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Immaginario e Retorica
–5–
Quaderni del LARIR
Comitato scientifico
Gisèle Vanhese (Professore Emerito di Lingua e Letteratura Romena, Università della Calabria, Italia)
Annafrancesca Naccarato (Professore Associato di Lingua e Traduzione Francese, Università della
Calabria, Italia)
Graziano Benelli (Professore Ordinario di Lingua e Traduzione Francese, Università di Trieste, Italia)
Corin Braga (Professore Ordinario di Letterature Comparate, Preside della Facoltà di Lettere e
Filosofia, Università Babeș-Bolyai di Cluj-Napoca, Romania)
Fabrizio Costantini (Professore Associato di Filologia e Linguistica Romanza, Università della
Calabria, Italia)
Danilo De Salazar (Ricercatore di Lingua e Traduzione Romena, Università della Calabria, Italia)
Luciano Formisano (Professore dell’Alma Mater Università di Bologna, Socio Corrispondente
dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Italia)
Richard Kidder (Professore Associato di Letterature Angloamericane, Università della Calabria, Italia)
Giovanni Magliocco (Professore Associato di Lingua e Letteratura Romena, Università di Bari, Italia)
Marilia Marchetti (Professore Ordinario di Letteratura Francese, Università di Catania, Italia)
Monique Jutrin (Professore di Cultura e Letteratura Francese, Università di Tel-Aviv, Israele)
Laura Pavel (Professore Ordinario di Storia del Teatro, Università Babeș-Bolyai di Cluj-Napoca,
Romania)
Raffaele Perrelli (Professore Ordinario di Letteratura Latina, Direttore del Dipartimento di Studi
Umanistici, Università della Calabria, Italia)
Lǎcrǎmioara Petrescu (Professore Ordinario di Letteratura Romena, Università “Alexandru Ioan
Cuza” di Iași, Romania)
Yannick Preumont (Professore Associato di Lingua e Traduzione Francese, Università della
Calabria, Italia)
Călin Teutişan (Professore Ordinario di Letteratura Romena, Direttore del Dipartimento di
Letteratura Romena e Teoria Letteraria, Università “Babeș-Bolyai” di Cluj-Napoca, Romania)
Rodica Zafiu (Professore Ordinario di Linguistica Romena, Università di Bucarest, Romania)
Si ringrazia per la revisione e uniformazione dei testi la dott.ssa Paola Anna Butano
1. Sul titolo
1
J. Ortega y Gasset, «Pidiendo un Goethe desde dentro», in Obras completas, t.
V, Madrid, Taurus, 2006, p. 128, in nota.
2
Cfr. G. Cacciatore, «El lugar de la palabra: el estilo filosófico de Ortega entre
meditación y ensayo», in Investigaciones fenomenológicas, n. 11, 2015, pp. 19-31.
3
J. Ortega y Gasset, «Meditaciones del Quijote», in Obras completas, t. I, Madrid,
Taurus, 2004, p. 782.
4
Id., «La deshumanización del arte» (1925), in Obras completas, t. III, Madrid,
Taurus, 2005, p. 865: «La metáfora es probablemente la potencia más fértil que el hom-
bre posee. Su eficiencia llega a tocar los confines de la taumaturgia y parece un trebejo
de creación que Dios se dejó olvidado dentro de una de sus criaturas al tiempo de
formarla, como el cirujano distraído se deja un instrumento en el vientre del operado».
103
sono stati i lettori quando il primo filosofo spagnolo dopo più di due
secoli di latenza, o quanto meno di marginalità del pensiero filosofico
spagnolo nel panorama europeo, viene scambiato per altro, viene con-
siderato «solo» come uno scrittore bravo a giocare con le immagini.
Vieppiù se il lavoro sulla lingua e lo stile da più parti ammirato non
sono dovuti soltanto al talento letterario, ma ad un ripensamento della
missione della filosofia in cui le immagini giocano un ruolo centrale.
Ma la sorte è ancora più ironica, o il destino di incompletezza mo-
stra di essere del tutto e sempre implacabile, quando su quelle stesse
immagini sono i traduttori a scivolare. Allora si continua a perdere, e
forse con le traduzioni addomesticanti che tendono a privilegiare la
funzione designativa su quella metaforica, si rischia di perdere, e molto
spesso s’è perso, tutto. Per tutto s’intende qui la cifra di un pensiero
che ha fatto scuola, la Escuela de Madrid, tra i cui membri al lettore
italiano è arcinota un’allieva, María Zambrano, cui è andata in eredità
buona parte del capitale di metafore e di metonimie (basti pensare alle
entrañas, alla fin troppo usata metonimia del concreto per l’astratto,
delle viscere per l’interiorità) e forse è meno noto un filosofo come
Xavier Zubiri che pure adopera metafore verbali e sostantivali di stam-
po orteghiano, senza parlare di Julián Marías (il padre del tanto – e a
ragione – tradotto Javier), forse il discepolo più vicino sia nella forma
che nelle questioni trattate.
Giusto per intenderci e per non sembrare esagerati quando si parla
di distruzione totale come effetto collaterale di traduzioni parziali,
vale la pena di richiamare quello che nella terminologia di Berman
risuona come «impoverimento qualitativo»5. Si tratta della tendenza
deformante che favorisce la distruzione delle superfici di iconicità che
in questo caso specifico – quello di un autore come Ortega che, anche e
soprattutto attraverso una rimodulazione in chiave mediterranea della
fenomenologia husserliana, ha ripensato il rapporto tra profondità e
superficie – si concretizza in una demolizione di cui non sempre è
facile misurare l’entità.
Il fatto è che quelle di Ortega sono della stessa natura delle métapho-
res vives di Ricœur o di quelle projectives di Prandi, al quale più volte
5
A. Berman, La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza, tr. it. di G.
Giometti, Macerata, Quodlibet, 2003, p. 49.
104
si farà qui riferimento. Esse sono un procedimiento y un resultado6, e
rispetto al processo – un processo di annichilimento e di sovrapposi-
zione che dà luogo ad una compenetrazione tra punti inessenziali, una
coincidenza impossibile, un’identificazione non reale7 – le affinità con
la prédication impertinente di Ricoeur8 sono state a ragione già segna-
late9. Così come, a partire dal rilevamento in Ortega di una «prospec-
tiva semántica» (complementare alla «arqueología semántica»)10, sono
stati individuati11 elementi in comune con il principio di anteriorità
semantica di Ramón Trujillo12 e con l’affermazione di Coseriu secondo
cui «il linguaggio non dipende in assoluto dall’esistenza delle “cose”
6
J. Ortega y Gasset, «Ensayo de estética a manera de prólogo» (1914), in Obras
completas, t. I, op. cit., p. 673. E più avanti e in riferimento al verso di López Picó per
il quale il cipresso és com l’espectre d’una flama morta afferma: «se trata de formar un
nuevo objeto que llamaremos el “ciprés bello” en oposición al ciprés real. Para alcan-
zarlo es preciso someter éste a dos operaciones: la primera consiste en libertarnos del
ciprés como realidad visual y física, en aniquilar el ciprés real; la segunda consiste en
dotarlo de esa nueva cualidad delicadísima que le presta el carácter de belleza (p. 674)».
7
Ibid.: «Buscamos otra cosa con quien el ciprés posea una semejanza real en
algún punto, para ambos sin importancia. Apoyándonos en esta identidad inesen-
cial afirmamos su identidad absoluta. Esto es absurdo, es imposible. Unidos por una
coincidencia, en algo insignificante, los restos de ambas imágenes se resisten a la
compenetración, repeliéndose mutuamente. De suerte que la semejanza real sirve en
rigor para acentuar la desemejanza real entre ambas cosas. Donde la identificación
real se verifica no hay metáfora. En ésta vive la conciencia clara de la no-identidad».
8
Cfr. P. Ricœur, La metaphore vive, Paris, Éditions du Seuil, 1975, p. 8.
9
Si veda, ad esempio, T. Domingo Moratalla, «La hermenéutica de la metáfora:
de Ortega a Ricœur», in Espéculo. Revista de Estudios literarios, 2003, (online: http://
www.ucm.es/info/especulo/numero24/ortega.html).
10
Cfr. P. Cerezo Galán, «Fenomenología del Decir y Expresión poética en Ortega
y Gasset», in A. Gallego Morell, A. Soria, N. Marín (eds.), Estudios sobre literatura
y arte dedicados al profesor Emilio Orozco Díaz, Granada, Universidad de Granada,
1979, I, p. 294.
11
F. M. Carriscondo Esquivel, Creatividad léxica-semántica y diccionario. Cinco
estudios, Santiago de Compostela, Universidad de Santiago de Compostela, 2006, p.
52 e ss.
12
R. Trujillo, Principios de semántica textual. Los fundamentos semánticos del análi-
sis lingüístico, Madrid, Arco Libros, 1996, p. 360: «la lingua non è la rappresentazione
delle cose, bensì la condizione affinché le cose possano essere significate o pensate,
e la forma in cui lo saranno, vale a dire, la forma intellettuale che prenderanno». La
traduzione dallo spagnolo, in questo come negli altri casi, è nostra.
105
[…] bensì, al contrario, è condizione necessaria per la constatazione
dell’esistenza delle cose (o della loro inesistenza)»13.
2. Il metodo descrittivo-contrastivo
13
E. Coseriu, «El hombre y su lenguaje», in Id., El hombre y su lenguaje. Estudios
de teoría y metodología lingüística, Madrid, Gredos, 1991, p. 27.
14
B. Lépinette, «La historia de la traducción. Metodología. Apuntes bibliográfi-
cos», in HISTAL, 2004, (online: www.histal.net). Sul vuoto teorico e metodologico
che venne a colmare il breve ma densissimo saggio di Lépinette, cfr. S. López Alcalá,
La historia, la traducción y el control del pasado, Madrid, Universidad Pontificia de
Comillas, 2001, in particolare p. 100 e ss. dove però l’autore segnala la necessità di
dare maggiore rilievo alla prospettiva storiografica in linea con Delisle. Cfr. J. Delisle,
«Réflexions sur l’historiographie de la traduction et ses exigences scientifiques», in
Équivalences, nn. 26/ 2, 27/ 1, 1997-1998, in part. p. 25.
15
J. Ortega y Gasset, «Meditaciones del Quijote», in Obras completas, t. I, op. cit.,
d’ora in poi verrà indicato col numero di pagina tra parentesi subito dopo la citazione.
16
Id., Meditazioni del Chisciotte, intr. di O. Lottini, tr. it. di B. Arpaia, Napoli,
Guida, 1986, d’ora in poi indicato con la sigla Arp. seguita dal numero di pagina.
17
Id., Meditazioni del Chisciotte, tr. it. di G. Ferracuti, (online: www.ousia.it), d’ora
in poi indicato con la sigla Fer.
106
3. la traduzione di Armando Savignano pubblicata da Mimesis nella
collana «Ispanismo filosofico» nel 201418;
4. la revisione della traduzione di Arpaia ad opera di chi scrive, pub-
blicata da Guida nel 2016 sotto il titolo Meditazioni del Chisciotte
e altri saggi con premessa di Giuseppe Cacciatore e introduzione
di chi ha realizzato la revisione19. Questa versione, oltre ad essere
condotta sull’edizione critica di Taurus, ha tenuto conto dell’edi-
zione commemorativa del centenario, in particolare dell’appendice
di varianti curata da José Ramón Carriazo Ruiz20, di cui s’è cercato
di render conto nelle note a piè di pagina, facendo però una sele-
zione che mira, attraverso il rilevamento di omissioni e aggiunte
nel confronto tra le edizioni pubblicate in vita da Ortega (dal ’14
al ’53), alla restituzione dell’aspetto lessicale delle varianti. Gli altri
saggi che costellano le Meditaciones, fino ad allora inediti in italia-
no, sono «Pío Baroja: anatomia di un’anima dispersa»; «Variazioni
sulla circum-stantia»; «La volontà del Barocco» e il frammento «Fi-
nale». Com’è facile intuire, si tratta di testi che ruotano attorno ad
uno dei temi che godono di maggiore persistenza nella riflessione
orteghiana, ovvero, il romanzo.
Nei testi prescelti come corredo della nuova edizione delle Medita-
ciones del Quijote, è possibile rilevare, più che una contraddizione nella
concezione orteghiana di arte e di quello che ne La deshumanización
del arte sarebbe stato definito come la sua «cellula bella», «l’ogget-
to estetico elementare», ovvero, la metafora, un’estremizzazione che
avviene attraverso l’isolamento del momento di sguardo obliquo, di
18
Id., Meditazioni del Chisciotte, intr. e tr. it. di A. Savignano, Milano-Udine,
Mimesis, 2014, d’ora in poi indicato con la sigla Sav. seguita dal numero di pagina.
19
Id., Meditazioni del Chisciotte, in Id., Meditazioni del Chisciotte e altri saggi,
premessa di G. Cacciatore, intr. e rev. di M. L. Mollo, Napoli, Guida, 2016, d’ora in
poi indicato con la sigla Mol. seguita dal numero di pagina.
20
Id., Meditaciones del Quijote, edición conmemorativa, Madrid, Alianza, Funda-
ción José Ortega y Gasset-Gregorio Marañón, Fundación Residencia de Estudiantes,
2014.
107
presa di distanza, di torsione e, perché no, di deviazione dalla norma.
Nell’individuare nel taglio col passato uno degli elementi cardine del
programma estetico del modernismo spagnolo, Ortega denuncia come
la deviazione, quando è mera negazione, si traduca in un’operazione
sterile, in una sorta di cinismo e di scetticismo che ha il solo esito di
precludersi un’autentica possibilità estetica. In poche parole, quando
la pur sempre necessaria negazione, e quindi anche deviazione dalla
norma, non è intesa quale salutare metodo di rinnovamento dell’arte
e del linguaggio, ma è fine a se stessa, allora resta sbarrata la strada per
la «fauna nuova» e, prima ancora, per quella nuova, inedita, inusitata
rifrazione dello sguardo che fa dell’artista uno scopritore di mondi.
Nei testi presentati nell’edizione Guida del 2016, il romanzo è af-
frontato da Ortega a partire dall’analisi dello stile di Pío Baroja, uno dei
più noti rappresentanti del modernismo spagnolo, e in riferimento ad
un’opera, El árbol de la ciencia, alla quale ben si addice la prerogativa
di essere «specchio di un’epoca», e di una disfatta, di primo acchito
storica, quella della «terribile data» del 1898, eppure non solo storica,
più che altro metafisica e faustiana, come può esserlo quella che con-
segue alla presa di consapevolezza della natura mortifera dei frutti di
un albero che non è della vita, ma della scienza21. È questo un luogo
in cui le affinità, già rilevate22, con Spitzer, sia nella concezione dello
stile come «deviazione» sia nel metodo linguistico d’analisi23, diven-
gono oltremodo chiare. Basti confrontare quello che sarebbe stato il
modo di procedere di Spitzer in «decine di saggi affascinanti» – che si
collocano prima dell’insistenza sul concetto di «struttura» e dell’atte-
21
Cfr. A. Mascolo, «Il tormento della conoscenza. Il tema schopenhaueriano
del dolore tra medicina, filosofia e letteratura nel pensiero di Pío Baroja», in Pagine
inattuali, n. 6, 2016, pp. 77-106, in part. p. 106: «Eppure, questo dolore che afferra
l’animo dell’uomo non è in grado di arrestare il suo infinito desiderio di conoscenza
e anzi lo accresce. L’“albero della scienza” è così sempre in fiore, poiché non conosce
stagioni, e si diverte a distillare il suo dolce miele spargendolo senza posa sulla ferita
sempre aperta della vita».
22
Cfr. A. Domínguez Rey, El drama del lenguaje, Madrid, Verbum, 2003, p. 217.
23
L. Spitzer, «Zur sprachlichen Interpretation von Wortkunstwerken» (1928); trad.
it. in Id., Critica stilistica e semantica storica, Bari, Laterza, 1966, pp. 46-72, in part. p.
46: «a qualsiasi emozione, ossia, a qualsiasi allontanamento dal nostro stato psichico
normale, corrisponde, nel campo espressivo, un allontanamento dall’uso linguistico
normale; e, viceversa, […] un allontanamento dal linguaggio usuale è indizio di uno
stato psichico inconsueto».
108
nuarsi di quella sulle «deviazioni»24 – con le descrizioni orteghiane di
«realizzazioni», i romanzi barojiani, che più che realizzare distruggono,
incapaci di ricostruire dopo la catastrofe della civiltà – vere e proprie
«robinsonate» – che in comune con le opere degli altri modernisti
hanno un tratto specifico negativo: «critica, improperi, aggressione,
ribellione e perforazione di monete false»25. Ortega giunge infine ad
interpretare la preferenza in Baroja per la parola «farsa», ma anche gli
improperi, come una regressione del linguaggio allo stadio barbaro
dell’interiezione e del balbettio26. Una regressione questa che, benché
non incontri il suo gusto, gli si mostra degna di considerazione come
sintomo di un’epoca e come mezzo terapeutico che ritorna nei mo-
menti di crisi, «utilissimo cinismo», «ritorno passeggero al paterno
scimpanzé»27.
La scelta di tradurre i saggi su Pío Baroja, in buona parte incen-
trati su El árbol de la ciencia, non è però scaturita da una volontà di
discostamento, semmai è stata mossa dall’intento di integrare, facendo
leva sul versante letterario, la prima edizione di Guida, quella in cui
la selezione di saggi esprimeva una vocazione estetico-figurativa, che
appariva riconfermata dalle profonde e pensate pagine che Lottini
dedicava al teatro e all’approccio orteghiano di «semantica pragmati-
24
«Come quello su Charles-Louis Philippe, in cui l’abbondanza di locuzioni e
congiunzioni causali (à cause de, parce que, car) e il loro uso talora improprio permet-
te d’individuare la presenza di una «motivazione pseudo-oggettiva», specchio della
rassegnazione ironica e fatalistica colta negli sventurati personaggi e fatta propria
dall’autore; o quello su Péguy, la cui esperienza bergsoniana è reperita nelle parole
preferite (mystique, politique, composti con dé- e in-), nelle parentesi che spesso aprono
prospettive all’infinito, nella decimazione delle virgole, ecc.; o quello che individua
negli scritti del pacifista Barbusse l’ossessiva presenza d’immagini di sangue di forte
impronta sessuale; o quello che mette in luce in Racine la polarità tra osservazione del
reale e intellettualismo, tra espressione emotiva e ideale classico» (C. Segre, Avviamento
all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1999, p. 316).
25
J. Ortega y Gasset, «Pío Baroja: anatomia di un’anima dispersa», in Id., Medi-
tazioni del Chisciotte e altri saggi, op. cit., p. 173.
26
Op. cit., p. 178: «Ciò che veniva chiamato la Spagna, quel filo filato con una
mitologia incapace che riuniva gli individui in una nazione, in una coscienza collettiva,
doveva essere spezzato. Rompe il filo di tutte le convenzioni, cadono gli edifici di ogni
lignaggio, le forme tutte della socializzazione, la grammatica stessa che porta a conver-
gere i modi di espressione individuali. Nulla di tutto ciò ha senso: tutto è una farsa».
27
Ibid.
109
ca» in un’«Introduzione» che non a caso indugiava, e lo faceva magi-
stralmente, sul tema della dualità e del doppio come leitmotiv di tutti
i saggi ivi raccolti.
28
Cfr. A. Berman, Pour une critique des traductions: John Donne, Paris, Gallimard,
1995, p. 17.
29
Cfr. B. Lépinette, op. cit.
110
riconoscere «alla lingua un potere di formazione autonomo: la capacità
di piegare la materia ontologica a connessioni autonome ed estranee»30.
È dunque questa una grammatica che vuole porsi oltre l’alternativa tra
il «sincretismo generalizzante» dell’integrazione funzionale e il «rigore
sterile» delle descrizioni delle strutture interne della lingua, puntando
invece ad «una descrizione che sia capace di salvaguardare la specificità
della grammatica senza ignorare i suoi vincoli funzionali esterni». Una
simile istanza, fortemente motivata dalla volontà di superare i riduzio-
nismi, non può che assumere la forma di una sfida, quella di studiare la
formazione del significato nel «crocevia tra le strutture immanenti della
lingua, i presupposti ontologici sistematici e condivisi e le condizioni
occasionali della circolazione dei messaggi»31.
In questo caso particolare di analisi contrastiva, l’intento è inizial-
mente quello di rifare, in descrizioni e confronti testuali tra lo spagnolo
e l’italiano, un sentiero che in altra lingua e intorno ad altri autori è stato
ampiamente praticato da Annafrancesca Naccarato e della cui percorri-
bilità e bontà sono prova i lavori di grande pregio in cui s’è oggettivato32.
5. L’analisi contrastiva
a) Metafore sostantivali
30
M. Prandi, Gramática filosófica de los tropos, Madrid, Visor, 1995, p. 42.
31
Ibid.
32
Cfr., tra gli altri, A. Naccarato, Poétique de la métonymie. Les traductions ita-
liennes de «La Curée» d’Émile Zola au XIXe siècle, Roma, Aracne, 2008; Id., Traduire
l’image. L’œuvre de Gaston Bachelard en Italien, Roma, Aracne, 2012; Id., «Filosofia
delle immagini e traduzione. Il caso de La poétique de l’espace di Gaston Bachelard»,
in G. Benelli, M. Raccanello (eds.), Tradurre la letteratura. Studi in onore di Ruggero
Campagnoli, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 95-115; Id., «Tradurre l’esperienza dell’a-
bisso. Il Baudelaire di Benjamin Fondane in italiano», in G. Benelli, C. Saggiomo
(eds.), Un coup de dés, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, n. 3, 2015, pp. 73-101.
111
1. Sólo un modo hay de dominar el pasado, reino de las cosas fenecidas: abrir
nuestras venas e inyectar de su sangre en las venas vacías de los muertos (p. 759).
1a. C’è solo un modo di dominare il passato, regno delle cose trascorse: iniet-
tare il nostro sangue nelle vene vuote dei morti (Arp., p. 46); (Sav., p. 41).
1b. C’è solo un modo di dominare il passato, regno delle cose defunte: aprire
le nostre vene e iniettare il loro sangue nelle vene dei morti (Fer.).
1c. C’è solo un modo di dominare il passato, regno delle cose trascorse: aprire
le nostre vene e iniettare il loro sangue nelle vene vuote dei morti (Mol., p. 55).
33
Cfr. A. Suñer Gratacós, «La aposición y otras relaciones de predicación en el
sintagma nominal», in I. Bosque, V. Demonte (eds.), Gramática descriptiva de la len-
gua española, vol. I: Sintaxis básica de las clases de palabras, Madrid, Real Academia
Española, Espasa Calpe, 1999, pp. 523-564, in part. p. 542.
112
von Vernunft]34. Prestando, però, fede all’intento di svolgere un’analisi
che vuole essere innanzitutto sintattica e poi contrastiva e tenendo a
mente l’avvertimento che sulla scia di Ricœur fa Prandi, secondo cui
«il tropo non si presenta come l’avventura di una parola, ma come la
via d’uscita da una connessione tra parole ed espressioni. Affinché vi
sia contraddizione, e pertanto tropo, vi deve essere connessione tra
almeno due termini»35, conviene segnalare che è nel gruppo binominale
«linfa rarefatta (o annacquata) della ragion pura» che ha luogo una
contraddizione indiretta tra termini lessicali tra loro estranei, in virtù
della quale avviene una transazione tra ambiti concettuali eterogenei36.
Ritornando a Ortega e col senso di colpa che lascia dietro di sé el
delito de traducir37, è doveroso ammettere che il compito cui dovreb-
be adempiere un’autentica revisione, ovvero, ricreare un testo in cui
«l’originale non cessi d’esser presente»38, non è stato portato a termine
pienamente. Più linguistica e radicale, rispetto alla revisione, si mo-
stra infatti la versione di Ferracuti che, in riferimento all’apposizione
sintattica o «predicativa»39 presente nel passaggio prescelto, ovvero,
el pasado, reino de las cosas fenecidas, traduce la metafora aggettivale
fenecidas con «defunte».
34
W. Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, tr. it. di G.A. De Toni, G. Bat-
tista Demarta (ed.), con testo tedesco a fronte, Milano, Bompiani, 2007, p. LX: «In den
Adern des erkennenden Subjekts, das Locke, Hume und Kant konstruierten, rinnt nicht
wirkliches Blut, sondem der verdünnte Saft von Vernunft als bloßer Denktätigkeit».
35
M. Prandi, op. cit., p. 33.
36
Cfr. op. cit., p. 38.
37
J.C. Santoyo, El delito de traducir, León, Universidad de León, 1996.
38
Cfr. J.-C. Chevalier e M.-F. Delport, «Prologue», in Jérômiades. Problèmes lin-
guistiques de la traduction II, Paris, L’Harmattan, 2010, p. 6.
39
Cfr. J. Alcina Franch e J. M. Blecua, Gramática española, Barcelona, Ariel, 1975.
113
In questo caso, la arista è il nome metaforico predicativo, nel con-
tempo fuoco e soggetto del discorso sussidiario, applicato al soggetto
grammaticale Don Quijote, che è nel contempo cornice e soggetto del
discorso primario. La scelta di puntare al massimo grado di equivalenza
semantica nella traduzione del nome metaforico è stata determinata
dall’importanza che acquisisce il lessema arista non solo in questo
passaggio in cui sembra reggere la dualità mondo del reale-mondo
dell’irreale, ma anche in altri luoghi orteghiani, fino al punto di dar
vita, attraverso un procedimento morfologico di derivazione, alla con-
versione del sostantivo nel verbo aristar40.
3. Estos molinos tienen un sentido: como “sentido” estos molinos son gigantes
(p. 812).
3a. Omissione (Arp.)
3b. Questi mulini hanno un senso: come «senso», questi mulini sono dei
giganti (Sav., p. 105).
3c. Questi mulini hanno un significato: come «significato» questi mulini sono
giganti (Fer.).
3d. Questi mulini hanno un senso: al livello del “senso” questi mulini sono
dei giganti (Mol., p. 127).
40
Cfr. P. Giménez Eguíbar, «Neologismos orteguianos a la luz de la nueva edición de
Obras completas», in Cuadernos del Instituto Historia de la Lengua, n. 2, 2009, pp. 141-153,
in part. pp. 149-150. Per cogliere come questo non sia un caso isolato di cambiamento
funzionale, ma anzi costituisca una di quelle che Ricardo Senabre aveva individuato
come «líneas de actuación de Ortega», quella della composizione e della derivazione e
in riferimento a quest’ultima altre testimonianze sono i verbi denominali pacientar da
paciencia, hojarascar da hojarasca e fonambular da fonámbulo, cfr. R. Senabre, Lengua
y estilo de Ortega y Gasset, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1964, pp. 50-54.
114
il significato si colloca nell’orizzonte del senso e il senso è, per Ortega,
«il lato intimo» delle cose.
4. Mas en torno al héroe muñón que dentro conducimos, se agita una caterva
de instintos plebeyos (p. 820).
4a. Ma attorno a quella parte di eroe che ci portiamo dentro, si agita una
caterva di istinti plebei (Arp., p. 123); (Sav., p. 115).
4b. Ma intorno all’eroe moncone che portiamo dentro, si agita una caterva
di istinti plebei (Fer.).
4c. Ma attorno all’eroe-moncherino [muñón] che ci portiamo dentro, si agita
una caterva di istinti plebei (Mol., p. 138).
41
All’entrata muñón il DRAE (Real Academia Española: Diccionario de la len-
gua española, XXIII ed., Madrid, Espasa-Calpe, 2014) fa corrispondere come prima
accezione la seguente definizione: 1. m. Parte de un miembro cortado que permane-
ce adherida al cuerpo.
42
J. Delisle, H. Lee-Jahnke, M. C. Cormier, Terminologia della traduzione, M.
Ulrych (ed.), tr. it. di C. Falbo, M.T. Musacchio, Milano, Hoepli, 2002, p. 94.
43
Cfr. A. Berman, La traduzione e la lettera, op. cit., p. 45.
44
Si veda, tra gli altri luoghi, J. Ortega y Gasset, «El origen deportivo del Estado»
(1925), in Obras completas, t. II, Madrid, Taurus, 2004, p. 705: «Si el físico detiene la
115
particolare, lo scritto su Proust del 1923, i monconi sarebbero stati
proprio quelli dell’avambraccio45.
mano con que dibuja los hechos allí donde su método concluye, el hombre que hay
detrás de todo físico prolonga, quiera o no, la línea iniciada y la lleva a terminación,
como automáticamente al ver el trozo del arco roto nuestra mirada completa la aérea
curva manca».
45
Id., «Tiempo, distancia y forma en el arte de Proust» (1923), in Obras completas,
t. II, op. cit., p. 792: «No, pues, las cosas que se recuerdan, sino el recuerdo de las cosas
es el tema general de Proust. Por vez primera pasa aquí formalmente el recuerdo de
ser material con que se describe otra cosa a ser la cosa misma que se describe. Por esta
razón el autor no suele añadir a lo recordado las partes de la realidad que al recuerdo
faltan, sino que deja a éste intacto, según él es, objetivamente incompleto, tal vez
mutilado y agitando en su espectral lejanía los pobres muñones que le han quedado».
116
presenti in noi. Perché tutti ci portiamo dentro un moncherino [muñón] di
eroe (Mol., p. 138).
46
Cfr. E. Coseriu, Principios de semántica estructural, tr. cast. di M. Martínez
Hernández, Madrid, Gredos, 1981, in part. p. 158: «En las solidaridades con manifesta-
ción material, en el caso de una contradicción entre lo sintagmático y lo paradigmático,
surge automáticamente una metáfora lingüística».
47
M. Prandi, op. cit., p. 88: «El empleo metafórico del nombre de una parte, a su
vez, puede enfocar tanto el objeto parcial en su propia Gestalt como la relación que éste
mantiene con el todo. En el primer caso se produce un tropo puntual: por ejemplo, si
se utiliza el nombre diente para designar un pico, como en el topónimo Los dientes del
Midi. En el segundo, se produce una conexión trópica: Las alas del molino, La cabeza
del tren, o, para salir del campo de la catacresis, I duri denti della vecchiezza (Leonardo
da Vinci: Los dientes irritados de la vejez), Las manos del azar (Balzac), Las alas del
miedo (Journal de Genève), otras tantas expresiones que, remontando del miembro
al cuerpo, personifican entidades abstractas».
48
G. Corpas Pastor, Manual de fraseología española, Madrid, Gredos, 1996, p. 74:
«Sustantivo + preposición + sustantivo […]. El primer sustantivo (el grupo o la unidad)
constituye el colocativo, mientras que el segundo es la base […] También en este caso
se dan a menudo relaciones de solidaridad léxica entre los colocados, donde el primer
sustantivo (el colocativo) está determinado semánticamente por el segundo (la base)».
117
base che determina semanticamente il primo nome, ovvero muñón,
che conviene non determinare ulteriormente.
49
L. F. Lara, Teoría semántica y método lexicográfico, México, El Colegio de
México, 2016, p. 124: «El lingüista, el lexicólogo no tiene por qué sentir pesadumbre
cuando la metáfora que le interesa es la muerta, la que se lexicaliza. Todo lo con-
118
E poi, v’è un’altra questione, testuale e intertestuale, che richiede altresì
di ampliare lo spettro dell’analisi includendovi una lingua germanica,
il tedesco, e in particolare il processo di composizione che costituisce
uno dei suoi tratti caratteristici. La parola composta è Augenblick, il cui
significato etimologico è ictus oculi50, letteralmente «batter d’occhio»,
che in italiano può esser tradotta con «attimo» e che nella revisione è
stata introdotta con un’unità lessicale complessa non lessicalizzata51.
Il riferimento intertestuale, invece, sembra essere a Così parlò Zara-
thustra52.
trario, esa clase de metáfora permite apreciar mejor las propiedades de la palabra y,
en consecuencia, las del sistema lingüístico, pues un sistema que sólo constara de
un catálogo de nombres – la idea nomenclaturista – sería extremadamente rígido
y pobre, más correspondiente a un código que a la lengua, más comparable con
las señales marítimas o con las expresiones cifradas de la policía, que a una lengua
capaz de significarlo todo».
50
J. und W. Grimm, Deutsches Wörterbuch, Online-Version vom 05.04.2020.
51
Che quindi non può essere considerata come unità fraseologica, polirematica
o sinapsi, dal momento che manca dei caratteri di «frequenza» e, di conseguenza, di
«istituzionalizzazione», «idiomaticità» e «stabilità». Sulla sinapsi cfr. E. Benveniste,
«Différentes formes de la composition nominale en français», in Bulletin de la Société
de Linguistique de Paris, n. 61, 1, 1966, pp. 82-95; C. Bordonaba Zabalza, «Neología
y formación de palabras», in M.V. Calvi, C. Bordonaba Zabalza, G. Mapelli, J. Santos
López (eds.), Las lenguas de especialidad en español, Roma, Carocci, 2009, in part. p.
49 e l’appena scomparso e compianto M. Alvar Ezquerra, La formación de palabras
en español, Madrid, Arco/ Libros, 1995, in part. p. 24: «Podemos considerar una con-
strucción como sinapsia cuando su significado sea siempre el mismo, así como sus
elementos y su orden, además, por supuesto, de estar aceptada por los hablantes y
ser de uso frecuente».
52
Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883),
tr. it. di M. Montinari, G. Colli, Milano, Adelphi, 1992, pp. 183-184. Soprattutto se
si bada al tono e alla portata che assume la domanda sulla Spagna nel paragrafo «In-
tegrazione», al di là della necessità per «ogni razza» di fermarsi «all’incrocio prima
di proseguire il cammino». Non sembra un azzardo pensare al discorso «La visione
e l’enigma» dello Zarathustra, in particolare alla porta carraia, intitolata Augenblick,
dai due volti su cui convergono due sentieri: uno fino alla porta e all’indietro e l’altro
fuori dalla porta e in avanti. Due eternità che convergono nell’attimo.
119
3a. Fluisce, allora, sotto la terra spirituale di questi saggi, rischiosa a volte, e
aspra – con rumore sordo, blando, come se temesse di essere ascoltata troppo
chiaramente –, una dottrina d’amore (Arp., p. 32).
3b. Fiorisce, allora, sotto la terra spirituale di questi saggi, rischiosa a volte,
e aspra – come rumore sordo, blando, come se temesse di essere ascoltata
troppo chiaramente – una dottrina d’amore (Sav., p. 28).
3c. Di conseguenza, sotto la terra spirituale a volte scoscesa e aspra di questi
saggi fluisce – con un rumore sordo, debole, quasi temesse di essere sentita
troppo chiaramente – una dottrina d’amore (Fer.).
3d. Fluisce, allora, sotto la terra spirituale di questi saggi, scoscesa a volte, e
aspra – con rumore sordo, blando, come se temesse di essere ascoltata troppo
chiaramente –, una dottrina d’amore (Mol., p. 40).
53
Sull’utilizzo di costruzioni sintattiche ritenute più appropriate e finalizzate a
ristabilire il «“normale” ordine delle cose», cfr. A. Naccarato, «Filosofia delle immagini
e traduzione. Il caso de La poétique de l’espace di Gaston Bachelard», in G. Benelli e
M. Raccanello (eds.), Tradurre la letteratura. Studi in onore di Ruggero Campagnoli,
Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 95-115, in part. p. 99.
120
b) Metafore verbali
1. Diríase que cada cosa es fecundada por las demás; diríase que se desean como
machos y hembras; diríase que se aman y aspiran a maridarse, a juntarse en
sociedades, en organismos, en edificios, en mundos (p. 782).
1a. Si direbbe che ogni cosa è fecondata dalle altre; si direbbe che esse si
desiderino, come maschi e femmine; si direbbe che si amino e che aspirino
a unirsi, ad aggregarsi in società, in organismi, in edifici, in mondi (Arp.,
p. 74).
1b. Si direbbe che ogni cosa è fecondata dalle altre; si direbbe che esse si
desiderino; come maschi e femmine, si direbbe che si amino o che aspirino
a unirsi, ad aggregarsi in società, in organismi, in edifici, in mondi (Sav.,
p. 69).
1c. Si direbbe che ogni cosa sia fecondata dalle altre; si direbbe che si deside-
rino come maschi e femmine; si direbbe che si amino e aspirino a maritarsi,
a unirsi in società, in organismi, in edifici, in mondi (Fer.).
1d. Si direbbe che ogni cosa è fecondata dalle altre; si direbbe che esse si
desiderino, come maschi e femmine; si direbbe che si amino e che aspirino a
unirsi in matrimonio [maridarse], ad aggregarsi in società, in organismi, in
edifici, in mondi (Mol., pp. 86-87).
54
Cfr. M. Prandi, op. cit., p. 133.
121
2a. Un po’ strana sembra, forse, l’approssimazione della sensibilità filosofica
a quell’inquietudine muscolare, a quell’improvviso ribollire del sangue che
sperimentiamo quando una bella ragazza ci passa vicino colpendo il suolo
con i suoi tacchi (Arp., p. 76); (Sav., p. 70).
2b. Forse sembra un po’ strano l’accostamento della sensibilità filosofica a
questa inquietudine muscolare, a questo fervore improvviso del sangue, che
si prova quando ci passa accanto una gran bella ragazza, ferendo la terra coi
suoi tacchi a spillo (Fer.).
2c. Un po’ strana sembra, forse, l’approssimazione della sensibilità filosofica
a quell’inquietudine muscolare, a quell’improvviso ribollire del sangue che
sperimentiamo quando una bella ragazza ci passa vicino ferendo [hiriendo]
il suolo con i suoi tacchi (Mol., p. 88).
c) Metafore aggettivali
122
1c. Io sospetto che, per cause sconosciute, l’intima dimora degli spagnoli fu
occupata tempo fa dall’odio, che vi permane armato, muovendo guerra al
mondo (Mol., p. 40).
2. Apenas herida la retina por la saeta forastera, acude allí nuestra íntima,
personal energía, y detiene la irrupción (p. 781).
2a. Appena una saetta estranea ferisce la rètina, tutta la nostra intima, per-
sonale energia accorre là e arresta l’irruzione (Arp., p. 73); (Sav., pp. 67-68).
2b. Appena la retina viene ferita dalla saetta forestiera, lì accorre la nostra
intima, personale energia e arresta l’irruzione (Fer.).
2c. Appena una saetta forestiera [forastera] ferisce la rètina, tutta la nostra
intima, personale energia accorre là e arresta l’irruzione (Mol., p. 85).
Nel passo Presencia la caída del pájaro ideal al volar sobre el aliento
de un agua muerta l’elemento figurato non è puntuale bensì appare
dilatato oltre i confini della parola. Si tratta allora di un tropo diffu-
so come la allegoria che, tuttavia, e a differenza di questa55, appare
55
Sulla coerenza esibita dall’allegoria, basata sul parallelismo tra isotopia mani-
festa e isotopia occulta, in cui, d’altra parte, si radica la doppia possibilità di lettura
(una ingenua e una profonda), cfr. M. Prandi, op. cit., p. 22.
123
contraddittorio. Non di allegoria si tratta dunque, ma di allegorismo
quando un frammento del soggetto del discorso primario, in questo
caso il modificatore ideal riferito a pájaro, interrompe il tema condut-
tore figurato. La revisione però non s’è esercitata sull’aggettivo ideal,
ma su una catacresi: l’aggettivo muerta riferito ad agua. Per sciogliere
il bisticcio di parole di un’«acqua morta» che è altresì metafora morta,
basta consultare il Corpus Diacrónico del Español, che di questa metafo-
ra che rischia di passare inosservata perché deceduta da un pezzo – o,
meglio, perché la trasferenza tropica di cui fu una volta responsabile
s’è cristallizzata in un’estensione dell’impiego del lessema – registra
29 casi in 23 documenti, di cui il più antico risale al 149256 e il Corpus
de referencia del español actual, che registra 12 casi in 9 documenti57.
d) Metonimie
1. La intuición de los valores superiores fecunda nuestro contacto con los míni-
mos, y el amor hacia lo próximo y menudo da en nuestros pechos realidad y
eficacia a lo sublime (p. 756).
1a. L’intuizione dei valori superiori feconda il nostro contatto con quelli in-
feriori, e l’amore per ciò che è vicino e insignificante dà realtà ed efficacia al
sublime che è in noi (Arp., p. 24; Sav., p. 38).
1b. L’intuizione dei valori superiori feconda il nostro contatto con quelli mi-
nimi, e l’amore per ciò che è vicino e minuto dà nei nostri cuori efficacia e
realtà al sublime (Fer.).
56
J. de Lucena, Epístola exhortativa a las letras, España, 1492: «como el agua
muerta stagnada que non se mueve». Real Academia Española: Banco de datos (COR-
DE). Corpus diacrónico del español (online: http://www.rae.es). A testimonianza della
penetrazione di questo tropo d’uso nelle abitudini linguistiche della comunità, cfr.
Real Academia Española: Diccionario de Autoridades, t. I (1726): «agua viva, y agua
muerta. Viva se llama la que corre, y muerta la que está estancada, y sin corriente. Lat.
Aqua viva jugis, vel perennis. Aqua reses, pigra, stagnans».
57
Real Academia Española: Banco de datos (CREA). Corpus de referencia del
español actual (online: http://www.rae.es).
124
1c. L’intuizione dei valori superiori feconda il nostro contatto con quelli infe-
riori, e l’amore per ciò che è vicino e insignificante dà nei nostri cuori realtà
ed efficacia al sublime (Mol., p. 52).
125
2a. La cultura – il lato ideale delle cose – pretende di costituirsi come un
mondo separato e sufficiente, in cui possiamo trasferire la nostra interiorità
(Arp., p. 113); (Sav., p. 105).
2b. La cultura – il versante ideale delle cose – pretende di stabilirsi come un
mondo a parte e sufficiente, dove sia possibile trasferire le nostre viscere (Fer.).
2c. La cultura – il lato ideale delle cose – pretende di costituirsi come un
mondo separato e sufficiente, in cui possiamo trasferire la nostra viscere [en-
trañas] (Mol., p. 128).
e) Sineddochi
58
M. Prandi, op. cit., p. 250.
126
2. Y habría henchido todas mis pretensiones si consiguiera tallar en aquella
mínima porción del alma española que se encuentra a mi alcance algunas facetas
nuevas de sensibilidad ideal (p. 749).
2a. E avrei soddisfatto tutte le mie aspirazioni se riuscissi ad incidere su quella
minima porzione dell’animo spagnolo che si trova alla mia portata qualche
nuova sfaccettatura di sensibilità ideale (Arp., p. 34); (Sav., p. 30).
2b. E riterrei soddisfatta ogni mia pretesa se riuscissi a intagliare, in quella
minima parte dell’anima spagnola che è alla mia portata, alcune forme nuove
di sensibilità ideale (Fer).
2c. E avrei soddisfatto tutte le mie aspirazioni se riuscissi ad incidere su quella
minima porzione dell’anima spagnola che si trova alla mia portata qualche
nuova sfaccettatura di sensibilità ideale (Mol., p. 42).
6. Conclusioni
127
più propria di realizzazione l’inscenamento di conflitti tra ambiti con-
cettuali eterogenei, in una forma che è essenzialmente metaforica. C’è
anche da dire che, pur ostinandosi in una missione di chiarezza affidata
alle immagini, che si dipartono dal fondo vitale per poi alzarsi leggere
nello stile di meditazioni amorose, egli non dimentica che quella della
connessione è inaggirabilmente un’impresa utopica, come, del resto,
tutto ciò che è umano. Questa però è faena che trova la propria cifra
in una posizione filosofica, il raziovitalismo, che qui è in nuce e che
sarebbe apparso a chiare lettere e con la forza di un’autodefinizione, ma
in perfetta sintonia con la qualità dei tempi, una decina d’anni dopo in
El tema de nuestro tiempo (1923) e, subito dopo, ormai spazientito per i
troppi scivolamenti su immagini e per le troppe letture distratte, a mo’
di autochiarificazione di contro a fraintendimenti più o meno malevoli
e colpevoli, nell’articolo «Ni racionalismo ni vitalismo» (1924)59.
Che le Meditaciones del Quijote siano un testo aurorale è anche
quanto emerge dal preziosissimo contributo di Ricardo Senabre ad
un Convegno tenutosi nel 1983 all’Università di Extremadura in
occasione del primo centenario della nascita di Ortega. Era quello un
Simposio che, nella scelta del tema, l’Ortega scrittore, perseguiva il
preciso obiettivo di colmare un vuoto negli studi, lasciando da parte,
almeno nel punto d’avvio e nel metodo d’analisi, il versante filosofico.
In particolare, la relazione di Senabre, intitolata «Ortega o el placer
erótico de la escritura», prendeva le mosse dall’inizio, dal primo
testo pubblicato da Ortega nel 1902 per arrivare al 1954, quasi alla
fine della vita, e i meriti erano tanti. Innanzitutto, veniva segnalata la
primissima comparsa delle «immagini belliche e venatorie, le meta-
fore scientifiche e la costante prosopopea che anima cose e concetti
nella prosa orteghiana»60; inoltre, si mostrava il nesso strettissimo tra
stile e vita, o meglio, l’idea orteghiana dello stile come forma subli-
mata della sessualità che può misurarsi, e Senabre non mancava di
farlo, col parametro della «temperatura» delle immagini erotiche: dal
gruppo binominale «viril apetito de perforación» riferito alla scienza
e alle lettere (1924) a metafore verbali come, ad esempio, «El estilo
59
Entrambi contenuti in J. Ortega y Gasset, Obras completas, t. III, Madrid, Taurus,
2005, pp. 559-652 e pp. 715-724.
60
R. Senabre, «Ortega o el placer erótico de la escritura», in R. Senabre (ed.),
El escritor José Ortega y Gasset, Cáceres, Universidad de Extremadura, 1985, p. 127.
128
filosófico de Heidegger […] consiste en etimologizar, en acariciar a la
palabra en su arcana raíz» (1953) o, ancora, in predicazioni del tipo
«La idea es así la perfecta caricia» (1954). Oltre alla trasgressione di
ordine linguistico, che però sembra lasciarsi ispirare dalla solidarietà
lessicale che pure esiste in spagnolo nella collocazione che confor-
mano il verbo acariciar e il sostantivo idea61, v’è sicuramente la tra-
sgressione di una restrizione di ordine ontologico che in questo caso
si concretizza nella sinestesia, una figura che è alla base di molte delle
immagini erotiche orteghiane. E, infatti, molto sembra dipartirsi da
un’identificazione, quella tra toccare e guardare, in virtù della quale
il soggetto virtuale solidale al predicato reagisce sul soggetto effetti-
vo: l’idea è personificata e vista attraverso il corpo femminile e ciò
in modo irreversibile62. D’altra parte, Senabre rileva trasgressioni di
questa natura già in uno scritto del 1909. Sull’altro versante, poi, quel-
lo filosofico e più precisamente quello fenomenologico, l’esperienza
della sinestesia appare strettamente legata all’affermarsi del primato
del tatto sulla vista nella costituzione del mondo63, senza parlare – e
infatti non ne parliamo – delle fini descrizioni che Husserl dedica
all’esperienza sinestetica in virtù della quale un campo sensoriale
trova conferma in un altro e da cui il corpo esce caratterizzato come
Leib in opposizione a Körper.
Ma forse, anzi di sicuro, vale la pena di affidarsi a Senabre e resta-
re in un campo, quello della lingua, che mostra come, attraverso un
processo di irradiazione sinonimica, il verbo palpar raccolga gli stessi
valori connotativi del verbo mirar in passaggi che nulla hanno di de-
scrittivo: «Aquí palpamos la raíz tragicómica de nuestra existencia»64.
A continuare a sfogliare le pagine orteghiane in cerca di testimonianze
di un’«identificazione permanente» come quella che ha più di un’occor-
renza e che qualifica il compito primario – e indecente – della filosofia
61
G. Corpas Pastor, op. cit., p. 69: «troviamo collocazioni le cui basi presentano un
modello combinatorio molto limitato, come conciliar el sueño (non *atraer el sueño),
e acariciar una idea (non *tocar una idea)».
62
Cfr. M. Prandi, op. cit., p. 57.
63
J. Ortega y Gasset, «El hombre y la gente» [corso 1949-1950], in Obras completas,
t. X, Madrid, Taurus, 2010, p. 182: «Tacto y contacto son el factor más perentorio en
la estructuración de nuestro mundo».
64
R. Senabre, «Ortega o el placer erótico de la escritura», op. cit., p. 130.
129
nell’«alzare a tutte le cose la gonnella»65, ci si imbatte in un glossario e
in un risultato «imbarazzante», «abrumador» dice Senabre:
65
J. Ortega y Gasset, «Paisaje con una corza al fondo» (1927), in Obras completas,
t. VI, Madrid, Taurus, 2006, p. 204: «La inteligencia del intelectual nos sirve de muy
poco: actúa casi siempre sobre temas irreales, sobre cuestiones de su propio oficio. Por
eso es una delicia para mí encontrar a Olmedo, verle llegar sonriente, precedido por
el doble florete de su mirada – mirada perforante y casi cínica, que parece levantar las
faldas a todas las cosas para ver cómo son por dentro». Si veda anche quanto avrebbe
scritto venticinque anni dopo, in riferimento all’incontro di Darmstadt, un convegno
di architetti, con due sole eccezioni, la conferenza di Heidegger su «Bauen, Wohnen,
Denken» e la sua intitolata «El mito del hombre tras de la técnica», «dos erupciones
filosóficas» avvenute «sobre el nivel del mar de la discusión entre arquitectos»: «El
hombre que, al fin y al cabo, lleva debajo de sí el especialista, descubre, ante el hablar
del filósofo, que él tenía también en las vísceras una filosofía, que era filósofo sin sa-
berlo como era prosista el bourgeois gentilhomme, pero que esta su filosofía tropieza
con otra más profunda situada en el subsuelo, desde la cual se toma todo, incluso su
disciplina especial y su propia persona, desde mucho más abajo. Esto de sentirse visto
y descubierto desde “más abajo”, esto de que alguien levante a todas las cosas las faldas,
le pone frenético y le parece, acaso con una punta de razón, indecente» (Id., «En torno
al “Coloquio de Darmstadt, 1951”» (1952), op. cit., pp. 800 e 802).
66
R. Senabre, «Ortega o el placer erótico de la escritura», op. cit., p. 133.
130
consegna solo nella sua nudità assoluta, e la meditazione filosofica consiste
nello spogliarla della veste che la ricopre67.
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67
Op. cit., p. 138.
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Senabre R., «Ortega o el placer erótico de la escritura», in Senabre R. (ed.), El escritor
José Ortega y Gasset, Cáceres, Universidad de Extremadura, 1985, pp. 125-138.
Spitzer L., «Zur sprachlichen Interpretation von Wortkunstwerken» (1928), trad. it. in
Id., Critica stilistica e semantica storica, Bari, Laterza, 19662, pp. 46-72.
Suñer Gratacós A., «La aposición y otras relaciones de predicación en el sintagma
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española, vol. I: Sintaxis básica de las clases de palabras, Madrid, Real Academia
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Trujillo R., Principios de semántica textual. Los fundamentos semánticos del análisis
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CREA: Real Academia Española. Banco de datos (CREA). Corpus de referencia del
español actual (online: http://www.rae.es).
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DREA: Real Academia Española. Diccionario de la lengua española, XXIII ed., Madrid,
Espasa-Calpe, 2014.
Grimm J. und W., Deutsches Wörterbuch, Online-Version vom 05.04.2020.
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Indice
De la Rhétorique à l’Imaginaire
Gisèle Vanhese, Annafrancesca Naccarato 5
Fabrizio Costantini
Sulla fortuna di Jaufre Rudel:
il motivo dell’amore di lontano 27
Fiorella De Rosa
Francesco Antonio Santori negli scritti critici di Francesco Solano 45
Francesco Garritano
Maurice Blanchot: il «non ancora del pensiero»
e il «sempre già della scrittura» 63
Monique Jutrin
Benjamin Fondane entre poésie et philosophie:
«Écoute mon cri dans la nuit» 83
Richard Kidder
Yvan Goll Experiences Manhattan 93
Yannick Preumont
D’une langue à l’autre, un tableau blanc 151
Luigi Pullano
Immaginario dell’acqua eraclitea e parola poetica 165
Gisèle Vanhese
«La louange et l’effroi».
Rachel Bespaloff et la quête de l’image 187