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Riassunto Iliade: scontro tra Achille ed Ettore

Ettore, principe di Troia, aveva ucciso Patroclo che era cugino, se non che
migliore amico di Achille, il quale aveva deciso di ritirarsi dalla guerra a causa
dei conflitti con Agamennone e dare le armi a suo cugino Patroclo.
Uccidendo Patroclo, Ettore aveva fatto un patto col destino, sapeva che lui
avrebbe dovuto affrontare Achille, che quando seppe dell’uccisione di
Patroclo decise di tornare in guerra e vendicarsi.

Quando Achille trova Ettore fuori dalle mura di Troia decise di fargliela
pagare, ma Ettore, preso dal panico, inizia a scappare attorno alle mura della
città. I due compirono tre giri interi delle mura della città, poi però ci fu un altro
segno di intervento divino che cambiò le cose, Athena, dea schierata dalla
parte dei Greci decise di intervenire e fermare Ettore: lei prese le sembianze
del fratello di Ettore e gli consigliò di combattere. Ettore allora si ferma e
decide di affrontare Achille, lui appena i due si scontrano, chiede ad Achille di
restituire il suo corpo alla famiglia nel caso fosse morto, ma Achille gli dice di
no e con molta abilità lo colpisce. Quando è moribondo Ettore, continua a
pregare Achille di restituire il suo corpo e dice al Pelide che anche lui avrebbe
avuto vita breve, queste erano appunto le profezie dei moribondi che nell’
Iliade giocavano un ruolo molto importante.

Riassunto Odissea: le sirene


Ritornati all’isola di Circe, i superstiti seppelliscono il cadavere di Elpenore,
poi vengono accolti dalla maga che offre loro cibo e ristoro; quindi essa,
chiesto a Odisseo di narrarle il suo dialogo con Tiresia, aggiunge alcuni suoi
consigli sulla rotta futura: innanzitutto Odisseo passerà davanti alle Sirene,
ma non dovrà cedere al loro canto ammaliatore:infatti esse seducono gli
uomini con i loro racconti e li lasciano poi marcire sul lido; egli, perciò, turate
le orecchie dei compagni con la cera, si farà legare all’albero della nave per
poter godere del canto senza perdersi nei loro incantesimi. Incontrerà le rupi
erranti e poi Scilla e Cariddi , terribili mostri marini: Scilla agguanta i marinai
che le passano vicino e li divora, Cariddi distrugge le navi risucchiando
l’acqua sotto di esse. Odisseo dovrà perciò passare vicino a Scilla
rassegnandosi a perdere sei dei suoi compagni, poi navigare oltre. Giungerà
quindi all’isola Triarchia, l’isola del Sole (identificata con la Sicilia in età
omerica) , come già ha profetizzato Tiresia; li dovrà astenersi dal toccare le
vacche di Helios (dio del Sole), per non incorrere in un tragico
destino.All’aurora, accompagnati da un vento propizio inviato da Circe, i
naviganti salpano: tutte le profezie della maga si avverano e Odisseo segue
scrupolosamente i suoi consigli trasgredendoli solo quando cerca di
affrontare Scilla in armi: a nulla vale il suo tentativo e il mostro ingoia sei
compagni. Dopo questa sciagura viene avvistata l’isola di Helios: Odisseo
consapevole del rischio di un approdo, vorrebbe andare oltre, ma i compagni,
stanchi e affamati, lo convincono a sbarcare per non navigare nella notte. Da
quel momento Zeus scatena una tempesta e per tutto il mese successivo fa
soffiare venti maligni che impediscono la navigazione.
Esaurite le provviste fornite da Circe gli uomini si danno alla caccia; infine
Odisseo, disperato per la penuria di cibo, si allontana dai compagni per
andare a pregare gli dei, che però lo ingannano e lo fanno profondamente;
quando si sveglia e torna dagli amici, li trova intenti a cuocere le vacche che
hanno ucciso, dopo aver offerto un empio sacrificio agli dei. Questo
sacrificio attira su di loro l’ira di Elios, che ottiene da Zeus una promessa di
vendetta. Dopo sette giorni la nave salpa nuovamente, ma ben presto Zeus
scatena una tempesta che la distrugge e disperde tutti i compagni di
Odisseo; egli, solo sui resti dello scafo, viene riportato verso Cariddi, cui
scampa fortunosamente; dopo dieci giorni di pene e di fatiche, gli dei lo
gettano sull’isola di Calipso.

Così si conclude il racconto di Odisseo presso la corte dei Feaci.

Riassunto capitolo 7 bibbia

E l’Eterno disse a Noè: ‘Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, poiché
t’ho veduto giusto nel mio cospetto, in questa generazione.

2 D’ogni specie di animali puri prendine sette paia, maschio e femmina; e


degli animali impuri un paio, maschio e femmina;

3 e parimente degli uccelli dei cieli prendine sette paia, maschio e femmina,
per conservarne in vita la razza sulla faccia di tutta la terra;

4 poiché di qui a sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e
quaranta notti, e sterminerò di sulla faccia della terra tutti gli esseri viventi
che ho fatto’.

5 E Noè fece tutto quello che l’Eterno gli avea comandato.

6 Noè era in età di seicent’anni, quando il diluvio delle acque inondò la terra.

7 E Noè, coi suoi figliuoli, con la sua moglie e con le mogli de’ suoi figliuoli,
entrò nell’arca per scampare dalle acque del diluvio.

8 Degli animali puri e degli animali impuri, degli uccelli e di tutto quello che
striscia sulla terra,

9 vennero delle coppie, maschio e femmina, a Noè nell’arca, come Dio avea
comandato a Noè.

10 E, al termine dei sette giorni, avvenne che le acque del diluvio furono sulla
terra.

11 L’anno seicentesimo della vita di Noè, il secondo mese, il diciassettesimo


giorno del mese, in quel giorno, tutte le fonti del grande abisso scoppiarono
e le cateratte del cielo s’aprirono.

12 E piovve sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti.

13 In quello stesso giorno, Noè, Sem, Cam e Jafet, figliuoli di Noè, la moglie
di Noè e le tre mogli dei suoi figliuoli con loro, entrarono nell’arca:

14 essi, e tutti gli animali secondo le loro specie, e tutto il bestiame secondo
le sue specie, e tutti i rettili che strisciano sulla terra, secondo le loro specie,
e tutti gli uccelli secondo le loro specie, tutti gli uccelletti, tutto quel che
porta ali.

15 D’ogni carne in cui è alito di vita venne una coppia a Noè nell’arca:

16 venivano maschio e femmina d’ogni carne, come Dio avea comandato a


Noè; poi l’Eterno lo chiuse dentro l’arca.

17 E il diluvio venne sopra la terra per quaranta giorni; e le acque crebbero e


sollevarono l’arca, che fu levata in alto d’in su la terra.

18 E le acque ingrossarono e crebbero grandemente sopra la terra, e l’arca


galleggiava sulla superficie delle acque.

19 E le acque ingrossarono oltremodo sopra la terra; e tutte le alte montagne


che erano sotto tutti i cieli, furon coperte.

20 Le acque salirono quindici cubiti al disopra delle vette dei monti; e le


montagne furon coperte.

21 E perì ogni carne che si moveva sulla terra: uccelli, bestiame, animali
salvatici, rettili d’ogni sorta striscianti sulla terra, e tutti gli uomini.

Riassunto piaghe d’Egitto

Le piaghe d'Egitto sono le punizioni che, secondo la Bibbia, Dio inflisse agli
Egizi affinché Mosè potesse liberare gli Israeliti dal paese dello
schiavismo.Nel libro dell'Esodo si racconta l'uscita degli Ebrei dall'impero
d'Egitto sotto la guida di Mosè. Uno degli episodi più importanti di questo libro
è proprio l'invio delle 10 piaghe, o punizioni divine, contro il popolo egizio.
L'espressione «piaghe d'Egitto», benché di uso comune, non è però precisa,
in quanto il testo biblico applica il termine «piaga» solo alla decima mentre le
prime nove sono dette «prodigi» o «segni».[1] Questi dieci episodi derivano
dalla fusione redazionale di tradizioni più antiche ed erano inizialmente non
un decalogo, come presentato nella redazione finale del Libro dell'Esodo[2],
ma "liste, peraltro divergenti, di 7 od 8 piaghe"[Nota 1] e, come aggiungono gli
esegeti della École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia
di Gerusalemme)[Nota 2], tale narrazione "è una composizione letteraria; essa
ha subìto un processo articolato di crescita nel quale una buona parte del
testo appartiene a redazioni tardive [...] probabilmente la tradizione jahvista
interviene in quattro piaghe (prima, seconda, quarta e quinta), ma una buona
parte del racconto attuale è stato aggiunto, come sono state aggiunte anche
le piaghe".[3]
La redazione finale del decalogo riporta:
1. Tramutazione dell'acqua in sangue
2. Invasione di rane dai corsi d'acqua
3. Invasione di zanzare
4. Invasione di mosche
5. Morte del bestiame
6. Ulcere su animali e umani
7. Pioggia di fuoco e ghiaccio (Grandine)
8. Invasione di cavallette/locuste
9. Tenebre
10. Morte dei primogeniti maschi
Gli scopi delle dieci piaghe sono due: convincere il faraone a lasciar andare
gli ebrei e dimostrare la presenza di Dio agli ebrei e ai non-ebrei, come
chiaramente dichiarato in questo passo in cui Dio si rivolge a Mosè:

Riassunto capitolo 7 vangelo secondo luca


Il cap.7 è composto da tre parti:


• due racconti, uno di guarigione di un moribondo (vv.2-10) e uno di


risuscitazione (vv.11-17), che formano in qualche modo da preambolo
alla seconda parte, quella centrale, che inizia con un richiamo a questi
due eventi prodigiosi (v.18a);

• la presentazione delle due identità: quella di Gesù (vv.18-23) e quella di


Giovanni (vv.24-28) e le reazioni positive da parte del popolo e dei
pubblicani (v.29); negative quelle da parte dei farisei e dei dottori della
Legge (v.30), alle quali segue il giudizio critico di Gesù verso questi
ultimi, che di fatto hanno respinto sia Giovanni che Gesù (vv.31-35);

• segue, a conclusione del cap.7, il racconto della donna peccatrice e


del fariseo (vv.36-50), che drammatizza i vv.29-30 e 31-35: sono
proprio loro, i pubblici peccatori, che ricevono il perdono, perché,
riconoscendo la propria condizione di peccato, hanno saputo
accogliere Gesù; contrariamente ai farisei e dottori della Legge, che
invece hanno assunto nei suoi confronti un atteggiamento critico di
chiusura e di rifiuto, sentendosi giusti e non bisognosi di
giustificazione. A questo atteggiamento di autosufficienza e
autogiustificazione da parte dei farisei e dottori Luca dedicherà la
parabola dei due uomini saliti al tempio, contrapposti per la loro
posizione sociale e per il loro altrettanto contrapposto atteggiamento
nei confronti di Dio: fariseo il primo; pubblicano il secondo (18,10-14).

siddharta
Siddharta di Hermann Hesse, opera storicamente rilevante nella letteratura
mondiale del Novecento, è un romanzo che parla della ricerca di qualcosa
che sembra essere fuori, ma alla fine alberga dentro di noi.

Siddharta è un ragazzo indiano che ha bisogno di trovare la sua strada e si


incammina nell’India del VI secolo assieme al suo amico Govinda.
Iniziano così il loro percorso, e durante il viaggio incontrano i Samara, che
sono degli uomini che riescono a vivere con poco e si immedesimano in tutto
ciò che gli sta intorno. Dopo aver condiviso con loro questa esperienza
mistica, si dirigono verso il Buddha Gotama. Sarà in seguito a questo incontro
che Govinda decide di non proseguire con Siddharta il loro cammino e si
aggrega alla setta.
Siddharta prosegue da solo per la sua strada e subito incontra Kamala, da
cui imparerà l’arte dell’amore, ma anche i modi per guadagnare e divertirsi.
Inizia proprio a questo punto il processo di conoscenza di se stesso, poiché il
giovane si lascia andare alle pulsioni, ai desideri e alle debolezze tipiche degli
uomini, cosa che fino ad allora non aveva fatto, anzi aveva considerato come
atteggiamenti negativi da evitare, peccati di cui non sporcarsi.Il senso di
colpa e la consapevolezza di essere incappato in uno sbaglio, conducono
Siddharta alla fuga, lasciando la sua amata che avrà un figlio da lui che dovrà
accudire da sola.
La messa in discussione e l’analisi della propria vita, portano come
conseguenza in Siddharta, la necessità di una redenzione, una sorta di
purificazione che il ragazzo vorrebbe ottenere tramite il suicidio.
Ma la vita sembra dargli un’altra possibilità, o per lo meno un segnale che
distoglie il suo pensiero dall’idea che aveva di morte, quando incontra
nuovamente il suo vecchio amico Govinda a distanza di anni e lì, sulle
sponde di un fiume dove tutto sembrava volgere al termine, Siddharta ritrova
il desiderio di ricominciare.
A quel punto si imbatte in un barcaiolo che insegna al ragazzo l’essenza
dell’acqua, mostrandogli il proprio spirito, come se il fiume fosse un’entità
viva.
Sono molti ancora gli incontri da cui Siddharta dovrà trarre insegnamenti,
sono altrettanti i ricordi che pulsando nelle tempie gli renderanno immagini
apparentemente dimenticate, che lo condurranno al suo passato, al suo
rapporto conflittuale con il padre, e sono ancora tante le cose da
comprendere, su cui riflettere.
Lo scrittore tedesco Hermann Hesse nel libro Siddharta vuole esprimere la
necessità di conoscenza del mondo circostante e soprattutto di quello
interiore attraverso un percorso spirituale e fisico che conduce a se stessi.
Vuole mettere in luce l’essenza del peccato che si nasconde in ogni uomo,
anche quello che appare saggio e puro, ma Hesse vuole, soprattutto,
mostrare quante alternative e possibilità ha ognuno di noi per trovare la
redenzione e una pace interiore che non sia solo fittizia.

E questo può avvenire solo grazie alla conoscenza, alla messa in discussione
e alle esperienze che arricchiscono ogni essere umano

Il vecchio che leggeva libri d’amore


Antonio José Bolívar Proaño, il vecchio che vive ad El Idilio, un piccolo
villaggio del Sud America, è costretto a dare la caccia e ad uccidere una
femmina di tigrillo, un felino feroce che sta uccidendo gli uomini perché
distrutto dal dolore dell'assassinio dei suoi cuccioli. In una digressione si
racconta del passato del vecchio e di come è diventato un esperto della
foresta. Antonio José Bolívar ricorda tutto ciò che gli è capitato prima di
giungere a El Idilio; si era sposato e i due coniugi si erano trasferiti ad El
Idilio. Arrivano nella foresta ma dopo due anni la donna muore, consumata
dalle febbri malariche. Bolívar continua a vivere lì insieme agli shuar, indios
che gli insegnano a vivere con la foresta e con i quali rimane per molti anni.
Questo fino a quando viene esiliato dagli shuar per un errore che lo ha
portato al disonore suo e del compagno di caccia. Da lì inizia a vivere a El
Idilio dove scopre di saper leggere e quindi inizia ad adorare i romanzi
d'amore.

Le sequenze prevalenti nel romanzo sono narrative, descrittive e dialogiche.


Il romanzo inizia con l'esposizione dove viene presentata El Idilio e i
personaggi principali. Segue allora l'esordio, ovvero il fatto che dà inizio al
racconto: l'arrivo di una barca con un morto che secondo il giusto e accurato
esame del vecchio è stato ucciso da un tigrillo. Il romanzo continua con una
serie di mutamenti come il viaggio con la moglie, la vita con gli shuar, e
l'affannosa ricerca del tigrillo, inizialmente in gruppo e infine solo. Vi è poi la
spannung, il momento di massima tensione ritrovabile nell'ultimo scontro tra
il vecchio e il tigrillo al quale è morto il compagno già ferito. Il brano termina
con lo scioglimento individuabile nel ritorno di Bolívar nella sua capanna a
leggere romanzi d'amore. Antonio José alla fine del racconto non è per
niente soddisfatto della sua performance di cacciatore, e prova vergogna per
la sua indegnità che non lo rende vincitore di una battaglia (come
effettivamente apparirebbe agli occhi degli altri abitanti di El Idilio) ma solo
un inutile carnefice, come sarebbe apparso agli occhi degli shuar, i quali
ritengono la doppietta uno strumento di viltà e prediligono il combattimento
corpo a corpo con frecce avvelenate.

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