Sei sulla pagina 1di 12

07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

La lingua latina. - Il I. è per D. lingua artificialis di fronte al volgare usuale (Cv I V quam Romani gramaticam vocaverunt. Hanc quidem secundariam Graeci habent
14 lo volgare seguita uso, e lo latino arte). Il pensiero dantesco sul rapporto l.- et alii, sed non omnes), sarà pensabile che il giudizio politico rivolto al parlare di
volgare e sulla maggiore importanza dell'uno o dell'altro è discusso. In Cv I V 7-14 Provenza possa essere trasferito al l. gramatica (v.).
il l. è detto sovrano... per nobilità... perché lo latino è perpetuo e non corruttibile,
e lo volgare è non stabile e corruttibile... per vertù... con ciò sia cosa che lo latino Il Vinay fu il primo a intuire che i due confronti l.-greco e volgare italico-volgare
molte cose manifesta concepute ne la mente che lo volgare far non può... per di Provenza potevano essere facilmente ridotti al confronto volgare illustre-l.,
bellezza perché quello sermone è più bello ne lo quale più debitamente si anche se finì poi col respingerne la possibilità, coinvolgendo questa ovviamente la
rispondono [le parole; e più debitamente si rispondono] in latino che in volgare: e conclusione che D. potesse pensare che il mondo di Cicerone parlasse un
per nobilità s'intende la stabilità della convenzione, per vertù la capacità espressiva, linguaggio vivo e che quindi in questo identificasse il tripharius capostipite delle
per bellezza l'articolazione della struttura. In VE I I 3-4 è invece il volgare a essere lingue romanze: " A voler essere loici a ogni costo, forse tutto si accomoderebbe
definito nobilior di fronte al l., locutio secundaria, gramatica, riservata ai pauci che dicendo per esempio che D. ha trasferito al tempo di Cicerone i problemi dei
non nisi per spatium temporis et s'udii assiduitatem riescono a conquistarne regole tempi suoi e immaginato che esistesse allora la possibilità di tradurre dal greco in
e dottrina: il volgare è più nobile del l. perché è la prima lingua humano generi un volgare romano del tutto diverso dal l. stesso del De finibus. La soluzione più
usitata, perché totus orbis ipsa perfruitur e perché è naturalis, mentre il l. è saggia è forse quella di non proporne alcuna affermando invece che la difficoltà è
artificialis. insita nel pensiero di D. quando scrive il Convivio ". C. Grayson ha riesaminato la
questione, evidentemente sulla traccia del Vinay, negando egli pure che D. abbia
La contraddizione è solo apparente, anche se ha dato luogo a infinite discussioni: potuto " pensare a una opposizione fra un latino in movimento e un greco
basterà considerare la differenza fra i due piani di giudizio, quello della ‛ sovranità ' canonizzato grammaticalmente " dalla lettura del luogo ciceroniano. Gli argomenti
del l. che si fonda su una semplice constatazione di fatto (il l. è lingua letteraria e il addotti sono due: 1) che il parallelo con la situazione volgare italico-volgare di
volgare no) e quello della ‛ nobiltà ' che opera invece su una convinzione etica e su Provenza sarebbe " improprio ", non vedendosene le simiglianti cagioni (Cv I XI
una valutazione qualitativa: di fronte al volgare è il l. e non è il sermone del nuovo 14 Contra questi cotali grida Tullio nel principio d'un suo libro che si chiama
mondo né veicolo sufficientemente ‛ nobile ' per trasportare alle genti le varie Libro di Fine de' Beni, però che al suo tempo biasimavano lo latino romano e
espressioni della missione di Dante. È possibile illustrare questa soluzione. In Cv I commendavano la grammatica greca per simiglianti cagioni che questi fanno vile
XI 11-14 D. difende il suo volgare illustre di fronte a quello dei falsi dicitori che lo parlare italico e prezioso quello di Provenza); 2) che D., se avesse inteso in
commendano altro volgare lo quale non è loro richesto di fabbricare e fanno vile questo senso, avrebbe usato il parallelo per la situazione analoga dei rapporti
lo parlare italico e prezioso quello di Provenza e adduce a conforto Tullio nel volgare illustre-latino. Escludendo il secondo argomento, limitato alla
principio d'un suo libro che si chiama Libro di Fine de' Beni. Ebbene, è probabile constatazione del silenzio, rimane il primo: ebbene, sono convinto che sia
che D. intenda la polemica di Cicerone (Fin. I II 4 qui citato) come rivolta a difesa possibile pensare che D. scorgesse simiglianti cagioni fra l'atteggiamento dei
di un sermo patrius contro l'imposizione di una lingua artificialis e ne ricavi grecizzanti del tempo di Cicerone e quello dei provenzaleggianti della sua epoca.
l'equivalenza di una difesa del parlare italico di fronte a quello di Provenza. In Su quale piano di simiglianza li collocasse potrà essere chiarito dall'analisi del
questo caso, dato che la lingua artificialis osteggiata da Cicerone è il greco, concetto di gramatica a cui va inevitabilmente riferito sia il giudizio sul provenzale,
gramatica per D. come il l. (VE I I 3 Est et inde alia locutio secundaria nobis, sia quello sul latino.

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 1/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 2/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

D. intende per gramatica: 1) generalmente la struttura di ogni linguaggio sia fatta una domanda del genere. Ma è certo che non vede nel l. una vera e
convenzionale perpetuo e non corruttibile a cui non capiti che a piacimento propria mobilità. Né avrebbe potuto, non avvertendo l'evoluzione semantica e
artificiato (Cv I V 8) si transmuti (VE I IX 11 Haec cum de comuni consensu strutturale della lingua latina, immaginarla viva nel suo trasmutare storico.
multarum gentium fuerit regulata... nec variabilis esse potest); 2) particolarmente il
l., esempio sperimentato da D. di gramatica, e quindi il greco e tutte le locutiones In Pg VII 16-17 " O gloria di Latin ", disse, " per cui / mostrò ciò che potea la
secundariae che hanno avuto alcuni popoli di vasta civiltà letteraria. Il latino lingua nostra ... " il l. è lingua nostra soltanto in quanto " lingua d'eloquenzia e di
romano di Cv I XI 14 è gramatica nei confronti del volgare, come il greco è poesi " (Francesco da Buti), come ho cercato di dimostrare (G. Brugnoli, Lingua
gramatica nei confronti del latino romano: è ammissibile sciogliere così il nodo di nostra, in " Rivista di cultura classica e medioevale " X [1968] 324-327): " quando
Cv I XI 14 (v. GRAMATICA). Aggiungerei però che nel contesto di Cv I XI 14 Stazio parla del suo dolce e vocale spirto intende della ‛ sua lingua ', del suo
quel gramatica riferito al greco assume un particolare significato, chiarito com'è carmen e della sua vox. La ‛ lingua ' di Sordello in cui Virgilio ‛ mostrò ciò che
dalla particolare interpretazione che D. dà alla discussione ciceroniana del De potea ' è quindi la poesia. Virgilio, come l'un Guido e come Dante, ha conseguito
Finibus. È un epiteto sicuramente ostile, se sta a qualificare il greco che D., sulla la ‛ gloria della lingua ', la gloria della poesia: perciò è ‛ gloria de' Latin '. Ammesso
base di Cicerone, non poteva non considerare, nel confronto con lo latino che ‛ lingua ' vada inteso come lingua ‛ d'eloquenzia e di poesi ', il ‛ nostra ' deve
romano, se non come lingua moralmente corrotta per l'uso che ne pretendevano spiegarsi nell'accostamento a ‛ lingua ', come ‛ di noi ', sì che l'intera giuntura ‛
gruppi, come quelli dei grecizzanti ciceroniani, retrivi e sordi alle esigenze del lingua nostra ' avrà il senso di ‛ la poesia che è nostro patrimonio ' ".
pubblico romano. Come Cicerone biasimava (Fin. I II 5) i suoi concittadini che
dispregiavano le letture latine, così D. inveisce contro li malvagi uomini d'Italia che D. non scorge del l. se non la decadenza morale, nell'aver perduto il rapporto con
commendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, accusando la loro il pubblico, e su questa constatazione soltanto articola la sua condanna.
mossa di cinque abominevoli cagioni. La prima è cechitade di discrezione; la Giustamente il Paratore spiega la scelta di D. in favore del volgare con
seconda, maliziata escusazione; la terza cupidità di vanagloria; la quarta, l'osservazione che a D. stesse a cuore " rivendicare questa patente di nobiltà "
argomento d'invidia; la quinta e ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità (Cv I XI perduta dal l. e conquistata dal volgare, " proprio perché egli era poeta in questa
1-2), e s'intende che la viltà d'animo è lo stesso che non-nobiltà e dipende lingua, per lo stimolo che la sua personalità avvertiva di rendersi intelligibile al
fedelmente da Cicerone (Fin. I II 5 " rudem enim esse omnino in nostris poëtis maggior numero possibile dei suoi simili, dati i fini messianici sempre da lui
aut inertissimae segnitiae est aut fastidii delicatissimi "). È per questa viltade che avvertiti nella sua poesia ". Aggiungerei: e ancora per la coscienza dei suoi
molti... dispregiano lo proprio volgare, e l'altrui pregiano. E tutti questi cotali sono maggiori e per l'amoroso vagheggiamento della semplicità saturnia di una Firenze
li abominevoli cattivi d'Italia che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, s'è sobria e pudica (Pd XV 99) e della naturale nobiltà della favella di quell'esemplare
vile in alcuna [cosa], non è se non in quanto suona ne la bocca meretrice di questi mitico di cui Cacciaguida è la figurazione politica intorno alla quale gira l'intera
adulteri (Cv I XI 20-21). E appunto che la bocca meretrice dei parlanti faccia vile struttura del grande carmen laicum. Nel quadro della grande difesa del volgare di
il linguaggio, D. lo ha dedotto da Cicerone, di cui riproduce le ire e lo sdegno. Ma Cv I XI il l. viene definito meno nobile del volgare, come il greco meno nobile del
non si tratta certo di una semplice constatazione. È Cicerone che gli dà spunto al latino romano, come la lingua di Provenza meno nobile del parlare italico, se è
concetto di nobiltà del volgare insita nell'uso che ne fanno classi e uomini di vera vero che hanno torto quelli che fanno vile lo parlare italico e prezioso quello di
nobiltà. Si può obiettare che, in questa prospettiva, si debba concludere che D. sia Provenza (§ 14), se ha ragione Tullio che biasima coloro che mettono il greco di
stato convinto in definitiva che lo latino romano del tempo di Cicerone fosse stato sopra al latino. La gramatica greca, termine di paragone del provenzale in Cv I XI
la lingua naturalis e dell'uso della romanità. Può darsi, anche se non è sicuro che si 14, è come la gramatica latina di VE I I 3, indicativa del linguaggio strutturato, ma

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 3/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 4/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

nell'uso di élites, che D. vede, ostilmente, degenerate in quanto moralmente XXV 3-4 e 6, VE II II 8. Che nel libro IV del Convivio ci sia un ripensamento di
artificiali, fra cui molti sono che amano più d'essere tenuti maestri che essere (Cv I questa posizione, come sostiene il Vinay - quando la reductio ad unum dei dialetti
XI 11), in opposizione al linguaggio naturale che appunto perché a piacimento d'Italia doveva ormai apparire a D. incompatibile con la reductio ad unum del
artificiato è invece libero da schemi e strutture di mala nobiltà. In questa mondo sul piano politico e sociale - è plausibile e giustifica la composizione delle
angolazione, credo, è da valutarsi la comparatio nobilitatis fra l. e volgare. Egloghe. Qui, al termine della sua vita, D. è certamente in una fase di recupero del
l. come lingua d'arte. Se la Comedia fu la realizzazione pratica del ‛ monumentum '
È chiaro che il concetto di nobiltà del volgare va analizzato nell'ambito dell'intera della locutio vulgaris, le Egloghe sembrano riproporre, almeno su un piano di
quaestio nobilitatis a cui è dedicato tutto il libro IV del Convivio. Qui, com'è noto, comunicazione umanistica, il problema dell'utilizzazione del latino.
D. obietta alla definizione di nobiltà come generis virtus, peripatetica e tomista,
una proposta di tono guinizzelliano (Cv IV XVI 8 E così manifestamente vedere Il l. usato da D. è il l. stabilizzato e suggerito dalle artes dictandi. Come tale è
si può che generalmente questo vocabulo, cioè nobilitade, dice in tutte cose stabile nella produzione dantesca e non subisce evoluzione da un'opera all'altra; le
perfezione di loro natura) su un piano politico chiaramente guelfo. Nel quadro variazioni sono soltanto nell'eventuale diversità del genere letterario affrontato:
della comparatio nobilitatis fra l. e volgare la sistemazione del IV del Convivio così è nella Monarchia e nelle Epistole, dove l'assunto aulico obbliga D. a
potrebbe essere chiarificatrice. Responsabilmente il Vinay: " Di fronte alla costruzioni più ambiziose ed elaborate. Tuttavia nell'ambito dei singoli generi
provvidenzialità dell'Impero, alla ‛ santità ' di un popolo cui Dio non ha posto ‛ trattati da D. e dai suoi contemporanei non è dato scorgere una particolare cifra
termine di cose né di tempo ' [Cv IV IV 7], lo stesso criterio di ‛ artificialità ' e di ‛ stilistica di Dante. Lo stesso dicasi per quel che riguarda l'uso del cursus.
naturalità ' addotto per difendere il volgare, perde ogni forza di persuasione, e
difatti il rapporto natura-nobiltà è prospettato nel quarto del Convivio in tutt'altro Queste osservazioni sono valide con una forte pregiudiziale. La schedatura del l. di
modo: ‛ nobilior ' perché naturale il volgare del De vulgari eloquentia, ‛ nobilior ' D. di cui siamo in possesso non permette sicurezza di valutazioni. Gli strumenti di
qui ciò che è più perfetto secondo la propria natura... ", concludendo che nella cui disponiamo sono infatti assai elementari e variamente criticabili. Essi si basano
coscienza del l. " perfetto nella sua natura di strumento di comunicazione tra le sulle registrazioni delle edizioni critiche, ma trascurano sempre le varianti, che
gentes dell'orbe imperiale e cristiano… è tutto intero il sistema del De vulgari sono spesso sostanziali. Non vale certo a eliminare questa esigenza la
eloquentia che crolla... ". Certo è che nel I libro del Convivio, la cui composizione constatazione che la gran parte delle edizioni critiche o non registra affatto o
fu con molta probabilità parallela a quella del De vulg. Eloq., la posizione di D. nei registra sommariamente e malamente le varianti dei manoscritti. Il dubbio sulla
confronti dei letterati che usano il l. e della loro falsa nobiltà è assai violenta. In Cv validità scientifica delle schedature sinora prodotte del l. di D. permane. Si
I IX 2-3 i letterati che usano il l. sono identificati, secondo gli schemi delle aggiunga il disagio provocato in questa schedatura dalla diversità d'impostazione
Summae morali, in coloro che per la loro avarizia non posseggono vera nobiltà; in delle edizioni critiche che, com'è noto, non rispecchiano un quadro unitario né
Cv I IX 5 la loro localizzazione sociale è minuziosamente precisata nel confronto linguistico né grafico del l. di Dante. Le caratteristiche del l. usato da D. risultano
con i veri nobili, non di genere, ma di natura, non letterati, ma volgari. La perciò accertabili nei limiti di questi dubbi di base.
convinzione che il l. fosse lingua inadatta a esprimere il pensiero della nuova vera
nobiltà, dev'essere, dunque, nata in D. da una fermentazione d'insofferenza Le concordantiae delle opere latine di D. pubblicate a Oxford da Rand, Wilkins e
prodotta dall'ambiente politico e culturale della borghesia mercantile in cui White nel 1912 sono l'unico sforzo assolto nei confronti della schedatura del l. di
coscientemente operò. La stessa affermazione di Cv I V 1 che il l. sia frumento di Dante. Oltre che della situazione editoriale ovviamente arretrata al 1912, esse
fronte al volgare che è biado, va quindi intesa in senso classista. E si veda pure Vn risentono di tutti i dubbi su esposti e delle loro conseguenze che risultano

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 5/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 6/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

pienamente nell'incertezza della schedatura. Aggiungono inoltre ulteriori elementi tecniche e le forme avverbiali, rimane solo coronatus = " sovrano " di VE I XII 4,
di disagio per i criteri organizzativi che appaiono oscillanti e in ogni caso poco un participio peraltro attestato già in forma sostantiva, anche se non in questo
meditati. Si nota, ad esempio, che i comparativi e i superlativi sono elencati, senza significato, nell'uso classico.
criterio, a volte sotto il positivo, a volte sotto il grado di comparazione; le voci
verbali sono indifferentemente riportate o sotto le varie forme temporali o sotto il Nonostante la precarietà della schedatura del lessico latino di D. e gli scarsi risultati
verbo capostipite; addirittura la grafia u per v di alcune edizioni non è uniformata che essa può offrire, anche al di fuori di ogni contestazione metodica e di
alla grafia v per u di altre. Sul sospetto nei riguardi di questa, che è l'unica sostanza, l'attenzione degli studiosi si è volta costantemente al latino di D.
schedatura generale in nostro possesso, non rimane che sfruttare gli indices pretendendo di coglierne le caratteristiche peculiari. Melanconica ma giusta la
verborum delle singole opere, di cui il più impegnato è il Glossario aggiunto dal valutazione che di questi tentativi ha fatto il Vallone: " Ma la ricerca dello stile non
Marigo alla sua edizione del De vulg. Eloquentia. Esso " comprende le voci che porta ad una qualificazione esemplificativa (ed è e rimane questo il primo passo)
differiscono per significato, costrutto, grafia dalla latinità classica, o vi hanno un del latino di Dante, né ad una indagine distintiva delle varie opere e del vario
uso assai raro... o non vi sono usate affatto ": sono indicati con un asterisco i atteggiarsi della lingua in relazione agli scopi o ai contenuti. Si cerca soprattutto e
supposti neologismi danteschi, con due i volgarismi. Nel De vulg. Eloq. risultano ripetutamente il cursus. Né sembra, in tale settore, che altro possa aggiungersi ".
neologismi al Marigo: abmotim, ambages, anteriotitas, artificiatus, astripetus, La mancanza, pur giustificata da difficoltà oggettive del recupero del materiale, di
biblia, calabri, campso, cantionarius, canto, comoedia, comice, congremiatio, un serio tentativo di analizzare il l. di D. in confronto e in relazione all'uso della
contatim, contemptive, crudeliter, devexio, dictum, dimeter, aeneida, fascio, sua epoca, riporta infatti quasi tutti i tentativi di analisi finora prodotti al livello
fastigiositas, gemo, grandiosus, inalterabilis, insipidus, invenio, inventor, latium, dell'opinabilità e molto spesso sotto il sospetto che essi siano stati influenzati,
latius, mixtus, montaninus, mox postquam, nequitatrix, nugatio, oretenus, nelle loro conclusioni, dalla suggestione della figura stessa di Dante. Gratuito
parisillabus, pentameter, plausor, praeparatus, praerogo, primiloquium, principio, rimane, proprio per questa deficienza di analisi, ad esempio, il giudizio del
redigo, rude, sillabico, sirma, socio ad, sonus, stantia, subsecundarius, successive, D'Ovidio che giudicò " nervoso, spigliato, franco " il l. del De vulg. Eloq., o quello
superexcellentia, superficietenus, tot tot, tragoedia, tragice, tragicus, tredenus, del Parodi che ipotizzò per il cursus che D. " avesse in proprio altre particolarità ",
trisillabitas, trisonus, tristiloquium, turpiloquium, undique, unus... alius, venatio, quando poi quelle particolarità " rimangono… sospese e inintellegibili nel
versus, vulgare, vulgares gentes, vulgaris, vulgaritas. In realtà, come si può dedurre concreto terreno storico e letterario " (Vallone). D'altra parte giudizi più temperati
facilmente e lo stesso Marigo giudiziosamente annota, si tratta di " voci di uso non come quello del Di Capua che osservò che " il latino del De Monarchia è un latino
accertato " nel significato che il Marigo ha creduto di ricavarne dal De vulg. Eloq., dialettico, quello del De vulgari eloquentia è un latino retorico " appaiono scontati.
ma facilmente recuperabili e oggi in alcuni casi chiaramente recuperate nello Appare infatti ovvio che, se a un manifesto letterario quale è il De vulg. Eloq.
stesso e in altri significati in altri autori dell'età di Dante. Lo stesso discorso vale conviene l'ornatus difficilis suggerito dalle artes per tal genere di trattazione, sotto
per i volgarismi individuati dal Marigo nel De vulg. Eloq. e per cui serve tutt'al più questo impegno potranno spiegarsi sia l'inserzione di vocaboli preziosi e rari nel
l'osservazione che la loro presenza è percentualmente adeguata alla situazione tessuto espressivo, sia lo sforzo della costruzione sintattica e stilistica, sia
generale del l. scolastico della trattatistica più aulica dell'età di Dante. Marigo l'osservanza del cursus che notiamo in quest'opera. Ed è altrettanto ovvio invece
segnala comunque: ad minus, ad plus, cantor, cantus, coronatus, ecce quod, che in un'opera come la Monarchia l'impegno concettuale, se ha fatto mettere da
gramatica, nota, pes, tonus, tuscani, uterque duorum; ma, se si escludono le parole canto nella parte riservata alla dimostrazione dell'assunto molte velleità di carattere
stilistico, nei prologhi e nelle parti programmatiche e specialmente in quei luoghi
dove D. discute auctoritates che intende sottolineare come fondamentali, ha

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 7/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 8/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

prodotto una cifra stilistica altrettanto notevole che quella che si riscontra nel De almeno dei risultati che ne ottenni. Per quel che riguarda il punto a) cito ad
vulg. Eloquentia. È probabile che quelle parole che D. sentiva come nuove e esempio le osservazioni che feci per la questione specifica dell'autenticità delle
preziose servissero appunto e soltanto a questo sforzo di ottenere una Egloghe. Mettendo infatti a confronto le analisi statistiche degli usi dei grecismi,
sottolineatura del concetto attraverso l'ornatus difficilis. Vero è che D. mostra in dei composti e dei diminutivi da una parte nelle due Egloghe attribuite a D. e
questa costruzione stilistica un personale e forte spirito di emulazione che lo dall'altra nel carmen e nell'Egloga attribuita a Giovanni del Virgilio, se ne può
contraddistingue fra i suoi contemporanei. Più difficile è ammettere che sentisse " concludere che l'uso è statisticamente differenziato nei due autori, deducendone,
la profonda diversità fra il latino dei suoi prediletti poeti classici e il latino per quel che possono valere analisi del genere, un argomento in più contro la tesi
artificiato dei trattatisti e dei dictatores " (Paratore). " Il latino di D. è di A. Rossi e di altri che indiziava di falso boccacciano l'intero corpo bucolico
essenzialmente conforme alla lingua della grande comunità medioevale ed europea tradito (Giovanni del Virgilio + D.): era evidente infatti che Boccaccio, se ne fosse
dello studium " (Frenzel). stato l'autore, non avrebbe potuto, né sul piano ideologico né su quello tecnico,
arrivare a differenziare la cifra stilistica dei due autori che intendeva falsificare. Per
Come abbiamo riferito, un certo numero di vocaboli del De vulg. Eloq. è stato quel che riguarda il punto b) mi rifaccio all'analisi che feci del proemio della
indiziato dal Marigo del sospetto di neoformazione dantesca. Il Marigo attribuiva Monarchia. La presenza di uno sforzo eccezionale d'impegno nell'ornatus serviva
queste innovazioni " a riflessi culturali, non a volgarismi e, se non sempre a conio a nascondere lì un'auctoritas (Sall. Catil. I I) estremamente rara per Dante.
dantesco, a formazione abbastanza recente ". È da escludere comunque, come
osservò il Curtius, che D. abbia potuto o voluto modificare la latinità corrente L'usus dei classici in D., come in tutta la scuola, è legato alle regole della
della scuola sia con innovazioni o calchi dal volgare particolarmente clamorosi, sia Imitationstechnik, cioè del procedimento di ripresa musivo e allusivo della fonte.
con il recupero umanistico di termini di antiquariato. D. assume i vocaboli rari e Tale procedimento, soggetto a molteplici e raffinate variazioni, rimane
preziosi dalla letteratura scoliastica e dai lessici correnti, particolarmente sostanzialmente analogo a quello che, formulato come segreto iniziatico di
Uguccione. È nel giusto il Frenzel quando afferma: " la latinità di D. è latinità conventicole culturali del mondo antico, fu assunto a modello dalle scuole di
medioevale; non c'è nell'opera del poeta nessuna relazione di ‛ scoperta ' o di ‛ palazzo e poi, nel tardo-antico, dalle loro dirette dipendenze, le scuole episcopali e
ritorno ' nel riguardo dell'antichità classica ". Lo stesso buon senso deve valere per monastiche. Le scuole borghesi e la loro trattatistica (all'epoca di D. le artes) ne
la valutazione dei grecismi e dei volgarismi usati da Dante. Tuttavia la questione, tramandano gelosamente la normativa. La stessa tradizione scolastica impone i
data anche la difficoltà di accesso ai repertori scoliastici (scoli, glosse, lessici) di cui canoni degli auctores (gli autori regulati). La latinità di D. è sottoposta ovviamente
si servì D. appare piuttosto inutile, come al momento insolubile. Io stesso ho, vista all'influsso di queste letture canoniche, e la sua tecnica d'imitazione si adegua a
la situazione, creduto di poterla modificare in termini utilizzabili: premessa la quella degli esemplari.
provvisorietà delle nostre cognizioni, sarebbe sempre possibile un'indagine sulla
frequenza dell'uso di vocaboli rari e preziosi, ma a fini specificatamente utilizzabili Il Renucci ha postulato nella cultura classica di D. la conquista graduale, dalla Vita
per determinati problemi: a) la verifica dell'autenticità di alcune opere sulla cui Nuova, all'Inferno, al Convivio e alle altre cantiche della Commedia, di un
appartenenza a D. si discute ancora (Egloghe, Quaestio, alcune Epistole); b) la repertorio sempre più raffinato. È una tesi plausibile anche se rimangono dubbi
verifica del trattamento delle auctoritates nell'ornatus difficilis e nelle posizioni di sostanziosi sul modo di collocare cronologicamente le varie soste di questa
preminenza stabilite dalle artes, il che porta a sospettare la presenza di evoluzione culturale. Allo stato degli studi si riconosce a D. con il Moore la
un'auctoritas in ogni passaggio stilisticamente evoluto o comunque determinato da conoscenza diretta dei quattro poeti regulat i (VE II VI 7 Virgilium videlicet,
vocaboli rari e preziosi. Ritengo ancora valida questa impostazione nei limiti Ovidium Metamorfoseos, Statium atque Lucanum). Di Ovidio è sicura per il

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 9/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 10/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

Moore la conoscenza delle Metamorfosi, delle Eroidi, dell'Ars amatoria e dei La ripresa delle auctoritates avviene in D. di norma: a) mediante un procedimento
Remedia amoris: vi aggiungerei i Tristia (Ovidio Trist. III XI 41-54 = If XXVII 7- di collatio fra due o più auctoritates classiche delle quali le più recenti siano
12: Renaudet). Oltre ai regulati D. mostra di conoscere parzialmente, e per alcune sviluppo della più antica (ad es. le variazioni che Persio e Giovenale fanno di loci
cose indirettamente, Orazio (sicuramente l'Ars ed Epist. II I), Giovenale di Orazio): in questi casi D. sottolinea la reciproca dipendenza; b) mediante un
(indirettamente la sat. VII, direttamente la VIII), Persio (quasi tutto direttamente) procedimento di collatio fra una o più auctoritates classiche e la loro esegesi (scoli,
e forse, attraverso florilegi, Ausonio e il Corpus Tibullianum. I prosatori regulati di glosse, commenti, varianti): D. introduce nelle auctoritates come variatio il dato
VE II VI 7 (Titum Livium, Plinium, Frontinum, Paulum Orosium) sono piuttosto esegetico o la variante; c) con un procedimento di collatio fra auctoritates classiche
una pretesa di stabilire un canone quadripartito forse laico (Mengaldo) di ‛ e ipotizzati paralleli scritturali o cristiani D. introduce nelle auctoritates come
altissima prosa ' parallelo a quello dei poeti. È probabile che D. conosca variatio il dato del testo religioso. Questi procedimenti sono comuni sia a D. latino
direttamente fra loro, forse qualcosa di Livio, certamente Orosio. Fra i classici gli sia a D. volgare e sono stati più volte dimostrati (Ronconi, Paratore, Brugnoli) in
saranno stati noti Cicerone (il Moore cita: De Officiis, De Finibus, De Amicitia, particolare per le variazioni da auctoritates latine nell'opera volgare. Procedimenti
De Senectute, De Inventione [= Rhetorica Vetus ], il I degli Academica, il più dotti e forse più originali sono invece: a) il richiamo attraverso la variatio di un
Somnium Scipionis indirettamente attraverso Macrobio, i Paradoxa, la pseudo- luogo precedente che viene di conseguenza spiegato; b) la variatio di un vocabolo
ciceroniana Rhetorica ad Herennium [= Rhetorica Nova ]), Boezio, Seneca il dell'auctoritas su adattamento fonetico. Per il primo tipo di procedimento valga
Giovane (De Beneficiis, Epistulae, Naturales quaestiones, lo pseudo-senechiano come esempio il divina fiamma detto dell'Eneida in Pg XXI 95 da Stazio: che
De quatuor virtutibus ovvero Formula vitae honestae che è invece di Martino di sono parole di Stazio Theb. XII 816 (" divinam Aeneida "), ma che servono a
Braca e il frammento De Remediis fortuitorum), Seneca il Vecchio (le spiegare il conosco i segni de l'antica fiamma di Pg XXX 48 in quanto obbligano a
Controversiae, ma forse indirettamente), Floro, Valerio Massimo, Vegezio. Per gli localizzare l'auctoritas virgiliana lì ripresa (Virgilio Aen. IV 23) in una scenografia
autori del tardo-antico e per gli scrittori cristiani manca veramente l'indagine. Il consimile (nell'episodio di Stazio del riconoscimento; nell'episodio della dipartita
Moore cita soltanto Agostino (De Civitate dei, De Doctrina christiana, di Virgilio in quella altrettanto drammatica della sparizione), al che obbliga
Confessiones, Sermones, De Trinitate, ma anche altre opere), ma sicuramente perentoriamente la rispondenza della rima dei due episodi (Pg XXI 95, 97, 99
saranno da aggiungersi Girolamo (ad es. Epist. LIII IX 3 = Cv IV V 16; Chron. fiamma / mamma / dramma = Pg XXX 44, 46, 48 mamma / dramma / fiamma).
Ol. CLXXXI 3 = If XXVIII 102), Isidoro (ad es. Orig. XIV VI-VIII = Pg Per il secondo tipo di procedimento valga come esempio il disperar di Pg I 12,
XXVIII 139-144: Vallone), Prudenzio (v. SUPERINFUSA), Marziano Capella, variatio di uno " spernunt " di Ovidio Met. V 669 " Rident Emathides
ecc. (v. CLASSICA, CULTURA). spernuntque minacia verba ".

Interessa l'uso del l. in D. un accertamento delle possibilità del suo scrittoio, Molti degli autori citati da D. subiscono variazioni di questo tipo che pesano
generalmente al fine della " rivelazione anche di modelli meno evidenti e meno inevitabilmente sia sul lessico volgare sia su quello latino. È chiaro che variazioni
pubblicamente conclamati, ma pur tuttavia erompenti a una più attenta analisi di questo genere costituiranno nel lessico latino di D. il prodotto di
corroborata da sicure notizie sulla diffusione, ai tempi di Dante, della conoscenza un'interpretazione filologica e non potranno essere considerate innovazioni.
di taluni autori latini " (Paratore); più particolarmente al fine di poter determinare
le caratteristiche della sua Imitationstechnik, in modo da poter rettamente Nei termini metodici su proposti e con le cautele suggerite dal buon senso che è
giudicare sul contributo personale di D. all'impasto linguistico, scartandone tutti gli nella posizione del Frenzel, pare legittimo limitare a conclusioni più elementari
echi imitatori. ogni eventuale osservazione sulle variazioni lessicali latine di Dante. Faccio un

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 11/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 12/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

esempio. L'uso dei diminutivi appare più accentuato nelle Epistole (agellus, discussioni portate avanti da diverse e avverse scuole di dettatori, in cui è
corvulus, funiculus, muliercula, munusculum, navicula [due volte], parvulus [due innegabile riconoscere l'assunzione di diverse e contrastanti posizioni politiche. Se
volte], rivulus, vulpecula) e nelle Egloghe (alveolus, bacillum, coenula, labellum, dunque sul piano stilistico può emergere una posizione originale di D. nei
tremulus, vagulus, vasculum) che nel De vulg. Eloq. (chartula, parvulus) e nella confronti della tradizione, questo si può capire col fatto che quella tradizione
Monarchia (areola, navicula, particula, rimula), assente nella Quaestio. Se ne può stilistica, a differenza di quella grammaticale, non era considerata, nel momento
dedurre, a mio parere, soltanto questo: che la presenza di queste forme nelle stesso in cui D. scrive, affatto normalizzata: D. doveva quindi prendere posizione
Epistole è giustificata dal genere epistolare che le imponeva come fra le varie tendenze enunciate dalle artes dictandi. Mi sembra chiaro che questa
caratterizzazione familiare e affettiva; nelle Egloghe si spiega invece col " tentativo presa di posizione debba essere postulata sul piano squisitamente politico, che è
di ottenere una delle caratterizzazioni prevalenti della poesia bucolica " (Brugnoli). quello su cui del resto palesemente agivano le scuole dittatorie; sullo stesso piano,
come mi è parso su di poter dimostrare, D. si poneva personalmente e
Vale quindi per una valutazione generale del lessico latino di D. il giudizio del originalmente nella polemica sulla superiorità del volgare sul latino.
Marigo sul vocabolario del De vulg. Eloq.: " esso è indubbiamente di origine
culturale, anche a prescindere dalla sintassi e dal costrutto d'arte, che... rivela le I rapporti di D. con le artes dictandi sono stati sufficientemente dilucidati, da
raffinatezze della scuola di retorica. Il fondo è costituito da vocaboli della lingua ultimo, dalla Wieruszowski. Rappresentano la retorica del tempo di D. con la sua
antica seriore, collo speciale colorito di quella scritturale e patristica e con notevoli problematica sociale e politica i Dictamina di Pietro de' Boattieri di Bologna (c.
apporti della terminologia dell'alta cultura contemporanea; a questo sono da 1260-1335) e, probabilmente più da vicino, la fonte di quest'opera, una perduta
aggiungere alcuni vocaboli rari o preziosi, i cui significati etimologici rivelano Ars dictaminis di Mino di Colle di Val d'Elsa (c. 1250-post 1312) di cui ci
l'origine dal lessico uguccioniano ". Anche se difettiamo di analisi del lessico delle rimangono altre Artes composte fra il 1300 e il 1312. Ma lo stile di D. è piuttosto
altre opere latine di D., sarà prudente attenersi a questo giudizio, limitato sì al De sotto l'influsso dei principali dettatori bolognesi, di Boncompagno di Signa (morto
vulg. Eloq., ma comunque l'unico scientificamente fondato su una vera analisi. c. 1250) e soprattutto del rivale e successore di Boncompagno, Guido Fava. Le
Questa posizione mi pare sensata e utile a temperare gli affetti di chi Notulae super arte dictaminis di Mino, il Microcosmus dictaminis di Tommaso di
passionalmente volle, proiettando sulla lingua di D. l'annosa ideologia della Armannino, l'Ars dictaminis di Giovanni di Bonandrea che insegnò a Bologna dal
personalità irrequieta e dispettosa del vate, ricavare a tutti i costi e da ogni luogo 1292 al 1321, sono opere strutturate sul modello proposto dalle scuole rivali di
una sua prepotente originalità. Guido Fava e di Bene di Firenze (morto nel 1239) continuatore di Boncompagno.
Appunto nelle opere di questi due maestri si era verificata la fusione fra la
Un discorso consimile servirà anche a chiarire la posizione di D. nei confronti tradizione del dettato notarile e medievale, com'era stato codificato, ad esempio da
delle norme sintattiche e stilistiche tradizionali. Qui è però possibile aprire una Boncompagno, e l'urgenza di una nuova retorica richiesta dalle velleità culturali e
discussione differenziata. Se infatti ancora una volta dobbiamo convenire, per quel politiche antisignorili della borghesia mercantile. Il nuovo stile propone un
che riguarda l'uso sintattico, con le conclusioni ricavate dal Marigo dall'analisi della dictamen diverso dove il primo posto viene dato all'ornatus (lo bello stilo), nello
sintassi del De vulg. Eloq., e cioè che è palese la sudditanza di D. dalla normativa e spirito del De Inventione e della Rhetorica ad Herennium. La Wieruszowski
dall'uso tradizionale, per quel che riguarda invece lo stile, sarà possibile, a mio sottolinea giustamente questa riforma delle artes come " the first revival of Cicero
parere, distinguere con assai maggior fortuna una posizione personale di D. di ".
fronte alla trattatistica tradizionale. Quest'apertura è resa in questo caso possibile
dall'ovvia constatazione della presenza nell'epoca stessa di D. di polemiche e

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 13/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 14/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

D. costruisce puntualmente il suo dittato latino su quegli elementi che le artes auctoritates, all'inizio o alla fine di una trattazione (Guido Fava Summa dictaminis
borghesi imponevano requirenda in ogni exacuto dictamine: l'elegantia della 88 " pulcriores dictiones locari debent in principio et in fine "). L'alto stilo serve a
locutio che doveva risultare congrua et apta, cioè con giusta proporzione fra le dare all'opera un poco di gravezza, per la quale paia di maggiore autoritade (Cv I
auctoritates, le sentenze, e la ratio, cioè la dimostrazione sillogistica; e propria, cioè IV 13): questo impegno stilistico è particolarmente evidente nei prologi, anche
attenta alla proprietas verborum. Nella compositio è tenuto presente soprattutto il delle opere volgari, come ha ben visto lo Schiaffini, ma anche all'inizio e alla fine
labor limae al fine di ottenere un color e un modus dicendi personali. Ma la di canti o cantiche della Commedia. Nella trattatistica latina il prologo - lo ha
dignitas, la cifra stilistica, è qualificata essenzialmente dall'uso dell'ornatus notato il Di Capua - è retoricamente foggiato sugli schemi della " forma epistolare,
verborum e del cursus (Guido Fava Summa dictaminis 104 " Dignitas est quae seguendo in tutto e per tutto, i noti schemi che le artes dictandi assegnano a un tal
orationem quarundam exornationum varietate colorat "). D., come suggerivano le genere di componimenti ". È qui appunto e nelle Epistole che D. applica più
artes, ottiene l'ornatus verborum attraverso l'impiego dei traslati (transumptio), ma ampiamente il cursus, anche se non arriva al livello di abuso dei suoi
limita quest'uso all'ornatus difficilis che considera grado supremo della contemporanei.
costruzione stilistica (VE II VI 5 Est et sapidus et venustus etiam et excelsus, qui
est dictatorum illustrium, ut ‛ Eiecta maxima parte florum de sinu tuo, Florentia, Per l'uso del cursus nelle Epistole i calcoli del Lindholm e del Di Capua
nequicquam Trinacriam Totila secundus adivit '. Hunc gradum constructionis concordano grosso modo: cursus planus: 68 casi = 31,8%; cursus tardus: 45 casi =
excellentissimum nominamus, et hic est quem quaerimus, cum suprema venemur). 21,1%; cursus velox: 97 casi = 45,3%; cursus trispondiacus: 2 casi = 0,9%; nessun
Questa posizione è genericamente equivalente a quella proposta da Boncompagno cursus: 2 casi = 0,9%. Di fronte all'uso contemporaneo D. si mostra più
(Rhetorica novissima 281) e ancor meglio da Guido Fava (Summa dictaminis 78). equilibrato, non indulgendo, come avviene ad esempio in Cola di Rienzo, all'abuso
Dei quattro stili della retorica medievale, il romano, l'ilariano, il tulliano e del cursus velox (84% in Cola di Rienzo). La preferenza è data nell'ordine al
l'isidoriano, D. cita in VE II VI 5 il romano qui est rigidorum scolarium vel cursus velox, al planus e al tardus, ma con un certo equilibrio percentuale. Nel De
magistrorum e che qualifica pure sapidus; il tulliano (qui est quorundam vulg. Eloq. abbiamo la conferma di quest'uso: 117 casi di cursus planus, 57 di
superficietenus rethoricam aurientium, ut ‛ Laudabilis discretio marchionis tardus e 105 di velox. La conclusione del Lindholm pare ragionevole: " Dante ist
Estensis, et sua magnificentia praeparata, cunctis illum facit esse dilectum ') che rhytmisch, bildet die verschiedenen Cursusformen den Regeln entsprechend, hat
qualifica et sapidus et venustus e l'isidoriano, termine ultimo dall'ambizione sich aber in der Verteilung dieser Formen von dem strengen mittelalterlichen
dittatoria et sapidus et venustus etiam et excelsus di cui dà l'esempio Eiecta Gebrauch freigemacht ".
maxima parte, ecc., su riportato; tralascia lo stile ilariano. Lo stile isidoriano è
l'ideale della prosa artistica di D. e le sue influenze sono notevoli anche sulla Questa libertà, che non è - lo ripeto - elemento tale da poterci imbastire su un
strutturazione della prosa volgare. È appunto con questo stile excelsus che D. discorso sulla cifra personale stilistica di D., si riscontra anche nel comportamento
intende conquistare la sua parola ornata. Egli lo realizza con un attento delectus di D. nell'elaborazione del discorso sentenzioso. Guido Fava insegnava che la "
verborum e con un meditato uso del cursus (v.). Sia nella scelta delle parole, sia summa urbanitas " consisteva sia in " rethoricorum colorum flosculis dictamina
nella preferenza per determinati tipi di cursus è da notare che D. si comporta con purpurare ", sia in " circumvallare ", il dittato " proverbiis sapientum, et maiorum
la libertà suggerita dalle artes più moderne, come quella di Guido Fava, rifiutando doctorum auctoritatibus insignire " (Guido Fava Summa dictaminis 103). D. si
la rigidità del dictamen proposto da Boncompagno. Così ad esempio l'uso del attiene spesso a questa norma. Moltissime dimostrazioni dei due trattati e delle
cursus è più stretto nel contesto di un ornatus dificilis che serva a sua volta a Epistole sono sviluppate su una sententia, sia ex evidentia naturae, cioè contenere
sottolineare fondamentali auctoritates, e nel luogo delegato dalle artes alle una constatazione di un dato comunemente accettato, sia derivata da un'auctoritas,

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 15/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 16/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

dalla citazione di un auctor, filosofo o poeta, o su un testo scritturale. In questi potionare e ydromellum (ambedue da Uguccione) e il cursus velox: dulcìssimum
casi è sì la sententia che nobilita l'ornatus, ma è anche l'ornatus, in queste ydromèllum. VE I VI 5 hac forma locutionis locutus est Adam: hac forma
occasioni sempre particolarmente difficilis, che sottolinea la presenza più o meno locutionis locuti sunt omnes posteri eius usque ad aedificationem turris Babel,
evidente della sententia. Questo comportamento è, come dissi, non solo nelle quae turris confusionis interpretatur; hanc formam locutionis hereditati sunt filii
opere latine, ma anche in quelle volgari. Tenerlo presente con la dovuta e finora Heber, qui ab eo dicti sunt Hebraei: qui l'anafora (repetitio) è impreziosita dalle
non prestata attenzione, servirà molto bene all'esegesi, spesso in notevole due allitterazioni locutionis locutus est e locutionis locuti sunt. VE I VII 6-7
imbarazzo specialmente di fronte a ‛ loci ' che giudica disperati non essendo Siquidem pene totum humanum genus ad opus iniquitatis coierat, pars
riuscita a enuclearvi quella nascosta eppur chiarificatrice auctoritas che appunto imperabant, pars architectabantur, pars muros moliebantur, pars amussibus
l'impegno stilistico intendeva, nelle intenzioni di D., generosamente segnalare. Si regulabant, pars trullis linebant, pars scindere rupes, pars mari, pars terra vehere
potrebbe quasi pensare che D., dinnanzi ai verba seniorum, si senta intendebant, partesque diversae diversis aliis operibus indulgebant, cum celitus
particolarmente impegnato alla constructio excelsa dell'ambizione scolastica. tanta confusione percussi sunt, ut qui omnes una eademque loquela deserviebant
Certo è che proprio in questi casi, quando deve citare un'importante auctoritas, ad opus, ab opere multis diversificati loquelis desinerent et nunquam ad idem
egli si adegua al dettato più estroso e complicato suggerito dalle artes. Ché forse commertium convenirent. Solis etenim in uno convenientibus actu eadem loquela
l'esempio classico del linguaggio di quelle auctoritates - ma anche il classico remansit: puta cunctis architectoribus una, cunctis saxa volventibus una, cunctis ea
cristianesimo della prosa di Agostino - valgono a suggerire quella moderazione nel parantibus una, et sic de singulis operantibus accidit: notiamo le repetitiones (pars-
dettato che è, se si vuole, la vera cifra stilistica del l. di D., come quella che, pars-pars-pars-pars-pars-pars-pars-partes; cunctis-cunctis-cunctis; una-una-una), le
secondo l'acuta notazione del Segre, ha innegabili simiglianze con la grande, traductiones (diversae-diversis; ad opus-ab opere), il membrum (deserviebant ad
pacata prosa volgare del Convivio. opus-ab opere diversificati), la rima nei cola (architectabantur-moliebantur;
imperabant-regulabant; linebant-intendebant-indulgebant-deserviebant;
D. sfrutta nella stesura delle auctoritates tutti i ‛ flosculi ad exornationes sermonis ' desinerent-convenirent; architectoribus-volventibus-parantibus-operantibus). I due
che suggerivano le artes (Guido Fava Summa dictaminis 105-144 " repetitio, periodi sono dominati dall'asindeto (dissolutio) e dall'ellissi. Il secondo è
conversio, complexio, traductio, contentio, explanatio, ratiocinatio, sententia, strettamente legato al primo da una traductio (commertium convenirent. Solis
contrarium, membrum, articulus, terminatio similium casuum, similiter desinentia, etenim in uno convenientibus). L'ordo artificialis è ottenuto con lo spostamento di
gradatio, diffinitio, correctio, occupatio, disiunctio, coniunctio, adiunctio, alcuni termini: ad opus dopo deserviebant invece che prima; ab opere multis
conduplicatio, interpretatio, commutatio, promissio, dubitatio, expetitio, dissolutio, diversificati loquelis desinerent invece di multis loquelis diversificati ab opere
praecisio, conclusio, nominatio, praenominatio, denominatio, circuitio, desinerent; in uno convenientibus actu invece di in uno actu convenientibus. Sono
transgressio, superlatio, intellectio, abusio, translatio, permutatio ") per l'ornatus termini rari celitus (Orosio, Isidoro) e architector (Uguccione). Il composto
isidoriano. In questi casi il cursus appare particolarmente seguito. Si vedano alcuni deservio (invece di servio) è scelto di proposito per costituire il membrum.
esempi. VE I I 1 locutioni vulgarium gentium prodesse temptabimus, non solum Corona il tutto il cursus velox (commèrtium convenìrent) nel paragrafo 6 e il
aquam nostri ingenii ad tantum poculum haurientes, sed, accipiendo vel tardus (operàntibus àccidit) nel 7. Mn I I 3 Haec igitur saepe mecum recogitans,
compilando ab aliis, potiora miscentes, ut exinde potionare possimus dulcissimum ne de infossi talenti culpa quandoque redarguar, publicae utilitati non modo
ydromellum: si nota la tenuta coerente della translatio dell'aqua dell'ingegno turgescere, quinymo fructificare desidero, et intemptatas ab aliis ostendere
(aquam - poculum - haurientes - miscentes - potionare - ydromellum), le veritates. Nam quem fructum ille qui theorema quoddam Euclidis iterum
allitterazioni accipiendo - compilando e potiora-potionare, i due vocaboli rari demonstraret? qui ab Aristotile felicitatem ostensam reostendere conaretur? qui

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 17/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 18/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

senectutem a Cicerone defensam resummeret defensandam? Nullum quippe, sed prosequi (= si non de iustissimi principatus aula prodiisset edictum, unigenitus
fastidium potius illa superfluitas taediosa praestaret: oltre alle solite figure come Dei Filius homo factus ad profitendum secundum naturam assumptam edicto se
l'allitterazione (fructificare-fructum; ostensam-reostendere; defensam- subditum, nequaquam tunc nasci de Virgine voluisset, dove il discorso assertivo
defensandam) e l'involuto ordo artificialis, possiamo notare la presenza della della Monarchia viene ridotto in forma ipotetica). Sono esempi di un uso che si
correctio (non modo turgescere, quinymo fructificare) e la serie d'interrogazioni potrebbe documentare in modo massiccio. Così è ad esempio in Mn II V 8-15,
retoriche in anafora (complexio). E si badi come i primi quattro cola siano chiusi VIII 3-9, IX 13-15, III IV 1, X 1, XI 1-2 dove l'auctor è Livïo, che non erra (If
da un cursus velox (ostèndere veritàtes - ìterum demonstràret - reostèndere XXVIII 12). Ma anche altrove e specialmente nei grandi initia e nelle allocuzioni,
conarètur - resùmmeret defensàndam), mentre il quinto che chiude il periodo è un come deputavano le artes, ma anche nel mezzo di un'expositio particolarmente
cursus planus (taediòsa praestàret). Vocaboli rari sono turgescere, fructifìcare, impegnata. È qui sempre che la prosa latina di D. si svolge più solenne e distesa
reostendere, defensare, superfluitas, in gran parte del sermo humilis e della nella constructio excelsa, sapida e venusta, dell'effort retorico, " progrediens
Scrittura. Arricchisce l'ornatus il connubio autorevole di Cic. Orat. I I 1 (" venusto verborum matrimonio et flosculis sententiarum picturata " come
Cogitanti mihi saepenumero ") con Matt. 25, 14 all'inizio e la citazione degli consigliava Mathieu di Vendôme (Ars versif. 110-111 Faral).
Elementi di Euclide (introdotta dal greco theorema), dell'Ethica Nicomachea e del
De Senectute di Cicerone alla fine. Mn I I 1 Omnium hominum quos ad amorem Bibl. - Per il pensiero dantesco sul rapporto l.-volgare si vedano, nell'ordine degli
veritatis natura superior impressit hoc maxime interesse videtur: ut, argomenti trattati: per la nobiltà del volgare e il concetto di l. gramatica: G.
quemadmodum de labore antiquorum ditati sunt, ita et ipsi posteris prolaborent, Brugnoli, Il latino dei dettatori e quello di D., in D. e Bologna nei tempi di D.,
quatenus ab eis posteritas habeat quo ditetur. L'auctoritas che suggerisce l'inizio è Bologna 1967, 113-117; G. Vinay, Ricerche sul De vulg. Eloq. I. Lingua "
qui Sallustio Catil. I 1 " omnes homines qui sese student preaestare ceteris artificiale " " naturale " e letteraria, in " Giorn. stor. " CXXXVI (1959) 236-258
animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae (riassunto in G. Vinay, La teoria linguistica del De vulg. Eloq., in " Cultura e
natura prona atque ventri oboedientia finxit ". D. la sviluppa nell'ambito del Scuola " 4 [1962] 30-42); C. Grayson, ‛ Nobilior est vulgaris '. Latin and
concetto tomistico (Tomm. Comm. Metaph. I 1 4) sottolineandone l'importanza Vernacular in Dante's Thought, in Centenary Essays on D., Oxford 1965, 54-76
con diversi ‛ flosculi ': il verbo dito che è hapax dantesco; le rispondenze isidoriane (da tre Barlow Lectures tenute a Londra nel 1963 sul tema " D. and the Italian
de labore-prolaborent, ditati-ditetur, posteris-posteritas; la clausola in rima videtur- Language ", di cui la terza edita come D. e la prosa volgare, in " Il Verri " 9 [1963]
ditetur; il cursus planus (interèsse vidètur) e velox (pòsteris prolabòrent; hàbeat 6-26, ripubblicate come ‛ Nobilior est vulgaris ': l. e volgare nel pensiero di D., in
quo ditètur). Paradigmatico per sottolineare il peso che ha ovviamente il genus sul Dante. Atti della Giornata internazionale di studio per il VII centenario, Faenza
tipo di retoricizzazione scelto da D. rimane il raffronto fra Mn II X 6-8 ed Ep VII 1965, 101-121). Per la spiegazione politica della nobiltà del volgare: G. Brugnoli, Il
14, dove un medesimo tema, quello importantissimo che l'Impero romano fu de latino dei dettatori, cit., pp. 117-124; E. Paratore, Il latino di D., in " Cultura e
iure, subisce un diverso trattamento retorico. Si confrontino fra parentesi le Scuola " 13-14 (1965) 94-124 (poi in Tradizione e struttura in D., Firenze 1968,
variazioni di tipo isidoriano riscontrabili nell'Epistola: Sed Cristus, ut scriba eius 127-177]; G. Vinay, Ricerche, cit., p. 257. Per altre spiegazioni, esauriente D.A., De
Lucas testatur (= ut bos noster evangelizans accensus Ignis aeterni flamma vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, Padova 1968, L-LXIV. Per lo stile delle Egloghe:
remugit, con la raffinata interpolazione testuale e ideologica di Virgilio Aen. VI G. Padoan, D. di fronte all'umanesimo letterario, in " Lettere Italiane " XVII
98-99 " Cumaea Sibylla / horrendas canit ambages antroque remugit "), sub edicto (1965) 237-257; G. Martellotti, La riscoperta dello stile bucolico (da D. a
romanae auctoritatis nasci voluit de Virgine matre, ut in illa singulari generis Boccaccio), in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 335-346.
humani descriptione filius Dei, homo factus, homo conscriberetur: quod fuit illud

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 19/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 20/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca" 07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

Per il latino usato da D.: G. Brugnoli, Il latino di D., in D. e Roma, Firenze 1965, (1965) 248-251; ID., Stazio in D., in " Cultura Neolatina " XXIX (1969) 117-125.
51-71; il glossario del De vulg. Eloq., in Marigo (ma si veda dello stesso Per Lucano: E. Paratore, Lucano e D., in " L'Alighieri " II (1961) fasc. 2, 3, 24 (poi
l'appendice La latinità del trattato, ivi 299-318); A. Vallone, Il latino di D., in " in Antico e nuovo, Caltanissetta-Roma 1965, 165-210); G. Brugnoli, Due note
Rivista Cult. Classica e Medioev. " VIII (1966) 119-204; F. D'Ovidio, dantesche, cit., pp. 246-247. Per Persio: E. Paratore, De Persio apud Dantem, in "
Versificazione italiana e arte poetica medioevale, Milano 1910, 453 n. 2; E.G. Latinitas " XII (1964) 193-200 (poi in Biografia e poetica di Persio, Firenze 1968,
Parodi, Intorno al testo delle Epistole di D. e il " cursus " (1912 e 1915), ora in 203-210; e v. pure il capitolo Ancora di Persio in D., ibid., 210-223); G. Brugnoli,
Lingua 399-442; F. Di Capua, Appunti sul " cursus " o ritmo prosaico nelle opere Omero sire, in " Cultura Neolatina " XXVII (1967) 120-136; ID., Lingua nostra, in
latine di D. A., Castellammare di Stabia 1919 (poi in Scritti minori, I, Roma 1959, " Rivista di Cultura Classica e Medioev. " X (1968) 324-327. Per Ausonio: G.
566 n. 3); E. Paratore, Il latino di D., cit., p. 119; K. Frenzel, Latinità di D., in " Brugnoli, Tre note dantesche, ibid. VIII (1966) 270-271. Per Girolamo: G.
Convivium " n.s., I (1954) 16-30; E.R. Curtius, D. und das lateinische Mittelalter, Brugnoli, Due note dantesche, cit., pp. 246-247; ID., Tre note dantesche, cit., p.
in " Romanische Forschungen " LVII (1943) 162-163. 270. Per Isidoro: A. Vallone, Isidoro di Siviglia e Purg. XXVIII, 139-44, in " Studi
d. " XXXV (1958) 259-262.
Sull'uso dei classici in generale: P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-
latin, Parigi 1954; A. Renaudet, D. humaniste, ibid. 1952 (che sono preceduti D. non conosce probabilmente né Terenzio (M. Barchiesi, Un tema classico e
soltanto da M. Scherillo, D. e lo studio della poesia classica, in Arte scienza e fede medievale: Gnatone e Taide, Padova 1963; G. Padoan, Il " Liber Esopi " e due
ai giorni di D., Milano 1901, 217-248; P. Chistoni, La seconda fase del pensiero episodi dell'" Inferno ", in " Studi d. " XLII [1964] 75-102), né Seneca tragico (G.
dantesco: periodo degli studi sui classici e filosofi antichi, Livorno 1903). Su un Brugnoli, Ut patet per Senecam in suis tragediis, in " Rivista di Cultura Classica e
piano, invece, più chiaramente interessato alle variazioni semantiche e di struttura Medioev. " V [1963] 146-163, contro E. Parodi, Le tragedie di Seneca e la D. C., in
e alle contaminazioni testuali e concettuali: A. Ronconi, Per D. interprete dei poeti " Bull. " XXI [1914] 241 ss.).
latini, in " Studi d. " XLI (1964) 5-44; E. Paratore, L'eredità classica in D., in D. e
Roma, cit., pp. 3-50 (poi in Tradizione e struttura, cit., pp. 55-121 e v. il cap. D. e il Sul mito classico in D.: A. Vallone, Il mito nel medioevo e in D., in " Giorn. Ital.
mondo classico, ibid. 25-54). Il censimento e l'identificazione delle auctoritates in Filologia " XVII (1964) 5 ss.
E. Moore, Studies in D., s. 1, Oxford 1896; E. Proto, D. e i poeti latini, in " Atene
e Roma " XI (1908) 23 ss., 221 ss.; XII (1909) 7 ss., 277 ss.; XIII (1910) 79 ss., 149 Sul problema della traduzione: F. Groppi, D. traduttore, Roma 1962².
ss.; G. Martellotti, D. e i classici, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 125-137 (non
servono V. Sirago, D. e gli autori classici, in " Lettere Italiane " III [1951] 99-134; Sulla Imitationstechnik di D., cfr. gli articoli citati di E. Paratore, A. Ronconi, G.
T. Hudson-Williams, D. and the Classics, in " Greece and Rome " XX [1951] 38- Brugnoli.
42; F. Mollia, D. e il mondo classico, in " Ausonia " XV [1960] 7 ss.). Ma saranno
da aggiungersi per Virgilio: A. Ronconi, Parole di D., in Interpretazioni Su D. e le artes, oltre agli scritti di F. Di Capua, in Scritti minori, cit., H.
grammaticali, Padova 1958, 86-87. Per Ovidio: P. Fabbri, Ovidio e D., Roma 1959; Wieruszowski, " Ars dictaminis " in the Time of D., in " Mediaevalia et
M. Settineri, Influssi ovidiani nella D.C., in " Siculorum Gymnasium " n.s., X Humanistica " I (1943) 95-108; A. Buck, Gli studi sulla poetica e sulla retorica di
(1959) 31 ss.; G. Brugnoli, D. Inf. 30, 13, in " L'Alighieri " VII 2 (1966) 98-99; ID., D. e del suo tempo, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 143-166 e nel volume D. e
La primavera di Proserpina, in " Trimestre " II (1968) 236-239. Per Stazio: G. Bologna, cit., oltre a G. Brugnoli, Il latino dei dettatori, cit., G. Nencioni, D. e la
Brugnoli, Due note dantesche, in " Rivista di Cult. Classica e Medioevale " VII retorica, ibid. 91-112; F. Forti, La " transumptio " nei dettatori bolognesi e in D.,

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 21/23 https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 22/23


07/02/2021 latino in "Enciclopedia Dantesca"

ibid. 127-149. Sul cursus: F. Di Capua, Scritti minori, cit., I 564; G. Lindholm,
Studium zum mittellateinischen Prosarhythmus, Stoccolma 1963, 76-87; G.
Brugnoli, Il latino di D., cit., pp 63-65. Sul discorso sentenzioso: F. Di Capua,
Scritti minori, cit., I 41 ss.; G. Brugnoli, Il latino di D., cit., pp. 65-70.

https://www.treccani.it/enciclopedia/latino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ 23/23

Potrebbero piacerti anche