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© Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Lisa Piazzi* Un marchio di stile virgiliano: il dicolon abundans Apsrract - A distinctive feature of Virgil’s style: the so-called dicolon abun- dans - The article aims to study a typical Virgilian stylistic device, the so-called dicolon abundans, also known as «theme and variation», both through comparison with other repetition figures known to ancient and modern rhetorical reflection (such as interpretatio and hendiadys), and in relation to the Virgilian epic technique and to the Homeric model. The analysis aims to clarify the expressive and stylistic effects that are associated with this figure in particular in the Aeneid. Keyworos. Virgil; Aeneid; dicolon abundans; repetition; «theme and var- iation». Sommanio. L’articolo si propone di studiare un tipico stilema vit il cosiddetto dicolon abundans, noto anche come «tema e variazione», sia attraverso il confronto con altre figure di ripetizione codificate dalla riflessione retorica antica e moderna (come l’interpretatio e l’endiadi), sia in rapporto alla tecnica compositiva virgiliana e al modello ome- rico. L’analisi intende chiarire le finalita espressive e gli effetti stilistici che si accompagnano a questa figura in particolare nell’Eneide. PAROLE CHIAVE. Virgilio; Eneide; dicolon abundans; ripetizione; «tema e variazione». L primo studioso che fa riferimento al cosiddetto dicolon abun- dans é Y'autore dei poderosi Aeneidea, James Henry, il quale, commentando I'Eneide a fine Ottocento, parla piti volte di «tema e variazione» («theme and variation»).! Si tratta di una struttura ridondante esemplificata da molti passi virgiliani, tra i quali, per ¢s,, il celebre incipit del secondo libro virgiliano, conticuere omnes intentique ora tenebant. Il verso sostanzialmente esprime due volte lo stesso concetto ma, appunto, in forma variata: il primo membro ha carattere pitt narrativo-denotativo, il secondo pitt descrittivo, meno generico e fattuale, pi attento a ritrarre la disposizione sog- gettiva dei protagonisti. In questo caso si aggiunge anche un’op- posizione aspettuale tra i due verbi coordinati che incorniciano il * Universita di Pisa: lisa. piaggi@unipi.it * Lespressione Theme and Variation & ripresa anche da K. Quinn, Virgil’s Aencid. A Critical Description, Ann Arbor (1) 1968, pp. 423-428. urTPs://D01.0RG/ 10.19272 /201801702001 - «mp» - 81 2018 Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. 10 Lisa Piaggi verso: il perfetto conticuere con valore puntuale e ‘aoristico’, accen- tuato anche dal preverbio con-, ¢ l'imperfetto durativo tenebant.' In queste pagine mi propongo di studiare questo stilema, defi- nirne i peculiari caratteri distintivi rispetto ad altre figure di ag- giunzione e ripetizione e, soprattutto, cercare di chiarire in vista di quali finalita stilistiche sia impiegato nell’Eneide ¢ a quali moti- vazioni espressive corrisponda. Tenterd di capire se si tratti di una specificita dello stile virgiliano e di indagare in quale misura il feno- meno possa riflettere anche l'intento di imitare lo stile del modello omerico, che, come tutta la poesia legata all’oralita, si caratterizza per un elevato tasso di ridondanza. PaRTE 1 1. 1. La ripetizione in poesia «La coazione a ripetere é stata considerata come una costante del discorso poetico: la attuano rime, assonanze, cadenze ritmiche, allitterazioni ¢ ogni manifestazione del parallelismo a tutti i livel- Ii dell organizzazione del testo».? Se da un lato si pud dire che, «come meccanismo discorsivo fondamentale, la ripetizione (repeti: tiv) si oppone alla variazione (variatio)», & altrettanto vero che «en- trambe possono agire l'una sull'altra: la variatio pud modificare le procedure della ripetizione (cf. per es., la paronomasia ¢ la sinoni- mia), e questa a sua volta intervenire nelle collocazioni in parallelo di elementi tra loro diversi».* La ripetizione con variazione é evi- dente in genere nell’arte popolare come notava Jan Mukatosky:* nel caso dell’Eneide, il nesso tra ripetizione e poesia popolare & colto da Henry nel paragone che egli istituisce con le nenie ¢ le filastrocche della nutrice.’ II fatto poi che la ripetizione pitt o meno * Al dicolon che introduce il racconto retrospettivo di Enea in Aen. 2, 1 ne corri- sponde uno analogo che segna la fine della narrazione al termine del terzo libro (3, 7718 conticuit tandem factoque hic fine quievit). Lo stesso terzo libro si cra aperto con una sequenza di due dicola in tre versi, a dimostrazione della centralita che questa struttu- raassume nel poema, tenendo conto del particolare rilievo della posizione incipitaria alinizio di libro: postquam res Asiae Priamique evertere gentem / immeritam visum superis, ceciditque superbum / Ilium et omnis humo fumat Neptunia Troia (Aen. 3, 1-3) > B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 1997, p. 187. 3 vi, pp. 187-188. + «,..da vera creazione popolare — ad esempio le uova dipinte a Pasqua ~ i ricami, @ infinitamente varia e ricca di sfumature. Si tratta pero di semplici varianti...» (Il significato dell’estetica, Torino 1973, p. 47): > «...just like the nurse who repeates the same sentence, or the same stanza, or the same verse, of the lullaby to the infant she would put to sleep, or whose froward i 5 14 g a o g 2 z g aS B 5 & = 4 z a a z, a % Il dicolon abundans virgiliano u variata sia una procedura stilistica comune nella letteratura orale puo suggerire un confronto col modello privilegiato dell’ Eneide, quello omerico, laddove la variazione sarebbe, secondo Macrobio, un procedimento clettivo di Virgilio che nei cataloghi, diversamen- te da Omero, evita accuratamente la ripetizione invariata." 1. 2. Una prima definizione del dicolon abundans Formalmente il dicolon abundans & una sequenza bimembre, in ge- nere coordinata e semanticamente ridondante. Si compone di due segmenti sintattici consecutivi in duplicazione variata (due sogget- ti, due verbi, due aggettivi) legati da congiunzione (di solito et/ -que, ma anche aut) o in asindeto o anafora, e dotati di omogeneita di contenuto. Come vedremo, nella sua forma pitt semplice il dico- lon puéd essere anche nominale, nel caso in cui siano due semplici sostantivi, e non due frasi, ad essere coordinati, come in Aen. 1, 30 reliquias Danaum atque immitis chilli. Che cosa intende Henry con la definizione di «theme and varia- tion»?? In prima istanza egli sembra assegnare all'espressione un significato vicino alla nozione musicale di ‘tema con variazioni’, che del resto implica per «theme» lidea originaria (connessa con Vetimo del termine: gr. 9é2, lat. thema) di qualcosa che «sta alla base, che viene posto»: il tema él'idea (musicale) di base che viene trasformata attraverso vari procedimenti melodici, ritmici, armo- nici, timbrici, ecc. Ma il tema ¢ anche, in ambito retorico ¢ in un senso piti generale, la materia da claborare, il soggetto di cui il te- sto costituisce l'espansione, la proposizione che si pone e che viene poi sviluppata. Questa concezione del tema come proposta della materia da ela- borare si ritrova in alcuni trattati moderni sulla ripetizione, come temper she would soothe; always, however, in this repetition varying a little, either in tone or in key, in quickness or in slowness, in expression or in words. The repeated thought ... is not a complete and absolute repetition of the just enunciated thought (for no mind patiently endures absolute sameness); itis the just enunciated thought, with something left out, or something added, or both something left out and some- thing added, or it is the just enunciated thought, modified, coloured, enlarged, or in some way varied» (J. Henry, Aeneidea, or critical, exegetical and aesthetical remarks on the ‘Aeneis, London- Edinburgh 1873, vol. 1, p. 46). * Macr. Sat. 5, 15, 14-15 Deinde in catalogo suo curavit Vergilius vitare fastidium, quod Homerus alia ratione non cavit figura saepe repetita ... hic autem variat velut dedecus aut crimen vitans repetitionem 2 «This mode of writing which, adopting the terms of a sister art, I shall call ‘by theme and variation’... » (Henry, Aeneidea cit., vol. 1, p. 745). © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. 12 Lisa Piaggi quello di Madeleine Frédéric. La studiosa, che pure non fa cenno al dicolon abundans, individua tuttavia una forma di ripetizione defini- ta «répétition thématique» (simile alla «répétition synonymique»), i cui caratteri paiono del tutto sovrapponibili a quelli del nostro dicolon.' Quanto alla variagione, secondo Henry questa pud indicare una diversa visualizzazione del tema, un diverso punto di vista del medesimo referente.? Nel tema si annida il messaggio essenziale, subject o topic, mentre la variazione ¢ una componente accessoria, ma non per questo secondaria, anzi costituisce spesso, come vedre- mo, l’elemento di maggior densita semantica. Secondo la prospettiva pitt moderna della linguistica pragmatica theme ¢ variation potrebbero considerarsi sinonimi rispettivamente dei termini tema e rema, a loro volta sinonimi dei termini inglesi topic e comment. I] theme indicherebbe allora cié su cui verte un'af- fermazione, «il dominio per cui vale la predicazione».? Variation corrisponderebbe invece al rema (gr. &fjua, ‘verbo’, ‘parola’, ‘di- scorso detto’) ¢ rappresenterebbe la predicazione che viene fatta, Ja quantita aggiuntiva di informazione riguardo al tema. Conside- rando poi che l'opposizione tema/rema pud ritenersi omologa a quella fra dato (0 noto) € nuovo, si pud sostenere che, in linea di massima, anche nel caso del dicolon, il tema (enunciato di solito nel primo membro) rappresenti I'elemento da considerare noto, tradizionalmente acquisito o perché gia introdotto nel discorso o perché facente parte delle conoscenze che I'autore reputa condivi- se col destinatario, mentre il rema-variazione (espresso di solito nel secondo membro) indichi l'elemento portato come informazione non nota, aggiuntiva. O meglio: che il tema rappresenti la formula- zione pit ovvia ¢ denotativa, mentre la variazione-rema indichi una riscrittura connotata soggettivamente (in senso riflessivo, patetico, * cLa répétition thématique consiste dans le développement d'un méme théme, le mot théme étant pris, ici, au sens de ‘sujet d’un discours’ ... le “condensé sémantique” de ce discours .., 'extraction du theme d'un discours ... résulte d'une démarche ana- logue 4 celle qui préside 4 I'établissement du titre d'une ceuvre... Toutefois, dans la mesure oui ce condensé s¢mantique qu’est le théme se répéte, on se trouve dans une situation proche, cette fois, de celle de la répétition synonymique; proche, mais non semblable, étant donné que la répétition synony mique est limitée a la phrase (elle ne peut porter que sur des mots, des groupes de mots ou des phrases}, alors que la répé- tition thématique est par essence transphrastique» (M. Frédéric, La répétition: étude linguistique et rhétorique, Tubingen 1985, p. 212). * Henry, Aeneidea cit., vol. 111, pp. 655, 667. 2 G. Berruto, Corso elementare di linguistica generale, Torino 2006, p. 81. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Il dicolon abundans virgiliano 3 sentimentale), il cui scarto sul piano sia stilistico sia contenutistico é misurabile a partire dalla formulazione piti neutra rappresentata dal tema. Talora la relazione di somiglianza tra tema e variazione pud es- sere intesa anche in termini di iponimia, cioé di inclusione seman- tica: uno dei due cola esprime un significato pid ampio e generi- ca rispetto a quello espresso dall'altro colon. Di solito liponimo & il secondo colon (la variazione), mentre il primo é T'iperonimo (il tema). E poiché l'iponimo ha sempre una «intensione» pitt ampia (il suo significato contiene pit proprieta) e, proprio per questo, una «estensione»' minore (cioé risulta applicabile a una minor quanti- ta di referenti) rispetto al suo iperonimo, normalmente é la varia- zione che veicola significati pit precisi, meglio definiti ¢ personali, che rispecchiano una visuale insolita, una verita parziale, spesso non coincidente con cid che il senso comune considera un dato di fatto. Naturalmente il rapporto di iponimia riguarda in particolare i sostantivi dei due cola: per es., in Aen. 1, 9-10 tot volvere casus / ... tot adire labores il lessema casus, indicante un generico accadimen- to, pud considerarsi iperonimo di labor, che colora negativamente T'accadimento aggiungendo I'idea di fatica, di pena, con implicito tichiamo—come vedremo (cf. infra) —a un preciso sistema di valori. 1. 3. Come classificare il dicolon abundans In prima approssimazione possiamo inserire la nostra figura tra le procedure per aggiunzione (0 addizione), configurandosi l'abun- dantia, appunto, come aggiunta, ridondanza informativa.? Tra le * Per il significato, in semantica, dei termini intensione ed estenstone, cf. Berruto, Corso elementare cit., p. 08 > Sia aggettivo abundans sia il sostantivo abundantia, usati come termini tecnici in retorica, avevano in genere un significato negativo (per l'abundantia verborum di Cice- rone, conforme al suo ideale di copia verborum e segno nella Pro Sex. Roscio Amerino di redundantia iuvenilis, cf. A.D. Leeman, Orationis ratio, Bologna 1973, p.123). L'abundan- tia é uno dei difetti che secondo Quintiliano giustificano la sua accusa di xaxétyAow id est- mala adfectatio rivolta a Seneca (Nam et tumida et pusilla et praedulcta et abundantia et arcessita ct exultantia sub idem nomen [sc. adfectationis] cadunt, 8, 3, 36), un’accusa rivolta, sia pure per altri motivi, anche a Virgilio da un suo antico detrattore (per il valore di tale accusa, cf. G. B. Conte, Virgilio. L’epica del sentimento, Torino 2007". p. 9). E significativo il fatto che anche Seneca impieghi, in poesia, il dicolon abundans (cf. per es. Agam. 88-89 sidunt ipso pondere magna / caditque oneri fortuna suo, su cui cf. R. Ferri, Octavia. A Play attributed to Seneca, Cambridge 2003, p. 147). Non é rilevante ai fini del nostro discorso il fatto che ripetizione ¢ accumulazione siano tradizionalmen- te classificate come figure di parola, dunque riguardanti la sintassi del nome, mentre il dicolon si realizza (anche) a livello di sintassi della frase. Si vedano le osservazioni - Roma. ‘isa » Pi itore, Copyright by Fabrizio Serra edi 14 Lisa Piaggi forme di aggiunzione potrebbe considerarsi una ripetizione o ite- razione. La ripetizione, infatti, «produce successioni di membri o uguali o variati sia da manipolazioni della forma, sia da mutamenti nella funzione sintattica oppure nel senso delle parole replicate».! Parzialmente accostabile al dicolon virgiliano é il cosiddetto «cumulo sinonimico», che Hofmann-Szantyr definiscono come «]'accostamento di espressioni variamente sfumate per eventi od oggetti visti in astratto come unitariy.? La struttura, che poteva essere bimembre 0, pitl raramente, trimembre, é tipica della lingua della preghiera e di quella magica e giuridica fin dall’eta arcaica: la giustapposizione di espressioni sinonimiche rappresenta in origine un modo di esprimersi “esaustivo’, che nella lingua giuridica ¢ po- sto al servizio della chiarezza e dell’univocita, mentre nella lingua magica ¢ religiosa é volto a «escludere qualsiasi possibilita che la persona o la cosa che interessa non sia inclusa» (si pensi alle anti- che formule di preghiera come quella riportata da Cato, agr. 141, 2 prohibessis, defendas averruncesque ecc.). Nella lingua letteraria il cumulo sinonimico é ben attestato nell’epica ¢ nella tragedia, ma anche in commedia ¢ «risulta uno dei mezzi pit importanti per innalzare lo stile»:? tea gli esemnpi en- niani si potra ricordare Ann. 307 V? qui tum vivebant homines atque devum agitabant (antenato, anche nella struttura, dei dicola sinoni- mici virgiliani) ¢ trag. 231 quo nunc me vortam? quod iter incipiam in- gredi?, riecheggiato, come é noto, da C. Graco, citato in Cic. de or. 3, 244 quo me miser conferam? quo vertam?* di Gian Biagio Conte relative alla figura dell’enallage in Virgilio: «...gli effetti di stile nascono dalla forzatura o dall’alterazione dei costrutti normali; ma finora abbiamo preso in esame soltanto le figure di parola che si producono nella sintassi dei nomi... Effetti ancora pit drastici, perd, 'enallage li pud ottenere manipolando la sintassi dei verbi. Forse @ impreciso utilizzare la medesima denominazione per indicare procedi- menti linguistici che si applicano a parti e funzioni diverse del discorso, ma é certo che i retori antichi, e con loro anche molti dei moderni, hanno di solito compreso sotto l’unica etichetta di enallage (0 ipallage) Ie pitt svariate violazioni sintattiche ... ¢ secondario che linfrazione riguardila sintassi dei nomi o la sintassi dei verbi» (Conte, Virgilio, Liepica del sentimento cit., pp. 27-28). Analogamente, come si vedra, si pud patlare anche di dicola.‘nominali,, ovvero di riprese con variazione che coinvolgono sintagmi nominali e non proposizioni intere. } Mortara Garavelli, Manuale di retorica cit., p. 185. + J.B. Hofmann, A, Szantyr, Lateinische Syntax und Stilistik, Minchen 1965, pp. 786 8.; tr it, Stilistica latina, a cura di A. Traina, tr. diC. Neri, Bologna 2002, pp. 16455. > Ivi, p. 787 (tr. it, p. 167). + Molti esempi dalla poesia arcaica si leggono in H. Hafiter, Untersuchungen gur altlateinischen Dichtersprache, Berlin 1934, pp. 62 Ss., ma si trata perlopiti di coppie di © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Tl dicolon abundans virgiliano 5 Tuttavia, tra le figure codificate dalla retorica classica, quella a cui il dicolon virgiliano sembra avvicinarsi di pid ¢ la cosiddetta in- terpretatio, indicata nei moderni trattati di retorica anche come «si- nonimia glossante».! L’autore della Rhetorica ad Herennium definisce la figura in questi termini: Interpretatio est, quae non iterans idem redintegrat verbum, sed id commutat, quod positum est, alio verbo, quod idem valeat, hoc modo: ‘Rem publicam radicitus evertisti, civitatem funditus deiecis- ti’, Item: ‘Patrem nefarie verberasti, parenti manus scelerate attulisti’. Necessum est eius, qui audit, animum commoveri, cum gra- vitas prioris dicti renovatur interpretatione verborum. (4, 28, 38) La definizione risulta di qualche interesse per i dicola virgiliani, so- prattutto perché pone l’accento sull’effetto patetico di intensifica- zione (animum commoveri) derivante dalla ripetizione sinonimica di un enunciato. Simile per certi aspetti anche la definizione di expolitio, che si legge poco oltre nello stesso libro della Rhetorica ad Herennium: Expolitio est,cumin eodem loco manemus et aliud atque aliud dicere videmur. Ea dupliciter fit: si aut eandem plane dicemus rem, autde eademre.Eandem rem dicemus, non eodem modo-nam id quidem optundere auditorem est, non rem expolire — sed commu- tate. Commutabimus tripliciter: verbis, pronuntiando, tractando. Verbis commutabimus, cum re semel dicta iterum aut saepius aliis verbis, quae idem valeant, eadem res proferetur... (4) 42, 54) Mentre la ripetizione pura e semplice avrebbe I'effetto di infastidire Luditore (optundere auditorem), Vexpolitio consiste nella ripetizione variata di uno stesso concetto, ovvero nell’«indugiare» (manere) in un medesimo luogo, dando I'impressione di dire altro. La finalita sembra essere di tipo esclusivamente ornamentale, come suggeri- sinonimi (verbi 0 aggettivi) coordinate o in asindeto e non di interi cola ‘doppiati’ attraverso una variazione, come ¢ il caso della figura virgiliana. * Per la definizione di sinonimia glossante o interpretatio si veda per es. H. Laus- berg, Elementi di retorica, tr. it., Bologna 1969, pp. 152, 188. Giustamente tuttavia G. Calboli nel suo commento a Rhet, Her. 4, 28, 38 osserva che «la corrispondenza colla sinonimia non é certo perfetta, se non altro perché 1a sinonimia riguarda singoli vo- caboli, mentre qui si tratta di un intero colon ripreso con un colon di uguale significato il secondo colon interpreta e spiega il primo» (Comifici Rhetorica ad C. Herennium, introd., testo critico ¢ comm. a cura di G. Calboli, Bologna 1969, p. 364). ) Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. © 16 Lisa Piaggi sce il nome stesso della figura, che rimanda all’idea di levigatura e abbellimento. Interessanti anche le riflessioni svolte da Gellio in Noctes Atticae 43, 25, dove a partire da un passo di Cicerone si discute sugli effet- ti che la ripetizione sinonimica (repetitio instauratioque eiusdem rei sub alio nomine) produce nel discorso: num ornat, ut alioqui solet, orationem? num eam modulatiorem aptioremque reddit? num onerandi vel exprobrandi criminis causa exaggerationem aliquam speciosam facit? (43, 25, 9).-A questo proposito Favorino cita tra l'altro un passo delle Rane di Aristofane in cui Euripide sbeffeggia Eschilo proprio per la sua abitudine di dire due volte la medesima cosa." La conclusione é che tale abbondanza verbale contribuisce all’elevatezza dell’espres- sione ¢ al coinvolgimento del lettore o ascoltatore: ...quia cum dig- nitate orationis et cum gravi verborum copia dicuntur, quamquam eadem fere sint et ex una sententia cooriantur, plura tamen esse existimantur, quoniam et aures et animus saepe feriunt (13, 25, 11). Il discorso prosegue con la citazione di alcuni versi omerici, tra i quali Iliade 7, 279, comparabile per certi aspetti ai dicola virgiliani (cf. infra, p. 27 n. 1 per altri esempi omerici): wqxéte, mold gtho, noheuifere pode payeo9e («cari figli, non lottate, non combattete pitt oltre»). Linterpretatio poteva servire anche a chiarire, attraverso uno 0 pid sinonimi, un’espressione oscura o difficile.? Vedremo che in effetti in Virgilio esistono casi in cui il secondo elemento del di- colon pud avere funzione esplicativa nei confronti del primo: per es., se in Aen. 1, 9-10 tot volvere casus / ...tot adire labores il nesso volvere casus deve essere considerato un'enallage per casibus volvi, come sostiene gia Servio,* allora il secondo colon avrebbe anche la funzione di chiarire, attraverso un'espressione sinonimica ma pitt * Rane 113285, a1. xourig revi wor ospuayic T aivoupéve. |. / Fawyap cic yy vy Be nai narépyoua.». / wu diz tadtay huby elnev 6 copie Alsyshos. / pI. mig Biz; KU. Bnémer vd fii” ey 3 aor gpiaw. / «jjne yep cig YF» gyal, «nai naréproparr. / ‘fuety BE cadtéy 2ot1 tw xartépyouat (a:SCHILO : Sii mio salvatore c alleato, ti supplico. Sono tornato a questa terra ¢ vengo reduce; ruripips: Dice due volte la stessa cosa, il nostro dotto Eschilo; prontso: Come, due volte?; rurtrne: Attento alle parole; te lo dimostro io. ‘Sono tornato a questa terra’ dice, ‘e vengo reduce’. Ma essere tornato é la stessa cosa di venire reduce»: tr, di D, Del Corno). * Quintiliano (8, 2, 13) per es. scrive che le parole oscure sono da evitare o almeno devono essere accompagnate da una spiegazione sinonimica: vel vitanda ... vel inter- pretanda sunt, dove interpretari, al pari di interpretatio, siriferisce a una riformulazione pitt chiara di un concetto non immediatamente comprensibile. ? Serv. ad loc. Volvere casus, id est casibus volvi. et est figura hypallage, quae fit quo- tienseumgue per contrarium verba intelleguntur. sic alibi ‘dare classibus austras’, cum ventis naves demus, nan navibus ventos. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. I dicolon abundans virgiliano 17 piana e denotativa, il costrutto sintattico ‘difficile’ del primo colon. E questa la figura che la Frédéric definisce come «répetition répondant A un souci de clarté».! In quest’ambito rientrano, come vedremo, gran parte dei dicola omerici, quasi sempre finalizzati alla chiarezza o all'intensificazione di un’espressione. Dicola di questo tipo si ri- trovano anche nel testo di Lucrezio, dove svolgono soprattutto una funzione didascalica ¢ concorrono al rafforzamento di un’idea ¢ alla rappresentazione pi incisiva di un concetto. Anche se non é questa la funzione pit significativa del dicolon nell Eneide, tuttavia un esem- pio come De rerum natura 4, 1147-1148 quam captum retibus ipsis / exi- re et validos Veneris perrumpere nodos sembra condividere col dicolon virgiliano il tratto di una maggiore descrittivita del secondo colon, pit ampio del primo e caratterizzato dall'allitterazione, dall’epiteto ornante validos ¢ dalla metafora dei nodi di Venere, che riprende ¢ amplia il riferimento alle reti contenuto nel primo colon.? Altri esem- pi lucreziani si inseriscono nel pid ampio capitolo delle ripetizioni della ‘legge del raddoppio’ messa in luce da Dionigi, che raccoglie numerosi casi di versi costituiti da emistichi sinonimici ¢ osserva come «adattato e costretto al ritmo dell’esametro, l’espediente reto- rico non poteva non rafforzare la sua incisivita pedagogica».? Non * Frédéric, La répétition cit., p. 127. > A proposito di questo dicolon lucreziano si vedano le considerazioni di Edward J. Kenney: «the device familiar from the classic note of J. Henry, Aencidea 1, 206-207, 745-751 as ‘theme and variation’ was not invented by Virgil but was taken over with so much else from earlier poetry and refined in his inimitable manner» (E. J. Kenney, Doctus Lucretius, «Mnemosyne » 23, 1970, p. 386 1. 1). > 1 Dionigi, Lucrezio. Le parole ele case, Bologna 192°, p. 79. Tra i molti csempi di di- cola lucreziani si possono citare De rerum natura 2, 1122-1123 nam qudecumque vides hilaro grandescere adauctu / paulatimque gradus aetatis scandere adultae; 5, 435 diffluere umorem at laticem discedere cernis; 3, 681 tum cum gignimur et vitae cum limen inimus (dove il se- condo membro ribadisce in forma metaforica e connotativa cid che era gia espresso in forma denotativa nel primo membro); 3, 830 mil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum (il celebre verso che suggella la lunga sezione argomentativa sulla mortalita dell'anima); 4, 1117 inde redit rabies eadem et furor ille revisit; 6, 348 s. incolumisque venit per se atque integra transit / multa; 6, 356 dissolvunt nodos omnis et vincla relaxant; 6, 319 at retinere diu pluviae longumque morari / consuerunt. Si veda anche la sequenza di 3, 136- 139, che contiene due ‘temi con variazione”: nunc animum atque animam dico coniuncta teneri / inter se atque unam naturam conficere ex se, / sed caput esse quasi et dominari in corpore toto / consilium quod nos animum mentemque vocamus. Un esempio di ‘dicolon nominale’ del tipo di quelli che si discuteranno pitl sotto per Virgilio @ la celebre iunctura formulare non radii solis neque lucida tela diet, espressione ridondante in cui i raggi del sole sono indicati una prima volta in forma denotativa, una seconda volta per metafora. A proposito della funzionalita didascalica di questo tipo di ridondanza giovera ricordare la nota affermazione di Empedocle xmi dic yap, 4 Set, xakov Eotty , Pisa: Roma. y Fabrizio Serra editore ) Copyright by © 18 Lisa Piaggi stupisce che dicola di carattere didascalico si ritrovino anche nelle Georgiche, che da Lucrezio riprendono stilemi ¢ formule del gene- re: si vedano per es. georg. 1, 84-85 saepe etiam sterilis incendere pro- fuit agros / atque levem stipulam crepitantibus urere flammis; 2, 511-512 exilioque domos et dulcia limina mutant / atque alio patriam quaerunt sub sole iacentem; 4, 104 contemnuntque favos et frigida tecta relinquunt. Una connessione si pud stabilire anche tra il dicolon ¢ la figu- ra dell’endiadi,’ che, come é noto, consiste nell’impiegare «due espressioni coordinate (generalmente due nomi) al posto di un’e- spressione composta da due membri di cui I'uno sia subordinato all'altro (aggettivo + nome, oppure nome + specificazione com- plementare subordinata».? Il dicolon assomiglierebbe all’endia- di pit che all'accumulazione in quanto esaurisce la sfaccettatura di un concetto attraverso due (e solo duc) espressioni, mentre in una sequenza di pitt determinazioni (0 pia cola), I'elenco potrebbe andare avanti.* Lendiadi sembrerebbe quasi una sorta di cellula generativa del dicolon, in quanto opera lo sdoppiamento di un con- cetto unitario in due membri coordinati che vengono posti sullo stesso piano anziché essere uno subordinato all'altro: si pensi all’e- sempio classico di georg. 2, 192 pateris libamus et auro (in luogo di pateris aureis libamus) 0 a molti altri esempi virgiliani come Aen. 1, 293 ferro et compagibus artis; 11, 22 socios inhumataque corpora e 571 equae mammis et lacte ferino. In tutti questi casi il secondo mem- bro non costituisce tanto la variazione del primo quanto piutto- sto un suo completamento e la giustapposizione dei due termini da luogo a un concetto compatto e unitario. In questa direzione vanno dicola quali Aen. 3, 29-30 mihi frigidus horror / membra quatit gelidusque coit formidine sanguis e 5, 395-396 gelidus tardante senecta / sanguis hebet frigentque effetae in corpore vires, dove la compresenza 1 Come caso particolare di endiadi Ferri interpreta i dicola frequenti, dopo Virgilio, in Lucano, Ovidio, Seneca: «Latin poets, especially after Vergil, resort largely to a stylistic device known as dicolon abundans, or ‘theme and variation’, a special case of hendiadys consisting of two parallel cola partly overlapping in sense...» (Ferri, Octavia cit., p. 147) * Mortara Garavelli, Manuale di relorica cit., p. 219. In particolare su Virgilio si veda Ia voce Endiadi (di G. Calboli), in Enciclopedia virgiliana, 11, Roma 1985, pp. 220 s. » «Se ‘Tuno tramite due’ della successione dei sinonimi viene distinto dall"uno tramite molti’, cié ha un fondamento nella psicologia del linguaggio: salvos et sa- ‘nus (cf. Plaut. Ep. 563) ha qualcosa di definitivo, il concetto é affermato da entrambe le parti. Una successione di sinonimi strepitus, crepitus, sonitus, tonitrus (Plaut. Amph. 1062) invece ha piuttosto il carattere della schiettezza di linguaggio, ¢ la sequenza si potrebbe allungare ancora (cumtulazione}» (Maurach, Enchiridion Pocticum, tr. it., Brescia 1999, p. 37) © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Tl dicolon abundans virgiliano 19 di due membri coordinati e quasi sinonimici esprime un concetto unitario, ovvero il brivido di terrore che scuote le membra ¢ gela il sangue nel primo caso ¢ I'affievolirsi delle forze per la vecchiaia nel secondo. In entrambi i casi c’é una ripresa con variazione dei medesimi concetti tra il primo e il secondo membro, che risultano cosi complementari: nel primo caso frigidus é ripreso da gelidus ead horror corrisponde formidine, mentre nel secondo gelidus ¢ frigent si richiamano, cosi come pure tardante senecta ¢ effetae. La frequenza di figure basate sulla coordinazione, come l’endia- di e il dicolon, va ricondotta anche alla preferenza di Virgilio per la paratassi e l’isocolia, che diventano ingredienti di un nuovo sti- le ‘sublime’, al cui conseguimento la ripetizione appare come un mezzo di per sé efficace. Secondo Palmer, diversamente dai prede- cessori Lucrezio e Catullo, Virgilio «aveva imparato dai suoi mae- stri di retorica che la prosa capace di suscitare la pit alta tensione emotiva non richiede ipotassi né periodi lunghi ed elaborati .... ma esige piuttosto una costruzione paratattica ... le interrogative retoriche, le esclamazioni, le frasi brevi ¢ rapide reciprocamente equilibrantesi, una simmetria messa in risalto da espedienti come antitesi, anafore, omoioteleuti, chiasmi: tali erano gli accorgimenti retorici prescritti per conferire al testo potenza, energie e intensita (Sew6ry¢), tale fu lo stile introdotto da Virgilio nell’epica roma- nap." Il dicolon, accanto all’anafora e al ‘tricolon ascendente’ sarebbe una di queste stilizzazioni retoriche tipiche dello stile virgiliano. Molti degli esempi di paratassi citati da Norden nelle appendici al suo commento del libro vi danno luogo a dicola abundantia, alceu- ni anche con inversione logica nella successione dei due membri (Gotepov xpdtegoy): si vedano per es. Aen. 2, 353 moriamur et in me- dia arma ruamus (= ruentes moriamur, con anticipazione espressiva del concetto fondamentale, quello della morte, che viene dram- maticamente messo in rilievo al primo posto); 5, 292 invitat pretiis animos et praemia ponit (= praemiis positis invitat); 7, 7 tendit iter velis * L. Palmer, La lingua latina, tr. it., Torino 1977, p. 142. Sulla predilezione virgiliana per la paratassi cf. anche Quinn, Virgil’s Aeneid cit., pp. 423 s.: «The word or phrase may be simply repeted; or a phrase may be followed by a variation of it (to give the idea amplitude, dignity, or pathos...). But side by side with these are repetitions which are the result of a more primitive habit of thought in which the components of a complex situation or idea are juxtaposed instead of being gathered together in a syntactical synthesis that extracts the most important element and subordinates the others to it». © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. 20 Lisa Piaggi portumque relinquit (= portu relicto tendit iter); 10, 819 s. vita per au- ras / concessit maesta ad manis corpusque relinquit (= corpore relicto vita concessit).? D'altra parte la duplicazione dei segmenti che costi- tuiscono i due membri del dicolon (verbi, sostantivi, aggettivi) va di pari passo con la predilezione di Virgilio per il parallelismo, come risulta da casi quali Aen. 1, 209 spem vultu simulat, premit altum corde dolorem, dove ciascuno dei due emistichi presenta un verbo, un ac- cusativo dell oggetto diretto ¢ un ablative di stato in luogo figurato (su questo esempio cf. anche infra). Formalmente non molto diversa dall’endiadi, e talvolta difficil- mente distinguibile da essa, é la cosiddetta copula epesegetica, ov- vero una struttura coordinante in cui la congiunzione copulativa introduce un’espressione che spiega o chiarisce quanto precede (et 0 -que utilizzati nel senso di id est, ‘e cio’). L'espressione epexegesis, che ricalea la terminologia grammaticale greca @mebhyyot<), si trova gia in Servio, che la impiega a proposito di espressioni quali Aen. 1, 27 iudicium Paridis spretaeque iniuria formae («il giudizio di Paride ¢ l'offesa della bellezza [di Giunone] disprezzata»), classifi- cabile anche come dicolon abundans: il sintagma spretaeque iniuria formae sarebbe secondo Servio epesegetico, in quanto riformula ed esplicita il concetto gia espresso in iudicium Paridis, aggiungendo tuttavia una connotazione soggettiva ¢ simpatetica nei riguardi di Giunone (cf. infra).? Un ultimo confronto si pué istituire infine con un’altra figura ben documentata nella lingua poetica latina, ¢ segnatamente in alcuni passi virgiliani, la cosiddetta ‘nominis commutatio riflessiva’ secondo la definizione che ne diede Antonio La Penna: si tratta di «un particolare tipo di ridondanza consistente nell elegante ripresa del soggetto mediante un sinonimo, per lo pit all'ablativo, accom- pagnato da un aggettivo».* Un esempio é costituito da Aen. 1, 246 it > Ma cf. N. Horsfall, Virgil, Aeneid 7: A Commentary, Berlin-Boston 2000, p. 52, che nona torto nota come «the two actions are simultaneous, paratactic and fall, almost, into the category of ‘theme and variation’ ». 2 E. Norden, P. Vergilius Maro, Aeneis Buch vr, Stuttgart 19574, p. 379. * Sulla copula epesegetica si veda P. Nissen, Die epexegetische Copula (sog. et expli- cativum) bet Vergil und cinigen anderen Autoren, Diss., Kiel 1915, ¢ la voce di C. Grassi in Enciclopedia virgiliana, 1, Roma 1984, p. 883. In alcuni casi € difficile distinguere tra copula epesegetica ed endiadi, come per es. in Aen, 4, 355 quem [sc. Ascanium] regno Hesperiae fraudo et fatalibus arvis, che pud essere parafrasato sia come «che privo del regno di Esperia, cioé la terra destinata dal fato» (copula epesegetica) sia come «che privo del regno di Esperia destinato dal fato» (endiadi).. + B Dainotti, Ancora sulla cosiddetta “nominis commutatio riflessiva’, «at» 60, 2008, p. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Idicolon abundans virgiliano 24 mare proruptum, et pelago premit arva sonanti, che si pud considerare anche come un dicolon abundans in cui il secondo membro sviluppa ed amplia il concetto enunciato nel primo. Le due figure si diffe- renziano in quanto di solito nel dicolon si tendono a replicare tutti gli elementi del primo colon nel secondo (due soggetti, due verbi, due aggettivi, ecc.), mentre la nominis commutatio duplica il sog- getto attraverso un sinonimo in ablative anche all'interno di una stessa proposizione, non necessariamente in una frase coordinata. Tuttavia risultano simili in entrambi i casi il procedimento di du- plicazione variata ¢ la funzione di ‘appoggio’ svolta dal sinonimo, che consente di arricchire la prima formulazione con l'aggiunta di un altro aggettivo. Non a caso Alessandro Ronconi, in una nota in margine allo studio di La Penna, metteva in relazione la nominis commutatio con il «modulo dittologico arcaico che di un concetto unitario fa un’alterita di momenti o aspetti collocati in un rapporto di correlazione (mens animusque) oppure di dipendenza (mens ani- mi)», modulo che, come sié gia visto, pud essere chiamato in cau- sa anche come cellula generativa del dicolon abundans. La distinzione nell’unita sarebbe dunque un tratto semantica- mente caratterizzante della figura di cui ci stiamo occupando: cid che sembra accomunare queste ripetizioni-variazioni pit o meno sinonimiche di un medesimo concetto in emistichi 0 segmenti con- secutivi ¢ il fata che spesso il secondo elemento aggiunge al primo un'ombra pensosa, un gesto di riflessione, una coloritura patetico- sentimentale, in cui si pud ritenere che risieda la principale specifi- cita dell’ epos virgiliano rispetto al modello omerico. 1. 4, Ripetigione e tecnica compositiva in Virgilio La tendenza alla ripetizione ¢ un tratto caratterizzante della lingua poctica virgiliana ¢ si attua attraverso molteplici figure: anafore, formule della poesia bucolica, didascalica ed epica.? La frequenza delle ripetizioni é tale, in particolare nelle Georgiche e nell'Eneide, 225. La definizione si deve, come é noto, a La Penna, che ha ripreso alcune osserva- zioni di Housman e Shackleton Bailey individuando altri esempi di questo sintagma poctico negli autori latini: cf. A. La Penna, Nominis commutatio riflessiva (Virgilio, Ge. 2, 247 ¢ und nota di Housman), «Riv. Filol, Istr. Class.» 107, 1979, pp. 5-11 * A. Ronconi, A proposito della nominis commutatio riflessiva, «Riv. Filol, Istr, Class.» 107, 1979, Pp. 11. * Si vedano le voci Ripetigione di W. W. Briggs © Eneide, problematica ecdotica di M. Geymonat nell Enciclopedia virgiliana, nonché il classico J. Sparrow, Half.lines and repe- titions in Virgil, Oxford 193 © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma, 22 Lisa Piaggi che gli studiosi si sono chiesti se siano sempre intenzionali o se, al- meno in certi casi, non si tratti di interpolazioni; ¢, nel primo caso, se non rispecchino una fase compositiva iniziale ¢ prowvisoria. Nel- la Vita Donatiana si racconta che Virgilio, nel volgere in poesia l'ab- bozzo in prosa dell'Eneide, non lavorava seriatim ma particulatim, inserendo nel testo versi incompiuti (versus imperfecti) o banali (ver- sus levissimi), in modo da concludere il passo senza interrompere il flusso dell'ispirazione. Virgilio chiamava alcuni versi tibicines 0 «so- stegni temporanei», che dovevano servire finché non fossero stati rifiniti i versi appropriati.’ Ci si potrebbe anche chiedere se, a favo- rire il ricorso al dicolon — che generalmente consta di due emistichi coordinati -, non abbiano contribuito sia la predilezione virgiliana per la paratassi, sia la stessa tecnica compositiva di Virgilio, che la- vorava su cola diversi senza un ordine fisso (particulatim, appunto), lasciando in sospeso emistichi che si proponeva di completare in un secondo tempo (¢ che in alcuni casi sono rimasti incompiuti, come testimoniano i tibicines). Un interessante, anche se non troppo verosimile aneddoto tra- mandatoci dalla Vita Donati (34), ci ricorda come Virgilio andasse completando i suoi versi: Erotem librarium et libertum eius exactae iam senectutis tradunt referre solitum, quondam eum in recitando duos dimidiatos versus complesse ex tempore. Nam cum hactenus haberet [Aen. 6, 164] ‘Misenum Aeoliden’ adiecisse: ‘quo non praestantior alter’, item huic [6, 165] ‘aere ciere viros’ simili calore iactatum subiunxisse: ‘Mar- temque accendere cantu’, statimque sibi imperasse ut utrumque volumini adscriberet. E significativo che, almeno in questo secondo caso, la presunta aggiunta estemporanea dia luogo, appunto, a un dicolon abundans.? Certo tali notizie vanno prese con cautela e non biso- gna sopravvalutarne I’attendibilita, ma la testimonianza suggerisce in ogni caso che gia i lettori antichi individuavano nel dicolon una cellula gencrativa del testo virgiliano. * Leggiamo nella Vita di Donato (23-24): Aeneida prosa prius oratione formatam di- gestamgue in xu libros particulatim componere instiluit, prout liberet quidque, et nihil in ordinem arripiens. Ac ne quid impetum moraretur, quaedam inperfécta transmisit, alta levis- simis versibus veluti fulsit, quae per iocurn pro tibicinibus interponi aiebat ad sustinendum opus, donec solidae columnae advenirent. Per un inquadramento della questione si veda la voce di V. Viparelli, Tibicines, in Enciclopedia virgiliana, v, Roma 1990, pp. 167-170. 2 Si vedano in proposito le osservazioni di N. Horsfall, Virgil, Aencid 6: A Commen- tary, Berlin-Boston 2013, p. 176: «A fine ringing line, framed by the abls., and then by the infins., with the two objects juxtaposed at midline». In questo caso (Aen. 6, 165), come avviene anche altrove, il dicolon si accompagna a una struttura a cornice con i due ablativi aere e cantu che chiudono il verso: cast analoghi sono raccolti da P. Dainotti, Word Order and Expressiveness in the Aeneid, Berlin-Boston 2015, p. 222 n. 682. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Tdicolon abundans virgiliano 3 Molti emistichi rimasti tali spiegano poi i tentativi di integrazio- ne ¢ completamento compiuti fin dal primo secolo, come ci testi- monia un passo di Seneca filosofo, che integra il proverbiale auden- tis Fortuna iuvat (Aen. 10, 284) con l'espressione piger ipse sibi obstat (epist. 94, 28), costruendo in pratica un dicolon abundans, sebbene antonimico. Significativa in tal senso mi pare anche la testimonian- za di Seneca padre, che ricorda il giudizio di Messalla su Aen. 11, 290: ‘haesit’ Messala aiebat hic Vergilium debuisse desinere: quod sequi- tur ‘et in decimum vestigia rettulit annum’ explementum esse (Suas. 2, 20). Se fosse vero, anche in questo caso, il «completamento» (ex- plementum) apportato da mano ignota, darebbe luogo a una sorta di dicolon esplicativo, precisando la durata del ritardo (haesit) della vittoria dei Greci grazie al valore di Enea ¢ di Ettore. Anche se non é possibile dimostrare in nessun caso che il secondo membro di alcuni dicold sia interpolato, si pué tuttavia ipotizzare che la pre- senza dei tibicines, il modo di comporte versi di Virgilio e l'incom- piutezza del poema possano aver favorito l'integrazione di alcuni emistichi in forma di ripetizione pit o meno sinonimica, a dispetto della raccomandazione di Augusto rivolta a Vario di nihil addere.' Certo, molti di questi versi incompleti hanno una ragione espressiva e probabilmente Virgilio li avrebbe conservati anche nella rielaborazione definitiva, come nel caso di Aen. 4, 361 Italiam non sponte sequor (dove gia Serv. ad loc. notava: et oratorie ibi finivit, ubi vis argumenti constitit) e di altri che segnalano una pausa nar- rativa, un cambio di scena, la conclusione di un discorso. Ma pud essere accaduto che la funzionalita non fosse colta e linnovazione metrico-stilistica non compresa, con la conseguenza che alcuni co- pisti claborassero integrazioni pit o meno fortunate. E possibile che, oltre ai quasi sessanta emistichi lasciati incompleti nel testo tradito e rimasti tali fino a noi, altri ce ne fossero, che oggi non * In effetti, per ordine di Augusto ogni aggiunta era preclusa ai primi editori: Au- guslus vero, ne tantum opus periret, Tuccam et Varium hac lege iussit emendare, ut superflua demerent, nihil adderent tamen (Serv. Vita 29-31). Tuttavia secondo Sparrow (Half tines and repetitions in Virgil cit., pp. 7 ss.) le interpolazioni hanno avuto sul testo di Virgilio pitt influenza di quanto generalmente si crede ¢ il loro effetto é stato il decremento del numero originario dei versi incompiuti c I'aumento del numero delle ripetizioni. Un esempio di tibicen completato da interpolazione é probabilmente Aen. 4, 380 Ita- liam quaero patriam et genus ab Jove summo, dove la precisazione et genus ab love summa sirivela una maldestra aggiunta proveniente dal passo di Aen. 6, 123, in cui é invece del tutto pertinente al contesto: cf. G. B. Conte (ed.), P. Vergilins Maro, Aeneis, Berlin-New York 2009, p. 16, e Idem, Marginalia, Note critéche all edigione teubneriana dé Virgilio, Pisa 2016, PP. 47-49. - Roma. ‘isa , Pi litore Copyright by Fabrizio Serra ed: 24 Lisa Piaggi sono piti riconoscibili perché completati da interventi successivi. E non si pué escludere che alcuni di questi completamenti avve- nissero nel modo che poteva sembrare il pitt semplice ¢ rispettoso della volonta dell’autore: mediante l'aggiunta di un secondo colon che replicava in maniera quasi sinonimica 0 chiariva il contenuto dell’emistichio lasciato in sospeso. Anche nel caso di quel particolare tipo di ripetizione che é il di- colon abundans dovremo, dunque, tenere conto delle alternative sin qui offerte dalla critica per spiegare in generale le ripetizioni in Vir- gilio: dovute a interpolazione; provvisori strumenti del laborato- tio poetico virgiliano (tibicines), divenuti definitivi in assenza di una revisione finale; effetto dell orecchio interno’ del poeta che lo por- tava a riecheggiare inconsciamente se stesso; espressioni costruite intenzionalmente in vista di precisi effetti stilistici. Quest’ultimo caso € owviamente quello che pi ci interessa. 1. 5. La ripetizione in Virgilio e in Omero Parlare di ripetizioni in Virgilio impone il confronto con il model- lo principe dell’ Eneide, quello omerico. Com’é noto, la ripetizione in Omero riguarda principalmente il fenomeno della formularita, cioé della ripetizione a distanza di versi interi o segmenti di versi in situazioni tipiche (per es. il sorgere dell’aurora) o di nessi standar- dizzati nome-epiteto. Vincenzo Di Benedetto ha mostrato come le formule tendano perlopia all’estensione (riferendosi a tutto cid che é tipico, costante, ripetitivo e saturando le varie partizioni del verso)! ¢ all’economia. E superfluo qui precisare i vantaggi che l'uso di sistemi formu- lari offriva al pocta epico nel comporre improvvisando ed é abba- stanza ovvio che i procedimenti suddetti perdono ogni ragion d’es- sere nell’epos virgiliano. Tuttavia ha senso interrogarsi su come Virgilio si rapporti a Omero riguardo alla formularita in generale e alla ripetizione di segmenti testuali in particolare. In una dizione epica come quella virgiliana, dove formule stereotipe ¢ versi ricor- renti hanno perduto ogni funzionalita legata alle esigenze modula- ri della composizione orale, alcune espressioni formulari possono tuttavia considerarsi come tratti di una stilizzazione omerica, in- * Per es. per Ettore esistono tre formule finali di diversa estensione (phaidimos Hektor, obrims Hektor, korythaiolos Hektor 0 megas korythatolos Hektor): cf. V. Di Bene- detto, Nel Laboratorio di Omero, Torino 1994, pp. 122 ss. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Tl dicolon abundans virgiliano 25 terpretabili come la restaurazione di un «marchio di stile».' Oltre agli cpiteti riservati al solo protagonista del poema (pater Aeneas, pius Aeneas, Troius Aeneas), si possono considerare: - alcune sequenze (di piccoli membri, talora emistichi) relative a situazioni tipiche come Vinizio e la fine dei discorsi (per es. Aen. 4, 219 € 6, 124); le formule di benvenuto ufficiale pronunciate da un re (in 1, 571 Didone, ¢ in 8, 171 Evandro si rivolgono a Enea con espressioni quasi identiche); la descrizione di albe ¢ tramon- ti (per es. 2, 9; 4, 81); le battaglie ¢ le morti di croi (in 11, 45 Enea ¢ in 14, 152 Evandro usano quasi le stesse parole a sottolineare il loro dolore per la morte di Pallante); similitudini ricorrenti, ene: = espressioni che imitano la scarna oggettivita delle clausole, con cui Omero suggella una sequenza («si sciolsero le ginocchia», «lo avvolse la morte»); - sintagmi ripetuti quasi uguali nella stessa posizione metrica a distanza di libri. Ma queste procedure dell’imitari Homerum virgiliano, che mirano a clevare lo stile in ottemperanza ai requisiti del genere, hanno poco ache fare col dicolon abundans, in quanto non riguardano la ripeti- zione consecutiva di segmenti formalmente diversi ma semantica- mente equivalenti. Non mancano tuttavia esempi di ripresa, in for- ma di dicolon abundans, di una formula omerica: é il caso di Hom. Od. 3, 67 advke énet mdavag ual ESytboc 2 Epov Evto («come la voglia di cibo ¢ di vino scacciarono»), ricreata attraverso due cola paratattici sinonimici in Aen. 4, 216 postquam exempta fames epu- lis mensaeque remotae e replicata in forma variata in 1, 723 postquam prima quies epulis mensaeque remotae € 8, 184 postquam exempta fa- mes et amor compressus edendi; o di Od. 1, 325 s. of 88 cua | clot’ dxobovres («in silenzio essi sedevano attenti», all’inizio della per- {formance dell'aedo Femio), che Virgilio trasforma sostituendo alla * Conte, Virgilio. L'epica del sentimento cit., pp. 159 ss. Sulla differenze tra la formula- rita omerica ¢ le ripetizioni virgiliane si sofferma anche Sparrow, Half-ines and repeti- tions in Virgil cit., p. 81: «Homer repeats many lines dozens of times, in the Aeneid the same line occurs on more than two occasions only twice and never more than three times». Sulla formularita virgiliana si veda anche W. Moskalew, Formular Language and Poetic Design in the Aeneid, Leiden 1982; pit in generale, per un inquadramento del rapporto Virgilio-Omero che trascende la questione delle ripetizioni ¢ riguarda anche aspetti piti generali, come la costruzione del racconto, la struttura del poema ¢ la ripresa di scene tipiche, é d’obbligo il rinvio a G. N. Knauer, Die Aencis und Homer. Studien gur poetischen Technile Vergils mit Listen der Homergitate in der Aeneis, Gottingen 1964. © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. 26 Lisa Piazzi coppia verbo finito + participio una struttura bimembre sinonimi- a ¢ paratattica (proprio quella che Henry assume come esempio tipico di dicolon) nel celebre esordio del 11 libro, all’inizio del rac- conto di Enea: conticuere omnes intentique ora tenebant.' In realta esistono anche in Omero non pochi costrutti formal- mente interpretabili come dicola abundantia, che in particolari casi Virgilio riprende conservandone la struttura sintattica, come Il. 7, 279 uneére, naide othe, mohepllere pdt paxeo¥ov («cari figli, non lottate, non combattete pit oltre»), riecheggiato in Aen. 11, 912 ineant pugnas et proelia temptent. Si consideri ancora la formula omerica «vive ¢ vede la luce del sole», ugualmente costituita da due membri sinonimici coordinati, di cui il secondo é espansione del primo. La formula ricorre pitt yolte anche con variazione del modo verbale per es. in Il. 18, 61 ¢ Od. 14, 44 Ceaer xa 6% pos thedoro); Il. 24, 558 (Césew nad dpiiv pcos Hedlor); Od. 20, 207 s., dove si associa ad un secondo dicolon sinonimico di significato op- posto ¢ complementare (et mov Ett Céoet xeth 69% gdog FeAtoro. / et 8’ 48 se0vyxe nak ely AtSao Souorow, «se ancora vive ¢ vede la luce del sole. Se invece é gid morto e¢ se é nelle case dell’ Ade...»). Virgilio riscrive la formula in Aen. 10, 855 nune vivo neque adhuc ho- mines lucemque relinquo e in forma pitt articolata in Aen. 1, 546-547 quem si fata virum servant, si vescitur aura / aetheria neque adhuc cru- delibus occubat umbris (sul quale cf. anche infra). Ma in queste duplicazioni omeriche, rispetto a quelle virgiliane, non c’é in genere tensione tra i due cola, né progressione patetica o coloritura sentimentale (come dimostra il caso appena citato), né cambiamento del punto di vista (da oggettivo a soggcttivo, da esterno a interno): tratti questi che vedremo essere distintivi del dicolon virgiliano. I punto di vista, in Omero, pud anche non es- sere unico, ma in tal caso é sempre chiaro quale sia quello ‘giusto" espresso dalla voce narrante, che, non di rado, dissente dal perso- naggio.? + Unaccenno al confronto tra il modello omerico e questi dicola virgiliani si trova in R. Andreotti, Il “dicolon abundans” nell’Eneide: tema e variagione, tesi di Laurea, di- scussa presso Universita di Pisa nell’a.a. 1983-1084 * Nel testo omerico c’é una veriti assoluta rispetto alla quale ogni comportamento divergente, anche se assunto dal piti autorevole degli déi, é sbagliato: come quan- do Zeus vorrebbe sottrarre alla morte il figlio Sarpedone destinato ad essere ucciso da Patroclo (Il. 16, 431-461), ma poi rinuncia a intervenire quando Era lo ammonisce che Vinterferenza nel destino di un uomo provocherebbe uno squilibrio nellassetto del universo divino. Cosi il destino tende a configurarsi come il corso “naturale” 0 ‘normale’. Quanto al punto di vista ‘interno’, questo é escluso a prior’ in personaggi © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Tl dicolon abundans virgiliano 27 Le duplici formulazioni sinonimiche che si trovano in Ome- ro rientrano quasi sempre in quella categoria di ripetizioni che Gregor Maurach (citato supra) definisce «endiadi tautologica» fi- nalizzata alla chiarezza, come in Od. 4, 370 noc gato govyaéy te, aproferi parola e disse». $i tratta di un modulo espressivo tipico an- che del latino arcaico, che serve a rendere esaurientemente chiara un’espressione attraverso la successione di clementi simili, raffor- zandola nella sua efficacia.! che nel loro agire si sentono condizionati~ secondo la nota distinzione di Dodds fra «shame culture € «guilt culture» ~ non tanto da sentimenti introiettati nella sfera delt'io individuale (colpa, rimorso, coscienza) quanto dai risvolti pubblici, sociali del- Ia loro condotta (timé, aidés). Questi personaggi attribuiscono la responsabilita delle proprie azioni a un agente esterno, che pud essere un dio o un demone 0 la Moira o Ate. * Raccolgo qui qualche esempio di formutazioni sinonimiche tratte dai poemi omerici (le traduzioni sono quelle di G. Paduano per I'Iliade e di G. Privitera per PO- dissea, talora lievemente modificate per esplicitare la coordinazione dei due membri) Tl. 4, 25: alo caccié malamente e aggiunse queste aspre parole»; 1, 117: evoglio che si salvi il mio popolo e non sia perduto»; 1, 133-134: «tu vuoi ... che io in questo modo ne resti senza ¢ mi esorti a restituire la donna?»; 1, 187: «(tema) di parlare di fronte a me ¢ di dichiararsi mio pari»; 1, 233: «ma io ti dico ¢ ti faccio un giuramente solenne>; 1, 287-289: «ma quest'uomo vuol essere sempre al di sopra degli altri, dominare su tutti, comandare su tutti» (tricolon); 1, 332: «non glisi rivolgevano, non dicevano niente»; 1, 510: ; Od.5, 151-133: «d suoi occhi non erano mai asciutti dilacrime / passava la dolce vita piangendo il ritorno». © Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. 28 Lisa Piaggi 1. 6. La richiesta di una capacita di confronto rivolta al lettore E forse possibile estendere al dicolon abundans alcune osservazioni formulate da Conte a proposito di un’altra figura di stile cara a Virgilio, enallage.' Nell’enallage, com’é noto, un elemento della frase, spesso l'aggettivo, é riferito non al sostantivo cui appartiene per legame logico-grammaticale, ma ad altro pitt o meno vicino (per es. in Aen. 9, 455-456 tepidaque recentem /| caede locum, in luo- go del costrutto ‘normale’ tepidum recenti caede locum). Come ha chiarito Conte, l'effetto di straniamento — che concorre allo stile sublime — scaturisce dal confronto che il lettore é implicitamente costretto a fare tra la forma nuova, prodotta dall’alterazione sin- tattica, ¢ quella ‘normale’. II costrutto regolare non compare, ma é presente nella mente del lettore, ¢ la condizione che giustifica lo scarto, giacché solo conoscendo la norma si pué apprezzare la deroga.? Ora, anche il dicolon presuppone, al pari dell’enallage, un confronto tra due formulazioni dello stesso concetto, ma, se nell’enallage il confronto ¢ implicito (in quanto il lettore ha di fron- te solo la formulazione ‘straniata’), nel dicolon entrambi i termini del confronto sono esplicitati ¢ compresenti. Si potrebbe dire che, mentre I'enallage ‘addensa’, producendo una violazione sintattica € generando una sorta di shock nel lettore, il dicolon ‘diluisce’ un concetto sfaccettandolo in due aspetti complementari ¢ collocati paratatticamente sullo stesso piano. I due cola — i] tema, che in ge- nere rappresenta la formulazione denotativa, ¢ la variazione, che doppia il contenuto del tema in forma connotativa— sono entram- bi compresenti. Quasi che I'autore volesse da un lato stimolare Tintelletto ¢ 'animo del lettore chiamandolo a fronteggiare non, come nell’enallage, un'incongruenza sintattica, ma una variazione sinonimica; dall'altro lato, agevolare al lettore il compito di con- frontare la norma ¢ lo scarto, la formulazione pitt ‘facile’ piana ¢ quella piti ‘difficile’ e meno ovvia. In alcuni casi sembra quasi che Yautore voglia cautelarsi dal rischio che questo scarto — senza un confronto con I’elemento ‘normale’ — non venga compreso o suf- 1 CE. Conte, Virgilio. L'epica del sentimento cit., pp. 5-63, in part. 27 ss + «Dietro lo scarto si intravvede il nesso normale come una presenza rimossa: nel testo domina in primo piano il senso ‘improprio’ imposto dalla forma dell espressio- ne, ma il senso ‘proprio’ tenuto in secondo piano preme per farsi avanti; il lettore ha una percezione doppia del senso delle parole, o meglio una percezione raddoppiata, pitt intensa» (Conte, Virgilio. L’epica del sentimento cit., pp. 8-19). ) Copyright by Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma. Idicolon abundans virgiliano 29 ficientemente valorizzato. Un rischio che é ben presente nell’enal- lage, dove «qualche volta [il lettore] coglie solo il senso pitt banale, cioé quello che potremmo dire ‘proprio’, ¢ inconsapevolmente & portato a cancellare la figura che Iimproprio’ sintattico compor- ta».! Tanto é vero che alcune enallagi, nella tradizione (sia diret- ta sia indiretta), vengono sostituite dal corrispondente costrutto normalizzato, segno che i commentatori o i copisti pit’ volte non hanno colto il significate ¢ il valore dello scarto. Laffinita tra enallage ¢ dicolon abundans risiede nel fatto che en- trambe le figure concorrono a riscattare la lingua comune ¢ a im- preziosire lo stile, mediante l'introduzione di una nota patetica e tiflessiva che problematizza il testo. E tale effetto si intensifica a maggior ragione quando le due figure sono compresenti, ovvero quando uno dei due membri del dicolon a sua volta ospita appunto un’'enallage, come in Aen. 1, 9-10 tot volvere casus / ...tot adire labores (sul quale cf. anche infra). La capacita di istituire confronti, richiesta a tutti i lettori antichi, i quali — dato anche il carattere agonistico delle poetiche classiche — dovevano saper cogliere nel testo gli scarti, le innovazioni, le allu- sioni rispetto ai modelli con i quali 'autore era entrato in gara, era richiesta in particolare ai lettori dell’Eneide: «I lettori dell’Eneide, moderni lettori cui cra ormai negato il mondo ‘ingenuo’ dell’ epica omerica, dovevano fare propri i nuovi diritti della ragione critica ¢ della liberta morale: essi, al pari del nuovo poeta epico, erano indotti a tentare una sintesi di ingenuita ¢ di sentimento, a farsi anche riflessivi».? Diversa, ma forse solo in apparenza, la concezione che Henry ha del dicolon: pit che un incentivo al confronto rappresentereb- be sia un modo per introdurre gradualmente il nuovo («The new is coming, but the transition must not be too rapid»),? alleviando nel lettore la fatica di integrare il testo (si veda il commento a 1, 546-547), sia un mezzo per dare peso a un concetto. All ovvia con- siderazione che il dicolon costituisce un'intensificazione del senso, Henry aggiunge la spicgazione, meno owvia, dell’effetto psicologi- co della variazione: «(The variation] prevents him [sc. the reader] from passing on as rapidly as he would surely have passed on if the circumstance had been described by the theme alone, or by the variation alone. By this suspense of the expectation, weight and * Ii, p20. ? Ivi, p.to2, > Henry, Aeneidea cit., vol. 1, p. 746.

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