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Elogio di Chicco

- Maestro. Vi chiedo rispettosamente di prendere parola-.


- Ve lo concedo, Eccellenza – ma il Maestro Perboni esitò prima un
attimo. Non temeva la concessione di un privilegio verso un bimbo
tanto garbato, non sapeva però come rivolgersi ad ello.
Si alzò in piedi deciso, ma lentamente e con rispetto, facendo perno con
le mani sul banco.
- Debbo ancora ripetere il mio nome, poiché sarebbe sgarbato
permettermi di intervenire e senza invocare il nome di chi mi ricorda di
parlare mai senza giusta causa. Io sono 'aliksandar bin sinis , abn nuriu
aljundiu , abn maria alraayieat , bint 'iibrahim baghdad al'ab , daea
thamarat hubi alwifaq1. Ho ricevuto il dono speciale dal preposto per la
città di Torino del Ministero dell’Istruzione del Regno di Italia di
presenziare alla Vostra lezione, Maestro Perboni, ed ugualmente di
sedere accanto ai miei compagni, ché tutti ugualmente dobbiamo
pensare ad imparare e ad ascoltare. Ma non voglio proprio per questo,
Maestro, che Voi mi dobbiate un trattamento diverso dagli altri. Chiedo
quindi di essere chiamato usando una parola che è contenuta nel mio
nome e che so essere per gli altri bambini italiani un nomignolo comune,
un appellativo amorevole che le mamme e i babbi usano per i loro
figliuoli. Chiamatemi pure, semplicemente, Chicco. Come la bacca o il
granello dell’orzo, del granturco, del riso, del caffè, di melagrana, o
l’acino della pianta dell’uva, noi bambini siamo i frutti dei nostri babbi
e delle nostre mamme, i figli della nostra patria. Io però purtroppo ho
perduto il mio sultanato e vivo assieme alla mia famiglia in Torino
presso il sontuoso palazzo Scaglia di Verrua in via Stampatori al

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Alessandro figlio di Sienes, figlio di Norio il soldato, figlio di Maria la splendida, figlia di
Abramo di Baghdad il padre, detto frutto dell'amore per la concordia.

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numero civico quattro, ed ivi risiedo sin dalla mia nascita che seguì il
soggiorno in Italia della mia famiglia, ospite del corpo diplomatico
russo, sin dal 1 di novembre dell’anno 1861. La mia famiglia è stirpe ed
erede del sultanato Jalayridi, che cadde in sventura già molti secoli fá e
sin da allora i miei avi han perduto il loro regno e vivono erranti, ospiti
delle più illustri famiglie dei monarchi d’Europa, Persia ed Oriente. Si
dice anche addirittura io provenga dall’antichissima dinastia del
faraone Merenra II, ma questa è una cosa curiosa, troppo lontana ed
invero a me stesso fa sorridere un poco -.
Gli altri bambini rimasero nello stupore di sentir un loro compagno
parlare e dire tali cose. Qualcuno ebbe da sghignazzare sordamente, altri
restarono sgomenti nel sedere poco innanzi ad un principe. Nobis fece
uno smorfia, Garrone si diede contegno, restando quieto e in ascolto
come sempre, che mai si permetteva di interrompere qualcuno sino a
quando quello non avesse finito di parlare.
- Ebbene, nostro caro Chicco, che cosa hai da dirci? Sù, noi tutti
aspettiamo di sentirti dire qualche cosa – disse risoluto il Maestro
Perboni.
- Signor Maestro, compagni e amici miei. Io non dovrei intervenire per
parlare a nome d’uno o di tutti, ma siccome voi mi avete accolto come
un fratellino e sento di dover a voi il contributo della mia esteriorità,
ecco quindi che mi accingo a dire quanto debbo! La presenza qui oggi e
dei soli due dì precedenti mi è stata concessa dal mio precettore, il
professor Fabretti, che nelle ore che ha di pausa dall’Università viene a
farmi visita a casa mia per impartirmi le lezioni. Egli mi insegna tante
belle cose e preziose come la vita degli animali, la scienza, la Storia e
l’archeologia, le prime nozioni delle leggi, la pazienza che gli uomini
debbono rammentar loro. L’anno scorso il professor Fabretti al discorso
inaugurale dell’anno accademico presso l’Università disse: “per quali vie
e dopo quali erramenti coloro che diedersi alle scienze salirono in fama e si
resero benemeriti della civile convivenza. E... e...” il bimbetto perse il filo
delle cose imparate a memoria e molti si misero a ridere forte. Il Chicco,
però, riprese da sé: - “faticoso cammino percorsero gli studiosi delle scienze
sociali prima di trovare le leggi che governano la vita delle nazioni”. Ma il
Profeta annuncia: ““Io non posso, per parte mia, arrecare danno o
vantaggio, ma solo quel che Dio vuole”. Per ogni comunità c’è un termine, e
quando giunge il termine i membri di quella comunità non possono
anticiparlo e neppure ritardarlo di un’ora”. Così io credo che il compagno
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Franti non possa ciò che il Clemente non gli concede e noi tutti suoi
compagni dobbiamo pazientare -.
Franti impietrì. S’azzitì di colpo e rimastoci di stucco se ne restò a
guardare il giovin sultano, con curiosità e interesse che per la prima
volta provava sui banchi di scuola. Rosso in viso come un pomidoro e
con un groppo alla gola, con li occhioni di cucciolo ferito si mise a cercar
attorno gli sguardi de’ compagni suoi per tradir dal petto tremante una
lagrima del suo buon cuore.
-Franti, ti vogliam bene, non hai d’essere più cattivo! – tutti i ragazzi
scoppiarono in un tripudio di affetti, abbracci sinceri e allegria.
- Evviva Franti, evviva Chicco Sua Eccellenza il Sultano, evviva il
Maestro Perboni!- gridò di slancio Nelli. Pure Votini e Nobis batterono
forte le mani e gioirono sinceri.
Enrico vide Garrone lasciar di scatto il banco e correre da Franti per
stringerlo al petto e condivider di lì in avanti con lui la sua stessa
temperanza, perché capì quel giorno una cosa che sinora non avea
capito: che quel Franti non era malvagio per maggior rabbia di quanta
lui si serbasse dentro mostrandosi sempre più uomo di quanto ragazzo
fosse ancora. Il Maestro Perboni si compiacque molto per quanto
capitava nella classe e con un largo sorriso intervenne chiosando: - E
anche in questo caso Dio compie la giustizia, quando a ciascun essere dà ciò
che gli è dovuto secondo le esigenze della sua natura e della sua condizione.
Quando molti atti di specie differenti vengono ordinati a un unico fine, si
ha una diversità di specie negli atti esterni; ma unità di specie nell'atto
interiore-. E Derossi, il primo della classe, un istante prima che la
campana terminasse la lezione, squillò con giusta volizione: - Ad tertium
dicendum quod non quidquid habet actus, pertinet ad speciem eius. Unde
etsi in ratione suae speciei non contineatur quidquid pertinet ad
plenitudinem bonitatis ipsius, non propter hoc est ex specie sua malus, nec
etiam bonus, sicut homo secundum suam speciem neque virtuosus, neque
vitiosus est!2-.

FINE

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“3. Non tutto quello che si trova in un atto costituisce la sua specie. Perciò, sebbene una cosa
non possieda tutto quello che si richiede alla pienezza della sua bontà, non per questo è
specificamente cattiva, e neppure è buona: un uomo, p. es., specificamente non è né virtuoso,
né vizioso” - San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, come la precedente citazione
dell’intervento del Maestro Perboni.

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Ho fatto il liceo classico con un professore d’italiano che mi montò su
contro Umberto Eco. “A Eco interessa solo far vedere quanto è bravo”.
Poi ci si mise mio padre ad insegnarmi che tutti quelli usciti dal
DAMS fossero degli pseudo-intellettuali. Un tipo che conoscevo e con
cui ho rotto fece da ragazzo il DAMS a Bologna e una volta ad un
esame sbatté in faccia ad un professore il libretto per poi ritirarsi
dagli studi. A me Eco ricorda nella fisio-gnomica una faccia di cazzo
di Bologna che conosco. E quegli occhietti furbi che non raccontano
d’aver mai fatto a botte, una serenata da ubriachi alle due di notte
sotto la finestra dell’amata o d’aver mai gridato un porcodio!, beh,
non mi servono. Sono invece qui a domandarmi se anche io non abbia
scritto un...minimo per fargli vedere d’essere più bravo di lui e questo
non mi fa onore (c’ho messo un giorno per scrivere tre pagine), ma
neanche a lui se ha infamato De Amicis per mostrare il suo talento. Il
libro Cuore ha formato generazioni di brave persone, è stato un
sostegno per tanti ragazzi bullizzati (una volta si dicevano subire le
angherie dei prepotenti), o senza un padre od una madre che li
ascoltassero, che li amassero, o semplicemente che non sapessero
esprimersi perché avevano da lavorare e non avevano tempo di leggere
Eco; ragazzi come Franti. Forse Eco voleva dire questo, ma ha avuto il
coraggio di dirlo schiettamente o rompere il culo a quei genitori? No!
Non ha detto ai genitori e ai figli di difendersi con tutti i mezzi,
legittimi o non, che viene un tempo per tutti in cui la cultura è
un’arma. Ha scritto –pubblicando- al figlio Stefano nel 1964 per
dirgli che gli avrebbe comprato le armi giocattolo e che con quelle ci
avrebbe giocato assieme a lui, ma gli voleva anche insegnare a
disprezzare i mercanti di armi e la guerra. Il mio tributo alla pace
l’ho dato non avendo figli da educare in alcun modo. Poi neanche a me
i giocattoli Montessori piacciono gran che e debbo riconoscere ad
Umberto Eco che Elogio di Franti sia un colpo di genio. Ma dobbiamo
allora forse dire che Maria Montessori abbia sbagliato tutto, che la
sua pedagogia sia innocua come la morale di De Amicis fosse
bigotteria borghese? Maria Montessori fu figlia del suo tempo, come
De Amicis, come Eco... Io e la mia generazione abbiamo il nostro, quelli
dopo un non-tempo assoluto, pare. Pare essere un tempo né di elogi, né
di biasimi: i primi sono sfottò (innanzitutto a noi stessi), i secondi
non costruiscono nulla. Quindi d’accordo: né con De Amicis, né con
Umberto Eco. Che importa ormai di loro che han fatto la Storia ed il
loro tempo, quando la Storia -anche per via di loro- continua a “fare”
noi? Nemmeno loro (ci) son serviti, se non riusciamo a capire noi
stessi, perché di tutto questo si ignorerà per sempre il meccanismo...
(cit. Diario minimo).

Alessandro Vaccari

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