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LEZIONE
“LA NASCITA DELLO STATO MODERNO. MODELLI
ASSOLUTISTICI A CONFRONTO”
Indice
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Storia del Diritto Medievale e Moderno La nascita dello Stato moderno. Modelli assolutistici a
confronto
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d’Aragona, determinò un nuovo e più stabile assetto per la penisola iberica. I sovrani cattolici più
che l’unità del paese, realizzarono nell’immediato l’unione personale delle Corone. Ogni regione
conservò la propria identità amministrativa, rimanendo organizzata sulla base delle proprie
strutture istituzionali e facendo capo ad uno solo dei sovrani.
Il dualismo delle corone e
dei domini permase ma fu, comunque, intrapreso un processo di riorganizzazione generale: in
entrambi i regni, Castiglia ed Aragona, fu, infatti, istituito un organo centrale di governo, il Consejo,
le cui mansioni erano molteplici, riguardavano l’amministrazione generale e la giustizia, inoltre il
coordinamento e la soprintendenza sugli organi di governo locali. In tal modo, l’ordinamento dello
Stato si avviò sul binario che conduceva ad un sistema centralistico. Sotto il profilo giuridico, appare
determinante sottolineare che nei Consejos sedettero principalmente giuristi e ciò avvenne a
svantaggio dell’antica e potente aristocrazia. I grandi nobili potevano assistere alle sedute del
Consejo ma senza diritto di voto. L’innovazione limitava fortemente l’influenza del potere nobiliare
sulla Corona e rendeva quest’ultima indiscussa detentrice del potere politico.
La Corona spagnola, tuttavia, non avrebbe potuto pienamente realizzare il proprio potere se
non fosse, altresì, riuscita ad imporre il proprio controllo anche sulle istituzioni ecclesiastiche. La
guerra contro l’infedele aveva influito sulle dimensioni e sulla potenza della Chiesa spagnola, che si
era accresciuta enormemente. Le sue numerose diocesi ed i suoi organi godevano di ampissimi
poteri, anche in campo temporale, supportati da immense ricchezze patrimoniali e notevoli
privilegi, specialmente fiscali. La coppia regnante comprese rapidamente che, per affermare la
propria autorità, era necessario intraprendere anche una politica ecclesiastica adeguata e
indirizzata in direzione centripeta. Bisognava quindi cercare di intervenire sulla nomina degli alti
prelati e orientarne la giurisdizione. In qualche modo appariva opportuno prendere anche le
distanze dalle politiche pontificie e definire dall’interno delle linee programmatiche di condotta.
L’occasione per procedere alla svolta derivò dalle ultime guerre di religione. L’operato
della Corona di Spagna in difesa della cristianità era stato mirabile e produttivo, meritava un
riconoscimento e delle precise ricompense. Nel 1486 il pontefice Innocenzo VIII conferì ai
sovrani il diritto di patronato regio e di presentazione di tutti i principali benefici ecclesiastici sugli
ultimi regni conquistati. In realtà si trattò di una prerogativa non marginale, che determinò il
controllo sulle nomine degli ecclesiastici e che presto si estese a tutto il paese. Al sistema del
patronato regio furono affidate anche le nuove conquiste realizzate oltreoceano. L’interesse del
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papato a mantenere una solida alleanza con la Spagna e con si suoi re, nei decenni appena
successivi, si tradusse in varie bolle che, oltre a confermare i poteri regi già accordati, di fatto, li
estesero su tutto il territorio. I sovrani quindi realizzarono, attraverso vie dirette e canali diplomatici,
il controllo e la guida delle diocesi. I benefici spagnoli non furono più conferiti a stranieri,
perché il papa si limitava a confermare le proposte indicate dalla Corona, nominando le persone
gradite e segnalate dai regnanti.
Di lì scaturì anche il controllo regio sulla giurisdizione ecclesiastica e sul patrimonio della
Chiesa. La tendenza che tese ad affermarsi mirava a far sì che le controversie si definissero
completamente in patria, evitando i ricorsi alla Sacra Rota Romana e quindi di ripristinare una rete di
ingerenze pilotate dalla Santa Sede. Inoltre molte quote delle imposte e contributi versati dalla
Chiesa spagnola furono raccolti e fatti confluire nelle casse dello Stato, rimpinguandone
notevolmente le finanze. Far rientrare le istituzioni ecclesiastiche nell’orbita della monarchia
equivaleva a potenziare le loro specifiche attività in direzione centripeta. Ma, accanto al
problema della riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche, si imponeva la necessità di una
campagna di restaurazione della religione cristiana. La coesistenza di diversi gruppi appartenenti a
fedi diverse implicava tensioni e disordini, per cui la Corona si prodigò per una riforma della
Chiesa spagnola che le infondesse nuova energia e vigore.
Fu così che Ferdinando e Isabella si prodigarono, con un esplicito riconoscimento
ottenuto dalla Santa Sede, per disporre l’introduzione di un potente tribunale, che agisse al di sopra di
ogni altra istituzione, perseguendo obiettivi religiosi e insieme politici, l’Inquisizione. Come si intuisce,
in Spagna, già nel XV secolo le esigenze di accentramento e di stabilità politica trovarono una
risposta efficace e coerente nella politica dei sovrani che agirono per realizzare l’unità sul profilo
religioso, civile e giuridico.
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3 L’assolutismo in Francia
Ancor più precocemente iniziò il processo di unificazione nazionale in Francia. Esso,
infatti, ebbe inizio nel secolo XIII, mediante una progressiva estensione della giurisdizione regia. Il
successivo e vigoroso contributo
politico di Filippo IV il Bello influì efficacemente sulla formazione dello Stato e della sovranità
regia già alla fine del Duecento. Egli mirò a realizzare l’indipendenza del suo regno
contemporaneamente dall’Impero e dalla Chiesa di Roma.
Negli stessi anni il teologo domenicano Jean de Paris poneva le basi teoriche di quella svolta.
Legato alla scuola tomistica, egli ricavava dalla Politica di Aristotele l’idea della naturalità del
diritto e della sua relatività. L’idea che il diritto fosse un elemento naturale, collegato
all’inserimento dell’individuo in una comunità sociale, non ne escludeva il dinamismo e la sua
variabilità. La matrice volontaristica dell’ordinamento giuridico era un altro elemento
imprescindibile. Nel suo trattato De potestate regia et papali, il teologo enunciava l’esistenza di una
pluralità di regni, quindi di monarchi e, conseguentemente, di diritti. In sostanza la sfera temporale
gli appariva chiaramente come una realtà molteplice e pluriforme, tutta terrena e a volte anche
brutale, molto diversa da quella spirituale. Il fratricidio commesso da Romolo, da cui aveva preso
origine la fondazione di Roma, era indicato come esempio chiarissimo a dimostrazione del
principio che e facto oritur ius, ossia che il diritto e l’ordinamento hanno un fondamento sempre
realistico, scaturiscono da elementi ed esigenze fattuali e non meramente ideali. Contro la varietà del
mondo laico, Jean de Paris indicava le caratteristiche della sfera spirituale: unico era il regno celeste
e lo stesso valeva per la sua diretta proiezione sulla terra: la Chiesa. Riconosceva espressamente
che il dominio dello spirito e delle anime dei cristiani richiedeva uniformità. Solo in spiritualibus
poteva e doveva esserci un solo monarca, il pontefice. A tal punto la linea di demarcazione tra la politica
e la fede appariva netta. In sostanza il pontefice si riconosceva come dominus assoluto nel solo
governo delle anime, ma non anche in quello dei beni temporali.
Inoltre, sin dal Duecento, in Francia aveva preso corpo una linea antimperialistica che si era
tradotta in un’irriducibile avversione contro il germanesimo, ossia contro quell’impero che si era
costituito su presupposti francesi e che poi era diventato romano-germanico, sottraendo
definitivamente la corona e lo scettro imperiale alla monarchia di Francia.
La formula per cui rex superiorem non recognoscens, in suo regno est imperator, elaborata in
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ambienti vicini al pensiero giuridico della Scuola bolognese, fu rapidamente accolta in Francia per
legittimare de iure la sovranità del re e la sua autonomia dall’impero. Dimostrare che al
sovrano competevano le stesse prerogative e gli stessi poteri esercitati dall’imperatore, equivaleva a
sancire la parità delle due figure e quindi la possibilità che ciascuno governasse nel proprio ambito
territoriale in via esclusiva.
Per riflesso di questa peculiare condizione politica, sul piano strettamente giuridico Filippo il
Bello, con un’ordinanza del 1312, sancì il primato del diritto consuetudinario francese. La Francia
prendeva, così, le distanze dal diritto giustinianeo, in quanto diritto dell’impero, che difatti, avrebbe
potuto d’ora innanzi trovare applicazione, solo se recepito dalle consuetudini e, in ultimo, se supportato
da un apposito permesso regio. Si profilava una peculiare tendenza alla nazionalizzazione del diritto
francese che trovò una sua prima realizzazione nell’ordonnance di Montils les Tours che, emanata da
Carlo VII, dispose nel 1454 la redazione scritta delle consuetudini locali, ossia la loro certificazione
ufficiale, chiaro segno della volontà della Francia di rivendicare una propria autonomia giuridica,
del tutto scevra dal condizionamento operato dal diritto romano.
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delegatigli dal Re, perdeva integralmente le sue funzioni e non poteva che procedere alla
registrazione.
Tuttavia, è d’obbligo apportare un chiarimento: è ovvio che, essendo il Parlamento
l’organo giurisdizionale supremo, chiamato ad applicare le disposizioni regie, qualora il
provvedimento registrato fosse stato sostanzialmente sgradito ai suoi membri, questi certamente
non ne avrebberofatto applicazione, esautorando sul piano concreto e dei fatti il potere del Re.
L’esempio del Parlamento di Parigi si presenta così utile per almeno due motivi. In primo
luogo aiuta a comprendere di quale forza innovatrice furono dotati i Grandi Tribunali nell’Antico
Regime. In secondo luogo, ci offre una straordinaria testimonianza di quel rapporto dialettico tra
potere sovrano, per così dire legislativo, e potere giudiziario, che, nel corso della storia
dell’esperienza giuridica ha assunto in diversi momenti i caratteri di un vero e proprio braccio di
ferro.
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