Sei sulla pagina 1di 14

Sanguineti incontra FRANCESCA DA RIMINI

La conversazione è accompagnata da un tu –tu del telefono che va e viene:


la linea è disturbata)

SANGUINETI: Pronto? Pronto? Non si sente un accidente.


Pronto?
SANGUINETI: Pronto, chi parla?
Ma chi cerca, lei, scusi?
SANGUINETI: Parlo con il secondo cerchio?
Pronto? Non capisco bene. Mi ripeta, per favore.
SANGUINETI: Dicevo, parlo con il secondo cerchio?
Sì, sì, il secondo. Questa linea è sempre cosi disturbata. Ci
deve essere un contatto. Credo.
SANGUINETI: Sento un tu – tu molto strano. Con le interurbane è sempre così.
Per me è che mi sorvegliano, l’apparecchio, invece.
SANGUINETI: Oh, anch’io sono sotto controllo. Ma non è niente.
Come ha detto?
SANGUINETI: Dico che non è niente: è che ci stiamo tutti, sotto controllo.
Anche i vivi?
SANGUINETI: Più i vivi che i morti, magari.
Oh, è incredibile. // Credevo fosse soltanto per i lussuriosi.
SANGUINETI: Se è per questo, ci sono tanti lussuriosi anche qui.
Davvero? E sono tanti, dice?
SANGUINETI: Be’, non c’è male. Tutta la differenza, sa, è che voi siete lì e che noi siamo qui.
(ammiccante) È un lussurioso anche lei, scusi, per esempio?
Eh?
SANGUINETI: È meglio che non dico niente, capisce, con questo tu-tu.
Eh sì, ha ragione. // Ma lei, scusi, chi è?
SANGUINETI: Senta, io telefono per conto della Rai.
Per conto di chi?
SANGUINETI: Della Rai.
Ah sì, bene, bene, dica pure.
SANGUINETI: Senta, io vorrei parlare con il signor Paolo Malatesta.
Oh, in questo momento è impegnato e non può venire. Se
vuole lasciarmi detto.
SANGUINETI: Veramente, volevo parlare personalmente con lui. Ma lei, scusi, chi è?
Son Francesca.
SANGUINETI: Francesca come?
Francesca da Polenta.
SANGUINETI: Che sarebbe Francesca da Rimini, no?
Sì, sposata a Rimini, ma nata a Polenta.
Si interrompe il suono dell’interferenza ed esplode il rombo della bufera infernale

SANGUINETI: Ah, è fantastico. Credevo fosse la centralinista, lì, del cerchio.


FACCIAMO A TURNO, QUI.
SANGUINETI: Come ? (Interferenza telefonica)
FACCIAMO A TURNO.
SANGUINETI: Non la sento più. C’è un rumore d’inferno.
E PER FORZA.
SANGUINETI: Eh, ma cos’è che fa tutto ‘sto bordello, lì?
EH, È LA BUFERA. È LA BUFERA INFERNALE.
SANGUINETI: Madonna, ma è tremenda, però. Sembra il mare grosso.
NO, MA È CHE MI SI È APERTA LA PORTA, QUI, DELLA
CABINA. È IL VENTO.
SANGUINETI: La chiuda, per l’amor del cielo.
SÌ, SÌ, CHIUDO SUBITO, UN MOMENTO.

Un portone si chiude. Cessa il rumore della bufera)

Pronto? Mi sente meglio, adesso?


SANGUINETI: Mmh.. Come prima.
Come, come prima?
SANGUINETI: No, voglio dire come prima: prima che si apriva la porta.
Ah, bene. Be’, senta, prima che ci salti la linea o che mi voli
via la cabina, che cosa devo dirgli, al Paolo?
SANGUINETI: Volevo fargli un paio di domande soltanto.
Però, se lei permette, io posso farle anche a lei, in fondo.
Dica, dica pure, mi dica.
SANGUINETI: Ma, tanto per comnciare, sa, se volesse parlarci
un po’ di lei, un po’ di voi due, non so, per i nostri ascoltatori.
Ma, caro signore, che cosa vuole che le dica, io di noi, di me?
È tutta una storia d’amore la mia, sa! Non c’è nient’altro che
l’amore, che uno così, un estraneo, mi scusi, sarà magari un
lussurioso, anche, ma non la può mica capire, per me, ehh!
Lui, sì, dico il Paolo, cosa vuole, era uno così gentile,
un’anima tanto sensibile, uno che si infiammava lì come
niente. Ha visto la mia personcina, e via, c’è rimasto come
folgorato, lui. Perché adesso, sì insomma, magari, uno non lo
direbbe mica, forse, che mi sono tanto sciupata, ingrassata,
ma ero una ragazzuola niente male, io, una volta. Ah, doveva
vedermi allora, certo.
Io sono di Ravenna, sa, dalle parti delle foci del Po, tanto per
dire, non so se le conosce quelle parti. E sa, lì, a Ravenna, mi
guardavano tutti.
Basta, che poi è finita come è finita. Uno scandalo. Li avrà
letti, no, i giornali? Tutte le fotografie in prima pagina, grandi
così, un orrore. Insomma, che mi ha fatto fuori mio marito,
me con il Paolo, in un colpo solo.
Ci sto male ancora adesso, se ci penso.
Ma sa, l’onore, diceva lui. Sì, l’onore, brutto zoppo come
stava.
E poi vede, mi sono ridotta tutta qui, adesso. Una carcerata.
Una murata viva, guardi. Cosa vuole che le dica? Eh?
L’amore, uno ti ama e tu lo ami: è giusto, no? E il Paolo era
niente male, sa, un tipo in gamba, un bell’uomo, che si
conservava bene, uno sportivo: eh sì, dico, un tipo atletico,
un fusto. Sono debolezze, sa, ma cosa vuole, io ci ho ancora
una mezza cotta, qui, per lui. Basta, basta, che ci hanno
liquidati tutti insieme. Sa, com’è, uniti in vita, uniti in morte.
Ma a mio marito, gli hanno dato l’ergastolo a quello, poi.
Sì, è ancora giù adesso, cerchio nono, in fondo: per
l’aggravante che eravamo parenti, con la premeditazione.
Perché non è mica andata che lui ci pesca lì e avanti: ehh, no!
No, no, caro mio, la premeditazione. Che poi, se ci pensa, era
un’aggravante anche per noi, però lì, la faccenda dei parenti,
cognato e cognata. Ma anche per lui, però, accidenti.
Insomma, è stata una grande passione, di quelle di una volta.
(Singhiozzando)
Io ci piango ancora adesso, guardi.. Pronto? Pronto? Non la
sento più per niente.
SANGUINETI: Eh, no, no, dica, che sono qui che l’ascolto,
stia tranquilla. Stavo soltanto pensandoci su, intanto. È che
mi sono commosso anch’io, sa. Ma senta, signora Francesca,
questo amore qui, sì, questa passione, ce lo dica un po’, ai
nostri ascoltatori, come è che è incominciata?
Oh, che mi tocca sempre raccontarla da capo, ogni volta.
Tutti quelli che mi telefonano, sono sempre qui con questa
storia: come è incominciata. Anche quelli che mi vengono a
trovare, sa, che sono pochi pochi, ormai, perché sì, insomma,
la gente mi dimentica, un po’ alla volta, vogliono sempre che
gli dico come è incominciata.
Ma cosa gliene frega, dico io, a quelli? E a me, sa, una cosa
così, che mi rimescola tutti quei ricordi, che sono cose che
uno se le vorrebbe seppellire, invece, mi fa stare male tanto,
glielo dico io. Perché uno si pensa a quando era giovane, lì a
Rimini, al mare, che si godeva la sua vita: che giorni erano
quelli, Dio bono! Io ci piango, se ci penso. Mi sente, lei, che
piango?
SANGUINETI: Sì, sì, avanti, che la sento, dica pure.
Be’, sa, dunque, io stavo lì in provincia, come le ho detto, a
vitellonare con gente bene: d’estate, ne veniva giù un
mucchio, ehh.. parenti e non parenti, che ce li mettevamo lì
nella villa. Una confusione, che si faceva gruppo, tra di noi,
tirando mattina tutte le sere.
Ma il brutto era d’inverno, ehh.. Niente: sa cosa vuol dire?
Niente, niente, niente, niente! E in provincia, lì, che cosa si
può fare? Teatro, poco: qualche compagnia di giro, tutti guitti
e soltanto ogni tanto. Il cinema, quando ero giovane io, non
c’era nemmeno. Insomma, si legge. I soliti romanzi francesi,
per forza, tradotti male: quelle edizioni di lusso, non so se ne
ha presente, dei libroni così, con tutte le figure.
Basta: io, insomma, i romanzi me li divoravo. Le storie
d’amore, naturalmente, eh! Bene, un giorno lì, sotto
Capodanno, con un freddo bestia, ero in salotto con il Paolo,
che mi stavo sfogliando il Lancillotto, che l’avrà letto anche
lei. L’ha letto?
SANGUINETI: Sì, sì, mi sembra.
Oh, oh! Guardi, guardi, un gran bel libro, mi creda! Se non
l’ha letto, lo legga. Una cosa favolosa. Comunque, non so se
si ricorda, quando c’è lì il Lancillotto con la Ginevra, che se la
bacia.. una scena da non credere, com’è raccontato bene. E
poi là, l’illustrazione: sa, quelle edizioni del Settecento,
francesi, un po’ spinte, ehh.. mmh.. una che legge, ecco, è
come trasportata, che non sa più in che mondo vive,
nemmeno. Ci si perde la testa, ecco.
E allora.. e allora, insomma, io sono lì che leggo, dunque, con
il Paolo, che legge anche lui.. e tràcata, che ci arriviamo lì alla
scena del bacio, proprio che lui bacia lei, o lei che bacia lui,
non so bene. E quello, sa, quel fusto lì, quello legge lì, eh eh
eh , e si scalda , poverino. Insomma, che un uomo è un
uomo, dico bene? Mi salta addosso, tutto con l’emozione, che
mi trema lì, tutto addosso, insomma, appunto.
(Interferenza telefonica)
Io, be’, faccio come niente, faccio quella che legge. Ma
insomma.. ma insomma..
SANGUINETI: Pronto? Pronto?
Scusi, scusi sa, è la commozione, è l’onda lì, del ricordo. Ma,
cosa vuole, una donna è una donna, no? Eh! Ci avevo già la
testa tutta in fiamme, io, che mi sembrava.. mi sembrava che
ero io, la Ginevra. E lui davvero, mi sembrava che era il
Lancillotto, lui.
(Sospira)
SANGUINETI: Pronto?
Sì, sì. Sì, non scappo, aspetti, aspetti. Dunque, che cosa
stavo dicendo? Ah sì, dunque. Be’, che cosa potevo fare? Mi
faceva degli occhi e ci aveva certi muscoli, lì, che mi
stringeva. Non ci avevo più il fiato, io, in gola. E lui lì allora,
eh, lei mi capisce, insomma, che io gli ho detto così:
“Galeotto”.
SANGUINETI: Come ha detto?
Eh, ho detto: “Galeotto”.
SANGUINETI: Ma io credevo, però..
Eh, lo so, c’è tutta una storia, sa, su questo Galeotto. Eh, se
ne raccontano tante. Ho letto anch’io, certi giornalisti.
SANGUINETI: Sì, perche dicevano, veramente..
Ma no! No, no, niente. E al Paolo, che gli ho detto: “Galeotto”,
io. Come glielo ho detto, anche dopo, poi, che era un bel
mascalzone, lui, che si profittava così, di una povera donna.
Perché a me, l’avrà capito, no?, sono i romanzi, alla fine, che
mi hanno rovinato. E lì, mio cognato, il Paolo, sa, era proprio
il tipo che ne profittava. Se l’aveva capito, lui, che quando
sono lì che leggo, io mi monto la mia testa. E così lui è andato
a colpo sicuro, capisce.
SANGUINETI: Senta, non mi potrebbe farmi parlare lì con lui,
con il Paolo, adesso?
Oh, per l’amor di Dio! Ma il Paolo, guardi, non parla con
nessuno, le dico. Nemmeno con me, mi parla più. Che cosa
crede che si fa, il Paolo? Piange, quello. Ma sono secoli, sa,
che piange. E sa perché piange? Piange perché dice che ci è
rimasto incastrato, lui, lì con me. Ma senta un po’ lei:
incastrato, lui? Non è lui che mi è saltato addosso, lì, in
salotto? Non è lui che si è abusato lì di me, della mia
debolezza di povera donna? Mi ha rovinato con mio marito,
mi ha fatto ammazzare e di che cosa si lamenta, quello,
ancora? Insomma, chi ci è rimasta lì fregata, guardi, alla fine,
sono proprio io. Che mi tocca di sentirlo piangere, adesso, a
me, quello, giorno e notte. È una lagna eterna, sa. E anche
adesso, sì, adesso che le parlo a lei, qui in cabina, sempre qui
con me, è qui che piange, sa, il Paolo.
SANGUINETI: Me lo potrebbe far sentire un attimo..
No, guardi, ora bisogna proprio che la lasci, scusi, sa. Oddio
mio, come si è fatto tardi, così a chiacchierare. Se le capita,
però, mi telefoni un’altra volta. Mi sento tanto sola, certi
momenti..
Lei è giovanotto?
SANGUINETI: No, signora. Sono sposato e ho famiglia.
Be’, non importa. Se le capita, mi telefoni, lo stesso. E sa
passa qui giù, un giorno o l’altro, mi porti qualche romanzo,
la prego. Qui, sa, da Parigi, arriva così poco. Sembra d’essere
in provincia, qui, un’altra volta.
Interferenza telefonica)
Addio, ehh, addio..
Landi incontra MATA HARI
Devo fare una premessa. Questa non è un'intervista vera e
propria. In realtà si tratta di tre brani registrati durante
alcuni miei incontri con Margaretha Zelle in arte Mata Hari.
Questi nastri non sono stati ritoccati, mantengono quindi
tutti i difetti originali: errori, ripetizioni, cancellature. Dopo la
tragica fine di Mata Hari io non ho avuto il coraggio di
rimaneggiare questo materiale anche perché ho pensato che
facendovi ascoltare le bobine originali avreste indubbiamente
avuto un ritratto più autentico di questo sorprendente e
contraddittorio personaggio. II primo nastro è stato registrato
a Roma nella hall dell'hotel Bernini Bristol di piazza
Barberini. Epoca? Be', tra il 1907 e il 1910.
[Inizio primo nastro].
Intervista Margherita Zelle. Prova voce: uno, due, tre.
Per favore signora, vogliamo fare una prova di voce?
MATA HARI: Vuole che canti? Guardi che sono stonatissima.
No, no. Bastano poche parole.
MATA HARI: Eh, sono Mata Hari. Nella mia lingua mata vuol
dire occhio e hari giorno, cioè «occhio del giorno». In
linguaggio figurato: il sole. È sufficiente per regolare il volume
del registratore?1
Certamente, grazie. Possiamo cominciare. Ah, debbo
avvertirla che vorrei un’ intervista sincera, per cui sarò
costretto a essere crudele.
MATA HARI: La crudeltà è la sola cosa che non mi spaventa.
Coraggio, chieda qualsiasi cosa, non intendo nasconderle
nulla.
Quanti anni ha, signora?
MATA HARI: Sono nata il 7 agosto sotto il segno del leone, un
segno di fuoco.
In che anno?
MATA HARI: Molti artisti sono nati sotto il segno del leone. È
un segno forte. Nel mio paese si dice un segno del destino.
Ho capito. Lasciamo perdere l'anno di nascita. Lei è olandese?
MATA HARI: No! Sono nata sulla costa di Malabar. Mio padre
si chiamava Asivardam che significa «benedizione di Dio».
Mi scusi signora, ma avevamo stabilito di fare un’intervista
sincera.
MATA HARI: Be' e allora?
E allora a me risulta che è nata in Olanda e che suo padre
era un commerciante, aveva un negozio di cappelli.
MATA HARI: E va bene. Con lei sarò sincera. Sì, sono nata in
Olanda. Mio padre era molto ricco
Be’, così andiamo meglio. Lei perdette molto presto sua
madre e so che da allora ha fatto il possibile per sposarsi.
MATA HARI: [ridendo] Sì.
E so anche che si è sposata in circostanze abbastanza
singolari. E forse era destino per un personaggio come lei non
avere un normale incontro d'amore. Vero?
MATA HARI: Be', è vero! [Con tono allegro] Mi sono sposata
attraverso un annuncio economico.
E come andò questo matrimonio?
MATA HARI: Naturalmente non durò. La prima volta che vidi
il mio futuro marito lui era in divisa. Una chiromante mi ha
predetto che la mia fine sarà dovuta a un certo numero di
divise, ma non mi preoccupo perché la cosa mi sembra
ridicola..
Mi diceva del matrimonio fallito.
MATA HARI: Eh, sì... perché un matrimonio fallisce?
Centomila motivi. E poi, e poi ormai per me non ha neppure
molta importanza ricordare colpe, responsabilità.
Ma sua figlia?
MATA HARI: Mia figlia è sicuramente più felice con suo padre
che con me. Io sono troppo donna per essere un'autentica
madre.
Senta, lei non aveva mai ballato, come mai si è inventata una
professione, meglio, addirittura un personaggio.
MATA HARI: Be', le risponderò con questo album dei ritagli,
io lo porto sempre con me, «Mata Hari non danza soltanto con
i piedi, con le braccia, gli occhi, la bocca e le unghie cremisi,
Mata Hari libera dai veli, danza con tutta se stessa».
Però si ha l’impressione che molta parte del suo successo sia
dovuto al fatto che, indubbiamente insolito per l’epoca, dicevo
al fatto che lei danzasse quasi completamente nuda.
MATA HARI: Dica pure nuda, non ho mai avuto problemi.
Tuttavia lei non ha risposto a una domanda fondamentale.
Lei non aveva mai danzato e improvvisamente scopre di
essere una grandissima danzatrice indiana, ispirata
addirittura da Vishnu, da Shiva. Lei l'autentica India non l'ha
mai conosciuta. È vissuta in colonia, in piccoli paesini
tropicali.
MATA HARI: Ma che importanza può avere se veramente ho
assistito alle danze sacre nascosta nei templi indiani, dove
alle donne era vietato l'accesso. Non le sembra abbastanza
importante che tutta l’Europa artistica l'abbia creduto? Tutta
l'Europa, ripeto. Perché sicuramente, mio caro amico, lei si
ricorderà che ho perfino danzato nel più grande tempio
mondiale della musica, la Scala di Milano!
Verissimo.
MATA HARI: Adesso, caro, io sono un po’ stanca, sa? Credo
che lei riordinando il nastro potrà ricavare un'intervista
decente. Certe cose che abbiamo detto è meglio che restino
fra di noi. Comunque vorrei che lei mi sottoponesse il testo
della sua intervista.
E così finì il primo incontro con Margaretha Zelle, in arte
Mata Hari. Nastro originale non rielaborato, non trasmettibile
per esplicito veto dell'intervistata, giunto al sottoscritto con
lettera dell'avvocato Clunet, legale di Mata Hari.
[lnizio secondo nastro].
Nastro numero due. Intervista Margaretha Zelle in arte Mata
Hari. Registrazione effettuata nella prigione di Saint-Lazare a
Parigi durante il processo. La registrazione prima di venire
utilizzata dovrà essere sottoposta al capitano Bouchardon
incaricato dell’istruttoria sull’imputata, il quale avrà piena
facoltà di far cancellare parole o frasi pregiudizievoli ai fini del
processo in corso.
[Pausa]
Pronto, pronto, pronto. A cinque secondi dal via registrazione:
uno, due, tre, quattro, cinque.
Buonasera signora. Io non so se lei si ricorda di me: l’ho
intervistata a Roma nella hall del Bernini saranno ormai
quasi dieci anni.
MATA HARI: [con tono distratto] Mi dispiace, non ricordo.
Comunque sono felice della sua visita. Da quando sono in
carcere con questa assurda accusa su di me anche gli amici
più cari si sono volatizzati; se desidero scambiare qualche
parola posso farlo solo con la suora che mi ha in custodia o
con il medico della prigione che viene a trovarmi due volte
alla settimana. Purtroppo si trattiene sempre solo pochi
minuti e io sono una donna che ha bisogno di sentire la vita
intorno.
Lei è stata arrestata…
MATA HARI: Il 13 febbraio del 1917 nella mia camera
dell'Elysées Palace Hotel sugli Champes-élysées. [Sospirando]
Eh, sì. Venne il capo della polizia in persona. Mi lesse un atto
d'accusa dove si dicevano cose folli sul mio conto. Io avrei
tradito la Francia! Un paese che mi ha dato tanto. Ma
figuriamoci...
Ma veramente, signora, la situazione è diversa: lei non poteva
tradire la Francia perché lei non è francese. Non è di
tradimento che la si accusa ma di spionaggio.
MATA HARI: E, scusi, che differenza c'è?
C'è una differenza forse troppo sottile: i traditori si fucilano
alla schiena, le spie no.
MATA HARI: Ma davvero vogliono farmi fucilare? Fucilare
Mata Hari, ma perchè? È assurdo!
Signora, io sono pronto a crederle, pur tuttavia ci sono delle
accuse contro di lei.
MATA HARI: [con tono alterato] Ma quali accuse? Ridicole!
Signora, mi scusi se le rammento la sua attuale situazione. Io
ho come la sensazione che lei non si sia ancora resa conto del
pericolo che rappresenta per lei questa accusa. Le si imputa
di aver fatto ritorno in Francia per poter compiere opere di
spionaggio a favore dei tedeschi.
MATA HARI: Ma è ridicolo! Io ho spiegato più volte la ragione!
Avevo conosciuto un tenente dell'esercito russo di stanza in
Francia, Vadim Maslov e me ne ero innamorata!
rido
È inutile che ride. Capita, no? Anche a donne come me.
Ma allora se le cose stanno come lei dice e lei ritiene di
poterle provare non dovrebbe avere timori.
MATA HARI: E invece ne ho. Molti anni fa una zingara mi
disse che vedeva nel mio destino molti uomini in divisa.
Allora ci risi, ma ora so cosa voleva dire quella vecchia.
[Disperata e sognante] Quando ogni mattina alle sedute del
processo io vedo i componenti del tribunale, tutti in divisa...
quegli uomini, quegli ufficiali... mi guardano come una cosa,
un oggetto. È una sensazione orribile. Non ero mai stata
guardata così. Loro non guardano come si guarda una
donna, come una donna si aspetta di essere guardata.
Guardano senza amore e senza odio e senza pietà neppure.
Con indifferenza. Una disumana indifferenza. Ma sono
diventata così brutta? E non piaccio a nessuno? Lo sa?
[Ritrovando uno slancio di felicità] Lo sa che domani rivedrò il
mio Vadim? L'ha convocato il mio avvocato, come teste a
discarico. Domani sarò bellissima per lui! Forse domani
stesso avremo la sentenza e lo sa che se mi assolvono sarò
libera subito? La sera stessa! [Con uno scarto di umore] Non,
non mi assolveranno. Dovrò attendere la fine della guerra per
uscire di prigione. Ah, ma dopo la guerra sarà tutto diverso!
Tutto tornerà come prima.
Quanti futuri ha dovuto usare signora. C’è aria di disfatta in
Francia, signora.. Bisogna distrarre l’opinione pubblica dai
bollettini di guerra. Ci vuole qualcosa che sia sensazionale
per le prime pagine dei giornali: lei, Mata Hari.
MATA HARI: Non crederò mai che una bella donna possa
essere uccisa a meno che non si tratti di un delitto
passionale.
[Fine secondo nastro].
Stop. [Pausa]
Nota per l'ufficio tecnico. Nastro originale. Intervista Mata
Hari. Carcere Saint- Lazare.
Nastro numero tre.
Non montabile perché registrato clandestinamente. Devo fare
una premessa al mio terzo incontro con Mata Hari. II
presidente della Repubblica francese aveva respinto l’appello
di Mata Hari e l’esecuzione era stata fissata per il lunedì 15
ottobre alle sei del mattino. Approfittando di un permesso
non ancora scaduto mi precipitai a Saint-Lazare per
incontrarla. Non sapevo cosa le avrei detto. Nota per il
tecnico. La registrazione è partita male per cui il colloquio è
già iniziato e si è persa la prima parte.
MATA HARI: [canticchia]
È molto allegra oggi.
MATA HARI: Come ogni sabato! La domenica non fanno
esecuzioni. Questa notte dormirò profondamente, tanto sono
sicura che domani non mi uccideranno.
E gli altri giorni?
MATA HARI: Gli altri giorni mi addormento alle sei del
mattino, quando sono certa che nessuno verrà a risvegliarmi
per annunciarmi che c’è un plotone di esecuzione pronto a
fucilarmi. È terribile, sa, non sapere il giorno. Ogni notte vai
a letto con il pensiero che potrebbe essere l’ultima e forse
questa è la cosa più crudele. Più ancora della stessa pena
capitale. [Ridendo] Ho detto pena capitale! Comincio a parlare
il gergo dei giuristi. [Con tono impaziente] Senta, mi dica lei
che vive fuori libero, ci sono possibilità che la guerra finisca
improvvisamente?
Be', certo tutto è possibile, ma non ci pensi. Margaretha, mi
scusi, io purtroppo non posso trattenermi. Non ho neppure
un permesso in regola.
MATA HARI: E certo. Scappa, scappa, scappa! Come sono
scappati tutti! Lo sai che anche Vadim, l'unico uomo che ho
veramente amato, l'uomo per cui probabilmente sono in questa
cella condannata a morte, anche Vadim è scappato. Al
processo non ha avuto il coraggio di presentarsi.
Signora, mi scusi, ma…
MATA HARI: Vattene allora e lasciami assassinare quando
loro vorranno. [Tono crescente fino alle urla di disperazione]
Vattene! Vattene, vattene, vattene…
Stop! Stop registrazione! Stop!
[Cercando di coprire le grida di Mata Hari].
MATA HARI: Vattene! Vattene! [Sempre gridando
disperatamente. Le due voci sovrapposte sfumano]. [Fine terzo
nastro].
Come ho detto all'inizio, non ho ritenuto opportuno montare i
nastri registrati. Ormai questi nastri sono di dominio
pubblico e non ci sono problemi per la messa in onda. Non ho
nulla da aggiungere. Voglio solo ricordare una cosa. Mata
Hari fu portata nella sala di dissezione dell'ospedale
municipale di Parigi. Nessuno dei suoi amici di un tempo
ebbe il coraggio di reclamarne la salma per un funerale
decente e di lei non si saprà mai in quale sperduto angolo
della Francia rimangono le sue anonime ceneri. Non sapremo
quindi mai più niente di Mata Hari. Sapremo solo che era
una donna bellissima, splendida.

Potrebbero piacerti anche