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(ad esempio rendere conto della strategia adottata oppure giocare a un altro gio-
co). L’importanza della vittoria di Deep Blue sta nella dimostrazione della capaci-
tà di un’AI di saper padroneggiare il ragionamento simbolico; cf. D. HEAVEN
(ed.), Macchine che pensano. La nuova era dell’intelligenza artificiale, Dedalo, Bari
2018, 22-24.
3 Cf. M. ZASTROW, «How victory for Google’s Go AI is stoking fear in South
Tecnica e tecnologia
Mal si attaglia all’AI una concezione dei manufatti tecnici che li ve-
da come semplici estensioni degli arti del corpo, al modo degli stru-
menti usati da un artigiano. Un tale modello, tutto sommato, è inade-
guato già per descrivere l’organizzazione socio-tecnica impostasi a
partire dalla prima rivoluzione industriale, con la quale diventò stori-
camente percepibile il passaggio dalla «tecnica» alla «tecnologia»5. La
prima, derivata dalla greca téchne-, secondo le parole di Aristotele «ha
a che fare con la generazione, con il progettare e il considerare in che
modo possano generarsi alcune tra le cose che possono essere e non
essere»6. La tecnica o arte è legata alla sfera del produrre o fare dal
nulla (poíēsis) per uno scopo, dove naturalmente il non essere in questo
caso è relativo: la produzione tecnica consiste nel trarre o condurre al-
l’esistenza (pro-ducere) ciò che non è per necessità o ciò che non esiste
per natura, vale a dire che possiede in sé il proprio principio. Tale pro-
duzione non avviene senza «un certo stato abituale (hexis), accompa-
gnato da ragione vera»7, quindi con competenza e non mediante un
sfide della tecnica, Morcelliana, Brescia 2019, 137-145. Osserviamo che ciò riguar-
da la percezione e l’interpretazione del fenomeno tecnologico, piuttosto che il
suo effettivo sussistere, in quanto l’influenza della tecnologia sulla cultura è pre-
sumibilmente antica quanto l’uomo.
6 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, in ID., Le tre etiche, ed. it. con testo greco a
disposizioni attraverso cui l’anima coglie il vero, cf. Ibid., VI, 3 (1139b16).
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della persona», in Studia Moralia 47 (2009) 369-377; P. BENANTI, The cyborg: cor-
po e corporeità nell’epoca del post-umano. Prospettive antropologiche e riflessioni etiche per
un discernimento morale, Cittadella, Assisi 2012, 418-420.
11 Cf. R. SCHWARTZ COWAN, «Industrial society and technological systems»,
12 Cf. C. ANDERSON, «The end of theory: the data deluge makes the scientif-
ic method obsolete», Wired, 23 giugno 2008, in https://www.wired.com/2008/
06/pb-theory/ [accesso: 30.9.2021].
13 F. PASQUALE, Le nuove leggi della robotica. Difendere la competenza umana nel-
anticipato la scienza vera e propria, se non altro perché questa, come ogni forma
di letteratura, è una fucina di idee in cui si può forgiare l’immaginario di un’inte-
ra generazione. Un esempio che mostra l’attesa che definiremmo escatologica nei
confronti della scienza, ben prima che gli araldi del postumanesimo facessero
sentire la loro voce, è dato da un racconto del celebre scrittore di fantascienza I.
Asimov degli anni ’50, intitolato L’ultima domanda. Al centro della narrazione c’è
il più potente supercomputer mai costruito dall’uomo, Multivac o AC, creato con
lo scopo di dare risposta a tutte le domande che gli fossero state poste, e che nel
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posto da chi prevede, sì, una certa “collaborazione” tra uomo e mac-
chine, ma con l’obiettivo di superare in profondità i limiti della condi-
zione umana, operandone in concreto uno stravolgimento in nome
della scienza16.
Una tale concezione coltiva un’aspirazione legittima al migliora-
mento delle attuali condizioni di vita dell’umanità17, però partendo da
un giudizio radicalmente negativo sulla natura umana18. È chiaro,
quindi, che se questa è la visione del mondo e, soprattutto, dell’uomo
fatta propria dai cultori (perlomeno alcuni, anche se influenti) dell’AI,
il fine sotteso alla rispettiva ricerca non potrà che essere quella di una
graduale sostituzione degli esseri umani da parte delle macchine o, al-
meno, una loro ibridazione per ottenere un qualcosa di “nuovo”.
Riconoscere i limiti (fisici, cognitivi e morali) che caratterizzano gli
esseri umani, auspicando al contempo un ampliamento delle possibi-
lità loro concesse, non implica necessariamente il desiderio di rim-
piazzare esseri “difettosi” – che saremmo noi – con altri più perfor-
manti, che avrebbero però paradossalmente qualcosa di meno rispet-
to all’uomo19. Si possono certamente apprezzare i sempre nuovi avan-
corso dei secoli si sviluppa fino a superare i limiti stessi dello spazio e del tempo,
della materia e dell’energia, arrivando alla fusione finale con l’umanità e a per-
meare di sé l’universo; cf. I. ASIMOV, «The last question», in Science Fiction Quar-
terly 4/5 (1956) 7-15.
16 Cf. M. O’CONNELL, Essere una macchina. Un viaggio attraverso cyborg, utopi-
sti, hacker e futurologi per risolvere il modesto problema della morte, Adelphi, Milano
2018.
17 Cf. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate [= CV], Lettera enciclica sul pro-
gresso umano integrale nella carità e nella verità (29.06.2009), in AAS 101 (2009)
641-709, n. 69.
18 Cf. M.P. FAGGIONI, «Transumanesimo. Volare oltre la natura umana», in J.
MIMEAULT – S. ZAMBONI – A. CHENDI (edd.), Nella luce del Figlio. Scritti in onore
di Réal Tremblay nel suo 70° genetliaco, Dehoniane, Bologna 2011, 505-525.
19 In merito all’idea che gli esseri viventi non siano altro che macchine gover-
ragione per cui dovrebbe essere così. Il substrato conta, eccome. Quello della no-
stra vita è una organizzazione chimica unica nel suo genere, soggetta alla termo-
dinamica e all’imperativo omeostatico. Per quanto ne sappiamo, questo substra-
to è essenziale per spiegare chi siamo» (A. DAMASIO, Lo strano ordine delle cose. La
vita, i sentimenti e la creazione della cultura, Adelphi, Milano 2018, 231). E poco più
avanti aggiunge: «I valori che le nostre culture celebrano sotto forma di opere
d’arte, credenze religiose, sistemi di giustizia e buon governo sono stati plasmati
sulla base dei sentimenti. Se eliminassimo l’attuale substrato chimico della soffe-
renza e del suo contrario, il piacere e il benessere, elimineremmo il fondamento
naturale dei nostri sistemi morali. Certo, si potrebbero costruire sistemi artificia-
li che operano nel rispetto di “valori morali”. Ma ciò non significherebbe che ta-
li dispositivi contengano il fondamento di quei valori e che sarebbero capaci di
costruirli autonomamente» (Ibid., 233); [corsivo in originale].
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Definire con precisione cosa sia l’AI è impresa assai ardua, trattan-
dosi di un campo disciplinare ormai piuttosto vasto e che vede la con-
vergenza di svariati ambiti del sapere che vanno dall’ingegneria, alla
matematica, alla filosofia. Per questo, riteniamo utile rifarci alla dis-
cussione di Russell e Norvig che suddividono il ventaglio delle defini-
zioni in quattro classi, ottenute incrociando tra loro a coppie altret-
tante categorie: pensare, agire, umano e razionale20.
MERRILL (edd.), Art, Mind, and Religion, University of Pittsburgh Press, Pitts-
burgh 1967, 37-48.
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(1950) 433-460.
29 Si tratta, in sostanza, di un antenato concettuale del computer.
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Macchine «razionali»
Le rimanenti due classi di definizioni dell’AI si rifanno al concetto
di «razionalità», distinguendosi quindi in «pensare razionalmente» e
tuale di questo tipo di performance (non sempre molto riuscite) è dato dalle chat-
bot e dagli operatori virtuali.
31 Cf. Ibid., 5.
32 In effetti, volendo usare un esempio ad effetto, sarebbe come confondere la
«The somatic marker hypothesis and the possible functions of the prefrontal cor-
tex», in Philosophical Transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological
Sciences 351 (1996) 1413-1420.
35 Cf. S. RUSSELL – P. NORVIG, Intelligenza artificiale, 6-7.
36 Ibid., 7.
37 Cf. Ibid., 7-8.
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43Naturalmente non si tratta dell’unico campo in cui si può applicare con suc-
cesso l’IA. Si pensi, ad esempio, al mondo dell’educazione e dell’istruzione, op-
pure alla gestione dei media in una società che è letteralmente invasa dalle infor-
mazioni e in cui è sempre più difficile distinguere le vere notizie dalle famigera-
te fake news.
44 Cf. M. O’CONNELL, Essere una macchina, 197-211.
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al., «Computer vision for autonomous vehicles. Problems, datasets and state of
the art», in Foundations and Trends in Computer Graphics and Vision 12 (2020) 1-308.
47 Cf. S. JHA – E.J. TOPOL, «Adapting to Artificial Intelligence. Radiologists
tali algoritmi ricadono entro i tipi di patologie che sono stati addestrati
a riconoscere: la rilevazione di eventuali anomalie o casi inediti rima-
ne specifica competenza umana. Anche l’attuale pandemia del Covid-
19 ha messo in evidenza come una cooperazione tra operatori umani
e AI sia fondamentale per gestire situazioni particolarmente comples-
se e caratterizzate da grande incertezza, sia in termini clinici di dia-
gnosi e cura, che sociali di tracciamento50.
Dove l’inapplicabilità dell’AI in ambito medico appare non legata a
insufficienze tecnologiche quanto a motivi intrinseci è nella cura inte-
sa come care e non come semplice treatment, quindi non come presta-
zione sanitaria ma vera e propria relazione: questo è ad esempio l’ap-
proccio della medicina narrativa51. L’IA anche qui può svolgere un
certo ruolo di supporto e integrazione, come nelle app di sostegno psi-
coterapeutico52. Tuttavia è chiaro che, qualora si punti alla sostituzio-
ne del rapporto persona-persona con uno di tipo persona-macchina,
l’effetto potrà essere al più una sorta di placebo, poiché un algoritmo
non può far altro che riprodurre, imitandolo, un certo comportamen-
to, mancando la soggettualità che renda quel rapporto relazione au-
tenticamente personale. Senza contare la logica sottostante, che non è
certamente quella della promozione e tutela della dignità del malato o
della persona in difficoltà, ma di rimuovere problemi che sono visti
utilitaristicamente come ostacoli alla produttività53.
Nel presente articolo ci siamo occupati della distinzione tra due ap-
procci o finalità di base che caratterizzano la ricerca nel settore del-
l’intelligenza artificiale: quello che punta, più o meno intenzional-
mente, a una progressiva sostituzione degli esseri umani in vari campi
professionali, anche quelli tradizionalmente ritenuti irriducibili alle
prestazioni di una macchina; quello che invece cerca di preservare le
peculiarità dell’uomo, al di là di quei compiti che possono essere ef-
fettivamente automatizzati, e per il quale l’uso delle macchine può an-
zi essere un mezzo di potenziamento e valorizzazione delle capacità
intellettuali.
Non bisogna comunque dimenticare che la nostra analisi si basa su
una semplificazione delle posizioni in gioco, che, come al solito, nella
realtà presentano confini molto meno netti di quelli riportati sulla pa-
gina scritta, e non vuole in nessun modo affermare che tutti gli studiosi
e ricercatori nel campo dell’AI siano transumanisti ansiosi di ripetere
le gesta del famigerato dottor Frankenstein.
Piuttosto, si è inteso evidenziare alcune caratteristiche salienti del
milieu culturale e filosofico a cui in qualche modo è possibile ricon-
durre molti dei discorsi sull’AI, specialmente quelli che chiamano in
causa la distinzione tra AI debole e AI forte54. Ciò implica che lo svi-
luppo tecnologico non è mai neutrale, né la ricerca tecnica è avulsa da
influenze e considerazioni di carattere filosofico o comunque extra-
scientifico. In effetti, può sembrare banale dirlo, ma ogni attività, in-
clusa quella scientifica, è svolta a partire dalle motivazioni e dai valori
delle persone che la pongono in atto: dai nobili ideali dell’avvicina-
mento alla verità e del miglioramento delle condizioni di vita, a quel-
li più mondani della massimizzazione del profitto per un proprio tor-
è espresso dall’ebraico ra-dâ (nel greco della LXX reso con árchein) e nel suo uso
è effettivamente prossimo al linguaggio di corte, sebbene Gen taccia del tutto su
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ABSTRACT
The article deals with the problem of the philosophical interpretation of Artifi-
cial Intelligence [= AI], arguing that its correct evaluation must take into ac-
count the lines of thought underlying the research activity itself, and that there-
fore it does not appear to be philosophically neutral. In reference to this, two
currents of thought can be identified: the one generically called “Artificial In-
telligence” which since the second half of the twentieth century has been en-
gaged in overcoming and replacing human performance in multiple profes-
sional areas; and the other which is referred to as “Augmented Intelligence”
[= AI], which, while using AI algorithms, considers technology at the service
of man to expand the possibilities of action. Therefore, for an effective re-
sponse to the challenges of AI it does not seem sensible to close oneself
completely to its increasingly pervasive applications, but it is necessary to
bring the latter back into a personalist horizon that takes into account the orig-
inal question of meaning.
***
El artículo aborda el problema de la interpretación filosófica de la Inteligencia
Artificial [= AI], argumentando que su correcta evaluación debe tener en cuen-
ta las líneas de pensamiento que subyacen a la propia actividad investigado-
ra, y que, por tanto, no es filosóficamente neutral. En referencia a esto, se pue-
den identificar dos corrientes de pensamiento: la genéricamente denominada
“Inteligencia Artificial” y que desde la segunda mitad del siglo XX se ha dedi-
cado a superar y sustituir el desempeño humano en múltiples áreas profesio-
nales; y lo que se denomina “Inteligencia Aumentada” [= IA], que, al utilizar
algoritmos de AI, considera la tecnología al servicio del hombre para ampliar
las posibilidades de acción. Por tanto, para una respuesta eficaz a los retos
de la AI no parece conveniente cerrarse por completo a sus aplicaciones ca-
da vez más omnipresentes, sino que es necesario reconducirlas a un hori-
zonte personalista que tenga en cuenta la cuestión original del sentido.
***
L’articolo tratta il problema dell’interpretazione filosofica dell’Intelligenza Arti-
ficiale [= AI], argomentando che una sua corretta valutazione deve tener con-
to degli indirizzi di pensiero sottesi alla stessa attività di ricerca, e che quindi
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