità nella moltiplicità, e sa apprezzarla in
S3
tutta la sua importanza. Per capacitarsi della cosa ri
chiamisi alla mente il periodo di tempo in cui cade la
filosofia tomistica. Tutte le varie circostanze concorrevano
assieme per contribuire all'erezione del gran tempio
della sapienza. Era appunto quel tempo in cui si edifi
cavano i grandiosi Duomi di marmo. I principii dietro i
quali si doveva lavorare erano moti, e già da lungo
tempo erano le massime fisse di uomini eminenti. Tutto
il materiale dell'edificio giaceva sparso. Era d'uopo d'un
Davide e d'un Salomone per incominciare e compiere il
celeberrimo tempio. Il tedesco Albert o il grande fu
lo spirito eletto che dispose i lavori preparatorii al tutto;
indi fu mandato dal cielo un angelo a compiere l'edificio.
Quest'angelo fu s. Tommaso d'Aquino, quell'uomo
che i Tedeschi dapprima si divertivano a chiamare a il
muto bue siciliano n ai quali però rispose il suo maestro
Alberto il grande a questo bue muggirà un giorno sì
forte che ne rintronerà tutta la terra. » (v. la Vita di
s. Tommaso).
In quel modo che una caratteristica dello stile gotico
nel fabbricare, è quella di ripetere continuamente nelle
numerose applicazioni la figura principale, fino ai fiori
ed agli arabeschi della fabbrica, per dar imagine del
tutto fin nel più minuto ornamento; così caratteristica
di questa filosofia è di riportar tutto ad altissimi supremi
principii resp. ad uno altissimo e supremo principio, e per
successive applicazioni degli altissimi principii di far vedere
il diretto avviarsi dei particolari al tutto. Prima d'ogni al
tra cosa qui si tratta intorno ai principii. Con chiarissima
cognizione di causa, qui si fanno dapprima le domande:
Il principio è uno, o sono parecchi ? Se sono parecchi,
sono dessi l'um dall'altro dipendenti in qualche modo o nò?
84
V hanno eglino diversi generi di cose di cui forse cias
cuno ha un principio suo proprio? Il principio dell'es
sere è altra cosa che il principio del conoscere? In qual
legame stanno l'uno coll'altro? Come sta la cosa col
principio dell' essere e dell'avvenire? e di nuovo come
stanno questi principii in ambo le sfere l'uno all'altro?
Qual è specialmente l'altissimo principio della metafisica
su cui s'appoggiano tutti gli altri principii delle cogni
zioni? Queste sono le questioni che si risolvono nella fi
losofia tomistica (e generalmente nella peripatetica cioè
aristotelica) con tale una cura, che appar così chiara,
da non poter dar passo innanzi, senza che ciò non si
vegga in luce meridiana. Se mai fuvvi filosofia in questo
rapporto compiutamente chiara, precisa, fino a gradi al
tissimi, quest'è appunto la tomistica. Ad ogni moto di
pensiero si vede d'aver che fare con una testa metafisica,
su cui i più semplici pensieri e le più semplici proposi
zioni trascorrono l'intero dominio del pensiero e dell'es
sere. La domanda della causa di una cosa, dice l'Angelo
delle scuole, è la domanda della causa di tutte le cause,
di tutte le cose. « Objectum voluntatis, quae est appeti
tus humanus, est universale bonum sicut objectum in
tellectus est universale verum. Ea quo patet quod nihil
potest quietare voluntatem hominis nisi bonum univer
sale. (Sa. 1. 2. 9. 2. a. 3.) » L'intelletto, come la
volontà, entrambe le facoltà della natura spirituale mem
tre cercano il loro oggetto, contendono vievie all'unità,
come all'assoluta necessaria proprietà dell'essere. a Omne
ens unum est, verum est, bonum est n è la grande proposi
zione che sta in capo alla metafisica tomistica. Ma l'Unitas,
Veritas, Bonitas, non sono solo attributi, proprietà dell'es
sere, ma son l'essere stesso a convertuntur cum ente. »
- S5
Senza unità nissun acchetamento, missuma beatitudine del
l'intelletto, senza unità nissuna pace, nissuna beatitudine
della volontà. a Quantum deficimus ab unitate et continui
tate talis operationis, tantum deficimus a beatitudinis per
fectione. m Dappertutto si tratta del primum ed ultimum,
del principium e finis, dell'unitas sive essentiae, sive ordi
nis, sive constitutionis, sive productionis. m Dappertutto ci
incontriamo coll'assioma: a Quae sunt dispersa in inferio
ribus sunt unita in superioribus. » Noi leggiamo dapper
tutto. « Deus ima conjungit supremis per media. » Non
mai uno sbalzo, non mai uno sdruscio, uno spezzamento !
Dappertutto unità, ma unità senza confusione. Tutto è le
gato ma non si scambia il messo colla cosa legata. Mal
grado tutte le unità non si perde d'occhio la diversità !
e si sa sfuggire a quegli scogli, a cui rompono la mag
gior parte dei filosofemi, di perdere per l'unità la mol
tiplicità e la diversità. – a De singularibus non datur
scientia n – questa è una proposizione triviale, ma so
lamente per colui che della scolastica non intende che
voltare in eleganti frasi tedesche le parole latine. Noi
lo vedremo più tardi: a Scientia non est nisi de uni
versalibus! » ecco una proposizione altrettanto gene
ralmente riconosciuta nella sua reale verità da tutti i
nemici della scolastica, quanto è disconosciuto il senso
delle parole scolastiche. Gli universali, celeberrima o
famosissima, parola terribile! che corrisponde a chimere
fantastiche e fede settaria! Or bene la scuola tomistica
saprà rispondere; noi vedremo come la nave tomistica
veleggia e trapassa illesa tra scilla e cariddi, mentre
gli antecessori e i successori ruppero o al realismo od
al nominalismo. Lo sguardo del pilota irraggiato dal
cielo, abbraccia di un colpo il principio e il fine, con
86
tutti gli intrecciamenti tra l'uno e l'altro dell'aurea via
media. Nel principio conosce il fine, e tra l'uno e l'al
tro sempre dappertutto così chiaramente conosce i mezzi,
così acutamente li distingue, così strettamente comprende
i messi dell'uno coll'altro che si stupe, si ristà per am
mirazione, si medita, e infin si trova costretti a dire:
in verità, questo è un capo lavoro. Nella definitio objecti,
dice il Maestro, è compresa tutta la scienza, tutta la
materia, tutta la forma, tutta la pienezza della scienza
vievie sviluppantesi fino agli sterminati volumi in folio.
Tutto questo dev'essere compreso nel punto di partenza,
nel primo germe, nella definizione dell'oggetto formale.
Nè questo solo: anche la regola, la legge secondo la quale
si svolge l'evoluzione del pensiero, la misura che distin
gue sempre e dappertutto l'ordine dal disordine – bre
vemente l'altezza, la profondità e l'ampiezza, tutto sta in
così intima connessione colla definitio objecti, che il più
piccolo errore, il menomo spostamento delle cose in prin
cipio hanno per conseguenza alla fine errori grandissimi.
a Error in principio parvus fit maacimus in fine l n
Ora essendo l'opera intera per fare la più bella te
stimonianza di quanto ho succennato, qui mi accontento
di indicare solo alcuni punti di vista, che debbon essere
saldamente ritenuti, onde giudicar rettamente la filosofia
tomistica, e non disconoscere la sublimità de' suoi punti
fissi, e la grandiosità delle sfere di sue vedute. Tutto ciò
però non più ampiamente di quanto il richiegga lo
scopo di questa prefazione.
1.° Una delle più importanti osservazioni, rispetto al
l'intelligenza della filosofia e teologia tomistica è questa:
che s. Tommaso esprime i principii più alti, più gravidi
di contenuto, pieni di significanza colla stessa brevità e
-
ST
semplicità colla quale parlerebbe delle applicazioni dei
principii di minor conto nelle cose che accidentalmente
cadono nel discorso. Quindi non si deve mai misurar il
senso di una proposizione in s. Tommaso, dalla quantità
delle parole che vi spende per farne la esposizione. Lo
studio continuato, le applicazioni ripetute più e più volte,
faranno praticamente conoscere quanto essa era impor
tante. Questo modo di procedere dell'Angelo delle scuole
è una delle cose più sorprendenti che m'abbia trovato
mai in opera o sistema filosofico. Tal fiata dopo aver
già fatto un lungo cammino, senza pensare ad un arti
colo precedente, a un tratto si vede come tutto concorra
a un punto sommo, a cui tutto, come appare, era già
prima coordinato, e che le disgregate partizioni rubricate
non erano che apparenti. Questi sommi punti si ripetono
più e più volte finchè si vien a comprendere che su que
sto o quel articolo s'avrebbe propriamente a scrivere un
tomo in folio. S. Tommaso è modesto, umile in grado
altissimo. Egli non confida meno sul talento e sul genio
de' suoi scolari, che sulla loro buona fede e lealtà.
2.” Questa prima osservazione si collega colla seguente:
la difficoltà nella ricerca della verità è doppia, come
chiarissimamente s'esprime in varie occasioni s. Tommaso,
perchè essa non istà tanto dal lato del generale, dell'uni
versale, come dal lato delle cose particolari. Più una
cosa si allontana dall'unità, tanto maggiore diventa e
svariata la moltiplicità. Tutto ciò che vi è di realmente
esistente è di natura sua particolare. Ora è in queste
particolarità dove si riuniscono numerose combinazioni,
dove l'universalissimo trovasi collegato coll'individuale, ep
perciò dove trovansi le più grandi difficoltà, qui è, dico,
dove fa d'uopo mostrar l'acutezza dello sguardo. Ma que
88 -

sto acuto sguardo non è possibile se la specola da dove


riguardare non è locata più alto che si possa, se non
s'abbracciamo i principii non di uno ma di tutti i campi
delle cose, e questi stessi principii non si comprendono
alla lor volta in un Uno altissimo. Quest'ultima cosa è una
presupposizione che s. Tommaso crede di poter fare col
suo lettore senza bisogno di spendervi altre parole. Su
bito alla prima nell'astrazione del reale, che è a dire
delle cose particolari, egli dispiega il maraviglioso suo
genio scorrendo con quello acuto sguardo penetrantis
simo tutto lo sviluppo, le condizioni, i tramutamenti pos
sibili, e ne dà in brevi termini la soluzione, lasciando al
lettore il cercarne le prove. Secoli interi corrono sulla
data soluzione; si esamina, si fanno obbiezioni d'ogni
maniera, le menti più acute s'applicano con tutta inten
sità per rivedere, la soluzione resta sempre la stessa, il
chiodo è fisso nel capo. Fin l'espressione rimane magi
strale, nè si sa pensare s'egli non avrebbe potuto trovarme
altra più adatta. Ecco la potenza della verità:
ella è la potenza della realtà.
3.º Questa seconda osservazione sta in strettissima re
lazione colla terza seguente. Nelle opere di s. Tommaso
non si può riuscire a nulla di bene senza fondatissima
cognizione de' suoi principii, e così di ricambio, special
mente nella stessa teologia, nulla può esser bene affer
rato senza un'esatta conoscenza della sua filosofia. Que
st'ultima proposizione riposa sul principio espresso dalla
Chiesa stessa : a v eritas veritati con tra di cere
nequit n che s. Tommaso ha posto in capo alle sue
disquisizioni teologiche. La prima è fondata in ultima
istanza sulla proposizione a veritas una est m che
s. Tommaso sa abbracciare in tutto il suo significato, e
S9)

colloca in fronte alla sua Metafisica. Entrambe le pro


posizioni ci rappresentan del pari le ali sulle quali sol
levasi nelle altissime regioni della luce quest'aquila delle
teste speculative.
Forse sarà superflua la seguente quarta osserva
zione, in parte compresa nella precedente, in parte non
appartenente a questo luogo, ed egli è solo di pregio per
essa il darvi alcun peso. Imperocchè è compreso nel
detto più sopra, di non mai lasciarsi trattenere dallo
spingersi più innanzi da nissuna risposta apparentemente
staccata, da nissuna meccanica classificazione o mem
brificazione solo apparente. Nel corso dello studio ve
drassi non solo l'intimissima connessione, ma imparerassi
a conoscere il generalissimo punto di vista sotto il quale
trovasi la connessione. Nè intendo qui solo la commes
sione in qualche speciale materia, ma intendo espressa
mente la connessione in tutte le sfere delle cose, delle
fisiche, delle metafisiche, morali e logiche. Epperò si
parta nello investigare dal punto più alto che è possibile,
e sempre si pigli il santo Dottore alla parola. Egli
farà lo stesso e ti piglierà sempre alla parola di cui ti
sei servito per far l'obbiezione, s'intende coi debiti ri
guardi a quello che la parola vuol significare.
Sebben cosa che non torna in questo luogo, pure la
voglio a sovrabbondanza accennare, osservando rispetto
alla forma d'esposizione del sommo Maestro che: s. Tom
maso usa dappertutto il calmo, o, se così vuolsi l'arido,
linguaggio scolastico. Sia che si tratti di altissimi misteri
o di profondissimi movimenti dell'animo, delle più sublimi
virtù o dei più abboninevoli vizii, di Logica o di Mo
rale, egli è sempre e dappertutto simile a sè stesso, filo
sofo nel senso più eminente della parola. Nè si reputi
9()

ciò veder le cose da un lato solo. Tommaso distingue la


cattedra dal pergamo. Ma l'intelletto è l'altissima delle
facoltà, e quindi a diritto egli signoreggia tutte le
altre, ma non le opprime; anzi le colloca dappertutto
in quella vera regione che loro propriamente s'avviene.
Quanto più l'intelletto comprende profondamente, tanto
più profondamente sono elevate la volontà e l'ani
mo. Egli lascia però alle solinghe meditazioni, agli
ascetici eroi i movimenti e le elevazioni dell'animo, non
esprimibili a parole. Colla penna egli traccia il corso
dell'intelletto, e mostra la sua via alla volontà. Io non
potrei più convenientemente rilevar questo carattere delle
opere di s. Tommaso che usando di quelle parole colle
quali venne caratterizzato il vecchio Görres: a Mentre
egli fa ribollir il sangue, apporta pace alle ossa ». Ad
durrò qui un'esempio affine di riunir al tutto questa os
servazione, senza citar in prova molti luoghi, che finora
non potrebbero essere compresi in tutta la loro pienezza
ed importanza. Nè parmi di poter meglio conchiudere
tutta questa dissertazione, a lui consacrata, sulla carat
teristica del genio filosofico che col passo seguente: Nella
Summa Theolog. 1, p. 55, a 3, l'Angelico Dottore do
manda a Utrum superiores angeli intelligant per species
magis universales, quam inferiores ? e risponde così in
corp. art. » Respondeo dicendum , quod ea hoc sunt
in rebus aliqua superiora, quod sunt uni primo, quod
est Deus propinquiora et similiora. In Deo autem tota
plenitudo intellectualis cognitionis continetur in un o
sc. in essenti a divina per quan Deus cognos cit
omnia. Quae quidem intelligibilis plenitudo in intelli
gibilibus creaturis inferiori modo et minus simpliciter
invenitur. Unde oportet, quod ea, quae Deus cognoscit
91
per un um inferioris intellectus cognoscant per multa,
et tanto amplius per plura quanto amplius intel
lectus inferior fuerit. Sic igitur, quanto angelus fuerit
superior, tanto per pauciores species universalita tem
intelligibilium apprehendere poterit. Et ideo oportet, quod
ejus formae sint universaliores, quasi ad plura se ectem
dentes magnaeque earum. Et hoc per eacemplum aliqua
liter in nobis perspici potest: su n t en im qui da m qui
veritatem intelligibilem cap e re non possu nt,
nisi e is particulatim per singula e acplice tur.
Et hoc ee debilitate intellectus eorum contingit. Alii vero
qui sunt fortioris intellectus, ea paucis multa capere
possunt. »

SEZIONE SECONDA.

In questa seconda sezione ci resta a dire di quelle


tesi che si mettono in campo per osteggiare lo studio
della filosofia. Si vorrà di leggieri comprendere non es
sere qui mia intenzione che di toccar alcuni di quei
punti generali di vista, che basta solo accennare nella
loro rilevanza per ridestar l'attenzione, e, schiarito il
giudizio, invogliare ad applicarsi con alacrità e profitto
allo studio della filosofia. Ond'è che premetto questo dis
corso sulla necessità della filosofia ed importanza dello stu
dio filosofico come captatio benevolentiae dei nemici della
scolastica, e malevolentiae dei nemici in genere della
scienza. Del resto lode al cielo, oggigiorno il sentimento
per la scienza è ravvivato di molto, nè, parlando in ge
merale, v'è quasi bisogno di stimolo per promoverlo.
Quello però che merita particolare menzione, come nota
92
caratteristica del tempo, è la millantata pretesa d'essere
gli amici della scienza, pur protestando contro la filoso
fia. In verità gli è bene a deplorare che da cert'epoca
in poi i filosofi siensi adoperati a mettere in discredito
la filosofia. Ci verrà occasione più sotto di tornare su
questo argomento. – Intanto volendo parlar delle tesi
accampate contro la filosofia, e dire della sua importanza
e necessità in ogni cosa, devo qui tosto sulle prime af
frontare una difficoltà che m'è impossibile di evitare. I
miei lettori o sono filosofi, amici della sapienza, o non
lo sono. Ai primi fanno stomaco le generiche declama
zioni, agli altri non giovano punto; cerchiam se è pos
sibile d'uscirne a bene. Coloro che non sono filosofi, sono
tali o per principio, o per dappocaggine. Con questi ul
timi ho niente a che fare; quelli mi danno un punto
d'appicco, poichè non voler professare filosofia alcuna per
principio, accenna però sempre un'intelligenza, foss'anco
questa di sola natura pratica, e dove avvi intelligenza
v'è tutto a sperare. Posson costoro aver tal massima
che li potrebbe guidare ai principii, e cionnullameno per
chè non ben discussa, parer sì forte da remorare ogni
altro procedere dell'intelletto, anzi soffocarlo. L'ostacolo
non è che apparente, l'intelletto posto su terreno omo
geneo segue sempre il suo cammino. (33; uo, robarº - zzi
zeria o riv ſv).
Professar nissuna filosofia per principio ecco
la tesi di cui dobbiam tosto occuparci. Onde cansar ogni
equivoco che per miun conto non vorremmo da missun
lato, facciamei ad analizzarla. Questo per principio
può essere non solo diverso di modo, ma può anche ap
partenere a diversi generi di cose, a diverse regioni, può
essere causato da differenti motivi, da ragioni diverse.
9:3

Distinguo quì tra motivi e ragioni perchè sotto i primi


intendo gli impulsi pratici morali in quanto hanno la loro
sede nell'attività volitiva, nella facoltà di volere, d'ap
petire, nella facoltà dell'animo, nel cuore; sotto i secondi
intendo quelli che vengono proposti dalla intelligenza
speculativa. Parliam dunque prima dell'assunto di coloro
che si rifiutano a professar filosofia qualunque per motivi
di natura pratica. Questi motivi per cotestoro possono
essere o in loro medesimi, nelle loro occupazioni perso
mali, nelle disposizioni di spirito, nell'attitudine od inet
tezza, ovvero possono anche non dipendere da loro e
fondarsi su relazioni estrinseche. Qui non monta voler
moverarle, ci basta l'osservare in generale che sempre
in questi casi ci sta innanzi il campo dell'individualità
personale, delle individuali propensioni od avversioni,
delle diverse disposizioni di mente e di cuore, degli affetti
varii e delle passioni più grossolane o più delicate. Quì
v'è sempre pericolo d'illusioni d'ogni maniera, perchè
siam sul terreno enimmatico, pieno di misteri del cuore
umano. E là dove il cuore governa l'intelletto, quel che
resta a fare è appunto sciorre l'intelletto da suoi ceppi.
Tutta la serie di consimili massime, che provengono
da motivi suggeriti dal cuore e da suoi affetti, le posso
ripartire in due classi, la prima delle quali rilevasi di
rettamente, l'altra indirettamente come un prodotto dello
spirito.
« Una buona volontà, leale, schietta – un cuor puro !
Ecco la miglior fonte della filosofia.

Si badi che ho dato alla massima la forma possibile


mente migliore, lasciando dire all'avversario « la miglior
fonte della filosofia » invece di « la miglior filosofia n.
94
In luogo di rispondere a ben detto n potrei rispondere,
a vero fino a certo segno m od anche a buon diritto
a falso affatto ». Cerchiam darne colla maggior possibile
brevità un giusto concetto. In un dato senso è certo che
la proposizione esprime una importante verità, piena di
rilevanza e significato, ma è ben lungi dal contenere una
verità contro la filosofia, meno ancora una verità di prin
cipio contro la filosofia. Ma sott'altro rapporto ella con
tiene un errore così radicale che le sue stesse parole
stanno lì per condannarla di aperta menzogna. Ognuno
chiama l'oggetto della facoltà conoscitiva a il vero » e
l'oggetto della facoltà volitiva a il buono ». Per lo che
la verità è solamente e sempre nella cognizione, come il
buono è sempre e solamente nella volontà. Il vero ed il
buono cioè, secondo la cosa, son sempre lo stesso, il reale.
In quanto la facoltà di conoscere comprende la cosa, noi
chiamiam questa vero; in quanto la facoltà del volere,
dell'appetire la brama noi la denominiamo il buono.
La cognizione come tale non appetisce e la volontà come
tale non conosce. La volontà è una potenza cieca: è pro
posizione vecchissima ritrita (voluntas est potentia coeca).
Una cognizione deve di necessità precedere ogni suo
movimento. Tostochè l'intelligenza l'abbandona a sè stessa,
foss'ella santissima, convien che fuorvii. a Pietas sine
scientia aberrat. m Zelum habet non secundum scientiam
(S. Bernard. – S. Paul.) Certo che la volontà (la fa
coltà di appetire) è il primo Motor quoad actum eacercitii,
cioè rispetto all'esercitar l'attività delle forze in generale.
Ma l'intelletto (la facoltà in generale di percepire) è il
primo Motor quoad actum specificationis, cioè rispetto
all'attività determinantesi in questa o in quella direzione.
Vero è che nel corso del tempo le inclinazioni e le passioni
95
di un cuor corrotto sopravvengono a turbare e pervertire
i movimenti della volontà, ben inteso non per se ma per
accidens: direttamente (per se) ciò che confonde e perverte
l'intelletto è l'ignoranza. La connessione dell'intelletto e
della volontà è così intima che l'una facoltà non potrebbe
non esercitare una influenza grandissima sull'altra. D'onde
ne segue che nello stato in cui attualmente ci troviamo,
la cosa, parlando di noi, è tutt'altro che a res integra n.
La grandissima corruzione della volontà deve quindi im
fluir doppiamente sull'intelletto del pari oscurato. E per
chè appunto la corruzione della volontà è più grande
che quella dell'intelletto, e perchè in generale la bontà
della volontà, è la conditio sine qua non, voluta pel per
fezionamento dell'intelletto, perciò la bontà del cuore di
venta uno dei nostri altissimi doveri, o se così vuolsi,
l'altissimo dei nostri doveri (cioè in ordine morali). Ma
chi non vede che perciò stesso è sempre duopo che preceda
un atto dell'intelligenza il quale giudica, e col quale io giu
dichi: che la bontà della volontà, del cuore è la fonte
più importante della filosofia. Volendo disputare è impos
sibile assolutamente voler far senza dell'intelletto per te
mersene direttamente al cuore. Il cuore non disputa (si dice
talora: il cuor tenzona, ma è chiaro in altro senso).
La via che solo guida al cuore è quella dei principii,
del modo di vedere, del pensiero, delle opinioni, ma que
sti principii, vedute, pensieri, opinioni sono atti intellet
tivi, e sebbene sieno immediatamente, intimamente d'ac
cordo, consone al cuore, esse evidentemente apparten
gono a un campo diverso da quello dei movimenti della
facoltà volitiva, ossia ch'elleno stesse producano questo
accordo col cuore, ossia che ne procedano. È superfluo
ch'io analizzi filosoficamente questa espressione; a me
!)6
basta sia chiarito come, esattamente parlando, la volontà
non preceda all'intelletto che solo a quoad actum eacer
citii » (il quale per altro è un atto necessario di natura;
per nulla morale, meritorio) ma che quoad omnes actus
specificationis è sempre l'intelletto che precede e propone
qualche cosa alla volontà come oggetto degno d'essere
appetito, prima che la volontà abbia potuto determinarsi.
Quanto ho quì detto per ribattere i filosofi che diret
tamente sen tengono al cuore mi pare più che bastevole
per togliere sin dalle radici qualsiasi scambio di principii.
Quest'altra proposizione può compendiar tutta la serie
dei principii dei filosofi del cuore indirettamente:
« La miglior filosofia è la mente sana dell'uomo.

Anzi tutto mi si permetta qui di richiamar l'attenzion


del lettore a veder se in questa proposizione non si asconda
qualcosa d'intollerando e fatale. La mente sana del
l'uomo, in bocca dell'avversario può ben tradursi a il mio
san o intelletto n. E che? verità per trovar le quali
uomini di sterminato ingegno consumarono tutta la loro
vita, egli le rinviene con tutta facilità – verità per
raggiunger le quali nella loro interezza fu necessario il
corso di molti secoli, egli nel breve corso dei pochi
anni di sua vita spicciatamente le trova? verità che
spiriti illuminati da Dio a Lui supplicarono con ogni sorta
di preghiere e di penitenze per poterle approfondire e
comprendere, egli senza sagrificio nissuno, le colpisce
così alla prima? Il millantatore del suo proprio sano in
telletto non si dà della sua mano sulle sue labbra millan
tatrici? Il cuore ha parlato in luogo dell'intelligenza. a La
mente sana dell'uomo è la miglior filosofia! n.
A mio parere la miglior filosofia è quella che ricerca e
97

conosce le più ragionate, le più profonde, in una parola


le vere cagioni delle cose. Un'intelligenza può esser sana
quand'anco conosca solo le prossime ovvero le cause un
po' lontane, ma credere d'averne intuite le ultime ragioni,
od è un solenne inganno di sè, stesso, od è una prova
che si tien per qualcosa di molto superficiale il campo
della verità. Entrambe queste cose sono indegne di una
mente sana. La mente sana è certamente molto neces
saria per istudiare filosofia; ma da ciò non ne segue
che l'intelletto sano di un individuo basti per rendere
superfluo tutto quello che la mente sana, che una schiera
di somme intelligenze ha già dapprima con isforzi co
muni trovato, nè che l'intelletto sano meriti fede quando
qualifica per sottigliezze di mente inferma tutto quello
che sorpassa il suo orizzonte e la limitata cerchia della
sua penetrazione. È stata la tua mente sana che trovò
il sistema dei numeri, o la dottrina pitagorica? o il foco
dell'elissi in un col sistema solare? o il calcolo infinite
simale? o l'arte della stampa? il fuoco greco o le mac
chine di Archimede? o le maravigliose leggi del moto,
dell'elettricità e del galvanismo, e finalmente una quan
tità di principii ed assiomi che in ogni campo di scienza
portano in sè stessi la loro propria evidenza, ma che
cionostante bisogna impiegare non ore, ma interi se
mestri pel loro retto comprendimento e per la loro appli
cazione, per comprenderne tutta la loro significanza? Or
via se nò, ebbene mostrami in che sta il tuo genio, ma
non venirmi a dire che un genio è nulla più che una
mente sana; ma rendi a Lui l'onore che te primo tra
mille altri ornò coi doni dell'intelletto. Mille altri ti ren
deranno testimonianza che tu hai qualcosa più che una
mente sana. A chiunque si vanta di mente sana si gridi
- 7
98

senza più: a hic Rhodus, – hic salta! n Umiltà vuolsi, mio


caro, ella è il principio necessario non meno per l'illu
strazione di una mente sana, di quello lo sia per la
moralità e vigoria della volontà. Un pagano di primo
ordine confessava di non saper che una sol cosa a di
non saper nulla m e tutto il mondo ha sempre fin ad
oggi ammirato questo pagano. Or via in tutto il mondo
a tuoi occhi non havvi un intelletto sano? L'intelletto
sano può certamente bastare per comprendere con poca
fatica ciò che un altro con molti sudori ha prima dimo
strato, ma certo egli è una guida pericolosa se da sè
stesso ha da trovar la via, o quando si tratta di tenersi
sulle guardie da regioni pericolose. La superbia precede
alla caduta. -

Dicevo in secondo luogo: i motivi possono avere il loro


punto di contatto nelle relazioni estrinseche (poichè certo
anche nei filosofi v'ha la sua parte omogenea). La tesi
che abbraccia in una generalissima proposizione le idee
che vi appartengono, per formularla colle più innocenti
parole, la posso brevemente enunciare così:
• Filosofare è buona cosa, ma non si deve appor nissuna ri
levanza alla filosofia, che difatto non ne ha, anzi difatto
è convinta di menzognera. »

Questa è una tesi che potrebbe riescire tanto più se


ducente, quanto sembrano più speciose le sue parole. Ve
ramente ella è molto ampia, pure mi lusingo di poter
in pochi tratti abbracciare il tutto e mostrar di botto
come tutte queste e consimili massime, che si rappiccano
ad una proposizione generale vera, difettano per dimez
zamento, o si fondano su un giuoco di parole tosto sco
perto. La tesi quale io l'ho su esposta ha due parti, cia
99

scheduna delle quali intendo proporre in uno speciale


principio, onde praticamente avvezzare gli onorevoli miei
lettori (cioè gli studenti di filosofia (1)) alle distinzioni.
- Il filosofare è buona cosa sia per passatempo, per ricrea
zione, sia per diletto, od anche sia per una reale coltura
scientifica – ma l'affar della vocazione va innanzi. (N.B.
l'amor del pane?)

Veggasi con qual sorta di spiriti si ha che fare quando


si ha il coraggio d'uscire con siffatte proposizioni. Tut
tavia la risposta va modificata secondo la cosa di cui si
parla, perchè altro è quando si parla di filosofar per
passatempo o per una coltura scientifica (vale a dire un
ragionar dotto in apparenza); altra cosa è quando si
parla della vocazione. Pei capi ameni voglionsi amene
risposte. Per passatemp o ! come se lo studio filoso
fico fosse un nonnulla! La risposta a ciò l'abbiam già
data di sopra. Vuolsi incaponire a dire: i gatti debbon
esser ben grassi onde possano pigliare i sorci, ebben
rispondo io, sia pure così: ma i gatti devono aver anche
occhi di gatto; gatta cieca non piglia sorci. Per diletto!
per ricreazione! mirabile dialettica! Altrevolte dicevasi:
a Minerva minuit nervos et vigorem. » Nei vec
chi tempi si sapeva per bene come fosse impossibile rag
(1) La mira cioè che io ho in questa seconda sezione della se
conda parte, è principalmente questa di avvezzare il lettore ad an
dar incontro colla più pacata assennatezza ad ogni apparentemente
anche più plausibile ragionamento. Non si lasci imporre dalle pa
role e dalle sentenze, escano pur esse dalla bocca di dotti. Cias
cuno ha la sua passione e questa rende eloquente. Piglinsi nelle
date occasioni sempre simili dispute strettamente alla parola, ma
non si dimentichi di por occhio anche alla radice della pianta pa
rassita. -
100

giungere per semplice diletto, per ricreazione in qual


siasi cosa il pensiero profondo. Hogarth non poteva meglio
darcene un'imagine che pingendo un filosofo seduto al
suo tavolo, cogli occhi spalancati su un grosso volume, il
quale, assorto nei suoi pensieri non s'avvede della fiamma
del cero che gli perfora la tesa del cappello, e seguita
senza darsi briga di spegnerla. In verità prima che la sfera
dei pensieri siasi tanto allargata e approfondita da non
si accorgere di nulla, il pensatore deve aver compiuto
un ben faticoso lavoro, tutt'altro che dilettevole. Se l'es
perienza dimostra che ogni pane anche non goduto deve
esser guadagnato col sudor della fronte; così quella prova
(hic Rhodus, – hic salta !) che s'avvien a questi filosofi
ea tempore, può stare per la più bella dimostrazione
degli sforzi che costano allo spirito, quando si tratta di
tener fissi innanzi agli occhi da tre o quattro sillogismi (1).
Certo è che una coltura scientifica qualunque non deve
chiamarsi una scienza profonda, ma imaginaria. Una tinta
qualunque di scienza, tolta da qualche enciclopedia, per
darsi l'aria chiaccherando d'uom saputo era di già ne
cessaria anche solo per tragittarsi da una stazione al
l'altra: dove non v'è chi sappia contraddire colui che parla,
è sempre un dotto. Un quadro di Hogarth può servire
(1) A Roma dove per massima si disputa tuttora secondo le leggi
della Logica io mi sono convinto di quello che si chiama fissare un
pensiero, e fissarlo così per via d'alcuni sillogismi che non possa
essere smosso nè a destra nè a stanca. Si passa il men che sia -

un intero semestre nelle regole, prima che uno sappia architet


tare e fissare da tre o quattro sillogismi, sicchè non lo si possa
trabalzare ad un altro pensiero. Ed io ebbi soventi volte veduto
come era uno spasso anche per teste fini, quando dopo mezz'ora
di disputa, si poteva di bel nuovo lasciar libere le briglie al corso
dei pensieri.
-
101

di schiarimento. S'imagini che si discuta nella Camera


la question delle imposte. Un deputato ha fatto con tutto
calore una proposta scientifica. Invano! egli prende il
suo partito: vede là l'emblema delle imposte davanti alla
dogana; abbasso quella, dice, ed è sciolta ogni questione
E tosto munito di sega sale sull'estremità sporgente della
trave a cui è fissata, e pon mano a segarla senza riflet
tere che verrebbe a rovesciar assieme con essa. Mi si vorrà
niegar d'aver addotto a proposito una tal imagine, trat
tandosi di uomini scienziati! Eppure tengo per fermo
che nulla ci renda più di essa al vero la turba dei no
stridotti. Si sa pure che i nostri filosofi del diritto hanno
con grandi vanterie separato il diritto naturale e la legge
morale dalla base del diritto, come se mai la legge eterna
(lea aeterna) possa essere disgiunta dal diritto naturale.
Or bene adesso eglino van cercando il principio del
l'obbligazione, ma questo è caduto nel fango insieme
al disgiunto e ripudiato diritto naturale e legge morale,
ed essi que signori si cacciano in un pantano senza
fondo. Mentre l'uno cerca di cavarne fuori l'altro, ficcavisi
egli stesso sempre più profondamente. Quest'è l'atterra
mento della casa delle gabelle di Hogarth ; lo si sconta
con un danno incomparabilmente maggiore, e questa è
la filosofia che si professa per diletto, per ricreazione.
Or sì certamente che la vocazione va innanzi, poichè
vocazione è una parola piena di significato. Per verità
chi mai ne comprese tutto il contenuto, ne misurò intero il
mirabile corso? Essa si manifesta in taluni fin dagli anni
più teneri con indizii sì chiari e sorprendenti, che non
lasciano alcun dubbio sulla via che sarà per correre co
lui che è chiamato ad altro stato di quello in cui nacque.
In altri sembra starsene dormigliosa per lungo tempo,
102
quasi diremmo, le abbisognasse un più lungo riposo d'a-
spettativa in ragion della via più maravigliosa che sarà
per correre. Talvolta voglionsi straordinarii avvenimenti
perchè una vocazione si spieghi, e il chiamato imprenda
la sua vera via; tal altra un momento accidentale della
vita ordinaria, a cui si collegano intrecci non pensati,
basta a farne spiegare il talento. Qui sono estrinseci
rapporti che sembrano violentar colla forza della neces
sità il chiamato; là il chiamato da sè senza l'aiuto di
nissuno rimove ogni ostacolo, facilita il difficilissimo, e
con istupore di tutti che stanno a vedere dove vada a
riuscire, mostra possibile quel che non pareva credibile,
il difficilissimo; reale l'incredibile. La stessa legge ripe
tesi in un modo più o meno somigliante nel corso silen
zioso delle ignorate cerchie di famiglia. Anche in esse,
nella loro sfera sorgono chiamati che non si segnalano
meno di quello si segnalino negli annali i grandi della
terra. Come avvenne? era la vocazione! la vocazione
precede! Certo la vocazione va innanzi a tutto il resto.
Quali si sieno le sue leggi, tutto le appartiene. Sia libera
mente, sia per forza di cose, le leggi della vocazione hanno
il loro effetto. La vocazione va innanzi a tutto! Ma per
chè ? ma come?
Chi non vede qual labirinto d'arcane verità ci si apre
innanzi? ma l'inesercitata intelligenza del pacifico arti
giamo, o lo sguardo sfuggiasco del giovane da negozio,
o l'arido senso del burocratico, han essi ben ponderato
tali questioni quando dichiarano di professar filosofia per
diletto, per ricreazione, sempre subordinatamente alla lor
vocazione? Si è scambiato l'impiego colla vocazione, vale
a dire non si volle torturar il cervello a cercarla tanto
alla lunga. Conchiudendo vorrei fare un'altra domanda
103

a spiriti di tal fatta: chi è più veramente filosofo, colui


che amando la sapienza s'affanna a cercarla, o colui che
l'ama solo per ascoltarla? Ecco una risposta abbastanza
breve, e lunga abbastanza alla tesi proposta.
Del resto non voglio essere ingiusto: diasi prova an
che a coloro che professano filosofia per passatempo, per
diletto, per ricreazione, che quelli i quali amano la sa
pienza meritan pur sempre d'essere amati, per quanto
scarso possa parere il loro amore.
Passatempo! diletto ! ricreazione nella filosofia! Molto
bene in verità, almeno lo spirito è più mobile che il corpo.
Sempre là dove lo spirito cerca un divertimento spiri
tuale le cose non vanno tuttavia al peggio. La materia,
le dilettazioni materiali non hanno ancora compiutamente
trionfato. Un tal linguaggio merita ogni onore in un
tempo di materiali interessi, di piaceri sensuali e sem
suale filosofia. Voglio rimeritarli di doppio onore, non
già perchè m'accordi con coloro, che dissero l'età no
stra priva di spirito; ma proprio a cagione del molto
loro spirito e quindi del loro carattere affascinante. La
dialettica dei nostri spiritosi filosofi sembra che trovi
un eco in tutti gli spiriti che movomsi nella materia ter
restre. Certo v'ha qui molto spirito, ne abbiam dovun
que le prove. Ma questo movimento spirituale ha una pro
prietà tutta sua; lo spirito s'arrabbatta e si perde sem
pre più e più nella materia, negli interessi materiali. Lo
spirito vuole spiritualizzar la materia, egli non trova altro
gusto che nella materia spiritualizzata. Qui trovano la
ricreazione, il loro diletto i nostri spiriti forti, sulle fa
mose pedate di quei filosofi che nel decorso decennio pro
clamarono la divinizzazione dell'Io. La filosofia dello spi
rito è la coltura materiale! Si pigli questa caratteristica
104

non già in un senso circoscritto, ma nel senso possibil


mente più ampio. Non m'intendo cioè la coltura mate
riale della terra e sulla terra, ma m'intendo una coltura
materiale sotto e sopra la terra fino in quelle regioni
dove pei nostri filosofi materialisti spirituali incominciamo
i vaneggiamenti della fantasia (N.B. dove pel filosofo
veramente spirituale incominciano invece le idee, l'evi
denze morali, le altissime realtà). Pure ogni cosa, ad
onta della sua spiritualizzazione convien si comprenda per
mezzo dei cinque organi sensitivi, sia pur che s'investi
ghi coi meccanismi i più artificiosi la materia spiritualiz
zata. Allora anche i mondi inaccessibili ai sensi possono
tranquillamente descrivere l'orbita loro. Solo non debbon
essere d'altra natura, nè percorrere altra via, nè seguir
altre leggi da quelle che si ponno abbracciar quaggiù
coi proprii sensi. Come la terra così il cielo! così il cielo
come la terra! Tanto qui che là vuolsi spingersi a ver
tiginose altezze! (N.B. la cosa fu tentata altre volte nel
corso dei tempi! oggidì non vorrassi credere che tutte
le lingue parlate ne serbino vestigia; sì ognuno parla
tutte le lingue!) Terribile, deploranda illusione! La ma
teria è diventata spirito, lo spirito materia! Entrambe si
divinizzano. Alcuno ben potrebbe esser tentato di gittarsi
tra la ressa del mondo e gridarvi: Figli degli uomini, voi
siete figli dello spirito, ma qual risposta ne avrebbe:
e che? mol vedi che noi lo sappiamo di già? ben si po
trebbe incidere a lettere d'oro sulle macchine: a il vostro
spirito è assai più nobile che l'opera della vostra mano
maestra! » Che si risponderebbe? e chi di noi non lo
sa? non è perciò che colle nostre idee noi ci dirizzia
mo a vie superiori (alle aeree). Ben si potrebbe illumi
mar di mille fiammeggianti doppieri i saloni della voluttà
105

e poi gridarvi: a voi siete figli del cielo, m ed eglino si


farebbero beffa di costui rispondendo, eh ! non son esse
di già incantevoli le nostre melodie celesti? Entra nei
grandiosi bureau e gridavi: a sciogliete il problema di
un mondo superiore n; vanne, ti verrà detto, che non ci
curiam noi delle fantasmagorie dello spirito, e con una
tale risposta ti avranno dimostrato che non puoi essere
spirito se non hai carne ed ossa.
E basti di loro. Un savio lasciò scritto in un sapien
tissimo libro questo motto: a se non ti brighi degli uo
mimi ed essi non si cureranno di te. m Ma se tu cerchi
il tuo sollievo nella filosofia, foss'anco solo nelle ore del
riposo, io ti stringo pur sempre la mano con tutta la
più schietta amicizia; noi possiam amichevolmente pro
seguire il nostro viaggio; forse non siam disgiunti che da
male intelligenze.
Io so benissimo l'orrore che si ha per le astrazioni
filosofiche e so quanto lo si debba valutare. Certamente
che la falsa astrazione non è la vera; di ciò dirò in altra
occasione. Ma un'astrazione è primamente al tutto me
cessaria, la concreta astrazione dello spirito dalla mate
ria e dagli interessi materiali. Il nome che si attribuisce
agl'interessi materiali: – affari, transazioni commerciali,
educazione, progresso, coltura, vocazione, – è egli forse più
spirituale, ed appartiene allo spirito più della trattazione
speculativa delle cose materiali e dei fini? Lo spirito è
la meta, – la materia il mezzo. Il diletto morale è lo
scopo – il corporeo il mezzo. L'alta dignità dello spi
rito, l'intelligenza accenna ad uno scopo sublime. L'og
getto dell'intelligenza è la verità, non questa o quella
singola verità, ma la verità – l'altissima verità per la
quale sono vere tutte le altre. In essa sola trova lo spi
106
rito durevole e eterna soddisfazione e contentezza. Che
son dessi gli interessi a cui siete chiamati, se da ultimo
non sono subordinati e non servono all'eccelso scopo a
cui è indiritto lo spirito? I vostri affari o sono di natura
spirituale ed allora come attendere ad essi con quella pre
cauzione e perseveranza da cui pende il bene di tante
cose, senza le teorie spirituali che guidano nel campo
delle più profonde speculazioni? ovvero sono di natura
materiale ed allora tanto più grave e stringente obbligo
vi corre di ovviar con occupazioni spirituali al pericolo
che lo spirito non diventi egli stesso materiale a forza
di volgersi in cose materiali. Cionullameno sia pure che i
vostri affari v'assorbano un più lungo tempo e non vi
resti che brev ora per consacrarvi alla sapienza; non
monta, si sa che non è l'estensione, è l'intensione che
ha più importanza ed energia. Le forze occulte, sostanze
invisibili sono le più potenti, e dov'elleno scompaiono sot
tentrano rigidezza e morte. Or questa forza occulta che
infonde a tutti vita e spirito, deve pur esser uma, sia poi
filosofia, sia religione, e quando v'è quest'una vi sarà
anche l'altra. Ma di ciò più tardi.
La tesi di cui ho fin qui trattata la prima parte era:
è cosa buona filosofare, ma non si deve apporre alla
filosofia un'importanza che in pratica non ha, e che anzi
è di fatto menzognera. Ho compresa questa prima parte
nella proposizione: a il filosofare è bene sia per passatempo,
per ricreazione e diletto, sia anche per una coltura scienti
fica, ma l'affar della vocazione va innanzi n. Quest'e-
spressione a coltura scientifica n la esposi solamente sotto
umo speciale punto di vista, perchè m'aveva fisso di ri
tornarvi sotto un altro punto di vista, che parmi potere
opportunamente formulare così:
107

« Il filosofare è bene, specialmente per la coltura formale dello


spirito, ma bisogna star sulle guardie dalla confusione in
trodotta dai filosofi; epperò non accordar un'importanza alla
filosofia, che in fatto è da condannarsi come menzognera.
Rammenterassi che finora qui io non tratto delle vere
basi scientifiche, ma solo dei motivi che ci portano ad
avversare la filosofia. Sebbene la proposizione come la
ho qui sopra formulata, sembri per la sua maniera intel
lettuale passar nel campo scientifico, pure a cagione della
sua radice appartiene a un'altra sfera.
Gli affetti da cui trae origine sono dall' un canto la
vanità, dall'altro la pusillanimità. Per una vanità
albagiosa si dà molta importanza alla coltura formale
dello spirito; per una pusillanime mediocrità si ristà spa
ventati dalle confusioni dei filosofi.
Quindi tutto l'apparato di questa tesi s'aggira intorno
a questi due termini, coltura formale e confusione
delle quistioni filosofiche. Analizziamoli con quella
seria ponderazione che si meritano, avvegnachè l'una ab
bia l'aria di accennar direttamente la coltura dello spirito,
l'altra di farci cauti innanzi al precipizio.
I miei lettori sanno di certo come nel nuovo linguaggio
la parola a formale n abbia un suo significato diverso
affatto da quella in cui la pigliavano i mostri vecchi.
Oggigiorno a formale n indica l'estrinseco in opposizione
all'intrinseco, l'accidentale in opposizione al sostanziale,
il non essere in opposizione all'essere, ciò che nulla
comprende in opposizione al contemente. Cosa s'intende
adunque per coltura formale? Per coltura formale
si vuole intendere una triplice forma di coltura. Cias
cheduna di queste forme, come forma viva, può venir
indicata come un'attitudine, e quindi la coltura formale
108 -

è la triplice attitudine, 1.º a pensare, 2.º a parlare, 3.º a


reggersi. º

Questa triplice attitudine, cogli apparati per loro na


tura necessari a ciò, costituisce la coltura formale come
la si vuole intendere al dì d'oggi. E così si prescinde,
in quanto è possibile, dalla cosa stessa, dal contenuto,
dalla capacità. Dico: in quanto è possibile, giacchè
l'impossibilità assoluta di voler far astrazione affatto
dalla cosa obbiettiva, è siffattamente evidente che è giuoco
forza accettar la forma pel contenuto. Con tale col
tura formale ci troviam a un dipresso nel caso di chi
studia logica, senza applicar le regole logiche, all'esame
ch'egli fa degli oggetti reali. M'intendo sotto un qualche
rapporto non in tutto, giacchè nello studio della logica,
le regole logiche si rifletton ben tosto sulla logica stes
sa. Con questa coltura formale però si è affatto dispen
sati da essa, appunto perchè la forma non è fissa, sta
bile e legata a leggi determinate, ma sì mobile, mutabile,
e d'una forma sempre flessibile nell'un senso e nell'altro,
e ciò per la ragione che si considera come forma quest'ente
sfuggevole, mutabile, flessibile, che è diventato egli stesso
un contenuto nella sua sfuggevolezza, mutabilità, flessibi
lità. «La cosa in sè, e la cosa in altro modo, e la cosa che è,
in sè e per sè n secondo questa dialettica formale sono una
stessa cosa identica. L'idea d'Hegel e l'identità di Schelling
sono figlie di un sol pensiero! Fantasie che ne impongono,
esposte con modi aggraziati in frasi dialettiche più o
men seducenti; ecco o signori nell'Ensemble la triplice
attitudine della coltura formale del mondo moderno. Borra
sul capo, borra nel capo: cambia la moda, si cambia il
cappello, non importa se si giri nel circolo. « Progresso
è coltura, poichè progredire vuol dir passar da un luogo
109

all'altro, smettere quel di prima, e cercar quello a cui


si aspira, quantunque mol si trovi nè in questo nè in
quello, – il cercar è di già moto e vita. Dove c'è moto
e vita havvi progresso e coltura, poichè moto e vita non
son che progresso e coltura. L'alta prerogativa dello spi
rito, la sublime destinazione dello spirito è questa d'inve
stigar la natura creatrice ed organizzatrice di tutto. n
Ecco un piccol saggio della coltura formale a cui si
vorrebbe giungere collo studio della filosofia. Altrettanti
controsensi quante son le parole. Una simile coltura for
male, per mezzo della filosofia, non avrebbe meglio potuto
divisarla, benchè in altro senso, il Mefistofole di Göthe:

Chi ponsi a specular filosofia


È qual giumento che maligno spirto
Gira e rigira in landa arida incolta,
Mentre intorno verdeggian pingui prati (1).
Mirabile antinomia! si volle e lo si vuol tuttora fare

(1) Una tale coltura formale (colle sue conseguenze) è magnifi


camente descritta da s. Gregorio il grande (lib. Mor. 10. c. 16). • Hujus
mundi sapientia est, cor machinationibus tegere, sensum verbis velare;
quae falsa sunt vera ostendere, quae vera sunt, falsa demonstrare. Haec
nimirum prudentia a juvenibus scitur, haec a pueris pretio discitur;
hanc qui sciunt ceteros despiciendo superbiunt, hanc qui nesciunt sub
jecti et timidi in aliis mirantur, quia ab eis haec eadem duplicitatis
iniquitas nomine palliata diligitur, dum mentis perversitas urbanitas
vocatur... E contra sapientia justorum est, nil per ostensionem fingere,
sensum verbis aperire, vera ut sunt diligere, falsa devitare, bona
gratis exhibere, mala libentius tollerare quam facere, pro veritate
contumeliam lucrum putare. Sed haec justorum simplicitas deridetur:
quia ab hujus mundi sapientibus virtus fatuitas creditur. Omne enim,
quod innocenter agitur ab eis procul dubio stultum putatur, et quid
quid in opere veritas approbat, carnali sapientiae fatuum sonat. »
110

un aggravio agli onesti scolastici del monopolio delle for


mule; intanto che il più grave di tutti i rimproveri che
noi abbiamo a temere è quello che far ci possono gli sco
lastici dicendo: voi non giungete che alla mera coltura
formale, non mai alla coltura reale di fatto. È a dirla
in una parola, la così detta coltura dell'Enciclopedia,
dove altrettanti articoli vi sono l'uno contraddittorio al
l'altro, quanti son gli autori che vi posero mano. « Non
multum sed multa m cioè a multa verba sine multo sensu. n
a Parturient montes – nascetur ridiculus mus: m – oppure
a pluribus intentus, nullus in minimis eventus. m – Questa
sarebbe appunto la superficiale miscellanea esposta con
quella disinvoltura che fa parer bianco il nero e nero
il bianco, chiama bene il male e male il bene, la ma
teria spirito e lo spirito materia, il mulla cosa e la cosa
nulla, la libertà necessità, con quella forma dialettica che
non ha alcun punto d'appoggio da cui sia partito il
pensiero informatore o siasi regolato il giudizio. Con
seguenza di questa formale coltura si è che tali abili
parlatori hanno l'avventataggine d'improvvisare discorsi
d' ogni maniera fino nel consesso di savii consiglieri e
nelle Camere, su qualsiasi più importante o difficil pro
blema della morale e del diritto, anzi conseguenza ne
è l'udir tanti commessi viaggiatori trattar l'intera me
tafisica in fatto di ontologia e ideologia colla medesima
leggerezza con cui cinguettano di romanzi. Ecco a che
riesce questa coltura formale di cui si fa tanto scalpore,
che omai fin nei minori collegi d'istruzione si danno le
zioni di a Propedeutica della filosofia, m intanto che questi
poveri scolari non hanno ancora nè prontezza di pen
siero, nè solidità di vedute e di carattere, quanto basti
per elaborare un tema secondo le regole con fondamento
111

e conseguentemente. Da questa coltura ne nasce, come


è naturale, quella vanità di cui sopra ho parlato.
Quando nella suesposta proposizione ho detto che questa
vanità è in diretta ed intima dipendenza con quell'orrore,
il quale affettando prudenza ha l'aria della saggezza che
ci soccorre a cautelarci contro le confusioni dei filosofi,
non m'intesi, è chiaro da sè, parlar del timor infantile
a initium sapientiae, m ma di quella paura puerile che
s'adombra là dove nulla avvi a temere, ovvero teme per
la consapevolezza della propria debolezza. Esaminiamo più
attentamente la cosa. Propriamente parlando non è da
temersi se non quello che può veramente diventar peri
coloso per noi, e quindi apportarci un danno reale. Se
dunque ci si fa la domanda: la confusion dei filosofi,
può ella di fatto riuscire pericolosa, e perciò realmente
dannosa, e quindi è ella cosa da temer sul serio? Io per
mio conto non solo non mi limito alla più ghiacciata ri
sposta, ma, sebbene sia longi dal disconoscere che il
caos delle moderne quistioni filosofiche può indubbiamente
riuscir in date circostanze pericoloso, dichiaro altamente
che non v'è luogo a timore di sorta. Ho assistito a tutta
la bisogna e considerate le metamorfosi tanto filosofiche
che teologiche del quarto di secolo ora trascorso, non
come uno spettatore indifferente, ma con uno zelo che
fu mai sempre avverso a qualsivoglia transazione. Il
Kantianismo era agli ultimi tratti, benchè tuttora violenti,
quando me sbucciava l' Hermesianismo con tutta la vi
goria di un nuovo sistema. L'Hermesianismo fu colpito
al cuore e seco lui andò sepolto il Kantianismo. In questo
mezzo i principii i più opposti già avevano guadagnato
terreno. Sul campo extra ecclesiastico sorsero a un tempo
stesso o rapidamente succedentisi Jacobi, Fichte, Hegel,
112

Schelling, sull'ecclesiastico apparvero le scuole di Lam


menais, Baader, Günter e quella pratica dell' Hirscher.
Era intorno a questi nomi che s'aggiravano animatissimi
i nostri colloqui. Teologia e filosofia, fede e scienza. En
trambe o alleate o mimiche a morte, quest'era l'argomento,
era una vera guerra. E la guerra ella è sempre terribile,
altamente terribile non meno se è guerra spirituale che
se è corporale. O cara patria, così sospiravamo ben di
soventi, una guerra scientifica di tutti contro tutti, già
da trent'anni desola le nostre belle terre tedesche. Scet
ticismo, idealismo, panteismo formavano il terribile trium
virato, afforzato dall'una parte dalle sue legioni scienti
fico barbariche, dall'altra dalle legioni dell'ignoranza,
della buona fede, della coltura neologica. E tuttavia non
era una lotta limitata di due grandi armate contendenti;
da ogni parte, ardeva la lotta di tutti contra tutti. Quello
che l'umo aveva creduto trovar come l'apice della sapienza,
l'altro veniva a indicarlo come l'apice della stoltezza !
Ben si può comprendere come la lotta dovesse essere
sanguinosa. Per verità! una guerra è sempre orribile nel
l'origine, nel guerriarla, nelle conseguenze: pure quando
si tratta dei più sacri interessi dell' umanità, di ragione
o torto in cose da cui dipende l'essere o il non essere,
la si può fare, e il sangue può scorrere per salvare la
vita. Sebbene coll'occhio impensierito la si può tranquil
lamente guardarla, comechè vi sia più a sperare che
non a temere. La vittoria frutterà benedizione: se non va
cilla il terreno su cui stanno i combattenti, tutto sarà guada
gnato. Ma se il terreno vacilla è terribile cosa, e
in questa guerra trentenne vacillava il terreno dappertutto,
vacillavano tutte le teste speculative di Germania. Imper
ciocchè non era già una lotta per questa o quella difficile
113

applicazione di principii generalmente ed unanimamente


accettati, nò, era nello stretto senso, guerra contro i
principii stessi. Ognuno voleva gettar nuove fonda
menta. Ogni precedente doveva venir sradicato dalle radici
e disperso interamente, poichè il nuovo principio era dia
metralmente e totalmente opposto all'altro. Che ne av
venne ? non si edificò nulla. Una serie di principii con
dannati sul campo ecclesiastico son le rovine che ci stanno
tuttora dinanzi agli occhi; la divisione, lo sfinimento
per languore, la morte nel campo extra ecclesiastico ci
stanno in prova delle esorbitanze a cui si trascese. Sì
grandemente, anzi tutto è da temersi là dove il terreno
vacilla. Guai se la fede non trionfa! Questa è una grazia
della misericordia di Dio (fides est donum Dei); ella
può esser messa in derisione e con tutta facilità la si
mette in derisione negli orgogliosi sofismi d'una scienza
fosforeggiante. Baader si spacciò «ar'sgozz», per filosofo
cattolico. Egli disse sul serio a io sto sul campo della
fede » e, vedi! nello stesso semestre mette alla luce la
sua u Emancipazione dalla dittatura romana. » In colle
gio e fuori la sua prediletta parola fu di chiamar a buoi
gli ortodossi n. E tuttavia per le sue viste, per gli assunti
primitivi, la filosofia di Baader era di gran lunga mi
gliore e più profonda di tutte le altre! Io ho conosciuti
giovani pieni di talento che alla domanda: e come va
colla filosofia? rispondevano coll'occhio immobile: son io
o non son io? credo io o non credo? essi non dubitavamo
della loro esistenza; certamente che missuno finora lo ha
fatto: ma con ciò esprimevano lo stato deplorabile, in cui
si trova colui che tratto in errore da sistemi contraddit
torii, non sa più dove sia la verità, la seienza, la realtà.
Fu cosa ben dolorosa, e ci volle del tempo prima che
8
114

si avvezzassero di nuovo all'imagine del crocifisso, ed


apprendessero a considerar le stimmate del Salvatore, onde
abbassare il loro orgoglio e far ritorno alla spirituale real
tà. La loro forza era illanguidita come allorquando un alito
pestilenziale passa per le midolla e per le ossa. Si badi
ben bene: – molto, anzi tutto v'è a temere quando il ter
remo vacilla sotto ai piedi. Ma il timore in tal caso non
si fonda già sulla forza dell'avversario, ma sì sulla debo
lezza del difensore. La leva a cui dà di piglio per ap
portar il colpo mortale all'avversario, affonda prima d'o-
gni altro lui stesso nel pantano su cui voleva fissar il
suo piede.
Egli è su di un tal terreno e in tal posizione colui
che dall'un canto parla presuntuosamente di coltura scien
tifica, e dall'altra pretende cautelarsi dalle fallacie dei
filosofi con una saggia paura delle loro confusioni; poi
chè vantandosi di coltura scientifica egli è pur forzato
a discorrere e rispondere a questioni scientifiche. Non è
la morte che sana la malattia, ma la buona salute; il
disordine non è ricomposto che dall'ordine. All'intelletto
non si può opporre che l'intelletto. Assicurar meglio la
propria salvezza tirandosi tosto fuori da una posizione
falsa, è esercitar le più sante leggi dell'amore del pros
simo, quando in un colla salvezza della propria vita si
può procurare anche quella del prossimo. Una savia ri
serva sarebbe pusillanimità tanto più inescusabile, quanto
è più facile trovar un solido punto d'appoggio, e più
potente è la forza, afferrato che sia questo punto d'ap
poggio. Or questo punto lo si rinviene nel regno della
verità, ed è su di essa che s. Tommaso si basa. Più
ancora ! su questa rupe incrollabile il Maestro ispirato
non solo eresse una magnifica cattedrale pei servi del
115

santuario, ma circondolla in pari tempo di una fortezza


così durevole, così nelle sue parti coordinata, così com
patta, che, chi si trova colà può ben farsi beffe di tutti
gli attacchi nemici. Nè qui è tutto: di là si domina l'im
tero campo scientifico in tutte le regioni, per lontano che
possa spingersi la potenza dell'uomo. Egli è un tutto
come fuso. Un mirabile edificio eretto non solo secondo
l'archipenzolo e la squadra, ma secondo le idee, numero,
misura e peso; che partendo dagli altissimi vien giù fino
agli ultimi principii, alle più minute particolareggiate fi
bre dell'investigazione. Non è un arido scheletro, tut
t'altro ! è un essere vivo, di vita rigogliosa, spirituale
visibilmente. Non è spettro della fantasia che svegli rac
capriccio; nò, un angiolo di pace del cielo colla spada
scintillante è il simbolo di questa invincibile fortezza.
Roma ha reso testimonianza all'architetto, la filosofia di
s. Tommaso è quella di Roma; e se v'ha qualcuno a
cui non suffraghi l'autorità di Roma, ebben venga e da
sè esamini la cosa.
Or la questione: che v'abbia a temersi in quella com
fusione scientifica, di cui parlava più sopra, si fonde in
questa: chi è colui che ha da temerne? Se propriamente
parlando non v'è ragione da temere se non quando il
terreno vacilla sotto i piedi, colui che sta sovra un solido
terreno non ha nulla a temere. Ora a Roma trovasi su
solido terreno anche in fatto di filosofia. Colà si guarda
con compassione sì, ma sorridendo agli speculativi castelli
in aria dei dotti tedeschi. Questi palagi di carta sfumano
come bolle di sapone al primo alito della verità. E qui
io faccio completamente astrazione se Roma sia solida
nella filosofia per un aiuto soprannaturale o naturale; io
non parlo che di quella scienza che si acquista colla
116

sola luce della ragione naturale. La si dica poi questa


filosofia peripatetica o scolastica, la si dica filosofia di
Roma o filosofia in genere, non monta, essa è la verità
naturale. Ma è la verità, e la verità non teme. Dove
avvi timore non avvi verità, e dove avvi verità non avvi
timore. Siem pure le sofisticherie della falsità finanente
intessute, dotte, seduttrici; la verità se ne ride! Essa
guarda loro francamente, arditamente in volto, purchè ve
rità vi sia, foss'anco una sola proposizione su cui fissare
sodamente il piede (83; tuto roi avò-zai zernao tirris). Il com
plesso dei nostri sistemi speculativi per quanto artistica
mente intessuto, coll'abbagliante suo splendore della rug
giada notturna, scompare tosto che sorge alto di fronte
il sole della verità, ed un fanciullo si diverte passandovi
sopra la sua cannuccia. -

Egli è perciò che dissi più sopra corrispondere d'altra


parte alla presunzione di coltura scientifica, il timore per
la confusione dei filosofi, che deriva da pusillanimità. La
lotta non mancherà mai nel campo della scienza, ella vi
è sempre stata, e vi sarà sempre fino alla fine del mondo,
sebbene, solamente nel senso delle parole del Signore:
a oportet eveniant scandala. » Questa lotta non è nulla
d'insolito, di straordinario; ma ben sarebbe insolita, straor
dinaria una pace tranquilla, poichè darebbe a temere:
a clamant pagel pacl et non est pae! » Che se a questa
forza vittrice della verità naturale s'aggiunga la testimo
nianza soprannaturale di essa (v. la Parte prima dell'In
troduzione) ogni timore, ogni pusillanimità sarebbe fuor
di luogo. Quanto maggiore è la confusione delle questioni
filosofiche del tempo, tanto maggiore sarà la gloria di
colui che ne trionferà l Senza lotta non avvi vittoria,
come senza questa non avvi corona. S. Tommaso trion
117

ferà, perchè trionferà la verità. Certo che è pur da rim


piangere tanto tempo prezioso sprecato per fondar si
stemi di chiacchere vaporose; ma per quanto ce ne possa
dolere, non bisogna venir meno di coraggio. Non è mai
troppo tardi per imparare a conoscere la verità! Chi la
segue vincerà seco lei. Che un nobile orgoglio vi faccia
uomini, giovani tedeschi! È anche troppo lungo tempo
che si son fatte concessioni all'errore, come se la ban
diera della filosofia per la prima volta fosse stata pian
tata su terreno non cattolico! È anche troppo lungo tem
po che noi cattolici siam con ischerno accusati, quasi la
nostra fede impedisca lo sviluppo d'alcun sistema di filo
sofia nel vero senso della parola! È anche troppo lungo
tempo che si cerca di tener chiuso in oscura carcere
prigioniero, quel Maestro della scienza, illuminato dal
cielo, in difesa del quale la nostra santa Chiesa ha reso
la più irrefragabile testimonianza. Se la verità vi è sacra e
cara, addebitatene la Chiesa vostra madre, che v'invita a
provare se qui la si trovi. Ma la prova dev'esser tale qual
merita la cosa. Che se qui non la trovate, via andate pure
più oltre, però sempre dopo aver sufficientemente pro
vato che qui voi non l'avete rinvenuta. Ponetevi al serio
esame con tutte le vostre forze, le attitudini vostre, ma
ad un tempo con tutta la modestia e l'umiltà, ornamento
che sono del vero saggio. Non dimenticate mai, onde il
risultato delle vostre fatiche vi torni giovevole, le parole
del sommo Maestro: « Magis oratione quam studio se
acquisisse scientiam suam. n Nè venite a dirmi: a scien
tia inflat. n Io la conosco benissimo quest'obbiezione, ep
però io stesso vel dico con tutta l'energia e la forza: a scien
tia sine pietate inflat. n Dolorosa verità, ma pur
troppo vera e reale le tante volte. L'orgoglio senza dubbio
118

precedette la caduta dell'essere sovrano. L'avidità di fama


potè ridurre un filosofo a nicchiarsi entro una botte; la
superbia riuscì facilmente a rivestir i filosofi di lacere
vesti. Nè l'orgoglio, l'avidità di fama, la superbia furon
di certo le molli minori che trassero i dotti eretici e
scismatici a divorziar dalla sapienza della fede. E la ma
lefica azione di tali passioni può ben continuare fino ai
nostri dì, quando si tratta di rendere la dovuta giustizia
a un monaco dell'età di mezzo. Qui sta il pericolo, nol
niego. Ma perciò è egli nella scienza? « Post hoc, ergo
propter hoc n è troppo spesso una conclusione erronea.
La falsa scienza è sempre gonfia, perchè è una mezza
scienza, una scienza unilaterale. La scienza completa, la
vera scienza non è che quella la quale va di pari passo
colla pietà, anzi è basata sulla pietà come su fondamento
sicuro. « Initium sapientiae: timor Domini. m Di questa
-
scienza pia, dice lo stesso santo che ci mette in guardia
contro la scienza falsa perchè gonfia: a scientia cum pie
tate aedificat. m La vera scienza è fondamento della vera
pietà e questa di quella a sapere di non saper nulla »
era il motto favorito di un savio pagano. Chi può giu
dicare se la superbia o l'umiltà gli abbiamo suggerita
questa sentenza! Quello però che è fuor di dubbio è che
l'orgoglio ignorante, non è meno pericoloso dell'orgoglio
dotto. L'opera della vera filosofia è di metter sulle guar
die tanto dell'uno che dell'altro. a La verità vi farà li
beri, m liberi sì dell'uno che dell'altro, poichè entrambi
basano sul falso. E non è dunque la vera filosofia quella
che predica l'umiltà come virtù fondamentale? Ella è che
ti mostra come tu non sii che una misera e fragile crea
tura, e al di sopra di te siavi un Essere altissimo, a paragone
del quale tu non sei che un nulla; ella che ti mostra al
119

di sopra di te intelligenze fornite di doti immensamente


superiori alle tue; ella che ti mostra innanzi a te i cam
pioni della scienza ripatriati ad altra vita gloriosa. Non
fa duopo che tu trovi nuovi sistemi, da intitolar del tuo
nome, e pei quali fuorvii per superbia: non è duopo
che t'accinga tu primo a sciogliere mirabili emimmi, la
soluzione o v'è di già, od ella è di tal maniera preparata,
che l'onore spetta ad altri. T'appropria il fatto d'altri, e
se ti piace pavoneggiati di penne non tue, ma confessa
la verità. a L'umiltà è la verità», disse la gran santa e
dotta s. Teresa. a Chi vuol gloriarsi si glorii nel Signore»
(qui gloriatur in Domino glorietur, s. Paolo). Cerca
nella verità l'onor di Colui a cui nella verità è dovuto
l'onore, e trovata che l'hai mettila pur fuori con mobile
ardimento. Quest' è la vera umiltà. a Scientia cum pie
tate aedificat. m Afforzati, dico io, in questa vera umiltà;
l'umiltà, essa dona la vigoria. a Nil asperum miti, nil
arduum humili, m disse una volta il gran Leone. a Tam
quam leones recedamus ab illa mensa, facti diabolo ter
ribiles, et caput nostrum mente revolventes et charitatem
(cioè corporis Christi) dice s. Gio. Grisostomo! Ecco son
leoni coloro che seggono al banchetto dell'umiltà, mo
viamo da esso, e combattiamo, con gloria tanto più grande
se noi cadremo. La cosa è la stessa sì nel campo religioso
che in quello della verità. L'umiltà dà il coraggio.
E tanto basti intorno ai motivi che danno occasione
ai giudizii, per quanto celati, non troppo favorevoli per
lo studio della filosofia. In generale si osservi ancor bre
vemente, che di regola tutti i giudizii diretti contro i fi
losofi si debbono cercare in tali affetti anche allorquando,
secondo le apparenze, il giudizio si volga puramente nel
campo intellettuale. Da che ne emergerà tosto chia
120

ramente come l'oppositore non vi avesse badato gran


fatto, e che il suo ragionamento non ha alcuna solidità.
Così l' oppositore colla cognizione di sè stesso, verrà
tratto da sè a fare il primo passo per cangiar di opi
mione. i

Sorpasso ai motivi che si voglion desumere contro la


filosofia da essa stessa. Dico si voglion desumere: poi
chè ragioni contro la filosofia, è naturale nè vi sono, nè
vi possono essere. Una ragion filosofica contro la filoso
fia equivarrebbe a filosofia contro filosofia cioè: veritas
veritati contradicit. L'unico motivo che si potrebbe ad
dur contro la filosofia, sarebbe quello di provare che non
può darsi filosofia di sorta. Or bene, quella prova diver
rebbe per noi la nostra filosofia. Ammesso che questa
prova fosse solida, allora, i pso facto tutte le ragioni
contro di essa non sarebbero che argomenti apparenti,
quindi tali da poter esser sciolti. Ma siccome lo scetti
cismo assoluto è impossibile, essendo una contraddizione
con sè stesso (giacchè o lo scettico prova o non prova:
se prova si dà la morte da sè stesso, se non prova o
non presenta un'evidenza irrecusabile, allora appartiene
ad altra casa, vo dire a quella dei pazzi, non a quella
della gente assennata), ne conseguita che tutti gli argo
menti prodotti contro la verità non possono essere che
argomenti apparenti, cioè argumenta solubilia, come dice
s. Tommaso. È con tali argomenti apparenti, e in quanto
essi voglion prendere un punto d'appoggio scientifico nella
cosa stessa, che noi ebbimo a fare fin qui. Che poi in
pratica questi motivi seientifici sottostiano a motivi di
tutt'altra natura, che operano quasi molli nascoste, non è
cosa di cui ci dobbiam curar noi in queste pagine: solo
vogliam che la cosa sia osservata onde coloro i quali met
121

tono in campo di tali ragioni si rammentino delle leggi


dell'associazione delle idee, della veste psicologica degli
affetti e della conoscenza di sè stessi. -

Noi possiam dividere opportunamente gli avversarii in


due categorie, quella dei teologi e quella dei non teo
logi, cioè di coloro che argomentando vogliono pigliar le
mosse dal punto di partenza teologico, e di coloro che
partono dal punto non teologico. -

I. I Teologi.

Io m'ebbi già occasione (non so se fortunata o sfor


tunata) di udir dalla cattedra da un cotale che si faceva
chiamare professore di teologia il seguente discorso:
a La fede basta, ella sta su basi proprie, e non ha bi
sogno alcuno della filosofia: la teologia positiva quest'è
l'affar capitale. Si può essere un buon sacerdote, anzi
buonissimo senza filosofia; i sofismi dei filosofi non ap
partengono alla sublime nostra sfera. » Così suonava un
passo di quel discorso, col quale quel signore imaginava
colpir la filosofia come il martello batte sulla testa del
chiodo. Ebben noi vedremo che ne sia: non bisogna la
sciarsi intimidire da semplici parole. S. Tommaso è av
vezzo ad esser preso in parola. Mi sia concesso (se pur
la tirata qui sopra dimostra saggezza) di pigliar alla
parola l'intero passo. Vi sono in esso (come nel più dei
casi avviene quando si piglia il tutto così in monte)
accatastate osservazioni di natura affatto diversa, che
io voglio trattare come altrettante singole proposizioni,
onde in qualche modo evadere a quello che mi proponeva
di dire. . . . .
122

Nel succitato periodo trovansi adunque cinque sentenze


specificamente diverse:
a) La fede basta. -

b) La fede sta su basi proprie.


c) La teologia positiva è l'affare capitale.
d) Si può esser buono e buonissimo sacerdote senza
filosofia.
e) I sofismi dei filosofi non appartengono alla sublime
nostra sfera.

A. La fede basta.

Prima di tutto voglio ricordar una cosa: non vorrassi


sicuramente scambiar a la fede colla teologia, o questa
col catechismo? » Cercherò trarmi d'impaccio nel modo
più cortese, insieme e serio. Basta il catechismo? Ri
spondo: distinguo; pei fanciulli concedo, per tutti nego.
Basta la teologia? Rispondo: ella basta a scombuiare
affatto il cervello di coloro che non sono forti nel cate
chismo concedo, ad ingenerare una stima maggiore
alle verità della fede per teste pensatrici nego vel sub
distinguo. Fra poco vi torneremo su. Si dice: la fede
deve bastare. Facciam prima una distinzione onde evi
tare ogni confusione. Si può parlar della fede tanto in
rapporto alla grazia, mediante la quale ci viene infusa
(idest ea parte principii) come si può parlar della fede
rapporto al soggetto credente (idest ea parte subjecti).
Io so benissimo che nel primo rapporto (ea parte prin
cipii), la fede non ha nulla che fare colla filosofia. La
fede non può essere dimostrata a Fides est donum Dei,
s. Paul. m Ella dipende puramente dalla grazia miseri
cordiosa di Dio, che versa quando e dove vuole le sue
123

grazie. Presa adunque la fede in questo rapporto (ea


parte principii) certo che non si può in alcun modo
parlar di utilità o necessità della filosofia. È cosa nota
ad ogni scolaruccio di catechismo. Ma sotto questo rap
porto non si dice la u fede basta » vale a dire alla
beatitudine, ma si dice la fede è necessaria per la sal
vezza. Il bastare della fede in questo senso ci mene
rebbe qui a cose che non sono di nostra spettanza. Ma
la cosa è ben altra se prendiam la fede a ea parte sub
jecti, m e questo è l'unico senso in cui si possa prendere
la parola: la fede basta, in un significato apparentemente
ragionevole. In questo senso la proposizione è falsa
quando la non si pigli con tante clausole e restrizioni,
che nulla più traspaia della proposizione stessa. Prima
di tutto è d'uopo far attenzione che colla proposizione
succennata si presuppongono già i credenti per tali. Ora
domando io: saranno dunque superflui e da rigettarsi i
motiva credibilitatis perchè il motivum fidei è un
altro? e la fede può essa aver luogo in uno che non sia
ragionevole, cioè non faccia uso della ragione? I motiva
credibilitatis conducono però direttamente alla dottrina
dei principii della cognizione, e così alle più importanti
delle investigazioni filosofiche. Inoltre: solo allorchè un
protestante non ha alcuna giusta idea dei principii, egli
può credere che il principio della fede protestante sia ve
ramente tale. E perciò appunto che si tralasciò dimostrare
a rigore di filosofia, che il principio della filosofia è real
mente e veramente un principio, non si potè dar una so
lida base a tutto quello che si disse sui motiva credibi
litatis. Il principio della fede protestante non può essere
un principio perchè: 1.º non è evidente per sè stesso, e
conseguentemente 2.º me presuppone un altro dal quale
124

dovrebbe essere provato, e quindi 3.º non è compiuta


mente scevro d'errore (V. Metaf). Queste proprietà non
si riscontrano che nel solo ed unico principio cattolico.
(N.B. Io qui maturalmente non parlo del principium effi
ciens, della fede, ma del principium formale quoad co
gnitionem fidei, cioè della conditio sine qua non rispetto
al vero principium formale quo fidei, authoritas et vera
citas Dei revelantis). Ora siami lecito di proporre a quei
teologi che parlano contro la filosofia una questione onde
sperimentare la loro abilità: il principio della fede cat
tolica, cioè l'infallibilità della Chiesa è un dogma di fede,
od una necessaria premessa, quindi al tutto dimostrabile?
Nissuno vorrà ignorar che un dogma di fede non è di
mostrabile, e con pari facilità si vedrà come ogni rive
lazione presuppone l'infallibilitas revelantis. È l'infallibi
lità un preambulum ad fidem, o no? Io non parlo ancora
di quel supposto moto circolo che gli increduli credono
di poterci rinfacciare rapporto al nostro principio di fede,
benchè anche a costoro io potrei addurre a modo d'e-
sempio il circolo filosofico non già apparente, ma vero,
la cui soluzione riesce ben di sovente assai spinosa.
Un'esposizione filosoficamente giusta, chiara, precisa, co
attiva per l'intelletto delle cose di fede per la loro ve
m e rabilità è però la miglior disposizione all'accetta
zione della fede. Onde evitar equivoci torno di nuovo a
questa disposizione alla fede.
Supponiamo che, la Dio grazia, la fede vi sia. Or che
far s'ella fosse esposta ad obbiezioni ed attacchi d'ogni ma
niera? So bene che il principium efficiens deve esser pur
anco il principium conservans; ma so del pari che il cre
dente è obbligato a far uso di tutti i mezzi naturali che
sono in suo potere onde proteggere, difendere e dif
125
fondere la sua fede. Nissuno dei mezzi umani come a
dire, autorità di principi o di superiori in genere, oppor
tunità e rigore di leggi, all'uopo persin la forza dell'armi
e via via, può divenire troppo rigoroso dovere, rapporto
alla conservazione della fede, sebbene resti vero in tutta
la pienezza della sua forza e nella massima sua esten
sione il principio: a fides est donum Dei. » Tra questi
mezzi umani prima d'ogn'altro va annoverata la filosofia,
ed è in questo senso ch'io parlo della sua necessità pei
eredenti, e in particolar modo pei teologi. Tutti gli ar
gomenti contro la fede sono, come ripete sempre s. Tom
maso, argomenti solvibili (solubilia argumenta); giacchè
a veritas veritati contradicere nequit n; questi argomenti
solubili comprendono tutto il campo della filosofia fino
alle questioni più astruse ed intricate, delle quali uno
che non sia filosofo non si serve che troppo spesso
per insultar goffamente l'avversario. Ma próvati a ri
sponder da teologo senza filosofia, e vedrai se potrai
riuscire a cosa di bene. Che risponderesti, poniam caso,
ad un filosofo che sostenesse per esempio? « Dio è un es
senza personale: un essere che è triplice nelle persone
non può formare una persona; quindi, secondo la fede
cristiana, Dio non può essere un'essenza personale – o :
l'essenza della personalità consiste nella propria percezione
dell'Io; in Cristo vi sono due percezioni dell'Io, quindi
due persone! – ovvero, se alcuno colla ratio sufficiens del
l'ottimismo ti facesse questa dimostrazione: Dio in forza
della sua perfezione deve creare; il perfetto non è che
uno, per conseguenza Dio non può crear che un mondo
e questo assolutamente perfetto. O s'egli prendesse il
grande argomento della libertà e delle leggi e volesse
trovarvi delle contraddizioni? o se adducesse come pre
126

testo per negare la possibilità dell'azione dell'umo sul


l'altro la differenza tra lo spirito e il corpo? Di tali cose
che certamente conducono alle più profonde speculazioni,
le quali però non devono per nulla far paura al filosofo, io
potrei qui annoverarne delle centinaia. Se tu le affronti
colla franchezza e superiorità di chi sa, gli altri avranno
ragion di stringersi nelle spalle sul tuo conto, perchè tali
cose le sono davvero gravissime e profonde; ma se tu
le chiamerai tali cose sottigliezze, sveglierai la compas
sione del fatto tuo che non sai manco come la verità sia
per sè sottile; o se per iscrupolo di coscienza dirai che
questa è un'arroganza intollerabile di pretendere che tu
sciolga d'un tratto tali verità, dietro le quali si affan
narono le più grandi e le più pie intelligenze, e allora il
diletto dell'avversario sarà di spingere teco il giuoco
avanti, finchè t'abbia condotto a tali strette dalle quali
tu non potrai scappartela e ti sarà giuoco forza deporre
le armi.

Quei teologi i quali colla proposizione: a la fede basta »


voglion metter da parte la filosofia, veramente non sanno
quel che si dicano. Come se le sacre scritture non fos
sero da capo a fondo piene di filosofia! I santi Padri
dividevano già le sacre scritture in tre classi: doctrina
naturalis, moralis, theologica (Ambrosius, Ps. 36. Basi
lius, praef ad Proverb., Hieronym. praef ad Eccl.; Au
gust. Ep. ad Volus.) e Ruperto (lib. de operibus Spiritus
Sancti) non dubita di asserire: a omnes liberales artes ea
sacra scriptura erui posse. » I libri di Mosè, di Giobbe,
i Salmi ne danno innumerevoli prove. Di Giobbe, dice
s. Gerolamo (ad Paul.): In eo Job omnes leges dialecti
cae, propositione, assumptione, conclusione determinat. È
la stessa cosa parlando del Nuovo Testamento. Chi vorrà
127

dir che sia superflua la memoria che s. Pietro serba


della potente dottrina di Paolo? In verità che se si giunge
fino al punto di non voler considerare per solide le prove
di s. Paolo per l'esistenza di Dio e la reciprocità della
causa prima e secunda, mostrasi d'avere una ben scarsa
idea dell'acutezza del più grande Apostolo del mondo.
Di questo passo naturalmente si terrà per inezia la rota
nativitatis di un altro Apostolo, riderassi del stetit sol
in medio cali e d'altre cose, e la magnificenza e la pro
fondità dei Salmi che giornalmente noi cantiamo, saranno
sbugiardate da idee foggiate alle mode novelle.
Che i santi Padri mettano in guardia contro la sofistica,
non mai però contro la vera filosofia, che anzi raccoman
dimo con ogni serietà ed insistenza la filosofia, è cosa
più che bastevolmente dimostrata in questi ultimi tempi
dai più valenti teologi. Trascelgo da tutta la serie di essi
avvisatamente come testimonii due soli, s. Gerolamo e
s. Agostino. Il primo dopo avere enumerati molti dotti scrive
(in Ep. ad Magn) a qui omnes in tantum philosophorum
doctrinis atque sententiis suos resperserunt libros ut ne
scias, quid in eis primum mirari debeas, utrum erudi
tionem saeculi, vel scientiam scripturarum n e s. Ago
stimo (2. de Trin.) scrive: a Non ero segnis ad inquirendam
scientiam Dei, sive per scripturam sive per creaturam. »
Egli sapeva come già s. Antonio raccomandasse due li
bri di Dio, quello della creazione, il mondo, e quello
della rivelazione, la sacra Scrittura. Gli altri passi alla
terza parte dell'introduzione. -

Ora per ciò che concerne la mia espressione di sopra:


lo studio della filosofia doversi indicare come disposi
zione alla fede, onde cansare qualsiasi eventuale mal
inteso, le si aggiunga ancora qualche cosa. S. Tommaso
128

sa benissimo che non può darsi preparazione per


ricevere la grazia senza la grazia. Vedasi Sa. 1. 2.
q. 109 a. 6 la risposta alla questione: a utrum homo possit
seipsum ad gratiam praeparare per se ipsum, absque ecte
riori auailio gratiae? Egli, com'è naturale, risponde nega
tivamente. E tuttavia egli l'Angelico Maestro incomincia
l'immortale sua Somma colla quistione: a utrum sit neces
sarium praeter philosophicas disciplinas, aliam doctrinam
haberi? » Ed esso non ne esclude la filosofia sebben la
dinoti come d'un altro genus di quello della rivelazione.
Egli mostra come la ragione non possa contraddire alla
verità rivelata; (Sa. c. gen. lib. 1. c. 7.); che la ragione
prova come la fede sia ragionevole (Ibid. c. 6); che la
ragione sventa gli argomenti addotti contro la fede (Ibid.
c. 9), e che quindi la ragione rimove gli ostacoli dalla
fede (rationes quae inducuntur ad auctoritatem fidei,
non sunt demonstrationes, sed removent impedimenta
fidei, ostendendo non esse impossibile, quod in fide propo
nitur (Sa. 2. 2. q 2. a. 10), e da ultimo mostra la differenza
che corre tra la ratio antecedens e la ratio consequens
fidem (Ibid.). Come la teologia serve a tutela e cura della
fede: così la filosofia serve a tutela e cura della teologia.
a Gratia non destruit naturam sed supplet eius defectum et
elevat ipsam, n insegna l'Angelo delle scuole coi Padri
della Chiesa, tra i quali Clemente Alessandrino chiama la
filosofia a Catechismus ad fidem, n e in nome di tutti
s. Agostino il Dottore della grazia dice: a Idem Deus est
auctor naturae et gratiae. » Guidato da tali principii
lo stesso gran Dottore potè scrivere (lib. 3. cont. Acud.
cap. 18). a Eruditio artium liberalium, modesta sane at
que succinta, et alacriores, et perseverantiores et comptio
res eahibet amatores amplectendae veritatis, ut et arden
- 129

tius appetant, et constantius insequantur, et inhaereant


dulcius. m Dietro ciò s. Tommaso spiega le parole (Prov. 9)
a misit ancillas suas ut vocarent ad arcem, m in questo
senso a sacra doctrina humanis scientiis utitur ut dom in a
ancillis su is n. Di tal maniera noi togliam di mano le
armi agli avversarii della fede. Socrate, Platone, Aristo
tele, Cicerone vanno debitori alla filosofia del loro disprezzo
per la mitologia pagana. Quando Serse venne in Gre
cia, i Magi persiani ordinarono di demolire i templi degli
idoli, da essi riguardati come a fictitios divinitatis car
ceres. m Sotto Numa Pompilio, l'amatore della filosofia, non
si venerava idolo alcuno. Averroè, Avicenna, Algazel,
pervennero colla filosofia al completo disprezzo delle leggi
di Maometto. Il protestantismo invece cercò di innalzarsi
sulle rovine della ragione e della filosofia.
Onde guadagnar gli avversari resta sempre l'opera
della grazia; ma ciò non toglie che noi non siam obbli
gati a far quello che senza la benedizione della grazia
rimane infruttuoso: a Amdate ed ammaestrate n ma non
è qualche cosa nè chi pianta nè chi irriga, ma solo Co
lui che dà l'incremento. S. Tommaso insegna: a gratia
numquam amittitur sine culpa, et illud quod ea gratia
Dei conceditur, numquam absque culpa revocatur » (Sa.
p. 3. q. 50 a. 2). Noi non possiamo di per noi colle no
stre forze naturali meritare la grazia (alioquin gratia
non esset gratia,) e non possiamo neppure colle sole no
stre forze naturali prepararci al ricevimento della grazia,
ma però sempre possiamo resistere alla grazia.
Se non facciamo quanto è in nostro potere resistiamo
alla grazia: ora non usar della ragion maturale che altro
è se non resistere alla grazia? onde viene il principio:
a gratia non destruit, sed elevat naturam. n
130

Od impediranno elleno alcune naturali circostanze di


cognizione, coltura, acutezza l'operazione della grazia?
Ma gli stupidi e selvaggi Americani ricevettero essi più
volonterosi il Vangelo, che non i colti Chinesi e Giap
ponesi? Le conversioni tra i protestanti sono più fre
quenti fra gli ignoranti o fra i dotti?
I Padri della Chiesa non sono dessi appunto i rappre
sentanti ed i corifei della scienza? Che se altri mi vo
lesse obbiettare i semplici pescatori, trascelti all'aposto
lato, ed io opporrei a lui la sapienza che si trova nei
loro scritti. Qui non si tratta del come poter diventar
addottrinati, ma sì della dottrina stessa e del suo uso. Che
poi Dio abbia trascelto la debolezza per confonder la
stoltezza della sapienza mondana, è cosa che non ha
nulla che fare col nostro assunto. E questi stessi Apo
stoli richieggon tre cose da un Doctor fidelis: 1.º a ut
sit paratus ad reddendam fidei sua rationem omni pe
tenti m (1. Pet. 3); 2.º a ut potens sit exhortari in do
ctrina sana n (Paul. ad Tit. 1.); 3.º ut possit eos qui
contradicunt arguere n (Ibid). O forse che s. Tommaso
comprese male tali precetti, ed i sommi Pontefici hanno
torto di magnificarlo colle più alte lodi, per questo appunto
che seppe collegare la filosofia colla teologia, motivo
per cui lo vollero annoverato fra i quattro grandi Dot
tori della Chiesa come princeps et magister theologiae sco
lastica ? Il gran modo di tutta la teologia è la dottrina
della grazia. Tutte le altre dottrine più o meno dipen
dono da questa, sicchè può dirsi che la teologia prende
quel colore che ha questa dottrina. Tutta la dottrina su
Dio, tutta la dottrina sulle creature fan capo ad essa.
Tutto quel che precede, tutto quello che segue trova
il suo punto culminante in questa dottrina. S. Tommaso
131
ben sel sapeva, egli aveva avuto immanzi a sè quei due
uomini chiamati precipuamente nella Chiesa di Dio ad
esporla: s. Paolo Doctor gentium e sant'Agostino Do
ctor gratiae. Or che fa egli il Doctor Angelicus s. Tom
maso? Mett'egli perciò da parte la filosofia? No; al con
trario qui egli mostra il suo genio filosofico, in tutta la
sua vigoria, penetrante acutezza, nell'altissimo suo punto
di vista che calcola tutto, che tutto misura colla massima
precisione giù dall'intero fino ai più minuti dettagli. Non
val qui la pena di notare che mon devesi per questo
imaginare il minimo scambio od una mescolanza della
teologia colla filosofia.
Giustificare anche colla filosofia alla mano le verità
teologiche, non si può dire ancora dimostrarle a veritas
veritati contradicere nequit » a gratia non destruit sed
elevat naturam ». Ciò, parmi, dovrebbe pur valere qual
cosa a far che riflettano un po' di più quei teologi che
mostrano d'aver tanto in orrore la filosofia. Per quanto
il dogma non sia dimostrabile, non solo per rapporto
alla sua esistenza, ma anche rapporto all'arcana sua
verità, la soluzione delle ragioni ed obbiezioni in com
trario, riman sempre mella più ampia sfera di pertinenza
della filosofia; e perciò la filosofia rimane in tutta la sua
forza.

B. La fede riposa su basi proprie.

Dopo aver diffusamente discussa la proposizione pre


cedente mi accontento per le proposizioni seguenti di
presentare alcuni dei principali punti di vista, che uniti
ai precedenti ponno offrire materia sufficiente alla difesa;
avvegnachè non sia mia intenzione in questa introdu .
132

zione di dar trattati condotti dialetticamente, ma solo


di collocare i lettori, col propor loro la dottrina fonda
mentale, a quel punto di partenza dal quale s. Tommaso
ha riguardate le cose. Eccone i risultati. Se l'Angelo delle
scuole abbia tutto esaminato il movimento dialettico usque
ad ultimam metam, ne farà prova il seguito. Coloro che
hanno studiato la filosofia del grande Maestro mi sapranno
buon grado di vederne i risultati a larghi contorni. La
difesa di questa non può darci molta fatica, certi che si
sia della giustezza dello scopo. Vuolsi accettar benigna
mente questa osservazione come regola per giudicare
di questa introduzione, tanto più che non posso in que
ste pagine che dar rapidi tocchi, per trapassare ad altri
lavori, di molta importanza per la Scuola di s. Tommaso.
Or via: la fede riposa su basi proprie. Certamente
nulla di più vero che ciò ! Essa sta per sè stessa, per
forza propria, non per la filosofia. La fede sta per forza
divina, per la potenza della grazia. In questa sua forza
soprannaturale essa è immobile, ed è quindi il punto d'ap
poggio di tutto quanto si move. a La fede è quella che
domina il mondo. m Essa ha un principio vitale suo pro
prio: uno scopo proprio e mezzi suoi proprii per rag
giungerlo. Ma, gran mercè, che prova tutto questo contro
la filosofia? Per me è anzi, per lo contrario, questo prin
cipio incontrovertibile il più solido punto d'appoggio per
la filosofia e pel caloroso studio di essa! Dalla fede io
traggo il coraggio, – dalla fede ricevo la luce, ricevo
le forze ! Coraggio, luce, forza, sono le tre molle potenti
per lo studio di una scienza, che non si può porsi a pro
fessare in un senso puramente mondano di procaccio ma
teriale. La fede dà il coraggio: ella che ci schiuse co
gnizioni di ben più alte regioni, non vorrà occultarci, come
133

misteri, verità di regioni inferiori: non vorrà darci scor


piomi se gli cerchiamo del pane! La fede dà la luce:
una verità non può mai essere in contraddizione coll'al
tra. Lo stesso Dio è l'autore tanto della natura, che
della grazia. La verità della fede è inconcussa: e quindi
io mi ho quel punto partendo dal quale io spunto gli
angoli delle false questioni filosofiche del mondo tutto.
Fino a che la mia fede non erra, anch'io non posso er
rare. Se il mio risultato filosofico è in contraddizione
colla fede, io lo metto da banda e mi rifaccio di movo
alla ricerca della verità, poichè certamente il mio tro
vato non era giusto. Per far ciò vuolsi forza; ma la
fede dà forza. Se ella sa infondere forza di sostenere im
pavidi il martirio sanguinoso, saprà ben anco dar la forza
pel martirio incruento. Quando la forza umana rifinita
vacilla affatto, allora la vita della fede rifiorisce in tutta
la sua giovanile freschezza per l'intelletto e la volontà.
Chi senza voglia di mortificazione si cimenta nel campo
della scienza, egli non merita di gustarne i magnifici
frutti. La fede dà coraggio, luce, forza: testimonii quel
l'innumerevole schiera di uomini e vergini illuminate da
Dio, santi e beati sulle opere dei quali, piene della più
profonda sapienza, i posteri poveri di fede vanno com
pitando come ragazzi. La fede dà coraggio, luce, forza:
testimonii quegli scolastici pieni di fede, delle altissime
speculazioni dei quali la posterità fiacca nella fede non
sa dar ragione altrimenti che col dichiararle sottigliezze
inutili, onde procacciarsi un onorevole ritirata, spaven
tata che è della lotta. La fede dà coraggio, luce e
forza: testimonii quegli innumerevoli tomi in foglio e
quelle opere gigantesche dei Padri e degli scolastici, che
fuse tutte come d'un sol getto, stanno lì immutabili. In
134

luogo di esse i posteri alieni dai Padri, o dettan degli


opuscoli, o in una seconda edizione accusano di menzo
gna i primi, od han bisogno di due generazioni per ul
timare una piccola serie di tomi in ottavo, che non hanno
valore se non fino a tanto che l'autore ed i librai non hanno
altr'opera da pubblicare che faccia dimenticare la prima.
Con tutto il rispetto che schiettamente io nutro per molti
dei nostri dotti moderni, non ho alcuna difficoltà a pro
fetizzare al gran numero delle nostre celebrità, un pieno
oblio dopo mezza generazione. Questa parrà arroganza
da parte mia; ma io men tengo sempre alla verità. Ho
speso di ben grosse somme per formarmi una biblioteca,
della quale adesso sarebbe gran fatto sbarazzarmi per
pochi baiocchi. Questo però non sarebbe il gran dammo;
ma il tempo perduto, speso nella loro lettura, chi me
lo rende? Le schiette opere di fede, stanno su basi pro
prie – incrollabili –; quelle che non hanno fede, od
hanno una fede debole, o son povere di fede, o son
opere di moda, iniziatrici di novità non reggono.

C. La Teologia positiva è l'affar capitale.

Benissimo! anch'io dico lo stesso. Ma gran mercè un'


altra volta, che ne conseguita contro la filosofia? Se la
testa è l'affar principale ne vien egli perciò che il ven
tre ed il cuore sieno un affare accessorio? O se la te
sta, il cuore ed il ventre sono affari principali, le mani
ed i piedi sono perciò affari accessorii? Io mi sono un
grande amico della teologia positiva: come per certo si
è tali a Roma. Io so compiutamente apprezzare il per
chè i nostri teologi tedeschi nell'ultimo decennio e dap
poi sien tornati di nuovo ad applicarsi alla teologia po
135

sitiva. Ma si badi bene: cosa è ella la teologia positiva?


È dessa la nuda sposizione dei testi della Scrittura, dei
santi Padri, dei Concilii, delle costituzioni dei sommi Pa
stori? O la teologia positiva consiste in trattazioni cri
tiche e filologiche sui testi più difficili? O la sua forza sta
nello scrivere commentarii sull'uso di singoli termini che
si rinvengono ora in un senso ed ora nell'altro nello stesso
scrittore? D'onde si attinge l'intelligenza di questi testi
e termini? Forse dal lessico del Forcellini? Non è s. Tom
maso un teologo positivo? Roma vi sarebbe grandemente
obbligata se voleste spogliar s. Tommaso di questo ca
rattere di teologo positivo.
Havvi una doppia teologia positiva. L'una quella che
specialmente si occupa di constatare e raccogliere i testi
della Scrittura, dei santi Padri, dei Concilii, delle Costi
tuzioni dei supremi Pastori ed il complesso delle basi
storiche delle verità rivelate, storicamente provato. L'altra,
che non è meno teologia positiva di questa, è quella che
in base a testi constatati genuini, in base al
senso che domina in tutta un'opera, in base allo
spirito di cui un autore è dovunque animato, in
base alle costanti dottrine dei Dottori della
Chiesa, in base all'autorità della Chiesa stessa
fonda il suo giudizio teologico ed erige il suo sistema teo
logico. Questa non la si deve scambiare colle speculazioni ,
aeree,

Per quanto mi sia amico della teologia positiva della


prima specie, pure io sostengo: che un testo chiaro
prova più che cento oscuri o tirati affatto pei
cap e gli; che lo spirito di uno scrittore conduce meglio
all'intelligenza de' suoi termini che non la derivazione
lessicale di una quantità di lingue orientali, giacchè
136

la dottrina della Chiesa è la regola, mediante


la quale interpretare i testi e non viceversa. Quest'ul
tima è cosa capitale (1).
Questo lo si può dir nel senso più ampio: ma la Chiesa
ha provveduto che non ci fosse d'uopo raccogliere da
testi occulti od oscuri affatto la sua dottrina. So bene
che non può dirsi tuttora dottrina della Chiesa quella
ch'io od altri ritiene per tale, ma che su molti punti si
deve conchiuder dai testi qual sia la dottrina della Chiesa,
finchè ella non si sia spiegata. Epperò non espressi che il
più conscienzioso sentimento quando dissi ch'io sono amico
della teologia positiva. Ma, per amor di Dio, uom ragio
mevole non riduca la teologia positiva a testi staccati od

(1) Onde però non porgere appiglio a questioni di parole darò


la necessaria distinzione rapporto a ciò di cui quì specialmente si
tratta. La questione: è la Chiesa od il Vangelo (la parola di
Dio rivelata o scritta) l'affar capitale ? è questione affatto sconve
niente. La cosa è questa: materialiter sive substantialiter l'affar
capitale è la parola di Dio contenuta nella rivelazione; formaliter
l'affar capitale è la veracitas Dei; conditionaliter l'affar capitale è
la Chiesa. Il verbum Dei è la materia fidei ; la veracitas Dei è la
forma fidei (il fondamento formale della fede); l'Ecclesia proponens,
è la conditio sine qua non fidei. Di solito si mette quest'ultima la
conditio sine qua non assieme col fondamento formale della fede,
o erroneamente si chiama anche l'Ecclesia proponens il formale
della fede. Il cattolico non può far più esattamente l'atto di fede
che secondo il suo Catechismo. Credo questo e tutte le altre ecc.,
perchè tu o Dio, eterna in fallibile verità ce lo hai rive
lato, e per mezzo della tua Chiesa ce lo proponi a credere.
Così non si ha torto quando si chiama l'infallibilità della Chiesa,
il principio cattolico della fede. Il formale però sempre simpliciter
è da indicarsì come l'affar capitale. Solo non si perda mai di
vista che la materia, la forma e la conditio sine qua non sono ne.
cessariamente unite ed appartengono alla fede stessa.
137
a critiche filologiche. È ella poi sì gran cosa tener l'aurea
via di mezzo? Combattute vittoriosamente da ogni parte
le oziose aeree speculazioni, sfuggiti così a scilla, do
vrem noi cader vittima di cariddi, dico io alla nostra
gioventù di tante speranze, cioè delle vane minuzie delle
critiche filologiche? Si rimproverarono gli scolastici di
vane sottigliezze: ebben volontieri da parte mia vo lasciar
che su di ciò si faccian dimande e repliche a a cui noi
adesso non bastiamo n; ma stiasi in guardia di non ca
dere ora in minuziosità ben più inutili. Il principio: a la
teologia positiva è l'affar capitale n sente troppo di uni
lateralità, quando non lo s'intenda nei debiti termini
e nominativamente, s'egli vien inteso con esclu
sione della filosofia cristiana cattolica. Si ponga
ben mente a ciò. Che v'abbia una filosofia cristiana cat
tolica è fatto di positiva cognizione anche per la teologia
positiva, o in caso diverso si cancellino dagli annali della
storia le approvazioni date dalla Chiesa alla dottrina di
s. Tommaso: si distruggano le cattedre che i Papi eres
sero nelle università per la filosofia ! si neghino i testi
più evidenti, anzi tutti gli scritti dei Padri della Chiesa
dal primo fino all'ultimo ! Allora avrete incominciato a
dimostrar filosoficamente (NB. giacchè fin ora non
vi son testi per sostener questo assunto nel vostro senso)
che la teologia positiva è l'affar capitale. E così di per
voi stessi vi sarete chiusa la bocca.
Però fin che non giunga questo tempo, in luogo di una
lunga serie di proposizioni filosofiche approvate dalla
Chiesa, basti contro di voi una sola stabilita dal Concilio
generale di Vienna: a anima est forma corporis. n L'e-
spressione è pienamente consacrata. Ella ha effetto retro
attivo sotto molti rapporti. La a fides charitate formata n,
138

la materia e forma dei sacramenti sono più antiche


di quel Concilio. Questa è affatto la medesima dottrina
filosofica sulla materia e la forma. I positivi teologi uni
laterali non ponno ignorare per certo che coloro i quali
conoscono l'antica filosofia cattolica, sorridono delle espo
sizioni lessicali su tali cose.

D. Si può essere un buon sacerdote senza filosofia.

Distinguo: si può essere buon sacerdote per sè stesso


– transeat, anche per gli altri – subdistinguo: si può
essere buon sacerdote, quando essere sacerdote non si
gnifichi altro nello stretto senso, che esercitare il munus
sacerdotii – transeat; ma se l'essere sacerdote vuolsi
indicare anche per essere maestro degli altri, allora ci si
presenta tosto una distinzione che annulla del tutto l'as
serto suesposto. Tu potrai sì ammaestrar la gente semplice
idiota e gli innocenti ragazzi, ma non mai teste pensa
trici. Di queste però avvene più che non si creda, anzi
posso dire che al dì d'oggi ven hanno a folate. Una falsa
filosofia si è largamente diffusa: dalle capitali è pene
trata nelle città di provincia, nei borghi, nei paeselli,
nei casolari. Ella portò le vertigini alla testa dei toristi
e degli speculatori. Costoro si associarono commessi, forti
nella dialettica, in qualità di loro interpreti e mandatarii.
Tutto il mondo è inondato da una falsa filosofia da gaz
zette. Ogni linea d'un articolo tocca non di rado ai più
ardui problemi e pasce il lettore con strafalcioni su strafal
cioni. Con mano nè sacra nè savia si tagliano colla mas
sima leggerezza nodi gordiani, la meravigliosa complica
zione dei quali non par loro che un bisticcio da scolaruc
cio. Nelle società e nelle riunioni, nei casini, nei gabinetti
139

di lettura, nelle sale da bigliardo, conversazioni, pranzi


di gala, nelle accademie, sulle ferrovie e nelle offi
cine, dappertutto procede la falsa, la frivola filosofia fa
cendosi beffa di coloro che non può irretire. – Or via!
bene spesso le strade del sacerdote si incrocicchiano con
quelle; anzi troppo spesso lo menano là dove ei non
vorrebbe. Bisogna far virtù della necessità. Ma se in
questi ritrovi dove gli si offre dinanzi l'accozzaglia di
gente d'ogni risma vorrà battersi colla sola teologia così
detta positiva, certo troverà ben pochi uditori, e il meglio
a fare sarà d'allontanarsi e rincantucciarsi soletto. Se
invece forte di un'educazione teologica veramente posi
tiva, è filosofo addestrato, non gli mancheranno occasioni
di divenir un doctor gentium come s. Paolo. n debitor
sum Judaeis et Barbaris n. Non si dimentichi questo, indi
s'accordi alla critica filologica tutto il tempo che rimane.
L'affar principale è quello di salvare le anime. Che se
mi si volesse accagionare d'aver di troppo allargata la
sfera d'azione, via, mi tratterrò nella massima vicinanza
alla casa del sacerdote, al pulpito. Là trovasi spesso un
uditorio affatto misto e svariato. La differenza tra la
città e la campagna è già scomparsa fino a un grado
molto ragguardevole. Chi vorrebbe crederlo? in povere
terricciuole i ragazzi della Parocchia, m'ebbero già un
giorno a interrogare: non è vero, signor Curato, che
tutto vien dalla natura? Altra volta ricevetti una lettera
in cui mi si invitava a dimostrare: a che l'anima dell'uomo
è cosa diversa da quella delle bestie. m Di tai fatterelli
potrei tesserne una filza. Coloro che son pratici della
cura delle anime m'intenderanno già, e i novelli teologi
che stanno per entrare in carica è bene sieno scal
triti dalla esperienza. Un argumentum ad hominem, se lo
140

si vuole, lo potranno dar loro quelli che per loro uffi


cio sono incaricati della predicazione. Si faccia la prova
di dettare una predica la quale, condotta a rigor di logica
passo per passo forzi l'intelligenza; se ne pigli il tema
con tutta precisione ed esattezza; si mostri la matema
tica connessione dello scopo fissato e dei mezzi e delle
dimostrazioni impiegate; se ne cavino le conchiusioni con
tutta l'acutezza e la precisione, in una parola si mostri
una finita educazione filosofica, tutto ben inteso in base
alla teologia positiva, e poscia se la gente scappa dalla
predica o non v'interviene, il torto sarà mio. Che nel
caso contrario con tutta la teologia positiva dell'oratore,
le gente ristucca se ne vada è cosa che tutti veggomo.
Oggigiorno le teste delle persone son così fatte che vo
gliono almeno a mezzo essere forzate dalle dimostrazioni.
Ebben lo si faccia. La grazia contuttociò resta sempre
grazia.

E. I sofismi dei filosofi non appartengono


all'alta nostra sfera.

Nemmen io li voglio, e se v'ha cosa che più fieramente


mi amareggi sono appunto i sofismi. Ma scambiar i so
fismi colla filosofia è il pessimo dei sofismi che dar si
possa; e così si viene a percuoter sè stessi.
V” hanno di tali principii, i quali sono per sè stessi
così evidenti che ogni uomo più semplice li capisce su
bito che li ode enunciare. V'hanno di verità affatto ge
nerali che son per luce loro propria sì chiare che si
pommo assumere come un criterio d'infallibilità, esse fan
sempre breccia, non soffrono eccezioni di sorta. Certo che
non si vuol molto genio, non dirò per trovare tali verità,
141

ma per ammetterle come basi, una volta che si abbian


trovate. La difficoltà non è quì, nò; la difficoltà sta nel
l'applicazione di queste regole generali ai casi speciali.
Anche di questo nostro principio avvien lo stesso che
d'una quantità d'altri; chi, viva Dio, vorrebbe battersi coi
sofismi? L'aver ripugnanza pei sofismi non è gran cosa,
l'arte sta nel vedere dove è il sofisma. a O ti daresti a cre
dere tu che tutto ciò che a te par sofisma lo sia dav
vero? Pompose frasi ponno essere sulla bocca di qual
siasi commesso viaggiatore! pure in tutta questa intro
duzione più che di quelle non m'ebbi quasi ad esporre
che i sofismi di coloro i quali parlano contro la filosofia.
Ascoltami, chè ti vo' dar in tutta segretezza un buon
consiglio: prima di parlar un'altra volta della filosofia come
di sofismi, bada di non esporre alle risate del pubblico
la pochezza del tuo intelletto, col voler dichiarare come
sofisma quello che non s'affà al tuo gusto, od oltrepassa
il tuo orizzonte. Tu puoi metterti in guardia della mia
filosofia è la bonne heure; ma sappi ch'io mi sto più
ancora in guardia contro la tua teologia. O ti sarestu
all'insaputa lasciato sfuggir un sofisma onde persuaderti
che la tua teologia sia la fede? O ti entrò di notte in
capo un altro sofisma che, cioè, tu senza conoscer verbo
di filosofia, puoi colla forza propria della tua mente scio
glier qualsiasi enimma? O forse l'occulta molla che ti
fa parlare è anch'essa un altro sofisma, a mo' d'esem
pio questo: tu non vuoi ornarti di penne altrui, di tue
proprie non ne hai, dunque si predichi, essere la nudità
lo stato normale? Sapienti satl
142

II. I non teologi.

Passiam ora agli altri avversarii, agli avversarii non


teologi. Come ebbimo già sopra a dire che v'ha com
traddizione a voler cercare ragioni sode filosofiche con
tro la filosofia, noi non abbiamo anche qui, in quanto si
vogliono desumere ragioni dalla cosa stessa, a fare che
solo con argomenti solubili, che portan seco più o meno
apparenza di saviezza. Dello scettico ci siam spacciati di
già. Or tutte le obbiezioni che ancor qui ci rimangono
si posson ridurre alle tre seguenti:
1. La filosofia non è possibile;
2. Ella non è necessaria;
3. Ella non è utile.
Egli è dunque sulla possibilità, necessità ed utilità
della filosofia che ci restano a dare quei punti di vista
che non abbiam presentati come tali precedentemente.

1.0 Possibilità.

La massima: u la filosofia è impossibile » non vuolsi


qui intendere nel senso dello scetticismo, ma sì nel senso
che la filosofia, come scienza nel proprio e stretto signi
ficato della parola, come sistema ben fondato e veramente
scientifico non è possibile. La massima intesa così può
esser ancora presa in doppio senso, cioè, o nel senso di
un semiscetticismo, o in un buon senso contro l'onniscienza
del panteismo. Siccome me vengo a parlare nella teorica
delle cognizioni al paragrafo sull'estensione e i limiti
della scienza, per ora qui basti questo poco. È una ve
rità, che si spaccia per tutto, non puossi negarlo, la scienza
143
dovere costituir un complesso di concatenazioni, di verità
che derivino da un principio: ma che la sia verità assai
male intesa mostrerollo nel corso dell'opera. Una sola
verità, effettivamente saputa forma una scienza, tutto il
resto è accidentale rispetto alla formazione della scienza.
Sapere è un conoscere fondatamente. Quindi o scetticismo
assoluto, o possibilità della scienza. Lo scetticismo
scientifico è una contraddizione, epperò non rimane che
la possibilità della scienza. Con ciò potrei ritenere esau
rita la bisogna, tanto più che oggidì fa d'uopo procedere
bruscamente a rigor di logica, per farla finita colle fu
tilità delle tante chiacchere rettoriche. Se io non so che
una verità, ma la so nel vero senso della parola, di
guisa che la mia scienza non sia opinione, presunzione,
credenza; quand'anco questo principio non foss'altro che
io non posso saperne più in là, io so già assai. So una
verità: La verità è la realtà. Con una realtà io so
la realtà e l'intero campo della metafisica. Io posso arra
battarmi a mio grado, egli è assolutamente impossibile che
sappia anche una sola verità senza tosto esser mosso a
trascorrere come scintilla elettrica, per tutto il campo
della realtà, quand'anche non rimanesse altro che ripe
tere vie vie in tutto il regno delle cose ignorate l'ap
plicazione di quel principio che so, in modo da istituire
un confronto fra una verità e tutte le altre, onde pro
vare che non posso andar più oltre. Che il punto di
partenza sia particolare o generale, sia uno o molteplice,
tosto che il mio sapere è vero, quindi un saper fondato,
ne risulta l'unità. Mirabil cosa! si va continuamente cer
cando un unico principio della cognizione, da cui per
necessità si svolga tutta la scienza, e non si riflette, che
se qui secondo i principii si dimostra scientificamente il
144

dualismo, si racquista di nuovo l'unità. Come se con una


moltiplicità materiale non potesse sussistere un'unità for
male! Nella Metafisica (v. Noologia) vedremo che il prin
cipium essendi non può mai essere che uno, che però il
principtum essendi non ha per nulla bisogno di essere il
principium cognoscendi, come invece il principium co
gnoscendi nel nostro caso pratico non è uno, ma è dop
pio, che nonostante l'unità e il rigore della scienza pur
sussiste nel più lato senso. Si consulti su di ciò il trat
tato sulla certezza nella teorica della cognizione e vi si
troveranno esposti tutti i punti di vista e i principii
contro tutte le obbiezioni rapporto alla possibilità della
filosofia come scienza nel più stretto senso della parola.

2.º Necessità e quindi annessavi utilità.

Ho in animo di badarmi un po' più a lungo che sulla


possibilità, sulla necessità ed utilità della filosofia contro
le false obbiezioni che le si fanno perchè qui sta la vera
ulcera dei mostri studii universitarii, che convien isbarbi
care radicalmente. Ognuno sa che l'anno filosofico dei
nostri corsi universitarii è nel proprio senso l'anno vera
mente del far nulla; e questo non solo è cosa men buona,
ma cattiva assai. Tutto v'è da temere quando vacillano le
fondamenta. Quell'anno appunto in cui si dovrebbero get
tar le fondamenta di tutte le scienze, è l'anno che vien
trascurato affatto. Gli effetti si veggon subito negli anni
seguenti degli studi universitarii, in quanto essi sono
rami di studio. Senza filosofia non si può in alcun modo
porsi fondatamente all'opera. È cosa che vede ogni profes
sore, il quale perciò è forzato a dar prima col suo ramo
d'insegnamento la sua filosofia. Da ciò le lunghe intro
- 145

duzioni dei professori tedeschi, che terminano appena


alla fine di un semestre, e anche queste date con tal
economia che ogni nuovo paragrafo ha bisogno di una
muova introduzione filosofica. E così alla fine del corso
scientifico si hanno tanti diversi sistemi filosofici quanti
sono i professori sotto ai quali si è studiato, ed il ramo
di studio positivo resta abbandonato alla propria pratica,
il che è come dire: a medico aiuta te stesso! »
Per intendermi coi non teologi, come sopra ho fatto
coi teologi, è duopo dir anzi tutto con precisione in qual
estensione debbasi intendere questa necessità. Secondo l'os
servazione più volte ripetuta, dietro s. Tommaso, avvi
una doppia necessità. Io posso concisamente chiamar l'una
assoluta, l'altra relativa. La prima è la necessità
della volontà per lo scopo, in modo che senza l'uso di
questo, o quel mezzo, lo scopo non si può nullamente
raggiungere; l'altra è la necessità del mezzo per lo scopo,
in modo che lo scopo può essere raggiunto anche senza
quel mezzo, ma con questa differenza che usando di
questo o quel mezzo io posso più bene, più presto o più
vantaggiosamente ottenere il mio fine: p. es. ho da far
lungo viaggio, posso farlo a piedi, ma a cavallo si corre
più, colle ferrovie meglio ancora. Naturalmente questa
necessità relativa può elevarsi fino ad altissimi gradi,
ma non raggiunge ancora l'assoluta che consiste p. es.
nel fatto, che, se io voglio vivere, secondo le leggi di na
tura, devo di necessità alimentarmi.
Tuttochè in alto grado, parlando coi teologi non toc
cai che della necessità relativa; ma pei non teologi devo
prendere in considerazione la necessità assoluta: chè per
avventura non tornasse bene al non teologo di riparare
sul terreno teologico. In questo caso però egli avrebbe
- 10
146 - e

a far coi teologi i quali lo metterebbero sul diritto sen


tiero. - -

Per ordinar la materia che ho tra le mani potrei nel.


trattarla adottar questa divisione: 1.º della necessità in
generale che vi sia negli studi universitarii un corso
speciale di studio filosofico; 2.º della necessità pegli stu
denti di apprendere bene questo corso. Sul primo punto
nel nostro tempo illuminato avrei a temer ben pochi o
nissun oppositore, benchè m'avessi a veder moltiplicati
gli avversarii sul secondo. Se il benevolo lettore è d'ac
cordo meco su di ciò, io ho già raggiunto il mio scopo
colla semplice esposizione di questa divisione che poteva
farsi. Io non voleva che dar rilievo alla contraddizione
che vi si trova. - -

Perciò adottiamo un altro ordine. Il migliore sem


bra essere quello di prender prima gli avversarii ad uno ad
uno, e poscia alla finitiva tutti insieme riuniti in un punto,
mel quale possano in comunione spiegar tutte le loro forze.
Il giurista (e fra i giuristi l'uom di Stato sopratutto)
il fisico (e fra i fisici il medico ed il fisiologo del pari
che l'astronomo o l'astrologo, o con qualsiasi nome si
chiamino, secondo i rami distinti di scienza); il filologo
(e fra i filologi la coltura letteraria in genere) e final
mente la vocazione che tutti li rappresenta, daran luogo
ad altrettanti capitoli, nei quali schizzerò i principii che
intendo far valere. i ,

1.0 Il giurista.

La materia si estenderebbe di troppo s'io volessimo


strar l'attività della giurisprudenza deliberativa (ammi
mistrativa) legislativa, esecutiva, diplomatica; nell' asso
147

luta sua necessaria connessione coi principii puramente


filosofici. Vediam se la brevità giuridica strettamente lo
gica, ministrata in dosi quasi omeopatiche, fa il suo ef
fetto su infermi, ne'quali si deve pur presupporre atti
tudine all'acutezze e distinzioni logiche. Le lunghe ricette
per gl'infermi coi quali abbiam qui a trattare richiede
rebbero per adesso troppa umiltà da parte loro, e sa
rebbero perciò mal accolte. Altre volte non c'era tanto
a temere. - - - -

Veniam al punto. Io non nego che principalmente, in


questi ultimi tempi sul campo della scienza giuridica non
siensi fatti degli sforzi brillanti, ma dico ad un tempo
esser dessi i disperati tentativi di chi più non sa dove
dar del capo. È gran ventura che le autorità dello Stato
sieno ben più savie che non le teoriche del diritto delle
scuole; se non fosse così, lo sa Dio, come camminerebbero
le cose. Ecco ciò che vedremo. º

Prima di tutto è un fatto che la giurisprudenza si è


già da lunga pezza emancipata dalla morale. Abbando
nata che fu la morale, gli elementi contagiosi si diffu
sero senza ritegno. Io so benissimo che una stessa cosa può
e devesi considerare sotto due o più punti di vista assai
diversi; ma perchè si possono distinguere i diversi punti
formali di vista, è forse divisa la cosa stessa? E
che? in nome del cielo, ha ella dunque la giurisprudenza a
far con macchine senza vita, o colle azioni d'uomini
ragionevoli? Le azioni giuste non sono azioni umane?
Le azioni della società non son più azioni degli uomini?
O le azioni degli uomini, della società non son azioni
morali? Voi dite: l'azione giuridica non è l'azione mo
rale, ed io vi rispondo: è qui, in questa proposizione
mezzo vera e mezzo falsa, che sta il sofisma da cui vi
148

lasciaste ingannare. A pari: l'uomo non è un animale,


che importa? potreste voi correggere la definizione a homo
est animal rationale n 2 Fu un gran dottor della Chiesa
(s. Gregorio Magno) colui che ce la diede, ed ella tenne
in tutti i secoli; nè voi potreste cambiarla giammai. Or
bene così è delle azioni giuridiche. Cosa è un'azione giu
ridica? è sempre un'azione umana. Cos'è un'azione
umana? è sempre un'azione ragionevole (non si vorrà
frantendere la parola). Cosa è un'azione ragionevole? se
non quella che ha uno scopo noto, (si vorrebbe forse
distinguere tra l'actio humana e l'actio hominis?). Quindi
lo scopo voluto e per conseguenza conosciuto è quello
che caratterizza per tale l'azione umana. Eccoci giunti
all'ultima meta. Se voi mi concedete il fin qui detto
io ho di già guadagnato la posta, e ciò per la ragione
che le azioni senza scopo sono metafisicamente assoluta
mente impossibili, (omne agens agit propter finem v. Mor.,
volendo qui esser breve). Egli è però matematicamente
certo che non avvi scopo senza uno scopo finale. Il solo
scopo finale rende possibili gli altri scopi (fines interme
dii). Il tutto propriamente parlando costituisce il formale
delle azioni umane. Passiam ora al materiale, o se così
vuolsi, al sostanziale. Se il detto non v'aggrada in ordine
intentionis, giacchè a de internis non judicat praetor, m
voi avrete pur sempre a far con esso in ordine ececutionis
o, che è lo stesso, rapporto alla materia sostanziale delle
azioni. « Primum in intentione est ultimum in executione. »
Tutta la serie delle azioni sostanziali non è altro che un
regolare e conseguente sviluppo della intenzionale con
messione delle parti. L'uomo è carne e sangue e non
un semplice, arnese logico per pensare. Nella carne e
nel sangue, cioè nella più reale delle realtà, l'uomo vuole
-
149

un ultimo scopo – egli sol vuole tutto il resto,


solo può volerlo a motivo dello scopo ultimo.
Lo scopo ultimo, (NB.) come finis intrinsecus è la fe
licità, (v. Moral.). Quest'ultimo scopo è il solo motivo di
tutte le azioni umane e di conseguenza non può essere
che il solo valevole motivo per tutte le formazioni sociali.
Quindi voi dovete sapere al tutto precisamente in
che consiste questa felicità (o se la parola non vi garba)
quest'ultimo scopo materiale. La filosofia vi prova che
quest'ultimo scopo preso obbiettivamente non può es
sere se non il massimo bene, che questo massimo bene
non è che Dio, e che (preso subbiettivamente o for
malmente) il solo possesso di questo altissimo bene
può formare la beatitudine. Ora vengo direttamente al
caso vostro; voi dite: l'ordine esteriore ed il bene
terreno sono lo scopo dello Stato e del nostro ufficio.
Bene! ma secondo il sin qui detto, non avvi scopo subor
dimato senza umo scopo principale non avvi finis inter
medius senza il finis ultimus. Questa sarebbe una con
traddizione. Quindi a l'ordine esteriore ed il bene ter
reno n (cioè dello Stato) o è scopo a sè (e allora vi con
fonde di menzogna la morte e il transitorio) od è uno
scopo subordinato, quindi egli stesso mezzo ad un ulte
riore, e il tutto mezzo all'ultimo scopo. Ora domando io:
come è mai possibile conoscere e conservar come tale
uno scopo subordinato senza lo scopo finale? Questa è
un'aperta contraddizione. Come si può conservar il su
bordinato se si elimina lo scopo finale? Ora questo fu del
tutto eliminato; esso appartiene alla morale, e voi avete
eliminata la morale dalla sfera esteriore dal diritto; e per
conseguenza tutto l'ordine delle cose è invertito. Cioè
quì s'inverte l'azione rapporto all'oggetto materiale o so
stanziale.
150

È affatto impossibile che un membro staccato dall'or


dine essenziale (ordine subordinato e superiore) appaia
come membro. Con ciò si spiegano le vacue ciance che si è
forzati ad udire quando si trattano questioni dalle quali
pende il bene dell'umanità. Lo Stato scopo, è scopo a
sè stesso o mezzo, ovvero non è nè l'uno nè l'altro? Se
a questo punto già si comincia a brancolar nel buio tra
il giusto e l'ingiusto, a quali enormi discrepanze non si
giungerà allorchè tratterassi di rinvenire ed applicare i
mezzi ad uno scopo che si conosce sì poco? Nè si tema
quì per nulla affatto ch'io voglia lasciarmi andare alla
benchè minima confusione tra Stato e Chiesa. Manco per
sogno! Io voglio per contrario una perfetta distinzione
(ma NB. non già tale separazione quale naturalmente
la volete voi) di principio, quindi certa nelle sue deduzioni
(NB. una dottrina giuridica senza morale non riconosce
alcuna Chiesa; ma una Chiesa spirituale, ella sì, riconosce
uno Stato temporale). Ed onde non abbiate su tal rap
porto apprensioni di sorta, aggiungerò: che anche la
Chiesa non è scopo a sè stessa: ma essa stessa non è
che mezzo all' ultimo scopo. Ogni cosa di quaggiù, sia
che vogliasi, non può mai essere scopo a sè stessa.
La conseguenza del fin quì detto è: di qual guisa vo
gliate voi comprendere le azioni umane, eliminato il
finis ultimus, come giuste, o volerle comprendere sotto
il punto di vista del diritto. Dove non v'ha scopo, non
vi ha nessun mezzo, dove non v'è ultimo scopo, non vi
sono scopi subordinati; dove non v'è ordine superiore e
inferiore, non vi è ordine alcuno. Dove non v'è nessun
ordine non v'è alcun diritto. Ecce homo! Altrettanto può
dirsi dell'ordine esterno del bene terreno. Queste son frasi
che la prudenza pratica piglia a prestito per qualsiasi
151

altro caso. Esse non derivano dai vostri principii. Giacchè:


a che l'ordine? a che il bene terreno? m'ho io genio e
potenza, me lo saprò creare alla foggia di Napoleone,
Che potrà impedirmelo? Cosa è il bene terreno? È egli
uno stato di scienza od uno stato militare? È egli un
benessere che si compra a denari, od è la sanità corpo
rale? Ma se non ho nè denari nè sanità, questo benes
sere è assolutamente nullo per me. Che mi potrà caler
quindi di tutti gli altri uomini? ecc. ecc. Un colpo di
Stato può legittimar tutto ecc. E così per tutte queste
conseguenze, non potendo voi provarmi l'obbligazione,
non resta a far che un semplicissimo ragionamento: el
leno sono giuste tutte. La giustizia dell'azione scompare,
quando non si può provare dovere di sorta. Do
vere e diritto sono notoriamente idee relative. Qualun
que siasi dovere non può, (in tutte le sue subordinate
istanze e distanze) essere deviato dell'ultimo scopo.
Precisamente a misura che questo si perde d'occhio,
scompare anche l' obbligazione. Voi però non avete sol
tanto, come tutto il mondo lo sa, separata la lea aeterna
dalla lea natura, ma avete anche disgiunta la lea natu
rae (vero e vivo diritto naturale) dalla lea: positiva, e
queste due prime rigettate nella conseguente separazione
della morale dalla vostra disciplina. Ora vi chieggo ar
ditamente e francamente a cosa è il diritto? m come già
Pilato domandava per ischermo a cosa è la verità? » Voi
potete avere il vostro diritto sulla punta della spada! La
violenza è il vostro diritto! le rivoluzioni i vostri frutti.
Gli ultimi tempi pommo ben valere come argumentum
ad hominem. Tant'oltre si va colla così detta scuola sto
rica, cioè col diritto positivo, senza il diritto naturale,
vale a dire senza la legge morale! (poichè la suprema
152 -

legge naturale e la suprema legge morale sono la stessa


cosa. v. Morale). Il diritto positivo senza il di
ritto naturale è un controsenso, diritto senza
dovere è del pari un controsenso.
Sia detto francamente: si vuol pur ridere quando si leg
gono i vostri giuristi che vanno girando e rigirando per
tutte le altezze e profondità filosofiche per giungere al
l' obbligazione che impone la legge positiva. Qui e là
si potrebbe trapassare ad altre regioni; ma si teme la
linea delle nevi e si arretra. E intanto si dimentica che
il sole, il quale illumina tutto, riscalda ed avviva tutto,
bisogna cercarlo molto ancora al disopra della linea
delle nevi.
Se voi senza lo studio della filosofia siete pronti e pa
rati, evvia mostratemi la falsità delle mie conchiusioni.
Un campo immenso di questioni giuridiche mi si pa
rerebbe dinanzi, specialmente di Stato, sol ch' io volessi
passar dallo scopo ai mezzi. a Qui vult finem debet
velle media » qui non vult finem non potest velle media.
Ciò mi condurrebbe tropp'oltre. Basti il rammentarsi che
i vostri più eminenti giureconsulti, colle affannose loro
ricerche per una filosofia del diritto, provano quello che
intendo io qui di dire, la necessità di serii studii filosofici
per i giuristi.

2.0 Il fisico.

Dopo che andò smarrita una vera filosofia natu


rale, divenne retaggio del mondo colto od il crasso ma
terialismo od una confusa mescolanza di materialismo
ed idealismo, che non si saprebbe con qual nome chia
mare per dare nel gusto delle persone colte. Del nome
153

però poco importa, quel che è certo è che la cosa si pre


senta pericolosa assai. I sistemi panteistici degli ultimi
tempi hanno gettato un pessimo elemento fra le masse
pronte a imbeversene. -

Voglio passar addirittura a quella disciplina della fisica


che praticamente ha maggior profondità, vo dire la me
dicina. Questa potrà giovare fino ad alto grado anche
per ogni altro campo. S'io volessi dire ai medici tutto
quello ch'io so di loro, davvero che temerei... Ma una
pratica di più anni nella cura delle anime, la cogni
zione acquistata personalmente in parecchie università
di Germania, ed una lunga dimora all'estero, mi pre
sentano dappertutto sintomi sotto varii rapporti molto
sospetti. Forse il male non è tutto quel che appare; nè
entra qui nella mia sfera d' esporre una critica storica
sulla verità o falsità dei giudizii. Io non voglio che esporre,
ma con tutta schiettezza il giudizio di fatto. Voi, o me
dici, siete in pessimo sospetto, cioè in sospetto di ma
terialismo. (Materialismo può esser preso in un signi
ficato più o meno esteso. Può essere il crasso materia
lismo che non riconosce l'esistenza di alcuno spirito fuori
della materia; può però anche essere un materialismo
più o meno spiritualizzato, sicchè la materia sia pur sem
pre l'elemento, o come tale predomini, mentre si disco
mosce lo spirito.) Si dice: contro il crescente materia
lismo dei medici basta chiamare in testimonio quella rea
zione che ultimamente minacciava di condurre ad un
altro estremo colla cura religiosa delle malattie. (Ciò in
doppio modo: come scuola medica e come arte ciarlata
nesca di guarire) Bene spesso si odono le più pungenti ,
espressioni: a non si riconosce anima! epperò che c'è da
maravigliare se con mano sacrilega si bistrattano i corpi!
154

E di conseguenza: non si riconosce l'influenza dell'anima


sul corpo, quindi si levan le spalle sui mirabili sintomi
che presenta l'umana compagine. Par, si dice, che le
forze della natura e dell'essere animato si vogliamo con
tare ad once e fogliette, non secondo i principii spiri
tuali e le leggi di una più alta parentela. n Io so che
a voi si tengono nascoste parecchie malattie segrete, e
che la gente spesse volte preferisce morire anzichè maº
nifestarvele. Non si ha alcuna fiducia, – non voglio dire
tutto quello che so; ma le cose non sono certo a buon
punto. È omai tempo che voi, proviate anche voi di ri
conoscere un'anima immortale nel corpo ammalato. (La
religione verrebbe allora in vostro aiuto). È tempo che pro
viate anche voi di riconoscere l'influenza che l'anima
esercita sul corpo! È tempo che mostriate esser noto anche
a voi qual influenza esercitino sul corpo gli stati dell'a-
mima, la virtù, le passioni, gli stimoli ecc. e viceversa
quale potenza tremenda, tirannica, anzi satanica, possa
esercitar la materia sfrenata del corpo sull'anima immor
tale, quand'essa è dimentica di sè. Tuttociò (prescindendo
affatto dalla religione) ve lo dimostra la sana, la vera
filosofia colla massima evidenza.
Io voglio di tutto buon grado credere che vi siano
tuttora molti, moltissimi medici degni d'ogni riverenza
ed onore, cionullameno non dubito che non sia tempo di
raccomandare ai medici uno studio fondato, ben fondato,
quindi serioso della filosofia, per quantunque la religione
possa surrogarlo. Se si vuole quest'ultima, bene, ma al
lora insisterò doppiamente sullo studio della filosofia, per
chè altrimenti voi non potrete mai combattere per la
vostra causa. Voi siete circondati da pericoli dentro e
fuori; ne potete giudicare voi stessi meglio di qualunque
155

altro. Io non sono per nulla amico degli estremi, e non


dimeno io dico, sebben la possa parere una contraddi
zione, che un medico dev'essere uomo spirituale; e come
tale star fermo quale roccia nel mare. So che il sacro
Codice reclama rispetto per il vostro ufficio: a Medicum
honora ! ma il medico dev'essere meritevole di questa
stima, a propter necessitatem n la quale però è ben altra
cosa che poter contar cure brillanti, per salvare una vita
materiale, o debbo dirlo? condurla a pericolo, fors'anco
a qualche cosa di peggio! a etenim illum creavit Altis
simus m, a ben altro che a far curiosi esperimenti e ten
tativi. a Paa enim Dei super faciem terrae n (Sirach
38, 1-8). Questa pace di Dio sulla faccia della terra
la rincontrate voi, o s'avvien ella all'illuminato nostro
tempo di pace? a Clamant paac, paa ! m o meglio, io
pongo qui l'intero versetto del Profeta Isaia (c. 6., 14).
a Et curabunt contritionem filiae populi mei cum igno
minia dicentes: paa , paac l et non erat paa ! cioè: eu
rano i dolori della figlia del mio popolo con
ischerno, dicendo: pace, pace quando pace non vi
è. Un grandissimo numero di moribondi si lagna ama
ramente nelle ultime ore dello averli voi ingannati con
false illusioni. Parlo quì più direttamente ai medici, che
son cattolici. Pare oggidì che la sia una proibizione sco
lastica antiquata quella che fa la Chiesa ai medici di
non assumersi la cura d'un infermo in grave pericolo, se
prima egli non abbia ricevuti i santi sacramenti. Vediam
come stanno le cose, Prima però citiam la legge (è molto
verosimile che non si sappia nulla della scolastica) che
il Con. Lat. III sotto Inn, III, 1215 prescrive ai me
dici, a Districte (quindi sub gravi) ne infirmos (grave
mente ammalati) in ouram recipiant nisi prius confite
156

antur. » La Const. di Pio V. a supra gregem » a. 1566,


conferma questa prescrizione del Concilio ed inoltre co
manda: a ut medici non antea infirmi (gravemente am
malati) curationem suscipiant quam eum admonuerint de
Confessione peragenda... prohibens, ne eum ultra tres dies
invisant, nisi scripto Confessarii resciant eum esse confes
sum. m Oltracciò questa Costituzione del supremo Pa
store ordina a ut medici, antequam Doctoratus gradum
consequantur, jurent se tale praeceptum observaturos. n
Questa è la legge della mostra religione, voi dite, ed io
devo parlar qui di filosofia. Certo, e nondimeno io tengo
questo linguaggio. Perchè ciò? perchè tutto ciò è già
imposto dalla legge naturale, colla quale non
si può transigere mai. Una volta compreso che l'a-
mima dell'uomo è qualche cosa ben più sublime che l'a-
mima delle bestie, che è un'amima immortale, questa
legge di matura ne consegue da sè. Tutto ciò lo prova
anche la filosofia, prescindendo da ogni religion rivelata,
e con pienissima evidenza. Certo in quest' anni di scal
trimenti vuolsi aver ben maggior acutezza di mente che
non si ricerchi pel traffico. Avvi ben più che una legge
naturale da studiare. Se volessi diffondermi certo la ma
teria non mi farebbe difetto. Mi si aprirebbe innanzi un
campo di spaventevoli fasi di malattie d' ogni maniera
per provar la necessità di uno studio incomparabil
mente più elevato di quello che possa procacciare
il materialismo.
Che se mi si volesse accusare d'aver, colle mie parole
contro il materialismo, intaccato un po' troppo il vostro
onore, io risponderei: a quel modo che ho parlato io,
si parla in lungo e largo dovunque; almeno si è diffusa
questa opinione che voi siate caduti nel materialismo (in
157

gran parte; onore alle molte eccezioni!) così come i giu


risti nell'arbitrio della legge positiva. Nelle campagne
non si ascolta un tal linguaggio; ma nelle grandi città
le son cose che si son vedute negli spedali, nei lazza
retti, nelle cliniche, nelle case di salute, (le conseguenze
tiratele di per voi stessi). Dal canto mio io credo di poter
dire con tutta serietà anche a quei medici che non sono
materialisti: pensate che anime immortali risiedono nei
corpi dei vostri malati. Quest' anime immortali vivono
una vita morale. Questa vita morale non è che troppo
spesso base ed origine dei più spaventevoli sintomi del
corpo. Dalle vostre cure infinite cose dipendono. Il nu
mero della parte ammalata dell'umanità è legione, e que
sta legione voi la salverete se oltre essere uomini di scien
za, sarete per di più uomini di spirito religioso. Lo Stato e
la Chiesa vi dovranno eterne grazie. Voi entrate nelle cer
chie più segrete di famiglia d'ogni sfera; ognuno ha biso
gno di voi. Con uno studio fondato della vera filosofia
(non parlo qui di religione a bella posta; ma la filosofia
conduce alla religione) potete diventare apostoli dell'uma
nità. Voi direte a quattr'occhi all'ammalato, al cagione
vole: a amico mio, il vostro male deriva da questa o quella
causa; l'affare può farsi serio assai, avete bisogno di forza
e di religione oltre le mie medicine, altrimenti siete per.
duto per sempre! Ciò farà impressione: vi si crederà, e
l'onore sarà la vostra più bella mercede. a Medicum
honora! » Il medico però darà l'onore a cui spetta l'onore,
giacchè a Altissimus creavit de terra medicamenta. »
(Sir. 38, 4). Anche la filosofia vi mostra chiaro come il
sole questo medico Altissimo, come qualsiasi cosa che
possiate dimostrare voi. Allora potrete con onore entrar
nei consigli degli uomini di Stato e darvi il vostro Votum
158

sulla cura dell'umanità, quando si tratta della a summa


leac: salus Reipublicae. Lo stesso s'avvien, mutatis mu
tandis, anche ai fisiologi, cramiologi, geologi, astrologi ed
astronomi, se non si mettono in guardia mediante una
sana filosofia contro il materialismo, e non sanno con
una vera Fisica e Metafisica sollevarsi ad idee più alte.
Microscopii, macroscopii, telescopii, idrometri, gazometri
non son gli istrumenti con cui le forze superiori reggono
il mondo. I vostri strumenti sono buoni, ed io li apprezzo,
ma v hanno regioni superiori dalle quali son rette le
inferiori con leggi e principii d'altra natura. Ecco quello
di cui non vi siete curati allontanandovi da una sana
filosofia. Quindi vi restate lì come ragazzi quando vi
si presentano facta che sono al di là della vostra cer
chia di idee (come avvenne in quest'ultimi anni in pa
recchie sfere). Quindi non essendo il vostro osservatorio
collocato a sufficiente altezza è a temersi che tutte le
vostre teorie ed ipotesi presto o tardi cadano in rovina.
Gli scolastici non avevano gli stupendi vostri strumenti;
ma avevano principii che si facevano strada dappertutto
e si spingevano agli ultimi limiti. Quindi essi profetiz
zarono tre secoli fa quello che in parte verificossi ai
nostri dì, (v. Ruggero Bacone (1) ed Alberto Magno. Di

(1) Ruggero Bacone, Francescano (1214-1294) scriveva: . Si


ponno trovar per la navigazione di tali macchine che le più grandi
navi sieno dirette da un uomo solo, percorrano fiumi e mari colla
massima velocità, più che se fossero cariche di rematori. Si pos
sono anche far carrozze che senza bestie da tiro corrano con incal
colabile celerità. È possibile formar uno scheletro in cui risieda un
uomo e mediante una leva mova ali artificiali onde così volar
come un uccello nell'aria. Uno strumento lungo tre dita e largo
altrettanto basterà a sollevare pesi enormi, basterà perfino a libe
159

Alberto Magno 1195-1280 vedasi p. e. lib. 3. de miner).


Egli non tremava dinanzi all'arte magica, perchè cono
sceva la forza della matura. Tale è la potenza dei prin
cipii e questi appartengono alla filosofia.

3.º Il Filologo.

Io non traccio al filologo una sfera troppo angusta:


voglio salutarlo non solamente come amico della pa
rola, ma anche come amico del pensiero. Egli po
trebbe anche vantarsi nel campo delle più alte investi
gazioni linguistiche, del richiamare a vita mirabili storie
scomparse, della potente rettorica, della più fina este
tica, più ancora di sapiente pedagogia. Ma quanto più
il campo è esteso e spirituale, tanto appar più stringente,
assoluta la necessità di avere un fondamento veramente
filosofico, sul quale costruire su basi solide e profonde le
sue idee. La lingua nella mirabile sua essenza conduce di
rettamente a difficilissimi problemi che stanno in relazione
colle più alte verità psicologiche e metafisiche. La storia
se non ha ad essere un'arida narrazione di un fatto dopo
l'altro, deve essere illuminata da idee che stanno ben
più alto che non i movimenti giornalieri delle singole

rare dal loro carcere i prigionieri, permettendo loro di ascendere


a piacere le più alte sommità. Avvi anche un altro mezzo per cui
una mano sola può attrarre a sè considerevoli masse ad onta della
resistenza di cento braccia. Si faranno anche delle macchine che
dian comodo al palombaro di calarsi nelle profondità del mare
senza timor di pericolo. L'arte possiede i suoi fulmini che son più
terribili di quelli del cielo. (De secret. operib. artis et naturae).
Devo rammaricarmi di non aver qui una biblioteca a disposizione
per la mia materia, onde poter fare delle citazioni. -
160

persone che vi figurano. V'hanno, egli è vero, uomini


eminenti che nel dettare la storia s'ebbero innanzi a guida
di grandiose idee: è innegabile! ma questi non possono
esser compresi dagli altri senza un maturo giudizio filoso
fico, essendochè solo la verità è quella che sa rettamente
giudicare. Il paganesimo classico merita di essere studiato,
io me convengo nella più ampia misura, ma in che è
riposto questo merito? Un solo Aristotele val per mille
degli opuscoli e periodici che si scrivono e leggonsi per
formarsi e diffondere un giudizio erroneo sul pagane
simo. E ciò perchè senza una fondata coltura filosofica
si vaga in fantasie di missun valore. Che v'ha di vero,
che di falso in Platone? se ne porta giudizio senza sa
perlo. Una fondata cognizione filosofica insegna a sceve
rare ciò che è falso o leggero. Questo non dovrebbe e
non dev'essere il caso per uomini a cui vien affidata la
gioventù. Oltracciò come dire fin dove sia giunta la col
tura pagana se non si conosce fin dove si è spinta? Dove
è la stregua per dir giusto? Arduo problema! Ma voi
non lo sciorrete che da un lato solo se non interrogate
che il paganesimo classico. Per restare nella mia materia
particolare: quanta sia la grandezza di Aristotele, primo
tra tutti dimostrollo s. Tommaso. Or se voi, mercè le
vostre mature critiche osservazioni, la sapeste questa cosa,
vi sarebbero almen che sia altrettante edizioni di Aristo
tele quante ve n'hanno di altri scrittori che rimeritano
sì male le vostre fatiche. Fino a che oltre a Platone non
si leggeranno anche le opere del suo discepolo Aristotele,
vi accuserò di unilateralità; e fino a tanto che non con
frontiate quest'ultimo colsuo scolaro immensamente a lui
superiore, s. Tommaso, vi farò colpa di essere rimasti a
mezzo. Sopratutto finchè v'applicate a studiar le forme
161

estrinseche senza conoscer le intrinseche, da cui scaturi


scomo, non puossi aver gran fatto stima dei vostri stu
dii. Ma lo studio delle forme intrinseche è affatto impos
sibile, senza conoscere i principii di formazione, le idee.
Questi è la filosofia che li insegna.

4.º La vocazione. a º,

Io non posso meglio che sotto questo termine, in cui


si trovano insieme riuniti i singoli avversarii, compren
dere tutto quello ch'essi possono addurre contro la ne
cessità dello studio filosofico. Naturalmente non voglio far
qui un trattato sulla vocazione. Però alcuni impor
tanti punti di vista che esporrò in questo paragrafo, var
ranno a mostrare ove si giunga col proprio giudizio,
senza filosofia. -

Gli avversari dicono: u la filosofia è mezzo, non è scopo:


se lo scopo può esser raggiunto per altra via, ne segue
che la filosofia non è necessaria. Lo scopo è la voca
zione! Le vocazioni son varie: ciascun segue la sua; il
filosofo anch'esso come ogni altro. L'armonia del tutto è
lo scopo del tutto, a cui ciascuno partecipa col seguire la
propria vocazione! » -

Veggasi: ho proposta la tesi nel modo il più brillante


al possibile.
La filosofia è mezzo, – non scopo! Esaminiamo anzi
tutto questa proposizione (solo aforisticamente s'intende,
giacchè l'importante dottrina dello scopo degli uomini
non può naturalmente essere qui completamente esposta).
Facciam astrazione di tutto quello che ci condurrebbe a
più profonde investigazioni (riserbate all'opera) e tutta
via missun vorrà niegarmi, lo spero, che lo scopo dell'uomo
11
162
consiste nel conseguimento del suo fine, (il finis formalis o
finis quo) e che questo fine consiste propriamente nella
possibile perfezione delle sue facoltà e potenze (come finis
intrinsecus). Ora giacchè ogni facoltà è perfetta col rag
giungimento dell'oggetto suo proprio; la facoltà
volitiva col raggiungimento del bene, la facoltà co
noscitiva col conseguimento del vero; facciasi la do
manda, qual è la potenza più elevata: quella di volere
o quella di conoscere? La soluzione pende dalla que
stione: quale dei due oggetti è il più alto, il buono od
il vero? In qual rapporto stanno l'uno all'altro? sono
subordinati od eguali? è lo stesso il mezzo allo scopo od
è un altro? O il vero e il bene sono l'identica cosa? In
che ci giovano i termini diversi? Queste sono vastissime
mè perciò facili questioni, che spetta sciogliere alla Psi
cologia, alla Morale ed alla Metafisica. Eppur dalla fon
data soluzione di esse dipende la proposizione degli av
versarii. Mettiamoi all'opera colla maggior possibile bre
vità, e quindi domandiam solamente: qual è l'ultima,
quindi specifica differenza che distingue e separa gli
uomini dalle bestie? Rispondo a la facoltà di como
scere. m Dove è radicata la facoltà di eleggere? ri
spondo a nella cognizione » Con ciò è assicurata la
mia conclusione.
La facoltà conoscitiva è l'altissima delle facoltà del
l'uomo: per conseguenza il coltivamento e la perfezione
della facoltà conoscitiva è l'altissima coltura e perfezione.
Se questa coltura e perfezione avvien mediante la filo
sofia, essa in quanto è tale non è mezzo, ma scopo. Che
il vero ed il bene siano materialmente una cosa sola,
e ch'entrambi non diversifichino che solo secundum ra
tionem, non è cosa che ci dia il minimo disturbo, appunto
163

perchè un punto di vista di una medesima cosa può


essere perfetto tanto quanto un altro punto di vista. Non
si dimentichi però quello che prima abbiam detto sull'in
fluenza della facoltà volitiva sulla facoltà conoscitiva. Io
non voglio per nulla dar poco prezzo al coltivamento
della facoltà volitiva. Al contrario quanto più alto è lo
scopo, tanto più alto sarà anche il mezzo (prossimo o
remoto) per sollevarsi fino a quello, e quanto più un
mezzo è necessario al conseguimento di uno scopo, tanto
è men da temere che si trascuri l'uso e la coltura del
mezzo, qualora si voglia altrimenti lo scopo. – Ora per
quanto sia certo che l'amore (perfezione della facoltà,vo
litiva) è la suprema virtù in ordine morali, ciò non
toglie che esso (o ciò chè tuttuno, il possesso di Dio per
mezzo dell'amore) non sia poi mezzo ad uno scopo ul
teriore. La Chiesa insegna che la suprema beatitudine de
gli uomini redenti consiste nella visione di Dio, quindi
nella facoltà conoscitiva, certamente non per la nostra
facoltà di conoscere, ma sì pel lumen gloriae infusum;
ma sempre per un lumen che è cosa appartenente alla fa
coltà conoscitiva. L'altissima beatitudine, come il finis
intrinse cus consiste nella perfezione della facoltà co
noscitiva, secondo la rivelazione cristiana: visio beatifica.
Parimenti la suprema perfezione dell'uomo naturale
(senza la rivelazione) consiste nella scoperta e nella con
siderazione della verità, in quanto essa gli è acces
sibile in modo naturale (filosofico) (gratia non destruit
sed elevat naturam). Che in certi rapporti la volontà
sia più sublime dell'intelligenza, e che in certi aspetti
la perfezione della facoltà di volere sia più necessaria
che quella dell'intelligenza (in prasenti rerum statu et
melius et magis necessarium est, Deum diligere quam
164

cognoscere) non è per nulla contrario a quanto si è detto.


Giacchè saper ciò è ancora il risultato dell'investigazione
scientifica e con ciò torna sempre simpliciter il suddetto
risultato.
Ora con questo egli è duopo correggere necessaria
mente tutto il ragionamento sulla a vocazione. m Cos'è
la vocazione? Vocazione è scopo? Lo scopo per cias
cun uomo è doppio: 1.º il generale; 2.º il particolare.
Il generale è per tutti gli uomini senza eccezione; il
particolare per l'uno è questo, per l'altro quello, ma si
badi bene, sempre subordinato al generale. Con ciò io
non nego la necessità dello scopo particolare; al contrario
io lo cerco e lo voglio perchè allo scopo generale, essen
zialmente lo stesso per tutti, non si può partecipare
che in un modo particolare gradatamente diverso. I
talenti son varii assai: ma lo scopo generale riman sem
pre più o meno tanto per l'uno che per l'altro in quanto
ogni altra cosa è mezzo che mena a lui. Quella che noi
chiamiam vocazione è la posizione particolare, nella quale
l'individuo deve raggiungere il suo scopo. Si sarà già os
servato che la vocazione particolare si può considerare
sotto doppio aspetto, cioè o come conducente immedia
tamente o mediatamente allo scopo. E così voi po
tete chiamar vocazione anche il vostro impiego e tutto
ciò che sta in relazione con esso; da parte mia non ho
nulla in contrario. È troppo ampia la cosa per poter qui
esporla; mi giova però in proposito di dar un avvertimento
ed è di non pigliar con molta leggerezza quello che si
chiama vocazione. Per me qui basta, ciò che appar
chiaro dal detto, che la vostra tesi: a la filosofia è il mezzo,
la vocazione lo scopo, n è totalmente capovolta e rove
sciata. Raccogliendo molto in poco l'Angelo delle scuole,
165

s. Tommaso, nel suo Prologo alla Metafisica scrive: a phi


losophia prima (id e Metaphysica) est regina ac re
ctria omnium aliarum scientiarum. n La stessa relazione
però che ha la Metafisica colle altre discipline filosofi
che, la hanno tutte le altre discipline filosofiche coi rami
o scienze subordinate a quia, dice lo stesso s. Tommaso,
omnes aliae scientiae sumunt sua principia ea philoso
phia. n
Ora per molteplici che possan essere le particolari ed
individuali posizioni, e possano darsi diversità e parti
zioni d'ogni maniera di quello che vien dinotato col nome
di vocazione; il tutto deve pur sempre essere subordinato
a principii più generali, come questi ad un principio uno
supremo. Lo scopo generale anch'esso si divide mai sem
pre secondo che l'una o l'altra delle due facoltà prin
cipali (l'intelligenza e volontà) predomina. E quindi
l'indole predominante della vocazione è o speculativa o
attiva – o d'un'attività scientifica o pratica. Possono
ripetersi d'ambo i lati molteplici numerosissime le divisioni,
ma tutto ripetesi in base al generalissimo principio, sic
chè sempre nel microcosmo trovasi l'imagine del macro
cosmo, benchè in numerose gradazioni e differenze. Ognuno
partecipa al tutto giusta leggi determinate, sien queste
apparenti estrinsecamente od intrinseche. L'uno è mosso
dal piacere, l'altro dalla malinconia, l'uno è guidato dal
genio, l'altro dal talento, un terzo dal difetto di ambo
queste qualità – l'uno è l'intelligenza che lo dirige, l'al
tro è la forza della volontà: qui prima, là più tardi in
mille svariate mescolanze di carattere e posizioni. Ma
tutto è reciprocamente addentellato e forma alla fine una
magnifica armonia, ad onta di tutte le dissonanze che
possono verificarsi. Tutto è mezzo all'uno quand'anche
-
166
si vada all' Uno finale in molti modi. Ciò deve esser
noto sia per mezzo della filosofia, mediante la reli
gione. A lui deve esser rivolto tutto. « Qui vult finem,
debet velle media m. Indi ne viene luce, ordine, forza. –
Luce per l'intelligenza, forza per la volontà, ordine per
tutte le altre attitudini e facoltà. Da ciò risulta un carat
tere come tale a limiti e demarcazioni ben precise. Dal
l'uno generasi e pende l'altro; dal più forte il più debole;
dal più capace il meno capace, e così tutto schierasi in
ordine e reciprocamente in ordine superiore ed inferiore.
Se però mancano i principii più alti, o l'altissimo prin
cipio: dominano il disordine, l'arbitrio, passioni di mille
maniere, una confusione senza limiti, un caos. Coor
dinare quei principii al principio supremo è la più su
blime missione della filosofia tanto pratica che specu
lativa. Intelligenza nel pieno senso della parola, sia il
vessillo – non l'unilaterale, ma la generale intelligenza.
La verità, non l'unilaterale, ma tutta la verità sia lo
scopo. Se allora una malvagia volontà vorrà far testi
monianza contro la verità, non farà che mentire a sè
stessa e rovinarsi di per sè stessa.
Parmi, sarebbe superfluo il mostrare, come la filosofia
in qualunque studio pratico induca vita, anima, slancio
vigoroso, ed una consacrazione superiore, come alla sua
volta la religione, la quale – in alio ordine – sublima,
nobilita, consacra tutto (anche la filosofia). a Gratiam
non destruit sed elevat naturam. m Poichè: a veritas veri.
tati contradicare nequit. »
PARTE TERZA -

ORIENTAZIONE STORICA E CARATTERISTICA

DEGLI SFORZI FILOSOFICI

COME VADEMECUM PEI MANUALI

SULLA STORIA DELLA FIL 0 S 0 FIA.

C R I TIC A PR I MA.

ORIENTAZIONE.

Non è qui mia intenzione di far una sposizione dei


sistemi filosofici; ella sarebbe più adatta da farsi in fine
di tutto il sistema filosofico, poichè rapporto alla storia
della filosofia vuolsi notare ch'ella è assai più diffi
cile a farsi, prima d'aver ben afferrato il vero sistema.
Anzi non solo è estremamente difficile, ma potrebbe ben
anco nuocere e scombuiare la testa degli uditori, se sve
lando gli errori non si mostra in pari tempo la verità.
Ella è però assai facile, una volta presentata la verità
del solo sistema attendibile: poichè allora si ha la stre
gua alla quale tutto e può e deve essere misurato. Al
lora lo studio della filosofia è non solo interessante ma
168 v

anche utile: la sola verità giudica rettamente ogni cosa.


Quanto è diverso il punto d'appoggio da cui parte lo
scrittore della storia dei sistemi filosofici, altrettanto di
venta diversa anche l'esposizione delle questioni filosofiche
che storicamente vi figurano. So che si ponno dire le
molte cose di una esposizione oggettiva, imparziale! ma
io non bado a tali discorsi, se non è un santo che scrive
la storia della filosofia: giacchè sia come vuolsi, egli
vorrà parteggiare per la verità! Io per conto mio non
vi veggo alcun male, se egli facendo concessioni ad un
altro sistema dà a tutta la storia della filosofia un altro
colore. La verità in fine deve reggere alle prove. Io
parto dal punto della filosofia tomistica perchè la tengo
per la vera, e dunque l'unica giusta. Questo dun
que non avrò qui nè d'or in poi più bisogno di ripeterlo.
Questo dunque ha lo stesso rapporto che v'ha nella pro
posizione: la Chiesa cattolica è la vera; dunque son
false tutte le altre chiese, appunto perchè e in quanto
sono in contraddizione con essa. Partendo dal punto fon
damentale della filosofia tomistica io getto un'occhiata
alto alto onde poscia completar poco a poco nel corso
dell'opera questo breve schema. Se il punto d'appoggio
di s. Tommaso è giusto, anche la più breve occhiata
schematica è di gran valore; anzi di tanto maggior va
lore quant'è più concisamente riassunta. Le occhiate ge
merali vanno sempre più al fondo se le son vere, e gio
van molto anche allorquando son false.
In tutto il campo della storia della filosofia dagli an
tichissimi tempi fino al presente corrono due strade prin
cipali. Queste due vie principali si annettono a due ce
leberrimi nomi, Aristotele e Platone (1). Tutta la filosofia
(1) Scrivendo questi due nomi mi rammento di un fatto che po
169

pagana trova il suo punto culminate in questi due nomi


immortali, e tutta la filosofia che venne in seguito a
quella si rannoda a questi due nomi. L'osservazione prin
cipale che devo qui fare è : che è fondamentalmente
falso di rappresentar Platone ed Aristotele come gli
opposti estremi. L' opposto consiste semplicemente
nella diversa forma di esposizione (in Platone oratoria,
poetica, fiorita – in Aristotele arida, sobria, precisa
fino agli ultimi termini); la qual opposizione è conse
guenza dell'intimo modo diverso di vedere, ma non è
l' estremo opposto. Aristotele non è ad un'estremità; e
quest' è appunto il merito della scuola peripatetica di
essersi tenuta nel mezzo tra i due estremi. La differenza
radicale tra Platone ed Aristotele è l'ideologia. L'i-
deologia è il filo rosso che attraversando tutta la
storia della filosofia divide dappertutto il colore e la di
rezione di un filosofo e dell'altro. Se anche Platone non è
posto ad una estremità tuttavia devesi indicare come il
padre dell'idealismo a cagione della sua dottrina delle
idee innate. La scuola peripatetica le nega queste, ma
si badi bene: non come l'estremo opposto. La proposi
zione della scuola peripatetica, ch'esprime la sua dottrina
dell'ideologia a mil est in mente, nisi prius fuerit in sensu m

trebbe riuscir interessante per coloro che andranno innanzi nella


lettura del testo. Quando otto anni fa in Inghilterra chiesi contezza
degli studi universitarii, mi si disse: Cambridge è per la mate
matica, Oxford per la filosofia. E domandando io della filosofia
di Oxford mi si rispose: la filosofia di Oxford non è altro che Pla
tone ed Aristotele. Vidi adunque che tutto lo studio della filoso
fia di Oxford s'aggira su questi due campioni! Platon and Ari
stotel, that is the whole philosophy t Mirabil cosa, pensai tra me e
men'andai. Gli Inglesi in parecchie cose han l'occhio ben acuto!
17O

ha un senso affatto diverso (come vedrem più tardi) di


quello che ha nel senso dei sensualisti e materialisti. Que
sti, non i peripatetici, stanno all'estremità opposta di Pla
tone. Come estremo contro gli idealisti platonici, vi sono
due dottrine che negli ultimi tempi raggiunsero il sommo
della stravaganza con Giorgio Berkeley, un irlandese
(1684-1753), e i più recenti filosofi tedeschi Fichte, Schel
ling, Hegel (il primo quarto di questo secolo fu loro):
il tradizionalismo di Bonald (1754-1840) e il sen
sismo di Condillac (1715-1780) (a cui capo per lo più si
nomina l'inglese Locke (1631-1704). Io credo l'inglese sia
stato assai più saggio del francese. (Tra i due estremi del
l'idealismo da una parte e del sensualismo (empirismo) e
materialismo dall'altra, movesi la scuola peripatetica, prin
cipalmente per mezzo del grande s. Tommaso, in quel
felice mezzo che dà il fatto suo tanto all'unilaterale em
pirismo, come all'unilaterale idealismo. So bene che dalle
due parti, fuori del juste milieu s'incontra tale quantità
di differenze, divergenze, sfumature, che alcune volte si
sarebbe tentati di cercare una filosofia appunto dal lato
opposto, come quivi vi fosse davvero la realtà. Non biso
gna lasciarsi illudere. Il principio generale dato sventa
alla fine ogni cosa, per quanto un sistema sia artificioso
o possa ad un tempo avvilupparsi coll'uno o coll'altro, o
con amendue i lati. (Potrei prendere un esempio oppor
tunissimo dalla scuola di Ginter, il cui error radicale
consiste appunto nello scambio del campo ideale e
reale.) A meglio schiarir quanto qui si disse in suc
cinto mi rapporto ai primi paragrafi della Metafisica,
ove si parla del principium cognoscendi ed essendi, non
che delle idee innate; indi alla Teorica della cognizione
in generale, e nella Logica alla dottrina degli universali,
171

e finalmente nella Psicologia al processo intellettuale della


cognizione.
Prima di dar la divisione di tutto il campo della storia
della filosofia, partendo dal punto di vista peripatetico
o tomistico, richiamo l'attenzione (1) sulle parti im
portanti che sempre e dappertutto rappresentano i prin
cipii peripatetici e le massime principali. Son questi
appunto quelle leggi fondamentali a cui bisogna attenersi
fino all'estremo. Il principio primo! i principii pri
missimi, con ciò è detto tutto. Per quanto possano es
sere molteplici le sfere della facoltà intellettiva dapper
tutto, suo modo debbono regnare i principii, che por
tano luce e mettono l'ordine in tutta la cerchia in cui
dominano. Così si deve contenersi colle suddivisioni, pre
supposto che vi sia la verità oggettiva. Quest'ul
tima cosa io la sostengo per la nostra materia. Darne
la prova è l'oggetto di quest'opera.
L'intero campo della storia lo divido primamente con
Aristotele. (egli visse dal 384 al 322 av. Cristo) S. Tom
maso lo chiama il filosofo e coll'espressione a Philo
sophus dicit m cita i di lui testi. Se la sua filosofia
anche solo secondo la base fondamentale è giusta, quindi
vera, s. Tommaso ha rettamente giudicato, dandogli
xarizoxn, il titolo di u philosophus n. La verità dura in

(1) Ciò che faccio replicatamente a bella posta tanto per cagion
dei principianti come anche della verità. Questa è troppo impor
tante perchè con tutte le forze non la si abbia ad indicare ove
si trovi. L'esperienza ci dimostra troppo di sovente, che non si
sa apprezzar la verità in tutta la sua importanza anche quando
la si ha. Quindi ben merita un posto d'onore anche colui che la
trova la verità, essend'egli ben degno che se ne parli coi più ora
torii elogi.
172

N
eterno, (veritas manet in aeternum. Ps.) Io mi penso che
il puritanismo di voler indicare come pagano tutto ciò
che vien dai pagani, e di non voler trovarvi che una
posizione mimica al cristianesimo, e perciò contraria alla
verità, mi penso dico, che questo goffo puritanismo, ai
nostri tempi sia scomparso. In Roma non si riconosce
questo rigorismo unilaterale, appunto perchè si dilunga
dalla linea della verità. Se qualcuno volesse tuttora osten
tar paura di questi sentimenti filosofici, me ne riporterei
alla contesa ultimamente richiamata in vita dai puristi e
rigoristi francesi sulla lettura dei classici pagani. Con tutta
la serietà, colla quale si pondera a Roma tutto quanto
è specificamente cristiano, si ride però di tali parzialità.
Ivi questa foggia puritana non troverà eco giammai. Pure
prescindendo da ciò, la nostra questione è già decisa dalla
costante dottrina dei santi Padri e dall'approvazion della
Chiesa: l'uomo (senza il lume della fede cristiana catto
lica) può colla sua ragion naturale conoscere certe ve
rità: anche il pagano lo può. Ciò che è vero pei pa
gami, riman vero anche pei cristiani, a veritas veritati con
tradicere nequit » dice la Chiesa che qualificò s. Tom
maso, il discepolo e il Maestro della filosofia peripatetica,
come Doctor Ecclesiae di primo rango. Se alcuno amasse
dar prova di sua ignoranza col separare Tommaso il
teologo da Tommaso il filosofo, gli risponderei con quella
Somma che trovavasi dinanzi ai Padri riuniti nel Concilio
di Trento: a Haec scientia (theologia doctrina sacra) ac
cipere potest aliquid a philosophicis disciplinis non quod
ea necessitate eis indigeat, sed ad majorem manifestatio
nem eorum, quae in hac scientia traduntur. Non enim
accipit sua principia ab aliis scientiis, sed immediate a
Deo per revelationem. Et ideo non accipit ab aliis scien
173

tiis tamquam a superioribus, sed utitur eis tamquam in


ferioribus et ancillis.... propter defectum intellectus nostri m
(Sa. p. 1. q. 1. a. 5. ad 2. ed altrove: a nihil pro
hibet de iisdem, de quibus philosophicae disciplinae tra
ctant, secundum quod sunt cognoscibilia lumine naturalis
rationis, etiam aliam scientiam tractare, secundum quod
cognoscuntur lumine divinae revelationis. Unde theologia,
quae ad sacram doctrinam pertinet, differt secundum ge
nus ab illa theologia, quae pars philosophiae ponitur
(Sa. p. 1. q. 1. a. 1. ad 2) Sa dunque bene s. Tom
maso distinguere il filosofo dal teologo. Ed ora domando
io in risposta alla sedicente distinzione fatta più sopra:
la Chiesa può accordare il titolo di Doctor Ecclesia e
di primo ordine ad un teologo che quasi in ogni propo
sizione impiega i suoi falsi principii filosofici, ed in passi
innumerevoli cita un falso filosofo?
Se ciò fosse e ci vorrebbe ad ogni tratto un maestro ec
clesiastico che esponendolo correggesse s. Tommaso, sicchè
s. Tommaso non avesse a sembrar quasi che un suo di
scepolo. Questo lo si potrà aspettar lunga pezza ancora!
Intanto io divido l'intero campo della filosofia fin al
presente in due periodi: 1.º il periodo prima di Aristo
tele; 2.º il periodo Aristotelico. Ella è cosa facile il mo
strare come la filosofia aristotelica, eccetto piccole inter
ruzioni, se interamente non signoreggiava, dominò pur
sempre, una volta ch'ella uscì alla luce. Quindi io posso
a buon dritto chiamar aristotelico tutto questo tempo,
prescindendo da ogni altro, solo per rapporto ai principii
filosofici, dai quali per natural conseguenza sistematica
mente deriva tutta la filosofia. Che Aristotele abbia tro
vato in s. Tommaso non solo un dotto scolaro, ma un
sagace correttore, che senza s. Tommaso Aristotele sia
174

in gran parte un libro suggellato, che s. Tommaso il


cristiano illuminato purghi dall'elemento pagano Aristo
tele pagano: ma che s. Tommaso ad onta di tutte le cor
rezioni delle false applicazioni di principii giusti, abbia
vittoriosamente mostrata la giustezza dei principii colla
loro retta applicazione, queste e tantº altre son cose
che parranno chiare tra poco. Qui mi si offre occasione
di toccar un'altra leggiera obbiezione cui si volle sol
levare senza nessun bisogno. Si dice: Aristotele fu cor
rotto dagli Arabi, e così corrotto qual era venne in mano
degli scolastici e dello stesso s. Tommaso. Che non ar
rischia la saccenteria? L'Aristotele arabico è corrotto?
bene! alla buon ora! sì è corrotto, ma questo che fa?
Io ho detto che s. Tommaso ha corretto Aristotele tanto
l'arabico interpolato che il vero Aristotele! ei li cor
resse entrambi severamente dovunque ve n'era necessità.
Quest' è la gloria immortale di s. Tommaso ! Del resto
tutta quest' obbiezione è tanto ridicola per chi conosce
la filosofia peripatetica, che non meriterebbe altra risposta
di questa: conoscete voi alcun che della filosofia tomi
stica? O per darvi altra risposta potrei servirmi anche
di un esempio: posto che un fisico trovi i resti di uno
scheletro, consistenti nel capo, nella spina dorsale ed
aderenze, ed un piede, può egli da questo argomentar
qual era la struttura dell'animale fin qui ignoto? o po
sto che d'un antico grandioso edificio siensi conservate le
rovine, le mura fondamentali con parte del tetto che ne
mostra la sua destinazione d'altre volte, saprebbero eglino
i nostri architetti presentarlo nel suo tutto, completo? Pure
il nostro affare è tutt'altro ancora; che cale a me dell'Ari
stotele corrotto? Io dico: la filosofia tomistica è la
vera. Indi confronto e vedo che Aristotele con
175

corda con essa. Or via se si vuol procedere pedan


tescamente, si stia almen sulle guardie dai sofismi che
per dir vero son troppo alla mano. Invece di prender Ari
stotele come stregua per giudicare s. Tommaso, si prenda
per regola s. Tommaso, e indi si domandi che si deva dire
d'Aristotele sia il vero, sia il falso. La verità sia la
bandiera dei filosofi! A pari: posto che un qualsiasi
filosofo moderno trovi, non vo'dir altrettanti, ma la cen
tesima, anzi la millesima parte dei testi, che presenta la
scuola peripatetica in tutti gli scrittori dei secoli passati;
avrebbe egli questo filosofo la minima difficoltà a riguar
dar come propria tutta questa serie d'attraverso i tempi?
Voleva pure non ha guari la scuola di Günter con un
singolo testo che apportava di sant'Agostino, il quale
apparentemente (N.B. apparentemente) era a favore
del suo principio, far del gran Padre della Chiesa, il capo
stipite del Günterianismo! Ora però v'ha come minimum
almen che sia in uno continuo da secent'anni una
scuola peripatetica che insegna ea professo questa filosofia
con un accordo, che simile nol possiede in altra sfera che
la Chiesa cattolica. Dico da secent'anni in continuo. A
non voler tener conto di piccole interruzioni, lo che può
farsi a buon diritto; io posso a tutta ragione denominar
semplicemente aristotelica la filosofia dopo Aristotele.
Or posto da ultimo che la verità torni completamente
a dominare, allora, dopo la sua esistenza di due mila
anni, chi vorrà star in forse di denominar da essa tutto
questo tempo? A me non cale nulla del nome, la verità
dev'esser nominata com'ella si merita.
Spero mi si vorrà tanto più di leggieri condonar la
lunghezza delle precedenti riflessioni, quanto riesce più
duro al nostro orgoglio, di chiamar la verità, la filo
176

sofia con un nome particolare, il quale rammenta


pur sempre l'umana debolezza. Però una filosofia per
esser chiamata aristotelica o tomistica dev'ella esser in
fallibile su tutti i punti? Ma gran mercè! v'ebbe mai
alcuno che dubitasse di chiamar pitagorica quella dottrina
che è e fu sempre vera anche senza Pitagora? o di
chiamar anche oggidì col nome di Euclide i suoi ele
menti? Si fece mai difficoltà a dinotar col nome dello
scopritore le comete scoperte, che pur vi erano anche
prima dello scopritore? Si ha difficoltà alcuna ad ap
porre il nome di coloro che le misero in luce a cent'altre
cose, verità, leggi, problemi e va dicendo?
L'invidia regnerà sol dunque nella filosofia ? Tutti
gli altri han tanto d'umiltà che basta per render onore
a chi va l'onore, e quest'umiltà manca solo ai filosofi?
Se vuolsi nasconder ciò sotto il manto filosofico di uno
splendido sofisma, eh via! si può risparmiar l'onor suo,
calpestando l'onor di grand'uomini: si dica filosofia, in
vece di dire filosofia aristotelica, tomistica, peripatetica.
Se resta la cosa, tutto il biasimo ricadrà su colui che
fece guerra ai nomi.
Ora onde passare a fissar più specialmente i periodi
e la caratteristica della storia della filosofia, mi si per
metta di far prima un'osservazione rispetto alle divisioni
in generale, la quale per lo meno gioverà a rammen
tar che non è tutto oro quel che luce. Quando si divide
bisogna contenersi nei limiti del campo che si divide.
Per recarne un esempio: quando si divide la storia della
Chiesa e si indica un periodo fino alla a Riforma m si
può, quando per riforma non se ne intenda una intra
presa in seno alla Chiesa, incorrere nell'equivoco che
la così detta riforma sia un punto nella storia della
177
Chiesa. Naturalmente l'indicazione fino alla riforma si
vuol prendere solo come un termine, al quale come punto
di fatto di divisione corrisponde un altro punto nella
Chiesa; o si dovrebbe cercar una più alta unità che la
Chiesa, onde poter rettamente dividere a questo modo,
Questa osservazione giustifica il perchè, fuori del campo
della verità, si prendono come punti d'appoggio per fissar
periodi le grandi catastrofi. Un tal punto di partenza nel
campo delle investigazioni filosofiche è Des Cartes (1596
fino al 1650). Quest'uomo ha nel campo filosofico presa
la medesima posizione che Lutero si trascelse nel reli
gioso. Cartesio è veramente il rivoluzionario, colla comparsa
del quale incominciarono i succedentisi cicli di rivoluzioni
nella filosofia fino ai nostri di. Tutto il periodo dopo Car
tesio non lo si deve altrimenti denominare che tempo di
guerra contro la scuola peripatetica. Un mezzo
secolo solo prima della comparsa di Cartesio un ere
tico non dubitava di gridare nel mondo: a Destruite
Thomam – et dissipabo Ecclesiam ! Tommaso è insepa
rabile dalla filosofia peripatetica. Questa regnava ancor
dappertutto, quantunque i belli spiriti andassero già da
lungo tempo declamando contro di essa e facessero ogni
sforzo per iscreditarla. All'intelletto non si può opporre
che l'intelletto: e i begli spiriti sarebbero ben tosto spa
riti senza lasciar traccia di sè, se non si fosse dato di
piglio per aiutarsi ad altre armi. Cartesio del pari che
Lutero riuniva in sè tutte le doti che son necessarie per
rappresentar le parti del rivoluzionario. Egli le rappre
sentò da maestro! Separazione! invece di distinzione
è la sua segreta parola d'ordine. Separazione della filo
sofia dalla teologia, invece di distinzione fra esse, fu lo
sciagurato colpo di mano! Ma intanto che la Chiesa scrisse
12
178
il suo nome all'Indice colla mite formula: a donec corriga
tur, n gli restò l'obbrobrioso titolo dell'araldo che spiegò
i vessilli rivoluzionarii contro la scolastica. Questa rivo
luzione andò agitandosi d'allora in poi fino al presente.
Tutti gli avversari datano da quel periodo. Era ragione,
noi lo vedrem tosto; qui basti raccogliere il fatto dalla
bocca degli stessi avversarii.
Ciò nulla meno la filosofia peripatetica sopravisse tutto
chè, dopo la catastrofe cartesiana, non la fosse più così
dominante, per rispetto ai paesi, nei quali regnava da
sola. Dalla Francia la riforma e la rivoluzione filoso
fica passò in Germania ed Inghilterra. Questi tre paesi
rimasero fin al presente il ricetto delle sette filosofi
che e delle eresie. La filosofia peripatetica si ritrasse
in modesta solitudine sulle penisole d'Italia e di Spagna,
in aspettazione di tempi migliori. Essa era inseparabile
dalla Summa theol. e dalla Summa c. gent. di s. Tom
maso. Dove dominava la teologia di s. Tommaso, ivi ben
tosto regnava anche la filosofia della scuola peripatetica.
Nello stesso Collegio (in Italia e Spagna) nel quale fino
al giorno d'oggi si spiega dalla cattedra la Summa di
s. Tommaso, si tien dinanzi anche un manuale di filoso
fia, compilato due secoli fa: la forma accidentale vien
cambiata secondo i tempi e il gusto degli uditori, la
cosa riman sempre la stessa come la verità, non oggi
a sì m domani a mò m ma ieri ed oggi ed in eterno
sempre la stessa.
Se rimpetto alla scuola peripatetica, rimasta fino ad
oggi invariabilmente la stessa, noi pigliam l'antiperipa
tetica, o, quello che torna lo stesso, il movimento anti
scolastico cominciato con Cartesio, egli è da notare che
denominando questa scuola l'antiperipatetica (io la chiamo
179

la nuova in opposizion all'antica) havvi in tal denomi


mazione un principio unitario in una maniera affatto si
mile a quella dei protestanti che spacciano contro i catto
lici d'avere un primcipio unitario. L'unità in cui s'accor
dano in genere è quella dell'opposizione. Di fatto nella
nuova scuola vi hanno altrettante ramificazioni quasi
quante filosofiche teste emersero. Se dunque da Cartesio
in poi si riparte il campo della storia della filosofia e si
fissano dei periodi, non si deve dimenticare che queste
divisioni non han luogo nel campo interno di una mede
sima filosofia, ma che si pigliano come punti di contatto e
di distacco delle succedentisi catastrofi rivoluzionarie nella
filosofia. Come il più spiccato di tutti questi punti di rivo
luzione, dopo Cartesio, comunemente si prende l'apparir
di Kant (1724 fino al 1804) che dal suo studiolo di Kö
migsberg (egli non oltrepassò i confini della sua patria)
conquistò buona parte del mondo che in allora preten
deva a coltura, e forse (ad eccezione della scuola pe
ripatetica,) o modificò o purificò tutto il campo filosofico.
Lo spazio tra Cartesio e Kant vien poi riempito nel
modo seguente. La scuola Cartesiana sopravisse in due
scolari affatto eterogenei, che formavano due scuole af,
fatto diverse, come son diversi tra loro il dì e la notte,
il paganesimo ed il cristianesimo. L'uno fu il divoto ora
toriano Malebranche (1638-1715), l'altro l'empio ebreo
Spinoza (1632-1677) Il divoto, ma filosoficamente traviato
oratoriano disse a noi vediam tutto in Dio »; l'empio ebreo
divenuto pagano disse: a tutto è Dio » (Le particola
rità più sotto). Entrambi eran spavaldi ma uguali ! In
tanto era sorto in Germania un uomo assemmato, pro
testante di nascita e di confessione, cattolico di inclina
zioni e di vedute, che tutto osservava con maravigliosa
180

originalità. Egli era troppo grande per accontentarsi di


camminar sull'orme del francese Des Cartes, ma egli
era troppo piccolo per correggere i peripatetici. Evitò
la prima cosa creando il suo originale sistema dell'ar.
monia prestabilita, con cui egli intese d'accordare e riu
mire il campo ideale ed il reale. L'altra la provò colla
miserabile correzione che volle fare alla proposizione dei
peripatetici: a nil est in mente, nisi prius fuerit in sensu m,
credendo potervi aggiungere la clausola a nisi intelle
ctus ipse. » Se i capi della scuola peripatetica fossero ca
duti in difetti così facili ad evitare, certo non avremmo
veduto esistere la loro scuola per sì lunga serie di secoli.
Più tardi parleremo della malaugurata correzion fatta da
Leibnitz a questa proposizione della scuola peripatetica.
Il genio di Leibnitz trovò un nobile talento che parteg
giò per le sue idee. Questi fu Polistore Wolf (1619-1754)
che, specialmente in base ai filosofemi di Leibnitz com
pilò una enciclopedia delle scienze filosofiche, la quale
esercitò una signoria dommatica, come scuola Leibnitz
Wolf, finchè venne a dargli il crollo la critica di Kant.
Wolf era un uomo di senno pratico che per le persone
di non molta acutezza, sembrava colpir dappertutto nel
giusto. Il suo eccletismo riuscì con tanto maggior rapi
dità, quanto più il mondo tutto si sentiva a mal agio
sotto le brillanti ma pericolose ipotesi del gran Leibnitz.
Del resto è da notare che l'indicazione spacciata a scuola
Leibnitz-Wolf n è affatto inesatta e sconveniente. La fi
losofia di Wolf non è punto, come vorrebbe dir quell'e-
spressione una derivazione, un riverbero di quella di
Lebnitz, ma una filosofia d'un carattere affatto diverso. La
tendenza pratico religiosa di ambedue può solo giustificar,
quest'espressione: scuola Leibnitz-Wolf. Del resto la scuola
181

di Wolf può essere indicata come una scuola peripatetica


corrotta. La corruzione capitale così come l'assimilazione
appar visibile nel Determinismo che è la parola d'or
dime in cui s'imperna tutta la filosofia di Wolf, tanto nel
campo ontologico che nel morale. Dappertutto traspaiono
le idee peripatetiche, ma certamente storpiate, sol quali le
trova plausibili una meschina intelligenza. Leibnitz po
trebbe aver contribuito molto a questo impulso, giacchè gli
elogi ch'esso fa dei singoli brani del lacero mantello degli
scolastici può certo essere molto lusinghiero e accennare
alla pompa e preziosità del filosofico manto peripatetico.
Tuttavia la moda francese amava portarne un altro d'or
pello, e la Germania non sapeva difendersi contro i rai
sonneurs dittatori della moda. Così fosser venute di moda
anche altre cose in fatto di religione, – ma egli è inte
ressantissimo il vedere come la scuola di Wolf signoreg
giasse tutta la Germania. Si odiava la filosofia scolastica
(ed era noto al mondo essere questa la peripatetica) si
voleva e si doveva liberarsene; ell'era precisamente la cat
tolica. Eppure vedi! lasciaronsi accalappiar ed aggiogare
da una stramba caricatura della filosofia scolastica, con
una pazienza ed una docilità, veramente degne di ma
raviglia. u Dove non regnano Dei, disse Novalis, regnano
i fantasimi. m Che però le cose non fossero assodate lo
provò l'entusiasmo con cui fu accolta la critica di Kant.
La critica di Kant della ragion pura è la morte di ogni
ragione. Kant provò: che noi non possiam saper
nulla. Pure quest'era troppo duro:
Che proprio nulla noi saper possiamo
Sento a tal cosa che mi brucia il core.
Così si lamenta Göthe. La stupidità dovette assumer
182
l'aspetto di saggezza. La ragion teoretica deve esser
cosa differente affatto dalla pratica! Quest'era la dis
graziata distinzione colla quale il filosofo condannava sè
stesso. Non si dice: qui distinguit bene docet, ma qui bene
distinguit bene docet! La ragion pratica deve fornirci le
regole per le nostre azioni onde non parer che operiam da
pazzi, mentre la ragion teoretica portava per divisa a il
non saper nulla n. Kant venne a morte nel 1804 dopo ot
tant'anni di vita, mentre i cuori della legione a lui de
vota sanguinavano per dolore. Il coltello della critica aveva
ferito con troppa acutezza, ne seguirono le ultime con
vulsioni degli impotenti sforzi antiperipatetici. Sforzi a dir
vero validissimi! saranno dessi ciò non pertanto gli ul
timi? In Fichte (1762-1814), Schelling (1775-1853), Hegel
(1770-1831), Günter noi ci vediam dinanzi le rovine di
brillanti castelli aerei. In generale quest'ultima epoca, com
parata al non saper nulla di Kant, può essere indicata
come l'onniscienza del panteismo e dell'idealis
mo. Tutti, per quanto diversi ed a vicenda in contraddi
zione l'uno coll'altro riuscivan però in sostanza all'oppo
sizione contro la scuola peripatetica. Era una nuova edi
zione della lotta di Platone contro Aristotele: – la lotta
del falso idealismo contro il vero realismo; la lotta della
sofistica che si amava chiamar dialettica contro la logica;
e implicitamente con ciò la lotta del sapere contro la fede.
La fede doveva essere abolita (espressione Hegeliana)
nel senso più ampio della parola, così come il bottone vien
surrogato dal fiore, e la fanciullezza surrogata, abolita
dall'età più matura. Ella doveva essere sradicata non
già direttamente dall'incredulità, ma per mezzo della
scienza. Ma quei signori non eran teologi e non sapevano
che una fede dimostrata è una contradictio in adjecto,
183

ond'è, che, lo si noti una volta, riuscivano altrettanto .


pessimi logici, quanto si mostravano nemici della logica.
Anche quei filosofi che sorsero nelle nuove scuole con si
stemi particolari di matura affatto diversa, ruppero an
ch'essi alla questione della riunione della scienza colla
fede. I due capi di quest'ultima specie, partigiani perciò
dell'opposizione contro l'idealismo dei tempi recenti, furono
Jacobi (1743-1819) e Francesco Baader (1765-1841). Il
primo vien caratterizzato per la sua fede di senti
mento, l'altro per la sua Teosofia con una vernice
di misticismo.
Ora se noi pigliamo una ragguardevole serie di av
versarii a queste scuole principali, e la pigliam detta
gliata comprendendo tutti i dissenzienti ed oppositori in
cui si frazionano gli avversarii d'un sistema e dell'altro,
non ci saremo formati ancora che una ben debole ima
gine della babelica confusione delle scuole antiperipate
tiche; mentr'essa la scuola peripatetica sempre rimasta
simile a sè presenta un libro compilato da più secoli,
anzi un codice da due mille anni invariato. - -

Che se ci piace, per ragion sinottica, adottar dei ri


parti periodici, la logica e la verità richieggono che noi
separiam la scuola peripatetica dalla miscela e dagli
andirivieni delle scuole antiperipatetiche. La peripatetica
o l'antica scuola, benchè in sostanza sempre la stessa,
presenta tuttavia a cagione dello incomparabilmente più
grande scolaro di Aristotele, s. Tommaso, due periodi
principali. Il primo da Aristotele fino a s. Tommaso (anno
della sua morte 322 av. C. – fino al 1274 d. C.) cioè
un periodo di mille cinquecento anni. Il secondo periodo
da s. Tommaso fino a noi forse si estenderà fino a tanto
che sorga il regno dell'eterna verità, se è lecito dall'an
184
damento di due mille anni argomentare al corso ulteriore
delle cose. L'autorità della Chiesa ci sta mallevadrice di
ciò!
Se voglionsi fare delle suddivisioni nel giro di que
sto vasto periodo si potrebbero adottare le epoche se
guenti: Il primo periodo da Aristotele a s. Tommaso
può essere diviso da s. Giovanni Damasceno, il padre
della scolastica (750). Il primo periodo si potrebbe indi
care come il tempo dei Padri della Chiesa (v. la se
conda parte dell'introduzione) e il secondo come quello
degli scolastici zari oxn. Nel secondo periodo da s. Tom
maso fino a mqi si potrebbe notare un fatto che non ha
l'uguale nel campo della verità, e sono le celebri Con
gregationes de aua i liis (1598-1607). Tuttochè quivi
non si trattasse di filosofia, la materia però era tale che
oltre gli argomenti teologici, poterono i principii filosofici
della scuola tomistica mostrarsi in tutto il loro splendore, in
tutta la loro connessione, nella maravigliosa loro armonia
col regno superiore della grazia. La scuola tomistica potè
qui mostrar tutta intera l'intima parentela della coltura fi
losofica colla teologica. La materia era della più alta im
portanza, piena d'arcano! Checchenesia la scuola tomi
stica rimase qual era, con un eccezione di cui qui tra
lascio di darne i motivi: ella si ritrasse in disparte, o me
glio si lasciò cacciare in silenziosa solitudine – atten
dendo tempi migliori. Questa silenziosa modestia, forte
nella fede della potenza della verità, lieta nella coscienza
di possederla, è intimamente connessa al modo con cui
la scuola tomistica riguarda al governo del mondo e porta
l'armonia nelle differenti sue sfere u Deus attingit a fine
usque ad finem et disponit omnia suaviter m (Sap. VIII. 1.)
Rivolgiamoci adesso agli sforzi antiperipateci od an
185

tiscolastici: essi datano, come si disse, nel senso pro


prio e rigoroso da Cartesio. Chè io non posso dar nul
lamente quell'importanza che di solito vuolsi attribuire
ai precedenti singoli cozzi contro la verità. L'opposi
zione ha sempre esistito, ed esisterà sempre fino all'ul
timo dei giorni. Se, a cagion d'esempio, vuolsi dividere
la scolastica in due campi, cioè i realisti ed i nomi
malisti, e far gran caso di ciò, non si dimentichi dalla
parte dei nominalisti non esservene di brillanti cam
pioni e il più delle volte il meschinetto aggressore non
salir in fama che per la grandezza del difensore che
attacca. Ciò vien molto a proposito per coloro i quali
opinano essere il realismo peripatetico all'estremità del
nominalismo, e quindi esser egli stesso un partito, mentre
non è che l'aureo mezzo tra i due estremi, cioè il mo
minalismo e il platonismo; e che appunto per ciò agli
scolastici coraggiosi ed avidi di lotte vien fatto carico di
quello che loro non s'avviene.
I nomi del canonico Roscellin (circa il 1090), di Gu
glielmo di Champeaux (circa il 1100), come quelli po
steriori di Durando (c. 1300) e di Occam (circa il 1330),
appartengono certo alla nomenclatura nei libri della storia;
ma dubito molto che abbiamo mai fatto epoca. Comunque
sia, l'opposizione fu divisa in tante diverse opinioni quante
teste vi furono. Il così detto nominalismo è di varie sorta:
il realismo peripatetico fu sempre uno. Quindi non si di
mentichi che la lotta fra il realismo ed il nominalismo
non può esser detta una consumata degenerazione della
scolastica, perchè egli, diviso per verità specificamente
dalla lotta tra l'idealismo e il realismo, in fondo però
non è altro che un'applicazione speciale della lotta ideo
logica che abantico, almeno da Platone ed Aristotele,
186

i quali la demarcarono in tutta la sua precisione, fin


giù alle nuove recentissime scuole, ha sempre diviso tutte
le teste filosofiche, come un filo rosso materiale che se
para un campo dall'altro. Il falso idealismo in molteplici
forme da una parte, il falso realismo (sensismo, materia
lismo) dall'altra, come sempre fu, così anche adesso costi
tuiscono i due estremi, tra i quali tiene l'aurea via di
mezzo il realismo peripatetico.
Come periodo capitale di rivoluzione per gli sforzi
degli avversari, anche per confessione loro stessa, rimane
l'epoca dopo Cartesio, nella quale Bacone da Verulamio
(1561-1626) fa in certo modo da vanguardia a Cartesio.
Che se voglionsi adottar altri periodi subalterni, con
verrebbe allora cercar tante epoche quanti sorsero uo
mini d'una cotal distinzione; e così dopo Cartesio ogni
uomo che si fece un nome, formerebbe un'epoca. Ogni
suddivisione presuppone un'unità qualunque. Dove non
v'hanno che diversità non si possono dare partizioni. Dal
fin qui detto potrebbe parere che si prenda per unità la
opposizione comune contro la scolastica; ma questa unità
non è che meramente negativa perchè riposta all'infuori
dell'umibile, così come non può risultar l'unità delle diverse
sette protestanti dalla comune loro opposizione alla Chiesa
cattolica. O potrebbe sembrare che in tutte le filosofie dopo
Cartesio si trovi l'unità in ciò, che esse movono tutte
dallo stesso punto di partenza dall'Io, dalla coscienza
di sè. Presa la cosa esattamente anche qui non appare
che una unità negativa. Se la nuova scuola ha preso la
coscienza come criterio, non lo ha fatto prima dell'antica.
Noi vedremo nella Teorica della cognizione che la coscienza
è un vero criterio. Il difetto della nuova scuola sta in
ciò che accetta unico ed esclusivo questo criterio, esclu
187

dendo e negando tutti gli altri criterii, ciò che di na


tura sua la fa diventar falsa. L'unità quindi nel nostro
caso sta solo in una opposizione, poichè pigliar per punto
di partenza il modo o la maniera stessa della propria
coscienza, ebbe tante varietà, quante furono le varietà
dei sistemi ideati. Il a conscientia mei ipsius mihi cer
tissimum » di s. Agostino fu mai sempre accolto da ogni
peripatetico come da ogni onesto filosofo, a condizione
che il superlat. certissimum non sia un superl. relativus
ma un superl. absolutus; il quale non esclude quindi
altri superlativi d'altra specie (1).
Le scuole recenti e recentissime prendono quel su /

perlativo solo come superlativ. relativus ed oltracciò,


ad esclusione di tutti e qualsiansi gli altri po
sitivi e comparativi. Questa tendenza negativa fu
il difetto capitale e fondamentale, che come molla occulta
dell'orgoglio spinse al falso positivo dell'Io per mettere
poi con lui sul trono l'assoluta autocrazia, come la Dea
della ragione o meglio dello sragionamento.
In quanto poi una tale autonimia assoluta dell'Io non
sia stata ridotta a compimento che dopo Kante e Fichte,
e così l'epoca seguente abbia assunto un carattere spe
cificamente diverso dell'antecedente, si può acconciamente

(1) Nulla impedisce di prendere in questo senso la succennata


proposizione di s. Agostino. Del resto s. Agostino aveva d'uopo di
questa verità contro lo scetticismo degli accademici che non
ammettevano altra verità se non quella del dubbio universale. (hoc
unum scimus, nos nihil scire. S. Agostino prese dunque in questo
caso speciale atto di una lor confessione: l'argumentum ad homi
nem: « vos dubitatis – ergo existitis » Era però ben lungi il Santo
di voler con ciò indicare il punto generale di partenza della filo
sofia.
183
dividere colla critica di Kant la filosofia antiscolastica
dominante dopo Cartesio, di modo che si può prender
la prima epoca da Cartesio fino a Kant, la seconda da
Fichte fino al presente. E ciò tanto più perchè il periodo
antecedente a Kant non ebbe altro carattere che lo dif
ferenzii, se non quello di non insultare ancora al ma
teriale positivo contenuto della rivelazione. Di quella guisa
che Cartesio era e rimase cattolico (torneremo su ciò
più tardi) anche la scuola Leibnitz-Wolf volle alla sua
maniera onorare il cristianesimo positivo. Il contenuto
materiale della fede, malgrado l'annessovi principio for
male della fede, sembrava però ancor troppo saldamente
radicato nel cuore con pio e riverente amore, perchè si
volesse senz'altro gettarsi nelle braccia delle nuovissime
frivolezze della libertà di credenze. Questa tendenza pra
tico-religiosa salvò a lungo i tedeschi dagli eccessi dei
sistemi unilaterali francesi ed inglesi, e fu la causa prin
cipale perchè la filosofia di Leibnitz e Wolf, come scuola
Leibnitz-Wolf fosse riguardata a lungo e dappertutto
nelle scuole superiori tedesche come la caricatura della
scolastica.
189
PR OSPETTO.

Filosofia aristotelica Filosofia antiaristotelica.

Da Aristotele fino al pre


sente 2000 anni.

I.0 PERIODO.

Da Aristotele fino a
s. Tommaso
322 a. C. – 1274.

Epoca Prima.
Da Aristotele fino a Giovanni
Damasceno 750.
(Tempo dei Padri).

Epoca Seconda.
D'allora fino a s. Tommaso
1250, cioè 500 anni.
(Tempo della Scolastica).

II.0 PERIODO.

Da s. Tommaso sino al
presente, cioè un periodo di
600 anni. -

- A
Epoca Prima. -

Da s. Tommaso fino alla Da Cartesio fino adesso.


Congregazione de Auxiliis. Epoche subalterne.
1600, 1) Da Cartesio fino a Kant
1650 – 1800.
2) Da allora fino al presente.
Epoca Seconda.
Da allora fino al presente.
190

La scuola peripatetica che dal tempo dei Padri della


Chiesa e della Scolastica vien giù fino al presente, io posso
opportunamente chiamarla la scuola antica, e, rimpetto
a questa, la Cartesiana, che originariamente fondamdosi
in Platone, si trova rappresentata in più o meno nume
rose abnormità da Leibnitz, Wolf, Malebranche, Spinoza,
Hume, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Baader, Günter,
posso chiamarla la scuola muova.
La caratteristica della scuola antica è quindi:
andamento logico – e per conseguenza sicurezza, so
lidità, costanza. Essa presenta la stessa fisonomia in Ari
stotele, Clemente Alessandrino, Agostino, Giovanni Dama
sceno, Anselmo, Pietro Lombardo, Alberto Magno, Bo
naventura, Tommaso, rimanendo sempre uguale a sè stessa.
La caratteristica della nuova scuola è: l'an
damento dialettico – e per conseguenza la nissuna sicu
rezza, le oscillazioni, gli scambii. Essa procede proteiforme,
fazionata in cento modi secondo i sistemi dei succennati
filosofi, l'ultimo che vien dei quali sfata e distrugge quelli
dei precedenti. -

L'aurora d'un miglior periodo pel ritorno alla scuola


antica è già spuntata per la Germania, non però mercè
opere originali tedesche, bensì colla traduzione delle opere
di un sommo spagnolo; vo' dire di Balmes, l'illustre
alunno dell'Ordine dell'Angelo delle scuole (1).
(1) Rapporto alle opere di questo grande ingegno, che non do
vrebbero mancare in nissuna libreria d'uomo colto, molto meno
in quella di nissun teologo, è tuttavia d'uopo far un'osservazione
che raccomando ad un serio esame pratico. Balmes nel suo entu
siasmo per la verità, trovata in s. Tommaso, e per la copia dei
talenti d'abbracciarle questioni tanto speculative che pratiche, non
fu solo chiamato a diventar l'apostolo della Spagna, ma di tutta
191

Nella stessa guisa, accosto a Balmes, dovrei come co


rifeo della vera filosofia nominare il P. Ventura, Teatino,
l'era novella. Egli era pari al suo assunto; tutto era straordinario
in lui. Onde però recarne un giudizio preciso si ponga mente a
quanto segue: Balmes conosceva benissimo l'orrore che ha il nostro
secolo per la Scolastica; egli vide che per quantunque le opere
scientifiche dei templi antichi non abbisognassero che di essere
messe in luce per venir riconosciute come verità, esse però dove
vano, a cagione delle mode nuove a cui il pubblico era avvezzo,
venir esposte con altra forma e con altra veste. Onde raggiunger
lo scopo usò due mezzi: 1) cercò di trascegliere le idee più gene
rali, facendo astrazione dalle più acute e più profonde distinzioni,
perchè riteneva che la nuova era, inesperta qual' è della Scolasti
ca, non valesse ad abbracciare od apprezzare tutta la profondità
delle distinzioni scolastiche. Naturalmente ne temette un dégoit se
avesse voluto dir tutto. 2) Egli adottò un'esposizione oratoria,
fiorita, attraente a petto della forma didascalica degli antichi. La
conseguenza però fu che Balmes non espose esattamente alcuni im
portanti intricati punti di filosofia, ciòè a dire urtò qua e là contro
la dottrina di s. Tommaso. Volendo divenir uomo pratico calò a
far alcune concessioni, che non le si dovevano fare, e si dilungò
da alcune precise idee che sono della più alta importanza. Siccome
questi punti in parte sono di un'estrema difficoltà, così sarebbe inu
tile di venirli ora esponendo. Gli è meglio aquistarne grado a grado
la convinzione nel decorso dell'opera, tanto più che ciò nullameno
io consiglio la replicata lettura di tutte le opere del grande Bal
mes; dopo la quale, se è da farsi, il confronto riuscirà tanto più
utile a dimostrar l'esatta precisione di una più adatta locuzione.
A me parve miglior cosa esponendo ai tedeschi la dottrina di
s. Tommaso, d'esporla con quelle distinzioni ed acute idee colle
quali appunto egli trionfa della falsa nostra nuova dialettica. –
Oltracciò richiamo l'attenzione sopra una serie di articoli in questi
ultimi anni apparsi nella « Civiltà Cattolica - rapporto a s. Tom
maso ed Aristotele e la loro dottrina; come pure sull' opera di
recente stampata, come mi si scrive in questo momento da Roma,
dal Padre Liberatore Gesuita - Della conoscenza intellettuale - Roma
V. I. L'opera vorrebbe essere tutta scritta in senso di tomistico.
192
se in Germania si avesse una traduzione delle sue
opere (1). i

CRITICA SECONDA
CARATTERISTICA PIU' SPECIALE RISPETTO AD ALCUNI
PUNTI CAPITALI,

Da tutto il campo della scienza, fin qui di volo toc


cato, trascelgo due punti centrali, nei quali vanno pre
cipuamente corretti i giudizii, onde aver solidi punti da
cui movere per giudicar rettamente delle altre parti della
materia di cui parliamo, tal quali vengono esposti nei
manuali di filosofia ed altre opere teologiche che trattan
queste cose incidenter ovvero principialiter; ed ai quali
questa prefazione non deve servir che da Vade mecum.
I Padri.
(Fede e scienza).

Di tutto quello che già ebbi a dire sull'epoca ante


(1) La nota antecedente ci spiega in parte i motivi per cui il
P. Ventura non ebbe la stessa diffusione di Balmes. Il Ventura non
si ferma al generale, egli entra nei particolari, epperò è incompa
rabilmente più difficile a leggersi del Balmes. Il Ventura è un genio
che ha la coscienza della sua forza superiore; egli stritola l'av
versario dopo che gli ha dato il colpo mortale. Quegli su cui egli
s'avventa colla terribile sua logica e col peso della sua potente elo
quenza, colui ha certamente tutto a temere. Che poi i suoi scritti
non trovino la meritata diffusione, in parte la colpa è de'suoi av
versarii, i quali basano la loro opposizione su una mala intelli
genza di s. Tommaso, e sopra un deplorabile scambio del vero
tradizionalismo col falso, cioè col tradizionalismo di Bonald. Più
tardi mi diffonderò più a lungo su questa questione tuttora palpi
tante d'attualità in Francia.
193

riore alla scolastica, raccomando di tener ben fissa alla


memoria anzitutto la proposizione: I padri sono la
luce che ci illumina, non siam noi la luce che
deve illuminare i Padri.
Finchè non si corregga la torta idea per la quale si
vuol darsi a credere che gli antichi corifei stessero come
in un'età dell'infanzia della scienza, e si considerano i
tempi moderni come l'età del progresso, del pieno sviluppo,
della virile sapienza, è tutt'opera gettata, perchè il de
mone dell'orgoglio tiene incatenati gli spiriti.
Se alcun però venisse a dirmi che han che fare colla
filosofia i Padri? (coi loro lumi e colla lor scienza re
ligiosa); risponderò tanto più volontieri a quest'obbiezione,
ch'ella ad un tempo mi apre la strada al mio argomento.
L'obbiezione non può partire che da principii pretta
mente cartesiani, che son quelli i quali vorrebbero la filo
sofia divisa dalla teologia, in luogo di distinguere tra
l'una e l'altra. Discuterò più direttamente nel secondo
punto questi principii cartesiani; credo che il necessario
a sapersi, sia già messo in chiaro fin d'ora.
Egli è certo che il lume soprannaturale per le
verità della fede non è legato alle leggi dello sviluppo
naturale delle nostre cognizioni intellettuali. La condizione
essenziale (1) delle verità di fede è: ch'esse appunto
(1) Io dico: - la condizione essenziale, o la s conditio sine qua
non ... Volendo parlar praticamente si può si chiamar la conditio
sine qua non, l'essenziale, la capitale; solo la si deve intendere nel
suo senso giusto. L'essenza del dogma è: ch'egli è una divina ve
rità rivelata. Da ciò ne conseguita da sè stessa quella conditio sine
qua non. Così anche l'authoritas Ecclesiae, o la propositio Ecclesiae
per una verità formale di fede è la conditio sine qua non, non l'es
senza di essa. Benchè nel testo io parli propria mente e
15
194
non possono venir dimostrate, questa è la carat
teristica differenza tra le verità della fede e le verità
della ragione. Dipende unicamente dalla libera imper
scrutabile volontà di Dio il communicarci per benigna
rivelazione quanto e quello che gli pare. Sulle verità di
fede non si ponno fare disquisizioni, cessa ogni dimo
strazione. La ragione delle creature è essen
zialmente, radicalmente subordinata alla ragione divina.
Con altre parole: la filosofia è essenzialmente, radi
calmente subordinata alla divina verità rivelata, alla
fede. Quest'è ragionevole, ed ogni limitazione di questo
principio è irragionevole! -

Inoltre egli è certo: che una verità non può con


traddire ad un'altra verità (a veritas veritati contradi
cere nequit n Conc. Vienn.) proposizione per sè stessa
evidente. La medesima cosa non può ad un tempo es
sere e non essere. Chi con Hegel impugna menoma
mente questo principio è da rilegarsi in un manicomio.
Di più è certo: che ogni verità illumina l'altra, a 33;
uoi toº aró, zai, xrrmao riv ſfi» m Sia quel che si vuole questo
reciproco illuminarsi, più o men chiaro, mediato od im
mediato, più o men mediato in isconfinata concatenazione,
diretto principialmente od indiretto, tutto ciò non urta
col principio: una verità illumina l'altra come il « si m
isolato o tra mezzo a migliaia di limitazioni sempre il
lumina a condizioni pari il suo « no ». Con una sola
verità s'illumina l'intero campo di tutte le verità, per
chè non v'ha verità senza la verità.

direttamente della veritas supernaturalis quoad substantiam, quel


che son per dire val pur anco suo modo della veritas supernat. quoad
modum tantum. Più sotto mi diffonderò in proposito. Si ponga però
mente a questa nota.
195

Da ultimo è certo: che anche la fede divina, la fede


nelle verità rivelate, non deve nè può essere che una
verità ragionevole. La fede non può essere che un
atto di un essere ragionevole. Dove vi è fede vi è ra
gione; – dove non v'ha ragione non v'è fede, ben in
teso che questa ragionevolezza riguarda solo i mo
tiva credibilitatis. Ciò non varia per nulla la nostra pro
posizione: la fede deve essere ragionevole. Qui appar
tutta la stoltezza di voler separare la fede dalla ragione
e conseguentemente dalla filosofia. Dove è fede v'è ragione,
dove è ragione v'è filosofia. La fede presuppone per prin
cipio la ragione, e per conseguenza anche la filosofia ne'suoi
ragionevoli principii.
Certo che se vogliam esser scettici alla foggia di Car
tesio e di Kant, ogni fede è totalmente distrutta. Forse
che le verità di fede giungono a noi per altro mezzo che
per l'udito, pel senso? a Fides eac auditu ! » (s. Paul).
Non si vorrà tuttavia scambiare il principium efficiens
della fede colla conditio sine qua non, o manco scambiar
la gratia interna colla gratia externa.
Ma sta ella, è vera la proposizione a intellectus prae
cedit fidem ? » rispondo: e perchè la non dovrebbe esser
vera? Sì, la è vera, e tanto vera, quanto cosa alcuna
può esserlo. Ma allora sarà falsa la proposizione: a fides
praecedit intellectum ? » rispondo: no, non è falsa, ella
è tanto vera quanto cosa alcuna può esserlo.
Con ciò sono arrivato a quel punto, sul quale volevo
richiamar l'attenzione. Non si sa distinguere; questo è
il gran male, questo è il difetto della scienza moderna:
veder le cose da un lato solo od a mezzo. Quindi è duopo
scender in campo colle più semplici verità elementari,
senza comprendere le ulteriori applicazioni dei principii
196

fondamentali, come le si trovano appo gli scolastici, le


quali ai nostri spiriti forti sembrano tanto più sottigliezze
quanto più organicamente le speciali applicazioni vanno
a legarsi l'una all'altra. Questi crede di porre un gran
motto in fronte al suo libro scrivendovi: a fides praece
dit intellectum, n quegli sceglie la bandiera opposta:
a intellectus praecedit fidem. m Appunto come l'un vuol
caratterizzarsi colle parole: a nil est in intellectu, nisi
prius fuerit in sensu; m mentre l'altro assume per divisa
l'opposto: a nil est in sensu, nisi prius fuerit in intel
lectu; » e allo stesso modo si cita dal primo il medesimo
Padre della Chiesa, come dall'altro il medesimo Aristotele.
Queste son le conseguenze di una dialettica sfrenata e
senza regole: di due verità, l'espression delle quali suona
a parole il contrario, non si sa salvarne l'una senza ab
batterne l'altra; quando con tanta facilità di comporle
possono e debbono esser mantenute entrambe in vigore.
A Roma si ride delle cose che rompono il capo ai dotti
tedeschi! Questo è dir troppo, è esprimersi duramente !
È vero, sì, è troppo e troppo duro! ma si dice ancor
più e in via indiretta ancor più duramente quando
in Germania esce fuori ad ogni tratto qualcuno di nuovo
a farla da dottore sputasenno sulla relazione della fede
colla scienza, come su parecchie altre cose d'ogni ge
mere, quasi le non fossero cose già da lungo tempo de
finite (1).

(1) A modo d'esempio si legga e si ponderi la seguente nota I.


nella Dogmatica di Kuhn, Parte I. pag. 442, e sarà pur forza dire: o
- quest'è la verità in persona, la quale parla quindi come colei
che ne ha il potere; - o dovrassi esclamar: quest'è un capo d'o-
pera di tedesca insolenza ! Ivi dunque è detto: Questa conseguenza
(cioè, se si pretende di dare una rigorosa dimostrazione dell'esi
197

Se v'è alcun che di certo quest'è: che le eran cose


così chiare pei Padri della Chiesa, questi grandi cam
pioni della fede e della scienza, la relazione della fede

stenza di Dio, bisogna ammettere un sapere assoluto e una assoluta


certezza) certamente non fu mai chiara per alcun degli scola
stici, da Anselmo fin giù al Perrone, anzi non l'ebbero mai nem
manco una volta intravveduta (s'ascolti! s'ascolti!) giacchè quando
si dà una prova a priori (seu per causam, com'essi dicono) e non
si sostiene che una prova a posteriori (seu per efectum) si ri
nuncia con ciò stesso all'efficacia di essa ! Noi vedremo nella Lo
gica in quanto possa stiracchiando l'autore della citata nota aggiun
gere all'a priori il « seu per causam » ed all'a posteriori il
- seu per effectur. • A sì buon prezzo non si batte di fronte la
scolastica. Con pari facilità si può ribattere la seguente nota II. ibid.
Nella nota I. p. 445 quando l'autore ci dà il modo aereo da lui preso
per l'interpretazione della demonstratio a simultaneo - non poteva
riuscir più scipito (N.B. questa demonstratio è la demonstratio cir
cularis peripatetica, che si adopera - non in eodem genere causae,
sed in diverso genere causae et in diverso genere argumentationis »).
Nella Logica diremo un po' di più; per ora basti una citazione :
s. Thom. 1. Poster. lect. 8. et 2. lect. 12. Mi giova solo ammonir
in quest'occasione che s. Tommaso, del pari che in generale gli
scolastici, non vanno interpretati secondo il proprio capriccio. La
terminologia dei peripatetici è troppo solida per poterla trattar
come la cera; questa non è cosa che corra nemmen quando si
vuole, come fa colle migliori intenzioni il dottor Kuhn, per render
onor maggiore al gran Maestro, attribuire a lui pensieri ed idee
più acute e profonde. Quanto è degno di lode il signor Kuhn per
la diligenza con cui cita l'Angelo delle scuole, tanto più vorremmo
che non si cercasse mai d'interpretars. Tommaso imprestandogli la
sapienza delle nostre scuole moderne. Egli non ne ha bisogno! Noi
vedremo ben tosto chi abbia bisogno di rivedere e correggere la
teorica della cognizione, se il dottore Angelico o il dottor Kuhn. Il
fin qui detto vale anche per quello che il dottor Kuhn avanza
sulla « Fede e Scienza - come fosse egli stato colui che accese la
fiaccola della luce! - Chef d'auvre de modestiet . Il resto più tardi.
198

colla scienza, ecc. ecc., della teologia colla filosofia, che


noi possiamo a tutta fidanza 'andar da loro a scuola.
Questa è la malaugurata tesi dolorosa: a relazione della
fede colla scienza » che dal tempo della riforma luterana
e cartesiana venne vie vie ventilata, modificata, e di
nuovo voltata e rivoltata, allargata, ristretta, tagliuzzata
a brani a brani e tornata poscia a rifare e connettere
pezzo per pezzo, con tale scolastica sottigliezza e pedan
teria, con di tali grandi e piccoli apparati che a simili
un vero scolastico non avrebbe avuto ricorso giammai.
Non si guarda alla selva che dai puri alberi! alla più
piccola distinzione che si presenta si vuol cercar la so
luzione nella falsità dei principii, mentre si dovrebbe
invece riconoscervi la ricchezza di essi principii. Stabi
lito una volta di caratterizzare la filosofia come famula
alla theologia regina non si lasci per amor del cielo in
durre in errore, perchè questa filosofica ancella a quando
preceda colla fiaccola la regina, a quando la segua ri-º
morchiata. I sentimenti dei Padri, tra coloro che ne hanno
il nome come tali, si riassumono in questi tre testi se
guenti:
1.º Biasimo acerbo della filosofia;
2.0 Grandi lodi alla filosofia;
3.º Grandi elogi e preminenza assoluta della teologia.
Queste son le tre rubriche delle quali si crede dover
mover querela come occasione allo scandalo, (scandalum
passivum) alle difficoltà ! Dal canto mio debbo aperta
mente confessare, che pigliata qualsiasi delle tre rubriche,
non saprei veder come possa prendersi il più piccolo
scandalo o trovarvi difficoltà di sorta. Chi amasse un
buon numero di testi per rinfiancare queste rubriche
non ha che a consultare il III e IV Cap. dei Prolego
meni di Petavio (I 6. de theologicis dogmatibus).
- 199

L'una serie dei testi (in quegli stessi Padri che vanno
messi sotto la seconda e la terza rubrica) è tutta rivolta
contro la pseudo-filosofia, la sofistica, contro la scientia
carnalis et mundana quae non est secundum Christum,
contro la falsa gnosi, contro l'unilaterale ed orgogliosa
filosofia, che o insorge contro o maledice alla fede, vuol
farne oggetto di speculazione scientifica, vuol dimostrarla,
in una parola, sapendolo o non sapendolo, avvisatamente
o nò, distruggerla. In questi testi i Padri sferzano con
tutta l'asprezza che sanno la tralignata filosofia e l'in
vertimento de' suoi principii. Ben a ragione! chi non
farebbe lo stesso? Per me oggidì terrei lo stesso lin
guaggio parlando a proposito della filosofia di Baader,
di Günter e di quant'altri vogliono esaltar la scienza a
spese della fede, e quindi anche a proposito di coloro i
quali colla separazione della filosofia dalla teologia e
colla confusione e scambio dell'una e dell'altra, sotto ap
parenza di scienza, scalzano le fondamenta della vera
scienza. Va inteso in questo senso ciò che dice Tertul
liano: a Plus hominibus nocuit, quam profuit antiqua
philosophia, a qua haereses omnes suboriuntur; haec
omnium errorum genitria, altria, gubernatria, ornatria.
Haereticorum patriarchae fuere philosophi, de quorum
ingeniis omnis haeresis animatur. m E a Quid Athenis
et Hierosolymis? quid Academiae et Ecclesiae? quid Hae
reticis et Christianis? Nostra institutio de porticu Salo
monis est, qui et ipse tradiderat Dominum in simplici
tate esse quaerendum. m (de Praescript. c. 7). O quel
che scrive s. Gerolamo: a Quia istiusmodi virga et ba
culus arundineus est, quem si paululum presseris, fran
gitur, et manum perforat incumbentis. m (in Matt. c. 10).
Ruffino racconta (hist. l. 10, c. 8) che Basilio e Gre
200 -

gorio rinunciarono allo studio della scienza umana per


dedicarsi intieramente allo studio della scienza divina. Si
badi: gli stessi Basilio e Gregorio dei quali abbiam pur
i magnifici passi sull'importanza dello studio filosofico. In
modo simile parla Clemente Alessandrino, che non solo
mostrasi fervido amatore della filosofia, ma dà a divedere
d'essere lui stesso vero ed acuto filosofo. Noi vedremo
tosto con qual sorta d'espressioni ei loda la filosofia, e
ciò nullameno egli ne parla nel VI Lib. degli Stromata
non solo come d'un'ancella al servizio, ma come di cosa
da occuparsene solo come a ristoro di cure più gravi
(causa solum relaaandi animos). Verissimo tutto! la teo
logia è la regina, la filosofia l'ancella, e tuttavia questo
rapporto d'ancella a tal regina è ancor lusinghiero assai
per chi comprende la dignità divina, l'immensa maestà
di tale regima! Chi vorrebbe biasimare un savio padre
di famiglia perchè vegliasse attentamente onde un'a-
mata ed esperta ancella non montasse in orgoglio al
punto di voler porsi al posto della stessa sua moglie?
Se il caso è tale, si cacci Agar da casa per salvar l'o-
more di Sara.
L' altra serie di testi par voglia dire proprio tutto il
contrario. Essi non solo lodano l'utilità della filosofia,
ma parlano in tal guisa anche della sua necessità che
Petavio, il quale vorrebbe pur attingere ogni sua forza
sopratutto dalla teologia positiva, pur fu costretto a eon
fessare: a Verum si paulo attentius intuemur, non de
corem tantummodo affert theologiae disciplinarum ista
rum, praes e rtim philosophiae ac dialectica e
conjunctio, sed usum etiam ac praesidium singulare pe
nitusque necessarium. m –!(Prol. de cath. dogm. c. IV. 6).
e: a Sed morosos illos ac delicatos, quibus philosophiae
201

ac dialecticae subtilitatis genus omne displicet, satis ini


que et importune facere arbitror, qui, quatenus culpandae
sint artes illae et ab comunione christianae sapientiae
Majorum judicio rejectae, vel propter tardi tatem non
in telli g u n t, vel nequiter et c a lu m m io se dissimu
la n t. Qui nunc docendi erunt aut retundendi, wt stulte
molesti e88e desinant, eorum ad qu08 provocant, eaeemplo
theologorum veterum et auctoritate convicti. m (Ibid.
c. III. 9.
Basta sol leggere gli scritti di un Clemente Aless.,
d'un Basilio, d'entrambi i Gregorii di Nazianzo e di Nissa
per deporre non solo ogni angustia, quasi la filosofia sia
un mostro pauroso, ma per usar con tutto il coraggio e
con incrollabile fermezza delle sue armi (1).

(H) Clem. A le ae. (Strom) • Sepimentum est dialectica, me a So


phistis veritas proculcetur;.... sophisticam adversus eam (fidem) in
cursionem imbecillem reddens ac propulsans dolosas contra veritatem
insidias, congruens vineae sepimentum et vallum. m
B a s. (in Isai.): « Vis (δύναμις) dialecticae muri instar est dogma
tibus, quod ea non sinit facile diripi et quorumlibet incursioni patere •.
Gre g Naz. loda s. Basilio (Or. 20.) «... in logicis demonstratio
nibus, in dialectica adeo eaecelluit, ut iis , qui cum eo disputabant,
facilius esset, e labyrintis sese eaetricare , quam argumentorum ejus
laqueos effugere. • Su quelle parole del Wangelo. Luc. 5. • Laaeate
retia in eapturam • scrive s. Ambrogiò: « Quae sunt Apostolorum
, quae laacari jubemtur retia , nisi v er b o r u m c 0 m p l e ac iom es, et
qua si quidam orationis sinus et disputation u m recessus
qui eos quos ceperint non ammitlant. • — S. Agostino (in lib. c. Fe
licem Manich.): « Fidei imperator clementissimus, et per conventus .
celeberrimus popolorum atque gentium, sedesque ipsas Apostolorum
arce a u c l o r ita t i s munivit Ecclesiam , et pa u c iore s p i e do
ctos copiosissimis app a rati b u s et iam in v ictissim ae ra
tionis armavit. Verum illa reclissima disciplina est in arcem fidei
recipi infirmos, (vale a dire un riguardo agli uomini fragili e de
202 r

Se taluno dubitasse menomamente che i Padri greci,


essi sì, fosser inchini ed atti alle speculazioni, non già i
latini, lo consiglierei di porsi a leggere qualcuno dei
tomi in folio di s. Agostino, e vedrebbe s'egli è abile ed
addestrato dialettico. Ma esso dà in pari tempo quella
regola che noi vediamo essere stata sempre religiosa
mente osservata da tutti i Padri, e che d'allora in poi
tenne sempre come regola cristiana in tutte le dispute
scolastiche: a Disputationis disciplina ad omnia genera
quaestionum, quae in litteris sanctis sunt, penetranda et
dissolvenda plurimum valet » scrive egli nel 2. lib. de
Doctrina chris. cap. 31. Questo è lo spirito dei Padri. La
santa serietà che traspira da ogni loro linea, qual era ri
chiesta dalla santa loro missione, è incompatibile collo
spirito di contesa, l'ostinazione, la sofistica. Quanto più
son alieni da questa specie di filosofia, tanto più sanno
apprezzare e trattar la vera dialettica. Del resto io non
ho difficoltà alcuna a convenire che i Padri greci avessero
un maggior talento naturale dei latini per la specula
zione. Ma se la scuola romana-africana instò e innalzò

boli), ut pro e is jam in tuto positis fortissima ratione


pugneturn. In questo passo s. Agostino mostra d'aver assai bene
compreso il rapporto tra la fede e la scienza, e s' osservi per di
più che i Padri compresero chiaramente la cosa anche per rispetto
all'espressione. Ratio et auctoritas! non vuol pur dire altro,
che: Scienza e Fede ! –
S. Gerolamo (ad Paul.) commenda come lodevolissimo il libro
di Giobbe: « In eo Job omnes leges Dialecticae, propositione, assum
ptione, conclusione determinat, - e lo stesso, in Epis. (ad Magn.) dopo
aver enumerati parecchi Doctores scripturae, dice:... qui omnes in
tantum philosophorum doctrinis atque sententiis suos resperserunt li
bros, ut nescias, quid in eis primum mirari debeas, utrum erudi
4ionem saeculi, vel scientiam scripturarum n.
203
con tutte le sue forze il dogma positivo, ciò prova tanto
poco contro l'ammissibilità, l'utilità, la necessità della fi
losofia, come nulla prova l'ammonimento di tener alta la
testa contro la necessità dei piedi; o l'esortazione di
aver cura dell'anima immortale non del corpo perituro,
nulla prova contro la necessità del corpo e del suo nu
trimento. -

Questo è quanto si contiene nella terza serie dei testi,


nei quali i Padri unanimi consensu provano che hanno
perfettamente compreso il dogma come verità non dimo
strabile e come quella più alta sapienza celeste, alla
quale ogni scienza dell'umana ragione è assolutamente
subordinata, in confronto della quale ogni scienza umana
foss'ella la più profonda, è l'immagine dell'ombra della
scienza. Il dogma è per loro la divina infalli
bile scienza! Questo è ciò ch'essi sostengono con
tutta la risolutezza, le forze e un santo ardore. Questo
è il sacro gioiello, portato dal cielo, suggellato col san
gue del Redentore, per la conservazione e tutela del
quale comandano di dar il sangue e la vita, ed essi stessi
li danno. In tutte le scientifiche loro esposizioni non di
illſ menticano mai la radicale distinzione tra Dogma e Ve
iº rità della ragione. Il primo dei loro scritti, il centro
ſei intorno al quale tutto si aggira, è il Simbolum. Di questi
ne troviam diversi presso i Padri: ma in che consiste
la diversità? in null'altro che in una più o meno diffusa
spiegazione del Simbolum Apostolicum. Essi chiamano il
Simbolum la a regula fidei n come dice s. Ambrogio in
nome di tutti (in Ps. 116): Ianu a nostra fides
est ! (1)
(1) Questa fede non ha nulla che fare colla dimostrazione Fi
des non in quaestione philosophiae est sed in Evangelii doctrina -
204
E, gran mercè, come mai potrebbe la cosa incontrar
difficoltà alcuna, dopo che gli Apostoli si sono su di
ciò espressi con tanta chiarezza e precisione? Le tre
serie di testi da me qui addotte rispetto ai Padri, s'av
verano nella stessa maniera affatto presso gli Apostoli,
come del pari presso tutta la serie dei sommi Pontefici
giù per tutti i secoli fino a Pio IX, i quali tennero tutti
lo stesso linguaggio, rispetto alle tre serie di testi origi
mali apostolici. S. Paolo chiama la dottrina divina ch'egli
annuncia: a columna et firmamentum veritatis m (I. Tim.
3, 15) e mette in guardia della falsa gnosi a quae non
est secundum Christum n (Col. II. 8). Egli vuole incom
dizionatamente cattivata la ragione in ossequio alla fede
(a in captivitatem redigentes omnem intellectum in obse
quium Christi » II. Cor X. 5.) e cionullameno dice della
fede queste parole: a Graecis ac Barbaris, sapientibus
et insipientibus debitor sum » (Rom. I. 14) – a Uni
Ilario (in 1 ad Constant. August). « Evangelio non crederem nisi me
Ecclesiae moveret auctoritas - s. Agostino (c. Manich. c. 5) – « Non
enim natura inferior causam naturae potioris intelliget, ne c su bj a cet
humanae conceptioni ratio coelestis. Ilario (l. 10 de Trin.) – - Ratio
coelestis in tantum intelligenda est, in quantum se permittit intelligi;
in tantum ea petenda est, in quantum apprehendendam se dedit» (Ibid).
– Cesset deinceps curiositas; quippe ultra intelligentiam ac sermo
nem divinitas consistit . Cirillo ( dial. 5 de Trinit.) – Greg. Naz.
(in orat. 26) loda colui che è riservato nel suo discorso su Dio ;
indi fa dire all'avversario: « quid igitur? num de Deo prorsus ta
cebimus? e Gregorio gli risponde: « Non te jubeo tacere sed non
.praeter legem docere. - Come sappia distinguere s. Agostino, lo si
rilevi dal seguente passo: « Long e aliter se habent quaestiones istae,
quas esse praeter fidem arbitratur, quam suntillae, in quibus salv a fide
qu a Christian i su m us, aut ignoratur, quid verum sit , et sen
tentia definitiva suspenditur, aut aliter, quam est, humana et infirma
suspicione conjicitur » (De pecc. orig. c. 25).
205

cuique autem datur manifestatio spiritus ad utilitatem:


alii quidem per Spiritum datur sermo sapientiae, alii
autem sermo scientiae secundum eumdem Spiritum; alteri
fides in eodem spiritu etc. a (1. Cor. 12, 7) – a Spiri
tualis homo judicat omnia! » (1 Cor. 2) come è detto
nell'Eccli. 39: a Occulta proverbiorum ecquiret (sapiens)
et in versutias parabolarum simul introibit. »
Mentre l'apostolo ci parla di tal modo della vera sa
pienza, ci mette in guardia ad un tempo della falsa.
« Hoc autem dico, ut nemo vos decipiat in sublimitate ser
monum m – a videte ne quis vos decipiat per philoso
phiam et inanem fallaciam secundum traditionem homi
num, secundum elementa mundi, et non secundum Chri
stum m (ad Col. 2. 4. e 8.) a ut jam non simus parvuli
fluctuantes, et circumferamur omni vento doctrinae in
nequitia hominum, in astutia ad circumventionem erroris»
(ad Ephes IV. 14). A fronte dell'umana sapienza egli ce
lebra ed esalta sempre e dappertutto il dogma come pa
rola di Dio: « Gratias agimus Deo, quoniam cum ac
cepissetis a nobis verbum auditus fidei, accepistis illud
non ut verbum hominum sed sicut est vere v er
bum Dei, qui operatur in vobis qui credidistis» (1 Tess.
2, 13). A fronte di questa sapienza divina, vuol nondi
meno l'Apostolo la sapienza della ragione, e dice ai pagani
appunto ch'eglino non sono scusabili. a Ineccusa
biles sunt. . . . invisibilia enim Dei per ea quae facta
sunt, intellecta conspiciuntur » (Ad Rom. 1). S. Pietro
scrive alla stessa maniera. Giova l'osservare che i Padri
hanno parlato, come prima di loro han parlato gli Apo
stoli; e come quindi gli Apostoli furon la luce dei Padri:
così questi lo sono per noi, come lo esprime il Ponte
fice s. Leone (in serm. 1. in Nat. App. Petri et Pauli)
206

a . . . . sed in horum eccellentia Patrum (cioè i due


Principi degli Apostoli) merito est eacellentius gloriandum
quos gratia Dei in tantum apicem inter omnia Ecclesiae
membra proveacit, ut eos in corpore, cui caput est Chri
stus, quasi gem inum constitueret lumen oculo
rum. » Così piacesse a Dio che noi giungessimo una
volta a riguardar questo, proprio come lumen oculorum,
ch'esser devono i Padri per noi, non già come un cre
puscolo che per rapporto ai principii vuol primamente
ricevere la diritta luce dalla nostra sapienza! La Chiesa
ha voluto sempre mai che si riguardassero i Padri come
tali non solo per ragion d'ordine cronologico, ma bensì
secondo l'ordine scientifico. In prova di ciò possono ci.
tarsi i documenti di tutte le Assemblee ecclesiastiche e
i Decreti di tutti i Papi. È noto a tutti il a Nihil inno
vetur. m – a retineatur quod traditum est! » nella
bocca dei Vicarii di Cristo. Che se alcuno vorrà pren
der quelle parole in un senso retrivo, e frantenderle ad
arte, non avrà con ciò guadagnato altro che di mettere
non solo alla gogna i suoi sentimenti cattolici, ma dimo
strato anche la sua insufficienza a diventar mai un cam
pion della scienza. La Chiesa ha mai sempre provato
colle sue cure d'ogni maniera ch'ella è ben lungi dal
volere uno stato stazionario, manco poi che la scienza
resti ad un periodo d'infanzia. « Ad teologicae profes
sionis studium aliqui destinentur qui cum edocti fuerint,
in Dei Ecclesia velut splendor fulge ant firma
menti: ea quibus postmodum copia possit haberi Do
ctorum, qui velut stellae in perpetua saetern itate s
mansuri, ad iustitiam valeant plurimos erudire! m Questo
Decreto del Pontefice Onorio inserto nel Jus Canonicum
esprime esattamente la pratica costante della Chiesa. È
207

cosa superflua l'addurre altre testimonianze; mi appello


a quelle Bolle pontificie colle quali vengono messi can
dellieri sul moggio, come Dottori, quei campioni che più
furono specchiati per santità e dottrina. Questo fatto è
la prova migliore del come vuol la Chiesa sia inteso il
a nil innovetur! » a Ne quid nimis! » Questa è l'aurea
regola, la regola della sapienza, perchè regola della ve
rità. – a Est modus in rebus, sunt certi denique fines »
era cosa già nota a Orazio pagano. -

La dottrina dei Padri sulla fede e la scienza, o sulla


teologia e filosofia, dottrina che si fonde con quella del
l'Apostolo stesso, potrei convalidarla con una serie con
tinuata di Pastorali pontificie, le quali dicono tutte affatto
precisamente lo stesso. In luogo di tutte cito solamente
l'Enciclica di Pio IX che può valer come modello di tutte
le altre. L'importanza dei corollarii a favore della filo
sofia che son per dedurre dal fin qui detto, richiede che
la stessa sia stabilita nel modo più positivo e sicuro. Non
si lasci rincrescere di leggere ponderatamente questa
Encyclica. Ella può essere per l'appunto indicata come
un'accurata esposizione dei rapporti tra fede e scienza.
Pii IX Encyclica ad Patriarchas, Primates, Archiepisco
pos, Episcopos d. 9 Nov. 1846. « Noscitis, Venerabiles
fratres, infensissimos christiani nominis hostes, caeco.
quodam insanientis impietatis impetu misere raptos, eo
opinandi temeritate progredi, ut inaudita prorsus auda
cia, aperientes os suum in blasphemias ad Deum (Apoc.
13, 6) palam publiceque edocere non erubescant, commen
titia esse et hominum inventa sacrosancta nostrae reli
gionis mysteria, catholicae Ecclesiae doctrinam humanae
societatis bono et commodis adversari, ac vel ipsum Chri
stum et Deum eſurare non ectimescant. Et quo facilius
208
populis illudant , atque incautos et imperitos decipiant
et in errores secum abripiant, sibi unis prosperitatis vias
notas esse comminiscuntur, sibique philosophorum nomen
arrogare non dubitant, per in de quasi philosophia»
quae tota in naturae veritate investiganda ver8atur , ea
respicere debeat , quae supremus et clementissimu8 ipse
totius naturae auctor Deus singulari beneficio et miseri
cordia hominibus manifestare est dignatus, ut veram ipsi
felicitatem et salutem assequantur. Hinc praepostero sane
et fallacissimo argumentandi genere numquam desinunt
humanae rationis vim et eaecellentiam appellare, eaetollere
contra sanctissimam Christi fidem, atque audacissime blat
terant, eam humanae refragari rationi. Quo certe nihil de
mentius, nihil magis impium, nihil contra ipsam rationem
magis repugnans fingi vel eæcogitari potest. Etsi enim fides
sit supra rationem, nulla tamen vera dissensio nullumque
dissidium inter ipsos inveniri unquam potest, cum ambae
ab uno eodemque immutabilis aeternaeque veritatis fonte,
Deo O. M. oriantur, atque ita sibi mutuam opem ferant,
ut recta ratio fidei veritatem demonstret , tueatur , de
fèndat; fides vero rationem ab omnibus erroribus liberet
eamque divinarum rerum cognitione mirifice illustret, con
firmet atque perficiat. Neque minori certe, Venerabiles
fratres, isti divìnae revelationis inimici humanum pro
gressum summis laudibus efferentes , in catholicam reli
gionem temerario plane ac sacrilego ausu illum inducere
vellent, perinde acsi ipsa religio non Dei, sed hominum
opus esset, aut philosophicum aliquod inventum, quod hu
manis modis perfici queat. In istos tam misere delirantes
percommode quidem cadit, quod Tertullianus sui temporis
philosophis merito ea probabat : qui s toi c u m , et Pla
tomicum et dialecticum ch istianis mum protu
209

le r u n t (de Praescript. c. 7.). Et sane, cum sanctissima


nostra religio non ab humana ratione fuerit inventa, sed
a Deo homìnìbus clementissime patefacta , tum quisque
vel facile intelligit , religionem ipsam eæ ejusdem Dei
loquentis auctoritate omnem suam vim acquirere , neque
ab humana ratione deduci aut perfici umquam posse. Hu
mana quidem ratio ne in tanti momenti negotio decipia
tur et erret, divinae revelationis factum diligenter inqui
rat oportet, ut certo sibi constet, Deum esse loquutum ,
ac eidem , quemadmodum sapientissime docet Apostolus ,
rationabile obsequium eaehibeat (Rom. 13, 1.) Quis
enìm ìgnorat vel ignorare potest, omnem Deo loquenti
fidem esse habendam, nihilque rationi ipsi magis consen
taneum esse, quam iis acquiescere firmiterque adhaerere,
quae a Deo, qui nec falli nec fallere potest , revelata
e88e constiterit ? — Sed quam multa, . quam mira ,
quam splendida praesto sunt argumenta , quibus huma
ná ratio luculentissime evinci omnino debet, divinam
esse Christi religionem et om n e dogma tum nos tro
rum prá nc ip i wm r a dicem de super eæ coelo r u m
Domino accepisse (Chrysost, hom. 1. Is.) ac propte
rea nîhîl fide nostra certius, nihil securius, nihil sanctius
eaetare et quod firmìorìbus innitatur principiis. Haec sci
licet fides vitae magistra, salutis indeæ, vitiorum omnium
eaepultriæ ac virtutum faecunda parens et altriae, divini
sui auctoris et consumatoris Christi Jesu, mativitate, vita,
morte, resurrectione, sapientia, prodigiis, vaticinationibus
confirmata, supernae doctrinae luce undique refulgens ac
coelestium divitiarum ditata thesauris, tot prophetarum
praedictionibus, tot miraculorum splendore, tot martyrum
constantia, tot sanctorum gloria vel maæime clara et in
signis, salutares proférenis Christi leges ac majores in dies
- A&
210

eæ crudelissimis ipsis persecutionibus vires acquirens ,


universum orbem terra marique, a solis ortu usque ad
occasum, uno Crucis veaeillo pervasit, atque idolorum,
profligata fallacia, errorum depulsa caligine, triumpha
tisque cujusque generis hostibus , omnes populos, gentes,
nationes, utcumque immanitate barbaras ac indole, mori
bus, legibus, institutis diversas, divinae cognitionis lu
mine ìllustravit atque suavissimo ipsius Christi jugo sub
jecit, annuntians omnibus pacem, annuntians bona. Quae
certe omnia tanto divinae sapientiae ac potentiae fulgore
mundique collucent, ut cujuscumque mens et cogitatio vel
facile intelligat, christianam fidem Dei opus esse. Itaque
humana ratio eæ splendidissimis aeque ac firmissimis
argumentis clare aperteque cogno8cens, Deum ejusdem fi
dei auctorem eæistere , ulterius progredi me quit, sed
quavis difficultate ac dubitatione penitus abjecta atque
1'emota, omne eidem fidei obsequium praebeat oportet, cum»
pro certo habeat a Deo traditum esse , quidquid fides
ipsa hominibus credendum et agendum proponit m.
Io riassumo il detto in una rjflessione concernente i
Padri e momimativamente rispetto^ a S. Agostimo: questi
come pumto culminante, come rappresentante dell' epoca
patristica, merita speciale attenzione. *

a). Come suppone la citata Eciclica del supremo Pastore,


im parte implicite, im parte eæplicite: tutti i Padri rico
moscomo ad um modo gli 'stessi criterii per la filosofia
(ratio naturalis) e per la teologia. In nome di tutti i
Padri trascelgo un testo da Clemente Aless. (2. Strom):
« quatuor sunt genera cognitionis, in quibus inest verum:
sensus, intelligentia, scientia, opinio. Ea: quibus natura
prima est in telligen tia, tametsi, si nostri ratio duca
tur, eam sensus an te cedat. Eae sensu porro et intelli
- 21 1
gentia scientiae constat natura ac comunis est intelligentiae
cun sensibus evidentia. Sensus vero gradus est ad scien
tiam. Fides praeterea, per ea, quae percipiuntur sensu,
progressa, relinquit opinionem, et tendit ad ea , quae
mendacio carent, ut maneat in veritate. n. Questa fede è
quindi naturalmente doppia: la fides humana e la specifica
mente diversa fides divina. Quì son dati cumulativamente
i principii e i criteri per le verità naturali e sopranna
turali: i sensi (esterni ed interni – la coscienza) l'evi
denza, l'autorità (divina, umana). Questi criterii sono
i medesimi presso tutti i Padri. Nè ciò solo; anche il
loro rapporto dell'uno all'altro è presso tutti lo stesso
affatto, come lo fu sempre mai statuito nelle scuole pe.
ripatetiche: l'evidenza dei sensi è la base precedente (fi
des ea auditu) ed indi segue l'evidenza intellettuale che
sta da sè. Si vorrà di leggieri intendere come ogni
principio susseguente e criterio che sta da se ne presup
pone tuttavia un altro, per modo che tolto quello tutto
vacilla. Così Tertulliano prova (l. De an. c. 17) che a
tutta vacilla la Fede cattolica tosto che vien rigettata
l'evidenza e il criterio dei sensi » poichè: a fides ee au
ditu. » Chi revoca in dubbio la realtà o l'importanza
dell'attività dei sensi, ruina nel punto stesso la Chiesa
cattolica, la rivelazione divina, i motiva credibilitatis, la
fede divina. Questa fede divina, sebbene esista e sussista
per forza propria e grazia, suppone tutto quanto la
precede. Con ciò son dati i tratti fondamentali di tutta
la filosofia peripatetica e tomistica, non solo riguardo alla
filosofia per sè, ma anche riguardo al suo rapporto alla
teologia. « Principia demonstrari nequeunt » dice Cle
mente Aless. ( 2 Strom.) e con lui lo dicono tutti i Pa
dri. a Principia denonstrari nequeunt, negue debent n
212
dice l'Angelico Dottore s. Tommaso. a Dogma (revelatum)
non debet demonstrari sed credi n predicano tutti i Padri.
a Dogma habet rationem principii, ideoque non debet de
monstrari , neque potest » dice l'Angelico Maestro. Onde
attenendosi alla proposizione definita dalla Chiesa, (Conc.
Viennese e Laterano): a veritas veritati contradicere ne
quit » che la scuola peripatetica ha mai sempre ferma
mente professata, e tutti i Padri han sempre sostenuta
in teoria ed in pratica, non riman più affatto alcun du
bium rispetto al rapporto della fede colla scienza, della
teologia colla filosofia. -

b). L'altra riflessione concerne il grande Agostino, in


quanto si prese principalmente da esso occasione d'accu
sare i Padri di Platonismo. Se col platonismo non vuolsi
intendere altro che la forma oratoria, disinvolta, sfog
giata d'esposizione, rimpetto al semplice, preciso, arido
linguaggio dei peripatetici, io non ho nulla a ridirvi;
ma se voglionsi intendere col platonismo date idee in
tutta la loro ampiezza, esposte e spiegate in tutta la loro
pienezza e magnificenza, allora non solo son platonici i
Padri, ma tutti i Dottori cristiani, in quanto essi non
trovano le idee cristiane, ma spiegano le idee già positi
vamente stabilite. Ogni positivo predicatore cristiano sa
rebbe quindi platonico.
Se però si vuol intendere sotto il platonismo la fi
losofia platonica, che s. Agostino avrebbe seguita, ciò non
lo si può nullamente sostenere semza la più crassa igno
ranza della cosa. Ciò è del tutto falso, sebben sia vero, ve
rissimo che s. Agostino conosceva a fondo la filosofia pla
tonica, e certo meglio di qualsiasi platonico con cui abbia
avuto a contendere, divenuto che fu cristiano, onde infiam
marlo di amor cristiano colla dottrina di Cristo. (Nel 2. de
213

in Doct. christ. c. 40) scrive Agostino: a Qui philosophi vocan


i". tur, si qua forte vera et fidei nostrae accomoda diacerunt,
i ab eis tanquam ab injustis possessoribus in usum nostrum
0, ſi vendicanda sunt. Habent enim doctrinae Gentilium quae
le dam simulata et superstitiosa figmenta, quae unusquisque
Cºri e
nostrum de societate Gentilium eaciens debet evitare etc. ,
i Le quali parole commentando s. Tommaso aggiunge:
ºstº", u et ideo Augustinus, qui doctrinis Platonicorum imbutus
li fuerat, si qua invenit fidei accomoda in eorum dictis,
a, º assumpsit; quae vero invenit fidei nostrae adversa, in
melius commutavit » (Sa. p. 1. q. 84. a. 5) S. Ago
si i stino, come fecero tutti i Santi e specialmente s. Tom
di maso, interpretò secondo le leggi della carità cristiana
ill ri ogni scrittore, anche il nemico più perfidiante. Quest'era
a, i ottima cosa, era cosa cristiana! Or quando Agostino dice
a!

, in
a tanta vis in ideis constituitur, ut nisi his intellectis,
fir sapiens esse nemo possit » (in l. 83. Qq. q. 46) non lo
il dice menomamente come cosa platonica, ma lo dice da
li " vero acutissimo filosofo qual era. Ogni peripatetico dice seco
ti: lui la cosa stessa. Eppur, si dice, la filosofia peripatetica
si º non vuol saperne di idee! Finchè non sia tolta questa
l
lercia ignoranza della filosofia peripatetica, sarà fatica
al 5 gittata anche lo sforzo di voler indicar come filosofi cri
stiani i Padri. Si noti quindi una volta per tutte che io
) l; m'accingo all'esposizione della filosofia peripatetica ri
i ſi spetto alle idee, secondo l'assunto accordato da tutti ad
una voce sola: esser la dottrina delle idee, l'ideologia,
f0, º
l'importantissima, la magnifica, non che il trattato fon
iº damentale di tutta la filosofia peripatetica. La scuola to
mistica recasi a vanto d'aver nel suo grande Maestro
s. Tommaso, il più fedele discepolo e commentatore di
s. Agostino, Vuolsi strappar s. Agostino ai peripatetici,
214

cioè alla scuola peripatetica, via si mostri che s. Ago


stino abbia ammesso a le idee innate » (1). Io non ho
potuto trovar cosa in s. Agostino che non si possa e si
debba spiegare in quel senso che vi dà l'ideologia di
s. Tommaso. Le fonti della verità son presso lui le stesse
affatto, come noi già vedemmo presso i Padri. Rispetto
agli altri Padri non v'è bisogno d'altro discorso. Quan
d'uno conosce bastantemente i Padri a segno di poter
giudicare della loro filosofia, questi conosce con ciò cer
tamente anche s. Tommaso. Egli l'ha trovata nei Padri
la sua filosofia; e la Chiesa ha reso testimonianze quanto
basta alla sua filosofia per poter dire: la filosofia tomi
stica, (la scolastica) è quella dei Padri, è la filosofia
della Chiesa, – è la filosofia cattolica.
Conchiudendo questo discorso sulla relazione in gene
rale della fede colla scienza, cito un passo d'uno scola
stico, fedele tomista, in cui è in brevi parole espressa
intera la norma qual si trova appo tutti gli scolastici e
tutti i Padri. a Philosophia considerari potest in triplici
statu: 1.º ut inimica fidei; 2.º ut praesumptuosa mysterio
rum fidei arbitra ; 3.º ut humiliter captivata in obsequium
fidei. Primum statum habuit olim in philosophis Genti
libus, qui abutebantur rationibus philosophicis ad im
pugnandam fidem. Secundum statum habet in quibusdam
ha ereticis, qui volunt metiri per rationem ea, quae sunt

(1) Nel caso vi fosse ancor taluno che dubitasse d'ammettere quanto
abbiam qui detto in proposito di S. Agostino, reco qui la seguente
ritrattazione di Lui: « Laus quoque ipsa, qua Platonem vel Platoni
cos sive Academicos philosophos tantum extuli, quantum im pios
homines non opportuit, non im merito mi hi displicuit, prae
sertim contra quorum errores magnos defendenda est christiana
doctrina » (Retract. l. I. c. 1). -
215

fidei. Tertium vero statum habet in doctoribus Cattoli


cis, qui utuntur philosophia non ut arbitra, sed ut pe
dissequa fidei. Quidquid ergo invenitur in Patribus
contra philosophiam, procedit de ìlla sumpta vel ut erat
in Gentilibus philosophis oppugnatriae fidei, vel ut in hae
reticis est fabbricatriae fallaciarum et superba mysterio
rum arbitra. Caeterum, ut in Catholicis doctoribus hu
militer captivatur in obsequium fidei, Patres eam laudant,
solique haeretici eam timent ac vituperant, sicut lupi
canes; . . . non enim philosophia peperit haereses , nec
astutias illas, quibus praecepta Dei eluduntur, sed humana
superbia vel malitia abutens philosophia. Quid autem
tam 8anctum et tam utile, quo malitia hominis non pos
sit abuti? Haeretiei abutuntur sacris Scripturis et tamen
sanctissimae sunt. Illae autem strigosae , spinosae , ina
ne8 et minime necessariae quaestiones, quas dicunt phi
losophiam inveaeisse in doctrina fidei, sunt veluti luaeu
riantis hujus utilissimae arboris rami , qui si minu8
fructuosi deprehendantur, 8 a pien te r re se c a ridi sunt
ipsa tamen a rb o r servanda et non propterea eradi
canda. » (Goudin O. P. P. ph. proleg. § 3) (1).
DES CARTES.

Come ebbimo già ad osservare, con Des Cartes (Car


tesio) imcomincia la sciagurata scuola muova. Ora però
essendo assai diversi i giudizii che si portamo di Cartesio,
anzi il giudizio degli uni suomamdo precisamente l'opposto
di quello degli altri, e tra gli stessi cattolici come tali
(1) Mi diffonderò più ampiamente e con maggior esattezza sulla
relazione della fede e scienza mella Teorica della cognizione, mon
che nella dissertazione ehe qui tien dietro sui principii Cartesiani.
216

vigendo diverse opinioni, altri ritenendo per abbastanza


innocui i principii cartesiani, anzi Cartesio come un eroe
della sapienza, altri invece ritenendolo come colpevole
di tutto e designandolo come il patriarca della rivoluzione
filosofica, egli è ben ragione, poniamo a Cartesio una
particolare attenzione.
Osserviam anzi tutto che la Chiesa ha messe all'im
dice le opere di Cartesio colla formula: a donec corrigatur m
Questa formula può aver doppio senso: 1. che vi si trova
qualche cosa a correggere; 2. che le opere sono capaci
ancora di correzione. Se non si fosse verificato quest'ultimo
caso, la Chiesa avrebbe ommesso il a donec corrigatur. »
come adopera con quelle opere che bisognano di tal cor
rezione che renda l'opera una cosa nuova, un'altra di
versa dalla corretta. Onde però non si dia troppo poco
peso al a donec corrigatur, m giovi l' osservar che la
Chiesa trattandosi giudicar di opere scientifiche usa mel
l'esprimersi di quella mitezza maggiore che può, onde
lasciar tutto il campo possibile alla libera investigazione
nelle sfere scientifiche. -

Se a taluno paresse strano ch'io incominci la critica


di un'opera puramente filosofica, colla censura della
Chiesa, quindi di un'autorità estranea al campo della
filosofia, spero che proseguendo nella lettura di questa
critica troverà da sè chiara l'insussistenza di questa ob
biezione, la quale non può venir che da principii carte
siani, che siam tosto per vedere come sieno circoscritti
e totalmente insussistenti.
Con questa osservazione preliminare ho già accennato al
difetto radicalissimo della filosofia cartesiana, divisione
cioè della filosofia dalla teologia, della scienza dalla fede.
Quì è la schifa piaga, l'ulcera, la mortale gangrena dei
- 217

filosofemi cartesiani. Questo restò il principium movens


di tutta la nuova scuola da Cartesio in poi! questo fu
lo sciagurato colpo di mano, con cui lungo il secolo si ri
dusse in atto la rivoluzione filosofica; questa la sciagu
rata divisa che da Cartesio in poi fu lo svergognato ves
sillo degli scienziati rivoluzionarii, quella fatale bandiera
che trasse in rovina le poderose legioni. « Vare, Vare, redde
mihi legiones meas » potrebbe gridar la Chiesa a Cartesio.
Esaminiamo più davvicino la cosa. Divido la critica in
due parti: 1. difesa; 2. accusa. Prego si badi bene a questa
divisione, poichè con essa vien ad un tempo ad essere sciolta
la questione: come mai cattolici e buoni cattolici abbiam
potuto lasciarsi ire a giudizii così opposti su Cartesio.
La difesa, a dir vero, propriamente non riguarda che
la persona, le intenzioni di Cartesio, e quindi la potrei
quasi lasciare affatto; imperocchè nel campo della verità
che cale a me della personalità, delle intenzioni di uno?
Foss'anche un empio che dice la verità, ella resta pur
sempre verità, e come tale ha lo stesso pregio e valore
tanto sulle labbra di lui che su quelle del giusto. E fosse
egli un santo colui che dice un errore, quest'errore non
ha maggiore giustizia nella sua bocca, di quello ne abbia
nella bocca di un ingannatore. Si consideri quì la verità
in tutta la sua potenza, nel suo vero valore prima di dar
di piglio alla spada della giustizia. Colla verità non si
scherza, ella è la più seria delle realtà. Quanto è deplo
rabile cosa cadere nel campo della menzogna, tanto più
felice è colui che ama la verità, la cerca, e dietro la sua
norma parla ed opera.
Vedrassi tosto come quest'osservazione, rispetto all'alta
importanza della verità, debba gravitar sul guscio della
bilancia, quando hassi a parlar di Cartesio. Egli disse
218 -

a chiare note non bastare a lui la filosofia d' allora (la


scolastica, la peripatetica, la tomistica); egli volse con
tutta la serietà il pensiero alla verità, stimò di dovere
e poter aprir altra via alla filosofia. Egli era nato cat
tolico, e certo era buon cattolico, nè volle romperla colla
fede, e scrive. (Prima phil. 1. c. 70): a Praeter coetera
autem memoriae nostrae pro summa regula est infigendum,
ea, quae nobis a Deo revelata sunt, et quamvis forte
lumen rationis quam macime clarum et evidens aliud
quid nobis suggerere videretur, soli tamen auctoritati
divinae potius quam proprio nostro judicio fidem esse
addendam. Sed in iis, de quibus fides divina nihil nos
docet, minime decere hominem philosophum, aliquid pro
vero assumere quod verum esse numquam perspecit, et
magis fidere sensibus, hoc est, inconsideratis infantiae
suae judiciis quam maturae rationi. » E c. 28. a Si
forte nobis Deus de se ipso vel aliis aliquid revelet, quod
naturales ingenii nostri vires eaccedat, qualia jam sunt
mysteria Incarnationis et Trinitatis, non recusabimus illa
credere, quamvis non clare intelligamus. » Inoltre sog
giunge d'aver discussa tra sè e sè accuratamente la que
stione della religione e della fede, prima d'avventurarsi
nel campo della filosofia. Indi egli si prefigge certe leggi
che gli debban servire come di stella polare a guaren
tirlo di smarrirsi nel labirinto delle filosofiche investiga
zioni: 1. d'essere obbediente alle leggi ed alle costumanze
del suo paese; 2. d'essere fedele alla religione in cui
fu allevato; 3. di scegliere sempre l'opinione moderata;
4. di perdurare costantemente nella condotta che una volta
si è scelta; 5. di cercare assai più di vincere sè stesso
che non di correr dietro ai beni di fortuna. Questi sono
i principii dei quali Cartesio si arma prima di scendere
219

nella palestra della filosofia. Se dessi faccian più onore


al suo cuore che al suo intelletto, o se con essi faccia
onore all'uno non meno che all'altro, il lettore lo vedrà
tosto da sè; così come vedrà che è qui dove trovano il
loro punto d'appoggio coloro i quali voglion diffendere
la rettitudine e il sentimento cattolico di Cartesio. Dal
canto mio io non dubito punto delle oneste intenzioni di
Cartesio vuoi in fatto di religione, vuoi di filosofia; ma,
anco una volta, che cale a me delle oneste intenzioni?
Qui non si tratta della veritas in loquendo, ma sì della
veritas in cognoscendo. Foss' egli Cartesio un santo, ciò
non torrebbe di riguardar la cosa, dal lato intellettuale,
secondo la buona logica.
Che abbiasi a pensare poi della grandezza del genio
di Cartesio, lascio che il lettore lo conchiuda di per sè.
Egli è certo intanto che uno può essere un genio nella
matematica, senza perciò esserlo ad un tempo anche in
filosofia. Così come sta che uno può essere per mirabili
concatenazioni di circostanze e felici combinazioni di doti
il corifeo del suo tempo, anzi di tutto il secolo, senza me
ritar d'essere mobilitato col predicato di a grande ».
2. Accusa. Veniam ora a dir dei motivi pei quali io
m'ebbi già sopra a recar giudizio di Cartesio come del
vero araldo della rivoluzione nella filosofia, e caratteriz
zarlo come il primissimo fondatore della nuova scuola.
A degnamente apprezzar questa caratteristica, si osservi -

tuttavia, che con essa non è per nulla mio pensiero di


voler sostenere, che Cartesio abbia tutto ponderato il
peso che gittò nel guscio della lance col vano e stizzoso
suo disprezzo della scolastica. Un rivoluzionario rado o
non mai calcola tutte le conseguenze de' suoi disastrosi
principii. Lo riconobbe lo stesso Lutero ch ebbe a dire
220

una volta: a se avessi saputo dove andava a finirla cosa,


non avrei dato mano a cominciarla. m Però non si dia a
questa osservazione di discolpa un peso maggiore di quello
che merita; noi vedrem più giù come Cartesio vada tronfio
del volere aprire una via nuova alla filosofia. La spa
valderia di un francese appar in tutta la sua meschinità
ogni qualvolta è costretto a ritrattarsi: e si noti questo,
cosa davvero curiosa, ch'egli in parecchi passi ritratta e
spianta la dottrina fondamentale di tutta la sua filosofia.
Così dopo aver creduto nello incominciar de' suoi lavori
scientifici di aver trovato il principio della certezza nell'evi
denza individuale e il fondamento di tutta la verità
nell' Io, torna involontariamente affatto a procedere coi
soliti principii della buona filosofia, chiamando in aiuto
le due seguenti verità come fondamento di tutte le altre,
che stanno in opposizione al fondamento da lui posto dap
prima: 1. Dio, l'autore della nostra facoltà conoscitiva,
non può volerci ingannare, e senza questo fondamento ſ
ogni altra cosa non è certa; 2. la nostra cognizione non
solo è un principio allorquando ha essa stessa una chiara
e distinta idea dell'oggetto, ma anche allorquando tutto
il mondo giudica chiaramente e distintamente una cosa
così o diversamente. Questa incoerenza non ci deve recar
nessuna maraviglia vedendo noi com'egli non sa manco
nel bel principio delle sue meditazioni filosofiche veder
chiaro nella stessa sua proposizione fondamentale a co
gito ergo sum. m Talvolta par che Cartesio abbia voluto
con questa proposizione stabilire solo un fatto, un fatto
in controvertibile; tal altra pare invece che egli vo
glia proprio realmente tirarne la conseguenza: a tutto
quello che pensa, è – io penso, dunque io sono. a Se uma
tale oscillazione fa poco onore al moderno filosofo fran
221

cese, rispetto a suoi principii intellettuali, parmi, non sia


duopo, per mettere in dubbio l'acutezza di sue viste, di
rammentar i succennati principii pratici. Che son dessi
questi principii pratici che lo debbono guarentir di smar
rirsi nello sterminato campo filosofico? Essi non ti presen
tano che una morale provvisoria, una dogmatica prov
visoria, e con questo è interamente ed adequatamente
qualificata la cosa. Per comprender tutta la insensatezza
di questa morale e dogmatica provvisoria egli è duopo
conoscere il Metodo Cartesiano. Noi vedremo allora
come questa morale e dogmatica provvisoria riesca ap
punto ad una contraddizione simile a quella (di Schenkl)
che attribuisce al Papa il diritto di a condere dogmata
provvisoria » vale a dire dogmi che come tali esser deb
bon dapprima tenuti quali verità di fede e pei quali
quindi, come verità divine, s'è necessario, si deve dar il
sangue e la vita; ma che poscia se un giudice superiore
li cassa, non solo cessano d'essere dommi, ma non son
più nemmeno credibili, son falsi.

Metodo Cartesiano.

Cartesio fece la semplicissima osservazione, che non


isfugge a nessuno, qual può farla ogni ragazzo, che
i nostri sensi talvolta c'ingannano. Nè solo i sensi,
ma anche le operazioni intellettuali fin nelle più sem
plici deduzioni possono menarci fuori dal cammino della
verità. Più ancora: l' uno può tener per assolutamente,
inconcussamente certo, quel che l'altro crede poter
rigettar come errore massiccio. Testimonii le continue
sfide dei dotti tra loro e contro tutto il mondo. A queste
meschinità di osservazioni egli aggiunse la prova di fatto
222 -

ancora peggiore. Non solo riuscirono a lui disaccette,


ma scoprì una discordanza d'indole ben peggiore tra la
facoltà intellettiva e la facoltà elettiva, tra la cognizione e
la volontà, tra la scienza e la vita virtuosa. Vide come una
testa filosoficamente colta bene spesso non informi retta
mente il cuore, in una parola, come bene spesso la vita
non corrisponda alla dottrina. La cosa spiacque a Cartesio,
e ben a ragione. A chi non ispiacerebbe? Questa dispia
cenza però lo condusse alla falsa conseguenza: dunque que
sta filosofia non deve esser vera. Vedi capo d'opera di lo
gica cartesiana! Perchè esperimentò d'essere illuso or qui
or là dai sensi, trovò che or qui or là accadono illusioni
nell'intelligenza, il valente filosofo si credette in diritto
d'inferirne: dunque io posso essere sempre in inganno; e
non s' avvide il gran filosofo che se la conseguenza finale
temesse, a questo modo sarebbe tolta ogni ragione e fon
damento, potrebbe gettarsi nei gorghi del mare, togliersi
anche la vita! Prova magnifica della logica cartesiana!
Il Metodo cartesiano avuto in sì gran conto da pii
e non pii, dai contemporanei e dai posteri, è in poche pa
role il dubbio cartesiano. Prima di esaminar più dav
vicino questo dubbio, si osservi come Cartesio prende il
punto di partenza da un principio affatto individuale,
cioè dallo stato affatto individuale dello spirito e
dell'animo in cui egli trovossi. L'espressione qui usata
a punto di partenza n può forse a primo aspetto non
parer conveniente, giacchè, come è noto, l'occasione ad
una cosa è qualcosa di diverso che la causa. Ma pre
scindendo da ciò che l' occasione va sempre annoverata
fra le cause, è cosa evidente che il dubbio cartesiano è
direttamente e adequatamente la causa della sua princi
piale posizione: a cogito, ergo sum. m Or bene, se un altro
223

gli opponesse a neque dubito, neque possum dubitare ? »


allora Cartesio sarebbe obbligato a difendere l'assoluta
necessità del dubbio rimpetto ad una persuasione di cer
tezza che vale come individuale. Quindi noi saremo nel
dubbio assoluto, e Cartesio avrebbe a far un capo la
voro per isbrigarsi se l'avversario conseguente dubitando
interrogasse: devo io pensar anche se io dubito? Se ciò
è vero ecco che fin dapprima non ho avuto il menomo
dubbio del principio di contraddizione, poichè, cioè, una
cosa (il dubbio) non può ad un tempo stesso essere e
IlOm GSSGl'G.

Brevemente, il dubbio cartesiano od è ipotetico e finto,


od è un vero dubbio assoluto. Nel primo caso Cartesio
non avrebbe fatto nulla di nuovo. Tutto il mondo sapeva
ed ha sempre saputo come supponendo il contrario corra
diversa nella scienza la cosa colla reductio ad absurdum.
« La cosa è così; posto che la fosse altrimenti, quali
sarebbero le conseguenze? » Chi non conosce questo
dubbio ipotetico, il quale non è un dubbio in senso pro
prio, ma una mera finzione che non mette menomamente
in questione la certezza dell' intelletto, la solidità del
consenso che si presta alla verità? Se Cartesio col suo
metodo non voleva indicar altro che questo, si sarebbe
tanto più compromesso davanti a qualsiasi mente assen
nata, quanto più s'adopera orgogliosamente a vantar il
suo metodo per nuovo. Si ponga mente a quest'ultima
cosa con tutta ponderazione. Cartesio parla del suo nuovo
metodo come d'un metodo siffattamente nuovo, che, come
apertamente egli dice, doveva riformare tutta la filosofia.
Egli s'atteggia da eroe senza pari! Mercè il suo principio
va a diffondersi una luce novella nel mondo ! l'intero
edificio del passato deve crollare, tutta la scolastica cader
224
nel disprezzo e nell' obblio, e i campioni della scienza
di tutti i secoli passati venir calpesti e coperti di fango.
La si rompe radicalmente con tutto il campo della storia:
la grande ed importante questione della tradizione, non
solo verrà riputata indegna di attenzione, ma dichiarata
affatto insussistente a motivo che, abbandonata la ra
gione nuda e pura a sè stessa, verrà strappata tutta
l'umanità, qual ce la presenta la storia in un fatto im
contrastabile, dal terreno su cui ha posto le sue radici,
– e tutto ciò per amor d'un'ipotesi che il rivoluzio
nario dimentico di sè, smentisce colle sue stesse parole. –
Tale e tanto è il peso che Cartesio attribuisce a suoi
principii ed a suoi filosofemi. Poichè voler tuttora du
bitare se la cosa sia innocua o seria, vorrebbe dire
esser proprio colpiti di cecità! Sempre là dove qualcuno
vuol costruire sulle rovine de' suoi predecessori il suo
regno, ivi l'evoluzione minaccia di convertirsi in rivolu
zione; ma quando si fa un attentato alla legittima auto
rità che regge con giustizia e moderazione, quivi v'è
la rivoluzione sfrenata con tutti i suoi orrori. Cartesio
arrischiò tanto attentato contro i Padri della Chiesa, com
tro tutta l'antichità, e per conseguenza contro tutto ciò
che per diritto sussiste. Con una leggerezza senza pari
rovina la natura propria della verità; con una leggerezza
senza pari niega principii più chiari del meriggio; con
una leggerezza senza pari spaccia per novità cose da
lungo trite e ritrite, ed oltracciò spaccia come principii
supremi, principii che conducono direttamente da una
parte all'idealismo, dall'altra al sensismo, d'ambe le parti
al completo scetticismo, e che per conseguenza produs
sero tutto il male che la nuova scuola ha fatto fino al
presente. Consideriamo i singoli punti.
225

CARTESIO DISCONOSCE LA NATURA PROPRIA DELLA VERITA'.

La verità è la realtà: ciò che è, è vero; e foss'anco


solo un'apparenza, in quanto ella è, è vera, una vera
reale apparenza. Questa è la verità oggettiva; su di essa
si basa la verità soggettiva o la verità nella facoltà
conoscitiva. Ogni facoltà non è tale propriamente che
per l'oggetto alla quale è diretta; l'oggetto non è a ca
gion della facoltà, ma la facoltà a cagion dell' oggetto:
come la forma non è a cagion della materia, ma la ma
teria per la forma. La forma è lo scopo; lo scopo non
è a cagione del mezzo, ma questo a cagion dello scopo.
Quindi ne segue che il soggetto conoscente presuppone
sempre l'oggetto noto o da conoscere. Come il soggetto
conoscente presuppone la verità e la realtà dell'oggetto
(in qual si voglia grado) così il dubbio presuppone la
certezza, e l'ignoranza di una cosa presuppone il sapere.
Il dubbio (il non conoscere), non può esser mai la prima
cosa nel conoscere. Sarebbe una contraddizione in sè
stesso. Ogni dubbio presuppone la realtà dell'essere mel
l'oggetto, del quale io dubito. Sul nulla non può darsi
alcun dubbio. Più ancora: ogni dubbio presuppone un
motivo noto del dubbio, che faccia ragionevole il
dubbio. Le sperimentate illusioni che indussero Cartesio
al dubbio, furon prima riconosciute come illusioni; esse
non si potevano riconoscere per illusioni se non fosse
giunto a conoscere la vera realtà. La cognizione della ve
rità, della realtà, gli apprese d'esser egli in questo o
quel caso caduto in inganno, e dove riconoscere l'illu
sione come tale. Nessuno può sottrarsi alla realtà. Anche
lo straordinario sforzo dello scettico si trova tanto più
15
226 -

incatenato alla realtà, quanto più egli vorrebbe liberar


sene anche solo colla fantasia, colla finzione del pensiero.
Il dubbio è uno stato secondario, che non mai può
esistere senza una certezza precedente. Ciò che abbiam
detto gitterà luce sul temerario principio di Cartesio,
che dopo lui fu lo scandalo della filosofia di tutta la
nuova scuola e portò dappertutto confusione e tenebrìa.
Dopo Cartesio si continuò a ripeter la semplice, o vor
rei dir la scipita questione: come andiam noi, giun
giamo alla cognizione della vera oggettività?
come se potessimo noi mai sottrarci ad essa!
quasi se a buon dritto noi già fossimo rilegati in un mani
comio! Ammesso che in un caso, in una cosa io mi sia
ingannato, che ne conseguita? Che è cosa certa che io
mi son ingannato, e tanto più certa poichè ho ricono
sciuta la verità, per cui posso parlar dell'illusione. Se
l'illusione è la discordanza colla realtà ne segue neces
sariamente che io non posso riconoscere l'illusione e ri
conoscerla per tale, se non quando ho conosciuta la realtà,
per conseguenza ho motivo di dichiarare una data cosa
per illusione. Inoltre da una od altra illusione partico
lare inferire una possibile illusione generale è tal indu
zione che nissun novellino scolaro di logica vorrebbe es
serne appuntato. Eppure questo è quel che il gran fi
losofo della moda osò proporre al mondo come un nuovo
perfettissimo modo di filosofare. E tanta stoltezza non
dovrassi stimatizzar col ferro rovente negli annali della
storia? Purificare prima l'intelletto col dubbio universale
non vuol dir altro che insultare alla propria ragione, a
tutta la propria essenza, come del pari a tutta la ragio
mevole umanità. Sì, ciò non vuol dire altro, che supporre
la possibilità che il padre della menzogna abbia tutto av
-

227

volto in ambagi e fallacie, non vuol dir altro ch'ammet


tere per buona la più acuta sofistica, quale la ravvisiamo
in Hegel, che cioè il nulla possa esser qualche cosa, e il.
qualche cosa il nulla, in breve che il principio di con
traddizione, il quale sempre mai in tutto il mondo ragio
nevole fu tenuto per la prima legge fondamentale, sia
capovolto, distrutto. Questa è la lotta di Cartesio e dei
suoi scolari contro la scolastica, contro la scuola antica!
basata sui principii di Cartesio, continuata da suoi sco
lari giù giù fino al presente. Con tali principii creare
una morale, una dogmatica provvisoria, non vuol dir
altro se non che o ingannar sè stesso con bambinesca
ingenuità, o procacciarsi cogli scaltrimenti di un ariolo
il nome di mago. La ragion purificata di Cartesio tro
vasi sulla stessa linea della parola di Dio purificata nella
Bibbia. Certo che v'hanno molti tra coloro che han se
guito la riforma i quali stimano ancor altamente la parola
di Dio nella Bibbia, pei quali la Bibbia va innanzi a
tutto, da cui quindi ne traggono parecchie pratiche ve
rità. Ma perciò la Bibbia è ancora quella ch'esser deve?
Il gran numero di coloro, che secondo i principii della
riforma, strettamente argomentando andaron più oltre,
prova a sufficienza che la Bibbia separata dalla tradi
zione vivente e dall'intero suo organismo altro non è che
un libro più o men pregevole come qualsiasi altro. La
Bibbia e null'altro che la Bibbia, la Bibbia pura escla
mano i riformatori. La ragione, quindi la ragione,
nient'altro che la ragione fu la parola d'ordine dei ri
formatori, che Cartesio può di fatto vantare come suoi.
I termini furon trascelti magnificamente. Davvero chi non
avrebbe stima della Bibbia e della ragione? nè l'appa
renza seduttrice vien riconosciuta prima d'essere illumi
228

minati dalla verità, dalla realtà. Nissuno vorrà dubitare


di questi principii arbitrariamente stabiliti prima ch'egli
abbia riconosciuta la verità: altra prova che la certezza
esiste sempre prima del dubbio.
Il principio della scuola tomistica: (peripatetica) che
moi ci moviam sempre nella verità, nella realtà, che
continuamente vi siamo, ne possiam sottrarcene quando
anche volessimo fare i più pazzi tentativi per uscirne;
questa verità, dico io, è la sicura àncora di salvezza che
sfuggì di mano, dopo Cartesio, alla nuova filosofia. Dessa
è una verità che dev'essere come qualsiasi altra predi
cata con tutta forza, con ogni insistenza, quì devonsi
primamente gettar solide fondamenta; quì devesi di nuovo
risvegliare, acuir la coscienza. Qui comincerà la vecchia
scuola a solennizzare i suoi primi trionfi contro le avven
tataggini della nuova scuola, e destar dolore e pentimento.
Se non vogliam più a lungo lasciarci condurre come men
tecatti dai filosofi della nuova scuola, i bene pensanti
eglino debbono infiammarsi di santo ardore onde sventar
gli scandalosi attentati, che le teste confuse dei sedicenti
filosofi fanno alla sana ragione ed alla sana intelligenza
di tutta l'umanità. Ed eccomi con ciò all'altro punto della
filosofia cartesiana.

CARTESIO NEGA PRINCIPII CHIARI COME IL soLE.

Il difetto di Cartesio non istà in ciò d'aver compreso


nel cogito, ergo sum una verità certa, incontrastabile. Uom
ragionevole non ha mai revocato in dubbio la certezza
della sua coscienza nella sfera a lei propria. Nessun pe
ripatetico ha disconosciuta questa verità. Il difetto di
l’artesio sta in ciò ch'egli nega un'evidenza a spese
229

di un'altra. Questo è in sommi termini il difetto che


si trasmise a tutta la nuova scuola e produsse tutti, fino
ai recentissimi, i sciagurati effetti. Del resto s'incontrano
alle prime basi fondamentali dei filosofemi cartesiani tanti
e sì marchiani errori riuniti in un gruppo che non pos
siam farcene una giusta idea, senza aver d'innanzi la
Teorica delle cognizioni, (tomistica) l'Ideologia, la Psico
logia, e la Metafisica. Nella filosofia cartesiana segue
colpo dietro colpo, un gioco di mano che non ha pari
in leggerezza, e collo stesso andazzo dopo di lui continuò
a camminar tutta la nuova scuola con tali mezze ve
dute e unilateralità, che ben a ragione è divenuto pro
verbio a Roma: se i moderni filosofi presentano alla cem
sura tutta un'opera, non esservi ormai più luogo alla
formula a donec corrigatur n; uopo è tutta condannar
l'opera, conciossiachè non vi sia nulla da correggere.
Darò qui brevemente i sommi capi di critica, serbando
all'opera intera la piena intelligenza di essi. Come ebbi
già ad avvertire, lo studio della storia della filosofia, è
meglio farlo alla fine dello studio della filosofia.
a) Cartesio nega il criterio dei sensi. Questo fu il
pazzo cozzo che lo trasse a smarrir come in un deserto,
inscio della vita o della morte! Questa fu la face del
l'insurrezione che egli gettò alla spensierata umanità, già
anche troppo d'altronde allucinata; questo fu quel dissen
nato proposito che lo trasse ad una serie di conseguenze,
l'ultima delle quali è sempre più oscura e vacillante delle
precedenti. Col rinnegar questo criterio venne tracciata
un'altra via alla ideologia, e colla nuova ideologia
tornaronsi a revocar in vita le fantasmagorie platoni
che. Coll'arbitraria ideologia senza fondamenta spalan
caronsi le porte all'idealismo e con esso furon gettati i
230

semi di tutte, fino alle ultime aberrazioni panteistiche della


Germania.
Göthe scrive in non so qual luogo a e con ferme mem
bra sta l'uomo sulla ben fondata durevole terra n
S'aggiungano a queste le parole di Schiller a ciò che
non vede l'intelligenza dell'uom scienziato, lo vede nella
sua semplicità d'animo un fanciullo m. Se i filosofi scrivon
cose senza senso, essi ch'esser dovrebbero i rappresen
tanti della sapienza, sarebbe ormai tempo di togliersi con
disprezzo da loro, e volgersi ai poeti i quali almeno ser
bano ancora il buon senso. a I sensi non ingannano. n
E quando s'esalta la gran scienza dei filosofi, con tutta
la risolutezza ch'ispira la forza della verità, si deve loro
ricordare questa sapienza: a I sensi non ingannano n;
essi non possono ingannare, essi presentano l'incontrasta
bile verità, anche allorquando vi par ch'essi v'ingannano.
Se voi, o signori filosofi, siete sì acuti e tanto abili dia
lettici da saperci spiegare cosa v'intendete di dire quando
parlate delle illusioni dei sensi, sarà cosa che vi farà
grand'onore, altrimenti voi non potete sfuggir alla taccia
d'insensati. « I sensi non ingannano. » La stessa illusione
dei sensi, che voi citate, è la più chiara prova ch'essi
non ponno ingannare. L'apparenza deve essere come ella
è, altrimenti non vi sarebbe alcuna apparenza. Le leggi
indeclinabili della necessità assoggettano tutto, anche la
così detta illusione di cui voi parlate. L'illusione non
è mai nei sensi, così come la verità non è nei sensi.
La verità (cioè veritas subjectiva) è nell'intelligenza che
giudica in questo o in quel modo su ciò che le è real
mente presentato a Veritas non est in sensibus sed in
intellectu, in judicio componente et dividente. » Thom.
(v. Teorica della cognizione). Nei sensi la verità non evvi
231
proprie, come dice s. Tommaso, ma ministerialiter
in quanto cioè dà il substratum per la facoltà intel
lettiva nella quale propriamente è la verità (proprie). Se
la proposizione sensus non fallunt » riuscisse un po' dura
per coloro che non sanno veder più oltre della parola
scritta, si completi la proposizione colla tesi intiera:
«sensus non fallunt dummodo objectum rite proponitur,
et sensus sint recte dispositi. » Penso che si saprà ben
distinguere regola da eccezione. Gli ulteriori schiarimenti
li riserbo alla Teorica della cognizione, qui basti un os
servazione: un debole essere terreno, un uomo può in
gannarmi, la parola, il gesto pommo essere in contrad
dizione col pensiero e col sentimento, ma un essere non
libero, soggetto alla necessità di sua natura, qual è un
essere sovrano, un essere partecipante alla morale per
fezione, questi non mi può ingannare. Mi giova ricordar
già fin d'adesso un principio fondamentale della filoso
fia tomistica, che dà argomento a gravi riflessioni, e sparge
luce in tutte le regioni del conoscere a nulla facultas
fallitur circa proprium objectum. » L'ammission del con
trario sarebbe una contraddizione, un vero assurdo. Più
tardi ne darò la spiegazione.
Chi osa impugnar la verità, la giustezza delle sensa
zioni, egli condanna sè medesimo di menzogna nel mo
mento medesimo in cui ci comunica i suoi pensieri. Egli
crede, egli sa, è pienamente certo, certo fino al più alto
grado di certezza matematica, che le sue parole saranno
udite, rettamente intese, e che la presuntuosa sapienza
che sfoggia sarà compresa così per l'appunto com'egli
vuol essere udito, inteso, compreso. Ogni movimento che
egli fa col suo corpo per questo o per quello scopo lo
condanna di menzogna nel modo più parlante ch'egli
possa mai imaginare. -
232

Chi può far una questione di tale certezza prova ad


oltranza che ha un'idea affatto erronea della certezza ed
è inetto affatto ad ogni ulteriore investigazione filosofica.
Una cosa siffattamente evidente che non ha bisogno per
nulla d'esser provata, non può nemmeno esser provata,
non per mancanza di chiarezza o certezza, ma per so
vrabbondanza di luce, chiarezza e certezza. Dubitare d'una
sola di tali cose non vuol dir altro che insultar in ge
mere all'evidenza. Chi nega l'evidenza della cognizion
sensitiva, niega direttamente il principio di contraddi
zione, quindi anche l'evidenza intellettuale, e finisce quindi
col cadere nel completo scetticismo. -

Non vo' qui schierar d'innanzi tutta la filatessa delle


contraddizioni e degli spropositi che conseguitano necess
sariamente a questo dubbio di un singolo principio, del
principio della cognizione sensitiva; la rimando alla pa
zienza del lettore, il quale vegga lui stesso se Cartesio,
quand'anche non avesse fatto altro male che questo solo
di porre in dubbio la verità di questo principio, non
merita tutto il disprezzo in cui dev'esser tenuto un sofista.
b) Dissi di sopra che nel principio più fondamentale
di Cartesio avviaggruppato insieme un cumulo di errori.
Egli tratta con intolleranda leggerezza il campo dell'i-
deologia, quel campo da cui pur dipende tutto quanto
di bene o di male può produrre la filosofia. Egli divide
le idee in tre classi: 1. innatae p. e. quella di Dio;
2. adventitiae p. e quella del sole; 3. factitiae p. e.
quella dell'ippo centauro. Più ha l'ardimento di soggiun
gere: fors'anco le son tutte adventitiae o innatae o fac
titiae, come se non fosse di suprema importanza il deci
dere se le idee sono congenite o se ci vengan dal di
fuori. Ad onta del suo stato di dubbietà sull'origine
- 233

delle idee, egli tien tuttavia per le idee innate, dot


trima contro la quale erasi fin allora sollevata col più
gran zelo tutta la filosofia cattolica, contro la quale com
batterono gli scolastici con una premura, uno zelo, ed
una così instancabile e concorde persistenza qual mai
contro errore d'altra sorta. Così da che Cartesio tornò
a ridestar le idee innate, si parlò con tutta leggerezza
e facilità di questa teoria ideologica come se l'idealismo
e il panteismo non vi avessero nulla che fare. Eppure i
secoli fin giù a Günter (1) danno la più dolorosa espe
rienza delle conseguenze di questa dottrina delle idee
immate, che, sia n'ammetta parecchie ovveramente una sola,
ha inevitabilmente per risultato il più puro e pretto idea
lismo e panteismo, (v. Metafisica).
c) Nella stessa base fondamentale della sua filosofia
Cartesio scambia il campo ideale (necessario) col reale
(contingente); confonde assieme il particolare e l'univer
sale senza saper menomamente apprezzare questo splen
dido punto della filosofia peripatetica, consistente in ciò,
ch'ella sa con magistrale accuratezza, distinguere senza
separare, legare senza confondere. Che posso io provare
colle verità universali prese puramente come tali? Nulla,
precisamente nulla. E che posso provare alla lor volta

(1) Quando una od altra delle scuole moderne ostenta di negar


le idee innate, non si lasci perciò indurre in errore. La questione non
e cosa voglio io, ma cosa segue da miei principii. Primo: la cosa
riman sempre la stessa se io ammetto una sola idea innata oppur
ne ammetto parecchie. Secondo: partendo dalla coscienza di sè,
senza chiamar in aiuto principii che appartengono ad un altro genus,
non è altro, rispetto ai risultati, che abbandonarsi all'arbitrio
di un fatto particolare ! Perciò il difetto radicale della scuola
Günteriana non è altro che lo scambio del campo ideale col reale.
E questa sarà sempre la conseguenza di un principio uno preso
isolatamente come lo voleva Cartesio.
234

con fatti particolari contingenti, senza chiamar in aiuto


le verità universali? Non è manco possibile al pensier
conoscente di movere un passo. Che se in quella vece
vengono presi assieme i due campi, l'ideale e il reale,
il necessario universale, e il contingente particolare,
avendo ciascun campo il suo proprio principio
che sta da sè, allora apresi la strada regolare, l'unica
percorribile dalla scienza nello stretto senso della parola.
L'Io è un fatto particolare. Ma, gran mercè, che posso io
fare con esso, se non arrivo tosto al concetto necessario,
o, se così piace, alle idee che mi appresero a conoscere
l'invariabile essenza dell'Io? Ma come poss'io da fatti
particolari assorgere a tali idee generali? Solo per mezzo
delle idee innate? E dove è allora il criterio per la cor
rispondenza delle mie idee colle cose? Tu rispondi: nella
veracità di Dio. Ebben replico io: Questa è appunto la
fatale petitio principii di cui si è reso colpevole Cartesio.
Cartesio è il padre di coloro, che mossero dallo scia
gurato pensiero di voler tutto cavare da un unico prin
cipio; fantasma che fu di tutta la nuova scuola, e che
tra spaventevoli aberrazioni arrecò orrore e morte col
panteismo. Poichè o quest'unico principio fu l'ideale e
si restò nell'idealismo, o fu un particolare-reale e si restò
nel sensismo e materialismo. O finalmente si confusero
assieme, sempre però in una sciagurata unità, e si ebbe
l'ermafrodita panteismo ideale e materiale.
Da tutto ciò ne conseguita l'accusa già sopra accennata.
CARTESIO STABILISCE PRINCIPII CHE CONDUCONO DIRET
TAMENTE ALL'IDEALISMO, AL SENSISMO, ALLO SCETTI
CISMO, ED AL PANTEISMO.

Perchè non si creda che le conseguenze qui sopra de


- 235

dotte sieno asserzioni un po' arrischiate e generali, esa


miniam più davvicino le cose. lo dico che i principii Car
tesiani menano direttamente:
1. All'Idealismo. Il supremo principio di Cartesio se
condo il 4 cogito, ergo sum n è la coscienza, la coscienza
individuale. È su questa coscienza individuale che si
basa tutta la soggettività della filosofia cartesiana,
sopra tutto per le idee ritenute innate. Ma le idee
innate non rappresentano ciò che è nell'oggetto,
sibbene siam noi che mettiam nell'oggetto per
mezzo delle idee in mate, ciò che è nelle nostre
idee. Siam noi che colle idee innate caviam dal nostro
proprio Io l'essenza delle cose. Le cose son quello che
noi le facciam colle nostre idee. Ecce homo / Fichte col
suo Io assoluto è Cartesio completato. Se questa con
clusione non paresse ben chiara ad alcuno, si pigli più
in particolare la cosa nel modo seguente: posto che le
idee e tutte nominativamente le idee intellettuali ci sieno
innate, come deve essere se Cartesio vuol esser conse
guente, o per esprimermi in altro modo: posto che noi
non conosciamo che per mezzo delle idee innate, non è
possibile altra alternativa fuori di questa: o noi sappiamo
che le nostre idee corrispondono coll'oggetto della realtà, o
non lo sappiamo. Se noi lo sappiamo, non è più possibile
il dubbio, e allora riesce senza senso tutto il principio
cartesiano del suo dubbio generale. Se poi mol sappiamo,
allora si domanda: dove pigliam noi il criterium per la
corrispondenza o non corrispondenza delle nostre idee
coll'oggettiva realtà! Ecce homo! Siamo a quel punto a
cui eravamo dapprima, vale a dire siamo tornati nel
primo dubbio, e la soggettività del primo dubbio ritorna
in tutta la sua forza.
236

2. I principii Cartesiani menano al Sensismo e Ma


terialismo. Se non vuolsi ammettere la conseguenza che
per le idee innate tutto si fonde nell'idealismo, ma ri
tenere la realtà degli oggetti, eccoci irremissibilmente
caduti nella potenza degli oggetti. Poichè le nostre idee,
(le quali, secondo l'espressione di Cartesio stesso, a cui non
cale gran fatto se siamo ritenute come innatae o come
adventitiae o come factitiae) venendo dal di fuori, non
sono che o le stesse sensazioni, o i riflessi materiali delle
sensazioni materiali; ma sull'anima cartesiana non es
sendo possibile l'azione del corpo cartesiano, ne segue
di conseguenza che non puossi riguardar l'anima se non
come omogenea al corpo, vale a dire non resta che di
chiararla una materia spiritualizzata. Ecce homo !
3. I principii cartesiani menano direttamente al Pan
teismo. Secondo la teoria delle idee innate non è la
forza attiva dell'uomo, l'intelligenza, quella che forma le
idee, ma sono le idee che tengono completamente in loro
potere fino a qualsiasi grado si voglia l'intelletto, per
modo che desso vien ridotto a zero, mentre le idee, e
conseguentemente la suprema intelligenza, la ragion
generale è tutto in tutti. Non è l'uomo che ha l'idea,
è l'idea che comprende in sè l'uomo. Non è l'uomo che
pensa, ma è l'idea che pensa in lui, che movesi dialet
ticamente, tutto sommette, domina tutto. Non è l'uomo
che giudica e conchiude (giacchè giudicare, conchiudere
sono atti ideali, della natura stessa della medesima idea,
non v'essendo tra essi altra differenza che quella da sem
plice a complesso), non è dico l'uomo; ma l'idea im
personale, l'intelletto universale, il concetto
assoluto. Ecce homo !
4. I principii cartesiani menano direttamente allo Scet
237
ticismo. Se le idee mon sono desunte dalla sussistente
realtà degli oggetti, noi non abbiam in alcun modo il
diritto di sostenere la esistenza certa di cosa alcuna,
nemmeno delle nostre proprie idee. Le nostre idee sono
fenomeni, che che ne sia del volerle mostrar come reali,
son fenomeni per noi senza fondamento oggettivo, senza
oggettiva realtà e verità. Noi siam eternamente condan
nati a dire: a io penso così – mi sembra così – spe
rimento così nel infermo soggettivo mio Io. n
Ricadiamo in tutto il criticismo di Kant. Ecce homo '
Se il supremo principio obbiettivo: a Idem secundum
idem, non potest simul esse et non essen è unduemaire
vocato in dubbio, e non va innanzi come l'unico fonda
mento, a tutto buon diritto posso ridermi delle parole
a cogito, ergo sum. » Imperocchè, viva il cielo, che le
vorrebbero dire queste parole, se non fossero rinfiancate
dal principio di contraddizione che è quello che raccerta
la verità? Noi dovremo pur sempre dire a mi pare così r
Ecce homo !

I PRINCIPII CARTESIANI CONDUCONO DIRETTAMENTE

AL PIU' PRETTO RAZIONALISMO.

V” hanno due sorta di cattivo razionalismo, l'una che


scalza le fondamenta alla religione, l'altra alla scienza.
a) I principii cartesiani rovinano direttamente la fede,
la rivelazione soprannaturale. Per quanto la rivelazione,
la fede si fondino sulla veracità di Dio, la conditio sine
qua non della rivelazione estrinseca è la realtà e la ve
racità delle percezioni dei sensi. a Fides ea auditu! »
Nello stesso momento in cui dubito della veracità delle
sensazioni per le quali mi vien comunicata la fede, in
238

quel medesimo istante per tutta necessità dubito anche


della fede. Non è quindi insensatezza senza pari dir con
Cartesio (nella dogmatica provvisoria) io non intendo
urtar menomamente colla fede, ella non deve aver nulla
che far colla filosofia, Dio ha parlato, dunque io credo;
non è dessa, dico io, la più goffa delle stoltezze tenere
un tale linguaggio e poscia sottoporre ad uno scettico
esame la verità del fondamento della fede? Questo non
è certo distinguere teologia da filosofia, ma bensì total
mente, radicalmente separarle. Eppure trovaronsi perfino
teologi cattolici che amarono tranquillarsi su tali esor
bitanze, fidati a quel che scrisse Cartesio a voler egli
salva mantenere e intatta la fede. » Che la fosse questa
una dogmatica provvisoria non l'hanno che troppo chia
ramente provato i recentissimi discepoli di Cartesio ! E
qui mi cade in acconcio di richiamar l'attenzione su quel
enorme strafalcione accettato per buono, così come dallo
stesso Cartesio, da parecchi altri fino al presente: non do
versi in filosofia far appello alle verità teologiche, nella
filosofia non doversi aver riguardo di sorta alla fede.
Sofisma senz'uguale! Poichè su quali verità filosofiche
si fonda il filosofo ch'esclude alcune sensazioni dal campo
delle sue investigazioni? Eppure v'hanno sensazioni (azioni
mirabili d'ogni specie) le quali conducono per stretta
conseguenza logica ad idee non mai altrimenti avute, e
allora su che si fonda la pretesa di lasciar quivi libero
il corso alla logica, e di seguir l'arbitrio di passioni di
sconfessate da qualunque religione? Più ancora: l'intel
letto delle creature è sempre e dappertutto radicalmente
subordinato all'intelletto divino. Questo è ragionevole, ed
ogni limitazione di questo principio è irragionevole. L'in
telligenza della creatura finita, limitata, non può mai eri
239

gersi in assoluta autocrazia sopra sè stessa, per modo


che non debba esser pronta per doverosa docilità a to
talmente assoggettarsi alla divina verità rivelata, m'in
tendo non solo parlando di verità soprannaturali, che son
soprannaturali, quoad substantiam, ma anche parlando di
verità in cose naturali, che però possono essere riguar
date per soprannaturali quoad modum. Questo è l'incon
trovertibile motivo, evidente per sè stesso, in forza del
quale ogni filosofo deve aver sempre mira a quelle verità
rivelate che per avventura si oppongono a suoi fallaci
filosofemi. Ma messi alla prova come si contennero i car
tesiani venuti al cozzo con verità di fede? Essi risposero
come rispondono tutti i razionalisti: che v'è di comune
tra la fede e la filosofia? E così, dietro questi princi
pii cartesiani sarebbe vero che: una cosa può essere vera
filosoficamente ed essere teologicamente falsa (1).
A tali eccessi conducono i principii cartesiani che esal
tano l'una evidenza a spese dell'altra. Questa è la tra
cotanza razionalistica che ha raggiunto un tal punto cul
minante in parecchie delle moderne scuole teologico-filo
sofiche, da non esser più altro da cima a fondo che una
contraddizione colla teologia, sicchè a Roma non se ne

(1) Questo è il principio con cui i moderni saccentelli vollero


tor di mezzo gli scolastici. Quantunque questi saputelli non ab
bian forse letto mai uno scolastico, almen questo però dovrebbero
sapere, che è principio stereotipo presso tutti gli scolastici: « ve
ritas veritati contradicere nequit » sentenza definita dalla Chiesa e
che agli scolastici servi sempre di norma per la giustezza delle loro
speculazioni. Domandisi a questi saputelli se chiunque ha vissuto
500 anni fa e sostenuto qualche goffa tesi, sia nel lor senso uno sco
lastico ? Perchè Pomponatius e Bernardo Lamy ci vengon
fuori con proposizioni siffatte, è ella cosa che spetta alla scolastica?
240

può far la censura colla formola a donec corrigatur »


perchè questi sistemi risultano affatto incorreggibili.
b) I principii cartesiani rovinano la scienza. L'error
fondamentale di qualunque specie del moltiforme razio
nalismo riducesi alla perfine sempre allo scambio del
campo ideale (necessario) col reale (contingente). Al
campo reale contingente non appartiene solo il regno
dei facta storici. Ora se si tratta della ragion naturale
rimpetto alla verità rivelata, soprannaturale, si rincontra
fondato da Cartesio il razionalismo, ed il gravissimo fallo
commesso con tal leggerezza che non v'hanno parole
bastevoli per qualificarlo come merita. Noi entriam quì
tosto in una delle questioni più importanti di tutta la
filosofia. È chiaro da sè che non possiam quì darne una
risposta completa: bisognerebbe presupporre come nota
la Psicologia e l'Ideologia (tomistica) e oltracciò far tante
e così importanti distinzioni per darne anche solo una
qualsiasi risposta, che la cosa ci condurrebbe quì troppo
lontano. Cercherò di spicciarmene brevemente. Un indi
catore in un bivio fa sempre buon servigio, anche per
colui che non vuol altro che far l'esperimento se l'indi
catore accenna giusto.
Si tratta colla ragione alla stessa maniera affatto come
si fa presso i riformatori colla Bibbia. Che è la Bibbia?
la pura Bibbia? è la parola di Dio, la pura parola di
Dio. Parimenti domandasi: cosa è la ragione, la pura
ragione, la ragion naturale? Prima ch'io venga a darne
la risposta, prego si ponga mente alla seguente avver
tenza: io protesto nel modo più serio e solenne contro il
tradizionalismo di Bonald, come contro dottrina
in aperta contraddizione con quella di s. Tommaso. Ella
può essere formulata nelle seguenti tre tesi:
241

Tesi prima di Bonald: La ragione umana è una mera


forza passiva rispetto alla formazione delle idee, ella non
cava nulla da sè stessa, ma riceve tutto dal di fuori.
Ella riceve tutte le sue idee per mezzo della parola, la
parola orale, sociale, cioè a dire per la tradizione. Cri
tica: falsa totalmente.
Tesi seconda: Da ciò ne segue la prediletta sentenza
del tradizionalismo di Bonald: « l'homme doit penser sa
parole avant de parler sa pensée m Critica: falsa total
mente.

Tesi terza: Amche dopo che l'uomo ha ricevuto le idee


dal di fuori per mezzo della parola sociale, gli rimane
una passività impotente a trovar cosa alcuna da sè. Tutte
le sue forze non servono che a riprodurre le cognizioni
ricevute e combinarle diversamente. Critica: falsa total
mente. -

Quest'è il tanto e sì a lungo celebrato tradizionalismo


di Bonald, che colla ragion pura, faceva tabula rasa
in tutt'altro modo affatto degli scolastici peripatetici. Ben
diverso del tradizionalismo di Bonald venne fuori da al
cuni anni in Francia un tradizionalismo di tutt'altra
sorta (1).
E a tutta ragione poichè colla retta soluzione di questa
questione devono essere rivendicati alla scienza quei prin
cipii fondamentali, riconosciuti per giusti dalla vecchia
filosofia cattolica, ma che dal tempo della riforma car
tesiana in poi, furono dalla nuova scuola disconosciuti del

(1) Io non adduco qui gli scritti su tale proposito, perchè la sa


rebbe cosa che mi condurrebbe troppo lungi, ed ho ragion di te
mere, senza una più diffusa esposizione delle più importanti distin
zioni, d'essere frainteso se citassi come per norma questo o quel
l'autore, - -

16
242

tutto. Quì non accenneremo se non quanto basti per im


parare a conoscere l'elemento rivoluzionario nella filo
sofia cartesiana. -

Cosa è la ragion naturale, quale da Cartesio in poi, la


si volle pigliare abbandonata a sè stessa, basata sovra sè
stessa, in propria balia? Rispondo: ella è una testa re
cisa dal vivente organismo del corpo vivo, una vera, una
visibile testa naturale; questo è certo, e tuttavia una
testa non naturale perchè in un modo di essere per nulla
naturale, non naturale. Un membro staccato dalla catena
a cui va unito è membro e non è membro. Chi non vede
che quì comincia una dialettica che può diventar peri
colosa e condurre alle più gravi male intelligenze se non
son acutamente fissati i termini da adoperare. Le parole
naturale e soprannaturale del pari che il quinci e
quindi uso diverso delle parole a assoluto » e « relativo »
diedero luogo a fatali male intelligenze nelle vivissime
contese del tradizionalismo contro il semirazionalismo,
come in genere nella filosofia e nella teologia. Vuolsi quì
porre un'attenzione affatto straordinaria. Il completo svi
luppo di questi termini richiede la sposizione dei più alti
concetti filosofici e teologici, fatta con quell'acutezza e
precisione, che da Cartesio in poi più non si trova. La
distinzione tra il supernaturale quoad substantiam e il
supernaturale quoad modum non basta; così non basta
nè anche la distinzione tra la potentia naturalis e obbe
dientialis, meno poi quella tra matura come essentia e
natura come modus essendi ordinarius. La decision fi
nale della questione va riportata a quelle verità, delle
quali parlossi nelle Congregationes de auaciliis sulla rela
zione cioè tra la causa prima e la causa secunda.
Qui verrebbe a dirsi dell'auxilium Dei nel suo doppio
243

rapporto come motio generalis e specialis; poscia a trat


tare del come un agens che opera per sè stesso possa
esser creato, e in quanto un agens può passare da po
tenza ad atto; se ed in quanto a ciò è necessario un es
sere attuale, una praemotio. Mi si vorrà di leggieri con-.
cedere non esser quì il luogo di trattar tali questioni
onde sciogliere la contesa tra il tradizionalismo e il semi
razionalismo. Per ora pigliam più semplicemente la cosa.
La ragione indicata di solito come ratio naturalis può
esser presa in doppio aspetto: 1. come la ragion della
creatura, dell'uomo nel senso assoluto; 2. come questa
ragione tal qual esiste storicamente-positivamente (con
tingentemente positivamente). In questo secondo caso sot
tentra un'altra distinzione: 1. la ragione in statu integro;
2. la ragione colla quale più non abbiam la res integra,
ma quella che, se radicalmente non è distrutta, pure è
per accidens indebolita fino a qualsiasi grado si voglia.
Or se si tratta della ragion pura, naturale, ab
bandonata a sè stessa si domanda: è questa la ra
gione totalmente isolata, o è quella formatasi nella so
cietà ? (foss'anco un singolo individuo che fu già dap
prima educato). Si vede tosto qual grandissima differenza
ci corra. Adduciamo un esempio: io do a sciogliere un
emimma senza darne la soluzione, o do un indovinello
colla sua soluzione, di guisa però che si abbia sì dinanzi
la spiegazione, ma non già il modo, il motivo, il perchè
dessa spiegazione è giusta, dev'essere così e non altri
menti. In ambo i casi avvi un esercizio attivo dell'intel
ligenza, in ambo i casi può aver luogo lo scoprire e la
prova; egli è però sempre chiaro che nel primo caso ci
vuol ben altra forza che nel secondo. Nel secondo ba
stava un talento comune mentre nel primo volevasi un
244

genio. Ora parlando della forza della nostra ragion na


turale, che intendiam noi con essa? Intendiamo noi la
forza del genio che trova da per sè la soluzione dell'e-
mimma, senza nulla saperne di essa; ovvero intendiamo
noi la forza del talento che trova e dimostra in modo
secondario la soluzione già trovata e data da altri? Ognuno
ammette, e da uomini onesti lo hanno francamente am
messo anche i più caldi avversari del tradizionalismo, che
la nostra ragione, de facto, è la ragion formata nel con
sorzio civile. Mille e mille pensieri ci vennero dati (tra
mandati), noi nello stretto senso della parola di fatto non
gli abbiamo inventati ma ritrovati. Di fatto la nostra
attività è un'attività in seconda istanza, in ordine se
condario. Tutti i nostri filosofi sono uomini di società,
cresciuti in una cerchia di idee a cui tutto il mondo ha
parte. Le idee del falso come quelle del vero li circon
darono fin dalla prima infanzia così come l'aria che re
spirarono. Mi si dica adunque quando è che ebbe prin
cipio la loro propria attività isolata, il trovamento, l'in
venzione, la formazion dei pensieri? Tutti i filosofi del
così detto mondo pagano si sono trovati nella medesima
posizione di loro. Noi parliam sì della loro ragion natu
rale; ma che riconoscono tutti questi filosofi assieme ad
uma voce? Socrate, Platone, Aristotele, Confucio, tutti con
fessano apertamente d'aver attinto al tradizionalismo, di
aver ricevute dai loro predecessori le più sublimi, le più
magnifiche loro idee. E un fatto storicamente provato
che fuori della rivelazione nello stretto senso sopranna
turale ebbe luogo da parte di Dio un'altra rivelazione
fin dal principio, si chiami poi questa naturale, o (in
sensu latiori) soprannaturale. Ora dove trovarla adesso
questa ragion naturale abbandonata a sè stessa? Forse
245

presso qualche infelice, separato dalla società, cresciuto


nelle foreste, tra le belve selvagge? L'esperienza, se
questa vuolsi, presenta due sorta di fatti: una volta per
apprendere il linguaggio e le idee ad uno di questi in
felici ci vollero infinite fatiche; e un'altra volta tutte le
fatiche furon gettate invano per trarre da un altro al
cun costrutto tanto riguardo all'una che all'altra cosa.
Forse nell'ultimo caso gli organi della parola eran già
diventati sì rigidi, così indurati da non esser più atti a
formare voci articolate, e quindi questa persona non aveva
più mezzo per esprimere le sue idee. Certo che non può
negarsi questa possibilità: l'esperienza giornaliera ci fa
vedere anche troppo come quei fanciulli che non son av
vezzati da bimbi a parlar chiaramente, cresciuti, hanno
una pronuncia stentata e difficile. Nel primo caso quando
è ch'era avvenuto l'isolamento della ragione? I fanciulli
abbandonati hanno di già ricevuta una serie di idee nel
seno della società dei loro parenti. Egli è chiaro in qual
labirinto d'indagini ci conducono questi fatti. Questa so
ciale conditio sine qua non è ella una conditio per acci
dens od una conditio absoluta ? cioè a dire la necessità
delle comunicazioni sociali, è tale, da esser necessaria
anche nello statu integro perchè l'uomo è per natura
animal sociale, od ella è soltanto necessaria per l' acci
dens della corruzione, dell'indebolimento sopravvenuto al
l'uomo? Che può far l'umanità, infiacchita nella volontà,
nell'intelletto, abbandonata a sè stessa? Egli è evidente
che ci troviam trasportati sul campo della storia. I Padri
della Chiesa quando parlano della sapienza dei pagani,
dicono che quanto di buono, di grandioso avevano gli
antichi nel regno della verità, lo avevano tolto ai Giu
dei, così com'essi stessi lo confessano questi savii pagani.
246

Poscia questi Padri rispondono alla questione: che han


potuto fare i pagani, abbandonati a sè stessi? e dicono:
aver i pagani corrotta la verità invece di trovarla e col
tivarla; averla svisata in mille guise; aver essi rovinata
la verità! a Nisi dominus nobis reliquisset semen, sicut
Nodoma et Gomorrha fuissemus. » E la decadenza sarebbe
divenuta sempre più grande nell'intelletto, e peggior
sempre la fiacchezza nella volontà se non fosse apparso
a Colui che illumina ogni uomo che entra nel mondo. »
La cognizion naturale della ragion naturale, di cui
parla l'Apostolo, non abbisogna per nulla della cognizion
primaria, d'esser la prima cosa ritrovata; e non solo
è al tutto conveniente di togliere la dimostrazione dalle
secondarie, ma la parola medesima del testo parla pie.
namente nel senso di questo modo di comprenderla cosa
Tutti i testi tolti da s. Tommaso contro i tradizionalisti
o provano nulla affatto, o provano appunto il contrario
di quello che vorrebbero provare (1).
Ora possiamo passar direttamente alle conclusioni che

(1) Se vuolsi istruirsi alcun poco sulle viste di s. Tommaso pi


glisi il C. III della Sa. c. gen. Dico alcun poco, giacchè la que
stione è troppo immedesimata colle questioni metafisiche ideolo
giche perchè possa io qui presentare intero il modo di vedere di
s. Tommaso. Quando si parla di s. Tommaso bisogna usar tutte
le cautele fino allo scrupolo. Si spargerà la luce necessaria su que
sto argomento quando più giù mostreremo come ad ogni essere
potenziale deve precedere un attuale, ad ogni non cognizione
una cognizione; ad ogni imperfezione una perfezione:
“ Nulla polentia reducit se in actum - nemmeno la cognizione
potenziale. La cognizione potenziale per andar più avanti a cono
scere deve esser primamente ridotta in atto per mezzo della cogni
zione dei principii.
247

ci pongono al sicuro dalle mene rivoluzionarie di Car


tesio e di tutte le scuole moderne.
Cartesio spogliò radicalmente la ragione umana di
tutti i suoi elementi vitali, e l'abbandonò a sè stessa,
proprio a quel modo che i riformatori spogliaron la Bibbia
di tutte le sue connessioni storico positive, e, tolta a
tutto l'ordine delle cose, l'abbandonarono agli uomini.
Cartesio fece nel campo della filosofia lo stesso affatto
di quello che fece Lutero nel campo religioso. Pari la
causa, pari l'effetto. Si confronti il campo delle meta
morfosi della religione riformata per tre secoli fino al
presente, e delle molteplici deformi e fantastiche ibride
figure dei sistemi filosofici della scuola moderna dopo
Cartesio, e si dovrà convenire senz'altro che in amendue
i campi si verificano proprio a capello le stesse cose.
Cosa in verità ammirabile, ammirabile fino al più alto
grado! ma perchè dunque non si apron gli occhi onde
vedere ciò che a lettere di fuoco si può leggere in tutta
la scuola moderna? Non verificossi qui, a parlar solo
della filosofia, avvenuto veramente il flagello della deva
stazione in tutto l'orror suo? Dacchè Cartesio incominciò
a fondare sulle arbitrarietà soggettive i sistemi della ra
gione autocratica, tutto il campo della filosofia non ci
offre altro che un continuato, variopinto in mille guise,
giornale di mode, che cambia di figura in cento maniere.
Le forme di proteo nelle più miserabili caricature di una
fantasia inferma; tutte le stoltezze del delirio si incroc
cicchiano in tempestoso scompiglio, fra i più scandalosi
attentati alla ragione proscritta. Ben ha ragione la ra
gionevole umanità di riguardar solo con disprezzo o con
compassione la filosofia da Cartesio in poi. Poichè-dopo
Cartesio professar filosofia non vuol dir altro che occu
248

parsi di stramberie e insensataggini. Se mai fuvvi al


mondo temerità o vizio che meriti d'essere senza miseri
cordia corretto, punito, sferzato con tutta la serietà della
persuasione irritata, con tutta la forza di una giusta im
degnazione, con tutto l'ardore per la moralità e la virtù,
con tutto lo sdegno contro audaci delitti; se mai la spada
della giustizia, non dico senza riguardo alcuno agli even
tuali motivi della mitigazione della sentenza, dovesse es
sere adoperata colla più energica risolutezza e colla mano
più pesante, questa è l'occasione veramente opportuna»
trattandosi qui di por fine una volta allo stato scandaloso
della nuova filosofia dopo Cartesio, onde tornar in onore
la traviata ragione umana. Non è diffatti oltre ogni dire
ridicolo e ad un tempo ributtante il vedere come ciascuno
abbandonato a sè stesso, si fabbrica le sue definizioni, i
suoi assiomi e problemi secondo un arbitrio che varia a
morma delle passioni, e tosto munito di un diploma di
Professore della verità ascende la cattedra o scombicchera
libri, per dimostrar al mondo tutto non altro conoscer
egli che le mene arbitrarie dei rivoluzionarii rossi?
Ma d'onde questa impertinenza ed audacia ormai fatta
generale? d'onde questa tracotanza che passa ogni mi
sura? d'onde queste ridevoli rodomontate colle quali que
sti dotti ingannano sè e tutta l'umanità? Da donde pro
vien tutto ciò se non direttamente da quella fonte di
falso razionalismo aperta da Cartesio? Arbitrio, oscilla
zione, rovina e distruzione totale, contraddizioni su con
traddizioni, incertezza e debolezza, completa letargia e
tosto dopo dimenticanza completa, questa è la sorte dei
sistemi tali e quali li han lanciati nel mondo Cartesio,
Leibnitz, Spinosa, Malebranche, Loke, Hume, Condillac,
Kant, Fichte, Hegel, Schelling, Baader, Günther, Cou
249.

sin. E per conseguenza la stessa confusione in ogni dotta


adunanza, quando si parla di filosofia, quando si discorre
filosoficamente sopra qualsivoglia oggetto d'arte e di
scienza. Se volessi scendere a particolari, potrei prendere
qualunque idea per dar una memoria storica dei mille
diversi concetti che se ne ebbero, ciascun dei quali è in
contraddizione coll'altro.
Ecco cosa è l'arbitrio del razionalismo soggettivo, che
con oltracotante fiducia di sè segue la ragione umana
abbandonata a sè stessa. Tali sentimenti del razionalismo
richiamarono alla memoria di Pio IX nella sua Allocu
zione del 9 dicembre 1854, le parole dell'Apostolo s. Paolo,
colle quali è detto ch'essi ingannano sè stessi. Bisogna
mostrare, dice il Sommo Pontefice, a questi uomini che
sollevano oltre il debito le forze dell'umana ragione, ch'e-
glino sono in diretta contraddizione con queste parole
dell'Apostolo delle genti: a se alcuno crede di essere
qualche cosa, mentre è nulla, ed egli inganna sè stesso. »
Questo inganno di sè stesso tanto nell'esame religioso
della Bibbia, come nell'investigazione filosofica ha con
dotto a tale scompiglio di idee e di linguaggio, che se
condo ogni verosimiglianza non si potrà nè intendere nè
apprezzare in tutta la sua gravezza la critica che ne ho
fatto in questa mia censura. Sarebbe mestieri aver dap
prima presente la filosofia dell'antica scuola, onde poterne
istituire un confronto. Io non pretendo che si presti cieca
fede alle mie asserzioni; a me basta d'aver quì antici
pato quel giudizio, che tutta l'opera presente ha per
iscopo di giustificare. Se il tempo fa veramente giustizia,
e così vuol Colui, da cui viene ogni sapienza, che la ve
rità torni di nuovo nelle aule dei nostri Licei, si trove
ranno di ben più abili penne, che in tutta la vigoria
250

delle forze giovanili, con santo e religioso entusiasmo


abbatteranno quei rivoluzionarii filosofici che volevano
cogli insulti e lo sprezzo annientare l'antica scuola. Par
lerassi forse con altre forme di stile e di lingua, ma non
dirassi altro da quello che ho detto io; si dirà anzi che
quanto io dissi quì non è che una sbiadita imagine di
quel linguaggio che avrei potuto e dovuto tenere. Non
dirassi altro, e si renderà testimonianza che la verità non
invecchia, che i vecchi libri in folio degli sprezzati Padri e
Scolastici debbon esser ristampati tali quali finchè la
vecchia scuola non abbia cresciuti uomini capaci di cor
reggerne gli errori di stampa. « Veritas Domini manet
in aeternum! » E questo sarà l'inno della vittoria che si
intuonerà sulle rovine delle nuove scuole introdotte da
Cartesio.
Resta di rilevare da ultimo in tutta brevità e preci
sione quelle conseguenze che distinguono la nuova scuola
cartesiana dall'antica.
1. Rispetto ai criterii: l'unilateralità della nuova scuola
che esalta un criterio a spese dell'altro, disconosce con
seguentemente per principio l'essenza di un criterio (v.
Teorica della cognizione e Metaf), ed in conseguenza di
ciò l'essenza della certezza. In conseguenza del criterio
soggettivo della nuova scuola, tutto diventa soggettivo.
La soggettività (1) nel senso moderno opposta all'og
gettività, alla realtà, è il carattere proprio rimasto a tutte
le scuole moderne fino al giorno d'oggi. Le ulteriori con

(1) Uso quì la parola nel senso che le si attribuisce al presente.


Chè quest'uso sia affatto arbitrario ed infondato lo vedremo più
tardi. Pigliar la soggettività per l'opposto dell'oggettività è conse
guenza della follia, della totale insensatezza dei filosofemi della
scuola moderna. - -
251
seguenze si rivelano da sè, secondo l'accennato a chi vi
rifletta.
2. Col criterio dei sensi non unilaterale ma in unione
al criterio dell'evidenza intellettuale, secondo l'antica
scuola, la verità, la realtà rientrano nei loro pieni diritti,
e tutto il campo della realtà si ordina da tutte le parti
nella più rigorosa armonia; mentre la nuova scuola non
può generare che confusione fino ad un panteismo totale.
3. Col criterio dei sensi e dell'evidenza è assicurata
incrollabile base alla rivelazione, alla fede. Mentre la
nuova scuola deve separare la teologia dalla filosofia, e
rovina in massima la teologia, giusta la dottrina dell'an
tica scuola tutto ordinasi in reciproci vincoli senza con
fondersi. -

4. Col criterio dei sensi nel campo reale e con quello


dell'evidenza nell'ideale rientra ogni factum, vale a dire
tutta la storia come l'abbiam contingente nel suo pieno
diritto.
5. Con questo incontrovertibile factum della storia, noi
veniam primamente istrutti di quello che possa l'umana,
cioè la nostra umana ragione. La nostra ragione ma
turale è la ragione formata nella società. Che possa far
la ragione isolata, abbandonata a sè stessa: noi nol
sappiamo nè lo possiamo sapere (1). La ragione
naturale dei pagani che può giungere alla cognizione di
Dio e di altre necessarie verità non è la primitiva co
(1) - A posse ad esse non valet consequentia. » La filosofia non tor
nerà in onore finch'ella non rinuncierà alle sue chimeriche specu
lazioni, sulle possibilità, su fantastiche imagini, per tornare ad av
vezzarsi alla potenza della realtà. Poggiata e fermamente appog
giata a questo fondamento non correrà più rischio per alcune spe
culazioni sulle possibilità di perdere testa e coscienza.
252

gnizione della ragione isolata, abbandonata a sè stessa;


ma la dimostrazion secondaria della ragion formata nella
società. Soltanto la storia, la rivelazione ci può raccer
tare di quanto possa la ragion isolata, abbandonata a sè
stessa, poichè di fatto noi non siam rimasti in questo stato.
6. Con ciò vien tolto di sotto i piedi ogni fondamento
al pretto razionalismo, tal qual fu fondato da Cartesio,
e vien totalmente sbarbicato dalle radici. Imperocchè tutte
le specie di razionalismo, non riducendosi in ultima istanza
che alla confusione ed allo scambio del campo ideale e
reale; non sì tosto sono demarcati, differenziati (non se
parati) l'uno dall'altro, è chiuso l'adito ad ogni sforzo del
razionalismo. -

7. Conseguentemente è tolto alla filosofia (la raziona


listica) l'orgoglio e la presunzione. L'arroganza della sog
gettività deve umilmente piegarsi innanzi alla realtà
oggettiva.
8. La dimostrazione per mezzo della ragion naturale
rimane nella piena sua forza, e con ciò è salvata la di
gnità dell'intelligenza. Secondo i principii dell'antica
scuola l'umile modestia e il riconoscimento della potenza
dell'intelligenza trovansi riuniti assieme; mentre i prin
cipii della scuola moderna menano al buio scientifico ed
all'empietà. Fede e scienza secondo la scuola antica
stanno tra loro nella più bella armonia, reciprocamente
legate, mentre nella nuova scuola si contende di conti
nuo, ed è forza contendere sopra amendue questi con
cetti rimasti per tutta l'epoca nuova indicifrati.
9. Onde indicare e rilevare in una espressione pra
tica la totale opposizione della vecchia e della nuova
scuola io dico: la primissima sapienza di un filosofo del
v

l'antica scuola è riconoscere: che cosa l'uomo non


253

è, cosa non sa, cosa non può (1), e con questa sa


pienza e realtà della creatura gli si apre la porta nel
regno dell'infinita verità, della verissima realtà. La sa
pienza primissima (vale a dire la sapienza imaginaria)
della nuova scuola è conoscere (presuntuosamente) cosa
è l'uomo (secondo la sua imaginazione) cosa sa, cosa
può, cioè cosa falsamente s'illude di sapere, di potere. –
Voi sarete come Dei – e con ciò vien aperta la porta
a tutte le fantasticaggini nel regno della formazione ideale
dei pensieri. Il filosofo dell'antica scuola comincia colla
visibile realtà, resta nella realtà e giunge all'altissima
realtà; il filosofo della nuova scuola comincia coll'arbitrio
soggettivo, resta nei fantastici arbitrii, e giunge da ultimo
al nulla ch'egli ha fin da principio fondato. -

Chiudendo questa terza parte dell'introduzione, prendo


occasione da quanto quì immediatamente precede, per ri
tornare a quello ch'ebbi a dire nel principio della prima
parte. -

La verità è la realtà. Ogni verità, ogni realtà


non è che una partecipazione dell'altissima verità, del
l'altissima realtà. Ogni verità, ogni realtà è vera e reale
soltanto per la prima altissima verità e realtà. A
questo deve condurre la vera filosofia, la retta cognizione.
La vera scienza cammina quindi mel profondo, nell'alto,
ad ogni passo si fa più profonda, più alta, e non s'ar
resta finchè non siasi spinta all'ultima profondità ed al
tezza. Là, all'ultima meta della verità, della bontà, am
mirando riposa. Il mistero diventa l'elemento suo pro
(1) Calcolo sulla penetrazione e lealtà del lettore che non vorrà
frantendermi. La proposizione non dice la parola: la non scienza,
ma si fonda sull'altissima verità metafisica che la creatura è piut
tosto un non essere che un essere.
254

prio, non già nel senso ch'ella voglia o possa compren


derlo; ma nel senso ch'ella lo intende come la fonte
dell'essere suo, come l'origine di tutte le cose, del pari
come il principio che la fine di tutte le cose. a Ego sum
principium et finis, a et o. » La vecchia scuola non co
nosce orrore alla scienza, ma in tutt'altro senso di quello
mol conosca la nuova. L'antica scuola conosce l'umiltà.
L'umiltà della scienza è il fondamento della scienza delle
creature: l'umiltà dà coraggio. La sapienza contrad
dice agli orgogliosi, e lascia invece entrar gli umili nel
suo santuario. » Magnam erigere vis fabricam ? cogita
prius de fundamento humilitatis. m Quindi riponi pur alte
le tue aspettative nel Maestro, nell'Angelo dell'antica
scuola, nel santissimo tra i dotti, nel dottissimo tra i
santi, in s. Tommaso d'Aquino. Chiedi arditamente, il
Maestro è avvezzo alle ardite domande. Indaga profon
damente, il Maestro non si ferma alla superficie delle cose:
ma preparati ad udire serie risposte, profonde verità che
penetrano nella carne e nel sangue, fino nelle più riposte
midolle della vita; verità che ti mostreranno tutta la tua
miseria e meschinità; verità che ti condurranno all'orlo
del nulla; verità che ti mostreranno tutta la spaventosa
degradazione dell'intelletto, della volontà, del cuore, di
tutto l'essere. Ma non ti ferma od arretra perciò: il
Maestro guarirà le ferite aperte. Egli compenserà magni
ficamente i tuoi sentimenti umili e grati; egli ti rileverà
dal tuo nulla e condurratti nel santuario della sapienza
e della verità; egli, l'Angelo del Dio degli eserciti, gui.
deratti al trono dell'Altissimo, perchè offra colà sull'altare
dell'Eterno Amore coi lumi schiarati il sagrifizio della
preghiera e della riconoscenza a Colui che è, fu e sarà.
PALESTRA

COLL' INDICAZIONE DEL METODO.

« Veritas liberabit vos!


Ev. Joh. 8, 32.
Quaestiones in tantum sunt amanda in
quantum ducunt ad veritatem per hoc, quod
oportet, ut omnes vnum dicant. Questiones
autem stullae non ducunt ad veritatem sed ad
litem quae est vitanda, et ideo dicit Apo
stolus: « Servum autem Domini non opor
tet litigare. »
St. Thomas in c. 2. Ep. 2, ad
Tim. lect. 3.

1.º REG 0L E GENERALI

Armi onorate.

Non s'incontra verità più dolorosa tanto nella vita della


comunanza sociale, quanto nel regno della scienza di
questa, cioè del contendere senza potersi intendere. Non
dissi volersi ma potersi, giacchè non mi spetta giudicar
delle intenzioni (de internis non judicat Praetor). Sorte
sciagurata della misera umanità! a uopo è che avven
gano scandali! »
256
L'Apostolo non comanda od ammonisce di tenersi in
pace con ciascheduno: ma in quanto è da voi tene
tevi in pace con ciascuno. Certamente l'Apostolo voleva
tener conto della potenza della realtà: la pace non si
deve scambiar colla e arità. Quanto egli è certo che noi
dobbiamo amar ogni prossimo, anche il nemico, d'amor
cristiano, tanto egli è meno possibile d'essere in asso
luti rapporti di pace con chicchessia. L'amor alla verità
porta di tutta necessità seco altrettanto odio all'errore,
così come l'amore alla virtù implica per tutta necessità
un odio parimenti grande al peccato. Chi non può odiare
non può nemmeno amare, chi non vuole inimicizie non
vuol nemmeno amicizie. La differenza che c'insegna a
questo proposito la santa religione è quella fra la cosa
e la persona. Io posso odiar il fallo, e nondimeno amar
la persona caduta nel fallo; posso abboninar il peccato
commesso dall'empio, e ciò non pertanto far all'empio
quel bene che so. Certamente il difficile sta in ciò che l'er
rore ed il peccato si trovano appunto nella stessa persona:
questo indubbiamente fa che la virtù della carità riesca
in pratica molto difficile, anzi eroica, ma però non ne
toglie per nulla la necessità. Anzi ella perciò stesso di
vien più stringente: quanto più uno è immerso nel pec
cato, più profondamente avviluppato nell'errore, tanto
maggior bisogno egli ha di una mano soccorrevole della
carità, della grazia. Oltrechè può ben tosto avvenir che
brilli in tutto il suo splendor la luce della grazia, dove
pocanzi l'orror delle tenebre minacciava perdizione eterna,
così come può ecclissarsi la prima e sottentrar il buio
della morte. Nos omnes fragiles sumus – sed tu nemi
nem fragiliorem te ipso reputes – disse un pio e sa
piente uomo. Ma per quanto tu ti possa ritenere fragile,
257

l'umiltà ha i suoi confini, o dirò meglio ella vien limi


tata dalle altre virtù, che hanno esse pure diritto di en
trar nell'ordine della perfezione morale. Colla diffidenza
di te stesso deve andar pararallela la fiducia in una forza
superiore; quanto maggiore è quella, più forte deve es
ser questa. L'accasciamento, l'abbattimento, la dispera
zione rassomiglian sì poco all'umiltà come l'orgoglio e
la tracotanza son lungi dall'essere la magnanimità. L'u-
miltà dà coraggio. Chi non cerca il proprio onore, nè
confida nelle proprie forze, chi quindi propugna senza
passione o spirito di parte la verità soggettiva o oggettiva,
ad onor di Colui a cui solo l'onore è dovuto, egli o vinca
con gran fama, o cada gloriosamente, non offende le leggi
della carità. La lotta resta e deve restare finchè la morte
non venga ingoiata dalla vittoria. – Oportet esse scan
dala! – Chi non va innanzi dà indietro, dice s. Bernardo,
parlando della vita ascetica. Altrettanto si deve dire degli
sforzi scientifici per la verità. Chi non combatte non
vincerà seco lei, ma sarà vinto, e corre pericolo di cader
nel servaggio dell'errore. Apprezzar la verità come il più
santo e prezioso gioiello, guardarci dalla schiavitù dell'er
rore, sia appunto questa la generalissima regola delle lotte
scientifiche a La verità vi farà liberi. n La volontà è una
potenza cieca. Se l'intelletto non le fa lume e mostra la
via, essa, la cieca guida, mena seco ogni altro nel regno
delle ombre delle fantastiche imagini, nel tempio idolatro
della falsa pietà. a Pietas sine scientia aberrat. n Ma
se l'intelletto deve dirigere la volontà, egli come la fa
coltà per la verità, egli ha ben bene da badare all'altis
simo dovere di contendere non per questo o quel lato
della verità, per ogni lato, per tutta completa la verità,
brevemente per
p la verità,p per la verità intera. Sarebbe -

17
258

prezzo dell'opera di richiamar con tutta la forza dell'e-


loquenza l'attenzione su questa funzione dell'intelletto.
Sovra ogni altra cosa l'intelletto deve guardarsi dalle
vedute unilaterali, messe in rilievo a spese di altre uni
lateralità. Qui non intendo la limitazione intellettuale del
l'intelligenza che guarda all'una cosa mentre lascia l'altra
inosservata: queste son cose che facilmente si ponno cor
reggere. Io intendo piuttosto quella parzialità che risulta
da difetto della comprensione generale della verità, ed
in conseguenza del non giusto rapporto, perchè unilate
rale e spostato fra le facoltà morali e sensitive nella
loro reciproca dipendenza e gerarchia di superiorità o
d'inferiorità. Da cotali unilateralità nascono le più im
brogliate controversie che ponno condurre anche gli uo
mini di buona volontà alle più pericolose posizioni e me
gazioni.
Un esempio valga a chiarire la cosa. Come sopra si
disse: a pietas sine scientia aberrat » così vuolsi tosto
soggiungere, a scientia inflat. m Se la facoltà intellettuale
si è dessa addentrata fino al centro, ella ha ad un tempo
abbracciata la radice più intima della pietà. Dio è la
verità – il vero ed il buono sono una stessa cosa – il
vero ed il buono come scopo in Dio, la suprema verità,
la suprema bontà abbraccia, riunisce tosto le due facoltà
capitali, l'intelligenza e la volontà. Entrambe son condizio
mate e si promovono a vicenda. Io non posso amare (vo
lere) ciò che non conosco, ma del pari io non imparerò a
conoscere quello che non voglio conoscere. Se la volontà
è perversa, anche l'intelletto diverrà perverso, come vi
ceversa quando è falsato l'intelletto diverrà perversa an
che la volontà. a Scientia cum pietate aedificat. m L'o-
perazione intellettuale non inaridisce il cuore, ma s'ella
- 259

è la vera, riscalda, infiamma, allarga, anima il cuore


all'amor più profondo, più tenero, più coraggioso. Il tempo
in cui era fiorente la scolastica fu pur il tempo del più
eroico entusiasmo. Non sarebbe cosa troppo arrischiata
chiamar quel tempo, il tempo d'universale coltura. Si
tenti di richiamar al pensiero con tutta imparzialità le di
verse sfere dell'attività dell'età di mezzo tanto sotto i punti
di vista sociali, mercantili, tecnici, come nei rapporti reli
giosi e scientifici, e cadranno tanti pregiudizii, su quel
tempo già per mobili sforzi di parecchi amici della verità
recentemente sradicati. Tutto quanto finora si è detto si
fonda su la sola e suprema legge per tutte le questioni, come
per tutte le ricerche della verità, cioè: amore alla verità
schietta, imparziale, santo amore alla verità! Certo che
questa la è cosa da un santo. Ma il più serio sforzo verso
questa meta è dovere specialmente di colui che vuol es
ser maestro della verità. Ma se vuolsi già un alto grado
d'amore alla verità per cercarla ed insegnarla; si richiede
un grado infinitamente maggiore della stessa virtù per
riconoscere, accettare, seguire la trovata verità. Qui puossi
dimostrar l'eroismo di tutte le virtù; e questo è lo sco
glio a cui per certo rompon non pochi. Il punto d'onore
è in questo caso quel meschinissimo centro al quale si
mira. Per dir vero si richiede oltre l'acutezza della vista la
tranquillità dell'umiltà e della mortificazione in altissimo
grado. Ma per l'umiltà e la mortificazione ci vuol un co
raggio da leoni. – a Io ho errato – io ho preso l'errore
per la verità. » Il mio avversario ha ragione, ebbe maggior
acutezza di me; io sono pienamente convinto, ritratto la
mia dottrina, e accetto quella dell'avversario. In verità
quest'è un mobile linguaggio, qual solo può tenerlo un eroe!
Dove trovarlo? Certamente il mal seme dell'errore non è
260
che troppo diffuso! Per addivenire a tal ricognizione ed
abjura dell'errore o scritta nello studiolo, o fatta a quattro
occhi o davanti a numerosa adunanza, vuolsi forse mag
gior grado d'eroismo e santità, che non se ne voglia per
imprendere le fatiche del missionario, pronto a sagrificar
e dar la sua vita temporale e tutto con essa. La volontà
è debole e forse più debole dove più acuto è l'intelletto.
a Video meliora proboque, deteriora sequor, m è la con
fessione di un pagamo. Si richieggon molti e lunghi eser
cizii per giungere a questo punto sublime. Con un atto
non si acquista ancora un habitus. La cosa è tanto più
pericolosa quanto è cosa più attraente il trionfare del
l'avversario! Tutto quant'è il peso dell'amor proprio si
mette nella bilancia contro l'avversario. Se ad ogni mo
mento non si rinnuova la retta intenzione è facile col
più piccolo indugio si perda di vista lo scopo: a Error
parvus in principio, fit macimus in fine! » cioè applicato
al caso nostro, un error nell'intenzione può produrre i
più madornali errori. Una santa serietà deve regnare nel
campo della scienza. Chi giuoca e scherza colla verità
non voglio dire a bella posta, ma per leggerezza, per
irriflessione, non merita gli si volga parola: « Non est
disputandum cum negantibus principia » L'amore alla
verità è il principio supremo; quindi la serietà, un al
tissima serietà deve essere la caratteristica essenziale di
un uomo saggio, e con essa serietà la verità, l'amore
alla verità, lo zelo per la verità, e l'inimicizia, l'odio,
l'odio irreconciliabile contro la menzogna. Questa è la
legge suprema che deve dominare nella palestra scien
tifica. Lealtà, rettitudine, verità nel parlare! Lealtà, ret
titudine, verità nel conoscere! Lealtà, rettitudine, verità
nel trattare. Questa è la verità nel triplice rapporto come
-
261

la chiama s. Tommaso: a veritas in loquendo, veritas


in cognoscendo, veritas in essendo » L'una è strettamente
collegata coll'altra, come tutte le facoltà dell'uomo han
tra loro la più intima reciproca influenza. Tommaso, questo
gran Maestro nel conoscere la verità era un santo! con
ciò è detto tutto! Il dottissimo tra i santi, il santissimo
tra i dotti scrive: a se velle potius in inferno urere, quam
peccatum leve deliberate committere. » Quindi verità, la
verità, null'altro che la verità. Il carattere d'uom scien
ziato, d'uom sapiente, non può meglio indicarsi che col
dirlo uom di vero carattere. Con ciò ogni e qualsiasi
sofistica, è morta alla radice! Bando ad ogni sofistica
nella palestra della scienza, della verità! Con ciò è stim
matizzato d'infamia il così detto Metodo dialettico
(Hegeliano), non vo' dire come affatto indegno d'uomo
intelligente, ma come fonte di menzogna, di falsità! Que
sto nuovo metodo, dall'insorgere della nuova scuola tor
nato in moda, e ultimamente tanto vantato come il non
plus ultra della scienza contro la logica della vecchia
scuola, non è altro che la sofistica dei filosofi pagani che
non arrossisce di presentar per bianco il nero, nero il
bianco, l'essere pel non essere, e il nulla per l'essere.
L'intelletto di questi sofisti è abbastanza acuto per ve
dere che nel regno della verità tutto si trova nella più
stretta reciproca corrispondenza, che una medesima cosa
può essere considerata da parecchi lati, che le leggi me
desime si verificano in tutte le ragioni delle cose; ma
lo stesso intelletto di questi sofisti è troppo debole (o la
volontà troppo orgogliosa!) per riconoscere il supremo
regolatore secondo il quale tutto deve esser dirizzato,
troppo debole, onde nella mirabile concatenazione delle
cose comprendere ogni punto di partenza verso un punto
262
centrale, dal quale tutto parte ed al quale tutto ritorna
senza cadere nel disordine e nella confusione. La regola
principale da seguirsi contro questa dialettica sofistica
è 1. Fissar le idee. 2. Distinguere. -

Iº Fissar le idee. Una delle cause più comuni delle


discordanze nelle dissensioni scientifiche è quella di pren
dere in diversi sensi le idee, le parole delle quali si usa.
L'uno con date parole intese questo, l'altro quelle ;
entrambi hanno forse reftamente compresa la cosa; ma
solo perchè uno l'ha espressa con parole diverse, l'altro
si tien in diritto di non convenire, di contraddire (1).
Quando si tratta di fissar la terminologia, vuolsi anzi
tutto aver riguardo alla legge secondo la quale si forma
la lingua. È chiaro che la lingua è un fatto storico, che
le lingue sono altrettanti diversi fatti storici. Ora
nella lingua si può fino a un dato grado qualunque più
o meno scoprire una serie di leggi di formazione fisiche
e metafisiche: epperò il fatto storico nella lingua deve com
servare l'assoluta preponderanza poichè alla fin fine la
lingua non è fatta per altro che per rendere possibile
il commercio sociale. Il commercio sociale però ha sempre
il suo punto culminante nel presente; e quindi la lingua
deve esser presa sempre come è de facto al presente. Solo
(1) Valga come esempio la grandissima contesa fra i greci e i
latini sul roataat, e substantia. Tosto che si capì che gli uni e
gli altri eran d'accordo sulla cosa, e solo adoperavano parole di
verse, la contesa fu a un tratto finita. È fatto notorio che ciascun dei
nostri filosofi tien un linguaggio suo proprio individuale, sicchè
ogni filosofo dovrebbe, ond'essere compreso, di necessità aggiungere
un dizionario apposito al suo sistema filosofico. Si direbbe che essi
mettano il lor sapere nel parlare un linguaggio diverso da quello
parlato dalla comune degli uomini. Chi è che ha ragione? chi è
colui che disse bene?
263

in questo modo si eviterà la confusione. Ora dov'è l'auto


rità, la regola determinante? Questa è la questione istessa
di quando in genere si domanda qual sia la regola e qual
l'eccezione. Regola ed eccezione son idee relative: si
comprende l'una quando si è compresa l'altra. La regola
è la cosa comune, l'eccezione la non comune; la regola
è quella alla portata di tutti, l'eccezione quella che non
si capisce o solo difficilmente; la regola è quella che av
viene nella gran maggioranza degli uomini, di un popolo
ed anche di una sfera più limitata; l'eccezione quello
che trovasi nella testa degli idioti. Chi pretendesse una
prova di ciò, costui avrebbe bisogno pur anco d'una prova
se davvero vi sia luce quando il sole splende in pieno
meriggio.
Se si volesse obbiettare: e la vecchia scuola non ha
anch'essa la sua invariabile terminologia sicchè parla un
linguaggio inintelligibile a tutti? A questo, prescindendo
dalla questione di chi sia la colpa di questa inintelligi
bilità, se del linguaggio degli scolastici, o dei rodomonti
dell'era nuova che non conoscono il linguaggio della ve
rità, prescindendo dico da tal questione, così sarebbe da
rispondere:
1) L'invariabilità anzitutto non è assoluta, ma la è
relativa rispetto all'uso generale della lingua.
2) In quanto l'uso della lingua è fissato, è fissata anche
la terminologia degli scolastici. Perciò la filosofia degli
scolastici, esclusi i neologismi, è un linguaggio filosofico
accessibile a tutto il mondo, e comprendibile assai più
facilmente di qualsiasi altro delle scuole moderne.
3) Quando la terminologia scientifica è desunta dai
modi di dire intesi generalmente dal popolo, e quindi le
idee sono scientificamente ordinate secondo la verità,
264

questo sviluppo scientifico giova a consolidare la lingua.


Questo reciproco cerchio sarà tanto più regolare, quanto
più la verità sarà compresa ed espressa.
4) Finalmente: la filosofia scolastica o è vera o è falsa.
Se ella è vera resterà anche la sua terminologia; s'ella è
falsa scomparirà tosto anche la sua terminologia, com
presa che siasi la verità. Ad ogni modo la verità per
sè stessa immutabile, ha una corrispondente terminologia
immutabile (1). -

II.º Distinguere. Allo stabilire la terminologia è im


mediatamente unita la distinzione, come un'altra regola
generale principale, onde evitare le male intelligenze ed
ovviare agli errori. Chè la distinzione sia un modus co
gnoscendi effettivo lo vedremo nella Teorica della cogni
zione. La distinzione apporta chiarezza, l'ommetterla con
fusione. « Nulla falsa doctrina est quae non aliqua vera
intermiscat » dice s. Agostino (lib. 2. Quaest. Evang.
c. 40). Tutti gli errori basano su verità storpiate o ca
povolte. Se non avesse almeno l'apparenza della verità,
nissuno sosterrebbe come verità un errore. Il merito della
distinzione consiste nel mostrare dove comincia la con
fusione sulla quale si appoggia l'errore. Ma quanto è fa
cile mediante opportune distinzioni stabilire in modo chiaro
e convincente la verità o l'errore, altrettanto è difficile
nell'ulteriore sviluppo del nesso dei pensieri, trovar fuori
quella distinzione che sciolga effettivamente il modo. In

(1) Molto tempo fa in Inghilterra dietro un cortissimo progetto


di un dotto, si fece il tentativo di scrivere la lingua inglese come
la si parla. Subito ne derivarono inconvenienti su inconvenienti,
e fu forza confessare che continuando in tal esperimento in bre
vissimo tempo sarebbero diventati geroglifici indicifrabili gli antichi
documenti.
265

generale non si deve ricorrere con troppa precipitazione


al distinguo come spediente universale contro ogni sorta
d'errori, sofismi e difficoltà. Si badi dunque con tutta
attenzione che non è detto: a qui distinguit bene docet ,
ma bensì: a qui bene distinguit bene docet. m L'arte della di
stinzione non consiste nel voler distinguere sempre e dap
pertutto, e via via sempre di bel nuovo e dappertutto,
ma nel distinguere e giudicare rettamente ove e quando
si deve distinguere. Il « bene distinguere » è quello che
costituisce il vero docente. Se mai altrove, più qui dovrei
raccomandar l'Angelo delle scuole. In questo s. Tommaso
mostra il suo maraviglioso acume, il suo sguardo d'una
penetrazione affatto superiore. V'hanno parecchie que
stioni in cui altri uomini eminenti tra gli scolastici cre
dettero di dover fare ulteriori distinzioni. E la cosa parve
di tanta finezza che non mancaron tra i moderni scrit
tori di coloro che vollero torre la palma di mano a s. Tom
maso per darla ad un altro. Bisogna stare in guardia: la
distinzione ha i suoi confini: se la si spinge oltre, od essa
conduce alle più enormi ed inopportune separazioni, o
passa nel campo della sofistica, dove parole diverse non
significano cose diverse. – Di regola non si può mai
raccomandar abbastanza al principiante il a distinguas »
Se si mostra l'inattendibilità di una distinzione, di regola
bisogna cercare in un'altra la luce desiderata. Si è già
guadagnato molto, quando il principiante ha il dono della
distinzione. Lo spirito si abitua all'attenzione per la con
mession dei pensieri tra loro, mentre la confusione e lo
scompiglio son l'ordinaria pecca di un mal destro intel
letto. Ma quando l'abilità nel distinguere crede di poter
rendere tutto facile, di poter sciorre ogni difficoltà e met
ter tutto in luce meridiana, allora bisogna star doppia
266

mente in guardia. La profondità diventa superficialità


quando l'acqua si abbassa. Vi sono verità le quali sono
assolutamente chiare fino ad un certo grado, ma che
diventano oscure affatto e restano tali per un intelletto
limitato. Trovare l'aurea via di mezzo anche nella di
stinzione è sempre la cosa più difficile, com'è la più fa
cile e seducente lasciarsi andar agli estremi.
Le regole generali qui sopra esposte si possono quindi
riassumere nelle quattro seguenti.

Iº Amore alla verità.


II.º Odio contro la sofistica.
III.º Solida terminologia.
IV.º Sforzo per la retta distinzione.

II. REGOLE SPECIALI PER LA DISPUTA.

Metodo scolastico.

Colle regole speciali per la disputa, e conseguente


mente per qualsiasi controversia scientifica, io do il me
todo rigorosamente scolastico, qual tuttodì vien usato in
tutti i collegi di Roma. Vorrei sperare con ciò di convincer
. ognuno della sciocchezza che si disse quel dì che si volle
diffamare il metodo scolastico come un metodo del tutto
proprio particolare, come noioso e per nulla scientifico.
Gli è certo che le declamazioni e le perorazioni quali si
amano nelle dispute e controversie in Germania, non
conducono a nulla di bene. Il difensore, esposta la tesi
parla per uno spazio di tempo in forma oratoria, butta
fuori una massa di pensieri, mostra in lingua forbita la
267

sua confusion dialettica, e poi lascia la parola all'avver


sario. Questi trasceglie da quella massa indigesta quel
che gli torna più comodo, e se ne fa il punto d'appoggio
del suo discorso; anch'egli come il difensore parla in
lingua oratoria, dice con disinvoltura un amasso di cose,
non monta se appartengano o no al suo argomento; se
riguardino a questo o quello scopo, se attacchino questo
o quel pensiero del difensore: dipende dalla sua destrezza
personale il dar questa o quella piega all'affare. Al modo
stesso il difensore riprende la sua tesi infarcendo il di
scorso di pensieri e parole ridondanti. Così si procede
senza regola, senza scopo; è fiato gittato al vento. Il
fin della canzone è che non si raggiunge scopo alcuno
e alla conclusione ciascuno ne sa tanto quanto ne sa
peva da principio. Non sono in una parola che oziosi
cavilli. Col metodo scolastico si va più avanti in cinque
minuti che con questo in cinque ore od in cinque anni.
Qui non si parla a caso, in monte, pigliando tutto in
fascio: si fissa nettamente lo scopo – si dà la dimostra
zione in un'unica proposizione. Questa proposizione
vien impugnata in questa o quella parte acutamente
determinata. La dimostrazione dell'avversario vien pre
sentata anch'essa in un'unica proposizione. Quest'u-
mica proposizione è quella che nelle singole sue parti vien
esattamente censurata – è sull'una o sull'altra parola
che s'aggira il tutto, questa è quella che è impugnata e
difesa, le distinzioni son tenute nei loro confini, la via è
segnata dal bel principio, lo scopo non può fallire. Così
cadono gli oziosi sproloquii, son rimossi i pensieri super
flui, le distinzioni inopportune si rivelano tosto per tali,
e con ciò si assicura alla verità la sua strada, senza su
perfluo dispendio di apparato dotto apparentemente, il
268

quale non vien frammischiato che per mera ostenta


zione (1). -

Se vuolsi identificare il metodo scolastico col mate


matico, la è cosa giusta o falsa secondo la si piglia.
Il metodo scientifico non è il perfecte et absolute mathe
matica, ma somigliante al matematico; così anche la
comprensione scientifica è diversa. La comprensione
matematica è compiuta, assoluta. Il matematico colle sue
definizioni indica esattamente quello che vuol con esse
indicare, ciò che è stabilito nelle definizioni, nè più nè meno.
Gli Axiomata son proposizioni per sè stesse evidenti.
I Postulata son proposizioni facili a capire che nissun
arrischia niegare per non far torto a sè stesso. A que
ste definizioni precisamente e nettamente concepite che
non lasciam addietro indeterminazione alcuna, a questi
assiomi e postulati tengon poi dietro le prove dimostrative
coi problemata, theoremata, lemmata, scholia, corollaria,
in modo che può nè deve restar indietro nissuna obbie
zione affatto. È una specie di conteggio, nel quale con
un'operazione artificiale e ben calcolata nel Facit ri
sulta appunto quello che primamente si volle colle prese
premesse posizioni, secondo i principii incontrovertibili
e generalmente ammessi. La natura degli oggetti mate
matici, la loro materia porta seco l'essere in essi neces
sario che le supposizioni sieno acute e limitate fino ai mi
nimi termini, a cui deve poscia susseguire una posizione

(1) Io presento il Metodo scolastico, non solo per l'uso delle


scuole, ma anche colla mira di dar in anticipazione la debita ri
sposta alle chiacchere rettoriche sulla Scuola di s. Tommaso.
Quello che propriamente è più necessario in Germania, è quello
che vi è più trascurato – La Logical -
269

conclusionale altrettanto acuta e limitata fino ai minimi


termini, giusta le regole della Logica.
Se vuolsi identificare il metodo scolastico col matema
tico, la cosa è giusta e non giusta, secondo la si piglia.
Il metodo scientifico non è il perfecte et absolute mathe
matica, ma somigliante al matematico. come la cosa
è diversa così è anche la comprensione matematica. La
comprensione del concetto matematico è compiuta, asso
luta. Il matematico indica appunto colla sua definizione
quello ch'egli vuol con ciò indicare, quello che è inchiuso
nella definizione, nè più nè meno. Gli aaciomata son pro
posizioni evidenti per sè. I postulata son certe proposi
zioni facili a capirsi, che missuno arrischia negare per
non farsi torto. Da queste appunto, senza che resti in
dietro alcuna indeterminazione, definizioni, assiomi, po
stulati compresi al tutto acutamente segue poscia la prova
dimostrativa pei problemata, theoremata, lemmata, scholia,
corrolaria, in modo che non deve nè può più esser pos
sibile obbiezione di sorta. È come nel conteggio dove per
via di abile artistica operazione deve appunto risultar
nel Facit quel che era inchiuso nelle prime premesse poste,
assunte posizioni, appoggiate ad incontrovertibili pro
posizioni generalmente note. La matura dell'oggetto ma
tematico, la sua materia, porta seco, l'esser quivi possi
bile e necessaria una supposizione acuta affatto fino al
limite di un capello, alla quale secondo le regole della
logica, deve susseguire una posizione conclusionale acuta
del pari fino al limite di un capello.
Questa stessa dimostrazione matematica, formata da
gli stessi elementi (definizione, assiomi, postulati), deve
secondo la logica stessa variare quando la materia si
cambia. a Modus traetandae rei debet esse proportiona
270

tus rei de qua tractatur n (S. Thom 1. Eth.) a Pro


priis et suis argumentis et admonitionibus tractanda quae
que res est. n (Cicero, Tus. l. 5). Mentre la forma ri
man la stessa, la materia richiede che nasca un'altra
specie di scienza, tostochè le cose da definirsi son di tal
natura che noi non ne abbiamo alcun'idea adeguata,
sebben ne abbiamo un concetto chiaro e ben determi
mato. Si badi a quest'ultima cosa. Parecchi qui si la
sciano indurre in errore da un salto illogico. Il com
prendere (comprehendere) può esser doppio: una compren
sione nel senso più stretto, più completo della parola,
per modo che il concetto comprenda l'idea adeguata
dell'oggetto, ed un comprendere in senso più lato, meno
stretto di modo che il concetto ci dà sì l'idea e la ve
rità, ma non la verità compresa affatto e perfettamente
adeguata. Ciò non pertanto quest'ultima non è falsa. Qui
sta lo sbaglio che fanno i dialettici sofistici. « L'ea parte
cognoscimus n è sempre un effettivo, un vero conoscere,
e tanto più vero e reale che lo conosco come un u co
gnoscere ea parte n Così noi non possiam farci di Dio
un'imagine adeguata (idea, concetto); Dio solo può questo.
Ciò nullameno noi conosciam Dio, e tanto più lo como
sciamo, quanto più dimostriamo che è impossibile per
noi averne piena cognizione (comprehensio adeguata).
Quando dunque la materia ammetta i concetti perfetta
mente adeguati, anche il metodo è un a methodus ma
thematica quoad substantiam, m dove non si avvera questo
si ha il u methodus mathematica quoad formam tantum n.
Quanto più generali, più incomplesse sono le idee di
qualsiasi scienza, tanto più il metodo s'avvicina al ma
tematico anche a quoad substantiam. m Quanto più spe
ciali, più particolari, o per non essere franteso, quanto
271

più concrete diventan le cose, quanto più molteplici di


ventano le applicazioni delle generalissime idee, tanto
più facilmente una circostanza trascurata può far erro
nea la conclusione, tanto più facilmente una distinzione
ommessa può rendere falso il risultato, tanto più facil
mente una particolarità ignorata può fino ad un certo
grado rendere erroneo il calcolo. Tutto ciò però nulla
prova fino ad un certo grado come lo si vede, propria
mente parlando, contro la giustezza iniziale (v. Morale:
certezza morale e la Teorica della cognizione). Ivi parrà
chiaro come in un medesimo campo scientifico si muti la
certezza della conclusione.
Per un'esatta disputa si richiede anzitutto l'abilità di
saper procedere o secondo il metodo analitico, o secondo
il sintetico. Parlerò in seguito più diffusamente dei due
metodi; quì mi limito a questo poco.
Il metodo analitico deve procedere giusta le re
gole della divisione. L'arte e la saggezza in questo caso
consistono nel vedere fin dove può andar la divisione
senza cadere o nel campo delle sottigliezze, che non vo
glion dir nulla, o di bel nuovo nell'incalcolabile campo
della confusione. Bisogna star ben sulle guardie: non
a qui distinguit bene docet, ma qui bene distinguit bene
docet. m S'ebbi già più sopra a dirlo in qualche luogo
richiamo quì di nuovo l'attenzione sull'acume eccezionale
affatto di s. Tommaso. Havvi non piccol numero di punti
importanti filosofici e teologici di contesa, sui quali altri
teologi procedettero colle distinzioni, mentre s. Tommaso
cessò di distinguere. Il tempo proverà chi fu più
acuto. Il saggio che esamina e disputa non deve seria
mente aver innanzi al pensiero che la verità e mul
l'altro che la verità. Allora si canseranno tutte le mi
272

nuziosità e sottigliezze, e la santità della verità non sarà


offesa nè dalle risa della scolaresca, nè dalla men retta
intenzione.
Il metodo sintetico deve: 1. stabilire precisamente
le sue definizioni (delle cose e delle parole); 2. mettere
in rilievo i suoi principii: sieno questi principii o veri
aa io mata (principia per se nota) o tali proposizioni,
sia primitive che dedotte, che valgono invece di princi
pii (quae habentur loco principiorum). Sia una verità
storica od intellettuale quella che l'avversario concede,
in quanto concede qualche cosa io posso servirmeme come
di un principio (loco principii). Il metodo sintetico
parte dal semplice, dall'universale (causa) al composto,
al particolare (effectus). Le definizioni colle quali si comin
cia son appunto verità universali e semplici come i prin
cipii. Il metodo sintetico procede dal genus alle species
in esso comprese, dalle cose più note e per conseguenza
più facili alle più complicate e difficili. Del resto il di
sputante dev'essere pronto a passare ad ogni momento
da un metodo all'altro, senza però portar lo scompiglio
nell'andamento generale di tutto il metodo (basato o sulla
sintesi o sull'analisi). Essendochè or venga a presentare
con ischematica brevità il metodo scolastico, e le regole
speciali della disputa tra il difensore e l'opponente, riesce
superfluo diffondersi quì oratoriamente su di esso. In
quanto il metodo scolastico riposa sulla logica, nissuno
dei nostri, anche lo spirito più accanito contro gli scola
stici, potrà scostarsene. Ch'egli poi riposi davvero sulla
logica, comprenderallo di leggieri, chi sa cosa sia Logica.
a Scholastice procedere idem est ac rem per controver
siam logice tractare, n
27:3

METHODUS SCHOLASTICA CUM REGULIS PRO DISPUTATI0NE


0BSERVANDIS.

METHODUS SCHOLASTICA GENERAL.

I. Propositio quaestionis. —
II. Argumenta Adversariorum — rationes dubitandi.
III. Statuuntur ea, quae ad rei, de qua agitur, intel
ligentiam requiruntur. — .
IV. Eae istis probatur propositio. — -

V. Eae propositione hac probata respondetur ad ob


jectiones. — -

ExPLICATIONES.

Ad I. Nisi rei, de qua agitur, instituatur quaestio, non licebit ul


terius progredi.
Ad II. Nisi pr0p0sita sint argumenta, quae contrarium probare vi
dentur, ratio dubitandi de ®eritate quaestionis nulla
patebit.
Ad IIl. Nisi afferantur ea, quae propositioni probandae lucem ad
dant, res quaesita, intelligi minime poterit.
Ad IV. Nisi probetur propositio, frustra esset instituta quaestio.
Ad V. Nisi ad argumenta contraria respondeatur, non satis erit
occursum adversae sententiae, ideoque (per accidens) mom
satis soluta quaestio.

{8
274

DISPUTATIONIS SCHOLASTICAE SEU DOCTRINALIS


LEGES ET REGULAE.

w Disputantis est, rerum, de quibus disputatur , ra


tiones ìnvenire et reddere ! »
I. Leges Defendentis : -

a) Initium sumat non a propositionibus vagis, sed ab


illis, quae proæime rem aggrediuntur (nè inutiliter tem
pus teratur).
b) Syllogismos proponat quam maæime breves i. e. me
colligat plures in unum (1).
c) Caveat, me per argumenta sua plu8 probet, quam
ipse contendit. -

d) Ne impugnet id, quod adversarius non negat.


e) Neque assumat tanquam dictum, quod adversarius
non diacit.
f) Ne concludat id, quod, quum concedatur, adversa
rium non ferit.
g) In pro secutione argumentationis eundem
terminum medium conservet i. e. istud medium, quod
initio ad probationem assumsit, in progressu disputatio
mis retineat.
h) Argumentatione indirecta uti poterit non quidem
ad ostendendam falsitatem propositionis , quam Respon
dens defendit , sed ut ostendat , Respondentem sibi ipsi
contradicere.
i) Fraudes et errores detegat, quin ipse fraudes et er
rores ingerat.

(1) Incipientes inprimis caveant a Syllogismis implicatis, sicut


et ab wsu dilemmatwm , qworwm wtraque facile pars ab adversario
potest megari.
275
II. Respondentis :
a) Intellecta et bene perspecta vi argumenti (repetitio
argumenti).
b) Respondeat vel totaliter vel partialiter negando vel
concedendo, distinguens propositiones.
c) Potest permittere a transeat m propositiones aliquando
si videlicet de earum veritate aut falsitate non constat,
vel si eae iis nihil ab Opponente concludi potest, etiamsi
concedatur.
d) Ad Respondentem non pertinet probare quod ne
gat (debet tamen responsiones dare solidis rationibus
ánniacas).
e) Non sufficit pro argumenti solutione inconveniens
quoddam afferre, quod sequeretur; nam, ut vulgo habetur:
a adducere inconveniens, non est solvere argumentum m.
f) Nec sufficit proferre rationes , quibus nititur pro
positio impugnata, si rationes illae vim argumenti non
infirmant.
g) Nec etiam sufficit difficultati oljectae aliam diffi
cultatem objicere.
h.) Non debet ab una quaestione ad aliam
transire.
i) Ne respondeat solummodo quibu8dam propositionibus
generalibus, quarum applicatio rem non tangit.
k) Quamvis, sicut in adversario, summa sinceritas de
sideratur, attamen licet conclusione8 moæ faciendas oc
cultare, non ut decipiat, sed ut veram responsionem
eliciat (1).

(1) In disputationibus publicis quae exercitii caussa in scholis


habentur, Defendens paucis verbis commendatitiis, quasi praefa
tiuncula aliqua, introducit, modo oratorio, suam thesin. Postquam
276

Che queste regole e leggi, come regole e leggi della


sana intelligenza s'intendano per la maggior parte da
sè, è cosa chiara a chiunque. Ma che ad onta di ciò si
pecchi assai di frequente contro o l'una o l'altra di
esse, anch'essa è cosa che non ha bisogno di dimo
strazione.
L'andamento dei pensieri nella trattazione scientifica,
come sopra l'esponemmo in cinque punti, è precisamente
il metodo di cui si servì s. Tommaso nell'immortale sua
Summa Theologica. Esso si ripete regolarmente in ogni
articolo, in tutta la sua pienezza. I neologi potranno
chiamar tal cosa a monotona, n gli amatori di s. Tom
maso sanno apprezzare la solidità delle regole, contro la
sbrigliatezza del gusto non scientifico. Per quanto le
forme dell'esposizione possano accidentalmente cambiarsi
in mille guise, la base sostanziale di ogni esposizione
scientifica od oratoria è data nel metodo su esposto,
come generalmente ogni entimema del pari che il più
potente periodo non è mai più di un semplice sillogi
smo. Questo metodo è tanto vecchio come in genere il
movimento scientifico del pensiero. Se del resto si vuole
un esempio palmare rapporto all'antichità del metodo
scolastico, si prenda l'Epis. 38 di s. Basilio (al 43) de
discrimine essentiae et hypostasis, e lo si raffronti con

argumentatio (in forma) per plures syllogismos eojam adducta est,


quod difficilior evadat, possunt proferri plura argumenta in con
trarium, (extra formam), ita ut unico enthymemate cuilibet argu
mento satisfiat. – Quodsi vero ad ultimam usque metam argu
mentatio deducenda sit, ex utraque parte semper ante oculos ha
beatur primum principi um, ita ut in ultima conclusione ap
pareat aut convenientia aut repugnantia cum veritate istius primi
principii, a quo ambo unanimiter progressi sunt. –
277

s. Tommaso Sa. p. 1, q. 29, a. 3. a Qui vult finem debet


velle media, n chi vuol la verità deve voler anche i mezzi
per raggiungerla, Essa non può raggiungersi nella sven
tata sbrigliatezza del pensiero.
Le fantastiche imagini del pensiero vaganti qua e là
devonsi colla rigorosa disciplina della Logica, contenere
entro quei limiti, oltre i quali incomincia il campo de
gli arbitrii. Trovata che sia la verità è facile, quando
piaccia, avvolgerla nel manto dello splendor oratorio,
anzi ciò è tanto più facile, quanto più uno si sente nel
sicuro possesso della verità. Dopo essere stati un Ari
stotele nel dimostrare la verità, si può diventar un Pla
tone nell'esporla. La solidità, chiarezza, determinazione
dei pensieri devono essere il fondamento per l'abilità,
pienezza e slancio dell'esposizione oratoria. Dove v'hanno
quelle, queste al bisogno facilmente si troveranno. Ma
se mancano quelle, queste non saranno che vuote ciance,
tautologia e ampollosità. L'arido scolastico sulla cattedra,
sarà uomo potente sul pulpito e sulla bigoncia, come al
contrario il professore che divaga in vacuità oratorie
sulla cattedra mostrerassi indotto e non abile maestro,
a Qui bene distinguit bene docet. n

TEORICA DELLA COGNIZIONE.

$ 1.

Tutta la filosofia nelle quattro sue principali discipline


propriamente non è altro che un'estesa teoria della co
gnizione. Se a fronte di essa, si vuol pigliar in un senso
più stretto la teoria della cognizione, e intender con
278

essa il processo intellettuale della cognizione, allora la


teoria della cognizione vien pienamente a fondersi nel
l'Ideologia; ma con ciò siam subito nella Metafisica. Il
processo della cognizione intellettuale è in immediato
messo e dipendenza colla cognizione sensitiva, e con ciò
passiamo alla Fisica. La teorica della cognizione in senso
stretto appartiene alla Psicologia. La Psicologia poi ha
due campi, il Fisico ed il Metafisico. -

Quindi se ora col titolo di Teorica della cognizione, do


un trattato speciale, non è per nulla affatto che io voglia
stabilire una speciale dottrina filosofica. I quattro rami
filosofici principali che ho nominati comprendono tutto e
sono sufficienti. Tutto ciò che appartiene ad una teoria
della cognizione in senso stretto, si riassume nelle quat
tro scienze filosofiche sumnominate, e non può esser in
teso se non in organica dipendenza da quelle. Siccome
la verità è un tutto così mirabile, che tutti i singoli suoi
membri sono reciprocamente causa ed effetto, di modo
che può dirsi che la verità si move non solo in una
spirale, ma anche in cerchio, giacchè le quattro princi
pali filosofiche discipline si presuppongono a vicenda di tal
maniera che i primi principii passano tosto in tutte le sfere;
così la reciproca concatenazione e ingranamento richiede
per proceder oltre un pensatore filosofico molto adde
strato. Pertanto io (e spero non senza vantaggio della
scienza) mi son lasciato indurre dal principio dell'utilità
pratica a dar qui tutto quanto può nel modo più celere
condurre all'intelligenza dell'opera intera, onde avere
davanti nel modo più facile tutta l'impronta, tutto il ca
rattere della filosofia tomistica; per così agevolare nella
maniera più naturale con lavoro proprio e indipendente
i progressi dello scolaro, non essendo mercè di essa que
279

sti trattenuto più a lungo prima di vedere dove si ac


cenni. Del resto il principio dell'utilità pratica nell'espo
sizione delle scienze come accennammo ha la sua profonda
ragion filosofica nella mirabile reciproca concatenazione
e presupposizione delle verità, di che si potrà convincersi
più tardi. In un moto circolare, per chi si mova secondo
le regole, da tutti i punti si riesce sempre al punto da
cui si è partito. Se poi un punto di partenza basti per
trovare tanto il centro che la periferia è cosa che ve
dremo più tardi. La difficoltà del principio (tutti
i principii sono difficili) non è basata soltanto sulla pie
nezza (oggettiva) dello sconfinato regno della verità, ma
anche nelle (soggettive) situazioni individuali del soggetto
conoscente, immensamente diverso per qualità e coltura.
Si distingua dunque il punto di principio dal punto
di partenza. Il punto di partenza, come fonda
mento essenziale appartiene alla filosofia, il punto di
principio appartiene al filosofo. Il punto di partenza
come essenziale è anche immutabile, oggettivo; il punto
di primeipio come non essenziale è anche mutabile, sog
gettivo. Si confronti con ciò quanto dirò più sotto sul
metodo. - -

Ai motivi qui esposti che m'indussero a dare un pro


spetto schematico, come teorica della cognizione, s'ag
giunge poi una serie di verità che debbono precedere
come necessarii Preambula ad ogni filosofare.
Sono le semplicissime idee del conoscere e del modo
di conoscere, che son sempre e dappertutto applicate,
tosto che si abbia a discorrere di qualsiasi cognizione.
Certo che queste verità le si rincontrano anche dopo,
appunto perchè la verità fa un moto circolare; ma esse
si rincontrano in altro modo, in più profonda centrale
280
comprensione, quindi dopo fatto il movimento spirale. Ri
chiamo una attenzione affatto speciale su questo movi
mento circolare e spirale della verità, come proprietà
essenziale, fondamentale di qualsiasi cognizione imperfetta,
che trovasi in potenza di perfezionarsi. La verità è
dessa che ci deve condurre alla verità, l'errore
non conduce alla verità (per se mò, ma però per
accidens può condurre alla verità. Di ciò più tardi). Ari
stotele avea già riconosciuto questo principio: a Homo
nihil potest discere nisi per id, quod jam scit. n. Ogni
scienza, ogni cognizione razionale si fonda su una co
gnizione precedente: a Omnis doctrina omnisque ratio
nalis scientia in antecedenti cognitione fundatur. Syllo
gismus et inductio non nisi hujusmodi cognitionibus ni
tuntur, siguidem ea principiis statutis proficiscuntur tam
quam omnibus notis. (Poster. analyt. lib. 1).
È tanto vero che l'uom si dia da sè la vita intellet
tuale, quanto che da sè si dia la vita fisica. « Nulla po
tentia reducit se ipsam in actum » (S. Thom. passim).
Ogni potenza non agisce se non in quanto è già in atto.
« Omnis potentia praesupponit actum aliquem » (S. Thom.
passim). Così anche la potenza intellettuale della cogni
zione presuppone un atto, col quale la potenza conosce
già attualmente, prima ch'ella possa progredire ad una
ulteriore cognizione (attualizzare). Il movimento ulteriore
avvien dappoi tanto materialiter che formaliter. Ma ad
ogni modo il moto circolare è quello della cognitio in
confuso alla cognitio distincta. Ma qui si badi tosto
ben bene, ciò che parrà chiaro più tardi, che la co
gniti o in confuso non è una cognitio obscura,
ma una cognitio molto chiara, anzi la più chiara
del mondo. Ogni cognizione di un intelletto imperfetto
281

che tende a più ampia cognizione, a più alta perfezione,


incomincia con una generalissima cognizione, la cognitio in
confuso, per progredire alla specialissima cognizione, alla
cognitio distincta. Nella cognitio in confuso è contenuta
come nel germe e midollo la cognitio distincta. Quella
in forza della sua propria matura conduce a questa:
a Omne ens tunc perfectum est, quando redit ad suum
principium (S. Thom. passim).
Basti qui l'aver accennato a questo processo fonda
mentale d'ogni moto, dei moti fisici, intellettuali e mo
rali. Il continuo ritorno di questo principio fondamentale
chiarirà la verità di esso e ne darà a conoscere l'im
portanza.

Noi cerchiamo di conoscere – noi aneliamo


alla cognizione, alla scienza. Sia questo il nostro
punto di principio. Vediam come da questo punto, giusta
quanto abbiam detto nell'antecedente paragrafo, possiamo
spingerci da tutte le parti, per tutta la periferia, per tutti
i raggi fino al centro della scienza.
Io dico: noi cerchiamo – noi aneliamo alla cogni
zione. Questo è un factum, è un fatto che nissun può
impugnare, neppure lo scettico. Se io cerco non ho
ancora; il cercare cessa col trovare, coll'aver tro
vato, coll'avere. Quello che io ho non lo cerco. In
quanto noi cerchiam la cognizione, non l'abbiamo ancora.
Noi siam in potenza per la cognizione, tuttochè se ed
in quanto tale potenza possa essere soddisfatta, adempiuta,
attuata. In quanto noi aneliamo alla cognizione, la mostra
è una cognizione potenziale e quindi una cognizione
282

imperfetta. L'essere potenziale in opposizione all'essere


attuale non è appunto altro che l'essere imperfetto in op
posizione all'essere perfetto (1).
D'altra parte, se io cerco devo benanco saper cosa
cerco. Sia pur questo mio sapere circa la cosa che cerco,
affatto minimo, affatto generale, affatto indistincte, ad ogni
modo senza una cognizione qualunque io non posso cer
care. Lo stesso cercare dipende dalla cognizione di quel che
si cerca. Il cercare, il contendere è un'attività della
volontà, della facoltà di appetire; ma questa è una po
tenza cieca (voluntas est potentia coeca); solo in quanto
un'attività conoscitiva comprende l'oggetto, l'attività vo
litiva si move verso l'oggetto. (Ignoti nulla cupido –
mil volitum nisi praecognitum) – Ma questa cognizione
precedente non può esser altro che una cognitio in con
fuso; essa mi può presentare generalmente affatto ed
indeterminatamente l'oggetto come meritevole d'essere,
cercato e reperibile, solo questa cognizione affatto generale
e indistinta dell'oggetto deve essere chiara in modo da
svegliar la potenza e determinarla all'uso dei mezzi. In
quanto dunque io conosco la cosa da cercare, la mia
potenza non è un cercare, ma bensì un possedere.
La potenza di cercare, di conoscere, in quanto ella deve
già conoscere la cosa da cercare, non è quindi in po
tentia, ma in actu. Il cercare, il contendere alla cogni
zione provien già da una reale cognizione, sia poi dessa
qualvogliasi. Questa cognizione reale, cognitio in actu

(1) Si vegga come questa semplicissima cosa, l'impercettibile


punto di principio ci porti tosto nelle midolla della Metafisica; e
come si giustifichi, sotto ogni rapporto, con ciò il detto nel primo
paragrafo.
283
che deve precedere ogni sforzo per la cognizione, non
mai può ella stessa diventar oggetto di ricerca, appunto
perchè è di già presupposta in ogni ricerca. Perchè noi
conosciamo, perciò noi aneliamo alla cognizione, perchè
dapprima conosciamo non distintamente, ma in con
fuso, perciò noi aneliamo alla cognitio distincta. Quando
Aristotele comincia la sua Metafisica colla verità di fatto:
a omnes homines natura scire desiderant, con ciò egli
esprime la qualità fondamentale, radicale del nostro in
telletto. Ciò che noi facciam per natura, lo facciam per
necessità. In ciò che facciam per necessità di matura
noi non siamo liberi, ci vien imposto, ci troviam dal di
fuori obbligati, lo troviamo in noi come un fatto. Tutti
gli uomini desiderano di sapere, perchè tutti gli uomini
sanno già qualche cosa. Tutti gli uomini bramano di sa
pere di più, di conoscere di più, perchè sanno già, per
chè possiedono già una cognizione che naturalmente spinge
a cognizioni ulteriori. Lo scettico si condanna da sè come
menzognero, nel mentre che asserisce di non saper nulla.
L'oggetto di cui egli dubita, collo stesso dubbio egli lo
presuppone come un essere, come essere reale (in qual
sivoglia grado). La cognizione che lo fa dubitare prova
già ch'egli conosce qualche cosa. I motivi ch'egli adduce
pel suo dubbio provano di già ch'egli sa cosa è la co
gnizione. Sapendo cosa è la cognizione ha già conosciuto
qualche cosa che precede ad ogni dubbio anche contro
sua volontà. Ogni dubbio presuppone dunque già una
doppia cognizione: la cognizione di quello che non de
v'essere l'oggetto di cui si dubita, e la cognizione del
conoscere in generale.
Giusta quanto si è detto il nostro conoscere è tale
che parte è in actu, parte in potentia, o con altre pa
284 - -

role, in parte è reale, in parte è possibile (potenziale).


Ognuno ha cognizioni in grado maggiore o minore, di
qualunque sorta esse sieno; e parimenti ognuno trova in
sè la possibilità di acquistare ulteriori cognizioni che an
cora non ha. La realtà e la possibilità della cognii
zione sono quindi due facta che non ponno esser negatt
se non da quello che vuol megare il principium contra
dictionis, cioè: a sicut equus et mulus in quibus non es
intellectus. » (Psalm.). -

Dal detto risulta come fatto incontrovertibile che non


conosciamo la piena, l'intera verità, ma solo una parte
di essa, e questa non già accidentalmente, ma prin
cipialmente od essenzialmente. La Metafisica ci mostrerà
che missun essere potenziale può mai diventar un mero
essere attuale, come del pari che nissuna cognizione po
tenziale può divenir una mera attuale, o con altre pa
role che l'essere potenziale è un essere imperfetto, che
l'essere imperfetto, e per la stessa ragione la cognizione
imperfetta, non possono diventar mai perfetti, veramente
perfetti, assolutamente perfetti. Siccome il nostro essere
e per conseguenza la nostra cognizione sono qualche cosa
di parziale, qualche cosa d'imperfetto, così noi non siamo
e non conosciamo, come acutamente dice s. Tommaso,
se non per participationem. Quindi noi non siamo l'essere,
noi non siamo la verità, ma abbiamo l'essere, abbiamo
la verità, e sì l'uno che l'altra partim in actu, partim
in potentia; quindi li abbiamo amendue ea parte. Quindi
tanto la verità che l'essere in actu purissimo sono fuori
di noi. Questo, fuori di noi, lo si prenda qui nel
senso più pieno e più gravido di significato. Io posso
chiamarlo oggetto per differenziarlo da noi, come sog
getto conoscente, per far qui tosto attenti ad un radicale
285

errore, che trascorse per le nuove scuole, come una ma


lattia epidemica, e trasse con seco le più spaventevoli
devastazioni; voglio dire l'opposizione tra soggetto ed
oggetto come piacque d'esprimersi. Il componimento
di questa opposizione fu la croce della nuova filosofia,
sulla quale alla perfine dovette morire, come il cattivo
ladrone bestemmiando Iddio. Che invece la scuola an
tica non conoscesse affatto questi termini soggetto e
oggetto nel senso della nuova scuola, ma col subjectum
indicasse appunto quello che ora si chiama objectum, è
uno di quei validissimi argomenti che alla nuova scuola do
vrebbero tornare ad ispirare il rispetto per l'antica. Gli
antichi cioè, indicavano assai acconciamente come subje
ctum, a id quod subjicitur alicui facultati, scientiae. » Era
cosa assennata e ragionevole. Invece voler chiamare sog
getto l'intelletto che conosce, l'Io che conosce, non può
esser derivato che da un movimento dialettico che già
ci rammenta i più pericolosi sintomi di malattia (1).
Si può dar un'opposizione tra oggetto ed oggetto (per
tenermi qui alla nuova fraseologia) tra soggetto e sog
getto, ma non fra oggetto e soggetto, come non può
esservi opposizione fra scopo e mezzo, fra un oggetto e
la facoltà appunto indiritta alla compressione di esso.
Dove non havvi scopo, non havvi mezzo, dove non vi
è oggetto, non vi è capacità, facoltà alcuna a questo og
getto. Parimenti dove non havvi oggetto non havvi sog
getto. Uno richiede l'altro in modo che l'uno non può
esistere senza l'altro. Ma dove non havvi opposizione
(1) Tutta la scuola moderna come filosofia dell'Io, può essere
indicata come un composto di arbitrii soggettivi. L'Io soggettivo
cercò la sua oggettività nell'Io assoluto, l'oggetto ed il soggetto
è uguale, in Dio, cioè nel pretto panteismo. ,
286

è impossibile fare una composizione. La differenza tra


cose, l'una delle quali appartiene all'altra, non forma um
opposizione che debba venir composta, ma la diversa
reciproca pluralità appartenente l'una all'altra, ha appun
to nella reciproca differenza la mecessaria immediata unità.
Se dunque la scuola antica per ciò che noi chiamiamo
soggetto, per l'Io, non trovò un termine proprio, ciò si
basa su una verità elementare affatto che non occorre
neppure di menzionare. Possiam moi parlare di oggetti
veduti se non abbiamo occhi? ecc. Possiam pensare ai
mezzi se non conosciamo alcuno scopo? possiam pensare
a noi stessi, conoscere il nostro proprio Io senza pren
derlo per oggetto? Non è la più grande stoltezza voler
far oggetto di discussione ciò che tutti presuppongono
come noto, sicchè non è neppur possibile l'ingannarsi?
Non chiamavasi questo voglia di litigio nel più stretto
senso della parola? Non è la sofistica, al grado più
alto dell'insensatezza? Ciò che non merita se ne parli
non deve neppur esser nominato. Inoltre a che un ter
minus per una cosa che ne ha già uno conveniente? In
quanto si parla di soggetto (nel senso dei moderni) egli
è oggetto (appunto in senso moderno) quindi subjectum
nel senso degli antichi. Davvero che camminare di già
e chiedere se si hanno i piedi, altro non sarebbe che
provare di non avere la testa a segno.
Il detto in questo S ce lo dà s. Tommaso nelle se
guenti due brevi proposizioni:
1º. intellectus noster est partim in potentia, partim
in actu – ergo imperfectus.
2.º intellectus noster non est ipsa veritas, non est sua
veritas, sed habemus veritatem sicut et esse per parti
cipationem.
287

Rimando per una più ampia penetrazione nella cosa


alla Noologia nella Metafisica (1).

S 3.

Noi cerchiamo di conoscere la verità. La generalissima


espressione per gli oggetti che noi vogliamo conoscere,
l'espressione in cui tutti i diversi oggetti son uno, è la
a verità n. Noi chiamiamo l'oggetto del conoscere a il
vero m come in generale chiamiamo a il buono m l'og
getto della volontà e della facoltà d'appetire. Lo stesso
oggetto in quanto è abbracciato dalla facoltà volitiva
chiamasi a buono n, in quanto è abbracciato dalla fa
coltà conoscitiva chiamasi a vero n L'oggetto come
noto è vero, l'oggetto come voluto è buono.
Alla domanda: cosa è la verità? s. Tommaso risponde
con una triplice divisione: 1. Altra cosa è la veritas in
essendo; 2. altra è la veritas in cognoscendo; 3. final

(1) Se ad alcuno recasse maraviglia che appunto in principio


si suppongono come note molte verità, faccio qui, oltre a quanto
è detto nel $ 1, di nuovo una radicale distinzione tra la vecchia e
la nuova scuola. -

Ciò che tutto il mondo sa può ben esser supposto come noto.
Voler supporre il nulla, chiamasi cominciar col nulla, chia
masi fermarsi nel nulla. Voler provar tutto chiamasi andar in
contro alla più marchiana contraddizione che dar si possa !
V'hanno verità più chiare del meriggio che non si ponno dimo
strare e non hanno bisogno di essere dimostrate non per manco
di luce e chiarezza, ma per sovrabbondanza di luce,
chiarezza e certezza. Vedi sotto più diffusamente sulla natura dei
principii. Del resto io voglio indicare qui, colle verità supposte
anche quelle che io suppongo solo per accidens, per puro comodo,
non per forza di necessità. ,
288
mente altra è la veritas in loquendo. La veritas in es
sendo è la realtà di una cosa, l'essere stesso, la corri
spondenza di una cosa coll'idea divina o, generalmente
parlando, coll'idea che deve necessariamente precedere
come costituente al suo essere. Così una pietra è una
vera pietra se ella corrisponde coll'idea creatrice – pro
duttiva della pietra. Questa è la convenientia rei cum
intellectu divino. Sotto questo aspetto la verità è la realtà
della cosa, come dice s. Agostino; verum est id quod est.
Noi la chiameremo la verità oggettiva. – La veritas
in cognoscendo è la corrispondenza dell'oggetto col sog
getto conoscente (secondo il modo attuale d'esprimersi)
la convenientia intellectus nostri cum recognita. In quanto
io conosco la realtà delle cose, come altra da quella che
è, la mia cognizione è falsa. Questo si potrebbe chiamare
la verità soggettiva, o meglio la verità conoscente; si
vede cioè facilmente che l'espressione a verità soggettiva n
è equivoca mentre l'espressione a veritas in subjecto n
o a veritas in intellectu cognoscente n non solo non può
trarre in equivoco, ma convenientemente affatto esprime
l'unità e la diversità della cosa (v. Psicologia). – Fi
malmente la veritas in loquendo è la corrispondenza delle
mie parole col mio pensiero, convenientia verbi cum corde.
Dove manca questa corrispondenza, dicesi il falso, la
menzogna.
In questo triplice aspetto corrisponde alla verità una
triplice falsità, la quale secondo la cosa stessa può es
sere denominata diversamente nel rapporto formale, o nei
diversi rapporti. La falsità nel primo aspetto chiamasi:
difetto (manco, anormalità); come p. e. quando nella
matura una cosa si diparte dalle regole, è mal confor
mata, mal generata, non naturale ecc. – La falsità nel
28)

secondo aspetto chiamasi: errore. La falsità mel terzo


aspetto chiamasi: menzogna, finzione. Tutte le tre sorta
di falsità si uniscono poi in ordine morali quando
la verità non corrisponde all'oggetto vero. Questa dis
cordanza, questa falsità è quindi « il peccato », che è
il deviar della volontà da vero oggetto di necessità a lei
proprio: e

Secondo il detto può esser uno medesimo l'oggetto del


conoscere e l'oggetto del volere. Non solamente il noto
diverrà il voluto, ma anche il conoscere. La volontà,
la facoltà d'appetire muove tutto. Io voglio conoscere,
io bramo di conoscere. D'altra parte: io non posso vo
lere, non posso bramare quello che io non conosco. Quindi
mostrasi d'ambo i lati l'intimissima scambievole dipen
denza di queste due facoltà, della facoltà conoscitiva –
e volitiva. S. Tommaso insegna questa scambievole di
pendenza con altrettanta precisione che brevità in una
proposizione che ricorre di continuo ne' suoi scritti: a volun
tas movet omnes alias facultates quoad actum ea ercitii,
intellectus vero movet voluntatem quoad actum specifica
tionis. n. L'attività come tale, il movimento in genere, l'e-
sercizio dell'atto (actus erercitii) appartiene alla volontà;
la determinazione dell'atto invece, che piglia più tosto
questa che quella direzione, la specifica qualità dell'atto
spetta alla facoltà conoscitiva (actus specificationis). Io
non posso conoscere senza voler conoscere; ma io non
posso voler questo o quel determinato oggetto,
specificamente qualificato, senza averlo prima cono
sciuto come tale. Vale in quest'ultimo aspetto il: nil
volitum, nisi praecognitum. La volontà, la facoltà voli
tiva in generale, è come tale una potenza cieca, perchè
la sua attività meramente come tale è un che di ge
- 19
290

nerale (vago, indeterminato, potenziale). Se a questa


potenza generale indeterminata non s'aggiunge la spe
ciale determinata formazione dell'oggetto d'appetire, la
facoltà volitiva non avrebbe più alcun motivo di conten
dere piuttosto per questo o per quello o per qualsiasi
altro oggetto. Ora noi vedremo nella Logica e nella Me
tafisica che ogni cosa realmente sussistente è sempre un
che di particolare, specifico, assegnato, determinato, e che
il generale sussiste ed è reale soltanto in questi partico
lari. Questa particolarizzazione (formazione, specificazione)
è l'oggetto dell'intelletto (che distingue, forma, speci
fica). E però in genere è l'intelletto, la facoltà conosci
tiva (la percezione) che dirige la facoltà volitiva quoad
actum specificationis.
Egli è di altissima importanza il tener sempre pre
sente la distinzione e l'unione di queste due facoltà. Chia
miam l'oggetto della facoltà conoscitiva a il vero m, e
l'oggetto della facoltà volitiva a il buono », ma non si
dimentichi poi che uno stesso è l'oggetto che è vero
per l'intelletto, buono per la volontà; così per questa
unità dell'oggetto noi abbiamo un doppio ordine di
cose: l'ordo intellectualis e l'ordo moralis, i quali non
ostante l'intimissima connessione dell'uno coll'altro, sono
totalmente l'uno dall'altro distinti. Scambiar l'uno per
l'altro mena a gravissimi errori. Talvolta si può consi
derare il tutto – si badi: il tutto, anche il meramente
intellettuale, in ordine morali, come se io mi mettessi
allo studio per esercitare virtù morali; tal altra volta si
può considerare il tutto – si badi: il tutto anche in
ordine intellectuali; così io posso filosofare sulle virtù
morali senza volerle esercitare.
Dal fin qui detto comprenderassi di leggieri come s. Tom
291

maso parli a buon diritto tanto delle virtù intellettuali


quanto delle virtù morali. Più sotto darò maggiori schia
rimenti. Rifacciamei adesso anzi tutto a rilevare quelle
semplicissime verità che posso presupporre come note,
perchè ciascuno in ogni movimento intellettuale le pre
suppone come note e le adopera. La più elementare
comprensione di esse ci mostrerà che noi non ci aggi
riamo in un circolo, ma che la verità in tutto il moto
circolare ha ad un tempo anche un moto spirale; il
centro e la periferia, il principio e il fine conducono al
l'unità. Quando avrem dato contezza del moto ignorato
che l'intelletto fa necessariamente, noi apprenderemo a
conoscere le semplicissime, ma perciò stesso anche fe
condissime verità.

S 4.

Analizziamo adesso quelle operazioni dell'intelletto che


primamente facciamo, e le quali ciascuno adopera per
necessità assoluta, anche senza saperlo, non appena ha
luogo un attività intellettuale.
Volendo parlar della cognizione, domandiamo anzi
tutto: che cosa è conoscere? chè ci si presenterà tosto
senza aver già dato la risposta alla fattasi domanda – la
natura propria dell'intelletto, e della quale nissuno può
spogliarsi. Che 2 quod quid est? è la prima domanda,
come dice s. Tommaso, dell'intelletto. Ma quod quid est
è l'espressione propria della definizione in genere,
Quindi il principio della cognizione è una defi
nizione. (Si pigli la parola a definizione n nel suo senso
letterale come limitazione, circoscrizione, determinazione,
formazione del pensiero) Per quanto questa definizione
292 vi

possa essere così generale, così comprendente, così im


determinata rispetto a quella distinta cognizione colla
quale l'intelletto colla sua prima domanda cerca quid ?
sempre e dappertutto una definizione presenta il primo
principio di tutti i movimenti intellettuali. Ogni scienza o
parlando in generale, ogni sapere comincia colla definitio
subjecti (subjectum nel senso degli antichi, per noi og"
getto), cioè col fissar quello di cui vuolsi parlare. Ogni
sforzo di conoscere comincia con una cognizione prece
dente che cerca una più ampia, più esatta, più distinta,
più piena cognizione. Ogni cognizione comincia adunque
con una definizione e finisce con una definizione.
La prima definizione è la definitio in confuso, l'ultima la
definitio distincta; così come la prima cognizione è una
cognitio in confuso, l'ultima che si vuol raggiungere è
una cognitio distincta (1).
Il detto parrà chiaro nella sua giustezza ed importanza
quando più tardi noi vedremo come tutte le nostre co
gnizioni comincino colle cognizioni generalissime e
finiscano colle specialissime. Ma qui si ponga mente di
bel nuovo a quello che abbiam già di sopra fatto notare,
che omne ens perfectum est in quantum redit ad suum
principium : tutte le cognizioni sono perfette in quanto
il fine di esse è contenuto nel primo principio, e il
primo principio ricorre in fin della scienza. Nella prima
(1) Con ciò si vedrà in qual conto si debbano avere gli insulsi discorsi
moderni, i quali fanno tanto chiasso contro il metodo degli antichi
di cominciar sempre colla definizione, sostenendo che la definizione
dev'esser data in fine delle investigazioni scientifiche; il gran per
chè è ch'essi non saprebbero darla in principio. Scholastici bene
docuerunt quia bene distinxerunt. La confusione è il carattere capi
tale della nuova dialettica,
293

definizione sta come in germe tutto lo sviluppo succes


sivo della scienza (v. Metafisica, Noologia).
Or essendo la definizione un modus cognoscendi, noi ab
biam quindi in essa la prima sorta di cognizione (primus
modus cognoscendi est definitio) (1). -

(1) Supplementa. 1). La definizione è la spiegazione della natura


di una cosa (oratio ea plicans naturam rei, seu quod res est). L'as
sunto di una definizione consiste nel chiarire la natura, l'essenza
della cosa da definirsi. La nuda spiegazione nominale, detta anche
definizione nominale, non è nello stretto senso una definizione.
Imperocchè la definizione che spiega l'essenza di una cosa si fonda
sulla proposizione della Metafisica: « primum quod in unaquaque
re cognoscitur est eius essentia; – essentia est primum quod in re
percipitur eamque constituit et ab omni alia distinguit (s. Thomas,
passim). » Su di ciò più sotto,
2) La definizione è o essenziale (essentialis) o descrittiva
(descriptiva). L'essenziale è quella che spiega una cosa per le parti
che la costituiscono (def essentialis, quae rem explicat per principia
ipsam rem constituentia). La definizione descrittiva è quella che
spiega una cosa per gli accessorii che dipendono dalla sua essenza
(ea plicat rem per ea quae sunt ipsi adventitia). Poichè una cosa ci
può riuscir conoscibile non solo pe' suoi principii essenziali o per
le sue parti componenti, ma anche pei fenomeni che conseguitano
dalla sua essenza. La definizione essenziale è doppia: fisica e me
tafisica. La fisica (def physica) vien data coll'indicazione delle
parti fisiche che la compongono, la metafisica (def metaphysica) con
quella delle parti metafisiche. I costitutivi fisici son quelli dai quali
risulta un tutto fisico (totum physicum), – i metafisici quelli dai
quali risulta un tutto metafisico (totum metaphysicum). Il tutto
fisico, come vedrem più tardi, consta di materia e forma; il tutto
metafisico, cioè la specie (species), consta del genere e della dif
ferenza (ex genere et differentia). Un esempio di def. physica sarebbe
l'uomo è un essere composto di un corpo e di un'anima ragione
vole; esempio di def. metaphysica: homo est animal rationale.
La definizione descrittiva è triplice: propria, accidentale'
causale (propria, accidentalis, caussalis). La propria (propria) è
294

S 5.

Nel mentre che noi procediamo alla definizione per


esempio: a del conoscere n, ci abbattiam tosto alla ve
rità di fatto, che la medesima parola ha molti significati.
Non bisogna accagionar il linguaggio di povertà per questa
medesimezza di parole onde esprimere cose diverse. Que
sto fatto si verifica nelle più ricche favelle, e riposa su
un'unità che, in qualsiasi diversità di cose, deve pure
esprimere la rispettiva loro somiglianza ed uguaglianza.
La verita è una, la partecipazione alla verità è scom
finatamente molteplice. La pluralità non è senza l'unità.
L'unità ricompar dappertutto in ogni pluralità. La plu
ralità nasce dalla divisione – distinzione. Or bene l'es
senza, la natura di una cosa consiste appunto in ciò che
-

quella che spiega una cosa per le proprietà (per proprietates), per
esempio: homo est animal politicum et scientiae capaa ; poichè il
politicum et scientiae capaa ci dà le proprietà che differenziano l'uomo
dalle bestie. La definizione accidentale (accidentalis) è quella che spiega
una cosa per certi accidenti i quali presi separatamente s' avven
gono anche ad altre cose, ma uniti insieme non s'avvengono che
alla cosa definita; come quando Virgilio definisce Polifemo: monstrum
horrendum informe ingens, cui lumen ademptum – trunca manum
pinus regit et vestigia firmat. – La definizione causale (def. causalis)
è quella che spiega una cosa per le sue cagioni estrinseche (per cau
sas eatrinsecas; NB. ea trinsecas, nam causae intrinsecae essentiales
sunt ipsa principia constituentia). Queste estrinseche cagioni sono
tre: causa finalis, causa ea emplaris, causa efficiens; per esempio:
homo est animal ad imaginem Dei factum propter beatitudinem, dove
tutte e tre le cause son prese insieme. -

3) Le proprietà (proprietales) ci danno ad un tempo le regole


che ci debbon servire per esse. Queste regole sono quattro: 1. ut
sit clarior definitio (i. e. clara); 2. ut sit nec amplior nee angustior
295
la distingue da ogni altra cosa e conseguentemente da
quei punti ed elementi che la costituiscono come tale.
a Natura rei est id per quod res est id quod est, sive per
quod res constituitur in suo proprio esse (s. Thomas, pas
sim). n. Quindi egli è coll'indicazione della distinzione che
vien data la natura di una cosa, conseguentemente la ma
tura di una cosa nota; tanto più che la distinzione non
è altro che la formazione. Ma ogni cosa, come vedremo
più tardi, divien conoscibile e nota solo per la sua forma.
a Omnis res non cognoscitur, nisi per suam formam, –
in tantum aliquid cognoscibile est in quantum habet de
forma (s. Thomas, passim.) » Così è rispetto alla do
manda da noi fatta in principio: che cosa è conoscere?
il termine a conoscere n ha più significati, e quindi v'è
tosto a distinguere. V ha un conoscere sensitivo (sto
rico) ed un conoscere intellettuale. Senza volerne già
(i. e. brevis); 5. ut constet ex genere et differentia aut saltem aliquo
tenente locum generis et differentiae (prova ad 3: defintio explicat na
tura m rei; natura autem rei non apparet, nisi dicatur in quo con
veniat (genus) et in quo differat (differentia) ab aliis rebus); 4. ut
quidquid dicitur de definitione possit dici de definito (debet recipro
cari cum definito). Poichè la definizione è appunto la cosa stessa
definita. Questa quarta regola è regola sì, ma devesi intenderla
come valevole soltanto pei predicati reali, non pei logici (prae
dicata primae et secundae intentionis, più ampiamente sotto. –
L'obiezione: definitio definiri non potest, quia nulla res definitur
per se ipsam, è da sciogliersi colla distinzione della prop. major:
nulla ras definitur per se ipsam – distinguo: si est principium per
se evidens, nego; alias, concedo. I principii come rischiarano tutto
il resto, rischiarano anche sè stessi, a quel modo che la luce rende
visibile tutto il resto (il di più sotto). Vel sic: definitio potest sumi
dupliciter: a) pro terminis explicantibus, b) pro artificiosa dispositione
alium terminorum. In primo sensu, nego; in secundo, concedo majo
.
em allatam. - - -
296
qui dar la risposta, basti il vedere come la distinzione
sia una reale cognizione, un modo di conoscere (modus
cognoscendi). Distinctio est secundus modus cognoscendi (1).

(1) Supplementa. 1) La divisione (distinzione) è la spiegazione di


una cosa per le sue parti (oratio explicans rem per partes, o : totum
distribuens in suas partes). Poichè, essendo il tutto più grande, più
comprendente, più difficile, e quindi men chiaro che le parti (magis
confusum), qui la spiegazione avviene per la distinzione delle parti.
Questa spiegazione differenziante è la distinzione,
2) Poichè la divisione del tutto scioglie il tutto nelle sue parti,
così, secondo la diversità del tutto, verrà ad esser diversa anche la
divisione. Ma il tutto può essere di tre maniere.
a) attuale (totum actuale)
b) potenziale (tot. potentiale)
c) accidentale (tot. accidentale).
Ad a. La divisione attuale (divisio actualis) divide il tutto nelle
parti delle quali egli è realmente (actu) composto, ossia che que
ste parti sieno a) fisiche, o 6) metafisiche, o m) integranti.
(Le parti fisiche son quelle che compongono un tutto fisico; p. e.
come il corpo e l'anima sono parti dell'uomo. (Le parti nietafisiche
son quelle delle quali consta un tutto metafisico, cioè quando la
specie (species) vien divisa nel genere (genus) e nella differenza (diffe
rentia; p. es. animal e rationale sono parti dell'uomo. Le parti inte
granti (partes integrantes) son quelle delle quali consta un tutto, in
modo però che questo tutto può venir compreso senza le parti
integranti, almeno come un tutto in completo; p. e. la divisione
del corpo umano in capo,petto, torso, mani, piedi).
Ad b. La divisione potenziale (divisio potentialis) è quella
che separa in parti un tutto potenziale che contiene le stesse in
sè, o quella che divide il generale ne' suoi particolari (distribuit
universale in sua particularia). Poichè il generale (universale) è
anch'esso un tutto che contiene in sè molti particolari plura par
ed ticularia); p. e. il buon o (bonum) contiene in sè l'honestum, l'utile
il delectabile – o: l'anima nte contiene l'uomo, l'uccello, il pesce, ecc.
La divisione potenziale può ella stessa essere di due sorta: a) uni
Voca, 3) analoga. La divisione univoca è quella che si veri
297

La distinzione va innanzi fino ad un certo grado alla


definizione; ma poscia, secondo la fatta definizione, sus
segue tosto la speciale definizione delle cose distinte. Si
badi a questa reciprocanza delle investigazioni oppo
mentisi delle operazioni intellettuali. La cognitio in con
fuso precede alla distinzione, e a questa segue la cognitio
distincta. Per la divisione noi ritorniamo al più semplice
e preferibile, e così riusciamo a quello che andiam cer
camdo e che più non prestasi ad ulteriore divisione.

fica quando il tutto potenziale s'avviene ad un modo medesimo


a tutte le cose (quando universale eodem modo convenit suis infe
rioribus); p. e. quando divido gli animanti in quei dell'aria, della
terra ed anfibii. – La divisione analoga ha luogo allorquando il
tutto potenziale non s'affà nello stesso modo a tutte le cose in
esso comprese, ma solo in un certo senso, in un senso di ras
somiglianza (per quandam proportionem); p. e. la testa delle bestie,
la testa del monte, la testa d'un istrumento.
Ad c. La divisione accidentale (div. accidentalis) è quella
che divide il soggetto ne' suoi accidenti, od un accidente ne' suoi
ulteriori accidenti; p. e. se io divido il verde in verde chiaro, verde
oscuro, verde di montagne, e l'uno e l'altro suddivido in tinte più
o meno sfogate, cariche o no.
5) Le proprietà della divisione danno ad un tempo le regole
da seguirsi dietro le stesse. Queste regole sono quattro: 1) la realtà;
il diviso dev'essere più grande di ciascheduna sua parte: – 2)
l'esaurimento; il tutto dev'essere simile ad ogni membro diviso e
viceversa: – 5) l'esclusività; le parti divise devono escludersi a
vicenda, quindi esser opposte l'una all'altra almeno per qualche dif
ferenza. Quest'esclusione od opposizione può esser più o men grande,
più o meno debole: – 4) la brevità, per quanto essa è possibile;
quod fieri potest per pauciora non debet fieri per plura.
Se la divisione ha le accennate proprietà, allora valgono per
l'argomentazione le seguenti due regole: -

1) a partibus sufficienter enarratis valet consequentia ad totum;


2) ecclusis aliis partibus, valet consequentia ad eam partem quae
superest.
298

S 6.

Argomentazione.

Il terzo modus cognoscendi è l'argumentatio. L'argo


mentazione è quel nesso di pensieri per cui una verità
vien dedotta per necessaria conseguenza da un'altra (co
gitationum series in qua unum inferturea alio). L'espres
sione conveniente per questo modo di conoscere è il sil
logismo. Tutte le diverse sorta di argomentazione si ri
ducono al semplice sillogismo; e però questo è l'oggetto
capitale della Logica minore. Noi qui non ne parliamo
se non in quanto egli vien compreso sotto un aspetto spe
ciale come modus cognoscendi.
Sebbene la natura (l'essenza) del sillogismo sia sempre
la stessa, cioè trarre da un noto antecedens un ignoto con
sequens, pure la specie (species) del sillogismo è doppia.
Noi possiam conchiudere da una particolare verità ad
auna generale, e viceversa da una generale ad una par
ticolare. Però egli è da notar ben bene che nella nostra
cognizione attuale l'una di queste due specie di sillo
gismo precede sempre all'altra.
Queste due sorta di sillogismo sono: l' argomenta
zione nello stretto senso della parola e l'induzione.
La relazione di queste due sorta di sillogismo, dell'una
all'altra, lo scambievole rapporto e presupposizione for
mano la vera croce della filosofia. Le basi di tutta
la filosofia stanno e s'appoggiano sulla relazione dell'una
all'altra delle dette due specie di sillogismo. La separa
zione delle stesse, dell'una dall'altra, conduce dall'un canto
direttamente al materialismo, dall'altro all'idealismo,
299

d'ambo i lati allo scetticismo. Qui sta il nodo gordiamo,


che la scuola moderna, come se l'antica lo disconoscesse
o meglio nol conoscesse, ha tagliato in pezzi invece di
scioglierlo. Trovato che noi abbiamo il diritto sciogli
mento di questo modo gordiano, abbiamo in mostro
potere l'intero campo della filosofia. La scuola antica
dà questo scioglimento sino alla più precisa evidenza.
Daremo la spiegazione del qui detto nella dissertazione
susseguente sul Metodo, come in luogo suo proprio.
La relazione dei tre modi sciendi o modi di cognizione
cioè è questa, che il methodus sciendi trascorre pei modi
sciendi. Con ciò è indicata la differenza tra i modi sciendi
e il methodus sciendi.
Per evitare ogni abbaglio e fissar sufficientemente i
termini, osservisi ancora che il modus sciendi può venir
preso e vien preso in triplice senso: 1) il modus sciendi
nel senso più lato dinota la scienza della Logica, come
quella procedura formale che è necessaria in ogni scienza;
– 2) nello stretto senso il modus sciendi dinota quel
processo scientifico che induce il reale, vero sapere, e in
questo stretto senso la demonstratio stricte sumpta vien
caratterizzata come il proprio modus sciendi; – 3) in
un senso meno rigoroso, quindi in un senso mediano tra
i due dati significati, il modus sciendi dinota la maniera,
per cui si riesce ad una più chiara ed evidente compren
sione di una cosa. L'espressione modus sciendi è qui presa
in quest'ultimo senso. Debbonsi dare cioè in questo ri
spetto altrettanti modi sciendi quante vi ha specie di
verse di punti ignoti che si vanno ricercando su d'una
cosa. Or circa una cosa la questione si volge sopra tre
specie di punti: 1) quid sit o il vero (essentia); – 2),
quotuplea: sit o le parti delle quali essa è composta; – 3),
300

quas proprietates habet o le proprietà. Alla prima do


manda risponde la definitio, alla seconda la divisio,
alla terza l'argumentatio o demonstratio. Con ciò sareb
bero esauriti i tre modi sciendi: la definitio, la divisio e
l'argumentatio. Sarà superfluo l'osservare che qui si parla
solo in generale del conoscere dottrinale in opposizione
al conoscere storico o meglio sapere. Se vuolsi pigliare
anche l'ultimo, allora la proposizione (propositio) con cui
vien comunicata storicamente una verità sarebbe essa
pure un modus sciendi.
Queste tre accennate sorta di cognizione ci danno le
tre domande che si presentano in ogni investigazione
scientifica, cioè: quid? quotuplea? quae proprietates? Si
sarà di già osservato come queste tre domande sien con
tenute separatamente nelle tre dette sorta di cognizione:
il che prova come i primi principii, chiari per sè stessi,
noi li adoperiamo prima ancora di metterci alla investi
gazione scientifica, che ci darà di loro una più chiara
conoscenza, cosa che ne consegue per naturale necessità.
Noi dobbiam quindi porre sempre queste tre domande
come basi principiali d'ogni cognizione scientifica.

S 7.

Metodo.

Che cosa è il metodo? di quante maniere? quali proprietà


la egli? 1) Il metodo (girº-iòo) è la via (3323) che noi se
guiamo per giungere a una meta – è la maniera
che noi teniamo per ottenere uno scopo – è l'ordine
che serbiamo per rendere concepibile una cosa – egli
è quindi nella scienza la via, il modo, l'ordine coi
301

quali noi troviamo la verità, o comunichiamo e rendiamo


chiara la verità trovata. Il disordine porta l'oscurità, e
l'oscurità porta la difficoltà. Entrambe, l'oscurità e la dif
ficoltà, sono le indivisibili e necessarie compagne del
l'errore e della falsità. Dove è la verità, ivi è, la chia
rezza, anche là dove e quando si aprano innanzi al de
bole mostro occhio regioni misteriose, – s'intende da sè
tutto per quanto lo può un lucido sguardo chiaramente
intuire.
2) Il metodo è o essenziale (intrinseco, necessario)
o non essenziale (estrinseco arbitrario). Il primo è
così legato colla cosa che questa non può esser compresa º
senza di quello; il secondo al contrario dipende dall'at
titudine soggettiva, dalla maestria di colui che se ne serve.
Il primo per una cosa è soltanto uno; il secondo per
la cosa stessa può variare in molti modi. Il primo
potrebbe acconciamente esser detto anche l'organico,
il secondo il meccanico. Noi abbiam qui, la è cosa chiara,
a far solamente coll' essenziale, come il raf zifaziº
scientifico.
Questo metodo scientifico è doppio: sintetico (com
positiva) e analitico (resolutiva) (1).

(1) Supplementa. Il methodus compositiva è quello che procede


dal più semplice al più composto, dalle parti al tutto,
dal più generale al più particolare, dalla causa all'ef
fetto (poichè il generale è più semplice che il partico
la re, la causa più semplice che l'effetto. Methodus com
positiva seu synthetica procedit
a simplicioribus ad compositiora,
a partibus ad totum,
ab universalioribus ad particularia,
a causis ad effectus
302
Questi due metodi, l'analitico e il sintetico, fondano le
due sorta di sillogismo o di argomentazione, cioè l'argu
mentatio inductionis e l' argumentatio deduction is.
Sul metodo analitico si fonda il syllogismus inductionis,
sul sintetico il syll. deductionis. Il processo intellettuale
in ciascuna di queste due specie di argomentazione è dia
metralmente opposto l'uno all'altro. L'argumentatio dedu
ctionis pone una verità generale come la maggiore prin
cipiale, indi deduce nella minore una verità partico
lare e ne tira la conseguenza. L'argumentatio inductionis
al contrario pone come maggiore principiale una ve
rità particolare e allarga questa (se in virtù di una
minore generale, lo vedremo tosto) ad una verità
Il methodus resolutiva o analytica è quello invece che procede
dal composto alle parti, dal particolare all' universale,
dall'effetto alla causa. Methodus resolutiva seu analytica procedit
a composito ad partes
a particularibus ad universaliora,
ab effectibus ad causas
Esempio di metodo sintetico sarebbe quel di colui che parlasse
dapprima degli animali in generale, poi scendesse a parlar del
l'uomo e di singole bestie; – o, volendo trattar del corpo umano,
prima ne spiegasse una singola parte, la testa, il petto, il torso,
per discorrere poscia del corpo intiero (del corpo come un tutto).
– Esempio di metodo analitico sarebbe questo: considerar prima
la struttura di tutto il corpo, poscia il corpo secondo le singole
parti che lo compongono, o : trattar primamente dell'uomo con
siderato in sè (ammesso ch'egli sia un animal rationale), poscia
delle bestie in generale. – Così, laddove la filosofia nel più co
mune suo andamento piglia le cose analiticamente, perchè sale
dall'effetto alle cause, la teologia invece le prende appunto in or
-dine inverso, quindi sinteticamente. Non sarà superfluo far os
sservare che nelle succennate note di metodo sintetico ed analitico
«è facilissimo che avvengano degli scambi.
303.

generale che nasce dalla conseguenza tirata. Qui è,


come abbiam detto più sopra, il nodo gordiano, al quale
i filosofi ruppero il capo. Solamente i peripatetici lo han
sciolto bene. Qui comincia il vano da cui piove luce
su tutto il campo della filosofia. Di ciò nel paragrafo
seguente.

$ 8.

La minore richiesta nel syllog. inductionis.

Noi dicevamo poc'anzi così: l'argumentatio inductionis


pone come maggiore principiale una verità partico
lare e allarga la stessa ad una verità generale nella
proposizione conclusionale. Ma questo non può avvenire
che per un medium, per una proposizione mediana (la
minore), di guisa che nulla può conseguitare da due ve
rità particolari se non mediante una proposizione ge
nerale di mezzo (ea duobus particularibus nil sequitur
unquam ). Ora si dice: la proposizione di mezzo o la
minore nel syll. inductionis è sempre e dappertutto, e
non può esser altra da questa: quello che costantemente
s'avviene alle cose particolari per modo che questa qua
lità non dipenda da circostanze individuali appartiene
necessariamente alla natura (all'essenza) delle cose (Id
quod constanter convenit pluribus particularibus neque
ullo modo pendet a circumstantiis particularibus, perti
net ad naturam seu essentiam rerum). – Per conseguenza
questa qualità appartiene a tutte le cose della stessa
specie (consequenter: pertinet ad omni a particularia,
ejusdem speciei). Questa minore, si dice, sempre e dapper
tutto in tutte le stesse conchiusioni d'induzione presenta
304

il trapasso del particolare ad una conchiusione generale.


Con essa sta o cade l'argumentatio inductionis. Se la
minore data è vera, la dimostrazione d'induzione ha forza
completa come lo stretto sillogismo. Poichè il syll. in
ductionis non è altro che un syll. deductionis inversus,
un sillogismo inverso, che si differenzia solo dall' ordi
mario sillogismo di deduzione in ciò, che qui la propo
sizione generale (per accidens) è la minore, là invece è
la maggiore.
Si vede di che si tratta nella conclusion d'induzione:
intorno al trapasso dal campo delle cose particolari nel
campo delle verità generali. Quindi rispetto all'esposi
zione già data del sillogismo d'induzione sarebbe a do
mandarsi: non avvi tautologia di sorta o contradizione
a voler trapassare tosto nella conchiusione, nel campo
del generale, come si è detto, e voler già prender per
medium una minore generale? Con questo medium così
stabilito noi siam già realmente sul campo del generale.
Noi saremmo già quindi pervenuti all'ultima meta. Pre
sentiamo qui la cosa soltanto in tutta brevità, poichè le
ulteriori spiegazioni devono restare di spettanza alla Lo.
gica (Dottrina del sillogismo).
Si osservi anzi tutto che la minore generale assunta,
mediante la quale si trapassa in tante diverse verità
generali, è sempre e dappertutto la stessa, come
sono diverse le maggiori particolari. – Indi: che è la pro
prietà dell'assunta generale minore? Null'altro che una
definizione, e per vero la definizione del generale,
dell'essenziale. Quindi la domanda a farsi sarebbe
questa: come riusciamo noi a questa idea come tale? La
risposta è: per mezzo della natura dell'intelletto stesso
del pari che per mezzo della natura della cognizione sem
305

sitiva. Mentre questa, la cognizione sensitiva, conosce solo


il particolare (l'hic et nunc), l'intelletto ne investiga l'es
senza, cioè il generale, l'invariabile. La domanda: quid ?
non è la domanda colla quale si cerca: quid hic et nunc ?
ma sì la domanda: quid essentiae? quid semper º quid ne
cessario ? Quindi l'intelletto in virtù della sua pro
pria natura è sempre già nel campo del gene
rale, del necessario. Quindi la minore generale di
sopra stabilita è presa dalla natura stessa dell'intelletto.
Si osservi di più che mentre noi neghiamo nella scuola
peripatetica le idee innate (come intender ciò e fin dove?
più tardi), si domanda pur sempre della priorità del ge
nerale e del particolare. Tocco qui soltanto di volo la
soluzione. Avvi una prioritas naturae ed una prioritas
temporis. Quella può esservi senza che vi sia ad un tempo
anche questa. Come or stanno le cose (in praesenti rerum
statu) rispetto all'unione del nostro intelletto al corpo,
all'esperienza, alla cognizione sensitiva, la cognizione
sensitiva, cioè la percezione delle cose, delle verità par
ticolari, precede sempre prioritate naturae, e la cognizione
intellettiva, la cognizione delle verità generali vengono
dopo. Ma questa cognizione intellettuale – dell'intelletto
(come capacità di conoscere l'universale) in potentia –
può entrarvi nel punto stesso che v'entra la cogni
zione sensitiva, particolare, per modo che non v'abbia
alcuna prioritas temporis, E così avviene colla domanda:
quid ? dell'intelletto, quando gli vien presentato un og
getto particolare per mezzo dell'esperienza sensitiva. –
Rispetto adunque al sillogismo d'induzione in ultima instan
tia, vale a dire nel più principiale di tutti i processi
d'induzione, non avvi alcun medium, avvegnachè non
siavi bisogno che ve n'abbia alcuno. Il medium è la
20
306

domanda dell'intelletto stesso: quid essentiae? Rispetto


quindi a tutti i susseguenti, in quanto son corollari secon
dari d'induzione, il medium è già dato sopra. Con ciò
è appianata la contesa di coloro che non vogliono rico
noscere l'induzione come un sillogismo perchè non v'è
un medium, e di coloro che d'altra parte rivendicano
all'induzione la natura propria del sillogismo perchè avvi
codesto medium.
Aggiungasi a quanto abbiam qui detto in succinto
quello che diremo più tardi (nella Logica, sillogismo)
sulla distinzione delle due specie d'induzione, cioè sul
syllogismus inductionis absolutus e sul syllogismus in
ductionis relativus, indi la dottrina del doppio prin
cipio della nostra cognizione, del particolare, sen
sitivo da un canto e dell'universale, intellettuale (v.
Metafisica, Noologia), e verrà data piena luce a questa
materia.
Qui basti il dar la risposta evasiva alla dimanda: come
si troverannno i principii intellettuali? La risposta è:
per via dell'esperienza (ea perientia). Le verità spe
rimentali (cognizione sensitiva, particolare – hic et nunc.)
e le verità intellettuali (universali, necessarie) sono le
due regioni (altri direbbero le regioni reale e ideale)
che si uniscono nella data maniera. a Argumentatio in
ductionis invenit principia ea quibus argumentatio de
ductionis invenit ulteriores veritates ignotas (Thomas,
passim). » Con ciò i peripatetici ci han data, sebben nella
più spiccia brevità, pure nella più piena chiarezza, la
fumzione scientifica del sillogismo d'induzione.
307

S 9.

Principii.

Dalla dottrina dei principii, che appartiene alla Meta


fisica, noi togliamo, come abbiam fatto nel paragrafo pre
cedente, quanto basta alla teoria della cognizione. Ri
spondiamo alle solite tre domande: quid ? quotuplea ?
quas proprietates ?
1. Che cosa sono i principii.

Principium est id a quo aliquid (quomodocumque) est,


et quod a nullo alio est. Questa definizione, come si
vede, è quella del principio primario. Ma poichè v'hanno
anche principii secondarii che per l'un canto presup
pongono un principio primario, ma d'altra parte assu
mono realmente e veramente la natura di principii che
stanno da sè, perciò la definizione generale sarebbe:
principium est id a quo aliquid est. Principio adunque
è il primo, e il primo è quello che precede al niente.
Il primo, dimostrando tutto quel che segue, non è egli
stesso dimostrato da alcun altro che lo preceda. Princi
pia non demonstrantur, sed ipsa demonstrant alia. Che
però i principii non si dimostrino, nè abbian bisogno di
essere dimostrati, nè si possano dimostrare, ciò non di
pende dalla loro incomprensibilità, oscurità ed incertezza;
ma sì al contrario dalla sovrabbondanza della loro in
telligibilità, luce e chiarezza. Da ciò l'assoluta impos
sibilità di negarli sul serio, l'assoluta necessità di rico
moscerli e l'assoluta generalità colla quale vengono ado
perati, volere o non volere.
308

2. Pluralità dei principii.

L' a est m nella definizione data di sopra può esser preso in


doppio senso: nell'aspetto (come oggidì si suol dire) reale
e nell'aspetto intellettuale. L' a est» sta quindi tanto pel
subsistit quanto pel cognoscitur. Per conseguenza il prin
cipio o è un principium subsistendi o meglio essendi
nello stretto senso proprio della parola, od un principium
cognoscendi. Il a subsistere» può anch'esso esser doppio:
cioè o un essere (esse nello stretto senso della parola),
o un futuro (fieri). Con ciò riman giusta la definizione
aristotelica: a principium est id a quo aliquid aut est, aut
fit, aut cognoscitur. m – Noi non abbiam qui a fare che
col principium cognoscendi.
Ora, avendo noi due sorta di sillogismo, in ciascun dei
quali sillogismi però una proposizione deve avere la
natura di un principio a habet rationem principii n
(s. Thomas) rispetto alle altre due proposizioni del sil
logismo, ne segue che noi dobbiamo avere del pari an
che una doppia maniera, due specie di principii
per la nostra cognizione, cioè il principium inductionis
ed il principium deductionis. Il principium inductionis
è una verità particolare, il principium deductionis
invece è una verità generale. La verità particolare
dà sempre una definizione, sia essa completa od im
completa, in quanto: esprime qualche cosa di deter
minato. La verità generale poi vien detta zar'igoxi» ve
ritas per se nota. Quindi le veritates per se notae e la
definitio sono i due principii della cognizione, l'uno per
la deduzione, l'altro per l'induzione. Non si dimentichi
che entrambi vanno tosto a fondersi insieme, come già
309

nella definizione si uniscono il particolare e il ge


merale.
Rispetto alla subordinazione dei principii osservo an
cora che essa dà appunto la classificazione (coordina
zione e subordinazione) delle scienze. Abbiam detto di
sopra che la maggiore del sillogismo ha rispetto alle se
guenti la natura di un principio (habet rationem prin
cipii relate ad alia in syllogismo). Ella può quindi essere
considerata in sè anche una proposizione subordinata
quindi già dimostrata, già raggiunta col sillogismo. Sola
mente questo non vale nella primissima scienza, cioè della
Metafisica. La verità è una, tutte le verità si fondano
da ultimo nell'unità. Tutte le scienze particolari condu
cono in ultima istanza ad una scienza, alla scienza di tutte
le scienze. Da questa traggono esse i loro principii, o me
glio i principii subordinati, relativi che stanno da sè,
trovano in quest'una scienza l'ultima loro ragione. Ora,
essendochè i principi subordinati sono più o meno evi
denti per sè stessi, presuppongono più o meno altri
principii, vien con ciò giustificata la divisione in scienze
capitali e in scienze subalterne. Nel senso rigoroso della
parola non avvi che una scienza capitale, cioè la Meta
fisica, e tutte le altre sono scienze subalterne (scientiae
subalternatae). Tuttavia, essendovi alcuni principii scien
tifici per sè stessi così evidenti che quasi non abbisognano
dell'aiuto dei primissimi principii metafisici, perciò quelli
si chiamano sì nello stretto senso scienze secondarie, pur
sono scienze capitali zar':gozi». Nel senso ampio della
parola si parla quindi di altrettanti particolari principii
quante v'hanno scienze diverse.
316 -

5. Le proprietà dei principii.

a. a Principia non demonstrantur, sed monstrantur


(s. Thomas, passim). m Voler dimostrare i principii (nel
senso rigoroso della parola) sarebbe una contradictio in
adiecto. La definizione del principio e la definizione del
dimostrare si escludono direttamente e diametralmente.
Dimostrare vuol dire dedurre da una cosa evidente
per necessaria conseguenza una cosa non evidente. La
dimostrazione quindi presuppone una verità evidente come
principium demonstrandi seu cognoscendi.
b. a Principia sunt per se (et non per alia) nota seu
evidentia (Thomas, passim). » Questo vuol dire la cosa
stessa detta di sopra, però sotto un altro punto di vista.
Mentre ogni susseguente, ogni cosa dedotta deriva la
sua chiarezza dalla chiarezza dei principii dai quali
è dedotta, così che tutto appunto si fa chiaro in ragion
che s'approssima ai principii dei quali partecipa, i prin
cipii, a motivo della loro pienezza, dell'intrinseca loro
chiarezza, non hanno d'uopo d'altra luce intellettuale
per essere compresi. Al primo non può precedere un
più primo. Ovunque manchi questa evidenza non havvi
alcun principio (v. Metaf). - -

c. a Principia inveniuntur per inductionem (Thomas,


passim). » Questo in nude parole non dice altro se non
che: i principii vengono trovati per mezzo dell'espe
rienza, come si esprimono gli scolastici sulla scorta
dello stesso s. Tommaso: « Principia habentur eacperien
tia. » Se vuolsi chiamar caso il ritrovamento dei principii
(certamente ognuno non è un Aristotele od un Tommaso),
si può; solo non si dimentichi che il ritrovamento av
311

viene secondo stabili leggi dell'ideologia. Qui esperienza


indica in generale la regione delle cose particolari,
che noi siam soliti chiamar un fatto. Ma anzi tutto si
osservi che sebbene l'argumentatio inductionis sia una
reale sequela di prove, pure questa sequela di prove
procede dalla presenzialità delle dedotte verità gene
rali, non appunto dalla dimostrazione di queste ve
rità generali, perchè già questa verità generale, come
principio, non abbisogna d'essere dimostrata. Dal che
appare la specifica diversità dell'argumentatio inductio
nis e deductionis; diversità che acconciamente è data
colla denominazione di « inducere n e a deducere.»
Tutta la difficoltà di questo nodo gordiamo che quivi
han trovato i filosofi, cioè la difficoltà di unire i due
campi affatto eterogenei, quello delle cose particolari
(esperienze, fatti, singole verità) e quello delle cose uni
versali (necessarie, metafisiche, generali, eterne verità),
verrà sciolta nell'Ideologia, dalla quale io traggo qui il
processo intellettuale della cognizione nello stretto senso
della parola.

$ 10.

Processo intellettuale della cognizione.

Tutto il traviato mondo filosofico si divise mai sempre


in due grandi schiere; dall'un lato noi troviamo gli idea
listi (i falsi spiritualisti), dall'altra i materialisti (i falsi
sensisti) (1). Tutto in ultima istanza s'aggira intorno alla

(1) Come corifei delle due parti non devono esser citati Platone
ed Aristotele, ma Platone ed Epicuro.
312

dottrina delle idee, intorno all'ideologia. V'hanno idee


innate o no? è questa la gran questione intorno a cui tutto
s'aggira. L'origine delle idee è il trattato più importante
in tutta la filosofia. Solo la scuola peripatetica, sull'orme
del suo gran maestro s. Tommaso, ha, se altra mai, qui
afferrata la verità, tenendo il diritto mezzo. Rigettando
le idee innate, essa ne mostra l'origine senza restar
ficcata nella materia.
Ogni mostra cognizione comincia coi sensi,
colla cognizione sensitiva (cognitio per sensus – cogn. sen
sitiva). a Nil est in mente, nisi prius fuerit in sensu m,
cioè a dire rispetto al a prius » secondo la sua origine:
ogni idea non ha d'uopo e non può esser originata dalla
sensazione immediatamente; ella può mediatamente
essere acquisita per altre idee, per combinazione e sepa
razione; solo in ultima istanza ogni idea dev'esser ri
portata ad una percezione dei sensi, alla esperienza, ad
un fatto. v

Anzi tutto si tenga presente l'immensa differenza che


tosto emerge tra la cognizion sensitiva e l'intellet
tuale. La cognizione sensitiva piglia le cose solo in rela
zione allo spazio ed al tempo a all'ora e qui » (sub condi
tionibus hic et nunc). Noi avvertiamo coi nostri sensi
questa penna, questa carta, questa cagione, questo
effetto, questo bene, questo male, mentre l' intelletto
avverte qualche cosa d'una specie affatto diversa. La co
gnizione intellettuale comprende la penna, la carta, la
cagione, l'effetto, il bene, il male affatto in generale, in
dipendentemente da qualsiasi materiale individualizzazione.
La cognizione sensitiva avverte questa virtù, questo
vizio, questa verità, questa giustizia – quali si presen
tano in una concreta operazione di fatto. La cognizione
313

intellettuale in questo mentre intende in genere la


virtù, il vizio, la verità, la giustizia; ciò che s. Tommaso
esprime in poche parole: « Sensus et intellectus differunt
per particulare et universale (passim)m o «sensus est de
particulari, intellectus de universali. » (Vedremo più
innanzi come e perchè l'individuale, il particolare è condi
zionato dalla materia; a materia est principium indivi
duationis – materia de se non est cognoscibilis, nisi in
tantum in quantum habet de forma (Thom.). » Le
individuali, particolari, concrete cose materiali avvertite
dai sensi non sono come tali intelligibili, non sono
oggetto di sorta per l'intelletto. a Scientia non est
misi de universalibus (più sotto). » Secondo il principio
che stabiliremo più tardi nella Psicologia: a cognitio non
fit nisi in quantum cognitum est in cognoscenti (Thom.) »,
e: u cognoscens in actu et cognitum in actu sunt unum
et idem (Thom.)n, l'intelletto non può immediatamente co
noscere le cose sensibili. Il materiale come tale non
può essere nello spirituale; le sensazioni materiali
non ponno identificarsi coll'intelletto spirituale. Il ma
teriale può ben essere nello spirituale, ma – si badi
bene – non in un modo materiale, sì in un modo spi
rituale (a Unumquodque recipitur secundum modum re
cipientis) – (Thom). » Si tratta quindi della mediazione
tra l' oggetto materiale e l'intelletto spirituale. Questa
mediazione è data nei seguenti gradi di formazione.
1) Impression dell'oggetto sull'organo dei
sensi. L'oggetto dà ai sensi un imagine di sè, o: i sensi
ricevono dall'oggetto materiale un'imagine. In questa im
pressione dei sensi v'hanno due cose da osservare: a)
l'imagine non è materiale; poichè la penna veduta non
è corporeamente nel mio occhio, ma un imagine della
314

penna, che come tale non è materiale, b) d'altra parte


quest'imagine è pur totalmente materiale in quanto rap
presenta, contiene solo una cosa materiale. Nel mio
occhio v'è l'imagine di questa penna (hic et nunc.),
non l'imagine a della penna. m L'oggetto è quindi nel
l'imagine già spiritualizzato nei sensi, ma pur sempre
puramente in material modo perchè rappresenta un mero
- materiale.

2) Qui comincia l'attività della fantasia. Questa è


un'attività sensitiva (v. Psicol.) Essa forma uma quan
tità d'imagini. Queste imagini della fantasia sono i a phan
tasmata n presso s. Tommaso. Essi non sono ancora in
telligibili, non sono oggetto alcuno per l'intelletto perchè
rappresentano soltanto un materiale particolare.
3) Ora la cosa comincia a entrar nel dominio del
l'intelletto e veramente in un doppio stadio. Primo:
l'intelletto, tocco e svegliato dai phantasmata, domanda:
quid est – quid rei – quid essentiae? Egli non ricerca
dell'hic et nunc del fantasma, ma dell'immutabile es
senza. Egli incomincia quindi a lavorar attorno al phan
tasma per formarsene l'oggetto che solamente gli è proprio.
Egli appura il phantasma di tutto ciò che non appartiene
alla sua essenza. a Intellectus depurat phantasma a
ſomnibus particularibus, ab omnibus conditionibus sub
hic et nunc (Thomas, passim). » L'intelletto astrae – è
attivo, egli agisce – indi l' intellectus agens. Egli
i forma il concetto, la species intelligibilis, l'univer
sale. – Quivi la cosa entra nel secondo stadio: formata
che sia la species intelligibilis come l'obiectum intellectui
proprium, lo stesso può, come l'elemento proprio del
l'intelletto, venir accolto in esso. L'intelletto tiensi pas
ssivo º recipit speciem intelligibilem (Thom.)», e quest'è
315

l'intellectus patiens, passibilis o possibilis (1). Qui final


mente l'intelletto può compiere l'ultima sua operazione.
4) La species intelligibilis ricevuta per mezzo dell'in
tellectus possibilis è la species impressa che s'appropria
il verbum cordis. La species intelligibilis or vien com
presa in parole, espressa. Questa è la species ea pressa nel
verbum oris (v. Psicol.).
Per questo processo, che noi abbiam qui posto me'suoi
punti staccati l'un dall'altro, ma che si compie colla mas
sima rapidità, colla rattezza del lampo, l'oggetto mate
riale si assimila compiutamente all'intelletto, sicchè la
cosa conosciuta e l'intelletto conoscente son uno (a co
gnitum in actu est cognoscens in actum). Per mezzo di
questa unione la cognizione è possibile e reale. « In tan
tum aliquid cognoscitur in quantum cognitum est in co
gnoscente – (Thom., passim) (2). m Le ulteriori spiega
zioni sono di spettanza della psicologia e della metafisica
(ideologia). Se vuolsi aver qui subito il testo di s. Tom

(1) L'esposizione che Denzinger dà nell'opera: - Libri quattro


delle cognizioni religiose - vol. 2, p. 21, dell' intellectus patiens,
di s. Tommaso è totalmente falsa. Denzinger dice: Egli (Tom
maso) intese questo così: che, posciachè l' intellectus possibilis, la
parte passiva dell' anima ha ricevuto l'impressione dei sensi, l'in
tellectus agens, il quale si serve dei principii e delle altissime
idee, solleva con esse l'impressa imagine, mercè il collegamento delle
generali rappresentazioni, ad un tempo a compiuta ed attuale co
gnizione. Vedrem più tardi, quando parleremo ea proprio loco della
cosa, come tutto è qui stravolto. - ,

(2) Faccio osservare in anticipazione che l'intellectus agens e l'in


tellectus possibilis non son due diverse facoltà, due intelletti. Un o,
stesso intelletto esercita la sua attività in doppio modo, così come
l'occhio del corpo è attivo in doppio modo mentre 1) si apre e,
2) riceve l'imagine dell'oggetto. -
316

maso si pigli la Sum. theolog., p. 1, q. 79, a. 1, 2


et 3 (1).
Questa è in nuce quella semplice e nella sua sempli
cità magnifica teoria dei peripatetici su quel problema
nello scioglimento del quale i filosofi non peripatetici hanno
tanto tormentato il loro intelletto, e con ciò è sciolta la più
ardua questione dell'ideologia. – Qui più non rimane
che di mostrare come questa teoria sia insiem collegata
con quanto abbiam detto di sopra sul syllog. inductionis.
Noi dicevamo: che per l'induzione (per un earperimentale
factum) noi ci portiamo (inducimur) alle verità generali
(principii). Or possiam qui aggiungere: in quel modo che
le idee formate dall'intelletto per mezzo delle sensazioni
materiali sono un che affatto diverso dalle sensazioni, seb
bene abbiano il loro fondamento in queste, così anche le
-

(1) L'espressione dei peripatetici : « nil est in mente nisi prius


fuerit in sensu m, presa così come se l'anima da principio sia una
« tabula rasa in qua nihil est scriptum », non può giovar meglio a fa
vore del materialismo e del sensismo. La correzione che volle farvi
Leibtnitz, dicendo: « nil esl in mente quin prius fuerit in sensu, nisi
intellectus ipse », è insussistente perciò che anche l'intelletto
conosce sè soltanto pel suo atto; ma questo si riferisce solo di
rettamente al particolare sensitivo, vale a dire a cose concrete
(v. Metaf). – Rispetto alla domanda: « v'hanno o no idee innate ? »
egli è chiaro che simpliciter si deve direttamente negare, ma sub
quodam respectu o secundum quid è più prudente distinguere per
evitare abbagli pericolosi. Da un canto si può dire che sono innate
per rispetto all'innata natura della facoltà intellettiva, che illumina
colla luce sua propria le cose a fin di conoscerle, e per rispetto
alla base principiale che ci è data insieme colla facoltà, cioè la
coscienza in confuso: veritatem esse, così come colla facoltà volitiva:
beatitudinem esse; ma d'altro canto esse non sono innate, bensì
tolte dalle sensazioni, cioè quoad determinationem idearum. Con ciò
è trovato l'aureo mezzo.
317

verità universali trovate occasionalmente (occasione) per


mezzo di singole verità sperimentali sono qualcosa affatto
diversa da quei facta particolari. L' intelletto, secondo
la natura sua propria nell'universale regione delle cose,
ma primamente in potentia rispetto alla sua attività, vien
portato dalla sua funzione attiva e passiva all'atto pel
medium delle sensazioni (mediantibus sensationibus – oc
casione sensationum). Le sensazioni sono la conditio sine
qua non per l'attività intellettiva. Quindi la maggiore
particolare nel syll. inductionis è la conditio sine qua non
per la deduzione della conseguenza generale, pel ritrova
mento delle verità generali, che son dette principii zar'ioxès.
Ma poichè ogni cognizione comincia coi sensi (a omnis
cognitio incipit a sensibus, Thom.) m, noi abbiam principii
di due sorta, o meglio un doppio genere di principii, per la
cognizione: cioè dall'un canto i sensi (l'esperienza, i facta
reali, le verità particolari, il campo dei fatti) e dall'altro
canto l' intelletto col suo proprio campo delle generali,
necessarie, eterne, invariabili verità, delle idee. – Come
poi il primissimo attuale impulso per l'intelletto proceda
dalla prima veritas e dalla prima causa, lo vedremo nella
la Metafisica (relazione della causa prima alla causa se
cunda) indipendentemente dall'incitamento delle sensazioni
e della propria natura.

S 11.

Certezza.

1. Essenza della certezza o quid sit. La dottrina


sulla certezza e sui criterii, fuori della scuola peripatetica,
è non meno di quella dei principii rimandata da questo a
318

quello, confusa ed in ogni possibil maniera avviluppata,


oscura. Anche qui la palma è della scuola tomistica.
Vuolsi, come fa Balmes nella sua Filosofia fondamen
tale, incominciar la scienza colla dottrina della certezza;
si badi allora che lo stesso Balmes in principio dell' o
pera citata confessa che a colla dottrina della certezza
tutte le fondamentali quistioni filosofiche vengono ad esser
trattate sotto l'uno o sotto l'altro aspetto. n È naturale:
si tratta sempre della certezza della cognizione
– quindi di uno stato della cognizione, di un accidente
della cognizione –; per lo che prima si tratta della cogni
zione, poi della certezza. Che cosa è la certezza? S. Tom
maso risponde con tutta semplicità, ma preciso: a Determi
natio mentis ad unum. m Con ciò è detto tutto. La cer
tezza procede da una cognizione precedente. Ella è quello
stato in cui lo spirito per un forte assentimento si trova
elevato ad una cosa o cognizione che non ammette, che
esclude il dubbio. La certezza presuppone quindi una
matura intelligente. Parlando di certezza presso esseri ir
ragionevoli (maniaci), la parola vien presa in altro senso,
nel senso metonimico. -

Apportiamo colla distinzione la debita luce sulla cosa.


In quel modo che la verità è duplice, l'oggettiva,
cioè le cose stesse nella loro realtà, l'attualità delle
cose, più esattamente la corrispondenza delle cose col
l'idea creatrice – e la formale (soggettiva), cioè quella
che si trova nell'intelletto conoscente, la corrispondenza
del nostro intelletto colle cose oggettive (quindi sempre
convenientia rei cum intellectu, Thom.), così è doppia an
che la certezza, l'oggettiva cioè (firma et invariabilis
obiecti determinatio) e la formale (o soggettiva; firma
adhaesio seu determinatio intellectus ad unum). Quest'ulti
319

ma, la formale, è doppia anch'essa: l'una – la certezza


in senso improprio nasce dal movimento, dall'inclinazione
dalla costanza della volontà, del cuore, delle passioni,
per le quali l'intelletto vien determinato a ritener per
fermo, fuor di dubbio un oggetto (come avviene presso gli
eretici). Questa specie di certezza, più che certezza, è da
chiamarsi pertinacia e passione. L'altra certezza in senso
proprio-nasce dalla profonda penetrazione nella verità,
per la quale l'intelletto vien determinato ad aderire alla
medesima. Noi non abbiam qui a parlare che di questa
certezza.
Inoltre: sebben non diasi alcun medium tra il certo
e il non certo, e quindi la certezza non sia che una,
pure essa può avere più gradi e sì veramente in
doppio rispetto. Una certezza può esser più certa che un'
altra certezza 1) in sè (quoad se), 2) relativamente a noi
(quoad nos). Quoad se una cognizione è più certa che
un'altra, se essa ha più forti motivi della sua sicu
rezza, motivi intrinseci alla natura stessa della cosa. Così
la metafisica in forza della propria natura ammette una
certezza diversa da quella della fisica, la matematica
un'altra diversa da quella delle cose morali. Quoad nos
una cognizione è più certa, se la stessa nostra cogni
zione è più proporzionata (magis connaturalis) e così so
disfa meglio e acqueta l'intelletto. Quest' ultima, la
quoad mos, può di nuovo esser intesa in doppio senso, cioè
nel senso oggettivo rispetto alla cosa (quoad nos zari ozº),
o nel senso soggettivo riguardo al modo con cui la cosa
è compresa dall'intelletto (certitudo prout est in nobis).
Quest'ultima vuol dir solo che uno stato o una scien
za, in quanto è accolta dall'intelletto, e questo è infor
mato dalla scienza ricevuta, procaccia una maggior si -
320

curezza, um' adesione più grande. La prima invece


richiede ancor questo, che la scienza in sè sia più pro
porzionata e più naturale all'intelletto (magis proportio.
nata et naturalis intellectui nostro). -

Le fatte distinzioni sono di suprema importanza ri


guardo alle applicazioni a fin di evitare confusioni teolo
giche e filosofiche. Così la teologia (theologia revelata) –
quoad se – è più certa che ogni altra scienza, ed ogni
altro habitus naturale, non solo relativamente alla cer
tezza obbiettiva, ma anche alla soggettiva (Thom.
Sum. theol. p. 1, q. 1, a. 5). Del pari la teologia è più
certa d'ogni altra scienza anche se la si consideri a prout
est in nobis. » Ma la teologia è men certa che le scienze
fisiche e che gli habitus primorum principiorum se la si
consideri a quoad nos (v. Thom., Sum. l. c. ad 1) » Dopo
essersi obbiettato: a Certitudo pertinet ad dignitatem scien
tiae: sed aliae scientiae, de quibus dubitari non potest,
videntur esse certiores sacra doctrina, cuius principia
(sc. articuli fidei) dubitationem recipiunt: ergo aliae scien
tiae videntur esse digniores » –, s. Tommaso risponde:
a Ad primum dicendum: quod nihil prohibet id quod est
certius secundum naturam, esse quoad nos minus certum
propter debilitatem intellectus nostri. » E 22, q. 4, a. 8,
egli domanda: a utrum fides certior sit scientia et aliis
virtutibus intellectualibus (quindi anche rispetto agli
altissimi gradi gli habitus primorum principiorum); e
risponde: a Dicendum est quod certitudo considerari
potest dupliciter: uno modo ea causa certitudinis; et
sic dicitur esse certius illud quod habet certiorem cau
sam – et hoc modo fides est certior tribus praedictis,
quia fides innititur veritati divinae, tria vero praedicta
innituntur rationi humanae. Alio modo potest considerari
321

certitudo ea parte subjecti, et sic dicitur esse certius quod


plenius consequitur intellectus hominis. Et per hunc mo
dum, quia ea quae sunt fidei sunt supra intellectum
hominis, non autem quae subsunt tribus proedictis, ideo
ea hac parte fides est minus certa. Sed quia unumquod
que (si badi a questo quia) judicatur simpliciter qui
dem secundum causam suam, – secundum autem dispo
sitionem quae ea parte subjecti est judicatur secundum
quid, inde est quod fides est simpliciter certior, sed
alia sunt certiora secundum quid, scilicet quo ad no s. n
2. Pluralità della certezza. Dal detto appare in
qual senso si possa parlare di una pluralità della certezza,
restando pur sempre vero che a certitudo est una (Thom). »
Essa è una nè ammette il più o il meno, poichè di lei
è lo stesso caso che del concetto, le a species rerum, qua:
sunt sicut numeri et non admittunt magis et minus (Thom.)»,
cioè in eodem ordine la certezza anch'essa non ammette
il più od il meno, ma l'ammette sì in diverso ordine.
Rispetto alla pluralità la certezza (oggettiva) può e
dev'essere altrettanto molteplice quante si danno cogni
zioni specificamente diverse. Le diverse specifiche cogni
zioni si formano secondo gli specifici oggetti diversi della
cognizione. Gli oggetti della cognizione appartengono o
al campo naturale delle cose o al sopranaturale.
Quelle sono alla loro volta di tre specie: fisiche, me
tafisiche e morali. Se si parla a metafisicamente »
nel largo senso della parola, gli oggetti suddividonsi
quivi in oggetti matematici e metafisici (nello stretto
senso). Con ciò noi abbiamo una quintupla certezza nella
gradazione seguente:
1. La certezza teologica (della fede).
2. La certezza matematica,
21
322

3. La certezza metafisica.
4. La certezza fisica.
5. La certezza morale. -

Presa all'infuori dell'oggetto, una certezza è più grande


che un'altra, ma cadauna in suo ordine è piena cer
tezza. La certezza teologica, come appartenente all'or
dime sopranaturale e immediatamente fondata in Dio
medesimo, è la suprema, per quanto grande possa essere
la certezza matematica. Se noi c'inganniamo nella fede,
siamo ingannati da Dio medesimo; mentre nelle ma
tematiche, e quindi nelle cose naturali, se c'inganniamo,
noi siamo ingannati da cause secondarie (rispetto a
Dio). – La certezza matematica sebben di solito stia
nella stessa linea della metafisica, è tuttavia più grande
della metafisica; poichè la natura della grandezza mate
matica suppone una comprensione adequata, sicchè più
non sia possibile obbiezione di sorta. Questo vale par
ticolarmente per riguardo all'ap plicazione dei principii.
Invece rispetto agli stessi primissimi principii intellet
tuali la certezza matematica e la metafisica possono certa
mente esser dinotate come una sola. Ma poichè la denomi
nazione deve sempre farsi secondo ciò che come tale è spe
cificamente proprio di una cosa, così la certezza mate
matica deve esser distinta dalla metafisica.
La certezza fisica è quella che s'aggira nel dominio
nelle leggi, nella costanza delle regole della sussistente
natura fisica. Siccome però qui in opposizione all'assoluta
necessità son possibili e si danno contingenze più o men
grandi, avvi una maggiore o minore possibilità di devia
zione delle regole costanti, ne deriva naturalmente che
la certezza fisica è specificamente diversa e senza pa
ragone più piccola che le precedenti specie di certezza.
323
La certezza morale è quella che dipende dai più o
men grandi doni dell'intelligenza, dalla saldezza e co
stanza dei principii, dalla fermezza e costanza della vita
morale divenuta più o meno abituale di un essere libero.
Le nostre azioni morali sono azioni particolari sub
conditionibus hic et nunc. Esse portano quindi compiu
tamente il marchio della contingenza di tutte le cose
particolari-individuali. Oltracciò la loro sorgente è l'in
telligenza e la libera volontà, un essere più o men
potenziale, che può subir tutte le modificazioni possibili
fino a tal grado quale non può darsi nella natura fisica
a cagione del supremo suo reggitore. La certezza morale
sta quindi nella sua propria specifica diversità più al
basso di tutte le preaccennate. Ma quello a cui noi dob
biam badare in modo particolare è quanto segue:
a. La certezza nel dominio delle cose naturali diventa
diversa in ragione che le cose naturali, quindi nominativa
mente le azioni morali, entrano nel regno delle cose so
pranaturali. Per esempio: è più sicuro che un santo perda
la propria vita, quando si tratta della legge di Dio, che
non ch'egli voglia secondar gli appetiti naturali della
carne e del sangue. - - - - ,

b. Non hassi, a credere, per le date denominazioni di


certezze specificamente diverse, che ciascun campo di cose
abbia una sola specie di certezza, sicchè per esempio nel
campo morale non domini che la certezza morale, total
mente sola. I primissimi principi morali son certi me
tafisicamente; la certezza morale, come tale, entra
primamente dove si prendono le particolarità delle mo
rali, conerete proprie azioni, come la minore del sillo.
gismo morale, e quindi la conchiusione possiede ap
punto la natura di questa minore particolare (conclusio
324

semper sequitur debiliorem partem ). – Avvien lo stesso


suo modo nel campo fisico. – Le singole regioni si fon
dono dappertutto l'una nell'altra, e quindi si deve pren
dere la data dinotazione della certezza come specifica
terminologia propria, che è formata secondo il principio:
denominatio fit a potiori.
Annetto il di più sulla dottrina della certezza alla
dottrina dei criteri in colla quale ha il più stretto
legame.
S 12.
Criterio.

1. Determinazione della sua essenza (quid). Non è da


maravigliare che sia scomparsa dai libri filosofici delle
nuove e recentissime scuole la dottrina dei criterii; ciò è
natural conseguenza del non trovarsi essa nelle teste dei
filosofanti. Quindi quel che è appunto anzi tutto neces
sario è quello che mancò: il giudice arbitro nelle
contese. E qui è appunto dove si distingue la scuola pe
ripatetica; qui è dov'ella mostra la chiarezza, unità, for
za, incrollabilità sua, mentre nelle scuole moderne qui v'ha
il non plus ultra della confusione, dello sgaramento, della
fiacchezza e compiuta letargia.
Criterium («erriero» – «pºso separare, decidere, giudicare)
è la voce, (la norma) cui s'appartiene decidere della verità,
quindi della certezza della cognizione. Essendo la formale
verità la corrispondenza dell'intelletto e della cosa (con
venientia, aequatio rei et intellectus – Thom.), il cri
terio è quello che mi dà pienamente completa,
vali da testimonianza che la mia cognizione
corrisponde realmente alla cosa nota. Siccome
325
qui vuolsi una comprensione affatto precisa della defini
.zione, così si badi anzi tutto a quanto esattamente vuol
dire la stessa definizione. « Error in principio parvus
fit macimus in fine. » I criterii furon detti: a fonti della
verità, della cognizione; n si son definiti come ai motivi
dell'adesione »: e qui si dovette di nuovo distinguere tra
prossimi e remoti; per conseguenza si scambiarono
i criterii coi principii; – si è compreso il criterio come
la facoltà che conosce la verità, quindi come tutt'uno col
l'intelletto stesso. Si presero i criteri per gli organi
particolari mediante i quali noi giungiamo alla cognizione
delle cose. Tutti questi modi di comprender il criterio sono in
parte falsi, in parte confusi, incerti, inesatti, in una parola
tutti più o meno non giusti; pure la più piccola inde
terminazione ed inesattezza non mai si trae dietro più
funeste conseguenze che qui. Se sta ferma la defini
zione data della verità, in ugual modo ne segue neces
sariamente la giustezza della definizione data del criterio,
come da questa segue: -

2. La proprietà (proprietas) del criterio. Questa non


è altro che l'infallibilità che un criterio deve
dare (suo modo) nel suo campo. Se non vi fosse l'in
fallibilità, sarebbe ipso facto con ciò rovinato il criterio.
Poichè dove avvi la possibilità dell'errore, ivi si tratta
di bel nuovo di trovar un mezzo infallibile per sapere
se la possibilità è divenuta realtà o no. Non si deve poter
appellare dall'ultimo arbitro, altrimenti l'ufficio di ar
bitro è al tutto annientato. Ma l'infallibilità è certezza;
quindi questa che noi sopra abbiam indicata come acci
dente della cognizione ci vien procacciata per mezzo
dei criterii. - - -

Ma, come già dicemmo di sopra, la certezza, nono


326

stante la sua unità, è di molte sorta; per conseguenza


più sorta devono essere anche i criterii.
3. Pluralità dei criterii (da). Come sarebbe stol
tezza misurar col peso la lunghezza della tela, col
braccio la gravità dell'acqua, sarebbe del pari stoltezza
giudicar colla stregua medesima verità differenti. Ogni
cosa dev'essere misurata con misura omogenea; ogni ve
rità giudicata secondo la sua natura. Quindi tostochè
cose diverse stabiliscono verità eterogenee, devonsi, sup
porre criterii eterogenei per giudicarle. L'orecchio non
ode il colore, l'occhio non vede il suono, appunto
perchè il suono non è oggetto dell'occhio, il colore non
è oggetto dell'udito. Ogni specifico oggetto diverso ri
chiede la sua specifica diversa facoltà, ed ogni facoltà
(facultas) è perciò solo una facoltà, secondo il suo vero
concetto, perchè vale ad afferrare l'oggetto suo proprio.
Dove ed in ragione che una facoltà non può raggiun
gere il suo proprio concetto, non vale a comprenderlo,
ivi e in ragione stessa non può dirsi che si trovi facoltà
alcuna, avvi una non fa c oltà. – Quindi o non è
per nulla affatto una facoltà, od è una facoltà inferma,
fallace, non dirittamente disposta.
Giusta quanto qui abbiam detto potrassi comprendere
la semplice, ma profondissima, celebre proposizione di
s. Tommaso: a nulla facultas fallitur circa proprium
objectum. m In questa proposizione, che rieorre ad ogni
tratto in s. Tommaso, è data tutta la dottrina dei cri
terii con altrettanta profondità che brevità. La malin
telligenza di questa proposizione principiale, che tiene
come assioma, sta solo in ciò, che non si considerano
quelle condizioni che s'intendono da sè all'infuori della
matura delle cose, e che s. Tommaso aggiunge solo talvolta,
327

quando cioè trattasi di ribattere le obbiezioni in questo


rispetto. Tali condizioni sono: 1) ut facultas sit recte
disposita; – 2) ut objectum proprium sit rite propositum.
Questo non vuol dir altro che la conditio sine qua non
per la retta applicazione di una facoltà. Chi impugna la
proposizione: a nulla facultas fallitur circa proprium ob
jectum n, urta tosto contro il principio di contradizione,
perchè nega nello stesso momento la definizione della
facoltà, la quale ea definitione può, ma ea hypothesi
non può. -

Ora noi vedremo nella Fisica che come la materia è


a cagione della forma, e il mezzo a cagion del fine,
così anche la facoltà è a cagion dell' oggetto,
e non viceversa. La facoltà si dirizza (nella natura co
stitutiva) secondo la natura dell'oggetto. Per conseguenza
noi dobbiamo stabilire, secondo la diversità degli oggetti,
la diversità delle facoltà. Per conseguenza, dovendo il
criterio attestare corrispondenza della facoltà coll'oggetto,
deve esser multiplo quanto multipli son gli oggetti e le
facoltà. - -

Ma gli oggetti sono di quattro diverse specie (v. sopra).


1. Sopranaturali. – verità della fede -

2. Metafisici (i).
3. Fisici.
4. Verità morali.
Per il che debbon darsi quattro criterii. A fin di evitare
ogni abbaglio, non si scordi quanto ho detto di sopra,
come le diverse specie di certezza passino per diversi
campi, e la denominazione non essere che scientifica,
e per

(1) Metafisici nel più largo senso, ai quali perciò appartengono


anche i matematici, - -
328
quella presa a potiori, vale a dire da quello che come
tale me forma specificamente l'oggetto formale. Poichè:
objecto mutatur falcutas. - -

I criterii corrispondenti son quindi:


i 1. Criterio dell'autorità divina;
2. Criterio dell'evidenza ;
3. Criterio dei sensi;
- 4. Criterio dell'autorità umana.
Se si vuol ricondurre questi criteri all'unità, si
può fare alla maniera stessa che si fa colla certezza.
L'unità allora sarebbe da indicarsi come l'evidenza. Ma
in questo caso la parola evidenza verrebbe presa in
in altro senso più ampio, e il criterio dell'evidenza
riportato al N. 2 piglia allora la parola in un senso
speciale. Poscia sarebbe uopo in cotal unità distinguere
tra le diverse specie di evidenza, cioè: l'evidenza del
l'autorità divina, l'evidenza dell'intelletto (criterio dell'e-
videnza zar'igº), l'evidenza dei sensi e l'evidenza del
l'autorità umana.
Prima di toccare dei singoli criterii aggiungerò un'
osservazione necessaria rispetto alla u coscienza », che
alcuni vogliono chiamar del pari un criterio. Qui si parrà
come gli antichi scolastici fossero più valenti logici di
coloro che li vorrebbero correggere a sì buon prezzo.
Movendo dalla definizione: a veritas (formalis seu sub
jectiva) est aequatio rei et intellectus m, ne conseguita
tosto che la coscienza o il sensus intimus – secondo gli
scolastici – o non deve esser annoverato tra i criterii o
va preso come criterio in un altro senso. Poichè la co
scienza, il senso intimo siam moi medesimi (sensus inti
mus sumus nosmetipsi qui sentimus ), o meglio l'og
getto del senso intimo non è nulla di separato o diverso da
329

noi (1). Quindi non è necessario e può anche non esservi


un criterio per la corrispondenza della coscienza che per
cepisce nell'oggetto. Dove l'oggetto è uno colla coscienza,
ivi sarebbe sciocchezza voler un criterio, per appunto
come se taluno cercasse un lum e per vedere il sole. Il
sole, che illumina le altre cose, illumina molto bene an
che sè stesso. L'intelletto, che sa l'altre cose, sa molto
bene anche di sè stesso. Queste è una di quelle verità
d'abbicì, sulla quale gli esperti antichi non correvano
pericolo, come gli inesperti moderni, di perdere con inu
tili ciarle la coscienza.
Ora facciamei a parlare dei singoli criterii. Rispetto
alla serie successiva, si rammenti il detto al $ 10 del
Processo intellettuale della cognizione.

$ 13.

Il criterio dei sensi. -

(Certezza fisica.) -

La mostra attività sensitiva, la mostra attività per


mezzo dei sensi, è una di quelle verità che son evidenti
per sè stesse e quindi per sè stesse certe (per se, nota
et non per alia).
Quand'io veggo, ascolto, sento, fiuto, gusto, ognuna di
queste attività, per la forza propria dell'attività loro,
è con essa certa anche del suo oggetto. Se volessimo pre
tenderne una dimostrazione, invece della sapienza noi cer
cheremmo una stoltezza a Guardiamei, dice Balmes molto
a e sa e

(1) Una più minuta analisi del senso intimo e della coscienza
la darò nella Psicologia,
330

a proposito ne'suoi Fondamenti della filosofia, guardiamci


dal porre sulle scale del tempio della sapienza la statua
della stoltezza! » Una benda intorno agli occhi dello
scettico non ingannerebbe nè lui nè noi, quantunque una
cosa reale gli tolga l'esercizio della sua potenza visiva.
Un insolente improperio troverebbe la via del suo orec
chio, quand'anche non toccasse il suo cuore; una dura
percossa sul temerario suo labbro convincerebbe lui si
curamente quanto noi dell'aver esso un senso. Ogni dub
bio che lo scettico s'adopra d'insinuarci è un testimo
mio contro di lui – poichè fa testimonianza che noi siam
lì ad ascoltarlo e che egli stesso presuppone (supponit)
che noi ascoltiamo.
Quando io dubito di qualche cosa dubito pur sem
pre di qualche cosa. – Questo qualche cosa è alcun
che di reale, ossia egli un'apparenza reale, ossia una
cosa reale. – In ultima istanza perciò dubitare se
a qualche cosa sia o non sia m non vuol dir altro che am
mettere la possibilità che qualche cosa sia ad un tempo
e non sia, cioè negare il principium contradictionis (v.
Metaf). Così mentre lo scettico mette in dubbio la verità
in genere, egli stabilisce la verità; poichè, posto che tutto
fosse dubbioso, questa dubbiezza generale è pur sempre
una verità – e quindi con ciò è pur sempre supposta la
verità. – È chiaro, noi ci troviam nella realtà – quindi
nella verità – e noi non ne possiamo uscire, noi ci troviam
per necessità nella realtà. Se questa necessità della
realtà delle cose sia in sè una necessitas absoluta o una
necessitas suppositionis, qui non monta. Basta che sia un
factum – una realtà che noi avvertiamo delle cose che
sono (reali). Rispetto adunque all'avvertirsi dai sensi qual
che cosa, non si può per miun modo domandare se il cri
331

terio dei sensi sia (in ultima istanza) infallibile o no;


poichè questa infallibilità è sempre per sup
posta necessità di natura anche dallo scettico
più perfidiante. Solo si può domandare: fin dove va
questa infallibilità? Ciò ne conduce alla:

Formolazione del criterio dei sensi.

Il criterio dei sensi deve quindi essere formolato: sensus


recte dispositus est infallibilis in suo proprio objecto.
Si vede che questa definizione speciale dell'infallibilità
sensitiva è tolta dalla proposizione generale: nulla fa
cultas fallitur circa proprium objectum.
Tutte le obbiezioni che si fanno contro l'infallibilità
sensitiva desunte dalle così dette fallaci e dei sensi e
dalle illusioni sono eliminate dala recte dispositus me dal
l' a in suo proprio objecto. »
Le obbiezioni, come abbiam detto, si fondano in ciò che
o si pigliano i sensi non rettamente disposti, o si scam
bia l'oggetto loro proprio (objectum proprium) con un
altro, o per lo meno in qual che modo si varia. Le due
sorta di obbiezioni presuppongono quindi un difetto: le
obbiezioni della prima specie un defectus intrinsecus,
quelle della seconda un defectus ectrinsecus. Primo,
rispetto al defectus intrinsecus, la regola per giudicare
se un senso sia rettamente o no disposto è desunta ea
ea perientia e veramente, come dice s. Tommaso, a ec iis
quae fiunt communiter et regular iter. » Ogni ecce
zione si conosce per la regola; là solo può aver luogo.
un'eccezione dove c'è una regola. Se non v'hanno re
gole, è chiaro che non si danno eccezioni. La regola
quindi è quella che ha luogo communiter, l'eccezione quella
332

che avviene particulariter. – Secondo, rispetto al defe


ctus eactrinsecus: l'oggetto proprio dei sensi è la realtà
sussistente delle cose fisiche, quindi soltanto particularia.
Questa è quella specifica attività della percezion sensitiva,
posta già sopra, di fronte all'intelletto. Tutte le cose fi
siche esistono come cose particolari, individuali, perchè
in relazione col tempo e collo spazio (sub conditionibus
hic et nunc.), o meglio nella materia come principio del
l'individuazione. Lo scambio rispetto all'oggetto avvien
quindi allorchè si vuol che un senso risponda, invece del
suo sensibile particulare, di un sensibile commune.
Così per esempio un occhio rettamente disposto non può
ingannarsi relativamente al suo proprio oggetto, il co
lore, ma ben può essere ingannato per riguardo alla
lunghezza, larghezza, ecc. Diversamente l'inganno non
avviene che per accidens, pel tempo, pel luogo, per la
mischianza d'altri oggetti. Rimosso quello che vi si
era aggiunto per accidens, sottentra di nuovo l'infallibi
lità. Questa rettificazione ne conduce ad una importan
tissima osservazione rispetto ai sensi. La verità è nei
sensi non principialiter, ma soltanto ministerialiter.
u Veritas et falsitas non sunt nisi in intellectu judi
cante et dividente (Thomas, passim). m La verità,
come sopra abbiam detto, è l'oggetto proprio dell'in
telletto, e siffattamente che solo può parlarsi di verità
e falsità quando l'intelletto giudica (a componit et di
vidit – in intellectu judicante, i. e. componente et di
vidente. Thom.). m In intellectu simpliciter percipiente
munquam est falsitas. (Thom.). » Quando io mi rappre
sento un monte d'oro, io non m'inganno; l'inganno co
mincia solo allorquando io giudico, sostengo che la mo
ntagna d'oro esiste. Così anche rispetto ai sensi: quan
333

d'io veggo un bastone piegato perchè immerso nell'acqua,


gli occhi non m'ingannano. Secondo le leggi ottiche il
bastone deve apparire tal quale l'occhio lo vede. L'errore
comincia quando l'intelletto giudica che esso sia ve
ramente piegato. Quindi il così detto scambio non è
un inganno dei sensi, ma solo può dirsi un giudizio fal
lace. I sensi non trasmettono all'intelletto che la lor sen
sazione – essi presentano all'intelletto l'oggetto (mini
sterialiter). Dipende dall'intelletto il giudicar rettamente
o falsamente degli oggetti presentatigli, a Non enim de
cipere dicitur qui se ostendit sicuti est. m Se vuolsi chiamar
illusione dei sensi quando l' intelletto piglia occasione
(occasio) dalle sensazioni per giudicar falsamente, allora
l'illusione dei sensi prendesi in sensu improprio.
Valga a maggiore schiarimento la seguente distinzione
di s. Tommaso. I sensi possono essere considerati in dopº
pio aspetto: -

1. Relate ad mentem – e qui devesi suddistinguer


a ImCOI'8 :

a) ut sunt res quaedam. –


b) ut sunt repraesentativi alterius rei. Nel primo ri
spetto essi non possono ingannare giammai; nel secondo
essi ponno ingannare occasionaliter, nel senso detto di
sopra. -

2. Relate ad res. – Qui s. Tommaso abbraccia in brevi


parole quanto di sopra abbiam detto: a sensus ad res com
parati non falluntur circa propria sensibilia, modo sint
recte dispositi; nihilominus, quamvis sint recte dispositi,
falli possunt circa sensibilia c o mm u n i a et per ac
ci dens. n

Secondo il qui detto, non può andar incontro a diffi


coltà di sorta tanto l'ammettere la rettificazione delle
334

così dette illusioni dei sensi quanto il riconoscere l'as


soluta certezza che ci danno le sensazioni. Si vorrà certo
rilevare, giusta il detto, la differenza tra i sogni dei dor
mienti (a dum sensus sunt ligati, Thom.m) e l'attività vera
dei sensi; ma riusciranno incomprensibili i vaneggiamenti
dei filosofi che in piena veglia vogliono scambiare le sen
sazioni coi sogni. « Dicentesse esse sapientes, stulti sunt
et evanuerunt in cogitationibus suis (Rom. 1) » Con que
sto calzantissimo testo è dato esattamente il marchio di
tutta la nuova filosofia, da che, sulla scorta di Car
tesio, si volle con insolente tracotanza accagionar di men
zogna il criterio dei sensi. Scetticismo, idealismo, pantei
smo, ecco lo sciagurato retaggio toccato in sorte ai cam
pioni della sapienza! Per salvar i figli e i figli dei figli
da questi sgraziati filosofanti, si predichi con tutta forza
e con inesorabile gravità l'infallibilità di questo criterio:
u I SENSI NON INGANNANO. » E quando questa genìa
di spiriti sofistici giura e spergiura, si gridi loro intre
pidi ed arditi nell'orecchio: a I SENSI NON INGANNANo. »
Essi intenderanno la parola, e perciò stesso che l'im
tenderanno rettamente, senza inganno, infallibilmente,
eglino stessi renderanno testimonianza alla verità: « I
sENSI NON INGANNANO. m Quando torneranno sani i
sensi, allora sarà salvato il mondo filosofico. Il resto gli
terrà dietro da sè. -.

- s 14. :

Criterio dell'evidenza. -

(Certezza metafisica.) - , -

Gli antichi dicevano: Evidentia intellectus in rebus


intelligibilibus est legitimum criterium veritatis. Ben a
-
335

ragione; poichè il criterio della verità per le cose intel


ligibili dev'essere ivi dove appar chiara la loro verità
per la forza della cognizione. Ma questo non può esser
altro che l'evidenza come tale.
L'evidenza (evidentia – id quod clare videmus) è la
piena chiarezza con cui comprendiam qualche cosa. Il
concetto dell'evidenza può esser preso in un senso più
ampio e più stretto, e qui è la ragione della confu
sione avvenuta nelle nuove scuole riguardo all'evi
denza. Nel più ampio senso si può parlare di evidenze
fisiche (sensitive), metafisiche, matematiche, e riguardo
ai motiva credibilitatis anche dell'evidenza della fede.
Ma il concetto è naturalmente limitato alle cose me
tafisicamente intelligibili zafioxiº, ed anche qui si deve
distinguere tra una doppia specie di evidenza, l'evidentia
intuitiva cioè e l'evidentia discursiva. Si parrà tosto
come ciò apporti luce in questa oscura regione; poichè
di fatto avvi in essa più buio che non in una camera
oscura. Fin dall'esordire della nuova scuola introdotta
da Cartesio, si va contendendo che cosa sia propria
mente un evidenza la quale sia raccertata. Cartesio dice
sì da principio che evidente e quindi sicuro è quello che
noi vediam chiaramente e distintamente in una cosa,
ma subito egli diffida della evidenza da sè stabilita e
si ripara in Dio, nella veracità di Dio (in 4 Med).
Ma con ciò il miserabile moto circolare di Cartesio
non è aperto, ma chiuso. Altri cercano il loro rifugio
nel certo, altri nel sensus communis optimorum. Altri
ancora opinano che siano da chiamarsi evidenti quelle
proposizioni che a sine interno quodam animi cruciatu
negari non possunt (Malebranche). m L'espressione del
l'antica scuola era esatta e non abbisognava di nessuna
336
variazione, e percib appunto ella era ed è esatta perchè
ci mette piemamente al- chiaro sull'evidenza. La vecchia
scuola insegnava riguardo all' evidenza od. ai criterii in
generale: u Criterium seu nota veritatis est ipsa per
spicuitas, ejus, qua se menti ita vivide eaehibet in prin
cipiis : per $e motis, aut ita clare eae illis fluit, ut as
8en8um etiam ab invito eaetorqueat. m L'applicazione di
questa definizione, valevole in generale, ad um criterio spe
ciale vien da 8è stessa. Ascoltiamo rispetto all' evidenza
intellettuale s. Tommaso, Sum. theol., p. 1, q. 82, a. 1:
w , necesse est quod sicut intellectus ea: nec e 8 sit a te
í n h ae re t primis principiis , ita voluntas eæ : nec e s s i
tate in h ae re at ultimo fini, qui est beatitudo. Finis
enim se habet in operativis sicut principium in specu
lativis. Oportet enim quod illud quod natur a láter
alicui convenit et immobili te r sit fundamen t u m et
principiwm omnium aliorum; quia natura rei est pri
wm u m • in unoquoque et omnis motu & procedit ab
al i q u o immobili. m Si badi alle ultime parole: a omnis
motus procedit ab aliquo immobili m — quindi anche
il motus intellectualis deve procedere da um immobile,
vale a dire infallibile principio. Su di che si pigli il se
guente passo di s.Tommaso eae 1 lib. Post. C. 5 et 19.: a Eae
propositionibus quaedam sunt per se notae, quae prima
principia et a ac iomata vocari solent; quaedam vero
sunt quae eæ illis principiis per demonstrationem dedu
cuntur, quæ theorem at a dici possunt. Propositione s
autem per se notae non solum in se ipsis, sed etiam
nobis, illae sunt in quibus attributum sive praedicatum
est in ratione suljecti et eæ sola perceptione terminorum
cognoscitur attributum contineri in subjecto vel ei esse
contrarium. Theoremata vero sunt quae deducuntur eae
337

hujusmodi propositionibus per se notis et cum ipsis ne


cessariam connecionem habent. Quoties ergo mens cogno
scit attributum esse in ratione subjecti, ut in hac pro
positione: a omne totum est majus sua parte », tunc ha
betur vera evidentia, cui mens non potest refragari.
Et similiter quoties mens cognoscit propositionem aliquam
necessario deduci ea propositionibus per se notis, ut in
hac propositione: a omnis trianguli tres anguli sunt duo
bus rectis aequales », ita ut propositio illa non possit esse
falsa, nisi sint falsae propositiones per se notae: tunc
etiam habetur vera evidenti a et omnim o da certi
tu do m (1). -
(1) Quando alcuni buoni autori dinotano l'evidenza come a una
vivi da luce che illumina l'intelletto, sicchè egli conosce se un at
tributo conviene o disconviene ad un soggetto, secondo s. Tom.,
Sum. p. 1, quaest 106, a 1: a lumen, secundum quod pertinet ad in
tellectum, nihil aliud est quam quaedam manifestatio veritatis , questo
è giusto, ma non è al tutto esatto relativamente alla distinzione tra
criterio e principio. Secondo s. Tommaso, i principii sono per
l'intelligenza quello stesso che è la luce pel nostro occhio
corporeo. In quel modo che l'occhio conosce e vede i corpi per
la luce, al modo stesso l'intelletto conosce e vede il tutto
p e i principii (omnia cognoscuntur per resolutionem in principia
Thom. passim). - I principii son quelli che devon gettar la luce
su tutte le cose conoscibili che non s'illuminano da sè, cioè che non
son chiare per sè. I principii son dunque la luce per le verità se
condarie o dedotte. Ora la luce che illumina le altre
cose illumina anche sè stessa. L'evidenza nei principii
è appunto il criterio per la verità dei principii, la guarentigia
di essa verità. Quindi nel criterio la luce è considerata form al
mente come tale, mentre la luce nei principii per rispetto a
quanto ne vien dedotto è presa materialmente. I principii deter
minano la luce per la verità in questo o in quel punto speciale.
L' evidenza come criterio invece è l' evidenza in generale,
l'evidenza par excellence. Quindi l'evidenza come tale è il
riterio. 22
338

La detta evidenza, secondo il testo citato, phò appro


priarsi non solo ai principii, ma anche alle conseguenze
che si traggono dai principii; e questo è quello che ho
indicato di sopra come evidentia intuitiva e evidentia dis
cursiva. La prima riguarda i principii, la seconda le com
elusioni. I principii, secondo la natura loro propria, non
si dimostrano, e quindi appo loro è assolutamente im
possibile alcun errore. Ma la cosa corre diversamente
nelle conchiusioni. Certo può avvenire che l'evidenza nelle
conchiusioni giunga fino a tal grado che quasi non vi
sia nulla affatto a distinguere dall'evidenza dei principii,
ma procedendo la cosa può prendere altra piega. Rispetto
a queste conchiusioni s. Tommaso dice (De verit.): « in
intellectu numquam est falsitas, si recte fiat resolutio
in prima principia. » Si badi alla condizione qui aggiunta
u si recte fiat resolutio. » Ma questa retta risoluzione è ap
punto quella che troppo spesso non è facil cosa a
farsi. S. Tommaso scrive su di ciò: (Sum. theolog., 22,
q. 2, a. 4): a Ratio humana in rebus divinis est mul
tum deficiens. Cujus signum est, quod philosophide rebus
humanis naturali investigatione persequentes in multiser
raverunt et sibi contraria senserunt. » E (Sum. c. gent.,
l. 1, c. 4): a Investigationi rationis humanae plerumque
falsitas admiscetur propter imbecillitatem intellectus in
judicando et phantasmatum permiatione. Inter multa
etiam vera quae demonstrantur, immiscetur aliquando
falsum quod non demonstratur, sed aliqua probabili
vel sophistica ratione asseritur, quae interdum demon
stratio reputatur. » Inoltre: a Verum et falsum non
inveniuntur misi in intellectu componente et dividente
(passim). » Quindi nell'intelletto che giudica e conchiude
pommo trovarsi tanto la falsità quanto la verità. – Or
339

che resta allora a fare? ogni filosofo crede d'aver tirato


con ogni evidenza i suoi corollari; e nondimeno è chiaro
che di questi corollari l'uno o l'altro è falso, perchè l'uno
è appunto in contradizione coll' altro. Ma ogni filosofo
tien le sue conchiusioni per evidenti. Perciò qui si
tratta di distinguere la vera dalla falsa evidenza nel
caso che – qui o là o dove possa nascere un dubium.
In questo caso deve esservi un criterio proprio. Di ciò
nel S seguente. Qui basti l'aver rivelata la differenza
tra l'evidenza intuitiva e la discursiva per ren
der con ciò comprendibile la differenza tra l'evidenza
oggettiva e l'evidenza soggettiva (1). Dal detto di
sopra appare che la denominazione a intuitiva » significa
bensì lo stesso che a l'oggettiva », ma non già la a dis
corsiva m lo stesso che la a soggettiva. m Fino ad un certo
grado l'evidenza a discorsiva » può e deve rendere la
realtà oggettiva e l'infallibilità, foss'anche solo nelle più
semplici e facilissime deduzioni. Ma quando scompare la
semplicità e la facilità, s'infiltra nella cognizione discorsiva
un altro elemento, cioè l'evidenza soggettiva, vale a
dir la maggiore o minor fralezza soggettiva (2). Del resto
osservisi ancora che si può a tutto diritto, senza pregiu
dizio della cosa, ridurre tutta l'evidenza discorsiva al
seguente criterio, sicchè si ritenga per l'evidenza zarigoziº
solo l'intuitiva. -

Ora dal non aver Cartesio e con lui tutte le scuole

(1) Adopero qui e parecchie altre volte i termini moderni per


essere più presto inteso. Si avvezza facilmente a questo modo di
vedere soggettivo ed oggettivo.
(2) La denominazione e discorsiva » è migliore perciò che con
essa la cosa vien denotata nella radice, procedente dalla così detta
e soggettività. º
340

moderne distinto tra l'evidenza oggettiva e sogget


tiva me venne la principiale confusione nel mondo filo
sofico. (Error in principio parvus fit macimus in fine –
Thom.). L'evidenza quale la stabilì Cartesio (a quod clare
et distincte in aliqua re videon) è l'evidenza soggettiva.
Tutte le nuove filosofie non si sono ancora spastoiate da
questa soggettività. In una parola, il soggettivismo è il
carattere di tutti i filosofemi cartesiani. L'impossibilità
di salvarsene diventò assoluta, poichè si ritenne sola questa
evidenza soggettiva unilaterale, rigettati come fallaci
tutti gli altri criteri, quindi nominativamente anche quello
dell'autorità. La confusione diverrebbe ancor più grande
qualora si sostenesse il preteso contro la scuola antica –
che la certezza sia in noi, non fuori di noi. Buon
Dio! come se gli antichi non avessero saputo che siam
noi stessi il conoscere, che la verità (formale) deve
essere in noi e quindi anche la certezza. Su di ciò
non può farsi questione, nè questa è adesso o può mai es
sere la questione. Lo stato della questione è questo e sol
questo: qual è il mezzo o il criterio per distin
guere tra la FALSA e la VERA evidenza? o con altre pa
role: qual è il mezzo d'uscir fuori dalla falsa soggetti
vità? Qual è il mezzo per decidere tra due filosofi che
contendon fra loro, ciascun dei quali sostiene di veder la
sua cosa con tutta evidenza? Qual è il mezzo per poter
sostenere sicuramente: io vedo non solo evidente la cosa,
ma la cosa è evidente, – e ciascun deve vederla così e
non altrimenti? Questo, e non altro, è quello che devesi
domandare, non già se la certezza sia in noi, e di quinci
trasferirla nel mondo estrinseco. Avendo la moderna fi
losofia posta in quest'ultimo modo la questione, cadde nel
l'idealismo e nello scetticismo al grado stesso in cui
341

in generale il soggettivismo. Entrò un totale sconvol


gimento e una sovversion totale nel principio. Prima
mente scambiossi con ciò l'essere conoscente come sog
getto conoscente colla facoltà di conoscere (facultas
cognoscendi); si pose il mezzo (facultas) pel fine – e il
(objectum) pel mezzo. L'oggetto divenne il medium sul
quale esercitar l'intelletto, l'intelletto privo di contenuto
reale, trovò i suoi logici esercizi nel movimento dialettico
del pensiero; il concetto dialettico fu preso come scopo
reale, lo scopo stesso, e tutto venne sciolto nell'anda
mento logico del pensiero: ecce homo-Deus nel concetto
di Hegel! Quest'è il compimento dell'edificio fondato da
Cartesio e della dappoi costantemente tenuta soggettiva
evidenza contro l'evidenza oggettiva della scuola
antica. La vecchia scuola al contrario insegna: a fa
cultas est propter objectum, sicut materia propter formam,
et medium propter finem (Thomas, passim) n; e per conse
guenza: a Sicut res naturalis non deficit ab esse quod
sibi competit secundum suam formam, ita virtus cogno
scitiva non deficit in cognoscendo respectu illius rei cujus
similitudine informatur. Sicut sensus de sensibili pro
prio semper est verus, ita et intellectus in cognoscendo
quod quid est (Thom., Sum. p. 1, q. 16, a. 2 – De
verit. I, a. 12) »
Conchiudendo questo S, epiloghiamo la dottrina della
scuola antica:
1. Evidentia (intuitiva – objectiva) est legitimum cri
terium veritatis in principiis per s e notis.
2. Evidentia (discursivo intuitiva – objectiva) est le
gitimum veritatis criterium in conclusionibus quibus
dam facillimis quae immediate e primo principio fluunt.
º e
342

S. 15. º

Criterio dell'autorità umana.


(Certezza morale).

Appare dal S precedente che, movendo dai principii


generali, col passare sicuri per le più semplici conclu
sioni si giunge a un altro caratteristico campo delle cose.
Quest'è il campo delle cose particolari, complicate, intri
cate e quindi divenute più difficili applicazioni dei prin
cipii. Qui (prescindendo dal guasto della volontà dell'af.
fetto) un singolo intelletto può esser debole troppo per
trovare la verità, l'uno può qui vedere più acutamente
dell'altro. Qui può la soggettiva intelligenza ed evi
denza trovarsi in contradizione colla verità oggettiva.
Due filosofi sciolgono una stessa questione in modo con
tradittorio: – entrambi son sicuri del fatto loro – ognuno
protesta dell'evidenza – Impossibile! Tutti e due non
pommo avere una vera evidenza; essi presumono d'a-
verla. Ora in questo caso dov' è il criterium per
giudicare della vera e della falsa evidenza. Qui sta
il vero punto della questione (1).
Secondo la dottrina dell'antica scuola e, posso dire
senza apporvi condizione alcuna, secondo la dottrina di

(1) Ho determinata così acutamente la questione onde non si rin


facci agli scolastici, rispetto al criterio della verità, la falsa teoria
del Lamennais. Questi estende il sensus communis a tutte le ve
rità. Presso gli scolastici questo criterio comincia primamente a
certi gradi di progresso intellettuale, o meglio fino a certi gradi
il criterio dell'evidenza e conseguentemente dell'autorità son un o,
mentre procedendo oltre l'evidenza si ritrae, lasciando sola l'autorità:
343

tutta l'umanità – qui il criterio è l'autorità. Natu


ralmente qui non parliamo che dell'autorità umana, na
turale. Questo criterio rettamente inteso è lo stesso (suo
modo) di quello che adopera la Chiesa nel suo dominio:
a quod semper, quod ubique, quod ab omnibus. n Il
semper, ubique, omnes non va preso in un senso rigo
roso, ma bensì solamente in senso morale. Già Aristotele
aveva formolato il criterio della verità in questo senso,
e tutta l'antica scuola lasciollo intatto: a probabile quod
probatur vel omnibus, vel plurimis, vel sapientibus,
vel optimis. n Ma il a probabile m s'intende come proba
biliter certum, non come incertum. Sebbene qui, rispetto
alla certezza metafisica, si possa sempre applicare nello
strettissimo senso l' oraziano: a Grammatici certant, et
adhue sub judice lis est m, tuttavia rispetto alla natura
propria della materia onde trattiamo possono sempre essere
con bastevole acutezza marcati i confini col ciceroniano:
a Neminem omnes, et nemo unquam omnes fefellit. n
Appunto così insegna s. Tommaso: « Quod ab omnibus
communiter dicitur, impossibile est totaliter esse falsum.
Falsa enim opinio infirmitas quaedam intellectus est,
sicut et falsum judicium de sensibili proprio ea in
firmitate sensus accidit Defectus autem per accidens
sunt et praeter naturae intentionem. Quod autem est
per accidens non potest esse semper et in omni
bus. Sicut de saporibus quod ab omni gustu datur non
potest esse falsum, i ta judicium quod ab omnibus
de veritate datur non potest esse erroneum. (Sum
c. gent., l. II, c. 34). » Rispetto alla proposizione succi
tata: a probabile est quod probatur omnibus, vel plu
rimis, vel sapientibus, vel optimis n , io non ho certa
mente più bisogno di apporvi come aggiunto a omnibus n
344

se si tratta di giudizi che sono alla portata di tutto il


mondo – a plurimis » se si tratta di giudizi di un ordine
più alto delle cose intelligibili – a sapientibus, optimis »
se si tratta dei più ardui giudizi nelle scienze partico
lari. – Oltracciò sta fermo l'assioma: a argumenta non
numerantur, sed ponderantur. » Ma non s'intenda questa
verità unilateralmente: a Numerus potest esse magnum
pondus. » L'autorità, il consensus communis e la senten
tia communis in ultima istanza han sempre il loro fonda
mento nella ratio, conseguentemente nell'evidenza, ben
inteso suo modo, come abbiam già detto dapprima, poi
chè tutti i criteri si fondano in uno, come tutti i prin
cipii su uno, quando qui si voglia pure parlar della
necessità di un appoggio. Che io accetti l'autorità come
criterio, nel caso ch'ella abbia le richieste proprietà
e condizioni, è molto ragionevole. Quindi Roselli (Sum.
philos., Log. quaest. XXV) dice molto giustamente: a Cum
omnes vel fere omnes in aliqua re conveniunt, aliqua
certe efficaa ratio debet esse qua illi permoveantur.
Nam, ut recte Cicero..., neminem omnes, et nemo unquam
omnes fallit. Quapropter non una tantum auctoritate,
sed etiam ratione, dum illas sequimur, innitimur.
Hinc, si qua sententia communis est inter philosophos,
etsi nobis non satis constet ratio qua probatur, ha
beri debet ut certa. m Ora, sebbene s. Tommaso dica
(Sum. p. 1, q. 1, a. 8, ad 12): a locus ab auctoritate quae
fundatur super ratione humana est infirmissimus »,
non si dimentichi che come quello che è piccolissimo ri
spetto a tutto quello che è più alto, è pur l'altissimo
rispetto al più piccolo, così anche una certezza la quale
in un senso è a vero dire infirmissima, può d'altra parte
esser firmissima. Certo che il criterio dell'autorità, solo
- 345
come tale, non è mai superiore alla certezza morale,
ma questa morale certezza dell'autorità può esser tale
che superi di gran lunga la più acuta evidenza sog
gettiva la quale non abbia bisogno d'altro criterio.
Quando adunque s. Agostino (lib. II De ord., c. 9) dice:
a auctoritas humana plerumque fallit n, queste parole
non fanno ostacolo alcuno, se, giusta il detto, si rileva
entro quali confini sta il criterio dell'autorità e in quali
rapporti è cogli altri criteri.

$ 16.

Criterio dell'autorità divina. – Certezza della fede.

(Relazione della fede alla scienza).

Il principio formale della fede (ratio fidei formalis) è


l'infallibilità e veracità divina; poichè la conditio sine
qua non per cui queste verità diventano per noi verità
di fede è anzitutto che ci sien proposte come tali dalla
Chiesa (propositio Ecclesiae). Rammentisi qui quanto ab
biam detto sulla relazione delle verità di fede e della
ragione. a Si Deus loquitur, credendum est. m L'intelletto
divino è il supremo, e suprema quindi del pari è la
sua certezza. Ond'è che ogni altro intelletto, ogni altra
certezza è subordinata a questo intelletto, a questa cer
tezza e sì essentialiter – ea propria natura – sine
ulla ea ceptione et limitatione. Come ogni principium è
il regolante pel principiatum, e certamente l'assoluto re
golatore di tutto quello che non è lui stesso; così ne
consegue la totale, assoluta subordinazione della ra
tio creata, ed in specie della ratio humana al regolatore
346

delle divime verità della fede, com altre parole la totale


assoluta subordinazione della filosofia alla teologia
Poichè i criteri vammo determinati mella scambievole
relazione dell' uno all' altro, qui è il- luogo di determi
mar più davvicino. l'accemmata subordinazione della ratio
alla fides, della sciemza alla fe de, della filos ofia
alla teologia. (1).
Se io qui premetto a quanto som per dire appresso le
quattro tesi pubblicate mel 1855 dalla Congregat. Indic.,
mom si giudichi precipitosamente che io voglia in filosofia
pigliar la cosa dommaticamente (teologicamente). Nulla di
ciò : um metodo per accidens non è per l' appumto l'es
senziale, — quantumque, giusta quanto ho detto, potessi
anche rispondere: a philosophia est essentialiter subor
dinata, — et haec subordinatio est res maaci me ratio
malis. m Le tesi suomano così:
1. Etsi fides e8t supra rationem, nulla tamen: vera dis
sensio , nullum dissidium inter ipsas inveniri unquam
potest, cum ambo ab uno eodemque veritatis fonte, Deo
O. M., oriantur atque ita sibi mutuam opem ferant.
2. Ratiocinatio Dei eaeistentiam, animae spiritualitatem,
hominis libertatem, cum certitudine probare potest. Fides
posterior est revelatione, proindeque ad probandam Dei

(4) Eae litleris Pii P. P. IX ad Johannem cardinalem de Geissel*


*d. 15 jun. an. curr. datis : • Atque illum etiam vel maæime impro
bandum ac damnandum , quod günterianis libris humanæ rationi et
philosophiae , quae in religionis rebus non dominari , sed ancillari
omnino debent, magisterii jus temere attribuatur ac propterea omnia
perturbentur quae firmissima manere debent , tum de perenni fidei
*mmutabilitate , quae una semper atque eadem est dum philosophia
humanæque disciplinæ neque semper sibi constant neque sunt a mul
diplici errorum varietate immunes. ,
347

eacistentiam contra atheum, ad probandam animae ra


tionalis spiritualitatem ac libertatem contra nataralismi
ac fatalismi sectatores allegari convenienter nequit.
3. Rationis usus fidem praecedit et ad eam hominem ope
revelationis et gratiae conducit.
4. Methodus qua usi sunt divus Thomas, divus Bona
ventura et alii post ipsos scholastici non ad rationa
lismum ducit neque causa fuit cur apud scholas ho
diernas philosophia in naturalismum et pantheismum im
pingeret. Proinde non licet in crimen Doctoribus et Ma
gistris illis vertere quod methodum hanc, approbante vel
saltem tacente Ecclesia, usurpaverint.
Indipendentemente da queste tesi premetto altre spie
gazioni ancora alla speciale esposizione della relazione
tra fede e scienza.
a. Allorchè parlo di verità di fede, intendo di quelle
dipendenti dalla libera volontà di Dio pervenuteci in
modo sopranaturale, di quelle comunicazioni di cogni
zioni appoggiate alla veracità di Dio (sian prese mate
rialmente o formalmente) in quanto le stesse non si pos
sono dimostrare colla ragione. Ma queste, e qualun
que cosa non si può nè abbisogna d'essere dimostrata,
ha perciò stesso la natura dei principii indimostrabili.
Quindi s. Tommaso ripete sempre: « dogmata habent
rationem principii. n Ed ecco data con ciò la radicale,
principiale e quindi essenziale differenza da ritenersi
della definizione data tra le verità di fede e quelle della
ragione. Si tenga ben bene in mente: dogma h a
bet rationem principii. Solo si badi ancora a que
sto: per quanto le verità della fede, i dogmi, possano
essere poco accessibili alla ragione, tuttavia quello che
formalmente presenta la verità della fede, cioè la ver
348

racità e l'infallibilità di Dio, d'onde la proposizione


a Si Deus loquitur, credendum est m, è così evidente
per la nostra ragione che con esso non solo è rimossa
ogni possibilità di contradizione tra le verità della fede
e della ragione, ma v'è anzi inchiusa la pienissima ar
monia principiale. Non può mai quindi cader questione
se una verità della fede sia in conflitto con una verità
della ragione, ma solo: 1. in genere se Dio abbia parlato;
2. in specie se Dio abbia detto questo o quello; vale
a dire dev'esservi un altro criterio omogeneo alla ragione
col quale venga determinata, applicata la verità ge
merale: « si Deus loquitur, credendum est m per l'ahic
et nunc n, la relazione di tempo e spazio in cui si move
il mostro intelletto. Questo avviene in prima istanza
pei motiva credibilitatis, e in seconda istanza (1) per
mezzo della Chiesa come a medium infallibile quo propo
mantur dogmata » o come la conditio sine qua non, i. e.
sine qua dogmata in se non sunt dogmata quoad nos. La ve.
ritas demonstrabilis ratione per motiva credibilitatis e la
veritas revelata non demonstrabilis unisconsi come due
testimonii che depongon lo stesso nell'infallibile me
dium della Chiesa. L'infallibilitas Ecclesiae è un prin
cipium per se notum rispetto al medium infallibile in ge
nere –, ma ella è una veritas revelata rispetto alla de
terminatio medii (sic et non aliter – historice). Or mentre
la ratio naturalis ammaestra per mezzo dei motiva cre
dibilitatis, viene a dir lo stesso di quel che dice la veri
tas revelata, rispetto alla determinatio medii della Chiesa,

(1) Nel caso cioè (di questo solamente qui parliamo) che la rive
lazione mi pervenga per un medium, la quale perciò non è per
nulla revelatio privata,
349

e certo di questa Chiesa determinata, improntata del mar


chio sub conditionibus hic et nunc, ci è data la prova per
la verità della regola del principio della fede quoad
nos, per la corrispondenza del secondo testimonio. Il fa
ctum storico, quindi contingente, dell'essere della Chiesa,
e dell'infallibile essere della Chiesa è doppio: una ve
rità di fede ed una verità della ragione; ma non sub
un o, sed sub diverso respectu. Con ciò è sciolto il pre
teso circolo che vi si trova. Aggiungasi cioè al detto
anche il principium eatrinsecum o la causa efficiens fidei,
vale a dire la grazia di Dio, e la cosa sarà composta
così:
1. principium formale – veracitas Dei.
2. principium efficiens fidei – gratia divina.
3. conditio sine qua non creditur – Ecclesia pro
ponens.
4. motiva credibilitatis – veritates demonstratae.
La relazione degli ultimi due punti l'uno all'altro:
1. motiva credibilitatis sunt a conditio sine qua non n
relate ad Ecclesiam – ergo referuntur ad Eccle
siam, sicut Ecclesia ad fidem, ea differentia, quod
2. Ecclesiae infallibilitas sit
a. dogma – quoad determinationem medii infal
libilis hujus – -

b. veritas rationalis seu demonstrabilis quoad tale


medium in genere.
Premetto agli schiarimenti che son per dare il seguente
passo di Melch. Cano O. P. P. (Loc. theol. l. II, c. 8,
p. 27): a Si generaliter quaeratur unde fideli constet
ea quae fide tenet esse a Deo revelata, non poterit Ec
clesiae (cioè a dire questa determinata storicamente esi
stente chiesa cattolica) auctoritatem inducere, quia unum
350

de revelatis est, Ecclesiam errare non posse (ripete ap


punto le parole aggiunte) ut 1 ad Tim. c. 3 habetur.
Nec verus catholicus, quod nonnulli fingunt, assentitur huic:
Ecclesia est veraae solum per conjecturas humanas, qui
bus acquisita fides innititur, ad quem modum et Sara
ceni suis praeceptoribus, et Judæi suis rabbinis, et gentes
suis philosophis, et omnes denique suis majoribus inhae
rent. Non sic (inquam) christiani, sed per interius lumen
infusum a Spiritu Sancto, quo firmissime atque certis
sime moventur ad oredendum ecclesiam christianam er
rare non posse, Saracenorum, Judæorum, paganorum er
rare posse. Deinde responderi potest quod , etiamsi in
auniversum opus esset ut Ecclesia ea quae sunt credenda
proponeret , non tamen proinde colligeretur ultimam
fidei resolutionem in Ecclesiae auctoritatem fieri.
INon est enim Ecclesiae auctorìtas ratio per se movens ad
credendum , 8ed c a u s a sine qua mon crederemus.
Quippe ut nos credamus juæta praescriptam a Paulo
legem, oportet ut illa quae credere debemus nobis per
hominem proponantur. Providit autem Deus ut Ecclesia
esset quae certo ac firmo judicio ea quae vere nobis
sunt credenda proponeret. Proponit enim Ecclesia (ut
vem eaeempli causa illustremus) evangelium Matthæi esse
a Deo revelatum; nec mihi propowere nisi verum potest.
Ego igitur non credo evangelistam dicere verum quia
Ecclesia eum dicat verum dicere, sed quia Deus revelavit.
Et tamen Ecclesia proponens est causa s i n e q u a ego
non admitterem illud evangelium esse Matthæi. Spiritu
itaque Sancto Ecclesiam afflatam certo credo, non ut ve
ritatem auctoritatemque libris canonicis tribuat, sed ut
doceat illos, non alios, esse canonicos. Nec si nobis aditum
praebet ad hujusmodi sacros libros cognoscendos, proti
*. - 351

mus ibi acquiescendum est, sed ultra oportet progredi et


solida Dei veritate niti (cioè destar la fede — pel
motivo ultimo: la veracità di Dio). Qua ea re intelligitur
quid sibi voluerit Augustinus cum ait: a Evangelio non
crederem, misi me Ecclesiae moveret auctoritas m, et rur
sum: a Per catholicos Evangelio credideram. » Videlicet
megotium Augustino erat cum manichæis, qui absque com
troversia suo cuidam evangelio credi volebant et Mani
chæo fidem adstruere. Rogat igitur Augu8tinus ecquid
.facturi sint, si in hominem incidant qui me Evangelio
quidem credat, quoque genere persuasionis sint eum in
suam sententiam adducturi. Certe 8e affirmat non aliter
potuisse adduci ut Evangelium amplecteretur quam Ec
clesiae auctoritate victum. Non itaque docet fundatam
esse Evangelii fidem in Ecclesiae auctoritate, verum sim
pliciter nullam esse certam viam qua sive infideles, sive
in fide novitii, ad sacros libros ingrediantur , nisi ec
clesiae catholicae unum eumdemque consensum. Id quod
eju8dem epistolae c. 4, et in l. De utilit. cred. ad Ho
morat., satis ipse eæplicavit. Certum itaque argumentum.
in controversia de unoquolibet libro sacro eae Ecclesiae
auctoritate sumitur, idque Augustinus tradit ;. sed non
ad hanc, sed ad divinam auctoritatem fides libro
rum divinorum referenda est. » — Fim qui il celebre Mel
chior Camo, i Loci teologici del quale restam tuttora im
superati. Gli schiarimenti che ora io faccio seguire mon
recheramno punto più di luce al testo di Melchior Camo,
esso mom , me abbisogma, — ma varranno a mettere
in chiaro cose che eramo presso gli scolastici motissime
presupposiziomi, ma ehe moi mom sappiamo rilevare com
quell' acutezza, precisione e forza com che si trovano
mella matura della filosofia scolastica. Una cosa apparem
352 -.

temente di niun conto può come conditio sine qua non


diventare della massima importanza: a error in principio
parvus – fit macimus in fine. (Thom.). »
Avendo già fatto precedere la dottrina dei principii,
vogliasi tener presente quanto ivi si è detto. Dai prin
cipii dipende il tutto; – i principii, illuminando tutto
il resto, illuminano sè stessi – i principii, dimostrando
ogni altra cosa, guarentiscono la dimostrazione di sè
stessi. I principii pongon fine ad ogni contesa: a omnis
cognitio fit per resolutionem ad principi a m –
a cum negantibus principia non est disputandum. Do
gmata habent rationem principii (Thom.). m – la natura
dei principii è propria di tutti i dogmi, e quindi essi
hanno le proprietà dei principii – quindi non de
monstrantur – sunt per se evidentia – inveniuntur
experientia. Ciò si riferisce a quello per cui il dogma è
dogma formale, cioè alla veracità divina. Il for
male di tutti i dogmi è uno (veracitas Dei), e quivi ri
posa il principium per se notum: a si Deus loquitur,
credendum est. m I dogmi materiali-particolari non son
altro che l' applicazione e la determinazione del prin
cipio generale: se Dio parla, si deve credere. Questo
è il dogma considerato in sè (dogma in se spectatum).
Ora, poichè noi non parliamo di una rivelazione privata,
ma, come abbiam detto di sopra, d'una comunicazione, di
una rivelazione di Dio fatta per un medium, pel qual
medium il dogma in se diventa dogma quoad nos; e
poichè ogni dogma quoad nos può solo e dev'essere
un dogma in se (ma non viceversa), ne segue per me
cessità metafisica che ogni medium (come conditio sine
qua non – ea hypothesi) dev'essere un medium INFALLIBILE
a Qui vult finem, debet velle media » – a medium debet
353

esse fini proportionatum (Thom.) » – e questa necessità è


tanto assoluta che non puossi raggiunger lo scopo senza
un mezzo determinato, sia questo o quello. Osservisi qui,
come abbiam già detto di sopra, che la conditio sine qua
non intanto è una veritas rationalis seu demonstrabilis
in quanto la è appunto necessaria, foss'anco necessaria
ea hypothesi.
Per questo medium, per questa conditio sine qua non,
noi entriamo in un altro ordine di cose. I dogmata in se
diventano dogmata quoad nos per quel medium. Perciò
noi, credenti, dobbiamo seguir questo medium, poichè per
questo mezzo i dogmi diventano tali per noi. a Medium
autem prius attingitur quam finis (i. e. in ordine ececu
tionis) (Thom.). » Quindi per noi quel medium è un
principio. Ma come principio deve aver la com
pleta matura di un principio. – Con altre parole:
L'INFALLIBILITA' DELLA CHIESA È IL PRINCIPIO CATTOLICO
DELLA FEDE. Noi abbiam qui dunque a fare con un prin
cipio, e per verità con un principio sotto doppio
aspetto. Come ciò? Noi abbiamo detto di sopra:
1.º l'infallibilità della Chiesa è un dogma; 20, una ve
rità della ragione dimostrabile. Ella è una veritas ratio
nalis (demonstrabilis) in quanto in generale un medium
infallibile è la conditio sine qua non per lo scopo che
qui dev'essere raggiunto (fides divina): qui vult finem
debet velle media (cf Thom. Sum, theolog., p. 1, q. 19,
art. 3 in corp. a.: de necessitate absoluta et de necessi
tate ea suppositione rispetto a Dio), vale a dire in quanto
che lo scopo non può esser raggiunto senza un mezzo.
Ma qui appunto la fides per medium aliquod è la
suppositio. Colla proposizione: qui vult finem debet velle
media, noi siam nel principio, giunti quindi all'ultima
25
so
354
eD

meta rispetto alla dimostrazione. Ora si tratta della


determinazione di questo medium. La determinazione
del medium infallibile è data colla proposizione: a la
Chiesa, e proprio la chiesa cattolico-romana è il medium
infallibile per le verità della fede. n Questa proposizione
è – si badi bene : nella sua determinazione – un
dogma, e quindi come tale una verità non dimostrabile
dalla ragione. Ma ella è il dogma PRINCIPIALE perchè
è la conditio sine qua non mediante la quale tutti gli altri
dogmata in se diventano appunto dogmata quo a d n os –
perchè ridivien principium per tutti gli altri dogmi. Noi
abbiam quindi compiutamente a fare con un PRINCIPIO.
Qui noi siamo alla fine: a omnis scientia fit per reso
lutionem in principia (Thom.). » I principii che illumi
mano tutto il resto, illuminano sè stessi. I principii che
dimostrano ogni altra cosa, dimostrano anche sè stessi.
Se vuolsi quindi far la domanda: perchè la chiesa
cattolico-romana è infallibile? l'unica giusta di
retta risposta è: perchè la chiesa cattolico-romana
lo dice (1).
Il medium per la comunicazione della verità della fede
deve assolutamente manifestarsi da sè come infallibile.
Una chiesa che non si chiarisce per infallibile dà con
ciò la prova più evidente della sua falsità, perchè essa
mega direttamente il principium contradictionis. – Non
si ricorra dunque, invece dell'unica giusta risposta data,
ai motiva credibilitatis. Quali funzioni prestino questi
direm più tardi. Giova dapprima comprendere intera la
forza della risposta, che veste qualità di principio per
chi investiga dietro la sua verità. I principii devon da

(1) Propriamente parlando, qui si parla del dogma quoad nos.


355
sè render testimonianza a sè stessi fino a che non si
vuol trapassare ad altro ordine di cose. I dogmata in se
s
diventano e sono dogmata quoad nos perchè la chiesa
cattolico-romana li dice tali: con ciò è chiusa la risposta
in ordine fidei. Io credo alla chiesa perchè ella stessa
dichiara ch'ella è infallibile. Questo, secondo il detto, non
solamente non è contradittorio o irragionevole, ma è d'asso
lutissima necessità. « Veritas veritati contradicere nequit. »
I principii, vuoi in ordine naturali vuoi in ordine su
pernaturali, possono e devono soltanto da sè render testi
monianza a sè stessi. – Volendo restar ancora infra
ordinem fidei, allora è da aggiungere al detto che, oltre
il principium cognitionis, avvi anche un principium ef:
ficiens, cioè la grazia, col quale vien infusa la fede che
opera. Ma questo è il principium ea trinsecum fidei, del
quale qui non parliamo. – Se alcuno volesse doman
dare ancora: come posso io sapere con certezza di
vina di fede che la chiesa cattolica è infallibile, e pre
tendesse una risposta diversa dalla data, allora la do
manda verrebbe a dire: qual medium v'ha che mi possa
accertare del medium unico perchè principiale? cioè sa
rebbe interrogare intorno ad un'assurdità, perchè egli
sarebbe domandare che è quello che precede al
primo, mentre il primo è appunto quello che precede
al tutto. – Ad ogni passo ulteriore noi progrediamo ad
un altro campo di cose. Perciò parliamo ora delle funzioni
dei motiva credibilitatis. Qui noi siamo in rerum ordine
naturali, per quanto possano essere sopranaturali le cose
nelle quali c'incontriamo; poichè noi argomentiamo quivi
pur sempre ea ratione ad rationem.
Giusta la proposizione: a veritas veritati contradicere
nequit m e a gratia non destruit, sed elevat ac perficit
356 -

naturam (Thom, passim) » nessuna verità della fede


può essere in contradizione con una verità della ra
gione (1), ed ogni verità della fede deve presupporre,
elevare, completar la ragione. La fede è l'oggetto non
delle creature irragionevoli, ma sì delle ragione
voli. Ogni fede pertanto può e dev'essere solo ragio
nevole. Chi vuol fede da me deve presentarmi suffi
cienti argomenti i quali m'inducano a prestargli fede. Se
questi non istanno nelle cose stesse comunicate, deb
bon esser nelle persone che le comunicano, o brevemente
nell'estrinseco della cosa, delle diverse cose. Questi mo
tivi degni di fede sono appunto ciò che i teologi chia
man motiva credibilitatis, ma che, come si vede, son cose
tanto pei filosofi come pei teologi. La ragion naturale
a quel medium pel quale le vien comunicata la verità di
fede fa necessariamente la domanda: A qual modo ti costi
tuisci tu legittimamente come degno di fede?
Risponde: coi prodigi e miracoli e colle contra
pizioni in cui tu avviluppi la tua propria ra
gione se non mi credi! Miracoli e ragione dalla mia
parte, mancanza di miracoli e di ragione, anzi irragio
mevolezza, contradizione e inconseguenza da ogni altra
parte, dove si collocano gli opposti principii, dimostrano
la verità del mio medium, che sono io stesso: così parla la
chiesa cattolico-romana – così deve parlare, se non vuol
da sè stessa rinnegare la sua propria natura.
Tralascio qui le ulteriori deduzioni, come gli altri prin
cipii rivelati di fede non abbiano proprietà loro e quindi

(1) Tutte le contradizioni non sono che apparenti: « non sunt


must sotubutta argumenta. • Thom. Sum, theol., p. 1, q. 1, a. 8, ar
ticolo 8-C gent. tab. 1, c. 7.
357

non sieno veri principii. Credo che riuscirà facile


l'applicazione. Così p. e.: posto un libro, la Bibbia, do
vrebbe essere il principio. Procedendo si domanda dove
è la Bibbia? che cosa è? chi la intende nel giusto senso?
Queste son domande che si ponno fare senza urtar contro
la ragione, anzi che si debbono fare per non urtar contro
questa. Ma sempre là dove un saggio può andar più
oltre nel domandare perchè non è giunto alla risposta
ultima, ivi si può sempre andar più lungi, perchè
non si è ancor arrivato ad un principio. Dio stesso
non può far un principio di quello che secondo la buona
ragione non può esser in alcun modo principio: veritas
veritati contradicere nequit (1).
Il detto avrà dimostrato la concordanza principiale
tra la fede e la scienza, avrà bastantemente dimostrato
che avvi la più adequata corrispondenza tra l'ordine
naturale e il sopranaturale delle cose, che regna la più
completa armonia tra il processo della region reale
ed ideale delle verità: a sic est dispositio rerum in ve
ritate, sicut in esse – (S. Thom., C. gent., c. 4). »
Avendo io dimostrato come tutto dev'essere riportato ai
principii tanto nel campo naturale quanto nel sopranatu
rale, e come questi principii si rendono testimonianza a vi
cenda, divien superfluo il dar ulteriore spiegazione del modo

(1) Non mi si voglia frantendere; io non dico: a Dio non po


teva scegliere altro mezzo da quello che ha scelto º – ma dico
quando Dio sceglie un mezzo, questo deve essere proporzionato allo
scopo, quindi dev'essere un principio, quindi deve avere (ciò
che Dio può mai sempre effettuare) la natura infallibile di prin
cipio (necessitas ea suppositione). Poichè Dio non può essere irra
gionevole nè operar contro ragione: veritas veritati numquam
contradicit. -
358 -

onde per esempio il medium della Chiesa, qual viva voa, è la


comprension naturale di questo medium, come i media se
cundaria Scrittura e Tradizione, approvati pel medium pri
marium rendono retrospettivamente testimonianza alla
maggior vitalità della fede secondo la massima: causae sunt
sibi invicem causae, – o generalmente come l'ordine natu
rale delle cose provien dappertutto dall'ordine sopranatu
rale delle verità della fede, preso siccome presupposizio
ne, base, praeambulum, e su tal fondamento, per quanto
in maniera specificamente diversa, si forma l'ulteriore
complemento, in una parola come sia vero il detto di
s. Agostino: a Idem Deus est auctor naturae et gra
tiae (1). »
Dopo questa generalissima principiale conciliazione della
ragion filosofante colla fede, io trapasso alla più esatta
determinazione di quei confini che congiungono e se
parano la fede e la scienza secondo le specifiche loro
nature. Con ciò emergerà più chiaramente, più distinta
mente la sostantività e relativa dipendenza dei
principii, cioè delle verità della ragione e dell' autorità
divina. -

S 17.
Continuazione.

Sostantività e dipendenza: sono questi i due con


(1) Mi giova in quest'occasione chiamar l'attenzione sull'acuta
opera apologetica del domenicano p. Gatti: « Principio protestante
e principio cattolico, lavoro del p. fr. Vincenzo. M. Gatti mae
stro in sagra teologia, II vol., Lucca dalla tip. di G. Giusti 1854.
Se l'associazione Borromeo provedesse per una esatta corrispon
dente traduzione di essa, io posso accertare che arricchirebbe la let
teratura tedesca d'un'opera che altra simile non può vantarne,
-
359

cetti intorno ai quali si tratta nel problema sopra la fede


e la scienza. I due concetti s'escludono a vicenda. Quindi
sostantività e dipendenza dai due lati non ponno venir
prese che solo sotto punti di vista diversi perchè pos
sano star insieme l'uno e l'altro. Mentre la dialettica dei
tempi moderni fa di tal vicendevole relazione un fascio
e finisce a chiamar bianco il nero e nero il bianco, l'es
sere il nulla, e il nulla qualche cosa, sicchè nella ba
belica confusion del linguaggio l'uno non intende l' al
tro, l'antica scuola aveva una soda e a vero dire me
tafisicamente stabile regola secondo la quale si foggiava
il modo di dire. Il a simpliciter » e il « secundum quid »,
dei quali sorrisero e si beffarono i nipoti, eran quel regolo,
quella guida, colla quale tutti si orientavano per ovviare
ad ogni confusionè e sottigliezza dei sofisti. L'esperienza
giornaliera ci fa toccar con mano che bene spesso a sim
pliciter » (cioè absolute) una cosa è da sostenere la quale
a secundum quid m (cioè secundum aliquem respectum) è
da impugnarsi. La Metafisica e la Logica ce lo faran
vedere più chiaramente (1).
Or veniamo al punto. Si domanda: la teologia (come
scienza della fede) è ella indipendente dalla filosofia come
scienza della ragione? Rispondo: simpliciter deve dirsi:
sì la teologia è indipendente dalla filosofia (cf. Thom. Sum.
p. 1, q. 1, a 5, ad 2): . Ad secundum: dicendum quod

(1) Il « simpliciter º degli scolastici vien anch'esso usato in dop -


pio modo: a) per absolute (= secundum naturam suam, sine adjun
cto, sine comparatione ad alterum) b) per totaliter (= universaliter
omnino) cſ. Thom. Sun. theolog. p. 2, q. 6, a. 6 – e p. 1, q. 82,
a. 5, in corp. – 2 2, q. 58, a. 10, ad 2. Si dice ordinariamente
« Denominatio simplex et absoluta alicuius rei petitur ab eo quod
est in ea perfectius et principalius,
360

haec scientia (theol.) accipere potest aliquid a philoso


phicis disciplinis, non quod ea necessitate eis indi
geat, sed ad majorem manifestationem eorum quae in
hac scientia traduntur. Non enim accipit sua prin
cipi a ab aliis scientiis, sed immediate a Deo per
revelationem. Et ideo non accipit ab aliis scientiis tam
quam a superiori bus, sed utitur eis tamquam in
ferioribus et ancillis, sicut architectonicae utuntur
subministrantibus, ut civilis militari. Et hoc ipsum
quod sic utitur eis non est propter defectum vel
insufficienti am eſ us, sed propter defectum in
tellectus n ostri, qui ea his quae per naturalem ra
tionem, ea qua procedunt aliae scientiae, cognoscuntur,
facilius manuducitur in ea quae sunt supra rationem,
quae in hac scientia traduntur. » Quindi in quanto la teo
logia si serve nella detta maniera della filosofia si può par
lare di una dipendenza di questa da quella, cioè secun
dum quid; ma si badi che non si parla della theolo
gia in se spectata, sì bene della theologia prout est in
nobis. – Inoltre si può ancora parlare di una dipen
denza della teologia dalla filosofia (o della fede dalla ra
gione; sarà facile avvezzarsi a questi termini) in quanto
la fede presuppone la ragione, cioè in quanto la ragione
non può disconoscere le sue leggi essenziali, e quindi im
clusivamente anche il criterio dei sensi, senza distruggere
sè stessa. a Gratia non destruit, sed supponit et elevat na
turam (Thom.). m – Le più minute distinzioni che qui ap
parterrebbero rispetto alla certezza le abbiam già date
sopra nel S 11. – Mentre tutti questi rapporti ci danno
un secundum quid, che cioè modifica la relazione, il simpli
citer deve esser detto simpliciter nel suo doppio senso,
come simpliciter – secundum naturam suam (absolute)
361

e come simpliciter – omnimode; poichè la teologia è af,


fatto indipendente dalla filosofia completamente sostanziale
per modo che la filosofia in ultima istanza, tanto sotto
l' aspetto materiale, quanto sotto l'aspetto formale, è
radicalmente e totalmente subordinata alla filosofia,
di guisa che questa subordinazione vale anche per gli
stessi principii, in quanto si possa supporre possibile
ch'essi contengano la menoma ombra di falsità. Poichè se
m'ingamma un principio della ragione, io sono ingannato da
una cagione secondaria, ma se m'inganna la fede, io
sono ingannato da Dio stesso. Ma parlando con esattezza
metafisica, egli è ben più possibile pensare d'esser tratto
in errore da una causa secunda che non dalla causa
prima. Su qui riposa l'espressione d'uso: egli è più certo
quanto io credo di quello che io veggo co miei occhi,
più certo che non due e due fan quattro (1).
Ora facciam d'altra parte la questione rispetto alla
filosofia come scienza della ragione; è ella la filosofia
simpliciter una scienza sostanziale, indipendente? o si
deve rispondere: distinguo: simpliciter i. e. absolute,
secundum naturam suam, sì certamente; simpliciter i. e.
omnibus modis, universaliter, omnino, suddistinguo am
cora: la filosofia può essere riguardata in sè (in se) e
a noi (quoad nos) cioè rispetto all'umana fragilità.
In quest'ultimo aspetto appar tosto la sua insussi
stenza da sè, in quanto sott'essa vien intesa la fal
libilitas; a remaneret humanum genus, si sola rationis
via ad Deum cognoscendum pateret, in maximis ignoran

(1) Che la teologia, tuttochè scientia subalternata, sc. scientia bea


torum et Dei, pur sia una vera scienza, ben sel' sanno i teo
logi.
362

tiae tenebris. » Thom., Sum. c. gent., l. I, c. 4. – Nel


primo aspetto convien da capo soddistinguere tra il mo
dus procedendi e la materia. Quoad modum procedendi
certamente io consento compiutamente alla posta que
stione tanto in rispetto all'evidenza dei principii quanto
in riguardo allo sviluppo logico di essi. Ma quoad mate
riam la risposta sarebbe un'altra. Suddistinguo ancora:
se si piglia la materia in genere come naturalem rerum
ordinem seu causam primam ut auctricem naturae in
genere, consento di nuovo pienamente alla questione.
Ma se si piglia la materia in specie, i. e. in ordine ad
finalem perfectionem, si deve indicare il dominio naturale
delle cose come essenzialmente imperfetto, conseguente
mente come non sostanziale, come dipendente. Cf Sum.
c. gent., l. III, c. 147: « ultimus finis naturalem facul
tatem ipsius eccedit. »
Quel che può riuscir duro ad alcuno nella detta vi
cendevole relazione tra la filosofia e la teologia sa
rebbe quanto già avemmo a dire: essere la filosofia in
ultima istanza radicalmente e totalmente subordinata –
ed alla sua volta: – esser ella una scienza sostanziale,
indipendente. Ma si badi 1) che il « simpliciter » nei
giudizi recati rispetto alla teologia è da prendersi nel suo
doppio senso, mentre nei giudizi sulla filosofia va preso
in un senso solo; – 2) che la teologia e la filosofia non
devono esser prese in sensu univoco, ma soltanto in sensu
aequivoco sotto il concetto generico di scienza, che
quindi la specifica differenza di queste due scienze non
è una differenza adequata rispetto al loro genus (1); – -3)
(1) Il socio di un gioielliere, per esempio, simpliciter è qualche
cosa di più che il capo-fabbrica nell'officina del pentolaio, ma
secundum quid questo può esser dappiù di quello.
363

finalmente che i principii secondari o ariomata, sebbene


nel senso più rigoroso sieno al certo secondari in quanto
sono dipendenti, cionondimeno son veri e reali principii,
sono assiomi che hanno la completa loro sostantività,
anzi quelli che concernono la determinazione dell'evidenza
generale, divenuta tale mediante speciali assiomi, stanno
più alto che gli assiomi generali. Poichè la funzione spe
cifica è appunto la cosa capitale (vedi il S sopra a Prin
cipii e Certezza »). Ma il qui detto sub 3 si usa in fi
losofia e teologia soltanto ammessa la presupposizione del
detto sub 2: nel caso opposto sarebbe cioè falsa la cosa,
perchè la filosofia non piglia a prestanza i suoi principii dalla
teologia, ma li possiede sostantivamente (lumine naturae
nota – Thom., passim) (1). Questa sostantività va quindi
sì lungi ch'ella può indicare i suoi principii come do

(1) Valga a sovrabbondanza un esempio: Un ricco possidente e


commerciante ha due figli. All'uno affida la parte economica della
sua amministrazione, all'altro gli affari di commercio, autorizzando
ciascuno al pieno andamento degli affari, ma a patto che il secondo
sebbene disponga e amministri a piacimento, però non abbia un
potere indipendente davanti ai tribunali, ma per questo sia duopo se
ne rimetta in tutto al padre, mentre l'altro possa anche dinanzi
al giudice rappresentar in tutto pienamente il padre, eccettuata la
facoltà di vendere i beni amministrati, come quelli che son paterni.
Qui si rileva un triplice diverso modo di essere, quello del padre
e quello dell'uno e l'altro figliuolo. Simpliciter tutti e tre sono da
dinotarsi come sostantivi , sebbene in senso diverso; ma secun
dum quid come a dipendenti. » Ma nello strettissimo senso è sem
pre il padre che si è riservato di richiamare a sè la cosa nel caso
che fossero trascesi tutti i limiti del diritto. Ma in quanto questo
caso deve essere riguardato come un'eccezione alla regola, così in
ragione che l'eccezione è tanto meno da valutare, ciascuno può
dire a tutto diritto: il figlio è sostantivo simpliciter – e dipendente
secundum quid.
364

gmatici, cioè come verità di ugual grado delle verità di


fede, poichè tanto la ragione quanto la fede vengono
a dire la stessa cosa: – a veritas veritati contradi
cere nequit. m Anzi sotto certo aspetto (respectu eviden
tiae quoad nos) può indicare i suoi principii come tali
che la vincano sulle verità della fede (v. Certezza).
Rimane ancora da investigare la relazione tra fede
e scienza rispetto ad un caso speciale. Poichè le verità
della fede prese materialiter possono essere e realmente
sono di doppia natura cioè: 1) tali che eccedono to
talmente la ragione e 2) tali che possono essere anche
dimostrate per mezzo della ragione (dogmata quoad sub
stantiam et modum – dogmata quoad modum tantum);
quindi si domanda:

a Di una stessa verità può darsi ad un tempo


nell'intelletto stesso fede e scienza? »

Presa la definizione della scienza come un a cogno


scere evidenter et certe per causam », e la definizione della
fede come un m assentire certe propter auctoritatem lo
quentis », appar tosto chiaro che no. L' assentire pro
pter auctoritatem è certamente anche un cognoscere, ma
non in sensu proprio, cioè per causam propriam, bensì
in sensu improprio, per causam alienan (ecternam). La
distinzione è quindi essenziale, e l'opposto tra causa pro
pria et aliena è una contradizione. La soluzione della
questione esposta qui sopra, qual non di rado vien data
anche da valenti teologi, cioè con una risposta al tutto
affermativa, a me pare non da altro provenga che dal
timore che nel caso contrario per voler mostrar acutezza
scientifica non si venga a pregiudicare alla fede. Tommaso
365

ebbe alcuna paura di ciò, sciogliendo la questione in senso


contrario; negando simpliciter, affermando secundum quid.
Si deve distinguere tra actus ed habitus tanto da parte
della fede come da parte della scienza. Fides actualis
est actus quo assentimur rebus revelatis, fides habitualis
est virtus in intellectu residens qua inclinamur ad as
sentiendum revelatis. Del pari la cognitio seu scientia
dev'essere considerata in actu o in habitu. Or, se noi
prendiam primamente l'actus dall'una parte e l'actus
dall'altra, dobbiam dire: « actus fidei et actus scien
tiae NON possunt esse simul in eodem intellectu de eodem
objecto. Questa è la dottrina costante di s. Tommaso,
che su di ciò insiste: « ea quae sunt fidei non possunt
esse scita. m Sum. theol., 1 2, q. 63, a. 3. – et De verit.
q. 14, a. 9. Noi diciamo in secondo luogo: habitus
scientiae et habitus fidei NON possunt esse simul in eodem
subjecto respectu ejusdem objecti. Poichè egli è pur anco
impossibile che il medesimo soggetto habitualiter, quindi
ad una stessa maniera, si muova ad atti opposti. – Noi
diciamo in terzo luogo: habitus fidei potest esse cum
actu scientiae, dummodo talis actus nullum producat ha
bitum. Thom. Sum. theol., 2 2, q. 175, a. 3, ad 3, men
tre parla del ratto pel quale s. Paolo vide Dio ed ebbe
la scientia beatorum. S. Tommaso dice adunque: a quia
Paulus non fuit beatus habitualiter, sed solum habuit
actum beatorum » (i. e. actum visionis, sc. scientiae beati
ficae), a consequens est ut simul tunc in eo non fuerit actus
fidei, fuit tamen simul tunc in eo habitus fidei).» La cosa
è chiara; poichè la scienza esclude la fede come
tale, e così naturalmente la fede vien esclusa in quel
modo nel quale vi è entrata la scienza. E però, se la
scienza ha sol luogo per modum transeuntis et quoad
366
actum anche la fede vien ad essere esclusa in tanto in
quanto dura la scienza e il suo atto. Per esempio: un
ferro actualiter riscaldato dal fuoco rimane habitualiter
disposto al freddo; – la mano che getta in alto un sasso
toglie solo actualiter ad esso l'abituale sua gravità.
Poichè i tomisti s'accordano tutti ad una voce sola in
questa dottrina, trascorro sulle varie obbiezioni. La so
luzione di tutte le obbiezioni di qualche rilevanza sarebbe
data colla seguente distinzione. Si distingua 1º. tra il ma
teriale e il formale della fede, 20. tra il non cre
dere come incredulità e il non credere come scienza,
39. tra la scienza puramente naturale e la scienza avva
lorata sopranaturalmente. Sebbene noi tralasciamo questo
avvaloramento della scienza con s. Tommaso, 2 2, p. 4,
a. 8, ad 2: a quod aliquis parvae scientiae magis certifica
tur de eo quod audit ab aliquo scientifico quan de eo
quod sibi secundum suam rationem videtur », non si deve
scambiar questa scienza autenticata per testimonium di
centis colla fede, il cui motivum totale è l' auctoritas
dicentis.
Conchiudendo questo S io non posso abbastanza rac
comandare la più attenta considerazione dell' assioma:
a gratia non destruit, sed supponit, elevat ac perficit
naturam (s. Thom. l. 3 Sent., dist. 29, q. 1, a. 3 et
7). » Ma non si dimentichi che questa perfezione non
fa duopo progredisca in eadem specie: così p. e. la visio
beatifica sebbene sia una verità di fede tanto substantia
liter come modaliter, pure è il complemento (perfectio)
dell'intelletto (Thom. 1 2, q. 3, a. 8). Alla stessa guisa
nella formazione del mondo fisico e spirituale segue grado
grado l'un dopo l'altro una formazione sempre più com
pleta senza che vi sia un graduale progresso infra eam
- 367

den speciem. – Poichè una verità non può mai con


tradire ad un altra verità, si comprende in qual senso
la filosofia possa esser chiamata, come dominio delle
verità naturali, il fondamento della teologia.
Tutto ciò che in filosofia è vero nel campo della Logica,
della Fisica, e della Morale e della Metafisica, tutto ciò è
vero anche nella Teologia (v. terza parte della Pref.).
Ma non ne segue per nulla affatto che la ratio naturalis
possa entrar a pari a discorrere colla teologia in modo
d' assumere la dignità di un criterium in rebus fidei –
ciò che senz'altro sarebbe un'assurdità. MA BEN DA CIO'
NE SEGUE: che quei teologi i quali, senza saper nulla della
vera filosofia, vollero professar la scienza teologica, edifica
rono la loro casa non dirò sull'arena ma nell'aria! a quasi
non idem Deus esset auctor naturae et gratiae (August.),
et quasi veritas veritati contradicere posset! (Conc. la
ter) » Certo la ratio ha sempre da badar attenta, da o
recchiare, da spiare quanto dice la fides, pronta a correg
gersi ad ogni momento e lasciarsi guidare; ella è più
sicura fide divina perchè i risultati delle sue investiga
zioni circa le verità della fede non solo vi trovano il
loro avvaloramento, ma, in quanto son giusti, vengon amco
supposti come necessari per l'investigazione teologica.
Conseguentemente – e secondo il detto nessuno vorrà fran
tendermi – conseguentemente, dico io, possono sì filo
sofia e sì teologia essere indicate come due mani che s'a-
iutano l'una l' altra a vicenda, sempre pero additando
la filosofia come la mano sinistra, la teologia come la
diritta; dico s'aiutano, ma bisogna guardarsi bene dal
considerarle come due gemine sorelle, nissuna delle quali
abbia il privilegio della scienza. -

Invece di separare, si distingua. Da un canto si ri


368

tenga la subordinata relazione della filosofia, dall'altro


non si dimentichi che le verità sopranaturali, sebben
nello stretto senso della parola sopranaturali (et quoad
substantiam et quoad modum), pur seguono anch'esse alla
lor volta le leggi naturali. S'egli è già vero nel regno
di natura che a viviamo, ci moviamo e siamo in Dio n
a (in Deo vivimur et movemur et sumus, sicut et quidam
vestrorum poetarum dia erunt: ipsius enim et genus su
mus n – Paul. Act. app. 17, 29), lo stesso è tanto
più vero nel regno della grazia. Quindi, prescindendo dal
l'illustrazione diretta (sopranaturale quoad modum) nel
campo naturale delle cose, l'illustrazione nel regno della
grazia opera di nuovo retrospettivamente sull' intelletto
naturale nelle cose naturali. Tutto s'appoggia, s' eleva,
richiedesi scambievolmente nel regno della verità ed unità,
sicchè entrambe son vere queste cose: intellectus praece
dit fidem, e: intellectus sequitur fidem – intelligan ut
credam, e credam ut intelligam. Tal dialettico movimento
noi lo incontriam dappertutto nel regno della verità: a cau
sae sunt sibi invicem causae (v. Fis.). » Tommaso lo ha
sì ben riconosciuto che là appunto mostra la sua acutezza
trascendentale quando mostrasi valente, per mezzo a spe
cifici movimenti diversi, a ritenere il principio e il fine,
distinguendo per unire – e unendo per distinguere. Si
pigli come prova al qui detto il c. 1 del lib. 4 della
Summa contra gentes, dove l'angelico Dottore nei tre gradi
della nostra cognizione (natura, fede, visione oltramondana),
nella specifica certezza di questi tre gradi pur abbraccia
l'unità nella cognizione (1).

(1) Cf Sum. c. gent., lib. 1, c. 5. « Ea quibus omnibus apparet quod


de rebus nobilissimis imperfecta cognitio, MAXIMAM PERFECTIONEM ani
369

Quel che prima di tutto fa mestieri al qui accenmato


movimento dialettico è IL FISSARE LA BASE DELL' INTUI
ZIONE DELLE CAUSE, DEI PRINCIPII. Spero che ciò sia già
sufficientemente avvemuto in questo trattato; nè spero
sarà parsa superflua la diffusione di questo, come mon
a suo luogo, voglio dire mom appartemente ad theologica.
Il rimprovero mom potrebbe mascere che da una indebita
separazio me della filosofia dalla teologia. La RIVELA
ZIONE, LA FEDE, STA COME UN FATTO STORICO DEL MONDO!
(quod audivimus, quod vidimus oculis nostris, quod per
inae confert. Et ideo quamvis ea quae supra rationem sunt ratio hu
mana capere non possit, tamen MULTUM siBi PERFECTIONIS acquirit, si
saltem ea qualitercumque teneat fide. » — Inoltre Sum. c. gent., l. 1,
c. 7: « Ea quae sunt naturalia mutari non possunt, natura manente ;
contrariae autem opiniones simul eidem inesse non possunt: non igitur
contra cognitionem n a t u r a le m aliqua opinio vel fides homini a Deo
immittitur. Et ideo Apostolus dicit: Prope est verbum in corde tuo
et in ore tuo, hoc esl: verbum fidei quod praedicamus. Rom. 10. 8.
Sed, quia superat rationem,a nonnullis reputatur quasi contrarium; quod
esse non potest. Huic etiam auctoritas Augustini concordat, qui (in 2
sup. Gen. ad litt., c. 18) dicit sie: • Illud quidem quod veritas pate
facit libris sanctis sive Vet. Test. sive Nori nullo modo potest esse ad
versum. » Ec quo evidenler colligitur, quaecumque argumenla contra
fidei documenta ponantur, HAEC Ex PRINCI Piis PRIMIS NATURAE INDItis
PER sE NoTis, NON RECTE PROCEDERE. Unde nec dem0nstrationis vim
habent, sed vel sunt rationes probabiles vel sophisticae ; et sic ad ea
solvenda locus relinquitur. • Conchiudendo: Sum. theol., p., A. q. 60,
a. 1, ad 5: « Ad tertium dicendum quod sicut cognitio naturalis sem
per est vera, ita dilectio naturalis semper est recta ; cum amor natu
ralis nihil aliud sit quam inclinatio naturae indila ab auctore ma
tur(!e. D£ CERE ERGO QUOD INCLlNATI0 NATURAE NON SIT RECTA EST DE
RoGARE AUCToRI NATURAE. Alia tamen est rectitudo naturalis dilectio
nis, et alia est rectitudo charitatis et virtutis; QUIA UNA REGTiTUDo Est
PeRFectivA AlteriUs: sicut etiam alia est veritas naturalis cognitionis,
et alia est veritas cognitionis infusae vel acquisitae. »
24
370

sperimus et manus nostrae contrectaverunt, Ioh. Ep. I,


c. I, 1). » Voler prescindere da ciò si chiamerebbe non
solo tarpar alcun po' le ali al filosofo, ma legargli mani
e piedi. Quanto meno i filosofi pagani si scostavano dalle
tradizioni (giudaiche), tanto meno un filosofo dopo Cristo
deve voler far astrazione della tradizion cristiana (la fede)
per lasciar libero il corso alla sua ragione. Questa è ap
punto la radicale differenza tra l'antica scuola – la
scuola della verità – e le scuole moderne – le scuole
dell'errore, poichè queste posero in radice una separazione
CIIE FU UNA MENZOGNA! a Vos e patre diabolo estis '...
mendao est et pater ejus (mendacii). » Ioh. VIII, 44.
Questa caratteristica della falsa filosofia di separare dove
non v'è da separare, e di unire dove non v'è da unire
vi parrà più chiara nel seguente S, particolarmente per
le osservazioni che quivi son per fare rispetto all'unità
dei criteri de'quali fin qui abbiam discorso.

$ 18.

Unità e pluralità della scienza.

La croce della filosofia è l'unità o meglio la riduzione


della pluralità all'unità. Mirabil cosa! quella appunto che
all'intelletto investigante appar subito dapprima come
evidentissimo (N. B. in confuso) divien per lui lo sco
glio a cui spessissimo rompe e va al fondo. Noi ve
demmo nella prima sezione della seconda parte dell'In
troduzione come lo sforzo all'unità sia il midollo e
il sangue della vita filosofica, e come la supposizione
dell' esistente unità – oggettiva è la base di tutta
371

la filosofia. L'u ni o ne è la vita, viva, visibile realtà,


– la separazione è morte, reale risolvimento nel nulla!
Conoscere scientificamente chiamasi conoscere per cause
(cognoscere per causam). Ma conoscere per cause non è
altro in ultima istanza che conoscere per l'ultima (o la
prima) cagione. Ma conoscere poi per la suprema ca
gione non vuol dir altro che conoscere per l'unità (v.
Metaf). SENZA UNITA' NON SI DA' PLURALITA'! La plura
lità degli effetti è una nella causa. Tutte le pluralità di
tutti gli effetti hanno nella suprema, altissima cagione
la loro altissima unità. Una dualità, totale, nello stret
tissimo senso della parola, indipendente l'una dall'altra,
quindi una dualità nel senso reale della parola sarebbe,
ella è una CONTRADIZIONE! – Movendo quindi dalla plura
lità e seguitando la scambievole loro connessione, ricer
cando la causa delle cause, noi troviam l'unità, e certo
perchè, partendo da una reale sussistente pluralità, si
può sempre come questa raggiungere anche la reale sus
sistente unità. Quanto in s. Tommaso sia stato chiaro
questo sforzo all'unità, oltre il detto nella seconda parte
della Prefazione, lo mostri il testo seguente tolto dal c. 1,
del lib. IV della Sum. c. gent. «... Quia perfectum ho
minis bonum est ut quoquo modo Deum cognoscat, ne tam
nobilis creatura omnino in vanum esse videretur, velut
finem proprium attingere non valens, datur homini quae
dam via per quan in Dei cognitionem ascendere possit,
att scilicet, quia omnes rerum perfectiones quodam ordine
a summo rerum vertice, Deo, descendant, ipse ab inferio
ribus incipiens et gradatim ascendens in Dei cognitionem
proficiat; nam et in corporalibus motibus eadem est via
qua descenditur et ascenditur, ratione principii et finis
distincta. Praedicti autem descensus perfectionum a Deo
372

dupleæ est ratio : una quidem eæ parte prinae rerum


originis; nam divina sapientia, ut perfectio esset in rebus,
res produæit in ordine, ut creaturarum universitas eae
summis rerum et infimis compleretur: alia vero ratio eae
δpsis rebus procedit; nam, cum causae sint mobiliores ef
fectibus, primo quidem causata deficiunt a prima causa,
quae Deus est, quae tamen suis effectibus praeeminent,
et sic deinceps , quousque ad ultima rerum perveniatur.
Et quia in summo rerum vertice Deo perfectissima uni
tas invenitur, et umumquodque quamto est magis unum,
tanto est magis virtuosum et dignius, consequens est ut
quantum a primo principio receditur, tanto maior diver
sitas et variatio inveniatur in rebus. Oportet igitur pro
cessum emanationis a Deo uniri quidem in ipso prin
cipio, multiplicari autem secundum res infimas, ad quas
terminatur. Et ita secundum diversitatem rerum apparet
viarum diversitas, quasi ab uno principio inchoatarum
et terminatarum ad diversa. » —
Quindi sempre dove il PRINCIPIO DELL' ESSERE (prin
cipium essendi) si fonde col PRINCIPIO DEL CONOSCERE
(principium cognoscendi), ivi è possibile la compiuta unità
della cogniziome. Ma non trascorra inosservato che questa
piema unità della cognizione può anch'essa esser doppia.
Cioè o il principio dell'essere e il primcipio del comoscere
è uno (come appo Dio stesso), che è l'essere e il cono
scere stesso, e il conoscere appumto l'essere u (Deus est
suum esse, — suum intelligere , — esse Dei est suuw
intelligere, Thom., passim) »; o l' essere e il comoscere
è diverso, eome negli spiriti, che veggom tutto in Dio (ìn
divina essentia). Anche in questa completa sì ma secon
daria cognizione avvi rispetto al conoscere il principio
dell'essere ed il principio della cognizione, im quanto essa
- 373

vede tutto in Dio (in prima causa) E però qui v'ha


per l'intelletto delle creature la più alta possibile unità,
quindi anche la più alta possibile cognizione, sebben la
cognizione mon sia ancora adequata a quella che ha Dio
stesso, poichè in sensu strictissimo devesi pur sempre dire
rispetto ad un completo adequato conoscere: a Deus solus
se comprehendit – consequenter omnes res. Se noi potessimo
in suprema istanza comprender l'essere, comprenderlo com
piutamente, adequatamente, noi potremmo anche CREAR
le cose. Così ogni artista possiede (productive) un'ade
quata cognizione del lavoro che compie, in quanto è egli
stesso che lo crea. -

Ma il principio dell' essere può star disgiunto affatto


da quello del conoscere, sicchè nel conoscere (cognizione
esemplata) si debba tener un cammino affatto opposto a
quello dell'essere. Però questo è sempre il caso d'allor
che noi conosciam gli effetti fuori delle cause (v. Metaf),
e questa è la nostra cognizione naturale (in praesenti re
rum statu). In questo caso la cognizione comincia con quello
che noi chiamam (in latissimo senso) ESPERIENZA O FATTI
(facta). L'ESPERIENZA, I FATTI SONO QUINDI IL SODO IN
CROLLABILE FONDAMENTO SU CUI STIAMO. Questa sola pro
posizione, compresa in tutta la sua acutezza ed ampiezza,
è IL PRINCIPIO FONDAMENTALE della scuola antica –
la morte di tutte le moderne filosofie. Si badi però alle
parole a compresa in tutta la sua acutezza ed estem
sione. » Non intendo cioè solo la sensitiva, palpabile espe
rienza; gli scolastici andavan più oltre. Tutta la mostra
essenza, qualunque esser possa, è un factum, un fatto.
Noi siam un essere partim in actu, partim in potentia
– quindi un essere per participationem, e non l'essere,
noi siam secondo l'intimissima mostra essenza un essere
374 -

potenziale e non un puro essere attuale a (Deus est actus


purissimus » – Thom., cioè la purissima realtà); per con
seguenza un essere per nulla NECESSARIO – per conse
guenza un essere DI FATTO – per conseguenza si tratta
anzi tutto circa FATTI, e per verità circa fatti in tutta
l' ampiezza del nostro essere. Con ciò eccomi pervenuto
al punto in cui posso ritornare all'unità dei criteri.
Perchè v' hanno quattro criteri di verità e non UNO ?
Rispondo: sebben pigliando propriamente la causa
materialis potessi rispondere: essendovi quattro diverse
generiche verità, si richieggono appunto necessariamente
parecchi criteri; pure egli è meglio, PIGLIANDO la causa
formalis, risponder tosto: perchè v'hanno appunto quattro
criteri. Egli è un fatto (factum) che vi hanno parecchi
criteri. I criteri sono appunto gli arbitri supremi. Quindi
voler ancora appellare ad un altro arbitro quando l'ar
bitro supremo ha parlato non chiamasi voler decidere
una cosa, chiamasi gettarsi in braccio allo scetticismo.
Ma evvi qui una pluralità che non si possa ridurre ad
un'unità ? Io ho pur già dapprima ammesso che, quando
si volesse, ben si potrebbe, parlare di un'evidenza dei
sensi, d'un'evidenza dell'autorità, d'un'evidenza dell'intel
letto, o, con altre parole di un'evidenza fisica, morale, me
tafisica della fede. Questo certamente! Ma qui pure è il
punto dove si è deviato dal retto sentiero, perchè venne
effettuata la riduzione ad un indebita unità. A torto si
concentrano in questa riduzione le diverse evidenze ad
una sola, poichè in queste diverse materie le evidenze
son prese in un senso UNIVOCO. Questo fu l'errore ! Se
vuolsi nelle quattro accennate materie parlar d'un evi
denza una, non può farsi che in un senso ANALOGo;
perchè le quattro diverse materie nelle quali trovasi la
375
rispettiva evidenza non sono in sensu stricto quattro
species sotto un genus solo, ma son quattro materie GE
NERICAMENTE diverse, che soltanto secundum aliquam
analogiam ponno compararsi tra loro rispetto al modo
della loro riconoscibilità, e questo appunto rispetto al
generico diverso modo del loro essere. Quindi, poichè qui
sarebbe cosa molto sofistica parlar di un'unità d'evidenza,
ed una tal denominazione, data per radicalissima, conter
rebbe tutta una serie consecutiva di errori, devonsi fis
sare con ispecifiche diverse espressioni le generiche di
versità.

Ma si osservi che distinguendo noi i principii della


cognizione dai principii dell'essere, non abbiam separato
gli uni dagli altri. Qui sta il motivo per cui noi, lungi
dal rimaner ficcati in una infondata pluralità, riu
sciamo alla vera unità quando prendiam la causa mate
vialis e la causa efficiens. Se noi usciamo da quello
che sopra abbiamo dato come l'essenza di tutta la nostra
esistenza, dai fatti (piglio qui la parola nell'ampissimo,
principialissimo senso), ecco che ci si presentan DI FATTO
due serie, due regioni di verità, quella delle cose mu -
tabili e quella delle immutabili; il regno delle verità
particolari e quello delle verità universali; il campo
dell'essere contingente e quello del necessario, o, con
altre parole le verità reali e le ideali (1).
L'una di queste serie qui dimotata coi termini: mutabile,
particolare, contingente, reale, presenta il regno dei fatti
sensibili, cioè dei fatti e delle esperienze nello stretto
senso della parola; – l'altra seria, caratterizzata come:

(1) Rispetto all'uso delle parole ideale e reale si badi ben bene,
poichè anche l'ideale ha sua realtà (v. Ideol.).
376

invariabile, universale, necessaria, ideale, suddividesi in


due parti: il regno dei pensieri, delle idee e quello del
l'essere assoluto, cioè Dio. Quest'ultima distinzione consegue
dalla distinzione tra il principio del conoscere e quello
dell'essere. Il non far ambedue le distinzioni guida al
l'assolutezza, cioè ALLA DEIFICAZIONE DELL'IDEA (1). La so
fisticheria qui, come generalmente nelle principali distin
zioni compenetrantisi l'una nell'altra, sta in ciò, che
una stessa cosa movesi in due regioni (2). Que

(1) In due opere recentemente apparse: «Logica di Greith e


Ulber p. 45, e Metafisica di Uschold, p. 1 » vengono incol
pati Aristotele e gli scolastici in generale di non aver distinto
il principio reale e l'ideale (secondo Uschold, il prin
cipio (principium cognoscendi, e la causa principium essendi
(secondo Greith e Ulber). Questa è cosa affatto intolleranda !
Dunque s. Tommaso non ha inteso Aristotele ! dunque quello che
appunto caratterizza Aristotele a differenza di Platone, Aristo
tele stesso non lo ha saputo ! dunque non fu s. Tommaso che
seppe correggere Aristotele, ma questo merito era riservato a quel
tempo che poco o nulla sa di scolastica! (Che fosse stata la que
stione sull'eternità del mondo in Aristotele quella che diede occa
sione a tal imputazione? Su questo punto si vegga s. Tommaso
Opusc. 27 de aeternit. mundi, – e Sum. theol. p. 1, q. 46, a 1, e la
Sum. c. gent. ai passi concernenti.)
(2) Così per esempio quando si parla dell'ordo intellectualis e
dell'ordo moralis – e dell'ordo executionis ed intentionis – e dell'ordo
logicus e realis. Una stessa cosa trovasi in un altro genus di essere,
e quindi nasce la difficoltà della comprensione, ed essa è appunto
perciò usufruttata dai dialettici (sofisti) per confonder tutto. In fatti
l'errore ha sempre per fondo la verità. Il più grande errore in filo
sofia, l'apoteosi hegeliana dell'idea, ha per base la verità che s.
Tommaso espone Sum, theol. p. 1, q. 18, a. 4: « omnia in Deo vita
Sunl. » I concetti, le idee in ultima istanza son certamente Dio
stesso, a quod factum est, in ipso vita erat. Evang. Ioh. I, 4 – E
però posso facilmente venir franteso mentre io faccio trapassare il
377

sta in fine è appunto nient'altro che la realtà ogget


tiva che ritrovasi nel nostro intelletto; ma altro è la
realtà oggettiva – ed altro la realtà oggettiva nel
mostro intelletto (v. Thom. Sum. theol., p. 1, q. 85
a 1). -

Secondo la proposizion metafisica: omnia quae sunt


per alia reducuntur ad ea quae sunt per se (Thom.,
passim), finaliter l'una delle due serie accennate di
verità riducesi all'altra, cioè i fatti contingenti alle me
cessarie (eterne, invariabili) verità, che in ultima istanza
hanno per presupposizione l'una, eterna, assoluta, vera
realtà, Dio stesso; ma si badi che allora noi parliamo del
l'essere non in senso UNIvoCo, ma ANALOGO (v. Metaf),
e oltracciò distinguiamo ancora tra l'unitas causae rerum
efficientis... Quanto più le causae rerum formales (ideae in
mente divina ea istentes) son uno con Dio come causa ef
ficiens, tanto più le stesse debbon essere rigorosamente
distinte (v. Sum. theol. a Dei ideis » p. 1, q. 15). Ma
tutto sempre mai riducesi all' unità; poichè anche la plu
ralità delle idee in Dio si riduce all'unità (ib., a. 2). V.
Metaf. Onde tutto riducesi all'unità anche rispetto alla
causa rerum finalis così rispetto al finis rerum intrinse
cus (ordo) come al finis rerum ectrinsecus (Deus).
Lo scoglio a cui rompono i filosofi sta nel ridurre le
verità coNTINGENTI, i FATTI all'unità, cioè a dire alla
necessità. Con questa riduzione va per loro perduta la
contingenza delle cose. Su di che più ampiamente a suo
luogo nella Metafisica. Qui basti dall'un canto l'aver di
mostrato che l'intelletto cerca dappertutto l'unità –
dall'altro l'aver con ciò posto il fondamento di qual
concetto: « i fatti º per due regioni di cose. Il concetto generale
ricorre sub duplici respectu.
378 -

siasi investigazione che ci dimostra IL NOSTRO ESSERE


NELLA SUA PRINCIPIALISSIMA ESSENZA COME UN FATTO.

Qui non domandasi che cosa debba essere, ma che cosa è.


Il filosofo si dà sì poco la vita intellettuale di quello si dia
la vita fisica. Non si cerca che cosa io voglio essere, ma
che cosa sono. Noi stessi siamo un fatto come tutto quello
che sta intorno di noi. Quindi dobbiam star sulle guardie
di non incominciare principialmente con una menzogna.
Il nostro essere – un fatto – presenta di fatto una MOL
TIPLICITA'. Quale? quella che ci offre l'esperienza di fatto.
Ma ella ci presenta una dualità nel conoscere, per
chè son due genericamente diversi gli oggetti del cono
scere: le verità reali e le verità ideali, conseguente
mente la COGNIZIONE SENSITIVA e L'INTELLETTIVA. La dis
tinzione d'ambo le cognizioni ci sta innanzi in via di fatto.
Questa basta per disporre il cammino all'ulteriore mo
vimento dell'intelligenza, sul quale a buon diritto ha da
trovar sè stessa – e riuscirà certo a trovarsi, se dalle
prime sfuggendo la menzogna non pugna contro i facta,
quindi contro sè stessa, e non si precipita con Hegel
nel nulla. – Se altri volesse ciò chiamar dogmatismo
nel cattivo senso della parola, non proverebbe altro se
non che egli non ha in intimis visceribus alcun senso
per la verità, a sicut equus et mulus, quibus non est
intellectus. » Il filosofo della verità non ha nulla che
far coi sofisti. Mentre questi non combatte mai contro i
principii dai quali piglia le mosse, ma li assume dovunque
come testimonii della verità per guarentirla; il sofista
invece impiega la sua capziosa dialettica contro i prin
cipii ch'egli ha nolens volens ammesso, per dar testi
monianza dell'intimo suo essere, che è la falsità, la men
zogna. Con ciò ho caratterizzato le moderne scuole fi
379

losofiche che vollero edificar sulle rovine dell'antica scuola,


della scolastica e dei Padri. Reputo onore della nazione
tedesca di porre un fine alla sofistica disseminata prin
cipialmente da Kant, Fichte, Hegel, e da loro divulgata;
di completamente proscriverla per tornare in onore la
filosofia. Ed egli è perciò che missun linguaggio parmi
troppo severo, per quanto possa urtar la delicatezza dei
gusti raffinati; nissun linguaggio, dico io, tengo per troppo
acerbo onde por fine allo scandalo, che or più che da
trecento anni è professato colla filosofia per accecare
il buon senso dell' umanità. E però grido una volta ed
un'altra ancora, come già scrissi nella palestra: VERITA'
– VERITA' – BANDO ALLA SOFISTICA!
Quindi anzi tutto PRINCIPIALMENTE, cioè qui, non af
fanniamei dietro un'IMAGINARIA falsa unità. Anche noi vo
gliam l'UNITA' nella scienza come nelle opere, questo cer
tamente; così come vogliamo appunto una scienza FON
DATA. UNITA' E FONDAMENTO SONO LA STESSA COSA. L'u-
mità e l'unione sono appunto l'essenza di qualsiasi scienza.
Solo si cerca se rettamente noi UNIAMO E UNIFICHIAMO.
La risposta o il fondamento per la risposta noi la cer
chiamo non nelle inaccessibili, fantastiche regioni aeree,
ma sulla sicura regione terrena. « E CON FERME
GINOCCIHA STA L' UOM SULLA BEN FONDATA DUREVOLE
TERRA (Göthe)! » a Fundasti terram super stabilitatem
suam: non inclinabitur in saeculum saeculi (Ps. 103). »
380

$ 19.

Continuazione

Esposizione più speciale dell'unità e pluralità


della scienza.

Ricapitolando brevemente quanto abbiam detto nel S


precedente, il risultato è il seguente: IN VIA DI FATTO
LA SCIENZA CI DA' UNA PLURALITA'; da questa pluralità
DATACI IN VIA DI FATTO NOI DOBBIAMO USCIRE PER RIN
TRACCIARE NEL MODO CORRISPONDENTE L'UNITA' DELLA
SCIENZA – QUINDI NON ABBIAM VICEVERSA A MUOVERE
DA UN'IMAGINARIA UNITA' PER COSTRUIRE a priori (Fos
s'ANCO IMAGINARIA) LA PLURALITA'. In questo modo è
assicurato alla scienza un fondamento incrollabile.
A fin di raggiungere l'una e multipla composizione
della scienza, è duopo distinguere rettamente da ogni
lato quanto ci sta innanzi di fatto. La retta distinzione
mena da per sè stessa all'unità, senza la quale nissuna
pluralità è possibile, semprechè possa trovarsi questa
unità.
Sapere è conoscere per cause, un conoscer fondato
a scire est cognoscere per causas n s. a cognitio evidens
et certa per causas (Thom.). » Se questo sapere abbraccia
solo una singola proposizione, ovvero comprende un'in
tera serie di proposizioni concatenate, la cosa riman sem
pre la stessa; poichè l'ultima è puramente accidentale
rispetto a quella ch'essenzialmente appartiene alla scienza.
Se io so anche una singola proposizione, e la so nel senso
stretto della parola, io ho una scienza; sicchè lo scetti
381

cismo, quando sostiene non esser possibile alcuna scienza,


avrebbe provato già con ciò contro sè stesso la possibi
lità e la realtà della scienza, poichè egli saprebbe pur
qualcosa – avrebbe una scienza: e così proseguendo le
applicazioni di quest'unica proposizione potrebbero scri
versi altrettanti volumi in folio quanti son quelli degli
avversari; quindi nel seguito, facendo uso ad ogni passo
del ragionamento del suo saper principiale, verrebbe a con
tradire a sè stesso. Brevemente, egli è un fatto che noi
sappiam qualche cosa, che sappiam parecchie cose e le
sappiamo in diverse maniere. Qui ci si para tosto immanzi
una distinzione evidente. O trattasi di quello che noi
sappiamo – o del modo con cui lo sappiamo: entrambe
queste cose come fatti dati positivamente. L'ultima la
posso dimotare come il sapere movendo dal punto sogget
tivo, la prima come il sapere dal punto oggettivo. Osser
viam qui tosto che imprendere a dividere certi diversi
punti di vista – è già un dividere rispetto a questi stessi
punti di vista. Dividere, distinguere è, cioè, come abbiam
detto già prima, un modus cognoscendi.

1. Il sapere considerato da parte


del soggetto (1).

Il sapere considerato da parte del soggetto che pos


siede la scienza appare come virtù (virtus intellectualis).
La cognizione come virtù è quello stato della natura
intellettuale pel quale ella vien messa in infallibile rela

(1) Si vorrà ben intendere rettamente la miserabile parola « sog


gettivo. - -
382
zione colla verità (habitus attingens infallibiliter verum).
La parola stato è qui usata nel suo più ampio signifi
cato, e quindi la scienza suddividesi così: se l'habitus vien
preso nello stretto senso della parola, in scientia habitualis
e scientia actualis; l'ultima, quando io realmente consi
dero quel che so ; la prima quando il caso non è tale,
come per es. presso un dormiente.
Ma poichè il nostro intelletto è imperfetto, la ve
rità può illuminarci in diverso modo. Ora, poichè la vir
tus intellectualis nel soggetto dipende dalla diversità del
l'oggetto – essendochè a omnis facultas est propter obje
ctum », vale a dire ogni virtù è indirizzata secondo la
qualità dell'oggetto considerato non in se, ma quoad nos,
noi dobbiamo perciò caratterizzare la qualità delle virtù
intellettuali nel soggetto indipendentemente dall'oggetto.
Ma si badi che qui io non parlo ancora dell'oggetto come
in se, ma dell'oggetto quoad mos, i. e. quoad subjectum
intelligens. -

Quindi ne apparirà chiaro perchè s. Tommaso enumeri


CINQUE VIRTù INTELLETTUALI, cioè: intelligentia, sapien
tia, scientia, prudentia, ars.
1. Intelligentia – ragione. L'oggetto dell'intelletto è
LA VERITA'. Ora illuminando la verità di tal guisa l'in
telletto ch'ella non abbisogna d'altro aiuto (come causa)
per essere intuita, ma colla chiarezza sua propria com
pletamente vincendo l'intelletto, come avvien nei PRINCIPII,
chiamasi questo abito intellettuale intelligentia; – su di
che si osservi che quando si tratta di principii PRATICI,
vale a dire di principii riguardanti le azieni morali, que
sto stato vien chiamato synderesis. L'intelligentia (ra
gione) è quindi da dinotarsi come habitus primorum prin
cipiorum , o come habitus intellectualis quo principia
383

per se nota seu manifesta cognoscuntur. Allora ella è


duplice: intelligentia seu habitus primorum principiorum
speculativorum e intelligentia seu habitus primorum prin
cipiorum practicorum. Con questo stato incominciano adun
que tutte le scienze tanto pratiche come speculative. Cioè
nei principii è riposto il germe a tutti i successivi svi
luppi della scienza per modo che tutta la scienza non
è altro che deduzione, applicazione dei principii o ridu
zione ai principii. - -

2. Sapientia – sapienza. Se le verità da dedursi pro


cedono dai primissimi supremi principii per modo che
una cosa ci sia nota per l'ultima sua cagione, tal co
gnizione chiamasi sapientia. Poichè questa è appunto
la caratteristica di un savio, ch'egli non s'appaga
delle prossime o più o meno lontane cagioni delle cose,
ma si spinge fino all'ultima e suprema cagione delle
medesime. -

3. Scientia – sapere. Se per lo contrario colui che sa


si accontenta di ragioni parziali, di ragioni più o meno
ampiamente abbraccianti cose ch' egli sa, una tal co
gnizione ci presenta semplicemente il sapere, la scien
tia. E però la distinzione deve riguardarsi come real
mente dividente, perchè le cause parziali son CAUSE REAL
MENTE, e quindi la cognizione delle cause particolari
è anch'essa una reale, vera cognizione. Come adunque
è certa una reale distinzione tra le cause particolari e
le universali, così dev'essere anche ritenuta ferma la
division del sapere in sapientia e scientia.
4. Prudentia – prudenza. Un'altra verità è quella che
ha per oggetto le azioni (agibilia), in quanto ha da giu
dicare che serva o non serva, sia utile o dannoso, ri
spetto al retto operare. Sotto questo aspetto la cognizione
diventa PRUDENZA (v. Morale, S 5).
384

5. Ars – arte. Da ultimo vi son le cose da eseguire


(factibilia), nelle quali noi giudichiamo con sicurezza e
senza inganno giusta leggi certe, come sia da disporre
la concernente ESTRINSECA MATERIA CHE CI STA INNANZI
per raggiungere uno scopo, – l'arte in ogni campo. La
distinzione tra agibilia e factibilia apparirà chiara. Le
prime son le azioni della volontà stessa, come a mare,
odiare; le altre riguardano l'abile composizione della ma
terie esterne, che noi con una parola possiam chiamare
« ARTE MECANICA. m Che poi noi la troviamo spesso se
parata da quello che chiamiam scienza, ma che tuttavia
dove la c'è attesti un vero sapere, è cosa chiara. La
scienza dell'arte non è l'arte. Sorpasso come cose di
nessun conto le obbiezioni qui possibili – ed osservo solo
ancora che le addotte attività sub 2 – 5, appartengono
all'INTELLIGENZA, mentre quelle dette sub 1 son proprie
dell'intellectus, della RAGIONE. (Intelligere – intus legere
= potenza della ragione. Ratiocinari – ratio = ragione
è il conoscere discorsivo, saper per cause, COMPREN
DERE, INTELLIGENZA.

2. Il sapere considerato da parte


dell'oggetto.

Come abbiam già detto, ordINARE, SOPRAORDINARE, CO


oRDINARE e su BoRDINARE non voglion dir altro che ricon
durre all'UNITA'. Ma sempre là dove la pluralità delle
cose è tale che possono essere considerate sotto diversi
e quindi molteplici aspetti per le cose da ordinare, l'unità
diverrà appunto una pluralità, anzi secondo i diversi
punti di vista può emergere un'altra unità e pluralità.
E però si potrebbe domandare ancora se i diversi punti
385

di vista di quali vien compresa la pluralità e l'unità sot


tostanno di nuovo l'uno all'altro in una relazione scien
tifica. Brevemente: anche per rispetto ai punti di vista
da prendersi per l'organica sua classificazione la scienza
non può rinunciare alla propria essenza, al saper fon
dato, senza rinnegare sè stessa.
In via di fatto ci si presenta nelle cose esistenti una
pluralità. Quindi si domanda: da dove dobbiam moi pi
gliar il punto di vista pel ritrovamento dell'unità? È
possibile soltanto un punto solo, o parecchi? Quali? e
in quali rapporti stanno gli umi cogli altri?
Osservisi dapprima che si tratta propriamente del
punto generale di vista, poichè noi vogliam progredire
alle cause che stanno più alto, conseguentemente af
fatto col generalissimo di tutti i punti di vista, es
sendochè abbiam a fare colla comprensione dell'altissima
suprema cagione, come l'elemento proprio della filosofia.
Quindi, considerando la filosofia tutto nella sua ragione,
nella sua CAGIONE, PERCHÈ OGNI PLURALITA' DI EFFETTI
DEVE ESSER UNA NELLA SUA CAUSA, dobbiamo vedere
come da parte della causa avvenga la classificazione
delle scienze. Or di cause ve m'hanno di parecchie sorta,
cioè: causa finalis, causa efficiens, causa materialis e
causa formalis. Con ciò sarebbero dati i diversi altis
simi perchè generalissimi punti dai quali sono da deno
minarsi le diverse scienze. Pigliamo questi singoli punti.
- a

1. Partendo dalla causa finalis.


s

Le scienze si dividono in due serie, poichè lo scopo


delle scienze è doppio: a) uno speculativo, – b) uno
pratico. Le scienze specuLATIVE son quelle lo scopo delle
25
386

quali è il sapere, conoscere, la considerazione della stessa


verità nota. Le scienze PRATICHE son quelle lo scopo
delle quali tende direttamente a formar le azioni.

2. Dalla causa efficiens.

La scienza od è una scientia acquisita o una scientia in


fusa: la prima si ha quando viene raggiunta per vie na
turali, posto anche per via di aiuto sopranaturale;
l'altra è quella che vien infusa per mezzo di forza mi
racolosa al disopra delle leggi naturali dello imparare.

3. Dalla causa materialis.

La causa materialis delle scienze può esser presa in


più ampio e in più stretto senso.
a) Nel senso più ampio. In questo senso s'in
tende per materia della scienza l'intero oggetto stesso
secondo la materia e la forma. Allora quindi le scienze
sarebbero 1) naturali (filosofia), sopranaturali (ri
velazione – teologia). L'ultima si suddistingue poi in
scientia beatorum e scientia viatorum. – La prima, la
philosophia naturalis, si divide in 1) scientia realis, 2)
scientia rationalis. Vuolsi come scientiae rationales
oltre la logica, dinotar anche la retorica e la gram
matica; non si dimentichi che la retorica e la gramma
tica a cagione dello specifico loro fondamento apparten
gono alle artes. La scientia realis poi si distingue in
tre campi: fisica, matematica, morale. La fisica contiene
in sè la medicina; – la matematica si divide secondo
la progressiva numerica grandezza in geometria (nel
senso più ampio, quindi abbracciante ella stessa l'astro
387
nomia, la cosmografia, la meccanica, l' ottica) ed arit
metica; – la morale comprende in sè la giurisprudenza,
l'economia e la politica. -

b) Causa materialis nel senso più stretto.


Se l'oggetto delle scienze vien considerato nello stretto
senso della materia, in questo caso noi ci teniam fuori
della DIVERSITA' GENERICA delle scienze, mentre al con
trario partendo dalla FORMA, come siam tosto per dire,
abbiam raggiunta l'UNITA' SPECIFICA. Noi vedremo nella
Logica come generalmente il genus debba prendersi
dalla materia e la species dalla forma (a genus su
mitur a materia, species a forma – Thom., passim). »
Ora essendo noi per mostrare nella Metafisica che l'og
getto proprio o diretto del nostro intelletto non è un
ens qualecumque, ma l'ens sumtum a materia corporali (1),
la diversa astrazione dall' esistenza nelle materie cor
poree presenta l'oggetto genericamente diverso della
scienza. La materia cioè può esser considerata sotto triplice
diverso aspetto:
1) in sua singularitate, – sub conditionibus indi
viduantibus (a hic et nunc n) = materia singularis.
2) abstracta a singularitate, sed tamen subjecta qua
litatibus sensibilibus = materia sensibilis.
3) praecise secundum se, ut est radio quantitatis
= materia intelligibilis.
Ad 1. Astraendo dalla materia singularis, cioè se
si prendono le cose materiali non nella loro singola
(1) V. Thom, Sum. theol. p. 1, q. 84, a 7: . Intellectus autem hu
mani, qui est conjunctus corpori, proprium objectum est quidditas
sive natura in materia corporali ea istens; et per hujusmodi
naturas visibilium rerum etiam in invisibilium rerum aliqualem co
gnitionem ascendit. n
388

rità, ma nell'essenza universale, si ha il primo genus


delle scienze. La fisica (la medicina) considera le cose
in questo genus. Egli è questo il primo o l'ultimo genus,
perchè si deve in generale astrarre dalla materia sin
gularis per aver un oggetto scientifico (de singularibus
materialibus non datur scientia). Solo la cognizion sen
sitiva va direttamente alle cose singolari. Nissun fisico
p. e. considera questa pianta, come questa pianta par
ticolare, in quanto ella accidentalmente è così e non di
versamente; mentre un altro esemplare della stessa è di
nuovo così o diverso: ma egli considera il comune, quindi
il genérale.
Ad 2. Ma se si astrae non solo dalla materia sin
gularis, ma anche dalla materia sensibilis, cioè a dire
se dalle cose sensibili si astrae così ch'elle non vadano
più per nulla soggette ad alcuna sensibile variazione,
come p. e. il geometra considera il circolo e le linee
senza badar che elleno sieno fatte in legno, ferro o sasso,
calde o fredde e va dicendo, questo è il secondo ge
nus di materia: intorno ad essa volgesi la matematica.
Ad 3. Finalmente, se si astrae da ogni e qualsiasi
materia, anche dalla materia intelligibilis, sicchè si con
siderino nella materia quelle cose che ponno essere af
fatto al disopra della materia ed anco immateriali af,
fatto, appartenenti a cose spirituali, allora si ha il terzo
ed ultimo genus delle materie scientifiche. In questo
modo considera la metafisica le cose; così quando parla
della verità, della bontà, che s'avvengono anche ad altre
come cose materiali.
Ora noi abbiam a vedere come intrinsecamente questa
generica diversità delle scienze raggiunga l'unità speci
fica e considerar quindi le scienze:
389

4. Da parte della causa formalis.

Movendo da questo punto di vista, noi abbiamo che fare


coll' objectum formale della scienza. L'objectum formale
(– subjectum alicujus scientiae specificae) è quel pro
prio punto di vista sotto il quale una scienza od
una facoltà comprende l' oggetto (objectum materiale).
L'unità specifica di una scienza deve esser presa dall'u-
nità de' suoi principii, in quanto gli stessi, se me
ha parecchi, sono così scambievolmente subordinati che
l'uno procede dall'altro, entrambi da un terzo, tutti trovan
nell' ultimo la completa loro resoluzione. Questo prin
cipium omnium principiorum o primum principium è
appunto nient'altro che la definitio objecti, dalla quale,
come dal tronco tutti i rami, proviene la scienza. Ma la
definitio objecti è appunto la definitio formalis, cioè quella
che fissa l'oggetto formale. Così p. e. l'occhio comprende
tutte le cose soltanto sub ratione coloris, l'orecchio sola
mente sub ratione soni. Al modo istesso la morale abbrac
cia le azioni umane solo sub ratione finis, la fisica solo
sub ratione motus, – la metafisica solo sub ratione
entis. Principia sunt lumen et ratio formalis sub qua
scientiae attingunt suas conclusiones, dicono gli scola
stici (v. Log., $ 1 sopra « Oggetto di una scienza »).
Quindi, finattantochè rimane invariata la ratio formalis
sub qua, noi restiam sempre entro le stesse species scien
tifiche. Ma quivi è da osservare che queste unità persi
stono solamente finchè l'astrazione tiensi nel medesimo
genus. Nel caso contrario, cioè quando è cambiato il
genus, mutasi, è chiaro da sè, anche la species; e quindi
si costituisce una specifica nuova scienza. Se non fosse
390

così, il tutto si ridurrebbe ad una scienza, la metafisica;


poichè i principii di tutte le scienze debbon esser ridotti
ai principii della metafisica. Quindi, se col genus non si cam
biasse la species, non vi sarebbe che una species di scienza,
la metafisica. Or sebbene sieno i principii che derivano
dalla metafisica quelli che vengono applicati alle cose
fisiche, pure ne avviene con questa applicazione all'ens
mobile una specifica scienza diversa, perchè i principii
ricorrono non univoce, ma soltanto secundum quamdam
similitudinem seu proportionem, i. e. analogice. Così p.
e quello che nella metafisica è potentia ed actus, nella
Fisica è materia e forma, di modo che nelle cose fisiche
ha luogo una doppia composizione: 1. la metafisica ea
potentia et actu – e 2. la fisica propriamente ea ma
teria et forma.
Con ciò sarebbero dati i generalissimi punti di vista
per l'organica classificazione delle scienze. Si parrà in
conclusione ciò che volevano dire gli scolastici con un'altra
partizione, la partizione cioè in scientia subalternata
e scientia subalternans, vale a dire scienza subordinata
ad un altra, – e scienza che subordina le altre a sè.
Sebbene nissuna scienza dimostri i suoi principii (ulti
matim: definitio objecti), ma li supponga come moti,
tuttavia una scienza superiore può dimostrar questo prin
cipio delle scienze subordinate. Or quella scienza che
prova alle altre scienze i loro principii è la scientia
subalternans, mentre le altre scienze a cui quella prova
i principii sono rispetto ad essa scientiae subalternatae.
Così tutte le scienze sono subalternatae alla metafisica
come alla philosophia prima in quanto i principii di
tutte le altre presuppongono della metafisica (1). Sarebbe

(1) Si badi che io dico: in quanto i principii di tutte le altre


391
anche da osservare che la subordinazione di una scienza
ad un'altra può avvenire in doppia maniera: Thom. Op.
70, quaest. 5: « Ad quintum dicendum quod aliqua
scientia continetur sub alia dupliciter: uno modo ut
pars ipsius, quia scil. subjectum eſus est aliqua pars
subjecti illius, sicut planta est quaedam pars corporis
naturalis. Unde et scientia de plantis continetur sub
naturuli scientia ut pars. Alio modo continetur una
scientia sub alia ut ei subalternata, quando scil. in supe
riori scientia assignatur propter quid (l' oggetto for
male) eorum de quibus scitur in scientia inferiori so
lum , quia sic musica continetur sub arithmetica. Medi
cina igitur non ponitur sub physica ut pars. Subjectum
enim medicinae non est pars subjecti scientiae naturalis
(scienza della natura) secundum illam rationem qua est
subjectum medicinae. Quamvis nempe corpus sanabile sit
corpus naturale, non tamen est subjectum medicinae prout
est sanabile a natura, sed prout est sanabile per
artem, etc. n -

Secondo i presentati diversi punti di vista, il materiale


per la filosofia è da scegliersi per modo che tutto il campo
delle cose esistenti nel ragionare torni al suo primo Fattore,
Tralasciando di dire della matematica in tutta l'ampiezza
delle fatte separazioni che valgon per essa, e pigliando
le altre nuove emergenti discipline filosofiche come pie
mamente subordinate, noi ci atteniamo qui all'ordinaria
distinzione degli antichi in logica, fisica, morale e meta
fisica. L'oggetto materiale che presenta la filosofia è cioè

presuppongono i principii della metafisica. Lo dico a precauzione


di tutti coloro i quali colle scuole moderne hanno falsamente fis
sato l'oggetto della metafisica. Su di che più tardi.
:392
od una cosa data a noi, od una da noi fatta. La data
è o 1) FISICA, o 2) METAFISICA. La fatta da noi può
essere 1) l'oggetto della volontà, cioè MORALE, o 2)
dell'intelletto, cioè LOGICO.
Lo stesso risultato noi otteniamo se pigliamo il con
cetto della scienza come sapienza (costa – scienza del
l' ultima causa). « Sapientis est ordinare, m dice san
Tommaso (in Prooem. ad Ethic.), e certo ordinare, or
dinem facere secundum scientiam, i. e. secundum causas.
E però noi possiam stabilire un quadruplo ordine nel
campo delle cose:
1. L' ordine, quale noi lo troviam nella creazione
fatta da Dio; e questo è 1 il fisico, 2 il metafisico:
fisica – metafisica. -

2. L'ordine, qual noi lo facciam solamente nella no


stra intelligenza: logica.
3. L'ordine che noi facciamo colla mostra volontà
nelle nostre azioni: morale.
4. L'ordine che noi produciamo coll'arte (meccanico).
Quest'ultimo ordine non presenta missuna nuova specie
di sapienza, ma appartiene alle arti meccaniche, che son
dirette dalle scienze matematiche. Sulla filosofia dell'arte,
come su quella della storia e d'altre cose allora si potrà
rettamente portar giudizio quando si saranno prima
mente percorse rettamente le vie degli altri campi della
filosofia. Allora troverassi che cosa abbiasi a dire della
filosofia dell'arte, della storia, del diritto, degli stati,
delle fortificazioni, dell'igiene, e va dicendo.
393

S 20.

Limiti della scienza.

In quest'ultimo S della teorica della cognizione, rian


modandolo al primo, sia detto ancor una volta in brevi
proporzioni quanto deve attestare il LIEVITO per la rigene
razione della filosofia. Il vero filosofo schiva gli estremi nei
quali l'uno dei sofisti esclude l'altro. Questi estremi sono:
1) omnia scire 2) e nihil scire. Nè l'onniscienza dei panteisti
mè l'ignoranza degli scettici è la sorte dell'imperfetto intel
letto. a Omnia scire solius Dei est; – nihil scire bruti
animalis, dice acconciamente Lattanzio. – Dal fatto che
il nostro CONOSCERE è ad un tempo uno sforzo di
conoscere ne nasce che la nostra cognizione è incom
pleta, parziale. Ma dall'essere il nostro conoscere in
completo segue tosto che il NostRo EsseRE è INCOMPLETo,
conseguentemente che il nostro conoscere PRINCIPIALE è
incompleto; conseguentemente ch'egli rimarrà pur sem
pre relativo e non potrà mai divenir assoluto (per
servirmi della moderna terminologia). Per conseguenza
l'unità finaliter del nostro conoscere è un OGGETTO
FUORI DI NOI, separato da noi, sussistente per sè ed in
sè (v. Metaf), in una parola: Dio – actus purissimus,
– la semplicissima, purissima realtà e verità, nella quale
solamente trovasi l'assoluta unità della cognizione, perchè
in lei il principio della cognizione e dell'essere è tutt'uno,
– Dio stesso, che conosce sè stesso ed ogni altra cosa
IN UN'UNICA IDEA (in sua essentia). Il nostro conoscere
invece è, come il nostro essere, un conoscere per par
ticipationem. a Cognoscimus ea parte (Paul.). m IL NOSTRO
394

CONOSCERE È IN PARTE! Comparato coll'essere purissimo


e col perfetto conoscere, il nostro essere e il nostro sa
pere sarebbe più da chiamarsi un non-essere un non
sapere che essere e sapere. Questa è l'intima nostra
essenza! Su questo si fonda tutto quel che segue come
sul FONDAMENTO DELL'UMILTA'! a Magnam fabricam vis
construere celsitudinis ? cogita prius de fundamento hu
militatis (August.) » – « L'umiltà è la verità », soleva
dire la dotta s. Teresa. Se la verità sarà così principial
mente compresa, ed ella, procedendo come il sole che sorge,
sperderà colla luce ogni tenebra, e noi la riconosceremo lieti:
« In lumine tuo videbimus lumen. » Entrambe le facoltà
allora si comprendono in un radicale intrecciamento, l'in
telletto del pari che la volontà; nel loro reciproco legame
entrambe stanno inconcusse contro le fallaci apparenze delle
unilateralità dell'errore. Poichè non più questo o quello,
ma è LA VERITA' quella che entrambe le fa libere colla
libertà dei figli di Dio – l'eterna verità! a Scientia sine
pietate inflat; pietas sine scientia aberrat; scientia cum
pietate aedificatº n Tutto il mondo colla sua ragion natu
rale rende testimonianza dell'adagio dell' eterna verità:
a qui se humiliat eacaltabitur! – Humilibus Deus dat
gratiam ! » – Quanto più profonde getta le radici l'u-
miltà, tanto più alto solleveralla la sapienza. La seconda
è condizionata alla prima, appunto così come l'albero
tanto più levasi in alto quanto più si sprofonda colle radici.
Questa umiltà, la difficilissima delle virtù, è ad un tempo
la più necessaria. Vuolsi coraggio da leone per eser
citarla! Vogliam noi esser grandi? mostriamolo nell'umiltà!
Qui sta la grandezza delle creature. Anche la scienza
ha duopo di non conoscere altro fondamento che la ve
rità, cioè l'umiltà. L'umiltà verso Dio avrà per con
seguenza l'umiltà verso gli uomini illuminati da Dio!
395

In tale accordo noi possiam pieni di venerazione e


di fiducia accostarci all'Angelo delle scuole. Egli non
insegna altro! Egli se ne rimette ai Padri, nei quali
ha trovato la luce. I PADRI SON LA LUCE CHE CI ILLU
MINA, NON SIAM NOI LA LUCE CHE ILLUMINA I PADRI
(v. la seconda parte dell'Introd.)! Quest'era il motto favo
rito di s. Tommaso, sia esso anche il nostro. « Non est
expectandum quod sit aliquis status futurus in quo per
fectius gratia Spiritus Sancti habeatur quam hactenus
habita fuerit, et macime ab apostolis, qui primitias
Spiritus acceperunt, id est et tempore prius et caeteris
abundantius (Sum. theol., 1 2, quaest. 106, a. 4). »

FINE DEL VOLUME PRIMO.


-
EMENDAZIONI

pag. 19 linea 15 cognoscet leggi cognoscit


21 10 di s. Tommaso, il disce di S. Tommaso, o, se
polo, se piace dirlo, dei piace dirlo, dei disce
peripatetici poli dei peripatetici
18 alia alios
22 al questione la questione
10 Questo fatto è raccon Questo fatto fu sì im
tato anche dal Vaddin pugnato dal Vaddingo...
go... e inoltre trovasi in ma trovasi in termini
termini
- a-

le) 5 è egli vero egli è vero


78 18 tempo pel tempo
79 24 Adriani Adriana
101 5 quella quello
i07 24 quella quello
1 17 18 addebitatene datene merito
i 51 17 dell' dall'
165 10 e possano e quantunque possano
166 2 mediante sia mediante
l 73 12 sedicente pretesa
216 5 poniamo che poniamo
221 28 che la causa dalla causa
223 22 consenso aSS0IlSO

6 dissensioni discussioni
262
18 nella della
265 8 quella quello
267 17 questo quello
268 18 che può che non può
269 Si ometta il tratto dalla linea 5 alla 28.
270 24 adeguata adaequata
279 15 Si distingua dunque il Si distingua adunque il
punto di principio dal punto punto di partenza
di partenza dal punto di princi
pio (")

() Così secondo lettera del ch. Autore: In nostro idiomate ger


manico res est contraria, sed forte etiam in vestro idiomate res statim
conclarescit. »
pag.284 linea 12 e questa leggi e questo
285 25 compressione comprensione
288 5 al suo il suo
289 6 da - dal
295 penult. alium A aliorum
296 55 par ed ticularia particularia
54 il delectabile ed il deleclabile
509 11 nella della
522 4 all'infuori da parte
326 51 »
528 5 falcutas facultas
550 2 scale soglie
331 2 per supposta supposta per
547 2 mataralismi naturalismi
561 24 e a noi e relativamente a noi
565 1 ebbe non ebbe
368 7 vivimur vivimus
570 6 della dalla
15 Vi ci
571 18 come COIn

572 »
26 appunto è appunto
382 b 5 così: COSì,
id. -
4 parola, parola:

Altre piccole mende tipografiche sarà facile al lettore correggerle


da sè.
*******_* !_! * * →| e- → ••• • • • • • • • • ••• • •• • • • • • •••• • •
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