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Il libro

A nni di esperienza alle spalle hanno reso Maxx Mereghetti e Antonio Vida
due degli investitori digitali di maggior successo. Con questo libro mettono
a fuoco vantaggi, possibilità e rischi del mondo ipercompetitivo – ma anche
iperdemocratico – degli investimenti digitali.
Investitori digitali è una guida semplice ma completa che suggerisce come
strutturare sistemi di rendite passive attraverso il trading online, le startup, il
crowdfunding, le criptovalute, l’e-commerce. Un mondo che non premia i “Don
Chisciotte”, non ricompensa i buoni intenti né ripaga necessariamente l’audacia:
servono studio, immaginazione, coraggio, esperienza. una ricetta che dosa
attentamente passato e futuro.
Nel digitale c’è spazio per tutti, è uno straordinario trampolino per chi vuole
cambiare vita e dedicarsi full time agli investimenti digitali e per chi vuole
semplicemente arrotondare e portarsi a casa un extraguadagno; per chi è alla ricerca
di un investimento sul futuro e per chi invece ha un’idea disruptive ma non ha il
denaro per realizzarla. La possibilità di partecipare attivamente ai business del futuro
non è solo gratificante ed emozionante, porta con sé anche grande sicurezza in tempi
di incertezza.
Gli autori

MAXX MEREGHETTI è uno di più famosi trader italiani,


attivo fin dal 1997, e investitore digitale. Diversifica i suoi
investimenti nel digital e nelle startup. Fondatore di un
incubatore fintech svizzero, utilizza la sua creatività e le sue
strategie imprenditoriali e di finanza al servizio di nuove
idee e nuovi talenti.
ANTONIO VIDA, Antonio Vida,
imprenditore, investitore digitale,
visionario. Ha vissuto, studiato e
lavorato a New York, Londra, Hong
Kong, Malta, Panama e Dubai. Ha
guidato numerose attività
imprenditoriali di successo sia
offline che online. È conosciuto al
grande pubblico per aver portato in Italia nel 2017 il modello di business di Amazon
FBA tramite il gruppo Vincere su Amazon e la piattaforma Vida B2B. Si dedica
attivamente agli investimenti nelle startup e alla creazione di rendite passive nel
settore immobiliare e finanziario. È consulente strategico di numerosi imprenditori e
aziende per il loro posizionamento nel business online.
Maxx Mereghetti
Antonio Vida

INVESTITORI DIGITALI
Rendite passive per speculatori attivi
1. TROVARE LA PROPRIA LIBERTÀ NEL DIGITALE

Nella sala regna il buio, solo delle intense luci blu e viola illuminano il
palcoscenico ancora vuoto. Il pubblico bisbiglia impaziente con lo sguardo
rivolto verso il microfono. È appena terminata la proiezione: una
testimonianza delle storie, delle vite, dei ribelli del nostro tempo, dei
sognatori che io e Antonio abbiamo conosciuto e aiutato durante la nostra
carriera.
Ora, su quel palcoscenico, manchiamo soltanto noi.
Si percepisce energia e tensione nell’aria, l’atmosfera è carica, l’aria è così
spessa che si può quasi toccare. Anche per noi è impossibile rimanere
impermeabili a questa valanga di emozioni.
Questo è il posto giusto, è il momento giusto del giorno giusto.
Saliamo sul palco.
Gli spettatori ci accolgono con un applauso, sono qui per noi. Io e Antonio
ci scambiamo un ultimo cenno con lo sguardo come due direttori
d’orchestra.
“Buongiorno e benvenuti. Sono felice di vedere ciascuno di voi. Vi
ringrazio anzitutto per essere venuti qui da ogni parte d’Italia, per prendere
parte a questo cambiamento insieme a noi. Qui ci sono persone che mi
conoscono da quando l’euro entrò per la prima volta nei nostri portafogli e
c’è chi invece mi vede per la prima volta.
Io sono Maxx Mereghetti. Investo sui mercati finanziari dal 1997 e nelle
startup da dieci anni. Aiuto le persone a realizzare le loro ambizioni”.
“Ciao a tutti, ragazze e ragazzi. Io sono Antonio Vida. Sono atterrato tre ore
fa e arrivo da Dubai, il posto dove vivo oramai da diversi anni.
Non vedevo l’ora di incontrarvi in occasione di questo meraviglioso evento,
qui al Palacongressi di Riccione. Molti di voi mi conoscono perché sono il
punto di riferimento in Italia per chi vuole lavorare con Amazon: io aiuto le
persone a diventare degli imprenditori grazie ad Amazon”.
“Ci sono due cose che accomunano me e il mio socio Antonio: la passione
per gli investimenti e il valore che attribuiamo al tempo e alla qualità della
nostra vita”.
“Verissimo! Noi abbiamo trasformato la nostra vita, guadagnato la nostra
libertà grazie all’imprenditoria, agli investimenti e alle rendite passive. In
una parola: attraverso il digitale. Senza di esso, noi ora non potremmo
godere della bellezza e dei privilegi che derivano dal poter vivere liberi,
padroni del proprio spazio e del proprio tempo”.
“Sono stato con Antonio a Dubai, la città dove ha scelto di vivere, per
preparare il lancio del movimento che oggi ci vede protagonisti. Sono qui
con voi per il mio ultimo evento dal vivo, la mia ultima esibizione in giacca
e cravatta, l’ultimo prima della mia grande partenza. Il primo giugno (del
2019, ndr) salirò su un aereo e inizierò il mio giro del mondo e, ne sono
certo, la mia vita si trasformerà profondamente, come il panorama che
vedete alle mi spalle: dalle bianche Alpi svizzere, fino ai palmeti di qualche
spiaggia dalla sabbia dorata, passando per strade selvagge attraverso
paesaggi rocciosi, silenziosi e grandi città.
Un nuovo viaggio nei luoghi più suggestivi della terra, un’avventura alla
ricerca di quella scintilla di bellezza per la quale vale davvero la pena
vivere. Il viaggio di cui ho bisogno per dimostrare, con orgoglio, a me
stesso e all’universo che io ce l’ho fatta”.
“Maxx, ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti? Abbiamo parlato dei
nostri viaggi, di quelli di lavoro e di piacere, che spesso per noi sono la
stessa cosa. Abbiamo parlato anche di quella sensazione di pace, di
armonia, che placa ogni timore, ogni preoccupazione, perché, ecco, quello è
il nostro equilibrio, il tassello che ci completa. Io l’ho trovato in un posto
distante dal mio Paese natale, nella penisola araba, e so che tu lo troverai
durante il tuo viaggio”.
“Mi ricordo Antonio. Sono d’accordo, e oggi noi siamo qui per offrire le
nostre stesse opportunità e le nostre più profonde conoscenze a voi.
Oggi nasce la community che cambierà per sempre il vostro modo di vivere
il web e, il nostro sogno, è che possa anche cambiare le vostre vite.
Oggi nasce: Investitori digitali. Vi spiegheremo come, grazie
all’indipendenza finanziaria, il vostro mondo tornerà libero”.
Il pubblico applaude, è una celebrazione breve, perché ora l’attenzione è
tutta su quello che diremo nei prossimi minuti. “The Show must go on”.
Finita la presentazione è tempo di iniziare.

1.1 QUALCHE MESE DOPO…


Io e la mia compagna stiamo camminando per le vie del centro storico di
Antalya, diretti verso il parco che fronteggia il mare. Con me, il mio
inseparabile computer, per un appuntamento su Skype con Antonio.
Il cielo è una cupola di colore azzurro. Quand’è così trasparente, riesci
veramente a percepirne la maestosa profondità. Questo cielo ancestrale è
solo uno dei regali della Turchia.
Ci sediamo al tavolo di un locale. Arriva il proprietario che avevamo
conosciuto la sera prima e che ci aveva preso in simpatia offrendoci un
drink.
Uno dei vantaggi del vivere di rendite passive è che hai tante storie da
raccontare e una vita decisamente fuori dagli schemi, è facile destare
prima curiosità e poi essere presi in simpatia.
Il proprietario era rimasto intrigato dall’idea del nostro giro del mondo,
anche se lui stesso era un gran viaggiatore. “It’s a different thing!” ci aveva
detto “il cugino”.
Io e la mia compagna lo abbiamo battezzato “il cugino”.
“Il cugino” è uscito spesso dalla Turchia, ma solo per brevi periodi,
dovendo gestire il suo locale dove si può fumare la shisha godendosi una
sublime vista sul mare immersi nel verde di un parco maestoso e accanto
alle rovine del castello nel cuore della città.
Lui si era presentato come il cugino di Erdogˇ an, mostrandoci una foto con
lui sul suo smartphone, per questo l’abbiamo soprannominato così.
Ci racconta un po’ del suo lavoro. Un tipo davvero eccentrico. A un certo
punto mi guarda dritto negli occhi e con fare orgoglioso mi dice in inglese:
“Ti mostro una cosa”. Subito dopo fa scivolare fuori dalla tasca della giacca
una Beretta 98 e me la allunga, tenendola per la canna, con il calcio
dell’arma rivolto verso di me. “Provala!”.
“Ti piace?” mi chiede fiero, mentre io goffamente soppeso l’arma sul palmo
della mia mano e lui mi spiega come, nonostante il Paese sia sicuro, lui
preferisce averla con sé quando la sera rientra a casa con la cassa. Solo
quando gli rispondo che preferisco le macchine sportive ai poligoni di tiro,
“il cugino” finalmente si accorge del mio leggero imbarazzo e riprende
l’arma con un sorriso.
Nei giorni seguenti siamo tornati di tanto in tanto dal “cugino” per
approfittare della connessione e sorseggiare un tè in uno dei locali tipici più
belli della città.
Lui era sempre contento di vederci. Quando staccavamo gli occhi dagli
schermi arrivava a scambiare quattro chiacchiere, raccontando aneddoti,
racconti, novità, tirando fuori fotografie. Tutte informazioni sparse, casuali;
lo specchio del loro modo di interagire, di una cultura davvero diversa
eppure così vicina, per certi aspetti, a quella del nostro Paese.
Lui è nato ad Antalya. È particolarmente legato a questo posto e alla sua
cultura, alle sue regole, ai suoi ritmi. Gli piace il suo lavoro, non se la passa
male, però a ogni nostro racconto, a ogni luogo che gli abbiamo mostrato,
lui sospirava un po’.
Un “sospiratore”, dunque, e io ne ho conosciuti molti. Ti ascoltano e
annuiscono con un po’ di amarezza, perché come tutti hanno fatto delle
scelte, hanno accettato dei principi, che poi hanno richiesto un tributo
quanto a tempo e libertà.
La rata del mutuo, il bebè in arrivo, la macchina, il lavoro, tantissimi
compromessi che si pagano in opportunità perse o che si rinviano a
data da destinarsi, sempre ammesso che quel giorno arrivi e nel
frattempo… si sospira un po’.
Questa “virtù del compromesso” è comune a molte culture e non è legata
allo status sociale, al patrimonio, all’istruzione. Ciò che importa è il
desiderio, il riuscire a fare compromessi.
E credetemi, di tutte le persone che ho conosciuto laggiù, “il cugino” era
sicuramente una delle più allegre e benestanti e non per via del denaro o del
conto corrente, ma perché a modo suo era riuscito a riempire la sua vita con
un bel po’ di bellezza, in quel posto meraviglioso.
Se il denaro non può comprare la felicità, può sempre comprare il tempo e
aiutare a creare quelle occasioni che ci servono per raggiungerla.
Ma come facciamo a trovare questo tempo se lo impieghiamo tutto alla
ricerca del denaro, senza il quale non possiamo comprare altro tempo, altra
libertà?
È un “loop”, un girotondo che ci porta a investire il nostro tempo in cambio
di denaro, lavorando per altre persone mentre viviamo in punta di piedi
eseguendo comandi altrui come se fossimo sonnambuli.
Abbiamo un concetto vecchio di lavoro, fatto di appuntamenti, di “gambe
accavallate” durante un pranzo o sulla poltrona della sala d’attesa del nostro
cliente che ci vuole conoscere di persona prima di decidere se siamo quelli
adatti a lavorare con lui.
E intanto il tempo passa, con noi che corriamo in macchina per non arrivare
tardi a un appuntamento. In coda con altri automobilisti che come noi sono
indispettiti dalla fretta e pigiano sui clacson sfogando la loro frustrazione.
Così il tempo passa mentre noi parliamo per ore con il nostro capo su come
organizzare la prossima fiera per cercare di risollevare le vendite, senza
sapere che lui è già seccato da quando ha saputo che aspettiamo il nostro
primo figlio. Così il tempo passa mentre noi rientriamo la sera tardi dopo un
aperitivo nel solito posto con i nostri colleghi a parlare sempre delle solite
cose, perché in fondo nessuno ha veramente qualcosa di nuovo da
raccontare.
E alla fine festeggiamo un altro anno di scuola, di università, di lavoro,
passato ad aspettare l’occasione di tempi maturi, del tempo per noi stessi.
E sapete cosa c’è di più orribile del tempo che passa?
Il fatto che la vita è una sola.

1.2 UN VIAGGIO IN MONGOLFIERA


Lasciamo Antalya e ci dirigiamo verso la Cappadocia. Itinerario fantastico.
Durata sei ore. Via via, mentre siamo in viaggio, ci copriamo sempre di più:
siamo a ottobre e a 1800 metri di altitudine. Sono bastate poche ore di
strada e l’estate si è trasformata in un freddo autunno.
Scendiamo dalla montagna tra mille tornanti e ci ritroviamo immersi in uno
strano buio. Un’oscurità spessa e punteggiata da luci sopra le colline: sono
le grotte, le dimore rupestri degli abitanti della Cappadocia.
La valle delle Fate è pronta ad accoglierci.
Arriviamo all’albergo. La nostra suite è fantastica. Appoggiamo le valigie
andiamo al villaggio affamati. Incontriamo una coppia di ragazzi italiani, la
mia compagna li ferma per chiedere alcune informazioni sul posto e tra
un’indicazione e l’altra finiamo per cenare insieme.
Lei lavora nel settore turistico, lui nell’edilizia. Hanno deciso di venire in
Turchia per festeggiare il compleanno di lei.
“Siete già saliti sulle mongolfiere?” chiediamo noi curiosi.
“No” replica lei con una smorfia di sconforto.
“In realtà avremmo dovuto volare proprio oggi. Ci siamo svegliati questa
mattina alle cinque per prendere la navetta che ci avrebbe dovuto portare
alle mongolfiere, ma poi ci hanno comunicato che saremmo rimasti a terra.
Non si poteva volare, le condizioni meteo non erano buone. È tutto
rimandato a domani” aggiunge lui.
“Quindi ci riproverete domani” incalzo io, mettendomi nei loro panni.
“No, se perdi il tuo volo ti restituiscono i soldi e devi rifare il biglietto. Ma
ci sono centinaia di persone in lista di attesa. Ogni giorno ci sono oltre
duemila iscrizioni. E come se non bastasse, proprio in questi giorni cade
una famosa festa cinese per cui ci sono migliaia di turisti qui nel villaggio
che vogliono volare”. Risponde lei quasi in lacrime.
Ero davvero dispiaciuto. Anche noi aspettavamo questo momento da tanto
tempo. Mi ricordo ancora quando vidi il mio primo balloon a Ossona, il
paesino a pochi chilometri da Milano dove sono nato. In quei giorni si
teneva la festa più popolare del paese e una delle attrazioni era il giro in
mongolfiera, ma il biglietto era davvero troppo costoso per le tasche dei
miei genitori e per cui sono rimasto per ore con il naso all’insù a osservare i
voli degli altri.
Ora capisco il valore dei sacrifici che fecero i miei genitori per mettere da
parte il denaro e per crescere me e mio fratello.
Capisco lei che aspettava quel momento da mesi, che aveva messo da parte
400 dollari per i biglietti e che voleva festeggiare così il suo compleanno.
Capisco che molto spesso ci sono persone che sperano, che desiderano, che
sognano e che poi mancano i loro obiettivi per un soffio, che si vedono
scivolare via tra le dita il senso dei loro sacrifici.
Abbiamo proseguito la serata parlando d’altro ed è stato tutto molto
piacevole, ma non abbiamo proprio avuto il cuore di dirgli che domani
saremmo saliti noi sulle mongolfiere.

CI SONO PERSONE CHE SPERANO, CHE DESIDERANO, CHE SOGNANO E


CHE POI MANCANO I LORO OBIETTIVI PER UN SOFFIO, CHE SI VEDONO
SCIVOLARE VIA TRA LE DITA IL SENSO DEI LORO SACRIFICI

Siamo a 800 metri di quota e guardiamo le prime ore del giorno farsi avanti
tra le formazioni rocciose appuntite: i “camini delle fate”, anche se più che
camini sembrano denti aguzzi che spuntano disordinati dal terreno. È molto
presto, quasi l’alba e i raggi del sole iniziano a filtrare attraverso le colline
creando un forte contrasto tra le zone di ombra e quelle di luce.
Cento mongolfiere. Duemila persone nel cielo. Il silenzio è scandito solo
dal sibilo monotono della fiamma che scalda l’aria.
Siamo tutti dentro un grosso cesto di vimini, vicini gli uni agli altri,
guardando giù verso la valle le meraviglie della natura e le luci del sole
nascente che si riflettono sulle nuvole, trasformando il cielo in una tela a
tinte rosee, violacee e dorate. Tutto attorno le altre mongolfiere rosse
salgono e scendono senza fare rumore, sospese nel vuoto. Persino noi
spettatori bisbigliamo sottovoce, come per timore di rompere questo
meraviglioso incantesimo.
La sera, a letto, guardo le foto con la mia compagna. Ci sarebbe piaciuto
poterle condividere con i nostri nuovi amici, ma non credo che avrebbero
apprezzato e, anzi, sarebbe stato un gesto poco sensibile da parte nostra.
Decidiamo di tenerle per noi.
È stata una bella avventura, un breve paragrafo della mia biografia tratto da
una serie di episodi di vita vissuta da imprimere nella memoria, da
raccontare. Piccoli pezzi che adoperiamo per creare la cornice della nostra
storia, la mia parlerà molto di viaggi e di persone.
Nel frattempo ripenso ai nostri amici, alla coppia dell’altro giorno.
Sicuramente non posso inviargli le foto e comunque loro saranno già di
certo atterrati in Italia.
Ho preso un po’ a cuore la loro storia, ci sono passato anch’io.
Compromessi, sempre e comunque, per tentare di vivere almeno un po’ nel
mondo che vorremmo per noi, un luogo al di là delle nostre possibilità. A
pochi di noi è dato davvero vivere la vita che desideriamo, soprattutto
quando non possiamo decidere noi i “se” e i “quando” e la nostra vita è
vincolata a dei doveri su cui non abbiamo potere.
Ma qual è il motivo che rende i primi in molti e i secondi in pochi?
Con questa domanda concludo il mio paragrafo del primo capitolo del libro
che sto scrivendo con Antonio.
Appoggio la mia tazza di caffè nero fumante sul tavolo di legno di fronte a
me. Dal balcone vedo le onde del mare strisciare pigramente verso la riva.
La musica aiuta i miei pensieri a isolarsi, mentre l’immaginazione corre
verso il domani, quando su questa stessa spiaggia le onde del mare verranno
cavalcate dai surfisti di tutto il mondo, mentre si contenderanno la vittoria
della competizione “Master of the Ocean 2020”.
Chiudo il portatile e appoggio la penna sul blocco scarabocchiato dove
appunto note e pensieri. Questo primo capitolo è quasi terminato.
_Maxx Mereghetti [Cabarete, Repubblica Dominicana]

1.3 IL MIO AMORE PER LO “SPAZIO-TEMPO”


“Un caffè lungo, per favore. In un bicchiere alto se è possibile”. Mi siedo
sulla poltroncina.
Alla mia destra, oltre la vetrata, la gente tira dritto verso il gate. Qualcuno è
di fretta, qualcun altro meno, io invece sono qui seduto al bar dell’aeroporto
e me la prendo con tutta la calma del mondo.
D’altro canto chi me lo fa fare di correre?
Da dove sono riesco persino a vedere il display con i voli. Penso tra me e
me: perfetto, ho ancora quaranta minuti prima che parta il mio volo, bevo
un caffè, mando un vocale a Maxx per gli ultimi aggiornamenti sulle nostre
attività e poi, con calma, mi avvio all’imbarco.
Arriva il caffè, ci aggiungo un po’ d’acqua, a me piace americano, non
troppo caldo né troppo concentrato.
Non appena appoggio la tazza sento una voce familiare.
“Antò, Antò, chi ci fai cca?”.
L’accento inconfondibile mi riporta con i piedi per terra. Vedo arrivare
verso di me un uomo di media statura, lineamenti morbidi un po’ segnati
dagli anni.
“Giuseppe, quanto tempo! Che mizzeca ci fai qua?”.
Giuseppe è un compaesano degli anni del calcetto, quando eravamo ancora
picciriddi.
Poi, ricordandomi che lui mi ha fatto la domanda per primo mi ricompongo
dallo stupore.
“Io sto aspettando il volo per Milano. Faccio scalo e riparto per Dubai.
Siediti, prendiamo un caffè assieme”.
È dai tempi delle superiori che non vedo Giuseppe. Qualche capello in
meno e qualche capello bianco in più, ma il suo volto non è cambiato di una
virgola.
“A Dubai? E che fai a Dubai?”.
“Vivo là. Ho venduto i ristoranti e dal 2015 ho iniziato a vendere online. Su
Amazon. E adesso sono venuto per qualche giorno a casa, per salutare la
famiglia”.
Mi chiede com’è Dubai. Io gli racconto della città, del suo tenore di vita e
anche del lusso.
“Quando vuoi vienimi a trovare, davvero. Ti faccio vedere dove lavoro,
come sono avanti là, anche nella sicurezza”.
La città più all’avanguardia del mondo insomma, soprattutto per gli
imprenditori di ogni Paese, perché lì il business non viene ostacolato ma
aiutato a crescere.
Lui mi ascolta e prova a immaginare.
“E tu che ci fai qui? Alla fine ti sei sposato con Rosalia?”.
“Caro Antò, anch’io ho fatto un po’ di cose in questi anni. Sì, io e Rosalia ci
siamo sposati, certo. Lavoro da molti anni per un’azienda tedesca che opera
a livello europeo nel settore farmaceutico. Perciò ogni settimana devo fare
su e giù tra casa mia e la sede dove è richiesta la mia presenza. Su e giù
Antò, ogni settimana ormai da sei anni, pensa, oggi è il nostro anniversario
di matrimonio e io sono qui inchiodato in aeroporto, arriverò a casa stancu
mortu”.
Si ferma un momento a pensare e poi continua un po’ malinconico: “Tra
stipendio e rimborsi spese arrivo a 2.300 euro netti al mese, non posso certo
lamentarmi, ho avuto fortuna rispetto ai nostri compaesani in Sicilia.
L’unica cosa che mi manca moltissimo è non poter vedere la nostra piccola
Francesca che cresce ogni giorno e mi spiace anche di non passare
abbastanza tempo con mia moglie Rosalia”.
Parliamo ancora cinque minuti, mi fa vedere le foto della sua famiglia e poi
esclama: “chi ura su?”
“Fammi guardare, sono le 15:37”.
“Scusami Antonio, devo scappare, il mio gate apre tra cinque minuti, ti
trovo su Facebook?”.
“Sì certo. Antonio Vida”.
“Perfetto. Ti aggiungo appena atterro in Italia, scrivimi quannu tornerai di
nuovo a casa”.
“Certo e tu mi raccomando, salutami Rosalia”.

Ogni giorno mi rendo sempre più conto di essere un privilegiato.


Ho il privilegio di poter stare dove voglio.
Ho il privilegio di poter gestire il tempo al meglio e con chi voglio.
Non mi sono mai posto nessun limite, ed è per questo che vivo la mia vita
in piena libertà in una dimensione dove il tempo e il luogo sono sempre
figli di una mia scelta.
Io credo che il privilegio sia il frutto di meriti e non della mera fortuna.
Il giorno dopo l’incontro con Giuseppe sono tornato finalmente a casa mia a
Dubai, ora ho il tempo di scrivere, per cui mi metto di buona lena.
Finito. Appoggio la mia tazza di caffè nero fumante sul tavolo di marmo di
fronte a me.
Dal mio balcone vedo il Mall di Dubai Marina.
Il mio pensiero corre nel futuro, quando qui nel 2021 si svolgerà l’Expo e
Dubai si trasformerà in uno show mondiale.
Questo capitolo è terminato, è tempo di avvisare Maxx e poi di godersi il
resto della giornata.
_Antonio Vida [Dubai, Emirati Arabi]

1.4 UN LIBRO SUGLI INVESTIMENTI DIGITALI?


QUALCOSA DI PIÙ, QUALCOSA DI MENO
Oramai sono quindici anni che io, Maxx, vivo “di digitale”. Di cose ne ho
viste parecchie, di libri ne ho letti a montagne, di errori ne ho riempito un
oceano intero. Però qui non parliamo solo di me, non solo.
Questo libro non è una biografia, non è un testo motivazionale tanto meno
un volume per la pratica dell’auto aiuto. No, quello è tutto un altro mondo e
non ci riguarda. Qui non si vendono ricette per pozioni magiche né si gioca
a fare gli “apprendisti stregoni”. Il mondo dei guru e già ben nutrito, anche
senza il nostro aiuto.
Allo stesso modo, definire questo libro un manuale sarebbe ingiusto nei
confronti di coloro che di manuali ne scrivono davvero, che passano i loro
giorni a sfogliare e riassumere tabelle e grafici e che li trasformano in
“romanzi” pieni di numeri e dati tecnici.
Qui si parla di Tutoring con la “T” maiuscola, questa è una guida per
capire quali sono i vantaggi, le possibilità, le opzioni a disposizione di
chi vuole imparare a lavorare nel competitivo mondo digitale, il tutto
condito da una nota emotiva, perché in fondo si parla di vita, di cose reali.
Competitivo, veloce e difficile il mondo del web. Oggi puoi trovarti a
guadagnare cinque stipendi in un giorno e domani essere in rosso di
650.000 euro. Come accadde al sottoscritto, quando aveva trent’anni.
Perché accadde? Perché ero motivato, ma non ero pronto. Capita, troppo e
spesso, quando si ascoltano le voci sbagliate e si agisce senza sapere bene
cosa si sta facendo.
Ricordo ancora adesso come mio fratello Andrea, più giovane di me, aveva
provato più volte a mettermi in guardia contro un cattivo investimento e io,
nella mia testardaggine, non gli avevo dato ascolto. Strano, dato che sono io
il fratello maggiore, dovergli riconoscere il primato del buon senso.
Però la testa, quella razionale, che ti riporta con i piedi per terra, ce l’ha lui.
E così, col tempo, ho lavorato su me stesso facendo un bel bagno di umiltà.
Ora lui lavora al mio fianco e io peso attentamente le sue impareggiabili
conoscenze in ambito tecnico.
Tutto questo per dire che il digitale non premia i Don Chisciotte, non
ricompensa i buoni intenti né ripaga necessariamente l’audacia. Io e Vida
non vendiamo promesse e non siamo qui per motivarti: noi stiamo cercando
colleghi, uomini e donne, giovani e meno giovani, persone pronte a
diventare nostri partner; perché il web, soprattutto in Italia, ha bisogno di
investitori, di partecipazione attiva.
C’è necessità di persone indipendenti e coscienti dell’ambiente digitale,
persone pronte a investire, a creare, a intensificare quella macchina di
contenuti, progetti, idee, informazioni che è il mondo di internet.
“La rivoluzione digitale” è alle porte, anzi, le ha già passate da un pezzo.
Ogni nuovo strumento tecnologico è un compendio di alta informatica,
automazione, informazioni, applicazioni e altro. Un flusso, quello delle
idee, va in una direzione mentre un altro flusso, quello dei capitali procede
nella direzione opposta. L’uno non può esistere senza l’altro, l’uno cresce
solo se viene alimentato dall’altro ed entrambi crescono assieme al numero
di persone che ne fanno parte.
Il bello di internet è che c’è davvero spazio per tutti, per chi desidera
cercare la libertà spazio-temporale e per chi vuole arrotondare, per chi è
pronto a lanciarsi full time e per chi non ha molto tempo da dedicarci, per
chi desidera cercare un investimento con cui guadagnare e per chi, invece,
ha un’idea da vendere ma non ha il denaro per realizzarla.
La forza del web, come vedremo nel prossimo capitolo, è proprio che è
democratico; così come ognuno può scegliere di vedere e consumare solo i
contenuti che desidera, una persona può anche decidere di sfruttare le sue
possibilità scegliendo rischi, denaro e tempo da investire.
Nulla vieta di dedicare una manciata di risparmi e poche ore alla settimana
alla strutturazione di sistemi di rendite passive così come niente vi
impedisce di esercitare la vostra professione interamente attraverso l’etere.
Così fa Antonio e così faccio io. Per questo viaggiamo e possiamo scegliere
noi come disporre interamente del nostro tempo.
Allettante no?

1.5 PERCHÉ DEVI DIVENTARE UN INVESTITORE


DIGITALE?
È una domanda complessa e le risposte variano da persona a persona. Io ho
disseminato alcuni indizi nei paragrafi precedenti. Lavoro dove voglio,
scelgo i tempi della mia giornata e ho costruito una carriera promettente. Ti
ho già detto che l’ultima startup con cui ho lavorato ha raccolto 418.000
euro di finanziamenti ed è stata valutata 3 milioni di euro in fase di
crowdfunding. Un buon risultato ma è solamente l’inizio.
Anche Antonio ne ha di cose da raccontare: non solo ora guadagna più di
prima, ma è anche libero di determinare la propria vita, di gestire il proprio
tempo come preferisce, di muoversi da un capo all’altro del mondo senza
compromessi né sacrifici.
Sarò sincero: abbiamo guadagnato parecchio da quando abbiamo
trasformato le nostre vite e non parlo solo di denaro (Antonio, sotto questo
profilo, se la passava già parecchio bene) ma anche di tempo, libertà,
gratificazione.
La sensazione di avere tra le mani il proprio destino, la soddisfazione
nel vedere le proprie idee prendere forma, la ricompensa che arriva
dalla propria creatività e dal proprio impegno. Il tempo di cui ci siamo
riappropriati, la libertà di non dipendere da un ufficio, da una città, da un
capo ma anzi di poter viaggiare, vedere e sentire il mondo… queste
emozioni sono impagabili. Puoi fare il lavoro più retribuito del mondo, ma
se ogni mattina alle 8:30 ti ritrovi seduto sempre alla stessa scrivania, allora
stai sacrificando molto più di quanto credi.
La possibilità di partecipare attivamente ai business del futuro non è solo
gratificante ed emozionante, ma porta anche grande sicurezza in tempi di
incertezza.
Insomma, il digitale è un settore che non conosce crisi ma che anzi, è
destinato a diventare sempre più grande e importante.

1.6 FABIO CANNAVALE, UN MITO DEL DIGITALE


Ricordo, tra le tante cose, di aver parlato proprio di questo con Fabio
Cannavale. Per chi non lo conoscesse, è il padre di volagratis.com, il
motore di ricerca per voli low cost più famoso in Italia e in Europa e di
edreams.it. Ora fanno parte del gigantesco gruppo lastminute.com, di cui
Fabio è il CEO da oltre quindici anni, che oggi conta oltre mille dipendenti
per un giro d’affari di 3 miliardi.
Io avevo adocchiato Fabio già dal 2006, quando il suo primo sito stava
iniziando a diventare celebre. In lui rivedevo me stesso e la mia audacia e
volontà di portare a termine un progetto nonostante la fame e la fatica.
Entrambi abbiamo mollato a trent’anni il nostro angolo sicuro di mondo per
rincorrere la vera vocazione, entrambi oggi ci occupiamo anche di startup,
grazie ai nostri due gruppi: la Business Galaxxy mia e di Vida, e la sua B
Heroes.
Quando finalmente abbiamo avuto occasione di sentirci al telefono, non ho
potuto fare a meno di guardarmi indietro, per vedere quanta strada avevamo
fatto per arrivare fin là.
“Ciao Maxx, come stai? Tutto in regola?”.
“Fabio, che piacere. Se mi senti lontano è il vivavoce, sono in macchina, sto
tornando in Svizzera. È richiesta la mia presenza, sai com’è …”.
“Vai tranquillo Maxx, comunque dobbiamo assolutamente vederci di
persona, non appena riesci a liberarti e a rientrare in Italia, così possiamo
conoscerci meglio, prima dell’intervista”.
Dobbiamo interfacciarci prima di un’importante intervista, un confronto a
tre che faremo io, lui e Antonio, per parlare di startup e sviluppare spunti
interessanti per coloro che hanno un’idea e vogliono realizzarla. Inoltre, è
sempre importante confrontarsi con menti affini e perciò, oltre al lavoro, c’è
proprio gusto nel parlare con Fabio, anche per gettare le basi di future
collaborazioni. Chissà.
Dopo aver affrontato le questioni tecniche il discorso devia su argomenti
più leggeri.
“Sai, con tutto questo lavoro, mi sembra quasi di essere tornato nel 2003,
quando dovevo farmi un mazzo così” ride lui. “Solo che una volta mi
guardavano tutti con preoccupazione, come se fossi stato matto ad aver
mollato il mio stipendio sicuro, per lanciarmi in questo mondo senza
garanzie. Ora invece sono tutti qui a chiedermi quale sia il segreto del mio
successo”.
“Come se ci fosse chissà quale segreto poi” aggiungo io.
“E infatti io cosa gli posso rispondere? Studia, usa la testa, non avere paura,
fai quello che ti appassiona; poi non c’è molto altro da aggiungere. Io fino a
trent’anni ero il più veloce di tutti, il primo a laurearmi, il primo a ottenere
la promozione, ma non facevo nulla di diverso da quello che facevano gli
altri, facevo solo di più e più in fretta. La mia vita si è trasformata, e in
meglio, proprio quando ho iniziato a fare qualcosa di differente, di
rivoluzionario per me”.
“Lo so Fabio, la maggioranza delle persone ragiona in modo ‘normale’ e
ciò che è normale non può portare, per definizione, a risultati straordinari.
Dobbiamo convincere le persone ad avere il coraggio di credere in loro
stesse e, vedrai, lo capiranno da sole”.
“È proprio questo il motivo per cui ho creato B Heroes e per cui lavoro con
le startup, Maxx. Per aiutare le persone che hanno capito che l’eccezionalità
non ha nulla a che vedere con la quantità, con la ripetizione, con la velocità.
È proprio un altro mondo”.
“Anche io sto provando a fare qualcosa di simile con la community di
Investitori digitali. Creare quel paese dorato dove ci sono informazioni,
connessioni, stimoli. Per uscire da quel mondo chiuso e ripetitivo. È
partendo da posti del genere che una persona inizia a pensare davvero con
la sua testa e smette di dare retta alla folla, che ha sempre tanto da dire ma
poco da dimostrare”.
“Mi ha fatto piacere sentirti Maxx, poi fammi sapere quando possiamo
vederci!”.
“Senz’altro Fabio, in bocca al lupo”.
La chiamata si interrompe e rimango un poco pensoso nel silenzio della mia
macchina. Mi fa compagnia solo il rumore sommesso del motore della Audi
A5 e la strada semi vuota, che si arrampica sempre di più sul fianco delle
montagne baciate dalla luce del mattino.

LA MAGGIORANZA DELLE PERSONE RAGIONA IN MODO “NORMALE” E CIÒ


CHE È NORMALE NON PUÒ PORTARE, PER DEFINIZIONE, A RISULTATI
STRAORDINARI
2. DEMOCRAZIA DIGITALE: COME IL MONDO DEL WEB
HA CAMBIATO LE REGOLE DEL GIOCO

Per anni il venerdì sera è stato un momento magico per me. Sapete perché?
Era la mia serata “pizza e film”.
Dopo una logorante settimana di lavoro non c’era nulla di più semplice e
rilassante.
Così, guidavo in mezzo al traffico fino al negozio di dvd più vicino,
affittavo l’ennesimo titolo, un bel film oppure una tamarrata hollywoodiana,
l’importante era spegnere il cervello, e poi andavo in pizzeria a prendere
una quattro stagioni da portare a casa.
Finito il giro tornavo nel mio appartamento e finalmente potevo rilassarmi
davanti alla televisione. Semplice no? Quando arrivarono i primi servizi di
streaming, le compagnie, i negozi e le aziende che affittavano dvd
crollarono.
Blockbuster, un’istituzione nel settore, si è praticamente vaporizzato.
Mentre i negozi chiudevano, qualcuno ne ha tratto profitto. Chi? Tu!
Adesso puoi accedere a infiniti cataloghi di film, recensiti e sempre
disponibili.
Puoi scaricarli comodamente da casa, senza problemi legati al traffico, alla
riconsegna, alla disponibilità e via dicendo. E il servizio è anche più
economico. Una volta pagato l’abbonamento mensile, di norma hai accesso
libero all’intero catalogo.
Senza entrare troppo nel dettaglio... hai capito di cosa sto parlando.

2.1 IL MERCATO SI TRASFORMA… E NOI CON LUI


Non è un segreto, le nostre abitudini si sono trasformate più
rapidamente negli ultimi dieci anni che nei precedenti cento e la
rapidità di questa evoluzione è destinata ad aumentare; una previsione
fatta dal World Economic Forum, che raccoglie le opinioni e le aspettative
di centinaia di aziende, assicura che entro il 2022, molte delle grandi
imprese avranno investito una grossa fetta dei loro ricavi in operazioni di
digitalizzazione: analisi dei big data, app ed e-commerce, machine learning,
cloud computing e altri paroloni. Il succo della questione? I manager si
aspettano trasformazioni: nuovi lavori, nuove tecniche, nuove macchine,
nuovi sistemi per fare informazione. Questa rivoluzione è solo una delle
facce della digitalizzazione: cambia il modo di usufruire dell’informazione,
di comprare, di studiare, di ordinare cibo, di fare la spesa e via dicendo.
Ci sono pro e contro nel nuovo mondo digitale; troppe persone sono
convinte di poter usufruire esclusivamente dei vantaggi che derivano da
queste trasformazioni, ma non è così, andate a chiederlo agli ex impiegati di
Blockbuster o di chi ha perso il lavoro per colpa di un robot. Ovviamente la
mia non vuole essere una previsione catastrofica, anzi, i vantaggi nella vita
di ogni giorno sono notevoli e notabili. Il problema si pone quando la
coscienza personale si autolimita a un utilizzo superficiale dei mezzi
informatici con il rischio che l’utente possa diventare un semplice
consumatore di tecnologia, in balia delle scelte di mercato dei decision
maker, gli uomini dietro le grandi imprese che tirano i fili insomma.

2.2 DA CONSUMATORE DIGITALE A CITTADINO


DIGITALE: QUALI SONO E COME FUNZIONANO I
VANTAGGI DELLA WEB-DEMOCRAZIA
Terminata questa oscura premessa, è tempo di iniziare a parlare di cose
serie. Internet non è una minaccia, anzi, è proprio lo strumento di cui
milioni di persone non sanno ancora di avere bisogno.
Perché? Perché è Accessibile, Scalabile e Democratico – notate le
maiuscole –, sulle ragioni di quest’affermazione ci torneremo, ma per ora
facciamo un passo indietro e torniamo al mio esempio precedente, quello
dei dvd. I vantaggi che ho cercato di evidenziare sono relativi al risparmio.
Una cosa può essere costosa anche se il prezzo non è in denaro. Tempo,
distanza, conoscenze sono tutti elementi difficilmente quantificabili ma che,
al pari del prezzo monetario, hanno un costo che ricade sul nostro modo di
agire e di scegliere.
Recarsi dal panettiere sotto casa è molto più economico che andare da
quello a dieci chilometri di distanza, anche se il secondo costa meno;
streammare un film di cui si conosce la valutazione e si hanno informazioni
richiede meno conoscenze rispetto all’affittare un dvd prendendone per
buona la copertina (che sarà tutto fuorché imparziale).

Accessibilità

Cosa significa accessibilità? Significa equità, disponibilità, significa avere


risorse per tutti, significa poter avere accesso a servizi e prodotti, significa
avere meno limiti.
L’accessibilità è decisamente un concetto sfuggente e difficile da definire.
Nonostante questo, l’accessibilità è una delle caratteristiche più importanti
della nostra società. Minore è l’accessibilità e maggiori saranno le
disuguaglianze e le limitazioni a cui dovrai far fronte.
Al contrario, una maggiore accessibilità comporta un grande beneficio per
la collettività.
Ma cosa vuol dire in termini pratici? Partiamo dal presupposto che ogni
cosa che facciamo nella vita, ogni cosa che desideriamo possedere, abbia un
prezzo da pagare. Non sto parlando solamente di denaro contante, parlo
anche di tempo, energie, sacrifici, difficoltà e poi anche di barriere
burocratiche, legali, fisiche.
Nel mondo offline, la minore accessibilità rimane una delle sfide più dure
da affrontare all’interno della propria vita lavorativa.
Lo studente che vuole accedere a un certo corso di studi; l’imprenditore che
vuole aprire un negozio; il malato che ha bisogno di cure mediche; il
collezionista che vuole mettere le mani su dei vinili particolari.
Tutte queste persone si devono confrontare in maniera diversa con i limiti
legati ai prezzi, alla distanza, ai tempi di attesa, alla quantità disponibile di
un determinato bene, ai limiti posti dalla burocrazia.
E una volta superate queste barriere il gioco non finisce qui: così com’è
stato difficile entrare in possesso di qualcosa, accedere a un determinato
servizio, potrebbe essere difficile uscirne.
L’esempio del negozio è calzante: aprire un negozio costa, richiede un
discreto ammontare di tempo, iter burocratici da seguire. E cosa succede se
il negozio non funziona? Se hai sostenuto alti costi per entrare nel business
probabilmente ne dovrai sostenere altri piuttosto alti anche per uscirne,
consolidando una grossa perdita di denaro.
Tutto questo è molto scoraggiante e rende più difficile accettare i rischi
dell’iniziativa. E vale la pena sottolineare che viviamo in una società già
parecchio accessibile!
Il web, che in fondo è un po’ lo specchio del mondo reale, a differenza di
quest’ultimo è molto più accessibile.
Lo stesso negozio, trasformato in un sito di e-commerce, comporta costi
molto più contenuti. È estremamente più rapido da sviluppare, ha
pochissimi obblighi burocratici.
Cambiano le regole del gioco: l’e-commerce è sicuramente un modello di
business più competitivo, dove le possibilità di guadagnare oscillano
notevolmente: si può guadagnare molto meno rispetto a un negozio
tradizionale, ma si può anche guadagnare cifre che sarebbero impensabili
altrimenti.
In fondo si tratta di un’attività autonoma, che lavora 24 ore al giorno e che
potenzialmente raggiunge un pubblico enorme.
Ma se proprio non dovesse funzionare neppure il negozio di e-commerce?
In tal caso, ritirarsi dal business è molto più semplice, veloce ed economico
di quanto un’attività offline possa mai essere.
Il business online non crea vantaggi solo per chi lo gestisce, ma anche
per chi lo utilizza. Per esempio, se prima desideravi un nuovo televisore
ma era troppo costoso quello che avevi visto in un negozio di elettronica,
adesso puoi facilmente trovarlo a un prezzo inferiore sul web. E te lo
consegneranno direttamente davanti all’uscio di casa, non devi neppure
prenderti mezza giornata per andare a sceglierlo, perché puoi comodamente
farlo dal tuo smartphone in dieci minuti.

MINORE È L’ACCESSIBILITÀ E MAGGIORI SARANNO LE DISUGUAGLIANZE E


LE LIMITAZIONI A CUI DOVRAI FAR FRONTE

Questo significa che il televisore è adesso molto più accessibile di quanto


non lo fosse prima.
Questa nuova dimensione, in cui prezzi, tempi e distanze si riducono,
rende il web la chiave perfetta per aprirsi a nuove possibilità nel
mondo dell’imprenditoria, della cultura, dell’informazione.
Per contro, la competizione sul web cresce in maniera costante.
Se oggi ci sono migliaia di siti di e-commerce, domani potrebbero
essercene decine di migliaia, piuttosto che pochissimi ma capaci di
monopolizzare domanda e offerta.
Pro e contro di un sistema estremamente accessibile, dinamico ed eccitante
come per ora solo il mondo dell’online sa essere.

Scalabilità

La scalabilità è la capacità di un lavoro di crescere in maniera esponenziale.


In poche parole, un mestiere scalabile ti permette di decidere quanto
guadagnare in proporzione alle ore di lavoro. Questo ti consente di scegliere
il perfetto punto di equilibrio tra ore di lavoro e guadagni, fino al punto in
cui si può arrivare a guadagnare sacrificando davvero poco tempo libero: la
scalabilità è l’essenza delle rendite passive.
Ma questo com’è possibile? Facciamo un esempio: ipotizziamo ci siano due
investitori. I due fanno le stesse identiche operazioni di trading e ottengono
lo stesso guadagno del 10% del valore del loro portafoglio, lavorano
entrambi un mese. Il primo investitore opera sui mercati con 1000 euro e a
fine mese avrà portato a casa 100 euro. Il secondo, invece, è molto più
facoltoso, fa le stesse cose del primo non con 1000 ma con un milione di
euro.
Dato che anche lui ottiene il 10% di profitto, a fine mese avrà guadagnato
ben 100.000 euro. Il guadagno è sempre del 10%, il tempo impiegato dai
due per maturare profitti è sempre un mese, ma il secondo investitore ha
scalato alla grande il suo business.
In termini assoluti si è portato a casa mille volte il guadagno del primo
investitore. Questo significa scalare.
Nel mondo offline scalare non è impossibile, ma è più difficile.
Se per esempio apri un secondo negozio stai scalando, ma come puoi ben
immaginare, lo sforzo è maggiore rispetto a quello di scalare con un e-
commerce.
Un altro esempio è quello di Amazon FBA. Amazon permette di vendere i
propri prodotti su tantissimi mercati in tutto il mondo. All’inizio, di norma,
ci si rivolge al mercato nazionale, ma il bello di questo servizio è che
nessuno ti vieta, in un secondo momento, di aprirti a quelli esteri:
Inghilterra, Usa, Francia, Spagna... Decine di milioni di potenziali nuovi
clienti. Questo significa che bisogna ogni volta rifare tutto da capo?
Assolutamente no! Più avanti Antonio, ti parlerà approfonditamente del
programma di vendita di Amazon, ma per ora ti basta sapere questo.
Certo, non proprio tutti possono cominciare tradando un milione di euro o
lanciandosi su dieci mercati internazionali contemporaneamente con
Amazon. Ma sono traguardi che si possono raggiungere un passo alla volta,
reinvestendo i propri guadagni e scalando.

Democratico e disintermediato

Il libero mercato si basa sul principio della libertà economica. Nessuno può
impedirti di aprire una nuova attività, così come nessuno può dirti come
spendere il tuo denaro o può sottrartelo a piacimento.
Queste conquiste che noi diamo quasi per scontate non lo erano prima della
comparsa della democrazia. La libertà economica e la mobilità sociale sono
due dei punti forti di questo sistema di governo.
Attraverso questi principi le persone hanno la libertà di raggiungere il
proprio benessere in funzione dei propri meriti e del proprio lavoro.
Ma questo principio funziona davvero oppure qualcosa nel meccanismo si è
inceppato?
L’economia, in particolare la finanza, è sempre stata un’attività
tecnicamente molto complessa: una conseguenza della necessità di creare
strumenti finanziari sempre più creativi ed elaborati.
Per permettere alle persone di accedere con i propri risparmi al mondo della
finanza è stato necessario strutturare una grande rete di intermediari.
Banche, broker, investitori professionisti, fondi d’investimento ecc. costruiti
apposta per fare da cuscinetto tra il delicato mondo dei mercati finanziari e
quello del risparmio individuale.
Una rete di consiglieri e di operatori che si occupano di raccogliere il
denaro, proporre investimenti, operare direttamente sui mercati e garantire
una certa trasparenza e una certa tracciabilità nelle transazioni.
Questo è il sistema che noi tutti conosciamo più o meno direttamente e che
viene usato per lo più per investire il proprio denaro, per cercare di ottenere
dei guadagni facendo rendere i nostri soldi.
Questo servizio, ottimo in teoria, in realtà funziona a singhiozzo. Anzi, sta
proprio diventando obsoleto, non sicuro e troppo costoso.
Perché? Proprio perché dobbiamo affidarci a un intermediario con interessi,
attività, priorità e regole destinate a cambiare nel corso degli anni.
A partire dagli anni ottanta questo problema è stato sollevato sempre più
spesso.
Affidare il nostro denaro agli intermediari significa dargli un grande
potere: loro decidono come spendere i nostri soldi.
Come fanno? Possono operare a loro nome con i risparmi di milioni di
persone oppure possono proporci degli investimenti che in realtà
compongono una piccola parte delle opzioni realmente disponibili. Loro
decidono cosa suggerirci. E dato che sono loro a decidere dove finisce il
nostro denaro, possono permettersi liberamente di scegliere a chi destinare i
finanziamenti, tagliando fuori attività e imprese che non reputano
abbastanza remunerative o sicure.
C’è poi la questione della trasparenza che tocca sul vivo l’economia intera:
Shadow Banking System, tradotto: il sistema bancario ombra. Così si
chiama il circuito di canali di finanziamento alternativi usati dagli
intermediari finanziari per operare al di fuori dei circuiti regolamentari,
sfruttando spesso effetti di leva maggiorati.
L’effetto di leva finanziaria è un meccanismo che permette di spendere
dieci, cento volte il denaro realmente posseduto.
Abbiamo di fronte un sistema meno sicuro e difficile da tracciare, meno
regolamentato e soggetto a costanti speculazioni. Un sistema che ha
raggiunto le dimensioni di 52.000 miliardi di dollari.
Una creazione frutto del potere economico degli intermediari che, se da un
lato avrà sicuramente degli aspetti positivi, dall’altro oscilla come una
spada di Damocle sulle nostre teste.
Perché se il sistema collassa, cade sull’economia intera.
Cosa dobbiamo fare allora? Mettere al rogo gli speculatori? Assolutamente
no.
È necessario, piuttosto, creare un nuovo sistema finanziario: un sistema
disintermediato.
Questo nuovo sistema non annulla completamente quello precedente ma
ridimensiona notevolmente la sua forza.
Se il denaro non passa più per le mani degli speculatori ma arriva
direttamente alle attività, ai titoli finanziari, alle imprese a cui è destinato,
non può essere più manipolato come prima.
Inoltre, i veri guadagni ora appartengono all’investitore che ha davvero ogni
ragione per voler impiegare il proprio denaro in attività finanziarie.
Ma com’è possibile creare questo sistema alternativo?
Tramite il digitale!
Prima della democrazia digitale, fare investimenti diretti per i piccoli
risparmiatori era impossibile. Il signor Rossi non poteva andare in borsa di
persona e comprare materie prime, come il succo d’arancia, a meno che non
fosse un agente di borsa, come nel famoso film Una poltrona per due con
Eddie Murphy. Adesso basta andare su una piattaforma online di trading di
un broker e acquistare il future del succo d’arancia con un solo click.
I costi sono minori, il denaro è diretto a quella operazione, gli intermediari
hanno un ruolo incredibilmente ridimensionato.
A tal proposito è interessante leggere il libro, scritto dall’economista
americano Jonathan McMillan, La fine delle banche.
McMillan sostiene che i nuovi strumenti digitali: crowdfunding, pooling,
sistemi peer-to-peer, fondi di investimento privati, sono tutti strumenti
alternativi, validi ed efficaci che possono restituire alle persone la
libertà sui loro risparmi, riducendo nel contempo i problemi legati al
potere dei big della finanza.
Il digitale, tagliando sui tempi, sulle distanze, sul bisogno di intermediari e
aumentando il guadagno dei partecipanti alle transazioni, è decisamente più
democratico.
La nuova proposta che arriva dal digitale non vede intermediari, ma
piuttosto dei regolatori: piattaforme, algoritmi, ma anche persone reali che
non si occupano dell’investimento, ma che dettano le regole e verificano la
trasparenza dell’operazione, il resto è lasciato a chi chiede denaro e a chi
offre denaro.
3. LA VERITÀ SUL DENARO: IL LABIRINTO DI LUOGHI
COMUNI CROLLA

Un giorno, mentre curiosavo sul sito di Business Insider, noto sito web che
si occupa di affari e curiosità legate al mondo degli investimenti, mi sono
imbattuto in un articolo che riguardava la fine dei “fortunati” vincitori delle
lotterie.
Senza pensarci due volte ho aperto l’articolo e ho letto le storie di quelle
persone che hanno visto la loro vita andare a rotoli dopo la vincita di
svariati milioni.
Mentre cinicamente curiosavo tra le disavventure di questi sfortunati
vincitori, mi sono tornati alla mente alcuni libri che da un po’ riposano sul
mio scaffale.
Li riconoscerei subito, anche a un miglio di distanza, le copertine sfoggiano
uno sgargiante e insolito abbinamento di colori viola e nero. Ci sono firme e
autografi bianchi e dorati su tutto il perimetro e infine il volto sorridente
dell’autore, Robert Toru Kiyosaki.
Presto o tardi tutti ci imbattiamo nelle opere di Kiyosaki: che tu stia
vagando in libreria, esaminando la biblioteca di un amico o cercando
risposte online ai tuoi quesiti finanziari è facile che ti sia trovato di fronte a
qualcuno dei suoi libri, best seller tra i testi economico-motivazionali, con
oltre ventisei milioni di copie vendute in tutto il mondo e un libro scritto a
quattro mani assieme a Mr. President Donald Trump.
Kiyosaki è un imprenditore, scrittore e affarista statunitense, in tutti i suoi
testi traspare un po’ quella vena di ottimismo “all’americana”, di
“determinazione a tutti i costi” e di “machismo economico” che a noi
europei non fa impazzire; ciò nonostante, alcuni dei concetti sui quali calca
la mano sono estremamente interessanti.
Prendiamo la cosiddetta “intelligenza finanziaria” che, in parole povere si
traduce nella capacità di capire il denaro e soprattutto di controllarlo e di
comprendere l’importante differenza tra asset e liability.
Dove l’asset, è l’acquisto dei ricchi, la liability (traducibile come “debito” e
“responsabilità”) è appannaggio dei poveri. Così, il simbolico padre ricco di
Kiyosaki compra asset, ovvero proprietà fisiche o finanziarie, che
funzionano da investimenti redditizi. Il padre povero, che magari non è
proprio povero, compra debiti, oggetti che non sono capaci di rendere.
Questo è il perno attorno al quale gira il concetto di intelligenza finanziaria,
a sprezzo della balla che accosta il semplice possesso di cose e denaro al
concetto di ricchezza.
La storia dei vincitori della lotteria è esemplificativa per due aspetti: primo,
sottolinea l’impreparazione delle persone di fronte a grandi capitali,
secondo, mette in evidenza come i soldi a capitale non siano l’indicatore di
un bel nulla. Bruciare 1000, 100.000, 1.000.000 di euro è molto più
semplice di quanto non sembri se mancano le basi dell’intelligenza
finanziaria.

3.1 DALLA MONETA AL CREDITO: COME FANNO A FARCI


SPENDERE DI PIÙ
Facciamo un passo indietro: cos’è il denaro?
È un’oggettivazione del valore del lavoro. Il Lavoro – scritto con la L
maiuscola – è in economia un’attività qualsiasi che trasforma risorse. Farina
che diventa pane, acciaio che si trasforma in automobili, panni sporchi che
diventano puliti. Tutto questo è lavoro.
I soldi, se non vivete nella giungla, sono il controvalore del lavoro dunque.
Fin qui le cose sono semplici. Ora però aggiungiamo il credito a questa
equazione.
Il credito e il debito sono rispettivamente le attività che concernono il
concedere e il ricevere in prestito denaro. L’attività creditizia è
estremamente complessa e articolata, un po’ perché sul credito pesano
elementi come gli interessi, un po’ perché abbiamo, col tempo, sviluppato
una molteplicità mostruosa di forme creditizie.
Il credito, soprattutto quello bancario, è l’elemento forte del capitalismo. Il
credito permette di produrre denaro dal nulla! Come? Facciamo un
esempio, pensiamo a una banca e a un ipotetico signor Piero, bancario, che
gestisce un fondo di 10.000 euro creato da due suoi clienti, Mario e Luigi, a
fronte di un versamento di 5000 euro ciascuno.
Sempre per ipotesi, Luigi decide di vendere la sua macchina a Mario per
15.000 euro. Mario non ha tutti quei soldi, però può sempre chiedere un
prestito, e lo chiederà non di 10.000, ma di 15.000 euro… nessuno vuole
rimanere senza denaro sul conto corrente, ci potrebbero essere altre spese
impreviste. Non si sa mai.
Piero acconsente al prestito: ora Mario può effettivamente pagare la
macchina e gli avanzano persino 5000 euro sul conto nonostante il debito
stipulato con Piero il bancario. Luigi, invece, ha un attivo che ora è pari a
20.000 euro, 5000 di deposito più i 15.000 della macchina.
La bilancia contabile resta a zero. Gli attivi e i passivi si annullano a
vicenda, eppure il sistema ha generato e utilizzato molti più soldi di quanti
fisicamente ne esistevano. Prima della diffusione delle operazioni di credito
e di debito Mario non avrebbe potuto comprare l’auto per carenza di
liquidità, Luigi non l’avrebbe venduta e la crescita del sistema sarebbe stata
molto più lenta.
Lo scenario funziona perché tutti gli attori fanno la loro parte. Se, al
contrario, qualcuno provasse a fare il furbo o si trovasse in difficoltà nel
ripagare i debiti, si correrebbe il serio pericolo di insolvenza. Lo scenario
resta però più teorico che pratico: le banche possiedono capitali immensi e
migliaia se non milioni di clienti, per cui servirebbero migliaia se non
decine di migliaia di casi simili per minare il sistema. La “corsa agli
sportelli” è insomma un fenomeno molto raro, sintomo di problematiche
politiche più che economiche.
Con il credito il sistema economico viene iniettato di steroidi e cresce a
ritmi molto più serrati. Le banche creano moneta interna, creditizia, diversa
da quella generata dallo Stato. È moneta destinata a scomparire, perché i
debiti vanno saldati, ma che ci permette di utilizzare il denaro quando
vogliamo e in quantità adeguate. Non ci sono problemi finché si ripagano i
debiti.
La questione del credito non è soltanto una portentosa leva economica,
ma anche una grande leva psicologica: psicologia e mancanza di una vera
e propria educazione economica – o intelligenza finanziaria – sono gli assi
nella manica dei produttori per mobilitare i consumatori.
Con il libero e diffuso accesso al credito siamo in grado di spendere di più
di quanto possediamo non temendo di restare senza un piatto di minestra:
“si paga poi, vai tranquillo”.
Chi detiene il credito ha in pugno il suo debitore. Non è così solamente fra
banche e privati, banche e aziende ma anche fra uno Stato e un altro.
Sì, perché grazie al fatto che uno Stato può emettere un debito e un altro
può comprarlo, il meccanismo che avviene fra privato e banca si replica fra
nazioni, con evidente controllo di quella creditrice su quella debitrice. Una
nuova versione del Risiko insomma. Più mentale, meno militarizzata.
La questione verte su uno dei punti più importanti dell’intelligenza
finanziaria: il fatto che il denaro debba essere inteso come un flusso e non
come uno stock. Il denaro entra ed esce nel nostro portafogli con
tempistiche diverse e crea flussi negativi e positivi. Il bilancio di questi, tra
le attività e le passività che possediamo, ci fornisce delle proiezioni su
quella che è la nostra ricchezza presente, disponibile e futura.
Questo ci conduce al nostro prossimo punto: la ricchezza è anch’essa un
flusso?

3.2 VERI RICCHI E FINTI RICCHI: LA TEORIA DEL


CASHFLOW
Non c’è persona che possa spiegare meglio la differenza tra veri e falsi
ricchi di Robert Kiyosaki. Robert, imprenditore milionario e financial
coach, ha assaggiato la povertà in prima persona e proprio per questo ha
fatto sua la missione di riportare le persone sulla retta via dell’educazione
finanziaria.
Nel suo best seller Padre ricco padre povero, Kiyosaki introduce dei
concetti molto importanti: asset, liability e cashflow. Concetti presi e ripresi
da più parti e diventati oramai molto famosi. Ci sono persone là fuori che
hanno scritto interi libri a riguardo e perciò io mi limiterò a riassumerli in
modo da catturare gli elementi fondamentali di questa teoria.
Afferrare la base della teoria kiyosakiana è molto importante, perché aiuta a
capire i principi essenziali della teoria finanziaria che sta alla base della
ricchezza, perciò rizza le orecchie.
Procediamo e cominciamo con la definizione dei tre termini.
✓ Cashflow è, in paroloni, il flusso di cassa. Serve a capire se ci si sta
arricchendo o se, al contrario, ci si sta impoverendo. È diverso dal
patrimonio dato che quest’ultimo si concentra solo in un dato momento.
Il vincitore della lotteria appare ricco per via del suo patrimonio, ma se
ha un cashflow negativo le sue prospettive si fanno molto più pessimiste.
✓ L’asset è una proprietà finanziaria o reale che genera entrate di cassa. Un
lavoro non è considerato un asset. Il lavoro porta dei positivi di cassa, ma
solo se svolto attivamente, un asset genera entrate passive. Solitamente
per accedere a un asset bisogna affrontare un investimento iniziale. La
casa di proprietà, per esempio, non è un asset, a meno che non si decida
di affittarla. In tal caso il canone dell’affitto copre i vari costi e quel che
resta è guadagno. Così il real estate (per dirlo all’americana) diventa
effettivamente un asset. Altri esempi di asset sono i titoli azionari e le
commodity, per citare i più famosi. E se non decidi di affittare la tua casa
di proprietà, cos’è allora? La tua casa, quella in cui vivi e paghi per
vivere è una liability.
✓ La liability è, per certi aspetti, il contrario di un asset, devi pagare per
mantenerla ed essa genera un cashflow negativo per le tue finanze. Altri
esempi di liability sono la macchina, i mutui, gli abbonamenti. Possedere
liability costa.
La teoria del cashflow sostanzialmente riguarda l’equilibrio tra asset e
liability. Tutti abbiamo delle spese, una casa, una macchina; non tutti però
possiedono degli asset. Cosa accade quindi? Se non si hanno asset il flusso
di cassa è sempre in perdita. Questo succede anche se i nostri risparmi in
banca aumentano con accantonamenti mensili. Il lavoro non è un asset, se il
tuo intero cashflow è sorretto dal salario, questo vuol dire che il tuo stile di
vita è irrimediabilmente legato al tuo impiego.
Se domani perdi il lavoro, il cashflow negativo darà il colpo di grazia
definitivo alle tue finanze.
E se invece domani venissi promosso? O se trovassi un impiego che ti
permette di guadagnare di più?
Kiyosaki non ci va leggero: per lui il “padre povero” è proprio quello che si
affida a queste speranze, è quello che segue il percorso già rodato scuola-
università-lavoro per garantirsi un futuro sereno per lui e per la sua
famiglia.
Ma questo non è il percorso del “padre ricco”. Lui ha molte più cose da fare
e da dire, lui conosce bene il cashflow!
Il fatto che lui conosca cos’è e gestisca al meglio il suo cashflow lo rende di
fatto ricco.
Il padre ricco non punta tanto a massimizzare le potenzialità del proprio
salario quanto a costruire un portafoglio di asset che generi un costante
cashflow positivo. Concentrandosi sull’accumulo di asset prima che su
quello di liability, il padre ricco si garantisce un futuro libero dalla
dipendenza dal salario.

3.3 I QUATTRO QUADRANTI DEL CASHFLOW


Chiariamo bene un fatto: non è che il padre ricco non lavori, ma se bastasse
semplicemente lavorare a quest’ora saremmo tutti ricchi e soddisfatti della
vita. E non devo certo dirti io che non è così.
Kiyosaki non si limita a introdurre la teoria del cashflow ma la sviluppa in
una rappresentazione abbastanza significativa che ti riporto velocemente.
Questa rappresentazione è nota come teoria dei quadranti del cashflow o
teoria dei quattro quadranti. Ognuno dei quadranti rappresenta un approccio
diverso al mondo del lavoro e della finanza.
I due quadranti di sinistra sono quelli che identificano il padre povero: in
uno ci sono i lavoratori dipendenti, gli impiegati e nell’altro troviamo i
lavoratori indipendenti, artigiani, liberi professionisti, proprietari di piccoli
business.
I quadranti di destra sono quelli del padre ricco: ci sono investitori e
proprietari di grandi business.
A voler essere precisi tutti e quattro i quadranti possono, in teoria, portare al
successo finanziario. Ciò che fa una grande differenza è la velocità con cui
possono farlo e gli strumenti di cui dispongono le diverse categorie di
persone, ma ci arriveremo.
La logica con cui lavorano i personaggi dei quattro quadranti e assai
differente, così come le motivazioni che spingono le persone ad ambire a
una delle seguenti categorie d’impiego.
✓ Dipendenti: sono la quintessenza degli insegnamenti del padre povero.
Cercano un salario sicuro che possa mettere a frutto gli anni di studio.
Per fare questo, accettano di lavorare sotto un capo e di produrre più
valore di quanto gliene sarà restituito con il salario.
✓ Autonomi: cercano il controllo e la conferma delle proprie abilità
lavorative. Solo così possono ambire a chiedere più soldi per il loro
lavoro e il loro tempo.
✓ Titolari: i big businessman cercano la libertà. Per ottenerla devono
lanciare un business che possa generare grandi profitti. Dopodiché
possono sempre affidare l’impresa a qualcun altro, ritirarsi serenamente e
campare di rendita.
✓ Investitori: rischiano il loro denaro dove si aspettano che questo possa
fruttare il massimo. In questo modo ottengono anche loro la libertà,
perché i loro soldi guadagnano per loro.

3.4 IL TEMPO E IL DENARO DEGLI ALTRI


Una delle più grandi differenze tra i personaggi dei quadranti di sinistra
(impiegati e autonomi) e i quadranti di destra (titolari e investitori) è la
disponibilità delle risorse di tempo e denaro.
Titolari e investitori possono fare affidamento non solo sul loro tempo e sui
loro soldi, ma anche su quelli di altre persone, potendo assumere personale,
avere consulenze e raccogliere finanziamenti.
Invece, potendo solo fare affidamento sulle proprie risorse, quando gli
impiegati e gli autonomi migliorano la propria produttività, aumentano i
loro guadagni, ma anche il loro carico di lavoro. Questo rallenta
enormemente la possibilità per i padri poveri di scalare le proprie possibilità
di guadagno.
Poter fare affidamento sulle risorse altrui significa anche poter scalare più
rapidamente il proprio business e questo non aggiunge una, ma bensì dieci
marce in più alla scalata dei padri ricchi.
Potendo scalare la propria attività, si intravede la possibilità di trasformare
il proprio lavoro in una rendita sempre più passiva. E una rendita passiva
non è forse un asset?

3.5 PRO E CONTRO


La vita non è sempre rose e fiori neppure per gli investitori e gli
amministratori delle grandi imprese. Ogni quadrante presenta i suoi
vantaggi e i suoi svantaggi.
I dipendenti hanno sicuramente accesso a un salario sicuro, con ferie pagate
e magari persino dei benefit (auto aziendale, smartphone, assicurazioni
ecc.). Pagano tutto questo con il duro lavoro, che rende molto di più del loro
salario, solo che la differenza finisce nelle tasche dell’impresa. Inoltre, sono
soggetti all’autorità di un capo a cui devono rispondere delle loro decisioni.
Non hanno accesso né al denaro né al tempo altrui.
Gli autonomi possono vantare un salario, tasse a parte, pari al guadagno
prodotto. Sono loro i boss di se stessi, ma in cambio devono rinunciare alla
sicurezza economica che hanno i dipendenti, in quanto nessuno gli copre le
spalle nei periodi di difficoltà. Neppure loro hanno accesso al tempo e al
denaro altrui.
I titolari hanno stipendi molto alti e sono i più veloci di tutti nello scalare la
propria attività per ottenere guadagni sempre maggiori. Sono liberi di
allontanarsi dal posto di lavoro e godere la libertà che si sono guadagnati,
ma tutto questo ha un prezzo: la mancanza di garanzie, il successo non è
scontato e probabilmente dovranno fare parecchi errori prima di maturare le
capacità per lanciare “l’impresa perfetta”.
Gli investitori sono anche loro liberi di “automatizzare” e scalare i loro
profitti. Possono guadagnare di più lavorando di meno, ma anche loro
affronteranno difficoltà e i rischi dovuti alla mancanza di uno stipendio
sicuro.

3.6 COSA VUOLE INSEGNARCI KIYOSAKI?


Robert Kiyosaki ha una missione: l’insegnamento del significato di libertà
finanziaria. Kiyosaki è tuttavia un imprenditore, oltretutto americano. E
quello che vale negli Stati Uniti, non vale sempre in Italia. Fare grande
impresa è possibile ovunque, ma in alcuni Paesi è più possibile che in altri.
Robert, inoltre, ha sempre puntato al business della grande azienda,
partendo dal presupposto che diventare milionari sia probabilmente la scelta
migliore.
Ora, non credo che nessuno qui disprezzi qualche milioncino di euro,
tuttavia la strada è molto lunga, complessa e non adatta proprio a chiunque.
Al contrario, investire è un’attività alla portata di tutti. È pur sempre un
mestiere figlio del padre ricco e permette più facilmente di modellare la
propria partecipazione all’attività anche in funzione dei guadagni desiderati.

3.7 GLI INVESTIMENTI: LA PIÙ RISCHIOSA DELLE


SICUREZZE
“La borsa è il luogo dove gli stupidi si separano dal loro denaro” recita un
famoso detto. La cinica visione dei mercati finanziari ha costruito attorno a
essi un’aura mistica e maestosa che intimorisce gli osservatori esterni,
complice Hollywood con i suoi film.
La realtà è molto meno emozionante di quanto non appare nei film e anche
meno rischiosa e la borsa sta agli investimenti come la Ferrari sta al
mercato automobilistico. È soltanto un modello, con caratteristiche proprie,
tra tanti modelli diversi.
Il fattore di rischio presentato dal mercato degli investimenti è molto
volatile e differisce enormemente tra attività diverse. A ben pensarci, tutti
investono già il loro denaro affidandolo a una banca, solo che il rischio è
basso perché è ammortizzato dall’intermediario che, per contro, si mangia
tutti i profitti e regala briciole agli investitori. Ma perché il mercato
finanziario è la più rischiosa delle sicurezze? Perché è meritocratico e
flessibile. È meritocratico perché il denaro non guarda in volto nessuno, i
dati parlano, le buone intuizioni rendono. La flessibilità merita un po’ di
approfondimento.
Il mercato del lavoro classico possiede, in generale, buoni parametri di
flessibilità. Siamo nel contesto dell’economia ciclica, la teoria che spiega
come il mondo dell’economia attraversi fasi di espansione e di contrazione.
Queste fasi, possono variare di intensità e di durata, i casi più acuti
prendono il nome di “boom economico” e “crisi economica”. L’unica
certezza è che il mercato continuerà ad attraversare fasi di espansione, con
più lavoro e maggior benessere per tutti, e fasi di crisi, con alti tassi di
disoccupazione e incertezza nel domani.
Il fatto che un giorno, teorico e futuro, si raggiungeranno migliori
condizioni di vita, è una consolazione magra per chi attraversa un periodo
di difficoltà. D’altro canto, quando il mercato intero attraversa una fase di
decrescita, i singoli individui hanno poche possibilità di risolvere il
problema e comportamenti virtuosi come il risparmio, nella dimensione
macroeconomica, diventano comportamenti negativi, perché non aiutano la
ripresa.
Il mercato dei titoli finanziari non è impermeabile alle crisi, anzi, patisce
molto il crollo della fiducia. Quello che però fa la gigantesca differenza tra
il titolare e l’investitore è la possibilità di trasformare rapidamente le
proprie attività in altre tipologie di attività.
I beni virtuali, infatti, sono facilmente e rapidamente scambiabili sul
mercato, con spese di transazione estremamente ridotte.
Se da una parte questo li rende ipersensibili all’andamento
dell’economia, dall’altra permette di diversificare fin da subito gli
investimenti e di trasformare le proprie attività molto rapidamente. Il
mercato finanziario apre dunque alla possibilità di avere il controllo sui
propri investimenti anche nei periodi di instabilità economica.
Se è vero che il rischio è sempre dietro l’angolo, è anche vero che ci sono
immense possibilità per chi investe, perché anche nei periodi di crisi ci sono
occasioni e possibilità di guadagno.
Se il mondo dei titolari d’impresa è come un interruttore, on-off, in base a
come tira il vento dell’economia, quello degli investitori è come una
bilancia che se va giù da una parte sale dall’altra. Questo, unito alla libertà,
alla flessibilità, alla diversificazione del portafoglio d’investimento e alla
velocità del sistema finanziario, dà un margine di vantaggio notevole agli
investitori.

3.8 IL CASO DEL “MERCOLEDÌ NERO”: COME DALLA


CRISI NASCONO MILIARDI
Anche se la finanza non è il tuo pane quotidiano potresti aver sentito parlare
di George Soros, lo speculatore più famoso del mondo.
Soros è un self-made man, si è fatto largo da solo nonostante le enormi
avversità che gli si sono parate davanti; uno di quelli che aveva tutte le carte
in regola per vivere una vita nell’anonimato e che, invece, ha saputo
puntare i piedi per terra e trasformare i suoi punti di forza in vere e proprie
armi.
Grande appassionato di filosofia e finanza, dovette darsi da fare per pagarsi
gli studi e per molto tempo saltò da un lavoretto all’altro, senza grandi
prospettive, senza piani e senza garanzie.
Quando iniziò a lavorare in banca capì di avere un enorme potenziale nel
settore finanziario. E la sua capacità di applicare la filosofia e la creatività
ai mercati azionari e speculativi sarà l’asso nella manica che lo porterà al
successo.
Dopo quasi cinquant’anni di carriera, prima come broker e poi come socio
fondatore di un fondo d’investimenti, il Quantum Fund, Soros realizzò il
colpo della vita sbancando la Banca d’Inghilterra.
No, non si tratta di un colpo alla Ocean Eleven ma di un’intuizione
speculativa magistrale. Il lavoro di una notte, pianificato in ogni dettaglio,
che lo portò a guadagnare un miliardo di dollari in poche ore! Il bello è che
tutto avvenne sotto il naso dei mercati e nella più completa legalità: un buon
piano è sempre un piano semplice.
Per capire cosa accadde basta soffermarsi un attimo sulle condizioni in cui
versava la moneta inglese nei primi anni novanta.
In quel periodo il governo Thatcher, antieuropeista, era stato scavalcato da
John Major, prima cancelliere e poi Prime Minister. Era più che deciso ad
allineare la sterlina, moneta già debole ai tempi, con i parametri monetari
europei, per facilitare l’ingresso della nazione nella politica di allineamento
dei tassi di cambio.
Insomma, per aprire il commercio era necessario armonizzare le
fluttuazioni degli interessi e la moneta inglese soffriva parecchio dei nuovi
vincoli.
Tutti si aspettavano collassasse, la domanda era: quando arriverà il “big
crash”?
A questo quesito seppe rispondere Soros: non perché possedesse chissà
quali misteriosi poteri, ma perché aveva applicato alcune teorie della sua
amata filosofia alla finanza. Soros sapeva che i mercati sono influenzati
dalle credenze dei suoi partecipanti e che la somma di questi comportamenti
può portare a “spirali virtuose” di crescita come a vere e proprie catastrofi
basate sull’effetto domino. Soros pianificò il colpo, ma bisognava aspettare
il momento adatto. Quel momento arrivò un giorno di settembre del 1992
quando, in un’intervista, furono rilasciate vaghe e imprecise dichiarazioni
circa un’indefinita valuta europea particolarmente fragile. Questa
affermazione, per quanto oscura, fu sufficiente a mettere in tensione
investitori e speculatori.
Il sassolino che George aspettava per far generare la valanga.
Quella notte fu tutto lavoro e telefonate. Dall’alto del suo ufficio lo
speculatore chiamò ogni banca, ogni fondo capitale, ogni grosso investitore
privato e si fece prestare ogni singola sterlina che trovò sul mercato
promettendo restituzioni rapidissime con interessi. Quando gli inglesi si
svegliarono all’indomani, si trovarono di fronte al caos più totale: oltre
dieci miliardi di sterline erano state immesse improvvisamente sul mercato
borsistico. Il risultato di questa operazione rischiava di deprezzare
ulteriormente la sterlina. Da qui l’effetto a catena, tantissimi altri investitori
iniziarono a buttare dentro altra moneta, temendo la svalutazione.
Senza pensarci due volte, il governo inglese iniziò a comprare moneta
usando i propri fondi di riserva con lo scopo di evitare che il valore
precipitasse ulteriormente. Alle 8:40 ne comprò un miliardo, alle 9:00 ne
acquistò altri due. Niente da fare, alla fine i ministri di sua maestà dovettero
cedere: con grande rammarico i tassi di interesse furono gonfiati
artificialmente, la sterlina abbandonò la politica monetaria europea e Soros
guadagnò oltre un miliardo da questa speculazione.
Quel giorno, un solo uomo, fece impazzire il mercato: oltre 27 miliardi di
sterline furono scambiate e vendute. Il danno totale per la Banca
d’Inghilterra ammontò a oltre 3,3 miliardi.
La speculazione costò mediamente 15 dollari a ogni singolo abitante delle
isole britanniche. Il bello? È che alla fine fu una fortuna anche per loro.
Libera com’era, la sterlina poté ricominciare a crescere, cosa che fece per
circa sedici anni consecutivi dopo quel terribile giorno che fu ribattezzato
“mercoledì nero”.
Il caso di Soros non parla tanto di investimenti quanto di speculazioni, ma
resta comunque esemplificativo: nulla può spostare capitali con la velocità e
la violenza del mercato finanziario; niente è più mobile e trasformabile del
credito azionario e dei titoli, niente può maturare profitti così grandi nei
periodi di cattiva economia.
3.9 GLI INVESTIMENTI SONO SOLO UN VOLTO DEL
DIGITALE
Finora ho parlato di mercati, finanza e investimenti in termini un po’ vaghi.
Il punto è che i pregi del mercato azionario non sono solo quantificabili in
termini di libertà e possibilità. Ci sono dei vantaggi economici e delle
sicurezze, vere e solide, che derivano dal saper utilizzare adeguatamente i
mezzi finanziari indipendentemente dalle loro specificità.
Prima di entrare nel dettaglio è bene sfatare qualche mito hollywoodiano: la
finanza non è roba solo per gli “squali” e i “lupi” ìdi Wall Street; gli
investimenti non sono solo titoli borsistici.
Essere investitori significa dare denaro in cambio di attività finanziarie,
asset e interessi, in funzione dei relativi rischi economici. Anche il
finanziamento alle aziende è un investimento. Esiste una molteplicità di
strumenti perfetti per investire il denaro.
Ognuno presenta pro e contro specifici. Ciò che accomuna questi strumenti
è l’utilizzo del digitale come “ponte” tra l’investitore e l’attività.
Il trading, per esempio, beneficia enormemente di internet perché
permette di accedere ai mercati senza doversi recare fisicamente dove
avvengono gli scambi.
Ma riguardo al finanziamento societario, cosa offre di nuovo il panorama
digitale?
Beh, internet è un aggregatore di domande e di offerte e, nello specifico, la
rivoluzione digitale ha determinato lo sviluppo degli investimenti in un
nuovo strumento, quello dell’impresa conosciuta come startup.

3.10 LA STARTUP È IL FUTURO DEGLI INVESTIMENTI


Le startup sono imprese ad alto contenuto tecnologico. Possono sviluppare
app, piattaforme web, robotica, impiantistica, intelligenza artificiale... Ciò
che le accomuna è l’utilizzo di alta tecnologia o di tecnologia di frontiera.
Il ruolo svolto dalle startup è così importante che si stanno moltiplicando a
ritmi esponenziali, finanziate e incentivate dagli Stati e persino dalle
associazioni internazionali come l’Unione Europea. Lo sviluppo di queste
aziende è sostenuto da progetti, infrastrutture e capitali. E non conosce crisi.
La ragione della sua esplosione dipende in primis dalle necessità imposte
dal bisogno di competitività: tutti i Paesi vogliono essere leader tecnologici
e produttivi, ma questa leadership va nutrita proattivamente. La startup è un
sistema efficiente per fare ricerca e sviluppo.
In precedenza questa prerogativa era di grandi imprese: erano le uniche a
possedere sufficienti fondi e interessi per ricercare e sviluppare nuove idee.
La cosa però comportava costi, monopoli, rischi non sempre convenienti.
Le alternative erano onerose o rigidamente inquadrate nel panorama di una
legislazione inadeguata e limitante. La crescita tecnologica era pertanto più
lenta e costantemente zavorrata dalle inidoneità delle procedure. Per
rimuovere questi ostacoli inutili è stato necessario adeguarsi: il sistema
libero di sviluppo proposto dalle startup permette di ridistribuire pregi e
difetti del sistema sugli imprenditori privati.
La soluzione, che da sempre sarebbe stata ottimale, è diventata possibile
solo oggi tramite il processo di deregolamentazione economica accennato
nei capitoli precedenti. Più avanti nel testo vedremo come, per ora quello
che ci interessa è il fatto che:
✓ le startup sono costantemente alla ricerca di partner, capitali, azionisti e
collaboratori. Ricordiamo che se avessimo investito in Apple, Blablacar,
Yoox, Airbnb, oggi saremmo milionari;
✓ il settore non conosce crisi anche perché oltre a essere in netta crescita,
ripartisce i rischi sugli investitori e sugli imprenditori. Un settore che
produce competitività e che ripartisce in maniera stabile i rischi è
terribilmente vantaggioso.

3.11 LA CALMA PRIMA DELLA TEMPESTA


Prima di concludere il capitolo, analizziamo meglio quali sono le ragioni
razionali per cui diventare investitori non è più una possibilità: è
sopravvivenza, è opportunità.
Entrare nel mercato è facile e la promessa di ricavare dei benefici è alta. Le
manovre europee e governative stanno allineando gli standard del nostro
Paese a quelli della Comunità Europea, più liberi ed efficaci, anche in
materia di investimenti nel digitale, nel crowdfunding. Tutti assieme stiamo
inseguendo un pezzo di “sogno americano”: l’opportunità di partecipare
all’innovazione.
L’economia del futuro corre veloce e si lascia alle spalle il mercato classico.
Non conosce crisi, è vastissima e promette la libertà finanziaria. Cavalcare
l’innovazione significa avere prospettive solide come pochi altri business ti
possono dare in un momento storico come questo, dove il panorama è
segnato dalle incertezze di un mercato del lavoro che annaspa per rimanere
a galla e che fatica a riconoscere la sua inadeguatezza.
Dobbiamo ormai svegliarci di fronte alla prospettiva che le cose stanno
cambiando e lo stanno facendo in fretta.
Posto questo, bisogna porsi una domanda: “quanto è solido il terreno che ho
sotto i piedi? Per quanto tempo la mia attività potrà considerarsi attuale,
solida e non obsoleta?”.
Le cose obsolete vengono sempre sostituite.
Fortunatamente, siamo ancora in una fase di transizione in cui abbiamo la
possibilità di scegliere se cavalcare le nuove opportunità oppure rischiare
che queste ci travolgano.
Questi sono gli anni della calma prima della tempesta. Io non sono un
indovino, non so dirti con che forza o con che velocità queste
trasformazioni dell’economia, della tecnologia e del mondo del lavoro
prevarranno sulla concezione classica del lavoro.
Tuttavia sono certo che questi importanti cambiamenti faranno sudare
freddo tutti coloro che non sono stati in grado di adeguarsi a un
cambiamento che oramai si fa sempre più attuale, che è impossibile non
vedere.
4. LA RIVOLUZIONE DELLE IDEE: LA STARTUP

“La creatività è intelligenza che si diverte”

Impossibile non essere d’accordo con questa citazione di Albert Einstein.


La creatività è forse la più caratteristica delle doti umane.
Questo mi riporta alla mente quando da bambino desideravo diventare un
inventore. Non credo esista qualcuno in grado di presentarmi un bambino
privo di immaginazione, che non senta la necessità di realizzare qualcosa di
nuovo e di incredibile.
L’immaginazione è lo strumento che i bambini utilizzano per comprendere
il mondo e dargli un senso. Per quanto sembri irrazionale, è in realtà la cosa
più razionale e intelligente possibile: usare l’immaginazione per risolvere il
problema dell’ignoto. Per esempio, i bambini potrebbero non sapere come
funziona una banca, eppure sanno che lì puoi ottenere dei soldi, che lì sta il
denaro; e il resto, la parte noiosa, burocratica, la costruiscono con la loro
creatività.
Con la maturità l’immaginazione non scompare, si sublima, muta e cambia
volto: più si sa, più le cose non devono essere immaginate ma devono
essere comprese.
La capacità sorprendente di alcune persone, sta nel trovare un modo per
permettere all’immaginazione di sopravvivere fianco a fianco con la
complessità della realtà, per trovare il giusto equilibrio.
Perché sì, viviamo in un mondo complesso, le conoscenze si stratificano
su altre conoscenze; ma la creatività, per quanto non venga
incoraggiata, viene davvero apprezzata. Partendo da un buon libro fino
ad arrivare alle più grandi invenzioni: la creatività dà sapore alla vita, la
creatività è e resterà il primo motore dell’innovazione. E l’innovazione
vale; vale miliardi.
L’innovazione è un business diverso ma pur sempre un business:
innovazione si può tradurre in comfort, velocità, efficienza; serve a rendere
possibile ciò che prima non lo era, ad aiutare le persone, a migliorare la
nostra vita e il nostro mondo. Per le imprese innovazione si traduce in
competitività, nuovi mercati, risparmio e guadagno. I “big” non se lo fanno
dire due volte e di conseguenza investono milioni in ricerca e sviluppo o per
comprare innovazione.
Il grosso, come sempre, proviene dai privati.
Quando l’innovazione è declinata in questo modo diventa prerogativa di
chi, per prima cosa, possiede il denaro per finanziarla. Ma se è vero, come
recita il vecchio detto, che “chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non
ha i denti” (ed è vero) allora ci troviamo di fronte a un problema: gli
innovatori migliori non sono sempre quelli che producono innovazione!
Il motivo è abbastanza intuibile: la novità nasce dalla necessità. Se
vivessimo in un mondo perfetto e tutti fossimo soddisfatti della nostra vita,
non penso che nessuno si farebbe in quattro per cambiare lo status quo
creando qualcosa di nuovo, non se ne sentirebbe il bisogno.
Ma è chiaro che non viviamo in un mondo perfetto e che c’è sempre
qualche nuova sfida da affrontare, qualche problema da risolvere, qualche
cosa da migliorare. Chi ha denaro può assumere tecnici e ingegneri
bravissimi nel loro lavoro, ma l’immaginazione non si può insegnare e la
creatività non si può apprendere. Il processo creativo è, per molti aspetti,
una coincidenza spontanea.
Ora facciamo una prova, siediti a un tavolo e prendi un foglio bianco, prova
a pensare a un’invenzione qualsiasi. Non deve essere necessariamente
funzionante ma deve essere abbastanza credibile da sembrare buona.
Probabilmente tra qualche ora l’unica cosa che avrai ideato sarà un
posacenere più grande, visto che avrai consumato quattro pacchetti di
sigarette e venti caffè senza venire a capo della questione.
Le buone idee, purtroppo, non vengono a comando.
Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda il modo in cui viene
messa in pratica questa ricerca. Se è vero che le grandi imprese sono i primi
innovatori, è anche vero che lavorano per prima cosa per risolvere i loro
problemi, occupandosi di questioni che hanno una ricaduta limitata sul
mondo al di fuori del loro settore specifico. Questa tipologia di ricerca si
chiama ricerca intra-muros e, com’è immaginabile, rappresenta la maggior
parte della spesa investita in R&S da parte delle imprese private senza
dimenticare che, sempre dati alla mano, le imprese italiane finanziano il
64% dell’attività di ricerca totale svolta nel Paese. Si dipinge insomma un
quadro abbastanza pessimistico, dove l’innovazione è alla mercé di pochi e
finalizzata per lo più a vantaggio di una cerchia ristretta di beneficiari.

4.1 MA POI ARRIVA LA STARTUP…


Il termine startup si riferisce propriamente a un modello d’impresa
caratterizzato da un’organizzazione temporanea, destinata a trasformarsi, e
da un prodotto ad alto contenuto tecnologico. Internet of things,
applicazioni, energie rinnovabili, wearable technology e altre novità che si
prestano all’impresa. Il modello startup si può applicare, in teoria, a
qualsiasi campo ma non è un segreto che alcune tipologie di imprese siano
più produttive ed efficienti di altre. Se volessimo realizzare scarpe
tradizionali non avremmo bisogno di fare una startup. Il prodotto, sia esso
un bene oppure un servizio, un social o magari uno smartwatch, deve essere
scalabile, profittevole e ripetibile. Si parla di idee destinate a espandersi, a
crescere in fretta, nell’arco di pochi anni.
Il principio alla base della startup è il seguente: chi possiede le idee, il
coraggio, la volontà e la visione per fare innovazione deve essere dotato
dei mezzi per trasformarla in realtà.
Si tratta di un progetto giovane, veloce e ambizioso, come le imprese che ne
derivano. Le startup nascono, si sviluppano e muoiono nel giro di pochi
anni, spesso meno di uno. Il gioco degli startupper è un vero processo di
selezione naturale, dominato dai più forti, dai più motivati e dai più svegli.
Statisticamente il 90% delle startup fallisce entro i primi due anni, vuoi per
problemi nel team, vuoi per difetti del prodotto, vuoi perché il mercato non
è maturo o interessato. Quelli che sopravvivono, crescono e lo fanno a ritmi
spaventosi. Uber, l’applicazione numero uno per il trasporto automobilistico
privato, fu valutata 4 milioni di dollari nel 2010, 60 milioni nel 2011, 3,5
miliardi nel 2013 e 48 nel 2017 con un tasso di crescita medio quasi del
7000% nel periodo. Insomma, mica briciole, ma è anche vero che Uber,
come Whatsapp, Yoox, Airbnb sono casi esemplari. La maggior parte delle
imprese non raggiungerà mai cifre simili.
La crescita comunque c’è ed è innegabile: nel 2015 il numero di startup in
Italia è cresciuto del 21,2% e la tendenza non evidenzia segni di calo ma,
anzi, da quando nel 2012 la legislazione, seppure con i suoi tempi biblici,
ha cominciato ad adattarsi, le iniziative, i concorsi, i fondi venture, le
infrastrutture, si sono moltiplicate a vista d’occhio. Settore pubblico e
settore privato: tutti contagiati dalla febbre delle startup. Per capire meglio
da dove proviene questo entusiasmo, che coinvolge dai piccoli investitori
alle organizzazioni internazionali, bisogna tornare a quello che ho detto
prima riguardo all’inefficienza del sistema innovativo.
Dare la possibilità di realizzare le proprie idee virtualmente a chiunque
significa aumentare quantitativamente e qualitativamente la quantità
di innovazione, i servizi e le possibilità a disposizione dell’intera società,
trasformandola in una società più equa e avanzata.
Il vantaggio ovviamente ricade anche sulle imprese. Fare innovazione costa
e anche parecchio. È un’attività che comporta rischi notevoli e che non
garantisce progressi all’altezza delle aspettative o delle necessità. Affidarsi
a degli innovatori esterni si traduce in beneficio a minor rischio, dato che
l’innovazione sarà sviluppata altrove, da gente che rischierà i propri capitali
e investirà il proprio tempo.
La dimensione di questo cambiamento non è notevole, è rivoluzionaria!
Potremmo parlare di come Whatsapp abbia spazzato via gli sms e gli mms
tradizionali o come Uber e Blablacar abbiano fatto sudare freddo ai tassisti
di tutto il mondo, ma sarebbe scontato. Proseguiamo.
Quello che ci interessa sapere è che le startup esistono, funzionano bene e
che a questi ritmi presto o tardi arriveranno a costituire un’enorme fetta del
mercato imprenditoriale.
“L’innovazione classica”, quella prodotta dalle imprese tradizionali, di
sicuro non scomparirà dall’oggi al domani, perché comunque ha delle
caratteristiche proprie difficili da ritrovare in una startup.
I due sistemi sono piuttosto destinati ad affiancarsi e a supportarsi a
vicenda, con beneficio per tutti. A noi, comunque, interessa capire prima di
tutto quali sono le basi e le logiche su cui operano le startup, qual è il loro
processo di crescita e quali sono le caratteristiche fondamentali di cui deve
dotarsi un’impresa vincente.
Questo ci serve perché le startup rappresentano uno degli investimenti
più rischiosi e redditizi offerti dal mercato dell’imprenditoria digitale,
le startup passano anni a nutrirsi di finanziamenti e partecipazioni. In
cambio questa scommessa offre bassi tassi di successo, rapidi tempi di
sviluppo e ritorni di investimento potenzialmente esponenziali.

4.2 DAL SOGNO AL BI-SOGNO: L’IDEA GIUSTA


Ciò che sta alla base di una startup è l’idea e non solo la prospettiva di
lucro. Questa idea però non può nascere da un progetto qualunque: deve
innanzitutto essere un’idea disruptive, deve rispondere a una necessità, a un
bisogno, deve insomma migliorare la vita di chi la usa.
Dal punto di vista economico, invece, l’idea dirompente,
l’ideadisruptive, è tale quando riesce a creare nuove categorie di clienti,
come sosteneva Clayton Christensen. È necessario, insomma, che esistano
delle persone, un pubblico o un’utenza, disposte ad adottare il nuovo bene o
servizio.
Un’idea disruptive però non origina dalla benevolenza divina, è frutto di
esperienze personali e di conoscenze. Le prime servono a metterci di fronte
all’opportunità o al problema, le seconde a trasformare il nostro punto di
vista, il nostro approccio al problema stesso. La soluzione sta negli occhi di
chi sa guardare le cose da una nuova prospettiva. Il cosiddetto “pensiero
laterale” teorizzato dallo psicologo Edward De Bono, quel pensiero
provocatorio e creativo che invece di farti correre nel labirinto per arrivare
dall’altra parte ti suggerisce di passarci attraverso con un bulldozer. Per
dirla in altri termini: “il problema non è il problema. Il problema è il tuo
atteggiamento rispetto al problema”... come dice il capitano Jack Sparrow.
Un giorno, qualche migliaio o milione di anni fa, un cavernicolo capì che
sarebbe stato meglio trasportare le pietre su qualcosa di scorrevole anziché
usare esclusivamente la forza fisica. E voilà, ecco la ruota. C’era
l’esperienza, c’era il problema, ma solo pochi dei nostri antenati hanno
saputo vedere la cosa dalla giusta prospettiva, gli altri si sono adattati. La
ruota è stata un’idea disruptive. Insomma, sogni e bi-sogni sono il pane
delle idee rivoluzionarie. Senza le conoscenze però è difficile spingersi più
in là con l’immaginazione. “Sii ambizioso e osa essere anticonvenzionale. È
difficile ottenere qualcosa di nuovo se segui il percorso degli altri”,
concorda con me Alberto Onetti di Mind the Bridge, associazione
internazionale che fa da ponte tra le startup e le corporazioni in tutta Europa
e negli Stati Uniti. Il concetto di conoscenza non si lega né a un titolo di
studio né a una conoscenza specifica, scientifica. Quel sapere lì, quello
tecnico, rientra all’interno delle competenze. Dove il concetto di
conoscenza è più vago, trasversale, quello di competenza è più settoriale,
più profondo. Le competenze servono a distinguere i veri problemi e a
formulare soluzioni, le conoscenze formano la base su cui poggia la
nostra visione del mondo.

4.3 ASSEMBLARE IL TEAM


Chi vuole fare startup deve, insomma, possedere tutti i requisiti
fondamentali, sia caratteriali sia culturali.
Questo perché il percorso dello startupper è lungo, difficile, ricco di
imprevisti e di frustrazioni. È pericoloso, lo “stipendio” potrebbe non
arrivare per mesi o per anni, potresti trovarti a lavorare quattordici-sedici
ore al giorno tutti i giorni, con poco supporto e gratificazione. È chiaro che,
fatta questa premessa, le doti mentali sono fondamentali.
E ovviamente questo non vale solo per il founder: il nostro coraggioso
imprenditore non può neppure pensare di iniziare il compito da solo, gli
serve un team pronto ad affiancarlo, a sostenerlo, a completare le sue
capacità. L’affiatamento del team e la determinazione a raggiungere
l’obiettivo rappresentano due delle variabili più selvagge e importanti
della nostra startup.
Questo perché il team iniziale è composto da poche persone con
competenze semi-specifiche: ci potrebbe essere il programmatore,
l’ingegnere, il fundraiser, il web designer, il product designer e via dicendo.
Per questo la coordinazione, la collaborazione, le capacità, la propensione al
rischio sono fondamentali. Ogni visionario ha bisogno di un team
affiatato che condivida la sua visione, la sua leadership e che sia pronto
ad affrontare i sacrifici richiesti. Facilmente i membri della squadra si
troveranno a lavorare in ambienti e in condizioni di lavoro improbabili, a
ritmi draconiani. Dovranno fiancheggiarsi spalla a spalla e farsi forza a
vicenda per proteggere la volontà di terminare il progetto. Per assemblare la
sua squadra lo startupper parte dall’ambiente circostante e dalle conoscenze
personali.
Molti membri vengono reclutati nelle università o vengono presentati dagli
amici. Altri ancora sono conoscenze fortuite od occasionali, che avvengono
tra coetanei che frequentano ambienti simili e che posseggono simili visioni
del mondo. Raramente alla squadra possono affiancarsi soggetti esterni.
Questi sono generalmente i primi finanziatori: i business angel (questo è il
termine tecnico) che investono parte dei loro risparmi personali e delle loro
competenze (molti business angel sono ex imprenditori o manager) per
fornire ciò che manca alla squadra: l’esperienza. Pare strano, ma persino la
multinazionale miliardaria Apple deve moltissimo a un business angel di
nome Mike Markkula, un ex imprenditore informatico che riuscì a
rimpolpare le casse della neonata impresa nel momento del bisogno con
250.000 dollari di investimento (cifra notevole nel 1977). In cambio
ricevette un terzo delle quote dell’impresa e un ruolo di rilievo all’interno
dell’organizzazione.
Un team così formato ha buone prospettive, ma ciò che conta davvero è
l’affiatamento. Valutare attentamente le dinamiche interne, risolvere i
conflitti tra membri, saper sostenere e alimentare la fiducia nel progetto,
nella visione; sono queste le attività fondamentali che influenzano le
possibilità di successo di una startup. A differenza di altri dati, queste sono
dinamiche difficili da rilevare e da quantificare. Se l’idea è il primo
fondamentale, la squadra è il secondo. Ora spostiamoci sul terzo: il business
plan.

4.4 IL BUSINESS GIUSTO PER LA NOSTRA IMPRESA


Ora che abbiamo un’idea e un team, dobbiamo trovare il business per la
nostra impresa. Il modello di business non riguarda solo il “cosa” ma
soprattutto il “come”.
Poniamo, per esempio, che la mia idea sia quella di creare una piattaforma
per far incontrare chi cerca eventi interessanti nella sua città con i
proprietari di locali, discoteche, musei che propongono tali eventi.
Assemblo la squadra, siamo in cinque, dispari, perfetto per votare le
decisioni. Convinco i miei amici e qualche collega a credere nella mia idea
e decidiamo di darci da fare. Costruiamo il nostro ufficio nel garage di un
volontario – un numero enorme di startup nasce in qualche garage – e ci
diamo dentro giorno e notte… O forse no, perché c’è l’idea ma nessuno si
trova d’accordo su come debba essere sviluppata.
Qualcuno proporrà un’applicazione totalmente gratuita, altri la vorranno
premium, a pagamento. Qualcuno preferirà un’interfaccia user friendly altri
un’applicazione più customizzabile, alcuni vorranno appoggiarsi fin da
subito a degli early sponsor, altri preferiranno mantenere l’indipendenza del
brand e così via. Le opzioni, come vedete, sono numerosissime.
Per avere un’idea chiara di cosa debba essere il progetto di questa
applicazione e, soprattutto, cosa non debba essere, è necessario mettersi
d’accordo da subito con tutti i membri del team.
Prodotto finale, contenuti, tempistiche, customer care, valore del brand,
valori dell’impresa… qui si pensa in grande. Ma perché lasciare tutte queste
parole al vento quando si possono strutturare in un business plan?
Il business plan è un documento che rappresenta la mappa del tuo
business. È il biglietto da visita, utile per orientare i potenziali
investitori sull’identità, sugli obiettivi prossimi e futuri, sulle potenzialità
della tua startup.
Fare un business plan è tutt’altro che semplice: una gran parte di questo
documento si basa su proiezioni future soggette a una certa imprecisione o
incertezza. Nonostante ciò, questo esercizio è indice di capacità
programmatiche, pragmatismo e lungimiranza ed è pertanto tenuto in buona
considerazione dai tuoi primi potenziali clienti: gli investitori!
Per risolvere al meglio la questione relativa al business plan è utile farsi
aiutare dal Business model canvas, la popolare tesi dello svizzero
Alexander Osterwalder.
Business model canvas riassume in nove punti le questioni principali da
affrontare in un business plan.
Non si tratta soltanto di un modello utile per la definizione dei parametri del
business delle startup, qualsiasi modello di impresa può usare questo
schema.
Le domande che bisogna porsi, secondo la suddivisione proposta da
Alexander Osterwalder sono le seguenti.

1. Chi sono i tuoi key partner?


2. Quali sono le tue key activity?
3. Quali sono le tue key resource?
4. Quali sono i tuoi costi?
5. Da dove arrivano i ricavi?
6. Che valori propone la tua impresa?
7. Chi sono i tuoi clienti?
8. Qual è il tuo rapporto con il cliente?
9. Come raggiungere i clienti? Attraverso quali canali?

Chiariamo velocemente il significato di ogni voce. Ma prima, hai notato


come sono divise? Le prime cinque rappresentano gli aspetti più tecnici da
valutare durante la stesura del tuo business plan, le ultime quattro sono più
emotive e si concentrano sui valori dell’impresa. La suddivisione ricorda
vagamente il cervello umano che ha un emisfero più analitico e un altro più
emotivo.
✓ Key partner. I partner strategici, le alleanze, le collaborazioni con la
concorrenza, le joint venture e le catene di fornitori e di venditori.
Scegliere attentamente alleati e concorrenti, distinguere partner necessari
e partner superflui può portare a grandi vantaggi e semplificazioni.
✓ Key activity. Le attività principali della tua impresa/startup. Sono i
lavori diretti che ci si propone di affrontare e i problemi che si è
determinati a superare durante la progettazione, realizzazione e
distribuzione del prodotto.
✓ Key resource. Le risorse strategiche da investire (e di cui si dispone) per
la buona riuscita dell’attività. Sono risorse fisiche (veicoli, uffici,
impianti ecc.), intellettuali (brevetti, copyright, conoscenze, partnership),
umane (conoscenze, competenze, personale qualificato) e ovviamente
finanziarie.
✓ Costi. Ovviamente bisogna sapere dove, come e quando i soldi
voleranno fuori dal portafogli. È fondamentale proiettare i costi anche sul
periodo e sulle economie di scala per valutare quale sarà il livello di
produzione ottimale.
✓ Ricavi. Qui la fantasia vola. Ci sono tanti modi per guadagnare dai
prodotti e dai servizi e tante strategie. Il panorama si fa ancora più ampio
quando la startup si propone di creare un prodotto digitale. Bisogna avere
ben chiare le modalità di guadagno, tempi e proiezioni. Sperare di
iniziare subito a ricavare 1000 per poi trovarsi a incassare 100 a distanza
di dodici mesi è il miglior modo per far fallire persino con una buona
idea.
✓ I valori della tua impresa. Non si parla solo di principi ma anche dello
scopo del tuo prodotto. Stiamo puntando sul marchio? Sulla
personalizzazione? Sul design? Sull’accessibilità? Questi parametri
influenzeranno il prodotto finale così come i rapporti con la clientela.
✓ I nostri clienti. Dopo aver definito i valori bisogna capire chi sono i
nostri clienti ideali. Che gusti hanno? Quali sono le loro motivazioni?
Quanto sono disposti a investire nel tuo prodotto? Prodotti di lusso hanno
clientele ristrette, prodotti commerciali hanno clientele più vaste, ma
esistono numerose combinazioni e mercati più complessi e frammentati.
✓ Il rapporto con il cliente. Bisogna decidere come instaurare il rapporto
con la clientela. Vuoi perché li vuoi fidelizzare, vuoi perché il prodotto si
basa su una community, vuoi perché serve un servizio d’assistenza, i
clienti torneranno e vorranno un trattamento misurato al loro acquisto. Le
politiche di customer relation possono essere adoperate anche per
cambiare la percezione che la gente ha del prodotto e del servizio nel
complesso e perciò non vanno sottovalutate: un cliente che si sente
protetto, ascoltato e coccolato parlerà bene e tornerà volentieri.
✓ Canali. Pubblicità, sensibilizzazione e distribuzione. Gli acquirenti
devono sapere che il prodotto esiste, che è in target con i loro bisogni e
come possono acquistarlo. Alcuni (come Apple) preferiscono operare
tramite catene di negozi personali, altri (come Samsung) si appoggiano a
quelli già esistenti. C’è poi la questione relativa al marketing: come
avverranno le campagne pubblicitarie? Qual è l’emozione, la sensazione,
la soluzione che stiamo vendendo?

4.5 SI PUÒ VENDERE SENZA BUSINESS PLAN?


Le domande elaborate in Business model canvas aiutano a riportare a terra
le idee fluttuanti che circondano la stesura del business plan. Un po’ più di
concretezza, insomma, fa sempre bene, ma non bisogna essere troppo rigidi:
i nove punti che abbiamo introdotto non vanno interpretati in maniera
troppo schematica. Tenerli separati aiuta ad avere idee più limpide, ma nella
creazione di una vera impresa vedrai che i punti del business plan
interagiscono tra di loro.
Finora abbiamo parlato sempre dell’idea, quasi dimenticandoci
dell’importanza del metterla in pratica: il business plan serve proprio a
tracciarne i binari e aiuta a farsi i conti in tasca.
Non scordiamoci che questo documento arriva terzo sul podio, dopo l’idea
e la squadra. In fondo si tratta di un esercizio che sicuramente richiede
consapevolezza del mercato, networking e competenze.
I finanziatori, invece, che saranno i primi che decideranno se “comprare” la
tua idea, guarderanno sempre per prima cosa a te e alla tua squadra. Non a
caso persone come me o Fabio Cannavale, che hanno finanziato decine di
startup, prendono con le pinze le proiezioni del business plan.

4.6 MVP: MINIMUM VIABLE PRODUCT


Pronti, partenza e via: adesso abbiamo la nostra applicazione, è tempo di
lanciarla sul mercato. Beh, non è proprio bella e funzionale come
l’avevamo immaginata. Non sembra neppure particolarmente intuitiva da
usare e l’estetica è ancora grezza, per non dire proprio brutta. Un
fallimento? Dipende.
Pretendere di arrivare sui mercati a gamba tesa, presentando un prodotto
perfetto, scintillante e funzionale è totalmente irrealistico. La maggior parte
delle startup presenta il cosiddetto Minimum Viable Product o MVP.
L’MVP è un prototipo fatto per testare la risposta delle persone di
fronte alla novità. Non mancano mai i primi coraggiosi entusiasti
pronti a utilizzare un prodotto anche se lo sviluppo non è completato:
sono gli early adopter.
L’MVP infatti non è un prodotto completo e raffinato, è piuttosto una
versione grezza, basic, piena di bug e di difetti, ma dotata delle funzioni
principali che la rendono innovativa.
L’idea di lanciare l’MVP parte da due necessità:

✓ verificare se ci sono degli early adopter pronti ad adottarla e quindi se c’è


interesse verso la proposta. In parole povere stiamo dicendo: “Ehi
ragazzi, sappiamo che la nostra idea non è ancora perfetta, ma c’è
qualcuno interessato alle sue funzioni?”. Se la risposta è: “No”, meglio
iniziare a preoccuparsi;
✓ lanciare un MVP porta a quel perfezionamento del prodotto che solo la
strategia del customer development approach può garantirci.

Abbiamo detto che fare innovazione non è roba da innovatori professionisti,


giusto? Bene, lasciare che siano gli utenti stessi a definire il
perfezionamento del prodotto è, di conseguenza, un’ottima strategia.
Il customer development approach si basa proprio su questo: sul
perfezionare l’applicazione, il sito, il prodotto, in base alle necessità di
quelli che saranno i suoi consumatori finali.
Il duplice vantaggio dell’MVP è che riduce il divario tra sviluppatori e
mercato e testa la vendibilità del prodotto. Ecco perché questo step è
considerato fondamentale da molti sviluppatori di startup.
Abbiamo tra le mani la “formula miracolosa per una startup perfetta”? Non
proprio. Il customer development approach ha anche dei difetti e non si
deve mai fare completo affidamento sull’opinione degli early adopter. Molti
clienti, molti utenti, infatti, ragionano da consumatori e non posseggono le
competenze o le capacità per esprimere un’opinione oggettiva sul prodotto.
Il focus, insomma, torna ai finanziatori, i quali invece sono in grado di dirti
con precisione quali sono i problemi e i vantaggi oggettivi del tuo MVP. Il
primo da convincere è e rimane sempre l’investitore. Certo è, che se l’MVP
riscuote un buon successo, i finanziatori saranno molto più interessati ad
ascoltarti e ad aiutarti.
C’è infine un effetto collaterale interessante all’interno del customer
development approach di cui non abbiamo parlato: l’effetto serendipità.
La parola, che piace tanto ai blogger e ai romantici, indica quel
fenomeno per cui si incappa in una scoperta casuale mentre si è alla
ricerca di qualcos’altro.
Per essere chiaro, riprendiamo un’ultima volta la nostra applicazione.
Lanciamo l’MVP e (sorpresa) scopriamo che non piace, neppure pagassimo
gli utenti per utilizzarla. In compenso scopriamo che gli utenti apprezzano
uno dei nostri feature: per esempio, la possibilità di prenotare online un
posto al ristorante. Tra tutte le funzioni della nostra app, questa è l’unica
che riscuote successo. Seguendo questo percorso trasformiamo la nostra
app: l’idea originale era di mettere i festaioli in contatto con gli
organizzatori di eventi, l’idea derivata è quella di un’applicazione che
consente di prenotare tavoli online con un metodo semplice e veloce.
Rinnovata l’app, il successo arriva: missione conclusa, la startup inizia a
decollare.
Questa esperienza però ci ha permesso di trovare la nostra strada e di
lanciare una startup di successo grazie a una scoperta casuale e inaspettata.

4.7 L’IDEA CRESCE


La nostra impresa, col passare del tempo, l’intervento degli investitori,
l’assunzione di personale, somiglia sempre meno a una startup e sempre di
più a un’impresa tradizionale.
È perfettamente normale, le startup, come abbiamo anticipato, sono
associazioni temporanee. Per fare il salto di livello, di qualità, è
fondamentale mettersi in gioco sul mercato. La stragrande maggioranza tra
queste imprese, infatti, aspira proprio all’exit.
Ci sono due tipologie principali di exit: la prima prevede di essere acquisiti
da un’altra impresa, la seconda è l’IPO (Initial Public Offering).
L’acquisizione comporta la cessione delle redini del progetto a un’altra
impresa dotata di maggiori risorse. Spesso il vecchio team della startup
viene acquisito dalla nuova impresa. L’IPO, invece, in parole povere è
l’offerta pubblica di acquisto che è alla base della quotazione in borsa della
nostra impresa e che la trasformerà in una vera e propria società
indipendente.
Prima di poter arrivare così in alto, però, ci sono una serie di step intermedi
che delineano lo stato di avanzamento del progetto.
Ogni step è definito da una durata temporale media e da un certo capitale di
finanziamento. Questo schema non è fisso e cambia a seconda della realtà
della nostra startup, del prodotto, delle dimensioni e, perché no, della
fortuna che abbiamo.
È uno schema veloce, indicativo dei tempi di sviluppo e può aiutare a capire
in che stato si trova l’impresa così come a quali obiettivi sta lavorando.
Per suddividere queste fasi di crescita e trasformazione della startup, mi
rifaccio in parte alla classificazione pubblicata su Startup. Sogna, credici,
realizza. Dall’idea al successo di Eleonora Chioda, Giancarlo Donadio,
Lucia Ingrosso e Tiziana Tripepi. Un libro che ho molto apprezzato e che
consiglio caldamente a chi desidera conoscere tutto delle startup.

4.8 NASCITA DELLA STARTUP: FASE SEED E PRE-SEED


L’80% delle imprese colerà a picco senza mai superare la fase seed.
Parliamo della fase più delicata della vita di un’impresa, soggetta a
molteplici rischi a causa della sua fragile struttura.
Seed in inglese significa seme. Questo perché il lavoro e i capitali sono
finalizzati in primis a far germogliare l’impresa.
La fase seed dovrebbe durare massimo diciotto mesi dalla nascita
dell’impresa, con un finanziamento massimo e indicativo di circa un
milione di euro. Raggiunta questa cifra, si presume che l’impresa sia
riuscita ad arrivare al prossimo round di finanziamento.
Trovare un milione di euro non è facile, soprattutto quando bisogna fare
molto affidamento sui cosiddetti FFF: Family, Friends and Fools (famiglia,
amici e folli) e sui capitali “vagabondi” in mano a pochi business angel che
portano denaro e competenze e che sono pronti a rischiare per un’impresa
ancora molto giovane.
In questa fase l’impresa non è in grado di generare guadagni propri e non
possiede ancora un vero e proprio prodotto; si concentra piuttosto sulla
raccolta di piccoli capitali, sulla partecipazione a concorsi e sulle fasi
preliminari dello sviluppo del prodotto. Per avere maggiori possibilità di
successo, la startup deve sapersi vendere, deve essere trasparente, ottimista
e ambiziosa e deve saper trasmettere questa filosofia anche ai potenziali
finanziatori.
Questa, nella mia esperienza, è una delle fasi migliori per affidarsi al
crowdfunding. Quando l’impresa sceglie di finanziarsi in questo modo,
stabilisce un rapporto diretto tra piccoli investitori e la startup, un canale
totalmente o parzialmente indipendente da quello dei fondi di venture
capital. Dipendente solo dalle capacità dell’impresa e più democratico.

4.9 PRIMO ROUND DI SVILUPPO: FINO A 5 MILIONI


Nei primi due o tre anni di sviluppo l’impresa lavora per garantire tre cose:
un prodotto migliore, l’attraction di nuovi investitori e capitali, generare i
primi guadagni autonomi.
Il prodotto/servizio è stato testato sul mercato ma non si parla ancora di
validità commerciale. Per proporre un’offerta strutturata servono capitali,
per questo ci si rivolge ai fondi di venture capital o a round superiori di
crowdfunding, come ha fatto Recrowd, la startup di cui parleremo più
avanti.
Anche in questa fase il rischio è comunque alto. Se prima sopravvivevano
due imprese su dieci ora ce la fa una su due.
Gli sviluppatori devono essere cauti in questa fase: se la loro idea è buona
allora troveranno più facilmente chi vorrà finanziarli in cambio di quote
partecipative. Un rischio ricorrente è quello di farsi prendere la mano con i
finanziamenti e gli investimenti: non bisogna assolutamente svendere le
quote della società o si finirà per avere più denaro che partecipazione nella
propria impresa. Il rischio è quello di ridurre eccessivamente il numero di
quote aziendali che potranno poi essere distribuite in futuro, menomando la
capacità di trovare ulteriori finanziatori quando il prezzo delle
partecipazioni aumenterà assieme alla solidità dell’impresa.

4.10 SECONDO ROUND DI SVILUPPO: FINO A 10 MILIONI


Siamo nel secondo grande round di finanziamenti. La startup ha un prodotto
e si sta consolidando sul mercato. I nuovi fondi servono a sostenere ed
espandere la crescita su nuovi mercati e tramite acquisizioni di altre
imprese/attività. Di nuovo entrano in gioco i venture capital e i finanziatori
che hanno già acquisito percentuali di quote societarie. Siamo nel periodo
dei 36-42 mesi di vita.
Ci sono indicativamente due round di finanziamenti ma, all’atto pratico,
non c’è un numero esatto di round ottimali. Alcune tra le startup più forti
hanno continuato a trovare finanziatori per molto tempo e a incassare grandi
capitali, a volte miliardi di dollari.

4.11 LA STARTUP SI FA IMPRESA


Abbiamo superato la fase più delicata della vita della nostra impresa. Quella
in cui può essere messa a dura prova da repentini cambi di eventi. Adesso la
nostra startup è in fase di trasformazione è sta acquisendo i connotati e le
capacità di una vera impresa. In questa fase il denaro può provenire da
fondi venture, come da banche e da fondi d’investimento non specializzati,
di solito meno disposti ad assumersi i rischi legati alle precedenti fasi di
crescita.
I ricavi tuttavia crescono. L’obiettivo? Quello di crescere fino all’exit.

4.12 RICAPITOLANDO: COS’È UNA STARTUP?


Avere chiaro il concetto di startup ci serve per dare una vera forma a questa
parola che va tanto di moda. Su questo argomento ci hanno scritto libri
interi ed è ovvio che un capitolo difficilmente può analizzare tutti gli aspetti
di questa forma imprenditoriale. Comunque sia, è utile per capire le logiche
con cui lavora una startup ed è la base che ci serve per parlare del
finanziamento della startup e per capire quali sono le discriminanti con
cui gli investitori separano i vincenti dai perdenti, le imprese che hanno
le carte in regola per diventare grandi da quelle che hanno buon cuore ma
poca testa.
Abbiamo visto che le startup sono imprese temporanee, perché vogliono
diventare aziende oppure perché aspirano a entrare a far parte di altre
imprese. Abbiamo visto che sono alla ricerca di un business, o meglio, che
cercano di trasformare un’idea in business. Abbiamo visto che la squadra è
fondamentale, ma che anche il prodotto deve essere forte e che il mercato
deve essere pronto.
È ora di dare un po’ di considerazione anche “all’elefante nella stanza” e di
parlare di quali sono i circuiti di finanziamento delle startup.
Eh già, perché non basta avere una buona idea e una buona squadra, un
buon business plan e un buon prodotto. Bisogna sapersi vendere!
Ma dove? Andare a strillare in strada agitando un cartello potrebbe essere
un inizio ma non è sicuramente la strategia di marketing più efficace.
Se non si fosse ancora capito, ci troviamo sulla frontiera, su strade poco
battute. La startup è e rimane per lo più l’idea di un manipolo di eroici
sognatori. Serve carburante per alimentare questa idea, servono soldi,
servono specialisti e ogni tanto serve anche una bella pedata nel
fondoschiena per trasformare l’arrampicata in una salita a razzo verso l’alto.
Per questo ci sono concorsi, incubatori, acceleratori, mentor, partnership. Ci
sono le università, i venture fund, le banche, i business angel, i portali di
crowdfunding. Il manipolo iniziale è destinato a diventare un’armata, tutti
vogliono una fetta dei meriti e sono disposti a fare la loro parte di lavoro in
cambio.
Per questo, il giro delle idee e dei capitali è radicalmente diverso da quello
delle imprese tradizionali. È più vibrante, più dinamico, più ambizioso, più
veloce.
Nel prossimo capitolo vedremo come funziona il crowdfunding, uno degli
strumenti innovativi di maggior successo per investire nelle startup.

NELLE STARTUP IL GIRO DELLE IDEE E DEI CAPITALI È RADICALMENTE


DIVERSO DA QUELLO DELLE IMPRESE TRADIZIONALI. È PIÙ VIBRANTE, PIÙ
DINAMICO, PIÙ AMBIZIOSO, PIÙ VELOCE
5. L’INVESTITORE INDIPENDENTE: IL CROWDFUNDING

Fare una “carrellata” sulle startup ci serve per inquadrare meglio uno dei
più grandi fenomeni economici del nostro tempo.
Le startup, le PMI innovative (piccole medie imprese), si stanno imponendo
sul mercato come una delle realtà in cui oggi girano le quantità di capitali
più significative in Europa e soprattutto negli Stati Uniti. Oggi siamo
ancora agli arbori, si parla di appena qualche “miliarduccio” d’euro, ma è il
ritmo con cui l’impero delle startup cresce che lascia ben immaginare un
futuro importante, anzi fondamentale, per questo nuovo modello di business
innovativo.
E cosa c’è di male? Coniugare l’innovazione con lo sviluppo delle
potenzialità e dei sogni delle persone che si mettono in gioco, ricostruire il
ponte tra passione e lavoro in un modo che quasi ci sembrava stesse
andando perduto.
Che poi l’impero startup cresca di anno in anno con numeri a doppia o
tripla cifra non può che essere la conferma che non solo questo modello può
funzionare, ma che è destinato a occupare uno spazio sempre più rilevante
all’interno delle nostre economie e del nostro mondo.
Anche chi si tappa le orecchie, chiude gli occhi e urla a squarciagola presto
o tardi si troverà a doversi confrontare con un microcosmo di piccole e
grandi innovazioni, nate da idee che piano piano si stanno infiltrando nelle
case, negli smartphone, negli uffici di tutti noi.
Siamo nell’era della rivoluzione digitale in fondo, il tempo in cui persino il
frullatore si fa smart e come sempre, chi prima arriva meglio alloggia.

5.1 IL TRIANGOLO DELL’INNOVAZIONE: STARTUP-SOLDI-


INVESTITORI
Ovviamente le startup non vivono al 100% di sogni, anzi, mangiano
“verdoni”, lavoro e hanno bisogno di energia per crescere.
Al pari dell’impresa classica, la startup necessita di finanziatori, di gente
disposta a credere in lei e nel suo team. Fortunatamente, l’ovvio beneficio
sociale che deriva dallo sviluppo di queste imprese e la loro capacità di
creare benessere non sono passate inosservate: lo Stato italiano, l’Europa, i
fondi privati, i consorzi d’investitori e businessman di tutto il mondo si
muovono andando incontro alle nuove imprese.
Le possibilità per un’impresa innovativa sono veramente tante e mutano in
funzione dei bisogni specifici di quella determinata startup.
Il termine startup, infatti, nel caso non fosse già evidente, connota un’intera
galassia di nuove imprese che realizzano i più svariati prodotti e servizi: da
quelli fisici a quelli interamente digitali, dalle creazioni a vocazione sociale
che aspirano a migliorare il benessere di tutti fino a quelle destinate a una
ristretta cerchia di utilizzatori con esigenze specifiche.
Non è assolutamente possibile che tutte queste imprese condividano le
stesse necessità, anzi, hanno tutte esigenze molto specifiche e si
ritroveranno a dover sostenere costi molto diversi tra loro.
Tanto è vasta la diversità tra le imprese, tanto è ampio il mondo delle
possibilità a loro disposizione: incubatori, concorsi, consorzi di finanziatori,
laboratori, università, acceleratori; nel mondo delle startup tutti fanno la
loro parte per aggiudicarsi la partecipazione e assicurarsi che l’impresa, per
quanto sia unica, riesca nel suo intento di creare qualcosa di nuovo e
destinato ai mercati.
La costante però – e qui scendiamo dalle nuvole – è che servono i soldi. I
soldi permettono di accedere ai servizi, acquistare ciò che serve, pagare il
personale; per diretto e semplificato che sia è così.
Il denaro rappresenta il secondo angolo del nostro triangolo
dell’innovazione: costruire una startup senza avere denaro è un po’ come
cercare di accendere un fuoco senza legna.
Ma se i nostri imprenditori in erba non hanno in cantina un forziere
straripante di dobloni d’oro, facilmente non avranno i soldi necessari per
portare avanti il progetto.
Da qui nasce l’intima e reciprocamente benefica relazione con la categoria
dei finanziatori, con coloro che aggiungono la legna al fuoco.
Il finanziatore per eccellenza è l’uomo grasso, ben vestito, con il cilindro, il
monocolo e la risata inquietante; o almeno è a lui che si pensa quando si
vuole dare un volto al denaro: banche, fondi privati, aziende sono coloro
che muovono il denaro, gli artefici del successo di ogni impresa.
Così era, e così è ancora oggi. A parte la scherzosa caricatura, banche e
gruppi privati giocano ancora un ruolo chiave nello sviluppo della PMI
innovative.
Ma per le startup? I finanziatori convenzionali si occupano anche di loro?
Eccetto i venture capital, che sono fondi d’investimento creati
appositamente per scommettere su imprese ad alto rischio, l’investitore
classico, la banca, non apprezza particolarmente l’idea di investire in
una startup. Per loro, è molto più appetibile il mercato finanziario classico
che, nonostante offra margini di guadagno minori rispetto a una startup ben
avviata, rimane pur sempre un mercato estremamente liquido.
All’investitore classico piace l’idea di potersi disfare velocemente dei
propri asset, per avere guadagni rapidi o per chiudere le attività finanziarie
in perdita.
Le startup, al contrario, rendono illiquido l’investimento, dal momento che
le imprese non sono ancora quotate in borsa. Per questa ragione si prestano
molto meglio ad altri modelli di finanziamento. Uno dei quali, il
crowdfunding, potrebbe davvero rappresentare una rivoluzione secolare
nell’ambito dell’industria dell’innovazione e della libertà finanziaria.

5.2 LA FINE DELLE BANCHE? LA RIVOLUZIONE DEL


CROWDFUNDING!
Il crowdfunding non è solamente un modo per raccogliere denaro, è un vero
e proprio cambio di prospettiva, una rivoluzione che potrebbe, negli anni a
venire, scalzare le banche dal loro piedistallo in materia di investimenti.
Sintetizzando, fare crowdfunding significa doversi appellare al popolo, alla
folla, per trovare il denaro necessario: “finanziarsi con la folla” è la
traduzione spicciola del termine.
Ma il crowdfunding è molto di più. Il crowdfunding è redistribuzione dei
benefici, è trasparenza, è possibilità. Dà l’occasione di riappropriarsi
del proprio denaro e di sceglierne la destinazione, il rischio, la sorte,
con un meccanismo che premia i meriti personali più di quanto il
sistema bancario non sia mai stato in grado, o volenteroso, di fare.
Dal 2013 a oggi, i numeri del crowdfunding crescono a doppia e tripla cifra
in Europa e in Italia, uno dei paesi più interessanti sotto il profilo del
finanziamento privato, grazie all’incredibile ricchezza capitale e all’alta
propensione al risparmio degli italiani.
Una rapida dimensione del mercato del crowdfunding mi viene fatta
durante una chiacchierata a uno dei miei meeting da Alessandro Lerro,
partner della Business Galaxxy e avvocato esperto in crowdfunding, che
riporta come il numero di finanziatori sia in netto aumento. Si parla poi di
incrementi nella misura del miliardo di euro, di anno in anno. Il denaro
mosso dagli investimenti privati in Europa, con particolare focus sul
crowdfunding per startup, è stato di circa 5 miliardi nel 2018 di cui 750
milioni sono partiti dall’Italia.

5.3 I VANTAGGI DEL CROWDFUNDING


Significative sono le ragioni che hanno portato alla popolarità il
crowdfunding: è più veloce delle banche, distribuisce meglio il rischio,
permette di trovare più investitori, paga meglio i finanziatori, è meno
soggetto a speculazioni e nel complesso è più trasparente.
Gran parte dei vantaggi derivano dall’assenza di intermediari che, prima
delle leggi emanate appositamente, erano indispensabili per controllare le
transazioni.
Facciamo un esempio: Mario Rossi va in banca, versa i suoi soldi e chiede
al bancario di occuparsi dell’investimento con pacchetti azionari che
variano a seconda della sua propensione al rischio. Anche i soldi in conto
corrente di Mario sono usati dalla banca in operazioni finanziarie, ma danno
tassi di interesse così bassi che neppure coprono l’inflazione. A questo
punto spetta alla banca occuparsi del denaro di Mario, seguendo più o meno
gli accordi pattuiti. Dico “più o meno” perché sono noti a tutti i casi in cui
la banca ha venduto prodotti “spazzatura” ai propri clienti, dai bond del crac
Parmalat, ai diamanti venduti a prezzi gonfiati.
La banca ha degli interessi propri che prescindono da quelli dei suoi clienti.
Questo conflitto di interessi ha portato più volte a sollevare il problema
della trasparenza.
D’altro canto chi lavora in banca detiene conoscenze che il risparmiatore
medio difficilmente possiede e pur essendo mosso dal desiderio di far
fruttare quei risparmi il più possibile, spesso utilizza i soldi in maniera
troppo arbitraria e, nel contempo, retribuisce il cliente con una fetta davvero
piccola della torta.
Quanto può fruttare un buon pacchetto di investimenti bancari, al di là delle
proiezioni gonfiate? Poco. Ma davvero la banca guadagna così poco da
queste operazioni di mercato? E quando invece le cose non funzionano
come previsto, chi ci rimette il denaro?
L’istituto di credito è il banco del casinò: “vince sempre”, perché usa il
denaro degli investitori e trattiene un guadagno per sé e le eventuali
perdite non sono mai le sue.
Ora, se questo sistema fosse un po’ più equo per l’investitore, non sarebbe
neppure male. La banca sfrutta le proprie conoscenze e le proprie abilità
finanziarie per sollevare l’investitore da ogni difficoltà.
È giusto che questo servizio abbia un prezzo. Va considerata però un’altra
questione relativa al modo in cui i soldi vengono impiegati. Le attività
favorite dagli istituti di credito sono generalmente molto liquide.
Per questa ragione vengono predilette certe tipologie di rischio a discapito
di altre.
Il finanziamento all’impresa e alle persone non sono tra le predilette.
Questo solleva un altro problema: i destinatari principali del risparmio
individuale diventano, per tanto, le operazioni di speculazione finanziaria e
non le imprese.
Eppure sono le imprese le attività con maggiori prospettive di sviluppo.
Sono le imprese a produrre posti di lavoro e benessere sociale, innovazione
e crescita.
Il sistema bancario, insomma, è inefficiente dal momento che presenta costi
di intermediazione, non è sempre trasparente e non porta il benessere
sociale che potrebbe dare.
È poi sempre aperta la questione della leva finanziaria che, come abbiamo
già accennato, spende denaro che non esiste e rende potenzialmente meno
stabile il sistema, generando più debito di quello che può essere davvero
ripagato.
La musica cambia quando si parla di peer-to-peer, crowdfunding in primis.
Per definizione, i sistemi peer-to-peer (pari-a-pari) non hanno intermediari,
o meglio il loro ruolo è fortemente ridimensionato. Aprendo le porte
all’iniziativa personale, il crowdfunding permette di investire i propri
risparmi nelle attività preferite e di focalizzarsi su imprese che portano
benessere e innovazione. Infine, il sistema di crowdfunding è trasparente.
Questo è uno dei suoi requisiti, uno dei presupposti del suo funzionamento.
Senza trasparenza un sistema che si fonda sulla fiducia da pari a pari non
potrebbe semplicemente funzionare.
L’insieme di questi benefici, unito all’assenza della leva finanziaria, ha
spinto l’Unione Europea e i suoi organi di vigilanza a svincolare sempre di
più l’uso di strumenti come le piattaforme di crowdfunding.

5.4 LE PIATTAFORME DI CROWDFUNDING


Le piattaforme di crowdfunding esistenti sono numerose e offrono servizi di
diverso tipo a seconda del modo e delle finalità con cui raccolgono i soldi.
Quattro sono le tipologie principali che seguono modalità diverse di
esecuzione e rappresentano un’opportunità diversa per l’investitore.
Per i nostri fini di investimento, escluderei a priori il reward e il donation
crowdfunding, interessanti ma finalizzati ad altri scopi.
Il donation crowdfunding è sviluppato su piattaforme specializzate. L’idea
che sta alla sua base è di raccogliere fondi per una causa utile, a scopo
sociale, non finalizzata al guadagno. Sono soldi dati in beneficenza che
vengono raccolti tramite il web.
Il reward crowdfunding è più interessante e sfaccettato, però non permette
di guadagnare realisticamente. Lo scopo è quello di dare denaro affinché si
possa sviluppare un particolare progetto, spesso un prodotto fisico. Le
piattaforme più note sono Kickstarter e Indiegogo che finanziano, in
maniera leggermente diversa tra loro i progetti e le startup proposte dai
potenziali sviluppatori.
Chiariamo il fatto che il finanziatore andrà sempre a investire il proprio
denaro ma la ricompensa sarà attraverso una o più copie del prodotto o
tramite un riconoscimento simbolico. Che poi si decida di vendere il
prodotto o che si facciano valutazioni sul valore di quello che si va a
finanziare va oltre al mondo del crowdfunding e diventa una speculazione
personale. A noi non interessa. Procediamo.
E arriviamo all’equity crowdfunding, il principe dei finanziamenti alle
startup. L’equity, come suggerisce il nome, scambia quote societarie in
cambio di capitali. In parole povere: dando 100, 1000, o 10.000 euro
all’azienda si diventa soci di minoranza.
Si avranno diritti sugli utili, le quote societarie se il progetto funziona si
rivaluteranno, ma si potrà anche perdere denaro se l’impresa va a picco.
Sull’intuizione geniale dell’equity crowdfunding e sulla
deregolamentazione bancaria voluta dall’UE investono in molti. Si tratta di
un settore abbastanza nuovo ma vivo e frizzante in cui si contendono i
progetti numerose piattaforme. Opstart è il perfetto esempio di piattaforma
dedicata all’equity crowdfunding e minibond per startup e PMI innovative;
e Business Galaxxy l’ha scelta come partner. Con l’amico Giovanpaolo
Arioldi, CEO di Opstart, eravamo al telefono tempo fa, sorridendo davanti a
un video che Opstart ha sponsorizzato con la famosissima pagina social del
“Milanese Imbruttito” che si avvia a raggiungere il milione di
visualizzazioni.

5.5 IL MIRACOLO DELL’EQUITY CROWDFUNDING E IL


SUCCESSO DI CESYNT
È vero, forse esagero quando parlo di miracolo, ma neppure
eccessivamente. Basta dare uno sguardo ai progetti di startup presenti sulle
piattaforme per capire che l’equity crowdfunding è la risposta che
stavamo aspettando per un’economia più libera e giusta.
Pensa: tu che sorseggi un cocktail in spiaggia o che esplori le rovine di
qualche esotica città orientale mentre i tuoi investimenti “lavorano” al posto
tuo. E con il ritorno del 3-4% che al meglio una banca può offrire non si ha
questa opportunità. Il succo della questione è questo: o sei “la banca” o
probabilmente stai pagando qualcuno perché usi i tuoi soldi, privandoti dei
veri benefici del guadagno e senza grandi tutele nel caso l’investimento non
vada come dovuto. Si tratta di una situazione loss – una squadra dove se si
vince si divide tra tutti i giocatori e se si perde, invece, lo si fa a titolo
personale perché il resto della squadra se l’è filata.
Ma quanto può generare una buona intuizione? Quanto si può ricavare
realmente da un buon investimento?
A titolo di esempio vorrei parlare di Cesynt, una PMI innovativa italiana
che si occupa di e-learning per professionisti. Cesynt è un’impresa di
successo che aspira all’IPO e che ha concluso il suo finanziamento su
Opstart in overfunding, raccogliendo ben 1,2 milioni di euro.
Una PMI innovativa per la quale si è svolta una vera e propria gara tra
investitori pronti ad aggiudicarsi una fetta di quote di un’impresa che ha i
presupposti per essere una delle prime innovatrici d’Europa in questo
campo.
Armando Miele, il fondatore, ci ha contattati per illustrarci il suo progetto.
Io e Vida siamo rimasti sorpresi positivamente fin dall’inizio in virtù della
semplicità e della funzionalità dell’idea. Lui aveva bisogno di due mentor e
di due professionisti del crowdfunding per appoggiare la sua seconda
campagna di raccolta fondi finalizzata all’entrata in Borsa. Un’operazione
battezzata Crowd-listing da Opstart. Prima di iniziare ci ha raccontato
meglio il suo progetto di business in un colloquio e poi con un’intervista
che ha coperto a 360 gradi il futuro della PMI e le sue strategie di
espansione sui mercati europei. A oggi, Cesynt ha già raddoppiato il giro
d’affari e cresce a ritmi pazzeschi.
Non tutte le aziende possono vantare la capacità di raddoppiare il fatturato e
di produrre utili in pochi mesi come Cesynt.
Il segreto di Armando, è stato quello di aver subito aggredito un mercato
grande e dotato di enormi risorse, quello professionale, sapendosi imporre
con un servizio ben strutturato e su misura per le esigenze di tutti i
professionisti che hanno il diritto e dovere di aggiornarsi annualmente,
partecipando a dei corsi specifici in base alla propria categoria
professionale.
Ecco che qui entra in gioco l’equity crowdfunding. Tramite la piattaforma
di Opstart Armando è stato in grado di coinvolgere in appena un mese e
mezzo un numero enorme di investitori. La campagna ha permesso di
raccogliere un quantitativo di fondi quasi cinque volte superiore a quello
minimo richiesto con enorme beneficio per l’impresa, che ha potuto così
sostenere la crescita a ritmo accelerato. Il premio per gli investitori? In
appena un anno sono arrivati dividendi pari al 20% del valore iniziale!
Insomma, coloro che hanno investito 1000 hanno ricevuto 200 euro di
guadagno puro, coloro che hanno investito 10.000 hanno guadagnato 2000
euro e così via, senza muovere un solo dito.
I primi investitori che hanno creduto in Cesynt, sostenendola attraverso la
prima campagna di crowdfunding, si sono ritrovati in poco più di due anni
con un profitto potenzialmente enorme grazie alla rivalutazione delle loro
quote, che potranno liquidare visto che la società sbarcherà in borsa grazie a
una elegante mossa di IPO a Parigi. Il successo di una azienda di questo
genere segue questi ritmi, per via della natura stessa della sua attività e della
sua capacità di svilupparsi in fretta. Ovviamente, sappiamo bene che non si
tratta di un mondo esente da rischi, i vari progetti possono partire a razzo
oppure esplodere prima di sollevarsi da terra, ma fa tutto parte della natura
degli investimenti. Il merito dell’equity crowdfunding, in tutto ciò, sta nella
capacità di aver connesso gli investitori con il progetto. Tutti protagonisti,
tutti stakeholder, interessati al successo dell’impresa. Oggi gli azionisti di
Cesynt posseggono titoli con un valore in crescita e ricevono corposi
dividendi; il futuro dell’impresa è roseo.
Quando finalmente l’impresa sbarcherà e “sbancherà” sul mercato parigino,
allora le azioni potranno essere regolarmente commercializzate in borsa,
con proiezioni di guadagno enormi per gli investitori iniziali.

5.6 COME PARTECIPARE ALL’EQUITY CROWDFUNDING?


Prendere parte a un’operazione di equity crowdfunding significa, per certi
versi, diventare soci di una società, di un’impresa o di una startup.
Non avrai parola in merito alle decisioni aziendali, ma sarai legato
all’impresa nella scalata verso il suo successo. La cosa sembra già piuttosto
emozionante, partecipare a una sfida nuova ed esaltante, da seguire con
passione e che promette ottimi guadagni per chi ha il coraggio di crederci.
Comunque sia, il primo passo per poter esplorare questo mondo è quello di
trovare una piattaforma che garantisca ottimi standard di qualità, protezione
dell’investitore e trasparenza. Una volta individuata, inizia il vero lavoro di
selezione.
Devi iniziare a studiare: ogni startup propone un’idea interessante e che
appartiene a settori con cui probabilmente non hai molta confidenza. Per
individuare quella vincente non bisogna lasciarsi trasportare dall’istinto.
Quello che funziona in teoria, potrebbe non farlo nella pratica.
Ci sono numerose ragioni che possono compromettere anche una buona
idea: alta competizione, bassa fattibilità, valutazioni di mercato errate.
Ogni settore merita un bel po’ di ricerca, ogni startup va guardata con
attenzione, cercando proprio di partire dal team che, come abbiamo visto, è
l’elemento più importante in assoluto in questo genere di impresa.
Valutare tutti questi elementi, soprattutto se si è alle prime armi e non si sa
bene da dove partire, è tutt’altro che facile.
L’equity crowdfunding è un ottimo investimento, ma ha i suoi punti di forza
e le sue debolezze. Per questo sta emergendo una nuova tipologia di
crowdfunding.
Ne parlavo con Gianluca di Recrowd mentre ero in viaggio per il Messico
durante il mio giro del mondo.
Gianluca è un giovane imprenditore che io e Vida, tramite Business
Galaxxy, seguiamo da tempo.
La sua impresa ha concluso da poco una campagna di equity crowdfunding
di enorme successo e si è lanciata sul web raggiungendo i suoi primi,
importanti obiettivi.
Cosa offre questa startup?
Te lo dirò nel prossimo capitolo, dove affronteremo l’ultima e più
interessante faccia del crowdfunding: il lending crowdfunding.
6. RECROWD: LA STARTUP CHE HA SBANCATO IL
CROWDFUNDING

Quando ho conosciuto Gianluca, ho capito subito che sotto al suo


atteggiamento moderato e riflessivo c’era un’ambizione più grande e sottile,
difficile da percepire al primo impatto, ma indubbiamente presente. In lui e
nei suoi due compagni d’avventura ho scoperto una determinazione e una
visione fuori dal comune, la voglia di assumere il controllo del proprio
futuro, di rischiare, di sperare per il meglio, pochi compromessi.
Durante il mio percorso come mentor ho avuto modo di conoscere tanti
laureati. Ho collaborato con molti di loro, menti giovani e brillanti dotate di
tutti i mezzi per puntare in alto ma senza quella scintilla in più che serve a
superare tutti gli altri: la creatività.
Gianluca e i suoi compagni d’avventura, Massimo e Simone, avevano
iniziato come tanti a seguirmi con l’idea di assorbire tutto ciò che potevano
imparare da me sul mondo della finanza, del trading e degli investimenti.
Un’energia e una forza incredibili ma confuse, dirette in molte, troppe
direzioni. Provare, scoprire cose nuove, ottenere i primi successi personali:
guidare le persone lungo questi percorsi mi è facile, perché io stesso ho
dovuto affrontare le stesse esperienze; ma trasformare questa energia,
saperla indirizzare verso la creazione di qualcosa di nuovo e dirompente è
un’altra cosa e se loro ci sono riusciti è solo grazie a loro stessi; se oggi
esiste la piattaforma di Recrowd, è perché loro sono stati capaci di
immaginarla.
Trovare la forza di prendere il toro per le corna e di cambiare direzione alla
propria quotidianità è, e sarà sempre, un gesto difficile reso ancora più
complesso dal fatto di avere un progetto, un’aspettativa. Riversare il proprio
talento, le proprie energie, il proprio tempo in qualcosa a cui si tiene
veramente significa sempre alzare la posta. Il rischio di fallire è reale come
la paura. La maggior parte delle persone che vedo interpreta l’idea di voler
cambiare vita come se si trattasse semplicemente di alterare uno status quo;
c’è l’intenzione insomma, ma non c’è un progetto.
Il primo passo per progettare, per creare qualcosa di nuovo, da una startup a
qualsiasi altra cosa, richiede una bella sessione di autoanalisi, condita da
una generosa dose di spietatezza ma anche di autostima. Così questi
ragazzi, dopo essersi fatti un attento esame di coscienza, conclusero che il
loro limite più grande era la mancanza di esperienza e che ciò che gli
serviva più di tutto per dare vita alla loro startup era qualcuno che sapesse
guidarli.
La loro idea, insomma, aveva bisogno di un mentor, di un ambassador e
della Business Galaxxy, ed è qui che sono entrato in gioco io. In quei giorni
stavo girovagando per svago e per lavoro tra i cantoni svizzeri. Continuavo
a tenermi in contatto con i miei colleghi e i miei amici e seguivo
attentamente ogni proposta che mi veniva inviata. Ho ascoltato anche la
loro e, non appena ho capito che la cosa si faceva seria, ho subito mollato
tutto per volare a Milano per conoscere il team di persona.
Io, che di cose ne ho viste e ne ho fatte abbastanza per imparare il
mestiere, ho subito riconosciuto in questi ragazzi la determinazione che
trasforma un fiocco di neve in una valanga. Così, spalla a spalla, con
l’aiuto e il consiglio del mio team e di Antonio, ci siamo messi in azione: i
ragazzi hanno creato il corpo della piattaforma online, noi ci siamo occupati
della campagna di crowdfunding e del networking.
Morale della favola, poco più di un anno dopo si chiude la prima campagna
di crowdfunding sul portale Opstart raggiungendo la quota di 418.000 euro.
Recrowd, la startup di Gianluca, Massimo e Simone, ha letteralmente
sbancato e sarebbe andata avanti a raccogliere fondi se la campagna non
fosse stata a tempo limitato. Va bene così, dobbiamo trasformare la fiducia
dei nostri investitori in risultati, non stiamo raccogliendo beneficenza,
iniziamo a crescere con quello che abbiamo.
Oggi Recrowd cammina sulle sue gambe e lo fa a ritmi spaventosi. Il
settore in cui opera è notoriamente uno dei più prelibati per gli investimenti:
il mattone non conosce crisi duratura. Ma Recrowd, come vedremo tra
poco, non è una startup edile né un’impresa immobiliare.
Recrowd chiude il cerchio che abbiamo aperto quando abbiamo iniziato a
parlare di crowdfunding. Recrowd è la piattaforma che permette a
qualunque investitore di partecipare ai profitti del settore immobiliare.
Questo era quasi impossibile fino a oggi. I finanziamenti potevano
essere reperiti solo dalle agenzie autorizzate e dovevano assumere la
forma di grossi capitali. Se le cose stanno cambiando lo dobbiamo a
Recrowd e al lending crowdfunding.

6.1 RECROWD: IDEE SOLIDE, NON SOLITE IDEE


Parliamo di idee disruptive: se Gianluca è riuscito non solo a scomodarmi,
ma a farmi saltare sul primo volo per Milano, è perché quando mi raccontò
del suo progetto, sentii subito che c’era qualcosa di speciale nella sua idea.
In qualità di socio fondatore della Business Galaxxy e mentor
professionista, mi vengono frequentemente sottoposte nuove idee da
valutare; ne ho sentite di buone, di brutte e di pessime. Poche sono riuscite
a scatenare la mia immaginazione come quelle di Gianluca.
Abbiamo sentito il bisogno di incontrarci di persona. Il team nella startup è
tutto: io avevo bisogno di capire di che pasta fossero fatti questi ragazzi
mentre loro avevano bisogno di superare la diffidenza di un rapporto che
finora si basava unicamente su qualche videochiamata e sul contatto a
distanza. Così eccoci tutti a Milano, in pieno centro, in un bar con dehor in
una giornata di sole. La chiacchierata inizia con il solito scambio di
convenevoli. Si parla di viaggi in particolare. Io racconto del mio progetto
di girare l’America Latina, posticipato per via di altri impegni nel Vecchio
Continente; loro si presentano parlandomi del loro corso di studi e delle
loro esperienze nel mondo degli investimenti.
“Abbiamo studiato quello che ci piaceva, però a metà strada abbiamo
realizzato che non era quello che volevamo fare nella vita. Se vuoi
viaggiare, sentirti libero, non c’è corso di studi che tenga.
Te lo devi inventare da zero il mestiere” confessa Simone mentre gli altri
ragazzi annuiscono.
“Io adesso ho venticinque anni. Ho tempo per sbagliare, ho voglia di fare e
soprattutto ho delle ambizioni. Sì, oggi potrei trovarmi un impiego, una
fidanzata, comprarmi una macchina. Sarebbe una vita rispettabile, ma non
voglio svegliarmi un giorno rendendomi conto di aver rinunciato a qualcosa
o ritrovandomi in balia delle decisioni degli altri. Se voglio cambiare, se
voglio fare qualcosa di più grande, secondo me questo è il momento
migliore. Non me ne frega nulla se ci devo perdere il sonno, questa cosa o
la facciamo adesso o mi sa che non la faremo mai più” aggiunge Gianluca
con aria più seria di prima.
È un discorso che ho già sentito tante volte. In realtà c’è sempre tempo per
cambiare, ma se è difficile oggi, so per certo che domani sarà ancora
peggio. Ma questi ragazzi non hanno voluto incontrarmi solo per parlare
come tra amici al bar, così iniziamo a tracciare una linea guida del progetto,
di quello che serve, delle aspettative e dei rischi. Loro sono ricettivi ma non
conoscono il mondo delle startup e
i vari passaggi pratici nascosti dietro le quinte. Percepiamo subito una certa
sintonia, una spiccata fiducia. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Io voglio
la loro idea, loro vogliono il mio aiuto.
“Un’agenzia che vuole acquistare un immobile da ristrutturare deve per
forza passare da una banca” comincia Massimo. “Quindi tu, agenzia, vai in
banca e proponi il tuo progetto. Loro lo valutano e poi decidono. Più è alto
il rischio, maggiore è la percentuale di profitto che si vanno a prendere,
sempre che decidano di finanziarti. Tu non ci puoi fare niente, non è un
gioco alla pari. Si vince assieme oppure si perde entrambi, ma sei tu quello
che rischia davvero, perché loro ti danno i soldi ma non stanno diventando
tuoi partner. La fregatura è che non hai molte alternative, o vai da loro o
devi trovare fondi o investitori privati che possano mettere 100.000 euro, un
milione. Quanti ce ne sono in giro? (domanda retorica, la risposta è molto
pochi). Ecco, noi vogliamo stravolgere tutto. Servono dieci investitori che
mettano 100.000 euro a testa? Noi te ne procuriamo 1000 che hanno 1000
euro da investire. Il risultato finale non cambia, ma questa volta ci
guadagnano sia i risparmiatori (che sono sempre i veri prestatori di
denaro) sia quelli che fanno il lavoro. Togliamo di mezzo gli
intermediari”. Ecco, questo era proprio quello che volevo sentire.

6.2 IL LENDING CROWDFUNDING: LA NOVITÀ PIÙ


VECCHIA DEL MONDO
Finora abbiamo creato suspense parlando del lending come se fosse un
qualcosa di scontato, ma di cosa si tratta esattamente? Quando parliamo di
lending crowdfunding ci troviamo di fronte a un paradosso: da un lato
abbiamo uno strumento del tutto innovativo ed estremamente versatile;
dall’altro stiamo parlando di una delle istituzioni finanziarie più antiche al
mondo: il prestito.
Lending si traduce dall’inglese proprio come “prestito” e infatti proprio di
questo si tratta: prestare denaro che poi verrà riscosso a scadenza dei
termini assieme a un interesse variabile che costituisce il guadagno del
creditore e che trasforma quello che sarebbe un semplice spostamento di
denaro in un vero e proprio investimento.
Ma se le prime testimonianze di prestiti che abbiamo sono addirittura
vecchie di cinquemila anni, allora dov’è la novità? O meglio, perché questo
meccanismo non è stato adottato prima?
Per rispondere a questi due dubbi è doveroso fare una premessa: sollecitare
gli investimenti costituisce ancora oggi un reato. Solo alcuni istituti
accreditati sono autorizzati e devono seguire una complessa catena di
procedure poste a garanzia, per evitare attività fraudolente o speculative.
Farlo a titolo personale o privato non è mai stato possibile, al di fuori di
certe modalità molto restrittive e del club deal, una forma di aggregazione
tra pochi soci volontari che si uniscono per finanziare collettivamente
un’attività, in cambio di una quota di proprietà ciascuno.
Morale della favola, alla Consob il club deal non è mai piaciuto, perché
rimane a cavallo tra il lecito e l’illecito, perché offre poche tutele ai
partecipanti e perché non è un meccanismo trasparente. Dove si traccia la
linea tra la libera associazione e il sollecito all’investimento? Difficile dirlo.
Nonostante questo il club deal non è vietato, ma rimane guardato con
sospetto.
Ora la legislazione italiana ha autorizzato la creazione di piattaforme che
utilizzano il crowdfunding come strumento per investire e raccogliere i
fondi. Rispetto alle forme alternative, come il club deal, sono più sicure e
trasparenti sia per gli investitori, sia per le aziende e le startup. Sotto
l’occhio vigile del garante è finalmente possibile proporre e partecipare a
investimenti collettivi. Non bisogna sottovalutare le implicazioni di questo
strumento: nel caso di Recrowd si parla dell’acquisto di immobili, ma
ipoteticamente si può immaginare un futuro in cui ogni attività in grado di
generare ritorni economici possa essere sostenuta e finanziata dai piccoli
investitori.
Grazie alle piattaforme digitali è possibile finalmente standardizzare e
controllare l’esperienza di tutti gli utenti.
Per essere più chiari: il servizio che ricevi tu, sarà identico a quello che
ricevo io. Idem per le proposte, le modalità, i tempi e via dicendo. Il
risultato non può essere influenzato, come nel caso di altre tipologie
d’investimento, da informazioni lacunose o da cattivi consigli di un
truffatore, tanto per dire.
Per farla breve: si viene a creare un vero e proprio “forum” digitale, dove
tutti gli investitori e coloro che raccolgono investimenti sono connessi e a
stretto contatto, dove le esperienze sono uniformate e accorpate in dati
facilmente controllabili e pertanto facili da regolamentare e da garantire. È
il bello dei sistemi P2P, peer-to-peer, per dirla all’americana.
Questa possibilità era inconcepibile prima della digitalizzazione della
società. Il digitale è stato lo strumento fondante di questa riapertura, di
questa deregolamentazione, che va a vantaggio degli investitori privati.

6.3 RICCO TU, RICCHI TUTTI


Mi concedo una breve digressione di economia: il titolo di questo
paragrafo, che sembra uno slogan, offre un interessante spunto
di riflessione.
Prendiamo per esempio il “sogno americano”, quell’ideale di libertà,
soprattutto economica, che è stato uno dei pilastri dello sviluppo culturale
degli Stati Uniti del ventesimo secolo. Il messaggio si rivolge per lo più alla
classe media, quella fascia sociale così difficile da rinchiudere all’interno di
un paradigma, ma che ha sempre portato avanti sulle proprie spalle
l’economia di intere nazioni.
Se oggi cerchiamo su Google classe media o sogno americano, facilmente il
motore di ricerca completerà la frase con parole come “non esiste più”, “è
morta/o”, “sta scomparendo” ecc. Ciò è il risultato di una verità ormai
consolidata: la classe media, quella del sogno americano (o inglese, italiano,
tedesco ecc.) reagisce in funzione all’andamento dell’economia generale
dello Stato. La sua salute, la sua crescita oppure il suo impoverimento, è
legata a quella dei cicli economici in maniera strutturale. Perché? Perché la
classe media non pesa sulle finanze statali anzi, contribuisce più di quanto
possano fare i poveri, che prendono sussidi e quindi drenano fondi pubblici,
o i ricchi, che sono pochi e che spesso sono abbastanza potenti da influire
sul controllo esercitato dallo Stato.
Sia chiaro, il problema non sono i ricchi o i poveri, il problema sono le fasi
di stagnazione o di recessione dell’economia che immancabilmente
indeboliscono i più grandi sostenitori dell’economia.
Ora, ricalcando i quattro quadranti di Kiyosaki di cui abbiamo parlato nei
capitoli precedenti: la classe media è composta principalmente da lavoratori
dipendenti e autonomi, le due classi maggiormente influenzate dal mercato
del lavoro e dall’andamento della spesa dei consumatori (che crolla in
periodi bui perché tutti vogliono risparmiare di più). In poche parole, sono
quelli in grado di rilanciare l’economia ma anche quelli che vivono nella
posizione più critica. Per questa ragione lo Stato è incentivato ad aiutare le
persone a riacquistare l’indipendenza e il potere economico, il metodo più
utile per invertire la tendenza di questo circolo vizioso.
Le limitazioni burocratiche agli investimenti, come quelle di cui abbiamo
appena parlato, non aiutano affatto l’economia ma anzi, la indeboliscono,
perché riducono le possibilità della classe media.
C’è anche un’altra questione importante: chi si occupa generalmente di
investimenti?
I ricchi e le banche, ecco chi.
Se i ricchi e le banche divengono ancora più ricchi c’è relativamente poco
guadagno da spartire. Se le banche vanno a gambe all’aria invece, beh, in
questo caso c’è proprio da piangere.
Una banca è un istituto che svolge una funzione sociale, non può chiudere
come un’impresa qualsiasi, non in Italia perlomeno. Ci sono in ballo i
risparmi di una vita di famiglie, imprenditori, investitori. Per evitare che ciò
accada spesso interviene lo Stato che utilizza il denaro pubblico per
sostenere la banca finché non si ristabilisce una condizione di equilibrio.
Lo Stato insomma deve spendere denaro pubblico per aiutare
un’attività che opera per lo più per il proprio interesse, un po’
paradossale no?
Insomma, sottrarre potere agli istituti di credito, ridistribuendo capacità
d’investimento e profitti alla popolazione è benefico e auspicabile. Si tratta
proprio di ricostruire un equilibrio salutare per la società e per l’economia.
Questa volontà non cancellerà le banche, che comunque rimangono attori
chiave dell’economia, ma servirà a rendere il libero mercato un po’ più
libero senza sacrifici in termini di garanzie e sicurezza.
Se opportunità di fare impresa alternative come il crowdfunding o le startup
sono sostenute apertamente dai governi e dalle organizzazioni internazionali
è per questo motivo.
Questo ci proietterà verso un futuro in cui sappiamo per certo che questi
sistemi non sono destinati a scomparire, che non sono una bolla ma anzi, si
sta solamente dando la prima sbirciata dietro un sipario di opportunità.
Opportunità che presto o tardi diventeranno reali.

6.4 RECROWD, UN ANNO E MEZZO DOPO


Gianluca, Massimo e Simone questo lo sanno bene: creatività ed egoismo
non fanno una bella accoppiata, a volte si desidera rimboccarsi le maniche
anche per rendere il mondo un po’ più equo.
Siamo nel 2020, io ho ripreso finalmente a viaggiare, destinazioni della mia
avventura: Messico e Repubblica Dominicana, il computer però non mi
abbandona. Recrowd nel frattempo ha concluso la sua campagna di equity
crowdfunding. Come il sistema del crowdfunding sia trasversale a tutta la
storia dell’impresa è straordinario. Uno strumento pressoché sconosciuto
che diventa il fondamento e l’attività principale di una PMI innovativa. È
una conferma importante che il sistema crowdfunding funziona.
Ora che quest’anno è volato, i tre fondatori di Recrowd lavorano a tempo
pieno allo sviluppo della rete di contatti che servirà a lanciare l’impresa.
Gianluca è il responsabile marketing su tutte le piattaforme, Massimo si
occupa del delicato compito di stringere accordi con le imprese immobiliari
e ha avviato il flusso di offerte di raccolte fondi, Simone gestisce il rapporto
con gli investitori di Opstart.
C’è affiatamento, ci sono difficoltà, c’è voglia di coinvolgere e di crescere.
A giugno 2019 c’è stato il primo incontro con il pubblico a Milano.
L’evento, chiamato Il mattone diventa smart, è servito a pubblicizzare
direttamente la piattaforma ai potenziali investitori.
“Sai Maxx, l’evento è andato bene, ma vedo che c’è ancora molta, troppa
diffidenza nei confronti del crowdfunding” mi ha confessato Gianluca
quando ci siamo sentiti subito dopo.
Ma ogni novità ha bisogno di un popolo di early adopter pronti a fare da
apripista all’innovazione, si può giocare sulla qualità, con nomi molto
importanti, oppure sulla quantità, con un’ampia diffusione del prodotto.
Fortunatamente, a distanza di qualche mese la piattaforma si è popolata di
offerte. Alloggi, villette, condomini, tutte queste attività hanno
completato con successo il loro round di crowdfunding. Sintomo di un
interesse reale e di un mercato che, seppur timido, esiste.
Tra le numerose novità, la più eccitante, per me e per Gianluca, è quella di
essere riusciti ad attirare l’attenzione di un grosso investitore, pronto a
mettere sulla piattaforma delle operazioni da milioni di euro. Al momento
in cui scrivo, è ancora una possibilità, per cui non faremo nomi.
Il risultato comunque è evidente: se questi ragazzi sono riusciti a catturare
la sua attenzione è solamente grazie alla loro passione e alla concretezza
con cui portano avanti la loro impresa. Io gli ho solo dato la spintarella che
gli serviva.

6.5 PERCHÉ PARTECIPARE AL LENDING


CROWDFUNDING?
Iniziamo con una risposta breve: il lending crowdfunding ti mette a
disposizione un sistema di investimento veloce, liquido, sicuro e
trasparente.
✓ Veloce: le campagne di crowdfunding si esauriscono nel giro di pochi
giorni, dopodiché ci si rimbocca le maniche e si dà il via ai lavori. La
forza del sistema si basa sul numero e non sullo spessore economico dei
partecipanti e, di conseguenza, la cifra richiesta per l’accesso al progetto
in crowdfunding è bassa persino sul mercato immobiliare. Si parte da 100
euro per arrivare a poche migliaia, a seconda della natura del progetto. I
rendimenti e gli interessi sono definiti nel tempo, generalmente si tratta
di far maturare questi fondi in tempi brevi, che vanno da qualche mese a
uno, due o tre anni.
✓ Liquidità: il denaro impiegato nel lending crowdfunding non si
trasforma in titoli cartolari o azionari. Abbiamo detto che si tratta di un
prestito, né di più né di meno. Questo semplifica enormemente la
macchina finanziaria che c’è dietro questa tipologia d’investimento,
perché non ci si troverà mai fra le mani un pacchetto di azioni
commerciabili, ma la garanzia di un ritorno di denaro, basato sui tempi
definiti al momento dell’ingresso nella campagna. Per questa ragione si
parla di un investimento liquido, un investimento passivo e quindi più
semplice e che richiede meno attenzioni da parte dell’investitore rispetto
ad altre attività, che invece necessitano di una certa conoscenza dei
mercati o costante monitorizzazione.
✓ Sicuro: la sicurezza è uno dei cavalli di battaglia del lending
crowdfunding: si presta del denaro, non si entra in partecipazione con
l’impresa. Questo svincola il denaro prestato dall’esito del progetto
stesso. La casa non viene venduta? I tempi di consegna si spostano avanti
di anni? Non sono problemi che riguardano l’investitore. Il rischio che
l’impresa non possa ripagare gli investitori esiste sempre, ma delinea uno
scenario molto grave per la solidità dell’azienda stessa. A questo punto
entrano in campo le indagini preliminari sulla solvibilità dell’impresa
offerente, che non sono obbligatorie ma che sono generalmente svolte da
tutte le piattaforme di crowdfunding che trattano investimenti consistenti,
tipo Recrowd. Queste indagini aggiungono un ulteriore margine di
garanzia a tutela dell’investitore, perché vanno a verificare che, a
prescindere dalla sorte del progetto, ci sarà il denaro promesso nel
contratto.
✓ Trasparenza: un grosso problema legato al mondo della finanza è quello
della trasparenza. Non si tratta solo di evitare che il proprio denaro venga
adoperato in maniera illegale, molti investitori vogliono esaminare loro
stessi e con attenzione il progetto prima di decidere se investire o meno.
Per questa ragione è importante per molti investitori sapere dove e come
verrà utilizzato il denaro. La possibilità di avere accesso alle
informazioni sul progetto e sull’impresa su cui si vuole investire pone
tutti i partecipanti sullo stesso piano comunicativo e riduce quel margine
di incertezza che ha contribuito a sollevare un giusto velo di
circospezione attorno al concetto di investimento stesso. La trasparenza,
infine, non solo è auspicabile, ma proprio necessaria per permettere al
sistema del crowdfunding di funzionare: ogni offerta deve essere
standardizzata in modo tale da permettere una scelta il più libera
possibile per l’investitore che non ha a disposizione sofisticati strumenti
finanziari o competenze specifiche.

6.6 IL CROWDFUNDING: UNO SGUARDO AL FUTURO


Per concludere uno dei temi più belli e interessanti di questo libro, noi
vogliamo fare una previsione. Non si tratta di affermazioni campate in aria
ma di ipotesi basate sulla nostra esperienza e sulle nostre competenze,
rafforzate dal fatto che già oggi sempre più investitori si muovono proprio
in questa direzione, assieme alle organizzazioni internazionali e alle
politiche dei governi.
Il crowdfunding piace, la democrazia finanziaria e la
disintermediazione pure. Le potenzialità di questo nuovo sistema di
finanziamento sono appena abbozzate per ora. Come sostengono
Gianluca e il suo team, c’è ancora un atteggiamento tiepido verso questa
novità. Lasciamo passare qualche anno e ci troveremo davanti uno scenario
davvero interessante, con una trasformazione tanto profonda quanto vasta
del sistema finanziario.
Tramite il crowdfunding si può investire su ogni cosa: casa, industria,
turismo, libri, cinema, arte, tecnologia, eventi, ristorazione, mobilità.
I grandi investitori hanno sempre avuto pochi interessi se paragonati ai
piccoli investitori, molto più numerosi e diversi tra loro.
Quando il sistema finalmente si diffonderà, i flussi di denaro diventeranno
tantissimi e rivolti in ogni direzione. Questo aprirà la porta a nuovi modi di
fare impresa, basati non più solo su calcoli di profitto ma sugli interessi
stessi degli investitori.
Considerando questo, le possibilità sia per l’investitore sia per l’impresario
(o lo startupper) crescono esponenzialmente.
È il futuro della sharing economy, la promessa del digitale che prima ci
ha visti spettatori e ora ci vuole coinvolgere come attori. I tempi, le
distanze, le lingue, le competenze. Uno a uno questi muri stanno
crollando e con loro si riapre la possibilità di tornare a essere padroni
della propria vita.
Se fosse soltanto l’ottimistica visione di uno “che ce l’ha fatta” forse terrei
per me queste affermazioni. Ma sono il risultato di un diffuso ottimismo
verso il futuro dell’impresa digitale condiviso anche da esperti e ricercatori.
La startup e il crowdfunding sono stati premiati con la fiducia di alcuni dei
centri di ricerca migliori d’Italia: le università.
Questa visione è sostenuta dal Politecnico di Milano, dall’Università
Bocconi la quale, tra l’altro, è stata una delle maggiori sostenitrici di
Recrowd e ha premiato la startup di Gianluca, Simone e Massimo
inserendola nel suo incubatore Speedmiup.
La conferma che questi ragazzi stavano cercando: non credono in loro
solamente gli investitori e gli imprenditori, ma anche il futuro stesso.
7. VINCERE SU AMAZON

Amazon esiste. Jeff Bezos ha appena fondato la sua società nel caldo luglio
della Seattle del 1994 (Stati Uniti). Il miliardario che oggi domina le
classifiche dei personaggi più ricchi del mondo non ha neppure idea della
portata rivoluzionaria di questa impresa. Nel 2017 sono passati circa
vent’anni e Amazon fattura ben 166 miliardi di dollari. Per intenderci, se
Amazon fosse uno Stato, sarebbe 55esimo al mondo per valore prodotto.
Ma Amazon non è uno Stato, è una multinazionale. Una multinazionale
affamata, che cresce a ritmi spaventosi. Siamo nel 2020 e Amazon vale oggi
220 miliardi di dollari; medaglia d’oro nella grande competizione tra le
grandi multinazionali del mondo. I clienti che ogni anno adoperano la
piattaforma sono miliardi e gli utenti abbonati al programma Amazon Prime
hanno raggiunto i centocinquanta milioni nel mondo!
Amazon ha ucciso l’e-commerce. Perché? Beh, se hai mai comprato sulla
piattaforma scommetto che già conosci qualcuna delle risposte. Le altre
però te le posso dare io: mi chiamo Antonio Vida, lavoro da anni su
Amazon e quando si tratta di investire nell’impero di Bezos non ho davvero
rivali in Italia.
Se le mie affermazioni ti sembrano esagerate, allora è arrivato per me il
momento di presentarmi. Non spenderò più di quattro parole, il resto lo
puoi trovare semplicemente cercando sui miei siti oppure sul mio canale
Youtube.
Io sono sempre stato uno tipo affezionato ai numeri: studi scientifici prima,
poi la facoltà di economia e un master in marketing alla University of
Southern California. Insomma, ho sempre trovato qualcosa di curioso e
affascinante nel mondo dell’economia e della finanza. Quelli come me che
si appassionano all’imprenditoria, ai mercati, al Business con la “B”
maiuscola hanno solo un posto dove andare: gli Stati Uniti, la vera Mecca
dell’economia.
Così, giovane e volenteroso, dopo uno stage in Apple e uno nella banca
Merryl Lynch, mi sono ritrovato finalmente nel mio eden: Wall Street.
Lavorare fianco a fianco con i broker di Wall Street è come giocare in serie
A. Entri e senti gli applausi, le luci dello stadio ti stordiscono, c’è tanta
pressione ma anche molta euforia.
Quando sono tornato in Italia non l’ho fatto a malincuore, ma sapevo bene
che l’America aveva lasciato un marchio indelebile su di me.
Passare dalle luci stroboscopiche delle cattedrali finanziarie di New York
alle “lanterne” di Catania non è stato facile. Avevo tanta di quell’adrenalina
in corpo che rischiavo di esplodere.
Mi sono subito rimboccato le maniche, ho trovato un impiego e nel
frattempo ho studiato la scena dei locali catanesi, alla ricerca di un’idea
dirompente, un qualcosa di nuovo che potesse “sfondare”. Alla fine ho
aperto uno dei primi ristoranti di sushi in città; è stato un successo. Ne sono
seguiti poi un secondo locale, poi un terzo e così via. Nel giro di qualche
anno mi sono ritrovato a gestire ristoranti, agenzie, un negozio di
cioccolata. Lavoravo sedici ore al giorno, sette giorni alla settimana. Miei
non erano solamente i problemi dei locali, avevo anche addosso la
pressione del personale, dei clienti insoddisfatti, della concorrenza.
Insomma lavoravo come un piccolo Elon Musk, guadagnavo ed ero
stravolto ma soddisfatto. Vai così per il primo anno, per il secondo, per il
terzo. Volontariamente mi sono sovraccaricato di lavoro in maniera bestiale,
pensando che quell’energia con la quale avevo cominciato fosse destinata a
restare con me per sempre. Ovviamente non è stato così: le ore di
produttività giornaliera di una persona non sono più di cinque o sei,
parola mia e degli esperti. Per farla breve sono andato in crisi: mi
mancava viaggiare, mi mancavano gli States, mi mancava il mio tempo e
soprattutto mi sentivo ingabbiato in un circolo vita-lavoro dal quale non
traevo più entusiasmo.

7.1 COME AMAZON HA CAMBIATO LA MIA VITA


Quando ho deciso di disfarmi del mio piccolo regno di attività commerciali,
di fronte a me avevo solo una visione: tornare nel Paese che più di
qualunque altro mi aveva stimolato a tirare fuori quell’energia,
quell’ispirazione che mi aveva dato slancio negli anni precedenti.
Così mi sono imbarcato in una nuova avventura, questa volta alla ricerca di
non so bene cosa, destinazione California. Mentre ero in California dedicai
un po’ di tempo a me stesso, un po’ per fare le cose che mi stimolavano, un
po’ per conoscere persone e vedere cosa potevo apprendere di nuovo da
loro.
Frequentai un corso di marketing online tenuto da Henry Jackins,
professore della University of Southern California mentre nel frattempo mi
facevo ospitare da una coppia di americani.
Il destino ovviamente è bizzarro. Conoscendo meglio i due coniugi scoprii
che tra le varie attività che facevano per regalarsi una vita libera dal lavoro
d’ufficio, c’era anche Amazon FBA. Curiosando mi feci inconsapevolmente
introdurre nel mondo di quella che, dal 2015 fino a oggi, è la mia
occupazione quotidiana. Mi mostrarono un po’ le basi e mi lasciarono con
ancora più domande di quante ne avessi all’inizio. Domande ma non solo,
ora avevo una nuova idea, una missione.
Due cose però furono subito chiare: la cosa aveva un potenziale enorme e
nessuno in Italia ne era davvero a conoscenza.
Non fu semplice iniziare, ma va anche detto che io partii da una posizione
privilegiata viste le mie esperienze precedenti. Comunque sia, nel giro di
poco tempo, qualche mese, iniziai a guadagnare abbastanza da vivere in
leggerezza. I miei amici, che già conoscevano le idee strampalate alle quali
mi appassionavo, facevano fatica a capire cosa stessi facendo. In Italia non
c’era ancora nulla di simile.
Ancora oggi, cinque anni dopo, quattro persone su cinque non sanno che
quando acquistano tramite Amazon stanno in realtà comprando
prodotti venduti da terzi. Amazon offre il marketplace, la logistica, il
customer service, ma il prodotto no. Quello è selezionato, prezzato,
messo in vendita da gente come te e me.
La mia fortuna è stata quella di essere stato uno dei primi a scoprirlo. Ho
avuto diversi anni per specializzarmi nel lavoro con Amazon FBA, per
imparare il suo funzionamento fin nei più piccoli dettagli e per “sporcarmi
le mani” con la pratica, successi e sconfitte. L’intuizione definitiva però è
arrivata nel 2018. Ero in Cina per incontrare alcuni dei miei principali
fornitori quando realizzai che avrei potuto, io per primo in Italia, filmare e
portare su Youtube quello che è tutto il mondo delle fabbriche cinesi, le più
importanti rifornitrici della piattaforma di e-commerce. Così ho fatto e,
unendo le mie conoscenze di marketing con quelle di Amazon FBA, ho
creato il primo corso italiano per vendere tramite la piattaforma. Oggi il
corso Vincere su Amazon affianca oltre tremila iscritti alla ricerca del
successo su Amazon. Le loro storie si possono trovare sul mio canale
Youtube e sono motivo di grande orgoglio. In questi due anni di corsi sono
riuscito a creare una comunità, a condividere una passione con tantissime
persone.
Questo ha trasformato il mio mondo ancora di più, l’ha davvero completato.
Io sono Antonio Vida, sono il più famoso Amazon coach italiano e sono un
viaggiatore inguaribile e ora ti spiegherò come si possono generare rendite
passive grazie ad Amazon FBA, ti insegnerò, insomma, come si fa a vincere
su Amazon.

7.2 FBA: FULFILLMENT BY AMAZON


FBA, il programma per venditori del quale parliamo, è un acronimo che
significa letteralmente “compiuto da Amazon”. Si tratta per certi aspetti
dell’opposto rispetto al programma FBM “compiuto dal mercante”. La
differenza principale sta nel chi si occupa di tutto l’aspetto logistico e di
servizio che l’e-commerce deve obbligatoriamente mettere a disposizione
del cliente.
Resi, spedizioni, customer service, numeri verdi, rimborsi, packaging, sono
solo alcuni dei problemi che chi lavora nell’e-commerce deve affrontare per
vendere i propri prodotti tramite il web. Per questa ragione Amazon ti dice:
“Stop, fermati subito. Io mi assumo queste responsabilità; io con il mio
impero di magazzini, con i miei call center, con i miei squadroni di
dipendenti posso pensare a risolvere questi problemi. Tu, venditore,
preoccupati di procurarti il prodotto e di metterlo in vendita, al resto,
ci penso io”.
Questo, in soldoni, è come ragiona Amazon. Ora, il dubbio naturale che
sorge è il seguente: “Perché Amazon, che fattura millemila miliardi e che
possiede tutti gli strumenti necessari, dovrebbe mai voler spartire la torta
con un Signor Nessuno? Perché cerca la collaborazione con un venditore
che gli sottrae profitti che altrimenti la piattaforma potrebbe tenere tutti per
sé?”.
Questa è una domanda che mi fanno spessissimo e per rispondere bisogna
capire meglio come funziona l’impero di Bezos.
Tanto per iniziare Amazon ha una sua gamma di prodotti che acquista o
produce e che rivende, si tratta per esempio degli “amazonbasics”. Provate
a cercare delle batterie di pentole, degli asciugamani, un set di mestoli. Tra i
risultati troverete i prodotti Amazon. Si vendono bene, hanno un design
semplice e piacevole, costano poco. Amazon, insomma, vende già le cose
che sa benissimo riuscirà a piazzare in grandi volumi e a prezzi competitivi.
Quello che Amazon però non può fare è coprire tutta la domanda di mestoli,
asciugamani e batterie di pentole. Qualcuno vuole il mestolo in legno di
faggio, qualcuno vuole il modello delux, qualcun altro cerca persino di
spendere meno, a qualcuno servono i singoli pezzi e così via. Sarebbe
letteralmente impossibile per la piattaforma provvedere autonomamente a
soddisfare tutti: immaginate se Amazon si mettesse a fabbricare cinquanta,
cento set diversi di asciugamani invece che un solo set standard che piace e
vende. Sarebbe il caos.
Certo, potrebbe sempre decidere di farne solamente tre e di vendere solo
quelli, ma questo sarebbe un errore disastroso: tutte le persone in cerca di
altri prodotti andrebbero a comprarli altrove, dove c’è più scelta. Se oggi
Amazon detiene quasi il 50% di tutto l’e-commerce presente su internet è
per via della sua politica customer oriented, che unisce convenienza e
ampia scelta.
C’è anche un’altra questione che va affrontata. Quando Amazon vende i
prodotti di altri venditori, guadagna. Come fa a guadagnare? Semplice,
trattiene una percentuale sui profitti del venditore.
Ora, non bendiamoci ancora la testa. La percentuale trattenuta non supera il
15%, il margine del venditore terzo è immenso rispetto a quello della
piattaforma, per questo Amazon FBA è un business così conveniente.
Resta importante sottolineare che è per queste ragioni che la piattaforma
non solo accetta i venditori terzi, ma anzi investe su di loro! Nel 2017,
Bezos ha puntato un miliardo di dollari sulla crescita del business FBA, un
miliardo intero di dollari su gente che lavora online, da casa, che non ha un
ufficio e che non si deve occupare di recarsi direttamente a lavoro.
Questa scommessa, giocata dal CEO del colosso americano, ci fa capire
quanto i venditori terzi siano importanti per loro e per il loro business e ci
rassicura anche sul futuro. FBA non solo è destinato a durare, ma anche a
crescere e a diffondersi sempre più velocemente.

7.3 SEMPLICE NON SIGNIFICA “SOLDI FACILI”


Capire come funziona Amazon FBA è semplice ma non per questo
guadagnare tramite la piattaforma è facile. Affrontiamo un problema alla
volta: come funziona secondo te il sistema FBA?
Innanzitutto ci serve un prodotto da vendere. Potenzialmente possiamo
vendere di tutto su Amazon, ma questo non significa che dobbiamo
scegliere un prodotto a caso, anzi, bisogna indagare attentamente il mercato
prima ancora di cominciare, per individuare la nicchia che fa al caso nostro.
Questo significa che potresti trovarti a vendere oggetti che non avresti mai
pensato di trattare prima d’ora: fasciatoi per bebè, gonfiabili, candele,
posacenere, la lista è potenzialmente infinita anche perché non serve essere
esperti di prodotto, la cosa importante è trovare un mercato, una domanda
con del potenziale commerciale ancora non completamente soddisfatto.
Fatto ciò dovrai acquistare il primo lotto di 100, 200, anche 1000 pezzi che
invierai ad Amazon. La maggior parte dei rivenditori acquista dalla Cina.
Questo avviene per tre ragioni: la prima è che la Cina offre un ottimo
rapporto qualità-prezzo, hai letto bene: qualità-prezzo, qualità del prodotto
in relazione al prezzo pagato. La seconda è che la Cina mette a disposizione
a sua volta i siti e le funzioni perfette per il nostro lavoro. Facciamo un
esempio: vai sul sito alibaba.com e dai un’occhiata ai prodotti. C’è di tutto,
dall’elettronica ai vestiti, tutto venduto in stock di 10, 100 pezzi, a prezzi
veramente accessibili. Insomma, il tuo primo carico di merce è davvero a
portata di due click.
Ora che hai trovato cosa vendere e hai acquistato il tuo primo stock recapiti
tutto ad Amazon. Tu ti occuperai, come ultima cosa, di preparare la pagina
del prodotto, dopodiché al resto penserà Amazon.
Per ricapitolare, si tratta di uno schema apparentemente molto semplice:
✓ ordini il prodotto;
✓ il prodotto viaggia dalla Cina fino ai depositi di Amazon;
✓ il prodotto viaggia dai magazzini fino ai singoli acquirenti.

È Amazon che in tutto questo si occupa direttamente dei pagamenti e dei


rimborsi, dopodiché si tratterrà solamente le sue percentuali e voilà, ogni
quindici giorni il sito verserà sul tuo conto corrente il denaro restante.
Questo denaro, meno le spese iniziali per ordinare la merce, è tutto
guadagno netto.
Il sistema è semplicissimo sulla carta, l’investimento iniziale è
relativamente basso e iniziare a guadagnare in un tempo ragionevole non è
difficile. Ma allora perché lo fanno così poche persone?
Sebbene sia semplice capire come funziona, questo non vuol dire che sia
facile. Durante l’intero procedimento sono presenti numerose criticità che
devono essere affrontate adeguatamente. Un errore che non si riesce a
risolvere potrebbe costare la perdita del profitto.
Ora, se vuoi vendere biberon, va bene che tu non sappia molto su di essi. In
compenso, non conoscere la normativa riguardo alle importazioni potrebbe
significare avere un intero carico di merce bloccato alle dogane perché il
pallet non è conforme alle normative europee! Incedibile, ma accadono
spessissimo casi simili. Questo significa che là fuori c’è gente che sta
perdendo tempo, denaro e guadagni perché ha sottovalutato o non era a
conoscenza delle difficoltà che si possono incontrare.
Amazon può essere uno strumento eccellente con cui apprendere nuovi
skill utili per organizzare un mestiere proprio, personalizzabile,
scalabile e migliorabile. Tuttavia non sono qui per promettere guadagni
facili: serve un certo mindset per affrontare questo tipo di business. Se
non si accetta il rischio, la difficoltà, se non si è pronti a imparare, allora
questo investimento porterà pochi risultati.
Generare rendite passive non è semplice. Per questo motivo ci sono persone
come me e Maxx pronte a portare le novità del digitale anche sulle tavole
italiane.
Comunque, torniamo in pista e andiamo a vedere quali sono le difficoltà
che sicuramente ci si pareranno davanti durante la costruzione del nostro
business.

7.4 LE CRITICITÀ DEL SISTEMA FBA


Finora abbiamo guardato ad Amazon e al sistema FBA in chiave positiva e
propositiva. Ora dobbiamo affrontare alcune di quelle che sono le criticità
del sistema.
Come ho già detto, il sistema FBA è destinato a espandersi, è un mercato
ancora pieno di possibilità per chi desidera entrarci perché, soprattutto in
Italia, siamo ancora in pochi a utilizzarlo.
Io, che lavoro sia sul marketplace americano sia su quello europeo, ho visto
cos’è la vera competizione sulla piattaforma e posso dirti che sei fortunato,
perché puoi ancora partire da un livello più semplice. Nessuno ti vieterà di
espanderti dopo, quando lo vorrai, anche al di fuori dei confini nazionali.
Ciò nonostante i problemi principali, per chi è alle prime armi o per chi non
dispone di sufficiente esperienza, rimangono sempre gli stessi.
Io li ho divisi, per semplicità, in tre categorie, li vedremo velocemente,
affinché tu possa avere una panoramica completa di quelli che sono i
problemi con cui dovrai confrontarti se deciderai di intraprendere questo
percorso.
Prendiamo un prodotto, uno smartwatch, e proviamo a venderlo su
Amazon, ricostruendo durante il percorso quelli che possono essere i
problemi da affrontare dalla fabbrica all’acquirente, passando per il
marketplace.

7.5 LE DIFFICOLTÀ DI MERCATO: “HO SCELTO DAVVERO


IL PRODOTTO GIUSTO?”
Per iniziare abbiamo detto che bisogna sapere come indagare
approfonditamente il mercato dei prodotti sui quali vogliamo operare. Se
nessuno è interessato al tuo prodotto nessuno lo comprerà, semplice no? Più
o meno. Stabilire proiezioni di vendita è un po’ più complesso, le
preferenze degli acquirenti sono fondamentali, ma ci sono altri fattori che
possono trasformare un apparente successo in una catastrofe. Nel nostro
caso, oltre a esserci poca domanda di smartwatch, il mercato potrebbe già
essere saturo di offerte che si contendono le vendite. Il mercato potrebbe
essere anche poco maturo, ricordate i Google Glass? Gli occhiali smart
inventati da Google che non sono mai arrivati allo scaffale? Il mercato
muta, cambia, fluttua, oggi gli smartwatch vanno di moda e tutti ne
vogliono uno, domani non se li fila più nessuno perché c’è un nuovo
giocattolo tecnologico più affascinante. Sotto le feste si vendono
benissimo? Non è detto che sia così per i restanti nove mesi. Tante volte mi
sono trovato di fronte persone che avevano portato prodotti vincenti sul
marketplace sbagliato: quello che vende in Cina o negli Stati Uniti non avrà
necessariamente lo stesso successo in Italia.
Analizzare il mercato non è affatto semplice, anzi, per molti è già un
mestiere. Fortunatamente Amazon mette a tua disposizione
gratuitamente strumenti di analisi che, combinati con l’esperienza
necessaria e la conoscenza del marketplace, trasformano una
scommessa rischiosa in un’operazione più decifrabile. Il resto, sulla
scelta del prodotto, dovrai farlo tu. Non a caso, scegliere il primo item è
sempre un passo complesso per chiunque voglia iniziare a vendere su
Amazon. Bisogna affrontare la questione con una mentalità analitica, pronta
a rilevare tutti quelli che sono i fattori critici attuali e futuri e che faranno la
differenza tra successo e fallimento.

7.6 LE DIFFICOLTÀ D’IMPORTAZIONE: “CHE FINE HA


FATTO LA MIA MERCE?”
Il mercato degli smartwatch promette bene: ordiniamo la nostra merce e…
“che fine ha fatto? È davvero questo quello che ho acquistato?”.
Due reazioni tipiche di chi ha comprato senza tenere conto di tutte le
complicazioni del caso. Consideriamo questo: stiamo acquistando merce da
persone tanto interessate a venderla quanto lo siamo noi a rivenderla. Come
se non bastasse, c’è anche una forte competizione sui prezzi nel mercato
all’ingrosso. Compri 100 e paghi 100, compri 200 e paghi 150. I fornitori
devono comunque conquistarsi gli acquirenti e perciò tenteranno di
ribassare e risparmiare quando e dove possibile. Questo non significa che si
verrà truffati, sul lungo periodo è molto più conveniente fidelizzare la
clientela piuttosto che ingannarla, tuttavia bisogna capire come e quanto i
produttori potrebbero indulgere sulla qualità dei prodotti che ci inviano. Se
il prodotto non è a norma verrà bloccato in dogana. Se invece il prodotto è
difettoso, ricordate che Amazon offre politiche di rimborso molto
convenienti per l’acquirente ultimo e vendere cento smartwatch per poi
ricevere cinquanta recensioni negative e altrettante richieste di rimborso è il
modo migliore per terminare subito il proprio business. Per partire col piede
giusto è bene sapersi confrontare con i nostri grossisti. Io vado in Cina
almeno tre o quattro volte all’anno. Lo faccio per conoscere i miei fornitori,
per capire come funziona il loro mondo, per avere una panoramica a 360
gradi delle sfide, delle strategie, ma anche dei trucchi che adoperano.
Oh, e comunque la Cina è un Paese davvero affascinante.

7.7 LE DIFFICOLTÀ DEL MARKETPLACE: “PERCHÉ IL MIO


PRODOTTO NON VENDE?”
Abbiamo portato i nostri smartwatch fin qua, li abbiamo ispezionati per
verificare l’affidabilità della merce, l’abbiamo messa in vendita ma... nulla.
Tutto quello che abbiamo fatto è stato inutile se il prodotto non vende. Lo
mettiamo in sconto, sponsorizziamo il prodotto, ora vende ma il margine di
guadagno, al netto delle spese, è semplicemente ridicolo. Certo, non
possiamo neppure lasciarla in giacenza nei magazzini o diventerà un costo e
un problema. Ma vale la pena faticare tanto per ricavare un 10% di
guadagno sul valore di vendita? Assolutamente no, non quando ci sono
prodotti che offrono il 50-60% di ricavi. Se siamo arrivati fin qua non è il
momento di mollare: per vendere su Amazon bisogna saper individuare il
corretto equilibrio tra prezzo, presentazione e indicizzazione.
L’indicizzazione è lo strumento con cui Amazon decide se il nostro
prodotto sarà visibile tra i primi della pagina di ricerca oppure no. È
ciò che fa la differenza tra il vendere 50 o 500 smartwatch. Insomma,
bisogna essere attivi e preparati, dal lancio alla scheda prodotto: nulla può
essere lasciato al caso. Se si sa come ottenere una buona visibilità allora si
ottiene un vantaggio competitivo sugli altri venditori; viceversa, giocarsela
male ci porta in svantaggio anche quando abbiamo un prodotto vincente.

7.8 QUANTO SI PUÒ GUADAGNARE CON AMAZON FBA?


Finalmente eccoci alla domanda da un milione di euro: “Quanto rende il
business FBA?”.
Dipende: si va da milioni, a centinaia di migliaia fino a pochi “mila” euro o
dollari. Quello che conta è la strategia. Ho studiato il fatturato di società
intere che fanno business tramite Amazon e quello di venditori solitari che
si sono creati il proprio mestiere. I miei corsisti mi contattano
continuamente per aggiornarmi sui loro successi, ma anche sulle loro
perplessità.
In generale, il guadagno realisticamente raggiungibile per una singola
persona che decide di intraprendere questo percorso come impiego
principale, può raggiungere senza troppe difficoltà cifre che si aggirano
tra i 10.000, 20.000 euro al mese, con qualche variazione a seconda dei
prodotti e del periodo. In ogni caso parliamo davvero di una bella cifra. Per
fare un confronto: io personalmente portavo a casa una somma simile
quando gestivo tutti i miei locali. La differenza più importante è che ora ho
meno responsabilità, corro meno rischi, lavoro con un computer e il
telefono e devo inventarmi degli impegni per riempire il grosso della mia
giornata!
Se l’idea di guadagnare 1000, 2000 o 5000 euro alla settimana ti suona
poco credibile allora è perché ancora non hai inquadrato le cose nella giusta
prospettiva. La vendita su Amazon è un business scalabile e ripetibile.
Scalabile perché non esistono vincoli di luogo né di tempo. Pensa a un
negozio: vende nel suo quartiere, paga un affitto, ha dei costi di gestione,
ogni mattina va aperto fino alla solita ora alla sera. Pensa ad Amazon:
aperto 24 ore su 24, lavora sempre senza supervisione. I magazzini e le
spedizioni non sono un problema tuo, ma soprattutto vende in tutto il
mondo. Inizi a vendere gli smartwatch in Italia dopodiché ti espandi in
Inghilterra, poi in Francia, Spagna e così via. Potenzialmente non hai limiti
geografici, tutto il mondo è il tuo mercato!
La forza dei venditori FBA è quella di Amazon: traffico, logistica, visibilità,
pubblicità, conversioni. Questi sono solo alcuni dei benefici che si hanno
quando ci si appoggia ad Amazon.
Questo amplia le tue possibilità in maniera che un negozio tradizionale non
può neppure sognare. Vendere di più, vendere meglio, vendere ovunque.
Detto questo, abbiamo finora parlato dello smartwatch, tuttavia non è detto
che un domani io non possa decidere di vendere un secondo, un terzo
prodotto. Amazon non pone limiti sul numero di prodotti vendibili sul suo
marketplace. Una volta che hai strutturato e automatizzato la vendita di un
primo prodotto puoi, anzi devi, dedicarti completamente al secondo e così
via.
Attenzione però: ampliare la propria offerta non vuol dire investire il
doppio o il triplo del tempo. Hai notato la parola “automatizzare”? Ecco,
è un termine chiave che ci serve a capire come Amazon FBA può
trasformarsi da lavoro a forma di investimento.

7.9 LA VIA DELLA SETA 3.0


Ricordate la mitica Via della seta di cui parlava Marco Polo nel Milione?
Quella misteriosa via commerciale che tagliava l’Asia e le sue terre
esotiche, ammantate dal mistero per la gente dell’epoca. Chiunque
sopravviveva al viaggio attraverso i deserti e le praterie poteva tornare in
patria 10, 100 volte più ricco. Mi ha sempre affascinato l’idea di questa
avventura attraverso paesi pericolosi e sconosciuti.
Oggi le cose sono cambiate, ma l’analogia tra il Catai e l’odierna Cina non
sono completamente infondate. Creare la propria Via della seta attraverso
Amazon è possibile, anche senza doversi recare direttamente in Cina.
Quello che è importante è riuscire a stabilire dei rapporti fissi con venditori
affidabili. Amazon infatti è una via di mezzo tra mestiere e investimento.
Scalare il proprio business significa riuscire ad automatizzare ed espandere
le proprie attività in modo da usare il proprio tempo in maniera diversa.
Bisogna sfuggire al meccanismo proporzionale che il lavoro classico ci
ha insegnato e mettersi nell’ottica di un business che ha ritmi di
crescita esponenziali. È questa l’essenza delle “rendite passive. Quando
lavoravo dodici, sedici ore al giorno guadagnavo bene perché ero sempre
impegnato. Il mio guadagno cresceva in proporzione ai miei impegni: se
apro un altro locale guadagnerò di più ma dovrò anche lavorare di più per
gestirlo. Chiaro?
Ora immagina di avere un robot, una macchina che svolge il lavoro al posto
tuo, ecco, quella macchina è Amazon. Certo, sei ancora tu che controlli il
business e non puoi assolutamente trascurarlo, tuttavia una volta avviato tu
sei libero di gestire il resto del tempo per altre attività mentre lui lavora al
posto tuo.
È questa caratteristica che trasforma il mestiere in investimento. Investire
un euro su Amazon con un margine del 50% significa raddoppiare il denaro
speso nel giro di un mese.
Amazon è un business a struttura esponenziale, da una parte
l’investimento di tempo si riduce, mentre dall’altro il guadagno
aumenta. Ovviamente solo se la strategia con la quale si avvia il
business è stata pianificata correttamente.

7.10 QUANTO TEMPO SERVE PER INIZIARE A


GUADAGNARE?
Questa è una domanda che mi rivolgono spesso, soprattutto perché la parola
investimento è spesso associata a lunghi tempi d’attesa. Questo mi riporta
alla mente uno dei problemi più sottovalutati e contemporaneamente più
importanti del sistema: tu. Spesso mi sono trovato di fronte persone molto
motivate ma poco costanti e facilmente scoraggiabili. Difficilmente si
possiede confidenza o esperienza pregressa con questi sistemi. Non sono
cose che ti vengono insegnate né a scuola né all’università. Potresti esserci
dentro fino ai gomiti da più di un anno e continuare a trovarti di fronte a
problemi nuovi. Oltre al mio corso, io ho creato, proprio per tutti i venditori
italiani, il sito servizivenditoriamazon.com. Basta dare un’occhiata al menù
della pagina iniziale per scoprire alcune di quelle che sono le problematiche
che si incontrano durante la strutturazione del proprio business. Se non sei
pronto ad andare fino in fondo, a trasformare ognuna di quelle voci in uno
schema problema-soluzione, allora avrai davvero tante difficoltà.
Imparare il funzionamento di una delle piattaforme e-commerce più
all’avanguardia del pianeta non è facile: il mio stesso corso, che cerca di
essere il più completo e veloce possibile, dura novanta giorni. È un
processo di apprendimento dinamico e continuo, che insegue tendenze
nuove, affronta i continui cambiamenti delle politiche commerciali, trova
soluzioni ai problemi tramite il confronto tra venditori ed esperti.
Aprire un business online ha tempi abbastanza lunghi, non c’è scappatoia.
Se entri nel giro prima di essere pronto, il tuo primo investimento potrebbe
anche essere l’ultimo. Serve una certa disciplina mentale, bisogna saper
affrontare il rischio con filosofia. Questa barriera d’ingresso è un’altra delle
ragioni per cui ci sono ancora così pochi venditori nel business.
Diciamocelo pure: in Italia la propensione al rischio è bassa, bassissima. Il
rischio non è solo quantificabile in denaro, è anche tempo perduto,
delusione. Io mi ritengo fortunato perché con il rischio ci sono sempre
andato a nozze e se ora dovessi guardarmi indietro, non vedo assolutamente
nulla che non rifarei. Non te l’ho ancora detto, ma “Vida” non è il mio vero
cognome, è il soprannome datomi dai miei amici quando ho smesso di
ammazzarmi di lavoro e ho deciso di riprendermi la mia vita. Ho iniziato a
viaggiare, a godermi il mio tempo libero, a sperimentare, a provare. “Tota
Vida” mi dicevano, un po’ per scherzo un po’ per invidia, perché dall’essere
sempre assente, sempre sommerso d’impegni, sono diventato libero di
muovermi e di fare quello che voglio, al punto che la mia vita sembra una
continua vacanza intervallata dal lavoro e non viceversa. Questo
soprannome è diventato la mia medaglia, primo perché è vero, secondo
perché è la dimostrazione che tutto è possibile se una persona è pronta a
investirci testa e cuore. Sembrerà pure una frase fatta, ma se non fosse
veramente così, adesso non sarei libero di girare il mondo e non sarei
diventato un punto di riferimento per centinaia di persone che hanno
scoperto il loro successo tramite Amazon. Per avviare questo business serve
insomma tempo, un po’ di denaro e tanta testa. Non può essere altrimenti e
sappiamo tutti che nessuno ti regalerà dei soldi, ma dovrai sudarteli.
Per concludere, Amazon è l’investimento del futuro per diventare
imprenditori e investitori digitali. Questa è la mia storia personale ma
anche la storia di tante persone che mi hanno seguito e che mi hanno dato
fiducia.
Basta andare su Youtube e ascoltare la testimonianza di Luca, che ha
iniziato a lavorare con FBA nel 2018 e che ora sostiene felicemente che
“solo chi ha tempo libero si può considerare una persona ricca”, oppure la
storia di Fulvio, che si diede l’obiettivo di sfrecciare con una Ferrari per le
strade di Dubai e che finalmente c’è riuscito. Queste sono solo alcuni dei
resoconti, tutti unici, di persone che hanno cambiato modo di lavorare per
cambiare modo di vivere.
Qual è il tuo sogno? Cosa vuoi? Preferisci viaggiare? Ami gli sport estremi?
Oppure vorresti vivere in qualche posto distante e meraviglioso? Questi
sono obiettivi che dovrebbero avere più importanza rispetto al lavoro che,
in fondo, è solo uno strumento per raggiungerli.
Amazon ha cambiato la mia vita e, chissà, domani potrebbe trasformare
anche la tua.

Il 23 luglio, mentre questo libro sta per andare in stampa, chiamo Maxx, un
po’ cotto ma entusiasta.
“Maxx”.
“Ciao Antonio, cosa succede di nuovo a Dubai?”.
“Ho chiuso il lancio del servizio che ho chiamato Vida B2B e che spiega
come vendere in modo competitivo prodotti di grandi marchi su Amazon
FBA con profitto”.
“Ho seguito la vicenda qua e là sui social, come è andata?”.
“Ho fatto il record europeo, 1.040.000 dollari di incasso”.
“Mitico! Questo è fare ‘business online’, socio. Possiamo applicare lo
stesso metodo di marketing per le nostre startup?”.
“Certo Maxx”.
8. A CENA CON MAXX E VIDA

Caldo, secco per fortuna. Le serate estive sono traditrici, sai che farà fresco,
ma sicuramente non all’inizio. Il passo veloce non aiuta e, nonostante il sole
sia ormai basso, l’asfalto sfrigolante lancia ancora vampate di calore dopo i
40 gradi che ha fatto in giornata. Antonio mi ha rassicurato dicendomi che è
solo una questione di abitudine, ma questo al momento mi è di poco
conforto e non mi impedisce di credere fermamente che il maglioncino che
indosso stia complottando assieme alla camicia per strangolarmi.
La ragione per cui ho già indossato il golf è dovuta all’aria condizionata.
Qui è un continuo caldo-freddo, freddo-caldo. Gli abitanti sono abituati ad
approfittare al massimo dei potentissimi condizionatori che si trovano sparsi
a profusione per tutta la città, automobili comprese. Per me, che sono
arrivato da appena tre giorni, l’atmosfera manipolata rappresenta ancora un
fattore di rischio, meglio prevenire prima di salire su un taxi.
Finalmente trovo il ristorante, è più vicino di quanto pensassi. In una via dal
nome che non riesco a pronunciare, vicino alle spiagge, tra le strade
costeggiate di palme, si trova la magnifica entrata del Borro, un famoso
ristorante toscano ubicato a 4000 chilometri dalla sua terra d’origine, nella
New York d’Arabia, ma ancora rigorosamente gestito da italiani. Qui ci
siamo dati appuntamento per le 20 io e Antonio Vida; è una delle zone più
suggestive della città.
Il vialetto d’ingresso è ordinato e costeggiato dai tavoli alti dove la gente si
ritrova per un aperitivo veloce. Sbircio attraverso le vetrate ma non riesco a
vedere Antonio. In compenso faccio una panoramica di tutto il locale: è
bellissimo, essenziale nel design e con grande cura per i materiali. Ha un
aspetto accogliente e moderno e un’atmosfera calda e invitante. Riconosco
subito lo stile e come mi aspettavo rispecchia appieno il carattere della città.
Durante i miei viaggi precedenti a Dubai non ci avevo dato molto peso. Le
prime volte mi ricordava una grande città della West Coast statunitense:
moderna, calda e cosmopolita. Ci ho messo un po’ prima di apprezzare il
suo carattere unico e irripetibile. Quella di Dubai è una ricchezza molto
sobria, fatta di qualità più che di quantità. Non è tanto la sua magnificenza a
colpire, che comunque rimane notevole con i suoi grandi spazi e gli
imponenti grattacieli, ma la cura, l’attenzione per il dettaglio, la scelta del
materiale, della forma pulita e armonica, il suo ordine e la sua spaziosità al
di sopra del lusso eccessivo e soffocante. È un equilibrio particolare, che
trasmette una sensazione di essenzialità e di serenità. Anche il ristorante,
ovviamente, dà subito una piacevolissima impressione. Così entro e subito
un cameriere si avvicina sorridendo, ordinato nella sua divisa beige, e mi
chiede in perfetto inglese come può aiutarmi.
“Ho un tavolo prenotato a nome Vida per le 20, grazie”.
“Ah! Certamente, prego mi segua”.
Vida mi aspetta, è già seduto, sorridente e impeccabile. Indossa vestiti
casual, una camicia bianca e una giacca leggera blu scuro.
Ha un aspetto elegante e sportivo al tempo stesso, reso più gioviale dal suo
colorito energico.
Si alza e mi viene incontro a mano tesa. “Come stai? Ho preso uno dei posti
migliori, così stiamo al fresco, ma se preferisci stare dentro...”.
“Il tavolo va benissimo, così possiamo goderci il panorama”.
Il patio si affaccia su una piccola laguna artificiale di acqua cristallina che
trasmette una pace molto zen. I raggi del sole che tramonta colorano le
sottili increspature nell’acqua con lampi gialli, rossi e contrasti blu scuro,
quasi nero.
Mentre ci accomodiamo mi perdo un attimo nell’atmosfera piacevole della
serata e della brezza del tramonto. Finalmente è arrivato il momento anche
per due irrimediabili giramondo come noi di fermarsi un secondo a
respirare.
“Era da un po’ che mi consigliavano questo locale” esordisce Antonio. “C’è
una vista spettacolare e il cibo e buonissimo, mi hanno detto, e io ho
pensato: appena riesco ad acchiappare Maxx ce lo porto”.
Sorrido. “Ci siamo finalmente. Tra Turchia, Messico e Milano forse questa
è davvero la prima volta che riesco a fermarmi un attimo”.
Non sto scherzando, i miei viaggi iniziano sempre come vacanze tranquille
e si rivelano sempre esperienze molto intense.
Inoltre, saltellare da un posto all’altro del globo ha lo sconveniente aspetto
di rendere complicato vedere i vecchi amici. Per questo ora sono contento, e
per qualche giorno posso dedicarmi a passare un po’ di tempo con le
vecchie conoscenze.

8.1 ORE 20:30


“Quindi cosa ne pensi della città?” mi sfida Antonio.
Sono già stato a Dubai. La prima volta la città mi piacque ma non mi
impressionò particolarmente, ero già stato in posti che reputavo simili. Ma
lui sa benissimo che non esiste un posto come questo sulla terra e così
aspetta il momento in cui getterò la spugna per ammettere che aveva
ragione. La sua tenacia è divertente e anche ben riposta.
“Va bene, avevi ragione tu, è davvero un altro mondo”.
Lui fissa un attimo la laguna e poi mi guarda con un sorriso beffardo: “lo
sapevo che alla fine ti sarebbe piaciuta. Non puoi non innamorarti di questo
posto. Ci sono tre cose che devi sapere di questa città”. Solleva tre dita. “La
prima è che è una città totalmente nuova. È stata costruita sul petrolio ma
poi è diventata la nuova America, la terra delle opportunità. Dove ti giri c’è
qualcosa di nuovo, qualcosa di fresco ed emozionante, non ci sono altri
posti così. Se non fosse stata così non esisterebbe proprio”.
Recupero nella mia memoria le immagini famose della città degli anni
cinquanta: tre grattacieli, una strada e chilometri di deserto tutto intorno.
Sono immagini molto famose e Antonio ha ragione, non tiri su una
metropoli tanto per, c’è uno scopo dietro.
“Secondo, qui si vuole fare la storia, qui si vuole creare una città modello. È
tutto guidato da un piano urbanistico di prima classe. È qui che gli Emirati
Arabi Uniti vogliono fare la New York del Medio Oriente, anzi che dico,
una città persino più bella, più pulita, più grande di New York”.
Fa una pausa e volge uno sguardo verso il locale: “Qui la qualità della vita è
impareggiabile, siamo in una delle città più felici del mondo. Puoi lavorare,
puoi mettere su famiglia, puoi mandare i figli a scuola, puoi prendere casa”.
Ci portano il vino, una bottiglia di bianco, non ricordo il nome perché ho
lasciato che scegliesse lui. Nel frattempo il sole è calato dietro i palazzi e le
lanterne e le luminarie del patio si sono accese, la luce si fa di un colore
giallo arancio. Si respira a pieni polmoni un’atmosfera estiva e tranquilla, la
zona si anima di gente in cerca di un ristorante o di un locale dove
trascorrere la serata.
Ringraziato il cameriere, Antonio mi guarda e mi chiede se fossi già stato al
souk come mi aveva suggerito.
“Non ancora. Ho visitato il vecchio forte, bellissimo, ma non ho avuto
tempo per andare al mercato delle spezie. Pensavo di andarci subito domani
o dopodomani. Mi hanno detto che è spettacolare”.
“Sì lo è. Questo è il terzo punto. La cultura araba è un mondo millenario.
Qui c’è il passato che vive a stretto contatto con il presente. Sei su una
strada, svolti e ti ritrovi in mezzo a vicoli stretti con muri alti che sembrano
dei castelli fatti con la sabbia, con tutti i giardini, le scalinate e questa
architettura unica. Vai ad Al Fahidi (un quartiere storico della città) e vedi
che ti ci perdi. È bello, è davvero caratteristico”. Gli brillano gli occhi
mentre parla.
Rifletto un po’ su quello che mi sta raccontando. È la passione che ci mette
che mi incuriosisce.
“Sembra che tu abbia trovato il tuo posto ideale. Hai intenzione di accasarti
per caso?”. Mi viene da scherzare, per sdrammatizzare un po’, ma sono
curioso anche di sapere se c’è altro. Sapevo che Antonio aveva dei progetti,
ne avevamo già parlato, questa volta però sembra più determinato.
Risponde rilassato: “Ah, accasarmi non ancora. Però sai che ho parlato con
Abbiati?”.
Annuisco. “Sì, lo conosco, quell’imprenditore che si è fatto da solo,
giusto?”. È una domanda retorica, lo conosco bene. È un imprenditore old
school, giacca e cravatta. Un asso dell’immobiliare che è partito dal nulla e
che ora ha collezionato dei bei successi qui a Dubai.
“Proprio lui” conferma. “Qui è terreno fertile per l’edilizia, si parla di grossi
affari, è una vera gara perché comprare deserto costa poco e affittare
appartamenti di lusso rende tanto, non a caso Preatoni sta raccogliendo
nuovi finanziamenti per costruire un altro dei suoi grattacieli. E lui è solo
un esempio, però lo sai… qui lui ha fatto il miracolo, ora lo facciamo noi”.
“E se non ho capito male, gli investitori internazionali ora si stanno
incuriosendo al crowdfunding, corretto?” intervengo.
“Sì. Sanno lavorare molto bene, ma non hanno contatti con i piccoli
investitori, non sanno come rivolgersi al pubblico al di fuori delle banche e
dei grossi privati. È per questo che gli serviamo noi. È questo il progetto
che mi toglie il sonno. Poi, per carità, continuo con i miei viaggi in Cina,
con Vincere su Amazon, quello è il mondo che ha fatto di me quello che
sono, è quello che amo fare. Però non riesco a non pensare a questa
impresa. Possiamo veramente spezzare le ginocchia ai monopolisti, che
sono gli unici che stanno facendo milioni qui a Dubai”.
Il discorso viene interrotto quando arrivano le pietanze. Antonio ha ordinato
della pasta fresca condita con frutti di mare e mezzo astice, io ho preferito
della carne, una tagliata di manzo ben cotta ma ancora rosea al centro,
servita su un vassoio di ardesia con alcune erbe profumate. La carne ha una
consistenza perfetta e si scioglie in bocca.
Tra un boccone e l’altro il discorso devia sui nostri viaggi recenti e
recentissimi. Lui mi racconta delle Maldive, di Bali e di Kiev.
Me lo immagino Antonio a Kiev, lui allergico com’è al freddo. Però non si
lamenta, era uno sfizio che desiderava togliersi da un po’.
“Anch’io sono contento di essermi tolto un po’ di soddisfazioni. Finalmente
ce l’ho fatta a girarmi l’America del Sud, come avevo programmato. Anzi
fin troppo”.
Restare bloccati in casa durante la pandemia è meno difficile quando ti trovi
in una villetta nella Repubblica Dominicana. Gli faccio vedere le immagini
del posto, perché c’era un meraviglioso albero centenario, una pianta
maestosa e una bella piscina, proprio nel centro del cortile.
“Dimmi che ti sei tuffato in piscina dal secondo piano...”.
“Guarda Antonio, se l’avessi fatto mi sa che oggi non sarei qua”.
La cena prosegue in maniera leggera e nel frattempo il locale si riempie.
Parte anche un sottofondo jazz che non intralcia la conversazione, anzi
rende l’atmosfera più ovattata e rilassante.

8.2 ORE 21:30


Dato che per noi il lavoro è un qualcosa di dinamico, il limite che lo separa
dal tempo libero si assottiglia. Il discorso viaggi capitola sempre a favore di
qualche concorso, di qualche video girato durante i nostri tour in giro per il
mondo.
Parliamo un po’ anche della Business Galaxxy, il nostro vero e proprio
quartier generale e punto d’incontro. Gli ultimi affari che ho gestito
attraverso la nostra società sono andati piuttosto bene, a dimostrazione che
il mondo delle startup sta iniziando a fiorire.
“Ora che le attività iniziano a camminare con le proprie gambe riesco a
seguire meglio la squadra”. Mi riferisco al mio team di trader, la prima tra
le mie attività finanziarie nonché una delle più importanti.
Antonio annuisce e si versa ancora un po’ di vino. “Sì, ho visto alcune delle
tue dirette. Hai una bella fan base che ti segue, ho provato anch’io, ma il
trading non è il mio mondo. Lo mastico ma non fa per me”.
“Sai Antonio, la parte più difficile non è capire i meccanismi che stanno
dietro, ma essere sempre aggiornati, seguire costantemente la cronaca
finanziaria, saper tradurre la realtà in comportamenti finanziari… per fare
trading devi essere psicologo, altro che economista”.
Lui mi guarda e sorride. “E tu sei uno psicologo?”.
“Il giusto” ribatto io, “ma la cosa più difficile è essere sempre sul pezzo, per
questo ho il mio team che mi aiuta. Da solo farei fatica, non oso
immaginare chi lo fa per hobby o chi ha altri impegni da seguire, è
praticamente un lavoro full-time”.
“Infatti, non credo che sia un business profittevole per gli investitori
occasionali” interviene lui.
“Può esserlo, come al solito dipende molto dalla qualità delle tue intuizioni,
ma in generale hai ragione”.
Noto con piacere che ha colto lo spirito “avventuriero” di questo mondo. È
pura selezione naturale, dove sopravvivono i più forti.
Le opzioni di “trading facile” sono solo un buon punto di partenza, ma è
ovvio che nel “facile” non può esserci profitto.
“È un po’ sempre la stessa storia” ammette Antonio, “ogni gioco ha le sue
regole, senza dedizione non si va lontano”.
Mi fermo un attimo a riflettere. “Ti ho mai parlato del mio progetto con i
certificati?”.
“Mi avevi accennato qualcosa, ma non ti eri dilungato”.
“Hai tempi era una cosa molto in forse. Adesso finalmente si sta
smuovendo qualcosa, a breve dovrebbe iniziare a prendere forma.
Se otterremo, anzi, quando otterremo l’autorizzazione inizieremo davvero a
tradare con i top player”.
Per una squadra di trader il certificato è un vero salto di qualità.
I certificati sono uno strumento finanziario molto complesso, inadatto ai
principianti. Ottenere la possibilità di aprire un proprio certificato significa
offrire la propria operatività ai grandi investitori istituzionali. È la prova del
nove per un trader, la garanzia che c’è qualcuno pronto a credere e investire
nella tua strategia.
“Sei pronto a metterti in gara?” chiede Antonio.
“Nato pronto”. Il mio sistema di trading non cambierà, cambierà
l’approccio dei miei futuri investitori che potranno acquistare i titoli di
questi certificati, dei veri e propri prodotti finanziari destinati a uso
esclusivo delle banche, dei fondi d’investimento, siamo pronti a cambiare
marcia”. Non saremo soli in questo percorso. Al nostro fianco società di
investimento autorizzate, asset manager e chi più ne ha più ne metta.
“Ma sì, lo fai da vent’anni, vedrai che andrà bene” conclude Antonio con il
suo inguaribile ottimismo.
“È una prospettiva estremamente importante per me. Un guanto di sfida da
lanciare alle grandi istituzioni del mercato. Torno con i piedi per terra.
“Prendiamo un dolce”.

8.3 ORE 22:15


Arriva il vino assieme al dessert. Non sono un esperto di dolci, per cui
ripiego sul tiramisù, ottimo, mentre Antonio si lancia su un tortino al
cioccolato davvero elaborato, con una pallina di gelato alla vaniglia
appollaiata sulla sommità e una ricca decorazione di granella di biscotto,
cioccolato e caramello.
Soddisfatti entrambi. Davvero una “figata” di ristorante, dalla
presentazione, all’atmosfera, al cibo ovviamente.
Il sole è sceso da un po’ oltre l’orizzonte per cui si sono accese le luci dei
locali e della notte. La gente esce numerosa per approfittare del clima
gradevole e dell’aria fresca.
Il panorama è suggestivo. I grattacieli illuminati svettano oltre i palazzi e
tagliano il cielo nero. Non si vedono le stelle purtroppo.
“Se le vuoi vedere davvero devi andare nel deserto” spiega Antonio.
“Vediamo quello che riuscirò a fare. Ho un’agenda così piena di posti da
visitare. Dovevo essere più previdente e fermarmi di più”.
“Guarda” mi interrompe lui. “La prima volta che sono venuto a Dubai ho
detto: mi serviranno almeno tre settimane per girarmela tutta”. Fa una pausa
e solleva lo sguardo, mentre si concentra sui ricordi.
“Beh mi sbagliavo” continua, “c’è voluto un mese e mezzo. Finivo di fare
una cosa e ne trovavo altre due che mi interessavano. Tu mi conosci, se
devo stare una settimana mi fermo una settimana. Se me ne servono quattro,
non c’è problema, mi fermo un mese”.
“E poi alla fine hai pensato bene di fermarti e basta. Comunque sì, tu hai
una meravigliosa visione del tempo” rido io.
Lui si ferma di nuovo a pensare, come se stesse costruendo nella sua mente
un discorso molto serio. “Ma sì. Alla fine il tempo è una delle risorse più
importanti che abbiamo. Va bene, è scontato da dire. Ogni cosa ha la sua
giusta durata, la sua durata naturale. Fare le cose in fretta vuol dire farle
male, non godersele. Rimandare l’inevitabile è pure peggio. Io ho questa
visione personale del mio tempo. Le cose devono durare quanto è giusto, né
più né meno. Io, per dire, neppure la uso la sveglia. Mi alzo quando è
naturale, non vale la pena dormire mezz’ora in meno per poi essere stanco
tutta la mattina. Al contrario, quando ho un compito da affrontare lo faccio
subito e bene, così il resto della giornata è mio”.
Io, al contrario, sono un fan della sveglia. Però conosco Antonio, ha ragione
perché è riuscito a trovare un equilibrio perfetto per ottenere il massimo.
“Io cerco di trarre il meglio da ogni giornata. È una scelta mia, se, per
esempio, domani mi mettessi in testa di farmi una famiglia, di prendermi un
anno per ritrovare me stesso, di farmi una vacanza senza vincoli, nessuno
me lo potrebbe impedire. Non devo rendere conto a nessuno. Però
attenzione, ho lavorato doppio per arrivare dove sono, mentre gli altri
festeggiavano io stavo chino sulla scrivania.
E ora ho ottenuto la più grande libertà a cui avrei mai potuto aspirare”.
Passano due secondi di silenzio.
“Questo non risolve il mio problema sui posti da visitare” sdrammatizzo un
po’, si è lasciato trasportare.
“Già”. Ritorna gioviale, sereno e aggiunge, “beh, puoi sempre tornare
quando vuoi”.
Per un secondo il discorso si interrompe quando un pezzo di musica
classica inizia a suonare per errore. Un attimo dopo torna la colonna sonora
strombettante che ha accompagnato la serata.
Antonio guarda il cameriere. “Scusi, si può parlare con il disc jockey?”.
“E magari chiedergli di mettere qualcosa per noi giovani se possibile”
aggiungo mentre il cameriere si avvicina sorridendo.
“Ora sento cosa possiamo fare, nel frattempo, gradite altro?”.
Magari ancora un calice, perché no? Facciamo un altro brindisi alla fortuna.

8.4 ORE 23:00


Siamo usciti dal locale, vale la pena fare due passi, si sta bene e la
passeggiata offre uno splendido scenario. La costa è una lingua di luci che
fuggono perdendosi all’orizzonte e danno a tutto il panorama un aspetto
suggestivo e molto animato. Parliamo di posti visitati e da visitare. Antonio
è un inguaribile reporter, è il suo hobby, filmare, condividere. Mi consiglia
tanti di quei luoghi da vedere e di cose da fare che sembra che io debba
fermarmi per altri due mesi anziché due giorni. Visitare (di nuovo) il Burj
Khalifa, il vecchio forte di Dubai, il souk delle spezie e quello dell’oro,
andare nel deserto per un safari, provare il water jatpack, fare un giro in
barca. Ci sono cose affascinanti da vedere e “tamarrate” che sembrano
divertentissime.
“Sai, forse hai ragione, quasi quasi mi conviene tornare appena possibile.
Anzi, meglio non partire direttamente”.
“E chi te lo impedisce?” mi sfida sorridendo.
“Va bene, scherzi a parte, nessuno. Anche se ho già fissato degli impegni,
posso sempre gestire tutto dal computer. E poi mi conosci, non sono un
estimatore della città come te, io devo continuare a muovermi, finché non
ho visto veramente tutto il mondo. Poi magari mi faccio anch’io un
appartamento in città. Diventiamo vicini di casa”.
La butto in caciara e funziona, ci facciamo due risate immaginando la
convivenza surreale.
“Comunque il mondo è un posto magico” continuo, “quando vivevo a
Milano, pensavo fosse la città più bella del mondo. Poi mi sono trasferito in
Svizzera, poi in Bulgaria e finalmente mi sono reso conto di non aver capito
nulla. È una questione di prospettive, finché non metti il naso fuori di casa,
sei convinto di vivere nell’appartamento più bello del mondo, appena esci ti
rendi conto che non è così”.
Interviene Antonio, “il problema non è che la gente non esce fuori di casa,
il problema è che quando lo fa vive da turista. Gira, va, fa, tutto bellissimo.
Ma allora perché vive rassegnato, come se quel ‘bello’ debba essere vissuto
solo in vacanza”.
“Esatto! Bella Venezia, bella l’Olanda, bellissime le Bahamas, due
settimane all’anno però. Le altre cinquanta le passi a sognare Venezia e le
Bahamas. Ma perché dovrei mai decidere di vivere così? Ma anche se
pensassi che Milano è la città più bella del mondo, voglio viverci con tutta
la libertà di potermela godere come voglio o voglio stare lì a farmi dire
quale posto posso o non posso permettermi di frequentare, quale deve
essere la mia cerchia sociale, il mio angolo di città?”.
Mi appoggio al corrimano che dà sul mare, oramai è completamente buio e
l’aria è quella tipica dei posti di mare: una brezza tiepida e salmastra.
Antonio rimane dritto e guarda la strada, il leggero traffico della sera.
Dopo un po’ si volge verso di me e dice: “È che noi siamo fatti per
muoverci a 360 gradi. In alto, in basso, a destra e a sinistra. Non
sopportiamo che ci diano una divisa. Ecco, tu ora sei questo, fai questo,
frequenti questi posti e queste persone. È una regola che tocca sia i ricchi
che i poveri”.
“Esatto. È come una matrioska. Ti costruisci il tuo mondo un pezzo alla
volta, come lo vuoi tu, un pezzo dentro l’altro. Però, l’errore imperdonabile
è che lo fai seguendo le regole dettate da altri. Un giorno ti fermi, lo guardi
e non riconosci veramente quello che volevi tu. Però la strada era quella
giusta, no? Allora realizzi che in realtà hai sempre preso le strade sicure,
quelle che battono già tutti. E dove ti hanno portato queste strade? Lì, dove
vanno tutti, non potrebbero fare altrimenti. Però nessuno di noi vuole quello
che vogliono tutti gli altri. È la trappola della libertà: hai infinite opzioni, la
cosa ti disorienta, hai paura di scegliere la strada sbagliata e così ti accodi
alla massa”.
“Ne ho viste di persone originali seguire la massa” commenta.
“Ma sì, non è neppure quello il problema. Insomma, non dobbiamo essere
tutti giocolieri, vagabondi, cantanti. Servono anche panettieri, impiegati e
dottori. Però, non riuscire davvero a dare quella virgola, quella frazione di
carattere, di indipendenza, di controllo, alla propria vita … È quello il vero
crimine, il prezzo che si paga per aver avuto paura”.
La serata oramai è giunta al termine. Ci salutiamo da buoni amici.
Ci siamo aperti, abbiamo parlato, ci siamo fatti quattro risate.
È stato piacevole. Prima di lasciarci mi viene in mente un’ultima cosa:
“Antonio, che ne dici di inserire questa storiella, questa cena, nel libro?
Raccontiamo un po’ di noi due, un dietro le quinte del nostro modo di
pensare”.
“Sai, stavo giusto pensando la stessa cosa”.
9. VIVERE DI TRADING COME MAXX MEREGHETTI

Se sei arrivato fin qui nella lettura di questo libro allora congratulazioni!
Scherzi a parte, è ora che io mi tolga la maschera e che ti riveli la storia del
mio successo. Se quando hai iniziato a leggere non mi conoscevi ancora,
forse non sai che io, Maxx, prima di diventare mentor e imprenditore, ho
cominciato dal trading, dal mondo del mercato finanziario.
Eh già, la mia storia inizia nel 1997, quando un giovane promettente decise
di muovere i primi passi nei mercati finanziari, finché arrivò il giorno che
decise di abbandonare il suo ultimo, monotono impiego per scommettere
anima e corpo nel mercato delle opzioni sui titoli americani.
Perseveranza. Ecco la parola chiave. Ho tenuto duro, ho pianto, ho sudato
sette camicie, ho studiato mentre i miei amici, i miei familiari, i miei
colleghi mi guardavano speranzosi che io recuperassi la ragion perduta per
riprendere con la vita che loro, con le migliori intenzioni, erano convinti
fosse quella giusta per me.
E ora eccomi qua, vent’anni dopo, 20.000 errori dopo, 2.000.000 di
transazioni dopo, a dimostrare che non ero io il matto, ma che erano loro ad
aver avuto paura di quello che non capivano.
Io il mercato l’ho capito. Ho radunato un team di top trader che come me lo
capiscono. Ho conosciuto centinaia di persone, di ogni età, istruzione,
livello sociale, che lo capiscono.
Tutto questo per rispondere alla domanda: “Di trading, si può veramente
vivere?”.
Sì, si può, io lo faccio: viaggio, costruisco il mio futuro, vivo i momenti più
belli della mia vita. Le opportunità che questo modello di business offre
sono illimitate. Ti sembrerà un’esagerazione, non lo è. Se non mi credi, non
ascoltare solo la mia opinione: vai su Youtube, su Facebook, leggi i
giornali, guarda i film, di materiale ce n’è fin troppo, alcuni ne parleranno
bene, altri ne parleranno male, ma non si può negare l’ovvio.
Non si può negare che centinaia, migliaia, milioni di persone di ogni parte
del mondo portano a casa un extra, guadagnano, vivono, grazie al trading
online.

9.1 PERCHÉ HO COMINCIATO DAL TRADING ONLINE?


Mettiamoci nei panni di un ragazzo giovane, con buona volontà ma senza
mezzi, senza la libertà di poter davvero investire, intraprendere un’attività
propria.
Mettiamoci nei panni di un ragazzo con un futuro monotono e fumoso di
fronte, ma carico di energie che necessitano di concretizzarsi in qualcosa, in
una visione, in una creazione propria che diventi un ponte per un futuro.
Aggiungiamo una gran voglia di libertà e di voler diventare indipendente, la
consapevolezza che molte delle cose che diamo per scontate, lavoro in
primis, non lo sono.
Facciamo un bel mix e tiriamo fuori un giovane e sconosciuto Maxx ai
tempi della sua quasi-carriera di tecnico della Vodafone.
Scelsi di provare col trading perché, a differenza di quello che credono
in molti, i mercati finanziari non sono ambienti ostili, al contrario.
Aprono le porte a chiunque, non ti giudicano per il tuo status o per i tuoi
soldi, tutti sono sottoposti alle stesse regole, tutti hanno le stesse
opportunità, tutti vincono e perdono in base al loro impegno e ai loro meriti,
punto.
Avevo quattro risparmi, la voglia di un lavoro indipendente e il bisogno di
sicurezze per il futuro. Esatto, parlo proprio di sicurezze, anche in uno dei
business apparentemente tra i più difficili e insicuri del pianeta, un business
dove alternare vittorie e sconfitte è naturale quanto il susseguirsi di alba e
tramonto.
E ne ho passati di momenti bui, complice l’inesperienza ho affrontato crisi
che “voi umani non potete neanche immaginare”, causate da alcuni errori di
calcolo dei quali non posso che incolpare me stesso. Ovviamente mi sono
rialzato e l‘ho fatto alla grande, ma se parlo di trading come di un business
sicuro lo dico perché mi è stato dimostrato e l’ho dimostrato. Ho continuato
a lavorare senza fermarmi anche durante le varie crisi. Mi sono scrollato di
dosso quella del 2007 e quella del 2020 senza timori per le mie attività.
Perché l’online segue regole differenti dall’offline. Si adatta meglio, si
muove veloce. Internet cresce sempre, non ristagna mai. Nel digitale non
hai mai le mani legate, non sei obbligato ad adeguarti a decisioni che non
sono le tue, com’è accaduto invece a chi ha perso il lavoro per colpa delle
crisi o per chi ha sofferto un importante calo del fatturato, magari durato
anni, trovandosi costretto a licenziare e a ridimensionare la propria impresa.
Il trading online fornisce uno strumento di lavoro impareggiabile.
Ho riassunto in cinque keyword i concetti chiave che forse ti renderanno
meglio l’idea del perché il trading può essere un business così vantaggioso.

9.2 LE CINQUE KEYWORD DEL TRADING


Come abbiamo già detto, un business digitale offre una molteplicità di
vantaggi che superano di gran lunga le potenzialità di un business offline.
Il trading, proprio per come è concepito, incarna molti di questi vantaggi.
Se credi che l’idea di una sfida come quella del trading potrebbe non darti
sufficienti motivi per lanciarti in una nuova impresa non preoccuparti,
vedrai che le mie cinque keyword, tutte dal risvolto molto pratico, ti
convinceranno.
Si tratta di motivi razionali, tangibili che spesso trascuriamo o
sottovalutiamo. Sono ragioni che ti mostrano come, oltre ai guadagni, ci
sono altri fattori critici da tenere in considerazione quando si è alla ricerca
dell’opportunità perfetta per realizzare la vita che vogliamo.

Flessibilità

Quanto è bello alzarsi alla stessa ora tutte le mattine? Pianificare le ferie?
Affrontare mezz’ora di traffico al giorno per recarsi sempre nello stesso
posto?
Questi sacrifici, che troppe persone reputano “essenziali”, fanno parte di
quella che oramai sta diventando la vecchia visione del lavoro. Quello che
tante persone, trader e non, hanno già dimostrato è che si può diventare
padroni del proprio tempo, che si può lavorare anche senza “andare al
lavoro”. Il trading è così, ti basta un computer e una connessione internet. I
mercati sono aperti quasi tutti i giorni, spesso a ogni ora.
Stabilità

Hai presente quando hai appena finito di fare un lavoro e sei soddisfatto, sei
pronto per mostrarlo o consegnarlo. Dopodiché arriva qualcuno, ti dice che
“le regole del gioco sono cambiate” e butta tutto a mare? Ecco, questo
succede continuamente. Perdita di tempo, di energie, spreco e basta. Nel
mondo le regole cambiano, che sia colpa di un nuovo boss o del mercato del
lavoro, quello che ieri andava bene oggi non va più. I mercati finanziari, al
contrario, si basano su delle regole che non possono assolutamente
cambiare. Cambiano i vincitori, cambiano i valori dei titoli, ma le regole
rimangono bene o male sempre le stesse. Se ciò non fosse vero
probabilmente i mercati farebbero fatica a rimanere aperti e invece eccoli lì,
in piedi da oltre cento anni, sempre sugli stessi binari.
La stabilità crea la prospettiva di una conoscenza sempre utile nel tempo, la
prospettiva di un business continuativo che non si interrompe neanche
durante le crisi più nere, che va avanti anche quando tutti devono restare
indietro. Chi definisce i mercati instabili, non sta parlando del loro
funzionamento, ma della volatilità, la capacità degli asset finanziari di
cambiare valore anche molto velocemente. Senza la volatilità sarebbe
tuttavia impossibile guadagnare sui mercati. La chiave sta nell’imparare a
usare la volatilità a proprio vantaggio.

Scalabilità

Un manager guadagna molto bene, ma lavora dodici ore al giorno e ha


anche delle responsabilità notevoli. Un impiegato lavora meno, guadagna
meno, ha meno responsabilità, ma deve fare più rinunce perché ha vincoli
maggiori legati al suo guadagno inferiore. La realtà mostra che in qualsiasi
lavoro ti viene assegnato uno stipendio, non puoi decidere tu quanto
guadagnare. Ma esiste un metodo per aumentare le proprie entrate senza
dover lavorare di più? Sì, esiste e consiste semplicemente nell’aumentare
l’intensità delle risorse investite per ogni unità di lavoro.
È come se ti dicessi che da domani puoi lavorare un’ora e produrre (e
guadagnare) come se ne avessi lavorate due, tre, quattro, tutte assieme.
Perché quando fai trading sei tu che decidi quanto intensamente vuoi
operare, in una sola transazione puoi decidere tu se aspirare a guadagnare
decine, centinaia o migliaia di euro, senza che il tempo di lavoro cambi. Se
la libertà ti permette di scegliere quando e dove lavorare, la scalabilità
ti permette di decidere quanto intensamente farlo e quanto
guadagnare. È pur vero che questa scalabilità è legata alla dimensione del
capitale. Ne abbiamo parlato nel capitolo 2, ricordi? Tuttavia, prosegui nella
lettura e scoprirai con che strumento arriverai a tradare anche grossi
capitali.

Accessibilità

Il trading, al pari di molti business digitali, è un mondo libero, senza


barriere. Puoi entrare, perdere tutto e uscire, ritornare, riprovare e
guadagnare, oppure decidere che non fa per te. Non importa, perché ciò che
conta è la tua idea, il tuo piano e il denaro che sei disposto a investire. Il
mondo del trading è un luogo puramente votato agli affari, tutto il resto è
tagliato fuori.
Quello che conta, insomma, sono i volumi di denaro, merci, titoli che
vengono scambiati e il profitto che ne può derivare. Ha senso, visto in
quest’ottica, lasciare che il maggior numero possibile di persone abbia
accesso alle piattaforme di trading online in modo da aumentare la
partecipazione e il volume di affari fatti. È facilissimo accedere, non c’è
limitazione di sesso, età, istruzione. Non è necessario neppure investire tanti
soldi per cominciare. Molte piattaforme di trading online permettono di
aprire un conto anche con appena 200 euro.

Passività

Il lavoro del trader è davvero difficile. Tuttavia esistono delle formule in


grado di renderlo quasi automatico. Non si parla di formule magiche, ma di
metodi, di strategie elaborati grazie alla statistica, all’esperienza, allo studio
dei mercati. Esistono tantissimi tipi di metodi e strategie, difficili da
applicare e da comprendere. Una volta superata questa sfida, tuttavia, il
processo diventa quasi automatico, i tuoi ingranaggi mentali scatteranno,
impareranno a riconoscere a colpo d’occhio quello che i grafici tentano di
suggerirti.
Quello che voglio farti capire è che, una volta superato lo scoglio
dell’apprendimento necessario per cominciare, il grosso del lavoro è svolto,
il resto si automatizza, diventa più passivo, come le rendite che ne derivano.
9.3 MA COS’È VERAMENTE IL TRADING?
Per molte persone il trading è un’attività ai limiti del soprannaturale,
avvolta da segreti, misteri, irta di pericoli. Nella semplice realtà, come ogni
cosa che ha diretto contatto con il denaro, prevede una certa dose di rischio
e servono competenze.
Tralasciando le varie assurdità hollywoodiane e le chiacchiere da bar: il
trading è un’attività piuttosto semplice alla base. Tradare, in pratica,
significa acquistare e vendere titoli che hanno valore economico, presente o
futuro, cercando di prevedere se il loro valore salirà o si ridurrà nel tempo.
Su questo mercato si possono scambiare una miriade di cose, io mi occupo
soprattutto di Forex.
Il Forex, se non lo conosci, è il mercato delle valute monetarie.
Tradare Forex significa comprare e vendere grosse quantità di valuta
prevedendo che il valore, in relazione a quello di un’altra moneta,
aumenti o diminuisca in un periodo di tempo che può essere di minuti o
mesi, a seconda del tipo di operazione.
L’idea è semplice ma l’attuazione è decisamente complessa.
Ogni minuto, ogni secondo, nel mondo vengono scambiate merci da un
angolo all’altro del pianeta. Queste merci vanno pagate e la richiesta di
moneta locale sale e scende a seconda del commercio, dell’economia, delle
manovre di politica monetaria e così via. Ogni minuto i valori delle monete
oscillano. Nulla è casuale, ma in molti trascurano le ragioni fondamentali
che si nascondono dietro queste oscillazioni e non capiscono quanto in
realtà esse siano prevedibili.
Tutte queste informazioni vanno a far parte di un’analisi globale dei fattori
che influenzano il mercato del Forex, sarà poi da questa analisi che si
ricaverà una strategia, un metodo, per prevedere come il mercato si
comporterà in futuro, che siano giorni, anni o minuti.
Il trader si muove all’interno di questo mondo, qui il grano si separa dalla
crusca, perché elaborare una strategia efficace è la cosa in assoluto più
importante all’interno di questo lavoro.
Il trading è metodo, il trading è strategia.
Non serve un master alla Stanford University, né un milione di dollari; la
cosa che separa i vincenti dai perdenti è la capacità di adattarsi, perseverare
e imparare.
9.4 ATTRAVERSO LE AVVERSITÀ...
Prima di lanciarmi nella mia One Million Challenge, prima di essere
invitato a meeting, prima di collaborare con i top trader europei, prima di
tutto questo, ero un giovane tecnico della Vodafone alla ricerca del suo
posto del mondo. Ho lasciato il mio posto di lavoro, sapevo cosa non
volevo, anche se non avevo ancora ben chiaro cosa desideravo.
Oltre alle aspettative di guadagno e di libertà c’era un grosso punto
interrogativo: “Da dove comincio?”.
Ai tempi già mi interessavo ai mercati, solo che le informazioni non erano
così tante come sono oggi. Erano gli ultimi anni del secolo scorso, prima
della bolla delle dot-com e del millennium bug.
Il computer era una sofisticata calcolatrice.
Oggi puoi trovare su Youtube migliaia di guide, consigli, tutorial, top 10,
worst 5 e via dicendo. Puoi trovare le mie live, sul mio canale, puoi trovare
le live degli altri membri del mio team di trader, un branco di squali del
trading.
Ma il giovane Maxx aveva buona volontà e non molto altro su cui puntare e
per questo, io come molti altri trader in erba, ho cominciato come
autodidatta.
Una scelta che non consiglierei al mio peggior nemico.
Quello che oggi puoi imparare in sei mesi, da autodidatta richiede anni di
pratica, tentativi ed errori; nessuno ti mette in guardia né ti bastona se stai
per fare un errore. Insomma, sei in balia di te stesso e delle tue intuizioni.
Le migliori lezioni le ho imparate sulla mia pelle proprio in questo periodo,
la consapevolezza delle mie capacità è arrivata con il tempo, un livido sopra
l’altro. Ne ho prese davvero tante a quei tempi e le perdite di denaro non
sono state davvero nulla paragonate alle piccole crepe che si formavano
nella fiducia in me stesso e nell’idea di aver fatto la scelta giusta.
Se mi volto indietro adesso a guardare il percorso che ho fatto e penso alla
vita che mi sono costruito, un tassello alla volta... beh, rifarei tutto da capo.
Si parte sempre umili, si sogna sempre in grande, questo è un consiglio da
amico.
E agli amici, tra l’altro, devo davvero molto, perché la solidità del mio
“regno imprenditoriale” la devo anche a loro.
9.5 … FINO ALLE STELLE
I miei amici sono anche i miei colleghi. La grande differenza, tuttavia, è che
gli amici della vita te li scegli, mentre nel mondo degli investimenti, del
trading, gli amici te li guadagni.
E sì. Amici e colleghi sono un risultato conseguito con il sudore della
fronte, mio e loro.
Perché quando arrivi in alto, quando esci dal coro, quando non sei più uno
tra tanti, allora inizi a guardarti attorno al tuo livello, anziché alla folla, e
vedi solo poche persone, quelle che come te hanno saputo salire quella scala
che è il successo, un gradino alla volta.
Fino a ora, in queste pagine, hai conosciuto Antonio Vida, ma non hai
ancora incontrato Arduino Schenato, Fabrizio Ferrero, Andrea Carosi e
Simone Putignano.
Questi sono i compagni d’avventura che mi assistono nel mondo del
trading, l’élite che guadagna nell’eden dei mercati finanziari.
Lavorare con loro, entrare a far parte di questa nuova, potente, ambiziosa
dimensione del lavoro, ha significato per me raggiungere uno dei miei
obiettivi oltre che essere una delle più grandi soddisfazioni ottenute.
Non siamo tutti uguali, ognuno di noi possiede dei punti di forza e talloni
d’Achille, ma proprio questa diversità è ciò che rende la squadra forte,
completa.
Oltre a loro, manca ancora un amico, il mio migliore amico, di cui ho
accennato all’inizio del libro: mio fratello Andrea Mereghetti.
Andrea e io non siamo solamente uniti da un legame di amicizia che dura
da una vita intera, ma anche da un legame professionale, che dà forza e
valore a entrambi.
Se io sono il volto e il braccio del trading, lui è la mente matematica.
Da quando lavora assieme a noi, Andrea ci sostiene svolgendo una galassia
intera di attività che danno forza e coesione al nostro lavoro.
Hai presente le piattaforme di trading? Hai mai visto quanti strumenti
complessi sono a tua disposizione una volta che cominci a tradare?
Ecco, ognuno di questi strumenti matematici è frutto di complesse formule
che se svolte a mente o su un pezzo di carta renderebbero l’attività
tremendamente lunga e complessa.
Fortunatamente, grazie all’intervento di persone come lui, tradare è più
facile se hai a disposizione strumenti di analisi automatica dei mercati.
Strumenti che tolgono pressione dalla tua materia grigia, così che tu possa
concentrarti su quello che conta davvero: tradare efficacemente!
Il contributo che questi strumenti, questi indicatori, apportano all’attività è
notevole. Quante persone sarebbero totalmente disorientate senza di loro?
Quanta fatica ci vorrebbe per operare senza sfruttare appieno queste
opportunità che ci vengono offerte dalle piattaforme digitali?
La conoscenza approfondita del funzionamento di questi strumenti è un
vero tesoro per chiunque sia interessato al trading, e fortunatamente io
posso vantare un vero esperto nella mia squadra.
Un esperto che si occupa anche di expert. Senza entrare nel dettaglio della
tecnologia degli expert advisor, Andrea segue lo sviluppo di questi
complessi algoritmi che, applicati a un’intelligenza artificiale, sono in grado
di tradare in maniera totalmente automatica. La programmazione, insomma,
è sempre stata la sua passione. È un lavoro apparentemente tecnico ma
incredibilmente creativo al lato pratico.
Andrea si dedica allo sviluppo di applicazioni, siti, codici, pagine web.
Comincia dalla parte amministrativa e arriva fino al nostro volto sul web, il
contributo di mio fratello è un fil rouge che attraversa tutta la Galaxxy.
Dove trovi il tempo per essere tutto ciò e al contempo anche uno dei miei
più fidati sostenitori, proprio non lo so. Ma è giusto che sappiate che se
siamo capaci di tanto è grazie al lavoro silenzioso di persone come Andrea
Mereghetti.
Che si parli di trading, startup, criptovalute, il suo contributo dà
completezza e coerenza alle attività mie e dei miei colleghi. Completezza e
vantaggio: la sua partecipazione non è solo importante per noi, ma anche
per tutti coloro che si affidano al nostro, al mio lavoro.

9.6 16 DICEMBRE 2019: L’INIZIO DELLA ONE MILLION


CHALLENGE
Quando ho cominciato a fare trading, nel lontano 1997, forse potevo
solamente sognare di arrivare a questo momento. Finalmente però, posso
parlarti del mio progetto personale, della mia nuova ambizione: aprire un
nuovo conto per fare trading online nel Forex con ben un milione di euro,
da mostrare a tutti!
Questa avventura è cominciata mentre ero in giro per il mondo, in
Colombia per la precisione.
L’idea dietro a questo progetto? Quella di testimoniare, di dimostrare in
maniera inequivocabile le mie qualità di trader. Un progetto destinato
tuttavia non a me stesso, ma a chi mi segue da tempo e alle new entry che
cercano qualcuno che gli faccia vedere come si fa trading sul serio. Io
conosco le mie qualità, non devo dimostrare nulla a me stesso, ma piuttosto
al pubblico che è alla ricerca di fatti e non di parole.
Perché purtroppo, mi duole dirlo, il mondo del Forex nel tempo è stato in
parte screditato da una valanga di trader improvvisati e da apprendisti
stregoni.
Questi “maghi Zurlì” della finanza hanno eletto proprio il Forex come uno
dei loro territori di caccia preferiti.
Perché proprio il Forex? Perché promette ottimi guadagni, perché è facile
entrare, perché servono davvero pochi soldi per iniziare.
Iniziare a tradare stock e futures appare subito a tutti essere una sfida
notevole, mentre il Forex dà la falsa impressione di essere più facile da
controllare, da padroneggiare.
Ovviamente è solo una falsa impressione, ovviamente l’idea che una
strategia da cinque minuti appresa su Youtube possa funzionare in maniera
affidabile è pura follia. Ma questi personaggi continuano imperterriti,
sfruttando due delle forze emotive più potenti: la pigrizia e l’avidità. Basta
fare un giro su Youtube per capire di cosa parlo, per imbattersi in facili
promesse: “Strategia semplice, dieci minuti, cinque minuti” e così via.
La cosa mi fa sorridere, in particolare quando ripenso alle mie dirette, alle
mie discussioni live sulle mie operazioni in questa nuova avventura da un
milione. I miei video live di trading durano anche un’ora intera, un’ora in
cui spiego quali sono i trucchi, i segreti, i segnali di trading e, soprattutto,
qual è la mentalità vincente per approcciarsi a questo mondo e lo faccio
mettendo “in mostra” il mio conto.
Dall’altra parte della barricata ci sono poi gli sconfitti, gli hater.
Loro sono quelli che forse hanno davvero esperienza sui mercati, una brutta
esperienza, e che faticano a mettere assieme le loro conoscenze per formare
una strategia vincente.
A sentir loro è tutto brutto, è tutto dolore, siamo tutti ciarlatani,
indipendentemente dal fatto che su internet possono trovare la prova
concreta dei miei successi, è tutto testimoniato. Ma anche se vai da loro con
una cassa stracolma di dobloni, loro diranno che sono falsi o sono presi in
prestito, pur di negare l’evidenza.
No, meglio lavorare dieci ore al giorno per portare a casa quattro spicci, per
loro tradare significa questo, dolore e penitenza.
Sfortunatamente, queste due categorie di soggetti fanno davvero tanto
baccano e finiscono per alterare l’immagine di un’attività finanziaria
difficile, ma estremamente affascinante e dall’immenso potenziale.
Io, per dimostrare di non appartenere a nessuna di queste, ho voluto
distinguermi dimostrando apertamente e in maniera trasparente come opero,
come le mie strategie funzionano e mi permettono di ottenere profitti
costanti.
Un esempio? Da quando ho cominciato con il mio account da un milione, e
mentre sto scrivendo questa pagina dalla Repubblica Dominicana, sono
passato da 1.000.000 a 1.169.000 euro in tre mesi esatti, grazie a una
operazione da 120.000 euro chiusa in appena quindici giorni, con un ritorno
d’investimento del 12%. Non ci credi? È tutto spiegato, mostrato, con tanto
di immagini, discussioni, grafici e numeri sui miei canali social.
E la sfida prosegue, domani chissà quali sono le possibilità, quali saranno
gli imprevisti.
Ora, fermati un secondo, prenditi un minuto e prova a immaginare quello di
cui sto parlando, prova a immaginare di essere un moderno Marco Polo alla
ricerca del suo milione, di aver trascorso quindici giorni di fuoco, fiamme e
gloria. Chiudi gli occhi e immagina di trovarti su una terrazza, il vento
soffia rinfrescando l’afosa giornata estiva, al tuo fianco un bicchiere mezzo
vuoto con ancora le tracce della condensa dei cubetti di ghiaccio. Sei da
solo e l’unico rumore che senti è il fruscio delle foglie e il richiamo distante
di qualche uccello. Di fronte a te c’è lo schermo del portatile. I numeri
sopra dimostrano che è stata una gran mattinata, che il tuo lavoro oggi è
finito. Chiudi pure lo schermo, perché adesso sei in pace con l’universo e il
resto del tempo ti appartiene.
Fatto? Bene, proseguiamo.
9.7 IL MIO SEGRETO? LAVORARE SMART!
Se i mercati finanziari sono come un mare, l’errore più comune che in molti
compiono è quello di gettarsi senza badare alle condizioni dell’acqua, della
marea e alla direzione della corrente.
Tentare di forzare il proprio ingresso, in mare come nelle transazioni,
significa sprecare forze col rischio di finire a nuotare controcorrente. Molti
trader giocano come se potessero controllare il mercato, non è così.
Esistono piuttosto numerosi segnali che ti indicano quando è il
momento di entrare, quando è il momento di uscire e quando è il
momento di cambiare strategia.
La parte difficile sta nel saper cogliere e interpretare i segnali che ti
vengono inviati dal mercato, per capire quando la corrente è a tuo favore.
Questa strategia, che io sintetizzo dei “quattro orologi”, è una mia tecnica e
serve a dimostrare che senza un metodo ben rodato, operare sui mercati
diventa come giocare d’azzardo.
E questa è solo la punta dell’iceberg, una strategia incompleta non ti
permetterebbe di entrare su tutti i mercati, mentre la mia ti consente di
guadagnare sul mercato rialzista, laterale, ribassista, ad alta volatilità, a
bassa volatilità.
Il core, il nucleo, di questa strategia sta nel creare una serie di meccanismi,
di campanelli, che ti permettono di cambiare posizione seguendo il flusso,
la marea, senza nuotare controcorrente, sfruttando insomma il mercato
maturo e il suo ritmo, ma soprattutto il flusso del denaro dei “pesci grossi”.
Da qui ne deriva una certa complessità di formule che, spacchettate,
risultano invece piuttosto semplici: smart in fondo significa anche questo.

9.8 L’OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO: L’INTERESSE


COMPOSTO
Se ti piace fare i calcoli allora sei già su un’ottima strada per fare trading.
Tuttavia, proprio perché ti piacciono i numeri, forse avrai notato che il mio
12% di guadagno netto si traduce in entrate importanti quando parti da una
cifra ingente.
Insomma, il 12% di 1000 euro sarebbero appena 120 euro, se li guadagni in
quindici giorni sono una miseria.
È un dubbio legittimo che però, allo stesso tempo, non tiene in
considerazione un fattore fondamentale: l’interesse composto.
Definito da Albert Einstein “l’ottava meraviglia del mondo”, l’interesse
composto non è una novità, ma come ogni cosa apparentemente semplice
viene troppo spesso messa da parte.
In pratica, rappresenta la crescita esponenziale del guadagno quando i
proventi vengono costantemente reinvestiti.
Facciamo un esempio. Richiamiamo i nostri due amici immaginari: Mario e
Luigi. Entrambi vogliono dedicarsi al trading partendo con un account da
5000 euro. Mario desidera portare a casa un po’ di denaro extra al mese per
arrotondare.
Luigi vuole trasformare il suo piccolo account in un potente strumento di
guadagno.
Dato che sono entrambi molto bravi a tradare, tra alti e bassi, riescono a
portare a casa un ricavo medio del 15% al mese, ma mentre Luigi investe
ogni profitto nella transazione seguente per sfruttare l’interesse composto,
Mario ritira tutti i suoi guadagni ogni mese.
A che punto saranno i nostri due trader dopo sei mesi di attività?
Supponendo che sia andato sempre tutto bene, è facile capire la situazione
di Mario. Ogni mese avrà portato a casa 750 euro, per un totale di 4500
euro di guadagno. Luigi invece? Luigi avrà guadagnato di più e avrà un
totale di 11.565 euro. La differenza di guadagno tra i due in sei mesi è di
soli 2065 euro. Fin qui, l’interesse composto non appare nulla di eccitante.
Ora proviamo a immaginare che proseguano con la loro strategia per altri
diciotto mesi. Mario, sempre al ritmo di 750 euro al mese, vedrà altri
13.500 euro aggiungersi ai 4500 già ritirati. I 5000 euro sul suo conto
saranno ancora là, quindi il bilancio totale di questa attività è passato dai
5000 di partenza a 23.000 euro, la differenza è il guadagno di Mario in
questi due anni.
E Luigi? Luigi ha accumulato la bellezza di 143.125 euro! Ha quasi
trentuplicato la somma iniziale in due anni, con un guadagno di oltre
138.000 euro, sei volte superiore a quello di Mario. Il 25esimo mese di
attività, Mario porterà a casa sempre 750 euro, Luigi quasi 25mila!
Ovviamente questo è un caso teorico, in cui tutto va sempre per il verso
giusto. Tradare sui mercati reali è decisamente più difficile, i risultati
potrebbero essere più incostanti, tuttavia il ragionamento rimane concreto.
Esistono poi altre storie, a cavallo tra verità e leggende metropolitane, ben
più impressionanti. Mi raccontarono quella della nonnina che comprò
cinque azioni classe A della Berkshire Hathaway, un’impresa appena
rilevata da un tale Warren Buffett, che invece di distribuire i dividendi ai
suoi azionisti, li reinvestiva direttamente all’interno dell’impresa.
Dimenticate dal mondo, quelle cinque azioni dal valore complessivo di
circa 100 dollari, rimasero cinquantaquattro lunghi anni in un cassetto, per
essere poi ritrovate degli eredi. Il valore nominale di una classe A della
Berkshire oggi, è di circa 300.000 dollari. 1,5 milioni di dollari, a fronte di
meno di 100 di investimento, una vera fortuna.
L’interesse composto è uno strumento incredibile, ma ha un limite:
pesa psicologicamente. Generalmente le persone non hanno confidenza
con le grandi cifre di denaro, la tentazione di ritirare i soldi dal conto è
davvero forte.
Reinvestire i guadagni significa mettere a rischio i propri profitti, il proprio
lavoro, con la paura di dover tornare punto e a capo.
Di conseguenza, spesso gli investitori preferiscono ritirare parte dei propri
proventi andando a limitare il potenziale dell’interesse composto.
Ma il segreto sta proprio nel fare l’esatto contrario di quello che fanno tutti.
La maggior parte delle paure non sono davvero fondate.
E ora prova ancora a immaginare se, anziché limitarci a fare trading solo
con il capitale iniziale, decidessimo di dopare il nostro portafoglio di
trading con altri 100 o 200 euro al mese, che a loro volta andranno ad
accelerare la crescita dell’interesse composto. Prova a prendere carta e
penna e a fare tu due conti. Qual è la tua proiezione nei prossimi due anni?
Che numero salta fuori?
Ovviamente, per sfruttare al massimo l’interesse composto devi poter fare
affidamento su una strategia solida che ti dia risultati costanti e non certo
aprire un conto di trading e fare operazioni alla rinfusa.
L’interesse composto non è solo uno strumento di guadagno, ma è il
mezzo con cui anche chi non possiede grandi capacità di investimento
può portarsi, con costanza, tempo e disciplina, al livello di chi invece
parte con grandi cifre da poter investire.
Da dove credi che io sia partito?
9.9 COME VINCERE NEL TRADING ONLINE
Tutto quello di cui abbiamo parlato fino a ora vale poco se non diventiamo
capaci per prima cosa di vincere sulle piattaforme di trading. Qui entriamo
nella parte dolorosa del discorso, quella in cui molti si scoraggiano.
Per ottenere i risultati di cui abbiamo parlato prima è fondamentale avere
una strategia che possa trasformare una scommessa in una mossa vincente.
Ho cercato per anni io stesso la chiave, il sistema per controbattere colpo su
colpo a ogni difficoltà, per poter trarre il massimo da ogni situazione, per
trasformare quella somma di grafici, variabili, informazioni in un codice.
Ma non volevo una strategia che mi permettesse di operare alle condizioni
del mercato, non mi bastava.
In vent’anni ho creato, un pezzo alla volta, un errore dopo l’altro, un codice,
che io chiamo con orgoglio Codice Maxx. È un metodo flessibile e
soggettivo, funziona perché è un metodo “umano”.
È un sistema pensato per operazioni brevi, precise, affilate come un
rasoio e che proprio per questa ragione, non può che essere composto
di poche semplici mosse, scelte soggettivamente per cavalcare la
corrente del mercato, sfruttando appieno la sua potenza e non per
cercare di forzare una posizione rischiosa.
Proprio a questa strategia devo tutto, è uno dei miei più grandi traguardi
raggiunti, tanto è vero che ci scommetto il mio nome e che lo mostro
apertamente in questa sfida che ho intrapreso contro me stesso per
raccontare, attraverso i miei video, che io do peso prima di tutto ai fatti, non
alle parole.

9.10 PERCHÉ DOVREI SCEGLIERE IL CODICE MAXX?


Questo è il nostro libro sugli investitori digitali e sugli investimenti digitali.
Finora ti abbiamo dato informazioni vere, utili; abbiamo solleticato la tua
immaginazione con tante possibilità create per profili di investiti differenti.
Ma su ognuno di questi argomenti si possono scrivere immensi manuali,
guide, decine di libri. Non è possibile affrontare nel dettaglio quello che è
veramente il trading, io te ne ho dato un assaggio.
Quando poserai questo libro toccherà a te lavorare sulle basi, approfondire
le possibilità che ti abbiamo illustrato. Io e Antonio siamo maestri
rispettivamente nel trading e nelle vendite su Amazon, ma non perché noi ci
siamo eletti come tali, ma perché lo abbiamo apertamente dimostrano con
una lunga e complicata carriera, perché abbiamo avuto la possibilità di
confrontarci con altri imprenditori affermati.
Il Codice Maxx è un qualcosa che ho creato per me, per le mie ambizioni e
per avere la possibilità di continuare a coltivare i miei progetti personali,
che si finanziano grazie al denaro che il trading è in grado di generare. L’ho
chiamato Codice perché descrive riga per riga il mio sapere e modella il
mio modo di operare sul mercato, la mia psicologia e il mio subconscio:
è un qualcosa che non era mai stato codificato in questo modo nel
mondo del trading.
Solo in un secondo momento i miei colleghi mi hanno fatto capire che non
solo questa mia strategia era interessante ed efficace, ma che poteva essere
insegnata, a professionisti e a chi ancora aveva poca esperienza, che poteva
adattarsi a persone diverse.
Da qui ho impiegato molto altro tempo per affinare il mio metodo, cosicché
potesse diventare materiale di studio per tutti.
Si tratta in fondo di un sistema umano, flessibile e libero. Come ho già
accennato, io ho messo il cuore e la faccia, prima, durante e dopo. Se
diventerai uno dei miei studenti, allora avremo modo di conoscerci
direttamente e io diventerò il tuo tutor personale.
Nel frattempo sono felice di aver condiviso con te questo racconto, che è
intimo e mi appartiene. Spero di averti regalato una scintilla di curiosità per
quello che per me e molti altri è un mondo complesso ma affascinante e
pieno di opportunità; creato su misura per le persone coraggiose,
indipendenti, che non vogliono abbandonare l’idea di poter vivere un giorno
i propri sogni.

CODICE MAXX. È UN METODO FLESSIBILE E SOGGETTIVO, FUNZIONA


PERCHÉ È UN METODO “UMANO”
10. OLTRE LA MONETA DIGITALE: LE CRIPTOVALUTE

Le criptovalute sono l’isteria del momento. C’è chi sostiene si tratti di una
bolla, chi investe miliardi, chi si crea la sua.
Che si creda o meno nel loro potenziale, il bitcoin per primo ha dimostrato
che esiste un mercato, che non si tratta di un progetto nato per puro piacere.
Le criptovalute sono state pensate per rispondere a un’esigenza: creare
una moneta libera e democratica, libera dai vincoli imposti da chi
controlla e stampa la moneta stessa.
Una valuta nuova e sicura, fuori dalle mani delle banche e dei governi, una
valuta capace di autogestirsi e di contare sull’appoggio di milioni di miners,
sparsi in ogni angolo del mondo, che la sostengono con il loro lavoro, ma
che non possono controllarla.
Criptovalute e blockchain sono i due argomenti caldi che inaugurano il
prossimo decennio degli investimenti, delle transazioni e della finanza
digitale.
Se il 2018 e il 2020 ci hanno mostrato che i punti deboli non mancano, con
crolli improvvisi, ma non imprevedibili, del valore di mercato, ci hanno
anche confermato che esiste comunque una volontà condivisa di portare
avanti questo progetto di finanza alternativa. Il numero delle criptovalute in
questi due anni è aumentato del 25% e continua a crescere ogni giorno.
Le implicazioni di un mondo governato dalla finanza digitale e dalla
blockchain sono immense, tuttavia proviamo a fare un passo indietro, per
capire prima di tutto perché le persone, gli investitori, i governi, sono così
interessati all’evoluzione di questo strumento digitale e quali sono le sue
potenzialità.

10.1 DAL DOBLONE D’ORO ALLA MONETA DIGITALE


La finanza degli ultimi centocinquant’anni è cambiata enormemente.
Quando a metà del 1800 gli inglesi si inventarono il “gold stardard”, il
sistema aureo, fu una rivoluzione ed ebbe una vita lunga: circa settant’anni.
Il resto del mondo seguì la sterlina a ruota.
L’idea era quella di vincolare la moneta dello Stato ai depositi d’oro
nazionali, per stabilizzarne il valore. Tutta la moneta era convertibile in oro
in un qualsiasi momento e questo garantiva la fiducia tra i cittadini e il loro
denaro. Ora che la moneta non aveva più un valore intrinseco,
rappresentava comunque il corrispettivo scambiabile, commerciabile,
dell’oro. La fiducia si appoggiava pur sempre al valore dell’oro.
Il sistema inaugurato dal gold standard rimase in vigore finché una serie di
batoste macroeconomiche, la guerra e la grande depressione, non portarono
di nuovo i governi al tavolo delle trattative.
Con gli accordi di Bretton Woods si spostò il valore di riferimento dalla
fiducia nell’oro a quella nelle istituzioni governative, che iniziarono così a
garantire il valore della moneta. In pratica, se prima ti fidavi della tua
moneta, perché sapevi che aveva un corrispettivo in oro, dopo Bretton
Woods ti dovevi fidare del valore della moneta in quanto veniva garantita
dal tuo governo che si impegnava a garantirne la stabilità.
Bretton Woods non ebbe vita lunga perché era troppo soffocante per il
dollaro e per le altre valute, i cui tassi fluttuavano tutti attorno al verdone
americano. Negli anni settanta, gli Stati Uniti guidati da Nixon uscirono da
questo sistema e gli altri seguirono a ruota, ma il sistema della “fiducia sulla
parola” rimase. Con l’evoluzione digitale degli ultimi decenni siamo passati
da un sistema cartaceo a un sistema finanziario che ruota attorno alla
moneta elettronica, gestita sempre e comunque da quegli “uomini di
mezzo” che misero le loro capacità finanziarie al servizio già al tempo di
Bretton Woods. Il modello di fiducia, pur rimanendo lo stesso, si è insomma
digitalizzato assieme ai nostri soldi.
Perché manteniamo questo sistema di fiducia? Perché ci serve che
qualcuno, l’intermediario, la banca, lo Stato, controlli la correttezza di ogni
operazione monetaria e finanziaria che viene svolta. Ogni operazione che
passa tramite carta di debito, carta di credito, bonifico, app, viene
processata dai server centrali e dal personale bancario. Loro ne autenticano
le credenziali e ne verificano la correttezza.
D’altro canto, se la moneta digitale si è trasformata in un codice
informatico, cosa ti impedirebbe di copiare questo codice 1000 volte? Di
creare moneta o di cancellarla da un momento all’altro? La banca, che sa
esattamente quanto denaro possiedi e che fa da tramite e da controllore ogni
volta che lo sposti dentro e fuori il tuo conto corrente.
L’intermediario, in un mondo in cui il denaro ha un valore
convenzionale, è essenziale per stabilire e mantenere il rapporto di
fiducia che costituisce il principio fondante dei mercati finanziari e
dell’economia.

10.2 L’INTERMEDIARIO NON SVOLGE SEMPRE BENE IL


SUO LAVORO
Tante volte si è messa in dubbio la capacità di un sistema controllato da
intermediari e centralizzato nel gestire correttamente le nostre finanze. Se il
99% delle volte “l’uomo di mezzo” fa bene il suo dovere, c’è sempre quella
volta dove il sistema vacilla e a farne le spese spesso sono i più deboli. Le
speculazioni del 2007 che diedero inizio alla crisi globale sono un perfetto
esempio per capire cosa può succedere quando troppo potere economico è
concentrato nelle mani di un sistema centralizzato.
Ma non è solo un discorso finanziario, c’è anche un problema di equità,
perché il sistema taglia fuori chi non può permettersi di avere, per esempio,
un conto corrente.
C’è un problema di tempi: bastano pochi minuti perché una mail faccia il
giro del mondo mentre servono giorni per spostare cifre di denaro. E non
solo giorni, ma anche soldi, perché ci sono tassi e commissioni da pagare
per usufruire del servizio.
C’è poi anche la questione della privacy, sempre messa in discussione dal
mercato dei big data e del marketing personalizzato.
E cosa dire di coloro che hanno avuto i propri conti correnti congelati dal
governo o dalle banche?
Insomma, affidando la nostra fiducia agli intermediari, implicitamente
gli abbiamo regalato un grande potere, derivato dal fatto che sono loro
ad avere in custodia il nostro denaro.
Se è vero che il potere è legato prima di tutto al denaro, allora quanto potere
abbiamo concesso al sistema centralizzato?

10.3 2009: LA NASCITA DI UN SISTEMA NUOVO


Per queste ragioni sono state cercate, per molto tempo, delle soluzioni
alternative che permettessero di avere un sistema che si potesse sostenere
autonomamente, senza bisogno dell’intervento di un organo centrale.
Nessuno degli stratagemmi proposti prima del 2009 sembrava riuscire a
risolvere il problema legato alla duplicazione della moneta: se nessuno
controlla la regolarità delle transazioni allora si cade nell’anarchia e in un
sistema anarchico non può esserci fiducia.
Per esempio, se io dovessi dare 100 euro al mio fioraio e al mio macellaio,
sarà bene che abbia abbastanza denaro e che non stia provando a rifilare la
stessa moneta a entrambi. In un sistema con moneta cartacea è impossibile
che ciò accada, perché l’operazione non può avvenire nello stesso momento
e io devo fisicamente consegnare la banconota in mano alla persona. In un
sistema di moneta digitale come il nostro è diverso. Perché? Immaginiamo
di avere una cassaforte: dentro possiamo conservarci sia banconote vere,
che ipotizziamo non essere contraffabili, sia il nostro denaro digitalizzato.
Nel secondo caso, è come se avessimo un pezzo di carta con sopra scritto il
valore del nostro deposito. Quando vogliamo pagare, non dobbiamo
consegnare fisicamente il denaro, strisciamo la carta e la banca sposta un
numero, per esempio 100 euro, da un conto a un altro. Quando esegue
questa operazione, la banca controlla sul suo registro se il numero sul nostro
foglio di carta corrisponde a quello sul loro registro di deposito.
Se sì, l’operazione procede, perché io sto adoperando soldi che
effettivamente possiedo. Se no, l’operazione si arresta perché qualcosa non
quadra. Semplificando, funziona così.
Immaginiamo adesso lo stesso sistema senza la partecipazione
dell’intermediario bancario: senza nessun controllo nulla mi impedirebbe di
aggiungere 1, 10, 100 copie di questo foglietto nella mia cassaforte, tanto
nessuno verificherà la corrispondenza tra il denaro che spendo e quello che
possiedo. Così facendo, la moneta digitale non potrebbe esistere, perché
non varrebbe nulla.
Questo problema apparentemente irrisolvibile si chiama “double spend
problem”.
Fino al 2009, nessun sistema alternativo proponeva una soluzione
autonoma, non mediata. Così bisognava per forza rimettersi alle banche e al
loro potere finanziario con tutti i contro che abbiamo visto.
Questo almeno finché un anonimo inventore (o un gruppo di inventori) dal
nome Satoshi Nakamoto, non inventò una moneta virtuale appoggiata a un
ingegnoso codice di programmazione: sto parlando del bitcoin e della
blockchain.
Separare i due concetti è difficile, non si può parlare di una criptovaluta,
come il bitcoin, senza menzionare la blockchain, il rivoluzionario
sistema di protezione e trasmissione dei dati che sostiene le nostre
valute digitali e che risolve l’annoso problema del double spend.

10.4 LA BLOCKCHAIN E LE INFINITE POSSIBILITÀ DEL


NUOVO DIGITALE
Se le criptovalute propongono una soluzione di pagamento e di
investimento innovativa, il vero sistema rivoluzionario è quello costituito
dalla blockchain. Il discorso in sé è abbastanza complesso, ma è sostenuto
anche da grandi menti dell’economia, come per esempio Don Tapscott,
imprenditore ed economista, da luminari del digitale come Mark
Zuckerberg, che vuole lanciare la propria criptovaluta Libra e da diversi
governi che stanno lavorando sull’elaborazione di una moneta digitale, per
il loro Paese, da appoggiare alla blockchain.
Attraverso le criptovalute e i token, la blockchain è in grado di trasmettere
ogni dato digitalizzabile con un grado di sicurezza e autonomia che fa
invidia e concorrenza ai sistemi bancari. Tutto avviene senza il bisogno di
alcun intervento esterno, perché il sistema intero è sostenuto da milioni di
persone sparse in ogni angolo del mondo.
Ognuna di queste persone, ha accesso a un “registro” digitale che
memorizza ogni singola operazione svolta sulla blockchain.
Questo registro costituisce il primo livello di sicurezza del sistema: tutti i
registri devono essere uguali e il sistema li frequenta e li aggiorna
costantemente: chi prova ad alterarne uno verrà automaticamente
individuato dal confronto del suo registro con quello di tutti gli altri
utenti. Per truffare la blockchain bisognerebbe alterare milioni di registri
contemporaneamente sui computer di milioni di persone.
Ma da cosa è costituito questo registro? Come suggerisce il termine
blockchain, le pagine di questo registro sono formate da blocchi di dati
concatenati tra loro e in continua espansione. Ogni operazione svolta sulla
blockchain è inserita in un blocco assieme a migliaia di altre operazioni. La
cosa importante è che ogni operazione richiama tutte le altre operazioni
svolte precedentemente dall’utente, anche se sono collocate su blocchi
precedenti. Per esempio, per autenticare una transazione, il sistema
ricostruisce l’intera storia delle operazioni che la persona ha effettuato.
Ecco perché è organizzato come una catena: ogni nuovo blocco e le
operazioni che ne fanno parte sono saldamente ancorate a tutte quelle
precedenti.
In questo modo la blockchain è “cosciente”, in qualsiasi momento, di quello
che si sta facendo e anche delle operazioni svolte prima.
Se, per dire, io ho già dato i miei 100 euro a qualcuno, la blockchain lo sa,
senza il bisogno di un intermediario che controlli.

10.5 LA CHIAVE DELLE CHIAVI: LA CRITTOGRAFIA


Il sistema blockchain non è protetto solamente da un confronto costante tra
tutti i registri del mondo, ma anche dalla crittografia. Come avrai intuito dal
termine criptovalute, la crittografia svolge un ruolo centrale nel sistema.
Serve a due cose:
1. identificare l’utente e le operazioni che sta svolgendo senza violare la sua
privacy;
2. codificare i blocchi in modo che risultino inalterabili.
Nel primo caso la blockchain fa uso di un sistema a “doppia chiave”: una
chiave pubblica permette a chiunque di verificare che l’operazione svolta
sia regolare. L’operazione stessa è però protetta anche da un codice, che
garantisce l’anonimato e che viene autorizzato solo ed esclusivamente da
una chiave privata in tuo possesso. Nessuno può fingersi te e agire al posto
tuo, come succede quando clonano una carta. Il secondo livello di
crittografia riguarda l’elaborazione dei blocchi. Una volta che un blocco è
pronto per essere incorporato nella blockchain, tutti i dati e le operazioni
contenute vengono protette da un protocollo crittografico chiamato
SHA256. Questo protocollo ha una peculiarità: fornisce ai computer
un’operazione che può essere risolta solo tirando a indovinare tra miliardi e
miliardi di possibili soluzioni. Gli unici che hanno le capacità di risolvere
questo protocollo e quindi di aggiungere blocchi e sostenere la blockchain
sono chiamati miners. I miners sono degli imprenditori che hanno
investito in grossi apparati hardware che svolgono questo lavoro.
Ovviamente ottengono un compenso in cambio del compito svolto a
sostegno della blockchain.
Ogni volta che un blocco è pronto a entrare nella catena deve prima essere
decrittato per essere validato. A questo punto i computer di tutti i miners del
mondo entrano in competizione e partono con i tentativi: il primo che
scioglie questo protocollo viene autorizzato ad aggiungere il nuovo blocco
alla blockchain e la corsa al prossimo blocco ricomincia da capo.
Questo accade ogni dieci minuti. Dopodiché il sistema inizia a costruire un
nuovo blocco di dati.

10.6 PERCHÉ I MINERS LAVORANO CON LA


BLOCKCHAIN?
Per funzionare la blockchain ha bisogno di un’enorme quantità di risorse,
potenza di calcolo e, prime tra tutte, elettricità.
Questo lascerebbe intendere che mantenere questo sistema ha un costo
ingente ed è vero. Dunque chi non è un miner è tagliato fuori? Se decidessi
di acquistare qualcosa usando le criptovalute allora starei partecipando
attivamente con il mio telefono, il mio computer, all’attività di mining? No,
la blockchain è un sistema aperto a tutti, ma, come detto prima, è sostenuto
interamente da alcune persone che hanno software, hardware e
infrastrutture specializzate dedicate.
Le criptovalute, che sono a disposizione di tutti, si appoggiano alla
blockchain nel momento in cui le scambiamo, ma non richiedono
necessariamente la nostra partecipazione alla blockchain o al mining.
Ma perché solo alcune persone sostengono la blockchain investendo tempo,
denaro, risorse? Volontariato?
La risposta è semplice: libero mercato.
Abbiamo detto che per aggiungere un nuovo blocco al sistema serve che
qualcuno, almeno un utente, risolva il protocollo SHA256. Ebbene, il primo
che trova la soluzione viene ricompensato dalla stessa blockchain. Il caso
del bitcoin è esemplare: ogni blocco risolto per quella catena ricompensa,
alla data in cui scrivo (gennaio 2020), il miner con 12,5 bitcoin nuovi di
zecca, dal valore complessivo di diverse migliaia di dollari, secondo il
prezzo di mercato. L’ammontare della criptovaluta messa in posta come
ricompensa per la soluzione del blocco è uguale per tutti e non cambia, ma
è destinata a diminuire con il tempo. Ogni 210.000 blocchi risolti, ogni
quattro anni circa, la ricompensa si dimezza. Questa soluzione è stata
programmata per limitare la quantità di criptovaluta messa in circolazione
che altrimenti potrebbe aumentare all’infinito. Si stima oggi che l’ultimo
bitcoin verrà minato nel 2140, con il raggiungimento della cifra totale di 21
milioni di bitcoin in circolazione.
Per aumentare le probabilità di decrittare il protocollo dei blocchi il miner
deve investire in hardware sempre più sofisticati e potenti. Questi vengono
collocati in strutture note come farm (fattorie).
Il punto forte di questi hardware di mining sta nella loro potenza di calcolo
superiore e nel relativamente contenuto consumo energetico. In parole
povere, sono in grado di risolvere il protocollo molto più rapidamente.

10.7 FARE MINING IN ITALIA


Il mining è un’attività senza radici: può essere fatto ovunque e da chiunque.
È naturale che, per queste ragioni, l’attività sia spesso delocalizzata in parti
del mondo dove i costi sono più contenuti e le regolamentazioni meno
stringenti. Puoi immaginare il mio stupore quando fui contattato da
un’impresa di Roma per parlare di una futura campagna di crowdfunding
studiata per una farm italiana.
Mentre sorseggiavo una tazza di tè caldo, mi sono ritrovato su Skype a
parlare con Andrea Riccio, il project manager di questa farm.
Il progetto, avviato in collaborazione con l’Università di Salerno, mira a
proporre una realtà di mining alternativa, ecosostenibile e orientata alla
competizione, grazie alle menti brillanti tipiche dell’impresa italiana.
Fare mining, infatti, richiede tecnologia, know how, capacità di innovare; è
un’attività che offre ampi margini al miglioramento, all’efficienza. Per
progettare qualcosa di competitivo serve avere una visione ben definita, un
piano di sviluppo. Così ho deciso di cogliere la palla al balzo per poter
approfondire con Andrea la struttura di questa farm, anche per comprendere
meglio quali sono le criticità e le potenzialità per cui questo genere di
attività ha spinto milioni di persone, di ogni nazione e parte del mondo, a
investire.
Mentre penso a questo, la prima domanda che mi sorge spontanea è questa:
“Perché fare mining in Italia? Cosa avete visto di innovativo nel nostro
Paese?”.
Andrea, che conosce bene questa domanda, mi sorride e parte subito deciso.
“Vedi Maxx, ci sono due logiche principali che muovono questa nostra idea.
La prima è legata allo sviluppo e alla eco sostenibilità. Assieme ai nostri
partner volevamo dimostrare che il mining, contrariamente a quanto
sostengono alcune persone, non è un’attività che spreca risorse, ma che
le crea. Noi abbiamo deciso di sostenere la blockchain con un progetto
green, ecosostenibile. Abbiamo dotato il nostro impianto di pannelli
fotovoltaici per sfruttare la potenza del sole e in cambio generiamo valore,
non solo valore economico, ma anche culturale e sociale, creando un
circuito di conoscenze e aprendo la nostra attività a tutti coloro che sono
curiosi e credono nelle potenzialità del sistema della criptovaluta e della
blockchain.”

10.8 LA TECNOLOGIA DEL MINING: UNA SCELTA


COMPETITIVA
Questa dimensione di sostenibilità e coinvolgimento è affascinante. Un
progetto mirato a generare valore dunque, non solo denaro.
Quello che mi pare importante capire, è come un’attività realizzata
interamente in Italia intenda competere contro i grandi impianti dell’est
Europa, che possono approfittare di costi di alimentazione decisamente
inferiori.
“Come pensate di fare per rendere veramente competitiva la vostra
attività?”.
“Ottima domanda, ci stavo per arrivare. La seconda logica con la quale
abbiamo sviluppato il nostro progetto è legata a una questione di efficienza
e di innovazione. In Italia abbiamo a disposizione menti brillanti, una cosa
che ci invidiano anche all’estero. La domanda che ci siamo posti è stata
questa: possiamo usare questo capitale umano per creare un modello di
mining competitivo? Anzi, non solo competitivo, ma proprio superiore. La
risposta è stata sì. Come? Usando una delle tecnologie più avanzate e
complesse a disposizione dei miners: il mining con schede FPGA. Ora,
senza entrare nel dettaglio, questi hardware hanno un potenziale incredibile
nel mondo del mining, non solo perché generano un’altissima potenza di
calcolo, ma anche perché sono riprogrammabili e quindi ci mettono molto
più tempo a diventare obsoleti e possono essere continuamente riconfigurati
per adattarsi alle esigenze del settore. Il margine di vantaggio che ci dà
questa tecnologia è incredibile: fintanto che possiamo modificare le
capacità dei nostri hardware, rimaniamo sempre efficienti a costi
contenuti”.
“Dunque si tratta di una tecnologia superiore? Competitiva?”.
“Sì. L’intera attività di mining deve essere costruita attorno al principio di
competitività. Per esempio, noi abbiamo scelto un paese di montagna per la
nostra farm, così le temperature ambientali semplificano il sistema di
raffreddamento degli hardware che rappresenta un significativo costo nel
settore. Riguardo alle schede FPGA, il vantaggio competitivo risiede nei
consumi ridotti e nelle temperature generate che, di conseguenza, saranno
molto più basse. Si parla anche di dieci-cento volte in meno rispetto ad altre
tipologie di schede più popolari. La barriera vera e propria che limita la
diffusione di questa tecnologia tra i competitor deriva dalle altissime
difficoltà di programmazione. Ecco che entra in gioco il nostro team di
ingegneri di prima scelta. In particolare conoscerai più avanti Francesco
Scaperrotta, che ti spiegherà nel dettaglio la nostra tecnologia e
probabilmente conoscerai anche Giuseppe Caso, il nostro capo
programmatore che, tra l’altro, è stato contattato di recente da una
multinazionale del mining, proprio per il progetto che stiamo seguendo
nella nostra farm”.
10.9 INVESTIRE NEL MINING: QUALI SONO LE
PROSPETTIVE?
Le informazioni che Andrea condivide con me sono estremamente
interessanti su più livelli, da quello sociale a quello economico. Investire
nel mining sembra una grande possibilità, ma quanto è davvero
profittevole? Può diventare uno strumento con cui generare rendite passive?
Il parere di un professionista, in questo caso, diventa fondamentale per
stimare la fattibilità di un piano di investimento attraverso una campagna di
crowdfunding.
“Il ritorno economico di un investimento nel mining può variare
enormemente a seconda di quanto è efficiente il sistema, di come sono
ripartite le spese e della diversificazione degli asset. Come ogni
investimento, anche il mining ha un margine di rischio, infatti è importante
saper diversificare. Il problema di tutti coloro che vorrebbero iniziare a
minare per conto proprio, o che desiderano investire in questa attività, è
legato per lo più agli enormi costi che vanno sostenuti per mantenere questa
attività. È una barriera d’ingresso notevole, che rende l’attività più rischiosa
e meno remunerativa. Per questo quando si parla di investimenti nelle
criptovalute spesso ci si rivolge al trading. Il mining invece è un’attività
completa, verticale. Parte dall’estrazione della criptovaluta e arriva fino alle
considerazioni di mercato legate ai rischi, dunque serve una completa e
approfondita conoscenza del settore. Per questo pensavamo di trasformare
questa campagna in qualcosa di più, magari dando la possibilità agli
eventuali investitori di conoscere meglio la nostra struttura e di imparare
quali sono i fondamenti dell’attività. Come funziona, quali sono le sfide e i
vantaggi”.
Ora i pezzi del puzzle sono al loro posto. Dietro alle considerazioni di
sviluppo sostenibile di questa farm c’è anche un calcolo di efficienza
energetica e di autonomia, grazie alla quale l’attività si protegge anche nei
periodi più rischiosi, dato che riesce a tagliare su una delle spese più
importanti del settore: l’energia. Anche il personale non è solo specializzato
nell’attività pratica di programmazione degli hardware e dei software di
mining, ma anche nelle valutazioni di mercato. Un’interessante
combinazione orientata a un approccio che gioca tutto sul mining hi-tech e
sulla qualità della farm, prima che sulle sue dimensioni.
Saluto Andrea, che deve tornare alle sue attività. Continueremo più avanti a
sentirci. Per ora ho già ricevuto davvero tante informazioni. Il mondo delle
criptovalute assomiglia sempre di più alla grande corsa all’Ovest dei
pionieri americani. Tutti sanno che lì, da qualche parte, c’è l’oro, ma c’è
ancora grande spazio per l’esplorazione, la scoperta di vie alternative, la
sperimentazione di formule nuove e dinamiche.

10.10 UN PASSO INDIETRO NEL TEMPO


Il mio giro del mondo inizia da qui, dalla Bulgaria, dove sono rimasto per
tre mesi lavorando ai miei progetti. È uno Stato di cui si parla poco, ma tra i
più interessanti dal punto di vista tecnologico e fiscale, con una tassazione
al 10% voluta per sostenere le imprese.
Una nazione che si è reinventata all’insegna del coworking, del digital
working e dell’imprenditoria, classica e digitale. E come non amare poi la
sua bellezza rurale e architettonica?
Campi di girasoli e roseti infiniti che alimentano una vivace industria
profumiera fanno da cornice a città dalle origini antiche, che oggi
affiancano allo splendore dei palazzi barocchi e delle cattedrali ortodosse
un’edilizia moderna, d’avanguardia.
A partire dal 2007, questo piacevole Paese, ha cominciato un percorso
virtuoso di aggiornamento fiscale e infrastrutturale. Questi cambiamenti
hanno portato la nazione a sviluppare un sistema contributivo e un sistema
legale fertili per l’imprenditoria. Questo, unito a una delle connessioni
internet più potenti del continente, ha innalzato la Bulgaria a uno dei Paesi
privilegiati per gli imprenditori veloci, liberi, digitali, come il sottoscritto.
Muoversi a piedi, ovviamente, è sempre un piacere. Dove ti giri vedi una
chiesa, un mercato, uno splendido edificio ottocentesco. Per molti aspetti la
città è in forte sintonia con altri capoluoghi italiani, ma la cosa si fa diversa
quando ci si trova negli spazi dedicati alla tecnologia e al lavoro. Lì si
respira aria di nuovo, di progresso.
Quando arrivai alla spiaggia di Varna i miei amici e colleghi erano già
seduti a un tavolo con vista mare dipinto dal tramonto. Tra loro c’era un
altro ragazzo italiano che avevo già avuto piacere di conoscere: Alessandro
“Alex” Ricci. Con Alex ho una buona intesa: a entrambi piace l’idea di
spostarci liberamente. E infatti lui a breve sarebbe tornato a Malta e io avrei
iniziato il mio tour de force in giro per il mondo.
Alex è un tokenization architect e un blockchain expert, ma non solo; tra le
numerose attività di cui mi parla, qualcosa di nuovo e potenzialmente
rivoluzionario cattura la mia attenzione. Me ne parla mentre mi racconta del
suo progetto di tornare a Malta.
Malta sta alla blockchain come la Silicon Valley sta alle startup.
La piccola isola del Mediterraneo si sta reinventando per diventare uno dei
poli più importanti nello sviluppo del mercato delle criptovalute.
Per questo Malta è anche un “punto caldo” per quanto riguarda la
“decentralized finance” (detta Defi), la nuova attività su cui Alex sta
mettendo le mani.
La decentralized finance è un concetto fresco di conio. Se ne parla in
maniera più estensiva dalla seconda metà del 2019, mi racconta.
In pochi mesi ha catturato l’attenzione di imprenditori e investitori
proponendo un approccio completamente nuovo al mondo degli strumenti
finanziari.
Ne ho già sentito parlare, ma prima di Alex non avevo ancora trovato
qualcuno che avesse iniziato personalmente a occuparsene. Assieme a lui
ho avuto l’occasione di approfondire la conoscenza su un’attività che, a
detta di molti, rappresenta il futuro della blockchain e della finanza.

10.11 QUATTRO CHIACCHIERE SULLA DECENTRALIZED


FINANCE
Occupandomi poco di blockchain, il concetto della Defi mi suonava
abbastanza nuovo. Fortuna vuole che, dopo la nostra conversazione in
Bulgaria, abbia avuto modo di tenermi in contatto con lui.
Le implicazioni concrete di questo nuovo strumento della blockchain
potrebbero rappresentare davvero il futuro della finanza privata.
Alex, che da anni lavora nell’ambiente cripto, sostiene questo, e sostiene
che oramai ci stiamo per affacciare al periodo di maturità della Defi, quello
in cui le possibilità di questa finanza alternativa diverranno una realtà
diffusa, com’è già successo alle criptovalute e alla blockchain.
Ma cos’è questa finanza decentralizzata? Come suggerisce il nome
stesso, si tratta della finanza che tutti noi conosciamo, applicata a un
sistema decentralizzato, quello della blockchain.
Pensare che le criptovalute siano solo uno strumento attraverso il quale
spostare somme di denaro sarebbe limitante. Cosa sarebbe se oltre a poter
spostare moneta attraverso questo innovativo sistema potessimo anche
trattare titoli azionari, contratti, informazioni, prestiti? Otterremmo un
sistema parallelo a quello delle banche, ma totalmente decentralizzato.
Proprio il sistema della Defi.
Sicuro, privato, trasparente, senza un controllo centralizzato: la finanza
decentralizzata si appoggia su diverse blockchain, tra cui quella
dell’Ethereum, la seconda criptovaluta al mondo per valore di mercato.
Ethereum ha infatti una particolarità che la rende perfetta a questo scopo: è
progettata per supportare delle applicazioni decentralizzate, le DAPP.
Queste applicazioni possono essere progettate per tantissimi scopi. Non
hanno un server centrale e sono decentralizzate proprio come l’intero
sistema blockchain.
Questo crea un sistema privato e protetto di finanza, che non richiede alcun
genere di fiducia in nessuno, perché le operazioni svolte sono state
programmate per essere eseguite in quel modo.
Il discorso sulle criptovalute è già abbastanza ricco così. Ho sempre il
tempo di salutare Alex e di informarmi sulle sue attività: ogni giorno c’è
qualcosa di nuovo e di potenzialmente rivoluzionario nel mondo della
blockchain.

10.12 UN’ULTIMA CONSIDERAZIONE


Prima di concludere un capitolo così ricco, è bene fare un po’ d’ordine in
tutto quello che abbiamo detto.
Al giorno d’oggi è ancora molto difficile valutare se un cambiamento così
radicale come quello proposto dalla Defi attecchirà nel modo sperato:
l’intero settore delle criptovalute e della blockchain sembra ancora in
bilico, tra risultati reali e speculazione.
Quello che possiamo prevedere al 100% è che la blockchain lascerà una
traccia indelebile. Sappiamo già che milioni di persone stanno investendo
nel settore e che stanno creando valore, inseguendo un’idea che propone di
cambiare per sempre il settore della finanza digitale, in qualcosa di nuovo,
più equo e trasparente.
Comunque sia, questo dimostra che circola ancora una certa diffidenza
verso questo mondo. Una diffidenza motivata principalmente dalla sua
difficoltà, dalla velocità con cui cresce e si evolve e soprattutto dalla sua
giovinezza.
Parliamo di una finanza completamente diversa da ogni altro modello visto
fino a ora. Le conseguenze di questa vera e propria corsa all’oro sono
difficili da prevedere. Ciò su cui possiamo riflettere, è che da ogni angolo
del mondo imprenditori, miners, università, grandi imprese, social network,
governi, si stanno mobilitando per prepararsi ad affrontare una delle sfide
economiche più rilevanti del prossimo decennio.
Una scommessa che noi possiamo decidere di cogliere e approfondire o che
possiamo limitarci a osservare.
11. IL TUO PROSSIMO PASSO

E così siamo giunti alla fine di questo libro. Mentre fisso l’ultimo foglio che
farà da chiusura a questa bella corsa, provo una piacevole sensazione di
serenità. Io e Antonio abbiamo davvero dovuto dare fondo alle nostre
energie per scrivere, riscrivere, correggere ogni paragrafo di questo libro.
Ora, finalmente, ci siamo.
Domani passerò il lavoro agli editor che si occuperanno di “smussare gli
spigoli” di queste pagine, ma stanotte il lavoro è ancora mio. Qui sul
balcone della mia abitazione in Repubblica Dominicana, accarezzato dalla
tiepida brezza, mentre penso alla mia prossima destinazione del mio giro
del mondo, non sento nulla se non il suono ovattato degli animali notturni.
Persino la mia mente finalmente inizia a distendersi e i miei pensieri, che
fino all’altro giorno ballavano come le linee di un elettrocardiogramma,
tornano in ordine.
Non fraintendiamoci: ho amato scrivere ogni pagina di questo racconto, ma
è stata davvero un’impresa titanica; esaltante e frustrante al tempo stesso.
Come avrai immaginato, noi non siamo due scrittori professionisti e lo
sapevamo benissimo già quando abbiamo deciso di lanciarci in questa
impresa. Non siamo scrittori, ma come tutti sentiamo il bisogno di
condividere qualcosa con le persone che hanno la passione giusta per
ascoltarci.
Così un passo alla volta, mese dopo mese, ci siamo dedicati a questa
impresa nuova e avventurosa. Qualcosa di difficile, qualcosa che ci ha dato
a tratti un bel mal di testa.
Ma quanto noiosa sarebbe la vita se non avessimo la determinazione di
metterci alla prova? Non è forse questo uno dei significati della parola
“crescere”?
Abbiamo ingoiato un bel boccone di coraggio e abbiamo deciso di crescere,
mettendoci di fronte a un lavoro e a un mondo che fino a questo momento
non facevano parte di noi.
Tu? Stai già facendo lo stesso?

11.1 UN LIBRO PER TUTTI


Otto mesi dopo la decisione di scrivere il libro sugli investitori digitali
siamo qui, alle ultime pagine. L’idea che, dopo tutta la fatica fatta per
realizzare quest’opera, qualcuno possa leggerla in appena qualche giorno
mi fa un po’ impressione.
Nonostante questo, era proprio l’obiettivo che ci eravamo prefissati: riuscire
a condensare un argomento così vasto e mobile come quello degli
investimenti nel digitale in un libro capace di essere letto velocemente e alla
portata di tutti. Un’opera che rimarrà attuale anche negli anni a venire, che
ha qualcosa di nuovo per ogni lettore.
Una fotografia di una realtà che abbiamo cercato di spiegare attraverso i
suoi punti chiave, per garantire una lettura leggera e scorrevole, ma
contemporaneamente intrigante e stimolante.
Siamo partiti con l’idea di parlare di Amazon e del trading, delle startup e
del crowdfunding, ma alla fine abbiamo deciso di fare posto anche alle
criptovalute, al mining, alle imprese che abbiamo seguito, agli aneddoti che
abbiamo collezionato nella nostra carriera e alle persone che abbiamo
incontrato lungo il nostro percorso.
Abbiamo deciso di parlare degli investimenti nel digitale non come
semplice settore di business, ma come un nuovo stile di lavoro che inverte
le prospettive.
Il digitale è il posto dove la tua vita non si costruisce più attorno al tuo
lavoro, ma dove è il tuo lavoro che si costruisce attorno alla tua vita. Ed
è proprio per descriverti al meglio questa inversione di prospettive che
abbiamo scritto questo libro. Ma volevano fare qualcosa di più e così
abbiamo personalizzato la narrazione: abbiamo raccontato di noi per
mostrarti quali sono i risultati concreti, reali, del vivere nel digitale.
Sono passati otto mesi da quando ho aperto il primo file word intitolato
Capitolo 1. Mesi che, con la stesura del nostro libro, siamo sicuri essere
stati ben spesi, ma sarai tu, lettore, il giudice ultimo del nostro lavoro.
Noi abbiamo voluto darti una base di partenza, molti spunti di riflessione, la
motivazione mentale per permetterti di cominciare a costruire una nuova
vita e un nuovo te.

11.2 IL SECONDO PRIMO PASSO


In ogni nuovo lavoro, in ogni nuova impresa il primo passo è forse uno dei
più difficili.
Finora hai solamente accarezzato l’idea di affrontare un qualcosa di nuovo
come il lavoro online.
Hai studiato quello che potevi trovare in rete e finalmente hai deciso di
fidarti e di cominciare a leggere questo libro. Forse non è neppure il tuo
primo libro sul digitale, forse hai già provato qualcosa di nuovo, ma senza
davvero metterci tutte le tue forze per dar vita concretamente a un progetto,
a un cambiamento.
Hai davvero fatto il primo passo come volevi? Oppure hai semplicemente
cercato di diventare più consapevole rispetto a ciò che ti sta attorno?
Hai trovato la strada giusta, ma per ora ti sei limitato a guardare il percorso,
a raccogliere voci e opinioni sul luogo in cui quella via, che non hai iniziato
a percorrere, potrebbe portarti.
Il primo vero passo è tutta un’altra cosa: è la cosa davvero più difficile di
tutte. Devi cominciare a fidarti prima e soprattutto di te stesso.
“Sarò in grado?”, “Questo fa davvero al caso mio?”, “Troverò il tempo, la
voglia e il coraggio di proseguire fino in fondo?”.
Devi scegliere, se non scegli, vivrai come uno spettatore.
Ma gli spettatori, quelli che si limitano a guardare, non hanno alcuna storia
da raccontare, non hanno nessuna sconfitta da cui imparare, nessuna vittoria
di cui vantarsi.
Per uno spettatore non c’è alcuna possibilità di diventare qualcosa di
diverso da ciò che si è già: spettatori per l’appunto.
E io ti chiedo: è meglio essere quella persona che ha provato e ha fallito ma
non ha rimpianti oppure quell’altra che è rimasta in disparte e che non ha
avuto la volontà e il coraggio di scegliere?
Se sei qui, ti stai preparando a fare il tuo primo passo, ma non puoi
temporeggiare per sempre: stai cercando la libertà spazio-temporale?
Quanto sei disposto a rischiare per poter ottenere ciò che vuoi più di ogni
altra cosa?

11.3 RINGRAZIAMO CHI CI HA CREDUTO


Come noi, molte altre persone hanno creduto nel nostro lavoro e credono
nei valori che perseguiamo.
Parlo di innovatori, di ricercatori, di imprenditori e di specialisti. Abbiamo
fatto innumerevoli chiamate e interviste per mettere assieme non solo un
libro, ma un racconto, una testimonianza genuina che raccoglie l’essenza
del coraggio che serve per diventare gli eroi del domani.
Perché come diceva Lev Tolstoj: “Tutti pensano a cambiare il mondo ma
nessuno pensa a cambiare se stesso”. Cambiare se stessi è il primo step
necessario per cambiare il mondo attorno a sé e a questo aggiungerei: c’è
forse un modo migliore di cambiare se non lottando per diventare persone
libere, felici, consapevoli? Per questo vogliamo ringraziare gli eroi che
hanno prestato il loro tempo e il loro nome a questo libro: i miei top trader
Arduino Schenato, Fabrizio Ferrero, Andrea Carosi, Simone Putignano;
Fabio Cannavale; i ragazzi di Recrowd, Gianluca De Simone, Massimo
Traversi e Simone Putignano; Armando Miele di Cesynt; il team della
Business Galaxxy; Andrea Riccio, Alessandro Ricci; Giovanpaolo Arioldi
di Opstart; l’avvocato Alessandro Lerro; e molti altri, colleghi vicini e
lontano che hanno direttamente o indirettamente permesso che questa
missione diventasse possibile.
Questo a dimostrazione che la comunità degli investitori digitali non è fatta
di scompartimenti stagni dove ognuno guarda solo al suo piccolo mondo,
ma è un luogo aperto, fluido, che crea connessioni tra persone e idee
innovative. Una community dove ognuno è indipendente ma nessuno è
solo.
Ma prima di tutto voglio ringraziare mio fratello Andrea, che mi è sempre
stato vicino, come fratello, come uomo, come imprenditore, anche quando
il vento si è fatto forte, la burrasca si è trasformata in tempesta ed eravamo
in mezzo al mare senza sapere come sarebbe andata.
Il sole splende all’orizzonte per ognuno di noi ma per ognuno di noi
rappresenta sempre qualcosa di diverso.
Voglio ringraziare Mirella, la mia compagna.
La mia vera compagna. Quella che ho aspettato per anni, che non è stato
facile riconoscere, trovare e finalmente abbracciare.
La vita scorre sempre, la corrente diventa un tumulto, il fiume passa dalla
piena alla secca ma il suo sentiero verso il mare è scandito da ogni goccia
che lo percorre, da ogni sasso che lo abita, da ogni tronco che lo naviga.
La vita è un cambiamento continuo, ciò che pensi oggi potresti non
condividerlo per niente fra un mese o un anno.
Siamo vivi! A volte sembra così riduttivo, scontato, ci lamentiamo persino
degli errori che fanno parte delle gocce del fiume finite fuori dalla sponda
in piena, ci lamentiamo dei tronchi che sono rimasti incagliati nel letto del
fiume in secca, dimenticandoci che tornerà a piovere, che il fiume
riprenderà a scorrere e giungerà sempre al mare.

11.4 CI INCONTREREMO ANCORA


Mentre anche questo ultimo capitolo si chiude spero che tu ti sia fatto
un’idea su cosa stai cercando, su quale può essere l’opportunità perfetta per
te.
Dopodiché starà a te compiere il primo passo, ma non sei il solo.
Di fronte a te c’è la possibilità di continuare a seguirci e di seguire le nostre
vicende, per approfondire, per studiare, per partecipare e per toccare con
mano i risultati di cui ti abbiamo parlato fino a ora.
Restare in contatto è importante e chissà, magari un domani ci ritroveremo
proprio io, te e Antonio attorno a un tavolo, in qualche località esotica, a
discutere della prossima idea disruptive pronta a diventare startup e di noi
entusiasti di diventare soci.
Chissà, decifrare un’occasione è difficile: sai da dove cominci, ma non sai
mai dove questa nuova strada ti porterà, quali ulteriori possibilità ti si
apriranno davanti.
Comunque sia, noi non vediamo l’ora che tu ci segua su Facebook e su
Youtube, dove troverai tutti i frammenti di vita raccontati in questo libro e
dove scoprirai che questo libro non finirà mai, perché le prossime parole di
questo libro verranno scritte sui nostri social dalle nostre vite.
Noi qui ti salutiamo e ti auguriamo buona fortuna e una felice ricerca,
qualunque cosa tu stia cercando.
Se la libertà spazio-temporale tramite le rendite passive è ciò che ti
permetterà di percorrere la tua strada allora sai dove trovarci.
Ora è arrivato il tuo momento di rimboccarti le maniche.
La fortuna aiuta gli audaci.

Un saluto da Maxx Mereghetti e da Antonio Vida.


Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto,
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In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è
stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore
successivo.

Investitori digitali
di Maxx Mereghetti, Antonio Vida
Progetto grafico Cristina Menotti
© 2020 Mondadori Libri S.p.A.
Pubblicato per Mondadori Electa da © 2020 Mondadori Libri S.p.A
Ebook ISBN 9788851080457
Sommario

Copertina
L’immagine
Il libro
Gli autori
Frontespizio
1. Trovare la propria libertà nel digitale
1.1 Qualche mese dopo…
1.2 Un viaggio in mongolfiera
1.3 Il mio amore per lo “spazio-tempo”
1.4 Un libro sugli investimenti digitali? Qualcosa di più, qualcosa di meno
1.5 Perché devi diventare un investitore digitale?
1.6 Fabio Cannavale, un mito del digitale
2. Democrazia digitale: come il mondo del web ha cambiato le regole del gioco
2.1 Il mercato si trasforma… e noi con lui
2.2 Da consumatore digitale a cittadino digitale: quali sono e come funzionano i vantaggi
della web-democrazia
3. La verità sul denaro: il labirinto di luoghi comuni crolla
3.1 Dalla moneta al credito: come fanno a farci spendere di più
3.2 Veri ricchi e finti ricchi: la teoria del cashflow
3.3 I quattro quadranti del cashflow
3.4 Il tempo e il denaro degli altri
3.5 Pro e contro
3.6 Cosa vuole insegnarci Kiyosaki?
3.7 Gli investimenti: la più rischiosa delle sicurezze
3.8 Il caso del “mercoledì nero”: come dalla crisi nascono miliardi
3.9 Gli investimenti sono solo un voltodel digitale
3.10 La startup è il futuro degli investimenti
3.11 La calma prima della tempesta
4. La rivoluzione delle idee: la startup
4.1 Ma poi arriva la startup…
4.2 Dal sogno al bi-sogno: l’idea giusta
4.3 Assemblare il team
4.4 Il business giusto per la nostra impresa
4.5 Si può vendere senza business plan?
4.6 MVP: Minimum Viable Product
4.7 L’idea cresce
4.8 Nascita della startup: fase seed e pre-seed
4.9 Primo round di sviluppo: fino a 5 milioni
4.10 Secondo round di sviluppo: fino a 10 milioni
4.11 La startup si fa impresa
4.12 Ricapitolando: cos’è una startup?
5. L’investitore indipendente: il crowdfunding
5.1 Il triangolo dell’innovazione: startup-soldi-investitori
5.2 La fine delle banche? La rivoluzione del crowdfunding!
5.3 I vantaggi del crowdfunding
5.4 Le piattaforme di crowdfunding
5.5 Il miracolo dell’equity crowdfunding e il successo di Cesynt
5.6 Come partecipare all’equity crowdfunding?
6. Recrowd: la startup che ha sbancato il crowdfunding
6.1 Recrowd: idee solide, non solite idee
6.2 Il lending crowdfunding: la novità più vecchia del mondo
6.3 Ricco tu, ricchi tutti
6.4 Recrowd, un anno e mezzo dopo
6.5 Perché partecipare al lending crowdfunding?
6.6 Il crowdfunding: uno sguardo al futuro
7. Vincere su Amazon
7.1 Come Amazon ha cambiato la mia vita
7.2 FBA: Fulfillment by Amazon
7.3 Semplice non significa “soldi facili”
7.4 Le criticità del sistema FBA
7.5 Le difficoltà di mercato: “ho scelto davvero il prodotto giusto?”
7.6 Le difficoltà d’importazione: “che fine ha fatto la mia merce?”
7.7 Le difficoltà del marketplace: “perché il mio prodotto non vende?”
7.8 Quanto si può guadagnare con Amazon FBA?
7.9 La Via della seta 3.0
7.10 Quanto tempo serve per iniziare a guadagnare?
8. A cena con Maxx e Vida
8.1 Ore 20:30
8.2 Ore 21:30
8.3 Ore 22:15
8.4 Ore 23:00
9. Vivere di trading come Maxx Mereghetti
9.1 Perché ho cominciato dal trading online?
9.2 Le cinque keyword del trading
9.3 Ma cos’è veramente il trading?
9.4 Attraverso le avversità...
9.5 … fino alle stelle
9.6 16 dicembre 2019: l’inizio della One Million Challenge
9.7 Il mio segreto? Lavorare smart!
9.8 L’ottava meraviglia del mondo: l’interesse composto
9.9 Come vincere nel trading online
9.10 Perché dovrei scegliere il Codice Maxx?
10. Oltre la moneta digitale: le criptovalute
10.1 Dal doblone d’oro alla moneta digitale
10.2 L’intermediario non svolge sempre bene il suo lavoro
10.3 2009: la nascita di un sistema nuovo
10.4 La blockchain e le infinite possibilità del nuovo digitale
10.5 La chiave delle chiavi: la crittografia
10.6 Perché i miners lavorano con la blockchain?
10.7 Fare mining in Italia
10.8 La tecnologia del mining: una scelta competitiva
10.9 Investire nel mining: quali sono le prospettive?
10.10 Un passo indietro nel tempo
10.11 Quattro chiacchiere sulla decentralized finance
10.12 Un’ultima considerazione
11. Il tuo prossimo passo
11.1 Un libro per tutti
11.2 Il secondo primo passo
11.3 Ringraziamo chi ci ha creduto
11.4 Ci incontreremo ancora
Copyright

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