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Giuseppe Dessì

Le carte di
Michele Boschino
edizione critica
a cura di Dino Manca

CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC


scrittori sardi
Non so più nemmeno se il mio sia amore o fastidio, rabbia di es-
sere nato lì, rabbia di essere legato ancora a questa terra troppo
vecchia e tanto lontana dal mondo nel quale vivo – dall’Italia,
voglio dire. Eppure quella è la mia patria. È là che sono nato. È là
che ho passato gli anni più importanti della mia vita, l’infanzia
e l’adolescenza. Là c’è la casa di mio nonno, di mio padre: case
e tombe. Ma ciò che conta di più è che là io mi sento forte, intel-
ligente, anzi onnisciente. Immergo la mano nell’acqua del Tirso,
del Temo, del Rio Mannu, e so di che cosa è fatta quell’acqua.
Raccolgo un sasso, e ho di quel sasso una conoscenza che arriva
fino all’atomo, fino alla molecola. È là che ho letto per la prima
volta Leibnitz e Spinoza senza bisogno di traduzione o di note
a piè di pagina. Là mi sono sentito solo al centro dell’Universo
come un astronauta. E per questo sono geloso della mia Isola.
Geloso di tutto ciò che la rende volgare, turistica.

Giuseppe Dessì
opera pubblicata con il contributo di

Regione Autonoma della Sardegna

Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali,


Informazione, Spettacolo e Sport

scrittori sardi
coordinamento editoriale
centro di studi filologici sardi / cuec

comitato scientifico: Nicola Tanda - Università di Sassari, Paolo Cherchi - Uni-


versità di Chicago, Giuseppe Frasso - Università Cattolica di Milano, Rosanna
Bettarini - Università di Firenze, Andrea Fassò - Università di Bologna, Edoardo
Barbieri - Università Cattolica di Brescia, Carlo Donà - Università di Messina,
Marcello Cocco - Università di Cagliari, Giovanna Carla Marras - Università di
Cagliari, Giuseppe Marci - Università di Cagliari, Maurizio Virdis - Università di
Cagliari, Dino Manca - Università di Sassari, Mauro Pala - Università di Cagliari,
María Dolores García Sánchez - Università di Cagliari, Patrizia Serra - Università
di Cagliari.

I volumi pubblicati nella collana del Centro di Studi Filologici Sardi sono passati al
vaglio da studiosi competenti per la specifica disciplina e appartenenti ad università
italiane e straniere. La valutazione è fatta sia all’interno sia all’esterno del Comita-
to scientifico. Il meccanismo di revisione offre garanzia di terzietà, assicurando il
rispetto dei criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni, ai sensi
dell’art. 3-ter, comma 2, del decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito
dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1.
giuseppe dessì

LE CARTE
DI michele boschino

edizione critica a cura di


Dino Manca

centro di studi filologici sardi / cuec


scrittori sardi

coordinamento editoriale
centro di studi filologici sardi / cuec

Giuseppe Dessì
Le carte di Michele Boschino

ISBN: 978-88-8467-708-2
cuec editrice © 2011
prima edizione dicembre 2011

Centro di Studi Filologici Sardi


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direttore Giuseppe Marci
consiglieri María Dolores García Sánchez, Dino Manca, Mauro Pala,
Patrizia Serra, Maurizio Virdis

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Stampa Grafiche Ghiani, Monastir (Ca)
In memoria di Franca Linari

«Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti,


sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria
puntati nei nostri pieni di lacrime».

Sant’Agostino
Tutte le immagini a corredo del testo sono state pubblicate su gentile concessione
del prof. Francesco Dessì e del «Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux»
nella persona del suo direttore, la dottoressa Gloria Manghetti. È vietata la ri-
produzione o duplicazione con qualsiasi mezzo delle immagini qui pubblicate.

Un ringraziamento particolare va – oltre che al prof. Dessì e alla dottoressa Man-


ghetti – al personale della Sala Manoscritti dell’Archivio Contemporaneo «Ales-
sandro Bonsanti» e a Vanna Fois, direttore editoriale della Ilisso, per la gentilezza
e la disponibilità.
Nella pagina precedente: Giuseppe Dessì nel suo studio a Roma
Introduzione

1. Giuseppe Dessì nacque a Cagliari il sette agosto del


1909 da Francesco Dessì-Fulgheri e Maria Cristina Pinna,
entrambi di Villacidro, borgo rurale del medio Campida-
no posto ai piedi della catena montuosa del Linas e alla
bocca della valle di Castangias, già sede, ai primi dell’Ot-
tocento, di una delle quindici prefetture istituite in Sar-
degna dal governo Sabaudo. Fin da bambino soffrì delle
continue assenze del padre, ufficiale di carriera dell’eser-
cito, costretto a lunghi e ripetuti spostamenti nelle tante
guarnigioni della Sardegna e del continente:
Fui così nel Veneto, a Roma, a Ferrara, a Bologna, e fin
da bambino fui portato a contrapporre il mondo isolano
agropastorale a quello cittadino del continente1.

Soprattutto negli anni della guerra, quando più forte si


avvertì il peso del distacco e della lontananza, egli trascor-
se l’adolescenza, con la madre e il fratello minore Franco,
a Villacidro, nella grande residenza del nonno, Giuseppe
Pinna, grosso proprietario terriero. La casa rappresentò il
nucleo dell’azienda agricola, faticosamente costruita negli
anni, e di fatto divenne il luogo della sua prima formazio-
ne. Non esiste comunicazione senza contesto e l’appren-
dimento di ogni ragazzo, avvenuto per esperienza diretta-

1
Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, Roma (via Prisciano,
75), 18 maggio 1966. La lettera, conservata presso l’Archivio Contem-
poraneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto “G. P. Vieusseux” a Fi-
renze, si trova pubblicata in: F. Nencioni (a cura di), A Giuseppe Dessì.
Lettere di amici e lettori, Firenze, University Press, 2009, pp. 431-432.
Ricordi autobiografici si trovano altresì in: Ritratti su misura (Venezia,
Sodalizio del Libro, 1960), La Scelta (Milano, Mondadori, 1978), Un
pezzo di luna, Note, memoria e immagini della Sardegna (Cagliari, Edi-
zioni Della Torre, 1987).
XII DINO MANCA

mente vissuta e sperimentato emozionalmente, si realizza


dentro un ben preciso tessuto culturale e ambientale e si
regge, come ogni percorso educativo, sull’imparare a co-
noscere, a fare ma soprattutto a essere. L’identità, si sa,
non è mai disgiunta dal senso di appartenenza a una co-
munità inserita storicamente in un territorio. Se è vero,
dunque, che la conoscenza e il primo discorso del mon-
do cominciano dalla soglia di casa, certamente per Dessì
il processo di apprendimento dei codici della comunità
educante e dei linguaggi della natura, i riti d’iniziazione,
la scoperta degli uomini e delle prime difficoltà del vivere,
ebbero inizio nel microcosmo operoso, protettivo e idilli-
co di Biddacidru:
La casa era grande, piena di zii, zie, cugini e gente di pas-
saggio […] Credo che il fatto di aver vissuto in campa-
gna da bambino abbia contribuito a rendere la realtà più
accessibile alla mia conoscenza. La comunità intorno a
me, questa vita sociale di cui ho cercato di dare un’idea,
faceva come da cassa armonica ai miei sentimenti, ingi-
gantiva e al tempo stesso mi permetteva di percepire e di
partecipare ai sentimenti degli altri2.

Il paese dei genitori fu, dunque, l’originario milieu, il


luogo vissuto, plasmato nella relazione, il sistema peculia-
re di condizioni naturali e socio-culturali stratificate nella
sua memoria e rappresentò il primitivo contesto linguisti-
co e antropologico entro cui lievitarono le sue narrazioni
migliori. Frequentando pastori e contadini alle pendici
del Monte Linas, infatti, egli prese coscienza delle sue ra-
dici e comprese profondamente eventi ed esistenti di un
mondo che ben presto tradurrà in finzione letteraria. Alla
fine del conflitto anche il padre, congedatosi, si ricongiun-

2
Cfr. G. Dessì, Un pezzo di Luna, note, memoria e immagini della Sar-
degna, a cura di A. Dolfi, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987 [2006],
p. 187.
Introduzione XIII

se definitivamente al nucleo familiare dedicandosi all’am-


ministrazione del patrimonio della moglie e alla cura del
primogenito. Il ragazzo, d’indole irrequieta e ribelle, ini-
ziò a studiare privatamente fin dalle scuole elementari e
pur essendo un «pessimo scolaro» si dimostrò tuttavia
lettore bramoso ed eccentrico:
Pessimo scolaro, riottoso e disordinato, fuggito dal col-
legio, fui fin dall’infanzia un lettore avido e insaziabile.
Quasi abbandonato a me stesso, leggevo tutto ciò che un
ragazzo della mia età non avrebbe dovuto leggere3.

Terminato il ciclo elementare andò a Sassari per il pri-


mo anno di Ginnasio. Nel 1924 si iscrisse all’Istituto Tec-
nico inferiore e nel 1925 il padre lo inserì come interno
nel Collegio Carlo Felice di Cagliari, dove frequentò la
scuola industriale. Da qui fuggì per essere ritrovato in una
delle tenute di famiglia:
Io scappai da Cagliari e tornai a casa, a Villacidro, dopo
lunghe peregrinazioni e dopo essere stato creduto mor-
to. Fu scandagliato il porto e fu sguinzagliata per la pro-
vincia una compagnia di soldati ciclisti con l’incarico
di cercarmi e di riportarmi a casa. Mi trovò invece un
guardiacaccia di mio nonno materno, il quale non cre-
dette alle bugie che gli raccontavo (dicevo di essere in
vacanza) e minacciò di legarmi su un cavallo se non fossi
tornato a casa docilmente. Il ritorno fu bellissimo. Mio
padre mi accolse a braccia aperte e perdonò la mia scap-
pata, ma fu messo sotto accusa dai famigliari, che non
approvavano la sua indulgenza4.

Dopo l’inutile tentativo di farlo studiare a Cagliari e dopo

3
G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, in La scelta [Milano,
Mondadori, 1978], intr. di cura Varese comm. di A. Dolfi, Cagliari,
2003, p. 127.
4
Cfr. Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, cit., p. 431.
XIV DINO MANCA

essere stato mandato a lavorare nel frantoio e come conta-


bile nel caseificio dello zio Erminio, alla fine del 1926 egli
preferì fare gli studi in privato con Don Luigi Frau (che
gli insegnò soprattutto il latino e il greco) per sostenere gli
esami di licenza ginnasiale. Questa esperienza si concluse
negativamente e il fallimento lo riportò alla decisione di
intraprendere un corso di studi regolare. È importante ri-
levare, tuttavia, come in questo tormentato periodo della
sua vita, il ragazzo avesse sentito l’esigenza di accostarsi a
opere filosofiche che lo indussero a riflessioni angoscianti
e destabilizzanti sull’origine del mondo e sul senso dell’es-
sere e dell’esistere. Ritiratosi, infatti, dalle scuole, scoprì
dietro un muro della casa del nonno la biblioteca lascia-
ta da un prozio giacobino, che i parenti avevano murato
alla sua morte. L’attività di lettura matta e disperatissima,
disordinata e frenetica, per quanto sconvolgente e contro-
versa, fu ciononostante esaltante e feconda e contribuì non
poco alla sua prima formazione intellettuale e umana:
scopersi in un vecchio armadio a muro i resti della bi-
blioteca di un prozio avvocato e pubblicista considerato
“un giacobino”. Era morto mezzo secolo prima ucciso da
un cavallo imbizzarrito e i suoi beni e la sua casa erano
stati ereditati da mio nonno, ch’era riuscito a salvare par-
te della biblioteca, di cui peraltro non faceva gran caso.
Lessi così, con la consueta avidità, L’origine dell’uomo
di Darwin, il Sistema di filosofia sintetica di Spencer, il
Corso di Filosofia positiva di Augusto Comte e il suo Ca-
techismo positivista ossia Esposizione della Religione uni-
versale. Trovai il Piccolo compendio del Capitale di Cafie-
ro, il Discorso sul Metodo di Descartes e le Conversazioni
sulla pluralità dei mondi di Fontenelle. La lista potrebbe
continuare, ma le opere che addirittura mi sconvolsero
furono La Monadologia di Leibniz e l’Etica di Spinoza
[…] Ricordo che la lettura di quei filosofi mi esaltava e
mi dava angoscia allo stesso tempo. Senza che nessuno
se ne accorgesse o potesse nemmeno lontanamente so-
spettarlo mi ero andato facendo del mondo un’idea de-
Introduzione XV

terministica estremamente rigorosa. Consideravo ogni


mia azione, anche il minimo gesto, come l’anello di una
catena di cause ed effetti che aveva inizio con la creazio-
ne del mondo e dalla quale non avrei potuto liberarmi,
anzi arrivai a pensare che il solo atto di libertà possibile
fosse il suicidio. Senza saperlo stavo arrivando alla stessa
conclusione di Michelstaedter. La nostra casa era piena
di armi e io ero stato addestrato a maneggiarle fin da
bambino, dai pesanti fucili da caccia grossa alle leggere
carabine flobert da tiro a segno. C’era anche la pistola
d’ordinanza di mio padre. Io andavo rimuginando i pen-
sieri cui ho accennato, oppresso da un senso di angoscia
claustrofobica, dalla quale c’era un solo modo di libe-
rarsi. Nessuno poteva aiutarmi, nessuno avrebbe potuto
capirmi. A chi avrei potuto parlare dell’ordo causarum
o dell’armonia prestabilita alla quale volevo sottrarmi?
Tuttavia scrissi una lettera d’addio, che sigillai e riposi
nel primo cassetto del canterano, in camera mia5.

Nel 1928 si trasferì a Cagliari per completare la sua


preparazione prima dell’esame di licenza ginnasiale. Nel
1929, quando era già ventenne, si iscrisse al Liceo Det-
tori, dove incontrò Delio Cantimori, insegnante di storia
e filosofia, e Claudio Varese, studente modello, col quale
strinse un rapporto di fraterna e duratura amicizia:
Conobbi Delio Cantimori a Cagliari, dove fu mio pro-
fessore di filosofia e storia in prima liceale, nel 1929. Egli
era un giovane professore di 26 anni, io uno studente
ritardatario di 20, disordinato, discolo, e frequentavo per
la prima volta una scuola pubblica, dopo una disastro-
sa carriera scolastica da privatista. Cantimori portava
allora una nera barbetta che somigliava stranamente a

5
G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, cit., pp. 128-129. Il
padre, per attenuare e compensare quell’ossessivo e «claustrofobico»
rovello deterministico-meccanicista, gli propose di leggere l’Orlando
Furioso. L’incontro con la poesia e l’«armonia» compositiva dell’Ario-
sto risultò essere, per il sedicenne Dessì, salvifico.
XVI DINO MANCA

quella di Sant’Efisio […] Cantimori aveva mani grandi e


bianche, ben curate ed eloquenti. Noi scolari di provin-
cia, rozzi e protervi, eravamo affascinati da quelle grandi
mani bianche. Non sapevamo che appartenevano a uno
studioso, a un dottore in teologia dell’antica Università
di Basilea, ma per noi quelle mani avevano sfogliato tutti
i libri e ne conoscevano i segreti […]6.

Un anno dopo la dolorosa morte della madre, finito


il Liceo e fatto tesoro dei preziosi consigli di Cantimori,
che gli aveva aperto le porte della sua biblioteca privata, si
iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Pisa (dopo
aver tentato l’ammissione alla Normale Superiore) dove
si laureò nel 1936 a pieni voti con una tesi su Manzoni
discussa con Russo e Momigliano7. Il soggiorno in questa
città gli permise di inserirsi nell’ambiente dei normalisti
e di seguire gli insegnamenti oltre che dell’illustre critico
e storico della letteratura, di Binni, Saitta e Russo. A Pisa,
dove ebbe come maestri e compagni di studio («maîtres-
camarades») il sodale Varese, Claudio Baglietto («pochi
uomini sono stati importanti come Baglietto, anche per
me»), Carlo Ludovico Ragghianti, Aldo Capitini, Enrico
Alpino, Mario Pinna e Carlo Cordiè, il livello di parteci-
pazione politica crebbe fino a diventare vera e propria lot-
ta contro le dittature (a lungo sentirà il fascino delle teorie
liberalsocialiste dei fratelli Rosselli e di Guido Calogero):
Qui ne I passeri, della drammatica vicenda di Giacomo
si parla – sia pure indirettamente – in modo più diffuso
che altrove; se ne parla attraverso il padre, l’ex aviatore
della Grande Guerra conte Massimo Sgarbo, il quale, nel
1943, quando gli alleati stanno per occupare la Sarde-
gna, aspetta ancora il suo ritorno. Giacomo era partito

6
G. Dessì, Il professore di liceo, in La scelta, cit., p. 138.
7
Seguito da Momigliano, inoltre, aveva preparato una tesina triennale
sulla personalità e l’opera del Tommaseo.
Introduzione XVII

per molti anni prima clandestinamente raggiungendo la


Francia attraverso la Corsica per arruolarsi nelle brigate
internazionali e combattere contro i fascisti. Si tratta, in
altre parole, di un mio possibile coetaneo: avrebbe potu-
to essere uno dei miei editori, un fratello minore di An-
tonio Gramsci o di Velio Spano, un gemello di Claudio
Baglietto o di Aldo Capitini […]8.

Dopo la laurea frequentò il gruppo raccolto attorno alla


rivista “Letteratura”. Intrapresa la carriera d’insegnante,
viaggiò per varie città italiane. Nel 1937 trovò un posto di
supplente a Ferrara, all’istituto magistrale “Carducci”, su
suggerimento di Varese. Condivisero quell’esperienza an-
che il fratello Franco e l’amico Pinna. Nella città emiliana
sposò Raffaella Baraldi (Lina), figlia di un noto avvocato
ferrarese9, e, tra gli altri, conobbe Giorgio Bassani. Scrisse
di quel sodalizio il giovane scrittore:
L’incontro con Varese, con Pinna, con Giuseppe Dessì e
col fratello Franco, il rapporto amichevole, totale, che ne
nacque, è stato per me un’esperienza decisiva dal punto
di vista psicologico […] non sarebbe stato possibile di-
ventare antifascista senza di loro, per uno come me che
ha avuto la rivelazione dell’antifascismo come scelta es-
senzialmente morale10.

Nel 1939 la casa editrice Guanda gli pubblicò la pri-


ma silloge di racconti La sposa in città11 e la fiorentina

8
G. Dessì, Prefazione a I Passeri, Milano, Mondadori, 1965, p. X.
9
L’avvocato Baraldi fu radiato dall’albo perché di idee socialiste.
10
Cfr. A. Romagnino, Dessì e Varese dal liceo Dettori a Ferrara, Ca-
gliari, Demos editore, 1999, pp. 29-30.
11
Cfr. G. Dessì, La sposa in città, a cura di C. Varese, Parma, Guanda,
1938 [a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilisso, 2009]. Gli undici racconti furo-
no scritti e pubblicati tra il 1930 e il 1938: La sposa in città, Un ospite
di Marsiglia, La città rotonda, Giuoco interrotto, I piedi sotto il muro,
Il cane e il vento, Le amiche, La rivedremo in Paradiso, Una collana,
Inverno, Cacciatore distratto.
XVIII DINO MANCA

Le Monnier licenziò San Silvano12, il suo primo roman-


zo. L’opera piacque a Giaime Pintor, a Pietro Pancrazi, a
Silvio Benco e soprattutto a Gianfranco Contini che sulla
rivista “Letteratura” definì l’autore il «Proust sardo»13.
Nominato per «chiara fama» di scrittore Provveditore
agli studi da Bottai, nel 1941 – dopo la feconda esperienza
pisana e l’insegnamento a Ferrara – Dessì prese servizio
a Sassari, città nella quale restò per tutto il periodo del-
la guerra. Gli anni sassaresi, segnati da un intenso impe-
gno politico e da importanti frequentazioni filosofiche14,
furono altresì gli anni della pubblicazione del romanzo
Michele Boschino15, la cui composizione era cominciata a
Ferrara, dopo l’uscita della prima raccolta di racconti e
contemporaneamente all’uscita del romanzo che lo aveva
imposto all’attenzione della critica letteraria nazionale16.

12
Cfr. G. Dessì, San Silvano, Firenze, Le Monnier, 1939 [Milano, Fel-
trinelli, 1962; Milano, Mondadori, 1981; a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilis-
so, 2003].
13
Cfr. G. Contini, Inaugurazione di uno scrittore, “Letteratura”, aprile
1939 [in Esercizi di lettura, Torino, Einaudi, 1974, pp. 175-180].
14
Si deve tener conto «della formazione gentiliana e delle frequen-
tazioni idealistiche pisane, lo storico dell’arte Ragghianti e Varese, il
normalista sardo Borio. Soprattutto […] occorre conoscere meglio le
frequentazioni filosofiche sassaresi da Borio a Forteleoni, in un am-
biente in cui si discuteva oltre che di socialismo, di idealismo, di con-
tingentismo, di esistenzialismo» (N. Tanda, Lingue e letteratura nella
Sardegna moderna e contemporanea, in Dal mito dell’Isola all’Isola del
mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 177).
15
Cfr. G. Dessì, Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1942 [Milano,
Mondadori, 1975; Milano, Mondadori, 1977; a cura di C. A. Madrigna-
ni, Nuoro, Ilisso, 2002].
16
A Pisa, già durante gli anni dell’università, quotidiani e periodici ini-
ziarono a pubblicare alcuni suoi lavori. Nel 1937 collaborò a “La Stam-
pa”, seguirono negli anni poi le collaborazioni a “Primato”, “Il Giorna-
le d’Italia”, “L’Orto”, “Portanova”, “Campano”, “Il Resto del Carlino”,
“Il Giornale”, “La Gazzetta del Popolo”, “Il Messaggero”, “Il Giornale”,
“Il Tempo”, “Belfagor”, “Il Ponte”, “Botteghe Oscure”, “Il Lavoro”,
“Rinascita”, “Sipario”, “L’Unità” e “Paese sera”. Come già scritto, nel
Introduzione XIX

Durante gli anni drammatici del conflitto, Dessì avvertì

1939 venne pubblicata, a cura dell’amico Varese, La sposa in città e uscì


San Silvano. Nel 1942 toccò a Michele Boschino e nel 1945 vide la luce
un’altra raccolta dal titolo Racconti vecchi e nuovi [Torino, Einaudi,
1945; a cura di M. de las Nieves Muñiz Muñiz, Nuoro, Ilisso, 2010:
Giuoco interrotto, Inverno, Una collana, La rivedremo in Paradiso, Un
ospite di Marsiglia, Cacciatore distratto, Incontro nel buio, Ricordo fuori
del tempo, Un bambino quieto, L’insonnia, Suor Emanuela, Vigilia, Ri-
tratto, Le aquile, Gli amanti, Saluto a Pietro Quendespuitas, Lebda, Pa-
esaggio, Innocenza di Barbara, La cometa]. Nel 1948 a puntate la rivista
“Il Ponte” pubblicò Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo [Venezia,
Sodalizio del libro, 1959; Milano, Mondadori, 1973; a cura di A. Dolfi,
Nuoro, Ilisso, 2004] e nel 1949 venne licenziata la Storia del principe
Lui [Milano, Mondadori, 1949; 1969; Nuoro, Ilisso, 2011]. Nel 1955
fu la volta de I Passeri [Pisa, Nistri-Lischi, 1955; Milano, Mondadori,
1965; pref. A. Colasanti, Firenze, Giunti, 1997; Nuoro, Ilisso, 2004],
mentre nel 1957 furono pubblicati la silloge l’Isola dell’Angelo [Calta-
nissetta-Roma, Sciascia, 1957; in Lei era l’acqua, Milano, Mondadori,
1966; Nuoro, Ilisso, 2003: Isola dell’Angelo, I segreti, La cometa, La mia
trisavola Letizia, Lei era l’acqua, Il bacio, La capanna, Black, La frana],
La ballerina di carta [Bologna, Cappelli, 1957; Nuoro, Ilisso, 2009: La
mano della bambina, I violenti, La ballerina di carta, La magnolia, Fuga
di Marta, La paura, Il fidanzato, La verità, Succederà qualcosa, Paese
d’ombra, Giovani sposi, La rondine, Le scarpe nere, Caccia alle tortore,
Oh Martina, La ragazza nel bosco, L’uomo dal cappello, Lo sbaglio, Il
colera, La felicità, Un canto, La clessidra, L’utilitaria, Il grande Lama,
La bambina malata] e i Racconti drammatici [La giustizia, Qui non c’è
guerra, Milano, Feltrinelli, 1959] coi quali si affermò anche come au-
tore teatrale. Il dramma La giustizia fu messo subito in scena in molte
città italiane e venne trasmesso per radio in Italia ed in Inghilterra. Nel
1961 uscì Il disertore [Milano, Feltrinelli, 1961; Milano, Mondadori,
1974; 1976; a cura di S. Maxia, Nuoro, Ilisso, 1997]. Le sue opere inizia-
rono ad essere tradotte in molte lingue straniere. Al Festival della prosa
di Bologna per La Giustizia ricevette il “Nettuno d’oro” e la seconda
rete televisiva venne inaugurata con la rappresentazione di un suo ori-
ginale dal titolo La trincea [in Teatro Nuovo, marzo-aprile 1962; poi in
Drammi e Commedie, Torino Eri, 1965]. Il dramma Eleonora d’Arbo-
rea [Milano, Mondadori, 1964; a cura di N. Tanda, Sassari, Edes, 1995;
Nuoro, Ilisso, 2010] rappresentò, per i Sardi, quel che l’Adelchi aveva
rappresentato per l’Italia risorgimentale, un’opera nazionale e popo-
lare. Negli ultimi anni della sua vita fu pubblicato Paese d’ombre [Mi-
XX DINO MANCA

e interiorizzò gli effetti devastanti della contingenza sto-


rica, il clima di precarietà e d’incertezza che andava la-
cerando le coscienze di molti intellettuali, disorientati e
angosciati dalla tragicità e irrazionalità della guerra. Nel
maggio del 1942, qualche mese prima della pubblicazione
del romanzo, scrisse:
Lina [Raffaella] mi diceva l’altro giorno che io dovrei
scrivere ciò che penso di quel che accade nel mondo
oggi, delle origini di questo stato di cose; non perché
sia importante quello che penso, ma perché è quasi im-
possibile scrivere altro. Eppure vorrei avere tanta forza
da tornare in mezzo a questo tumulto, nell’orto del mio
vecchio Boschino, di ritrovare nel dolore rassegnato
di uno solo il dolore che oggi oscura il mondo: in altri
termini: vorrei ritrovare la forza di pensare il dolore. In
fondo, è questo l’unico nostro rifugio […]17.

La tragica esperienza del conflitto pose nuovi e impel-


lenti interrogativi a quegli artisti che si dimostrarono te-
stimoni lucidi di un passaggio storico tormentato e com-
plesso e che adeguarono l’impegno morale alle condizioni
mutate e alla profonda trasformazione segnata, ad esem-
pio, di lì a qualche anno dall’uso delle armi atomiche. In
questo contesto, acquistò rilievo l’operazione di alcuni
scrittori che seppero coniugare l’imperativo civile ed eti-
co con l’impegno estetico, orientato oltre che sul piano
dei contenuti, sul versante formale dei linguaggi e delle
strutture letterarie. La lettura di Spinoza, Leibniz, Kant,

lano, Mondadori, 1972; 1975; Nuoro, Ilisso, 1997] il grande romanzo


che gli meritò l’assegnazione del “Premio Strega”. Collaborò ancora a
“L’Unità”, “Rinascita”, “Paese Sera” e alle riviste “Nuova Antologia” e
“L’Albero”. La morte lo colse, dopo una lunga malattia, il sei luglio del
1977 a Roma, mentre era impegnato nella stesura del romanzo La scel-
ta, pubblicato postumo [a cura di A. Dolfi, Milano, Mondadori, 1978].
17
G. Dessì, Diari (1931-1948), a cura di F. Linari, Roma, Jouvence,
1999, p. 80.
Introduzione XXI

Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Proust, Joyce, Ein-


stein, Mann, Hesse, Rilke, Heidegger, Husserl, Merleau-
Ponty e la considerazione più tardi della portata eversiva
della pittura di Monet, Manet, Pissarro, Sisley, Cézanne,
Van Gogh, Gauguin ma soprattutto di Rouault, Braque
e Picasso, offrirono allo scrittore sardo importanti chiavi
di lettura della realtà isolana, quegli strumenti filosofici,
conoscitivi e narrativi che condizionarono e informaro-
no buona parte della sua scrittura creativa sino a Paese
d’ombre:
Ancora alla mostra con R. D. e F. e L. M. Checchino s’è
un po’ annoiato ma è stato buono. Capito meglio Braque
e Rouault e anche Picasso, e sempre più li capisco come
ribellione, e ribellione anche all’impressionismo, ch’era,
a sua volta ribellione […]18.

E già in Michele Boschino s’iniziano a leggere i segni


di questa contemporaneità. Modernità nell’approccio
demologico e antropologico che informa soprattutto la
prima parte del romanzo, nel relativismo prospettico e
conoscitivo (straordinario antidoto contro ogni esclusi-
vismo ed etnocentrismo) – che egli sperimenta come mi-
gliore dimostrazione della problematicità (se non talvolta
impossibilità) gnoseologica, spesso sconfinante nell’inco-
municabilità – nel rinnovato rapporto fra soggetto e og-
getto, fra individuo e realtà, nel rapporto tra tempo fisico
e interiore, nell’analisi dell’inconscio e subconscio, nella

18
G. Dessì, Diari…, pp. 170 e 235. Il 25 febbraio del 1948 fu inaugu-
rata al “Museo Sanna” di Sassari, grazie all’interessamento di Raffaello
Delogu, direttore della Sovrintendenza alle Belle Arti della Sardegna,
e di Filippo Figari, direttore dell’Istituto d’Arte, una mostra didattica
di pittura moderna presentata con un catalogo da Corrado Maltese,
e comprendente stampe stereoscopiche di Manet, Gauguin, Pizzaro,
Sisley, Seurat, Deraine, Monet, Manet, Renuart, Cezanne, Van Gogh,
Degas, Picasso, Rouault, Matisse e Bonnard.
XXII DINO MANCA

riduzione fenomenologica attuata attraverso la coscien-


za dei personaggi. Il Dessì pisano-ferrarese aveva oramai
superato e metabolizzato l’ossessivo e «claustrofobico»
rovello deterministico-meccanicista derivatogli, tra l’al-
tro, dalla lettura de L’origine dell’uomo di Darwin, del Si-
stema di filosofia sintetica di Spencer ma soprattutto del
Corso di filosofia positiva di Comte. Peraltro da decenni,
nella cultura occidentale, era entrato in crisi il modello di
razionalità ereditato dall’Illuminismo che a sua volta lo
aveva costruito sulla base della rivoluzione scientifica del
Seicento. Per i positivisti fine ultimo della conoscenza era
stato la spiegazione «oggettiva» del mondo e della realtà,
nella sua costituzione materiale, concreta, e nei rapporti
di causa ed effetto che la governano; conoscenza assicu-
rata dal metodo scientifico, l’unico che si riteneva potes-
se possedere i tratti della razionalità e della verificabilità.
Tuttavia, un tale modello meccanicista, che si era retto
sulla possibilità di comprendere la natura solamente at-
traverso spiegazioni matematiche e geometriche e sulla
possibilità di rappresentarla come una grande macchina
che si muove secondo leggi di tipo deterministico, era
stato messo in discussione proprio dalle stesse scienze
cosiddette «esatte». Infatti, lo sviluppo della termodina-
mica e precipuamente il suo secondo principio, avevano
avvertito dell’irreversibilità del tempo e di un processo
unidirezionale che conduce la natura, attraverso l’entro-
pia, alla sua morte termica. La scoperta delle geometrie
non euclidee e la teoria della relatività di Einstein, inol-
tre, avevano attribuito un altro colpo al presupposto che
vi potesse essere una sola (e sempre dimostrabile) verità
circa il mondo e un’idea del tempo e dello spazio assoluti;
ma soprattutto avevano dimostrato che anche le scienze
più rigorose si fondano su presupposti convenzionali e
relativi:
Introduzione XXIII

Il tempo passa in fretta, acquista una nuova spaventosa


realtà oggettiva con gli anni che passano, con l’odiosa
vecchiezza. Si potrebbe dire: la sclerosi del tempo.
Io ignoro la geometria, euclidea e non euclidea, ma ho
passato, come sai bene, la mia scarlattina relativisti-
ca. Mentre ti scrivo il giornale radio annuncia che una
stazione radio lanciata sulla luna dagli astronauti molti
anni fa si è rimessa a trasmettere misteriosamente. Non
mi stupisce. Tutto ciò che succede è successo. Tutto ciò
che succede succederà di nuovo. Questi, molto in breve,
sono i corollari della mia inespressa geometria, che ha le
origini nell’infinito spinoziano19.

Lo stesso dogma secondo il quale l’universo poteva essere


descritto come un sistema regolato da rigide leggi di causa
ed effetto si era incrinato con la fisica quantistica elabora-
ta da Planck, che aveva intaccato il principio di continuità
dei processi naturali. Le implicazioni di un’idea funziona-
le della scienza, che si fondava sulla produzione di modelli
validi non perché ritenuti reali e rispecchianti la natura
ma più semplicemente perché funzionanti, erano dunque
state molteplici anche negli ambiti della cultura umanisti-
ca e filosofica. Mentre nell’antichità e nel Medioevo si era
creduto, infatti, che tra il soggetto e l’oggetto ci fosse una
corrispondenza, per cui l’atto conoscitivo poteva cogliere
l’essenza del mondo, e mentre con la filosofia kantiana si
era ritenuto che si potesse conoscere solo ciò che appariva
alla struttura razionale dell’«io», nel Novecento era venu-
ta meno un’idea di verità oggettiva come corrispondenza
tra individuo e mondo. Si era introdotto così un caratte-
re di convenzionalità e arbitrarietà che andava orientan-
do l’attenzione verso l’analisi del linguaggio e verso gli
enunciati (l’oggetto si dà «per» il soggetto conoscente e
il «per» è il linguaggio, il testo, il «discorso del mondo»).

19
Giuseppe Dessì ad Anna Dolfi, Roma, 10 aprile 1976. Cfr. G. Dessì,
La scelta…, p. 167.
XXIV DINO MANCA

Le conseguenze sulla visione della società e sui modi di


rappresentarla, erano state, com’è noto, di portata storica.
Il reale era diventato multiforme, polivalente, senza una
prospettiva privilegiata da cui osservarlo, perché infinite
erano le prospettive possibili. La realtà per molti artisti
era diventata magmatica, «perpetuo movimento vitale»,
incessante divenire, flusso continuo, non ingabbiabile in
schemi totalizzanti e onnicomprensivi. Bergson aveva av-
vertito che la fluidità mutevole e irriducibile degli accadi-
menti del mondo (il «divenire»), non poteva essere in al-
cun modo determinata in senso rigoroso dalle leggi fisiche
e matematiche e aveva concluso che accanto a un «tempo
esterno», misurabile secondo precise scansioni e accanto
a un tempo meccanico della fisica – in cui tutti gli attimi
sono rigidamente e convenzionalmente uguali tra loro e
si susseguono sempre con lo stesso intervallo – esiste un
«tempo interiore», del vissuto soggettivo che si dilata nella
coscienza e che da questa è percepito come «durata». La
perdita della verità oggettiva, quindi, aveva condotto alla
moltiplicazione delle verità soggettive, e quindi all’inco-
municabilità e alla deriva monadica, alla moltiplicazione
delle solitudini di individui che andavano scoprendo con
angoscia di essere «nessuno». La perdita di fiducia nella
possibilità di sistemare il reale in precisi moduli d’ordi-
ne, il relativismo conoscitivo, il marcato soggettivismo, il
crollo di un meta-punto di vista, dunque, avevano colle-
gato molti pittori (Picasso tra tutti) e scrittori (in Italia
Pirandello e Svevo) a quel clima culturale europeo in cui
si era consumata la crisi delle certezze positivistiche. Nel
tema della perdita d’identità e della conseguente disperata
ricerca di un senso per l’esistere, molti avevano trovato
un motivo di profonda sintonia. Il «male di vivere» era
diventato così una condizione individuale estesa all’intera
dimensione dell’esistenza. L’individuo rappresentato, pri-
vato delle sue certezze, agiva, costretto dentro un mondo
Introduzione XXV

sempre più segnato dalle convenzioni e dall’inautenticità,


sempre in bilico fra sdoppiamento e coscienza di sé, ri-
cerca della verità e relativismo conoscitivo. Nacquero così
nella migliore letteratura novecentesca personaggi porta-
tori di un «io» deflagrato, incapaci di inserirsi negli sche-
mi della società, segnati dalla nevrosi e condannati non di
rado all’insuccesso e alla solitudine. L’uomo si scoprì fra-
gile, impossibilitato a conoscersi e a conoscere, colpito da
una sorta di paralisi della volontà e dell’azione. È evidente
che al «Proust sardo», per dirla con Contini, non sfuggì la
portata di questa rivoluzione epistemologica, filosofica ed
estetica, ma anche ermeneutica, esistenzialista e antropo-
logica20. San Silvano e soprattutto Michele Boschino costi-
tuirono il risultato di questa profonda e sofferta matura-
zione che preparerà le rielaborazioni successive:
Ebbene c’è un momento nella vita di Dessì, in cui la su-
perbia idealistica si incrina, sotto la crisi marxista, sof-
ferta e tutta da esplorare e da ricondurre nei suoi termini
esatti, almeno quanto ad ortodossia, per un liberal-so-
cialista come lui, come i suoi amici del gruppo pisano,
da Capitini a Borio, allo stesso Varese, finché trova nella
fenomenologia husserliana un punto di riferimento. Poi
attraverso De Martino e Lévi Strauss (il nodo problema-
tico che riguarda il pensiero selvaggio più che le con-
clusioni scientifiche), quella superbia idealistica cede e
crolla la fiducia nella ragione21.

20
«Quanto alla fenomenologia e alla linguistica, (partecipò alla presen-
tazione dell’opera di Bailly, Linguistica generale e linguistica francese),
ed è sufficiente scorrere il catalogo del «Saggiatore» di quegli anni per
scorgervi opere di Gramsci, De Martino, Kerényi, Cantoni, Paci, Sar-
tre, Lévi-Strauss, Jung; (io stesso ho assistito spesso a discussioni su
Merlau Ponty e su Lévi Strauss), né si può trascurare che curatore di
quella collana era Giacomo Debenedetti, amico di Dessì» (N. Tanda,
Lingue e letteratura…, cit., p. 177).
21
N. Tanda, La Sardegna come la luna di Giuseppe Dessì, in Dal mito
dell’isola all’isola del mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 142.
XXVI DINO MANCA

2. L’intera tradizione del romanzo Michele Boschino si


trova conservata nella Sala Manoscritti dell’Archivio
Contemporaneo «Alessandro Bonsanti», costituito presso
il Gabinetto Vieusseux a Firenze. Essa è parte del «fon-
do Dessì», tra i più importanti dei circa centocinquanta
ospitati nelle sale trecentesche di Palazzo Corsini Suarez,
in via Maggio 4222. Per più di vent’anni le carte erano sta-
te custodite a Roma, in via Prisciano 75, in casa di Luisa
Babini, compagna dello scrittore dal 1954 e sua seconda
moglie dall’aprile del 1972. L’intenzione di donare gli
scritti del marito all’«Archivio Bonsanti» risalirebbe alla
fine degli anni Novanta e sarebbe testimoniata da una let-
tera datata sei gennaio 1997, anche se il vero atto forma-
le di trasferimento delle carte è certificato da uno scritto
del ventuno gennaio 2000 indirizzato all’allora Presidente
del Gabinetto Vieusseux, Giovanni Ferrara, e al Diretto-
re Enzo Siciliano23. Il fondo consta di numerosi quaderni
e taccuini, appunti preparatori, stesure dattiloscritte in
parte compiute, diari, carteggi, fogli sparsi e annotazioni
varie che precedono le redazioni definitive e autografe dei
racconti e dei romanzi, quando non rimaste allo stato em-
brionale di nota o di abbozzo. Si deve al rigore e all’acri-
bia filologica della signora Babini la conservazione altresì
– insieme al prezioso corpus avantestuale e testuale – di
una ricca documentazione paratestuale fatta di carteggi,
interviste, articoli, recensioni, traduzioni, pubblicazioni

22
Sull’archivio Dessì cfr. Giuseppe Dessì: storia e catalogo di un archi-
vio, a cura di A. Landini, Firenze, University Press, 2002; Le corrispon-
denze familiari nell’archivio Dessì, a cura di C. Andrei, Firenze, Univer-
sity Press, 2003; A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori, a cura di F.
Nencioni, Firenze, Firenze University Press, 2009.
23
Le clausole sottoscritte per la donazione furono: la catalogazione
completa del materiale, la pubblicazione del catalogo e l’affidamento
ad Anna Dolfi del ruolo di supervisione. Cfr. Giuseppe Dessì: storia e
catalogo di un archivio, cit.
Introduzione XXVII

periodiche con anticipazioni antologiche dei suoi roman-


zi migliori, corrispondenze, informazioni accessorie che
rendono edotto il lettore della circolazione e della ricezio-
ne dell’opera24. Analoghi criteri di raccolta e di organiz-
zazione si riscontrano per i testi drammatici, cinemato-
grafici e televisivi. Ai testimoni manoscritti e dattiloscritti
di sceneggiature, documentari, soggetti, elaborati vari
per il teatro, per la televisione e la radio, fa da corollario
dell’altro materiale completivo (articoli, opuscoli, lacerti
di stampa, notizie sulle traduzioni, copioni, riduzioni da
romanzi, commenti a film). A ciò si aggiunge una piccola
raccolta di componimenti poetici dall’autore mai definiti
o perfezionati. Seguono saggi, introduzioni, presentazio-
ni, recensioni, traduzioni, monografie, interviste, dello e
sullo scrittore apparsi su antologie, riviste, quotidiani e
cataloghi d’arte. Altre sezioni del fondo sono costituite,
inoltre, da quaderni, taccuini, agende con annotazioni
di carattere personale e, soprattutto, dalla preziosa cor-
rispondenza di ambito familiare, amicale e lavorativo25.

24
Il materiale riordinato e schedato nel rispetto delle norme archivi-
stiche giunse a Firenze già organizzato in faldoni e raccoglitori siste-
mati a loro volta dentro quattordici scatoloni accuratamente predi-
sposti e numerati dalla vedova. Si tenga conto, peraltro, che la Babini
partecipò tanto alla formazione e alla conservazione dell’archivio del
marito quanto alla scrittura (con appunti, note, integrazioni di titoli,
segnalazioni, trascrizioni) fin da quando iniziò a vivergli accanto e in
particolar modo dopo che nel dicembre del 1964 l’uomo fu colpito da
un’emiplegia. È stato quindi dovere del catalogatore «presupporre da
parte sua la conoscenza dei criteri in base ai quali lo scrittore amava
ordinare e conservare le proprie carte». Cfr. Giuseppe Dessì: storia e
catalogo di un archivio, cit.
25
Il corpus è costituito dalle lettere dello scrittore al padre Francesco (e
viceversa), alla madre, al fratello Franco (e viceversa), a Luisa Babini
(e viceversa), a parenti, ad amici e a destinatari del mondo letterario,
editoriale e massmediologico (case editrici, riviste, giornali, teatro,
televisione, radio); dalle missive della prima moglie Lina Baraldi e di
mittenti vari (colleghi, amici, scrittori, critici).
XXVIII DINO MANCA

Finisce la raccolta una sezione miscellanea con materiali


sui premi letterari e sulla sua attività di pittore.
Il romanzo Michele Boschino è, quindi, giunto sino
a noi secondo forme e modi di trasmissione differenti,
ossia: attraverso redazioni autografe non compiute (tre
quaderni di abbozzi che precedono le redazioni struttu-
ralmente compiute e la stesura definitiva del romanzo e
che documentano i nuclei generativi e le primitive fasi
di elaborazione dell’opera); attraverso redazioni struttu-
ralmente compiute ma non ancora considerate definitive
(tre elaborati dattiloscritti e un’ultima bozza di stampa
con correzioni manoscritte della prima edizione Monda-
dori); attraverso redazioni parziali (due articoli usciti ri-
spettivamente su rivista quindicinale e mensile, i cui testi
corrispondono in larga parte al VI – con brani del X – e
al XIII capitolo del romanzo); attraverso, infine, redazioni
compiute e considerate definitive (due edizioni a stampa
autorizzate, la prima del 1942 – edizione Mondadori “Lo
Specchio” – la seconda del 1975 – edizione Mondadori
“Scrittori italiani e stranieri”).
Il primo quaderno di abbozzi (Q - GD.1.2.1) reca nella
copertina illustrata il titolo Studi per Michele Boschino. Esso
è a righe e il testo – composto verosimilmente tra il 1939 e il
1942, generalmente in pulito e con poche correzioni auto-
grafe a penna e a matita rossa – è contenuto entro sei carte
numerate nel recto e in cifre arabe da mano aliena (pro-
babilmente del catalogatore). Ogni carta misura 204x150
mm. La scrittura, di una mano, è distribuita su ventidue
righe nel recto e nel verso, tranne la carta numerata 6, il cui
specchio è contenuto nelle ventuno righe; essa è corsiva,
inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta
con un inchiostro nero. Il tratteggio, morbido, si caratteriz-
za per l’ampio calibro dei caratteri e per gli allunghi sopra
la media. Il ductus appare uniforme per intensità, ampiezza
e altezza. Lo stato di conservazione del testimone è buono.
Introduzione XXIX

Il secondo quaderno (Q1 - GD.1.2.2) non reca alcun ti-


tolo, è a righe e il testo – composto anch’esso tra il 1939 e
il 1942, con correzioni autografe a penna e a matita blu,
nera e rossa – è contenuto entro settantasei carte doppia-
mente numerate sino alla quindicesima (la numerazione
autografa a penna coesiste, infatti, con quella a lapis pro-
babilmente del catalogatore da c. 5r. a c. 15r.), poi unica-
mente a matita nel recto e in cifre arabe da mano aliena e
recenziore. Ogni carta misura 307x210 mm. La scrittura,
di una mano, è generalmente contenuta in uno specchio di
trentuno righe nel recto e nel verso; essa è corsiva, inclinata
verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta con un
inchiostro nero. Il ductus appare uniforme per intensità,
ampiezza e altezza. Intenso è il processo correttorio. Lo
stato di conservazione del testimone, nonostante si riscon-
trino gore d’umido, sbavature d’inchiostro e residui di car-
te strappate (una tra le cc. 19-20, due tra le cc. 43-44 e otto
tra le cc. 74-75), è nel suo complesso accettabile. Il conte-
nuto narrativo riguarda la seconda parte del romanzo.
La tradizione avantestuale si chiude con un terzo qua-
derno di abbozzi (Q2 - GD.1.2.3), recante sulla copertina
il titolo a penna Michele Boschino, di trentacinque carte,
a righe, il cui testo – composto tra il 1939 e il 1942, con
correzioni autografe a matita e a penna nera e blu – è con-
tenuto dentro le trenta carte numerate (2-31) a lapis nel
recto e in cifre arabe da una mano altra (verosimilmen-
te del catalogatore). Ogni carta misura 310x204 mm. La
scrittura, di una mano, è (tranne la c. 31v.) generalmente
contenuta in uno specchio di trentadue righe nel recto e
nel verso; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un an-
golo di 45° circa e prodotta con un inchiostro nero e blu.
Per la grafia e il tratteggio valgono le stesse argomentazio-
ni sugli altri testimoni. Residui di fogli tagliati ci sovven-
gono tra le cc. 1-2 e 24-25. Anche in questo caso intenso
è il lavoro revisorio dell’autore e, analogamente a quanto
XXX DINO MANCA

già scritto, anche il contenuto diegetico di questa sorta di


terzo brogliaccio rinvia al «secondo racconto».
Il primo dei tre elaborati dattiloscritti (D - GD.1.2.4) –
che ha trasmesso testimonianza totale e strutturalmente
compiuta del romanzo (ancorché non ancora definitiva),
dal quale si è approntata la nostra edizione critica e che
costituisce altresì la matrice sulla quale si sono genetica-
mente evoluti i due dattiloscritti che seguono – si compo-
ne di duecentoventi carte sciolte, raccolte in cartella, con
correzioni autografe a penna. Ogni carta misura 282x220
mm. Lo specchio di scrittura è, quando a pagina piena,
contenuto nel recto e nel verso entro le ventinove interli-
nee. In questa prima fase redazionale il lavoro correttorio
è ancora poco sostenuto. Lo stato di conservazione del te-
stimone è buono.
Il secondo e il terzo dattiloscritto (D1 - GD.1.2.5, D2 -
GD.1.2.6), sono quasi certamente copie carbonate del pri-
mo e contengono altre correzioni manoscritte a matita e
a penna (inchiostro nero, blu e rosso), attestando, come
prima evidenziato, la presenza di nuove fasi elaborative e
di più stratificazioni di varianti realizzate. In un caso (D1)
le correzioni apportate sono di mano autorale, nell’altro
(D2) di mano diversa, verosimilmente intervenuta in una
fase successiva (ma sotto stretta sorveglianza dell’autore)
per ricopiare in forma leggibile e su una terza copia in pu-
lito la prima campagna correttoria condotta dallo scrittore
e testimoniata da D1. Doveva essere consuetudine codifi-
catoria di Dessì, infatti, porre uno o due fogli di carta car-
bone tra due o tre fogli di carta supplementari per poterne
ricavare, attraverso la pressione applicata dalla macchina
per scrivere, una o due copie dell’originale su cui poter
continuare un eventuale e prevedibile lavoro seriore di re-
visione testuale. Mentre D1 si compone di duecentoventi
carte sciolte, D2 si presenta cucito con fermagli.
Il processo rielaborativo continua, anche se solo in mini-
Introduzione XXXI

ma parte, con la bozza di stampa dell’edizione Mondadori


del 1942 (B - GD.1.2.7), che si compone di duecentocin-
quantanove carte sciolte, raccolte in busta, con correzioni
autografe a penna26. Ogni carta misura 228x165 mm. Lo
specchio di scrittura è, quando a pagina piena, contenu-
to nel recto e nel verso entro le trentadue interlinee. La
numerazione [1-4], 11-264, è a stampa, progressiva e in
numeri arabi. Lo stato di conservazione del testimone è
buono, anche se mancano le carte numerate 144 e 145.
Per quanto riguarda le redazioni parziali ci restano due
articoli rispettivamente su rivista mensile e quindicinale:
il primo uscito su “Lettere d’oggi” (L - GD.1.2.8), il cui
brano corrisponde, seppur con difformità redazionali, al
XIII capitolo del romanzo27; il secondo pubblicato dalla
rivista “Primato” (P - GD.1.2.9), il cui testo corrisponde,
con talune innovazioni, in larga parte al VI capitolo, con
brani, parzialmente modificati, del X28.
Infine, chiudono la tradizione testuale del romanzo, le
due edizioni a stampa di Arnoldo Mondadori Editore,
rispettivamente del luglio 1942 (M1) e dell’agosto 1975
(M2)29.

I dati emersi dalla collatio attestano l’esistenza di nume-


rose lezioni divergenti tra i testimoni. Le varianti interne a
D e quelle intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2, mostrano un
percorso correttorio vario e articolato per tipologia, tem-
26
Raccomandata espresso dalla Casa Editrice A. Mondadori, 20 mag-
gio 1942 all’Illustre Prof. Giuseppe Dessì, R. Provveditore agli Studi di
Sassari.
27
Cfr. “Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura”, III (serie III), 4
(maggio 1941), pp. 30-33. Nell’archivio è conservata l’intera rivista.
28
Cfr. “Primato. Lettere e arti d’Italia”, II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11.
Nell’archivio sono conservate tre copie dell’intera rivista.
29
Cfr. G. Dessì, Michele Boschino, Milano, Arnoldo Mondadori Edi-
tore, (luglio) 1942 [edizione “Lo Specchio”]; Milano, Arnoldo Mon-
dadori Editore, (agosto) 1975 [edizione “Scrittori italiani e stranieri”].
XXXII DINO MANCA

pi e modi d’esecuzione, fasi elaborative e impianto strati-


grafico. Il risultato di tale processo restituisce un’identità
testuale e redazionale che generalmente coincide, almeno
nell’impalcatura diegetica e nella struttura segnica del rac-
conto, con le edizioni a stampa. Le varianti intercorrenti
tra i vari testimoni sono, infatti, e come si vedrà, di preva-
lente natura discorsiva, linguistica e stilistica. Si parte da
D per arrivare a M2:

D D1 D2
distingueva ora distintamente il ru- distingueva ora ›distintamente‹ il
more che faceva la zappa di Michele rumore /ben noto/ che faceva la zap-
urtando un sasso, lo schiocco delle pa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo
forbici, il cigolio lungo del cancello di schiocco delle forbici, il cigolio lungo
legno. Si ricordò che da quando s’era del cancello di legno /e questi rumo-
ammalato non mangiava più pomo- ri gli facevano bene come l’aria della
dori crudi, e subito gliene venne de- campagna/. Si ricordò che da quando
siderio. s’era ammalato non mangiava più po-
modori crudi, e subito gli (← gliene)
venne •voglia di mangiarne (›deside-
rio‹).

B M2
distingueva ora il rumore ben noto distingueva ora il rumore ben noto
che faceva la zappa urtando un sasso, che faceva la zappa urtando un sas-
lo schiocco delle forbici, il cigolio so, lo schiocco delle cesoie, il cigolio
lungo del cancello di legno, e questi lungo del cancello di legno, e questi
rumori gli facevano bene come l’aria rumori gli facevano bene come l’aria
della campagna. ||A un tratto si|| della campagna. A un tratto si ricordò
(›Si‹) ricordò che da quando si era che da quando si era ammalato non
ammalato non mangiava più pomo- mangiava più pomodori crudi, e subi-
dori crudi, e subito gli venne voglia di to gli venne voglia di mangiarne.
mangiarne.

Una storia a sé vivono, invece, le redazioni parziali te-


stimoniate da P e L, i due articoli usciti rispettivamente su
rivista quindicinale e mensile e i cui testi corrispondono
in larga parte al VI (con brani del X) e al XIII capitolo del
romanzo. Nel primo caso l’autore compie una singolare
opera di contaminatio, ossia di riscrittura creativa del te-
sto fatta attraverso l’inserzione all’interno di un capitolo-
Introduzione XXXIII

modello di unità narrative, descrittive e discorsive appar-


tenenti a luoghi differenti dell’opera. Nel secondo caso il
lavoro di rielaborazione, pur non replicando le modalità
proprie della precedente trasmissione orizzontale, tutta-
via pone ugualmente in essere interventi di profonde mo-
difiche di assetto30. Il primo lavoro di analisi ha riguarda-
to, dunque, l’individuazione e lo studio della tipologia, dei
modi di esecuzione e delle fasi elaborative delle varianti
tutte interne a D. L’importanza filologica e documenta-
ria del primo dattiloscritto, infatti, sta proprio nella sua
marcata distanza formale e redazionale rispetto a tutti gli
altri testimoni seriori. La seconda operazione svolta sul-
la tradizione d’autore è stata invece quella di studiare i
rapporti reciproci intercorrenti tra tutte le testimonianze
strutturalmente compiute (D, D1, D2, B e M2) e di stabilire
se esista tra loro identità redazionale, oppure difformità e,
nel qual caso, di che natura e portata, ritenendo più op-
portuno destinare l’incompiuta e germinale documenta-
zione avantestuale e paratestuale ad altri e più appropriati
contesti argomentativi31.
Il primo esemplare dattiloscritto che ha trasmesso te-
stimonianza totale del romanzo presenta un processo
correttorio poco intenso, con poche varianti soprattutto
di tipo soppressivo e sostitutivo (raramente instaurativo)
e con molte carte in pulito. Gli sporadici interventi per
espunzione, almeno in questa prima fase, sono prevalen-
temente finalizzati allo snellimento dell’architettura sin-
tattica e narrativa e alla potatura di ridondanze discorsive
ed esplicative secondo un orientamento correttorio, volto
all’essenzialità e al sottinteso, che si definirà meglio, per
intensità e sistematicità, nelle successive revisioni:

30
Cfr. Appendice C.
31
Il testo critico del primo quaderno (Q) con apparato genetico è stato
collocato a titolo esemplificativo in cauda. Cfr. Appendice B.
XXXIV DINO MANCA

|le sfiorò| (›allungò la mano‹) D; magri. ›|La pelle pareva


posata su quelle grandi ossa| (›Le grandi ossa pareva-
no‹)‹ Lentamente D; confermavano. ›Doveva essere una
di quelle poverette che vanno a lavorare a giornata dove
la chiamano‹ Qualche D

D D1ª
la portò nel capanno. la portò nel capanno.
  Della grassazione di Cantòria le par-   ›Della grassazione di Cantòria le
lò solo molto tempo più tardi, quando parlò solo molto tempo più tardi,
Severina era sua moglie già da parec- quando Severina era sua moglie già
chi mesi. da parecchi mesi.‹
  Della grassazione non pensò più a   Della grassazione non pensò più a
parlargliene, anche perché quel segre- parlargliene, anche perché quel segre-
to non gli pesava più ormai. to non gli pesava più ormai.

D D1ª
Come accade alle persone che si tro- ›Come accade alle persone che si
vano all’improvviso in una condizio- trovano all’improvviso in una con-
ne nuova, Severina fantasticava per dizione nuova, Severina fantasticava
suo conto anche quand’era in compa- per suo conto anche quand’era in
gnia. Le piacevano certi lavori quieti, compagnia. Le piacevano certi lavori
come mondare il grano e fare la fari- quieti, come mondare il grano e fare
na, e le tornavano in mente le nenie la farina, e /le tornavano in mente/ |le
con le quali ninnava i bambini di sua canticchiava a mezza voce| [-] le ne-
sorella, e le cantava a mezza voce nie con le quali ninnava i bambini di
sua sorella, e le cantava a mezza voce‹
Quando, dopo le nozze, Maddalena
non seppe resistere alla tentazione di
riferirgli certe chiacchiere che la gente
aveva fatto sul suo matrimonio, Mi-
chele, invece di adirarsene, come sua
madre s’aspettava, disse che non glie-
ne importava nulla.

Se l’identità di M2 è il risultato finale di un processo re-


visorio che parte da D, per il filologo che voglia adden-
trarsi nei meccanismi compositivi ed evolutivi dell’opera,
è fondamentale indagare e descrivere da subito la portata,
la gradualità e l’intensità di tale impianto stratigrafico. Nel
nostro caso la campagna correttoria conosce diverse fasi
elaborative variamente realizzate. La prima marcata evo-
Introduzione XXXV

luzione testuale è attuata dall’autore nel passaggio da D a


D1. Il picco variantistico, che trova evidente esplicazione
soprattutto nel secondo dattiloscritto, si caratterizza per la
molteplicità e intensità degli interventi:

D D1 = M2
Anche altre persone, amici comuni, •
Parenti e (›Anche altre persone,‹)
cercarono di convincere Benedetto amici comuni cercarono /inutil-
e Salvatore a lasciarlo in pace, fin- mente/ di convincere •i due testardi
ché Giuseppe, vedendo che tutto era a desistere (›Benedetto e Salvatore a
inutile, pregò queste persone di non lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe,
occuparsi più della cosa. “Io” diceva vedendo che tutto era inutile, pregò
Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora per- queste persone di non occuparsi più
ché mi dispiaceva di vederli sempre della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho
così inquieti. Ma se proprio ci voglio- ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva
no stare, nella loro rabbia, che frigga- di vederli sempre così inquieti. Ma se
no pure!” Un giorno però Salvatore proprio ci vogliono stare, nella loro
rabbia, che friggano pure!”‹.
  Un giorno ›però‹ Salvatore

Parenti e amici comuni cercarono


inutilmente di convincere i due te-
stardi a desistere.
  Un giorno Salvatore

La redazione di D1 coincide in larghissima parte con


quella di D2, nonostante esistano delle difformità dall’e-
ditore comunque accolte in apparato (divergenze che si
possono spiegare con una non sempre attenta e impec-
cabile opera di trascrizione del processo correttorio fatto
dall’esemplare D1 alla sua copia D2 da mano aliena):
l’invidia] e l’invidia DD2 ›e‹ l’invidia D1 me:] me, D me;
(← me,) D2 me: D1 ringrazierei;] ringrazierei, D D2 rin-
grazierei; D1 preventivo] preventivo|,| D1 D2 preventivo
D viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2 B teneva] tenesse
D D2 teneva (← tenesse) D1 tetto; il] tetto. Il D D2 tet-
to; il (← tetto. Il) D1 persone,] persone D D2 persone|,|
D1 lui;] lui, D D2 lui; D1 dall’occhio alla spalla,] dall’oc-
chio alla spalla D dall’/angolo dell’/occhio alla spalla|,|
D1 dall’›angolo dell’‹occhio alla spalla, D2 Gli sarebbe…
XXXVI DINO MANCA

chiuso,] Avrebbe voluto stendersi lì sulla paglia, accanto


ai buoi, dire a Beniamino che poteva andarsene per i fatti
suoi, D •Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹)
stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia, •tra le mangiatoie
dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •se ne an-
dasse al chiuso (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D1

Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere
(← stendersi) lì|,| sulla paglia, •tra le mangiatoie dei (›ac-
canto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •poteva andarsene
(›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D2 Gli sarebbe pia-
ciuto potersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie
dei buoi, dire a Beniamino che se n’andasse al chiuso, B
guardasse] guardassero D D2 guardasse (← guardassero)
D1 accaduto ora] accaduto di lui D D2 accaduto ›di lui‹
D1 accaduto ||ora|| (›di lui‹) B nulla] altro D D2 •nulla
(›altro‹) D1 uno smemorato; in lui] come uno smemora-
to. Nel vecchio D come uno smemorato, (← smemorato.)

in lui (›Nel vecchio‹) D2 come uno smemorato; (← sme-
morato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D1 un buco…infilarvi.]
un buco dove voi, coi vostri intrighi, potevate infilarvi. D
D2 un buco dove voi, /potevate entrare come ‹pesci›/ coi
vostri intrighi, potevate infilarvi. D1 un buco dove voi,
coi vostri intrighi potevate infilarvi. B magra, piuttosto]
magra e piuttosto D D2 magra|,| ›e‹ piuttosto D1 canna,
e] canna e D D2 canna|,| e D1 carro;] carro, D D2 carro;
(← carro,) D1 come se…fortuna».] come se disappro-
vasse quel fatto. «Ti auguro fin d’ora buona fortuna». D
come se disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹
buona fortuna». D2 come se /dentro di sé/ disapprovas-
se quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D1
sposa;] sposa, D D2 sposa; (← sposa,) D1 veniva fuori]
usciva D •usciva (›ausciva b•veniva fuori‹) D1 •veniva fuori
(›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B gioia;] gioia, D
D2 gioia; (← gioia,) D1 carretta;] carretta, D D2 carretta;
(← carretta,) D1 sul] sul suo D D2 sul ›suo‹ D1 cose,] cose
D D2 cose|,| D1 Aurelia] Anna D D1 •Aurelia (›Anna‹)
D2 d’amaranto] di rosso D D2 di •amaranto (›rosso‹) D1
d’amaranto B col quale] con quale D D1 con /il/ quale
D2 col quale B poi,] poi D D2 poi|,| D1 accettato] acceta-
to D D1 accet|t|ato D2 E anche] Anche D D2 E anche (←
Introduzione XXXVII

Anche) D1 stramazzò,] stramazzò D D2 stramazzò|,| D1


macellaio] maccellaio D D1 ma›c‹cellaio D2

Una seconda significativa ricognizione testuale con ul-


teriore labor limae si riscontra, a seguire, nel passaggio da
D1D2 a B. Il vettore correttorio conosce, infatti, un’altra
impennata. L’autore non si limita – nel passaggio dai dat-
tiloscritti alla bozza che precede la prima edizione Mon-
dadori (M1) – alla correzione dei soli refusi ma, colto da
nuovi ripensamenti e prima di dare alle stampe, innova
ancora e in non pochi luoghi del testo (B = M1)32:

D D1 D2
Ma quando poi fu nell’orto, si straiò Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso
all’ombra del pergolato, accanto alla da una grande stanchezza./ Si sdraiò
vasca, ›e non si mosse di lì per tutta (← si straiò) all’ombra del pergolato,
la giornata‹ con la testa sul basto del accanto alla vasca, con la testa sul
mulo. Disse che voleva star lì un poco basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che
a riposarsi, e si addormentò beata- voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si
mente allo scroscio del ritrecine. Mi- addormentò beatamente allo scroscio
chele gli mise accanto una brocchetta del ritrecine. Michele gli mise accan-
d’acqua fresca, per quando si sveglia- to una brocchetta d’acqua fresca, per
va, e andò a zappare, poco discosto. quando si svegliava, e andò a zappare,
Ogni tanto, sentendolo parlare, tor- poco discosto. Ogni tanto, sentendolo
nava; parlare, tornava;

B
Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò
all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si
addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto
una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i
cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹)
parlare, tornava;

Accade, inoltre, anche se eccezionalmente, che alla le-


zione definitiva si arrivi solo con M2. A trentatré anni

32
Da qui in avanti la sigla B designerà sia B (ultima bozza di stampa)
che M1 (Iª edizione, 1942).
XXXVIII DINO MANCA

di distanza, infatti, Dessì sottopose la redazione de “Lo


Specchio” a una nuova, ancorché lieve, ricognizione te-
stuale in vista della riedizione Mondadori “Scrittori ita-
liani e stranieri” dell’agosto del 1975. A tal proposito e a
titolo esemplificativo si propongono le seguenti combi-
nazioni corrispondenti alle distinte vicende elaborative
realizzate:

D D1 D2 B M2
voleva esigeva

nei cassoni nelle cassapanche

disse neppure la cosa disse la cosa

ringiovanito dalle loro parole. Ed era ringiovanito di pudore. Io non


un piacere misto di pudore. Io non

Mi assumo io il peso e la conseguenza In questo momento me ne assumo io


della bestemmia. stesso il peso e la conseguenza.

parola. Se D D1 D2 parola! se B parola!, se M2

confondeva a quello D D1 D2 fondeva (← confondeva)


||con|| (›a‹) quello B confondeva con quello M2

e mi guardai D ma (← e) mi guardai D1 D2 B ma mi guar-


davo M2

Lo ricostruivo D l’ho ricostruito (← Lo ricostruivo) D1


D2 B l’ho riconosciuto M2

bruciavano… D bruciavano il culo (← …) D1 D2 B bru-


ciavano il sedere. M2

Com’è altresì capitato che, o per un successivo ripen-


samento o per distrazione, l’autore (o chi per lui) abbia
ristabilito (o ricorretto o semplicemente lasciato) – nel-
lo stesso luogo del testo di una versione successiva – una
Introduzione XXXIX

lezione in precedenza emendata e non coincidente con


quella terminale di M2:
e l’invidia D ›e‹ l’invidia D1 e l’invidia D2 l’invidia M2

Infine, sia pur di rado, l’editore si è imbattuto in B in


una sorta di lectio singularis, nonostante che alla lezione
definitiva si fosse già giunti, nello stesso luogo del testo,
con le precedenti lezioni o di D, o di D1 oppure di D2:
Erano un certo Pedonca, capraio, padrone D C’erano
invece Pedonca, il padrone D1D2 C’erano invece Pedòn-
ca, il padrone B C’erano invece Pedonca, il padrone M2

Altre lezioni confinate a una testimonianza isolata e in-


novazioni o varianti (anche alternative) riscontrate in un
solo testimone sono:
disse|,| /e gettò/ gettando D1 gettando D D2 B M2

/ai truogoli/ in ogni truogolo D1 in ogni truogolo D


D2 B M2

/in molti/ non D1 non D D2 B M2

paura ›di Salvatore e di Benedetto‹, D1 paura di Salvatore


e di Benedetto, D D2 B M2

chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore aveva-


no?/ D1 non se le ricordava più D D2 B M2


2
giovane 1voce B voce giovane D D1 D2 M1 M2

interiore, D D1 D2 B interiore M2

L’orto D D1 D2 B Lo orto M2

In conclusione e per riassumere possiamo dire che, seb-


bene buona parte delle lezioni di D trovi sostanziale esito
XL DINO MANCA

e conferma dapprima in D1, poi in D2, infine (anche se


comprensibilmente sempre di meno) in B e in M2, Dessì
ha sempre e gradualmente innovato a tutti i livelli e sino
all’epilogo della parabola evolutiva del romanzo coincisa
con l’edizione del 1975, a due anni esatti dalla sua morte.
A questo punto ci chiediamo: di che natura sono le va-
rianti? Qual è stato il vettore correttorio? Quale orienta-
mento di senso l’ha legittimato e motivato? Innanzitutto
gli interventi revisori hanno riguardato gli aspetti orto-
grafici e lessicali (errori di battitura, accenti, apostrofi,
punteggiatura, doppie e scempie, pertinenza lessicale e
parole considerate inadatte, imprecise, ridondanti):
Sta D D1 D2 B Sta’ M2; Stai D D1 D2 B Sta’ M2; fin’allora
D D1 D2 B fin allora M2; qual’è D D1 D2 B qual è M2; cose
D D2 cose, D1; foglie, D D1 D2 foglie B; tutto D D1 D2
tutto, B; sopratutto D D1 D2 B soprattutto M2; strappaz-
zarla D1 D2 B strapazzarla M2; accetato D D1 accettato
D2B; un’avversione (›un odio‹) D; nemmeno D neppure
D1; neanche D neppure D1; nei cassoni D D1 D2 B nel-
le cassapanche M2; sentiva D D1 D2 udiva B; capitato D
successo D1; bue che si scostò D bue, che si ritrasse D1;
tornata D ridiventata D1; facile D D1 D2 agevole B; pen-
sieri riposti D D1 D2 2pensieri 1riposti B; del vecchio D
di suo padre D1; incontrare D imbattersi D1; s’alzavano
D si drizzavano D1; silenzioso D D1 D2 zitto B; padre D
morente D1; gettato D D1 D2 B portato M2

Ad un secondo livello si collocano, invece, le emenda-


zioni, innovazioni e calibrature morfo-sintattiche (tempi
e modi verbali, periodi, coesivi, concordanze):
facesse D fa D1; cercavo D ho cercato D1; Potevo D Po-
tevamo D1; avrebbe chiuso D chiudeva D1; fossi venuto
D venivo D1; e sia D se è D1; si è D siamo D1; muore D
D1 D2 è morto B; scomparve D era scomparsa D1; po-
tesse D D1 D2 poteva B; stava aiutando D D1 D2 aiutava
B; con l’aiuto di un servo allo stesso modo che un cane
Introduzione XLI

straiato al sole sente le pulci passeggiargli sotto il pelo.


L’orto e il podere erano parti del suo stesso corpo. Gli
bastava chiuder gli occhi D con l’aiuto di un servo. Gli
bastava chiuder gli occhi D1; alla bella vigna di Maddale-
na nei pressi del ponte del Faraone. D alla bella vigna del
Faraone. D1; rimedio. Così almeno spiegava l’antipatia
istintiva che sentiva per lui. Siccome D rimedio. Siccome
D1; le persone: solo che si guardava bene dal farne parola
per non fare la fine di Giovanni Boschino. Tra questi D
le persone. Tra questi D1; se niente fosse. Erano lì come
certa gente che va in chiesa per abitudine, quasi per far
piacere agli altri. Ma era D se niente fosse. Ma era D1 D2
prima. Ma era B; e gli pareva di udire, tra gli alberi della
riva, voci di uomini. Disse che l’orto lo avrebbe visto un
altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respira-
re quell’aria buona che lo rigenerava. Michele tornò alle
prere, D e udiva tra gli alberi della riva, voci di uomini.
Michele tornò al lavoro, D1 D2 e udiva tra gli alberi della
riva voci di uomini. Michele tornò al lavoro, B

A un terzo livello il discorso variantistico si sposta sul


versante più strettamente narrativo e stilistico, con una
più stringente tendenza sostitutiva o espuntiva. Lo scrit-
tore, infatti, intensifica, soprattutto in D1, il lavoro di con-
trollo e di sfoltimento del sottobosco narrativo, potando
e limando quanto più possibile gli elementi sovrabbon-
danti che ostacolano, rallentandolo, il percorso diegetico,
innovando sui significanti e sugli aspetti più specificata-
mente formali33. Sul «come», dunque, si determina la pa-
rabola evolutiva del romanzo, a partire proprio da D. È sul

33
Per rendere il ritmo narrativo più sostenuto l’autore ha innova-
to a diversi livelli formali ed espressivi. Da ascrivere a questa finalità
crediamo vi sia anche la frequentissima consuetudine codificatoria –
precisatasi sempre meglio nell’evoluzione da D a M2 – di apostrofare
(“gl’infondeva”) e soprattutto di apostrofare le particelle pronominali
atone davanti a vocale diversa da «i»: «s’affaccia» anziché «si affaccia»;
«s’era»; «s’avvicinò»; «s’arrampicava»; «s’addormentò»; «s’alzò»; «s’a-
privano»; «s’affidava»; «s’accorava»; «s’asciugava».
XLII DINO MANCA

«come», infatti, che si definisce la stessa identità semanti-


ca del racconto, la quale, appunto e per converso, non può
prescindere dalla peculiarità della sua forma. Partendo da
un tale assunto si comprende altresì l’importanza di una
filologia d’autore che, permettendoci di studiare la gene-
tica del testo e i diversi stadi di elaborazione, può meglio
chiarirci il rapporto intercorso tra l’autore e la sua opera34.
Altre volte e in altri contesti chi scrive ha ricordato – a
proposito del laboratorio deleddiano, dell’ars dictandi e
di quel «farsi del testo» che è proprio di ogni artigiana-
to compositivo e di ogni opera d’arte – che lo scrittore
tende a essere reticente, talvolta essenziale (il massimo
della comunicazione col minor numero di parole), perché
il suo scopo è di creare atmosfere e non unicamente di
mostrare i fatti, di raccontarli e non solo di fotografarli, di
sublimarli in poesia e non di riprodurli pedissequamente.
La trasfigurazione letteraria della realtà è, infatti, fonda-
mentalmente simbolica, non esclusivamente denotativa e
referenziale. La letteratura è evocazione, immaginazione,
omissione e la sospensione dell’incredulità si fonda molto
sul non-visto e sul non-detto, perché il non raccontato può
contare almeno quanto l’esplicitato35. Ancor di più questo
discorso acquista significato e valore per un autore dello
sguardo, della memoria e dello scavo psicologico, ontolo-
gico e conoscitivo qual è stato Dessì:

34
Analogo discorso si è fatto a proposito della filologia deleddiana e,
come già per la scrittrice sarda, analogamente si constata la quasi totale
assenza di edizioni critiche con apparato genetico o diacronico di buo-
na parte dell’opera dessiana. Tra le poche esistenti meritano di essere
ricordate per completezza e rigore (presenza di testo critico, apparato
diacronico, nota al testo, introduzione, note esplicative e di commen-
to) soprattutto quelle approntate da Franca Linari: Diari 1926-1931,
Roma, Jouvence, 1993; Diari 1931-1948, Roma, Jouvence, 1999; Diari
1949-1951, Firenze, University Press, 2009.
35
Cfr. D. Manca, Introduzione a G. Deledda, L’edera, Cagliari, Cen-
tro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, p. XCV.
Introduzione XLIII

D D1
Vacca disse che non era il caso di Erano rimasti lì un poco, poi vedendo
ritentare, dato che il colpo non era che non era il caso d’arrischiarsi a un
riuscito, e diede ai compagni l’ordi- nuovo tentativo, se n’erano tornati
ne di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| verso la radura dov’erano i cavalli.
(›Prima di andare via‹) si avvicinò Vacca era rimasto indietro col ferito,
al ferito, cavò di tasca il coltello da che fu trovato poi sgozzato come un
caccia, si chinò su di lui. Cosimo si agnello.
voltò dall’altra parte: sentì una spe-   A Cosimo e a Michele fu intimato,
cie di gorgoglio, un sospiro, poi più sotto la minaccia dei fucili spianati di
nulla. In silenzio s’avviarono verso la continuare il viaggio come se nulla
radura. fosse accaduto.
  A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati,
di continuare il viaggio come se nulla
fosse accaduto.
  Cosimo e Michele furono lasciati li-
beri con l’ordine preciso di continua-
re il viaggio come se nulla fosse stato.
E quattro giorni dopo tornarono a
Sigalesa coi loro acquisti: il torello da
monta e il giogo di buoi da lavoro.
  Interrogati dal capo della gendar-
meria se avessero incontrato uomini
armati sulla strada di Forri, dissero di
no, e furono lasciati in pace.

D2 B M2
Erano rimasti lì un poco, poi vedendo Erano rimasti lì un poco, poi pensan-
che non era il caso d’arrischiarsi in un do che non era il caso d’arrischiarsi a
nuovo tentativo, se n’erano tornati un nuovo tentativo, se n’erano tornati
verso la radura dov’erano i cavalli. verso la radura, dov’erano i cavalli.
Vacca era rimasto indietro col ferito, Vacca era rimasto indietro col ferito,
che fu trovato poi sgozzato come un che fu trovato poi sgozzato come un
agnello. agnello.
  A Cosimo e a Michele fu intimato,   A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati di sotto la minaccia dei fucili spianati,
continuare il viaggio come se nulla di continuare il viaggio come se nulla
fosse accaduto. fosse accaduto.

Michele Boschino è un «doppio racconto», ciascuno con


propria fonte di emittenza narrativa, proprio orientamen-
to ideologico e orizzonte percettivo, proprio incrocio di
punti di vista con rispettivi percorsi conoscitivi, proprie
situazioni pratico-esistenziali dinanzi alle quali si pongo-
XLIV DINO MANCA

no in relazione gli eventi narrati, non sempre legati fra


loro e, tuttavia, complementari e funzionali a una storia
principale. Episodi apparentemente diversi confluiscono,
in modo non di rado speculare, nell’alveo di un percorso
condiviso riproducendone il paradigma diegetico. Tale
«doppio racconto», dunque, ruota intorno ad un prin-
cipale centro di gravità, Michele Boschino, appunto, alla
sua storia, al suo vissuto, alla sfera pragmatica in cui è
coinvolto, alla sua visione del mondo e della vita. Questa
sorta di «racconto ripetuto» sembra ripercorrere – secon-
do direzioni, orientamenti e prospettive differenti – il cor-
so di un fiume, in un certo qual modo metafora della vita
di un contadino del centro Sardegna, vittima di soprusi e
rancori che lui stesso vorrebbe a un certo punto dimenti-
care per poter finalmente morire in pace:
Cose e gesti che ritornano, situazioni che si ripetono,
dovrebbero vivere nel libro come un albero vive nella
campagna; vivere e rivelarsi dai diversi punti di vista da
cui l’occhio dello scrittore e del lettore lo guardano, e nei
mille possibili e taciuti punti di vista. Avere in sé queste
mille possibilità come cose reali. Credo che tutto il libro
sia impostato in questo senso. Ci sono due punti di vista
che interferiscono, quello oggettivo e quello soggettivo
del giovane e della introspezione, ma il racconto è solo
apparentemente continuato: in realtà è ripetuto […]
Tutto sta in questa ripetizione, in questo aprire due pun-
ti differenti sull’orizzonte, da cui convergono due raggi
in un solo punto. Vorrei che si sentisse la possibilità di
mille altri raggi. Il lettore, nel mio ideale, dovrebbe sen-
tire, al di là della più rigorosa precisione della mia imma-
gine, il desiderio fantastico di ripensarla36.

36
Lettera di Giuseppe Dessì a Carlo Varese, 1947. La lettera si trova
pubblicata in: G. Dessì, Dal romanzo inedito Michele Boschino, “Lette-
re d’oggi. Rivista mensile di letteratura” III (serie III), 4 (maggio 1941),
pp. 32-33; C. Varese, Introduzione a Michele Boschino, Milano, Mon-
dadori, 1975, p. VII.
Introduzione XLV

Si tratta di un viaggio, soprattutto in un caso, dal forte


taglio analitico – memoriale, condotto in profondità (in
entrambi i racconti attraverso una marcata alterazione
dell’ordine lineare degli eventi) da due narratori diversi
per statuto e funzione. La prima istanza produttrice del
discorso narrativo richiama, molto sinteticamente, un
narratore onnisciente, extradiegetico ed eterodiegetico.
La seconda, più complessa, ricorda un narratore omodie-
getico, rappresentato, protagonista, testimone (diretto e
indiretto) e implicato nella vicenda37; emittente della nar-
razione e agente della storia, quest’ultimo gravita intorno
al pianeta Boschino:
Boschino era ancora bambino, quando suo padre co-
minciò a essere in urto coi fratelli, a causa di una piccola
eredità che essi non volevano riconoscergli. A quanto ho
capito, si trattava di un giogo di vecchi buoi. Questi fra-
telli, zii di Boschino, non avevano nessun diritto all’ere-
dità, tanto è vero che ricorsero a minacce e finirono per
passare alle vie di fatto: più volte picchiarono a sangue
il padre di Boschino. Finché costui, stanco, un giorno
reagì e spaccò la testa a uno dei fratelli. Fu denunciato e
condannato a due anni di reclusione... Con tutto questo,
Boschino dice che suo padre, dopo scontata la pena, non
serbava rancore né contro i fratelli, né contro i testimoni
che con le loro deposizioni ambigue avevano confuso le
idee dei giudici. (Bada bene che queste sono le testuali
parole che traduco dal dialetto. Boschino ha un altissimo
concetto della legge e di chi l’amministra: il Procurato-
re del Re è per lui una persona quasi sacra.) Il padre di
Boschino era un uomo mite, che smentiva il suo sangue
violento e cruccioso. Nella famiglia, era ‘come un ramo
d’olivo in un albero d’olivastro’ dice Boschino. Cono-
scendo bene i fratelli, esortò sempre suo figlio a evitare
con loro ogni relazione, per l’avvenire, anche se avesse-

37
L’io narrante racconta innanzitutto se stesso, e fa di una parte della
sua vita l’oggetto del racconto.
XLVI DINO MANCA

ro mostrato di essergli amici. Boschino invece, dopo la


morte del padre, si riconciliò con loro. Aveva comprato
un terreno da mettere a vigna. Se ho ben capito, una par-
te di questo terreno, che apparteneva a una vedova, era
intestato, forse per errore, a uno degli zii, che ne pagava
anche le tasse; e la vedova lo rimborsava anno per anno.
Da alcuni anni però, quando Boschino comperò il terre-
no, questo rimborso non veniva fatto. Boschino detrasse
questa esigua somma dal prezzo del terreno che pagò
alla vedova, per versarla allo zio, che già precedentemen-
te s’era impegnato a far la voltura a suo favore. Lo zio
però trascurò, in buona o in mala fede, di far la voltura,
e i figli, dopo la sua morte, non vollero più sentire ragio-
ni e pretendevano d’impadronirsi della parte intestata a
loro che era al centro del terreno comprato da Boschino.
Ci fu una prima causa, perduta, naturalmente, dai cugi-
ni. Rinasceva così, sotto altra forma, l’antica contesa, che
finì per assumere tutti gli aspetti di quell’altra, perché i
cugini non si davano pace, e chiedevano a loro volta un
risarcimento dei danni della causa, riportando anche in
ballo la questione dell’antica eredità! Qui, nella vicenda,
considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto
oscuro, che solo io forse sono in grado di spiegare. A un
certo punto tutte e due le famiglie degli zii si trovano
coinvolte nella contesa, mentre la causa era stata fatta
contro gli eredi di uno solo di essi. A me è sembrato di
capire che Boschino, per metter termine alla cosa, abbia
promesso di dare – cioè di regalare – un giogo di buoi
al più giovane dei cugini, figlio di Salvatore, quello che
strepitava più di tutti. E meno strano di quanto può sem-
brare. Perché Boschino era rimasto vedovo, senza figli,
e con un patrimonio discreto. Secondo la mia idea, gli
altri parenti quando seppero che Boschino aveva deciso
di regalare i buoi al giovane, accamparono anche loro
dei diritti. Allora Boschino ritirò la promessa fatta. Tu ti
chiederai perché. E molto semplice: Boschino, cedendo
i buoi, non intendeva riconoscere il diritto dei parenti
sull’antica eredità, ma comporre la lite presente. Inten-
deva fare un dono al cugino, un dono che fosse anche
il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma
Introduzione XLVII

dell’antica pretesa dei parenti: un giogo di buoi. Le pre-


tese avanzate dagli altri trasformarono questo giogo di
buoi nell’oggetto stesso della contesa primitiva, ormai
conchiusa con gli zii morti. Si trattava di ammettere il
torto del padre, il proprio, di rimangiarsi tutto, di toglier
valore alla riconciliazione avvenuta con quegli altri due
che non c’erano più. Niente di strano dunque se Boschi-
no non mantiene la promessa fatta. Poco tempo dopo, il
giovine a cui erano stati promessi i buoi, se li prese dal
chiuso di nascosto: era un furto, Boschino avrebbe potu-
to denunciarlo: ma invece non lo fece neanche quando
si seppe che i buoi erano stati portati via, in un paese del
Goceano. Minacciò però di sporgere denunzia, e allora
i parenti del ragazzo gli promisero di fargli restituire i
buoi o di rimborsarlo in qualche modo, e di pagargliene
intanto il fitto. Per molti anni Boschino portò pazienza,
e sempre, a chi gli chiedeva dei buoi, diceva di averli dati
in affitto al cugino. Costui però andava dicendo che non
gli avrebbe mai pagato un soldo, perché, secondo lui, Bo-
schino era sempre debitore verso suo padre per via della
vecchia eredità, e per giunta cominciò a metterlo in ridi-
colo. I parenti lo secondavano, e siccome Boschino, con
la sua tolleranza, s’era fatto la fama di un buono a nulla,
tutti credevano di poter approfittare della sua roba. Allo-
ra gli fu consigliato di rivolgersi a un avvocato. Antonio
Colliva, che cominciava in quel tempo la sua carriera la-
vorando in provincia, gli offrì di patrocinarlo. Esaminata
la questione gli assicurò che sarebbe riuscito a fargli re-
stituire i buoi senza ricorrere al Tribunale. Era quel che
desiderava Boschino. L’avvocato si fa fare una procura
generale, interroga i testimoni, minaccia di denunciare
il giovane per furto. I parenti protestano, affermano di
aver avuto in affitto i buoi, si compromettono tutti quan-
ti. Era lo scopo dell’avvocato, che intenta subito la causa
per la restituzione dei buoi e per il pagamento del fitto
di tutti quegli anni. Boschino ormai doveva accettare ciò
che l’avvocato imponeva, e forse non si rendeva conto
delle precise richieste del suo difensore. La causa è vin-
ta. Capitale, interessi, spese della causa, onorario degli
avvocati raggiungono una cifra incredibilmente alta. La
XLVIII DINO MANCA

roba dei disgraziati parenti viene messa all’asta. Non so


dirti come si siano trovati tutti implicati, nella causa, ma
è un fatto che si rovinarono tutti per cercare di salvarne
uno. Questa fu una vera disgrazia anche per Boschino.
Ormai non poteva più vivere nel suo paese. Incaricò l’av-
vocato di vendere anche la sua roba e se ne andò col car-
ro e i buoi. Si diresse verso Parte d’Ispi, dove lo chiamava
il ricordo della moglie, che era di Mamusa. E si stabilì
qui a Ultra […]38.

Grande è il significato che, nella generale poetica dello


scrittore, assume la temporalità proustianamente intesa
come durata soggettiva, misura del vissuto e del percorso
esperienziale dell’«io», come rapporto imperfetto e non
speculare tra tempo interiore e tempo fisico (l’oggetto si
dà, appunto, «per» il soggetto conoscente che lo intenzio-
na nella sua coscienza):
Il tempo lì non è un tempo collettivo, sociale, è un tempo
individuale, soggettivo, che non ha legge, inconcepibile
per qualsiasi italiano della penisola, e forse per qualsiasi
europeo39.

Il flusso memoriale, se non proprio coscienziale, diven-


ta in Dessì scandaglio conoscitivo di universi ontologici,
ricerca problematica di storie parallele, verticali e concen-
triche, verso verità spesso rinviate e rimandate all’infinito.
Il tutto è realizzato con un uso sapiente delle tecniche del-
la variazione, del rallentamento e della sospensione ellitti-
ca, della ripresa e del disvelamento. La memoria, dunque,
diventa la costante, il vero tòpos semantico:
Da molto tempo mi son fatto la convinzione che i fatti

38
Si propone qui la relazione «oggettiva» della vita di Boschino fatta
da Linda, per via epistolare, al giovane Filippo nella seconda parte del
romanzo.
39
G. Dessì, Introduzione a Scoperta della Sardegna…, cit., p. 5.
Introduzione XLIX

non hanno alcuna importanza: per questo è inutile no-


tarli. Non i fatti contano né la loro concatenazione di
causa e di effetto (che è una interpretazione astratta,
meccanica) ma la loro trama, il loro fluire. E ho sempre
preferito sentirli fluire nella memoria. Una nota che fissa
un fatto sul diario mi dà tristezza come una fotografia;
mi ripugna. Come se forzassi la natura del fatto stesso
chiudendolo in una cornice artificiale e morta di tempo
[…]40.

Nella generale struttura segnica del racconto, fra le uni-


tà descrittive, più che gli attributi fisici prevalgono quelli
psicologici e fra le unità funzionali si distinguono le eide-
tiche (riguardanti la processualità interiore degli esisten-
ti) che si rapportano al codice semico-simbolico e alla
struttura antropologica dei personaggi. La forma che gli
avvenimenti assumono nella libera dinamica dell’esposi-
zione è, come scritto, ricca di sfasature temporali. Il con-
fronto fra l’ordine degli accadimenti nel racconto-narra-
zione e l’ordine degli stessi nella storia-diegesi evidenzia
sistematiche anacronie, ripetute e indicative distorsioni
temporali che connotano, in termini anche simbolici,
l’impianto narrativo. Un lavoro di destrutturazione della
parafrasi integrativa della fabula – già estrapolata e asciu-
gata delle numerose unità circostanziali e completive – ci
consegna, infatti, un racconto caratterizzato da una strut-
tura a recuperi analettici multipli, da un continuo ondi-
vagare fra un non sempre ben definito adesso narrativo41
ed excursus regressivi con flash-back riassuntivi che rico-
struiscono in modo quasi pulviscolare le tranches di un
prima. L’utilizzo del verbo all’imperfetto, che il proces-
so correttorio da D a M2 rende evidente, concorre a suo

40
G. Dessì, Diari…, p. 80.
41
Spesso di carattere generico, continuativo, iterativo e singolativo
sono infatti le determinazioni temporali: «un giorno», «alcuni anni
prima», «sui vent’anni», «parecchie volte a distanza di tempo».
L DINO MANCA

modo a determinare un flusso temporale indeterminato,


durativo e iterativo:
conobbe D conosceva D1; volesse D voleva D1; avrebbe
dato D D1 D2 dava B; avrebbe chiuso D chiudeva D1; fos-
si venuto D venivo D1; potesse D D1 D2 poteva B; stava
aiutando D D1 D2 aiutava B; hanno D avevano D1; di-
sturba D D1 D2 disturbava B; raddrizzasse D raddrizzava
D1; ossessiona? D ossessionava? D1

In questo quadro la categoria del tempo si dilata e si


frantuma nello spazio, che è altresì spazio verticale, dell’a-
nima, dell’immaginazione e del vissuto. La memoria, in-
dividuale, familiare e collettiva, si convoglia entro percor-
si apparentemente immotivati e distanti che s’intersecano
e si risolvono invece sullo sfondo di un paesaggio carsico,
in una tramatura fitta puntellata di recuperi rimemorativi
gestiti – nella prima parte – da una coscienza narrante de-
positaria di una verità ontologica di cui investe gli esisten-
ti e che, nel sapiente atto della rappresentazione, diventa
la verità stessa dei personaggi che interagiscono in vario
modo e a diversi livelli.
L’io-narrante conosce bene il microcosmo trasfigurato
in finzione letteraria42; lo conosce dall’interno, tanto da

42
«Non è vero che Vincenzo conosca la campagna meglio di me: lui
sa sfruttarla meglio, ma io la conosco più intimamente di lui, e sono
certo che se tornassi a San Silvano fra venti anni dopo essere vissuto
a Milano o a Londra, tornando e sentendo la ruvidezza di questi tron-
chi, l’odore amaro di queste foglie, l’erba piegata dal vento sfiorarmi
le gambe, io riacquisterei questa conoscenza perfetta della campagna.
Che è conoscenza di questa campagna. Un giorno, ad Assisi, dove ero
stato a trovare un amico sul finire della primavera, dopo un lungo sog-
giorno cittadino, mi sentii, mi svegliai in mezzo alla campagna. Intor-
no grano verde, odore della terra ricca di [-] riscaldata dal sole, l’odore
della estate che si avanzava, uno di quegli annunci che ti fanno sentire
la stagione che viene quasi spiritualmente; l’estate, l’autunno. Eppure
io in quella ricchezza della natura, in mezzo a tutto quel verde, a quei
Introduzione LI

insinuarsi, confondendosi e mimetizzandosi, ad esempio,


in non pochi eventi verbali, soprattutto scenici:
«Io, quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato
un uomo giusto, sincero»

«È tuo padre che deve decidere»

«non farti vedere a piangere da tua madre»

«a volte la gente non sanno quello che dicono […]»

«[…] perché non è lei che guardano male, ora!»

«Babbo se ne sta andando»

«Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Bo-


schino»

«non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei suoi


rimorsi, a farti un’opinione sbagliata»

«Come sarebbe bello ora» pensava «se Michele sposava


Angela!»

«Cosa ci possono fare, la gente?»

«A me mi hanno ammazzato il figlio […]»

«Chi sa cosa diranno, la gente»

Altri usi linguistici regionali dell’italiano, forme d’uso


comune e della colloquialità, modi di dire e significati
idiomatici, anche nelle parti discorsive e descrittive (che

monti lontani dalle linee ampie e calme, mi sentii rapire da quell’odore


verso San Silvano, riconobbi San Silvano, la sola cam­pagna che io co-
nosco e possiedo come possiedo il mio corpo. Nessuno conosce e ama
così San Silvano […]» (G. Dessì, Diari…, p. 71).
LII DINO MANCA

rimandano più direttamente alla fonte di emittenza nar-


rativa), confermano questa consuetudine codificatoria:
I due stettero ad ascoltarlo con la faccia incantata; poi gli
saltarono addosso e cominciarono a menar botte, che se
continuavano ancora un poco lo lasciavano morto

le tornava sempre anche quando ce l’aveva col figlio

non avevano nulla a che fare con l’argomento che le sta-


va a cuore

sapere cosa si diceva in paese;

si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la


pancia piena di mosche

Avevano fatto la strada a piedi

Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano co-


minciato a salutarsi

eppure Michele non sapeva decidersi

Io e te dobbiamo dimenticarci

Allora, per non farsi vedere a piangere scioccamente

Sembrava di cera, e odorava solo a guardarlo

Ma a me mi giudicherà Quello che vede tutto e sa tutto

Non è la loro educazione che limita le loro letture

Ma non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei


suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata

per sciogliere al pascolo i buoi


Introduzione LIII

Intenti mimetici e modulazioni del parlato si celano an-


che nelle frequenti iterazioni retoriche (anadiplosi, epa-
nadiplosi, epanalessi) poste in essere dalla voce narrante:
La terra affittata rendeva meno sì, ma rendeva ogni anno
nella stessa misura;

Pensava a Michele, ai figli di Michele, e ai figli dei figli

accrescere la roba del padre, che era roba sua, ingrandire


la casa del padre, che pure era sua

obbedire a qualcuno come prima aveva obbedito a suo


padre.

scerbavano il grano nel piccolo campo di Spinàlva, più


piccolo anche di questo di Monte Ulìa

Disse che si vedeva che la fortuna aiutava Michele come


aveva sempre aiutato Giuseppe

L’uso, inoltre, del trasposto in stile indiretto nel riferire


i discorsi e i pensieri dei personaggi, a volte determina,
secondo un effetto di transfert, un certo grado di media-
zione e d’imitazione che riduce la distanza fra lettore ed
esistenti accrescendo nello stesso tempo il livello di vero-
simiglianza narrativa:
Ma il malato, quando si parlava di questo, non ragio-
nava più. S’era messo in testa di stare meglio, che quei
dolori insopportabili era il letto che glieli dava, che la
vera medicina per lui era l’aria della campagna; e voleva
farla finita una buona volta, se no ci lasciava la pelle dav-
vero […] Neanche a lui i testimoni della difesa avevano
detto le sole cose che importava dire: non osavano accu-
sare apertamente Salvatore e Benedetto. Sapevano che
l’avvocato si sarebbe valso delle loro parole e li avrebbe
costretti a ripeterle nell’aula. Ora, con Salvatore e Bene-
detto Boschino non c’era tanto da scherzare. Non era-
LIV DINO MANCA

no uomini di buona pasta come Giuseppe, quelli. Ecco


cosa avevano fatto i testimoni della difesa, la gente! Cosa
sarebbe accaduto ora, se dalla deposizione di Antonio
Màsala, o da qualche altro indizio, si scopriva che c’era-
no anche Cosimo Aneris e lui, quella sera? O se la stessa
persona che aveva avvertito Antonio Màsala faceva la
spia? Chi lo avrebbe difeso? Chi avrebbe creduto che lui
stesso aveva subito una violenza? Meglio non pensarci
neppure. Non contava nulla essere onesti e miti come
suo padre. Nulla! […] Come avrebbe voluto ascoltare
ancora quella voce amica e saggia! Come avrebbe voluto
poter credere che per il vecchio non c’era nulla d’impre-
veduto, e che anche la cosa che era capitata a lui qualche
sera prima non era né straordinaria né terribile, e che
lui, Michele, era innocente, e che faceva bene a tacere, a
confessarsi solo con lui, suo padre […]

L’io-narrante, proiezione per certi versi di un io-auto-


rale, si rivela figlio e voce fedele della coscienza di quel
mondo. Attraverso il racconto «oggettivo» egli cerca, nel-
la prima parte, di spiegare e comunicare agli altri:
Un racconto oggettivo poteva essere bello poteva mette-
re me in comunicazione con gli altri più di quanto non
potesse farlo il racconto intimistico. Michele Boschino
nacque per soddisfare questa esigenza. […] Ho porta-
to avanti per un bel po’ questo romanzo, ma a un certo
punto mi risvegliò l’antico amore per le cose che solo nel
segreto si conoscono, che solo violando il segreto, maga-
ri di un’altra persona, si riescono a penetrare. Il racconto
oggettivo viene lasciato in tronco e il libro continua alla
voce dell’io43.

In verità, però, a ben vedere giganteggia piuttosto una


sorta di «io» dimidiato, scisso, posto tra due universi
linguisticamente, antropologicamente e semioticamente
connotati che tuttavia – pur nella conflittualità dei codici

43
Cfr. C. Toscani, Dessì, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 5.
Introduzione LV

e nella dialettica ideologica – coesistono e si compene-


trano e inducono il soggetto poetante ad una narrazio-
ne contrassegnata dalla stratificazione del linguaggio, ad
una trasfigurazione letteraria dell’identità contaminata e
simbiotica, pluridiscorsiva e plurilingue. Del resto questo
è stato uno dei tratti distintivi della scrittura letteraria in
Sardegna. Attraverso gli alfabeti del mondo e le lingue
storicamente affermatesi nel proprio territorio, un po-
polo compie – soprattutto grazie ai suoi poeti, scrittori
e artisti – la transizione modellizzante e simbolica dal
piano della natura a quello della cultura, e ogni cultura
tende a sua volta a pensare e a descrivere se stessa in un
certo modo, ossia a costruire un «automodello»44. Qua-
le rappresentazione, quindi, quale idea o immagine del-
la Sardegna e della cultura sarda ci hanno consegnato la
Deledda e Dessì e con essi, come vedremo, tanti scrit-
tori, artisti e poeti isolani? Quale rappresentazione della
propria gente, della propria storia, delle esistenze, degli
spazi immaginati e vissuti? Quale «automodello», appun-
to? Certamente attraverso la trasfigurazione artistica e
metaforica dell’isola, si è realizzata la sublimazione (jun-
ghianamente intesa) di una sorta d’inconscio collettivo,
immenso archivio di simboli e miti che si è tramandato
nel tempo, di generazione in generazione, e che si è strut-
turato attorno ad archetipi fondanti, a fantasie e a imma-
gini primordiali e condivise, a un sentimento religioso e a
modelli originari d’esperienza sedimentati nelle profon-
dità della psiche non solo dell’individuo ma di un intero

44
Cfr. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiato-
re, 1966; J. M. Lotman, Tesi sullo studio semiotico della cultura, Par-
ma, Pratiche, 1980; Testo e contesto, Bari, Laterza, 1980; J. M. Lotman
- A. Uspenskij Boris, Tipologia della cultura, a cura di R. Facciani,
M. Marzaduri, Milano, Bompiani, 2001; C. Segre, Semiotica, storia e
cultura, Padova, Liviana, 1977.
LVI DINO MANCA

popolo45. La ricorrenza di temi, motivi, figure, situazioni,


percezioni, visioni del mondo e della vita – riscontrabili
in buona parte della produzione letteraria sarda – deriva
dall’enorme serbatoio di esperienze, che devono la loro
esistenza all’ereditarietà sociale di una comunità mille-
naria antropologicamente connotata. Queste possibilità
ereditate di rappresentazioni e una tale predisposizione
degli artisti sardi a riprodurre forme e immagini arche-
tipiche, che corrispondono alle esperienze storicamente
e culturalmente compiute dalla propria gente nello svi-
luppo storico di una coscienza individuale e collettiva, si
sostanziano letterariamente in topoi e isotopie sememi-
che che trovano magistrale compiutezza in molte opere
letterarie e non solo. La descrizione e la percezione del
paesaggio, il rapporto con la natura e con la madre terra,
una certa idea della vita e della storia, il sentimento dell’i-
dentità e dell’appartenenza, la concezione del tempo e del
mito, la rappresentazione dei personaggi, il sentimento
religioso, il tema della nostalgia e della memoria, l’idea
d’insularità e di frontiera, il rapporto con l’altro, l’altro-
ve e lo straniero, determinano percorsi semantici ricor-
renti e ossessivamente incombenti nelle opere di molti
scrittori e poeti in lingua sarda e italiana46. E una delle
questioni dirimenti che gli autori più avvertiti e consape-
voli dovettero affrontare da un punto di vista narrativo
fu, infatti – dopo il processo di unificazione e a partire
45
Cfr. C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Roma, Ed. Raffaello Cortina
Editore, 1983.
46
Cfr. G. Marci, Introduzione a Narrativa sarda del Novecento. Im-
magini e sentimento dell’identità, Cagliari, Cuec, 1991; C. Lavinio,
Narrare un’isola, Roma, Bulzoni, 1991; N. Rudas, L’isola dei coralli.
Itinerari dell’identità, Roma, Bulzoni, 1997; N. Tanda, La rappresenta-
zione della Sardegna tra cultura osservante e cultura osservata, in Quale
Sardegna? Pagine di vita letteraria e civile, Sassari, Delfino, 2007, pp.
15-139; D. Manca, Introduzione a G. Deledda, L’edera, ed. critica,
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, pp. XXIX-LIX.
Introduzione LVII

almeno dall’opera del Nobel nuorese – come tenere in-


sieme cultura osservata (il mondo sardo) e cultura osser-
vante (sardo-italica); come costruire un narratore capace
di raccogliere lo straordinario bagaglio conoscitivo di un
autore implicito figlio del suo mondo e profondo cono-
scitore dei suoi codici: un narratore che, ponendosi a una
distanza minima dall’universo rappresentato, sapesse
nello stesso tempo raccontare l’anima e il vissuto della
sua gente a un pubblico d’oltremare. Tuttavia, una com-
pleta estraneità linguistica, culturale e morale rispetto al
mondo narrato avrebbe, infatti, reso inautentica e soprat-
tutto incomprensibile l’operazione letteraria. Anche per
questo talvolta, per accrescere la naturalezza della resa
«oggettiva» dell’ambiente, molti scrittori in lingua ita-
liana attinsero dal ricco giacimento etnolinguistico, in-
traprendendo la difficile strada del mistilinguismo, della
mescidanza e dell’ibridismo; opzioni certamente più ade-
guate e rispondenti alla messa in scena di un microcosmo
sardofono. Perciò s’innestano sul tronco della lingua di
derivazione toscana elementi autoctoni (calchi, sardismi,
soluzioni bilingui), procedimenti formali della collo-
quialità e termini pescati dal contingente lessicale della
lingua sarda; per corrispondere all’intento mimetico di
traducere, trasportare, un universo antropologico forte-
mente connotato dentro un sistema linguistico altro; o
viceversa, per modellare o rimodulare il codice letterario
di riferimento (quello della tradizione letteraria italiana
scritta) su un sostrato linguistico altro, per secoli quello
dell’oralità primaria e principale veicolo di comunica-
zione del tessuto semiotico e dei saperi della comunità
rappresentata letterariamente. E tutto ciò, per gli scrit-
tori in lingua italiana, sarebbe dovuto accadere senza
rinunciare – pena l’insuccesso editoriale e la fuoriuscita
da quei criteri inclusivi che andavano definendo i canoni
estetici e letterari «nazionali» – all’attrazione secolare e
LVIII DINO MANCA

legittimante del modello toscano. Sarebbe sufficiente, a


tal riguardo, dare una scorsa al contingente lessicale del
romanzo dessiano anche nella sua evoluzione stratigrafi-
ca, per capire il certosino lavoro di ricerca e di selezione
svolto sui dizionari (il Tommaseo su tutti) dallo scrittore
sardo. Nella lettura di Michele Boschino ci sovvengono,
ad esempio, termini come:
ritrecine, basto, noria, gora, profenda, maglio, scerba-
re, accestire, in traversare, mallo, cimolo, callaia, gerla,
mastello, muglio, beccaio, coltella, mezzaria, crescione,
apio, sala, sgonfiotti, barbicaia, staggiano, abbarcato,
comperò, giovine, danari47.

Per converso, ai preziosismi lessicali e alla ricercata


pertinenza terminologica fanno da contrappunto con-
suetudini codificatorie e scelte stilistiche che significa-

47
Le riflessioni di Dessì sulla lingua «meritano indubbiamente un
esame attento a cogliere e rilevare sia il versante dell’impegno teorico
ma anche quello dell’impegno formale che egli, intellettuale ormai di
cultura italiana ed europea, ha impiegato riformulare, in un altro si-
stema linguistico, italiano, ciò che egli riusciva a decifrare, con la sua
competenza, dai codici sardi. Un impegno che è in ragione di una scel-
ta linguistica e letteraria perfettamente ortodossa, come ha rimarcato
la Lavinio ma, aggiungiamo, proprio perché altra, di inappartenenza:
una scelta vissuta, evidentemente, e anche sofferta in maniera lace-
rante. Non a caso il suo modello di lingua tende verso l’integrazione
nazionale verso una lingua letteraria che egli si è conquistato giorno
per giorno, con lo studio. Davanti al suo tavolo di lavoro Dessì aveva
un’edizione ottocentesca del Dizionario del Tommaseo. Solo ora nel
rileggere alcuni suoi libri, in particolare Michele Boschino, riesco a im-
maginare e a comprendere quale debba essere stato il suo rovello nel
commutare in italiano, in una prosa corrispondente ai modelli letterari
tra le due guerre, per intenderci tra “Solaria” e “Letteratura”, e che egli
ha con­tribuito ad arricchire ed innovare, quanto aveva appreso e co-
nosciuto dei codici sardi, ripulendo la lingua mediante il Tommaseo
[…]» (N. Tanda, Dessì e il problema dei codici, in Letteratura e lingue
in Sardegna, Cagliari, Edes, 1984, pp. 119-122).
Introduzione LIX

tivamente allontanano il dettato dal rigore normativo e


dalla tradizione grammaticale del modello (in taluni casi
difficilmente ascrivibili a esclusivi intenti mimetici), come,
ad esempio, la non infrequente scelta di isolare le propo-
sizioni subordinate e le frasi nominali tra due pause forti o
di introdurle con la congiunzione coordinativa di tipo av-
versativo, come alcune mancate concordanze tra soggetto
e predicato, oppure come l’uso dei pleonasmi o l’utilizzo,
nelle forme passive, di «venire» al posto di «essere», del
pronome di terza persona «egli» piuttosto che «lui», del
verbo intransitivo anziché transitivo, dell’ausiliare «avere»
in luogo di «essere», dell’indicativo invece del congiuntivo:
Così anche per il grano in erba, per il grano da mietere
e da trebbiare.

Tornare e trovare tutto in ordine, il cortile scopato, la


pentola sul fuoco, il telaio coperto col panno di lino, e
ricevere il saluto di quella voce simpatica e allegra.

Ma la bambina non piangeva.

la piazzetta e la scarpata scoscesa si riempiva di suoni


acquatici

Si sentì su per le scale un passetto leggero e la vocetta di


Caterina

Pensava perfino che delirasse; ma invece era fresco e il


polso batteva regolarmente.

La certezza che suo padre venisse messo in libertà

Forse gli altri sapevano di lui più di quanto egli non sa-
pesse di loro.

sfuggendo lo sguardo di Michele


LX DINO MANCA

avrebbe dovuto venir divisa in tre parti uguali

Pensò che qualcosa doveva essere accaduto.

A differenza di quanto era accaduto per altre grandi lin-


gue di cultura, infatti, la fisionomia dell’italiano era stata
determinata soprattutto dallo stretto legame con la tradi-
zione letteraria, avviata, soprattutto a partire dalla pro-
posta normativa del Bembo, sui binari della compattezza
e dell’arcaismo classico. Una tradizione che si era dimo-
strata lontana dalla lingua d’uso quotidiano, riccamente
rappresentata dai dialetti parlati nelle varie regioni. Un
tale scarto avrebbe provocato col tempo il declino della
stessa lingua italiana, appresa, come una lingua straniera,
in modo libresco, attraverso lo studio delle grammatiche,
dei vocabolari e delle opere dei classici e sentita, parafra-
sando Isella, «estranea e inamabile»:
Ma chi si senta di addentrarsi nell’isola per proprio con-
to, rinunciando agli itinerari prestabiliti, chi vuol vedere
le cose come stanno veramente, non correrà nessun ri-
schio di perdersi. Anche se la faccia di questi uomini e di
queste donne è dura e chiusa. Sono ospitali e silenziosi.
Non tollerano di essere interrogati sulle loro faccende
personali. Questo fa sì che di fronte a loro ci si possa sen-
tire estranei come di fronte ad antiche statue barbariche.
Ma per superare il disagio, basta che ci liberiamo dalla
nostra storicità. Essi sono lì, fermi, davanti a voi […]
parlate, aspettate che rispondano, e uno strato di tempo
incommensurabile vi separa da loro mentre vi porgono
il loro pane di grano duro appena sfornato, la ricotta an-
cora calda, e parlano un italiano corretto, stranamente
libresco, imparato a scuola48.

E così scrisse la Deledda:

48
G. Dessì, La mia Sardegna, “Il Gatto Selvatico”, n. 8, VII (agosto
1961), p. 12.
Introduzione LXI

Ora non faccio nulla. Cioè, studio soltanto e, secondo il


suo consiglio, cerco di studiare la lingua, perché la fanta-
sia non mi manca. E ho afferrato il Manzoni, il Boccac-
cio e il Tasso, e tanti altri classici che mi fanno sbadiglia-
re e dormire. Dio mio! È inutile! Io non riuscirò mai ad
avere il dono della buona lingua, ed è vano ogni sforzo
della mia volontà. Scriverò sempre male, lo sento, perché
l’abitudine di scrivere così come viene è radicata ormai
nella mia povera penna49.

49
Lettera di Grazia Deledda ad Antonio Scano, Nuoro 10 ottobre 1892.
La lettera si trova pubblicata in G. Deledda, Versi e prose giovanili, a
cura di A. Scano, Milano, Ed. Virgilio, 1972, p. 251. Sull’argomento
si vedano altresì, a titolo esemplificativo: R. Bonghi, Perché la lette-
ratura italiana non sia popolare in Italia. Lettere critiche, Milano, F.
Colombo – F. Perelli, 1856; B. Croce, La letteratura dialettale riflessa,
la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico, “La Critica”, XXIV,
6 (20 novembre 1926), pp. 334-343 [poi in: Id., Uomini e cose della
vecchia Italia, serie I, Bari, Laterza, 1927, pp. 225-234]; M. Sansone,
Relazioni fra la letteratura italiana e le letterature dialettali, in Aa. Vv.,
Problemi ed orientamenti critici di lingua e di letteratura italiana – IV,
Letterature comparate, Milano, Marzorati, 1948, pp. 281-287; Poesia
dialettale del Novecento, a cura di P. P. Pasolini e M. Dell’Arco, Parma,
Guanda, 1952; G. Contini, Dialetto e poesia in Italia, “L’approdo”, III,
2 (1954), pp. 12-18; Ultimi esercizi ed elzeviri, Torino, Einaudi, 1988;
T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963
[1972]; D. Isella, Introduzione a A. Manzoni, Postille al Vocabolario
della Crusca nell’edizione veronese, a cura di D. Isella, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1964, VIII-XVII; C. Dionisotti, Per una storia della lingua
italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einau-
di, 1967; C. Segre, Polemica linguistica ed espressionismo dialettale
nella letteratura italiana, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli,
1974, pp. 407-426; Aa. Vv., Letteratura e dialetto, a cura di G. L. Bec-
caria, Bologna, Zanichelli, 1975; G. Devoto, Profilo di storia lingui-
stica italiana, Firenze, Le Monnier, 1976; P. V. Mengaldo, Lingua e
letteratura, in Lingua, sistemi letterari, comunicazione sociale, Padova,
CLEUP, 1978, pp. 137-200; Poeti italiani del Novecento, a cura di P. V.
Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978, pp. LXXVII-1096; F. Brevini,
Poeti dialettali del Novecento, Torino, Einaudi, 1987; Le parole perdute.
Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990; La poesia in
dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, III tomi, Milano, Mon-
LXII DINO MANCA

Da una parte, quindi, un’élite d’intellettuali, scrittori e


poeti proiettati verso un modello alto e sublime informato
in poesia sul monolinguismo petrarchesco e in prosa sul
«bello stilo» boccacciano, dall’altra i tanti parlari e parlan-
ti italici con i numerosi autori, cosiddetti periferici, esclusi
da quella minoranza di eletti del Parnaso, non disposti ad
adeguarsi a un sistema linguistico allotrio. Si era attivata
cioè una dinamica centripeta, che più che a includere ten-
deva a escludere dal diritto di cittadinanza, in un’ideale e
anelata res publica litterarum. Per aspera sic itur ad astra:
Per noi Sardi la cosa è molto diversa. Abbiamo un modo
diverso di essere Italiani, o di diventarlo. Noi non par-
liamo un dialetto italiano, anche se, volgarmente, il sar-
do è definito tale. Si tratta di una lingua, non di un dia-
letto. Non una lingua dotta, ma pur sempre una lingua
a sé, per la sua struttura morfologica e sintattica e per
il suo lessico. Max Leopold Wagner, la massima auto-
rità mondiale in questo campo, nell’opera che prende
appunto il titolo dalla lingua sarda, pubblicata recente-
mente dalla casa editrice Franke, di Berna, illustra magi-
stralmente questa tesi ormai accettata dai dotti. Non vi
è dunque, tra la lingua materna di noi Sardi e la lingua

dadori, 1999; La letteratura degli italiani. Perché molti la celebrano e


pochi la amano, Milano, Rizzoli, 2010; A. Dettori, Italiano e sardo
dal Settecento al Novecento, in La Sardegna, Storia d’Italia. Le regioni
(dall’Unità a oggi), Torino, Einaudi, 1998, pp. 432-487; L. Serianni,
Storia della lingua italiana. Il secondo Ottocento: dall’Unità alla prima
guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1990; A. Stussi, Lingua, dialetto,
letteratura. Dall’unità nazionale a oggi, Torino, Einaudi, 1993; L. Seri-
anni – P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, II – Scritto
e parlato / III- Le altre lingue, Torino, Einaudi, 1998; C. Marazzini,
La lingua italiana. Profilo storico [1994], Bologna, il Mulino, 1998; C.
Grassi, A. A. Sobrero, T. Telmon, Fondamenti di dialettologia ita-
liana [1997], Roma-Bari, Laterza, 1999; F. Bruni, L’Italiano. Elementi
di storia della lingua e della cultura [1987], Torino, UTET, 2002; Aa.
Vv., Dialetti italiani. Storia struttura uso, a cura di M. Cortellazzo, C.
Marcato, N. De Blasi, G. P. Clivio, Torino, UTET, 2002.
Introduzione LXIII

italiana quella continuità, quella possibilità di graduali


passaggi e ritorni che esiste invece fra i dialetti italiani e
la lingua comune. Il Sardo (parlo del Sardo medio, del
Sardo autoctono, del milite della Guardia di Finanza, del
piccolo impiegato e anche dello studente figlio di con-
tadini) che lascia il paese nativo, Arzana, per esempio,
Seùi o Aritzo, un qualsiasi piccolo paese della Sardegna,
e va a Cagliari o a Sassari, e poi, per ragioni d’impiego o
di studio soggiorna a lungo a Torino, o a Pisa o a Roma,
si sentirà non soltanto spaesato ma straniero, e dovrà
fare, per ambientarsi, uno sforzo superiore di gran lunga
a quello di qualsiasi altro provinciale italiano. Egli sarà,
lo sappia o no, lo voglia o non ammettere, veramente
straniero. Può darsi che, in breve tempo, per uscire dalla
sua solitudine, o meglio per mascherarla, riesca a mime-
tizzarsi, adottando artificiosamente l’accento piemonte-
se, toscano, romanesco, può darsi anche che mantenga
il suo italiano corretto, un poco astratto e stranamente
libresco; ma tanto nell’uno quanto nell’altro caso, gli
mancherà quella possibilità di riferimento scoperto o
segreto al dialetto, alla lingua materna. Non potrà, con-
tinuando a parlare italiano, con una semplice intonazio-
ne di voce, alludere a un mondo più intimo e noto, non
potrà fare questo piccolo passo indietro senza sentirsi
alle spalle il mare, la zona di silenzio che lo separa dalla
sua isola. Certi suoni cupi, certe durezze che si riscon-
trano nella nostra pronuncia e ci rendono riconoscibili a
un orecchio esperto, non sono segni di congiunzione tra
la lingua materna e la lingua italiana ma piuttosto frat-
ture; più che appoggi, nel discorrere, sono intoppi che si
evitano con studio, come accade agli stranieri che par-
lano italiano. Ricordo che Vittorio Gorresio, in una sua
cronaca pubblicata dall’Europeo nel 1948, poco dopo le
elezioni politiche, a proposito dell’eloquenza del giova-
ne parlamentare sardo Renzo Laconi, notava appunto
la sua strana pronuncia esente da qualsiasi accento dia-
lettale, e opinava con malizia che imitasse anche in que-
sto il suo maestro Togliatti, il quale avrebbe acquisito
tale pronuncia durante il lungo soggiorno in Russia. Se
Gorresio avesse sentito parlare Antonio Gramsci avreb-
LXIV DINO MANCA

be notato in lui la stessa strana pronuncia. Il fatto è che


tanto Gramsci quanto Laconi sono sardi, e che Togliatti,
prima che in Russia, ha vissuto a lungo in Sardegna, e
precisamente a Sassari, dove sua padre era rettore del
Convitto Nazionale. Ora, nessun Sardo accetterebbe di
considerarsi o esser considerato straniero in Italia. Ma
io uso solo provvisoriamente questa parola, ben lontano
dal voler negare la nostra italianità. Desidero solo ap-
profondire un concetto che la retorica nazionalistica ha
offuscato […]50

Nel secondo racconto, a forte connotazione psicologica,


si accentuano significativamente le incrinature (in parte
già presenti nel primo) degli schemi canonici della rap-
presentazione. La narrazione si snoda attraverso una suc-
cessione di eventi interiori che accompagnano lo stesso
sviluppo narrativo. Alla logica obiettiva e spazio-tempo-
rale dei fatti, pur sperimentata e volutamente cercata51,
si sostituisce la coscienza particolare e frammentaria del
personaggio, con effetti d’ingrandimento dell’episodio
rievocato quasi a scapito dell’economia dell’insieme. La
dissoluzione dell’ordine lineare degli eventi – cifra strut-
turale anche del primo racconto – è data ora, non più da
un narratore onnisciente, ma è il risultato di una perce-
zione tutta soggettiva della durata, lì dove cioè il tem-
po si riduce e si dilata secondo lo stato di coscienza del
giovane intellettuale, Filippo, che vive e racconta in pri-
ma istanza il proprio vissuto; il ritmo del racconto è lo
stesso del suo flusso memoriale e coscienziale. Pensieri,
retrospezioni, ricordi, riflessioni, immagini, concorrono
a costruire quella struttura a recuperi analettici multipli

50
G. Dessì, Le due facce della Sardegna, “Il Ponte”, rivista mensile
diretta da Piero Calamandrei, 9-10 (1951), Firenze, Le Monnier, pp.
965-970.
51
Si confronti, a tal riguardo, la ricostruzione «obiettiva», logico-cro-
nologica delle vicende di Boschino fatta per via epistolare da Maria.
Introduzione LXV

che smaterializza, polverizzandolo, il tempo diegetico e lo


traduce, questa volta per il personaggio protagonista, in
tempo interiore. Il tempo storico si confonde col tempo
psicologico, soggettivo e pulviscolare. La massa compatta
del reale – come significato, come storia e come gerarchia
di valori – si frantuma, ricostituendosi sotto forma di dif-
ferenti galassie di senso. La realtà assume così aspetti di-
versi secondo i punti di vista e l’angolazione prospettica.
La memoria dell’io narrante, secondo la dinamica dei cer-
chi concentrici, finisce quasi fatalmente (grazie peraltro
all’aiuto di personaggi come Maria e Linda con i quali lo
studente istituisce una serie di relazioni) con l’inglobare,
nel dilatarsi, la memoria e il vissuto di Boschino. Il lettore
si trova piacevolmente coinvolto in un viaggio à rébours,
a ritroso, perduto tra i sentieri più reconditi della mente
e dell’anima, in una trama intimistica di ricordi, di sensa-
zioni, di flash-back, partecipe di un’opera di ripiegamento
su se stessi, alla ricerca di un tempo perduto, ora ritrovato
e rivissuto, quello dell’infanzia e della vita del giovane stu-
dente, che interseca, a un certo punto, il tempo immobile
del vecchio ortolano.
Si assiste a un lavoro di scavo, di riesumazione e riabili-
tazione alla ricerca di un senso, di un file rouge, in un mo-
mento favorevole e gradito, segnato da una sorta di beata
solitudo che diviene balsamo e lenimento di un presente
segnato dall’immobilità fisica52. Passato e presente si al-
ternano e si sovrappongono in un susseguirsi, a tratti sfu-
mato, di accadimenti e di figure inestricabilmente legate
fra loro; una successione che si dissolve nell’indefinitezza
temporale e nell’impercettibile confine che talvolta cor-
re fra pensiero e realtà. Il tempo della memoria diventa
tempo elastico, fluido e soggettivo, della fantasia e della

52
L’evocazione, intesa come atto di coscienza del presente, non può
non rimanere condizionata dall’adesso temporale.
LXVI DINO MANCA

trasfigurazione, di là della realtà, su una dimensione altra


che non tollera la misura oggettiva:
Vale la pena di scrivere solo per raccontare fatti che non
sono accaduti, o per “travisare”, trasformare, rivivere
con la fantasia fuori del tempo reale, nel tempo della
memoria, i fatti accaduti. Vale la pena di parlare di Elisa,
che non è mai esistita, e di Boschino, che continua, com-
pleta, interpreta, spiega Giuseppe Rasino […]53

Il passato non si conserva, si costruisce partendo dal


presente, e la sua struttura dipende dalle circostanze
dell’evocazione e si modifica con esse. Per dirla con Mer-
lau-Ponty, i ricordi non sono nella coscienza, ma è la co-
scienza stessa che costituisce il ricordo ponendo il passato
come passato. Infatti, è il presente il vero tempo del nostro
esistere:
Il tempo: è un pensiero – se così si può dire – che mi ine-
bria. Passato, presente e futuro: momenti dello spirito,
aspetti di un “eterno presente” […]54

Il passato in Dessì non è una linea di demarcazione


astratta ma un frammento della durata che avvolge il pas-
sato e il futuro. La memoria affettiva non è altro che la
risurrezione dei sentimenti sotto forma di ricordi. Risur-
rezione spesso proustianamente suscitata da uno stimolo
sensoriale, non di rado uditivo e olfattivo:

D D1 D2 B
A un tratto, mentre ero immerso in A un tratto, mentre ero immerso in
questi ricordi, e quasi impregnato di questi ricordi, e quasi impregnato di
odori campestri, pensai che anche a odori campestri, pensai che anche a
Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel- Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel-

53
G. Dessì, Diari…, p. 81.
54
G. Dessì, Diari…, p. 175.
Introduzione LXVII

lo colpito deve dare un brivido, come lo colpito deve dare un brivido, come
succedeva a me al solo pensarci; e de- succede a me al solo pensarci; e desi-
siderai ardentemente di rivederla […] derai ardentemente di rivederla […]

Si attiva così un percorso conoscitivo – ma anche ria-


bilitativo – volto a comprendere le ragioni, la profondi-
tà e la validità morale di un mondo, quello di Boschino,
guardato dagli altri con ritrosia e sospetto. Un mondo per
certi versi lontano, insondabile, statico, che mette a dura
prova la capacità decifratoria del protagonista, Filippo, il
giovane intellettuale cittadino, espressione di una cultura
osservante, ciononostante figlia in qualche modo di quel-
la osservata, contadina, primitiva, archetipica, sardofona
(Boschino è l’«uomo dei boschi», la Sardegna arcaica).
Due mondi, due culture, due orientamenti prospettici,
due Sardegne, dunque; o, se si vuole, due generazioni che,
nel caso di Filippo e Michele, riescono a dialogare e a mo-
menti a intendersi55. Ma anche altre due Sardegne, coesi-

55
Ritornano alla mente altre pagine della migliore letteratura sarda dalla
Deledda ad Atzeni, lì dove riaffiora in modi diversi il conflitto dei codici,
espressione di mondi e mentalità diverse, e quella interferenza comuni-
cativa che è discrasia culturale e geografica oltre che generazionale. Una
novella, ad esempio, dai risvolti sociali, che si risolve nell’arco di una se-
quenza scenica e si specifica per la presenza di esistenti modellati per sta-
tuti dicotomici (giovane e vecchio, ricco e povero, sano e malato, istruito
e incolto, innovazione e conservazione) che interagendo producono il
significato letterario del racconto, è Lo studente e lo scoparo. Come sug-
gerisce il titolo, la vicenda si impernia sul confronto dialogico fra un
giovane studente-giornalista di nome Lixia, sconfortato e abbattuto per
lo stato di malessere sociale ed economico in cui ritrova la sua terra (e
ciononostante mosso da una convinta tensione verso il cambiamento), e
un vecchio e malazzato venditore di scope, zio Pascale, figlio di un’altra
mentalità, uomo di oramai incerte e smarrite convinzioni, che, provato
dalla miseria e dalla fatica rude, rassegnato e avvilito, si trascina, mace-
randosi, in un quotidiano senza speranza. È un confronto fra vecchi e
giovani, fra tradizione e innovazione, fra generazioni diverse, lontane
fra loro, proiezione simbolica di una Sardegna che vuole cambiare e di
una terra invece diffidente e misoneista, irrimediabilmente prigioniera
LXVIII DINO MANCA

stenti e confliggenti, attraversano i due racconti: quella de-


gli «olivi» e degli «olivastri», del lavoro e della grassazione,
del rispetto e dell’invidia, della pace e della violenza, della
giustizia e della sopraffazione. La seconda agisce sulla pri-
ma come un tarlo, condizionandola e ostacolandola. Una
molteplicità di codici e di sistemi valoriali cerca tuttavia
di ricomporsi grazie ad una volontà vitalistica tesa a co-
noscere e a capire quella diversità morale e antropologica,

del suo atavico immobilismo. La relazione binaria di opposizione e an-


tagonismo (in Dessì invece di curiosità, solidarietà e simpatia) che s’in-
staura tra i due personaggi, acquista dunque una forte valenza sul piano
semico-simbolico. Così lo scoparo, simbolo di una vecchia Sardegna che
muore, «s’avanza lentamente», si trascina, «geme», tossisce, parla «come
un sonnambulo», risponde «a stento, umile e quasi pauroso», scuote
«tristamente la testa» e sta ritto sotto il muro «con la falciuola in mano
come l’immagine della Morte». Lixia, portavoce di una dimensione atti-
vistica, è per converso un concentrato tumultuoso di stati d’animo, inte-
ressi, curiosità, scopi, abilità; egli si «annoia», si indigna, «si infervora»,
salta «a sedere nel muro», domanda, si sente «inspirato», si «dispera»,
«allarga le braccia», «nega l’elemosina», rimane in ultimo «fedele ai suoi
principi». Nella novella deleddiana, rispetto al romanzo di Dessì, non
esiste evoluzione, non c’è convergenza. La distanza culturale e ideolo-
gica, ragione di un’incomunicabilità profonda, alla fine rimane. Ma è
interessante constatare, nel caso della scrittrice nuorese, come sia pres-
soché impossibile capire da che parte alberghi il sentimento di adesione
o repulsione autorale, e dove trovi piuttosto scaturigine un eventuale
discriminante in senso morale, intellettuale ed emotivo dell’io narrante
nei riguardi di questo o quel personaggio (del vecchio e del giovane). Da
che parte sta infatti la Deledda? L’impianto scenico infatti, essendo una
forma di rappresentazione mimetica in cui il narratore, adottando il di-
scorso riferito, cede direttamente la parola al personaggio, tecnicamen-
te si fonda sull’eclissi dell’autore e sull’azzeramento della distanza fra
narratore e creatura letteraria. Non si riscontra cioè nessun significativo
riferimento all’istanza narrativa, attraverso digressioni, giudizi morali,
commenti e osservazioni metadiegetiche (tipiche di una funzione ideo-
logica) che rimandino alla weltanschauungen autorale. Si tratta invece di
una voce che si limita a mantenere nei confronti della storia una funzio-
ne meramente esplicativa, evitando qualsiasi alterazione prospettica che
alluda all’emittente di tale voce.
Introduzione LXIX

se non anche ad apprezzarne e a valorizzarne il portato su


se stessi, sul proprio presente e sulla definizione di un’i-
dentità individuale e collettiva. Spesso, infatti, nell’alterità
e nella ricerca dell’altro disveliamo e ritroviamo noi stessi.
Solo attraverso la memoria si ricostruisce la propria iden-
tità personale e si dà un fondamento alla coscienza di sé,
che sta alla base della conoscenza stessa. Senza memoria,
infatti, vengono meno i legami con le proprie radici, si
disperde il proprio «io», ci si destruttura e si vive dram-
maticamente sospesi fra ordine e caos, fra pulsioni interne
e cogenze esterne. Senza memoria e senza consapevolezza
si cessa di essere coscienza progettante e si vive il proprio
presente con angoscia e paura, sospesi sull’«abisso del
nulla». Così scrisse nel marzo del 1948:
gli uomini di oggi vivono tutto al presente. Non trova-
no nel passato una norma e non trovano nel futuro suf-
ficiente ispirazione. È nata la filosofia dell’atto puro, è
nato Picasso, che non continua neppure se stesso, ma è
sempre diverso perché esiste per lui soltanto l’attimo in
cui crea. Ti ricordi “Il Gallo” di Picasso? Si può dire il
suo simbolo. Il suo vivere è come l’amore per il gallo:
istantaneo, puntuale. Rotti i ponti con il passato (anche
nell’interno della propria vita e nei suoi limiti), rotti i
ponti con il futuro. Per questo dà quel senso di travisa-
mento. È l’angoscia di noi moderni per questo sentirsi
sospesi nel nulla […]56

La conoscenza, si sa, non è data senza tempo e senza


luogo, e il luogo, come entità storica e culturale, esiste57;

56
G. Dessì, Diari…, pp. 174 -175.
57
Nell’introduzione a I passeri Dessì domandava e rispondeva: «Perché
in Sardegna? mi si chiederà ancora una volta. Perché, a parte le ragio-
ni storiche e artistiche che richiederebbero un troppo lungo discorso,
come ci insegnano Spinoza, Leibniz, Einstein e Merleau-Ponty, ogni
punto dell’universo è anche il centro dell’universo» (C. Varese, Intro-
duzione a Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1972, p. V).
LXX DINO MANCA

luogo inteso come testo-cultura, spazio vissuto, paesaggio


umanizzato e modellato, universo percettivo e simbolico.
Nell’opera prevale su tutto un paesaggio sardo, a morfolo-
gia agraria, specchio di una comunità contadina autosuf-
ficiente e arcaica, indissolubilmente legata al suo territo-
rio, condizionata, nelle sue attività e nella sua quotidianità
laboriosa, dal ritmo delle stagioni. I luoghi e gli ambienti
non hanno una mera funzione esornativa, quanto piutto-
sto significativa, funzionale e conoscitiva. Essi, nel secon-
do racconto, sono presentati attraverso l’orizzonte percet-
tivo del personaggio protagonista e attraverso l’influenza
che essi esercitano sulla sua psiche. I pensieri e i ricordi
si rapportano ai luoghi sentiti, percepiti sensorialmente
ed emotivamente, vissuti e amati. Lo spazio fisico e natu-
rale si traduce in luogo dell’anima, condizione dell’essere
e dell’esistere, talvolta sentimento inesprimibile, ai limiti
dell’incomunicabilità:

D D1 D2 B M2
Forse anche l’amore per i luoghi è solitario e inesprimibi-
le come l’amore per le persone […] Ripensando alla ter-
razza di Giarrana, ora che sono qui immobile, in questo
letto, mi pare di poter ritrovare tutta la mia vita in quel
ricordo. E anche questo sentimento è solitario, incomu-
nicabile. Mia madre entra nella stanza, si siede accanto
a me. Non sa quello che penso, che sento. Inutile tentare
di dirglielo, se lei stessa non lo capisce, se dal profondo
del suo essere non è mosso lo stesso sentimento, lo stesso
pensiero. Entro quell’orizzonte, nell’amore di quel luo-
go che è soltanto mio, in quel bisogno di andarmene, di
ritornare, nella nostalgia che continuava a durare anche
quando ero tornato, tutta la mia vita si delimita, si siste-
ma, diventa comprensibile come se la leggessi narrata in
un libro […]
Introduzione LXXI

La presenza simultanea di differenti tipologie narrative


e formali (racconto oggettivo e d’ambiente da una parte,
scrittura soggettiva, memoriale e introspettiva dall’altra)
e la non trascurabile valenza speculativa e filosofica – so-
prattutto per la proposta metodologica e per la mai risol-
ta tensione gnoseologica – fanno di questo romanzo una
sorta di laboratorio sperimentale che rende Dessì autore
moderno e di respiro europeo58.
La Sardegna, terra di «permanenza e non di viaggio», è
il vero oggetto della sua scrittura e della sua speculazione.
Essa diventa il correlativo oggettivo, l’equivalente emoti-
vo del pensiero, di uno stato d’animo, di una condizione
esistenziale; essa si traduce, come peraltro accade a molti
artisti sardi, nel suo universale concreto:
Non so più nemmeno se il mio sia amore o fastidio,
rabbia di essere nato lì, rabbia di essere legato ancora a
questa terra troppo vecchia e tanto lontana dal mondo
nel quale vivo – dall’Italia, voglio dire. Eppure quella è
la mia patria. È là che sono nato. È là che ho passato gli
anni più importanti della mia vita, l’infanzia e l’adole-
scenza. Là c’è la casa di mio nonno, di mio padre: case e
tombe. Ma ciò che conta di più è che là io mi sento forte,
intelligente, anzi onnisciente. Immergo la mano nell’ac-
qua del Tirso, del Temo, del Rio Mannu, e so di che cosa
è fatta quell’acqua. Raccolgo un sasso, e ho di quel sasso
una conoscenza che arriva fino all’atomo, fino alla mole-
cola. È là che ho letto per la prima volta Leibnitz e Spino-
za senza bisogno di traduzione o di note a piè di pagina.
Là mi sono sentito solo al centro dell’Universo come un
astronauta. E per questo sono geloso della mia Isola. Ge-
loso di tutto ciò che la rende volgare, turistica59.

58
Michele Boschino è uno dei «primi “meta romanzi” della nostra nar-
rativa proprio secondo l’accezione di Moravia» (N. Tanda, Dessì e il
problema dei codici, in Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, Edes,
1984, pp. 119).
59
G. Dessì, La mia Sardegna…, p. 13 [anche in: Introduzione a Scoper-
LXXII DINO MANCA

E la modernità risiede proprio nella lettura che egli dà


della sua Isola, terra peculiare, multiforme e complessa, i
cui caratteri distintivi – oltre a quello dell’insularità che
ne ha in modi diversi condizionata l’evoluzione culturale
e storica – sono quelli del plurilinguismo e del policen-
trismo. Una frammentazione interna mai risolta che si
specifica in una dicotomia di base fra zone costiere e pia-
neggianti, non precluse ai traffici, più aperte verso l’ester-
no, percorse non sporadicamente da tendenze insediative
favorevoli all’urbanizzazione (la Cagliari di Filippo), e
zone interne, spesso contigue alle coste, elevate e di diffi-
cile accesso, a economia agro-pastorale, meno permeabili
agli influssi esterni, che generano sensi e comportamenti
d’identità locale, di cui l’arcaicità linguistica e la conser-
vatività culturale appaiono manifestazioni espressive (la
Sigalesa e Mamusa di Boschino). Dessì – che a suo modo
era stato quell’io dimidiato (sia il contadino Boschino →
Villacidro che lo studente Filippo → Cagliari) – capisce
che l’identità è il frutto di un processo storico polimor-
fo e dinamico, che va conosciuto e interpretato, e che la
caratterizzazione della Sardegna è data da elementi tra-
dizionali e non che convivono e dalla compresenza di
differenti culture (urbana, rurale, pastorale). Soprattutto
comprende che il rispetto della complessità e della diver-
sità passa prima di tutto attraverso la riattivazione di un
circuito interno della memoria, della conoscenza e della
comunicazione che sostenga la crescita di una consapevo-
lezza sempre maggiore di sé, della propria identità e della
propria Storia.
La Sardegna di Boschino non è la Sardegna di Filippo
(città versus campagna). Quella del vecchio ortolano è una
Sardegna diversa, figlia di un tempo remoto, ripetitivo e

ta della Sardegna. Antologia di testi di autori italiani e stranieri, vol. I,


a cura di G. Dessì, Roma, Polifilo, 1965, pp. XIX].
Introduzione LXXIII

mitico, con proprie lingue, propri valori, propri criteri di-


stintivi, propri reticoli di esclusione e inclusione, proprie
leggi e proprie consuetudini, effetto di un millenario pro-
cesso di adattamento alle difficili condizioni naturali. L’a-
ver creduto di poter penetrare quel microcosmo attraver-
so codici e strumenti impropri, ha creato per secoli quello
iato comunicativo fra potere costituito e società sarda, e
fra Sardegna e Sardegna, che è stato fonte d’incompren-
sioni e causa d’irriducibile ribellione:

D D1 D2
Colliva mi diceva dell’ostinazione di Colliva mi diceva dell’ostinazione di
Boschino. Mi diceva che ha dovuto Boschino. Mi diceva che ha dovuto
|lottare| (›fare‹) per fare i suoi inte- lottare per fare i suoi interessi. Non ha
ressi. ›Secondo lui Boschino ha una parlato di Boschino con quel disprez-
concezione preistorica del diritto. E zo che hanno per i contadini gli avvo-
forse c’è qualcosa di vero in questa cati che sono stati costretti a lavorare
definizione.‹ Non ha ›mai detto che in provincia per tanti anni. Non lo ha
Boschino è un ignorante‹ parlato trattato neppure da ignorante. Secon-
di Boschino con quel disprezzo che do lui l’ostinazione di Boschino di-
hanno per i contadini gli avvocati che pende dal fatto che Boschino ha una
sono stati costretti a lavorare in pro- concezione preistorica del diritto. Gli
vincia per tanti anni. Non lo ha trat- ho chiesto se non sarebbe stato il caso
tato neppure da ignorante. Secondo di secondare il più possibile quest’i-
lui l’ostinazione di Boschino dipende dea preistorica del diritto, senza por-
dal fatto che Boschino ha una con- tare la contesa alle conseguenze estre-
cezione preistorica del diritto. Gli ho me, cioè alla espropriazione dei beni
chiesto se non sarebbe stato il caso di dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto
secondare il più possibile quest’idea un poco soprapensiero, poi ha detto
preistorica del diritto, senza portare che in teoria forse si poteva. In teoria,
la contesa alle conseguenze estreme, non in pratica. Perché non bisognava
cioè alla espropriazione dei beni dei dimenticare che lui s’era trovato di
parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto fronte a un altro avvocato, il quale era
un poco soprapensiero, poi ha detto pronto a valersi d’ogni sua debolezza.
che in teoria forse si poteva. In teoria, Cercare di venire a patti e acconten-
|non in pratica| (›perché nella prati- tarsi di vincer la causa solo a mezzo,
ca‹). Perché non bisogna dimenticare sarebbe stato lo stesso che riconoscere
che lui s’era trovato di fronte a un al- l’insufficienza dei propri argomenti.
tro avvocato, il quale era pronto a va- «Il diritto e la morale» ha soggiunto
lersi d’ogni sua debolezza. Cercare di «non sempre coincidono. La morale,
venire a patti e accontentarsi di vincer l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti
la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo questi elementi che possono aiutare
stesso che riconoscere l’insufficienza a risolvere una contesa nell’ambito
LXXIV DINO MANCA

dei propri argomenti. «Il diritto e la della famiglia, non hanno più voce
morale» ha soggiunto «non sempre quando ci s’affida al codice. L’ideale
coincidono. La morale, l’umanità, la del codice sarebbe l’annullamento del
tolleranza, la pietà, tutti questi ele- codice stesso, nelle cause civili per lo
menti che possono aiutare a risolvere meno… il giudice di pace. Ma un giu-
una contesa nell’ambito della fami- dice di pace seduto sotto un albero, in
glia, non hanno più voce quando ci un paese abitato da tanti Boschini…».
s’affida al codice. L’ideale del codice Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto
sarebbe l’annullamento del codice se era convinto della buona fede di
stesso, in teoria, nelle cause civili per Boschino. «Assolutamente» ha rispo-
lo meno… il giudice di pace. Ma un sto «Boschino si sarebbe accontenta-
giudice di pace seduto sotto un albe- to di riavere i suoi buoi, limitandosi
ro, in un paese abitato da tanti Bo- a mostrare ai parenti che avrebbe
schini…». Ho riso per cortesia, e gli potuto toglier loro tutto ciò che ave-
ho chiesto se era convinto della buona vano. Avrebbe voluto mostrare la
fede di Boschino. «Assolutamente» ha sua potenza e la sua clemenza» […]
risposto «Boschino si sarebbe accon- Tutte quelle questioni riguardanti
tentato di riavere i suoi buoi, limitan- Boschino, interessanti per se stesse, in
dosi a mostrare ai parenti che avrebbe quanto materia del suo lavoro, della
potuto toglier loro tutto ciò che ave- sua professione, dopo la conversa-
vano, avrebbe voluto mostrare la sua zione devono essergli sembrate vuo-
potenza e la sua clemenza» […] Tutte te, gratuite, ridotte a una questione
quelle questioni riguardanti Boschi- morale. Se ne avesse parlato con un
no, interessanti per se stesse, in quan- altro avvocato, con uno del mestiere,
to materia del suo lavoro, della sua la questione di Boschino sarebbe po-
professione, dopo la conversazione tuta diventare ciò che essi chiamano
devono essergli sembrate vuote, gra- un caso elegante. Pura forma. Ma io,
tuite, ridotte a una questione morale. che c’entro? Io sono un profano. Solo
Se un altro avvocato, uno del mestie- l’improntitudine giovanile poteva
re, gliene avesse parlato al mio posto, avermi indotto a parlare di questo
la questione di Boschino sarebbe po- con lui. Perché cos’è l’interesse mo-
tuta diventare ciò che essi chiamano rale, umano, disinteressato, se non
un caso elegante. Pura forma. Ma io, improntitudine giovanile?
che c’entro? Io sono un profano. Solo
l’improntitudine giovanile può aver-
mi indotto a parlare di questo con
l’avvocato. Perché cos’è l’interesse
morale, umano, disinteressato, se
non improntitudine giovanile? Solo
per un momento l’avvocato Colliva
può essersi abbandonato a pensare
che io parlassi con lui di cose serie. E
passato quel momento, io sono tor-
nato per lui, il ragazzo di sempre; e
lui mi ha battuto sulla spalla dicendo
come al solito: «Beh! Come va?».
Introduzione LXXV

B M2
Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto lot-
tare per fare i suoi interessi. Non ha parlato di Boschino con quel disprezzo
che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in
provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui
l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione
preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare
il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle
conseguenze estreme, cioè alla espropriazione delle povere case e dei piccoli
poderi dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi
ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non
bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il
quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e ac-
contentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che ricono-
scere l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto
«non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti
questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della
famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale del codice
sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle cause civili per lo meno… il
giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abi-
tato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto
della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sa-
rebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che
avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano; avrebbe voluto mostrare la
sua potenza e la sua magnanimità» […] Tutte quelle questioni riguardanti
Boschino, interessanti per se stesse, in quanto materia del suo lavoro, della sua
professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite,
ridotte a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro avvocato, con
uno del mestiere, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che
essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un
profano. Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a parlare di
questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non
improntitudine giovanile?

L’unico modo per capire l’altro e più in generale l’alte-


rità, trova legittimazione solo nell’abbandono di ogni cer-
tezza, di ogni pregiudizio, di quella sorta di meta-punto
di vista, onnicomprensivo, esclusivista ed etnocentrico,
che forgia topoi degni, mentre tutto il resto decade a ruolo
marginale, periferico, destituito in ultimo di propria di-
gnità. Dessì, ponendo il fondamento del soggetto cono-
scente non più solo nell’autocoscienza ma nella relazione,
LXXVI DINO MANCA

nel dialogo, nella reciprocità, nella solidarietà, nel ricono-


scimento delle diversità, sembra aprire all’essere dialogi-
co per una verità dialogica. Si è già scritto in precedenza
come la lettura di Spinoza, Leibniz, Kant, Schopenhauer,
Nietzsche, Bergson, Einstein, Husserl, Merleau-Ponty,
Heidegger, gli offra fondamentali strumenti filosofici e
conoscitivi, e soprattutto importanti chiavi di lettura della
realtà sarda. In questo senso la riflessione fenomenologi-
ca – che si affianca in quegli anni alla critica cosiddetta
postmoderna dei paradigmi scientisti – come approccio
metodologico, come orientamento e prospettiva, sembra
rivestire nel percorso formativo dello scrittore sardo, un
ruolo niente affatto marginale60. La fenomenologia, in-

60
La scuola gestaltista (della «Gestalt» o Psicologia della forma), ad
esempio, che nasce fra il 1915 e il 1935 e che rappresenta una delle
correnti più illustri della psicologia contemporanea, «trova la sua fi-
liazione in quella psicologia dal punto di vista empirico di Brentano,
che getta le basi per una psicologia fondata sull’atto, sull’intenzionali-
tà: quest’ultima intesa come l’atto che rapporta il soggetto all’oggetto.
L’oggetto ha realtà sua propria ma diviene esistente in sede psichica solo
quando un atto rapporta ad esso l’essere umano. La psicologia dell’at-
to convoglia l’attenzione verso il soggetto, verso il suo mondo e verso
i dati immediati dell’esperienza». Matrice di questa analisi dell’espe-
rienza diretta è proprio l’atteggiamento fenomenologico, fondamento
della filosofia di Husserl, che costituisce un’alternativa alla psicologia
empirica, ed influenzerà largamente la psicologia clinica (Rogers) e la
psichiatria (Laing), nonché l’analisi psicologica di Sartre e di Merleau-
Ponty. Tanda, in Letteratura e lingue (cit., p. 119), osserva che «c’è non
solo un’impossibilità gnoseologica, che è proprio quella della crisi delle
scienze moderne denunciata soprattutto dalla fenomenologia husser-
liana, ma anche la consapevolezza della difficoltà di approccio alle per-
sone e ai fatti relativa alle differenze dei codici rilevata da tutto il pen-
siero contemporaneo, Wittgenstein incluso, che soli possono metterci
in comunicazione con questi e che ci rinviano continuamente al pro-
blema della incomunicabilità. La ragione della spaccatura del romanzo
cui allude la Dolfi è da ricercarsi in questa direzione». Sandro Maxia,
inoltre, ci ricorda che «tra gli scrittori di lingua italiana del nostro se-
colo [Dessì] si distingue per un’autentica e non dilettantesca passione
Introduzione LXXVII

fatti, introduce un metodo che consente di aprire nuovi


orizzonti alla possibilità e ai modi attraverso cui l’uomo
conosce il mondo e gli altri uomini. La cosa in sé si dà alla
coscienza attraverso fenomeni percettivi, e dunque sem-
pre per-un-soggetto che l’intenziona. Pur non essendoci
divisione tra apparenza e realtà (la prima è infatti ciò che
della realtà appare, ciò che si presenta), le due dimensioni
non coincidono totalmente per l’oggetto esterno, ma sono
inscindibili per la coscienza nell’atto del conoscere:

D D1 D2
I colli all’orizzonte invece erano posti I colli all’orizzonte invece erano posti
al di là di quel limite entro il quale i al di là di quel limite entro il quale i
sensi operano concordi e dell’oggetto sensi operano concordi e dell’oggetto
ti danno la cognizione completa, im- ti danno la cognizione completa, im-
mediata. mediata.
  L’oggetto è davanti a te, esiste. Esi- L’oggetto è davanti a te, esiste. Esisto-
stono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, no gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli
gli sterpi. Non un oggetto solo, o me- sterpi. Non un oggetto solo, o meglio
glio nessun oggetto isolato, ma tanti nessun oggetto isolato, ma tanti infi-
infiniti oggetti tutti assieme, uniti in niti oggetti tutti assieme, uniti in una
una forma e in un nome indetermi- forma e in un nome indeterminati.
nato. Non un sasso, non un rametto Non un sasso, non un rametto secco o
secco o una foglia, ma un colle. E nes- una foglia, ma un colle. E nessuno dei
suno dei tuoi sensi, in particolare sen- tuoi sensi in particolare sente il colle,
te il colle, ma tutto il tuo essere sente ma tutto il tuo essere sente l’esistenza
l’esistenza del colle […] del colle […]

B M2
I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi
operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata.

per il pensiero filosofico della modernità, da Spinoza ad Husserl (in


una lettera a Claudio Varese del 27 febbraio 1964, affermava: «Credo
sia abbastanza facile trovare nei miei libri qualche ascendenza filosofica
– il che è abbastanza raro in Italia. I pochi filosofi che ho letto mi sono
serviti perché li ho amati come si amano i poeti, e forse anche di più»
(Prefazione a Paese d’ombre…, p. 30). Sul pensiero filosofico di Dessì si
veda altresì: A. Dolfi, Il luogo e la percezione dell’istante, in La parola e
il tempo, Firenze, Nuove Edizioni Vallecchi, 1977, pp. 399-425.
LXXVIII DINO MANCA

  L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli
sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti
oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome vago. Non un sasso,
non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi in
particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle […]

Al variare del punto di vista e dell’attenzione del sog-


getto la figura mostra oggetti diversi al limite della trasfi-
gurazione in chiave antropomorfica. Attraverso le sensa-
zioni e la memoria, la coscienza costruisce il suo senso del
mondo e la sua idea cambia in relazione all’esperienza. Il
significato, dunque, sembra nascere quale esperienza fatta
del mondo:

D D1 D2
Ma se perdo il senso di questo oriz- Ma se perdo il senso di questo oriz-
zonte, di questa prospettiva, e cerco di zonte, di questa prospettiva, e cerco di
guardarla più da vicino, ogni fatto si guardarla più da vicino, ogni fatto si
riempie di altri fatti, all’infinito, è un riempie di altri fatti, all’infinito, è un
brulichio infinito […] M’accontenta- brulichio infinito […] M’accontenta-
vo di fermare su un oggetto, su una vo di fermare su un oggetto, su una
persona, su un luogo le mie fantasie persona, su un luogo le mie fantasie
e i miei pensieri; come si àncora una e i miei pensieri; come si àncora una
nave al fondo sconosciuto del mare. nave al fondo sconosciuto del mare.
Io stesso non potrei riconoscere ora Io stesso non riconoscerei ora una
una roccia, sopra Giarrana, che a un roccia, sopra Giarrana, che a un certo
certo punto del sentiero sembrava, punto del sentiero sembrava, vista dal
vista dal basso, un uomo seduto, un basso, un uomo seduto, un marinaio
marinaio con un largo cappello di con un largo cappello di tela cerata
tela cerata ›con‹ |dal|la falda |rialzata| dalla falda rialzata sulla fronte, come
(›alzata su‹) sulla fronte, come usano usano i pescatori del Baltico. A Maria
i pescatori del Baltico. A Maria inve- invece sembrava una donna china sul
ce sembrava una donna china sul suo suo bambino. Salendo ancora, non
bambino. Salendo ancora, non era era più possibile riconoscere in quella
più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una
roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accan-
roccia come tutte le altre. Ma accan- to ve n’era una che per un foro che
to ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di
l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene
quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarvi le gomene. E io mettevo
per legarvi le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio se-
in relazione la figura del marinaio se- duto con quell’anello, e pensavo che,
duto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti
un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche
Introduzione LXXIX

emergeva dal mare, e forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a
ciclopica nave era stata |ormeggiata| quell’anello […]
(›legata‹) a quell’anello […]

B M2
Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa prospettiva, e cerco di
guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un bru-
lichio infinito […] Mi accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona,
su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo
sconosciuto del mare. Io stesso non riconoscerei ora una roccia, sopra Giar-
rana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo
seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda rialzata
sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una
donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile ricono-
scere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre.
Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare
a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarci le gomene. E io
mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo
che, un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche
ciclopica nave era stata ormeggiata a quell’anello […]

L’approdo fenomenologico – e per certi versi esistenzia-


lista – di Dessì sembra corrispondere alle più suggestive
sollecitazioni filosofiche e artistiche che in quel momento
attraversano la cultura europea. Per altro, forti sono i de-
biti dell’esistenzialismo verso pensatori quali Kierkegaard
e Nietzsche, come del resto verso la fenomenologia di
Husserl. L’uomo è heideggerianamente esistenza perché
«essere-nel-mondo» e l’esistere è continuo mutare, pro-
gettarsi come evento del futuro. L’essere, dunque, non è
altro che il dipanarsi dell’esistenza nel tempo che finirà
ed esistere è vivere il dinamismo della realtà non solo nel-
la propria coscienza ma anche e soprattutto nel proprio
essere.
Pur rinunciando a ogni pretesa fondativa della filoso-
fia e, soprattutto, di una poetica di Dessì, tuttavia il para-
digma fenomenologico, ermeneutico ed esistenzialista si
rivela fin da una prima analisi particolarmente adatto a
essere applicato, soprattutto a una concezione, tradotta in
finzione letteraria, che intenda misurarsi con le questioni
LXXX DINO MANCA

della differenza e della diversità culturale61. Chi è Filip-


po? Chi è Boschino? Cosa li unisce, cosa li divide? Quale
tensione conoscitiva? Nel secondo racconto sembra che
gli oggetti, i fatti, la realtà perdano di significato come
in sé e lo ritrovino solamente per il senso che assumono
nella coscienza del personaggio che li intenziona. Que-
sto porta necessariamente a una decisa rivalutazione del
soggetto-Filippo che si predispone per un’accettazione
dell’altro-Boschino, autentica, non vincolata da pregiu-
dizi o preconcetti. Una rivalutazione tanto necessaria in
quanto, come avrebbe notato Merleau-Ponty, «l’esistenza
dell’altro costituisce una difficoltà e uno scandalo per il
pensiero oggettivo»62. L’aspetto più interessante di Dessì
sta forse proprio nella sua «educazione dello sguardo»63.

61
Sul rapporto tra paradigma fenomenologico e diversità culturale cfr.
G. Dal Fiume, Educare alla differenza, Bologna, Emi, 2000.
62
Cfr. M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris,
Gallimard, 1945 (edizione italiana Fenomenologia della percezione, a
cura di A. Bonomi, Milano, il Saggiatore 1965).
63
La condizione negativa dell’uomo contemporaneo fu, peraltro, il
tema di fondo della corrente francese «École du regard» o «École du
nouveau roman», che portò ad estreme conseguenze il tema dell’in-
comunicabilità e dell’incapacità gnoseologica. La presa d’atto dell’im-
possibilità di poter interpretare e spiegare la realtà spinse alcuni scrit-
tori d’oltr’alpe a teorizzare la figura di un narratore nuovo, non più
disponibile né a ordinare i fatti né a interpretarli. Egli semmai avrebbe
dovuto – anche attraverso l’enumerazione e la struttura labirintica del
romanzo – mostrare il non senso oppure la pluralità di sensi possi-
bili, perché la realtà che ci appare non è nient’altro che un labirinto.
Questi scrittori decostruirono, da fronti diversi, le strutture narrative
tradizionali servendosi di monologo interiore, flusso di coscienza, sot-
toconversazione, descrizione fenomenologica di gesti e oggetti. Questa
sorta di antiromanzo iniziò da Nathalie Sarraute con Tropismi (1938, e
poi con i successivi del dopoguerra come Ritratto di un ignoto, 1956),
seguito da Alain Robbe-Grillet con Le gomme (1953) e dalle opere suc-
cessive che intesero porsi come momenti di descrizione freddamente
oggettiva della realtà eliminando ogni preoccupazione di tipo psicolo-
gico, da Michel Butor con La modifica (1957) fino a Georges Perec con
Introduzione LXXXI

Filippo non è il centro esclusivo che vive la sua deriva


solipsistica, costretto in un letto. L’accento autorale è in-
vece posto essenzialmente sulla sua tensione coscienziale,
conoscitiva ed ermeneutica. Ciò lo porta a considerare
come assolutamente centrale l’aspetto relazionale e a per-
seguire una concezione dialogica della verità, risultato di
più verità limitate e parziali, perché sa che la realtà altra
non è che il frutto di «tradizioni, saperi, opinioni, conven-
zioni, giudizi, sedimentati attraverso la storia e reificati
dall’abitudine»64. Il personaggio, dunque, si trova a vive-
re implicato entro una rete intersoggettiva che lo induce
a un continuo sforzo di comprensione della visione del
mondo dell’altro. Questo sforzo è infinito perché l’ogget-
to della conoscenza non viene mai definitivamente colto,
sfugge all’abbraccio quando si è prossimi ad afferrarlo:

D D1 D2
Mi sono chiesto quale differenza pas- Mi sono chiesto quale differenza pas-
sa tra la conoscenza che ho di me stes- sa tra la conoscenza che ho di me stes-
so e la conoscenza che ho di quest’uo- so e la conoscenza che ho di quest’uo-
mo che si chiama Michele Boschino. mo che si chiama Michele Boschino.
  Ho pensato a lungo a questo.   Ho pensato a lungo a questo.
  Che valore hanno i fatti della sua   Che valore hanno i fatti della sua
vita? Io riconosco, questi fatti, o vita? Io li conosco, questi fatti, o per-
perché lui stesso me li ha raccontati, ché lui stesso me li ha raccontati, o
o perché li ha raccontati a Maria, e perché li ha raccontati a Maria, e poi
poi Maria a me, o da altri. Se accetto Maria a me, o da altri. Se accetto que-
questi fatti come se fossero la sua vita sti fatti come fossero la sua vita stessa,
stessa, e do a questi fatti un valore as- e do a questi fatti un valore assoluto
soluto (così, in fondo, li ho accettati (così, in fondo, li ho accettati fino-
finora) la sua vita si delinea chiarissi- ra) la sua vita si delinea chiarissima

cui venne a perdersi la distinzione di genere (romanzo, diario, saggio,


registrazione di eventi, pensieri, discorsi). Manifesto dell’«École du re-
gard» può essere considerato il saggio di Robbe-Grillet Una via per il
romanzo futuro (1956), ma fondamentale è anche quello di Butor Il
romanzo come ricerca (1955). Allo stesso Robbe-Grillet, sceneggiatore
e regista, si deve lo stretto rapporto tra ricerca letteraria e cinema.
64
D. Demetrio (a cura), Nel tempo della pluralità, Firenze, La Nuova
Italia, 1997, p. 40.
LXXXII DINO MANCA

ma nel mio spirito, coerente […] non nel mio spirito, coerente […] non è
è la simpatia o l’odio che conta, ma i la simpatia o l’odio che conta, ma i
fatti, che si vestono di un sentimento fatti, che si vestono di un sentimento
particolare che io ho di lui […] I due particolare che io ho di lui […] I due
racconti si fondono, o meglio coinci- racconti si fondono, o meglio coinci-
dono in un punto che è fuori di essi. dono in un punto che è fuori di essi.
Allo stesso modo, dalle descrizioni di Allo stesso modo, dalle descrizioni di
Linda e dal ricordo delle descrizioni Linda e dal ricordo delle descrizioni
di Boschino è risultato questo paese di di Boschino è risultato questo paese di
Sigalesa, concreto, visibile, noto come Sigalesa, concreto, visibile, noto come
può esserlo Ultra. può esserlo Ultra, per esempio.
  Se quest’idea che io mi son fatto di   Se quest’idea che io mi son fatto di
Boschino coincide col Boschino reale, Boschino coincide col Boschino reale,
io conosco quest’uomo meglio di me io conosco quest’uomo meglio di me
stesso. stesso.
  Ma è assurdo. Non si conoscono così   Ma è assurdo. Non si conoscono così
gli uomini reali, ma i personaggi dei gli uomini reali, ma i personaggi dei
romanzi. romanzi.
  C’è dunque, dietro quest’uomo   C’è dunque, dietro quest’uomo che
che io vedo muoversi, sento parlare, io vedo muoversi, che sento parlare,
che vive con me ormai tutte le ore, che vive con me ormai tutte le ore,
e del quale conosco il tormento fino e del quale conosco il tormento fino
a soffrirne, c’è un altro uomo vero, a soffrirne, c’è un altro uomo vero,
sconosciuto, impenetrabile alla mia sconosciuto, impenetrabile alla mia
coscienza, un’inviolabile realtà mo- coscienza, un’inviolabile realtà mo-
rale […] E se anche Maria si fosse rale […] E se anche Maria si fosse
fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria
potremmo avere di Boschino la stessa potremmo avere di Boschino la stessa
idea falsa. I nostri pensieri s’incontra- idea falsa. I nostri pensieri s’incontra-
no spesso, e tale incontrarsi ci dà la no spesso, e tale incontrarsi ci dà la
certezza della loro giustezza […] Ma certezza della loro giustezza […] Ma
questa verità che a un tratto appare a questa verità che a un tratto appare a
noi due, non potrebbe essere un’illu- noi due, non potrebbe essere un’illu-
sione comune? Nel caso di Boschino, sione comune? Nel caso di Boschino,
per esempio […] per esempio […]

B M2
Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e
la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino.
  Ho pensato a lungo a questo.
  Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, questi fatti, o perché
lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a
me; o da altri. Se accetto questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a
questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita
si delinea chiarissima nel mio spirito, coerente […] non è la simpatia o l’odio
che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di
Introduzione LXXXIII

lui […] I due racconti si confondono, o meglio coincidono in un punto che


è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di Linda e dal ricordo delle
descrizioni di Boschino è risultato questo paese di Sigalesa, concreto, visibile,
noto come può esserlo Ultra, per esempio.
  Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col Boschino reale, io
conosco quest’uomo meglio di me stesso.
  Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma i personaggi dei
romanzi.
  C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, che sento parlare, che
vive con me ormai tutte le ore, e del quale conosco il tormento fino a soffrirne,
c’è un altro uomo vero, sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’in-
violabile realtà morale […] E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa?
Io e Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I nostri pensieri
s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà la certezza della loro giustezza
[…] Ma questa verità che a un tratto appare a noi due, non potrebbe essere
un’illusione comune? Nel caso di Boschino, per esempio […]

Per Filippo non si tratta, perciò, di inseguire una misti-


ficatoria conoscenza «oggettiva», ma di tentare di cogliere
la visione del mondo di Boschino attraverso uno sforzo
di decentramento e di epoché, di sospensione del giudizio
sulla propria visione del mondo. L’entropatia, come capa-
cità di mettersi al posto dell’altro – per dirla con Husserl
– diventa in questo caso un atteggiamento empatico, un
sentire dentro e insieme all’altro, un tentativo di penetra-
re la sua esperienza vissuta e di vedere il mondo attraverso
i suoi occhi:

D D1 D2
io posso agire, nei riguardi di Bo- io posso agire, nei riguardi di Bo-
schino, solo se lo considero come schino, solo se lo considero come
me stesso, se agisco verso di lui come me stesso, se agisco verso di lui come
potrei agire verso me stesso […] Mi potrei agire verso me stesso […] Mi
assumo io il peso e la conseguenza assumo io il peso e la conseguenza
della bestemmia. Sono io stesso Mi- della bestemmia. Sono io stesso Mi-
chele Boschino. Sono io, disteso, non chele Boschino. Sono io, disteso, non
qui, nella mia camera, nel mio letto, qui, nella mia camera, nel mio letto,
ma sulla branda della rimessa. Ri- ma sulla branda della rimessa. Ri-
trovo in me l’abitudine antica della trovo in me l’abitudine antica della
bestemmia. Se il secchio non viene su bestemmia. Se il secchio non viene su
facilmente dal pozzo, se la zappa s’im- facilmente dal pozzo, se la zappa s’im-
piglia in una radice più tenace delle piglia in una radice più tenace delle
LXXXIV DINO MANCA

altre e sono costretto a fare uno sforzo altre e sono costretto a fare uno sforzo
che rompe la mia resistenza fatta di che rompe la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se non riesco ad lentezza e di misura, se non riesco ad
aprire la porta, subito la bestemmia si aprire la porta, subito la bestemmia si
formula nel mio spirito, mi sale alle formula nel mio spirito, mi sale alle
labbra, pende minacciosa. Ed ecco labbra, pende minacciosa. Ed ecco
che subito il secchio sale docile dal che subito il secchio sale docile dal
pozzo, la zappa si libera dalla radice, pozzo, la zappa si libera dalla radice,
la porta cede, si apre. Le cose si fanno la porta cede, si apre. Le cose si fanno
sommesse e timorose intorno a me. sommesse e timorose intorno a me.
Ma non è questa improvvisa docilità Ma non è questa improvvisa docilità
delle cose che m’induce a bestemmia- delle cose che m’induce a bestemmia-
re; e neppure la lieve ebbrezza che mi re; e neppure la lieve ebbrezza che mi
dà la bestemmia. È una tentazione dà la bestemmia. È una tentazione
improvvisa, irresistibile. Bestemmie- improvvisa, irresistibile. Bestemmie-
rei anche se sapessi che la bestemmia rei anche se sapessi che la mia stessa
può fulminarmi. La bestemmia mi bestemmia può fulminarmi. La be-
dà un senso di liberazione, di forza. stemmia mi dà un senso di liberazio-
Spesso, quando penso ai casi della mia ne, di forza. Spesso, quando penso ai
vita, tutti legati l’uno all’altro come le casi della mia vita, tutti legati l’uno
maglie di una catena, e mi trovo qui all’altro come le maglie di una cate-
fermo, impotente, e penso che un na, e mi trovo qui fermo, impotente,
altro si gode i danari che mio padre e penso che un altro si gode i danari
e io abbiamo sudato, e che nulla mi che mio padre e io abbiamo sudato, e
rimane più d’attendere dalla vita, se che nulla mi rimane più d’attendere
non la minestra che quella puttana di dalla vita, se non la minestra che quel-
Lavinia ruba in casa dei suoi padroni la puttana di Lavinia ruba in casa dei
per portarmela, anche allora bestem- suoi padroni per portarmela, anche
mio. È un piacere sempre nuovo. Non allora bestemmio. È un piacere sem-
mi stanca mai. È un piacere simile a pre nuovo. Non mi stanca mai. È un
quello che si prova da giovani quan- piacere simile a quello che si prova da
do si prende la donna. Mi sembra di giovani quando si prende la donna.
bestemmiare sempre per la prima Mi sembra di bestemmiare sempre
volta. Per un attimo ho di nuovo per la prima volta. Per un attimo, ho
trent’anni. Sono giovane. Il passato di nuovo trent’anni. Sono giovane.
non ha importanza. Tutto è ancora da Il passato non ha importanza. Tutto
cominciare. Se riuscissi a trattenere la è ancora da cominciare. Se riuscissi
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò a trattenere la forza di quell’attimo,
che avevo allora. Come allora con- avrei tutto ciò che avevo allora. Come
terei i danari sotto la pianella della allora conterei i danari sotto la pianel-
mia stanza. Saprei quanti altri me ne la della mia stanza. Saprei quanti altri
porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne porterebbe il nuovo raccolto.
me ne mancano per comprare un al- Quanti me ne mancano per compra-
tro pezzo di terra. Penserei al grano re un altro pezzo di terra. Penserei
seminato, alla fioritura dei mandorli, al grano seminato, alla fioritura dei
alla vigna d’arare, al tempo che fa, al mandorli, alla vigna d’arare, al tempo
lino che mia moglie tesserebbe sotto che fa, al lino che mia moglie tesse-
Introduzione LXXXV

il portico, a un bambino che dovreb- rebbe sotto il portico, a un bambino


be nascermi. Invece tutto è fermo, che dovrebbe nascermi. Invece tutto
tutto è arido. Io non ho più radici, è fermo, tutto è arido. Io non ho più
sono come un albero sradicato. Le radici, sono come un albero sradica-
foglie sono appassite, le radici all’aria, to. Le foglie sono appassite, le radici
e non sono ancora morto. all’aria, e non sono ancora morto.

B
io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stes-
so, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] Mi assumo io
il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino.
Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda
della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio
non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più
tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resi-
stenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la
bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa.
Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la
porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma
non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare e
in tentazione; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una
tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la
mia stessa bestemmia può ricadere su di me all’istante e può fulminarmi. La
bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai
casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena,
e mi trovo qui fermo, impotente; e penso che un altro si gode i danari che
mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla
vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi
padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuo-
vo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani
quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima
volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non
ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i
danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne portereb-
be il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo
di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna
da arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse sotto il portico, a un
bambino che deve nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho
più radici, sono un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’a-
ria, e non sono ancora morto.

M2
io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stes-
so, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] In questo
momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io stesso
LXXXVI DINO MANCA

Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto,
ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace.
Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una
radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che
la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che
il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre.
Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigi-
ne. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce
in tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di
vino a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di cal-
ma, come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa
dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di
nuovo trent’anni. Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi
a trattenere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego,
sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conte-
rei mentalmente il danaro nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei
quanti scudi v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per
comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi.
Avrei negli occhi chiusi il grano seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna
da arare al tempo giusto. E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei
come si aspetta la maturazione di un frutto.
Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente
si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un
albero sradicato e non ancora morto.

Si assiste al crollo di un meta-punto di vista, di una ve-


rità oggettiva. Quale Boschino dunque?:

D D1 D2
Non è il Boschino di Maria, il Bo- Non è il Boschino di Maria, il Bo-
schino che parla, e forse neppure il schino che parla, e forse neppure il
Boschino che monologa vicino al Boschino che monologa e mugola
fuoco. È quello e questo, è anche un vicino al fuoco. È quello e questo; è
Boschino finora sconosciuto e solita- anche un Boschino finora sconosciu-
rio e disperato come solo si può esser- to e solitario e disperato come solo si
lo nella solitudine della bestemmia. Il può esser nella solitudine della be-
Boschino che accenna a Maria il se- stemmia. Il Boschino che accenna a
gno lasciato dal Crocifisso sulla carta Maria il segno lasciato dal Crocifisso
ingiallita, è un aspetto di Boschino, sulla carta ingiallita, è un aspetto di
un modo di essere […] Boschino, un modo di essere […]
Introduzione LXXXVII

B M2
Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino
che monologa e mugola vicino al fuoco. È quello e questo, è anche un Bo-
schino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser nella
solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato
dal Crocefisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di es-
sere […]

Alla fine, privo della comprensione della propria comu-


nità d’appartenenza («quel mondo che per lui è di irre-
parabile colpa»), Boschino vive in se stesso, chiuso nella
propria realtà incomunicabile. Egli diventa per Filippo un
tramite, senza sbocchi risolutori, verso l’altro, verso un
qualcosa che resta comunque misterioso e inconoscibile.
Nota al testo

Il romanzo Michele Boschino ci è stato trasmesso attra-


verso:

– tre quaderni di abbozzi (Q, Q1, Q2) che precedono le


redazioni strutturalmente compiute e la stesura defini-
tiva del romanzo e che documentano i nuclei generati-
vi e le primitive fasi di elaborazione dell’opera (avan-
testo);

– tre elaborati dattiloscritti (D, D1, D2);

– due articoli rispettivamente su rivista quindicinale e


mensile: «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile
1941), pp. 9-11 (P), il cui testo corrisponde, con alcune
difformità redazionali, in larga parte al VI capitolo del
romanzo, con brani, sempre parzialmente modificati,
del X, e «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura»,
III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33 (L), il cui bra-
no corrisponde in molte sue parti al capitolo XIII;

– l’ultima bozza di stampa (B) con correzioni mano-


scritte della Iª edizione (Milano, Arnoldo Mondadori
Editore, 1942);

– due edizioni a stampa autorizzate: Milano, Arnoldo


Mondadori Editore, (luglio) 1942 [edizione «Lo Spec-
chio»] (M1); Milano, Arnoldo Mondadori Editore,
(agosto) 1975 [edizione «Scrittori italiani e stranieri»]
(M2).

Tenendo conto che il testo risultante dal processo cor-


rettorio di B corrisponde a quello di M1 (B = M1), da qui
XC DINO MANCA

in avanti la sigla B designerà sia B (ultima bozza di stam-


pa) che M1 (Iª edizione, 1942).
Tra le edizioni seriori si ricordano: Milano, Mondadori,
1978 (M3); Nuoro, Ilisso, 2002 (IL).
I dati emersi dalla collatio attestano l’esistenza di nume-
rose lezioni divergenti tra i testimoni. Le varianti interne
a D, e quelle intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2, mostrano
un percorso correttorio vario e articolato per tipologia,
tempi e modalità d’esecuzione, fasi elaborative e impianto
stratigrafico.
L’editore mette a testo M2, attestante la forma ultima
del romanzo e l’ultima volontà dell’autore, e lo assume
come esemplare di collazione al quale rapportare tutte le
varianti esibite dai testimoni dattiloscritti e dalle edizioni
a stampa (parziali e totali) che precedono e presenta in ap-
parato la storia genetica dell’opera nei successivi passaggi
correttori; un apparato genetico (o diacronico o dinami-
co) dove trovano posto le varianti d’autore, ordinate, fin
dove è stato possibile, secondo un criterio cronologico.
I criteri di trascrizione del testo base adottati sono stati
di alta fedeltà diplomatica.
Si sono conservate le caratteristiche e le peculiarità della
lingua letteraria:

– le forme apocopate:
mandar, andar, venir, finir, aprir

– le forme dittongate e/o trittongate:


giuocare, giuocavamo, giuoco, muricciuolo, piuolo, figliu-
oli

– le forme monottongate:
decine
Nota al testo XCI

– le parole con «i» diacritica sovrabbondante:


quercie

– le forme raddoppiate:
intravvedeva

– gli arcaismi, i termini desueti e rari, voci dotte, termini


di uso letterario, talora in compresenza con le rispetti-
ve e concorrenti forme di uso più comune:
ritrecine, basto, noria, gora, profenda, maglio, scerbare,
accestire, in traversare, mallo, cimolo, callaia, gerla, ma-
stello, muglio, beccaio, coltella, mezzaria, crescione, apio,
sala, sgonfiotti, barbicaia, staggiano, abbarcato, giovine,
comperò, danari

Sono stati generalmente rispettati, infine:

– gli usi linguistici regionali dell’italiano, le forme d’uso


comune e della colloquialità, i modi di dire e i signifi-
cati idiomatici, tra i quali, ad esempio:
«È tuo padre che deve decidere»; «a volte la gente non
sanno quello che dicono. […]»; «[…] perché non è lei che
guardano male, ora! […]»; «non farti vedere a piangere
da tua madre»; Si ricordava certe allusioni, certe mezze
parole, certi sogghigni che non aveva creduto rivolti a
sé; «Babbo se ne sta andando»; «[…] Io e te dobbiamo
dimenticarci di quello che ci è successo. […]»; si sentiva
nudo e trasparente come un geco che ha la pancia piena di
mosche; «Cosa ci possono fare, la gente?»; per sciogliere
al pascolo i buoi; «A me mi hanno ammazzato il figlio.
[…]»; «Chi sa cosa diranno, la gente»; Pensava invece
ad Angela. Anche con lei avevano cominciato a salutar-
si; eppure Michele non sapeva decidersi; eppoi la fine di
Giovanni era stato; «non farti vedere a piangere da tua
madre»; Allora, per non farsi vedere a piangere sciocca-
XCII DINO MANCA

mente; Sembrava di cera, e odorava solo a guardarlo; «Io,


quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato un
uomo giusto, sincero»; Ma a me mi giudicherà Quello che
vede tutto e sa tutto; Non è la loro educazione che limi-
ta le loro letture; Ma non vorrei aver contribuito anch’io,
parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata;
«Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Bo-
schino»

– i capoversi.

Gli interventi hanno invece riguardato:

– l’emendazione dei refusi, per la cui identificazione,


quando non fenomenologicamente patenti, si è dimo-
strato utile il confronto con gli altri testimoni:
ragazzi, sempre. D > ragazzi, Sempre! (← sempre.) D1 D2
M2 > ragazzi. ( ragazzi,) Sempre! B > ragazzi. Sempre!
come se fosse colpa sua se aveva D D1 D2 M2 > come ›se‹
fosse colpa sua se aveva B > come se fosse colpa sua aveva
M1 > come fosse colpa sua se aveva dei racconti D D1
D2 M2 > ||del racconto|| (›dei racconti‹) B > del racconto
di montagne, di boschi, D > di montagne di boschi (← di
montagne, di boschi,) D1D2B > di montagne di boschi, M2
> di montagne di boschi broda D D1 D2 M2 B > proda
accapate D D1 D2 M2 B > accappiate Fin’allora D D1 D2
B M2 > Fin allora dovevano esserci tre ponti D > /ci sono/
devono (← dovevano) esserci tre ponti D1 > devono es-
serci tre ponti D2 > devono essere tre ponti M2 > devono
esserci tre ponti ancora bene in gambe D D1 D2 > anco-
ra in gambe B > ancora in gamba M2 > ancora bene in
gambe riacquisti forze D > riacquistando le (← riacquisti)
forze D1 D2 > riacquistando forze B M2 > riacquistando
le forze «Sai! Boschino è morto», D D1 D2 B > «Sai! Bo-
schino è morto» M2 > «Sai! Boschino è morto»,

– regolarizzazione secondo gli usi moderni di alcuni se-


gni diacritici: il punto fermo è stato riportato dopo le
Nota al testo XCIII

virgolette di chiusura; i puntini sospensivi sono stati


uniformati a tre.

L’editore ha fatto uso di un doppio apparato, in en-


trambi i casi sempre essenziali ed economici: un apparato
genetico e un apparato di note esplicative e di commento
storico, filologico e linguistico. L’apparato genetico segue
a sua volta due criteri distinti di rappresentazione grafica:
in un caso è collocato a piè di pagina, nell’altro caso – per
consistenti lezioni e ampie parti di testo – trova accoglien-
za in un’apposita appendice collocata a fine libro. In en-
trambi i casi trovano posto le varianti d’autore, ordinate,
nei successivi passaggi correttori, secondo un criterio cro-
nologico (ossia dalla lezione originaria a quella finale).
Nel primo caso l’apparato genetico è positivo: viene pri-
ma il riferimento numerico, la lezione del testo (che coin-
cide con quella di M2 emendata dai refusi), a destra pa-
rentesi quadra chiusa «]», seguono le lezioni con varianti
d’autore di D, D1, D2 e B (= M1) e quelle intercorrenti fra
D, D1, D2, B (= M1) e M2, ordinate secondo un criterio
diacronico-evolutivo e seguite dalle sigle (in neretto) dei
testimoni messi a confronto che condividono la lezione:
fugace] |fugace| (›breve‹) D

Michele] lui D •Michele (›lui‹) D1

sua] la D D1 D2 ||sua|| (›la‹) B

si erano] stavano D •s’erano (›stavano‹) D1 D2 si erano B

nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D B

accaduto] accaduta D D1 D2 B ≠ M2

accappiate] accapate D, D1, D2, B, M2


XCIV DINO MANCA

La lezione di M2 è siglata:

– quando essa è diversa dalla lezione definitiva che l’edi-


tore ha deciso di mettere a testo:
proda] broda D D1 D2 B M2

accappiate] accapate D D1 D2 B M2

Fin allora] Fin’allora D D1 D2 B M2

del racconto] dei racconti D D1 D2 M2 ||del racconto||


(›dei racconti‹) B

– quando essa è diversa da tutte le lezioni che precedo-


no:
esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2

parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2

– quando essa è uguale a una o ad alcune lezioni che pre-


cedono:
C’erano invece Pedonca, il padrone] Erano un certo
Pedonca, capraio, padrone D C’erano (← Erano) •invece
(›un certo‹) Pedonca, •il (›capraio,‹) padrone D1 D2 = M2
C’erano invece Pedònca, il padrone B

La lezione di M1 è invece siglata nei rarissimi casi in cui


essa non corrisponde a quella di B:
come fosse colpa sua se aveva] come se fosse colpa sua
se aveva D D1 D2 M2 come ›se‹ fosse colpa sua se aveva B
come se fosse colpa sua aveva M1

Quando la lezione risultante dal processo correttorio


di D è già quella definitiva (ossia corrispondente a quella
Nota al testo XCV

terminale di M2) e coincidente con le successive di D1, D2


e B, allora dopo la parentesi quadra chiusa «]» seguono
unicamente le varianti d’autore interne a D:
Voi eravate] Voi ›sie‹ eravate D

lo stesso animo] lo stesso (← le stesse) ›[―]‹ animo D

Maddalena per pagar l’avvocato, che] Maddalena ›[―]‹


per pagar l’avvocato, ›un‹ che D

Se invece, la lezione di D (o risultante dal suo proces-


so correttorio) coincide con la terminale riportata da M2
ma è diversa dalle successive lezioni di D1, D2 e B, allora
dopo la parentesi quadra chiusa seguono anche le varianti
d’autore interne a D1, D2 e B, ordinate secondo un criterio
cronologico:
solo] solo D sol (← solo) D1 D2 B

Quando la lezione definitiva è quella risultante dal pro-


cesso correttorio di D1 – ed essa risulta essere coincidente
con le successive lezioni di D2 e B – allora dopo la parente-
si quadra chiusa seguono solo le varianti d’autore interne
a D e D1 ordinate secondo un criterio cronologico:
padre,] padre D padre|,| D1

lo tenne anche lontano] lo tenne lontano anche D lo


tenne lontano2 anche1 D1

neppure] nemmeno D •neppure (›nemmeno‹) D1


XCVI DINO MANCA

D D1
Giuseppe si mise a ridere, e ridendo Giuseppe si mise a ridere. Rispose (←
rispose che lui il socio ce l’aveva già, a ridere, e ridendo rispose) che lui il
aveva suo figlio Michele, per socio; socio ce l’aveva già, aveva suo figlio
poi, siccome l’altro insisteva, lo pre- Michele, per socio. Poi (← socio; poi),
gò di essere ragionevole e di smettere siccome l’altro insisteva, •si rimise
quest’idea. L’altro, esasperato dalla a zappare senza più dargli retta. (›lo
sua calma, cominciò a minacciare pregò di essere ragionevole e di smet-
come l’altra volta che, assieme con tere quest’idea‹). Esasperato (← L’al-
Benedetto l’aveva picchiato. tro, esasperato) dalla sua calma, /Be-
nedetto/ cominciò a minacciare come
l’altra volta che, 2assieme con •Salva-
tore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.

Quando è definitiva (e coincidente con la successiva le-


zione di B) la lezione risultante dal processo correttorio
di D2, allora dopo la parentesi quadra chiusa seguono le
varianti d’autore interne a D, D1 e D2 sempre ordinate se-
condo un criterio cronologico:
dall’occhio alla spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/
angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1 dall’›angolo dell’‹ oc-
chio alla spalla, D2

accettato] accetato D D1 accet|t|ato D2

macellaio] maccellaio D D1 ma›c‹cellaio D2

Quando ancora, a seguire, è definitiva la lezione risul-


tante dal processo correttorio di B (= M1) – quindi corri-
spondente unicamente a quella terminale di M2 – allora
dopo la parentesi quadra chiusa, seguono le varianti d’au-
tore interne a D, D1, D2 e B ordinate secondo un criterio
cronologico. Le lezioni seguono le seguenti combinazioni
corrispondenti alle distinte vicende elaborative realizzate:

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D, né a quella di D1, né a quella di D2, tra loro invece
coincidenti:
Nota al testo XCVII

v’accechi.] v’acciechi. D D1 D2 v’accechi. B

come quando eravate giovincelli] come allora, che era-


vate giovincelli D D1 D2 come ||quando|| (›allora, che‹)
eravate giovincelli B

per il piccone.] di piccone. D D1 D2 ||per il|| (›di‹) pic-


cone. B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D, né a quella di D2, tra loro divergenti, ma coincide
invece con quella di D1:
me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D1, né a quella di D2, tra loro coincidenti, ma rista-
bilisce invece quella di D:
preventivo] preventivo|,| D1 D2 preventivo D B

cercava] /egli/ cercava D1 D2 ›egli‹ cercava D B

nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D1, né a quella di D2, tra loro differenti, ma ristabili-
sce invece quella di D:
Io sento] Io/lo/sento|,| D1 Io lo sento D2 Io sento D B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D, né a quella di D2, tra loro coincidenti, ma ristabi-
lisce invece quella di D1:
ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazierei; D1 B
XCVIII DINO MANCA

– la lezione terminale di B corrisponde a quella di D, a


quella di D2, ma non coincide invece con quella di D1:
viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2 B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D, né a quella di D1, né a quella di D2. Le lezioni di
D1 e D2 tra loro coincidono:
non si concede nulla di più] non si concedono nulla di
più D ›non‹ si concede (← concedono) •poco (›nulla‹) di
più D1 D2 non si concede (← concedono) nulla di più B

D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola di e se n’andarono senza una parola di
pace. “Povero Beppe” disse una vec- pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
chia “forse son più i colpi che ti hanno chia /dopo che quei due se ne furono
dato quei due giovanotti che gli scudi andati/ “forse son più i colpi che ti
hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi

B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono
andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli
scudi

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella


di D, né a quella di D1, né a quella di D2. Le lezioni di D
e D1 tra loro coincidono:
d’occhio. Quando vide che stava per saltargli addosso,
fece un passo all’indietro] d’occhio; e quando vide, o gli
parve, che ›[―]‹ volesse saltargli addosso, fece un salto
all’indietro D D1 d’occhio. Quando (← d’occhio; e quan-
do) vide, ›o gli parve‹, che ›[―]‹ •stava per (›volesse‹)
saltargli addosso, fece un •passo (›salto all’‹) indietro D2
d’occhio. Quando vide›,‹ che stava per saltargli addosso,
fece un passo all’indietro B
Nota al testo XCIX

Se infine, eccezionalmente, alla lezione definitiva si ar-


riva solo con M2, allora dopo la parentesi quadra chiusa
(che già la comprende) seguono le varianti d’autore in-
terne a D, D1, D2 e B ordinate secondo un criterio cro-
nologico e seguite dal segno ≠ M2 (da leggersi: «lezioni
diverse da M2»). Le lezioni seguiranno le seguenti com-
binazioni corrispondenti alle distinte vicende elaborative
realizzate:

– le lezioni che precedono quella terminale di M2 sono


tra loro coincidenti:
esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2

nelle cassapanche] nei cassoni D D1 D2 B ≠ M2

disse la cosa] disse neppure la cosa D D1 D2 B ≠ M

ringiovanito di pudore. Io non] ringiovanito dalle loro


parole. Ed era un piacere misto di pudore. Io non D D1
D2 B ≠ M2

In questo momento me ne assumo io stesso il peso e


la conseguenza.] Mi assumo io il peso e la conseguenza
della bestemmia. D D1 D2 B ≠ M2

– le lezioni che precedono quella terminale di M2 non


sono tra loro coincidenti. Infatti, le lezioni di D D1 D2,
tra loro coincidenti, sono diverse dalla lezione di B:
parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2

confondeva con quello] confondeva a quello D D1 D2


fondeva (← confondeva) ||con|| (›a‹) quello B ≠ M2

– oppure, la lezione iniziale di D è diversa da quelle di D1


D2, tra loro coincidenti e uguali a quella di B:
C DINO MANCA

ma mi guardavo] e mi guardai D ma (← e) mi guardai


D1 D2 B ≠ M2

l’ho riconosciuto] Lo ricostruivo D l’ho ricostruito (←


Lo ricostruivo) D1 D2 B ≠ M2

bruciavano il sedere.] bruciavano… D bruciavano il


culo (← …) D1 D2 B ≠ M2

È inoltre accaduto che, o per un ulteriore ripensamen-


to o per distrazione, l’autore abbia ristabilito (o ricorretto
o semplicemente lasciato) – nello stesso luogo del testo di
una versione successiva – una lezione precedentemente
emendata e non coincidente con quella terminale di M2:
l’invidia] e l’invidia D D2 ›e‹ l’invidia D1

Com’è altresì accaduto, ancorché di rado, che l’editore


si sia imbattuto in B in una sorta di lectio singularis, no-
nostante che alla lezione definitiva – ossia coincidente con
la terminale di M2 – si fosse già giunti, nello stesso luogo
del testo, con le precedenti lezioni o di D, o di D1 oppure
di D2. Solo in questo caso, accanto alla sigla del testimone
che accoglie (o dei testimoni che condividono) la lezione
definitiva si affianca il segno = M2 (da leggersi: «lezione
uguale a M2»):
C’erano invece Pedonca, il padrone] Erano un certo
Pedonca, capraio, padrone D C’erano (← Erano) •invece
(›un certo‹) Pedonca, •il (›capraio,‹) padrone D1 D2 = M2
C’erano invece Pedònca, il padrone B

Altre lezioni confinate a una testimonianza isolata e in-


novazioni o varianti (anche alternative), riscontrate in un
solo testimone sono:
il viso] il ›suo‹ viso D1
Nota al testo CI

gettando] disse|,| /e gettò/ gettando D1

in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1

non] /in molti/ non D1

paura di salvatore e di Benedetto,] paura ›di Salvatore e


di Benedetto‹, D1

non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava


più|?| /.che colore avevano?/ D1

voce giovane] 2giovane 1voce B

interiore, D D1 D2 B] interiore M2

L’orto D D1 D2 B] Lo orto M2

Per una più chiara e completa restituzione della tra-


dizione testuale e una migliore leggibilità del percorso
emendatorio significativo superstite – vista la consisten-
te e sostenuta campagna correttoria messa in essere dallo
scrittore in alcune fasi dell’elaborazione e considerata la
presenza cospicua, ricorrente e non marginale, nel pas-
saggio dalle redazioni D, D1, D2, B alla stampa M2, di dif-
formità che attestano finanche lo stravolgimento d’intere
originarie unità sintagmatiche e narrative – l’editore ha
ritenuto opportuno accogliere in un’apposita sezione, col-
locata a fine libro (Appendice), con proprio apparato dia-
cronico, alcune consistenti lezioni e ampie parti di testo
infarcite di correzioni e di varianti d’autore interne a D,
D1, D2, B e intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2. In questo
secondo caso l’apparato genetico è reso secondo una più
leggibile e funzionale configurazione sinottico-compara-
tiva. Esso registra il percorso variantistico intercorrente
tra i testimoni nel modo che segue:
CII DINO MANCA

D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola e se n’andarono senza una parola di
di pace. “Povero Beppe” disse una pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
vecchia “forse son più i colpi che ti chia /dopo che quei due se ne furono
hanno dato quei due giovanotti che andati/ “forse son più i colpi che ti
gli scudi hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi

B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono
andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli
scudi

Sempre in appendice (B e C) sono stati dall’editore ri-


spettivamente collocati:

uno dei tre quaderni di abbozzi (a titolo esemplificativo


si è scelto Q) che precedono le redazioni strutturalmente
compiute e la stesura definitiva del romanzo e che
documentano i nuclei generativi e le primitive fasi di
elaborazione dell’opera (avantesto);

le redazioni parziali di cui recano testimonianza i due


articoli (P ed L) usciti su rivista quindicinale e mensile e
i cui testi corrispondono in larga parte al VI – con brani
del X – e al XIII capitolo del romanzo.

Nel secondo apparato, infine, si riportano, con ridotta


dimensione del carattere, le note esplicative e di commento
storico, filologico e linguistico. Esse fanno seguito al riferi-
mento numerico che trova corrispondenza e riscontro, ad
esponente, direttamente nel segmento testuale:
compagnia. «Povero Beppe»…che gli scudi] cfr. Ap-
pendice (Cap. I).

Gli esponenti numerici presenti nel testo a margine rin-


viano alle note dell’apparato genetico.
Nota al testo CIII

Le diversificazioni redazionali e gli interventi corretto-


ri, discussi nell’apparato genetico in modo congetturale,
sono segnati nel modo seguente:

›a‹ per delimitare la cassatura di una porzione di testo:


sapeva che] sapeva ›di far bene‹ che D

discorsi] discorsi strani D D1 D2 discorsi ›strani‹ B

a battere col maglio.] a battere col maglio ritmicamente.


D a battere col maglio ›ritmicamente‹. D1

Quando della lezione cassata, delimitata tra uncinate


capovolte, è stato necessario segnalare la scansione re-
dazionale, se ne sono indicate le varie successioni con le
lettere abc. Quando la cassatura è accompagnata dalla so-
prascrittura (o sottoscrittura) di una variante, la lezione
rifiutata, sempre tra uncinate capovolte, ed entro paren-
tesi tonde (quadre quando è già dentro tonde) si è fatta
precedere dalla variante soprascritta (o sottoscritta) cui è
stato premesso un puntino (a esponente se soprascritta,
a deponente se sottoscritta); e quando della lezione più
antica è stato necessario indicare le varie successioni reda-
zionali si è fatto ricorso, anche qui, alle lettere abc. Quando,
poi, la cassatura è accompagnata dalla variante di sostitu-
zione in linea, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate
capovolte, ed entro parentesi tonde – si è fatta precedere
dalla variante in linea. Analogamente, quando, infine, la
cassatura è accompagnata dalla variante di sostituzione a
margine, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate capo-
volte, ed entro parentesi tonde – si è fatta precedere dalla
variante marginale:
alla] •alla (›per la‹) D

avrebbe] |avrebbe| (›sarebbe‹) D


CIV DINO MANCA

Sarebbero rimasti] Tutti, meno D D1 D2 ||Sarebbero


rimasti|| (›Tutti, meno‹) B

certi usi] certe regole fisse D •certi usi (›acerte regole


fisse bcerte norme‹) D1

fornito] portato D D1 D2 ||fornito|| (›aportato


b
||procurato||‹) B

veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva quasi‹)


D1 •veniva fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B

con carri a buoi adorni di canne fresche; ed è] e costitu-


isce D /con carri a buoi adorni di canne fresche/.ed è già
(›e costituisce‹) D1 D2 con carri a buoi adorni di canne
fresche|;| ed è ›già‹ B

← per indicare il passaggio da una prima (che si segnala


tra parentesi tonde) ad una seconda lezione ricalcata su
quella interamente o parzialmente (che si fa precedere) o
comunque corretta in vari modi su quella; si è adopera-
ta la stessa tecnica quando la correzione ha interessato la
sola punteggiatura:
la voce] la voce (← lo zio) D

le] quelle D le (← quelle) D1

[—] per indicare una lezione illeggibile:


trovò inginocchiato] trovò ›[−]‹ inginocchiato D

‹abc› entro parentesi uncinate piccole si è segnalata l’inte-


grazione congetturale

| a | per delimitare una inserzione in linea (anche di ordi-


ne interpuntivo):
Nota al testo CV

Cantòria. Ed ecco come.] Cantòria. D Cantòria. |Ed


ecco come.| D1

/b/ per delimitare una aggiunta nell’interlinea superiore:


Angela] /Angela/ D

Allora Michele] Michele D /Allora/ Michele D1

/.b/ per delimitare una aggiunta nell’interlinea inferiore:


non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava
più|?| /.che colore avevano?/ D1

|| b || per delimitare una inserzione marginale integrativa


o sostitutiva:
Eppure era sempre stato] Eppure era D D1 D2 Eppure
era ||sempre stato|| B

a per delimitare una lezione rimasta viva di fronte a una


successiva variante alternativa, soprascritta o sottoscritta,
o in linea o a margine:
in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1

naturalezza] /mobilità/ naturalezza D1

a³b¹c² diverso ordinamento (= b c a), segnalato da espo-


nenti numerici:
la donna, sembrava che] sembrava che la donna D D1 D2
2
sembrava che 1la donna|,| B

Certamente c’erano state altre feste di famiglia alle


quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in
gioventù; forse, in altri tempi, tutti erano stati così
d’accordo, e ora i due vecchi avevano ripreso] forse, in
altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, e c’erano sta-
CVI DINO MANCA

te altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto


avevano preso parte, in gioventù; e ora avevano ripreso
D 2forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo,
1
›e‹ /Certamente/ c’erano state altre feste di famiglia alle
quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in
gioventù; 3e ora ||i due vecchi|| avevano ripreso D1

↔| indica l’accapo e, quindi, che continua nel rigo se-


guente:
gente! Cosa] gente! Cosa D D1 D2 gente!↔| Cosa B

↔|| continua dopo più righi


allora. Dalla] allora.↔|| Dalla D D1 D2 B ≠ M

rivederla. Rivedo] rivederla.↔|| Rivedo D D1 D2 rive-


derla.↔| Rivedo B

|↔ indica il ritorno nella precedente linea di scrittura


andò»…Michele] andò».↔| Michele D andò».↔|
|«Giovanni?»|↔| Michele D1

disse. «Mi] disse. ↔| «Mi D dissi (← disse).↔| «Mi D1 D2


disse. |↔ «Mi B
Conspectus siglorum:

Avantesto

Q studi per Michele Boschino. Quaderno ms. con corre-


zioni autografe a penna e a matita

Q1 quaderno ms. con correzioni autografe a penna e a ma-


tita

Q2 quaderno ms. con correzioni autografe a penna e a ma-


tita

Testo

D dattiloscritto originale del romanzo.

D1 prima copia carbonata di D con correzioni mano-


scritte.

D2 seconda copia carbonata di D con correzioni mano-


scritte.

P «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile 1941),


pp. 9-11.

L «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie


III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33.

B bozza di stampa con correzioni manoscritte della Iª


edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942.

M1 Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942.

M2 Milano, Edizione Mondadori, (agosto) 1975.


D2 4r
Michele Boschino
PARTE PRIMA

A mio Padre
Michele Boschino 5

Michele Boschino aveva imparato da suo padre a colti- 5


vare la terra.
Quando suo padre morì, si trovò in possesso di un picco-
lo patrimonio che gli permetteva di lavorare quasi esclusi-
vamente sul suo.
Aveva trent’anni. 10
Il suo temperamento lo avrebbe portato ad abbandonarsi
a una pericolosa fiducia negli uomini, ma fin da bambino
aveva sentito ripetere da suo padre, che conta più un nemi-
co solo che cento amici; e, per quanto Giuseppe, suo padre,
fosse ben voluto da tutti, a Sigalesa, Michele ebbe presto la 15
conferma di questa verità.
Per un difetto costituzionale mise i primi denti solo a
dodici anni suonati, e per questo non fu mandato a scuo-
la. Crebbe, ciò non ostante, sano e forte, seguiva suo padre
in campagna o aiutava la madre nei lavori domestici. Era 20
sveglio e pronto, imparava a lavorare senza fatica. Per la
stessa ragione per cui non fu mandato a scuola, sua madre
lo tenne anche lontano dagli altri ragazzi, così, benché fos-
se di temperamento socievole, non ebbe amici e neppure
compagni di giuoco. Altri fatti che sopravvennero resero 25
abituale questa solitudine. Nei primi anni della sua fanciul-
lezza, forse a causa della sua bocca sdentata di vecchietto
facile al riso, la simpatia che tutti manifestavano a suo pa-
dre si ravvivava e si faceva più cordiale quando c’era lui. Le
sole persone che imparò, fin d’allora, a considerare come 30
nemici, erano gli zii paterni Salvatore e Benedetto.
Alcuni anni prima che Michele venisse al mondo, Giu-

13. padre,] padre D padre|,| D1     20. in campagna…domestici.] in cam-


pagna e aiutava sua madre nei lavori domestici, quand’era in casa D in
campagna o (← e) aiutava sua madre nei lavori domestici, ›quand’era in
casa‹. D1 D2 in campagna o aiutava la madre nei lavori domestici. B     23.
lo tenne anche lontano] lo tenne lontano anche D lo tenne lontano2 an-
che1 D1     24. neppure] nemmeno D •neppure (›nemmeno‹) D1     28.
manifestavano] mostravano D •manifestavano (›mostravano‹) D1     32.
Michele] lui D •Michele (›lui‹) D1     
6 GIUSEPPE DESSÌ

seppe aveva avuto da uno zio una piccola eredità che, se-
condo Salvatore e Benedetto, avrebbe dovuto venir divisa
in tre parti uguali: un vecchio giogo di buoi, che Giuseppe
vendette per poche decine di scudi. Poca roba, ma quanto
5 bastava per alimentare un rancore che forse aveva origini
più lontane.
Secondo i due fratelli questa piccola somma aveva dato
origine al modesto patrimonio che Giuseppe, prima solo,
poi con l’aiuto della moglie e del figlio era andato arroton-
10 dando; e non se ne davano pace, anzi il loro astio cresceva
col passare degli anni. Giuseppe aveva cercato tante volte
di far capire ai fratelli che quell’eredità gli spettava perché
aveva assistito lo zio, negli ultimi tempi, quand’era vecchio
e ammalato; e c’era anche uno scritto. Parenti e amici co-
15 muni cercarono inutilmente di convincere i due testardi a
desistere.
Un giorno Salvatore1 e Benedetto andarono a trovarlo nel
suo podere di Spinàlva e lo affrontarono di nuovo con mi-
nacce. Giuseppe, seduto su un sasso, stava aggiustando le
20 tirelle dell’asino, e non si mosse neppure. Li lasciò sfogare,
poi disse: «Non lo sapete neppure voi perché gridate così.
Sedetevi qui all’ombra e ragioniamo. Voi siete più arrabbia-
ti ora di prima. Ogni anno siete sempre più arrabbiati. Ogni
sasso che butto nella callaia vi fa arrabbiare. E perché? La
25 mia terra è come un albero. Se io, il seme di quell’albero, lo
facevo andare a male, voi a quest’ora non ci pensavate più.

2. venir divisa] essere |divisa| (›ripartita‹) D •venir (›essere‹) divisa


D1     4. ma quanto] ma forse quanto D ma ›forse‹ quanto D1     12. che
quell’eredità] la ragione. Quell’eredità D •che (›la ragione‹) quell’eredità
(← Quell’eredità) D1     13. negli] ›[…]‹ negli D     19-20. Giuseppe…sfo-
gare] Giuseppe, che stava aggiustando le tirelle dell’asino seduto su un
sasso, non si mosse neppure. Li lasciò |sfogare| (›gridare‹) D Giuseppe,
›che‹ stava aggiustando le tirelle dell’asino2 seduto su un sasso1, /e/ non
si mosse neppure. Li lasciò sfogare D1     22. ragioniamo.] state a sentire.
D •ragioniamo (›state a sentire‹). D1     23. siete sempre più] siete più D
siete /sempre/ più D1     24-25. La mia terra…quell’albero,] La mia terra è
come un albero carico di frutti. Se io il seme di quell’albero D La mia terra
è come un albero carico di frutti. Se io|,| il seme di quell’albero|,| D1 D2 La
mia terra è come un albero ›carico di frutti‹. Se io, il seme di quell’albero, B     
1
Parenti e amici…Un giorno Salvatore.] cfr. Appendice (Cap. I).
Michele Boschino 7

Saremmo amici. Voi due avreste capito la ragione. Invece


ho piantato il seme nel terreno buono, e il mio albero è cre-
sciuto. Voi eravate in malafede, quando avete cominciato a
litigare con me. Oggi forse anche voi ci credete davvero, di
avere ragione. No? Ecco cos’è la vostra: invidia. Dimenti- 5
catevi di quest’albero. Pensate che io qui nella mano abbia
ancora un seme soltanto. Ora che sono passati tanti anni,
forse non vi sentite più di essere in malafede come quando
eravate giovincelli e io vi facevo da padre. Pensate al seme,
non all’albero; l’invidia lasciatela da parte, che non v’acce- 10
chi. E ricordatevi sempre questo: voi due potreste passare
la vostra vita a gridare contro di me: fareste scappare gli
uccelli dal mio grano, e di questo vi ringrazierei; ma di più
non potrei fare».
I due stettero ad ascoltarlo con la faccia incantata; poi gli 15
saltarono addosso e cominciarono a menar botte, che se
continuavano ancora un poco lo lasciavano morto. Per for-
tuna accorse un vicino a metter pace. Giuseppe stette a letto
qualche giorno, e non volle denunciare i fratelli, come qual-
cuno gli consigliava. Cacciati a spintoni dagli amici, i fratel- 20
li andarono a chiedergli scusa di quel che avevano fatto, ma
quando poi furono lì se ne stettero seduti in disparte senza
saper cosa dire, e Giuseppe, come se niente fosse, continuò
a chiacchierare con gli altri amici che gli tenevano compa-
gnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due 25
se ne furono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato
quei due giovanotti che gli scudi2 che ti sono venuti da quei
buoi!» «È proprio come dite, zia Lica» rispose Giuseppe.

1-2. Invece ho] Invece io ho D Invece ›io‹ ho D1     3. Voi eravate] Voi ›sie‹
eravate D     5-6. Dimenticatevi di quest’albero.] Dimenticatevi di questo
bell’albero. D D1 D2 B ≠ M2     8-9. come…giovincelli] come allora, che
eravate giovincelli D D1 D2 come ||quando|| (›allora, che‹) eravate giovin-
celli B     10. l’invidia] e l’invidia DD2 ›e‹ l’invidia D1     10-11. v’accechi.]
v’acciechi. D D1 D2 v’accechi. B     11. questo:] un’altra cosa: D •questo
(›un’altra cosa‹): D1     12. me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1     13. mio
grano,] mio ›[…]‹ grano, D  ◆  ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazie-
rei; D1     18-19. stette…giorno, e] stette a letto qualche giorno ›cor‹, ma D
stette a letto qualche giorno, •e (›ma‹) D1     
2
compagnia. «Povero Beppe»…che gli scudi] cfr. Appendice (Cap. I).
8 GIUSEPPE DESSÌ

«Ma non sono quei pochi scudi che stanno sullo stomaco ai
miei fratelli. Se io lavorassi ancora a giornata e non avessi
legna per scaldare il bambino d’inverno, non ci pensereb-
bero più, a quegli scudi. Ma ora sentono che c’è un po’ di
5 calduccio, nella mia casa, che non si tira più la cinghia, e mi
vogliono male per questo».
Nei paesi del Centro, anche oggi – e tanto più a quei tem-
pi – la vita del contadino è così grama che le perdite gli
nuocciono assai meno di quanto non lo avvantaggi il ben-
10 ché minimo guadagno. Il bisogno ha indurito la sua tena-
cia: la prosperità lo trova con lo stesso animo diffidente con
cui accoglie la gente forestiera, con le stesse mani infatica-
bili di quando lotta con la carestia. Abituato a mangiar pane
e olive secche per mesi e mesi, non si concede nulla di più
15 nelle annate buone: e mette da parte il resto per le cattive,
che succederanno a quelle infallibilmente. Ogni pugno di
grano sparagnato è un guadagno.
Giuseppe Boschino, col ricavo dei buoi ereditati, e con
qualche piccolo risparmio, ne aveva comprato un giogo di
20 buona razza, forte e grande, come se ne vedevano di rado
nei paesi del Centro; e aveva cominciato a lavorare a gior-
nata per conto d’altri. In qualche anno aveva messo da
parte quanto bastava per comprare alcuni ettari di terra a

2-4. Se io…più] Se io lavoravo a giornata e non avevo legna per scaldare il


bambino d’inverno, non ci pensavano nemmeno D Se io lavorassi (← lavo-
ravo) /ancora/ a giornata e non avessi (← avevo) legna per scaldare il bam-
bino d’inverno, non ci •penserebbero più (›pensavano nemmeno‹) D1     5.
che] e D •che (›e‹) D1     8. del contadino] dei contadini D del contadino
(← dei contadini) D1     8-9. le perdite gli nuocciono] le perdite nuocciono
loro D le perdite /gli/ nuocciono ›loro‹ D1     9. lo] li D lo (← li) D1     10.
guadagno. Il bisogno] guadagno. ›[—]‹. Il bisogno D  ◆  la sua] la loro D la

sua (›loro‹) D1     11. lo] li D lo (← li) D1  ◆  lo stesso animo] lo stesso (← le
stesse) ›[—]‹ animo D     12. accoglie] accolgono D accoglie (← accolgono)
D1     13. lotta] lottano D lotta›no‹ D1  ◆  Abituato] Abituati D Abituato (←
Abituati) D1     14. non si…di più] non si concedono nulla di più D ›non‹
si concede (← concedono) •poco (›nulla‹) di più D1 D2 non si concede (←
concedono) nulla di più B     15. e mette…cattive,] tutto ciò che è in più lo
mettono da parte per ›quel‹le cattive D •e (›tutto ciò che è in più lo‹) mette
(← mettono) da parte /il resto/ per ›quel‹le cattive D1 D2 e mette da parte il
resto per le cattive, B     16. infallibilmente] infallibilmente. ›[—]‹ D     18.
e con] e forse con D e ›forse‹ con D1     
Michele Boschino 9

Spinàlva. La casa ce l’aveva già, e Maddalena gli aveva por-


tato in dote cinque o sei filari di vite in collina. Poteva tirare
il fiato. Fu allora che venne al mondo Michele. Quando il
ragazzo fu in grado di lavorare anche lui, Giuseppe com-
però un altro giogo di buoi e cominciò a far trasporti di 5
carbone e legname dalla foresta. Questi trasporti rendevano
molto di più della solita giornata di aratura. Il poderetto
di Spinàlva fu accresciuto con nuovi acquisti, grazie a quei
guadagni. Allora Giuseppe scavò un pozzo che risultò ric-
co di acqua anche in piena estate. Quando si fu accertato 10
della ricchezza di quella vena, fece accanto al pozzo una
vasca in muratura, ci mise una noria, e impiantò un orto.
I fratelli, che passavano di là spesso per andare a un loro
podere di Nadòria, entravano nell’orto con la scusa di farsi
dare un po’ d’insalata o di ravanelli da mangiare col pane. 15
Si lamentavano della loro miseria;3 e ogni tanto lasciavano
cadere qualche parola sull’eredità, tanto per mostrare che
non se n’erano dimenticati. «Vedete come siete vigliacchi»
diceva Giuseppe appoggiato alla zappa. «Se io non ero sem-
pre così paziente con voi, quest’idea vi sarebbe uscita dalla 20
zucca una buona volta!» Un giorno che non c’era Salvatore,
Benedetto fece una proposta a Giuseppe. Era disposto, di-
ceva, a venire a patti, purché Giuseppe lo prendesse come
socio nell’orto. Giuseppe si mise a ridere. Rispose che lui il
socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio. Poi, 25
siccome l’altro insisteva, si rimise a zappare senza più dar-
gli retta. Esasperato dalla sua calma, Benedetto cominciò a
minacciare come l’altra volta che l’aveva picchiato assieme
con Salvatore.4 Erano soli, nell’orto, Michele essendo an-
dato in paese con un carico di cavoli da vendere al merca- 30

8. acquisti, grazie] acquisti, ›[—]‹ grazie D     20-22. quest’idea…Giusep-


pe.] quest’idea vi sarebbe uscita dalla testa una buona volta!” Un giorno
Benedetto fece una proposta concreta. Era venuto solo apposta. D quest’i-
dea vi sarebbe uscita dalla •zucca (›testa‹) una buona volta!” Un giorno
/che non c’era Salvatore,/ Benedetto fece una proposta •a Giuseppe (›con-
creta. Era venuto solo apposta‹). D1     

3
Allora Giuseppe scavò…della loro miseria;] cfr. Appendice (Cap. I).
4
Giuseppe si mise a ridere…assieme con Salvatore.] cfr. Appendice
(Cap. I).
10 GIUSEPPE DESSÌ

to. Molti anni erano passati, dall’altra volta, ma Benedetto


aveva gli stessi occhi d’allora, e teneva in mano un ramo di
corbezzolo da cui doveva cavare un manico per il piccone.
Giuseppe non lo perdeva d’occhio. Quando vide che stava
5 per saltargli addosso, fece un passo all’indietro e gli diede
della zappa sulla testa. Benedetto cadde lungo disteso in
mezzo all’insalata. Giuseppe gli lavò la ferita con l’acqua del
pozzo, lo fasciò alla meglio con un pezzo di camicia, poi lo
portò in paese col carro, e andò a mettersi sotto la prote-
10 zione dei gendarmi, perché Salvatore e i figli di Benedetto
minacciavano di fargli la pelle, se lo trovavano. Fu trattenu-
to, e dopo alcuni mesi di carcere preventivo condannato a
tre anni di reclusione. Maddalena per pagar l’avvocato, che
non aveva fatto niente di niente, dovette vender la vigna.
15 Ma non si scoraggiò. Tre anni passano presto, diceva. Ven-
dette uno dei due gioghi di buoi, affittò il terreno da semina,
e lei stessa, con l’aiuto di Michele, si mise a coltivare l’orto.
Michele aveva quindici anni, ma lavorava come un uomo.
Era avveduto e cauto come suo padre. Fu lui che le consi-
20 gliò di vendere anche l’altro giogo di buoi, e di comprare un
muletto per portare i prodotti al mercato.
Passarono due anni duri e tristi; e il ragazzo, vedendo la
madre arrabattarsi senza posa e i guadagni diminuire sem-
pre, rimpiangeva la calma e la serenità di suo padre.5
25 All’inizio del terzo anno ci fu un’amnistia e Giuseppe
tornò a Sigalesa. L’aria e il sole fecero scomparire in poco
tempo dal suo viso le tracce della prigionia. I buoi furono
ricomprati, tutto tornò come prima.

3. per il piccone.] di piccone. D D1 D2 ||per il|| (›di‹) piccone. B     4-5.


d’occhio…all’indietro] d’occhio; e quando vide, o gli parve, che ›[—]‹ vo-
lesse saltargli addosso, fece un salto all’indietro D d’occhio. Quando (←
d’occhio; e quando) vide, ›o gli parve‹, che ›[—]‹ •stava per (›volesse‹) sal-
targli addosso, fece un •passo (›salto all’‹) indietro D1D2 d’occhio. Quan-
do vide›,‹ che stava per saltargli addosso, fece un passo all’indietro B     8.
di camicia] della propria camicia D di (← della propria) camicia D1     12.
preventivo] preventivo D preventivo|,| D1 D2     13. Maddalena…che]
Maddalena ›[—]‹ per pagar l’avvocato, ›un‹ che D     26-27. in poco…pri-
gionia.] in poco tempo le tracce della prigione. D in poco tempo /dal suo
viso/ le tracce della prigionia (← prigione). D1     
5
Fu lui che consigliò…la serenità di suo padre.] cfr. Appendice (Cap. I).
Michele Boschino 11

Quando gli dicevano che aveva subìto una grave ingiu-


stizia, – e anche Maddalena glielo ripeteva sempre, perché
voleva che facesse qualcosa, che si prendesse una rivinci-
ta – Giuseppe osservava che se era un’ingiustizia, la cosa
non riguardava lui: per lui era stata come una malattia, e il 5
danno che ne aveva avuto nessuno glielo poteva ripagare.
Pensava alla vigna perduta, alla bella vigna del Faraone. E
subito cominciò a metter da parte i danari per ricomprarla.

3. voleva…rivincita] voleva che lui facesse qualcosa, per prendersi una


rivincita D voleva che ›lui‹ facesse qualcosa|,| •che si prendesse (›per pren-
dersi‹) una rivincita D1     5-6. e il danno che] e che il danno che D e ›che‹ il
danno che D1     7. alla bella… Faraone.] alla bella vigna di Maddalena nei
pressi del ponte del Faraone. D alla bella vigna ›di Maddalena nei pressi
del ponte‹ del Faraone. D1
12 GIUSEPPE DESSÌ

II

5 Sui vent’anni Michele s’innamorò di Angela Ghiani, fi-


glia d’un compare dello zio Teodoro, del rione di Tuinas.
In questo rione erano quasi tutti caprai, ma Agosto Ghia-
ni aveva anche, oltre le capre, una vigna e alcuni ettari di
terreno da semina. Viveva solo, con le due figlie, Angela
10 e Carmela, essendo rimasto vedovo, e passava per uno dei
caprai più ricchi di Sigalesa.
Quando si seppe che i due giovani amoreggiavano, il fat-
to fu accolto con stupore dalla gente. Nessuno si sarebbe
aspettato che Michele Boschino potesse pretendere a una
15 ragazza come Angela, e tanto meno che lei ci si mettesse.
Giuseppe s’accorse subito di questa sorda ostilità, che dif-
ficilmente avrebbe ceduto al tempo senza prendersi una ri-
vincita; e temeva per il figlio. Sapeva che certi stati d’animo
diffusi sono come la siccità. Senza tempeste di grandine e
20 di vento, le foglie degli alberi avvizziscono e cadono, l’er-
ba inaridisce sulla terra secca. Allora basta un fiammifero
a distruggere una foresta. Allo stesso modo una parola di-
strugge la fama d’un uomo, se la gente è ostile. Lui stesso,
in fondo, non era contento della scelta di Michele.6 Non
25 che Angela non fosse una brava ragazza: si sapeva ch’era
una buona massaia, com’era stata sua madre, sana, forte,
lavoratrice instancabile, ma era troppo bella, per Michele.

12. i due giovani] Angela e Michele D •i due giovani (›Angela e Michele‹)


D1     14. pretendere] pretendere D D1 D2 ›‹pretendere›‹ B     15. lei ci si
mettesse.] Angela Ghiani, si mettesse con uno come lui. D •lei ci si mettes-
se (›Angela Ghiani, si mettesse con uno come lui‹). D1     16. sorda ostilità,]
ostilità sorda della gente, D 2ostilità 1sorda ›della gente‹, D1     26. massaia,]
massaia D massaia|,| D1     

6
temeva per il figlio. Sapeva…della scelta di Michele.] cfr. Appendice
(Cap. II).
Michele Boschino 13

Giuseppe non osava dirlo al giovane e neppure a Madda-


lena, ma ci pensava: Angela era troppo bella, e lui diffidava
di tutto ciò che è appariscente, di ogni cosa che promette di
più di quello che la natura suole concedere a ognuno. Mi-
chele non era un brutto giovane, anzi si poteva affermare il 5
contrario; e non era né stupido né povero, eppure gli man-
cava qualcosa per essere l’uomo che ci voleva per Angela.
Che cosa, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sape-
va: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, coi giovani
suoi coetanei, e quella sicurezza che solo quest’abitudine 10
può dare. Michele era stato sempre solo, e a Giuseppe pa-
reva che questo non si confacesse a uno che doveva sposare
una donna sulla quale gli occhi di molti si erano soffermati
con desiderio.7
Siccome era orfana di madre e non aveva parenti pros- 15
simi, Angela prese a frequentare la casa. Così poteva star
con Michele senza sospetto ed evitare le chiacchiere. Con
lei veniva spesso anche sua sorella Carmela; e tutte e due
aiutavano Maddalena nei lavori, come se fossero ormai di
casa: facevano la farina con lei, il pane, andavano a lavare al 20
fiume. Piano piano Giuseppe cominciava ad abituarsi alla
loro bellezza; ma, ogni tanto, gli nasceva dentro una specie

1-3. al giovane…appariscente,] al giovane, ma ci pensava: Angela era


troppo bella, e Giuseppe diffidava di tutto ciò che è troppo appariscente,
D al giovane /e neppure a Maddalena/, ma ci pensava: Angela era troppo
bella; (← bella,) e •lui (›Giuseppe‹) diffidava di tutto ciò che è troppo appa-
riscente, D1 D2 al giovane e neppure a Maddalena, ma ci pensava: Angela
era troppo bella, e lui diffidava di tutto ciò che è appariscente, B     4. la na-
tura…ognuno.] la natura suole (← vuole) concedere a ognuno. D la natura

suole (›avuole b•sembra voler‹) concedere a ognuno /›[—] il medesimo‹/.
D1     15. Siccome] Giuseppe lasciò fare. E siccome ›[—]‹ D ›Giuseppe la-
sciò fare. E‹ Siccome (← siccome) D1     15-16. prossimi] prossime D pros-
sime D1 D2 prossimi (← prossime) B     16. Angela] /Angela/ D     18. sua]
la D D1 D2 ||sua|| (›la‹) B     20. casa…lei,] casa, facevano, la farina, D casa;
(← casa,) facevano, la farina /con lei/, D1 D2 casa: (← casa;) facevano›,‹ la
farina con lei, B     21. Piano] E piano D Piano (← E piano) D1     22. bel-
lezza; ma,] bellezza, anche se, D bellezza; (← bellezza,) •ma (anche se), D1     

7
non era un brutto giovane…soffermati con desiderio.] cfr. Appendice
(Cap. II).
14 GIUSEPPE DESSÌ

di timore superstizioso, e allora, più che altro per scrupolo


di coscienza, diceva a Michele o a Maddalena, o anche ad
Angela, che la buona moglie dev’essere come il lume a olio,
che fa una luce giusta, né troppo debole né troppo viva, e
5 sta dove lo mettono, in cucina come nella stalla, e non attira
gli occhi, non riempie di sé la casa. La giovane prendeva
queste parole come una lode, e solo Maddalena ne capiva
il vero significato. Da tempo s’era accorta della muta diffi-
denza di Giuseppe, e siccome s’era affezionata ad Angela,
10 ed era lusingata dal fatto che Michele sposasse una bella
ragazza, aspettava il momento di chiedere una spiegazione
al marito. Intanto bisticciava con lui per cose insignificanti
che non avevano nulla a che fare con l’argomento che le
stava a cuore.
15 Nel frattempo Michele aveva cominciato a costruire due
camere accanto al granaio, aveva seminato un po’ di terra
per suo conto, e metteva da parte qualche soldo; Angela fi-
niva di tesser la tela per il corredo. All’infuori di questo, i
due giovani vivevano più come fratello e sorella che come
20 fidanzati; e spesso qualcuno chiedeva a Michele o a Giusep-
pe, chi fosse la promessa sposa, Angela o Carmela.8
Un giorno Michele sorprese Maddalena e Giuseppe

1. superstizioso, e allora,] superstizioso. Allora, D superstizioso, /e/ allo-


ra, (← superstizioso. Allora,) D1     2-3. diceva…Angela, che] diceva che D
diceva /a Michele, a Maddalena, e anche ad Angela, se capitava/ che D1 D2
diceva a Michele o a Maddalena, o anche ad Angela, che B     6-8. La giova-
ne…significato.] Solo Maddalena capiva il significato di queste parole. D
/La giovane prendeva queste parole come una lode; e/ solo (← Solo) Mad-
dalena /ne/ capiva il /vero/ significato ›di queste parole‹. D1 D2 La giovane
prendeva queste parole come una lode, e solo Maddalena ne capiva il vero
significato. B     10-12. ed era…per cose] e le piaceva anche che Michele
sposasse una bella ragazza, aspettava il momento di parlargliene, e intanto
bisticciava con lui su cose D e|d| •era lusingata dal fatto (›le piaceva an-
che‹) che Michele sposasse una bella ragazza, •rimandava (›aspettava‹) il
momento di •chiedere spiegazioni al marito (›aparlargliene b •preten‹), e
intanto bisticciava con lui •per (›su‹) cose D1 D2 ed era lusingata dal fatto
che Michele sposasse una bella ragazza, ||aspettava|| (›rimandava‹) il mo-
mento di chiedere una spiegazione al marito. Intanto (← marito, e intanto)
bisticciava con lui per cose B     

8
Nel frattempo Michele…Angela o Carmela.] cfr. Appendice (Cap. II).
Michele Boschino 15

che bisticciavano tra loro sottovoce. Tacquero non appe-


na s’accorsero di lui, senza riuscire a nascondere un certo
imbarazzo. La cosa si ripeté parecchie volte a distanza di
tempo, e sempre con più frequenza. Poi, improvvisamen-
te, quando Michele chiese di anticipare le nozze, non solo 5
queste dispute cessarono ma i due vecchi non erano mai
stati d’accordo come allora. Maddalena mai come allora si
era mostrata così docile e remissiva con Giuseppe. «Io non
c’entro» diceva a Michele. «È tuo padre che deve decidere».
E Giuseppe aveva bell’e deciso: le nozze non dovevano es- 10
sere anticipate neppure d’un giorno. Sapeva ch’era inutile
insistere, Michele, e si sarebbe adattato, come sempre, alla
volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in pace.
Era lei che voleva affrettare le nozze. Diceva che Carmela
doveva fidanzarsi, e che il padre non lo avrebbe permesso 15
se non dopo le loro nozze; non voleva due uomini in casa in
una volta sola. Giuseppe aveva discusso a lungo della cosa
con Maddalena, che, in un primo tempo, era propensa ad
accondiscendere. Avrebbe voluto almeno che Angela ne
parlasse apertamente con lui stesso o con Maddalena: inve- 20
ce, in loro presenza faceva l’agnella, e quando poi era sola
con Michele non gli dava un momento di respiro. Mad-
dalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione
nascosta, che la ragazza non voleva dire. Forse la ragazza
era incinta e si vergognava. Giuseppe diceva che non c’era 25
motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele.
Disse di averli sentiti parlare di nascosto tra loro, e sapeva
che le ragioni di Angela erano sempre quelle.9 Proprio da
quei discorsi s’era convinto che Michele era puro come un
bambino. 30
Una volta che erano soli in casa, la discussione tra Giu-
seppe e Maddalena diventò violenta. Giuseppe aveva ripe-
tuto almeno dieci volte lo stesso ragionamento senza riusci-
re a convincer la donna.

9
Poi, improvvisamente, quando…erano sempre quelle.] cfr. Appendice
(Cap. II).
16 GIUSEPPE DESSÌ

«Ma allora» disse a un certo punto Maddalena «c’è un’al-


tra ragione che la ragazza non dice neppure a Michele, una
ragione che sa soltanto lei».
«Lei e un’altra persona! Sì, ora me l’hai fatto dire: lei e
5 un’altra persona!»
Maddalena diventò pallida pallida, e gli si appressò tra-
scinandosi dietro lo scanno, come se avesse paura.
«Cos’hai detto?» balbettò.
Giuseppe aveva preso la paletta, che era appoggiata a un
10 angolo del camino e s’era messo a esaminarla. Le mani gli
tremavano.
«Ho detto una cosa che non avrei voluto dirti mai».
Raccontò in poche parole come, alcuni mesi prima, Rai-
mondo Manchìa, un vecchietto che incontrava ogni giorno
15 sulla strada di Spinàlva gli aveva chiesto se Michele fosse
fidanzato con Angela o con Carmela. Dopo alcuni giorni lo
aveva fermato di nuovo per chiedergli se Angela era quella
di statura più piccola. Giuseppe gli aveva detto che quella
era Carmela. Il vecchio era rimasto perplesso: aveva fatto
20 un cenno di saluto con la mano e aveva ripreso la sua stra-
da. Una terza volta era stato Giuseppe a fermarlo. Aveva un
sospetto: gli pareva che il vecchio gli avesse nascosto qual-
cosa. A bella posta disse che s’era sbagliato, che non aveva
ben capito la sua domanda, che Angela era la più bassa delle
25 due sorelle. Allora il vecchio, sorridendo maliziosamente,
aveva detto che lo sapeva, perché l’altra, la più alta, faceva
l’amore di nascosto con un vicino di casa, un certo Anto-
nio Taras, e andava anche a trovarlo in casa, di notte. Lui
stesso l’aveva vista dalla sua legnaia. Senza disingannare il
30 vecchio, Giuseppe l’aveva fatto parlare a lungo di questi in-
contri, che avvenivano sempre quando Agosto era all’ovile.

2. che la…Michele,] che la ragazza non dice neppure a lui D D1 D2 che la


ragazza non dice neppure a ||Michele,|| (›lui‹) B     10-11. esaminarla…
tremavano.] esaminarla attentamente. D esaminarla|.| •Le mani gli tre-
mavano. (›attentamente.‹) D1     23. A bella…sbagliato] Disse che s’era
sbagliato D /A bella posta/ disse (← Disse) che s’era sbagliato D1     30-31.
parlare…incontri] parlare a lungo su quest’ incontri D parlare a lungo di
(← su) quest’ incontri D1 D2 parlare a lungo di questi (← quest’) incontri B     
Michele Boschino 17

Il vecchio si divertiva a raccontare, e diceva che faceva bene,


la ragazza, a ingannare suo padre, che non le permetteva di
fidanzarsi con quell’uomo. Da molti particolari Giuseppe
aveva capito che si trattava di Angela, non di Carmela, il cui
pretendente non era Antonio Taras. 5
«Anch’io lo avevo sentito dire, molto tempo fa» sospirò
Maddalena.
Lacrimava senza singhiozzi, avvolgendosi alle dita la coc-
ca del fazzoletto, disperatamente.
«A volte» disse dopo un poco con la voce che le tremava 10
«a volte la gente non sanno quello che dicono. Cosa ci vuole
a diffamare una ragazza?»
«Neanch’io ci volevo credere. Ma ora l’ho sentito ripe-
tere anche da un’altra persona, e anche tu lo sapevi! Chi sa
in quanti sono, a saperlo! Ora stanno zitti, aspettano che 15
Michele si sposi – perché non è lei che guardano male, ora!
– Aspettano che si sposi; e poi… lo sai anche tu quello che
succederà. E se anche non lo sapesse nessuno, non è lo stes-
so?»
Maddalena assentiva in silenzio. Voleva bene alla ragaz- 20
za, e le dispiaceva ora di dover credere una cosa tanto brut-
ta, le dispiaceva quasi più per lei che per Michele. Era così
laboriosa, così buona.
«E se non è vero?» chiese piano, tra le lacrime.
Giuseppe la guardò senza rispondere. 25
«E se non è vero? se non è vero?…» insistette la donna.
«Può anche darsi che non sia vero; ma è brutto che lo
dicano».

1. Il vecchio…diceva che] E diceva il vecchio che D ›E diceva‹ Il (← il) vec-


chio /si divertiva a raccontare, e diceva/ che D1     2. suo padre] il padre D
suo padre (← il padre) D1     3. con quell’uomo.] quell’uomo, fino a che la
sorella maggiore non si fosse sposata. ›[—]‹ D con quell’uomo›, fino a che
la sorella maggiore non si fosse sposata‹. D1     7-8. Maddalena. Lacrima-
va] Maddalena. Lacrimava D Maddalena.↔| Lacrimava D1     10. A] Alle
D A›lle‹ D1     11. a] Alle D A›lle‹ D1 D2 ||a|| (›A‹) B     24. chiese piano,]
chiese D D1 D2 chiese ||piano,|| B     26. la donna.] la donna riprendendo
speranza. D D1 D2 la donna ›riprendendo speranza‹. B     
18 GIUSEPPE DESSÌ

Stettero un pezzo in silenzio, fino a che si sentì aprire il


cancello, e le voci dei tre giovani che rientravano. Erano
stati all’orto a cogliere i fichi, e li portavano a casa delicata-
mente assolati nelle corbe con erba e foglie. Avevano fatto
5 la strada a piedi perché i frutti non si ammaccassero agli
urti del carro.
Si fecero un segno per esortarsi reciprocamente al si-
lenzio; e da quel momento era cominciata tra i due vecchi
quell’intesa che aveva tanto meravigliato Michele.
10 Maddalena parlava sempre a voce bassa, sfuggendo lo
sguardo di Michele, e sospirava; e anche con Angela non
era più quella di prima. Restava lì imbarazzata, le offriva
la sedia come a un’estranea, e se Angela, com’era avvezza,
voleva far qualcosa, le strappava quasi gli oggetti di mano.
15 Giuseppe, per suo conto, se n’andava sotto il loggiato o nel-
la stalla. Anche col figlio parlava poco. Quando andavano
in campagna insieme, rispondeva distrattamente alle sue
domande, senza mai dargli modo di affrontare l’argomen-
to delle nozze, canticchiava e s’interrompeva solo per dare
20 una voce alle bestie, di tanto in tanto. Michele non sapeva
spiegarsi questo contegno, e Angela cominciava a sospet-
tare che ci fosse sotto qualche cosa. Fu lei che lo spinse a
chiedere una spiegazione ai genitori: senza questo, chi sa
quando si sarebbe deciso. Le promise che ne avrebbe parla-
25 to a sua madre quel giorno stesso. Di sera si sedette anche
lui accanto al fuoco, aspettando che Giuseppe uscisse, per
parlare più liberamente con Maddalena, che nell’affare del

1-2. si sentì aprire il cancello,] sentirono aprirsi il cancello, D D1 D2 ||si


sentì|| (›sentirono‹) aprire (← aprirsi) il cancello, B     5. non si ammac-
cassero] non |s’ammaccassero| (›si guas‹) D D1 D2 non si ammaccassero
B     8. era…vecchi] era cominciata tra loro D D1 D2 era cominciata (›aera
cominciata b||cominciò||‹) tra ||i due vecchi|| (›loro‹) B     10-11. sfuggen-
do…sospirava;] sfuggiva il suo sguardo, sospirava; D D1 D2 sfuggendo (←
sfuggiva) ||lo sguardo di Michele, e|| (›il suo sguardo‹), sospirava; B     18-
19. l’argomento delle nozze] l’argomento D l’argomento /delle nozze/
D1     20-22. Michele…qualche cosa.] Michele non sapeva rendersi conto
di questo contegno, e Angela cominciava a insospettirsi. D Michele non
sapeva •spiegarsi (›rendersi conto di‹) questo contegno, e Angela comin-
ciava a •sospettare che ci fosse sotto qualche cosa (›insospettirsi‹). D1     25-
26. Di sera…lui] /Di sera/ si (← Si) sedette anche lui D     
Michele Boschino 19

matrimonio gli era sempre stata favorevole. Ma Giuseppe


pareva che non avesse intenzione di muoversi di là. Se ne
stavano tutti e tre zitti, come se fosse capitata una disgrazia.
Alla fine Michele disse:
«E allora?» 5
Né Giuseppe né Maddalena gli risposero. Si alzò e accese
la lanterna per andare nella stalla a pestare le fave per i buoi.
Aveva voglia di piangere.
«Michele» disse Giuseppe «credi che se non ti voglio ac-
contentare lo faccio per puntiglio?» 10
Il giovine si fermò sulla porta.
«Vieni qua».
Michele richiuse la porta e posò in terra la lanterna, sen-
za avvicinarsi. Guardò sua madre per chiederle aiuto, ma il
viso di lei era duro, immobile nel riflesso della fiamma. Non 15
lo guardava neppure.
«Dimmi sinceramente, credi davvero che sia per un pun-
tiglio?»
«No, un puntiglio no».
«E allora perché credi che lo faccia?» 20
Michele indugiò un poco. Gli venne l’idea assurda che
suo padre stesse per cedere.
«Perché non hai simpatia per lei» disse a bassa voce.
Erano le stesse parole di Maddalena, quelle parole che
egli non aveva mai osato dire a suo padre, e gliele diceva 25
ora che, per la prima volta, si trovava solo di fronte a lui.
S’accorse che sua madre piangeva zitta zitta. Anche lui sta-
va per piangere.
«Non è per questo» disse Giuseppe.
Batté con la paletta sulla scarpa ferrata del giovine co- 30
stringendolo a guardarlo in faccia.

6. gli risposero...lanterna] gli risposero: Michele s’alzò e prese la lanterna


D gli risposero›: Michele‹. S’alzò (← s’alzò) e •accese (›prese‹) la lanterna D1
D2 gli risposero. Si alzò e accese la lanterna B     21. Gli venne l’idea assur-
da] Ora gli pareva D •Gli venne l’idea assurda (›Ora gli pareva‹) D1     26.
ora...lui.] ora che si trovava solo di fronte a lui, per la prima volta. D ora
che /per la prima volta/ si trovava solo di fronte a lui, ›per la prima volta‹.
D1 D2 ora che|,| per la prima volta|,| si trovava solo di fronte a lui. B     27-
28. zitta...piangere.] zitta e anche lui stava per piangere. D zitta|.| Anche
(← e anche) lui stava per piangere. D1     
20 GIUSEPPE DESSÌ

«Non è per questo».


«Non è per questo? E allora cos’è?» disse Michele sin-
ghiozzando. «Allora perché non lo dite? Tante volte ne ab-
biamo parlato, e voi non la dite mai, la ragione».
5 «A tua madre gliel’ho detta» disse accennando a Madda-
lena, che scoppiò in singhiozzi anche lei. «E lo dico anche
a te, ora».
Il giovine non capiva, poi, a un tratto, gridò:
«Non ditemi niente di brutto, di lei! Non ditemi niente».
10 Nel pianto, la sua voce sembrava persino minacciosa.
«Se la prendi così, è meglio lasciar le cose come stanno.
Sposati anche domani, se vuoi».
«Non ditemi nulla» continuava a singhiozzare Michele.
Si chinò, prese la lanterna, e uscì sempre ripetendo quelle
15 parole.
Quando fu solo, sotto la tettoia della stalla, si buttò boc-
coni sulla paglia. Pianse a lungo, disperatamente, senza
ritegno. Quando cominciò a calmarsi sentì lì accanto un
fruscio leggero. Riconobbe il rumore che suo padre faceva
20 respirando quando portava un peso. Lo sentì sedersi a gam-
be larghe accanto al ceppo che serviva per pestare le fave.
Certamente il vecchio lo aveva guardato piangere.
«Non ditemi nulla» ripeté a bassa voce.
Il vecchio cominciò a pestare le fave a una a una col ma-
25 glio canterellando una nenia, come soleva quand’era occu-
pato in quell’operazione.
Dopo un poco, s’interruppe, e disse:
«Però bada che quello che non vuoi sapere da me potresti
sentirtelo dire da una bocca estranea, e allora sarà peggio».
30 Riprese a canterellare e a battere col maglio.
Quella nenia monotona e i tonfi regolari del maglio lo
calmavano. Che cosa c’era da dire, ormai, che già non sa-

7. te, ora] te. D te|, ora| D1     27. Dopo...disse:] S’interruppe, e disse: D


|Dopo un poco,| s’interruppe, (← S’interruppe,) e disse: D1     29. sentirtelo
dire] sentirlo D sentir/te/lo D1 D2 sentirtelo |dire| B     30. a battere col
maglio.] a battere col maglio ritmicamente. D a battere col maglio ›rit-
micamente‹. D1     31-32. i tonfi...calmavano.] i colpi regolari del maglio
calmavano Michele. D i •tonfi (›colpi‹) regolari del maglio /lo/ calmavano
›Michele‹. D1     
Michele Boschino 21

pesse? “Allora era vero ciò che dicevano” pensava. Si ricor-


dava certe allusioni, certe mezze parole, certi sogghigni che
non aveva creduto rivolti a sé e a cui non aveva mai fatto
caso, prima.
5

1-2. ricordava certe] ricordava anche certe D ricordava ›anche‹ certe


D1     3-4. non...prima.] non aveva fatto caso. D D1 D2 non aveva ||mai||
fatto caso, (← caso.) ||prima||. B
22 GIUSEPPE DESSÌ

III

5 Alcuni anni dopo, sul finir dell’inverno, Giuseppe cadde


ammalato. Cos’avesse, non lo seppe dire neppure il medico.
In poche settimane sembrava invecchiato. Dovette stare a
letto, e mandar giù una quantità d’intrugli che non servi-
vano che a farlo star peggio. Finalmente si ribellò, non volle
10 più medicine, e si sarebbe anche alzato se ne avesse avuto la
forza. Allora il riposo cominciò a giovargli; e dal letto segui-
va i lavori che Michele mandava avanti nel podere e nell’or-
to con l’aiuto di un servo. Gli bastava chiuder gli occhi per
vedere ogni albero che il figlio potava, ogni zolla a cui dava
15 il sugo, ogni proda che annaffiava; sentiva gli effetti di ogni
minimo cambiamento di tempo sui peschi riparati dalla sie-
pe di cipressi o sulle terre seminate; e quando la pioggia co-
minciava a farsi desiderare, inoltrandosi la primavera, la sete
ardeva in ogni sua fibra, egli era terra secca distesa e arida.
20 Michele stava lunghe ore seduto accanto al suo letto e gli
rendeva conto di tutto minuziosamente. Gli pareva che tutto
ciò che faceva non sarebbe servito a nulla, se non ne parlava
prima con lui. Non che avesse bisogno di consigli, ché ormai
sapeva fare da sé. Ma non voleva togliere al vecchio l’illusio-
25 ne di essere ancora tanto necessario, e amava, in quest’illu-
sione, riposarsi egli stesso. E che cosa era, lui, in fine? Era
come una mano che Giuseppe allungasse a occhi chiusi, una
mano che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.10

7. sembrava invecchiato.] sembrava invecchiato di colpo. D D1 D2 sem-


brava invecchiato ›di colpo‹. B     10-11. la forza] le forze D D1 D2 la forza
(← le forze) B     11. giovargli;] giovargli, D D1 D2 giovargli; (← giovargli,)
B     13. con l’aiuto...occhi] con l’aiuto di un servo allo stesso modo che un
cane straiato al sole sente le pulci passeggiargli sotto il pelo. L’orto e il po-
dere erano parti del suo stesso corpo. Gli bastava chiuder gli occhi D con
l’aiuto di un servo ›allo stesso modo che un cane straiato al sole sente le
pulci passeggiargli sotto il pelo. L’orto e il podere erano parti del suo stesso
corpo‹. Gli bastava chiuder gli occhi D1     15. proda] broda D D1 D2 B M2     
10
Michele stava lunghe ore…la forza giovanile di un tempo.] cfr. Appen-
dice (Cap. III).
Michele Boschino 23

Avvicinandosi il tempo della fiera di Santa Croce, Giu-


seppe cominciò a preoccuparsi dei buoi. Bisognava ven-
derne un giogo diventato troppo vecchio e comperarne un
altro giovane. Questo cambio di solito lo faceva ogni tre o
quattro anni; e quell’anno appunto toccava. Il vecchio par- 5
lava come se alla fiera dovesse andarci lui stesso. Dapprima
Michele non ci fece caso, perché Giuseppe, anche quando
si trattava dei lavori dell’orto e del podere, parlava allo stes-
so modo, come se dovesse farli con le sue mani; ma pre-
sto s’accorse che non era un semplice modo di dire, e ne 10
parlò con Maddalena perché cercasse lei di convincerlo che
era una pazzia pensarci.11 Ma il malato, quando si parlava
di questo, non ragionava più. S’era messo in testa di star
meglio, che quei dolori insopportabili era il letto che glieli
dava, che la vera medicina per lui era l’aria della campagna; 15
e voleva farla finita una buona volta, se no ci lasciava la pelle
davvero. «Sei vecchio!» diceva Maddalena «mettiti in testa
che sei vecchio, e devi averti riguardo, benedetto!». A ogni
costo volle alzarsi, ma a stento riusciva a reggersi seduto su
una sedia. Ripeté il tentativo per parecchi giorni, ostinata- 20
mente, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena,
prese a migliorare davvero. Non parlava che della fiera di
Santa Croce, della gente che ci andava ogni anno da tutti
i paesi del Centro, dal Gocèano e da Parte d’Ispi, dei gran
danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure 25
si sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi
e di marenghi passare per quelle mani terrose, come se li
avessero scavati la sera prima sotto qualche vecchio muro.
E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità
del danaro. Perché alla fiera, oltre le persone che, come lui, 30
non cercavano altro che un bel giogo di buoi da lavoro o un
buon cavallo, ce n’erano poi di quelle che in una sola gior-

14. che] e che D ›e‹ che D1     15. dava, che] dava perchè l’immobilità gl’im-
pediva di digerire il cibo. Diceva che D dava|,| ›perchè l’immobilità gl’im-
pediva di digerire il cibo. Diceva‹ che D1     15-16. campagna; e voleva]
campagna e che voleva D campagna|;| e ›che‹ voleva D1     
11
e quell’anno appunto…che era una pazzia pensarci.] cfr. Appendice
(Cap. III).
24 GIUSEPPE DESSÌ

nata compravano e rivendevano anche tre o quattro gioghi


col solo scopo di guadagnarci su. Bisognava stare con gli
occhi aperti, perché lì anche i galantuomini si dimentica-
vano di esser galantuomini.12 Le cose più strane capitavano
5 alla fiera. Lui aveva conosciuto un tale che aveva venduto la
moglie per cinquanta scudi, come una giovenca. Eppure era
sempre stato un bravo giovane, e nessuno aveva mai potuto
dir male di lui, prima d’allora. Per cinquanta scudi aveva
lasciato la moglie tutta la notte sul suo carro con un vecchio
10 proprietario di F., e se n’era andato a dormire nel fosso. Mi-
chele ascoltava questi discorsi e rimaneva pensieroso, senza
saper cosa dire. Non aveva mai sentito suo padre parlare
così. Pensava perfino che delirasse; ma invece era fresco e
il polso batteva regolarmente. Il vecchio si lasciava tocca-
15 re la fronte e tastare il polso e lo guardava con un sorriso
malizioso, come un ragazzo che sappia che finirà per aver-
la vinta. Un giorno che Michele aveva attaccato il muletto
per andare all’orto, Giuseppe montò sul carro, gli strappò
di mano le briglie e lasciò Maddalena a strillare in cortile.
20 Michele non lo aveva mai visto così allegro. Ma quando fu
poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdra-
iò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa
sul basto del mulo e si addormentò beatamente allo scro-
scio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta
25 d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare i
cavoli. Ogni tanto, parendogli di sentirlo parlare, tornava;13
ma lo trovò sempre addormentato. Alla fine, impensierito
di quel sonno, lo svegliò. Il vecchio disse che gli pareva di
scendere tra le rive boscose di un fiume, lungo il filo della

6-7. Eppure…stato] Eppure era D D1 D2 Eppure era ||sempre stato||


B     8. Per] Ebbene, per D ›Ebbene,‹ Per (← per) D1     11. discorsi] discorsi
strani D D1 D2 discorsi ›strani‹ B     

12
«Sei vecchio!» diceva Maddalena…di esser galantuomini.] cfr. Appen-
dice (Cap. III).
13
Ma quando fu poi nell’orto…parlare, tornava;] cfr. Appendice (Cap.
III).
Michele Boschino 25

corrente, ma camminava sull’acqua come su una strada, e


udiva tra gli alberi della riva voci di uomini. Michele tornò
al lavoro, e il vecchio rimase di nuovo solo. Nello scroscio
del ritrecine, che gli aveva generato, nel sonno, quell’im-
magine di acqua scorrente, distingueva ora il rumore ben 5
noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle
cesoie, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori
gli facevano bene come l’aria della campagna. A un tratto si
ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più
pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.14 Si 10
alzò, e appoggiandosi al manico di una zappa, andò a cer-
carne nella gora, dove Michele soleva metterli al fresco, sot-
to l’erba. Ma non ce n’erano. Allora andò a coglierne die-
tro la vasca con l’intenzione di metterli lui stesso in fresco.
Invece li mangiò così come erano, caldi e pieni di polvere. 15
Li mangiò avidamente, sporcandosi di succo le mani e la
camicia, preoccupato solo di non farsi scorgere da Michele.
Poi si distese di nuovo sotto la pergola e si riaddormentò.

1-3. e udiva…lavoro,] e gli pareva di udire, tra gli alberi della riva, voci
di uomini. Disse che l’orto lo avrebbe visto [—] un altro giorno, e che
per quella volta gli bastava di respirare quell’aria buona che lo rigenerava.
Michele tornò alle prere, D e •udiva ›distintamente‹ (›gli pareva di udire‹),
tra gli alberi della riva, voci di uomini. ›Disse che l’orto lo avrebbe visto
un altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respirare quell’aria
buona che lo rigenerava.‹ Michele tornò al (← alle) •lavoro (›prere‹), D1 D2
e udiva tra gli alberi della riva›,‹ voci di uomini. Michele tornò al lavoro,
B     15. caldi e pieni di polvere.] caldi e |polverosi| (›polverosi‹ ← [—]). D
caldi e •pieni di polvere (›polverosi‹). D1     16-17. sporcandosi…Miche-
le.] sporcandosi di sugo le mani e la camicia, ›[—]‹ come un bambino, di
nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fatto male. D sporcandosi di succo
(← sugo) le mani e la camicia, •preoccupato solo di non farsi scorgere da
Michele (›come un bambino, di nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fat-
to male‹). D1     

14
distingueva ora il rumore…voglia di mangiarne.] cfr. Appendice
(Cap. III).
26 GIUSEPPE DESSÌ

Di sera, si mise di nuovo a letto con la febbre alta e i dolo-


ri al fegato. Ma non delirava. La paura di morire, ora, tene-
va desta la sua ragione. Ritornò savio, non fece più discorsi
sconclusionati né parlò di andare alla fiera. Fu deciso che ci
5 sarebbe andato solo Michele; e lui gli dava consigli assen-
nati sul modo di sceglier le bestie, sulle persone dalle quali
avrebbe dovuto comprare e su quelle alle quali avrebbe po-
tuto rivolgersi per chiedere qualche parere, lì, sul momen-
to. Sulla capacità di Michele a sceglier le bestie, non aveva
10 dubbi, ma temeva che lo imbrogliassero sul prezzo. Però,
quando venne il giorno della partenza, gli tornò la febbre
alta e il delirio, e voleva alzarsi dal letto e partire anche lui.
Michele non si sentì di lasciarlo solo. Così la fiera passò e i
buoi, per quella volta, non furono venduti.

1-3. Di sera…ragione.] Di sera, sulla strada del ritorno, gli tornò la febbre
alta e i dolori al fegato. Dovette rimettersi a letto e attenersi (← [—]) alle
|prescrizioni| (›precauzioni‹) del medico. Ma non delirava. ›[—]‹ La paura
di morire teneva desta la sua ragione. D Di sera, •si mise di nuovo a letto
con (›sulla strada del ritorno, gli tornò‹) la febbre alta e i dolori al fegato.
›Dovette rimettersi a letto e attenersi alle prescrizioni del medico.‹ Ma non
delirava. La paura di morire teneva desta la sua ragione. D1 D2 Di sera, si
mise di nuovo a letto con la febbre alta e i dolori al fegato. Ma non delirava.
La paura di morire|,| /ora,/ teneva desta la sua ragione. B     5. andato solo
Michele;] andato Michele; D andato /solo/ Michele; D1     9-10. Sulla…
dubbi,] Circa la capacità di Michele di sceglier le bestie, ›[—]‹ non aveva
dubbi, D D1 D2 ||Sulla|| (›Circa la‹) capacità di Michele ||a|| (›di‹) sceglier
le bestie, non aveva dubbi, B     11-12. gli tornò…voleva] tornò la febbre
alta e il delirio. Il vecchio voleva D /gli/ tornò la febbre alta e il delirio, (←
delirio.) •e (›Il vecchio‹) voleva D1     13-14. Così…venduti.] Così la fiera
passò e i buoi non furono venduti. D Così la fiera passò e i buoi|,| /per
quella volta,/ non furono venduti. D1
Michele Boschino 27

IV

Nell’ottobre di quello stesso anno Antonio Màsala, am- 5


ministratore e poi appaltatore della foresta di Cantòria, fu
assalito nella sua casa, che si trovava appunto nella foresta
stessa, da una banda di uomini armati. Costui, che era stato
avvertito, non si sa come né da chi, accolse gli assalitori a
colpi di fucile, ne abbatté uno e mise in fuga gli altri, i qua- 10
li, prima di allontanarsi finirono a coltellate il caduto. Le
indagini fatte dalla gendarmeria di Sigalesa e di Fòrri non
diedero nessun risultato. Furono interrogate e trattenute
in arresto decine di persone: tutto inutile. Ma era cosa cer-
ta che si trattava di gente di Sigalesa, anche perché, pochi 15
giorni dopo la tentata grassazione, fu assassinato Giovanni
Boschino, figlio di Benedetto, sul quale pare vi fosse qual-
che sospetto. Era opinione comune, a Sigalesa, che anche
Giovanni avesse preso parte alla grassazione, e che i com-
pagni, sapendolo sospettato, lo avessero tolto di mezzo per 20
maggior sicurezza, come avevano fatto con quello ferito da
Antonio Màsala. Altri interrogatori e arresti seguirono, ma
sempre inutilmente.
Eppure, a Sigalesa, c’era chi sapeva, chi era informato mi-
nutamente e conosceva le persone. Tra questi erano Miche- 25
le e un suo vicino di casa, Cosimo Aneris, proprietario di
terre, nipote di Antonio Màsala.
Avendo saputo che Cosimo doveva recarsi ad Arci, nelle
montagne del Gocèano, per comprare un torello, Michele,
che come suo padre aveva l’idea fissa dei buoi non vendu- 30
ti alla fiera, gli chiese d’accompagnarlo. Giuseppe non era
molto propenso a questo lungo viaggio (da Sigalesa ad Arci
ci sono due buone giornate di cavallo), ma Michele insi-
steva. Non c’era bisogno di viaggiare coi buoi, all’andata:
i buoi vecchi si potevano fare ingrassare e vendere come 35

14. tutto inutile] tutto fu inutile D D1 D2 tutto ›fu‹ inutile B     25. le per-
sone. Tra questi] le persone: solo che si guardava bene dal farne parola
›[—]‹ per non fare la fine di Giovanni Boschino. Tra questi D le persone›:
solo che si guardava bene dal farne parola per non fare la fine di Giovanni
Boschino‹. Tra questi D1     
28 GIUSEPPE DESSÌ

carne da macello. Questo dispiaceva a Giuseppe. Lui non


aveva mai venduto al macellaio i suoi buoi, li aveva sempre
cambiati. Alla fine Cosimo andò da lui, una sera, e lo con-
vinse. Il cambio, in un modo o nell’altro, bisognava pur far-
5 lo, se non si voleva che le bestie si deprezzassero. Cominciò
a parlargli delle bestie bellissime che si vedevano ad Arci,
dove s’aspetta la fiera della Madonna del Carmelo e si pos-
sono fare ottimi acquisti per tutto il mese d’ottobre. Erano
proprio le bestie che piacevano a Giuseppe, grandi di taglia,
10 di mantello chiaro e con le corna piccole e robuste. Cosimo
lo rassicurò anche sui pericoli del viaggio. Danari addos-
so non ne avrebbero portato: quando viaggiava, Cosimo, i
danari usava spedirli per posta. Eppoi li avrebbe accompa-
gnati anche Pietro Lubina, un cacciatore di professione che
15 andava in un paese vicino ad Arci a prendere un cane da
ferma per conto del medico condotto di Fòrri.
Si misero in viaggio una sera, con la luna nuova di otto-
bre, coi sacchi pieni di provviste legati all’arcione. Michele
aveva chiesto in prestito il cavallo allo zio Teodoro. Era il
20 primo viaggio che faceva senza suo padre; ed era contento.
Abbeverati i cavalli alla fonte dietro il macello, prese-
ro la carreggiabile che, girando il fianco di Monte Grinu,
porta a Fòrri. «Passerai davanti alla nostra vigna» gli aveva
detto Giuseppe sospirando. Ormai non sperava più di ri-
25 comprare la vigna prima di morire.
Dal suo letto Giuseppe di solito, da quando era amma-
lato, dormiva poco, la notte, seguiva col pensiero il viag-
gio del figlio, passo per passo. Michele e Cosimo dovevano

2. buoi, li aveva] buoi, ma li aveva D buoi, ›ma‹ li aveva D1     10-11. Co-


simo lo rassicurò] Lo rassicurò D /Cosimo/ lo (← Lo) rassicurò D1     12-
13. viaggiava…avrebbe] viaggiava, lui, Cosimo, i danari usava spedirli per
vaglia. Li avrebbe D viaggiava, ›lui,‹ Cosimo, i danari usava spedirli per

posta (›vaglia‹). /Eppoi/ li (← Li) avrebbe D1     15. Arci a prendere] arci
per prendere D Arci (← arci) •a (›per‹) prendere D1     18. coi sacchi…ar-
cione.] coi sacchi pieni di provviste. D D1 D2 coi sacchi pieni di provviste
||legati all’arcione||. B     21. dietro il macello] dietro il macello (← Ma-
cello) pubblico D D1 D2 dietro il macello ›pubblico‹ B     23-24. gli aveva
detto] disse D •gli aveva detto (›disse‹) D1     24. Ormai] Oramai D D1 D2 B
≠ M2     26. Giuseppe…quando] Giuseppe, che di solito, da quando D D1
D2 Giuseppe›, che‹ di solito, da quando     28. Michele] |Michele| (›[—]‹) D     
Michele Boschino 29

camminare tutta la notte, approfittando della luna piena,


fermarsi all’alba a Fòrri per far riposare i cavalli, e prose-
guire dopo qualche ora.
La sosta invece non la fecero a Fòrri ma nella foresta di
Cantòria. Ed ecco come. 5
Sul ponte del Faraone, poco dopo la vigna, trovarono, in-
vece di Pietro Lubina, Angelo Malìga e Domenico Vacca, a
cavallo anch’essi e col fucile a tracolla. Dissero che Pietro
Lubina doveva far con loro una partita di caccia al cinghiale
nella foresta, e invitarono anche Cosimo e Michele. Insi- 10
stevano tanto che Cosimo si lasciò convincere, e indusse
anche Michele ad accettare. Avrebbero proseguito più tardi
il viaggio in compagnia di Pietro, che ora, assieme agli altri
cacciatori, tutte persone conosciute di Sigalesa e di Fòrri, a
quel che dicevano Vacca e Malìga, li aspettavano nella ca- 15
panna di un pastore, dove stavano cenando. Dovevano ap-
postarsi alla sorgente di Giana: ce n’erano due, di cinghiali,
che andavano a bere al chiaro di luna.
Cosimo e gli altri due presero su per il letto secco del tor-
rente. Michele li seguì di malavoglia. 20
Nel punto di convegno, una radura all’imbocco della val-
le di Giana, trovarono un gruppo di persone armate, tra le
quali non c’era nessuno di quelli che Vacca e Malìga ave-
vano nominato, e neppure Pietro. C’erano invece Pedonca,
il padrone della capanna, Giovanni Boschino, Bore Lisca e 25
due forestieri che Michele e Cosimo non avevano mai visto.
Vacca disse che erano i battitori: gli altri aspettavano nei
pressi della sorgente. Cosimo non ebbe tempo di fare molte

5. Cantòria. Ed ecco come.] Cantòria. D Cantòria. |Ed ecco come.| D1     9.


Lubina] Lubiana D Lubi›a‹na D1     13. viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2
B     15. quel] quale D quel (← quale) D1     16. cenando. Dovevano] scuo-
iando una volpe. Si trattava di andare ad D •cenando. Dovevano (›scuo-
iando una volpe. Si trattava di andare ad‹) D1     17-18. ce n’erano…luna.]
c’erano due cinghiali che andavano a bere col chiaro di luna. D ce n’erano
(← c’erano) due|,| di cinghiali|,| che andavano a bere al (← col) chiaro di
luna. D1     24-25. C’erano…padrone] Erano un certo Pedonca, capraio,
padrone D C’erano (← Erano) •invece (›un certo‹) Pedonca, •il (›capra-
io,‹) padrone D1 D2 = M2 C’erano invece Pedònca, il padrone B     27. che
erano] che quelli erano D che ›quelli‹ erano D1     27-28. nei pressi della]
vicino alla D •nei pressi della (›vicino alla‹) D1     
30 GIUSEPPE DESSÌ

domande. Non aveva neanche messo il piede a terra, che


Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e lo disarmaro-
no; gli altri tirarono giù dal cavallo Michele. In un attimo
il giovane si trovò bocconi con la faccia tra l’erba. Fu lega-
5 to e imbavagliato. Era inutile opporre resistenza, e lasciò
fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze gridando
e sbuffando; ma presto fu ridotto all’impotenza anche lui.
E non si sentì altro che il suo respiro affannoso soffocato
dal bavaglio.15 Michele fu lasciato vicino ai cavalli sotto la
10 guardia di Pedonca: e gli altri si avviarono per un sentiero
del bosco spingendosi avanti Cosimo.
Michele seppe solo più tardi, da Cosimo, quel che era ac-
caduto durante le due ore che aveva passato nella radura
con le mani legate dietro la schiena. L’intenzione di Vacca
15 e dei suoi compagni era di andare ad appostarsi non pro-
prio alla sorgente di Giana per bloccare i cinghiali, ma ac-
canto al cancello del muro di cinta della casa di Antonio
Màsala, costringere Cosimo a bussare e a farsi aprire da suo
zio, e quando poi il vecchio avesse aperto, precipitarsi tutti
20 dentro. Erano certi che Antonio teneva in casa i soldi per
la paga dei carbonai. Ma prima che potessero avvicinarsi
al muro (la casa era poco discosta dal limite del bosco) un
colpo di fucile partì dal tetto; il secondo colpo prese Ange-
lo Malìga alla schiena. Cadde muggendo come un toro. Si

10. Pedonca:] Pedonca, D D1 D2 Pedonca: (← Pedonca,) B     13. le] quel-


le D le (← quelle) D1     13-14. aveva…schiena.] passò con le mani lega-
te, nella radura. D •aveva passato (›passò‹) con le mani legate|,| /dietro
la schiena,/ nella radura. D1 D2 aveva passato /nella radura/ con le mani
legate dietro la schiena|.| ›nella radura.‹ B     15-17. appostarsi…cancello]
appostarsi accanto al portone D appostarsi /non proprio alla sorgente di
Giana, ma/ accanto al .cancello (›portone‹) D1 D2 appostarsi non proprio
alla sorgente di Giana /per bloccare i cinghiali,/ ma accanto al cancello
B     20. certi] convinti D •certi (›convinti‹) D1  ◆  teneva] tenesse D D2
teneva (← tenesse) D1     23. tetto; il] tetto. Il D D2 tetto; il (← tetto. Il)
D1     24. Malìga alla schiena.] Maliga, che già scappava per mettersi in
salvo nel bosco. D Maliga, •alla schiena (›ache già scappava per mettersi in
salvo nel bosco. b•che fuggiva per il bosco c•mentre fuggiva‹) D1     

15
Cosimo non ebbe tempo…soffocato dal bavaglio.] cfr. Appendice
(Cap. IV).
Michele Boschino 31

trascinò a stento fino al bosco, dove gli altri si erano appiat-


tati dietro gli alberi. Erano rimasti lì un poco, poi pensando
che non era il caso d’arrischiarsi a un nuovo tentativo, se
n’erano tornati verso la radura, dov’erano i cavalli. Vacca
era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato 5
come un agnello.
A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei
fucili spianati, di continuare il viaggio come se nulla fosse
accaduto.16

1. si erano] stavano D •s’erano (›stavano‹) D1 D2 si erano B

16
Erano rimasti lì un poco…nulla fosse accaduto.] cfr. Appendice (Cap.
IV).
32 GIUSEPPE DESSÌ

5 Quando Michele tornò a casa coi grandi buoi bianchi


comprati ad Arci, vide da lontano un gruppo di donne fer-
me davanti al cancelletto del cortile. Pensò che qualcosa
doveva essere accaduto. Era pronto a tutto. Non si sarebbe
meravigliato di trovare i gendarmi in casa ad aspettarlo.
10 Come s’avvicinò, le donne lo salutarono e si strinsero al
muro per lasciarlo passare coi buoi. Egli rispondeva ai salu-
ti, e cercava di leggere in quelle facce serie, in quegli occhi
che s’abbassavano al suo passaggio. Certo qualcosa di molto
grave era accaduto. Smontò e spinse i buoi dentro il cancel-
15 lo. «Quello che Dio vuole» disse una delle donne. «Quando
il Signore chiama, il servo non si volti indietro». Pensò su-
bito a suo padre: ma il sospetto che fosse morto o che fosse
in pericolo non s’affacciò neppure alla sua mente. Pensò al
dolore di suo padre, se lo avesse saputo coinvolto nella fac-
20 cenda di Antonio Màsala. Non rispose nulla alla donna, e
tirando per le briglie il cavallo entrò anche lui dietro i buoi.
Beniamino gli corse incontro, levandogli di mano le briglie,
ripeté le parole di rassegnazione della donna.
«Gli hanno portato ora l’Olio Santo» disse. «Il prete se n’è
25 andato adesso».
In quei quattro giorni Michele non aveva mai pensato
alla malattia di suo padre; o meglio ci aveva pensato come
a una condizione naturale; e mentalmente aveva ragionato
con lui, durante il viaggio, mentre Cosimo gli cavalcava ac-
30 canto in silenzio; era ritornato mille volte sui particolari di
quella sua avventura; mentalmente aveva ascoltato la voce
pacata del vecchio che lo rassicurava e gli faceva coraggio.

8. accaduto] accaduta D D1 D2 B ≠ M2     10. le] quelle D le (← quelle)


D1     11. Egli] ›[—]‹ Egli D     19. se lo] se ›[—]‹ lo D     22. incontro, le-
vandogli di mano] incontro, e anche lui, togliendogli |di mano| (›le mani‹)
D D1 D2 incontro, ›e anche lui,‹ ||levandogli|| (›togliendogli‹) di mano
B     24. disse.] disse il servo. D D1 D2 disse ›il servo‹. B     27-28. ci aveva…
come a] l’aveva pensata come D •ci (›l’‹) aveva pensato (← pensata) come
/a/ D1     
Michele Boschino 33

«Su» disse lo zio Teodoro «non farti vedere a piangere da


tua madre».
Maddalena, come lo vide, gli si buttò tra le braccia pian-
gendo. Lo chiamava per nome e si premeva le mani di lui
sul viso lacrimoso. Egli la tenne stretta per calmarla, la 5
condusse nella stanza del telaio e la fece sedere. C’era tanta
gente intorno, parenti, vicini di casa. Lo zio Teodoro face-
va cenno agli estranei d’allontanarsi. Michele si trovò in-
ginocchiato accanto a sua madre, in mezzo a quel cerchio
di persone, che lo guardavano. «Babbo se ne sta andando» 10
balbettava la donna. «Babbo se ne sta andando senza nep-
pure guardarmi in faccia. Vai da lui, che ti sta chiamando
da ieri, vai!» Si scioglieva dal suo abbraccio, ora, e con un
gesto debole e insistente lo respingeva.
Lo zio Teodoro lo prese per mano come un bambino, lo 15
fece alzare e lo condusse via.
Nella stanza accanto al granaio, dove suo padre s’era fat-
to portare il letto da quando aveva cominciato a non dor-
mire più la notte, per non disturbare Maddalena, c’erano
la zia Luisa e Aurelia. Su un tavolino avevano disteso una 20
tovaglia, con una grande immagine della Sacra Famiglia
appoggiata al muro, e due ceri. Il vecchio, nella penombra,
sembrava dormire, come dormiva sotto la pergola il gior-
no che era voluto andare all’orto per forza. Le grosse mani
abbandonate sul lenzuolo di bucato sembravano ancora 25
sporche di terra.
La zia s’avvicinò al letto, si chinò sul morente e disse:
«Giuseppe! guarda chi è venuto, Giuseppe!»
Anche Michele si chinò e lo chiamò. Come se il suono
delle voci gli desse fastidio, il vecchio voltò la testa sul cu- 30
scino a destra e a sinistra un paio di volte, biascicò qualche

1. non] Non D D1 D2 non (← Non) B     8-9. trovò inginocchiato] trovò


›[—]‹ inginocchiato D     9. a quel cerchio] |a quel cerchio| (›al cerchio‹)
D     10. persone,] persone D D2 persone|,| D1     17. accanto al granaio]

accanto al granaio (›di suo padre‹) D     23-24. come dormiva…forza.]
come il giorno che aveva voluto andare all’orto ad ogni costo. D come
/dormiva sotto la pergola/ il giorno che aveva voluto andare all’orto •per
forza (›ad ogni costo‹). D1 D2 come dormiva sotto la pergola il giorno che

era (›aveva‹) voluto andare all’orto per forza. B     
34 GIUSEPPE DESSÌ

parola incomprensibile, aprì un momento gli occhi, poi


tornò ad assopirsi.
«Ti ha chiamato tutto il giorno, ieri» disse la zia. E tornò
a sedersi al suo posto, col rosario in mano. Lei e la figlia
5 avevano quell’aria di lindura e di pulizia delle donne che
s’apprestano a fare il pane. Tenevano le pezzuole bianche
annodate dietro la nuca e le maniche un poco rialzate la-
sciavano vedere la camicia candida. Certamente erano state
loro che avevano ricevuto il prete, poco prima, e avevano
10 fatto quei preparativi che non avevano niente di funebre,
del resto. I ceri erano stati spenti subito dopo. Restava nella
stanza un lieve odore d’incenso che ricordava vagamente il
profumo dello spigo che si mette nelle cassapanche con la
biancheria pulita.
15 Michele sedette accanto al letto e pensò: “Forse tutti
sanno dove sono stato l’altra notte. E non sanno che mi ci
hanno portato a forza, che mi hanno picchiato e legato”.
Ma una convinzione più profonda, segreta, toglieva ogni
valore a queste parole. Le mormorava dentro di sé, più che
20 pensarle. Chiuse gli occhi, si rivide nel sentiero che dal fiu-
me porta alla radura davanti alla capanna, rivide la groppa
dei cavalli e le casacche dei tre uomini che lo precedevano,
su cui, attraverso il fogliame degli alberi, piovevano come
fiocchi di neve i raggi della luna; e ogni tanto, in quel fu-
25 gace e continuo piovere di scaglie di luce, intravvedeva la
faccia barbuta di Angelo Malìga, che si voltava a guardarlo
per assicurarsi che li seguiva. Così, a occhi chiusi, gli pare-
va di lasciarsi ancora portare dal cavallo che s’arrampicava
faticosamente per la viottola scoscesa. Forse, per un attimo,
30 immaginandosi di secondare nella salita il movimento del

5-6. delle donne che s’apprestano] che assumono le donne quando s’ap-
prestano D ›che assumono‹ delle (← le) donne •che (›quando‹) s’appresta-
no D1     9. prima,] prima D prima|,| D1     10. funebre,] funebre D D1 D2
funebre|,| B     13. nelle cassapanche] nei cassoni D D1 D2 B ≠ M2     16-17.
E non…legato”.] Ma non sanno che ci sono stato condotto a forza, che
sono stato picchiato e legato”. D •E (›Ma‹) non sanno che /mi/ ci •han-
no portato (›sono stato condotto‹) a forza, che •mi hanno (›sono stato‹)
picchiato e legato”. D1     19. Le…sé] |Le mormorava dentro di sé| (›che
mormorava dentro di sé‹) D     24-25. fugace] |fugace| (›breve‹) D     26.
voltava a guardarlo] voltava ›[—]‹ a guardarlo D     
Michele Boschino 35

cavallo, s’addormentò appoggiato alla spalliera della sedia.


Si riscosse, aprì gli occhi. Più che sonno era stato un attimo
di angoscia più intensa: per un attimo aveva cessato di pen-
sare, di sentire la presenza degli altri intorno a sé, e se stes-
so. Lo zio Teodoro, la zia Luisa e Aurelia sedevano dall’altra 5
parte del letto, alquanto discosti. Non si udiva neppure il
bisbiglio delle preghiere. Certo lo guardavano. Sentì la loro
presenza come se prima non fossero stati altro che ombre e
a un tratto avessero preso forma e sostanza. “Ecco”, pensò
“noi siamo in questa stanza chiusa, e fuori c’è ancora luce, 10
e la gente parla, e parla anche di quel che è successo l’altra
notte nella foresta di Cantòria”. Tutti, entrando in casa sua,
ora, prendevano quel tono sommesso: ma ognuno pensava
ad altro, come lui; ad altro, non al vecchio che moriva lì.
“Nessuno può sapere nulla di quello che è accaduto”, pensò 15
“nessuno parlerà”. E immaginò la faccia barbuta di Angelo
Malìga, come doveva essere dopo che Domenico Vacca lo
aveva finito col coltello da caccia. Oh! quello non avreb-
be parlato di certo. Questo pensiero gli dava piacere, non
sapeva staccarsene. Si sentì, per un momento, solidale con 20
quegli uomini che lo avevano trascinato fin quasi a pren-
der parte a un delitto, unito ad essi dalla stessa sorte, dallo
stesso silenzio.
Si sentì su per le scale un passetto leggero e la vocetta di
Caterina, la bambina più grandicella di Aurelia: 25
«Zio Michele, zio Michele», chiamava a voce alta «Benia-
mino vuol sapere se deve riportare il cavallo a casa nostra o
se deve dargli una misura di biada».
«Zitta Cateri’! Zitta!» disse Aurelia.
Michele s’alzò, diede un’occhiata a Giuseppe, e seguì la 30
bambina ch’era scappata via svelta e faceva schioccare i pie-
di nudi sull’ammattonato. La seguì con sollievo, e quando

3. angoscia più intensa] offuscamento D •angoscia più intensa (›offusca-


mento‹) D1     6. udiva] sentiva D D1 D2 udiva B     7. Sentì] Sentì ›[—]‹
D     8. come se prima] come se ›[—]‹ prima D     9. “Ecco”,] “Ecco” D
D1 D2 B ≠ M2     10. chiusa, e fuori] chiusa, ›[—]‹ e fuori D     12. di] di
(← della) D     13. sommesso:] sommesso, D sommesso; D1 D2 sommesso:
B     14. lui;] lui, D D2 lui; D1     15. sapere] saper D D1 D2 sapere B  ◆  acca-
duto”,] accaduto” D D1 D2 B ≠ M2     
36 GIUSEPPE DESSÌ

giunse in fondo alla scala la chiamò. Al suono della sua voce


tutti si voltarono verso di lui, ed egli ne fu imbarazzato, nel
primo momento; poi guardò in faccia una dopo l’altra tutte
quelle donne, e avrebbe voluto sapere di che cosa avevano
5 parlato tra loro fino a quel momento, che cosa pensavano,
che cosa sapevano di quel ch’era successo nella foresta di
Cantòria. Ma le donne riprendevano a bisbigliare tra loro,
o abbassavano gli occhi per non incontrare i suoi. Solo la
moglie di Anacleto, che aveva la bottega di faccia (e stan-
10 dosene dietro il banco poteva vedere tutto ciò che accadeva
nel cortile), lo guardò con la solita espressione d’invito che
Michele conosceva. Chiamò di nuovo la bambina, e facen-
do finta di cercarla uscì in cortile.
Beniamino aveva legato i buoi alle poste di quelli ch’era-
15 no stati sciolti al pascolo nel chiuso, e se ne stava seduto con
Anacleto a chiacchierare. Ogni tanto andava a spargere una
manciata di fave peste sulla paglia dei truogoli, la rimesco-
lava, poi tornava a sedersi. Michele capì che stavano parlan-
do della grassazione. Rispose appena al saluto di Anacleto e
20 disse al servo di dar la profenda al cavallo e di portarlo poi
a casa dello zio Teodoro.
«Che età hanno?» chiese Anacleto indicando i buoi.
Michele fece cenno con le dita: tre.
Avrebbe voluto che Beniamino e Anacleto continuassero
25 a parlare tra loro della grassazione, sapere cosa si diceva in
paese, ma non voleva far domande.
«Belle bestie» disse Anacleto.
“Proprio come piacevano a lui” pensò Michele. Accanto

4. e avrebbe voluto] •e avrebbe voluto (›[—]‹) D  ◆  cosa avevano] cosa


›[—]‹ avevano D     6-7. di quel…Cantòria.] •di quel ch’era successo nel-
la foresta di Cantòria. (›[—]‹) D     8. o] •o (›[—]‹) D     9. la bottega] la
bottega ›[—]‹ D     9-11. (e…cortile)] e standosene dietro il banco poteva
vedere tutto ciò che accadeva nel cortile D D1 D2 |(|e standosene dietro il
banco poteva vedere tutto ciò che accadeva nel cortile|)| B     14. legato i
buoi] legato |i buoi| (›il cavallo di [—] buoi, sotto [—]‹) D  ◆  alle poste]
›[—]‹ al posto D D1 D2 alle poste (← al posto) B     16. andava a spargere]

andava a spargere (›spargeva‹) D     23. tre.] tre anni. D D1 D2 tre ›anni‹.
B     26-27. domande. «Belle bestie»] domande. ›Proprio come piacevano
a lui‹ «Belle bestie» D     
Michele Boschino 37

agli altri, sotto la tettoia della stalla, i buoi di Arci sembrava


che ci fossero sempre stati. Aveva avuto cura di sceglierli so-
miglianti a quelli che dovevano esser venduti: solo che era-
no più grandi e magri. Lentamente alzavano dal truogolo il
grosso muso umido ficcandosi la lingua nelle narici. Erano 5
bestie giovani ma già dome, e questo si capiva dall’immobi-
lità della grande impalcatura ossea, dalla rigidità della testa,
in cui spiccava, a tratti, il bianco dell’occhio, come di bestie
accappiate al giogo. A tratti la pelle era percorsa da un bri-
vido dall’occhio alla spalla, o lungo la gamba o sotto la ven- 10
traia. Michele pensò che presto avrebbe dovuto rivenderli.
Sarebbe rimasto solo e li avrebbe dovuti rivendere. Sentì la
voce dello zio Teodoro che sgridava Marietta perché aveva
portato lì Caterina. Non era il momento di tener bambini
tra i piedi, diceva lo zio. 15
La casa era piena di gente estranea. Erano venuti lì pro-
prio perché Giuseppe moriva. Così si usa. Ma non s’inte-
ressavano che delle cose della vita, che continuava come
prima. Ma era quasi notte, e presto tutti se ne sarebbero an-
dati. Sarebbero rimasti lo zio Teodoro e la zia Luisa, forse. 20

1. i buoi di Arci] i nuovi buoi D i ›nuovi‹ buoi /di Arci/ D1     3. venduti:]
venduti; D D1 D2 venduti: B     4. magri. Lentamente] magri. ›|La pelle pa-
reva posata su quelle grandi ossa| (›Le grandi ossa parevano‹)‹ Lentamente
D     5. narici. Erano] narici. ›[—] questo, nella immobilità‹ Erano D     6.
dome] |dome| (›domate‹) D  ◆  e questo si capiva] e capiva D e /questo/ si
capiva D1     7. della] |della| (›che‹) D     8. di] |di| (›se‹) D     9. accappiate]
accapate D, D1, D2, B, M2  ◆  pelle] pelle (← pelle,) D     10. dall’occhio alla
spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1
dall’›angolo dell’‹ occhio alla spalla, D2     12-13. la voce] la voce (← lo zio)
D     15. tra…zio.] tra i piedi. La ragazza diceva che non voleva star sola. D
tra i piedi, (← piedi.) /diceva lo zio./ ›La ragazza diceva che non voleva star
sola.‹ D1     19. prima. Ma era] se niente fosse. Erano lì come certa gente
che va in chiesa per abitudine, quasi per far piacere agli altri. Ma era D se
niente fosse. ›Erano lì come certa gente che va in chiesa per abitudine, qua-
si per far piacere agli altri.‹ Ma era D1 D2 ||prima|| (›se niente fosse‹). Ma
era B     20. Sarebbero rimasti] Tutti, meno D D1 D2 ||Sarebbero rimasti||
(›Tutti, meno‹) B     
38 GIUSEPPE DESSÌ

Avrebbero vegliato tutti assieme. Gli sarebbe piaciuto po-


tersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie dei buoi, dire
a Beniamino che se n’andasse al chiuso, e dormire, come
aveva fatto tante volte; addormentarsi subito, dimenticare
5 subito la presenza di quegli estranei, dimenticare tutto. Si
rammentò di sua madre, del suo pianto disperato; e sentì
che anche lui, da un momento all’altro, poteva cominciare
a soffrire così. C’era qualcosa che non riusciva a capire, in
ciò che stava succedendo, e anche in ciò che gli era successo
10 quattro sere prima; qualcosa che la sua mente non penetra-
va, e che pure avrebbe finito per capire.
La zia lo chiamò dalla porta di cucina, dove avevano ac-
ceso un lume. Egli, passando, tirò da parte lo zio Teodoro
e gli disse che Marietta aveva ragione. Che bisogno c’era di
15 strapazzarla così? Lasciasse pure la bambina, che non dava
noia a nessuno. Ma il vecchio, ostinato, ripeté che quello
non era luogo da portarci bambini.
Quando fu entrato in cucina, la zia Luisa gli versò un
piatto di minestra di fave:
20 «Vieni» disse «che tua madre ti ha tenuto in caldo la
cena».

1-3. Gli sarebbe…chiuso,] Avrebbe voluto stendersi lì sulla paglia, accan-


to ai buoi, dire a Beniamino che poteva andarsene per i fatti suoi, D •Gli
sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla
paglia, •tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •se
ne andasse al chiuso (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D1 •Gli sarebbe
piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia,

tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •poteva
andarsene (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D2 Gli sarebbe piaciuto po-
tersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie dei buoi, dire a Beniamino
che se n’andasse al chiuso, B     4. dimenticare] dimenticare D dimenticare
/subito/ D1     5. estranei, dimenticare tutto.] estranei anche prima che se
n’andassero D estranei ›anche prima che se n’andassero‹ D1 D2 estranei,
||dimenticare tutto.|| B     6. rammentò] •rammentò (›ricordò‹) D     9.
successo] capitato D •successo (›capitato‹) D1     10. prima;] prima, D pri-
ma D1     15. strapazzarla] strappazzarla D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 39

Egli sedette accanto al camino col piatto sulle ginocchia e


cominciò a mangiare.
La zia aveva chiuso la porta e la finestra perché nessuno
lo vedesse.
5

1. sulle] •sulle (›tra‹) D     2. mangiare.] mangiare ›ciucciando tra le dita‹.


D     3. La zia] ›[—]‹ La zia D     3-4. perché nessuno lo vedesse.] come
se nessuno dovesse vederlo mangiare D •perché (›come se‹) nessuno •lo
vedesse (›dovesse vederlo‹) mangiare. D1 D2 perché nessuno lo vedesse
›mangiare‹. B
40 GIUSEPPE DESSÌ

VI

5 Il vecchio spirò il giorno dopo, all’alba. Michele Madda-


lena lo zio Teodoro e la zia Luisa lo avevano vegliato tutta
la notte.
Verso le due, Giuseppe aveva aperto gli occhi e aveva
dato un lento sguardo intorno, come se cercasse qualcuno.
10 Maddalena s’alzò e spinse Michele verso il letto senza osa-
re avvicinarsi lei stessa, e cominciò a tremare e a battere i
denti. Le altre due donne la costrinsero a sedersi di nuovo.
Michele s’avvicinò al letto, si chinò sul morente, lo chiamò.
Il viso del vecchio ebbe una contrazione penosa. Allora Mi-
15 chele si sedette al capezzale e stette lì zitto.
Di tanto in tanto gli occhi del vecchio s’aprivano, e sicco-
me aveva voltato la testa dalla sua parte, pareva che guar-
dasse proprio lui. Il viso s’era rifatto sereno come fosse sul
punto di svegliarsi; ma al primo bisbiglio che s’udisse nella
20 camera, la piega della bocca, che si vedeva sotto i radi baffi
spioventi, si faceva più dura. Allora Michele alzava la mano,
faceva cenno alle donne di tacere; e nella beatitudine del
silenzio il viso del vecchio tornava a distendersi. Forse pen-
sava qualcosa, chi sa. Forse il silenzio intorno, nella stanza,
25 gli dava l’illusione che durasse ancora il sopore che lo aveva
tenuto fin allora. Michele, quando quegli occhi s’aprivano
su di lui, s’abbandonava, quasi contro la propria volontà,

5-6. Michele Maddalena] Michele, Maddalena, D D1 D2 Michele Mad-


dalena B     6. avevano vegliato] vegliarono D D1 D2 ||avevano vegliato||
(›vegliarono‹) B     11. stessa, e] stessa, credendo che Giuseppe non vo-
lesse vederla, e D stessa, ›credendo che Giuseppe non volesse vederla,‹ e
D1     13. morente] padre D •morente (›padre‹) D1     15. zitto] silenzioso
D D1 D2 ||zitto|| (›silenzioso‹) B     17-18. guardasse] guardassero D D2
guardasse (← guardassero) D1     18. il viso] il ›suo‹ viso D1  ◆  s’era rifat-
to] era ridiventato D D1 D2 ||s’era rifatto|| (›era ridiventato‹) B     18-19.
sereno…svegliarsi;] sereno; ma D D1 D2 sereno ||come se fosse sul punto
di svegliarsi||; B ≠ M2     21. Allora Michele] Michele D /Allora/ Michele
D1  ◆  la] una D •la (›una‹) D1     22-23. e nella…distendersi] e il viso del
vecchio tornava a distendersi nella beatitudine del silenzio D e 2il viso del
vecchio tornava a distendersi 1nella beatitudine del silenzio D1     26. fin
allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 41

a una speranza assurda, che il vecchio avrebbe superato la


crisi e sarebbe guarito. E immaginava, come aveva fatto du-
rante il viaggio, di parlare con lui di quel ch’era successo
nella foresta di Cantòria. Ne avrebbe parlato con lui solo.
Nessuno, all’infuori di suo padre, avrebbe saputo nulla da 5
lui, mai. Il desiderio di silenzio che il vecchio manifestava
con quell’impercettibile contrazione della bocca, alimenta-
va la volontaria illusione di Michele, le dava consistenza.
Ma quando le palpebre grinzose si riabbassavano a metà
velando i grossi occhi a fior di testa, Michele si sentiva 10
di nuovo solo e l’illusione svaniva. Sarebbe stato sempre
così solo, ormai. Non avrebbe avuto che estranei, intorno
a sé, e si sarebbe dovuto tenere quel segreto per sempre.
Avrebbe visto per tutta la vita Domenico Vacca tirar lo
spago sulla porta della sua bottega di sellaio, Pedonca pas- 15
sare davanti al macello col suo branchetto di capre, Gio-
vanni tornare dall’ovile coi bidoni di latte attaccati al ba-
sto. Cosimo Aneris gli aveva detto: «Ricordati che noi due
non sappiamo nulla. Neppure tra noi dobbiamo parlarne.
Io e te dobbiamo dimenticarci di quello che ci è succes- 20
so. Neppure a tuo padre, sai!». E così sarebbe stato: non
ne avrebbe parlato neppure a suo padre. Si sentiva cresce-
re dentro un’avversione, un odio sordo per tutta la gente
tra la quale avrebbe dovuto vivere portandosi quel segre-
to odioso. E la gente? Era possibile che non trapelasse mai 25
nulla, mai nessun sospetto? Avrebbero fatto congetture, col
passare del tempo, forse qualcuno avrebbe parlato, forse
quello stesso che aveva avvertito Antonio Màsala; e si sa-
rebbe saputo che quella notte c’era anche lui, a Cantòria.
Sarebbe stato un semplice sospetto, niente più che un so- 30

2. crisi e sarebbe guarito.] crisi ›[—]‹. D crisi /e sarebbe guarito/. D1     3.


parlare] parlare ›di [—]‹ D     9. le palpebre] le ›grosse‹ palpebre D     13.
e si] ›[—]‹ e si D     16. macello] Macello D D1 D2 macello B     21. Neppu-
re] Nemmeno D •Neppure (›Nemmeno‹) D1  ◆  padre, sai!».] padre devi
parlarne. D D1 D2 padre|,| ||sai!|| (›devi parlarne.‹) B  ◆  non] /in molti/
non D1     22-23. crescere] |crescere| (›crescere‹) D     23. un’avversione]
|un’avversione| (›un odio‹) D     24. tra] |tra| (›che‹) D     27. tempo,] tem-
po D D1 D2 tempo|,| B     28. Màsala; e] Masala, si D Masala; e (← Masala,
si) D1 D2 Màsala; e B     
42 GIUSEPPE DESSÌ

spetto; ma avrebbe pesato sempre, sempre su di lui. Questi


pensieri, che non l’avevano mai abbandonato durante quei
quattro giorni, rimanevano sospesi, statici, senza soluzione.
Ma del resto, che cosa poteva importargli di quello che la
5 gente avrebbe detto o pensato di lui? La gente poteva fare e
dire ciò che meglio credeva. Quando suo padre, tanti anni
prima, era stato arrestato, tutti, tranne i pochi amici di Sal-
vatore e di Benedetto, s’erano messi dalla sua parte, tutti
dicevano che aveva fatto bene a difendersi. Nella disgrazia,
10 lui e sua madre s’erano sentiti confortati da quel consenso,
da quella solidarietà della gente. La gente allora era molto
importante per lui. Gli parevano tutti amici. Non solo la zia
Luisa e lo zio Teodoro con Aurelia e Marietta venivano a
sedersi in cucina, la sera, a tener compagnia a Maddalena,
15 ma anche i vicini di casa. In quei giorni di lutto, in tutto il
rione, le donne non cantavano più, quando si mettevano al
telaio o a far la farina. Sedute in crocchio davanti alla porta,
nel vicolo, lo salutavano quando passava coi buoi per por-
tarli all’abbeverata, e parlavano sottovoce della disgrazia
20 che aveva colpito Giuseppe. Anche le persone che conosce-
va soltanto di vista, con un saluto, con un sorriso, o anche
tacendo, mostravano di sapere, gli testimoniavano la loro
solidarietà. In quei giorni trovava facce amiche dappertut-
to, anche fra gli estranei. La certezza che suo padre venisse
25 messo in libertà dopo il processo s’era fondata soprattutto
su questa solidarietà della gente. I giudici non avrebbero
dovuto fare altro che chiedere a tutto il paese com’erano
andate le cose, chi era Giuseppe Boschino. Ma proprio al
processo si vide poi che cosa valesse questa simpatia e fin

1. pesato sempre, sempre] gravato sempre D D1 D2 ||pesato|| (›gravato‹)


sempre|, sempre| B     4. resto, che] resto, ›se non si veniva a scoprire la
cosa‹ che D     5. avrebbe detto o pensato] poteva dire o pensare D •avreb-
be (›poteva‹) detto (← dire) o pensato (← pensare) D1     7. era stato arre-
stato] |era stato arrestato| (›era stato arrestato‹) D     9. difendersi.] difen-
dersi, e prendevano parte al loro dolore. D difendersi›, e prendevano parte
al loro dolore‹. D1     12. Gli parevano] Erano D •Gli parevano (›Erano‹)
D1     22. gli testimoniavano] |gli testimoniavano| (›e gli mostravano la lo‹)
D     24. estranei. La certezza] estranei. ›[—]‹ La certezza D     25. proces-
so] processo›,‹ D  ◆  soprattutto] sopratutto D D1 D2 B≠ M2     29. si vide
poi che] si vide che D si vide /poi/ che D1     
Michele Boschino 43

dove arrivasse questa solidarietà. Tutti quelli ch’erano stati


chiamati a testimoniare in favore di Giuseppe non avevano
saputo sostenere, là nell’aula, ciò che avevano sempre pen-
sato; nessuno disse la cosa più semplice, quella che i giudici
stessi forse ammettevano, che Giuseppe era un uomo mite, 5
che aveva colpito per difendersi, mentre i fratelli erano vio-
lenti e caparbi e già altre volte lo avevano picchiato a sangue.
Davanti al banco, si limitavano a rispondere secchi secchi
alle domande che venivano loro rivolte da quei signori to-
gati, i quali sorridevano tra loro inchinandosi ma facevano 10
la faccia severa e grave quando si rivolgevano ai testimoni.
Avevano la faccia severa della legge, della legge sconosciuta,
terribile, della legge che può colpire un uomo che fino al
giorno prima arava pacificamente il suo campo, della legge
che può prendere tutti come un colpo d’accidente. Non era 15
la prima volta che si vedeva incriminare un testimonio solo
per essersi contraddetto. Bisogna stare attenti a non dire la
verità tutta intera, ma solo quei fatti che s’accordano con
altri già provati e accettati. I testimoni della difesa non si
preoccupavano di Giuseppe, badavano a mettere al riparo 20
se stessi, a evitare domande pericolose, e quando potevano
si limitavano a rispondere soltanto sì e no, per non tirarsi
addosso guai. La loro opinione era una cosa, la Giustizia
un’altra. Anche l’avvocato difensore, in mezzo a quell’ap-
parato di toghe e di gendarmi, aveva la stessa faccia severa 25
di quegli altri signori, e disse sul conto di Giuseppe cose
stranissime. Disse, per esempio, che Giuseppe era un uomo
fiero, di quegli uomini di tempra antica che formano il fiore
della razza del Centro; mentre Giuseppe, in realtà era sol-
tanto mite e saggio. E Michele, quando poi restò solo con 30

3. sostenere,] sostenere, (← sostenere;) D     4. disse la cosa] disse neppure


la cosa D D1 D2 B ≠ M2     10. ma] e D •ma (›e‹) D1     12. sconosciuta,]
sconosciuta e D sconosciuta, (← sconosciuta e) D1     14. arava] ›[—]‹ arava
D     15. prendere] colpire D •prendere (›colpire‹) D1     16. incriminare un
testimonio] un testimonio ›[—]‹ incriminato D D1 D2 2un testimonio 1in-
criminato B ≠ M2     18. che s’accordano] che ›[—]‹ s’accordano D     19-
20. si…badavano] difendevano Giuseppe, ma badavano D •si preoccupa-
vano di (›difendevano‹) Giuseppe, ›ma‹ badavano D1     21-22. e quando…
limitavano a] a cercar D •e quando potevano si limitavano a (›a cercar‹)
D1     22. per] a D per (← a) D1     
44 GIUSEPPE DESSÌ

Maddalena, che non poteva patire l’ingiustizia subita e con-


tinuamente imprecava contro l’avvocato, che aveva voluto i
suoi onorari benché non fosse riuscito a far nulla, e contro
i giudici, e contro i testimoni, e contro i falsi amici, cercava
5 rifugio e conforto nel ricordo di quella saggezza. La colpa
non era dell’avvocato, egli lo sapeva bene. Se n’era reso con-
to subito, di questo. Neanche a lui i testimoni della difesa
avevano detto le sole cose che importava dire: non osavano
accusare apertamente Salvatore e Benedetto. Sapevano che
10 l’avvocato si sarebbe valso delle loro parole e li avrebbe co-
stretti a ripeterle nell’aula. Ora, con Salvatore e Benedetto
Boschino non c’era tanto da scherzare. Non erano uomini
di buona pasta come Giuseppe, quelli. Ecco cosa avevano
fatto i testimoni della difesa, la gente!
15 Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla deposizione di Anto-
nio Màsala, o da qualche altro indizio, si scopriva che c’e-
rano anche Cosimo Aneris e lui, quella sera? O se la stessa
persona che aveva avvertito Antonio Màsala faceva la spia?
Chi lo avrebbe difeso? Chi avrebbe creduto che lui stesso
20 aveva subìto una violenza? Meglio non pensarci neppure.
Non contava nulla essere onesti e miti come suo padre.
Nulla! Quando Giuseppe era stato portato lontano, in una
città del Continente, per scontare la sua pena, mentre Sal-
vatore e Benedetto continuavano pacificamente la loro vita
25 di sempre, non si parlava più, in paese, dell’innocenza di
suo padre. La gente, che pure non credeva alla Giustizia,
aveva finito per accettare la sentenza come una cosa giu-
sta, e si stancavano dei piagnistei e delle recriminazioni di
Maddalena. Persino i parenti se ne stancavano. E loro due
30 erano rimasti soli come un orfano e una vedova, tra l’indif-
ferenza di tutti, sempre sul chi vive, come bestie selvatiche.
«Aspetta che tuo padre rimetta piede in paese, e poi vedrai

1. Maddalena] |Maddalena| (›la madre‹) D     2. l’avvocato] |l’avvocato| (›i


giudici‹) D     3. e contro] ›[—]‹ e contro D     4. testimoni,] testimoni D
testimoni|,| D1  ◆  cercava] /egli/ cercava D1 D2 ›egli‹ cercava D B     7. a]

a (›con‹) D     14-15. gente! Cosa] gente! Cosa D D1 D2 gente!↔| Cosa
B     15. accaduto ora] accaduto di lui D D2 accaduto ›di lui‹ D1 accaduto
||ora|| (›di lui‹) B     16. Màsala,] Masala D Masala|,| D1 D2 Màsala, B   ◆  
indizio,] indizio D indizio|,| D1     
Michele Boschino 45

che fine fanno quei cani» diceva Maddalena. «Anche se poi


me lo riportano via per sempre non me ne importa, ma la
devono pagar cara». Ma quando suo padre, dopo due anni
di carcere, era tornato, Michele lo aveva ritrovato sereno e
tranquillo come un tempo, e persino allegro, come se la di- 5
sgrazia non l’avesse neppure sfiorato. Che sollievo era stato
quel ritorno, per Michele! Com’era ridiventata subito faci-
le e serena la vita! «Cosa ci possono fare, la gente?» diceva
Giuseppe. «Se io mi rompo una gamba, cosa ci possono fare
gli altri? Il male non l’ho fatto a Benedetto, quando gli ho 10
spaccato la testa, l’ho fatto a me, a te, poveretta, e a questo
innocente». Non serbava rancore. Era lui il primo a salu-
tare le persone che incontrava, anche i testimoni che, per
paura di Salvatore e di Benedetto, non avevano osato dire
una parola in suo favore; si fermava a parlare, chiedeva no- 15
tizie della salute, della famiglia, degli affari. E quelli, allegri,
espansivi, amici come prima; e con la stessa cordialità salu-
tavano Michele, come se anche lui fosse stato via dal paese
in quei due anni e lo rivedessero per la prima volta. Così
era fatta la gente. Solo i fratelli non aveva voluto rivedere, 20
Giuseppe, benché gli avessero mandato a dire più volte che
desideravano salutarlo; non perché serbasse rancore, ma
per prudenza. Era pericoloso parlare con loro. Una parola,
anche innocente, poteva tirarne un’altra, non si sapeva mai
dove s’andava a finire. Meglio ognuno per suo conto, una 25
volta per sempre.
Così era cresciuto, all’ombra di questa tranquilla saggez-
za, la cui luce gli pareva di scorgere ancora negli occhi del
morente che ogni tanto si volgevano a lui dal viso immo-
bile. Era cresciuto come un pollone giovane ai piedi di un 30
grande albero. Lavorare in campagna con lui, come quando
era bambino, trattare con le persone con cui lui trattava,

4. Michele] con meraviglia Michele D ›con meraviglia‹ Michele D1  ◆   ri-


trovato] trovato D ritrovato (← trovato) D1     6. sfiorato] toccato D •sfio-
rato (›toccato‹) D1     7. ridiventata] tornata D •ridiventata (›tornata‹)
D1     8. serena] serena, D D1 D2 serena B     8-9. diceva Giuseppe] diceva
D diceva /Giuseppe/ D1     11. l’ho fatto a me] ›l’ho‹ l’ho fatto a me ›e a voi
due, poveretti‹ D  ◆  e a] e D e /a/ D1     14. paura…Benedetto,] paura ›di
Salvatore e di Benedetto‹, D1     18. Michele] ›anc‹ Michele D     23. loro.
Una] loro. ›con gli estranei si può‹ Una D     
46 GIUSEPPE DESSÌ

ritrovare sempre, dovunque, in tutti, la sicurezza, la fiducia,


la simpatia perfino che venivano da lui, rendeva la vita age-
vole e lieta a Michele. Non cercava amicizie e neppure gli
svaghi dei giovani della sua età. Si sarebbe detto che avesse
5 la stessa età di suo padre, tanto era simile a lui anche nei
gesti. Ora egli riandava con la memoria a quegli anni uguali
e tranquilli; e, con dolore, pensò alla prima volta che s’era
trovato a contrastare con suo padre. Era stato quando s’era
innamorato di Angela. Eppure neanche allora la sua fiducia
10 era venuta meno. Ciò ch’era seguito, i fatti inesplicabili che
avevano interrotto lo svolgersi tranquillo della sua giovi-
nezza, invece di scuoterla, quella fiducia, l’avevano rafforza-
ta, l’avevano resa necessaria alla sua vita. Suo padre arrivava
a vedere ciò che non vedeva lui, sapeva leggere nell’animo
15 degli altri, ne conosceva i riposti pensieri. Un vago senso di
timore s’impadroniva di lui quando era lontano da Giusep-
pe, come se il ricordo di quei due anni passati in paese tra
l’ostilità della gente si ridestasse dal profondo del suo esse-
re. Quando il vecchio non c’era, sentiva, come allora, tutti
20 ostili intorno. Forse gli altri sapevano di lui più di quanto
egli non sapesse di loro. Sapevano che Angela lo aveva tra-
dito. Lo sapevano anche quando egli, ignaro di tutto, era
stato sul punto di sposarla. Forse, se suo padre non gli apri-
va gli occhi, non avrebbe mai sospettato di nulla; lui solo,
25 mentre tutti gli altri sapevano. Da allora, proprio come un
bambino, aveva cercato sicurezza e rifugio in suo padre, di
nuovo. Era stato suo padre che l’aveva indotto a romperla
con la ragazza, ed egli s’era assoggettato a questo soffren-
done: aveva chiuso gli occhi e s’era lasciato guidare. Con-
30 siderava suo padre come una parte di se stesso a cui avesse
affidato la sua coscienza più profonda, una facoltà segreta
e dolorosa di vedere dentro le cose e dentro l’animo degli
uomini, una consapevolezza di cui non voleva risvegliare la

1. tutti,] tutti D D1 D2 tutti|,| B     2-3. agevole] facile D D1 D2 ||agevole||


(›facile‹) B     3-4. gli svaghi] |gli svaghi| (›svaghi‹) D     10. i fatti] quei fatti
D D1 D2 ||i|| (›quei‹) fatti B     14. animo] anima D D1 D2 animo B     15.
riposti pensieri] pensieri riposti D D1 D2 2pensieri 1riposti B     16-17.
Giuseppe,] Giuseppe; D D1 D2 B ≠ M2     19. sentiva, come allora, tutti]
sentiva tutti D sentiva, come allora, tutti D1     24. di nulla;] nulla, D D1
D2 ||di|| nulla||;|| B     
Michele Boschino 47

possibilità dentro di sé. Ciò che il padre gli aveva detto della
relazione di Angela con quell’altro, lo aveva sentito dentro
come un ferro penetrato nelle carni per un momento solo; e
glien’era rimasta la ferita: ma la certezza, la logica del ragio-
namento di suo padre le aveva dimenticate. Quelle parole 5
erano appassite come foglie nella sua memoria. Non aveva
più chiesto nulla, non aveva neppure più voluto sentirne
parlare. E quando un dubbio l’assaliva improvvisamente, o
anche gli tornava il suo ricordo di Angela, facendolo soffri-
re, di Angela che continuava a vivere senza di lui, e pensava 10
che non le avrebbe mai più parlato, che tutto tra loro era
finito senza rimedio, solo la serenità di suo padre poteva
ridargli pace. Solo in quella saggezza, lontana, irraggiun-
gibile, era la giustificazione dell’atto che aveva compiuto
a occhi chiusi. Allora passava lunghe ore col vecchio e lo 15
ascoltava parlare. Il vecchio parlava della condanna, della
vigna perduta, del tempo passato in carcere; e la giustezza
delle sue parole lo guariva. Il vecchio diceva che quando si
perde una cosa bisogna far conto d’averla restituita a Chi
ce l’aveva data per sua bontà; e non tocca a noi giudicare 20
se colui per mani del quale Egli ce la toglie, è un nostro ne-
mico. Michele riferiva a sé queste parole, come se il vecchio
raccontasse un apologo, e cercava di non pensare all’uomo
per mano del quale Angela gli era stata tolta, di dimenti-
carlo subito, prima che quel volto odioso risorgesse chiaro 25
dalla memoria. Angela, come se fosse morta, se l’era presa

2. quell’altro, lo] quell’altro uomo, egli lo D quell’altro ›uomo‹, ›egli‹ lo


D1  ◆  dentro] dentro ›di sè‹ D     3. carni] carni, D D1 D2 carni B     5. le]
l’ D le (← l’) D1     9. gli…Angela,] il solo ricordo di lei D /gli tornava/ il
solo ricordo di •Angela (›lei‹), D1 D2 B ≠ M2     10. Angela] lei D •Angela
(›lei‹) D1     10-11. lui, e pensava che] lui, e pensava che lui, D /e pensava/
che D1      11. mai più] più D /mai/ più D1     13. ridargli] dargli D ridargli
(← dargli) D1  ◆  Solo] Era D •Solo (›Era‹) D1  ◆  lontana] sebbene lontana
D ›sebbene‹ lontana D1     14. era la] la D /era/ la D1     15. occhi chiusi.]
occhi chiusi, senza convinzione. D D1 D2 occhi chiusi,›senza convinzione‹.
B     20-22. giudicare…nemico] giudicare per mani di chi Egli ce la toglie.
D giudicare /se colui/ per mani •del quale (›di chi‹) Egli ce la toglie /è un
nostro nemico./ D1 D2 giudicare se colui per mani del quale Egli ce la to-
glie, è un nostro nemico. B     25-26. risorgesse…memoria.] sorgesse chia-
ro dentro di lui. D |ri|sorgesse chiaro •dalla memoria (›dentro di lui‹). D1     
48 GIUSEPPE DESSÌ

quell’Altro. Così egli s’affidava a suo padre, senza chiedere


nulla, come uno smemorato; in lui era la ragione della sua
stessa vita. Anche l’arte di coltivare la terra, con tutti i suoi
segreti, gli pareva che suo padre non l’avesse appresa, a sua
5 volta, da altri, ma che l’avesse scoperta da sé, come il primo
uomo. E quest’idea fanciullesca, nata dal bisogno di trovare
in suo padre la ragione di tutti i propri atti, anche quando
fu da lui, non risolta, con gli anni, in un modo più maturo
di veder le cose, ma come messa in disparte, dimenticata,
10 come accade di molte idee dell’adolescenza, i suoi effetti
continuarono a durare in lui, gliene rimase ancora il senso.
Ma era una fiducia che, quand’era lontano da suo padre,
poteva venir meno a un tratto; come un nuotatore inesper-
to che s’accorge con terrore di non toccare più il fondo con
15 la punta del piede. Gli accadeva anche quand’era con Be-
niamino. Il servo lo guardava coi suoi occhi impenetrabili
di pastore, e forse vedeva quel che stava accadendo dentro
di lui, chi sa! Forse sapeva che sarebbe bastata la mano di
un bambino a stenderlo a terra, in quei momenti, benché
20 lui continuasse a parlare del prezzo dei terreni da semina
o dei danni che, la notte prima, avevano fatto le capre del
vicino. Parlava, ascoltava, ma le parole, a un tratto, perde-
vano il loro senso, non avevano più valore, erano vuote. Al-
lora si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la
25 pancia piena di mosche; gli pareva che quel ragazzo chiac-
chierone e maligno potesse vedere la vergogna che, ecco,
improvvisamente si riaccendeva, la vergogna e il dolore di
quando suo padre, nella stalla, pestando col maglio le fave
per i buoi, gli aveva detto il nome di quell’uomo col quale
30 Angela lo tradiva. Non udiva più le parole del suo interlo-
cutore ma le parole di suo padre, rinascevano i pensieri che
quelle parole avevano alimentato per tanto tempo, e ciò che
in quel momento aveva visto con l’immaginazione e aveva
cercato disperatamente di cancellar subito dalla memoria,

1. Così…padre] E s’affidava al vecchio D •Così egli (›E‹) s’affidava •a suo


padre (›al vecchio‹) D1     2. nulla] altro D D2 •nulla (›altro‹) D1  ◆  uno
smemorato; in lui] come uno smemorato. Nel vecchio D come uno sme-
morato, (← smemorato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D2 come uno smemorato;
(← smemorato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D1     10. molte idee] certe idee D D1
D2 B ≠ M2     22-23. perdevano] avevano perduto D D1 D2 B ≠ M2      
Michele Boschino 49

quelle immagini che invece ritornavano sempre con lo stes-


so vigore, quando la fiducia lo abbandonava, anche ora che
di Angela non gl’importava più nulla. Dopo questi turba-
menti, era come uno che si desta da un incubo: si ritrovava
seduto sul muricciuolo dell’orto, o a camminare accanto 5
alla ruota del carro col pungolo sulla spalla, a fianco del ser-
vo che nel frattempo, vedendolo assorto in altri pensieri,
aveva preso a canterellare qualcosa. Pensava a suo padre,
gli pareva di essere non lui ma suo padre stesso; e come per
incanto tornava a sentirsi sicuro, padrone di sé, anche lui 10
come tutti gli altri; e gli altri si spogliavano del loro mistero,
e vedeva che i pensieri che nascondevano non erano molto
diversi dalle parole che dicevano o che avrebbero potuto
dire. Tutto era naturale, tutto era semplice. Pensava anche,
qualche volta, alla morte del vecchio; ma come a una pos- 15
sibilità lontana, indeterminata; pensava che in quel tempo,
sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro, più uomo. Ed
ecco che invece la morte era arrivata improvvisamente, e
lui era lo stesso di prima; era arrivata proprio quando aveva
più bisogno di aiuto. Come avrebbe voluto ascoltare anco- 20
ra quella voce amica e saggia! Come avrebbe voluto poter
credere che per il vecchio non c’era nulla d’impreveduto, e
che anche la cosa che era capitata a lui qualche sera prima
non era né straordinaria né terribile, e che lui, Michele, era
innocente, e che faceva bene a tacere, a confessarsi solo con 25
lui, suo padre; sentirsi dire che quell’avvenimento sarebbe
rimasto nascosto sempre a tutti gli altri.
E invece, quando gli occhi di suo padre si chiudevano, e il
viso immobile sembrava immerso in un silenzio più grande
del sonno, gli pareva di sentire che in quell’avvenimento 30

4. desta] destasse D desta (← destasse) D1     10. sé,] sé D D1 D2 B ≠


M2     14. naturale, tutto era semplice.] naturale e semplice. D naturale,

tutto era (›e‹) semplice. D1     16-17. indeterminata…più uomo.] indeter-
minata. Allora, in quel tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicu-
ro. D indeterminata; (← indeterminata.) •pensava che (›Allora,‹) in quel
tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro|,| /più uomo/. D1     28.
di suo padre] del vecchio D •di suo padre (›del vecchio‹) D1     30. in] •in
(›anche per suo padre c’era‹) D     
50 GIUSEPPE DESSÌ

c’era qualcosa che sfuggiva anche al vecchio, che preferiva


andarsene così, senza dir nulla.
Si ricordò di questo tre giorni dopo, quando si sparse la
notizia che suo cugino Giovanni era stato trovato nel pode-
5 re di Nadòria con due palle nella schiena.

1. al vecchio, che preferiva] a lui; e che egli preferiva D •al vecchio (›a lui‹);
e che egli preferiva D1 D2 •al vecchio, (← vecchio; e) che ›egli‹ preferiva
B     3. sparse] |sparse| (›seppe in‹) D
Michele Boschino 51

VII

Quell’anno Michele affittò quasi tutta la terra che aveva 5


preparato e seminò solo il grano che bastava per la provvi-
sta di casa e la paga del servo. Dopo il raccolto, licenziò il
servo e rivendette i buoi di Arci alla fiera di Santa Croce.
Fece tutto questo contro il parere di Maddalena, che diceva:
«Tuo padre la terra l’ha comprata per seminarla, non per 10
darla in affitto agli altri come la gente ricca». Michele insi-
steva che conveniva di più far così. La terra affittata rende-
va meno sì, ma rendeva ogni anno nella stessa misura, e lo
svantaggio veniva compensato. Il servo era stato necessario
tenerlo durante la malattia di Giuseppe, perché non si po- 15
tevano vendere definitivamente i suoi buoi senza dargli un
grande dolore; ma ora no, non conveniva più. Michele non
era convinto di quel che diceva, anzi, in cuor suo, doveva ri-
conoscere che Maddalena aveva ragione, e che, per mettere
assieme i seicento scudi che ci volevano per ricomprare la 20
vigna, bisognava continuare a lavorar la terra come sempre
aveva fatto suo padre. Era il chiodo fisso di Giuseppe, la
vigna. Gliel’aveva portata in dote Maddalena, e lui poi, ci
aveva lavorato tanto. Avrebbe voluto ricomprarla, prima
di andarsene. Anche la sera della grassazione Michele c’e- 25
ra passato davanti, con Cosimo Aneris, e s’era ricordato di
suo padre, che ogni volta che passava di là voltava la faccia

7. raccolto,] raccolto D D1 D2 B ≠ M2     8. rivendette…Santa Croce.]


rivendette alla fiera di Santa Croce i buoi che aveva comprato ad Arci.
D rivendette /i buoi di Arci/ alla fiera di Santa Croce ›i buoi che aveva
comprato ad Arci‹. D1     13. meno sì, ma] meno ma D meno|,| /sì,/ ma D1
D2 meno sì, ma B     14. necessario] bene D •necessario (›bene‹) D1     16.
dargli] dare al vecchio D dargli (← dare) ›al vecchio‹ D1     17. Michele] Ma
D •Michele (›Ma‹) D1     23. vigna. Gliel’aveva] vigna, perché gliel’aveva
D vigna. Gliel’aveva (← vigna, perché gliel’aveva) D1     23-24. ci aveva…
Avrebbe] in tanti anni, l’aveva tutta rinnovata; e avrebbe D •ci aveva 1tanto
2
lavorato (›in tanti anni, l’aveva tutta rinnovata; e‹)|.| Avrebbe (← avreb-
be) D1     26. e s’era] e Michele s’era D e ›Michele‹ s’era D1  ◆  di] che D

di (›che‹) D1     27. che ogni] ogni D /che/ ogni D1  ◆  voltava la faccia] si
voltava D ›si‹ voltava /la faccia/ D1     
52 GIUSEPPE DESSÌ

dall’altra parte sospirando. Nella luce della luna, la vigna,


già spoglia, tra le quattro siepi di fichidindia, sembrava an-
che più grande di quando l’avevano venduta. A quel tempo
le viti innestate sui vecchi ceppi non avevano dato ancora
5 frutto. Le aveva innestate con le sue mani, Giuseppe, un
poco per volta; e ora se la godevano gli altri. Anche Michele,
passando di là, aveva sospirato come suo padre, quella sera.
Ma ora, cosa gliene importava della vigna? A sua madre
non osava dirlo, ma non gliene importava più nulla. Della
10 vigna non sapeva che farsene, lui. Si sarebbe accontentato
di lavorare quanto bastava per il pane. Tutto il resto era in
più. Ma una ragione, per Maddalena, bisognava trovarla, e
Michele diceva: «Vedete, mamma, con la vendita dei buoi e
del carro del povero babbo abbiamo fatto centoventicinque
15 scudi. Anche gli altri verranno». La donna s’accorava: «Sì,
verranno! Verrebbero se tu lavorassi la terra con le tue mani
come faceva Giuseppe, invece d’affittarla. Certo che verreb-
bero! Era l’unica cosa che mi restasse di casa mia. Così l’a-
spetteremo un pezzo, la vigna del Faraone». Per tutta la vita
20 suo padre aveva avuto un solo scopo: accumulare pezze,
reali e scudi, come una formica accumula chicchi di grano.
Quando ne aveva messo da parte un bel po’ comprava un
pezzetto di terra. Così aveva ingrandito il piccolo podere
di Spinàlva, aveva impiantato l’orto e acquistato il chiuso

1. sospirando.] e sospirava D sospirando (← e sospirava) D1     2. fichi-


dindia,] fichidindia D fichidindia|,| D1     3-4. A quel…innestate] Allora
le viti che Giuseppe aveva innestato D Allora le viti ›che Giuseppe aveva‹
innestate (← innestato) D1 D2 ||A quel tempo|| (›Allora‹) le viti innesta-
te B     5. mani, Giuseppe,] mani, un poco D mani, /Giuseppe,/ un poco
D1     6. per volta;] alla volta, D •per (›alla‹) volta; (← volta,) D1  ◆  la] le D
D1 D2 la B  ◆  Anche] Fino al giorno della grassazione anche D ›Fino al
giorno della grassazione‹ Anche (← anche) D1     7-8. aveva…Ma] sospi-
rava come suo padre; ma D •aveva sospirato (›sospirava‹) come suo padre
/quella sera/; ma D1 D2 aveva sospirato come suo padre, quella sera. Ma
(← quella sera; ma) B     10. farsene, lui. Si] farsene, e si D farsene, lui.
Si (← farsene, e si) D1     12. per] a D •per (›a‹) D1  ◆  trovarla] dargliela
D •trovarla (›dargliela‹) D1     15. La] Ma la D La (← Ma la) D1     17-18.
verrebbero!] verrebbero. D verrebbero! (← verrebbero.) D1     21. scudi,]
scudi D scudi|,| D1     22. po’] po’, D D1 D2 po’ B     22-23. comprava un
pezzetto] comprava un altro pezzetto D comprava un ›altro‹ pezzetto D1     
Michele Boschino 53

per sciogliere al pascolo i buoi, e la terra di Monte Ulìa,


che voleva mettere a mandorli. Pensava a Michele, ai figli di
Michele, e ai figli dei figli. Ma lui? Lui era solo al mondo, e
solo sarebbe sempre rimasto. Anche lui, prima, aveva fatto
come suo padre, fin da ragazzo, per quanto inconsciamen- 5
te, senza nulla sapere della sua vita. Quando s’era fidanzato
con Angela, questo desiderio della proprietà era diventato
fortissimo, come un istinto che si fosse maturato con la vi-
rilità. Il suo amore per Angela era unito a questo bisogno
di guadagno e di possesso: accrescere la roba del padre, che 10
era roba sua, ingrandire la casa del padre, che pure era sua,
lavorare per la famiglia futura. Ma quando aveva detto ad
Angela che al matrimonio non c’era più da pensarci, e lei
se n’era andata senza chiedergli nessuna spiegazione, anche
questo desiderio era caduto. Per lui, da allora, era come se 15
la vita si fosse fermata. Se lavorava come prima, se come
prima era attento e avveduto, non era più il suo stesso inte-
resse che lo spingeva, alimentato da quell’istinto profondo,
ma il bisogno di secondare il desiderio di suo padre, senza
mai chiedersene la ragione. 20
«Per te le mie parole non contano niente» soleva ripetere
Maddalena quando cercava di convincerlo a non affittare
la terra. Le parole di Maddalena, da quando suo padre era
tornato in paese dopo aver scontato la condanna, non ave-
vano più contato nulla per lui, neanche quand’era chiaro il 25
vantaggio, in ciò che sua madre diceva; mentre Giuseppe
poteva chiedergli il sacrificio più doloroso ed era sempre
ascoltato. Ora Michele era come un albero a cui avessero
tagliato le radici più profonde; e non aveva altro deside-
rio che d’abbandonarsi senza resistere alla stanchezza che 30
gravava su tutto il suo essere. Come avrebbe potuto dire a
Maddalena che aveva licenziato Beniamino perché Benia-
mino era come un occhio aperto e vigile sul suo torpore,

1. buoi,] buoi D buoi|,| D1     2. ai] e ai D ›e‹ ai D1     5. padre, fin] padre.
Fin D padre, fin (← padre. Fin) D1     19. di suo padre] di lui D di •suo
padre (›lui‹) D1     32-33. Beniamino] egli D •Beniamino (›egli‹) D1     33.
occhio aperto e vigile] occhio vigile D occhio /aperto e/ vigile D1     
54 GIUSEPPE DESSÌ

un occhio che avrebbe finito per vedere, per penetrare quel


segreto che avrebbe dovuto portarsi con sé per sempre, che
avrebbe voluto affidare a suo padre per poi dimenticarlo?
Non voleva nessuno attorno a sé, voleva star solo. E quan-
5 do era costretto ad avvicinare qualche persona, aveva pau-
ra di tutto, delle parole, degli sguardi e persino del silenzio
che il suo impaccio causava. Non voleva che alcuna cosa lo
strappasse a quel molle torpore, a quel desiderio continuo
di stendersi a terra e dormire.
10 Ma in quanto a dormire veramente, i suoi sonni non era-
no più quelli d’un tempo. Gli accadeva d’assopirsi sdraiato
bocconi sul carro oppure sulla stuoia di sala gettata fra le
mangiatoie dei buoi, ma non dormiva mai veramente. Al-
lora la sua atonia abituale si colorava di una inesplicabile
15 felicità. Il suo sopore era un trascorrere di buio e di sere-
no, come nuvole in un cielo lunare, un palpito lungo, un
profondo respiro d’ombra; e quando quel palpito si faceva
più trasparente, era come se, attraverso il velo del sonno,
vedesse i buoi, il timone del carro, la legnaia, il tetto, il cielo
20 stellato: tutte cose presenti, reali, a cui lo teneva avvinto il
terrore d’abbandonarsi ai fantasmi che popolavano la sua
angoscia. Eppure quel velo sottile bastava a separarlo dal
presente, divenuto per lui così deserto.17 Ogni tanto gli pa-
reva di udire, tra gli altri rumori, la voce del padre, il maglio

1. vedere] vedere D vedere D1     2. per sempre] fino alla fine D •per sempre
(›fino alla fine‹) D1     5. qualche persona] qualcuno D •qualche persona
(›qualcuno‹) D1     7. causava] causavano D causava (← causavano) D1     8.
strappasse… torpore, a] distogliesse da quell’atonia che lo aveva preso, da
D •strappasse a quel molle torpore, a (›distogliesse da quell’atonia che lo
aveva preso, da‹) D1     12-13. fra le mangiatoie] tra la mangiatoia D tra le
mangiatoie (← la mangiatoia) D1 D2 fra (← tra) le mangiatoie B     13. buoi,]
buoi; D D1 D2 B ≠ M2     15-16. sereno,] azzurro sereno D ›azzurro‹ sere-
no|,| D1     16-17. lungo…respiro] lungo e profondo, un respiro D lungo
›e profondo‹, un /profondo/ respiro D1     18. trasparente,] trasparente D
D1 D2 trasparente|,| B  ◆  il velo del sonno] ›le palpebre‹ quel velo di sonno
D •il (›quel‹) velo del (← di) sonno D1

17
il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così deserto.] cfr. Appen-
dice (Cap. VII).
Michele Boschino 55

con cui il vecchio pestava le fave, gli pareva di dover fare


qualcosa con lui, l’indomani: ma non gli accadeva mai di
vedere suo padre in sogno. Quando dormiva nella stanza
accanto alla cucina, d’estate, con la porta spalancata sul cor-
tile, il suo orecchio avvezzo alle notti all’addiaccio, vigilava 5
istintivamente i buoi che ruminavano nella stalla; anche nel
sonno distingueva il tintinnio, a volte appena percettibile,
dei campani delle sue bestie da quelli delle stalle vicine, sa-
peva quando si leccavano sotto la coscia, quando si grat-
tavano contro il pilastro di granito della tettoia, seguiva i 10
loro movimenti lenti e grevi, vedeva le loro grandi ombre.
E nella gioia inesplicabile che quel sopore gl’infondeva, era
anche l’orgoglio, sempre condiviso con suo padre, per quel
giogo di buoi di cui non si trovava l’uguale in tutta Sigalesa.
Invece i risvegli erano oppressi da un’oscura disperazio- 15
ne. Erano le ore più angosciose della giornata, quelle del
risveglio – ore o forse anche soltanto brevi istanti; e glie-
ne rimaneva poi la sensazione penosa per tutta la giorna-
ta, come un peso da cui non potesse più liberarsi. Quando,
prima dell’alba, portava i buoi all’abbeverata fischiando 20
come tutti gli altri boari un’aria di quattro note che accom-
pagnavano il passo delle bestie, quelle stesse ombre amiche
che prima erano entrate nella gioia del suo sonno, ora si
staccavano dalle altre più piccole in fila all’abbeveratoio,
l’opprimevano come un incubo. Continuava a fischiare 25
come gli altri, la piazzetta e la scarpata scoscesa si riempiva
di suoni acquatici, ma lui non riusciva a vincere quell’an-
goscia. Avrebbe voluto che i suoi buoi fossero simili a tutti
gli altri di Sigalesa, piccoli, rossi di mantello e con la testa
gravata da corna enormi, e lui stesso avrebbe voluto essere 30
un servo, come i boari che fischiavano accanto a lui, non

5. addiaccio,] addiaccio D addiaccio|,| D1     11. movimenti lenti] movi-


menti di bestie lente D movimenti ›di bestie‹ lenti (← lente) D1     13-14.
quel giogo di] quei D D1 D2 ||quel giogo di|| (›quei‹) B     19. potesse] |po-
tesse| (›sapesse‹) D     21-22. accompagnavano] accompagnava D D1 D2 B
≠ M2     23. prima erano] prima ›[—] nella [—] calma sicurezza del suo
sonno‹ erano D     29-30. e con…enormi,] e con le corna |enormi| (›gran-
dissime‹) D e •la testa gravata da (›e con le‹) corna enormi D1D2 e con la
testa gravata da corna enormi, B     
56 GIUSEPPE DESSÌ

possedere nulla, obbedire a qualcuno come prima aveva


obbedito a suo padre.

5 Il grano lo aveva seminato nel campo di Monte Ulìa, te-


nuto a maggese, isolato in una distesa di lentischi e di oli-
vastri. Maddalena aveva avuto da ridire anche per questo,
non parendole conveniente che Michele scegliesse proprio
quel campo fuori mano mentre avrebbe potuto tenersi un
10 pezzo di terra accanto all’orto, e badare così a una cosa e
all’altra. Invece, per andare a Monte Ulìa, coi buoi, ci vole-
va un’ora buona di strada. Michele diceva che le altre terre
erano stanche, mentre quella, quasi vergine, avrebbe dato
un raccolto migliore. La ragione vera però era questa, che
15 essendo il campo così fuori mano poca era la gente che ci
passava, e poi aveva la scusa di star lì anche quando non
c’era da scerbare o zappare il grano, per far la guardia. S’era
fatto un capanno a ridosso di una quercia e di là, essendo il
campo su un pendio digradante, poteva abbracciarlo tutto
20 con l’occhio.
Quando cominciò a spuntare, il grano pareva stento, e dal
modo d’accestire si vedeva il segno della gittata del seme,
un po’ incerto, come se l’avesse seminato il debole braccio
di una donna. Quei pochi che passavano per la strada lungo
25 il campo, pastori per lo più, carbonai, cercatori di funghi,
o gente che andava a far legna, si fermavano e scrutavano a
lungo, come se volessero veder quanti chicchi erano nati in
ogni solco. Michele, se era nel capanno, non si muoveva di
là neanche quando il passante, scoprendolo finalmente, gli
30 faceva un cenno di saluto. Se poi capitava a portata di voce
doveva sentire anche i commenti. «Se non piove, il tuo gra-
no va male» gridavano. «Cotesti sono terreni asciutti. Qui
ci andrebbe una vigna. Una vigna sì che andrebbe bene».

9. fuori mano] fuorimano D D1 D2 B ≠ M2     12. diceva] aveva risposto


D •diceva (›aveva risposto‹) D1     14. La] ›Ma‹ La (← la) D  ◆  però] /però/
D     15. fuori mano] fuorimano D D1 D2 B ≠ M2     16. passava,] passa-
va; D D1 D2 passava, B  ◆  aveva] aveva /›anche‹/ D     17. per] •per (›a‹)
D     28. Michele, se] ›[—]‹ Michele, •se (›[—]‹) D     32. gridavano] •gri-
davano (›dicevano‹) D     
Michele Boschino 57

Anche Maddalena volle andare a vedere il grano, e disse


la stessa cosa. «Questo è terreno da mettere ad alberi. Tuo
padre aveva comprato questo terreno per metterlo a man-
dorli. Una volta sola ci seminò grano».
«E quella volta andò bene» disse Michele. 5
«Ma quell’anno ne venne dal cielo dell’acqua!»
«Anche quest’anno verrà».
«Quest’anno? Vedrai quest’anno! Non farai fatica a mie-
terlo quel grano».
«Io vi dico che verrà» insisteva Michele. «Ho visto i buoi 10
giocare anche stamattina».
Ma in realtà non gliene importava nulla che piovesse o
no. Gli piaceva star nel capanno a fabbricare cesti di giun-
chi, a guardar crescere l’erba tenera del grano, a lasciar spa-
ziare l’occhio per la cupa distesa di cisti, fino alla pianura 15
già verdeggiante. «Quelle sì che son terre buone» diceva
qualche volta a voce alta, come concludendo un ragiona-
mento interiore, «quelle sì che ripagano il lavoro del povero
contadino. Sono terre che danno anche il sedici per seme».
Non erano idee sue, erano parole che aveva sentito ripetere 20
tante volte da suo padre, che pur essendo affezionato alle
terre di Spinàlva, vagheggiava così quelle altre più ricche.
Allo stesso modo, oziosamente, cercava che cosa mancasse
al suo grano, come se non lo sapesse anche lui che tutto di-
pendeva dal terreno troppo asciutto. Il terreno era riposato, 25
ingrassato dal bestiame, arato in primavera, intraversato a
settembre; ma era asciutto.
Una mattina i buoi, sciolti al pascolo, cominciarono a
giocare davvero, cozzando tra loro. Era un indizio sicuro
che stava per piovere. Michele lasciò che prendessero qual- 30
che boccata di grano, e solo dopo un poco lanciò un sasso
per farli allontanare.
La notte, cominciò a piovere; e ai Santi il grano nacque

4. seminò] seminò (›ha seminato‹) D     8-9. mieterlo quel] mieterlo quel


(← mietere il) D     13-14. giunchi, a guardar] giunchi (← giunghi) •a guar-
dar (›guardando‹) D giunchi, a guardar D1     18. interiore, D D1 D2 B]
interiore M2     19. danno] |danno| (›ripagano‹) D     
58 GIUSEPPE DESSÌ

tutto, e veniva su nel campo folto e uguale che pareva semi-


nato con la macchina.

5 «Avete visto, mamma, che avevo ragione» disse Michele


quando Maddalena andò a Monte Ulìa per aiutarlo a zap-
pare il grano. La donna, dal carro, scuoteva la testa senza
rispondere. Non voleva ancora darsi per vinta, e neppure
far l’uccello di malaugurio, però, di fronte a tutta quella
10 grazia di Dio venuta su come per miracolo, esposta ai peri-
coli delle secche, della stretta, degli incendi, delicata come il
pane che lievita in un canto della stanza più calda. Ora che
il grano era nato non bisognava più dir nulla e affidarsi alla
volontà di Dio. Proprio come quando si fa il pane, che basta
15 nulla a farlo andare a male: basta che durante la notte cambi
il tempo, basta un pensiero cattivo, a volte; e allora l’abilità
e l’attenzione non contano più nulla. Bisogna farsi il segno
della croce, prima di cominciare, e pensare a cose buone.
Così anche per il grano in erba, per il grano da mietere e
20 da trebbiare. Per questo i pensieri d’odio, anche se covati
in silenzio, finiscono per mandare in rovina le famiglie. Lei
stessa ora si sentiva pesare come una colpa il rancore che
l’aveva staccata dal figlio dopo la morte di Giuseppe. S’e-
rano trovati una contro l’altro, madre e figlio, senza sapere
25 neppure perché: come se un malinteso fosse nato tra loro
e ci fosse bisogno d’una spiegazione che nessuno dei due
si risolveva ad affrontare. Lei era scontenta di tutto ciò che
lui faceva, e Michele, da parte sua, non l’accontentava nep-
pure nelle piccole cose, sempre ostinato, sempre chiuso in
30 se stesso. A volte le pareva che Michele soffrisse più di lei
per la morte di Giuseppe, e ne era gelosa. Ora, per la pri-
ma volta, dopo tanti mesi, vedendo il grano folto e lucente,
quel groppo d’astio le si scioglieva dentro; ma stava zitta,
senza riuscire a dirgli quelle parole che gli avrebbero fatto
35 piacere. Zappava china, con la zappa dal corto manico di

9. però] ora D però (← ora) D1     16. cattivo, a volte;] cattivo a volte, D


cattivo, a volte; (← cattivo a volte,) D1     21. le famiglie] la mente D •le
famiglie (›la mente‹) D1     24. l’altro, madre e figlio,] l’altro D l’altro|,|
/madre e figlio,/ D1     27. Lei] |Lei| (›Maddalena era‹) D     
Michele Boschino 59

corbezzolo, strappando ogni tanto qualche ciuffo di cuscuta


o di medica che gettava nella gora dopo averne scosso la
terra dalle radici. Le pareva di esser tornata ai tempi lonta-
ni, quando lei e Giuseppe scerbavano il grano nel piccolo
campo di Spinàlva, più piccolo anche di questo di Monte 5
Ulìa, allora, o andavano a lavorare a giornata nelle terre di
Serra Lisone, di Mérula, di Ìscia Ìspina, dove li chiamavano,
senza curarsi della fatica. Così avevano cominciato, e non
avevano da scegliere la terra, allora. Dovevano acconten-
tarsi del loro piccolo podere, che era una terra povera, ar- 10
gillosa, che quando pioveva non s’asciugava mai, e quando
non pioveva si spaccava come la crosta del pane: ben diver-
sa da quella che avevano comprato tutt’intorno, più tardi.
Eppure dava il suo frutto, perché Giuseppe era contento, e
anche lei, e lavoravano d’amore e d’accordo. Ora si pentiva 15
dei suoi rancori, dei suoi pensieri ostili; e benché le reni le
dolessero, continuava a zappare senza riposarsi. Anzi quel
dolore fisico la rendeva tranquilla. «Come sarebbe bello
ora» pensava «se Michele sposava Angela!». Era un pensie-
ro, questo, che le tornava sempre anche quando ce l’aveva 20
col figlio: solo che, allora, era un motivo di più per stimarlo
un buono a nulla. Tornava sempre e si colorava diversa-
mente secondo la disposizione del suo animo. Quando si
dimenticava del presente, e si lasciava andare a fantasticare,
pensava ad Angela. Com’era stata bene nei pochi mesi che 25
Angela aveva frequentato la sua casa! La bella compagnia
che le aveva fatto! L’aiuto che le dava in tutto! Era attenta,
svelta, operosa come un’ape. Ecco com’era Angela, nella
casa: come un’ape nell’alveare. Essere lì, a Monte Ulìa, con
Michele, e sapere che in casa c’era lei, Angela. Tornare e 30
trovare tutto in ordine, il cortile scopato, la pentola sul fuo-
co, il telaio coperto col panno di lino, e ricevere il saluto di
quella voce simpatica e allegra. E invece Angela non la salu-
tava neppure, ora, quando la incontrava a faccia a faccia per

12. pane:] pane; D D1 D2 pane: B     19. pensiero, questo,] pensiero D


pensiero|,| /questo,/ D1     20. quando] |quando| (›nei momenti‹) D     24.
pensava ad] pensava sempre ad D D1 D2 pensava ad B     26. casa!] casa D
casa|!| D1     27-28. svelta, operosa] svelta e attiva D svelta|,| •operosa (›e
attiva‹) D1     
60 GIUSEPPE DESSÌ

la strada, come se non si fossero mai viste né conosciute.


Non era più la ragazza di prima. Aveva sposato un vedovo
con tre figli, s’era fatta più bianca e grassa, perché essendo
il marito falegname, non andava più in campagna; e forse
5 non gliene importava niente che Michele non l’avesse spo-
sata. Eppure aveva tanto desiderio di fermarla, di chiederle
dei figli. Non aveva mai avuto nulla, contro di lei, e non
aveva mai voluto credere a ciò che la gente maligna ave-
va detto. Per quanto era dipeso da lei, non aveva mai fatto
10 nulla per distogliere Michele. Lei aveva sempre pensato che
Michele avrebbe fatto la sua fortuna con una moglie come
Angela. Sarebbero nati dei figli, e Michele avrebbe lavorato
per loro. Sarebbe stato com’era Giuseppe da giovane, Mi-
chele, quando anche loro speravano di avere molti figli che
15 li aiutassero nella vecchiaia. Perché, a che cosa serve essere
un buon lavoratore, come Michele, se non ci sono figli? per
chi si lavora? È così che passa la voglia di far bene. Guarda-
va ogni tanto il figlio chino davanti a lei sul solco, e capiva
ora perché amava quel campo solitario, e voleva starsene
20 sempre lontano dalla gente. E sentì pietà per lui. Era come
un vedovo, come un vecchio che non dovesse aspettarsi più
nulla dalla vita. Tale e quale come lei.
Michele amava quel campo. Amava la strada che portava
a Monte Ulìa, il capanno a ridosso della quercia, gli olivastri
25 che crescevano qua e là in mezzo ai lentischi e ai cisti, il
monte boscoso, che pure non guardava mai perché gli dava
tristezza con le sue cupe ombre e le sue rocce a picco. Quel
campo era suo, ne conosceva ogni zolla, ogni sasso. Più suo
di tutta l’altra terra che il padre gli aveva lasciato; e non
30 sapeva egli stesso perché. Amava l’ombra del monte che, a
sera, s’allungava fino alla pianura, fino ai grani verdeggianti
in lontananza.
Mentre il grano cresceva, lì sotto i suoi occhi, che quasi
gli pareva di vederlo venir su e srotolare le foglie tenere dei

11-12. una moglie come Angela] •una (›quella‹) moglie •come Angela (›la-
boriosa‹) D     19. amava] amasse (← amava) D amava (← amasse) D1   ◆  
voleva] volesse D voleva (← volesse) D1     22. vita. Tale] vita. Tale (← vita,
tale) D     28. suo] sua D suo (← sua) D1     29.il] suo D •il (›suo‹) D1  ◆   la-
sciato;] lasciato, D D1 D2 lasciato; B
Michele Boschino 61

cimoli, egli andava maturando nella sua mente un progetto:


mettere a mandorli quel campo, come voleva fare suo pa-
dre. E sapeva quante piante ci avrebbe messo. In due anni le
piantine sarebbero cresciute e lui le avrebbe innestate. Mi-
surava il suo lavoro nel tempo. Sapeva le diverse qualità che 5
avrebbe innestato sulle mandorle amare. Avrebbe innesta-
to mandorle di Medàdos, che hanno le foglie larghe come
quelle del pesco e il mallo verde, quelle di Sant’Àlvara, che
danno un frutto più piccolo, di forma allungata, dal mallo
violaceo e consistente, le forestiere, dal frutto piccolo e ton- 10
do che si schiaccia tra le dita. Ci pensava tanto che quando
il grano cominciò a mettere le spighe, il mandorleto era già
cresciuto nella sua mente.
In questi pensieri ritrovava pian piano l’amore del lavoro,
disinteressato, senza alcun fine. Per chi lo piantava, il man- 15
dorleto? Questo non se lo chiedeva neppure. Lo piantava
perché amava quel campo, quel luogo nel quale ritrovava,
giorno per giorno, la sua pace.

20
62 GIUSEPPE DESSÌ

VIII

5 Un giorno, dopo il raccolto, andò da lui lo zio Benedetto.


Michele stava dando la profenda ai buoi nella stalla. Rispo-
se al saluto del vecchio senza mostrare alcuna meraviglia, e
lo invitò a entrare in casa. Ma Benedetto disse che preferiva
star lì, e si sedette accanto alle mangiatoie, dopo aver dato
10 un’occhiata intorno come per riconoscere quel luogo, nel
quale non metteva piede da tanti anni. Non s’erano mai in-
contrati, dopo la morte di Giuseppe e di Giovanni, e la di-
sgrazia che li aveva colpiti quasi contemporaneamente ren-
deva superflua ogni spiegazione di quella visita inaspettata.
15 Dapprima il vecchio parlò del raccolto, scarso, quell’an-
no, a causa delle piogge che avevano allagato i seminati.
Disse che si vedeva che la fortuna aiutava Michele come
aveva sempre aiutato Giuseppe. Chi mai gli aveva suggerito
l’idea d’andare a seminare il grano in quel terreno di colli-
20 na? A nessuno sarebbe venuto in mente. Michele avrebbe
voluto rispondergli ch’era andato a Monte Ulìa per non im-
battersi mai nella sua brutta faccia né in quella dei suoi figli;
ma invece continuò a tacere aspettando che Benedetto arri-
vasse al sodo; perché certo era venuto da lui con uno scopo
25 preciso, e per quanto, con quella barba grigiastra che s’era
lasciato crescere dopo la morte di Giovanni, sembrasse an-
che più vecchio, Michele sapeva che non c’era da fidarsene.
«Scommetto ch’era la prima volta che lo seminavi, quel
campo».
30 Michele disse che il campo di Monte Ulìa era già stato
seminato un’altra volta, da Giuseppe, e anche quell’anno
era piovuto tanto che le terre della pianura erano rimaste
allagate per tutta la primavera.
Il vecchio scosse la testa con un mezzo sorriso nella bar-
35 ba.

6. buoi] buoi, D D1 D2 buoi B     21-22. imbattersi] incontrare D •imbat-


tersi (›incontrare‹) D1  ◆  nella] la D nella (← la) D1  ◆  in quella] quella D
||in|| quella D1     34. testa con] testa ›[—]‹ con D     
Michele Boschino 63

«Avete sempre avuto una fortuna da porci, voialtri!»


Anche Michele si trovò a sorridere compiaciuto, come
se fosse davvero merito suo aver scelto la terra di Monte
Ulìa per la semina proprio quell’anno. Ma si riprese subito.
S’alzò e aggiunse una manciata di fave peste in ogni truo- 5
golo. Intanto guardava il vecchio che continuava a scuoter
la testa per suo conto. Ora che la barba gli nascondeva il
mento e la bocca, la sua somiglianza con Giuseppe risaltava
vieppiù nella parte superiore del viso. S’era alzato la berret-
ta sulla fronte e sembrava assorto in pensieri che certo non 10
avevano se non una relazione lontana con la pioggia e col
raccolto del grano.
«Tutti e due, io e te, siamo stati toccati dalla mano di
Dio» disse quando Michele tornò a sedersi.
“Ora mi parla di suo figlio Giovanni” pensò Michele. E 15
non disse nulla, deciso a non aprir bocca fino a che non
avesse scoperto che intenzioni aveva. Il vecchio era venuto
per far la pace con lui, ma la pace era una cosa secondaria:
certo mirava ad altro.
«A me mi hanno ammazzato il figlio. Era uscito di casa 20
contento, e non è più tornato».
Michele non disse nulla neanche questa volta, e sostenne
lo sguardo del vecchio.
«Perché è successo questo? Di notte, quando tutti gli altri
dormono, io non chiudo occhio. Perché è successo? Chi è 25
stato? Sua madre almeno piange. Io non riesco neppure a
piangere, sempre con quel pensiero fisso. Vorrei sapere chi
è stato. E non lo vorrei sapere per appostarmi dietro una
siepe e pagare il debito con le mie stesse mani. Farei anche
questo, perché la mano non mi trema; ma non è questa la 30
cosa che m’importa di più. Se sapessi chi è stato sarei più
tranquillo, non avrei nessuna fretta, e riuscirei anche a dor-

5-6. in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1     16. a non aprir
bocca] a lasciarlo continuare per suo conto D •a non aprir bocca (›a la-
sciarlo continuare per suo conto‹) D1     26. neppure] neanche D •neppure
(›neanche‹) D1     28. lo vorrei sapere] vorrei saperlo D lo vorrei sapere
(← vorrei saperlo) D1     31. Se sapessi chi è stato] Se lo sapessi, D Se ›lo‹
sapessi /chi è stato/, D1D2 Se sapessi, chi è stato B ≠ M2     
64 GIUSEPPE DESSÌ

mire. Poi arriverebbe anche il momento giusto, e non me lo


lascerei scappare».
Michele continuava a tacere, pur sentendo che il suo
silenzio, se il vecchio aveva qualche sospetto e faceva as-
5 segnamento sul suo aiuto, non era meno compromettente
delle parole.
«Ma non è questo che volevo dirti» disse Benedetto.
«Queste son cose che interessano solo me. Basta! Volevo
dirti che per tanto tempo, sempre con quel pensiero che
10 non mi lascia, non mi sono neppure accorto della morte di
Giuseppe. Lo sapevo, che era morto, ma non ci facevo caso.
Avevo un pensiero solo, e non pensavo ad altro, mai. Una
notte, faccio un sogno. Mi vedo nella strada di Nadòria, e
davanti a me c’è uno con una bisaccia. Mi avvicino e guar-
15 do: la bisaccia era piena di carciofi. Allora quello si volta,
ed era Giuseppe. “Ah”, dice “sei tu. Ti sei dimenticato di
me. Io lavoro per tutti, ma a voi di me non ve ne importa
nulla”. Allora mi ha dato la bisaccia, che sembrava piena di
sassi, e le spine dei carciofi mi pungevano la schiena. Ave-
20 va in mano il gambo di un carciofo e lo stava pulendo col
coltello, e ogni tanto se ne metteva un pezzetto in bocca e
mi guardava. “Dammene anche a me” dico. “No”, risponde
lui “a te non te ne do”. Da quella notte ci ho sempre anche
quest’altro pensiero fisso nella testa, che lui è morto inquie-
25 to con me. Potevamo far la pace, quando ero ancora a tem-
po; e invece no. Se io venivo da lui, come ora sono venuto
da te, non mi rimandava indietro. Non mi chiudeva la por-
ta in faccia, se venivo da lui. Ma era tanto tempo che non
ci parlavamo. E sai come succede: tra fratelli queste cose si
30 rimandano sempre. Sembra che ci sia sempre tempo. Tra
fratelli tutto si può accomodare, basta che uno voglia, se è
in buona fede. Ma si rimanda da un giorno all’altro, e alla

1. arriverebbe anche] arriverebbe D arriverebbe /anche/ D1     5-6. non


era…parole] era più pericoloso di qualsiasi parola D •non era meno com-
promettente delle parole (›era più pericoloso di qualsiasi parola‹) D1     18.
sembrava] |sembrava| (›era‹) D     25. Potevamo] Potevo D Potevamo (←
Potevo) D1     27. chiudeva] avrebbe chiuso D chiudeva (›avrebbe chiuso‹)
D1     28. venivo] fossi venuto D venivo (›fossi venuto‹) D1     31. se è] e sia
D •se è (›e sia‹) D1     
Michele Boschino 65

morte non ci si pensa, neanche quando siamo vecchi. Ora,


stammi a sentire, Michele: quello che si può fare tra fratelli
non si può far più tra cugini; ed è così che si tramandano gli
odi di generazione in generazione, che non si sa più nem-
meno come si è cominciato. Dopo quel sogno ho sempre 5
pensato a questo: queste che ci hanno colpito sono disgra-
zie grandi. Giovanni lo sai come è morto. E sai anche quello
che dice la gente. Io, che lui avesse a che fare con la banda
d’Angelo Malìga, non ci credo. Gli altri però lo dicono, e ci
guardano tutti con sospetto, ora, me e i miei figli. Giusep- 10
pe è morto senza che ci siamo detti una parola buona per
metter fine a questo rancore di fratelli; e i nostri figli, tu, e
Pasquale, e Pietrino, e i figli di Salvatore vi porterete dietro
questa eredità. E sarà un peso anche più grande di quello
che abbiamo portato noi, e non ve lo potrete togliere dalle 15
spalle, voialtri. Voi siete giovani, e il vostro odio sarà giova-
ne come voi, forte come voi. Noi lo abbiamo visto nascere
e crescere, voi no; e non lo potrete ammansire. Allora ho
pensato che c’eri tu, e che forse tra me e te si poteva ancora
parlare. Tu somigli a Giuseppe, quand’era giovane, e abita- 20
vamo tutti nella nostra casa. Allora ho detto: vado da lui a
sentire cosa ne dice. E sono venuto».
Il vecchio aprì le braccia, come a dire: sarà quel che sarà.
E aspettò.
Le sue parole sembravano sincere, e se anche non erano 25
sincere fino in fondo, il ragionamento era giusto. Miche-
le si sentiva rassicurato dal fatto che suo zio credeva che
Giovanni non facesse parte della banda. Ma lo credeva ve-
ramente? O non voleva far la pace proprio col fine di appro-
fondire un possibile sospetto? 30

1. siamo] si è D •siamo (›si è‹) D1     2. si può fare] è possibile D •si può fare
(›è possibile‹) D1     3. si può far più] non è più possibile D si può far più
(›non è più possibile‹) D1     8. Io] Ma io D Io (← Ma io) D1     9. Malìga,]
Malìga D D1 D2 B ≠ M2     10. sospetto, ora, me] sospetto, me D sospetto,
/ora,/ me D1     11. è morto] muore D D1 D2 ||è morto|| (›muore‹) B     13-
14. porterete…eredità.] porterete questa brutta eredità. D porterete /die-
tro/ questa ›brutta‹ eredità D1     26-27. Michele] E Michele D ›E‹ Michele
D1     27. zio credeva] zio ›non‹ credeva D     
66 GIUSEPPE DESSÌ

«Non mi dici niente?» chiese dopo un poco il vecchio.


«Vedete!» disse Michele lasciando cadere un po’ di fave
peste sulla lingua di uno dei buoi, che protendeva verso di
lui il muso umido. «Vedete! quello che dite è giusto, zio
5 Benedetto, ma fa un effetto curioso a sentirlo dire da voi.
Mi sembra di sentire parlare un altro, non voi».
Il vecchio lo guardò un poco, poi abbassò la testa.
«Un anno fa voi siete andato dall’avvocato sempre per
quel vecchio affare dell’eredità» continuò Michele. «Dopo
10 tanti anni, dopo tutto quello ch’era successo, alla vostra età,
voi siete tornato ancora su quel vecchio affare. Ora parlate
di pace».
«Sapevo che mi avresti risposto così» disse il vecchio.
«Però, se credi che ci sia andato io dall’avvocato, ti sbagli.
15 Mi dispiace di dover incolpare uno che è già terra. Giovan-
ni ci andò».
«Giovanni?»
Michele rivide suo cugino. Erano giunti alla capanna
di Pedonca, e uno dopo l’altro li avevano visti uscire dalla
20 stretta apertura che faceva da porta, curvi. Come si drizza-
vano, la luna illuminava in pieno il loro viso. Per ultimo era
uscito Giovanni; e vedendo Michele accanto a Cosimo ave-
va detto con aria beffarda: «Ah! ci sei anche tu. Ho piacere
che ci sei anche tu!».
25 «Sì, Giovanni. Era lui che voleva vederci chiaro, in quella
faccenda. Dopo tutto quello che c’era stato, tra me e mio
fratello, lui voleva farsi spiegare da uno che sapesse la legge
come stavano le cose».
«Anche noi, io e il povero babbo, ci siamo andati, in città,

1. niente?] niente D D1 D2 niente? B     2. Vedete!] Vedete D D1 D2 B


≠ M2     6. sentire] sentir D D1 D2 sentire B     9. dell’eredità»…«Dopo]
dell’eredità. Dopo D dell’eredità» /continuò Michele/. «Dopo D1     16-
18. andò»…Michele] andò».↔| Michele D andò».↔| |«Giovanni?»|↔|
Michele D1     19. li avevano visti uscire] erano usciti tutti D erano usci-
ti ›•uno dopo l’altro‹ (›tutti‹) D1 erano usciti D2 ||li avevano visti uscire||
(›erano usciti‹) B     20. porta, curvi] porta. D porta|,| /curvi./ D1     20-
21. si drizzavano] s’alzavano D •si drizzavano (›s’alzavano‹) D1     24-25.
tu!». «Sì,] tu!».»↔|“Giovanni?”↔| «Sì, D tu!».↔| ›“Giovanni?”‹↔| «Sì,
D1     29. ci siamo andati,] siamo andati D /ci/ siamo andati|,| D1     
Michele Boschino 67

dopo di voi, come abbiamo saputo la cosa. Perché io non so


chi sia stato! qualcuno di voi andava dicendo che mio padre
vi doveva non so quante centinaia di scudi, a voi e a vostro
fratello Salvatore, tra capitale e interessi. Ci sono ragazzi
e donne, in casa vostra, zio Benedetto, sentono parlare di 5
queste cose e le riportano fuori».
«Chi sa quante sciocchezze hanno riferito» disse il vec-
chio «e quante aggiunte ci hanno fatto poi gli altri che le
hanno riportate a voi».
«Beh! poco importa. Anche noi siamo andati dall’avvo- 10
cato. Noi sapevamo già come stavano le cose, ma, non si
sa mai, poteva esserci qualche sbaglio, nella legge, qualche
sbaglio che potesse darvi ragione, un buco dove voi, coi vo-
stri intrighi potevate infilarvi. Eh già! Era ammalato, mio
padre, quando ha dovuto fare quel viaggio». 15
L’antico rancore ora tornava a ribollirgli dentro, il ranco-
re di sua madre che non perdonava a nessuno.
«State a sentire, zio Benedetto,» disse gettando con vio-
lenza le fave che gli erano rimaste in mano nella mangiatoia
dell’altro bue, che si ritrasse soffiando «state a sentire: vo- 20
ialtri non siete andati dall’avvocato per sapere se la ragione
era dalla vostra parte, perché l’avete sempre saputo di avere
torto e siete sempre stati in malafede, ci siete andati per ve-
dere se vi riusciva…»
Non disse il resto, e anche queste parole le pronunciò con 25
una calma che contrastava col loro senso. S’era subito pen-
tito del gesto violento col quale aveva gettato le fave nella
mangiatoia, contrario al costume suo e di suo padre d’esse-
re sempre pazienti con le bestie; e questo gli ricordò, di suo
padre, l’umana mitezza. 30

13-14. un buco…infilarvi.] un buco dove voi, coi vostri intrighi, potevate


infilarvi. D D2 un buco dove voi, /potevate entrare come ‹pesci›/ coi vostri
intrighi, potevate infilarvi. D1 un buco dove voi, coi vostri intrighi pote-
vate infilarvi. B     18. Benedetto,] Benedetto D D1 D2 B ≠ M2  ◆   gettando]
disse|,| /e gettò/ gettando D1     19. che] |che| (›nella‹) D     20. bue, che
si ritrasse] bue che si scostò D bue|,| che si •ritrasse (›scostò‹) D1     22.
l’avete] avete D D1 D2 l’avete (← avete) B     26. senso] senso ›[—]‹ D     29.
pazienti] |pazienti| (›miti‹) D     
68 GIUSEPPE DESSÌ

«T’ho detto che io non c’entro» disse il vecchio, calmo


anche lui. «Io non ci sono andato dall’avvocato, e anzi glielo
dicevo sempre a Giovanni di non pensarci più».
Tacquero tutti e due per un poco; e si sentiva solo il ru-
5 more che facevano i buoi masticando la paglia e le fave col
muso nei truogoli. Poi il vecchio disse:
«Dammi retta, Michele. Togliamo di mezzo tutti i cattivi
pensieri che sono tra le nostre famiglie. E non chiediamoci
chi di noi ha ragione: questo lo sa il Signore».
10 Michele lo guardò in viso, e stava per dire: “Lo so anch’io,
e anche voi, chi di noi ha ragione”, ma il vecchio alzò le
mani.
«Lo sa il Signore» ripeté.
Una volta Giuseppe aveva detto a Michele: «Stai sicuro
15 nel tuo diritto come se tu fossi in chiesa». Ora Michele non
poteva dar torto a suo padre fingendo d’ignorare chi aveva
ragione e chi aveva torto: e fece un cenno di diniego.
«Pensaci bene, Michele. Tutti possiamo avere sbagliato.
Lo so quello che pensi. Io non voglio dare la colpa a tuo
20 padre. Io, quando me la sono presa con tuo padre, credevo
di avere ragione io. Che possa cadere fulminato, se non è
vero! Poi sono successe tante cose, si sono dette tante paro-
le pazze, e tra fratelli si fa presto a mettersi le mani addosso.
Ci eravamo sempre picchiati, tra noi, fin da ragazzi. Sem-
25 pre! Tra fratelli, è facile l’ira e il perdono. Credi che quando
io e Salvatore abbiamo picchiato tuo padre, a Spinàlva, lo
abbiamo fatto con altro animo? E quando mi ha picchiato
lui? Il fatto è che ci si sono messi in mezzo gli estranei, e in
queste cose anche i figli sono estranei; e poi ci si è messa la
30 Giustizia. E le cose sono andate come sono andate. Quando
ci si mette di mezzo la Giustizia, allora non si perdona più.
Anche i fratelli non sono più fratelli. Non ci si guarda più
in faccia. È così».

1-2. vecchio…lui.] vecchio D vecchio|,| /calmo anche lui./ D1     17. torto:]


torto; D D1 D2 torto: B     22. successe] accadute D •successe (›accadute‹)
D1     24-25. ragazzi. Sempre!] ragazzi, sempre. D ragazzi, Sempre! (←
sempre.) D1 D2 M2 ragazzi. (← ragazzi,) Sempre! B     26. padre, a Spinàl-
va,] padre a Spinàlva D padre|,| a Spinàlva|,| D1     27. altro animo?] animo
diverso? D •altro animo? (›animo diverso?‹) D1     29. e poi ci si è messa] e
poi D e poi /ci si è messa/ D1     
Michele Boschino 69

Sorrise tra sé, poi alzò gli occhi, e il suo sorriso, da inte-
riore e segreto che era, s’appuntì maliziosamente. Si cavò la
berretta, chinò la testa sulle ginocchia e mostrò col dito, tra
i capelli grigi, la cicatrice lunga e profonda. Poi si coprì di
nuovo, come uno che nasconda in fretta qualcosa di prezio- 5
so. E continuava a sorridere maliziosamente.
«Certo il danno che ha avuto Giuseppe è stato più grande
di quello che ne ho avuto io. Tu lo sai meglio di me. Ma a
che cosa serve parlare di questo?»
L’aria maliziosa era scomparsa dal suo viso. Ora lo guar- 10
dava col viso serio. E Michele pensava che ciò che il vecchio
diceva era giusto. Ci fosse o no un secondo fine, era giusto.
Era lui che doveva decidere, adesso. Quella lunga contesa
che aveva angustiato suo padre per tutta la vita, poteva ri-
solverla lui. Chi sa! forse anche Giuseppe avrebbe preferito 15
morire in pace coi fratelli, lasciare la pace tra quelli che ri-
manevano. Si tira avanti, si trascina un rancore per anni ed
anni, ma si pensa, in fondo al cuore, che è meglio finirla, e
poco importa se con una rivincita o col perdono. Quante
volte si vorrebbe la pace! Anche chi odia, pensa con rim- 20
pianto, qualche volta: “Ah! se non avessi detto quella paro-
la!, se non avessi fatto la tal cosa!, se tutto questo non fosse
successo!”. E in certi momenti non sappiamo neanche più
che cosa ci separa veramente dal fratello offeso. E ancora
meno lo sanno i nostri figli, se tramandiamo a loro il nostro 25
odio. Pensò anche che suo padre non aveva mai odiato i
fratelli. «Mi fa pena vederli così arrabbiati» diceva. Perché
l’odio è come un malaugurio che non ci lascia mai. E allora?
Far la pace con Benedetto e Salvatore?… Maddalena avreb-

2. era…maliziosamente] era si fece furbo e |malizioso| (›[—]‹) D era|,|



s’appuntì maliziosamente (›era si fece furbo e malizioso‹) D1     7. che ha
avuto] che ne ha avuto D D1 D2 B ≠ M2     10. era scomparsa] scomparve
D •era scomparsa (›scomparve‹) D1     10-11. viso…serio.] viso, ›si rifece
serio. Lo pensava‹ e guardava Michele con lo stesso viso serio col quale
Michele lo guardava D viso. (← viso,) •Ora (›e‹) guardava Michele col (←
con) ›lo stesso‹ viso serio ›col quale Michele lo guardava‹. D1 D2 viso. Ora
lo guardava col viso serio. B     13. Era] Ora era D ›Ora‹ Era (← era) D1   ◆  
decidere, adesso.] decidere. D decidere, (← decidere.) /adesso./D1     21-
22. parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2     22. cosa!, se] cosa!
se D D1 D2 B ≠ M2     
70 GIUSEPPE DESSÌ

be detto ch’era un’offesa alla memoria del morto. Michele


sapeva tutto ciò che Maddalena avrebbe detto.
«Se noi parliamo sempre serenamente come oggi, tutto è
chiaro, tra noi» disse.
5 Forse non tutto ciò che aveva detto il vecchio era chiaro,
forse il vecchio non era del tutto sincero, e aveva un fine
nascosto; ma per conto suo Michele sapeva che suo padre,
se fosse stato in vita, avrebbe fatto la pace, come lui faceva.
Di questo era sicuro.
10 Andò a prendere un fiasco di vino, e a Maddalena che lo
fermò sulla porta con un cenno interrogativo e imperioso,
rispose con un altro cenno che voleva dire: “Vi spiegherò
poi!”.
«Dio te ne guardi!» disse a voce alta Maddalena, perché
15 anche Benedetto sentisse.
Senza curarsi di lei, bevettero solennemente augurandosi
salute e fortuna; poi parlarono dei buoi che Michele aveva
rivenduto alla fiera, del raccolto, delle terre che aveva affit-
tato. Michele sapeva che il vecchio avrebbe finito per chie-
20 dergli in affitto qualche ettaro di terra, e lui, benché avesse
deciso di non affittare più, quell’anno, gliel’avrebbe data, e
a prezzo di favore, per giunta. Si ricordò che suo padre gli
aveva detto di non cedere mai d’un palmo, con Salvatore e
Benedetto. Lui non cedeva, ma la pace esigeva un suggello.

1. alla] •alla (›per la‹) D     7. sapeva che] sapeva ›di far bene‹ che D     8. in
vita] presente D D1 D2 ||in vita|| (›presente‹) B  ◆  avrebbe] |avrebbe| (›sa-
rebbe‹) D     14. a voce alta Maddalena,] Maddalena a voce alta, D 2Mad-
dalena 1a voce alta, /che aveva capito tutto,/ D1 D2 a voce alta Maddalena,
›che aveva capito tutto,‹ B     16. Senza…bevettero] Bevettero D /Senza
curarsi di lei,/ bevettero (← Bevettero) D1     18. che aveva] che Michele
aveva D che ›Michele‹ aveva D1     19. Michele sapeva] Sapeva D /Michele/
sapeva (← Sapeva) D1     21. data,] data, ›ma il vecchio non chiese nulla‹
D     24. esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2
Michele Boschino 71

IX

Quando Michele parlò per la prima volta a Maddalena 5


della sua intenzione di prender moglie, due anni erano tra-
scorsi dalla morte di Giuseppe. Dopo l’interrogatorio, Mi-
chele non aveva più avuto noie, e così anche Cosimo Aneris,
che incontrava ogni tanto sulla strada di Spinàlva. Una vol-
ta fecero anzi un pezzo di strada assieme, senza mai parlare 10
però dell’avventura di quella notte ormai lontana, benché,
tutti e due, tacendo, non pensassero ad altro. Del resto, alla
grassazione di Antonio Màsala e all’assassinio di Giovanni
nessuno più ci pensava, in paese. I morti marcivano sot-
terra e sopra ci cresceva l’erba. Domenico Vacca lavorava 15
nella sua bottega di sellaio, Bore Lisca badava alle sue capre,
Pedonca ai maiali. I due forestieri che lo avevano tempesta-
to di pugni e legato, Michele li aveva riconosciuti alla fiera
di Santa Croce: erano di F., servo e padrone ma aveva fatto
finta di nulla. A raccontare quei fatti ora ci sarebbe stato da 20
farsi ridere dietro. Chi ci avrebbe creduto? Anche Michele
aveva ripreso la vita di prima. Aveva seminato le terre di
Spinàlva, tranne un piccolo tratto ceduto contro un canone
minimo allo zio Benedetto, aveva dato l’orto a mezzadria a
un bravo ortolano di Orriga, s’occupava di tutto con molta 25
diligenza, ma soprattutto amava starsene a Monte Ulìa a
curare i suoi mandorli. Là c’era sempre qualcosa da fare,
come in un giardino. Anche dopo terminata l’aratura, e
sparso il letame sotto gli alberelli, andava attorno strappan-
do ciuffi d’erba, raccogliendo sassi che gettava nelle callaie. 30

7. l’interrogatorio,] l’interrogatorio D D1 D2 l’interrogatorio|,| B     11.


notte ormai lontana,] notte, D notte /ormai lontana/, D1     12. resto,]
resto D D1 D2 resto|,| B  ◆  alla] la D alla (← la)     13. all’] l’ D all’ (← l’)
D1     14. nessuno…paese.] sembravano cose dimenticate. D •nessuno più
ci pensava, in paese. (›sembravano cose dimenticate.‹) D1     16. bottega di
sellaio,] bottega, D bottega /di sellaio/, D1     18. aveva riconosciuti] rico-
nobbe D •aveva riconosciuti (›riconobbe‹) D1     19-20. padrone…nulla.
A] padrone. Ma a D padrone /ma aveva fatto finta di nulla/. ›Ma‹ A (← a)
D1     30. callaie] callaie, ›persino‹ D     
72 GIUSEPPE DESSÌ

Non poteva soffrire neppure i bachi e i ragnateli tra gli esili


rami, dove era apparsa, quell’anno, la prima fioritura lieve
ed effimera. Come il pastore conosce una per una le sue
pecore da segni che lui solo è in grado di distinguere, così
5 Michele conosceva i suoi mandorli. Tra i filari seminava
fave ceci fagioli e altri legumi che cedono alla terra sostanze
giovevoli al mandorlo e lo fanno prosperare, rinfrescava la
terra con sovesci, e in autunno bruciava l’erbe secche e ne
spargeva la cenere al pedale di ogni piantina, dove la terra
10 era pulita e sottile come quella di un’aiuola. Se la terra di
Monte Ulìa avesse avuto un odore particolare, quello sa-
rebbe stato l’odore di Michele. Maddalena però era come se
glielo sentisse nei panni, quell’odore, e non gli perdonava la
sua predilezione, benché non avesse motivi seri di dolersi di
15 lui. Coi parenti diceva che Michele, dopo quei mesi di tri-
stezza seguiti alla morte di Giuseppe, cominciava a rimetter
le foglie, poveretto; ma col figlio invece si trovava sempre a
contrastare per ogni inezia.
Quando il giovane le diede quella notizia inaspettata, e le
20 disse che s’era già messo d’accordo col muratore per fabbri-
care un’altra stanza accanto a quella dove era morto Giu-
seppe, Maddalena, che pure a ogni occasione gli rinfacciava
di non averle ancora portato una nuora, gli rispose che non
era il momento di mettersi a fabbricare, e che in ogni modo,
25 prima di prendere impegni col muratore, avrebbe dovuto
chiedere il permesso a lei. Michele disse che, se lei non per-
metteva che si fabbricasse la stanza era sempre a tempo a
rimandare; e che non gliene aveva parlato prima perché già

2. rami, dove] rami tra i quali D rami|,| •dove (›tra i quali‹) D1     3. cono-
sce] |conosce| (›è in grado‹) D     4. segni che] segni impercettibili che D
segni ›impercettibili‹ che D1     5. i suoi] |i suoi| (›le sue‹) D     6. fagioli]
fagiuoli D D1 D2 fagioli (← fagiuoli) B     7. giovevoli] che giovano D •gio-
vevoli (›che giovano‹) D1     8-9. e ne…cenere] e spargeva la cenere ›[—]‹
D e /ne/ spargeva la cenere D1     11. un odore particolare] un’odore spe-
ciale D D1 D2 un’odore ||particolare|| (›speciale‹) B ≠ M2     16. Giuseppe,]
Giuseppe D D1 D2 B ≠ M2     20. s’era già messo d’accordo] aveva già preso
accordi D D1 D2 ||s’era già messo d’accordo ›[—]‹|| (›aveva già preso accor-
di‹) B     22. rinfacciava] •rinfacciava (›rimproverava‹) D     23. che non]
che quello non D D1 D2 che ›quello‹ non B     26. che,] che D D1 D2 che|,|
B     28. gliene] gliele D D1 D2 gliene (← gliele) B     
Michele Boschino 73

un’altra volta aveva avuto il permesso da suo padre e da lei


stessa, e aveva anche cominciato i lavori. Infatti la stanza
dove era morto Giuseppe era stata fabbricata allora.
«Ora sei tu il padrone, e puoi fare quello che vuoi» con-
cluse dispettosamente Maddalena. 5
Per quel giorno tutto finì lì, e Michele andò via senza dare
altre spiegazioni. Ma la donna, rimasta sola, si pentì delle
parole amare che aveva detto. Non aveva neppure chiesto
al figlio chi fosse la donna; perché certamente, se Michele
aveva deciso di fabbricare, doveva aver già messo gli occhi 10
addosso a qualche ragazza. Conosceva Michele, e sapeva
che per un pezzo non sarebbe più tornato sull’argomento.
Forse lei lo avrebbe saputo prima dagli estranei. E si mise
a pensare chi poteva essere, passando mentalmente in ras-
segna tutte le ragazze del paese; ma più ci pensava più s’ac- 15
corgeva che nessuna aveva le doti di quell’altra che era stata
sul punto di diventare sua nuora. Non pensava alla donna
grassa e bianca che Angela era diventata, ma alla bruna e
forte ragazza di un tempo, benché di lei, com’era allora, po-
tesse ricordarsi distintamente solo la voce. Ciò che di An- 20
gela le aveva detto suo marito, le chiacchiere corse allora sul
suo conto e per le quali lei stessa aveva finito per chiuderle
la porta in faccia, non se le ricordava più. Se Angela se n’era
andata, la colpa era di Giuseppe e di Michele. E ora chi sa
chi le portava in casa. Chi poteva esser mai la donna a cui 25
Michele pensava, se non avvicinava mai nessuno in paese,
e di donne non vedeva altro che le contadine che prendeva
a giornata per spargere il letame a Monte Ulìa? E su chi po-

1-2. da lei stessa,] da lei D D1 D2 da lei ||stessa,|| B     2. cominciato i lavo-


ri.] cominciato a fabbricare. D cominciato •i lavori. (›a fabbricare‹) D1     4.
padrone, e puoi] padre, e, e puoi D padrone, (← padre, e) e puoi D1     5.
concluse dispettosamente] disse D •concluse dispettosamente (›disse‹)
D1     6. lì, e] lì, ›[—]‹ e D     13. E] ›[—]‹ E D     14. poteva] potesse D D1
D2 poteva (← potesse) B     15. ma] ›ma nessuna le piaceva‹ ma D     23.
non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore
avevano?/ D1     25. la donna] |la donna| (›questa donna‹) D     
74 GIUSEPPE DESSÌ

teva metter gli occhi, lui, se non era qualche poveretta che
non aveva da portare in dote nemmeno un paio di camicie?
Covò in silenzio questi pensieri per alcuni giorni, poi,
all’improvviso chiese a Michele:
5 «E lei, chi è?»
L’ostilità della madre faceva rinchiudere sempre Michele
nel suo riserbo abituale. Benché ogni volta si proponesse di
parlarle dei suoi nuovi progetti, finiva sempre per dirle le
cose quand’eran già belle e fatte; e questo perché la vecchia
10 cominciava subito a contraddirlo con un tono così aggres-
sivo che a lui passava la voglia di continuare. «A me chiedi
pareri?» diceva Maddalena. «E cosa vuoi che sappia io di
quel che ti passa nella testa?» Il silenzio di Michele finiva
per renderla allora più suscettibile. Anche quella volta la
15 semplice domanda: «E lei, chi è?» portava con sé l’amaro di
tante considerazioni poco benevole, di tante prevenzioni,
di tanta diffidenza. Quelle parole furono pronunziate con
un tono di voce così aspro e risentito che Michele non si
sentì di dire quel nome che a lui ispirava sentimenti tanto
20 diversi. Disse che non lo sapeva ancora nemmeno lui chi
era la donna, che non aveva ancora pensato a nessuna don-
na, che ciò che importava era di preparar tutto; poi sarebbe
venuto il momento di far la scelta. Maddalena pensò che
dopo tanti anni di solitudine non era possibile che Michele

1. gli occhi] gli occhi addosso D gli occhi ›addosso‹ D1  ◆  era] su D •era
(›su‹) D1     2. nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D
B     6. faceva rinchiudere] respingeva D •faceva rinchiudere (›respin-
geva‹) D1     7. riserbo abituale] selvaggio riserbo D ›selvaggio‹ riserbo
/abituale/ D1  ◆  ogni volta si proponesse] si proponesse sempre D /ogni
volta/ si proponesse ›sempre‹ D1     9. già belle e fatte] già fatte D già /bel-
le e/ fatte D1     11. passava la] passava ›[—]‹ la D     14. allora più] allora
anche più D D1 D2 allora ›anche‹ più B     15. chi è?] chi è D D1 D2 B ≠
M2     17-18. tanta…aspro] tante diffidenze, e fu pronunziata •con un tono
di voce /così/ aspro (›acon un tono di voce così [—] bcol solito‹) D tanta
diffidenza. (← tante diffidenze,) •Quelle parole furono (›e fu‹) pronunziate
(← pronunziata) con un tono di voce così aspro D1     19. dire] pronunciare
D •dire (›pronunciare‹) D1     19-20. che…diversi] a lui già caro D /che/
a lui •ispirava sentimenti tanto diversi (›già caro‹) D1     20. lui] lui, D D1
D2 lui B     21. donna, che non] donna. Non D donna, che non (← donna.
Non) D1     21-22. donna, che ciò] donna. Ciò D donna, che ciò (← donna.
Ciò) D1     
Michele Boschino 75

avesse deciso di sposarsi senza aver trovato una donna che


gli avesse fatto dimenticare l’amaro di quell’altra.
«Non ci hai neanche pensato?» chiese con voce mutata.
Michele scosse la testa, tutto assorto in se stesso.
Da quel momento Maddalena non pensò ad altro. I suoi 5
sospetti s’aggiravano sempre intorno alle ragazze che ave-
vano lavorato a giornata nel mandorleto. Le vedeva chine
davanti a lui, per farsi aiutare a mettersi sul capo la gerla
colma, drizzarsi sulle reni con uno sforzo che lei stessa co-
nosceva bene, equilibrare il peso, allontanarsi col busto erto 10
e le braccia incrociate sotto i seni. Sapeva che le donne, nel-
la fatica, sono impudiche anche senza volerlo, e che l’occhio
dell’uomo, pur senza volerlo, le segue, le cerca. Sapeva come
si stabilisca così, tra uomo e donna, nella libera solitudine
della campagna, un’intimità che non ha neppure bisogno di 15
parole per manifestarsi, un’intimità fisica anche più grande
di quella che nasce tra le pareti della casa. Le vedeva sedu-
te in cerchio davanti al capanno, quelle donne, nell’ora del
riposo o del pasto, immaginava i loro discorsi, gli scherzi, i
motti pungenti suscitati dal silenzio di Michele; le seguiva 20
fino a quando, al tramonto, andavano a infilarsi le gonne e a
rassettarsi i capelli e le vesti dietro la siepe, e poi s’avviavano
a piedi dietro il carro con la loro sporta infilata nel braccio,
fino a che Michele non ne prendeva su quante ce ne sta-
vano. E di nuovo immaginava i loro discorsi, le allusioni, 25
i doppi sensi; e i pensieri di Michele. Queste eran le sole
donne che il giovane avvicinava, e certamente una di queste
le avrebbe portato in casa. Che motivo c’era, altrimenti, di
tacere? Se fosse stata una ragazza come Angela, figlia di un
piccolo proprietario, una della sua stessa condizione, non ci 30

8. lui,] lui D D1 D2 lui, B  ◆  mettersi] mettersi ›la gerla‹ D     9. drizzar-


si] drizzarsi ›con un‹ D     10. erto] erto ›[—]‹ D     14. donna,] donna,
›un’intimità‹ D     15. un’intimità] un’intimità ›fisica‹ D     17. tra…casa]
costretta a vivere sotto lo stesso tetto. D •tra persone che vivono (›costretta
a vivere‹) sotto lo stesso tetto. D1 tra persone costrette (← costrette) a vivere
sotto lo stesso tetto. D2 ||tra le pareti della casa|| (›persone costrette a vivere
sotto lo stesso tetto‹). B     20. suscitati…Michele; le] eccitati dal riserbo di
Michele. Le D eccitati dal •silenzio (›riserbo‹) di Michele; le (← Michele.
Le) D1 D2 ||suscitati|| (›eccitati‹) dal silenzio di Michele; le B     30. non ci]
non ›c’era motivo‹ D     
76 GIUSEPPE DESSÌ

sarebbe stato motivo di far tanti misteri. Giuseppe non ave-


va voluto che sposasse Angela; e ora chi sa chi le portava in
casa! E per quanto cercasse di distogliersi da questi sospetti,
subito ci ritornava, suo malgrado. E trovava sempre nuovi
5 argomenti che li confermavano. Qualche volta, più che al-
tro per stanchezza, si lasciava andare alla speranza che vera-
mente Michele non avesse ancora fatto la sua scelta, e allora
pensava alle ragazze tra le quali il giovane avrebbe potuto
scegliere. Ce n’erano tante, a Sigalesa, di buone e brave ra-
10 gazze, né troppo ricche né troppo povere. Ora Maddalena
le considerava con una indulgenza insolita. Per suo conto,
gliel’avrebbe scelta non più tanto giovane, perché quando
un uomo ha passato la trentina, specie se non è ricco, biso-
gna che sposi una donna sui venticinque anni. C’erano, per
15 esempio, le figlie di Pasquale Marchesa, una di ventisette
e una di trent’anni. C’era la figlia di Bore Lisca, quella di
Pietro Memùna. Ma più ci pensava più crescevano, ai suoi
occhi, i pregi, le doti di quelle giovani, e le pareva che non si
sarebbero degnate di accettare una proposta di matrimonio
20 da parte di Michele. E ritornava ancora ai pensieri di prima.
«Chi sa cosa diranno, la gente» diceva quando Michele
rientrava per la cena. «Diranno che sei pazzo a fabbricarti
la casa prima d’esserti trovato la donna».
«E voi lasciate che dicano» rispondeva Michele.
25 Però i vicini, quando videro il muratore che impastava
la calcina in cortile e alzava le impalcature, cominciarono
davvero a incuriosirsi. Maddalena dava alla gente le stesse
spiegazioni che il figlio aveva dato a lei, lasciando credere
di saperne di più ma di non voler parlare, per il momento.
30 «Sai cosa dicono, in paese?» gli disse un giorno. «Dicono
che ti sei messo con una poco di buono».

1. tanti misteri] misteri con lei D /tanti/ misteri ›con lei‹ D1     5. confer-
mavano. Qualche] confermavano. ›Doveva essere una di quelle poverette
che vanno a lavorare a giornata dove la chiamano‹ Qualche D     6-7. che
veramente Michele] che Michele D che /veramente/ Michele D1     11. una
indulgenza] un’indulgenza D D1 D2 una indulgenza B     18. occhi, i pregi,
le doti] occhi, i pregi, le doti D occhi, /i pregi,/ le doti D1     27. dava] |dava|
(›rispondeva‹) D     29. voler] poter D D1 D2 ||voler|| (›poter‹) B     
Michele Boschino 77

In realtà Maddalena non aveva sentito dir nulla intorno


a suo figlio, da nessuno. Nessuno, in paese, parlava di lui,
tranne i vicini di casa. E mentre diceva quelle parole le tre-
mò il cuore, pensando quanto Michele avesse sofferto per
Angela, e alzò timidamente gli occhi su di lui per dirgli che 5
non era vero nulla. Ma Michele sembrava non aver neppure
sentito. Se ne stava a cavalcioni della sedia, con le braccia
incrociate sulla spalliera e il mento appoggiato al pugno, e
guardava la fiamma nel camino. Col viso un poco schiac-
ciato e gli occhi socchiusi somigliava a Giuseppe. La donna 10
non disse nulla.
La sera appresso, mentre stava mondando le lenticchie
per la cena sul davanzale della finestra che dava sul cortile,
guardando di tanto in tanto Michele che aiutava il mano-
vale a segare un trave, le venne in mente una ragazza che 15
abitava a Matta Romana, sulla strada di Monte Ulìa, sorella
o cognata – non sapeva bene – del cantoniere. Fino a quel
momento non ci aveva mai pensato. La Cantoniera era una
casona a due piani, dipinta di rosso dallo zoccolo alle fi-
nestre del piano superiore, di bianco dalla cornice sotto le 20
finestre al tetto, con quattro grandi pini sul davanti. Si ri-
cordò che passando di là, una mattina, con Michele, aveva

2-3. lui…diceva] lui. E dicendo D lui, (← lui.) /tranne i vicini di casa./



E mentre diceva (›E dicendo‹) D1     4-5. pensando…alzò] pensando a
quel che Michele aveva sofferto quando Giuseppe gli aveva riportato le
chiacchiere della gente intorno ad Angela. Spaventata di quel che aveva
detto alzò D pensando •quanto (›a quel che‹) Michele avesse (← aveva)
sofferto •per (›quando Giuseppe gli aveva riportato le chiacchiere della
gente intorno ad‹) Angela, (← Angela.) •e (›Spaventata di quel che ave-
va detto‹) alzò D1     6. nulla. Ma] nulla; ma D nulla. Ma (← nulla; ma)
D1     10. somigliava a Giuseppe.] somigliava ›ancora di più‹ a Giuseppe in
modo impressionante. D somigliava a Giuseppe ›in modo impressionan-
te‹. D1     12. La sera] ›[—]‹ La sera D     14. aiutava] stava aiutando D D1
D2 ||aiutava|| (›stava aiutando‹) B     16. abitava] abitava alla cantoniera di
D abitava a (← alla) ›cantoniera di‹ D1  ◆  sulla] |sulla| (›davanti‹) D     18.
Cantoniera] cantoniera D Cantoniera (← cantoniera) /›di Matta Romana‹/
D1     19. casona] grande casa D D1 D2 ||casona|| (›grande casa‹) B     20. di]
e di D D1 D2 ›e‹ di B     21-22. davanti…passando] davanti. Forse Michele
s’era fermato lì qualche volta a riposarsi. Passando D davanti. •Si ricordò
che (›Forse Michele s’era fermato lì qualche volta a riposarsi.‹) passando
(← Passando) D1     
78 GIUSEPPE DESSÌ

visto sulla porta la moglie del cantoniere, e accanto a lei


una donna più giovane. Tutte e due portavano il costume
di Mamusa, con la sottana a pieghe, la cintura alta sotto il
seno e un fazzoletto di seta gialla intorno al collo. Le pare-
5 va di ricordare il viso malarico di quelle donne, – o era il
colore del fazzoletto? – e un senso di lindore che emanava
dalle loro persone. Con sollievo pensò che la più giovane
delle due poteva essere quella che Michele aveva scelto: una
ragazza magra, piuttosto bruttina. Guardò il figlio. I gesti di
10 lui nel segare il trave, nel raccogliere da terra il pezzo sega-
to, nella cura con cui ungeva la sega, così giusti e misurati,
confermavano il pensiero che aveva fatto. Doveva essere
una brava ragazza, ordinata e laboriosa.
In questa convinzione si placò, e si mise ad aspettare
15 quietamente che fosse giunto, per Michele, il momento di
parlargliene.

2. donna] |donna| (›ragazza‹) D     3-4. il seno] |il seno| (›i seni‹) D     4.
intorno] attorno D D1 D2 B ≠ M2     5. donne, – o] donne. O D donne, – o
(← donne. O) D1     6. e un senso] E un senso D e (← E ) un •senso (›a senso
b
[—]‹) D1     7-8. la più…quella che] quella forse era la donna che D •la
più giovane delle due poteva essere quella (›quella forse era la donna‹) che
D1     8-9. scelto: una] scelto, quella D scelto. (← scelto,) •Era una (›quella‹)
D1 D2 scelto: (← scelto.) ›Era‹ una B     9. magra, piuttosto] magra e piutto-
sto D D2 magra|,| ›e‹ piuttosto D1  ◆  bruttina] brutta D D1 D2 B ≠ M     10.
trave] •trave (›tronco‹) D     12. il pensiero che aveva fatto] il suo pensiero.
D D1 D2 il pensiero ||che aveva fatto||. B
Michele Boschino 79

Fin da quando aveva seminato il grano a Monte Ulìa Mi- 5


chele s’era accorto di Severina.
Passando davanti al cortile della Cantoniera aveva sem-
pre l’impressione che qualcuno lo guardasse. Certo una
donna, perché allontanandosi, sentiva che riprendeva a la-
vare in un mastello. Se cercava di vederla tra le pale dei fi- 10
chidindia, la donna riprendeva subito a sbattere e a sfregare
i panni sull’asse, forse credendo che anch’egli la vedesse.
Alcune volte la sentì anche cantare: era una voce giovane, di
ragazza. Passarono mesi, prima che gli riuscisse di vederla:
ma neppure ci pensava, veramente, e non aveva nessuna 15
curiosità. La vide per la prima volta verso la fine dell’in-
verno, sulla porta della Cantoniera. Teneva per mano un
bambino che tese il dito per indicarle i buoi e alzò il viso a
guardarla. Era una ragazza magra, piuttosto alta, e la lunga
gonna scura a pieghe faceva risaltare la sua statura. Portava 20
lo stesso costume della moglie del cantoniere, che Michele
conosceva, e benché non le somigliasse molto, essendo bru-
na di capelli, mentre quella tirava un po’ al rosso, si vedeva
ch’eran sorelle.
La ragazza rispose al saluto e lo seguì con gli occhi come 25
faceva quand’era dietro la siepe. Forse guardava i buoi, che
per le proporzioni e per il colore del mantello non eran be-
stie comuni, nel Centro. Per un buon tratto di strada egli
si sentì addosso lo sguardo di quegli occhi chiari, diversi
dagli occhi delle donne di Sigalesa, come diversa era anche 30
la voce. Egli notò che, nel saluto, la voce della ragazza era la
stessa di quando cantava. Avrebbe potuto riconoscerla an-
che solo alla voce. Ma pur sentendosi guardato non si voltò.

13. voce giovane] 2giovane 1voce B     17. Cantoniera] cantoniera D D1


D2 B ≠ M2     18. dito per] dito ›verso di lui che‹ per D     19. ragazza…
alta] ragazza |magra, piuttosto alta| (›alta, piuttosto magra‹) D     30. da-
gli] |dagli| (›dalla‹) D     31. che, nel…ragazza] che |la voce della ragazza|
(›mentre la voce di tutte le donne‹) D D1 D2 che||, nel saluto,|| la voce della
ragazza B     
80 GIUSEPPE DESSÌ

Da quel giorno, gli accadeva di pensare a lei anche quando


non andava a Monte Ulìa; poi si accorse che la ragazza non
doveva esser più alla Cantoniera. Non la sentiva più lavare
dietro la siepe, né gli accadde più di sentirla chiamare per
5 nome dalla sorella, né sentì lei chiamare i ragazzi. Essendo
la Cantoniera isolata in mezzo alla campagna, le donne e i
ragazzi non s’allontanavano mai dalla casa e dal cortile: ma
Severina non c’era. Vedeva più spesso la moglie del canto-
niere, e fu tentato anche di chieder notizie della ragazza. Si
10 meravigliava lui stesso della persistenza di questo pensiero,
giacché non gli pareva di avere una particolare simpatia per
quella sconosciuta, come del resto, dacché aveva lasciato
Angela, non aveva provato la minima simpatia o il minimo
interesse per nessuna donna. Ma s’era abituato a sentire la
15 presenza della ragazza in quella casa isolata in mezzo alla
campagna, e ora ci pensava perché non la sentiva più. Se
avessero abbattuto uno dei grandi pini davanti alla Canto-
niera, passando di là avrebbe sempre pensato a quel pino,
non sarebbe più riuscito a levarselo di mente.
20 Erano passati alcuni mesi, quando la rivide affacciata a
una delle finestre laterali, col suo fazzoletto giallo, a capo
scoperto. Aveva i capelli lisci e abbondanti, divisi in due
bande che le ricadevano fin sul collo. Alzando gli occhi ave-
va incontrato quelli di lei, chiari, che lo guardavano. La ra-
25 gazza rispose al saluto e al sorriso. Pareva che volesse dire:
“Sì, sono tornata”.
In quel tempo il grano cominciava a ingiallire e le spighe
a piegarsi, mentre in tutte le altre terre di Sigalesa il raccolto
si presentava assai scarso. Ma per tutta la lunga invernata,
30 la vita di Michele non era stata altro che stanchezza e avvi-
limento. Se pure era rimasto, in fondo a questa stanchezza
e a questo avvilimento, un istinto tenace che lo legava alla

2. non…Ulìa] si trovava in altri luoghi D •non andava a Monte Ulìa (›si


trovava in altri luoghi‹) D1     4. chiamare] chiamare ›dalla‹ D     6. Canto-
niera] •Cantoniera (›casa‹) D     8. Severina] |Severina| (›lei‹) D     9. an-
che] più volte •anche (›più volte‹) D1     15-16. casa…e ora] casa solitaria,
e ora D casa •isolata in mezzo alla campagna, (›solitaria‹) e ora D1     29.
assai scarso. Ma] molto scarso ›L’inverno era per tutti [—]‹. Ma D •assai
(›molto‹) scarso. Ma D1     
Michele Boschino 81

vita, egli non lo aveva sentito che come un torbido e in-


determinato bisogno di rivolta. E contro chi? Forse contro
la gente di Sigalesa, forse contro suo padre stesso, che se
n’era andato così, in silenzio, portandosi via il meglio della
vita. Quando, allontanandosi pian piano nel tempo, dietro 5
le piogge e le nebbie dell’inverno, quegli avvenimenti che
l’avevano sconvolto, sentì ripullulare la vita, non dentro ma
fuori di sé, in quel campo che aveva arato e seminato senza
fiducia, nel quale s’era rifugiato come un animale ferito che
cerca un luogo solitario per lasciarsi morire in pace, in quel 10
grano che veniva su rigoglioso nonostante la cattiva annata,
un senso di salute e di calma cominciò pian piano a risto-
rarlo, qualche cosa che era ancora fuori di lui, nel vento che
passava sulle spighe come una mano, nel tepore dell’aria.
Amava già, allora, il podere di Monte Ulìa, ma come si ama 15
un luogo che bisogna lasciare.
La gioia di rivedere Severina si confuse con questo senso
di salute e di calma della stagione. Egli non l’avvertì nep-
pure. Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano co-
minciato a salutarsi e a sorridersi senza nessuna ragione al 20
mondo. Immaginò come sarebbe stato bello se, al posto di
quella sconosciuta, ci fosse stata Angela, ma venuta anche
lei di fuori, da un paese lontano, e che nessuno di Sigalesa
l’avesse mai vista prima, che nessuno potesse dire d’averle
sfiorato una mano. 25

Severina non era bella. Michele lo vide anche meglio


quando, un giorno, si fermò con la scusa di dare acqua alle
ruote del carro, che scricchiolavano per la gran calura. Lo 30
vide quando, prendendo il secchio dalle sue mani, la guar-

7. sconvolto, sentì] sconvolto, e la morte del vecchio, sentì D D1 D2 scon-


volto, ›e la morte del vecchio,‹ sentì B  ◆  dentro] dentro ›di sé‹ D     11.
nonostante] non ostante D D1 D2 nonostante (← non ostante) B     12-13.
ristorarlo, qualche] ristorarlo. Qualche D ristorarlo, qualche (← ristorar-
lo. Qualche) D1     16. lasciare] abbandonare D •lasciare (›abbandonare‹)
D1     19. avevano] •avevano (›aveva‹) D     30. carro,] carro D carro|,|
D1  ◆  scricchiolavano] cigolavano e gemevano D •scricchiolavano (›cigo-
lavano e gemevano‹) D1     
82 GIUSEPPE DESSÌ

dò da vicino. Aveva il naso sottile e la gota delicatamente


incavata sotto lo zigomo. Ma gli occhi sì ch’erano belli. Mi-
chele versò con cura l’acqua sui raggi e sul mozzo di una
delle ruote, e tornò a guardarla. Lei, preso il secchio, corse
5 via a riempirlo ancora. Il suo era il colore della gente che ha
avuto la malaria fin da piccola. Con un senso di desiderio e
di pena Michele indovinò sotto la gonna pesante il suo fian-
co giovine e magro – di pena non per lei ma per sé. Quando
la ragazza tornò col secchio colmo stringendo tra i denti il
10 labbro per la fatica, egli sentì crescere smisuratamente quel
senso di pena e di desiderio così nuovo per lui, e non poté
fare a meno di chiederle perché portasse al collo quel faz-
zoletto giallo. Gli pareva che levando il fazzoletto il colore
del viso sarebbe mutato da un momento all’altro. Sorriden-
15 do lei gli rispose che quella era la moda del suo paese, di
Mamusa. Aveva la carnagione delicata. Aveva preso poco
sole e non conosceva il vento della montagna. E anche gli
occhi, larghi acquosi e chiari, erano occhi di pianura, non
di montagna. Lei sembrava vergognarsene e li abbassava,
20 ma subito, malgrado la timidezza, tornava a guardarlo. E si
abbassavano ancora, e ancora tornavano a guardarlo, que-
gli occhi, con la stessa naturalezza con cui si abbassano e al-
zano le palpebre. Aveva le anche larghe; e i piedi, nudi, che
spuntavano appena dalla larga e scura gonna, infilati nelle
25 corregge degli zoccoli, erano sottili e bianchi, non tocchi
dal sole. “È di quelle donne che invecchiano presto”, pensò
Michele senza sapere perché: poi gli parve di riconoscere,
nella memoria, la voce di sua madre: “Dopo il primo figlio
invecchiano”.
30 Prima di versare l’acqua sul mozzo dell’altra ruota, alzò il
secchio al viso per prenderne un sorso.

1. la gota] |la gota| (›le gote [—]‹) D     2. sì] ›[—]‹ sì D     6-7. senso…
indovinò] senso di |desiderio e di pena Michele |indovinò| (›guardò‹)|
(›pena Michele quel corpo‹) D     7-8. fianco…magro] fianco /giovine e/
magro D     9. la ragazza] lei D •la ragazza (›lei‹) D1     11. così] che era
D •così (›che era‹) D1     21-22. guardarlo…con] guardarlo, con D guar-
darlo, /quegli occhi,/ con D1     22. naturalezza] /mobilità/ naturalezza
D1     22-23. si…alzano] abbassava e alzava D |si| abbassano e alzano (←
abbassava e alzava) D1     25. erano sottili] erano straordinariamente sottili
D erano ›straordinariamente‹ sottili D1     
Michele Boschino 83

«Badate che è cattiva» lo prevenne la ragazza. «Voi di


Sigalesa siete avvezzi all’acqua buona. Questa è cattiva. È
pesante come il piombo, e salata».
«E voi cosa bevete?» chiese Michele sempre tenendo il
secchio alto alla bocca e guardando lei. 5
«Noi? Di questa beviamo. Ma voi siete avvezzo all’acqua
buona» ripeté sorridendo, e forse voleva che il giovine le
chiedesse come conosceva l’acqua di Sigalesa.
Mentre lei parlava, Michele bevette alcuni sorsi di
quell’acqua, benché avesse un sapore veramente sgradevo- 10
le; e lo fece perché non voleva parere più delicato di lei che
era costretta ad abitare a Matta Romana.
«È proprio cattiva» disse. «Fate male a berne».
S’era fatta sulla porta, in quel mentre, la moglie del can-
toniere col bambino più piccolo in braccio; e sempre cul- 15
landolo aveva salutato con la testa. Anche Michele salutò.
«Le stavo dicendo dell’acqua» disse accennando a Severi-
na. «È cattiva, quest’acqua».
«L’acqua è cattiva, lo so» disse la donna. Continuò a cul-
lare il bambino per un poco guardando davanti a sé, oltre il 20
carro e i buoi, poi disse:
«Da quando siamo qui, i bambini sono sempre ammalati.
Hanno una pancia che sembrano idropici».
Michele guardava la donna, sciupata nel viso, benché
non dovesse avere molti anni più della sorella, e di nuovo 25
gli pareva di sentire sua madre: “Ecco, questa è una razza
di donne che invecchiano presto”. Versò con cura, lenta-
mente, l’acqua sul mozzo e sui raggi anche di quella ruota
lavandola dalla polvere.
Dal modo come parlava, la donna, sembrava che fosse 30
rassegnata a bere acqua cattiva per tutta la vita.
«Perché non venite a prender l’acqua da bere alla sorgen-
te d’Orèsula?» disse Michele.

3. pesante] |pesante| (›salata‹) D     10. avesse…veramente] |avesse| (›fosse


veramente‹) veramente un sapore D avesse 2veramente 1un sapore D1     11.
perché] ›per [—]‹ perché D     13. berne] berla D berne (← berla) D1     28-
29. ruota…polvere.] ruota. D ruota |lavandola dalla polvere|. D1     30. la
donna, sembrava che] sembrava che la donna D D1 D2 2sembrava che 1la
donna|,| B     
84 GIUSEPPE DESSÌ

E spiegò dove questa sorgente si trovava. Era poco disco-


sta dal suo podere, verso il monte, e si poteva fare la strada
carreggiabile, oppure una scorciatoia nel bosco.
«Vostro marito, può fare la scorciatoia. In meno di un’o-
5 ra va e torna».
La donna si strinse nelle spalle e sospirò.
Michele guardò Severina, che abbassò gli occhi un atti-
mo, poi da lui li volse alla sorella. Ora non pareva più ti-
mida, quasi che quell’argomento dell’acqua la mettesse al
10 riparo.
«Anche noi potremmo andarci. Noi donne. È vero,
Anna?» disse.
«Anche noi donne potremmo andarci» ripeté Anna.
«Tutto sta a vedere la strada una volta. E quell’acqua dite
15 che è buona?»
«Se la beve lui ch’è di Sigalesa!» disse Severina, e arrossì
improvvisamente.
«Questa d’Orèsula è anche migliore dell’acqua di Sigale-
sa. Trasparente e leggera come l’aria, e fresca anche».
20 «Tutto sta a vedere la strada una volta» ripeté Anna «per-
ché Raffaele non credo che abbia voglia di fare tanta strada
con una brocca sulle spalle. Noialtre invece ci siamo avvez-
ze».
«Quando volete, io ve la insegno» disse Michele. E diede
25 una voce ai buoi, che si mossero lentamente. Era il momen-
to giusto d’andarsene. Michele lo sentì come un uccello
sente l’orientamento. Così, né troppo presto né troppo tar-
di. Non c’era più niente da dire, per quel giorno. Si mise a

1-2. discosta dal] più sopra del D •discosta (›più sopra‹) dal (← del) D1     4.
può] ›se ha[—]‹ può D     4-5. di un’ora] d’un’ora D D1 D2 B ≠ M2     9-10.
dell’acqua…riparo.] dell’acqua, che interessava tanto a tutti, la mettesse
al riparo. D dell’acqua, ›che interessava tanto a tutti,‹ la mettesse al ripa-
ro. D1 D2 dell’acqua›,‹la mettesse al riparo. B     12. Anna?] Anna D D1 D2
Anna|?| B     18. dell’acqua] di quella D •dell’acqua (›di quella‹) D1     19.
l’aria] l’aria D D1 D2 |l’|aria B     22. ci siamo] siamo D /ci/ siamo D1     24.
volete,] volete D D1 D2 B ≠ M2     28. giorno. Si mise] giorno. Ringraziò
per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e si mise D D1 D2 gior-
no. ›Ringraziò per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e‹ Si (←
si) mise B     
Michele Boschino 85

camminare accanto alla ruota del carro, subito come fosse


solo.
Michele aveva già cominciato ad affossare il terreno per
i mandorli, quando il cantoniere andò a farsi insegnare la
strada per la sorgente. Conosceva il cantoniere per averlo 5
visto lavorare nello stradone, o, più spesso, seduto a far nul-
la accanto alla carriola. S’erano scambiati solo qualche salu-
to, ma aveva capito che doveva essere uno di quegli uomini
pigri pronti sempre a lamentarsi per niente e altrettanto
pronti a dimenticarsi le difficoltà senza porvi rimedio. 10
Siccome stava mangiando, lo invitò a sedersi e gli offrì
del suo pane. Ma l’altro, posata a terra la damigiana vuota,
s’alzò sulla fronte la visiera del berretto e diede un’occhiata
intorno, poi guardò Michele come fosse colpa sua se aveva
dovuto fare tutta quella strada per arrivare fin là. 15
«Vi state riposando» disse. Sorrise, e sbadigliò.
«Già» fece Michele.
Riprese a guardarsi attorno, ma il suo occhio non si fer-
mava sul lavoro che Michele aveva fatto nel campo. Un
contadino non avrebbe fatto a meno di chiedere a che cosa 20
servivano quei fossi scavati di fresco, che alberi aveva inten-
zione di piantare nel campo: il suo era un sorriso di ragazzo
pigro, senza curiosità.
Michele ripose il pane nella bisaccia, appese la bisaccia

2-3. solo. Michele] solo.↔|| Michele D D1 D2 solo.↔| Michele B     5. Co-


nosceva] Michele conosceva D D1 D2 ›Michele‹ Conosceva (← conosceva)
B     8. ma aveva] ma Michele aveva D D1 D2 ma ›Michele‹ aveva B     10-
11. rimedio. Siccome] rimedio. Così almeno spiegava l’antipatia istintiva
che sentiva per lui. Siccome D rimedio. ›Così almeno spiegava l’antipatia
istintiva che sentiva per lui.‹ Siccome D1     11. lo invitò a] /lo/ invitò ›[—]‹
a D     13-14. diede un’occhiata intorno] |diede un’occhiata intorno| (›si
mise a guardare intorno‹) D     14. come fosse colpa sua se aveva] come
se fosse colpa sua se aveva D D1 D2 M2 come ›se‹ fosse colpa sua se aveva
B come se fosse colpa sua aveva M1     16. Sorrise, e sbadigliò.] E sorrise
D D1 D2 ||Sorrise, e sbadigliò.|| (›E sorrise‹) B     22-24. era un…Michele]
era ›[—]‹ uno sguardo di ragazzo pigro senza curiosità. ›- Volete favorire?
– ripeté Michele per cortesia‹ Michele D era •un sorriso (›uno sguardo‹) di
ragazzo pigro|,| senza curiosità. Michele D1     
86 GIUSEPPE DESSÌ

a un piuolo dentro il capanno; l’uomo si rimise in spalla la


damigiana.
«Non è lontano» disse Michele prevenendo la domanda
che si aspettava.
5 Il sentiero s’insinuava tra alti cespugli di lentischio salen-
do verso il monte, dove le querce e gli olivastri diventavano
sempre più folti, si perdeva in una pietraia dietro la quale
era una larga chiazza di verde. L’odore acuto della menta
selvatica annunciava la presenza dell’acqua.
10 «È lunga!» disse il cantoniere. «Sarà che io non ci sono
abituato a camminare in montagna, ma è lunga!»
«Voi siete abituato alla pianura» disse Michele.
«Eh! il mio mestiere era un altro. Non sono avvezzo né
alla montagna né alla pianura».
15 «E allora?»
«Ero marinaio».
Disse che aveva viaggiato su un veliero mercantile per al-
cuni anni, poi era sbarcato in un porto francese, aveva fatto
diversi mestieri. Era stato minatore, manovale, imbian-
20 chino. Infine era tornato a casa con le tasche vuote come
quand’era partito. Ma il suo vero mestiere era quello del
marinaio.
«E perché non fate il marinaio?» chiese Michele.
«Perché? Perché le miniere mi hanno mangiato i polmo-
25 ni. E poi mi sono sposato. Non bisogna sposarsi, se si vuol
fare quel mestiere lì».
Da una parete di roccia l’acqua sgorgava e si perdeva in
mezzo al crescione, all’apio, alla sala, ai giunchi che cresce-
vano dalla terra umida. Ma pochi passi più oltre il terre-
30 no era di nuovo arido e secco. L’acqua che stillava a gocce
dal muschio della roccia veniva raccolta da leggeri canali

1. capanno; l’uomo] capanno, e l’uomo D capanno: l’uomo (← capanno,


e l’uomo) D1 D2 capanno; l’uomo B     8. di verde] |di verde| (›d’erba‹)
D     10. non ci sono] non sono D D1 D2 non /ci/ sono B     13. Non sono]
›Ero marinaio io.‹ Non sono D     23. marinaio?] marinaio D D1 D2 mari-
naio|?| B     26. mestiere lì] mestiere D mestiere |lì| D1     27-28. in mezzo
al crescione] in |mezzo al crescione| (›una pietraia‹) D     29. dalla] sulla D
dalla (← sulla) D1     
Michele Boschino 87

di canna, e confluendo in un tegolo rovesciato formava un


rivoletto e una cascatella. Intorno ai piccoli canali di canne
fesse, una mano paziente aveva disposto innumerevoli fili
d’erba che formavano come una fitta rete di canali capillari.
Il cantoniere osservò questo lavoro, che sembrava fatto da 5
un insetto, con lo stesso sorriso pigro e ironico con cui ave-
va guardato i fossi per i mandorli.
Bevette abbondantemente, e si dispose a riempire la da-
migiana.
«Ora che sapete dov’è» disse Michele «potete venire 10
quando volete».
«Eh! se non avessi altro da fare verrei anche tutti i giorni.
Ma ci vuole mezza giornata a venire qui».
«Anche meno» disse Michele.
«Come, anche meno! E per riempire la damigiana?» 15
«Beh! mentre si riempie vi riposate. Attento a non smuo-
vere il tegolo, se no addio acqua».
«Ho capito. Ci vogliono le donne, qui. Loro hanno le
mani delicate».
Tornarono assieme al capanno, e Michele pensò che 20
avrebbe potuto portare lui la damigiana fino alla canto-
niera, quando fosse venuto a Monte Ulìa col carro. Ma
non disse nulla, pensando di fare alle donne l’offerta. In-
fatti in seguito andarono per l’acqua Anna e Severina, un
giorno sì e uno no, con due damigiane. Ma dovette durar 25
non poca fatica a convincerle che per lui era una cosa da

1. canna, e] canna e D D2 canna|,| e D1  ◆  in un tegolo] in un ›canale più


grosso [—]‹ tegolo D     1-2. formava…ai] |formava un rivoletto e una ca-
scatella.| (›e cadeva dall’alto‹) Intorno |ai| (›alla‹) D     4. che formavano]
che ›guidavano le gocce‹ formavano D     4-8. capillari…Bevette] capillari,
senza i quali le gocce si sarebbero disperse. Sembrava un lavoro fatto da
un insetto. Il cantoniere bevette D capillari. (← capillari,) •Il cantoniere
osservò questo lavoro, che (›senza i quali le gocce si sarebbero disperse.‹)
sembrava (← Sembrava) ›un lavoro‹ fatto da un insetto, (← insetto.) /con lo
stesso sorriso pigro e ironico con cui aveva guardato i fossi per i mandorli./
›Il cantoniere‹ Bevette (← bevette) D1     10. Ora] E ora D Ora (← E ora)
D1     18. qui. Loro] qui, che D qui. Loro (← qui, che) D1     19-20. delica-
te». Tornarono] delicate». ›Michele le lasciò lì e se ne tornò nel campo a
lavorare.‹ Tornarono D     21. portare] portar D D1 D2 portar|e| B     24.
in seguito] •in seguito (›nei giorni seguenti‹) D     26. a] per D D1 D2 ||a||
(›per‹) B     
88 GIUSEPPE DESSÌ

nulla fermarsi un momento alla Cantoniera per scaricare


i recipienti pieni, o prenderli vuoti al mattino. Dopo tan-
to, acconsentirono; e andavano a riempire le damigiane sul
tardi, quando Michele stava per aggiogare i buoi. Montava-
5 no anch’esse sul carro, e facevano chiacchierando la strada
fino alla Cantoniera. Spesso lo invitavano a bere un bicchier
di vino, ma lui ringraziava dicendo che non beveva mai a
digiuno. Accadeva anche che andasse per l’acqua una sola
delle donne, o Anna o Severina, se Raffaele non era ancora
10 rientrato, per non lasciar soli i bambini. Poi, crescendo la
confidenza tra loro, finì per andarci sempre Severina. Mi-
chele la faceva parlare di Mamusa, dei parenti che aveva
laggiù. Severina raccontava della sua vita di ragazza, quan-
do con Anna aiutavano la madre a fare i dolci che poi anda-
15 vano a vendere nei paesi vicini; raccontava come sua sorella
aveva sposato Raffaele, dopo il suo ritorno dalla Francia, e
come lei, dopo che la sorella aveva avuto il secondo bambi-
no, non l’aveva più lasciata. A Mamusa ora andava di tanto
in tanto per rivedere i suoi vecchi. Seguiva la sorte della so-
20 rella, ma volentieri sarebbe tornata a Mamusa, perché era
stanca di stare in mezzo a quelle campagne desolate. Solo le
dispiaceva separarsi dai bambini. A sua volta Michele, che
pure non parlava mai volentieri di sé, le raccontava di Giu-
seppe, di Salvatore, di Benedetto, le disse che con Benedetto
25 aveva fatto da poco tempo la pace perché credeva che quella

2. pieni,] pieni D pieni|,| D1     2-3. tanto,] tanto D D1 D2 tanto, B     4.


buoi] buoi ›al carro‹ D     5. facevano chiacchierando] facevano tutti e tre
assieme, chiacchierando D facevano ›tutti e tre assieme‹, chiacchierando
D1     6. Spesso] Ogni volta D D1 D2 ||Spesso|| (›Ogni volta‹) B     13. lag-
giù] laggiù. (←laggiù,) ›che‹ D     14. Anna] Anna D D1 D2 Anna, B     17.
lei, dopo] lei, ›poi li aveva sempre seguiti‹ dopo D     17-18. bambino…la-
sciata] bambino fosse venuta a stare con lei per aiutarla D bambino|,| •non
l’aveva più lasciata (›fosse venuta a stare con lei per aiutarla‹) D1     19-20.
sorella, ma] sorella e a Raffaele non piaceva mai stare a lungo nello stesso
posto. Ma D sorella|,| ›e a Raffaele non piaceva mai stare a lungo nello stes-
so posto.‹ ma (← Ma) D1     20. volentieri sarebbe] volentieri lei sarebbe D
D1 D2 volentieri ›lei‹ sarebbe B     21. campagne desolate] campagna deso-
lata D D1 D2 campagne desolate (← campagna desolata) B     22. separarsi
dai] lasciare i D D1 D2 ||separarsi dai|| (›lasciare i‹) B     23. volentieri] (vo-
lentieri) D1  ◆  raccontava] parlava D •raccontava D1     24. di] ›degli‹ di D     
Michele Boschino 89

fosse, in fondo, la volontà di suo padre. Severina ascoltava


attenta e faceva molte domande intorno a quei parenti, così
che in breve tempo li conosceva tutti attraverso i discorsi
di Michele. Egli le disse anche ch’era stato fidanzato, e non
le nascose nulla, né i suoi dubbi né quanto aveva sofferto. 5
Contrariamente al suo solito, Severina non fece nessuna
domanda: disse solo che aveva fatto male a dare retta cie-
camente a suo padre, se non era sicuro che Angela lo tradi-
va. Egli le chiese se veramente era convinta che aveva fatto
male a lasciare Angela. «Certamente», disse la ragazza. Egli 10
s’accorse che cercava di nascondere il rossore del viso con
la cocca del fazzoletto, e glielo disse. Allora lei si levò il faz-
zoletto e rimase in capelli, col viso in fiamme. Erano seduti
uno di fronte all’altro, sul carro. Mancava poco alla Canto-
niera. Michele avrebbe voluto chiederle s’era adirata con lui 15
perché aveva lasciato quell’altra donna; ma non s’attentava,
temendo il suo giudizio. Quando giunsero alla Cantoniera,
Severina saltò giù svelta dal carro e riannodandosi il faz-
zoletto si chinò davanti a lui per farsi aiutare a mettersi la
damigiana in testa. Rapidamente, come per toglier via una 20
foglia secca o un insetto, egli le sfiorò la guancia con una
mano. Gli parve di vederla vacillare; ma subito pensò che
doveva essere una sua impressione, perché si sentiva il cuo-
re in tumulto e il sangue gli batteva alle tempie. Severina
sollevò con tutte e due le mani la damigiana, se l’aggiustò 25
meglio sul capo guardando in su, poi, lo guardò in viso un
momento, e, senza sorridergli, lo salutò a voce bassa. An-
che lei era turbata. Michele se n’accorse, ma non pensò alla

3. conosceva] conobbe D conosceva (← conobbe) D1     7. a dare] a ›lascia-


re‹ dare D     9. che aveva] che lui aveva D D1 D2 che ›lui‹ aveva B     13.
rimase in capelli,] rimase a capo scoperto, D D1 D2 rimase ||in capelli,|| (›a
capo scoperto,‹) B     14. carro. Mancava] carro, e mancava D D1 D2 carro.
Mancava (← carro, e mancava) B     18-19. e riannodandosi il fazzoletto] e
|riannodandosi il fazzoletto| (›rimettendosi il fazzoletto‹) D     20. in testa]
sul capo D D1 D2 ||in testa|| (›sul capo‹) B     21. le sfiorò] |le sfiorò| (›allun-
gò la mano‹) D     22. mano. Gli] mano, e gli D D1 D2 mano. Gli (← mano,
e gli) B     24. batteva alle tempie] offuscava la vista D D1 D2 ||batteva alle
tempie|| (›offuscava la vista‹) B     26. in su, poi, lo guardò] in su come un
equilibrista, poi abbassò gli occhi su Michele, lo guardò D in su ›come un
equilibrista‹, poi ›abbassò gli occhi su Michele‹, lo guardò D1     
90 GIUSEPPE DESSÌ

fuggevole carezza che le aveva fatto sulla guancia, pensò a


ciò che le aveva raccontato di Angela. Ora gli pareva che lei
non lo riprovasse, ma che sentisse pietà per quel suo dolore,
le leggeva questa simpatia nel viso serio. Solo quando fu
5 lontano dalla Cantoniera si ricordò della carezza e fu preso
dal timore che la ragazza non si fidasse più a andare sola
a Monte Ulìa; e fu preso dal desiderio di parlarle del fatto
ch’era accaduto nella foresta di Cantòria pochi giorni pri-
ma che morisse suo padre, come ci s’era trovato in mezzo,
10 come si fosse tenuto quel segreto per tanto tempo.
Severina tornò il giorno dopo, e i seguenti; e lui covava
sempre il pensiero di aprirsi con lei, di liberarsi finalmente
da quel peso che l’opprimeva e che in certi momenti ora
diventava insopportabile. Ma quando Severina era presen-
15 te, il coraggio gli veniva meno. Vagheggiava questa confes-
sione quando era lontano da lei, come un innamorato che
fantastica per suo conto senza mai decidersi.
Un giorno, mentre stavano per montare sul carro, accan-
to al capanno, Michele le prese una mano.
20 «Devo dirvi una cosa» disse.
Tremava in tutta la persona e non riusciva a continuare.
Anche lei tremava, e con la mano, che le si era fatta come
di ghiaccio, stringeva forte quella di lui. Egli l’attirò a sé e la
baciò in viso, nella bocca. La sollevò tra le braccia e la portò
25 nel capanno.

6. dal timore] dalla paura D D1 D2 ||dal timore|| (›dalla paura‹) B     7. e


fu preso dal desiderio] perché gli era nato il desiderio D •e fu preso dal
(›perché gli era nato il‹) desiderio D1     8. di Cantòria] |di Cantòria| (›della
Canto‹) D     9. come] e come D ›e‹ come D1     10. come] e come D ›e‹
come D1     10-11. tempo…e i seguenti;] tempo. Severina invece tornò |il
giorno| (›i gi‹) dopo e i seguenti, D tempo.↔| Severina ›invece‹ tornò il
giorno dopo|,| e i seguenti; (← seguenti,) D1     13. l’opprimeva e che] l’op-
primeva, che D l’opprimeva e che (← l’opprimeva, che) D1     13-14. ora…
Ma] diventava insopportabile, ora che questa possibilità gli s’era presen-
tata. Ma D D1 D2 ||ora|| diventava insopportabile›, ora che questa possibi-
lità gli s’era presentata‹. Ma B     15-16. questa…lontano] questo pensiero
lontano D D1 D2 ||questa confessione quando era|| (›questo pensiero‹) lon-
tano B     17. fantastica] |fantastica| (›vagheggia i discorsi‹) D     23-24. la
baciò…La] le baciò il viso, la bocca. Poi la D la baciò in viso, nella bocca.
La (← le baciò il viso, la bocca. Poi la) D1     
Michele Boschino 91

Per questo,18 quando sua madre fece quell’insinuazione


maligna attribuendola alle chiacchiere della gente, Michele
finse di non aver sentito. Cosa potevano sapere, la gente
e sua madre, di Severina? Chi la conosceva meglio di lui?
Eppoi capiva bene che era tutto un trucco di Maddalena per 5
farlo parlare. Nessuno sapeva nulla, nessuno. “Eh no!” disse
egli tra sé come se rispondesse a sua madre, “Eh no! Lo sa-
prete quando vorrò dirvelo io. Domani, forse. Forse anche
domani, forse tra una settimana. Ma ora no”. Era estranea
a questo proposito l’intenzione di punirla per quelle parole 10
imprudenti. Non voleva parlare di Severina con nessuno,
non poteva. Era certo che Severina non aveva ancora detto
nulla neppure a sua sorella; e anche lui voleva fare lo stesso
con sua madre. Non solo gli estranei non dovevano sapere
nulla prima del tempo, ma neppure la gente di casa. Voleva 15
continuare a pensare tutto solo a quel fatto ch’era accaduto.
Era padrone di tenersi ancora quel segreto, di nutrirlo den-
tro di sé. E questa possibilità gli dava un piacere intenso.

2-3. Michele…sentito] fece finta di non sentire neppure D •Michele finse


(›fece finta‹) di non /aver/ sentito (← sentire) ›neppure‹ D1     5. bene] be-
nissimo D D1 D2 bene (← benissimo) B     5-6. per farlo parlare.] strappar-
gli la verità. D D1 D2 ||per farlo parlare|| (›strappargli la verità.‹) B     7-8.
saprete] saprai D D1 D2 ||saprete|| (›saprai‹) B     8. dirvelo] dirtelo D D1
D2 ||dirvelo|| (›dirtelo‹) B     10. punirla] punire sua madre D punirla (←
punire sua madre) D1     13. lo stesso] altrettanto D •lo stesso (›altrettanto‹)
D1     14. gli…dovevano] la gente non doveva D •gli estranei (›la gente‹)
non dovevano (← doveva) D1

18
la portò nel capanno. Per questo,] cfr. Appendice (Cap. X).
92 GIUSEPPE DESSÌ

XI

5 Una sera Maddalena aiutava Michele a sceglier le fave per


la semina.19 Se ne stavano tutti e due, al lume della lucerna,
in ginocchio davanti al mucchio. Michele si sentiva pesare
addosso quel silenzio che durava da più di un’ora ormai, e
guardava sua madre, che lavorava svelta. Nell’ombra che la
10 lucerna proiettava sul muro la mano della vecchia sembra-
va una gallina che becca rapida in un mucchietto di grano.
Anche in se stessa la mano richiamava l’immagine di una
gallina. Come la gallina ogni tanto alza la testa e stira il collo
per inghiottire, così la mano, quando aveva scelto un certo
15 numero di fave, le faceva passare nell’altra mano e proce-
deva a una scelta più accurata, scartando quelle bacate o
imbozzacchiate che v’erano rimaste, gettava quelle buone
in un sacco; poi ricominciava. I movimenti rapidi e sempre
eguali formavano un gesto solo, il cui ripetersi era segnato
20 dal rumore che facevano le fave cadendo nel sacco aperto.
Bisognava parlare, ormai era giunto il momento, e non si
poteva rimandare più; eppure Michele non sapeva decider-
si. Anna era andata a Monte Ulìa e gli aveva chiesto che
intenzioni aveva, se voleva rovinarla, sua sorella; e non ave-
25 va voluto credere che Michele non sapeva nulla dello stato
in cui Severina si trovava. Incinta, era. Michele, era lui che
si meravigliava, questa volta. Incinta? Ma se proprio quella
mattina era venuta da lui, tranquilla come sempre! Ancora,

9-10. Nell’ombra…mano] Nell’ombra la mano D Nell’ombra /che la


lucerna proiettava sul muro/ la mano D1     11-12. grano. Anche] grano;
ma anche D grano. Anche (← grano; ma anche) D1     13. gallina] gallina,
D gallina (← gallina,) D1     14. scelto un certo] scelto per suo conto un
certo D scelto ›per suo conto‹ un certo D1     17. gettava] e gettava D ›e‹
gettava D1     20. sacco aperto.] sacco. D sacco /aperto/. D1     22. eppure
Michele non] eppure non D eppure /Michele/ non D1     24. rovinarla,
sua] rovinare sua D D1 D2 rovinarla|,| sua (← rovinare sua) B     25. non
sapeva nulla] non sapeva ›ancora che Severina era incinta‹ nulla D     28.
tranquilla come sempre!] allegra come al solito! D •tranquilla (›allegra‹)
come •sempre (›al solito‹)! D1     
19
In D D1 D2 il capitolo è numerato VIII.
Michele Boschino 93

Michele, a ripensarci, la vedeva salire verso la sorgente con


la damigiana vuota poggiata all’anca, col suo passo lungo e
agile; e si turbava, al pensiero del corpo di lei, nudo sotto
la lunga gonna. Anna s’era messa a imprecare contro la so-
rella che si mostrava tranquilla con lui mentre in casa non 5
faceva che piangere. Lei sì, Anna, non aveva saputo nulla,
fin allora, ma loro due!… L’avevano ingannata, gliel’ave-
vano fatta sotto il naso. Altro che acqua! L’acqua è pulita,
è limpida;20 ma la cosa che avevano fatto loro due faceva
vergogna anche a lei che non ne aveva saputo nulla fin al- 10
lora. Cos’avrebbe detto sua madre, che gliel’aveva affidata?
e Raffaele? e la gente, cos’avrebbero detto? Con che faccia
sarebbero tornate in paese?
Michele non aveva avuto il coraggio di difendersi. Era
vero che Severina non gli aveva mai detto nulla, ma in real- 15
tà chi meglio di lui poteva sapere lo stato in cui si trovava?
Aveva lasciato che Anna si calmasse, poi le aveva detto che
se anche non aveva parlato di nozze, fino a quel giorno, con
la ragazza, in quel frattempo aveva fatto tutti i preparativi.
Non si potevano sposare anche subito? A lui non importava 20
niente se la ragazza non aveva il corredo pronto: avrebbe
avuto tempo dopo, di farselo. Sua madre aveva tanto lino,
in casa! Se la ragazza gli avesse detto come stavano le cose,
non avrebbe aspettato fino a quel giorno. Poteva esserne
certa, Anna. Non aspettava altro, lui. Ma siccome gli pareva 25

2. damigiana…all’anca] brocca |vuota poggiata all’anca| (›ain testa bpog-


giata all’anca‹) D D1 D2 ||damigiana|| (›brocca‹) vuota poggiata all’anca
B     4. la lunga gonna] |la lunga gonna| (›le vesti pesanti‹) D     5. tran-
quilla] allegra D •tranquilla (›allegra‹) D1     6-7. non…fin allora,] non
sapeva nulla, D non •aveva saputo (›sapeva‹) nulla, /fin’allora,/ D1 D2 B
≠ M2     10-11. fin allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     11. sua] la D D1 D2
||sua|| (›la‹) B  ◆  gliel’aveva affidata?] l’aveva affidata a lei? D gliel’aveva
affidata? (← l’aveva affidata a lei?) D1     14. di difendersi] d’insistere D •di
difendersi (›ad’insistere bdi difendere Severina‹) D1     15-16. ma in realtà
chi] ma chi D D1 D2 ma ||in realtà|| chi B     17. Aveva lasciato] |Aveva
lasciato| (›lasciò‹) D     22. dopo, di farselo.] dopo. D dopo|,| /di farselo./
D1     24. non avrebbe] |non avrebbe| (›sarebbe sta‹) D     25. gli pareva]
›non aveva ancora avuto modo‹ gli pareva D     
20
In IL: «e limpida».
94 GIUSEPPE DESSÌ

che non ci fosse fretta, così aveva rimandato di giorno in


giorno; e non sapeva neppure lui perché.
Calmatasi, Anna aveva detto che avrebbe fatto venire
sua madre da Mamusa, e si sarebbero poi incontrate con
5 Maddalena alla Cantoniera, oppure in paese, come meglio
credeva Michele. Michele aveva detto che era meglio alla
Cantoniera, e si erano lasciati in pace.
Ora Michele doveva parlare di questo con sua madre, e
farle fretta, e non voleva, d’altra parte, dirle la ragione della
10 fretta: perché anche con Anna erano rimasti d’accordo di
non dire che Severina era incinta, finch’era possibile. E si
pentiva di non essersi confidato prima con sua madre.
Il mucchio delle fave da scegliere intanto diventava sem-
pre più piccolo. Tra poco Maddalena si sarebbe alzata,
15 avrebbe scosso dalle vesti la polvere e lo avrebbe lasciato
solo con la sua incertezza. Dopo tanta ostinazione, era lui
che temeva che sua madre non volesse ascoltarlo.
Finalmente si fece forza, e disse:
«E allora, mamma, cosa ne pensate voi di questa sposa?»
20 La voce gli tremava.
Maddalena indovinava i timori del figlio e voleva rifarsi,
ora che aveva bisogno di lei. Non rispose subito. In tutte
quelle settimane lo aveva sentito assorto in un pensiero di
cui non aveva voluto farle parte; e benché, da quando aveva
25 indovinato che si trattava di Severina, si fosse tranquilliz-
zata, ora le pareva di aver molto sofferto per quel silenzio.
«Io non so di che cosa parli» disse.
Egli sentì l’ostilità di sua madre, e, per un momento, fu
sul punto d’alzarsi e andarsene nella stalla; ma pensò quan-
30 to sarebbe stato difficile poi far la pace e tornare con animo
mutato su quell’argomento.

3. Calmatasi, Anna aveva] Anna |aveva detto| (›disse‹) D /Calmatasi,/


Anna aveva detto D1     10. fretta:] fretta; D fretta: (← fretta;) D1     12. pri-
ma] prima, D prima (← prima,) D1     13. scegliere] scegliere ›diminuiva‹
D     15. dalle vesti la polvere e] le vesti dalla polvere, e D dalle (← le) vesti
la (← dalla) polvere, e D1 D2 dalle vesti la polvere (← polvere,) e B     21.
Maddalena indovinava] Come se indovinasse D Maddalena indovina-
va (← Come se indovinasse) D1  ◆  voleva] volesse D voleva (← volesse)
D1     22. Non] Maddalena non D ›Maddalena‹ Non (← non) D1     
Michele Boschino 95

«Via! non ditemi che non avete capito di chi si tratta»


tentò.
Forse sua madre aveva ragione di essere inquieta con
lui. Di nuovo si pentì di non aver parlato prima, sentì un
rimorso acuto, una grande pietà per la solitudine di sua 5
madre. Avrebbe dovuto cedere, rinunciare al piacere che
quel segreto gli dava; non avrebbe neppure dovuto teme-
re l’asprezza di sua madre. Sapeva che quell’asprezza era
innocua; e solo ora, e solo per colpa sua, poteva diventare
pericolosa. Aspettò col cuore sospeso, deciso a sopportare 10
in pace qualunque cosa sua madre dicesse.
Maddalena continuava a sceglier le fave senza neppure
alzare gli occhi. Il fazzoletto bianco che s’era messa in te-
sta per ripararsi dalla polvere le nascondeva la faccia. Le
sue vecchie dita mezzo rattrappite avevano annodato quel 15
fazzoletto dietro la nuca. Lei era vecchia, e sola come tut-
ti i vecchi. Michele si ricordò di Anna e di Severina. Non
pensava, in quel momento, alle parole aspre di Anna, alle
sue imprecazioni, ma invece alla reciproca tenerezza che
sempre egli aveva scoperto in ogni gesto delle due sorelle, o 20
quando una parlava dell’altra; come si capivano, come s’a-
iutavano a vicenda nei lavori della casa; e paragonava tutto
questo alla lunga solitudine di sua madre. Avrebbe avuto
pazienza, l’avrebbe lasciata sfogare. Anzi desiderava che sua
madre fosse aspra con lui, ora, che fosse aspra e lo punisse. 25
Invece Maddalena disse:
«A me sembra una brava ragazza, e anche adatta alla tua
condizione».

1. non] Non D D1 D2 non (← Non) B     4. lui. Di] lui; e di D D1 D2 lui.


Di B     9. e solo ora] mentre ora D •e solo (›mentre‹) ora D1     11. dices-
se] avesse detto D |dicesse| (›avesse detto‹) D1     13. alzare] alzar D D1 D2
||alzare|| (›alzar‹) B     15. rattrappite] rattrapite D D1 D2 B ≠ M2     16-17.
come tutti] come sono tutti D D1 D2 B ≠ M2     18. momento,] momento
D D1 D2 B ≠ M2  ◆  aspre] cattive D •aspre (›cattive‹) D1     21-22. dell’al-
tra…s’aiutavano] dell’altra, e come s’aiutavano D dell’altra, ›e‹ /come si
capivano,/ come s’aiutavano D1 D2 dell’altra; (← dell’altra,) come si capi-
vano, come s’aiutavano B     22-23. tutto questo] questo D /tutto/ questo
D1     25. che…punisse] e lo punisse D /che fosse aspra/ e lo punisse D1     
96 GIUSEPPE DESSÌ

Lo disse con voce acuta e dispettosa, ma lo disse. Ci aveva


pensato tanto, in tutto quel tempo, che questa risposta, che
era stata la conclusione dei suoi lunghi soliloqui, le venne
alle labbra spontanea.
5 Si guardarono senza dir nulla, per un momento.
«Non ve n’ho parlato prima perché sapevo che lo avevate
indovinato» disse Michele. E in quel momento ci credeva
davvero. Maddalena si strinse nelle spalle col suo solito ge-
sto di scontrosa rassegnazione. Egli si sentì il pianto in gola.
10 Si piegò sul sacco e s’abbandonò. Singhiozzava forte, con
quello strazio che è nel pianto degli uomini, ma anche con
voluttà segreta, come accade quando si è certi che il pianto
porterà pace. Maddalena gli posò una mano sulla spalla e
prese a scuoterlo dolcemente.
15 «Cosa dovrei fare io, allora! Quante pene ho patito! quan-
te brutte cose ho pensato, prima di capire che era lei!»
Michele si calmò, per ascoltarla.
«Tante cose pensavo. E dicevo: “Chi sa chi è! chi sa chi
mi porta in casa!”. Poi mi sono ricordata che passavi sem-
20 pre davanti alla Cantoniera, col carro. E allora dicevo: “Dio
mio, fate che sia vero, fate che sia quella!”. Perché non ero
ancora sicura e tu non dicevi nulla. Hai voluto fare tutto
come se io non ci fossi più».
Michele aveva ripreso a sceglier le fave, e lacrimava in
25 silenzio. Non solo le sceglieva, ma le contava anche, ozio-
samente, prendendone cinque per volta. Le rivoltava a una
a una col pollice nel palmo della mano prima di gettarle
nel sacco. Maddalena, anche lei ogni tanto si asciugava una
lacrima con la cocca del fazzoletto.

1. acuta…disse] aspra e dispettosa. D •acuta (›aspra‹) e dispettosa, (←di-


spettosa.) /ma lo disse./ D1     2. che] che ›si era data [—]‹D     3-4. dei
suoi…spontanea.] di tanti lunghi ragionamenti, l’era venuta spontanea
alle labbra. D •dei suoi (›di tanti‹) lunghi •soliloqui, le venne (›ragiona-
menti, l’era venuta‹) spontanea alle labbra. D1 D2 dei suoi lunghi soliloqui,
le venne alle labbra ||spontanea||. B     10. sul sacco e s’abbandonò] sul
saccone e s’abbandonò senza freno D sul sacco (← saccone) e s’abbandonò
›senza freno‹ D1     22. sicura] sicura, D D1 D2 sicura B     24-25. e lacrima-
va…solo] in silenzio, tanto per far qualcosa, e non solo D /e lacrimava/ in
silenzio. (← silenzio,) ›tanto per far qualcosa, e‹ Non (← non) solo D1     28.
Maddalena, anche lei] Maddalena D Maddalena|,| /anche lei,/ D1 D2 Mad-
dalena, anche lei B     
Michele Boschino 97

«È vero ch’è magrolina e alta?»


«Sì, è magrolina, ma non tanto alta» rispose Michele.
«Le ragazze che conoscevo le passavo tutte una per una,
e dicevo: “Questa non può essere, per questa e questa ra-
gione; e questa nemmeno; questa potrebbe essere, ma Dio 5
voglia che non sia”. Così per tutte. A lei non ci pensavo. Tu
invece eri tranquillo, e non te ne importava nulla».
«Sì, ero tranquillo».
«Ma dopo tutti i brutti pensieri che avevo fatto, anche se
l’avevo vista una volta sola ero contenta lo stesso». 10
Michele le disse come l’aveva conosciuta, come avesse
sentito subito simpatia per quella forestiera che lo guarda-
va di dietro la siepe, le disse come aveva indicato alle don-
ne della Cantoniera la sorgente d’Orèsula quel giorno che
aveva chiesto l’acqua per le ruote del carro; raccontò tutto, 15
quasi per ripagare sua madre del lungo silenzio, tranne ciò
ch’era avvenuto nel capanno, anzi parlò in modo d’allonta-
nare ogni sospetto; ma la vecchia non lo ascoltava già più,
e sospirava seguendo un suo pensiero. Pensava ad Angela.
Forse non sarebbe stata una buona moglie anche Angela? 20
Ora tutto era passato, dimenticato, eppure lei la rimpiange-
va anche in quel momento.
«Certo è sempre meglio prendere una del proprio paese»
disse dopo un poco; ma subito aggiunse: «Non per altro:
per le abitudini diverse. In ogni paese ci sono abitudini di- 25
verse e cambiarle è difficile. Da paese a paese cambia anche
il modo di maneggiare lo staccio».
«Non ci sarà niente di male se maneggia lo staccio a suo
modo» disse Michele.
«Sarà d’indole buona» disse Maddalena. 30

Alcuni giorni dopo andarono a Monte Ulìa a seminar le


fave, e passando davanti alla Cantoniera si fermarono sotto

15. carro;] carro, D D2 carro; (← carro,) D1     16. quasi…silenzio,] per


appagare la curiosità di sua madre, D /quasi/ per •ripagare (›appagare la
curiosità di‹) sua madre /del lungo silenzio,/ D1     18. sospetto] sospetto
/›di quel fatto‹/ D1     21. Ora] ›Michele non ci pensò‹ Ora D     23. è] |è|
(›era‹) D     24. poco;] poco, D D1 D2 poco; (← poco,) B     
98 GIUSEPPE DESSÌ

i pini. Severina si fece sulla porta, e vedendo che Michele


era con sua madre corse dentro a chiamare Anna. Maddale-
na stette seduta sul carro e, secondo l’uso, lasciò che le due
giovani s’avvicinassero. Allora scese e baciò prima Anna e
5 poi Severina.
«Se vuoi venire a Monte Ulìa» disse a Severina «oggi se-
miniamo le fave. E siccome speriamo di mangiarcele insie-
me, l’inverno che entra…»
Il viso di Severina, solitamente pallido, s’era fatto di fiam-
10 ma e gli occhi sembravano azzurri nel viso animato. Mad-
dalena pensava, guardandoli, agli occhi di Angela, ch’erano
scuri come gli occhi di tutte le donne di Sigalesa; occhi fa-
miliari, nei quali si potevano leggere i pensieri. Questi inve-
ce erano sconosciuti e spauriti; occhi di bambina spaurita,
15 ma chi sa quali pensieri nascondevano. S’accorse, guar-
dandoli, che non erano celesti, come le erano sembrati un
momento prima, ma grigi. «Sono donne che sfioriscono
presto» pensò.
«Speriamo che diano buon frutto» disse Anna.
20 Entrarono. Tutto era in ordine, nella stanza. C’era un
buon odore di caffè, e i mattoni del pavimento annaffiati
di fresco.

4-5. Anna e poi Severina] Severina e poi Anna D D1 D2 2Severina e poi


1
Anna B     16. come le erano] com’erano D come le erano (← com’erano)
D1     20. stanza. C’era] stanza, come se l’aspettassero, c’era D D1 D2 stan-
za. (← stanza,) ›come se l’aspettassero,‹ C’era (← c’era) B
Michele Boschino 99

XII

A Sigalesa, come del resto in tutti i paesi del Centro, 5


di Parte d’Ispi e del Gocèano, è costume che l’uomo che
si sposa provveda alla casa, la donna alla biancheria e alle
masserizie, il cui trasporto vien fatto con grande pompa
con carri a buoi adorni di canne fresche; ed è una specie di
corteo prenuziale.21 Tutto il paese sa quel che la sposa porta 10
nella nuova casa. Di qui lo scrupolo con cui tutti, compresi
i più poveri, s’attengono a certi usi, che variano del resto
secondo la condizione degli sposi. Ma la roba di Severina
stava comodamente in un canestro. Anna s’era messa a cu-
cirle in gran fretta un paio di camicie, mentre lei per vincere 15
la trepidazione dell’attesa continuava a badare ai lavori di
casa senza concedersi un minuto di riposo. Dopo la visita
di Maddalena alla Cantoniera, anche Anna e Raffaele erano
andati a Sigalesa, e siccome Anna disse che sua madre era
indisposta e non poteva muoversi da Mamusa per il mo- 20
mento, avevano deciso di affrettare le nozze il più possibile,

6. Gocèano,] Gocèano D D1 D2 B ≠ M2  ◆  l’uomo] l’uomo ›provveda alla


casa‹ D     7. la donna] la donna ›alle masserizie‹ D     8. il cui trasporto
vien] il trasporto delle quali viene D D1 D2 il ||cui|| trasporto ›delle quali‹
vien (← viene) B     9. con…ed è] e costituisce D /con carri a buoi adorni
di canne fresche/ .ed è già (›e costituisce‹) D1 D2 con carri a buoi adorni
di canne fresche|;| ed è ›già‹ B     12. certi usi] certe regole fisse D •certi
usi (›acerte regole fisse bcerte norme‹) D1     13. secondo…Ma] a seconda
delle diverse categorie di persone, dal salariato al ricco proprietario. Ma D
a /secondo/ seconda delle •condizioni degli sposi. (›diverse categorie di
persone, dal salariato al ricco proprietario.‹) Ma D1 D2 secondo la condi-
zione (← a seconda delle condizioni) degli sposi. Ma B     15-16. lei…conti-
nuava] lei continuava D D1 D2 lei ||per vincere la trepidazione dell’attesa||
continuava B     17. riposo. Dopo] riposo, e così vinceva la trepidazione di
quei giorni d’attesa. Dopo D D1 D2 riposo›, e così vinceva la trepidazione
di quei giorni d’attesa‹. Dopo B     18. Cantoniera,] |Cantoniera| (›Can-
toniera‹) D D1 D2 Cantoniera|,| B     19. e siccome Anna disse] e siccome
›la madre di‹ Anna ›e di Severina era stata‹ disse D     21. avevano deciso]
|avevano deciso| (›tutti furono‹) D     

21
In D D1 D2 il capitolo è numerato IX.
100 GIUSEPPE DESSÌ

ed erano andati dal prete per le pubblicazioni. Michele, vi-


sto che sua madre era del parere di Anna, lasciava fare alle
donne e aspettava pazientemente il giorno delle nozze con-
tinuando a occuparsi dei suoi lavori. Già si facevano vivi
5 con maggior cordialità nel saluto e nell’interesse premu-
roso che mostravano nell’informarsi della sposa quelli che
presumibilmente sarebbero stati invitati alle nozze. È una
cosa a cui tutti tengono come dovuta, amici e conoscenti.
Con la stessa pazienza con cui squadra da sé le pietre per
10 fabbricar la casa o impasta e fa seccare al sole i mattoni cru-
di, il contadino mette anche da parte gli scudi da spendere
per la festa di nozze. In un solo giorno spende una somma
che basterebbe a mantenere la nuova famiglia per buona
parte dell’invernata; ma questa prodigalità lo ristora nella
15 vita di stenti che continuamente conduce. A pensarci, pare
strano che, dopo questa prodigalità che si direbbe l’inizio
di una nuova era, più prospera e libera, possa riprendere
senza fatica la vita parsimoniosa e lenta di prima. Molto
per tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che
20 deve costruire o che sta costruendo o che ha già costruito, e
aspetta la donna. Si chiude in questa idea come l’esquimese
nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una ca-
loria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che
fabbrica le cellette di cera e le riempie di miele. Le nozze poi
25 risvegliano in lui una fierezza, un orgoglio che ha bisogno
di un riconoscimento, sia pure momentaneo.22

1. ed erano andati] e andarono D ed (← e) •erano andati (›andarono‹)


D1     3. e aspettava] e ›si rimetteva a loro [—]‹ aspettava D     8-9. cono-
scenti. Con] conoscenti, e a cui neppure i più poveri vorrebbero sottrarsi.
Con D D1 D2 conoscenti›, e a cui neppure i più poveri vorrebbero sottrar-
si‹. Con B     9. cui squadra] cui ognuno squadra D cui ›ognuno‹ squadra
D1     11. il contadino mette] mette D /ognuno/ mette D1 D2 •il contadino
(›ognuno‹) mette B     12. solo] solo D sol (← solo) D1 D2 B  ◆  spende] si
spende D D1 D2 ›si‹ spende B     14. lo ristora] ristora il contadino D D1 D2
||lo|| ristora ›il contadino‹ B     

A pensarci, pare strano…sia pure momentaneo.] cfr. Appendice (Cap.


22

XII).
Michele Boschino 101

Lo zio Teodoro, visto che le cose più importanti dovevano


essere tralasciate, volle che almeno la festa riuscisse bene, e
s’incaricò lui di far tutto secondo le regole. Mandò Caterina
dai parenti, compresi Benedetto e Salvatore, dai compari
e dalle comari di Maddalena e del povero Giuseppe, dagli 5
amici, dai conoscenti, dai vicini di casa e di campagna. Un
certo numero di queste persone doveva prender parte al
pranzo di nozze, le altre solo al corteo nuziale e al ballo. Fu
comprata una botte di vino per gli ospiti d’occasione, e ce
n’era per mezzo paese. I testimoni dovevano essere Giovan- 10
ni Battista Asara e Cosimo Aneris. Michele, che fin allora
aveva lasciato fare, cercò di opporsi, ma gli saltarono ad-
dosso tutti: Cosimo Aneris era il più vecchio compare della
buonanima Giuseppe, che gli aveva tenuto a battesimo un
figlio, e non poteva esser lasciato da parte. Che ragione c’era 15
di lasciarlo da parte? Tutti erano d’accordo con lo zio Teo-
doro, in questo, la zia Luisa, Maddalena e anche Anna. Così
Michele dovette andare con lo zio a invitare Cosimo. Dal
tempo della grassazione s’erano visti di rado, e, per quanto
agli occhi della gente passassero per buoni amici, avevano 20
sempre cercato di non incontrarsi, per quanto potevano.

2. almeno] per lo meno D •almeno (›per lo meno‹) D1     3. tutto] le cose D


D1 D2 ||tutto|| (›le cose‹) B     4. dai] in casa di tutti D da (›in casa di‹) tutti
D1 D2 ||dai|| (›da tutti‹) B  ◆  dai] i D dai (← i) D1     5. dalle] le D dalle (← le)
D1  ◆  dagli] gli D dagli (← gli) D1     6. dai] i D dai (← i) D1  ◆  dai] i D dai
(← i) D1     6-7. Un certo numero] |Un certo numero| (›una parte di queste
persone‹) D     8. al corteo] al ›al ballo, ma tutti erano invitati per il corteo‹
corteo D     9-10. vino…paese.] vino, e ce n’era per mezzo paese. D vino,

per gli ospiti d’occasione, ›[—]‹ e ce n’era per tutto il paese. (›e ce n’era per
mezzo paese.‹) D1 D2 vino (← vino,) per gli ospiti d’occasione, e ce n’era per
mezzo paese. B     11. fin allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     14. buonani-
ma Giuseppe] buonanima di Giuseppe D D1 D2 B ≠ M2     15-16. da parte.
Che ragione…Tutti] da parte senza una buona ragione. ›Michele dovette
andare‹ Tutti D •Che ragione c’era di lasciarlo da parte? (›da parte senza
una buona ragione.‹) Tutti D1     20-21. amici…potevano.] amici, s’erano
sempre evitati. D amici, •avevano sempre cercato di non incontrarsi, per
quanto potevano. (›s’erano sempre evitati.‹) D1     
102 GIUSEPPE DESSÌ

Ognuno temeva il ricordo che l’altro conservava di quella


notte lontana che doveva rimanere sepolta per sempre nella
memoria. Non si vedevano con piacere. Anche Cosimo ri-
mase meravigliato, quando lo zio Teodoro, con frasi fiorite
5 adatte alla circostanza gli disse la ragione della loro visita;
ma solo Michele s’accorse di questa meraviglia. Da parte
sua, Cosimo, conoscendo le usanze, capì che Michele non
aveva potuto far nulla per evitare la cosa, che aveva dovuto
adattarsi, e fece lo stesso anche lui.
10 «E così ti sposi» gli disse mettendogli una mano sulla
spalla e scuotendo la testa come se dentro di sé disappro-
vasse quel fatto. «Ti auguro buona fortuna».
Lo zio Teodoro prese a parlare animatamente facendo gli
elogi della sposa e del paese della sposa; parlò in termini
15 poetici dell’amore dei due giovani, della casa in mezzo alla
pianura, dove la colomba s’era posata prima di spiccare il
volo verso i boschi di Monte Grinu. Cosimo si limitava a
sorridere ogni tanto, per cortesia, scuotendo la testa, come
a significare che lui era ormai lontano da tutte quelle pazzie.
20 In quegli ultimi anni, dopo lo spavento della Cantòria, s’era
ingrassato ancora di più, tanto che non poteva più montare
a cavallo e aveva dovuto comprare un calessino per andare

1-3. di quella…piacere.] di quella |notte| (›sera‹) ormai lontana nel tempo


e che doveva rimanere sepolto per sempre nella memoria, e non si vedeva-
no con piacere. D di quella notte ›ormai‹ lontana ›nel tempo e‹ che doveva
rimanere sepolto per sempre nella memoria. Non (← memoria, e non) si
vedevano con piacere. D1     4. quando] ›sentendo la ragione per cui erano
andati da lui‹ quando D     6-7. Da parte…capì] Per suo conto Cosimo
capì D •Da parte sua, (›Per suo conto‹) Cosimo, /conoscendo le usanze,/
capì D1     8. che aveva] ›e‹ che ›la cosa di‹ aveva D     9. adattarsi] adattarsi
alle circostanze D adattarsi ›alle circostanze‹ D1  ◆  lo stesso] altrettanto
D •lo stesso (›altrettanto‹) D1     11-12. come se…fortuna».] come se di-
sapprovasse quel fatto. «Ti auguro fin d’ora buona fortuna». D come se
disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D2 come
se /dentro di sé/ disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona
fortuna». D1     14. sposa] sposa, D D1 D2 sposa (← sposa,) B  ◆  sposa;]
sposa, D D2 sposa; (← sposa,) D1     15. casa] |casa| (›Cantoniera‹) D     17.
Cosimo si] Cosimo non gli badava, e si D Cosimo ›non gli badava, e‹ si
D1     18. cortesia] compiacenza D D1 D2 ||cortesia|| (›compiacenza‹)
B     20. Cantòria,] Cantòria D Cantòria, (← Cantòria) D1     21. poteva]
potendo D poteva (← potendo) D1     22. cavallo e aveva] cavallo aveva D
cavallo e aveva D1     
Michele Boschino 103

a sorvegliare i lavoranti in campagna. Le disgrazie che lo


avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza; era
una disgrazia anche quella. Un anno gli avevano incendiato
l’aia, un altro, le vacche s’erano abbeverate a un acquitrino
ed erano state colpite dalla moria; un’altra volta suo figlio 5
Gavino era stato trovato in una siepe di fichidindia con le
mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da
una coltellata, dall’occhio al mento. Chi fosse stato a sfre-
giarlo così non s’era mai saputo; il ragazzo non aveva mai
voluto parlare, tanto grande era stato il suo spavento e così 10
terribili le minacce che gli avevan fatto. Era un ammoni-
mento che davano a Cosimo, e solo lui sapeva da dove ve-
niva – lui e Michele.23
«Ti auguro di aver più fortuna di me e di tuo padre» disse.
«Eh! fortuna! fortuna! Vedrai che tutto andrà bene, per 15
questo giovanotto» gridava allegramente lo zio Teodoro, a
cui suonava male il replicarsi dell’augurio. «L’ha già avuta
la fortuna, l’ha trovata alla Cantoniera di Matta Romana,
lui!»
«La fortuna» diceva Cosimo lentamente, senza rivolgersi 20
né a Michele né al vecchio, ma quasi parlando per suo con-
to «è come la volpe. Bisogna prenderla nella sua stagione,
perché conservi il pelo, se no il pelo se ne va nella concia.
Noi la stagione della volpe la conosciamo, e il laccio lo met-
tiamo al tempo giusto. Ma la stagione della fortuna chi la 25
conosce? Credi di averla in mano, e invece hai una pelle
tignosa».
«Bisogna aver pazienza» disse Michele. «La vita non la
facciamo noi».
«Se lo sapevo» disse lo zio Teodoro quando si fu tirato il 30
portello dietro le spalle «non ci mettevo piede, nella tana
di quel cinghiale. Hai visto che faccia da nozze! Mi ha fatto
passar l’allegria».

17. suonava] cominciava a suonar D ›cominciava a‹ suonava (← suonar)


D1     22. nella sua stagione] nella stagione sua D D1 D2 nella 2stagione 1sua
B     25. fortuna] fortuna, D D1 D2 B ≠ M2     
23
Le disgrazie che lo avevano…lui e Michele.] cfr. Appendice (Cap. XII).
104 GIUSEPPE DESSÌ

Per fargliela tornare ci volle la vernaccia di Giovanni Bat-


tista Asara.

5 Il giorno fissato per le nozze, lo zio Teodoro venne per


tempo a casa di Michele; e mentre le donne, in attesa del
corteo della sposa, preparavano il caffè in cucina, si sedette
in cortile sotto la vite e cavata la zampogna di sotto la casac-
ca cominciò a suonare. All’improvviso l’aria si riempì del
10 ronzio armonioso di tutte le canne insieme, poi nel suono
grave e uniforme del bordone serpeggiarono note lunghe e
chiare, una cantilena tremula di molte voci. A quell’ora gli
invitati cominciavano a uscire per andare in chiesa, le don-
ne coi loro scialli a fiori, gli uomini con la camicia candida
15 che veniva fuori a sbuffi dalla spaccatura delle maniche,
unico segno di festa.
Ma non ostante la confusione, fu una magra festa, a giu-
dizio degli invitati e di quanti s’affacciavano alla porta per
veder la sposa e bere un bicchier di vino alla sua salute.
20 Dopo il pranzo, che, secondo il costume, si protrasse per
alcune ore, la fisarmonica d’Anacleto s’aggiunse alla zam-
pogna dello zio Teodoro, e cominciarono i balli. Anche Se-
verina dovette ballare. Si sentiva girar la testa e temeva che
la gente, accorgendosene, attribuisse il suo malessere a chi
25 sa quali cause e ci fantasticasse su. Tre volte dovette aprire
il ballo: la prima volta con lo sposo, la seconda con Cosimo
Aneris, la terza con Giovanni Battista Asara; e in cuor suo,
vedendo – siccome ballavano in cortile – il cielo nuvoloso,
diceva: «Almeno piovesse! Santa Barbara mia, fate che pio-
30 va!». Nella valle di Nadòria, si sentiva il brontolio lontano

12-13. gli invitati] |gli invitati| (›i compa‹) D     13. uscire per andare]
uscire dalle loro case per andare D uscire ›dalle loro case‹ per andare
D1     15. veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva fuori‹) D1 •veniva
fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B     17. confusione, fu] confu-
sione di quella lunga giornata, fu D confusione ›di quella lunga giornata‹,
fu D1     19. veder la sposa] vedere la sposa D veder (← vedere) •la (›ala bgli‹)
sposa D1  ◆  sua] sua /›loro‹/ D1     21. la fisarmonica d’Anacleto] una fi-
sarmonica D •la (›una‹) fisarmonica /d’Anacleto/ D1     22. Anche] |Anche|
(›Si sen‹) D     24. accorgendosene] ›[—]‹ accorgendosene D     30. Nella]
Infatti, nella D ›Infatti,‹ Nella (← nella) D1     
Michele Boschino 105

del tuono, e gli uomini, alzando la testa a guardare le nu-


vole, dicevano: «Ci vuole, quest’acqua! Vero Michele che ci
vuole, quest’acqua?». Michele, che ballava serio e composto
tenendo la mano di Barbara Asara, sorrideva senza rispon-
dere nulla; e il pensiero della pioggia lo rallegrava e lo por- 5
tava lontano dalla festa. Ballando cercava di non guardare
Cosimo Aneris, che dopo aver fatto il giro d’obbligo era
tornato a sedersi sul muricciuolo delle brocche accanto alla
finestra con la larga cintura di cuoio slacciata sul ventre. Gli
sembrava che la presenza di quell’uomo fosse di malaugu- 10
rio, nella sua casa, in quel giorno, e attraverso l’impassibi-
lità del viso grasso e triste di Cosimo gli pareva di sentire il
rancore che quell’uomo doveva nutrire per lui, ch’era stato
risparmiato dalla sorte. Dalla sorte o dagli uomini? Perché
non avevano lasciato tranquillo anche Cosimo come ave- 15
vano lasciato tranquillo lui? Tante volte Michele, quel gior-
no, si era fatto questa domanda; ed ecco che finalmente la
risposta gli era venuta. Non l’avevano molestato per via di
Giovanni, perché suo cugino Giovanni era della banda, an-
che se si eran dovuti sbarazzare di lui; e così anche Michele 20
si poteva dire che appartenesse alla banda. Eppoi la fine di
Giovanni era stato un ammonimento abbastanza forte. Egli
scacciò subito questo pensiero. Era contento, e non voleva
che nulla potesse turbare la sua gioia; né il chiasso della fe-
sta, né la gente, né la presenza di Cosimo. Tante volte Seve- 25
rina, quando andava da lui a Monte Ulìa, vedendolo assorto
in se stesso, gli aveva chiesto perché era triste; ma lui non
era triste: era contento, anche se non sapeva comunicarla a
lei, la sua gioia. Perché era contento, non lo sapeva neppure
lui. Si sentiva bene dentro. Il benessere che sentiva prima 30

2. vuole,] vuole D vuole, (← vuole) D1     3. vuole,] vuole D D1 D2 vuole, (←


vuole) B     8. sul] |sul| (›sotto il‹) D     9. ventre] ventre ›e il viso impassibi-
le‹ D     22. era stato] doveva essere stato D D1 D2 ||era|| (›doveva essere‹)
stato B  ◆  Egli] Ma il giovane D •Egli (›Ma il giovane‹) D1     24. gioia;]
gioia, D D2 gioia; (← gioia,) D1     26. vedendolo] ›gli aveva chiesto per‹
vedendolo D     29. contento,] contento D contento|,| D1     
106 GIUSEPPE DESSÌ

intorno a sé, nell’aria, nel grano, negli alberi, lo penetrava,


se lo sentiva rinascere proprio dal di dentro. Se ci pensa-
va, attribuiva la sua contentezza a qualcosa che gli riusciva
bene – di solito piccole cose senza importanza – o la pren-
5 deva come un augurio di buona riuscita per qualche cosa
che si era proposto di fare o che, in quel momento stes-
so, si proponeva di fare. Occupava così la sua contentezza,
che altrimenti restava sospesa in aria, senza ragione e senza
scopo. Non sospettava quali origini avesse quel sentimen-
10 to, che egli sentiva subito il bisogno di limitare, di unire a
fatti e oggetti vicini, noti. Come ora egli univa, ballando, la
sua gioia al pensiero che tra poco gli invitati se ne sareb-
bero andati e avrebbero lasciato la casa di nuovo vuota. Le
nuvole, il brontolio del tuono, le folate di vento fresco che
15 spazzavano a tratti il cortile e i tetti, erano l’aspetto e la voce
di questa gioia sconosciuta anche per lui.
Era venuto anche lo zio Benedetto. S’era ficcato in cucina
e aveva voluto arrostire lui gli agnelli e i porchetti. Miche-
le vide con meraviglia che Maddalena lo lasciava fare e ri-

1-2. a sé…penetrava, se] a lui, lo pervadeva, se D a lui, /nell’aria, nel grano,


negli alberi,/ lo •penetrava (›pervadeva‹), se D1 D2 a ||sé|| (›lui‹), nell’aria,
nel grano, negli alberi, lo penetrava, se B     7. fare. Occupava] fare, oc-
cupando D fare. Occupava (← fare, occupando) D1     8-9. restava…Non]
restava così, come sospesa in aria. E non D restava ›così, come‹ sospesa in
aria, (←aria.) /senza ragione e senza scopo/. Non (← E non) D1     10-11. il
bisogno…fatti] il bisogno ›di fissare‹ di limitare, di ›fissare a qualcosa di
vicino, di visibile‹ fissare a fatti D il bisogno di limitare, di •unire (›fissare‹)
a fatti D1     11. Come ora egli univa] ›Un religioso timore gl’impediva di
pensare in astratto alla vita.‹ Perciò egli applicava D Perciò egli •univa (›ap-
plicava‹) D1 D2 ||Come ora|| (›Perciò‹) egli univa B     13. vuota] vuota, o
al pensiero della pioggia. D vuota, (← vuota,) ›o al pensiero della pioggia.‹
D1     15. spazzavano] spazzava D spazzava|no| D1  ◆  e i tetti, erano] ›e i
tetti, erano‹ erano D •e i tetti, (›e i tetti, erano‹) erano D1     17. Era] ›Lo zio
Benedetto era stata la sola persona veramente allegra della compagnia. S’e-
ra ficcato in cucina, aveva‹ Era D     18-19. porchetti. Michele] porchetti; e
Michele D porchetti. Michele (← porchetti; e Michele) D1     
Michele Boschino 107

spondeva scherzando alle sue battute spiritose. Certamente


c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e
Benedetto avevano preso parte, in gioventù; forse, in altri
tempi, tutti erano stati così d’accordo, e ora i due vecchi
avevano ripreso a scherzare come a quei tempi lontani, 5
come se nulla fosse stato. “E neanche lui non sa niente di
me e di Cosimo” pensava Michele. “E io non gli dirò mai
nulla, mai. Lui può dimenticarsi di suo figlio; io non potrò
dimenticarmene mai”.
A un tratto le ginocchia di Severina si piegarono, e Gio- 10
vanni Battista Asara fece appena a tempo a sorreggerla. I
balli cessarono subito. Fu portata in casa dalle donne; poi,
quando la zia Luisa disse che non era niente di grave, gli
invitati cominciarono a sfollare. Rimasero solo la zia Luisa,
lo zio Teodoro e i parenti di Severina; poi anche loro se 15
n’andarono, ch’era già notte e piovigginava. Le voci delle
donne facevano uno strano effetto a Michele, nel buio. Gli
pareva di udire la voce di Severina moltiplicata su bocche
diverse, perché quelle donne venute da Mamusa avevano
tutte la stessa cadenza un po’ strascicata. Gli pareva di sen- 20
tir Severina che salutasse dalla carretta; mentre invece lei
se ne stava silenziosa accanto a lui e salutava con la mano,
come se quelle, nel buio, potessero vederla. Poi gridò: «Ad-
dio Stefania, addio Greca, addio Rosaria!… Salutatemi
tutti!…». Allora Michele s’accorse come la voce di lei fosse 25
diversa dalla voce di tutte quelle altre donne, e anche questo
gli diede gioia.

1-5. Certamente…ripreso] forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’ac-
cordo, e c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Bene-
detto avevano preso parte, in gioventù; e ora avevano ripreso D 2forse,
in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, 1›e‹ /Certamente/ c’erano
state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso
parte, in gioventù; 3e ora ||i due vecchi|| avevano ripreso D1     6. non sa]
sa D /non/sa D1     8. può] |può| (›pot‹) D     12. subito. Fu] subito, e fu D
subito. Fu (← subito, e fu) D1     13. che…gli] che non si trattava che di un
malessere passeggero, gli D che •non era niente di grave (›non si trattava
che di un malessere passeggero‹), gli D1     19-20. avevano tutte] parlavano
avevano D ›parlavano‹ avevano /tutte/ D1     21. carretta;] carretta, D D2
carretta; (← carretta,) D1     25. la voce] la ›sua‹ voce D     26. dalla voce] da
quella D •dalla voce (›da quella‹) D1
108 GIUSEPPE DESSÌ

XIII

5 Quando, dopo le nozze, Maddalena non seppe resistere


alla tentazione di riferirgli certe chiacchiere che la gente
aveva fatto sul matrimonio, Michele, invece di adirarsene,
come sua madre s’aspettava, disse che non gliene impor-
tava nulla.24 Dicevano che s’era sposato come un vedovo,
10 che Severina era povera e lui poteva aspirare a qualcosa di
meglio, che non valeva la pena di andare a cercare tanto
lontano una ragazza come Severina quando in paese ce n’e-
rano tante dieci volte meglio. La gente poteva dire quel che
voleva: cosa ne sapeva di Severina? Ciò ch’era avvenuto tra
15 lui e Severina nel capanno di Monte Ulìa, lo sapevano solo
lui e Severina. La gioia che lui ne aveva avuto, forse non l’a-
veva indovinata neppure lei, poveretta, che aveva fatto tanti
pianti di nascosto, in casa della sorella. Nessuno poteva pe-
netrare nella sua vita; avrebbero finito per tacere. Che poi la
20 gente dicesse che Severina non era bella, non gli dispiaceva.
Severina era diversa dalle donne di Sigalesa. Non era come
tante altre sulle quali anche a lui era capitato di metter gli
occhi con desiderio; tante, delle quali i giovani parlavano
tra loro. Era contento che quelli di Sigalesa avessero visto
25 Severina soltanto allora e non l’avessero trovata bella. Se-

5. Quando] ›Come accade alle persone che si trovano all’improvviso in


una condizione nuova, Severina fantasticava per suo conto anche quand’e-
ra in compagnia. Le piacevano certi lavori quieti, come mondare il grano
e fare la farina, e /le tornavano in mente/ le canticchiava a mezza voce
[—] le nenie con le quali ninnava i bambini di sua sorella, e le cantava a
mezza voce‹ Quando D     7. sul] sul suo D D2 sul ›suo‹ D1     16. Severina.
La gioia che lui] Severina; e la gioia che D Severina. La (← Severina; e
la) gioia che /lui/ D1     17-18. che aveva…nascosto,] che |piangeva| (›s’era
messa a piangere‹) di nascosto D che •aveva fatto tanti pianti (›piangeva‹)
di nascosto|,| D1     19. avrebbero] e avrebbero D ›e‹ avrebbero D1     20.
dispiaceva] poteva dispiacere D dispiaceva (← poteva dispiacere) D1     23-
24. desiderio…Era] desiderio, e i giovani ne parlavano tra loro. Lui era D
desiderio; (← desiderio,) •tante delle quali (›e i‹) giovani ›ne‹ parlavano tra
loro. Era (← Lui era) D1     

24
In D D1 D2 il capitolo è numerato X.
Michele Boschino 109

verina era come il campo di Monte Ulìa: prima che lui lo


diveltasse con l’aratro nessuno ne dava un soldo. Lui solo
ne conosceva i segreti e i pregi. Era contento di lei, anche se
la vedeva un po’ smarrita, ora, nella nuova casa.
5
Severina passava la maggior parte del tempo sola in casa
con Maddalena, tranne quando Michele la portava con sé a
Monte Ulìa, o quando venivano, la sera, la zia Luisa e Aure-
lia. Parlava poco, le piacevano i lavori quieti. E come tutte
le persone che si trovano all’improvviso in una condizione 10
nuova, fantasticava per suo conto. Tutto per lei era mutato
nel volgere di poche settimane, e faceva fatica a rendersene
conto. Fin allora non aveva mai avuto desideri e bisogni
suoi propri, dimenticandosi tutta nelle urgenti necessi-
tà della casa allo stesso modo di Anna. Da quando Anna 15
aveva avuto il secondo bambino, era stata sempre con lei,
aveva patito le sue gravidanze, i suoi parti, i suoi puerperii.25
Aveva adeguato la sua vita a quella di Anna e dei bambini
che venivano su; e i sentimenti materni suscitati in lei da
questa dedizione erano più assoluti di quelli della sorella 20
non essendo nati dai patimenti del corpo, che insegnano la
moderazione e la sapienza della natura, ma dall’istinto più
vergine e profondo del suo essere. Nel suo animo non c’e-
ra posto per altro, oltre quest’amore che la soggiogava, che
guidava tutti i suoi pensieri e annullava la sua fatica. Dall’al- 25
ba al tramonto era in faccende; tutti i lavori più pesanti del-
la casa erano i suoi, e in mezzo a tutte queste fatiche trovava
il tempo di stare con i bambini, di giuocare con loro. A se

1-2. lo diventasse] l’avesse diveltato D D1 D2 ||lo diveltasse|| (›l’avesse di-


veltato‹) B     2. dava] avrebbe dato D D1 D2 ||dava|| (›avrebbe dato‹) B     7.
la portava con sé] la menava seco D la •portava (›menava seco‹) D1 D2 la
portava ||con sé|| B     9. quieti. E] quieti, e D quieti. E (← quieti, e) D1     11.
Tutto per lei] Tutto|,| per lei|,| D1 D2     13. Fin allora] Fin’allora D D1 D2
B M2     14. suoi propri] veri e propri D D1 D2 ||suoi|| (›averi e b||veri e||‹)
propri B     16. secondo] primo D D1 D2 ||secondo|| (›primo‹) B     19. su-
scitati] •suscitati (›nati‹) D     

25
In IL si legge: «puerperi».
110 GIUSEPPE DESSÌ

stessa pensava solo di rado e vagamente; quand’ecco che


era entrato nella sua vita Michele. Se anche, prima d’allo-
ra, aveva pensato qualche volta che anche lei un giorno si
sarebbe sposata e avrebbe lasciato la casa della sorella, po-
5 neva tutto questo in un avvenire lontano, indeterminato. E
invece ecco ch’era sopraggiunta quell’improvvisa stanchez-
za, quel bisogno d’abbandono. Anna se n’era accorta anche
prima di lei, e ci aveva scherzato su, dapprincipio, poi era
diventata aspra, aveva preso a rimproverarla per delle cose
10 da nulla, a tempestarla di domande strane a cui lei non sa-
peva rispondere. Un giorno, ch’era stata come al solito a
Monte Ulìa per l’acqua, le aveva tolto dai capelli un rametto
secco, gliel’aveva messo sotto il naso sul palmo della mano.
Severina aveva capito il significato di quel gesto solo più
15 tardi, quando Michele l’aveva presa nel capanno. Allora
aveva desiderato ardentemente di andar via, di lasciare la
casa di sua sorella, di tornarsene da sua madre, a Mamusa.
Ed ecco che invece si trovava in una casa nuova, estranea,
quasi senza sapere come. Tutto s’era risolto per il meglio.
20 Tra i quattordici e i quindici anni era stata a servire in
casa di un possidente di Mamusa. Era una casa ricca, pie-
na di roba e di gente. C’erano molti servi e molto lavoro.
La sera si radunavano tutti in cucina, e stabilivano tutti
d’accordo, padroni e servi, quel che si doveva fare il giorno
25 dopo. I nomi dei poderi, delle vigne, degli orti, delle località
dov’erano i terreni da semina ricorrevano di continuo nei
loro discorsi, e i servi, parlando della roba del padrone, di-
cevano anche loro, la nostra vigna, il nostro oliveto, il nostro
orto, le nostre vacche. Il mandriano, il pastore, il porcaro, i
30 compartecipanti dell’aia, delle vigne e degli orti eran tenuti
in considerazione come se facessero parte della famiglia e

1-2. vagamente…era] vagamente, quand’era D vagamente; quand’ecco


che era (← vagamente, quand’era) D1     7. d’abbandono] |d’abbandono|
(›d’abbandonarsi‹) D     10. a tempestarla] ›Un giorno le‹ a tempestarla
D     10-11. sapeva rispondere] sapeva neppure rispondere. Un giorno
D sapeva ›neppure‹ rispondere. Un giorno|,| D1     14. aveva capito] •ave-
va capito (›capì‹) D     19. come. Tutto] come; e tutto D come. Tutto (←
come; e tutto) D1     25. dei poderi] dei diversi poderi D dei ›diversi‹ poderi
D1     28. oliveto] uliveto D D1 D2 oliveto (← uliveto) B     31. facessero]
|facessero| (›fossero‹) D     
Michele Boschino 111

avevano sotto di sé i servi più giovani e i braccianti che lavo-


ravano a giornata; ma tutti indistintamente dicevano, come
loro, il nostro orto, la nostra vigna, le nostre vacche. A tutti
pareva così di godere, per quanto potevano, del benessere
della famiglia. Ma a lei, quel dover dire il nostro parlando 5
della roba dei padroni faceva tristezza. Era la nostalgia della
sua casa, della mamma, delle sorelle (era ancora al mondo
Carmela, allora), delle lunghe serate d’inverno passate col
padre nella piccola cucina, intorno al focolare, del cortile,
dove ogni tanto una di loro (a turno e disputandosi il di- 10
ritto di restar seduta per non perdere il filo del racconto
del padre) doveva andare a prendere una bracciata di legna
o un ciocco d’aggiungere al fuoco. Tutto ciò che fin allo-
ra26 aveva chiamato nostro era unito alle persone care che,
la sera, sedevano accanto al fuoco nella cucina di casa sua. 15
Erano le brocche allineate sul muretto fuori della porta, gli
sgabelli di ferula fabbricati da suo padre, le conche dove
impastavano il pane o i dolci che poi, la domenica, andava-
no a vendere ad Acquapiana, a San Silvano, a Gaia, la pala
del forno, le ceste per la farina, il mortaio, la bilancia, tutti 20
quegli oggetti che servono ora per ora alla vita, che si pos-
sono anche prestare e ritornano a casa con quei loro segni
che li fanno riconoscibili come persone. Nostro era il telaio,
piantato sotto il portico, vecchio e liscio come un banco di
chiesa. In quel mezzo anno che aveva passato fuori di casa a 25
servire, s’era sviluppato in lei, dalla sua tristezza, quel senso
geloso della proprietà che è così forte nella gente povera
costretta a vivere in mezzo all’abbondanza in case estranee.

2. giornata;] giornata, D giornata; (← giornata,) D1     9. intorno al foco-


lare] |intorno al focolare| (›accanto al fuoco‹) D     10. ogni tanto una di
loro] ogni tanto D D1 D2 ogni tanto ||una di loro|| B  ◆  disputandosi] di-
sputandosi con le sorelle D D1 D2 disputandosi ›con le sorelle‹ B     11. del
racconto] dei racconti D D1 D2 M ||del racconto|| (›dei racconti‹) B     12.
doveva] bisognava D D1 D2 ||doveva|| (›bisognava‹) B     21. quegli] quelli
D D1 D2 ||quegli|| (›quelli‹) B     24. un banco] i banchi di chiesa D D2 i
banchi •della (›di‹) chiesa D1 ||un banco|| (›i banchi‹) di chiesa B     28. co-
stretta] costretti D D1 D2 costretta (← costretti) B  ◆  in] di D D1 D2 ||in||
(›di‹) B     
26
In IL si legge: «Fin allora».
112 GIUSEPPE DESSÌ

E ora, in casa del marito, dove tutto doveva essere vera-


mente anche suo, le rinasceva lo stesso senso di mortificata
soggezione; e pensava a Mamusa e alla casa di sua madre,
come allora. Anche qui, come in casa del possidente, le sue
5 mani ricusavano d’assuefarsi agli oggetti che toccavano, il
suo occhio agli oggetti sui quali continuamente si posava.
Tutto era vecchio, consunto, levigato dal contatto di altre
mani. Non era tristezza, la sua, e forse neppure nostalgia,
ma una specie di stupore che arrestava improvvisamente i
10 gesti più consueti, come se risorgesse in lei sempre la stessa
domanda: “Dove sono? perché sono qui?”.
Quasi ogni giorno Michele partiva all’alba e tornava dopo
il tramonto. Andava a Monte Ulìa, a Spinàlva, oppure a
caricar legna e carbone in foresta per conto dei Toscani.
15 Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta
ogni quindici giorni passavano dalla Cantoniera a prendere
Anna e i bambini; e le donne andavano a fare il bucato in
un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto Orèsula,
mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pran-
20 zo Severina mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano
tutti assieme vicino all’acqua. I bambini giuocavano tutto
il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bo-
sco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa
invece le giornate non avevano mai fine.27 Se il filo delle
25 sue fantasticherie si rompeva, un senso di solitudine mai
provato prima la gelava. Le più piccole cose l’angustiava-
no, come più tardi, quando si trovò incinta, certi odori o il
sapore di certi cibi le davano nausea. Come una donna in-
cinta, aveva trasalimenti improvvisi. Il mestolo di castagno
30 col quale separava la crusca dal tritello, si faceva pesante,
all’improvviso, di pietra; il setaccio, che fino a quel momen-

1. E] Ed D D1 D2 ||E|| (›Ed‹) B     7. vecchio,] vecchio D D1 D2 vecchio|,|


B     10. risorgesse in lei sempre] risorgesse sempre in lei D risorgesse
›sempre‹ in lei /sempre/ D1     14. e] o D D1 D2 ||e|| (›o‹) B     25. rompeva,]
rompeva D rompeva|,| D1     30. separava] |separava| (›radunava il tri‹)
D     31. di pietra;] come se fosse di pietra; D ›come se fosse‹ di pietra; D1     
27
Qualche volta portava…non avevano mai fine.] cfr. Appendice (Cap.
XIII).
Michele Boschino 113

to aveva frullato come una trottola al tocco leggero e abile


delle sue dita scorrendo e treppicando sugli staggi levigati,
perdeva il suo ritmo. Allora, per non farsi vedere a piangere
scioccamente – ché lei stessa non avrebbe saputo dirne la
ragione, se Maddalena gliel’avesse chiesta – s’allontanava 5
con una scusa, andava in cortile a versarsi una ciotola d’ac-
qua fresca dalla brocca, oppure saliva in camera da letto,
apriva la cassapanca, ne toglieva la biancheria, la riponeva
con cura, raddrizzava le coperte del letto. E così l’angoscia
passava. 10
In questa camera da letto c’era una piccola finestra dal-
la quale si vedeva il campanile della chiesa. Dietro, Mon-
te Grinu coi suoi castagneti già spogli e i boschi di querce,
sempre uguali in ogni stagione. Accanto e dietro a quello,
altri monti di cui non sapeva il nome. L’occhio distingueva 15
chiaramente tra i rami nudi dei castagni, le strade che sali-
vano con ampie curve verso i boschi di querce dove spari-
vano e l’intrico minuto dei sentieri. Se lo sguardo distratto
si fermava in un punto, ecco che si scoprivano, proprio là
dove il nudo bosco sembrava già immerso nella deserta 20
quiete dell’inverno, piccole truppe di donne e di ragazzi che
salivano in fila o scendevano sparsi facendo rotolare i fasci

4. dirne] dir D dir|ne| D1     5. gliel’avesse chiesta] gliela chiedeva D



gliel’avesse chiesta (›gliela chiedeva‹) D1     8-9. la riponeva con cura] la ri-
metteva ›in‹ a posto con cura D la •riponeva (›a posto‹) con cura D1     9-10.
letto…passava.] letto; e spesso l’angoscia passava senza lacrime. D letto.
E spesso (← letto; e spesso) l’angoscia passava senza lacrime. D1 D2 letto.
||E così l’angoscia passava.|| (›E spesso l’angoscia passava senza lacrime.‹)
B     11. camera da letto] camera D camera /da letto/ D1     12. chiesa. Die-
tro,] chiesa, e, dietro, D D1 D2 chiesa. Dietro, (← chiesa, e, dietro,) B     13. e
i boschi] e più sopra i boschi D e|,| più sopra|,| i boschi D1 D2 e›, più sopra,‹
i boschi B  ◆  querce] quercie D D1 D2 B ≠ M2     15. di cui] di cui lei D di
cui ›lei‹ D1     16. castagni,] castagni D D1 D2 castagni|,| B     17-18. querce
dove sparivano e] querce, dove sparivano, D D1 D2 querce dove spariva-
no e (← querce, dove sparivano,) B     18-19. Se lo…che si] Al persistere
dello sguardo, che non cercava nulla, si D D1 D2 ||Se lo sguardo distratto
si fermava in un punto, ecco che|| (›Al persistere dello sguardo, che non
cercava nulla, si‹) si B     
114 GIUSEPPE DESSÌ

di legna da albero a albero. Sparivano, riapparivano su, nei


canaloni pietrosi più vicini alla cima, come insetti nel vel-
lo d’una bestia addormentata. Si levava qua e là il fumo di
qualche fuoco e restava sospeso tra balza e balza. Severina,
5 che era vissuta sempre in un paese di pianura, si meraviglia-
va a vedere quelle montagne così vicine, animate e silen-
ziose. L’angoscia si scioglieva, s’addolciva in un senso vago
di rimorso. Rimorso di che? Rimorso d’aver lasciato Anna
nella casa sperduta in mezzo alla pianura malarica, con quei
10 bambini da tirar su, con tutta quella roba da lavare? rimor-
so di non avere rivisto sua madre da tanto tempo? rimorso
per la gioia che le dava quel paese nuovo? Il suo vecchio pa-
ese, la sua pianura tornava a viverle nella memoria; bastava
che ci pensasse un poco perché tutta la vita trascorsa laggiù
15 si animasse come quelle montagne che dalla Cantoniera ap-
parivano uniformi e deserte. Di tante persone dimenticate
ricordava il viso, la voce, come se le vedesse e le sentisse
parlare. E Michele era l’unica persona presente e reale che
vivesse anche tra quei ricordi lontani. Qualche volta fan-
20 tasticava di essere con lui a Mamusa, in casa di sua madre,
e dire a sua madre quanto fosse felice del suo nuovo stato.
Solo così anzi riusciva a sentire Michele distintamente, po-
nendolo fuori dal confuso presente. Benché ogni sera egli
tornasse a casa, Severina pensava a lui come si pensa a una
25 persona lontana. Ma bastava un ago appuntato al capoletto,
un ago che, con la gugliata bianca, le facesse pensare alla

1. da albero a albero.] da ›un‹ albero |ad albero| (›all’altro‹). D D1 D2 da


albero ||a|| (›ad‹) albero. B  ◆  Sparivano, riapparivano su,] Apparivano
e sparivano su, D •Sparivano, riapparivano su, (›Apparivano e sparivano
su,‹) D1     5. che era] ch’era D D1 D2 B ≠ M2  ◆  in un paese di pianura] in
pianura D D1 D2 in ||un paese di|| pianura B     6. a] di D a (← di) D1     10.
lavare?] lavare D D1 D2 lavare|?| B     11. tempo?] tempo D D1 D2 tempo|?|
B     12. nuovo?] nuovo D D1 D2 nuovo |?| B     12-13. paese, la sua] paese
di pianura D D1 D2 paese|,| ||la sua|| (›di pianura‹) B     14-15. la vita…
animasse] la sua vita si animasse, D D1 D2 la ›sua‹ vita ||trascorsa laggiù||
si animasse›,‹ B     15. montagne…Cantoniera] montagne, che da lontano
D montagne, che •dalla Cantoniera (›da lontano‹) D1 D2 montagne›,‹ che
dalla Cantoniera B     18. E Michele] E ›anche‹ Michele D     19. vivesse
anche tra] vivesse tra D vivesse /anche/ tra D1     21. dire] diceva D •dire
(›diceva‹) D1     23. dal confuso] dalla confusione D dal confuso (← dalla
confusione) D1     
Michele Boschino 115

camicia che aveva rammendato il giorno prima, bastava la


roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il
solco della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del
cortile, perché tutto il suo essere balzasse e fosse pieno di lui.
Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando 5
faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come senti-
va l’aria sottile della montagna.28 Allora quella casa, che un
momento prima l’era sembrata estranea, era anch’essa tutta
piena di lui. E il suo sangue, al ricordo di una gioia acuta,
intensa, e al tempo stesso lontanissima, scorreva vivace, e 10
tutti gli oggetti che toccava erano vivi nelle sue mani, ani-
mati dalla forza del suo sangue. Meno d’ogni altro avrebbe
saputo dire da che cosa nasceva questa gioia, che viveva,
come la sua angoscia, nelle cose che la circondavano. An-
che l’acqua di Sigalesa le dava gioia, quell’acqua cristallina e 15
leggera come aria, che lei beveva avidamente. Non avrebbe
saputo dire perché quei monti, quei boschi, lo stormire del
vento a lunghe ondate, quando il paese dormiva, le dessero
quel turbamento di gioia. Pensava che forse era la vita più
riposata, a farla star bene, e l’acqua buona, l’aria salubre, il 20
cibo abbondante e nutriente. E se ne vergognava. Era una
gioia di cui gli altri non potevano accorgersi, a volte offusca-
ta, a volte più viva, come una stagione al suo inizio, quando
non è ancora del tutto passata quella che l’ha preceduta. Di
fuori si manifestava appena in una maggior floridezza, che 25
solo Anna notava, quando s’incontravano, e a cui Miche-
le s’assuefaceva senza farci caso. Era un sentimento della
carne, profondo e solitario. Lei stessa forse non sentiva la
sua gioia intera e compiuta se non quando s’abbandonava a
Michele. Allora la sua gioia continuava nel sonno. Al mat- 30
tino, quando, nel dormiveglia, non lo sentiva più accanto

10. intensa,] intensa D intensa|,| D1  ◆  lontanissima, scorreva] lontanissi-


ma ›si animava‹ scorreva D lontanissima|,| scorreva D1     16. che lei beve-
va] e lei la beveva D che lei (← e lei la) beveva D1     19-20. era…riposata,]
la vita più riposata, ›l’acqua buona‹ D /era/ la vita più riposata, D1     20. e
l’acqua] e insieme l’acqua D e ›insieme‹ l’acqua D1     30. Michele. Allora]
Michele. ›E questo accadeva nel cuore della notte.‹ Allora D     
28
Ma bastava un ago…l’aria sottile della montagna.] cfr. Appendice
(Cap. XIII).
116 GIUSEPPE DESSÌ

a sé, e vedeva sull’impannata i riflessi della lanterna della


stalla, s’avvolgeva in uno scialle e correva a raggiungerlo. Si
svegliava nell’aria diaccia del mattino, si trovava improvvi-
samente sveglia in mezzo al cortile, nell’aria fredda che le
5 penetrava sotto i panni, e si vergognava. Allora si metteva a
raccogliere la biancheria stesa la sera prima, e con la stessa
avidità con cui beveva l’acqua, aspirava il vento che l’aveva
asciugata al sereno.

1. e vedeva] •e (›svegliandosi‹) vedeva D     2. s’avvolgeva] ›e correva a


raggiungerlo‹ s’avvolgeva D     6. la sera prima] |la sera prima| (›ad asciu-
gare‹) D     
Michele Boschino 117

XIV

Ogni volta che s’incontravano, Anna le faceva sempre 5


la stessa domanda ansiosa.29 Ma della gravidanza che sua
sorella aveva tenuto come certa prima del matrimonio ora
nessun segno si manifestava. Anche la zia Luisa e Aurelia
aspettavano di giorno in giorno; ma Severina era contenta
di rispondere a tutti che non c’era nulla di nuovo, per il mo- 10
mento, sentendosi riscattata, in certo senso, dai fastidiosi
sospetti dei maligni. «Meglio così» diceva la zia Luisa. «Me-
glio così. Ora riposati. Quando comincerai, non la finirai
più di far figliuoli. Guarda Aurelia! Uno all’anno!» Aurelia,
che aveva tre bambini, presso a poco della stessa età di quel- 15
li di Anna, ed era di nuovo incinta, a questi discorsi della
madre arrossiva, e scuotendo la testa diceva: «Lasciate che
vengano, se il Signore li manda». Da quando c’era Severina,
le due donne andavano più spesso in casa di Maddalena,
e così passavano interi pomeriggi a lavorare tutte assieme 20
nella stanza del telaio. A Severina piaceva ascoltarle parlare,
benché non capisse ancora bene il loro dialetto e ogni tanto
dovesse, per giunta, chiedere spiegazioni sulle persone che

6. della] la D D1 D2 ||della|| (›la‹) B     6-7. che…certa] che ›aveva in‹ Anna


aveva tenuto come cosa certa D che •sua sorella (›Anna‹) aveva tenu-
to come cosa certa D1 D2 che sua sorella aveva tenuto come ›cosa‹ certa
B     7. matrimonio] matrimonio, D D1 D2 B ≠ M2     7-8. ora…manifesta-
va.] ora si faceva desiderare D D1 D2 ora ||nessun segno si manifestava.||
(›si faceva desiderare‹) B     9. aspettavano…giorno;] s’interessavano della
cosa D D1 D2 ||aspettavano di giorno in giorno|| (›s’interessavano della
cosa‹); B     11. dai] da quei D D1 D2 ||dai|| (›da quei‹) B     12. sospetti dei
maligni.] sospetti. D D1 D2 sospetti ||dei maligni||. B     13. comincerai,]
comincerai D comincerai|,| D1     14-15. Aurelia, che] Aurelia D Aurelia|,|
/che/ D1     16. incinta, a questi] incinta. Aurelia, a questi D incinta›. Au-
relia‹, a questi D1     18-19. Da quando…andavano] |Da quando c’era ›in
casa‹ Severina,| (›Dopo che Severina s’era‹) andavano D Da quando c’era
Severina, /le due donne/ andavano D1     20. e così] e D e /così/ D1     23.
dovesse, per giunta,] dovesse D dovesse|,| /per giunta,/ D1     

29
In D D1 D2 il capitolo è numerato XI.
118 GIUSEPPE DESSÌ

nominavano. Dapprima faceva una gran confusione tra i


parenti di Maddalena e quelli di Giuseppe, vale a dire tra i
parenti buoni e i parenti cattivi. Se ne parlava molto, in quei
giorni, perché anche lo zio Salvatore e suo figlio Amedeo
5 avevano voluto far la pace con Michele. Maddalena, che di
solito agucchiava in silenzio, quando il discorso cadeva sui
parenti del marito si animava e raccontava per la millesima
volta i torti che gli avevano fatto, e se la prendeva con la
dabbenaggine di Michele che si lasciava adescare dalle loro
10 parole false. Severina aveva sentito raccontare le stesse cose
da Michele: erano gli stessi fatti e le stesse persone, eppure
nel racconto di Maddalena tutto sembrava atroce e quasi
incredibile. Le sembrava impossibile che avessero potuto
infierire con tanto accanimento e senza nessuna ragione
15 al mondo contro quell’uomo così mite e tranquillo, che ci
potesse essere tanta perseveranza nel male, da una parte, e
dall’altra tanta pazienza. Una volta cercò anche di difendere
Michele spiegando che aveva fatto la pace con quei parenti
perché, volendo acquistare un terreno a Nadòria, doveva
20 stabilire con loro rapporti di buon vicinato. La suocera le
saltò agli occhi inviperita: non era una sciocchezza anche
questa? Perché andare a comprare un terreno proprio a
Nadòria? Perché andarsi a mettere proprio nella tana di
quelle volpi? Anche Aurelia diede ragione a Maddalena.
25 Dopo la condanna, Giuseppe non aveva più voluto avvici-
nare i fratelli ed era sempre vissuto in pace: Michele avreb-
be dovuto seguire l’esempio di suo padre e star lontano da
quella gente.

6. il discorso cadeva] |il discorso cadeva| (›si parlava di‹) D     7. si ani-
mava] si animava anche lei D si animava ›anche lei‹ D1     13. Le] A lei
D D1 D2 ||Le|| (›A lei‹) B  ◆  che avessero potuto] che si potesse D D1 D2
||che avessero potuto|| (›che si potesse‹) B     15. quell’uomo] un uomo D
D1 D2 quell’uomo (← un uomo) B  ◆  così mite e tranquillo] |così mite e
tranquillo| (›che non aveva fatto nulla di male‹) D     17. tanta pazienza]
|una pazienza, una remissione così incondizionate| (›tanta [—] pazienza
e remissione‹) D D1 D2 ||tanta pazienza|| (›una pazienza, una remissione
così incondizionate‹) B     18. spiegando] dicendo D D1 D2 ||spiegando||
(›dicendo‹) B     19. volendo] dovendo D D1 D2 ||volendo|| (›dovendo‹)
B  ◆  doveva] voleva D D1 D2 ||doveva|| (›voleva‹) B     25. condanna,]
condanna D condanna|,| D1     
Michele Boschino 119

Il terreno che Michele voleva comprare a Nadòria appar-


teneva a una vedova che, non potendolo mettere a vigna, lo
affittava a pascolo per poco prezzo, e per poco lo avrebbe
venduto. Michele ne aveva parlato a lungo con Severina,
non attentandosi di parlarne con sua madre, e le aveva 5
detto anche l’unico inconveniente a cui s’andava incontro,
con quell’acquisto. Nel catasto, una piccola parte di quel
terreno era stata intestata, per errore, a quanto pareva, allo
zio Salvatore, il quale pagava le tasse a ogni scadenza e si
faceva poi rimborsare dalla vedova. Michele aveva fatto la 10
pace con lo zio anche per mettersi d’accordo con lui sull’af-
fare del terreno. Ma siccome Maddalena non sapeva nulla
di tutto questo, Severina si limitò a ripetere una frase che
Michele diceva spesso quando si parlava dei torti subiti dal
padre, che erano cose lontane e che non bisognava pensarci 15
più, se si voleva vivere in pace con tutti.
«In pace con tutti!» disse Maddalena. «Io che me ne an-
drò sì che starò in pace. Ma voi resterete. Altro che pace!
Non si può vivere in pace, con quella gente, mettetevelo in
testa». 20
Non avrebbe mai parlato d’altro, Maddalena, se la zia Lu-
isa non avesse cercato, ogni tanto, di cambiare argomento.
Mentre per Maddalena la famiglia di Severina sembrava
non esistesse neppure, la zia le faceva sempre tante doman-
de sui parenti, la faceva parlare di Mamusa, voleva sapere 25
come si facevano certi dolci, una specie di sgonfiotti famo-
si in tutto il Campidano. Così Severina raccontò che sua
madre faceva questi dolci per venderli, e non solo questi,
ma anche la pasta reale, i savoiardi, e molti altri; e promise
anche alla zia d’insegnarle come si facevano. 30

2. potendolo mettere] potendo metterlo (← potendolo mettere) D1     5.


non…parlarne] non potendone parlare D non •attentandosi di (›poten-
done‹) parlarne (← parlare) D1     7. Nel] Sul D D1 D2 ||Nel|| (›Sul‹) B     14.
spesso] spesso ›a propo‹ D     18. pace. Ma] pace, ma D pace. Ma (← pace,
ma) D1     21. avrebbe] avrebbero D avrebbe (← avrebbero) D1  ◆  d’altro,
Maddalena, se] d’altro, se D d’altro, /Maddalena,/ se D1     26. dolci,] dolci
›famosi‹ di Mamusa, D dolci ›di Mamusa‹, D1     29. anche] •anche (›mol-
ti altri, come‹) D     30. anche alla zia d’insegnarle] anche d’insegnarle D
anche d’insegnare (← insegnarle) /alla zia/ D1 D2 anche 2d’insegnarle (←
insegnare) 1alla zia B     
120 GIUSEPPE DESSÌ

«Ah! se lo sapesse mia madre che vi dico queste cose, non


avrebbe più pace!» diceva ridendo.
Sua madre non si serviva, per fare i dolci, dell’acqua che
gli acquaioli vendevano per le strade di Mamusa a un soldo
5 la brocca, e neppure dell’acqua delle cisterne – giacché a
Mamusa non c’erano pozzi – ma dell’acqua di Nòrbio o di
San Silvano, che prendevano quando andavano a vendere
gli sgonfiotti, la domenica. Questo era il suo segreto. Nes-
suno l’aveva mai indovinato, e nessuno riusciva a fare gli
10 sgonfiotti buoni come i suoi. Facevano ore e ore di strada
tra i boschi. Andando non facevano nessuna fatica perché i
dolci pesavano poco, ma al ritorno, con quei bidoni d’acqua
nascosti nelle corbe! C’era da piangere per la stanchezza.
In poco tempo la zia Luisa e Aurelia conoscevano Ma-
15 musa meglio di quanto Severina non conoscesse Sigalesa.
Perché Severina usciva di rado, e solo in compagnia di
Maddalena. L’acqua la prendevano da un pozzo vicino a
casa e il grano lo portavano a macinare dalla zia Luisa, che
aveva la mola in una stanza dietro la cucina. Tutto il giorno
20 un piccolo ciuchino bendato girava intorno alla mola e ma-
cinava per tutti i parenti, che poi, in compenso, portavano
alla zia uova frutta olio o le lasciavano una misura di farina.
E la zia aveva la dispensa sempre piena. Una volta alla setti-
mana Maddalena e Severina andavano anche loro dalla zia
25 a portare il grano e poi a riprendersi la farina ancora calda.
A Severina piaceva andare in casa della zia specie quando
Maddalena aveva da fare e ce la lasciava andar sola. Sentiva
che la zia l’accoglieva diversamente, quando arrivava sola,
e anche Aurelia. Quando non c’era Maddalena si sentivano
30 tutte e tre più libere, più allegre. E Severina pensava come

1. cose,] cose D D2 cose|,| D1     2. diceva ridendo.] diceva. D D1 D2 diceva


|ridendo|. B     4. acquaioli vendevano] acquaioli ›di Norbio e di San Sil-
vano vendevano a [—] un soldo la brocca‹ vendevano D     5-6. giacché a
Mamusa] perché in paese D •giacché a Mamusa (›perché in paese‹) D1     8.
gli sgonfiotti] |gli sgonfiotti| (›i biscotti‹) D     19. la…stanza] una mola D
la (← una) mola /in una stanza/ D1     22. uova frutta olio o] uova, frutta,
olio, ›e anche‹ o D D1 D2 uova frutta olio (← uova, frutta, olio,) o B     23.
alla] la D D1 D2 B ≠ M2     24. anche loro dalla] in casa della D D1 D2 ||an-
che loro dalla|| (›in casa della‹) B     26. zia] zia, D D1 D2 B ≠ M2     27. e ce]
e D e /ce/ D1     30. tutte e tre] tutte D tutte /e tre/ D1     
Michele Boschino 121

sarebbe stato bello avere una casa come quella, col pozzo
nel cortile tutto coperto da un gran pergolato, e una grande
cucina e la mola; ma in fondo non desiderava altro che una
casa dove potesse vivere sola con Michele, senza Maddale-
na. A volte questo pensiero si faceva anche troppo chiaro 5
nella sua mente, e allora lei lo respingeva, parendole di de-
siderare così qualche cosa d’illecito.
Un giorno che era in casa della zia e cuciva, in attesa che
il ciuchino avesse terminato di macinare il grano, fu presa,
a un tratto, da una gioia intensa che le saliva di dentro come 10
un calore benefico. Mai prima d’allora aveva provato un
senso di gioia così calmo e così pieno. Era contenta, conten-
ta di tutto, come se nulla mancasse alla sua vita. Se qualcuno
l’avesse guardata, in quel momento, forse avrebbe potuto
vedere nel suo viso il riflesso di questo sentimento incomu- 15
nicabile. Pensava tutta assorta e accoglieva nella sua gioia
tutto ciò che la circondava. La zia Luisa e Aurelia cucivano,
la più piccola delle bambine dormiva su una stuoia di sala ai
piedi della nonna, Caterina, la più grandicella, cuciva anche
lei imitando sua madre, l’altra, Luisicca, staccava ogni tanto 20
un boccone da una fetta di pane e un chicco da un grappolo
d’uva passa, e sembrava assorta come una persona grande
in qualche pensiero. Era uno di quei momenti di silenzio
che passano sulle case e prendono tutti, vecchi e bambini.
Sempre pervasa da quel vivo senso di gioia che l’era nato, 25
Severina abbassò di nuovo la testa e riprese a cucire.30 Dal-

1. quella, col] quella della zia, |col| (›con un bel‹) D D1 D2 quella ›della zia‹,
col B     2. una] |una| (›la‹) D     6-7. parendole…d’illecito.] parendole di
desiderare così la morte della suocera. D parendole di /fare brutti pen-
sieri/ desiderare così |qualche cosa d’illecito| (›la morte della suocera‹).
D1 parendole di desiderare così qualche cosa d’illecito. D2     8. che era]
che Severina era D che ›Severina‹ era D1     13. tutto…mancasse] tutto.
Nulla mancava D tutto, come se nulla mancasse (← tutto. Nulla mancava)
D1     14-15. potuto vedere nel] visto sul D •potuto vedere nel (›visto sul‹)
D1     16. Pensava] Ella pensava D Pensava (← Ella pensava) D1     16-17.
accoglieva…circondava.] riempiva la sua gioia di una quantità di pensieri
insignificanti. D D1 D2 ||accoglieva nella|| (›riempiva la‹) sua gioia ||tutto
ciò che la circondava|| (›di una quantità di pensieri insignificanti‹). B     
30
La zia Luisa…e riprese a cucire.] cfr. Appendice (Cap. XIV).
122 GIUSEPPE DESSÌ

la stanza accanto veniva il rumore monotono della mola.


Di quando in quando il ciuchino si fermava, poi, senza che
nessuno si fosse preso la briga di dargli una voce, riprende-
va a girare. Si udivano campani di buoi in una strada lon-
5 tana, scatti rovinosi e lenti di un carro carico sull’acciotto-
lato, la voce dell’uomo che li incitava cantando i loro nomi,
come faceva anche Michele. La zia Luisa sospirò, e anche
Aurelia sospirò, poi tutte e due assieme sbadigliarono.
«Che giornata!» disse Aurelia. «Non passa mai».
10 «Sta per mettersi a piovere. Domani pioverà» disse la zia.
Si ristabilì il silenzio di prima; e Severina pensava che tra
poco avrebbe dovuto andarsene, e le dispiaceva.
«Vincenza ha i capelli biondi» disse a un tratto, chinan-
dosi sulla bambina che dormiva. Mentre prima le bambine
15 di Aurelia non le ispiravano nessuna simpatia, ricordando-
le quelli lontani di Anna, sempre soli, laggiù alla Cantonie-
ra, in quel momento invece si sentiva di amarle.
«Anche Caterina e Luisicca avevano i capelli biondi. Poi
si sono scurite. Non ci durano i capelli biondi, a quest’aria»
20 sospirò Aurelia.
«Anche Aurelia e Marietta avevano i capelli biondi. Tutti
i bambini, in casa nostra hanno i capelli biondi, poi cam-
biano colore. Perdono il primo pelo come i ciuchini. Ma
è meglio così. Dicono che gli angeli sono biondi, ma gli
25 uomini e le donne biondi, Dio ce ne liberi! è meglio non
avercene in casa!»
Aurelia e Severina scoppiarono a ridere, a quest’uscita.
«Oh, cos’avete detto, mamma! Non lo sapete che la sorel-
la di Severina ha i capelli biondi?» disse Aurelia.
30 Severina faceva cenno di no, sempre ridendo.

3. la briga] cura D |la| •briga (›cura‹) D1     5. scatti] gli scatti D ›gli‹ scatti
D1     7. La zia Luisa] ›Luisa e Aurelia sbadigliarono‹ La zia Luisa D     13. a
un tratto,] Severina D •a un tratto, (›Severina‹) D1     14. dormiva. Mentre]
dormiva. ›Avrebbe voluto dire che‹ Mentre D     15. Aurelia] Anna D D1

Aurelia (›Anna‹) D2     16. lontani] /lontani/ D     16-17. alla Cantoniera,
in] nella Cantoniera, nella pianura, in D alla (← nella) Cantoniera, ›nella
pianura,‹ in D1     19-20. quest’aria» sospirò Aurelia.] quest’aria». D D1 D2
quest’aria» ||sospirò Aurelia||. B     25. liberi!] liberi D liberi|!| D1     
Michele Boschino 123

«Guardala bene, un’altra volta» disse sicura la zia Luisa.


«Anna ha i capelli castani, non biondi».
Severina assentì, e quando Aurelia si fu calmata, disse che
i capelli di Anna erano castani, come diceva la zia, ma con
riflessi rossastri come di rame, secondo i giorni. 5
«Come, secondo i giorni?» chiese Aurelia.
«Sì, secondo i giorni».
«Che gente strana siete, voialtri di Parte d’Ispi! Anche i
tuoi occhi cambiano colore da un momento all’altro».
E Aurelia accostò il suo viso a quello di Severina, che ar- 10
rossì; e non guardava i suoi occhi, ma la sua pelle – la guar-
dava davvicino come si guarda il tessuto di una stoffa.
«Sono bellissimi capelli, quelli di Anna» disse scostando-
si.
«Sì, ma non sono biondi» disse la zia Luisa. 15
Di nuovo risero, senza ragione.
«Ce n’è molte, a Mamusa, che hanno i capelli come
Anna?» chiese Aurelia.
Severina disse che a Mamusa solo Anna aveva i capelli di
quel colore, e la loro nonna materna. Tutte le altre erano 20
brune.
A Severina piaceva sentir lodare i capelli di Anna. Ad
Anna non era rimasta altra bellezza, da quando s’era spo-
sata: solo i capelli.
«Anche quando hanno gli occhi come i tuoi?» chiese Au- 25
relia.
Poi guardò sua madre maliziosamente e disse:
«Ma sapete, che non avevo mai visto occhi di questo co-
lore?»
Sembrava che solo allora se ne fosse accorta. 30
Luisicca s’era addormentata con la sua fetta di pane in
mano e il raspo vuoto. Caterina ascoltava attentamente i
discorsi delle tre donne, come una piccola donna anche lei,
composta e seria. A un tratto disse:

1. Guardala] |Guardala| (›L’hai gu‹) D     5. di] il D di (← il) D1     8. Parte


d’Ispi] |Parte d’Ispi| (›Mamusa‹) D     17. molte, a Mamusa,] molte a Ma-
musa D molte|,| a Mamusa|,| D1     28. sapete, che] sapete, mamma, che D
sapete, ›mamma,‹ che D1     
124 GIUSEPPE DESSÌ

«Puh! a me non mi piacciono no, quegli occhi. Sono oc-


chi di capra» e storse la bocca.
Aurelia le diede uno schiaffo. Glielo diede forte, con
rabbia. Severina si portò la mano alla guancia come se lo
5 schiaffo l’avesse ricevuto lei, poi, quasi con violenza, prese
la bambina tra le braccia e allontanò le mani di Aurelia.
«Ma perché?» chiese. «Perché la picchi?»
«Faremo i conti più tardi» disse Aurelia, che era diventata
pallida dalla rabbia.
10 Ma la bambina non piangeva. Guardava anche lei sua
madre con ira e cercava di svincolarsi dalle braccia di Se-
verina.
«Siete voi che lo avete detto, e ora mi picchiate».
Aurelia cercò di strapparla dalle braccia di Severina, ma
15 Severina la stringeva forte.
«Non voglio!» gridò. «Non voglio che tu la picchi».
«La picchio perché ho ragione di picchiarla. Così impara
a raccontar bugie».
Per un attimo le due donne si guardarono negli occhi.
20 Severina lasciò la bambina, che rimase tra loro due, senza
cercar di scappare.
«Di’ la verità,» disse Aurelia raddolcendo la voce e cer-
cando di farle alzar la testa «io ho detto quelle parole?»
La bambina non rispondeva nulla, ostinata.
25 «Vattene!» disse Aurelia. «Vattene! Che non ti voglio più
vedere».
La bambina s’allontanò in silenzio e andò a sedersi sugli
scalini della porta.
«Dopo faremo i conti, con te» disse Aurelia.
30 Stettero un pezzo senza dire una parola, tutte e tre, poi,
siccome s’era fatto tardi, Severina trovò la forza di alzarsi
per andar via. Aurelia andò a prender la corba della farina e
l’aiutò a mettersela sulla testa.

1. non mi piacciono no,] non piacciono no D D1 D2 non /mi/ piacciono


no|,| B     14. Aurelia cercò] Aurelia ›le allungò altri due schiaffi più forti
del primo‹ cercò D     19-20. occhi. Severina] occhi. (← occhi;) ›e Severina
vide negli occhi di Aurelia‹ Severina D     20. che] ›Aurelia‹ che D     22.
verità,] verità D D1 D2 B ≠ M2     23. farle alzar] |farle alzar| (›fare alzare‹)
D  ◆  io] Io D D1 D2 B ≠ M2     25. Vattene!] Vattene D Vattene|!| D1     
Michele Boschino 125

«Lasciala stare» disse piano accennando a Caterina.


«Bisogna che impari a stare al suo posto» disse Aurelia
a voce alta perché Caterina sentisse. Ma la bambina non si
mosse neppure.
«Ti aspetto mercoledì per fare i biscotti» disse la zia Lui- 5
sa. «Ti aspetto! Ti aspetto!» ripeté e le strinse forte il braccio
come per esortarla a non far caso a quant’era accaduto.
Uscì ch’era buio. Camminava diritta, con la corba sulla
testa. La strada era piena di gente essendo quella l’ora in
cui tutti tornano dal lavoro. Incontrandosi, si chiamavano 10
per nome, uomini e donne si salutavano. Ogni tanto uno
zolfanello illuminava il viso di un uomo intento ad accen-
dere il sigaro o la pipa. Nessuno poteva vederla piangere. Le
lacrime le scendevano giù per le guance, lungo il collo. Non
sentiva nessun rancore verso Aurelia. Non gliene importa- 15
va nulla, come a Michele non importava nulla dei torti che
avevano fatto a suo padre. Nulla. Si ricordò che sua madre
diceva sempre che il suo umore cambiava da un momento
all’altro come il colore dei suoi occhi.
A un tratto si sentì prendere per mano. Era Michele, e si 20
mise a camminarle al fianco. L’affare del terreno di Nadòria
era concluso; s’era messo d’accordo con lo zio Salvatore,
che, dopo il rimborso delle tasse che aveva pagato negli ul-
timi tre anni, avrebbe fatto la voltura. Era contento, e ogni
tanto stringeva la mano di Severina. Anche lei era di nuovo 25
contenta – contenta di sentirselo vicino, del contatto della
sua mano ruvida e calda. Gli disse solo:
«E tuo zio Salvatore sarà sincero?»
Sentì che Michele faceva un gesto come per dire che que-
sto fatto non aveva importanza. 30

1. disse piano] disse piano Severina D D1 D2 disse piano ›Severina‹ B     6.


«Ti aspetto!…ripeté] Lo ripeté due o te volte D D1 D2 ||«Ti aspetto! Ti
aspetto!» ripeté|| (›Lo ripeté due o te volte‹) B     8. Uscì…Camminava]
Camminava D /Uscì ch’era buio./ Camminava D1     10. tutti tornano] gli
uomini tornavano D •tutti [›agli uomini b•la gente (›gli uomini‹)‹] tornano
(← tornavano) D1     11. uomini e donne si salutavano] si salutavano D
/uomini e donne/ si salutavano D1     12. zolfanello…uomo] zolfanello
›acceso‹ illuminava |il viso di un uomo| (›un viso barbuto‹) D     13. Nes-
suno] Era buio, e nessuno D D1 D2 ›Era buio, e‹ Nessuno (← nessuno)
B     15. verso Aurelia] |verso Aurelia| (›per Aurelia‹) D     
126 GIUSEPPE DESSÌ

«Ho trovato due sole persone sincere» disse Michele. «Te


e mio padre».
«E nessun altro, prima di me?»
«No, nessuno».
5 Ogni tanto rispondeva a un saluto. Tutti quegli uomini,
nel buio, si riconoscevano. Salutava e continuava a parlare
dell’affare del terreno: ripeteva ciò che la vedova gli aveva
detto e ciò che lui aveva risposto. Ce n’era voluto a convin-
cerla che le tasse di quei tre anni dovevano essere detratte
10 dal prezzo!
Così arrivarono a casa. Egli le levò di peso la corba dalla
testa, e la posò sul tavolo, poi accese la lucerna sullo sporto
del camino, e tutti e due si guardarono in faccia, contenti di
rivedersi, dopo la strada fatta insieme al buio.
15 Maddalena era in cucina che finiva di preparare la cena;
e dopo un poco, non sentendoli parlare s’affacciò all’uscio.

Severina non disse nulla né a Michele né a Maddalena di


20 quel ch’era accaduto in casa della zia, e continuò ad andar-
ci, benché non provasse più lo stesso piacere di prima. Di
sé e di Mamusa non parlò più se non con Michele, e la zia
Luisa non le parlò più di farsi insegnare il modo di far gli
sgonfiotti.
25 Un giorno che la zia stava facendo il pane, Severina, ch’e-
ra sul ponte, sentì da lontano l’odore, e provò un senso di
nausea. Dapprima non credette che fosse l’odore del pane.
La casa della zia era sulla costa del monte. Bisognava attra-
versare il torrente su un ponticello di legno e prendere un
30 vicolo erto e sassoso. Il vento continuava a portarle l’odo-
re del pane, e lei si accorse con meraviglia ch’era proprio
quell’odore che le chiudeva la gola. Le pareva di sentirci
dentro una puzza di capelli bruciati. Si tappò la bocca e il
naso con la cocca dello scialletto, ma si sentiva il passo lega-
35 to, le gambe pesanti; e dovette appoggiarsi al muro di una

3. nessun altro] nessun’altro D D1 D2 B ≠ M2     6. riconoscevano] |rico-


noscevano| (›conoscevano‹) D     12. tavolo, poi] tavolo, al buio; poi D ta-
volo, ›al buio;‹ poi D1     25-26. Severina…ponte,] Severina D Severina|,|
/ch’era sul ponte,/ D1     28. casa] |casa| (›costa‹) D     
Michele Boschino 127

casa. Era un malessere mai provato, terribile, come se stesse


per morire. Qualcuno la sorresse, la portarono in una casa
vicina.
La gravidanza coincise con la luna nuova; e il tempo cam-
biò. Quando l’inverno comincia così, a Sigalesa, è segno che 5
la stagione dura costante, senza sbalzi. Ci si può fidare. Alle
piogge di dicembre succedono le secche di gennaio; poi ri-
prende ancora a piovere, ma sono piogge leggere che non
allettano i grani. L’inverno è breve. A febbraio si comincia
a vedere qualche mandorlo fiorire, qua e là, per la campa- 10
gna ancora spoglia. Allora c’è la paura che l’inverno, prima
d’andarsene, faccia qualche brutto scherzo. Guai se i ven-
ti caldi fanno anticipare la fioritura: allora basta un po’ di
freddo a far morire i fiori sui rami. Sono giorni di trepida-
zione; ma se passano, a suo tempo la fioritura si spiega sui 15
colli, avanza come la spuma di un’onda insinuandosi tra
i vecchi boschi, tra gli oliveti, tra le vigne spoglie, invade
tutto, e la campagna sembra un giardino. Il profumo di tutti
quei fiori dà un’illusione di tepore. E il tepore c’è in realtà,
ma così leggero che solo i fiori e le gemme degli alberi lo 20
possono sentire.
Per questo i contadini, durante le lunghe giornate di
pioggia del principio dell’inverno, se ne stanno sotto la tet-
toia delle stalle a studiare con attenzione in cielo la forma
delle nuvole, che segnano come bandiere, sui monti, la di- 25
rezione del vento. Cercano in questi segni, relativi alle pre-
visioni della giornata, la conferma di previsioni più lontane.

2. morire. Qualcuno] morire. /›[—]‹/ Qualcuno D1     8. piovere,] piovere;


(← piovere,) D1 D2 piovere, D B     9. L’inverno] ›A febbraio si comincia a
vedere‹ L’inverno D     10. fiorire] |fiorire| (›fiorito‹) D     15. a suo] e a suo
D D2 ›e‹ a suo D1     18. un giardino] |un giardino| (›in festa‹) D     20. ma
così leggero che] ma D ma /così leggero che/ D1     20-21. lo possono sen-
tire] ›lo sentono‹ ne sentono gli effetti D •lo possono sentire (›ne sentono
gli effetti‹) D1     26-27. segni…lontane] segni la conferma delle previsio-
ni della giornata entro le previsioni più vaste della stagione. D segni •che
(›la‹) conferma|no| le (← delle) previsioni della giornata|,| •la conferma di
(›entro le‹) previsioni più •lontane (›vaste della stagione‹). D1 D2 B ≠ M2     
128 GIUSEPPE DESSÌ

Intanto trascorrono quelle settimane di pioggia e di ripo-


so. Sembra impossibile che sia già passato tanto tempo da
quando hanno finito di seminare. Eppure se si strappa una
pianticella di grano non c’è più neppure la traccia del seme
5 da cui è scoppiata fuori. La pianticella se lo è mangiato, le
radici sono forti, abbarbicate alla zolla. Mentre s’aspetta che
le terre s’asciughino per erpicarle, cominciano i lavori negli
oliveti. Si fanno le piazzole sotto ogni pianta, si strappano
con cura le erbe dalla barbicaia perché le olive cadute non ci
10 si nascondano dentro a marcire, si staggiano i rami troppo
carichi, si dibruca il pedale sotto gli innesti, dove crescono
i polloni selvatici. Poi, quando le olive cominciano a nereg-
giare tra le foglie, e qualcuna a cadere, i guardiani vegliano
perché i branchi di pecore e di capre non sconfinino negli
15 oliveti. Non c’è anima viva. Si sente solo il tonfo delle olive
che cadono e ruzzolano per il pendio. Di mattina si vedono
scendere dalle strade dei monti gruppetti di donne, di ra-
gazzi e di vecchi, a due, a tre, che portano sulle spalle o sulla
testa sacchi e sporte di olive. I guardiani tirano ai tordi, che
20 anche loro, come i poveretti, sono i primi a cominciare il
raccolto.
Severina passava lunghe ore seduta sulla porta del cortile.
Si ripeteva spesso un fatto di cui non aveva mai parlato nep-
pure con Michele. In certi momenti i suoi occhi acquista-
25 vano una sensibilità particolare per i colori. Non gli oggetti
attiravano il suo sguardo, ma i colori. E quando guardava
da vicino una stoffa, nel colore di questa stoffa scorgeva i fili
di colore diverso, tanti colori diversi, nei quali l’azzurro o il
verde della stoffa si scomponeva. E così era tutto: il paese,
30 la campagna era una congerie di fili multicolori. S’incanta-
va al rosso dei corpetti delle donne, alle loro ampie sottane

1. quelle settimane] i giorni D •quelle settimane (›i giorni‹) D1     4. del


seme] della pianticella D •del seme (›della pianticella‹) D1     11. dibruca il
pedale] dibruca (← dibrucano le p) il pedale, D D1 D2 dibruca il pedale (←
pedale,) B     15. tonfo] tonfo /leggero/ D1 D2 tonfo D B     23. Si ripeteva]
Le accadeva D •Si ripeteva (›Le accadeva‹) D1     26. attiravano] attiravano
›i colori, ma‹ D     29. verde della stoffa] |verde della stoffa| (›rosso della‹)
D     
Michele Boschino 129

dogate di amaranto e di celeste, come se per la prima volta


s’accorgesse di quei costumi sgargianti così diversi da quelli
di Mamusa. Anche quando chiudeva gli occhi, le rimaneva
dentro il fiammeggiare confuso di quei colori. Un vaso di
gerani la faceva trasalire di gioia; e tutte le case di Sigalesa, 5
costruite con la nera pietra dell’Isola ne avevano alle fine-
stre. Se le accadeva di sognare Mamusa, non vedeva, nel
sogno, Mamusa, ma un paese pieno di colori vividi come
fiamme; e il cielo era anch’esso acceso di viola o di azzurro
intenso. 10
In questo tempo, dopo i primi mesi di gravidanza, s’era
rimessa in carne. Sembrava un’altra, bella e florida come
non era mai stata.

1. amaranto] rosso D •amaranto (›rosso‹) D1     3-4. rimaneva dentro] ri-


maneva D rimaneva /dentro/ D1     4. di quei] dei D •di quei (›dei‹) D1     7.
le accadeva…vedeva] |le accadeva di sognare Mamusa, non vedeva| (›so-
gnava di Mamusa, non vedeva‹) D     9. fiamme; e il cielo] fiamme: uo-
mini, bestie, case, alberi; e il cielo D D1 D2 fiamme; (← fiamme:) ›uomini,
bestie, case, alberi;‹ e il cielo B     11. In questo tempo] ›Dopo i primi mesi
di gravidanza‹ In questo tempo D     12. un’altra] un’altra donna D un’al-
tra ›donna‹ D1     13. stata] stata prima D D1 D2 stata ›prima‹ B
PARTE SECONDA
Michele Boschino 133

Il ricordo più preciso che mi rimane di quei giorni è lo 5


squillo intermittente del telefono, lontano, in fondo al cor-
ridoio. Avevo ripreso coscienza lentamente, e mi ero tro-
vato a letto, con le gambe ingessate. Potevo muovere solo
le braccia e la testa, che pian piano mi si liberava come da
un peso enorme. Seppi più tardi che in quelle prime ore, o 10
forse giorni, di semi-lucidità, il pericolo della commozione
cerebrale non era ancora cessato. Eppure, oltre questo peso
alla testa, non sentivo nessun dolore, anzi, a mano a mano,
come il mio cervello si snebbiava, un senso di benessere e di
leggerezza s’impadroniva di me. Non ricordavo nulla, e non 15
sapevo neppure dove mi trovavo. Intorno a me era buio e
silenzio, e io non facevo nessuno sforzo per ricordare, né
per sapere se ero in un ospedale o a casa mia; come non
facevo nessuno sforzo per parlare con la persona che sedeva
accanto al mio letto, e di cui sentivo la mancanza quando, 20
per brevi istanti, se ne allontanava. Credo di aver sempre
saputo, fin da principio, per quanto era possibile sapere nel-
le condizioni in cui mi trovavo, che quella persona era mia
madre. Ma del resto non saprei dire con precisione quali
sensazioni provassi, perché, in realtà, ho l’impressione di 25
aver ripreso coscienza all’improvviso dopo un lungo sonno

5. quei giorni] |quei giorni| (›quel tempo‹) D     7. mi ero] m’ero D D1 D2


mi ero B     8. gambe ingessate] gambe ingessate ›fasciato come una mum-
mia‹ D     9. mi si] mi D /mi/ si D1     17. silenzio, e] silenzio. E D silenzio,
e (← silenzio. E) D1     19-20. sedeva accanto] |sedeva accanto| (›mi stava
costantemente accanto‹) D     22-24. fin da…madre] fin dai primi istanti,
che si trattava di mia madre D fin dai primi istanti, /per quanto era pos-
sibile sapere nelle condizioni in cui mi trovavo,/ •che quella persona era
(›si trattava di‹) mia madre D1 D2 ||fin da principio,|| (›fin dai primi istan-
ti,‹) per quanto era possibile sapere nelle condizioni in cui mi trovavo, che
quella persona era mia madre B     25. provassi, perché,] provassi, mentre
mi trovavo in quello stato, perché, D provassi, ›mentre mi trovavo in quel-
lo stato,‹ perché, D1  ◆  di] |di| (›che‹) D     26. coscienza all’improvviso]
coscienza D coscienza /all’improvviso/ D1     
134 GIUSEPPE DESSÌ

ristoratore, svegliandomi nella mia stanza. Al mio stato di


incoscienza e di torpore mi lega solo la memoria fisica di
quella sensazione di benessere che ho detto, offuscato appe-
na come da ombre: l’allontanarsi di mia madre dal letto, il
5 peso alla testa, e la nausea che mi dava lo squillo lontano del
telefono. La mia vita ricomincia da quel risveglio, quando
ogni pericolo era passato, e la sola preoccupazione di mia
madre – cosa che mi pare anche ora incredibile – era il gran
numero di ragazze che chiedevano notizie della mia salute.
10 Non supponeva neppure che io ne conoscessi tante; e ri-
cordo che Alberto, col quale ne parlava, durò molta fatica
a convincerla che erano tutte nostre compagne. Infatti la
facoltà di matematica era frequentata in numero prepon-
derante da donne; e questo particolare era sempre sfuggito
15 a mia madre. «Ai miei tempi» diceva lei ancora incredula
«eravamo in due in tutta la facoltà: gli altri erano uomini».
Inoltre molte studentesse di chimica e di scienze naturali
frequentavano i nostri corsi; e tutte, da quando ero a letto,
s’interessavano della mia salute. Mia madre si rifiutò di cre-
20 dere che queste ragazze mi conoscevano appena di vista; e
accolse le mie proteste con un sorriso tra ironico e malizio-
so. Del resto, io stesso mi meravigliavo che quelle ragazze
mostrassero, tutto a un tratto, tanto interesse per me. Un
giorno Alberto mi disse che probabilmente, se fossi rima-
25 sto storpio per la vita tutte quelle brave persone avrebbero
girato al largo. Rimasi colpito lì per lì dal cinismo di que-

3. quella sensazione] quel senso D quella sensazione (← quel senso)


D1     3-4. appena] solo D D1 D2 ||appena|| (›solo‹) B     7. passato…mia]
passato e mia D passato|,| e /la sola preoccupazione di/ mia D1     8. era il
gran] era molto preoccupata dal D era •ormai il (›molto preoccupata dal‹)
gran D1 D2 era il gran B     10. io ne conoscessi tante;] io conoscessi tante
ragazze; D io /ne/ conoscessi tante ›ragazze‹; D1     11. Alberto] Alberto
Mocini D D1 D2 Alberto ›Mocini‹ B     11-12. durò …convincerla] stentò
non poco a |convincerla| (›farle cre‹) D •durò molta fatica (›stentò non
poco‹) a convincerla D1     12. compagne] colleghe D •compagne ›di studi‹
(›colleghe‹) D1     24. Alberto] Alberto Mocini D D1 D2 Alberto ›Mocini‹
B     25. persone avrebbero] persone che s’interessavano di me avrebbero
D persone ›che s’interessavano di me‹ avrebbero D1     26. colpito…cini-
smo] colpito dalla verità D colpito /lì per lì/ dalla verità D1 D2 colpito lì per
lì ||dal cinismo|| (›dalla verità‹) B     
Michele Boschino 135

sta affermazione, ma mi guardavo bene dall’approfondirla.


Spesso le osservazioni di Alberto hanno qualcosa di crudele
e di astratto, e sono vere come certi assiomi – di una verità
limitata e priva di contenuto fuori dal campo della mate-
matica. Alberto non si abbandona più al gusto di filosofa- 5
re sugli uomini, come qualche anno fa, eppure è sempre
implicito, nel suo modo di ragionare, questo atteggiamen-
to mentale. Si potrebbero dedurre dai suoi discorsi, dalla
conversazione più banale una serie di principi che stanno
alla base del suo modo pessimistico di considerare le cose. 10
Nello stupore di quel mio risveglio trovavo Alberto e mia
madre come li avevo lasciati. La vita aveva ripreso, anche
per lei, il suo corso abituale, e in esso mia madre si riposava
dall’angoscia e dallo spavento di perdermi che l’aveva scon-
volta qualche giorno prima. Io invece dovevo ancora ren- 15
dermi conto di tutto. Il pensiero della morte, così vivo nel
benessere fisico che mi inondava e si tramutava in un senso
di intima gioia, mi separava da lei. Mentre prima, nello sta-
to di semi-incoscienza, soffrivo quando s’allontanava dal-
la stanza o forse solo dal mio capezzale, ora ero contento 20
quando potevo rimanere solo; e aspettavo con impazienza
che uscisse per le sue lezioni. Benché fossi continuamente
occupato da questo pensiero ch’era diventato un sentimen-
to, mi faceva uno strano effetto sentir dire dagli altri ch’ero
salvo per miracolo. Arrivavo a desiderare la visita di persone 25
estranee per sentirmi ripetere questa cosa di cui ormai le

1. ma mi guardavo] e mi guardai D ma (← e) mi guardai D1 D2 B ≠ M2     3.


assiomi – di] assiomi, ma di D assiomi – di (← assiomi, ma di) D1     5.
non…di] non si |abbandona più| (›lascia mai andare‹) al gusto |di filoso-
fare| (›delle affermazioni‹) D     8-9. dalla conversazione] dalla /sua/ con-
versazione D1     13. lei] mia madre D •lei (›mia madre‹) D1     14. dall’an-
goscia] dall’angoscia ›che l’a‹ D     15. prima. Io invece dovevo] prima;
mentre io dovevo D prima. Io invece dovevo (← prima; mentre io dovevo)
D1     17. mi inondava] m’inondava D D1 D2 mi inondava B     19. semi-
incoscienza,] semi-incoscienza D semi-incoscienza|,| D1     21. solo;] solo
D solo|,| D1 D2 solo; (← solo,) B     22. Benché fossi] Benché fossi D Benché
›non pensassi ad altro, e‹ fossi D1     23. pensiero] pensiero|,| D1     26. di
cui ormai] |di cui ormai| (›che ormai‹) D     
136 GIUSEPPE DESSÌ

persone di casa e gli amici non parlavano più. Le visite degli


estranei m’interessavano soltanto per questo; poi avrei vo-
luto che quelle persone se n’andassero subito e mi lascias-
sero solo con quel mio pensiero costante, o sentimento che
5 fosse, ringiovanito di pudore. Io non avrei potuto parlarne,
per esempio. E credo che le parole degli estranei mi facesse-
ro quello strano effetto proprio per questo, perché eccitava-
no un sentimento vivissimo di pudore. Un giorno un’amica
di mia madre mi chiese se avessi sofferto nella caduta. Non
10 sono stato capace di dirle la verità, che non avevo sentito
nulla, e che non avevo sentito nulla neanche dopo, che non
soffrivo ma che anzi provavo un senso di piacere; come non
riuscii mai a dire a mia madre ch’ero contento di starmene
a letto con le gambe ingessate. Ho sempre lasciato credere a
15 tutti di aver sofferto molto. In realtà, della mia caduta non
ricordo altro all’infuori di questo: le grida dei miei compa-
gni, in alto, sulla mia testa. Tutti erano rimasti così colpiti
dalla descrizione impressionante che essi fecero della mia
caduta e dello stato in cui mi avevano raccolto, che mi sem-
20 brava una fatica improba e inutile tentare di disingannarli.
Dopo che le visite cominciarono a diradare, la mamma
mi faceva un po’ di lettura ogni giorno, ma per lo più se-
deva accanto al mio letto a lavorare, in silenzio, perché il
medico le aveva detto di non affaticarmi. Non ho mai ama-
25 to la solitudine e il silenzio come in quel tempo, e dovetti
insistere perché non pregasse Alberto di venire a tenermi
compagnia quando lei usciva per andare al Collegio Carlo

2. soltanto] solo D D1 D2 ||soltanto|| (›solo‹) B     3. n’andassero subito]


n’andassero D n’andassero /subito/ D1     5-6. ringiovanito…non] ringio-
vanito dalle loro parole. Ed era un piacere misto di pudore. Io non D D1
D2 B ≠ M2     9. chiese…sofferto] |chiese| (›ha chiesto‹) se avessi ›molto‹
sofferto D     10-11. che non…dopo] che ›[—]‹ non ›ho sofferto e che non
soffro affatto, che anzi sono contento‹ avevo ›sofferto‹ sentito nulla, e che
non avevo neanche dopo D che non avevo sentito nulla, e che non avevo
/sentito nulla/ neanche dopo D1     12. ma che anzi] ma anzi D ma /che/
anzi D1     15. molto…non] molto, ma in realtà non D molto. In (← mol-
to, ma in) realtà|,| /della mia caduta/ non D1     18. fecero] hanno fatto
D •fecero (›hanno fatto‹) D1     19. avevano] hanno D •avevano (›hanno‹)
D1     27. quando lei usciva] quando usciva D quando /lei/ usciva D1     
Michele Boschino 137

Felice. Allora potevo starmene solo per tre o quattro ore; e


siccome mia madre dava di sera le sue lezioni, erano le ore
più belle e più quiete della giornata. Quando Linda entrava
nella stanza per attizzare il fuoco del caminetto, chiude-
vo gli occhi e fingevo di dormire. Stavo bene, così. Ma era 5
difficile convincere mia madre che non avevo bisogno di
nessuno. Dopo la lezione, tornava a casa in fretta, si preci-
pitava nella stanza senza levarsi la pelliccia; salendo le scale
s’era già sfilata il guanto per toccarmi la fronte e il collo. Io
rabbrividivo al contatto della sua mano sottile e fredda. Il 10
medico le aveva detto che l’assoluta immobilità non avreb-
be mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. Ma
anche la dieta rigorosa mi piaceva, confacendosi appunto
alla mia immobilità. A lei invece tutto sembrava terribile, e
la mia stessa tranquillità la spaventava. Forse da quand’ero 15
bambino non ero mai stato tanto contento come allora.
Dalla mia stanza, quando la mamma era a scuola, senti-
vo i rumori della cucina: l’acciottolio dei piatti, il macini-
no del caffè, e Linda che mugolava una specie di canzone
mentre sfaccendava. Pensavo spesso a Montaigne, quando 20
se ne stava chiuso nella sua torre e ascoltava i rumori che
venivano dalle stanze a terreno: vagheggiavo una solitudine
di meditazione e di studio come la sua, regolata sulla vita

2. lezioni, erano] lezioni, in quel collegio, erano D D1 D2 lezioni, ›in quel


collegio,‹ erano B     5. Stavo bene, così.] Stavo bene così. D D1 D2 Stavo
bene|,| così. B     6. convincere mia madre che] |convincere| (›far credere
a‹) mia madre ›che era meglio‹ che D     8. salendo] ma salendo D D1 D2
›ma‹ salendo B     9. s’era già sfilata] s’era sfilata D D1 D2 s’era /già/ sfilata
B     9-12. collo…intestinale.] collo. ›Io rabbrividivo al contatto della sua
mano sottile e diaccia.‹ Il medico le aveva detto che l’assoluta immobi-
lità non avrebbe mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. Io
rabbrividivo al contatto della sua mano •sottile e fredda (›diaccia‹). D D1
D2 collo. 2Il medico le aveva detto che l’assoluta immobilità non avrebbe
mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. 1Io rabbrividivo al
contatto della sua mano sottile e fredda. B     13. confacendosi] confacen-
dosi ›al mio bisogno‹ D     15. tranquillità la spaventava] immobilità la
insospettiva D •tranquillità (›immobilità‹) la insospettiva D1 D2 tranquil-
lità la ||spaventava|| (›insospettiva‹) B     16. tanto contento] contento D
|tanto| contento D1     16-17. allora. Dalla] allora.↔|| Dalla D D1 D2 B ≠
M2     22-23. solitudine…studio] solitudine D solitudine /di meditazione
e di studio/ D1     23. sulla] dalla D •sulla (›dalla‹) D1     
138 GIUSEPPE DESSÌ

quieta di una casa di campagna. Fantasticavo che la nostra


casa fosse in mezzo alla campagna, e i rumori della cucina,
isolati nel silenzio, m’aiutavano a immaginarmi i rumori
della campagna. Ma fuori di questa illusione, potevo udire
5 il brusio uniforme e confuso della città, sempre presente,
della città che vive per suo conto, anche se non ci penso, e
cresce, si estende, inghiotte pian piano le borgate intorno al
golfo allargando il suo continuo ronzio d’alveare, che non
disturbava, d’altronde, il mio profondo bisogno di silenzio.
10

«La gran differenza tra la città e la provincia» mi disse una


sera Alberto «è che in provincia ogni tanto, se si vuole, ci si
può fermare. Tu sei stanco? Vuoi startene tutto solo con i
15 tuoi pensieri? Puoi ritirarti nella tua casa tranquillamente
senza bisogno di far credere che sei partito o che sei am-
malato. La campagna si concede ogni giorno il suo riposo.
La campagna lavora, dorme, si sveglia secondo il corso del
sole: gli uomini e le bestie là fanno altrettanto». Mi raccon-
20 tò di un paesino dove suo fratello fa il pretore da quasi un
anno. La prima settimana non sapeva adattarsi a quella vita,
poi gli regalarono un cane, e a mano a mano che il cane cre-
sceva e diventava amico degli abitanti del paese, anche lui
imparava ad amare quella gente. Io cercavo di figurarmi la
25 scoperta della campagna da parte di questo cittadino osti-
le, pensavo ai paesi sparsi sulla costa dei monti o nascosti
nella pianura, quei paesi che s’addormentano al tramonto,
come diceva Alberto, e si svegliano all’alba, al primo diffon-
dersi della luce, pensavo alla nostra piccola casa di Ultra,
30 che non è altro che una casa di contadini, alla pineta. Avrei
voluto essere là, nella mia stanzetta con le pareti scialbate

8. golfo] golfo|,| D1 D2 golfo D B  ◆  allargando] allargando ›quel fermo


ronzio di‹ D  ◆  il suo continuo] il suo uniforme e continuo D D1 D2 il
suo ›uniforme e‹ continuo B     9. disturbava] disturba D D1 D2 distur-
bava B     18. lavora, dorme,] ›dorme,‹ lavora, dorme, D     19. bestie là]
bestie D bestie /là/ D1     20. fa] faceva D fa (← faceva) D1     21. non] ›gli‹
non D     24. gente] gente di campagna D gente ›di campagna‹ D1     28.
Alberto,] Alberto D D1 D2 Alberto|,| B  ◆  svegliano] svegliavano D D1 D2
svegliano (← svegliavano) B     
Michele Boschino 139

e le travi di ginepro. Il pensiero che avrei potuto andarci a


passare la convalescenza mi riempiva di gioia. Trovandomi
però nell’impossibilità di andarci subito mi facevo questa
domanda: “È proprio vero che ci sia tra la vita di campagna
e la vita della città questa gran differenza che diciamo noi 5
cittadini? E che cos’è, in fondo, la vita della città se non il
continuo sovrapporsi e complicarsi e moltiplicarsi della vita
elementare della campagna?”. Arrivavo a due conclusioni
completamente opposte: 1) che non c’è nessuna differenza;
2) che v’è una differenza enorme. Ma non erano pensieri, 10
erano fantasie, immagini di quel mio bisogno di solitudine.
Ritornavo continuamente con l’immaginazione a Maria, a
Donato, a Isabella, al Capitano, al vecchio che abitava nella
rimessa degli Almerio, ai cugini di mia madre, coi quali ero
stato anche l’estate scorsa a caccia di tortore nelle aie vici- 15
ne al paese. Ricordavo il campo nel quale eravamo rimasti
appostati in attesa che le tortore si levassero dai boschetti ai
piedi della collina per venire a pascolare nelle aie. C’erava-
mo andati la sera prima, al tramonto, senza fucili, con una
roncola e un mazzo di giunchi per farci le capannucce tra i 20
cespugli. Era un campo tenuto a maggese. Le spine secche
dei cardi coprivano le tracce delle stoppie brucate dalle pe-
core, e le leggere corolle dondolando sugli steli mi sgraffia-
vano gli stivali e mi pungevano il ginocchio. Mi pareva di
risentire, nella mia immobilità, queste punture velenose e 25
dolorosissime. Proprio in mezzo al campo, sul terreno duro
e secco che risuonava sotto i nostri piedi, cresceva un’erba
fitta, sottile come lino, tra la quale si vedevano le caccole
nere dei conigli e le tracce dei loro giuochi qua e là, come
di mani passate su un velluto. Grandi ulivi mutilati e radi 30
cespugli di lentischio, sulla linea della siepe, di cui non v’era
più traccia, delimitavano il campo dalla parte della strada

1. andarci] andarvi D andarci (← andarvi) D1     3. andarci] andarvi D an-


darci (← andarvi) D1     4. ci] vi D D1 D2 ci (← vi) B  ◆  di] della D D1 D2 di
B     9. c’è] v’è D c’è (← v’è) D1     10. v’è] c’è (← v’è) D1 D2 v’è D B     20.
capannucce] capannuccie D D1 D2 B ≠ M2     23. leggere corolle] ›corolle‹
leggere corolle D     25. queste] |queste| (›le‹) D     26. Proprio in mezzo al]
|Proprio in mezzo al| (›Al centro del‹) D     29. dei] di D D1 D2 dei (← di)
B     30. di mani] mani D D1 D2 B ≠ M2     
140 GIUSEPPE DESSÌ

ferrata. Ma dalla parte opposta i cespugli erano più alti e


più folti. Là i cugini decisero di preparare i nascondigli per
il giorno dopo. Ci tagliammo ciascuno una specie di nido
nel folto dei cespugli, a una certa distanza l’uno dall’altro,
5 e su ogni nido intessemmo coi rami tagliati e i giunchi una
leggera tettoia, in modo da poter stare là dentro senza esser
visti dalle tortore. Io entrai nel mio nido per prova, e i miei
abiti conservarono poi l’odore aspro del lentischio. Ce ne
tornammo per una stradicciola sprofondata tra le siepi e
10 gli alberi che crescevano sui margini. Era quasi notte, ma
a ripensarci dal mio letto mi pareva che la notte fosse solo
sui monti di Ultra, verso i quali andavamo, e che riempiva-
no tutto il cielo. Il giorno dopo partimmo prima dell’alba,
perché solo alle prime luci le tortore volano alle aie in cerca
15 di cibo e poi, quando il sole comincia a levarsi se ne stan-
no appollaiate tra i rami. Appena alzato, bevvi un bicchiere
d’acqua, e m’accorsi che, da quello che avevo bevuto prima
d’andare a letto, la luna aveva fatto ben poca strada nel cie-
lo. Avevo dormito circa quattro ore. Era la prima volta che
20 mi decidevo ad andare a caccia di tortore, quell’anno. Ci
andavo, un poco per non distaccarmi del tutto da un’abi-
tudine giovanile, un poco per non far dispiacere ai cugini,
che m’invitavano. Ma quella volta ero contento d’andarci,
e con gioia, quando m’era parso di sentire un sasseto rim-
25 balzare contro la gelosia della mia finestra, m’ero affacciato
per dire a Riccardo che in un momento sarei stato pron-
to. La strada era scura, scuri i monti, per quel poco che se
ne vedeva sopra i pini, ravvivati gli odori della campagna
nel vento fresco che s’era levato. Durante quelle poche ore
30 era piovuto. Per questo il mio sonno era stato così riposa-
to e pieno: un sonno autunnale. L’autunno è, a Ultra, una
stagione forestiera. Giunge improvvisa, estranea a tutte le
nostre previsioni di villeggianti rassegnati alla monotonia
dell’estate troppo lunga, allarga i giorni, accende una tra-
35 sparenza nuova nella campagna, rileva i colori nell’indefi-

5. tagliati] dei cespugli D •tagliati (›dei cespugli‹) D1     19. prima] •pri-


ma (›seconda‹) D     22. ai cugini] ai miei cugini D D1 D2 ai ›miei‹ cugini
B     24. sasseto] sassetto D D1 D2 M2 sasseti (← sassesso) B     
Michele Boschino 141

nita e aspra cupezza. Nei monti, le rocce, che prima erano


color di cenere, si fanno di un rosa dolomitico, e ti accorgi
che emergono dal folto di boschi profondi. Attraverso l’aria
vedi o indovini, nel monte, canaloni, spaccature, anfratti,
e ti meravigli del grande silenzio che li circonda; e percor- 5
rendoli con l’occhio, quasi li guardassi attraverso la lente
di un cannocchiale, misuri la vastità di questo silenzio. Gli
ulivi della pianura, che s’è bevuta tutta la pioggia, si posso-
no contare a uno a uno, tanto appaiono distinti, sul ciglio
dei fossi su cui si sporgono, o al limite di una radura. Anche 10
lì scopri strade, viottole, il letto del torrente, come una fiu-
mana di pietre grigie, mille accidenti del terreno fin allora
sommersi nella luce eguale delle stoppie, nella tua abitudi-
ne ai colori invecchiati dell’estate.
Montammo in quattro su un calesse sgangherato e a gran 15
trotto c’infilammo per la strada sassosa del giorno prima, a
rischio di rompere le balestre o di ribaltarci.
Le frasche con cui avevamo coperto i nostri cespugli si
distinguevano da lontano per una maggior compattezza
delle foglie. I cespugli bagnati odoravano come bestie vive. 20
Ci cacciammo ognuno nel suo nido e aspettammo, col fuci-
le carico tra le ginocchia. I cugini si chiamavano con fischi
leggeri, per dirsi che tutto andava bene. Ma nuvole azzurre
immobili nella profondità del cielo ritardavano l’alba. Gli
uccelli non lasciavano ancora i loro alberi. Se ne stavano là, 25
tra le foglie, nel silenzio notturno che tiene, per loro, luogo
del sonno. Dalla finestra di foglie del mio nido vedevo l’al-
bero che mi era stato assegnato, e dietro quello altri ulivi,
cespugli, siepi, folte macchie d’alberi chiari stretti ai piedi
della collina. Là appunto dovevano starsene le tortore, in 30
attesa dell’alba. Dopo un certo tempo, una schioppettata
lontana ne fece levare tre che percorsero una lista chiara di
cielo tra il crinale del colle e le nuvole, e sparirono in cerca

3. emergono dal] |emergono dal| (›sbucano dal‹) D     7. misuri] |misu-


ri| (›senti‹) D     10. o al] al D /o/ al D1     12. fin allora] fin’allora D D1
D2 B M2     19-20. compattezza delle foglie] compattezza ›ma la pioggia
della notte le aveva tenute fresche e ravvivate‹ D compattezza /delle fo-
glie./ D1     26. luogo] il luogo D D1 D2 ›il‹ luogo B     33. nuvole,] nuvole
D nuvole|,| D1     
142 GIUSEPPE DESSÌ

d’altri alberi silenziosi. A un tratto sentii il loro rapido sfra-


scare d’ali dietro le mie spalle. Dai cespugli partirono fischi
leggeri, cenni d’intesa. Nello stretto pertugio della feritoia
si perdeva ogni cognizione della prospettiva e della distan-
5 za. Un moscerino che mi passava davanti agli occhi poteva
sembrarmi una tortora tra gli alberi lontani, uno stelo di
biada piegato dal vento che si raddrizzava coi suoi chicchi
sospesi a filamenti invisibili simulava un ordinato stormo
poggiante nel cielo.
10 Ecco che, rasente terra, una tortora viene al mio albero.
Vedo il suo petto bianco. Con un colpo d’ala si leva, si posa
su un ramo più alto guardandosi intorno sospettosa. Sem-
bra sul punto di riprendere il volo. Ma Riccardo l’abbatte
con una schioppettata che si srotola rabbiosa nella pianura.
15 Mi sembra d’aver sentito il tonfo di quel corpo divenuto a
un tratto pesante, e nel tonfo mi sembra di aver sentito un
suono curioso, come se l’uccello avesse un fischietto den-
tro. Ne viene un’altra, sempre al mio albero. Fischi leggeri
mi chiedono perché non sparo.
20 Ma anche per gli altri la caccia fu scarsa. Queste giornate
improvvisamente autunnali sono poco propizie all’agguato.
Durante il ritorno i cugini parlarono della prossima aper-
tura della caccia alla pernice. Dicevano che in una giornata
come quella sarebbe stato bello uscire coi cani, che seguono
25 infallibilmente, sulla terra umida, la traccia della selvaggina.
Dicevano che solo dal modo che hanno i cani di procedere
e di fermarsi, di voltarsi a guardare il padrone e di puntare
con una zampa alzata, il cacciatore capisce se si tratta d’una
quaglia o d’una pernice.
30

A un tratto, mentre ero immerso in questi ricordi, e quasi


impregnato di odori campestri, pensai che anche a Maria il
tonfo che fa cadendo l’uccello colpito deve dare un brivido,

6. tra gli alberi] tra alberi D D1 D2 B ≠ M2     7. raddrizzava] raddrizzasse


D raddrizzava (← raddrizzasse) D1     9. poggiante] ›che‹ poggiante D     
Michele Boschino 143

come succede a me al solo pensarci; e desiderai ardente-


mente di rivederla.
Rivedo Linda entrare nella mia stanza. Non bussa per
non svegliarmi. Passa lontano dalle sedie per non urtarle,
s’accoccola davanti al camino. Sento solo la fiamma che si 5
ravviva, qualche schiocco, qualche scoppio. Nella sua sor-
dità, il ricordo dei rumori dev’essersi decuplicato, se pone
tanta cura a evitarli: perché anche prima che io fossi amma-
lato era così silenziosa. È cosa stranissima un sordo che si
porta intorno un alone di silenzio. Così è Linda: riversa il 10
suo silenzio fuori di sé.
Prima che le morisse l’unica figlia vestiva ancora il costu-
me di un paese del Centro che in seguito ho individuato:
una lunga gonna dogata d’amaranto e d’azzurro, il corpetto
di broccato rosso, lo scialletto e il grembiale di seta. Allora 15
teneva la portineria di casa nostra, e suo marito lavorava
tutto il giorno nello sgabuzzino a risuolare scarpe. Dopo
la morte della figlia ha smesso il costume e porta gli abiti
smessi di mia madre ritinti di nero. Da allora è entrata al
nostro servizio, e mia madre dice di non aver mai avuto 20
una donna così pronta fidata e discreta. Non ha nessuna
di quelle qualità che si richiedono a una buona cameriera
come era Marcella, per esempio, e io dovetti durare non
poca fatica ad abituarmici, da principio. Serve male a ta-
vola, non sa preparare il tè, non sente il telefono. Quando 25

1. succede] succedeva D D1 D2 succede B     2-3. rivederla. Rivedo] ri-


vederla.↔|| Rivedo D D1 D2 rivederla.↔| Rivedo B     4. Passa lontano]
›Non fa il minimo rumore, non urta mai una sedia‹ Passa lontana D Passa
lontana D1 D2 Passa lontano B     6-7. sordità, il ricordo] sordità, ›adeve
avere conservato bricorda cingiga‹ il ricordo     9. era così silenziosa] era si-
lenziosissima D D1 D2 era così silenziosa B     10. un alone] come una sfera
D D1 D2 ||un alone|| (›come una sfera‹) B  ◆  è Linda: riversa] era Linda:
riversava D è (← era) Linda: riversa (← riversava) D1     11-12. di sé. Prima]
di sé. Prima D di sé.↔| Prima D1     13. in…individuato:] |in seguito ho|
(›poi ho‹) perfettamente individuato: D in seguito ho ›perfettamente‹ in-
dividuato: D1     14. d’amaranto] di rosso D D2 di •amaranto (›rosso‹) D1
d’amaranto B     15. broccato…scialletto] broccato, lo scialletto ›di seta‹
D broccato /rosso/, lo scialletto D1     21. pronta] pronta, D D1 D2 pronta
B     24. abituarmici…Serve] abituarmici. ›Linda‹ Serve (← serve) D abi-
tuarmici, /da principio./ Serve D1     
144 GIUSEPPE DESSÌ

qualcuno suona, è suo marito che accompagna il visitatore


su per le scale col cappello in testa, il grembiale di pelle e le
mani sporche, e brontola perché dice che questo è un servi-
zio a cui non è tenuto. Ma la mamma è contenta. Io, a lun-
5 go andare, ho scoperto in Linda altri pregi completamente
estranei alla sua vera funzione in casa nostra. Mi piace il suo
dialetto, il modo espressivo e misurato di gestire, l’attenzio-
ne animalesca con cui guarda gli altri parlare. La mamma
non alza mai la voce, quando le rivolge la parola, ché tanto
10 sarebbe inutile. La chiama a sé con un cenno. Se la mamma
è seduta, Linda piega un ginocchio a terra, poggia sull’altro
le braccia in croce con le mani penzoloni, e ascolta, cioè
guarda attentamente le labbra della mamma. Sua figlia è
morta di tubercolosi intestinale, e può darsi che anche lei
15 sia affetta dalla stessa malattia. Non so se mia madre ab-
bia chiesto consiglio al dottor Vernieri sulla convenienza o
meno di tenere in casa questa donna, o se non abbia voluto
approfondire la cosa: io per conto mio ci penso qualche vol-
ta. Quando la guardo stare così in ginocchio davanti a mia
20 madre, in una attitudine che non ha niente di servile e che è
comune alla gente di campagna, me la figuro vestita del suo
vecchio costume un po’ logoro, nella sua casa di paese. È di-
ventata sorda da ragazza, in seguito a un raffreddore preso
durante il raccolto delle olive. Me la figuro così, china, con
25 la sporta posata per terra e le mani che cercano le olive tra i

1. suona,] suona D suona|,| D1     3-4. sporche…tenuto.] sporche ›di‹,


brontola perché dice che è un servizio |a cui non è tenuto| (›che non gli
spe‹). D sporche, /e/ brontola perché dice che /questo/ è un servizio a cui
non è tenuto. D1     9. ché] che D ché (← che) D1     10. cenno. Se] cen-
no: se D cenno. Se (← cenno: se) D1     14-15. lei sia] •lei sia (›lei abbia‹)
D D1     16-17. dottor Vernieri sulla] dottor sulla convenienza D dottor
|Vernieri| sulla convenienza /o meno/ D1     21. comune] abituale D D1 D2
||comune|| (›abituale‹) B     23. sorda da ragazza] sorda ›in seguito a un
raffredd‹ da ragazza D     24. olive] ulive D D1 D2 olive (← ulive) B  ◆  fi-
guro così,] figuro, così D D1 D2 figuro così, (← figuro, così) B     25. olive]
ulive D D1 D2 olive (← ulive) B     
Michele Boschino 145

sassi, rapide, come uccelli che beccano e inghiottono senza


tregua. La sua sordità dev’essere popolata del ricordo dei
rumori distinti e vari della campagna. Non ha mai sentito
tromba d’automobile, o scampanellare di tram, o fischio di
treno. Quando le sirene dei piroscafi alzano il loro grido 5
che sale nel cielo come una vertiginosa tromba marina, lei
forse continua a sentire lo sgocciolio di una gronda della
sua casa, le raffiche della pioggia sul tetto, l’abbaiare di un
cane in una notte serena, un grillo, qualche piccolo rumore
d’allora; e forse solo questi rumori hanno serbato le loro 10
proporzioni reali, legati come sono a tanti altri ricordi pre-
cisi: quei rumori che ricordo di aver udito anch’io a Ultra,
e che mi sono rimasti nella memoria, come la voce di una
donna, per esempio, che ogni sera, quando s’accendevano i
lumi del paese, chiamava suo figlio Antonio. 15
Anch’io mi sono abituato a parlare con lei. Basta staccar
bene le parole e guardarla in faccia, come fa la mamma. Mi
ha detto di sé cose che sapevo già dalla mamma: la cau-
sa perduta da suo padre, il sequestro della loro terra, del-
la casa. Secondo lei, la colpa di tutto è di un loro parente, 20
di cui non dice mai il nome. Questo parente è lui, oppure
quello scellerato. Tutto ciò ch’è avvenuto di doloroso, nella
sua vita, l’ha causato lui, su di lui si riversa l’odio di questa
creatura. Se lei ha dovuto lasciare il paese e venire a servire
in città, se i fratelli sono andati a finire uno in carcere e uno 25
in America, se sua madre ha vissuto, negli ultimi anni, di
quello che lei, povera serva, poteva mandarle dalla città, la
colpa è sempre di quell’uomo che non nomina.

1-2. come…tregua.] come due uccelli che beccano e inghiottono, beccano


e inghiottono senza tregua. D come ›due‹ uccelli che beccano e inghiotto-
no, beccano e inghiottono senza tregua D1 D2 come uccelli che beccano e
inghiottono senza tregua. B     10. d’allora] d’allora D d’allora›, insomma‹;
D1     11. tanti altri] tanti D tanti /altri/ D1     15. chiamava] |chiamava|
(›chiamava [—]‹) D     22-23. doloroso, nella sua vita,] doloroso, D do-
loroso, /nella sua vita,/ D1     24. creatura] piccola donna magra e secca
D •creatura (›piccola donna magra e secca‹) D1     26. sua madre] il padre
D D1 D2 ||sua madre|| (›il padre‹) B     27. mandarle] mandargli D D1 D2
mandarle (← mandargli) B     
146 GIUSEPPE DESSÌ

Le ho chiesto dove si trovasse quest’uomo: mi ha risposto


che non lo sa. Aveva venduto tutto e se n’era andato anche
lui. Chi sa dove!
Attraverso quei ricordi ho cercato di ricostruire quel
5 lontano paese del Centro. L’ho riconosciuto per induzio-
ne, perché Linda parlava di quei luoghi come se io già li
conoscessi. Nominava fiumi boschi montagne brughiere, e
pian piano, a furia di sentirli ripetere, si generavano da essi
immagini vaghe di montagne di boschi di brughiere e di
10 fiumi, si disponevano entro una prospettiva, che prendeva
norma dai fatti che mi raccontava. Quante volte nominava
il campanile! Questo campanile, col suo orologio e le cam-
pane, io lo vedo. Un torrente attraversa il paese, e sul tor-
rente devono esserci tre ponti, uno in pietra e calce e due di
15 legno. Le strade sono scoscese, strette, tortuose, tra piccole
case di pietra nera, e ognuna, come quelle di Ultra – che
sono però costruite in mattoni crudi – con la sua legnaia, il
cortile e la tettoia per le bestie e il carro. Bisognava lasciarla
parlare, non insistere troppo su particolari che non avesse-
20 ro rapporto col suo racconto, perché se no s’insospettiva,
si faceva restia. Io ho indovinato questo paese sconosciu-
to. Sentivo che doveva trovarsi, presso a poco, nella stessa
posizione di Ultra, ai piedi di un monte; e siccome sapevo
che dai paesi del Centro vengono i venditori di castagne

1. ho chiesto] chiesi D D1 D2 ||ho chiesto|| (›chiesi‹) B  ◆  ha risposto] ri-


spose D D1 D2 ||ha risposto|| (›rispose‹) B     2. sa] sapeva D D1 D2 ||sa||
(›sapeva‹) B     2-3. andato anche lui.] andato D andato /anche lui/.
D1     4. ho cercato] cercavo D ho cercato (›cercavo‹) D1     5. L’ho rico-
nosciuto] Lo ricostruivo D L’ho ricostruito (← Lo ricostruivo) D1 D2 B ≠
M2     7. fiumi boschi montagne] fiumi, boschi, montagne, D fiumi boschi
montagne (← fiumi, boschi, montagne,) D1     9. di montagne di boschi] di
montagne, di boschi, D di montagne di boschi (← di montagne, di boschi,)
D1 D2 B di montagne di boschi, M2     11. che mi raccontava] che la donna
mi raccontava D D1 D2 che ›la donna‹ mi raccontava B     13. vedo] vedevo
D vedo (← vedevo) D1  ◆  attraversa] attraversava D attraversa (← attra-
versava) D1     14. devono esserci] dovevano esserci D /ci sono/ devono
(← dovevano) esserci D1 devono esserci D2 devono essere M2     15. sono]
erano D sono (← erano) D1     17. però] invece D D2 /però/ invece D1
||però|| (›invece‹) B     21. ho indovinato] indovinavo D •ho indovinato
(›indovinavo‹) D1     22. Sentivo che doveva] Doveva D /Sentivo che/ do-
veva (← Doveva) D1     
Michele Boschino 147

e nocciole, facevo il monte folto di boschi di castagni e di


noccioli. Ricostruivo il paese intorno ai suoi gesti di conta-
dina, ascoltando il suo dialetto così sonoro, risentito, e tan-
to in contrasto con la personcina secca e misera di lei, che
fa pensare a certi alberelli storti e maltrattati che sembrano 5
dover cedere alla prima raffica di vento e invece vengono su
da un ceppo che affonda nella terra radici centenarie. Ma
solo quando lei parlava potevo illudermi di farlo rivivere,
questo paese. Viveva in certe parole, in certi nomi, in certi
toni della sua voce, e nei gesti; e se ne andava con lei. Era lì, 10
esisteva ai piedi di quel monte boscoso, lontano centinaia
di chilometri; ma quando Linda usciva dalla mia stanza e
io ci ripensavo da solo, quegli stessi particolari che prima
aiutavano la mia fantasia mi davano il senso di una realtà
desolata, ferma, impenetrabile. 15
Col passare dei giorni, la possibilità di chiudere gli occhi
e di essere improvvisamente solo non era più una condizio-
ne uniformemente felice. Ci ritrovavo dentro, a volte, un
disagio, una pena ancora vaga di cui cercavo invano la ra-
gione. Era la vita che entrava nella mia solitudine. A mano a 20
mano si trasferiva in essa interamente. Ero nella condizione
di uno che sia arrivato in un luogo nel quale desiderava di
andare da lungo tempo, o che finalmente si sia riunito con
una persona amata; e nella gioia di ritrovarsi in quel luo-
go, o in compagnia di quella persona, comincia a vedere, 25
dopo un poco, quasi in trasparenza, la vita consueta, che
non può mutare mai. Ora bastava l’impossibilità di cono-
scere il paese di Linda, di penetrare la realtà di questo pae-
se lontano, per generare, nella mia gioia, un senso di pena.
Allora il paese di Linda viveva dentro di me non con la ric- 30
chezza di boschi e di acqua che il suo dialetto suggerisce,

3-4. ascoltando…contrasto con] ascoltando o ripensando al suo dialetto


sonoro e risentito, in contrasto con D ascoltando ›o ripensando‹ il (← al)
suo dialetto /così/ sonoro|,| ›e‹ risentito, •e tanto in contrasto (›ain con-
trasto b•e contrastante‹) con D1     4. misera di lei] misera di lei D misera
/di lei,/ D1     10. voce,] voce D voce|,| D1     11. lontano centinaia] a un
centinaio D lontano centinaia (← a un centinaio) D1     13. io ci ripensavo]
io /ci/ ripensavo D     23. sia riunito con] riunisce a D •sia riunito con (›ri-
unisce a‹) D1     25. vedere,] vedere D vedere|,| D1     
148 GIUSEPPE DESSÌ

ma squallido, morto: una desolazione senza corpo. Dove


mai avevo provato queste sensazioni? Quando mai avevo
sentito la disperazione d’essere fatalmente legato a misere
cose del tutto estranee a me, alla mia vita? Perché non era il
5 dolore di Linda che io sentivo, ma un dolore mio, solo mio.
Se avessi potuto, sarei partito, sarei andato a vedere quelle
quattro case, quel monte, mi sarei liberato da quel senso di
pena. Non avrebbe avuto più nessuna importanza per me,
o avrei potuto continuare a pensarlo, ma come un luogo
10 beato, come i luoghi creati dalla fantasia, che non hanno in
sé il limite duro, insuperabile della realtà sconosciuta, farci
sorgere e tramontare il sole a mio piacimento.

15 In quei giorni mi ritrovavo spesso a pensare al vecchio


ortolano che abitava nella rimessa dell’ingegnere Almerio.
Più ci pensavo e più mi convincevo che il paese del vecchio
doveva essere lo stesso paese di Linda. Ed ecco che il paese
morto di Linda, che stava in fondo alla mia fantasia come
20 un cumulo di macerie, si animava, si rivelava, con la stessa
precisione e la stessa vivezza del vecchio. Ora non era più
il paese che si scopriva a stento attraverso i discorsi della
sorda, ma il paese del vecchio. L’ombra dei muri s’allunga-
va sull’erba delle cunette. I rumori della elegiaca campagna
25 che mi figuravo prima, ora si sovrapponevano, si confon-
devano come i rumori reali della città; e il paese viveva in
questi rumori. Tutti i ricordi di Ultra, della campagna e
della gente di Ultra, prendevano nella memoria la forma, la
consistenza del vecchio. Era lui, il paese. Era vivo, esisteva.
30 Quando Linda entrava a rattizzare il fuoco nel caminetto e
io fingevo di dormire, certo non sospettava che il suo paese
era nei miei occhi chiusi più vivo forse di quanto non fosse
mai stato per lei stessa.
Quando lo vidi la prima volta, a Ultra, in casa del Capi-

7. monte,] luogo; D •monte (›luogo‹); D1 D2 monte, B     8. pena. Non]


pena; non D pena. Non (← pena; non) D1     10. i luoghi] quelli D •i luo-
ghi (›quelli‹) D1     11. realtà sconosciuta,] realtà D realtà /sconosciuta,/
D1     21. vivezza] |vivezza| (›vivacità‹) D     29. il paese] |il paese| (›che di-
ventava paese‹) D     33-34. lei stessa. Quando] lei.↔|| Quando D lei |stes-
sa|.↔|| Quando D1 D2 lei stessa.↔| Quando B     
Michele Boschino 149

tano, poteva avere una sessantina d’anni. Era ancora forte


e vegeto. Una sera il pallone, col quale io, Donato e altri
ragazzi nostri amici giuocavamo nel cortile, era caduto
nell’orto degli Almerio schiantando un tralcio della vite del
pergolato. Riodo le grida di quei ragazzi. La signora Ame- 5
lia s’affaccia alla veranda e chiede, con la sua bella voce un
poco velata, cos’è successo. Chi avrebbe detto allora che
appena due anni più tardi quella voce si sarebbe spenta
per sempre? «Sta’ attento, Filippo, sta’ attento per carità!»
supplicò quando io m’arrampicai al muro che divide il 10
cortile dall’orto. Le faccio un cenno con la mano, per tran-
quillizzarla. Cos’era veramente quel sentimento misto di
ammirazione e di tenerezza che provavo in quel tempo per
la madre del mio amico Donato? Era solo ammirazione e
devozione sconfinata? E perché non osavo parlarne né con 15
Donato né con mia madre e lo covavo nel segreto? In quel
tempo l’amore per mia madre rimase come offuscato da
questo sentimento che io cercavo con ogni cura di nascon-
dere. La semplicità di modi di mia madre, la sua acutezza di
giudizio, il suo piglio un po’ virile m’allontanavano da lei. 20
Non c’era neppure l’ombra, in lei, della femminile dolcezza
della signora Amelia. Non avevo simpatia, per mia madre.
E lei stessa lo disse un giorno al dottor Vernieri. La mamma
e il dottore erano nel salotto, e non s’erano accorti che io
ero tornato da scuola. La porta dell’andito era socchiusa. 25
Il dottore sedeva davanti alla mamma in una poltrona bas-
sa, col mento appoggiato al pomo del bastone. «Lo sento
che Filippo non ha simpatia per me» diceva la mamma. Mi
fermai dietro la porta socchiusa, credendo che la mamma
m’avesse sentito, e volesse indirettamente rimproverarmi 30
di qualche cosa; ma quando fui certo che diceva sul serio,
e parlava così di me credendomi assente, me ne andai in
punta di piedi. Me ne andai, ma avrei voluto correre a but-
tarmi nelle sue braccia e gridarle che quel che aveva detto
al dottore non era vero, che s’ingannava. Per la prima volta 35

2. col quale] con quale D D1 con /il/ quale D2 col quale B     3. caduto]
|caduto| (›andato‹) D     9. Sta’] Sta D D1 D2 B ≠ M2  ◆  sta’] sta D D1 D2 B
≠ M2     11. dall’orto.] dall’orto degli Almerio. dall’orto ›degli Almerio‹. D1     
150 GIUSEPPE DESSÌ

avevo coscienza della mia solitudine e della sua, di qualcosa


che ci separava. Lei parlava così di me con un estraneo. E io
soffrivo. Improvvisamente, mentre andavo verso la darse-
na, mi venne un pensiero, feci una congettura che m’appar-
5 ve subito assurda e cattiva, ma che non respinsi come avrei
dovuto: “Ecco com’è” mi dicevo “ecco com’è. Un piccolo
idillio borghese tra la mamma e il dottor Vernieri”. Come
se avessi bevuto una droga, tutto divenne lucido e falso. I
marinai, a quell’ora, cenavano sul ponte dei bastimenti an-
10 corati. Era quasi estate. C’era un buon odore di zuppa di
pesce misto all’odore del mare. I lumi ad acetilene rischia-
ravano le mense, e tutto intorno era già buio. Nella luce
delle lampade gli uomini stavano come in una stanza chiu-
sa, parlavano forte. Su un rimorchiatore, stavano litigando
15 tra loro. Erano voci ben marcate di livornesi di genovesi di
napoletani. Mi figurai d’essere in una città lontana, e che
mia madre soffrisse per la mia lontananza. Pensai di partire,
di andarmene davvero. Sono passati degli anni prima che
imparassi ad amare mia madre come l’amavo da bambino,
20 come l’amo ora. Si sono bruciati, consumati tutti i torbidi
pensieri dell’adolescenza…
Vidi sotto di me, dal muro, il piccolo orto. Formava una
specie di terrazza sul fianco della collina. Più sotto c’era il
vasto agrumeto dei Catello che occupa tutto il fondo della
25 valle. Ma il pallone non poteva essere arrivato fin là. Men-
tre cercavo di vedere attraverso il pergolato sottostante, una
voce si levò di tra le foglie.
«Sta’ lì, ragazzo, che la palla te la riporto io a casa. Sta’ lì!
Fermo! Che se scivoli poi ti ripescano col cucchiaio».
30 Sentii i passi dell’uomo, poi di nuovo la voce:

2-3. E io soffrivo] E soffrivo D E /io/ soffrivo D1     5-6. assurda…dovuto:]


falsa e ripugnante D •assurda e cattiva, ma che non respinsi come avrei
dovuto: (›falsa e ripugnante‹) D1     7. idillio borghese] idillio ›borghe-
se‹ D1 D2 idillio borghese D B     9. sul ponte] sulla coperta D D1 D2 B ≠
M2     11-12. rischiaravano] illuminavano D •rischiaravano (›illuminava-
no‹) D1     14. Su…litigando] litigavano D /Su un rimorchiatore stavano/
litigando (← litigavano) D1 D2 Su un rimorchiatore|,| stavano litigando
B     15-16. di livornesi…napoletani] di Livornesi di Genovesi di Napo-
letani D D1 D2 B ≠ M2     24. dei Catello che] dei che D dei |Catello| che
D1     28. Sta’] Stai D D1 D2 B ≠ M2  ◆  Sta’] Stai D D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 151

«E un’altra volta state attenti, voialtri, con la vostra palla,


che mi rovinate l’insalata».
L’uomo camminava sotto il pergolato, al di là delle fo-
glie della vite, dalle quali saliva la sua voce. Era un dialetto
diverso da quello di Ultra, quello stesso degli uomini che 5
vengono dai paesi boscosi del Centro coi loro magri caval-
lucci pelosi a vendere castagne, nocciole e pale da forno;
un dialetto che di quei boschi conserva la fresca cupezza. Il
dialetto di Linda.
Ridiscesi dal muro senza dir nulla, e tornai nel cortile. 10
«Il pallone ce lo riporta un uomo ch’è laggiù» dissi ai ra-
gazzi.
Quando furono bussati al portone tre o quattro col-
pi discreti, riprendemmo tutti i nostri posti, divisi in due
squadre. Infatti era il vecchio. S’affacciò al portello col pal- 15
lone sotto il braccio, entrò, e stette lì un poco senza pre-
occuparsi della nostra impazienza; poi, tenendo il pallone
con una sola mano, lo gettò in mezzo al cortile col gesto
d’un giocatore di bocce. La partita riprese con schiamazzo.
Senza perdere d’occhio il pallone, io osservavo il vecchio. 20
Non portava il costume sgargiante e sudicio dei venditori
di castagne, ma una lunga casacca nera stretta alla vita, il
gonnellino e le uose pure nere, la camicia e le larghe brache
di lino bianco. La berretta ripiegata sul capo faceva pen-
sare a un elmo e gli conferiva un’aria di misurata fierezza. 25
Quando andò via, continuai a sentire la sua presenza, là
sotto il volto del portone, e ripensavo alla sua voce. Non
alle parole e al loro senso, ma alla voce ch’era salita di tra le
foglie come se mi stesse aspettando, al tono di benevolo e
scherzoso ammonimento e al sorriso con cui s’era fermato 30
a guardarci giuocare. Anche nei giorni seguenti il vecchio
rimase presente alla mia fantasia. Pensavo, chi sa perché, a

6. Centro] centro D D1 D2 B ≠ M2     7. vendere castagne,] vender castagne


(← vendere castagne,) D1     8. cupezza] |cupezza| (›acutezza‹) D     11-12.
ragazzi.] ragazzi ›additando il vecchio‹. D1     15. vecchio. S’affacciò] vec-
chio. Io lo vedevo per la prima volta. S’affacciò D vecchio. ›Io lo vedevo
per la prima volta.‹ S’affacciò D1     29. foglie] foglie, D D1 D2 foglie (←
foglie,) B  ◆  mi stesse aspettando] m’aspettasse D •mi stesse aspettando
(›m’aspettasse‹) D1     
152 GIUSEPPE DESSÌ

frutti dalla scorza consistente e lucida, di forma ben defi-


nita, come le castagne o le ghiande. Lo vidi poi altre volte,
quell’estate, e ogni volta fui colpito da qualcosa ch’era in
lui – qualcosa d’indefinibile che m’attirava come da bam-
5 bino m’attiravano le castagne, non per desiderio di man-
giarle, ma per sentire il loro peso, la loro forma, la scorza
dura e liscia. Pareva che fosse arrivato, invecchiando, a una
perfezione di consistenza e di levigatezza nei gesti sicuri e
misurati. Di sera, quando i contadini tornavano dal lavoro
10 con la bisaccia in spalla, preceduti dai loro asinelli carichi
di fasci di legna o d’erba fresca, vedevo spesso il vecchio
passare davanti alla casa dei miei amici. Aveva l’aria di un
benestante che fa la sua passeggiatina serale. Una volta lo
incontrai dal tabaccaio. Sul banco, davanti a lui, c’era un
15 sigaro, una candela stearica avvolta per metà in un pezzo di
carta gialla, una scatola di zolfanelli. Si fregava lentamente
le mani dure e brune come se se le lavasse, e considerava
i suoi acquisti. Prese il sigaro, l’annusò, lo spezzò in due,
lo annusò di nuovo, prima un pezzo poi l’altro, ne provò
20 la morbidezza tra l’indice e il pollice. Cercò un sacchettino
di pelle nella tasca del panciotto, sciolse le corregge, mise
sul banco le monete, una accanto all’altra, premendole forte
col pollice. E tutto questo senza fretta. Con la stessa calma
salutò dando un’occhiata, e andò via. Una volta lo vidi che
25 portava in mano uno sverzino con due o tre foglie verdi in
cima; e sembrava che non si accorgesse neppure d’averlo,
che gli fosse cresciuto nel pugno, tanta era la sua gravità, in
contrasto con quell’atto di portare lo sverzino. Non ricordo
d’averlo mai visto fumare per istrada. Quando incontrava
30 il Capitano o la signora Amelia, salutava toccandosi rispet-
tosamente la fronte. Qualche volta il Capitano si fermava a
parlare con lui. Noi forestieri non ci salutava. Ma un giorno
che la mamma teneva per mano la piccola Isabella Monti, si
fermò a guardar la bambina, e i suoi piccoli occhi brillavano
35 nel viso rugoso. Da allora prese a salutare anche la mamma.

13. fa] facesse D fa (← facesse) D1     24. dando un’occhiata,] dando intor-


no un’occhiata, D D1 D2 B ≠ M2     27. nel pugno] in mano D •nel pugno
(›in mano‹) D1     
Michele Boschino 153

Forse un anno più tardi (io ero ospite dei Monti essendo la
mamma rimasta in città per certe lezioni), una notte, dopo
che tutti gli altri furono andati a letto, mi venne la fantasia
d’andare a distendermi in cortile su una catasta di tronchi
di pioppo che i contadini del Capitano avevano abbarcato 5
contro il muro dell’orto, proprio davanti alla vecchia rimes-
sa. Sdraiato supino con le mani dietro la nuca, su quei tron-
chi, guardavo il cielo lunare, dove appariva appena qualche
stellina. I tronchi erano stati tagliati qualche giorno prima,
e mi pareva che l’aria, fin lassù, fosse piena dell’odore del- 10
la loro linfa. Ricostruivo mentalmente una partita a dama
che Silvio Catello m’aveva vinto, e rifacendo tutte le mosse
avevo trovato quella che mi aveva rovinato il giuoco. A un
tratto mi parve di udire due voci poco lontane. Non mi ri-
cordavo più del vecchio ortolano, e mi pareva impossibile 15
che quelle voci venissero dalla casa disabitata degli Alme-
rio. Non so più che cosa fantasticai, in quel momento: forse
di ladri appiattati nelle stanze cadenti. Non distinguevo le
parole. Tra le foglie della vite balenava il vago riflesso di
una luce rossastra, fioca, palpitante, come di un lume che 20
sta per spegnersi. Strisciai carponi sui tronchi fino al muro
– nel mio corpo immobile si desta il ricordo dei movimenti
cauti, la sensazione del muro freddo e scabro sotto il palmo
della mano, un odore di terra umida e di legna bruciata che
si confondeva con quello dei tronchi ancora freschi. Un fo- 25
cherello di sterpi era acceso davanti alla porta della rimessa.
Il vecchio stava seduto su una panchetta bassa e lo attizzava
oziosamente con un pezzo di fil di ferro ripiegato a unci-
no. Non certo per scaldarsi, perché era piena estate. Faceva
quest’operazione tutto assorto nelle parole che diceva, cam- 30
biando di volta in volta il tono della voce, così che pareva

6. contro il muro] |contro il muro| (›acontro b|accanto al muro|‹) D     12. e


rifacendo] e rifacevo D e rifacendo (← e rifacevo) D1     12-13. mosse avevo
trovato] mosse, risalivo a D mosse, •avevo trovato (›risalivo a‹) D1 D2 mos-
se (← mosse,) avevo trovato B     13. mi aveva] m’aveva (← mi aveva) D1 D2
mi aveva D B     22-23. si desta …cauti] |si desta il ricordo dei movimenti
cauti| (›era il ricordo di quei movimenti cauti‹) D     25. confondeva con
quello] confondeva a quello D D1 D2 fondeva (← confondeva) ||con|| (›a‹)
quello B≠ M2     
154 GIUSEPPE DESSÌ

che due persone parlassero. E una di queste due voci era


acuta, inquisitrice, l’altra sommessa, quasi supplichevole.
«E tu allora perché non gliel’hai detto, a quei signori,
quando te l’hanno chiesto? Perché non gliel’hai detto su-
5 bito?»
«E io, cosa ne sapevo, allora? Cosa ne sapevo? Potevo en-
trare nella tua testa, io? Lo sai come succede: si comincia da
un nulla, da un cece! e questo cece diventa grosso come una
botte e ti prende sotto che nemmeno te ne accorgi».
10 «No, no e no! Tu e tuo fratello Amedeo lo sapevate che
io non volevo farvi del male. Maledetti tu e lui! Lo sapeva-
te. Eravate voi che volevate la mia rovina. E venire da me,
bussare alla porta della mia casa e dire: “Michele, abbiamo
sbagliato”, questo non l’avete mai voluto fare. La porta del-
15 la mia casa vi bruciava le mani, le sedie della mia casa vi
bruciavano il sedere. Eppure c’eravate venuti, a casa mia,
quando si trattava di chiedermi in affitto la terra. E c’era-
vate venuti per chiedermi di pagare l’anno prossimo, per-
ché avevate avuto troppe spese. Quali spese? Impostori! È il
20 sangue cattivo che avete nelle vene. Maledetti voi e tutta la
vostra razza. Anche se mi avevate fatto del male, lo sapeva-
te che io ero pronto a tornare in pace con voi. Forse vi ho
denunziato, quando m’avete rubato i buoi dal chiuso? E po-
tevo farlo. Avevano mandato te, che eri il piccolino di casa.
25 Ma io avrei potuto farvi mettere le manette a tutti quanti
eravate. Perché eravate tutti d’accordo, eravate!»
Il dialogo continuava. Le parole d’ira erano pronunciate
pacatamente, lentamente, come se il vecchio riportasse il
discorso di un’altra persona. Io non capivo chi fosse “il pic-
30 colino di casa” né quale fosse l’oggetto di quella specie di re-
quisitoria. Capivo solo che la voce inquisitrice era quella del
vecchio stesso, forse molto più giovane, forse più vecchio di
quanto allora non fosse, fuori comunque dal presente, in
un tempo di rivendicazione e di potenza.

16. bruciavano il sedere.] bruciavano… D bruciavano il culo (← … ) D1


D2 B ≠ M2     23. ho denunziato] |ho denunziato| (›avevo denunziato‹)
D     25. mettere] metter D D1 D2 B ≠ M2     26. eravate. Perché] eravate, a
cominciare da tuo padre, che Dio l’abbia in gloria. Perché D D1 D2 erava-
te›, a cominciare da tuo padre, che Dio l’abbia in gloria‹. Perché B     
Michele Boschino 155

«Cattiva volontà!» diceva. «Anche tu sapevi cosa biso-


gnava fare per accomodare tutto, senza spingermi a quel
passo. Lo sapevi, carogna puzzolente, sterco rinsecchito al
sole! E hai lasciato fare! Hai lasciato fare agli estranei, che
sono entrati in casa tua, e anche in casa mia, e han fatto 5
quello che han fatto. È così o no? Ah, è così! Ora lo dici? Ma
ora è tardi. È tardi per te, e anche per me».
Tacque, e si mise a mugolare piano piano, come se imi-
tasse il vento. Come il vento, il suo mugolio era continuo e
modulato. Tacque del tutto, e dopo un poco la voce som- 10
messa disse:
«La disgrazia è come il vento. Quando comincia a soffiare
l’uomo non può farci nulla».
Riprese a mugolare, e gettò nel fuoco una manciata di fo-
glie umide. Il fumo, denso e acre, m’investì in pieno viso, e 15
io feci uno sforzo per non tossire, ma non mi mossi. Un sas-
solino rotolò giù dal muro. Il vecchio levò il viso e si mise
a guardare fisso verso di me, poi s’alzò e camminando un
po’ curvo, con le mani dietro la schiena, s’avvicinò al muro.
Alzò di nuovo il viso, pian piano, quasi seguisse lungo il 20
muro, con l’occhio, la strada che aveva fatto il sasso caden-
do. Il suo viso, per metà illuminato, palpitava alla fiamma.
Pareva immerso nell’acqua. Vedo distintamente, anche ora,
se ci ripenso, il suo naso corto e minuto, la pelle chiazzata di
rosso sotto la barba grigiastra. Ma lui non vedeva me. E io, 25
me ne stavo nascosto tra le foglie della vite, tutto raccolto in
me stesso, come un uccello sul punto di frullar via.
Quando lo rividi erano passati quasi due anni. La signo-
ra Amelia era morta. Molte cose erano mutate, in casa dei
miei amici. Anche quell’estate, essendo la mamma rimasta 30
in città per le lezioni, io ero loro ospite. Occupavo la came-

4. E] e D D1 D2 B ≠ M2     8. piano piano] pian piano D D1 D2 piano piano


B     10. tutto,] tutto D D1 D2 tutto|,| B     15. m’investì] mi investì D m’in-
vestì (← mi investì) D1     16. ma non] ›ma‹ non D1 D2 ma non D B     30-31.
essendo…Occupavo] la mamma era rimasta in città, e io ero loro ospite.
Occupavo D /essendo/ la mamma ›era‹ rimasta in città /per le lezioni/, ›e‹
io ero loro ospite e occupavo (← ospite. Occupavo) D1 D2 essendo la mam-
ma rimasta in città per le lezioni, io ero loro ospite. Occupavo B     
156 GIUSEPPE DESSÌ

ra di Donato, che faceva un campeggio sulle Alpi. Quan-


do non leggevo, passavo il mio tempo con le ragazze o col
Capitano, andavo in campagna con lui, lo aiutavo a far le
cartucce. La sera, giuocavamo a dama. Un giorno, mentre
5 stavamo riparando, in cortile, le arnie che dovevano acco-
gliere i nuovi sciami in primavera, il vecchio s’affacciò al
muro. Mi ero dimenticato completamente di lui. Ma egli
salutò anche me come se ci fossimo visti il giorno prima.
«State lavorando?» chiese.
10 «Lavorando!» rispose il Capitano facendo la voce grossa
per dare scherzosamente importanza alla affermazione.
«Vedo che vi state guadagnando la giornata» disse il vec-
chio, continuando nello scherzo.
Il Capitano s’arrabattava intorno a un chiodo arrugginito
15 che non riusciva a tirar via da un’assicella.
«Noi ci guadagnamo la nostra giornata, mentre voi state
lì a far nulla tutto il giorno».
«Eh!» disse il vecchio «io ho già fatto la mia parte».
Poi disse:
20 «Ho parlato con quel tale. Mi ha detto che gli innesti ve
li darà lui, quando sarà tempo. Che non andiate a cercarli
altrove».
Il Capitano, non riuscendo a tirar via il chiodo, buttò in
un canto l’assicella. Il vecchio seguiva attentamente tutti i
25 suoi movimenti, e benché avesse lasciato lo scherzo, conti-
nuava a sorridere per suo conto.
«Credete che ci si possa fidare?» chiese il Capitano ri-
prendendo l’assicella. «E se poi, quando dovrò innestare le
viti, quel tale non mi dà gli innesti? Allora bisognerà che mi
30 accontenti della qualità che trovo qui. La solita roba».

1-2. Quando] Io, quando D Quando (← Io, quando) D1     8. ci fossimo


visti] mi avesse visto D •ci fossimo (›mi avesse‹) visti (← visto) D1     10-11.
grossa per] grossa come per D grossa ›come‹ per D1     11. alla afferma-
zione.] all’affermazione. D D1 D2 alla affermazione. B     13. continuando
nello scherzo.] continuando a stare nel tono dello scherzo, ma con rispet-
to. D continuando ›a stare‹ nel|lo| ›tono dello‹ scherzo›, ma con rispetto‹.
D1     19. Poi disse:] Poi, lasciando lo scherzo, disse: D Poi›, lasciando lo
scherzo,‹ disse: D1     
Michele Boschino 157

«Uva di poveri» disse il vecchio.


«Anche voi avete imparato a conoscerla, la gente di qui,
in vent’anni che ci siete, no?»
«Dodici anni».
«Dodici?» 5
«Dodici. Ma la gente è la stessa in tutti i paesi. Fa le cose
quando ha interesse a farle».
Il Capitano lo guardò. Il vecchio sorrise maliziosamente,
poi disse:
«Ha un figlio sotto le armi. E per Natale vorrebbe farlo 10
venire in licenza. E poi anche qualche altra volta. Se il Capi-
tano vuole, con un bigliettino a qualche suo amico…»
«Ah!»
Il vecchio rise e si strinse nelle spalle.
«Ma io gli innesti glieli voglio pagare. Che non creda…» 15
«Questo è a parte».
Il vecchio tossì, si chinò, tirò su qualcosa, non senza fa-
tica. Era un grosso fascio di foglie di cavolo, che posò sul
muro.
«E ora ditemi che sono un poltrone» disse riprendendo lo 20
scherzo di prima. «Queste sono per i vostri conigli».
A un cenno del Capitano, io corsi sotto il muro, e ricevet-
ti tra le braccia il mazzo di foglie. Erano fresche, pesanti e
mandavano un forte odore. Stetti lì, col fascio tra le braccia,
e il vecchio mi guardava. 25
«Ma chi è questo signorino?» disse rivolgendosi al Ca-
pitano.
Pronunciò in un modo curioso la parola “signorino”,
ma non c’era neppure in questo niente di poco rispettoso,
niente di troppo confidenziale. 30
Dopo che il Capitano gli ebbe detto il mio nome e la mia
qualità di amico e di ospite, il vecchio mi invitò ad andare
nel suo orto.
«Io dico il mio orto, ma non è mio» mi spiegò. «L’orto è
dell’ingegnere, ma finché ci sto, come dovrei dire? dico: il 35
mio. Non porto via niente a nessuno».

24. fascio] mazzo D D1 D2 B ≠ M2     34. L’orto D D1 D2 B] Lo orto M2     


158 GIUSEPPE DESSÌ

Gli dissi che sarei andato da lui con piacere a veder l’orto.
«E perché non venite ora?»
«Entro la settimana verrò di certo».
«Eh! Io so invece che se non venite ora non verrete più.
5 Tutti facciamo promesse: farò, andrò, verrò… Ma è diffici-
le mantenere una promessa, se si lascia passar tempo. Una
piccola cosa, se la facciamo subito, non ci pesa, ma se pro-
mettiamo di farla e ci pensiamo, allora diventa difficile…»
«Entro la settimana verrò di certo. Ora devo aiutare il
10 Capitano».
Il vecchio fece un cenno di saluto, e tenendosi agli staggi
della scala, ridiscese e sparì dietro il muro.
Aveva ragione lui: io non mantenni la promessa. Ma la
primavera dell’anno dopo, per le vacanze pasquali, chiesi il
15 nome del vecchio, una sera, e appoggiata al muro la scala a
piuoli della legnaia, mi affacciai all’orto, e chiamai:
«Boschino! O Boschino!»
Quel nome suonava familiare al mio orecchio. Dall’alto
del muro rivedevo il piccolo orto mezzo nascosto dal per-
20 golato, e sotto, il grande agrumeto dei Catello punteggiato
di frutti maturi. Veniva di là uno scroscio di acqua. Quella
piccola valle che s’insinua profondamente nel paese col suo
verde era animata dalla stessa voce che anima anche ora,
nel mio ricordo, tutta la campagna di Ultra. Nessuno ri-
25 spondeva. Chiamai ancora. Poi, siccome dall’altra parte del
muro c’era pure un’altra scala a piuoli, discesi nel piccolo
cortile quadrato della rimessa. La porta era socchiusa. La
spinsi e entrai. Di faccia c’era un’altra grande porta a due
battenti, sormontata da una lunetta a vetri, spalancata su
30 un breve terrapieno limitato da una ringhiera di ferro, dal
quale si scendeva nell’orto per una stretta scala di pietra. Il
grande stanzone della rimessa era attraversato da una cor-

7. facciamo subito] |facciamo subito| (›fate subito‹) D     13-14. Ma la…


dopo,] Ma quando tornai, la primavera dell’anno successivo D Ma ›quan-
do tornai,‹ la primavera dell’anno •dopo, (›successivo‹) D1     15. una sera,
e] e una sera, D ›e‹ una sera, /e/ D1     21. di acqua.] d’acqua. D D1 D2 B
≠ M2     23. anima anche] anima ›atutta la campagna di Ultra bi boschi di
Ultra‹ anche D     30. limitato] cinto D •limitato (›cinto‹) D1     
Michele Boschino 159

rente d’aria fresca che faceva tremolare, sulla soglia, i fili


d’erba secca. Due sedili da giardino, di ghisa, con la spallie-
ra di legno rosa dai tarli e dall’umidità, addossati alla pare-
te, ai lati della grande porta, erano ingombri di pale zappe
rastrelli rotoli di corda. In un angolo c’era un grande orcio 5
di terra incrinato dal fondo fino all’orlo, dal quale spunta-
va un gran fascio di canne secche tutte tagliate a punta per
esser piantate facilmente in terra. C’era un tavolino appog-
giato al muro, una branda, una sedia, due panchette di feru-
la, e, dietro la branda, un grande scaffale carico di bottiglie 10
boccette ampolle barattoli coperti di polvere e di ragnateli.
In uno scomparto stavano allineati con cura dei sacchetti
di sementa.
Cavai di tasca un pacchetto di sigari che avevo comprato
per il vecchio, e lo misi sul tavolino, bene in vista, e senza 15
neppure affacciarmi all’altra porta me ne andai per la stessa
via da dove ero venuto. Partivo appunto la mattina seguen-
te.
Quando tornai a Ultra, alcuni mesi dopo, d’estate, mi af-
facciai di nuovo al muro e chiamai il vecchio, che si affacciò 20
alla porta della rimessa e mi fece un cenno di saluto senza
dir nulla. Avevo gridato a gran voce il suo nome, perché mi
sentisse dall’orto. Persisteva sorridendo nel suo cenno di
saluto, che era anche un invito a scendere dalla sua parte.
«Sono qui» disse. «Mi dispiace che non mi abbiate tro- 25
vato, l’altra volta. Ero al mercato. Vi ho cercato, il giorno
dopo, ma voi eravate venuto da me proprio all’ultimo mo-
mento».

4-5. pale zappe rastrelli] pale, zappe, rastrelli, D pale zappe rastrelli (←
pale, zappe, rastrelli,) D1     7-8. tagliate…in terra] tagliate alla stessa mi-
sura D tagliate •a punta per esser piantate facilmente in terra (›alla stessa
misura‹) D1     10-11. bottiglie…barattoli] bottiglie, boccette, ampolle,
barattoli, D bottiglie boccette ampolle barattoli (← bottiglie, boccette, am-
polle, barattoli,) D1     11-12. ragnateli. In] ragnateli, tranne D ragnateli.
In (← ragnateli, tranne) D1     12. stavano allineati con cura dei] dove sta-
vano allineati dei D ›dove‹ stavano allineati /con cura (›in bell’ordine‹)/
dei D1     17. Partivo appunto] |Partivo appunto| (›Partii app‹) D     23.
dall’orto. Persisteva] dall’orto, ›e la sua improvvisa apparizione, proprio
lì, a due passi, sulla porta‹ Persisteva D     25. disse. «Mi] disse. ↔| «Mi D
dissi (← disse).↔| «Mi D1 D2 disse. |↔ «Mi B     
160 GIUSEPPE DESSÌ

«Al mercato?»
«Sì, al mercato. Ma non al mercato di Ultra. Al mercato
di Acquapiana».
«Ad Acquapiana?»
5 «Sì, ad Acquapiana. Lì non ci sono né aranci né manda-
rini né limoni. Si vende bene, al minuto. Un mandarino lo
pagano anche tre reali. I mandarini primaticci, s’intende, e
quelli di fine stagione».
Tutto, nella rimessa, era come quando c’ero stato in pri-
10 mavera. Prima d’andare nell’orto, vedendo che m’interes-
savo, il vecchio mi disse che le canne dell’orcio servivano
per incannare i fagioli rampicanti e le aveva portate da Col-
gianus l’anno prima. Due ore di strada. Mi chiese s’ero mai
stato a Colgianus, e io gli dissi anche dove crescevano le
15 canne. Poi mi mostrò il contenuto dei sacchetti di sementa:
ceci fagioli lenticchie… se li versava nel palmo e li sparge-
va col pollice. Aprì uno dopo l’altro anche i sacchetti più
piccoli, che erano di carta. Imparai a conoscere i semi dei
ravanelli, delle lattughe, delle rape, e in che stagione si se-
20 minano. In uno di questi sacchetti c’erano dei grossi fagioli
bianchi picchiettati di macchie scure come le uova dei car-
derini.
«Questi» disse «me li ha regalati vostro suocero».
«Mio suocero?» chiesi meravigliato.
25 Il vecchio sorrise maliziosamente. Capii che voleva
scherzare, e non replicai. Uscimmo sul terrapieno e scen-
demmo nell’orto per la scaletta di pietra. Il vecchio conti-
nuava a parlare senza aspettare le mie domande. Mi disse
che in primavera aveva seminato delle fave nelle aiuole del
30 terrapieno e le aveva vendute fresche in baccelli, al mercato

7. tre reali] |tre reali| (›sei reali‹) D     11. disse] spiegò D •disse (›spiegò‹)
D1  ◆  le canne dell’orcio] le canne ch’erano nell’orcio D le canne che
vedevo (›ch’erano‹) nell’orcio D1 D2 le canne ›che vedevo‹ dell’orcio (←
nell’orcio) B     12. per incannare i fagioli] per ›incannare‹ i fagioli D1  ◆  e
le] che però quell’anno non aveva seminato. Le D •e (›che però quell’an-
no non aveva seminato‹) le (← Le) D1     17. pollice.] pollice dicendomi
che erano scelti. D pollice ›dicendomi che erano scelti‹. D1     18. Imparai]
Così imparai D ›Così‹ Imparai (← imparai) D1     26. sul terrapieno] |sul
terrapieno| (›nello spiazzo dietro la [—]‹) D     
Michele Boschino 161

d’Acquapiana, ricavandone dieci scudi. Non era certo una


somma. Ma quando mi disse che del pacco di sigari che gli
avevo portato gliene rimanevano ancora tre, capii che per
lui il danaro aveva un valore diverso che per noi, o meglio,
più che il danaro, le cose che col danaro si procurano. Tut- 5
to durava di più, nelle sue mani: un chiodo un fuscello un
sigaro diventava prezioso.
Gli spiegai che la mia famiglia e la famiglia Monti erano
legate da una vecchia amicizia, che il mio povero babbo era
stato compagno di studi del Capitano, e io di Donato, e che 10
per conseguenza ero amico anche di Maria e di Isabella.
«Meglio così» disse il vecchio. «Meglio che vi conosciate
bene, se dovete passare assieme tutta la vita».
Trovai necessario dirgli esplicitamente che non c’era nul-
la tra me e Isabella, che era ancora una bambina, e anch’io 15
ero troppo giovane per pensare a queste cose. Forse, dicen-
do questo, arrossii; ma il vecchio mi spiegò che non si trat-
tava d’Isabella ma di Maria. Allora il mio imbarazzo cessò,
e risi di cuore, perché Maria aveva qualche anno più di me,
e sapevo che Silvio Catello era innamorato di lei, mentre io 20
non ci avevo mai pensato.
«Somiglia a sua madre» disse il vecchio senza partecipare
alla mia improvvisa allegria. «Com’era buona! Ve la ricor-
date? Se mi dite che ogni anno venite a Ultra, ve la dovete
ricordare». 25
Non so come avvenisse, ma gli occhi mi si riempirono di
lacrime, e non potei più parlare per paura di scoppiare in
singhiozzi. Eppure non avevo mai pianto per la morte della
signora Amelia, neanche quando, alla notizia, avevo visto
piangere mia madre. 30
«Quanti buoni consigli mi ha dato!» disse il vecchio. «Ve-
niva qui, ogni tanto. Passava dalla porta però» soggiunse
sorridendo «non dal muro, come fate voialtri ragazzi».

5. danaro,] danaro D D1 D2 danaro|,| B     11. di Isabella] d’ Isabella D D1


D2 B ≠ M2     23. mia improvvisa allegria] mia allegria D mia /improvvisa/
allegria D1  ◆  Ve] ve D D1 D2 B ≠ M2     
162 GIUSEPPE DESSÌ

Penso che abbia aggiunto questa spiegazione così ovvia


per non darmi a vedere che s’era accorto delle mie lacrime,
e lasciarmi il tempo di riprendermi. Poi mi disse che la si-
gnora Amelia amava l’orto perché sia l’orto che la rimessa,
5 un tempo, avevano appartenuto alla casa, che lei aveva por-
tato in dote al Capitano.
L’orto era quasi interamente occupato dal pergolato e
dagli alberi: un paio di filari di aranci e mandarini, due li-
moni, un fico castagnolo, in un angolo. L’acqua per irrigare,
10 il vecchio la tirava su a braccia dal pozzo. Anche le piante
bisognava irrigare, se si voleva che portassero a maturazio-
ne i frutti. I mandarini erano già grandi come una noce,
le arance un po’ di più. Di limoni invece, che maturano in
varie stagioni, ce n’erano già grandi e gialli. Il vecchio ne
15 staccò uno e me lo diede. Sembrava di cera, e odorava solo
a guardarlo.
«È un peccato che lo abbiano venduto» dissi.
«Venduto? Ma allora voi non sapete niente».
Infatti io non sapevo neppure che l’orto, come diceva il
20 vecchio, avesse appartenuto un tempo alla casa dei miei
amici.
«Altro che venduto!» disse. «Il padre dell’ingegnere Al-
merio, un bel giorno, cosa fa? Chiude con un tramezzo l’en-
trata, e diventa padrone dell’orto e della rimessa».
25 «Così!»
«Così. La signora me lo ha raccontato tante volte. La fa-
miglia della signora ha passato brutti momenti. Non è ver-
gogna dirlo. Tutte le famiglie passano brutti momenti. Poi
il vento cambia di nuovo. Questa casa» e indicava le finestre
30 del Capitano «fu presa da una banca. La signora mi ha detto
il nome della banca, ma io non me lo ricordo. Forse ora non

1. Penso che abbia aggiunto] •Penso che (›Credo che accorgendosi delle
mie lacrime‹) abbia ›voluto‹ aggiunto (← aggiungere) D     2. non…accor-
to] non mostrare d’essersi accorto D non •darmi a vedere che s’era (›mo-
strare d’essersi‹) accorto D1     3. lasciarmi il tempo] darmi tempo D D2

lasciarmi il (›darmi‹) tempo D1     4. sia l’orto che la] l’orto e la D /sia/
l’orto •che (›e‹) la D1     8-9. due limoni] due alberi di limone D due ›alberi
di‹ limoni (← limone) D1     
Michele Boschino 163

c’è più, quella banca. In quel tempo, chi era il padrone? La


banca. Ma la banca aveva altre cose per la testa. Affari gros-
si! Cosa gliene importava, alla banca, se l’ingegnere s’era
preso l’orto? Il debito era piccolo, e la casa valeva molto
di più. Poi passò il tempo, la casa la ricomprarono i vec- 5
chi padroni, ch’erano andati a stare in città, e dopo l’atto di
vendita bisognava andare in curia, se si voleva riavere l’orto
e la rimessa. Il padre dell’ingegnere è morto, sono morti
i parenti della signora, e anche lei se n’è andata, e le cose
stanno ancora così. Non è prudente far causa all’ingegnere 10
Almerio. Gli avvocati lo temono. Bisognerebbe andare dal
Procuratore del Re, e dire: “Illustrissimo, le cose stanno così
e così”, spiegargli tutto. E dirgli che gli avvocati sono una
lega di birbanti».
«Gli avvocati» riprese dopo un poco a bassa voce «dipen- 15
dono tutti dal Procuratore del Re, e lui è un uomo giusto.
E se sapesse le cose, farebbe giustizia. Io, se fossi come il
Capitano, ci andrei, dal Procuratore del Re».
Dal muretto si vedeva, oltre la valle, la pianura fino al
mare, lo stagno di Santa Gilla, il castello di San Michele, 20
e il profilo delle torri della città. A Est, lontanissimi colli,
montagne, e l’altopiano della Giara.
«Questo» disse il vecchio «è un orto da ridere. Non è
nemmeno un vero orto. Ma può essere un orto di signori
che vogliono avere un po’ di verdura in casa, un po’ d’uva, 25
un po’ di mandarini e aranci, qualche limone. La signora
diceva sempre: “Ah, Boschino, se avessi ancora il mio orto!
Invece non è né mio né tuo. È di uno che non se ne fa nulla”.
Ed è vero. Cosa volete che sia, quest’orto, per l’ingegnere.
Lui se ne sta in città. Lui ha in città la sua bella casa, i suoi 30
affari, i suoi danari… E coi danari si fa tutto. Sapete dove li
tengono, i danari, questi signori della città? Non sono come
noi poveretti che li teniamo sotto il pagliericcio, quando ne

1. più,] più neanche D più ›neanche‹|,| D1     19. Dal muretto…valle,] Dal


muretto, oltre la valle, si vedeva D Dal muretto›, oltre la valle,‹ si vedeva|,|
/oltre la valle,/ D1     22. e l’altopiano] l’altopiano D /e/ l’altopiano D1     24.
nemmeno] neppure D D1 D2 B ≠ M2     25. casa, un] casa. Un D D2 casa,
un (← casa. Un) D1     
164 GIUSEPPE DESSÌ

abbiamo. Loro li tengono nella banca. E fruttano. È come


avere dei poderi».
Si chinò e scelse un cocomero. Prima di staccarlo, ci batté
su con le nocche.
5 «È bianco» disse «ma non ci fate caso. È la qualità. Quan-
do i semi sono neri, è segno ch’è maturo. Quando lo aprire-
te, vedrete che i semi di questo sono neri».
«E voi lo capite dal suono».
Fece cenno di sì, gravemente.
10 Pochi giorni dopo tornai ancora da lui e cercai di porta-
re il discorso sull’ingegnere Almerio. Gli chiesi se si faceva
vedere spesso, a Ultra.
«Prima veniva spesso» disse. «Veniva anche con la ma-
dre, la sorella e la cognata. Ma ora si lascia vedere di rado
15 qui. E viene sempre solo. Quando viene, si porta un mazzo
di chiavi e gira tutta la casa. Un tempo doveva essere una
bella casa, messa bene. Ci stavano tutta l’estate. Veniva an-
che il fratello. Un bell’uomo, grasso. Io mi ricordo di averli
visti qui tutti. Allora non abitavo in questa casa. Stavo in
20 casa di Cristoforo Usùla, dietro il Monte Granatico. Quella
casa nera, dietro la chiesa di Sant’Ermì. Non ci siete mai
passato? Beh, è lo stesso. Avevo ancora i buoi. Io abitavo
lì, allora. E vedevo passare davanti alla chiesa questo bran-
co di signori grassi. Ogni giorno andavano a sedersi sotto
25 i pini. E si portavano delle gran borse. Compravano uova
pollastri frutta… Entravano persino nelle case, per cerca-
re le uova fresche. Sembravano tante anatre, per la strada.
Le donne con un sedere così. Lui, quando gli ho parlato
la prima volta, pareva la bocca della giustizia. Sono passati
30 tanti anni. Ora, quando viene, parla poco. Tutto il tempo lo

9. Fece] ›Volli battere‹ Fece D     9-10. gravemente. Pochi] gravemen-


te.↔|| Pochi D D1 D2 B ≠ M2     10. cercai] ›gli‹ cercai D     13. spesso»
disse. «Veniva] spesso. Veniva D spesso|» disse. «|Veniva D1     14-15. si
lascia…qui.] lo vedo di rado. D si lascia vedere (← lo vedo) di rado /qui/.
D1     16. gira] visita D •gira (›visita‹) D1  ◆  Un tempo doveva essere] Pri-
ma era D •Un tempo doveva essere (›Prima era‹) D1     19. Allora non]
Allora io non D Allora ›io‹ non D1     25-26. uova pollastri] uova, pollastri,
D D2 uova pollastri (← uova, pollastri,) D1     27. anatre,] anitre, D D1 D2
B ≠ M2     
Michele Boschino 165

passa nella stanza dove tiene lo strumento, e suona. Non fa


altro che suonare, quando viene. Qualche volta s’affaccia al
balcone, là, poi torna dentro, e ricomincia. E se ne va senza
dir nulla».
Un giorno, tre o quattro anni prima, e forse anche di più, 5
perché io ero un bambino, la mamma e la signora Amelia
stavano sedute sulla veranda a lavorare. A un tratto s’era
sentito un suono, come di chitarra. Dove io fossi, non me lo
ricordo. Forse ero seduto accanto alla mamma, forse giuo-
cavo con Donato. Non ricordo altro, ma ricordo benissimo 10
il suono. Le note, staccate le une dalle altre, facevano pen-
sare a palline di cristallo; e non si limitavano a un accordo
sempre ripetuto, ma anzi formavano nuovi accordi, e un
accordo usciva dall’altro, uno si generava dall’altro. A quel
suono la mamma e la signora Amelia avevano alzato la te- 15
sta, erano rimaste in ascolto. Doveva essere una domenica
sera, perché non c’erano in casa neppure le serve. Ma non
mi resta altro ricordo sensibile del silenzio della casa se non
il muro dell’orto, dove sembrava riflettersi. Il suono veniva
di là dal muro. Ogni tanto la signora Amelia diceva qualche 20
parola alla mamma, sommessamente. Solo più tardi – ma
non saprei dire quando, né in quale occasione – seppi che
non si trattava di una grossa chitarra, come avevo creduto,
ma di un clavicembalo; e più tardi ancora mi parve di ri-
conoscere quegli accordi in una sonata di Scarlatti. Certo 25
è che una sonata di Scarlatti è rimasta unita, nella mia me-
moria, al ricordo del muro in quel silenzioso pomeriggio
domenicale, e dei due verdi diversi della vite e del pesco.
«Io, quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato
un uomo giusto, sincero» diceva il vecchio. 30
Gli chiesi se gli avesse fatto qualche torto in seguito. Mi
guardò un poco, poi si strinse nelle spalle con un gesto ras-
segnato, e disse:
«Non parliamo di questo».
Rientrammo nella rimessa. 35

15. suono] suono, D D1 D2 suono B     30. sincero» diceva il vecchio.] sin-


cero. D sincero|» diceva il vecchio|. D1     31. torto in seguito.] torto. D
torto|,| /in seguito/. D1 D2 torto in seguito. B     
166 GIUSEPPE DESSÌ

«Nel mondo» disse a un tratto «c’è gente buona e cattiva.


Per conto mio non so se sono buono o cattivo. Io, per me,
non avrei voluto far mai male a nessuno. Se poi è venuto,
non è venuto solo addosso agli altri, il male. Ma a me mi
5 giudicherà Quello che vede tutto e sa tutto. Anche se mi
fa marcire come un cane in quel letto non me ne importa
nulla. Sconterò in terra il mio purgatorio. Di me, non so
nulla. Ma nel mondo c’è gente buona e gente cattiva. Io li
conosco all’odore, e mi sono sbagliato poche volte. Mi sono
10 sbagliato coi signori. Quelli sono di altra razza. Ma ora ho
imparato a conoscere anche quelli. Quand’ero giovane ho
fatto la pace con quelli che poi mi hanno tradito; ma non è
che mi sia sbagliato: il cuore me lo diceva. Ma io mi dicevo:
«Tu, Michele, sei di una razza dura. Solo tuo padre era di un
15 legno diverso dagli altri, nella famiglia». Perché mio padre,
nella famiglia, era come un ramo d’olivo in una pianta d’o-
livastro. E io mi dicevo: “Tu, Michele, devi essere come lui,
non devi avere il cuore di cinghiale come gli altri parenti.
Bisogna avvicinarli, questi parenti”. Non l’avessi mai fatto!
20 Non era il mio cuore duro che aveva parlato prima e mi
aveva avvertito, era il cuore giusto. E mio padre, che era
giusto, e non voleva male a nessuno, mi aveva sempre detto:
“Non cominciare mai per primo a litigare, con quelli lì, ma
lasciali andare per la loro strada, e se ti vengono a cercare, a
25 vantare diritti su questo e su quello, tu non cedere neanche
di un palmo, stai sicuro nel tuo diritto come se tu fossi in
chiesa”. Invece loro non chiedevano niente, volevano solo
far la pace con me. Cosa avreste fatto voi? Bisognava star
lontani da loro come si sta lontani dai cani arrabbiati. Ora
30 lo so, ma non serve a nulla».
Intanto ci eravamo seduti, il vecchio sulla branda e io sul-
la seggiola. Parlammo di Donato. Il vecchio si meravigliava

4. non] /›[—]‹/non D1     9. volte. Mi] volte. ›Non dico per voi‹ Mi B     10.
Quelli sono] Quelli /lì/ sono D1 D2 Quelli sono D B  ◆  razza. Ma] razza.
/Non dico per voi/ Ma D1 D2 razza. Ma D B     13. mi dicevo] |mi dicevo|
(›pensavo‹) D     21. il cuore] il mio cuore D D1 D2 B ≠ M2     28. Cosa…
voi?] per essere in pace anche col povero babbo. D Cosa avreste fatto voi?
(›per essere in pace anche col povero babbo.‹) D1     
Michele Boschino 167

che ci volessero tanti anni di studio per diventare medico,


avvocato, ingegnere, o anche semplicemente per avere un
impiego. Secondo lui, non doveva esser difficile per il figlio
di un medico, di un avvocato, di un ingegnere imparare la
professione del padre. Gli dissi che solo di rado si sceglie 5
la professione del proprio padre, che anzi generalmente si
sceglie una professione diversa.
«Ma poi si guadagnano molti danari?» chiese.
«Non sempre» risposi tanto per non apparire ignorante
anche delle cose della città. 10
«Allora è una specie di commercio,» disse il vecchio «può
andar bene e può andar male».
«Presso a poco è come un commercio» risposi.
Volle sapere chi amministrava i beni della mia famiglia; e
si meravigliò quando io gli dissi che non possediamo beni, 15
all’infuori della casa che abitiamo in città e della casetta di
Ultra; che la mamma lavora per vivere.
Il vecchio non capiva. Era difficile spiegargli che la mam-
ma è professoressa di matematica. Gli dissi che insegnava a
far di conto ai giovani delle scuole superiori. 20
«Perché, questi giovani, dopo tanti anni che studiano,
non sanno neppure far di conto?»
Gli dissi che si trattava di calcoli molto complicati e dif-
ficili.
Si fece assorto e non chiese altro. Era già buio, e lo salu- 25
tai. Come l’altra volta avevo dovuto accettare il limone e il
cocomero, non potei rifiutare un cestello di pomodori, che
mi porse dal muro.
«Conditeli con olio e sale» disse «senza aceto».
Tornai altre volte dal vecchio, quell’estate e dopo. Ma che 30
cosa so veramente di lui? Isabella cresceva, Maria s’era fatta
donna, Donato non era più l’amico inseparabile di un tem-
po, la tristezza lasciata dalla scomparsa della signora Ame-
lia si dissipava pian piano, e la vita tornava serena, benché

3. lui,] lui D D1 D2 lui|,| B     10. delle] nelle D D1 D2 delle B     11. commer-


cio,] commercio D D1 D2 commercio|,| B     
168 GIUSEPPE DESSÌ

non avesse più l’incanto degli anni passati, che era l’incan-
to dell’infanzia e della prima adolescenza; il Capitano, che
aveva passato la cinquantina, non era più l’instancabile
cacciatore di un tempo, si appesantiva e faceva i capelli gri-
5 gi: tutto mutava: solo Boschino restava sempre lo stesso. Il
vecchio costume d’orbace e di lino gli si logorava addosso,
cadeva in brandelli, veniva sostituito con abiti smessi del
Capitano, ma lui non cambiava mai. Le cose si muoveva-
no intorno a lui, invecchiavano, crescevano, e lui solo era
10 fermo. La decrepitezza non lo toccava. Credo che, allora,
solo questa sua consistenza, questa sua incorruttibilità gli
facessero avere un posto nel mio spirito e nel paesaggio di
Ultra. Quand’ero in città, me ne ricordavo solo raramente;
e se qualcuno m’avesse chiesto di lui, ben poco avrei saputo
15 rispondere. Ma non appena ritornavo a Ultra, non appena
sentivo l’aria di Ultra, ecco che la figura del vecchio si ravvi-
vava. Neanche allora avrei saputo dirne nulla di preciso, se
avessi dovuto parlarne, ma forse avrei saputo parlare come
lui, gestire come lui, applicare a qualunque discorso il tono
20 di familiarità e di conoscenza, per esempio, con cui parlava
delle piante, del modo di coltivarle, o delle persone, che egli
considerava, come le piante, soggette a leggi immutabili.
Sentivo la concretezza che avevano per lui le cose che lo
circondavano, o che avevano comunque un rapporto con la
25 sua persona e col suo lavoro, come gli oggetti logorati dalle
sue mani, che ogni giorno tornavano agli stessi gesti; e non
solo gli oggetti necessari al suo lavoro, ma anche quelli di
cui si serviva oziosamente, come un piccolo temperino di
madreperla con una lama spezzata, che teneva in una tasca
30 del panciotto, col quale, quand’era seduto, tagliava stecchi,
li raschiava, li affilava, sia quando parlava con me, sia quan-
do se ne stava solo davanti al fuoco, la notte, immerso nei

1. degli] •degli (›di quegli‹) D     4-5. grigi…solo] grigi. Tutto mutava. Solo
D D1 D2 grigi: tutto mutava: solo (← grigi. Tutto mutava. Solo) B     10. che,
allora,] che allora D che, allora, D1     13. me ne ricordavo] mi ricordavo di
lui solo D me ne ricordavo (← mi ricordavo di lui solo) D1     16-17. si rav-
vivava] ritornava vivissima D D1 D2 ||si ravvivava|| (›ritornava vivissima‹)
B     17. dirne] dir D dir/ne/ D1     19. come lui] come lui gestiva D come lui
›gestiva‹ D1     20. con cui parlava] con cui ›il vecchio‹ parlava D     
Michele Boschino 169

suoi soliloqui interminabili. Ma non avrei potuto dire in


che cosa consistesse questa concretezza che io stesso senti-
vo nelle cose attraverso il vecchio. Tutti i suoi gesti io pote-
vo immaginarli, sentirli nel mio corpo immobile. Se imma-
ginavo di alzarmi, mi vedevo camminare come lui, sedermi 5
come lui sulla sponda del letto. E non perché i suoi gesti si
fossero impressi nella mia memoria, ma perché sentivo in
lui qualche cosa che dava la misura a questi gesti lenti, sem-
pre uguali. Ricordo che un giorno, affacciandomi al pozzo
sotto il pergolato, e guardando nella gola buia dalla quale 10
ventava un alito freddo, chiesi:
«È profondo?»
«Quaranta braccia di corda» rispose.
Ora, io non l’avevo mai visto attingere acqua dal pozzo,
ma se ci pensavo, era come se lo vedessi. Poteva tirar su 15
venti secchi, trenta (non ce ne vogliono di meno per irriga-
re l’orto nella stagione calda), e le bracciate con cui tirava su
l’ultimo secchio erano uguali a quelle con cui aveva tirato
su il primo. La misura e la lentezza annullavano la fatica.
Una volta, a Ultra, avevo sentito le serve del Capitano che 20
ridevano in cucina.
«E tu cosa gli hai risposto?» diceva una.
«Io gli ho risposto: “E i vostri parenti cosa ne diranno?”.
E lui: “I miei parenti? Qualche cane avrà rosicchiato le loro
ossa, a quest’ora!”». 25
Questa frase riportata dalle donne era ben lontana dal ca-
rattere e dal tono solito dei discorsi che avevo sentito fare al
vecchio; eppure capii che si trattava di lui, che solo lui po-
teva avere parlato così alla serva: una frase qualunque, con
la quale poneva tra sé e quella donna una distanza insor- 30
montabile. Era il suo modo di trattare gli estranei. Certo a

1-2. dire in che cosa] dire ›oppure ora potrei in che cosa consistesse‹ in che
cosa D     5-6. sedermi…sponda] sedermi, come lui, sull’orlo D sedermi,
come lui, sulla sponda (← sull’orlo) D1 D2 sedermi come lui (← sedermi,
come lui,) sulla sponda B     7. fossero] siano D •fossero (›siano‹) D1     20.
Una volta] |Una volta| (›Un giorno‹) D     27. tono solito dei] tono dei
D tono /solito/ dei D1     28-29. solo lui poteva avere] era verosimile che
avesse D •solo lui poteva aver (›era verosimile che avesse‹) D1 D2 solo lui
poteva avere B     29. serva:] serva, D D1 D2 serva: (← serva,) B     
170 GIUSEPPE DESSÌ

me avrebbe risposto ben diversamente, se gli avessi chiesto


qualche cosa della sua vita: ma io non avevo curiosità, nei
suoi riguardi, come se il suo passato non esistesse. Era come
quegli alberi che si conoscono vecchi nell’infanzia e vecchi
5 rimangono per tutta la nostra vita, di una vecchiezza senza
età. Per me Boschino era tutto al presente. Anche quando
mi parlava di certi fatti, avvenuti tanto tempo prima nel suo
lontano paese del Centro, della sua casa, dove sua moglie
era morta poco dopo le nozze, degli alberi che curava an-
10 che lì con tanto amore, dei buoi che ogni tanto andava a
vendere o a comprare alla fiera, e che poi domava lui stesso
per i lavori dei campi. Tutti questi fatti io non li ponevo nel
passato. Esistevano nel suo racconto, fuori del tempo, in un
fantastico e inalterabile presente. Erano lui stesso, come era
15 lui il paese di cui non mi era mai venuto in mente di chie-
dergli il nome. Una sola volta, e con un senso acuto di disa-
gio, ebbi la percezione del tempo passato, quando mi parlò
di suo padre, che era stato condannato ingiustamente a due
anni di carcere. Ebbi il sospetto assurdo che questo raccon-
20 to non si riferisse a suo padre, ma a lui stesso. Che cosa lo
aveva strappato al suo paese? Che cosa lo aveva portato a
Ultra? Come aveva perduto tutto ciò che aveva? In un mo-
mento mi posi tutte queste domande, e me le spiegai con la
sua ipotetica condanna. Poteva aver commesso un delitto, e
25 forse ora mentiva. Ma il disagio stesso in cui mi mise questa
ipotesi, mi portò a rigettarla. Trovai più semplice credere
all’ingiusta condanna di suo padre; e Boschino tornò per

3-4. come se… quegli] come se egli non avesse passato. Era come uno di
quegli D come se •per lui il (›egli non avesse‹) passato /non esistesse/. Era
come ›uno di‹ quegli D1 D2 come se ›per lui‹ il ||suo|| passato non esistesse.
Era come quegli B     6. al presente] |al presente| (›nel presente‹) D     7. fat-
ti…nel] fatti lontani, avvenuti nel D fatti ›lontani‹, avvenuti /tanto tempo
prima/ nel D1     8. Centro, della] Centro, che si era poi identificato per me
col paese stesso di Linda; della D Centro, ›che si era poi identificato per me
col paese stesso di Linda;‹ della D1     14. inalterabile] inesauribile D D1
D2 B ≠ M2     15. era mai venuto] venne mai D •era (›venne‹) mai /venuto/
D1     19. sospetto assurdo] sospetto D sospetto /assurdo/ D1     21. porta-
to] gettato D D1 D2 B ≠ M2     26. Trovai…credere] Credetti D •Trovai più
semplice credere (›Credetti‹) D1     
Michele Boschino 171

me quello di prima – quale lo avevo visto la prima volta in


casa del Capitano, con la lunga casacca nera avvitata e le
brache bianche, come doveva essere presso a poco, quan-
do aveva lasciato il suo paese. La causa delle sue disgrazie
non me l’aveva mai detta. Forse era superfluo conoscerla. Io 5
ignoravo tutti i fatti che costituivano, nella sua vita, quella
relazione di causa e di effetto che dà non tanto il senso del
tempo quanto il senso irrimediabile del passato. Dimenticai
il dubbio momentaneo, che poi ritornò sotto altro aspetto
quando presi a ripensare a lui nella mia solitudine di ma- 10
lato. Ci pensavo come si pensa a un sogno fatto durante la
notte e che al mattino sfugge e si cancellerebbe del tutto
se non si insistesse a pensarci. Un ricordo incerto, di un
fatto che potrebbe anche essere soltanto una mia fantasia,
completamente privo di ogni legame con altri ricordi, con 15
la realtà, o riferirsi a qualche altra persona: una lettera che
Maria, poco dopo la morte di sua madre, era stata pregata
di scrivere da Boschino. La particolarità di questa lettera
era che Boschino aveva voluto dettarla lui stesso parola per
parola, insistendo perché fosse scritta in dialetto. Boschi- 20
no si rivolgeva al Procuratore del Re e chiedeva giustizia.
Affermava che un certo avvocato e un’altra persona, forse
l’ingegnere Almerio, avevano abusato di una sua procura
appropriandosi31 una grossa somma che gli apparteneva.
Non sapevo neppure io quando ero venuto a conoscenza 25
di questo fatto, ch’era rimasto isolato, fuori da quel presente
in cui sempre avevo visto Boschino: era il richiamo di un al-

1. quale] come D •quale (›come‹) D1     4. aveva lasciato] lasciò D •aveva


lasciato (›lasciò‹) D1     5. conoscerla] |conoscerla| (›saperlo‹) D     6. i fat-
ti] quei fatti D i (← quei) fatti D1     18. scrivere da Boschino] scrivere. Da
Boschino? (← scrivere da Boschino) D1     24-25. apparteneva…neppure]
apparteneva. Non sapevo ›quand’era‹ neppure D apparteneva. ↔| Non sa-
pevo neppure D1     27. in cui sempre avevo] |in cui sempre avevo| (›che io
avevo sempre attri‹) D     

31
In IL in modo congetturale si integra come segue: «appropriandosi [di]
una». Nessun testimone che ci ha trasmesso il romanzo riporta in questo
luogo del testo la preposizione semplice, perciò si conserva la forma transi-
tiva del verbo «appropriare», per altro correttamente utilizzata dall’autore.
172 GIUSEPPE DESSÌ

tro tempo, del tempo reale, su cui nulla ha potere. Altri fatti
potevano aggiungersi a questo. E Boschino avrebbe preso a
vivere staccato da me, animato dal suo passato sconosciuto,
che appariva confusamente e urgeva come un fuoco nasco-
5 sto; non sarebbe stato più il vecchio albero fermo, immu-
tabile, avrebbe riacquistato la sua età, sarebbe invecchiato
di colpo.
Da molto tempo io non lo rivedevo. Che n’era stato di
lui? Era ancora al mondo? Mi ripetevo spesso questa do-
10 manda che prima non m’era venuta neppure in mente.
Constatai con meraviglia che la mamma non si ricordava
più di Boschino.
Quella sera stessa scrissi a Maria Monti. La ringraziavo
per la lettera d’auguri che avevo ricevuto alcuni giorni pri-
15 ma, le chiedevo notizia di tutti e, come incidentalmente,
anche del vecchio ortolano degli Almerio.32

Caro Filippo,
20 ti rispondo solo ora perché anch’io sono stata a letto qua-
si una settimana. Un po’ d’influenza, come ogni anno al
principio dell’inverno.
Ora che stai meglio, posso dirti che ho pensato sempre a
te con molta pena, tutto questo tempo. Non mi avevi nep-
25 pure scritto che tra qualche giorno ti leveranno l’ingessa-
tura: l’ho saputo dal poscritto della signora Bianca. Non
puoi immaginare che importanza abbia avuto per me que-

1. del] di un D del (← di un) D1  ◆  su cui] |su cui| (›in cui‹) D     2. preso
a] potuto muoversi, D •preso a (›potuto muoversi,‹) D1     6-7. età…col-
po.] età e sarebbe invecchiato. D età|,| ›e‹ sarebbe invecchiato |di colpo|.
D1     20. ti] Ti D D1 D2 B ≠ M2     23. meglio,] meglio D meglio|,| D1     24.
Non] Tu non D Non (← Tu non) D1     25. leveranno] levano D D1 D2
||leveranno|| (›levano‹) B     26. Non] Tu non D Non (← Tu non) D1     27.
immaginare] capire D D1 D2 ||immaginare|| (›capire‹) B     

32
In D1 in questo luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per mano auto-
rale, si legge: «(Cominciare la lettera in un’altra pagina. ›Spazio piuttosto
largo‹)». In D2 nello stesso luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per
mano verosimilmente non autorale, si legge: «(Cominciare la lettera in
un’altra pagina.)».
Michele Boschino 173

sta notizia. Non potevo sopportare l’idea di saperti sempre


immobile, giorno e notte. Era una cosa ossessionante, spe-
cialmente quando ho dovuto stare a letto anch’io. In certi
momenti cercavo di stare anch’io immobile come te, ma
non resistevo più di qualche minuto. Ora sono felice di sa- 5
pere che tra qualche giorno sarai libero.
A letto ora c’è Isabella, che ha preso da me l’influenza,
poi toccherà al babbo e alla signorina Airoli, come succede
sempre in questi casi. Le sole persone che la passeranno li-
scia saranno Lavinia e le altre donne di servizio. Quelle non 10
s’ammalano mai. Eppure non devono essere di una razza
diversa dalla nostra. Di Donato non abbiamo notizie da
due settimane e più, mentre noi gli abbiamo scritto pun-
tualmente. Abbiamo saputo da Silvio Catello che sta bene e
che aveva intenzione di venire a passare il Natale con noi, 15
quest’anno. Almeno fosse! Ho tanto desiderio di stare con
lui un poco, di fare qualche passeggiata sui monti, come un
tempo. E anche te ho desiderio di rivedere. Vorrei parlare
con te di tutto quello che penso. Tu sei più indulgente di
Donato, e quando dico qualche sciocchezza non ti arrabbi 20
come fa lui. Mi accontenterei di sentirti parlare dei film che
hai visto in questi ultimi mesi. Ho proprio voglia di sentir la
vostra voce, di te e di Donato. Da quando è ripartito, tutti i
giorni passano uguali, monotoni, e queste serate, coll’avvi-
cinarsi dell’inverno, diventano sempre più lunghe. Tu dici 25
che l’inverno qui è bello. Sì, è bello per chi viene dalla città,
per chi, dalla città, che presso a poco è sempre la stessa esta-
te e inverno, con un’ora di treno si trova in mezzo a questa
bella campagna. Ma per chi sta qui i mutamenti avvengo-
no che nemmeno te n’accorgi, e si arriva con monotonia 30

9. sole] uniche D D1 D2 ||sole|| (›uniche‹) B     10. Quelle] Loro D •Quelle


(›Loro‹) D1     13-14. puntualmente.] regolarmente D puntualmente (›re-
golarmente‹). D1     15. aveva] ha (›aveva‹) D1 D2 aveva D B     20. qualche]
delle D •qualche (›delle‹) D1     23. Da quando] Da quando Donato D D1
D2 Da quando ›Donato‹ B     26. Sì, è] È D /Sì!/ è D1 D2 Sì, è B     28-29.
questa bella campagna] questa campagna D questa /bella/ campagna
D1     29. qui] qui|,| D1     
174 GIUSEPPE DESSÌ

a questa monotonia dell’inverno. Per me non ha niente di


pittoresco e me lo sento dentro. Ma tu, ora che sei diventato
una specie di fachiro, non capirai questo – il solito argo-
mento di noialtre ragazze confinate in campagna. Sai che
5 ho smesso di leggere e rileggere Estaunié perché la tristezza
di quella sua provincia mi ossessionava? Mi sembra che la
monotonia della mia vita, se ci penso, possa trasformarsi
in una tristezza della stessa natura di quella dei personaggi
di Estaunié, che avvolge tutto come una sensibilità doloro-
10 sa. Qui ogni più piccolo fatto, ogni oggetto – un cestino da
lavoro dimenticato sulla tavola – ti dà pena. Non mi ver-
gogno di dirti che il desiderio di vederti e di parlare con te
si confonde col desiderio di sfuggire alla monotonia. Ma
vorrei non vedere altre persone all’infuori di te e di Donato.
15 Così ben poco ho da raccontarti, come vedi. Le piccole cose
che accadono tutti i giorni e tutti i giorni si ripetono, inte-
ressano così poco anche me. È vero che tu le vedresti con
altri occhi. Ti ricordi quella donna alta, vestita di nero, che
veniva a portarci il latte ogni sera con una bella bambina
20 in braccio? Ti ricordi come t’interessavi al suo viso, al suo
portamento così composto e nobile? Io avevo sempre visto
quella donna, ho visto crescere la sua bambina – ma in re-
altà non mi ero mai accorta di lei, non m’ero accorta che ci
fosse in lei qualcosa di particolare. E così forse accade per
25 tutti gli aspetti della vita. Io qui, a furia di rivedere sempre
le stesse cose, le stesse facce, di sentir sempre le stesse voci,
divento insensibile e ottusa. Non è forse la sorte di tutti
quelli che vivono qui? Insensibili a tutto quanto li circonda.
E queste ragazze sempre tese alle più piccole insignificanti
30 novità che vengon di fuori? È una sorte che mi fa paura.
Forse tutte sentono come me, più o meno chiaramente,

3. questo] questo ›sentimento‹ D     5. Estaunié] |Estaunié| (›Muriac‹)


D     6. ossessionava?] ossessiona? D ossessionava? (← ossessiona?)
D1     8-9. quella …Estaunié, che] quella che D quella /dei personaggi di
Estaunié,/ che D1     9-10. dolorosa. Qui] dolorosa, e D dolorosa. Qui (←
dolorosa, e) D1     10. oggetto – un] oggetto persino, come un D oggetto
›persino, come‹– un D1     13-14. Ma…vedere] Ma non vorrei vedere D D1
D2 Ma vorrei non vedere B     22. bambina – ma] bambina; ma D bambina
– ma (← bambina; ma) D1     27. e ottusa] a tutto D •e ottusa (›a tutto‹) D1     
Michele Boschino 175

questo pericolo; ma è inutile lottare, come poi sarà inuti-


le, a una certa età, lottare contro gli anni. Io sento come
sfioriscono dentro, queste ragazze. Guarda Ada Catello,
Concetta Pasca, e tutte le altre qui. Ma per me ora si tratta
forse solo di quella debolezza e di quel disgusto che lascia 5
l’influenza. Avrei bisogno di muovermi, di camminare,
ma piove sempre – e poi, con chi potrei uscire? Io rie-
sco a pensare solo quando mi muovo e cammino. Tutto il
contrario di quel che accade a te ora. Raccontami ancora
di te. Cosa leggi? Cosa fa la signora Bianca? Mi sembra di 10
vedervi tutti e due, tu a letto, lei seduta a lavorare vicino a
te, nella stanza dell’arcata. Vorrei esserci anch’io! Salutala
anche a nome del babbo e di Isabella. A te molti auguri,
ecc. ecc.
15

Caro Filippo,
grazie del libro. Ho cominciato subito a leggerlo, e mi
piace molto. È vero, non bisogna lasciarsi influenzare, nei
giudizi, da uno stato d’animo passeggero. Non bisogna, 20
non bisognerebbe… Ma io non ho gusto. Un libro m’in-
teressa proprio perché ci ritrovo un mio stato d’animo. E
allora?… È giusto quel che dici dell’avvocato Majuri. Mi
hai fatto molto ridere. Ridevo tanto che ho dovuto mostra-
re la lettera a Isabella e anche il babbo ha voluto leggerla, 25
ma non è rimasto, mi pare, molto entusiasta – forse perché
anche lui appartiene a quel tipo di lettori, per quel poco
che legge. Eppure l’avvocato Majuri è sempre una persona
simpatica, e quando ti parla di un libro ti fa venir la voglia
di leggerlo. Io credo che un tempo leggessero tutti così. Per 30
loro, un libro, per essere un vero libro, deve poter durare,
dev’essere un classico. Come nei classici, bisogna poterci
trovare tutto – quello che essi chiamano la vita, cioè un’idea

1. come poi sarà] come è D come ||poi|| •sarà (›è‹) D1     2. età, lottare]
età poi lottare D età|,| ›poi‹ lottare D1  ◆  Io sento] Io /lo/ sento|,| D1 Io
lo sento D2 Io sento D B     7. poi,] poi D D2 poi|,| D1     17-18. Filippo,
grazie] Filippo,↔| Grazie D D1 D2 B ≠ M2     30-31. Per loro, un] Un D
/Per loro,/ un (← Un) D1     
176 GIUSEPPE DESSÌ

morale. Poi esiste, per loro, una seconda categoria di libri,


che sono quelli degli scrittori moderni (essi pongono tra gli
scrittori moderni Zola, Manzoni, Capuana, De Marchi…) e
in questi ci vogliono vedere la vita così com’è… Sì e no arri-
5 vano a D’Annunzio, a France: il resto non esiste. Ed è stra-
no vedere come i lettori del tipo del babbo e dell’avvocato,
persone che noi stimiamo e alle quali chiederemmo consi-
glio nei casi più gravi della vita (ma è poi vero?…) quando
prendono in mano un libro si lascino sempre guidare non
10 dal senso della vita che essi hanno, non dalla esperienza,
ma da un concetto astratto che se ne son fatti, Majuri dal-
le sue ideologie democratiche e umanitarie, e il babbo dal
suo patriottismo. Il senso della vita, che pure hanno, la loro
esperienza, la loro sensibilità morale più genuina, è estra-
15 nea alla loro cultura. E dov’è allora che trovano quell’aiuto,
quel conforto, quella guida che noi troviamo proprio nei
libri? Dico noi, ma voglio dire tu, Donato, e io solo in quan-
to mi piace ascoltare quello che voi dite. Forse non sanno
mai uscire dagli affetti familiari, dall’amicizia, dal senso di
20 benessere morale che dà loro questa vita quieta. Questa è
l’idea che me ne son fatta. Ma dentro la loro testa poi, come
li capiranno, i libri? È possibile che non riescano a vederci
nulla, nulla all’infuori delle idee che hanno già accettato una
volta per sempre? Io penso che forse, nella solitudine della
25 lettura, si lascino prendere anche loro da un’onda d’idee e
di sentimenti sconosciuti, che si abbandonino forse al libro
come facciamo noi. Non credi? Staccati dalla lettura, poi,
chiuso il libro, ritornano quelli di prima, con le loro abitu-
dini e la loro educazione, nelle quali le opinioni più opposte
30 si compongono e si placano, proprio perché non sono vere

2. sono quelli] sono ›i libri degli‹ quelli D  ◆  moderni] nuovi D •moderni


(›nuovi‹) D1     3. moderni] nuovi D •moderni (›nuovi‹) D1     4. com’è…]
come è. D D1 D2 com’è… B  ◆  Sì e no] ›Sono d’accordo con la storia della
letteratura con la scuola‹ Sì e no D     20. morale] morale, D D1 D2 morale
(← morale,) B     23. nulla, nulla all’infuori] nulla, all’infuori D nulla, /nul-
la/ all’infuori D1  ◆  accettato] accetato D D1 accet|t|ato D2     24. che for-
se,] che ›ne parlino‹ forse, D     27-28. lettura, poi, chiuso] lettura, chiuso
D D1 D2 lettura, /poi,/ chiuso B     28. ritornano] ecco che ritornano D
›ecco che‹ ritornano D1     
Michele Boschino 177

opinioni ma solo abitudini. È curioso vedere come l’educa-


zione abbia tanta importanza per gli uomini della loro età,
più che per noi giovani. Non è la loro educazione che limita
le loro letture a un diletto senza conseguenze, che confina
tutto ciò che è essenziale in un libro nella parte più infantile 5
del loro spirito, dove stanno tutti i loro desideri inconfessa-
ti, tutto ciò che essi chiamano sogni? Io, fantasticando per
conto mio, penso che proprio questo distingue noi giovani
– voialtri giovani – da loro: una maggior fiducia nelle idee.
Voi non fate differenza fra i sogni e la realtà. Ti faccio tutta 10
questa chiacchierata perché ho avuto una discussione col
babbo proprio su questo argomento, ma non sono riuscita
a spiegarmi, perché io stessa, in fondo, resto al di qua del
mistero. Si trattava, non di voi in particolare, ma degli scrit-
tori nuovi. Per farti capire il mio stato d’animo: io tengo 15
in camera mia quella riproduzione della natura morta di
Morandi che mi portasti tu l’anno scorso. Io amo quella
riproduzione, ma ti confesso che non saprei dire perché; e
non lo so dire quando il babbo me lo chiede. Invece saprei
dire, a modo mio, perché mi piace Renoir, Monet, Cézan- 20
ne… L’ho messa vicino a quelle altre e aspetto, aspetto che
a furia di vederla si animi, come un paesaggio dietro un ve-
tro su cui si scioglie il ghiaccio. Un bel giorno vedrò “luce,

1. opinioni ma] opinioni – profondamente sentite – ma D opinioni ›–


profondamente sentite -‹ ma D1     5. è essenziale in un libro] |è essenziale
in un libro| (›può esserci in un libro‹) D  ◆   infantile] infantile e fantastica
D infantile ›e fantastica‹ D1     8. che…distingue] che •è (›[—]‹) proprio
questo che distingue D D1 D2 che proprio questo ›che‹ distingue B     13.
spiegarmi,] spiegarmi D spiegarmi|,| D1  ◆  resto al di qua] resto io stessa
al di qua D resto ›io stessa‹ al di qua D1     16-17. quella…Morandi] |quella
riproduzione della natura morta di Morandi| (›la riproduzione di quella
natura morta di Morandi‹) D     18-19. e non] come non D •e (›come‹)
non D1     20-21. Monet, Cézanne…] Manet, Sezanne… ›Rendo la ripro-
duzione natura morta di Morandi accanto a‹ D D1 D2 Manet, Cézanne (←
Sezanne)… B ≠ M2     
178 GIUSEPPE DESSÌ

spazio, volumi”, come dici tu, anche nella natura morta di


Morandi.
Ma l’anno scorso,33 che gioia, a Venezia, la mostra del
Tintoretto! . . .
5

Caro Filippo,
per la terza volta mi chiedi notizie di Boschino. M’ero
sempre dimenticata di risponderti; forse anche perché è pe-
10 noso parlarne, benché non passi giorno senza che, volere
o no, debba occuparmi di lui. È una delle tante cose poco
allegre della vita di qui. È un pezzo che non si alza più dalla
sua branda. Pare si tratti di una malattia al fegato. Fino a un
mese fa si ostinava ad alzarsi. Io e Lavinia gli facevamo pro-
15 mettere di stare a letto, secondo le prescrizioni del medico,
ma quando ci affacciavamo al muro, Boschino non c’era.
Anche in quelle condizioni continuava il suo piccolo com-
mercio di frutta, che ormai era la sua unica risorsa. Com-
prava la frutta qui e andava a rivenderla ad Acquapiana.
20 Figurati con che vantaggio! Il carico di frutta era quello che
poteva portarsi sulle spalle, nella sua bisaccia. Prima faceva
la strada a piedi, ma poi, coll’aggravarsi del male, fu costret-
to ad andarci in treno: così il guadagno si riduceva a una lira
o due. Quel tanto, del resto, che gli bastava per comprarsi
25 il pane e l’olio per una minestrina, come dice lui. Solo ora
si è adattato ad accettare da noi qualche aiuto – da noi per-

3. l’anno scorso] l’altro anno D D1 D2 ||l’anno scorso|| (›l’altro anno‹)


B     3-4. Ma …Tintoretto!...] (Ma l’anno scorso, che gioia, a Venezia, la
mostra del Tintoretto!)↔| Adesso basta. Ti ho annoiato anche troppo con
le mie storie e ti saluto. D Ma l’anno scorso, che gioia, a Venezia, la mostra
del Tintoretto!...↔| ›Adesso basta. Ti ho annoiato anche troppo con le
mie storie e ti saluto.‹ D1     8. per] Per D D1 D2 B ≠ M2     10. che] che io,
D che ›io‹ D1     11. lui. È] lui: è D lui. È (← lui: è) D1     18. era] è D •era
(›è‹) D1     18-19. risorsa. Comprava] risorsa. ›Figurati con quale vantag-
gio‹ Comprava D     20. Il carico] Perché il carico D ›Perché‹ Il (← il) carico
D1     24. o due] o due ›per ogni viaggio‹ D  ◆  bastava] basta D basta|va|
D1     26. aiuto – da noi] aiuto, e lo accetta da noi, D aiuto – (← aiuto,) ›e lo
accetta‹ da noi, D1 D2 aiuto – da noi B     

33
Nel margine sinistro della carta si legge, scritto a penna con inchiostro
nero e mano verosimilmente autorale: «(Capoverso)».
Michele Boschino 179

ché dice che siamo suoi amici. Le “Damine” le ha cacciate


via in malo modo dopo una settimana. Lavinia ha preso ad
assisterlo assiduamente, e tutto ciò che prima veniva dato
agli altri poveri, viene convogliato verso la rimessa. Lavinia
mi fa pensare a un grosso uccello che porti ai suoi piccolini 5
tutte le briciole che trova. Il babbo, visto che non voleva
accettare l’elemosina dalle “Damine”, ha cercato di fargli
avere un sussidio dal Comune. Ma non è stato possibile,
perché Boschino non è di Ultra. Il Comune avrebbe tutt’al
più potuto pagargli il viaggio fino al suo paese, e lì, con la 10
“carta dei poveri”, avrebbe avuto il sussidio o sarebbe stato
mandato all’ospedale o in un ospizio. Ma Boschino ha di-
chiarato che non vuole andar via da Ultra. Non vuol saper-
ne né del suo paese né dell’ospizio. E, poveraccio, ha le sue
buone ragioni. Mi ha raccontato, come in confessione, una 15
lunga storia. Tutta una storia di soprusi patiti, e di rancori,
che lui vorrebbe dimenticare “per morire in pace”. Eppure
anche adesso quei vecchi ricordi non gli danno tregua. Non
avrei mai immaginato che tanto odio potesse nascondersi
sotto un’apparenza così pacifica. Dal giorno che, per mia 20
disgrazia, mi ha raccontato la sua storia (dice di averla rac-
contata solo a me e alla povera mamma, perché vuole che
qualcuno almeno sappia “come sono andate le cose”), con
me non parla più d’altro. Se ci vado con Lavinia, diventa
irascibile, si chiude in un silenzio pieno di dispetto. Allora 25
io, con una scusa, allontano Lavinia per un momento, e lui
si rasserena. Gli basta di fare anche un breve accenno a quei
fatti, e d’assicurarsi che sono ben vivi nella mia memoria.
Ma se ci vado sola, e può parlare, allora, senza neppure ac-
corgersene, poveretto, perde il controllo, e inveisce contro 30
quei parenti che lui stesso ha involontariamente rovinati,

1. siamo suoi amici] siamo suoi amici D D1 D2 siamo suoi amici B     3.
assisterlo…tutto] assisterlo, e tutto D assisterlo /assiduamente/. Tutto (←
e tutto) D1 D2 assisterlo assiduamente, e tutto B     12-13. dichiarato] detto
D •dichiarato (›detto‹) D1     18. adesso] qui D •adesso (›qui‹) D1     23-24.
con me non parla più] ›non parla‹ con me non parla D con me non parla
/più/ D1     25. dispetto] rancore D D1 D2 ||dispetto|| B     28. fatti, e d’as-
sicurarsi] fatti, ›come se si accontentasse di assicurar‹ e d’assicurarsi D     
180 GIUSEPPE DESSÌ

contro l’avvocato che gli ha fatto fare ciò che non voleva,
contro se stesso, contro l’ingegnere Almerio. Ti ricordi
com’era circospetto, quando parlava dell’ingegnere? For-
se lo sarà ancora con gli altri, ma con me ne dice tutto il
5 male che si può dire di un uomo. E tutta questa agitazione
mi fa male. Allora, per due o tre giorni, mi riesce impos-
sibile metter piede nella rimessa. Ma soprattutto impreca
contro se stesso e contro Dio, che non lo ha illuminato a
tempo. Dice che Dio, che ha tanto sofferto in terra, doveva
10 insegnare anche a lui a sopportare in pace tutte le offe-
se. Quando ritorno da lui, dopo queste sfuriate, ritrovo il
Boschino di un tempo, sereno e tranquillo. Allora parla
dell’odio che lo tormenta. Ne parla come di una malattia
da cui bisogna guarire. Dorme pochissimo. Dalla mia ca-
15 mera lo sento lamentarsi e borbottare tutta la notte. Dopo
la scenata contro le povere “Damine” è stato di nuovo
malissimo, e il prete gli ha portato la Comunione. Poi ha
avuto ancora un miglioramento. Io gli ho chiesto: “Come
state ora, Boschino?”. “Male” mi ha risposto lui “proprio
20 male”. Gli ho fatto notare ch’era stato molto peggio pochi
giorni prima. “Appunto per questo” ha risposto. “Sto male
perché non finisce ancora”. Ho detto le solite cose che si
dicono in queste circostanze, le solite frasi stupide; perché
sono convinta anch’io che sarebbe meglio per lui finir di
25 soffrire. Ma anche con un uomo che desidera sinceramen-
te la morte non si può ammettere una verità così sempli-
ce. È un pensiero che mi tormenta. Mi pare che lui debba
accorgersi di ciò che penso veramente. T’immagini la so-
litudine di un uomo che sentisse dire dagli altri una cosa
simile? Anche se sa quello che io penso veramente, Bo-

7. metter] rimetter D D1 D2 metter (← rimetter) B     13-14. tormenta…


guarire.] tormenta come se parlasse di una malattia. D tormenta|.| /Ne
parla/ come ›se parlasse‹ di una malattia /da cui bisogna guarire/. D1     14.
pochissimo. Dalla] pochissimo e dalla D pochissimo. Dalla (← pochissimo
e dalla) D1     19. Boschino?] Boschino D D1 D2 Boschino|?| B     
Michele Boschino 181

schino è sicuro che io non glielo dirò mai, che anzi lo sgride-
rò ogni volta che lo dirà lui. Così parla della sua morte tran-
quillamente. Si sente meno solo. “Vedete”, mi ha detto l’al-
tro giorno “stavo per addormentarmi e mi sono svegliato di
colpo”. Dapprima ho creduto che intendesse parlare delle 5
sue coliche epatiche, e gli ho detto che gli avrei portato una
pastiglina che lo avrebbe aiutato a dormire. “Eh! So io che
pastiglina ci vorrebbe” ha detto. “Una di quelle pastigline
che si danno alle volpi in primavera, quando hanno la pel-
liccia tutta fiorita. Ma io sono una volpe tignosa”. Come il 10
solito, ho cominciato a sgridarlo. Lui scuoteva la testa senza
ribattere alle mie parole. Vorrei poterti descrivere l’espres-
sione del suo viso tra ironica e divertita. Capivo, parlando,
che stavo dicendo delle sciocchezze. Allora lui si è messo a
parlarmi dei sonni che faceva quand’era sano, o meglio del 15
sonno. Era un elogio del sonno, quello che faceva, e senza
nessuna retorica. Disse che dormiva con la porta spalan-
cata, e la luna non gli dava nessun fastidio. Ricordo que-
ste parole: “Il sonno scende bello, scende sugli occhi, sulla
fronte, qui, pian piano, quel sonno che ristora, ed ecco, mi 20
sembra che mi piantino un coltello qui”. Si toccava la fron-
te, gli occhi, e il fianco dove il dolore si risvegliava. C’era
in lui un tale desiderio di ristorarsi col sonno che ho fatto
una cosa che non mi accadeva più da moltissimo tempo:
ho pregato perché potesse dormire. Intanto lui continuava 25
a parlare, e mi sono accorta che non parlava più del sonno
che ci ristora ogni notte, ma – come diceva lui – di quello
che ci ristora da tutti i mali. Così almeno mi parve di capire;

1-2. lo sgriderò…dirà lui.] lo sgriderò ogni volta che lo dirà lui. D lo sgri-
derò ogni volta che lo dirà lui. D1     2-3. tranquillamente] con più serenità
D •tranquillamente (›con più serenità‹) D1     3. solo. “Vedete”,] solo di
quanto non si sentirebbe se io mostrassi di ammettere tranquillamente
quella cosa. “Vedete”, D solo ›di quanto non si sentirebbe se io mostrassi di
ammettere tranquillamente quella cosa‹. “Vedete”, D1     4. stavo] Stavo D
D1 D2 stavo (← Stavo) B     5. Dapprima ho creduto] Io credevo dapprima
D ›Io credevo‹ Dapprima (← dapprima) /ho creduto/ D1     11. ho] io ho
D ›io‹ ho D1     13. viso] viso|,| D1  ◆  Capivo] Io capivo D Capivo (← Io
capivo) D1     16. sonno] Sonno D D1 D2 sonno B  ◆  sonno] Sonno D D1
D2 sonno B     17. retorica] rettorica D D1 D2 B ≠ M2     22. e il fianco…
risvegliava.] il fianco. D /e/ il fianco /dove il dolore si risvegliava/. D1     
182 GIUSEPPE DESSÌ

perché, essendomi distratta per pregare, molte sue parole


m’erano sfuggite. Del resto credo che anche lui non facesse
una distinzione molto precisa tra l’uno e l’altro sonno. Di-
ceva che dopo la visita del prete che gli ha portato la Comu-
5 nione stava per addormentarsi tranquillamente ma che a
un certo punto, un pensiero cattivo l’aveva assalito. “Addio
sonno” ha detto. Gli ho detto ch’era bene cercar di dimen-
ticare questo pensiero, ma siccome lui scuoteva la testa, e si
vedeva che anche in quel momento il molesto pensiero non
10 lo lasciava, gli ho chiesto se poteva dirmelo. Mi ha detto che
pensava a quel maledetto che si gode i suoi danari e quelli
dei suoi parenti, mentre lui muore come un cane, ridotto a
chieder l’elemosina. Poi ha detto: “Che Dio l’uccida!”. Dal-
la violenza con cui ha pronunciato queste parole ho capi-
15 to come un pensiero d’odio possa impedire a un uomo di
morire in pace, e forse anche semplicemente di morire. Ma
si calmò subito; e ha detto che crede che il Signore non gli
farà la grazia di accoglierlo “nel suo ristoro” fino a che non
dimenticherà questo pensiero. “E io come faccio, se non ri-
20 esco a dimenticarlo? Come faccio?” ha detto.
Così quando è calmo. E non so se avrò il coraggio di sta-
re ancora a sentirlo. Ora sono tre giorni che non ci vado.
All’infuori del babbo e d’Isabella, che però hanno finito
quasi per disinteressarsene, Lavinia è l’unica persona che
25 sia riuscita a farsi tollerare. Ma con lei non parla che del
suo male al fegato, oppure le dà consigli sul modo di fare il
pane, figurati! Con lei è un altro uomo, insomma, è il Bo-
schino esemplare che conoscevamo. Scherza, persino. Io ho
la disgrazia di godere della sua confidenza.

3. tra l’uno e l’altro sonno.] tra il sonno e la morte. D tra ›il‹ /l’uno e
l’altro/ sonno ›morte‹. D1     6. punto,] punto D D1 D2 B ≠ M2  ◆  l’aveva
assalito] l’aveva assalito ›l’aveva svegliato‹ D     8. pensiero,] pensiero: (←
pensiero,) D1     9-10. il molesto…lasciava,] ci pensava, D •non (›ci‹) pen-
sava /ad altro/, D1 D2 ||il molesto pensiero non lo lasciava|| (›non pensava
ad altro‹), B     12. parenti, mentre lui] parenti D parenti|,| /mentre lui/
D1     13-14. Dalla] E dalla D Dalla (← E dalla) D1     14-15. ho capito] ca-
pisco D •ho capito (›capisco‹) D1     18. “nel suo ristoro”] nel suo ristoro
D |”|nel suo ristoro|”| D1     21-22. stare] starlo D D1 D2 stare (← starlo)
B     22. sentirlo] sentire D D1 D2 sentirlo (← sentire) B
Michele Boschino 183

E ora chiudo questa lunghissima lettera. Tieni presen-


te però che non mi sarei tanto dilungata se tu stesso non
avessi insistito e se non avessi, come dici, fin troppo tempo
disponibile…
5

Caro Filippo,
la storia che Linda ti ha raccontato non corrisponde a ve-
rità – o meglio risponde a verità solo in parte. Inutile dirti
che Boschino è proprio la persona che Linda non nomina, 10
lo scellerato. Se tutto ciò che Linda dice fosse vero, questo
vecchio non meriterebbe altro nome. Tu mi fai, del raccon-
to di Linda, una relazione oggettiva; e non riesco a capire
qual è la tua vera opinione. Ma non vorrei aver contribui-
to anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione 15
sbagliata. Bisogna che per la verità t’informi di alcuni fatti
che certamente ignori. Bada che mi sono stati confermati
dall’avvocato Majuri, che li ha saputi dall’avvocato che trat-
tò la causa intentata da Boschino contro i parenti – e che
non è altri che Antonino Colliva. Tralascio tutti i particolari 20
inutili e mi limito all’essenziale.
Il dissidio nacque molto prima di quel che mostra di sa-
pere Linda. Boschino era ancora bambino, quando suo pa-
dre cominciò a essere in urto coi fratelli, a causa di una pic-
cola eredità che essi non volevano riconoscergli. A quanto 25
ho capito, si trattava di un giogo di vecchi buoi. Questi fra-
telli, zii di Boschino, non avevano nessun diritto all’eredità,
tanto è vero che ricorsero a minacce e finirono per passare
alle vie di fatto: più volte picchiarono a sangue il padre di
Boschino. Finché costui, stanco, un giorno reagì e spaccò 30
la testa a uno dei fratelli. Fu denunciato e condannato a

8. raccontato] raccontata D D1 D2 raccontato B     14. qual è] qual’ è D D1


D2 B ≠ M2  ◆  tua…Ma] tua opinione, come tu giudichi Boschino. Ma D
tua /vera/ opinione›, come tu giudichi Boschino‹. Ma D1     16. Bisogna…
verità] Lascia che D •Bisogna (›Lascia‹) che /per la verità/ D1     24. a causa
di] |per| (›a proposito‹) D •a causa di (›per‹) D1     25. essi] quelli D •essi
(›quelli‹) D1     26. giogo di vecchi buoi.] paio di buoi, vecchi per giunta. D

giogo (›paio‹) di ›buoi‹ vecchi •buoi (›per giunta‹). D1     
184 GIUSEPPE DESSÌ

due anni di reclusione… Con tutto questo, Boschino dice


che suo padre, dopo scontata la pena, non serbava rancore
né contro i fratelli, né contro i testimoni che con le loro
deposizioni ambigue avevano confuso le idee dei giudici.
5 (Bada bene che queste sono le testuali parole che traduco
dal dialetto. Boschino ha un altissimo concetto della legge e
di chi l’amministra: il Procuratore del Re è per lui una per-
sona quasi sacra). Il padre di Boschino era un uomo mite,
che smentiva il suo sangue violento e cruccioso. Nella fa-
10 miglia, era “come un ramo d’olivo in un albero d’olivastro”
dice Boschino. Conoscendo bene i fratelli, esortò sempre
suo figlio a evitare con loro ogni relazione, per l’avvenire,
anche se avessero mostrato di essergli amici. Boschino in-
vece, dopo la morte del padre, si riconciliò con loro. Aveva
15 comprato un terreno da mettere a vigna. Se ho ben capito,
una parte di questo terreno, che apparteneva a una vedova,
era intestato, forse per errore, a uno degli zii, che ne pagava
anche le tasse; e la vedova lo rimborsava anno per anno.
Da alcuni anni però, quando Boschino comperò il terreno,
20 questo rimborso non veniva fatto. Boschino detrasse questa
esigua somma dal prezzo del terreno che pagò alla vedova,
per versarla allo zio, che già precedentemente s’era impe-
gnato a far la voltura a suo favore. Lo zio però trascurò,
in buona o in mala fede, di far la voltura, e i figli, dopo la
25 sua morte, non vollero più sentire ragioni e pretendevano
d’impadronirsi della parte intestata a loro, che era al centro
del terreno comprato da Boschino. Ci fu una prima causa,
perduta, naturalmente, dai cugini. Rinasceva così, sotto al-

1. questo,] questo D D1 D2 B ≠ M2     8. Il padre di Boschino era] Era D


/Il padre di Boschino/ era (← Era) D1     9-10. Nella famiglia, era] Nella
famiglia, secondo l’espressione di Boschino, suo padre era D Nella fami-
glia, ›secondo l’espressione di Boschino, suo padre‹ era D1     10-11. d’oli-
vastro” dice Boschino] d’olivastro” D D1 D2 d’olivastro” ||dice Boschino||
B     11. Conoscendo] Ma conoscendo D ›Ma‹ Conoscendo (← conoscen-
do) D1     20. Boschino] Infatti Boschino D ›Infatti‹ Boschino D1     23-25.
trascurò…ragioni e] morì prima che la voltura fosse fatta, e i suoi figli non
vollero più saperne, e D morì prima che la voltura fosse fatta, e i suoi figli
non vollero più •sentire ragioni (›saperne‹), e D1 D2 ||trascurò, in buona o
in mala fede, di far la voltura|| (›morì prima che la voltura fosse fatta‹), e i
›suoi‹ figli, ||dopo la sua morte,|| non vollero più sentire ragioni e B     
Michele Boschino 185

tra forma, l’antica contesa, che finì per assumere tutti gli
aspetti di quell’altra, perché i cugini non si davano pace,
e chiedevano a loro volta un risarcimento dei danni del-
la causa, riportando anche in ballo la questione dell’antica
eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista 5
oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io forse sono in gra-
do di spiegare. A un certo punto tutte e due le famiglie degli
zii si trovano coinvolte nella contesa, mentre la causa era
stata fatta contro gli eredi di uno solo di essi. A me è sem-
brato di capire che Boschino, per metter termine alla cosa, 10
abbia promesso di dare – cioè di regalare – un giogo di buoi
al più giovane dei cugini, figlio di Salvatore, quello che stre-
pitava più di tutti. È meno strano di quanto può sembrare.
Perché Boschino era rimasto vedovo, senza figli, e con un
patrimonio discreto. Secondo la mia idea, gli altri paren- 15
ti quando seppero che Boschino aveva deciso di regalare i
buoi al giovane, accamparono anche loro dei diritti. Allora
Boschino ritirò la promessa fatta. Tu ti chiederai perché.
È molto semplice: Boschino, cedendo i buoi, non intende-
va riconoscere il diritto dei parenti sull’antica eredità, ma 20

2. i cugini] •i cugini (›la parte perdente‹) D  ◆  davano] •davano (›dava‹)


D     3. chiedevano a loro volta] chiedeva|no| /a loro volta/ D     4. ripor-
tando anche] riportando D riportando /anche/ D1     5-7. eredità!…spie-
gare. A] eredità. Qui, nel racconto di Boschino c’è un punto oscuro, che
neppure l’avvocato Majuri ha saputo chiarire. A D eredità|!| •Qui, nella vi-
cenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto oscuro, che
solo io sono in grado di spiegare. (›Qui, nel racconto di Boschino c’è un
punto oscuro, che neppure l’avvocato Majuri ha saputo chiarire.‹) A D1 D2
eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è
un punto oscuro, che solo io ||forse|| sono in grado di spiegare. A B     9. gli
eredi] |gli eredi| (›la fami‹) D     11. di dare…giogo di] di dare un paio di
D di dare •– cioè di regalare – un giogo (›paio‹) di D1     12. cugini, figlio]
cugini figli D D1 D2 cugini, figlio (← cugini figli) B     13. È meno…sembra-
re.] Non è inverosimile D •È meno strano di quel che può sembrare. (›Non
è inverosimile‹) D1 D2 È meno strano di quanto può sembrare. B     15-
16. parenti] parenti, parenti parenti B     16-17. regalare…giovane] dare i
buoi al |giovane| (›figlio pi‹) D •regalare (›dare‹) i buoi al giovane D1     
186 GIUSEPPE DESSÌ

comporre la lite presente. Intendeva fare un dono al cugi-


no, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace
– e che aveva la forma dell’antica pretesa dei parenti: un
giogo di buoi. Le pretese avanzate dagli altri trasformaro-
5 no questo giogo di buoi nell’oggetto stesso della contesa
primitiva, ormai conchiusa con gli zii morti. Si trattava
di ammettere il torto del padre, il proprio, di rimangiar-
si tutto, di toglier valore alla riconciliazione avvenuta con
quegli altri due che non c’erano più. Niente di strano dun-
10 que se Boschino non mantiene la promessa fatta. Poco
tempo dopo, il giovine a cui erano stati promessi i buoi,
se li prese dal chiuso di nascosto: era un furto, Boschino
avrebbe potuto denunciarlo: ma invece non lo fece nean-
che quando si seppe che i buoi erano stati portati via, in
15 un paese del Gocèano. Minacciò però di sporgere denun-
zia, e allora i parenti del ragazzo gli promisero di fargli
restituire i buoi o di rimborsarlo in qualche modo, e di
pagargliene intanto il fitto. Per molti anni Boschino portò
pazienza, e sempre, a chi gli chiedeva dei buoi, diceva di
20 averli dati in affitto al cugino. Costui però andava dicendo
che non gli avrebbe mai pagato un soldo, perché, secondo
lui, Boschino era sempre debitore verso suo padre per via
della vecchia eredità, e per giunta cominciò a metterlo in

1-3. un dono… forma] un regalo al cugino, un regalo che era un poco il


prezzo della pace, e che aveva la forma D un •dono (›regalo‹) al cugino, un

dono (›regalo‹) che •fosse anche (›era un poco‹) il prezzo, /il suggello/ della
pace – (← pace,) e che aveva la forma D1 un dono al cugino, un dono che
fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma D2 un
dono al cugino, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e
che aveva la forma B     4. altri] altri, D altri (← altri,) D1     12. di nascosto]
senza dir nulla D •di nascosto (›senza dir nulla‹) D1  ◆   Boschino] e Bo-
schino D ›e‹ Boschino D1     13. denunciarlo: ma] denunciarlo, e D denun-
ciarlo: ma (← denunciarlo, e) D1     14-15. quando…Gocèano.] quando i
buoi vennero portati via dal paese. D quando /si seppe che/ i buoi •erano
stati (›vennero‹) portati via|,| •in un (›dal‹) paese /del Goceano/. D1     15-
16. denunzia,] denunzia; (← denunzia,) D1     19. pazienza,] pazienza; (←
pazienza,) D1     20-21. cugino…soldo,] cugino, che, però non gli pagò
mai un soldo D cugino. (← cugino,) •Costui però andava dicendo che
(›che, però‹) non gli .avrebbe mai pagato (›pagò mai‹) un soldo|,| D1     22.
era …padre] |era sempre debitore verso suo padre| (›doveva a suo padre
una certa somma‹) D     23. eredità,] eredità; (← eredità,) D1     
Michele Boschino 187

ridicolo. I parenti lo secondavano, e siccome Boschino, con


la sua tolleranza, s’era fatto la fama di un buono a nulla, tut-
ti credevano di poter approfittare della sua roba. Allora gli
fu consigliato di rivolgersi a un avvocato. Antonino Colliva,
che cominciava in quel tempo la sua carriera lavorando in 5
provincia, gli offrì di patrocinarlo. Esaminata la questione
gli assicurò che sarebbe riuscito a fargli restituire i buoi
senza ricorrere al Tribunale. Era quel che desiderava Bo-
schino. L’avvocato si fa fare una procura generale, interroga
i testimoni, minaccia di denunciare il giovane per furto. I 10
parenti protestano, affermano di aver avuto in affitto i buoi,
si compromettono tutti quanti. Era lo scopo dell’avvocato,
che intenta subito la causa per la restituzione dei buoi e per
il pagamento del fitto di tutti quegli anni. Boschino ormai
doveva accettare ciò che l’avvocato imponeva, e forse non 15
si rendeva conto delle precise richieste del suo difensore. La
causa è vinta. Capitale, interessi, spese della causa, onorario
degli avvocati raggiungono una cifra incredibilmente alta.
La roba dei disgraziati parenti viene messa all’asta. Non so
dirti come si siano trovati tutti implicati nella causa, ma è 20
un fatto che si rovinarono tutti per cercare di salvarne uno.
Questa fu una vera disgrazia anche per Boschino. Ormai
non poteva più vivere nel suo paese. Incaricò l’avvocato di
vendere anche la sua roba e se n’andò col carro e i buoi. Si
diresse verso Parte d’Ispi, dove lo chiamava il ricordo della 25
moglie, che era di Mamusa. E si stabilì qui a Ultra.
Ti ho inflitto questa lunga storia (ci ho messo una serata
intera a scriverla, e per molti giorni ci ho pensato) perché
mi dispiacerebbe che tu giudicassi duramente Boschino.

1. secondavano,] |secondavano,| (›consigl‹) D secondavano; (← secon-


davano) D1 ≠ M2     5. in quel tempo] allora D D1 D2 ||in quel tempo||
(›allora‹) B     6. di patrocinarlo] |di patrocinarlo| (›i suoi servigi‹) D   ◆  
questione] questione|,| D1 D2 questione D B     12-13. dell’avvocato…su-
bito] dell’avvocato. Intenta D dell’avvocato, che intenta (← dell’avvocato.
Intenta) /subito/ D1     15. imponeva] faceva D D1 D2 B ≠ M2     16. del suo
difensore] dell’avvocato D •del suo difensore (›dell’avvocato‹) D1     19. La
roba] Le case e i poderi D D1 D2 ||La roba|| (›Le case e i poderi‹) B  ◆   viene
messa] vengono messi D D1 D2 ||viene messa || (›vengono messi‹) B     
188 GIUSEPPE DESSÌ

Bada che anch’io sono stata tentata di farlo – anche per li-
berarmi dalla pena delle sue sofferenze, per poter pensare
che, in certo senso, se le fosse meritate. Diffida di questa
tentazione. Io sono certa che se noi pure lo giudichiamo
5 male, lo teniamo inchiodato alle sue sofferenze. Le colpe
che lui stesso si attribuisce quando si dispera, sono imma-
ginarie, o per lo meno ingigantite dalla sua immaginazio-
ne. Noi dobbiamo vederci più chiaro di lui, ricondurlo a
quell’esemplare equilibrio che era la sua caratteristica di
10 un tempo, quando l’abbiamo conosciuto. Altrimenti non
s’addormenterà mai in pace. Tu sai che io credo al Para-
diso, all’Inferno e anche al Purgatorio, anche se questo fa
sorridere Donato e forse anche te, no? Io ci credo. Credo a
questa distinzione tra i Santi e i Reprobi. Facciamo in modo
15 che quest’uomo muoia in grazia di Dio. Lui che sconta qui,
in terra, il suo Purgatorio. Io non ne dubito; purché muoia
in grazia di Dio, questo tormento è già una purificazione.
E se muore in grazia di Dio, continuerà a purificarsi nel
nostro spirito, perché nel nostro spirito è il Purgatorio del-
20 le anime. Nel nostro spirito ritrovano la coerenza loro più
profonda, fino a che si compongono in pace. E che cosa
sono le preghiere, se non lo sforzo che noi facciamo per
aiutarli a chiarirsi? Noi pensiamo con loro, facciamo nostri
i loro dubbi, soffriamo dei loro errori, e stiamo saldi senza
25 lasciarci prendere dalla passione, con gli occhi fermi alla
perfetta misura, alla perfetta coerenza.
Io vorrei che tu cercassi di convincere quella buona
donna sorda che avete in casa, a fare una scappata a Ultra
(naturalmente noi le pagheremmo il viaggio), dopo averle
30 spiegato che la responsabilità di Boschino è minima. Biso-
gnerebbe ragionare con lei, farle lasciare ogni astio. Nella

1. farlo – anche per] farlo per D D1 D2 farlo ||– anche|| per B     3. fosse] era
D D1 D2 ||fosse|| (›era‹) B     4. se noi pure] se anche noi D se ›anche‹ noi
/pure/ D1     7. o per lo meno ingigantite] o ingigantite D o /per lo meno/
ingigantite D1     8. vederci più] vederci anche più D D1 D2 vederci ›anche‹
più B     9. equilibrio] equilibrio, D D1 D2 equilibrio (← equilibrio,) B     16.
terra] Terra D D1 D2 terra B     26-27. coerenza. Io vorrei] coerenza. Io
vorrei D coerenza.↔| Io vorrei D1     28. a fare] di fare D a (← di) fare D1     
Michele Boschino 189

mia lettera puoi trovare tutti gli elementi per dimostrarle


che fu l’avvocato a far gl’interessi del suo cliente al di là del-
le intenzioni del cliente stesso. Boschino ha perduto tutto,
come gli altri, né più né meno: perché non ha mai avuto un
soldo della somma riscossa dall’avvocato. 5
Tutto, ora, è in mano dell’ingegnere Almerio, che ne di-
spone a suo piacimento. Si tratta di un centomila lire cir-
ca, e forse più. Non c’è niente da fare, ormai, perché sono
troppi anni che l’ingegnere ha una procura generale – nulla
da fare, voglio dire, per un ricupero, anche parziale, della 10
somma – ma si può cercar di ottenere una riconciliazione
tra questi due superstiti. Ci ho pensato tanto in tutti questi
giorni, e ora che sono arrivata a questa conclusione, mi sen-
to meno sola di prima. Ho bisogno di qualche cosa che non
sia soltanto l’affetto del babbo e d’Isabella, che questa mia 15
continua tensione logora. Non bisognerebbe vivere sempre
con le persone a cui si vuol bene. Come tutto si riduce, si
semplifica, si immiserisce! Sono fatta male, e ho paura, ho
paura di lasciarmi prendere da questa sensazione. Forse per
questo mi fa paura la solitudine di Boschino. Pensa a quel 20
che t’ho detto, e rispondimi subito in proposito. L’idea è
meno assurda di quel che può sembrare. Certo, se il babbo
lo sapesse, mi prenderebbe per pazza. Ma non è necessario
spiegargli la vera ragione della venuta di Linda.
25

Caro Filippo,
al tuo posto non sarei così sicura della inutilità del tenta-
tivo. Prova a parlare con quella donna. Anch’io non riesco
facilmente a parlare con i contadini. Preferisco lasciar par- 30
lare loro, e stare ad ascoltarli. Noi ci ostiniamo a vederli sol-
tanto come paesaggio. Perché dobbiamo pensare che non
possano capire ciò che pensiamo noi? Credi che mio padre
sia molto più vicino di loro ai nostri pensieri? Eppure fra

17. con le persone] assieme alle persone D •con (›assieme alle‹) persone
D1 D2 con ||le|| persone B     18. immiserisce!] immiserisce. D immiseri-
sce! (← immiserisce.) D1     18-19. ho paura, ho paura di] ho paura di D
ho paura|,| /ho paura/ di D1     24. spiegargli] dire D •spiegargli (›dire‹)
D1     28. al] Al D D1 D2 al B     31. Noi] ›È un vezzo lettera‹ Noi D     
190 GIUSEPPE DESSÌ

noi e lui non sentiamo questo fatto come una barriera in-
sormontabile. Tu andavi a caccia con lui, facevi con lui del-
le partite a dama… Queste cose uniscono come il linguag-
gio, diventano linguaggio. Se Linda viene in camera tua e
5 s’inginocchia vicino al tuo letto per parlarti di Sigalesa, e
accende nel caminetto il fuoco con gesti che ti fanno pen-
sare alla gente di quel paesino sconosciuto, se lei porta così
francamente tutte le sue abitudini nella tua casa, e prende
inconsciamente certe intonazioni di voce di tua madre – lei
10 sorda! – non credi di esserle diventato, senza accorgertene,
abbastanza familiare anche tu? È gente che s’affeziona, che
ha bisogno di noi, e che noi a torto ignoriamo. Sì, quando
le parlerai, sentirai dapprima un tono falso, nella tua voce,
ma poi le parlerai con naturalezza; e lei se n’accorgerà. Tu
15 non puoi sapere di che risorse dispone questa donna per
capirti. Essa ha fiducia in te; e tu te ne puoi valere: lo fai a fin
di bene. Se poi proprio non ti senti di vincere questa intima
resistenza, o se credi che la tua parola sarebbe inefficace,
prega tua madre di parlargliene lei, di convincerla. Son cer-
20 ta che la signora Bianca capirà subito.
Se questa donna verrà qui, senza far finta di nulla, e si
siederà vicino alla branda di Boschino, come una persona
amica, Boschino non la respingerà; si sentirà pacificato con
quel mondo lontano, sommerso, col quale ha perduto i
25 contatti, con quel mondo che per lui è di irreparabile colpa.
Lo sentirà di nuovo vicino, potrà parlargli, ascoltarlo. Sarà
di nuovo un mondo vivo. E liberatosi dal suo tormento, si

1. questo fatto come] questo come D questo /fatto/ come D1     5. Sigale-
sa,] Sigalesa D Sigalesa|,| D1     10. senza accorgertene] ›anche tu‹ senza ac-
corgertene D     18. se credi] se proprio credi D se ›proprio‹ credi D1     20.
Bianca capirà subito.] Bianca |capirà| (›capirebb‹) subito. ›Mostrale la
mia lettera‹ D     21. verrà] venisse D •verrà (›venisse‹) D1     22. siederà]
sedesse D •siederà (›sedesse‹) D1     23. Boschino…pacificato] Boschino
non solo non la respingerebbe, ma si ›paci‹ sentirebbe pacificato D Bo-
schino non solo non la respingerà; (← respingerebbe,) ›ma‹ si sentirà (←
sentirebbe) pacificato D1 D2 Boschino non ›solo non‹ la respingerà; si sen-
tirà pacificato B     26. Lo sentirà] Egli lo sentirebbe D Lo sentirà (← Egli
lo sentirebbe) D1  ◆  potrà] potrebbe D potrà (← potrebbe) D1     26-27.
ascoltarlo…liberatosi] ascoltarlo, sarebbe un mondo vivo. ›E se credi che
farebbe‹ Liberatosi D ascoltarlo. Sarà (← ascoltarlo, sarebbe) /di nuovo/ un
mondo vivo. E liberatosi (← Liberatosi) D1     
Michele Boschino 191

riconcilierà con quel vecchio mondo perduto e riacquista-


to, si riconcilierà con se stesso. Che importanza avrà allora
per lui l’ingegnere Almerio e tutte le altre miserie? Ah Filip-
po, cosa devo fare per convincerti? . . .
5

No, vedi, ti sbagli. Sai bene del resto che per me andare
in Chiesa è una cosa molto delicata. Io credo all’Inferno, al
Purgatorio, al Paradiso, credo nella Vita Eterna, credo nel
Padre, nel Figliolo e nello Spirito Santo, credo nella Resur- 10
rezione della Carne. Eppure per me andare in Chiesa non è
una cosa semplice. Credo nelle stesse cose in cui credono gli
altri che ci vanno, ma ci credo diversamente. Non dico più
profondamente, ma diversamente. Ci credo pensandoci. E ci
sono dei momenti in cui questo mi dà una gioia intensa. Ho 15
l’impressione precisa che solo un travaglio quasi infinito del
pensiero può essere arrivato al sigillo del dogma. Tu sbagli,
se credi che si possa arrivare a credere queste cose solo at-
traverso il rapimento ascetico, l’annullamento del pensiero.
Tu dici che per passare dal campo della filosofia a quello 20
della teologia, bisogna attraversare un abisso incolmabile
nelle condizioni di Dante che viene rapito dall’aquila. A me
non pare. Certo è che molti potrebbero rimproverarmi di
vedere nei loro dogmi delle allegorie che adombrano verità
che tu chiameresti filosofiche. Ma io credo che, in fondo a 25
ogni dogma, il mistero sia uno solo. E questo mistero lo ac-
cetta tanto il filosofo quanto il teologo, alla stessa maniera, e
così anche tutti gli uomini che vivono e operano; perché in
fondo a ogni minimo atto morale c’è questo mistero.

1. riconcilierà] riconcilierebbe D riconcilierà (← riconcilierebbe) D1     2.


riconcilierà] riconcilierebbe D riconcilierà (← riconcilierebbe) D1   ◆  
avrà] avrebbe D avrà (← avrebbe) D1     3. miserie?] miserie D D1 Mise-
rie|?| D2     8. molto delicata] delicatissima D •molto delicata (›delicatis-
sima‹) D1     12. Credo] Perché credo D Credo (← Perché credo) D1     15.
questo…intensa.] |questo mi dà una gioia intensa.| (›provo una gioia in-
tensa pensan‹) D
192 GIUSEPPE DESSÌ

Caro Filippo,
non devi affatto preoccuparti delle difficoltà che potrebbe
opporre mio padre o la signorina Airoli – cosa, in questo
momento, non del tutto impossibile. Questi sono dettagli
5 che risolveremo all’ultimo momento. C’è qui Ada Catello
che vorrebbe rimediare, per quanto è in lei, al male che han-
no causato le “Damine” a Boschino con la loro mancanza di
tatto. Non dirmi che difendo Boschino oltre il ragionevole.
Boschino le ha cacciate via, ma non aveva poi tutti i torti.
10 Ada ci aiuterebbe ospitando in casa sua Linda.
E sì! purtroppo. «I vecchi hanno le loro idee», dici tu. In-
tanto il babbo non può dirsi vecchio, a sessant’anni, e poi
non ha affatto le sue idee, in questo caso, ma quelle della
signorina Airoli, che, da governante d’Isabella, è diventa-
15 ta governante di tutti noi, compreso il babbo. Che cosa ci
starebbe a fare, se no? Il suo compito sarebbe finito da un
pezzo.
Il babbo – cioè la signorina Airoli – ha una concezione
della carità non molto diversa da quella delle povere “Da-
20 mine” scacciate da Boschino. Il babbo, per esempio, non
approva che io gli porti dei sigari, perché “non sono stret-
tamente necessari”. Si deve dare a un povero solo ciò che è
“strettamente necessario”. Il povero pesa sulla società, no?
e la società non è tenuta ad alimentare “i vizi” di chi pesa su
25 di lei. Mio padre, che regalava i sigari a Boschino quando
Boschino non viveva d’elemosina, ora non vuole più dar-
gliene. E non pensare che sia avarizia. Neanche per sogno.
È una questione di principio. O per lo meno non è avari-
zia personale, ma avarizia… sociale. Perché Boschino, per
30 quanto avidissimo di fumare, consuma un mezzo toscano
la settimana! Lo accende, tira due o tre boccate, e lo spegne.
(A me ha raccontato che ha preso l’abitudine di fumare
perché l’odore del sigaro piaceva a sua moglie, quand’era

2. non] Non D D1 D2 B ≠ M2     3. opporre] oppormi D D1 D2 opporre (←


oppormi) B     6. male] danno D D1 D2 ||male|| (›danno‹) B     23. “stret-
tamente necessario”] strettamente necessario D |“|strettamente necessa-
rio|”| D1     24. e] E D D1 D2 e (← E) B     26. ora non vuole più] |ora non
vuole più| (›non vuole più‹) D     31. spegne] ripone D •spegne (›ripone‹)
D1     
Michele Boschino 193

incinta). A questo proposito si è venuto creando, in casa


nostra, nei riguardi di Boschino, uno stato d’animo parti-
colare. La signorina Airoli, un bel giorno, ha cominciato a
dire che Lavinia esagera nelle premure per Boschino. Nota
che, parlando di Lavinia, la signorina allude indirettamente 5
a me… Dice, per esempio, che per una donna, è una cosa
indecente scavalcare il muro come fa Lavinia (anch’io fac-
cio lo stesso). Lavinia scavalca il muro anche quando ci
sono in cortile gli operai che spaccano la legna o fanno
qualche altro lavoro. È vero che gli operai spesso ridacchia- 10
no e lanciano frizzi, ma lei non se ne cura. Mostra le gam-
be con assoluta purezza di cuore. Può darsi che anch’io le
mostri, ma non ci penso, e così credo faccia anche Lavinia.
Mattina e sera porta un piatto di minestra al vecchio: lo fa
col mio permesso, ma la signorina trova che non possiamo 15
prendere Boschino a nostro carico, e quando può dà il piat-
to di minestra riservato a Boschino, a qualche altro povero
che viene a bussare al portone. Lavinia trova il modo di far
saltar fuori lo stesso un altro piatto di minestra. È evidente
che Lavinia ruba questo secondo piatto di minestra… E via 20
di questo passo. L’altro giorno Lavinia, con una faccia tosta
incredibile, ha chiesto al babbo, mentre eravamo a tavola,
il permesso di portare a Boschino un cuscino di lana. Senza
aspettare la risposta del babbo, la signorina è intervenuta
dicendo che se ne guardasse bene. Lavinia l’ha ascoltata 25
senza batter ciglio, poi, di nascosto, ha levato un po’ di lana
da tutti i cuscini di casa, compresi quelli della signorina, e
ne ha fatto uno per il vecchio. È venuta a mostrarmelo pri-

1. A questo] |A questo| (›Ma io,‹) D  ◆  creando,] creando, D D1 D2 cre-


ando B     7-8. anch’io faccio lo stesso] e come faccio anch’io D •anch’io
faccio lo stesso!... (›e come faccio anch’io‹) D1 D2 anch’io faccio lo stesso.
B     10-11. spesso…ma] spesso lanciano dei frizzi all’indirizzo di Lavinia,
ma D D1 D2 spesso /ridacchiano e/ lanciano ›dei‹ frizzi ›all’indirizzo di
Lavinia‹, ma B     12. cuore.] cuore›, le mostra perch‹. D     20. Lavinia…E
via] Lavinia lo ruba. E via D Lavinia ›lo‹ ruba /questo secondo piatto di
minestra…/ E via D1     25. dicendo…bene] come un’arpia D •dicendo che
se ne guardasse bene (›come un’arpia‹) D1     28. uno per] uno nuovo per
D D1 D2 uno ›nuovo‹ per B     
194 GIUSEPPE DESSÌ

ma di portarglielo. Le “Damine”, prima di farsi cacciar via,


gli avevano fornito due paia di lenzuola di tela grezza, che
ora, a furia d’esser lavate, sono diventate candide. È Lavinia
che pensa a tenergliele sempre pulite. Così ora Boschino ha
5 un letto comodo e decente. E mi ringrazia ogni volta, come
se fosse merito mio. Il mio unico merito è quello di prende-
re le parti di Lavinia in casa. Ma tutto questo è mortificante
e io non ne posso più.
Vorrei poter parlare con Donato e con te, a lungo…
10

Caro Filippo,
grazie dei consigli. Ma è difficile riuscire a sentirsi di-
staccati da queste cose, che sono piccole, ma che occupano
15 gran parte della mia giornata. La mia vita è un’altra? La vita
interiore? Parole! La vita è quella che è. Se io fossi venuta
qui come istitutrice, se fossi in casa d’estranei, sì che po-
trei fare come tu dici. Ma sono in casa mia. Tu sai che io
penso a fatica e difficilmente riesco a dimenticare ciò che
20 mi sta intorno. Anche quando leggo, quando vado a pas-
seggio con Isabella e fantastico per mio conto fingendo di
ascoltare quello che lei mi dice, queste piccole miserie mi
perseguitano e immagino di parlarne con te. A proposito,
Donato mi ha scritto una lunga lettera saggia, anche lui mi
25 dà dei consigli molto più saggi dei tuoi, quei consigli che
solo un estraneo può dare. Io lo sento estraneo, in questa
lettera. Perché mi vuole ragionevole oltre il possibile? Per-
ché io dovrei sopportare tutto, tutto, accettare tutto? Io non
incolpo né il babbo né la sorte di esser costretta a passar qui
30 la mia giovinezza. Al babbo piace questa vita. L’ha imposta
alla mamma, che pure, di stare a Ultra, non voleva saperne,
e ora l’impone a me e a Isabella. Dunque… Ma Donato è
quello che meno ne soffre. Anzi credo che, in fondo, sia un

2. fornito] portato D D1 D2 ||fornito|| (›aportato b||procurato||‹) B  ◆   di…


grezza,] di lenzuola /di tela grezza/, D     13. grazie] Grazie D D1 D2 B ≠
M2     13-14. distaccati] distaccati D distaccati D1     14. piccole] piccole
›cose‹ D     26. estraneo] estraneo D estraneo D1     30. Al babbo…impo-
sta] A lui piace, |questa| (›la‹) vita, l’ha imposta D •Al babbo (›A lui‹) piace
questa vita. L’ha (← vita, l’ha) imposta D1     
Michele Boschino 195

vantaggio per lui che il babbo non si sia stabilito in città. Se


il babbo si fosse stabilito a C., per esempio, Donato sarebbe
stato legato a C., avrebbe frequentato il liceo di C., l’univer-
sità di C. Invece così è libero di stare dove più gli piace, ed è
bene che sia così. Ora, io ammetto che Donato giustifichi il 5
babbo, ma perché non si rende conto anche della situazione
in cui mi trovo io, e in cui si troverà Isabella, tra qualche
anno? Credi che basti un viaggio ogni tanto? Può, un viag-
gio, compensare la solitudine di mesi e mesi e mesi, la man-
canza di amici? Tu, come amico, sei un’eccezione, e poi non 10
sei solo un amico. Per me sei come Donato, e capisci tante
cose. Parlo di quegli amici che servono quasi a comunicare
col mondo senza mescolarsi col mondo. Io credo che il bab-
bo stesso risenta di questo isolamento. Se si sentisse meno
isolato, si sorveglierebbe di più. Questi signori di campagna 15
finiscono per essere come dei piccoli re, abituati a vivere
in mezzo a persone di cui non temono il giudizio, o che
credono devote senza limiti. Per il babbo, la società si ridu-
ce all’avvocato Majuri e a qualche altro amico: gli altri non
contano. Ma questi amici non sono più la società, la società 20
che è pronta a giudicare, di fronte ad essa bisogna mantene-
re una certa linea di vita. Questi pochi amici, che non sono
amici come sei tu per me (ma hanno mai sentito, i nostri
padri, l’amicizia come la sentiamo noi?…), non servono
neppure di tramite per comunicare col mondo. Sono tutti 25
chiusi nello stesso isolamento. Questo credo che sia uno dei
sintomi più terribili della vecchiaia che s’avvicina. E noi,
cosa dobbiamo fare, io e Isabella? Sacrificarci per chi? Per il
babbo? O piuttosto per i begli occhi della signorina Airoli?
Non dirmi che sono gelosa, come mi ha scritto Donato. La 30
situazione assurda che si è venuta creando, è la stessa, pres-
so a poco, di quella che si crea in casa del vecchio principe
Bolkonski, in Guerra e Pace. Ricordi? Non c’è assolutamen-
te niente tra il babbo e la signorina, niente all’infuori di una

6. babbo,] babbo; D1     8-9. Può, un viaggio,] Può un viaggio D Può|,| un


viaggio|,| D1     21. ad essa] alla quale D D1 D2 B ≠ M2     22. che non] che
pure non D D1 D2 che ›pure‹ non B     23. per me] per me o per Donato D
per me ›o per Donato‹ D1     24. non] ma non D D1 D2 ›ma‹ non B     34.
niente] niente|,| D1 D2 niente D B     
196 GIUSEPPE DESSÌ

simpatia, da parte del babbo, che passa certi limiti. E certi


limiti basta passarli; poi non c’è più misura. Non bisogna
giudicare il proprio padre? Se non lo giudicassi mi sembre-
rebbe di tenerlo nel conto di un irresponsabile. È questo
5 che non vuol capire Donato, che “facendo finta di non ve-
dere” si viene a dare un giudizio ancor più crudele. Donato
mi rimprovera di aver poca simpatia per il babbo – poca
simpatia, poca indulgenza; e forse è vero. Ma io non voglio
perdermi in questo labirinto di ombre. L’unica cosa che mi
10 aiuti, in questa atmosfera morbida ed equivoca, è proprio
la chiarezza. Si potrà essere indulgenti poi. Oh! ce ne sarà
tanto bisogno. Ma non si deve cominciare col rinunciare
a capire. Donato è molto ottimista. Lui dice che il babbo è
sempre stato una persona così corretta, così aliena da ogni
15 tentazione che non c’è da allarmarsi per così poco. Io non
sono tranquilla. Ti ricordi quello che ti scrissi tanto tempo
fa sul modo di leggere del babbo e di tanti altri come lui?
Limitano la lettura a un diletto. Le idee dei libri le accettano
e le lasciano vivere solo in quella parte del loro spirito in cui
20 stanno le loro aspirazioni irraggiungibili, le rivincite impos-
sibili, la carriera brillante che non hanno fatto, la ricchezza
che non hanno raggiunto, la libertà: il mondo dei sogni in-
somma, dei romanzi. Là, in quel mondo, dev’essere fiorita,
come un rametto di biancospino, la simpatia del babbo per
25 la signorina Airoli. E là sarebbe rimasta, in quel mondo che
tutta un’educazione e una tradizione segrega severamente
dalla vita – come ci saranno rimaste tante altre piccole ten-
tazioni, passioni, simpatie – se il babbo non vivesse ormai

2. passarli;] passarli, D D2 passarli: (← passarli,) D1 passarli; B     3-4. Se


non…nel conto] ma io lo giudico, come giudico qualunque altro, a meno
che non lo si voglia tenere nel conto D •Se non lo giudicassi mi sembre-
rebbe di tenerlo (›ma io lo giudico, come giudico qualunque altro, a meno
che non lo si voglia tenere‹) nel conto D1     5-6. vedere] |vedere| (›capi-
re‹) D     9. in questo] in •un (›questo‹) D1 D2 in questo D B     10. ed] e D
ed (← e) D1     15. allarmarsi per così poco.] allarmarsi. D allarmarsi /per
così poco/. D1     16. sono tranquilla] sono così tranquilla D D2 sono ›così‹
tranquilla D1     16-17. tanto tempo fa] tempo fa D D1 D2 B ≠ M2     18. la
lettura a un diletto.] |la| (›al‹) lettura a un |diletto| (›piacere‹). D  ◆  libri]
libri D libri|,| D1 D2 B     21. brillante…fatto] brillante D brillante /che non
hanno fatto/ D1     23. dev’essere] dev’esser D D1 D2 dev’essere B     
Michele Boschino 197

da troppi anni completamente isolato. La sua abitudine a


controllarsi si è rilassata come un vecchio tessuto. Come
spiegheresti altrimenti che non gli venga neppure il sospet-
to che io vedo, che Isabella vedrà anche lei, presto o tardi?
Se il babbo fosse meno legato alla particolare educazione 5
della sua epoca, se avesse più personalità, agirebbe con più
franchezza. Ma probabilmente lui, che fa alla governante la
corte in modo così ridicolo, creando in casa una situazione
insostenibile, forse con la convinzione che nessuno capisca
né veda, come se agisse nel segreto della sua immaginazio- 10
ne, non ammetterebbe neppure lontanamente l’idea di spo-
sarla o di vivere liberamente con lei. Non ammetterebbe di
poter tradire la mamma. Così siamo in questa strana situa-
zione: non c’è nulla, tra il babbo e la signorina Airoli, ep-
pure io mi sento a disagio, e soffro. Gli estranei parleranno 15
della cosa, non ci vedranno chiaro e chi sa mai cosa finiran-
no per inventare. Solo un amico potrebbe parlar al babbo
francamente, aprirgli gli occhi; oppure Donato.34 Perché un
pericolo c’è. Non si tratta solo del babbo: c’è anche un’altra
persona che capisce benissimo l’importanza che ha assun- 20
to, e già ne approfitta, e ne approfitterà sempre di più, in
seguito, e chi sa fino a che punto.
Eccoti spiegata la ragione della mia sofferenza. Ma non
ci far troppo caso. Forse tutto si dissiperebbe se tu potessi
venire un poco qui da noi. 25

Caro Filippo,
forse sarebbe meglio, come tu dici, che io non mi ostinas-
si a ricercare la causa della mia inquietudine nelle persone e 30
nelle situazioni intorno a me. Forse è vero, come tu dici, che
la tristezza e la gioia non hanno ragione alcuna, che si devo-
no “romanticamente accettare come sentimenti assoluti”.

4. vedo] vedo D vedo D1  ◆  vedrà] vedrà D vedrà D1     20. benissimo] be-


nissimo; D D1 D2 benissimo B     23. sofferenza] insofferenza D D1 D2 B ≠
M2     29. forse] Forse D D1 D2 B ≠ M2     
34
Così siamo in questa … oppure Donato.] cfr. Appendice (Parte se-
conda).
198 GIUSEPPE DESSÌ

Ma io soffro. Ecco tutto. Soffro. Dunque non parliamo più


di me. Scusami, e non parliamo più di me. . .

5 Caro Filippo,
cerchiamo di restare fedeli ai patti. E non parliamo più
di me.
Mi chiedi spiegazioni sulle “Damine”. Mi pareva di aver-
tene già parlato. Come avrai capito, le “Damine”, sono ra-
10 gazze di ogni ceto che, guidate da alcune signore del paese,
assistono i poveri. Non essendovi qui un ospizio, portano
in casa delle persone bisognose buoni per il pane il latte lo
zucchero il caffè, ecc. ecc. Il Comune e altri enti, e anche
i privati, sono tassati per una certa somma. Fanno quello
15 che possono. Ada Catello è una delle più assidue e attive
“Damine”, ma riconosce che lo scatto di Boschino è più che
scusabile. Boschino era molto diffidente fin da principio, a
dir la verità. Non appena seppero che s’era ammalato e che
non aveva di che vivere, le “Damine” capitarono anche da
20 lui, gli portarono latte e uova. Boschino non ha mai bevuto
latte in vita sua, e le uova non può prenderle per via del fe-
gato. Ma le “Damine” rimasero molto meravigliate veden-
do che un povero diavolo, che non aveva di che sfamarsi,
rifiutava il latte e le uova. Ci volle tutta la pazienza di Ada
25 Catello per far capire la ragione alle sue compagne. Quan-
do Boschino si aggravò, e il prete doveva venire a portargli
l’Estrema Unzione, le “Damine” prepararono sul tavolino
appoggiato al muro una specie di altare con ceri e immagi-
ni. Sul muro affumicato attaccarono una pagina di giornale
30 con quattro puntine da disegno, e nel mezzo un Crocefisso

6. cerchiamo] Cerchiamo D D1 D2 B ≠ M2     8-9. di avertene] d’avertene


D D1 D2 B ≠ M2     10. di ogni ceto] di tutte le condizioni D D1 D2 ||di ogni
ceto|| (›di tutte le condizioni‹) B     12-13. pane…zucchero] pane, il latte,
lo zucchero, D D1 D2 pane il latte lo zucchero (← pane, il latte, lo zucche-
ro,) B     14. sono tassati] si sono tassati D D1 D2 sono tassati B     22-23.
vedendo …diavolo,] ›che un mi‹ vedendo che un miserabile come lui, D
vedendo che un miserabile come lui, D1 D2 vedendo che ||un povero dia-
volo|| (›un miserabile come lui‹), B     26. si aggravò] s’aggravò D D1 D2 si
aggravò B     30. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     
Michele Boschino 199

di metallo nichelato. Dopo che Boschino fu unto, si porta-


rono via le immagini e i ceri e lasciarono solo il Crocefisso.
Una volta fattoci l’occhio, quel Crocefisso lucente non dava
noia. Era un buon Crocefisso come tanti altri. Eppure quel
segno aveva portato qualcosa di nuovo – o era entrato con 5
qualcosa di nuovo nella rimessa. Si sentiva pesare quel sen-
so di rassegnazione senza scampo che precede la morte e
accompagna tutte quelle cerimonie. Il prete se n’era andato,
le immagini e i ceri erano stati portati via, ma quell’oggetto
lucente ricordava l’odore dell’incenso e le salmodie funebri. 10
Boschino era diventato taciturno. E teneva gli occhi chiusi,
forse anche perché – ci ho ripensato poi – nella posizione
in cui si trovava, da qualunque parte guardasse, aveva negli
occhi quel luccichio. Anche al lume della candela, il Croce-
fisso luccicava. Un giorno vado e lo trovo rasserenato. Stava 15
già meglio da qualche giorno. Sembrava rinato. Mi mostrò,
con la mano, il giornale appuntato al muro: le “Damine”
erano venute per i buoni, e, visto che stava meglio, avevano
portato via il Crocefisso… Inutile commentare, vero? Que-
stione di sensibilità. 20
Sul giornale ingiallito dal fumo era rimasta l’impronta del
Crocefisso. Si notava appena; ma io e Boschino la vedeva-
mo bene. «Meglio così» disse. «Adesso sì che è Lui!».
Quando tornarono il giorno dopo, uscendo di Chiesa, le
“Damine” andarono da Boschino in gruppo, tre o quattro 25
accompagnate da due studenti di C. loro amici. Sai come
accade: quando si è in compagnia si chiacchiera, si ride.

2. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     3. Crocefisso] Crocifis-


so D D1 D2 Crocefisso B     4. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso
B     8. accompagna tutte quelle] accompagna quelle D accompagna
/tutte/ quelle D1     10. le salmodie funebri.] le preghiere. D •il salmeggia-
re (›le preghiere‹) D1 D2 ||le salmodie funebri|| (›il salmeggiare‹) B     11.
chiusi] chiusi perché, D chiusi ›perché‹, D1     14-15. Crocefisso] Crocifis-
so D D1 D2 Crocefisso B     19. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso
B     22. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     23. disse] disse ›lui‹
D     24. dopo,] dopo le damine tornarono, D dopo ›le damine tornarono‹,
D1     24-25. le “Damine” andarono] andarono D /le “Damine”/ andaro-
no D1  ◆   quattro] quattro, D D1 D2 B ≠ M2     27. quando…chiacchiera]
|quando si è in compagnia si chiacchiera| (›quando si chiacc‹) D     
200 GIUSEPPE DESSÌ

Così entrarono nella rimessa. I giovanotti fecero qualche


apprezzamento spiritoso sui sedili da giardino che erano
appoggiati alla parete. Le ragazze risero. A un certo punto
Boschino si è alzato a sedere sul letto e li ha cacciati via.
5 Ada, che era nel gruppo, mi ha detto che sono sfilati tutti in
silenzio davanti al suo letto e se ne sono andati senza una
parola di protesta. Il putiferio è successo dopo, quando la
cosa è stata riferita alle altre “Damine” e alle anziane. Na-
turalmente non hanno più rimesso piede da Boschino e lo
10 hanno “abbandonato alla sua sorte”, o meglio, a Lavinia,
che sembra esserne felice. . . . .

Mio caro Filippo,


15 grazie della lunga e cara lettera. Ma credo che sia proprio
meglio non toccare più quell’argomento.
Mi scrivi che, tra qualche giorno, ti leveranno l’ingessatu-
ra. Speriamo che non rimandino anche questa volta. Dun-
que potremo vederti presto. Di venire io in città è meglio
20 non parlarne neppure, per ora. La signorina Airoli andrà a
passar le feste a casa sua e porterà con sé Isabella. Io devo
restare qui col babbo e badare alla casa. Ringrazia dunque
la signora Bianca per l’invito. Sarà, spero, per un’altra volta.
Tu invece dovresti cercare di venir qui al più presto. Perché
25 non con la signora Bianca a passare le feste con noi, che
siamo così soli? È il babbo che m’incarica di dirtelo, e non
per ricambiare l’invito fatto a me – bada bene! – ma perché
desidera avervi qui per un poco. Oh, che bella cosa sarebbe!
Non so precisamente quando sia stata discussa la secon-

4. li ha cacciati via.] gli ha caciati via tutti. D li ha cacciati via (← gli ha


caciati via tutti). D1     10. “abbandonato…Lavinia,] abbandonato alla sua
sorte, e, per fortuna, a Lavinia, D “abbandonato alla sua sorte”, o meglio,
(← abbandonato alla sua sorte, e, per fortuna,) a Lavinia, D1     15. grazie]
Grazie D D1 D2 B ≠ M2     21. passar] passare D passar (← passare) D1   ◆  
porterà] ›si‹ porterà D     22. restare qui col] restare col D restare /qui/
col D1     
Michele Boschino 201

da causa. Lo chiederò a Boschino. Quella lettera al Procura-


tore del Re me la dettò appunto Boschino stesso. Io la spedii
di nascosto contro il parere del babbo e di Donato. Aveva-
no ragione loro, però. Sarebbe stato meglio non farne nulla.
Boschino fu chiamato dal cav. D., e interrogato. Neppure 5
una parola di quel che disse fu creduta. Lo presero per paz-
zo, e lo ammonirono, minacciandolo anche di denunciarlo
per calunnia! Ma, a parte questo, credo che ci sia poco da
fare. L’ingegnere ha in mano la procura generale da troppo
tempo, ormai. 10
E tua madre, non potrebbe tentar lei di convincere Lin-
da? . . . .

Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza 15


che ho di me stesso e la conoscenza che ho di quest’uomo
che si chiama Michele Boschino.
Ho pensato a lungo a questo.
Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, que-
sti fatti, o perché lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha 20
raccontati a Maria, e poi Maria a me; o da altri. Se accetto
questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a questi
fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora)
la sua vita si delinea chiarissima nel mio spirito, coerente.
Ciò che ho saputo da Maria, che non nasconde la sua sim- 25
patia per Boschino, non è in contraddizione, anzi coincide
con ciò che ho saputo da Linda che lo odia da quando era
bambina. Perché non è la simpatia o l’odio che conta, ma i
fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho
di lui, che non è né simpatia né odio, ma che non so defi- 30
nire. È il sentimento che si prova tornando, con gli occhi,

1. Boschino.] Boschino stesso. D D1 D2 Boschino ›stesso‹. B     2. Boschino


stesso] Boschino. D D1 D2 Boschino |stesso|. B     3. parere] volere D •pa-
rere (›volere‹) D1     11. convincere] convincer D D1 D2 convincere B     19.
li conosco] riconosco D li conosco (← riconosco) D1     21. me;] me, D D1
D2 me; (← me,) B     22. se fossero] ›se‹ fossero D1 D2 se fossero D B     26.
non è…coincide] coincide D /non è in contradizione, anzi/ coincide D1 D2
B ≠ M2     29-30. io ho di lui] io ho di lui D io ho di lui D1     
202 GIUSEPPE DESSÌ

su un oggetto, su un luogo da lungo tempo familiare. I due


racconti si confondono, o meglio coincidono in un punto
che è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di
Linda e dal ricordo delle descrizioni di Boschino è risultato
5 questo paese di Sigalesa, concreto, visibile, noto come può
esserlo Ultra, per esempio.
Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col
Boschino reale, io conosco quest’uomo meglio di me stesso.
Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma
10 i personaggi dei romanzi.
C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, che
sento parlare, che vive con me ormai tutte le ore, e del quale
conosco il tormento fino a soffrirne, c’è un altro uomo vero,
sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’inviola-
15 bile realtà morale.

Prima di risolvere questo dubbio non posso parlare a


Linda di andare a Ultra, e cercare di convincerla. Ma con-
20 vincerla a che? Ad andar lì, sedersi accanto alla branda di
Boschino, ad operare con la sua sola presenza quella ricon-
ciliazione miracolosa che Maria vagheggia? Non è assurdo
pensarlo? Maria ci crede. Forse ciò che a me pare assurdo è
una cosa di semplicità estrema. Ma io non parlerò, per ora.
25 Linda non sa dove Boschino si trovi, non mi ha neppure
chiesto dove io l’ho conosciuto. Linda crede che tutti deb-
bano conoscere le persone che conosce lei. Non ha dubbi
su questo punto.
Eppure la tentazione di dire a Linda «Boschino è a Ultra,
30 bisogna che tu ci vada», è stata forte anche ieri. La tentazio-
ne di liberarmi dal dubbio senza risolverlo, la tentazione
di affidarmi a questa realtà che io conosco, e che potrebbe
essere nient’altro che un’astrazione fantastica.

2. confondono] fondono D D1 D2 confondono B     6. Ultra, per esem-


pio.] Ultra. D Ultra|, per esempio|. D1     8. meglio di me stesso] meglio
di me stesso D meglio di me stesso D1     11-12. che sento] sento D /che/
sento D1     22. vagheggia?] si augura? D D1 D2 ||vagheggia?|| (›si augura?‹)
B     29. è a Ultra,] si trova a Ultra, D D1 D2 ||è|| (›si trova‹) a Ultra, B     33.
un’astrazione] una astrazione D D1 D2 un’astrazione B     
Michele Boschino 203

Ma non si deve. Non si deve.


Se Boschino è l’uomo che io conosco, Maria ha ragione.
Mi sono convinto di questo. Tutto è chiaro e molto sem-
plice, in realtà. Il Boschino che io conosco non cerca altro
che pace, non vuole sentire, ora che sta per lasciarla, la sua 5
vita spezzata dall’odio, per lasciarla non aspetta altro che
questo pacifico commiato. Ma se Boschino è solo in par-
te l’uomo che io conosco, che Maria conosce (se già si sta
addormentando nell’oblio dell’antico odio, dell’antico do-
lore…) io potrei, facendo andare a Ultra Linda, risvegliare 10
ancora una volta l’odio nel suo animo, chi sa, portarlo a una
disperazione senza rimedio.
Allora Maria stessa lo vedrebbe inchiodato per sempre a
questa disperazione.
15

E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa? Io e


Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I
nostri pensieri s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà
la certezza della loro giustezza. La sua logica è così simile 20
alla mia che spesso mi disturba, e la contraddico, contrad-
dicendo così me stesso. Ma quando il ragionamento logico,
che è sempre del resto una giustificazione a posteriori, non
appare, e lei parla e dice le cose con immediatezza, come
le sente, e dice ciò che io stesso penso, questo fatto mi dà 25
una gioia intensa, una specie di ebbrezza. Così accade an-
che a lei. Questo ci unisce e forse accadrà un giorno ciò che
Boschino mi disse tanti anni fa. Ma questa verità che a un

7-8. è solo in parte] è solo in parte D è solo in parte D1     9. addormen-


tando nell’oblio] addormentando, come dice Maria, nell’oblio D addor-
mentando, come dice Maria, nell’oblio D1 D2 addormentando›, come dice
Maria,‹ nell’oblio B     21-22. contraddico, contraddicendo] contradico,
contradicendo D D1 D2 B ≠ M2     24-25. le cose…dice] le cose come le
sente, come le pensa, e dice D D1 D2 le cose ||con immediatezza,|| come
le sente, ›come le pensa,‹ e dice B     27. accadrà un giorno] accadrà ›un
giorno‹ D1 D2 accadrà un giorno D B     28. anni fa. Ma] anni fa, che noi
due ci saremo sposati. Ma D anni fa, che •noi avremmo passato insieme la
nostra vita (›due ci saremo sposati‹). Ma D1 D2 anni fa›, che noi avremmo
pagato assieme‹. Ma B     
204 GIUSEPPE DESSÌ

tratto appare a noi due, non potrebbe essere un’illusione


comune? Nel caso di Boschino, per esempio.
Ho osservato che quando si pensa in solitudine il no-
stro pensiero, anche sotto la veste di ragionamento logi-
5 co, ha una forza fantastica che raramente poi riusciamo
a trasfondere nelle parole, che sono destinate agli altri. Il
valore del nostro pensare allora non sta nella sua verità sol-
tanto, o meglio nella sua verità razionale, ma anche nella
sua forza fantastica. Noi veramente non facciamo allora
10 questa distinzione. L’incanto affascinante, quasi ipnotico
del nostro solitario pensare, sta appunto nel fatto che noi
non facciamo nessuna distinzione tra ragione e fantasia.
È l’assenza assoluta del dubbio. Quando il dubbio nasce,
cessa l’incanto. Il dubbio ci viene posto, anche nella solitu-
15 dine – come da un’altra persona. Noi non siamo più soli.
Da quel momento il nostro non è più un monologo ma un
dialogo. Il ragionamento più rigoroso e severo conserva il
sapore, quasi il sospetto del dubbio della solitudine; e noi
siamo portati a cercare materialmente un interlocutore, a
20 chiamare dal segreto di un’altra coscienza la conferma della
giustezza del nostro ragionamento.
Ma spesso non si tratta di ragionamento. Spesso non si
tratta che di un pensare fantasticato, solitario; anche quan-
do lo esprimiamo ad altri. Ed ecco che improvvisamente le
25 nostre fantasie, o anche le nostre sensazioni acquistano il
valore della realtà stessa solo perché le ritroviamo in altri.
E così potrebbe essere accaduto a me e a Maria per Bo-
schino. A parte la simpatia che Maria può sentire per lui,
diversa dal sentimento particolare che io sento, c’è qual-
30 che cosa di comune nell’immagine che ce ne siam fatta – e
più di qualche cosa, anzi: c’è un uomo, che ci dà l’illusione

8. ma anche] ma D D1 D2 ma ||anche|| B     9. Noi veramente] Ma noi


D D1 D2 Noi (← Ma noi) ||veramente|| B   ◆  facciamo allora] facciamo|,|
allora|,| D1 D2 facciamo allora D B     14. l’incanto.] l’incanto? D l’incanto.
(← l’incanto?) D1 D2 B     17. rigoroso] elaborato D D1 D2 ||rigoroso|| (›ela-
borato‹) B     18. solitudine;] solitudine, D D1 D2 solitudine; (← solitudine,)
B     21. giustezza] bontà D D1 D2 ||giustezza|| (›bontà‹) B     23. solitario;]
solitario, D D1 D2 solitario; (← solitario,) B     
Michele Boschino 205

– forse solo l’illusione – di soffrire e vivere per conto suo,


staccato da noi. Eppure esso è trasparente, chiaro, fa parte
della nostra stessa coscienza.
Ma forse noi non sappiamo niente di lui. Forse dietro
l’immagine chiara e trasparente c’è ancora un’altra realtà 5
sconosciuta, impenetrabile.
Quando, l’altro giorno, stavo per parlare a Linda e pre-
garla di andare a Ultra, una sorta di terrore mi ha trattenu-
to. Non uno scrupolo soltanto, ma proprio una sorta di ter-
rore. Non era la voce sommessa che dice: «Tu devi» oppure 10
«Tu non devi», ma una voce di terrore. Ho tanto pensato a
questo uomo che ho terrore di ritrovare, ora, un volto sco-
nosciuto. Ho terrore della tempesta di odio che potrebbe
scatenarsi da questa coscienza nascosta, come se dovesse
travolgere me pure. Ho terrore di tutta la realtà che non 15
conosco, nascosta nelle persone, nelle cose che ho intorno,
nel mio stesso corpo – che potrebbe a un tratto sostituirsi
alla realtà che conosco e alla quale mi affido. Se veramente
così fosse, io non potrei più alzare neanche una mano, non
potrei fare il minimo gesto. Non potrei più – se non per un 20
atto di disperazione o di fede.
Questo è certo: io posso agire, nei riguardi di Boschino,
solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui
come potrei agire verso me stesso – e sicuro che ciò che
faccio è bene. 25
Perché Maria attribuisce tanta importanza al Crocefisso
che le “Damine” hanno portato via a Boschino? Il Crocefis-
so ha lasciato l’impronta nel foglio di giornale ingiallito dal
fumo. È un fatto della cui realtà non si può dubitare, eppu-
re, per se stesso, non ha alcuna importanza. È un simbolo? 30
Se la conoscenza che Maria ha di Boschino fosse più pro-

2. Eppure esso] Esso D D1 D2 Eppure esso (← Esso) B     5. c’è…realtà] c’è


una realtà D D1 D2 c’è ||ancora un’altra|| realtà B     10-11. «Tu …devi»]
«Tu devi» oppure «Tu non devi» D D1 D2 «Tu devi» oppure «Tu non devi»
B     15. me pure.] anche me. D •me pure. (›anche me.‹) D1     21-22. fede.
Questo] fede.↔|| Questo D D1 D2 fede. Questo B     23. me stesso] me stes-
so D me stesso D1     25-26. bene. Perché] bene. ↔|| Perché D D1 D2 bene.
Perché B     29. dubitare,] dubitare: D1     
206 GIUSEPPE DESSÌ

fonda di quella che appare dalle sue parole, una conoscen-


za inesprimibile, di una realtà forse intuita per un istante e
rimasta come ricordo e si fosse espressa in questo simbolo?
Eppure non è solo un simbolo. Come se Boschino fos-
5 se qui, davanti a me, io lo vedo e lo sento nell’atto di dire:
«Meglio così. Adesso sì che è Lui». La luce, l’aria, il fumo fa-
ranno scomparire quel segno dalla carta ingiallita; il ricor-
do non si cancellerà mai. Boschino vive in quell’atto, come
negli altri della sua vita che io conosco. E tutti questi atti
10 diversi sono così puri e uniti in un carattere solo, che non
v’è nessuna differenza, per me, tra quelli che conosco diret-
tamente e quelli che conosco indirettamente. Lo vedo e lo
sento pronunciare quelle parole a proposito dell’impronta
del Crocefisso, come lo vedo e lo sento attingere l’acqua del
15 pozzo sotto il pergolato o attizzare il fuoco con un ferro
ricurvo, la notte che lo spiavo dal muro, e dire al suo inter-
locutore immaginario: «Ma ora è tardi, tardi! Tardi per te
e anche per me!» e mugolare pian piano imitando il vento.
Anche oggi mi sembra di conoscere Ultra meglio di ogni
20 altro, meglio dei nostri parenti, per esempio, che raramente
da Ultra si sono allontanati, i cugini e gli zii della mamma,
gente di campagna avvezza alle strade che portano ai loro
poderi, agli itinerari obbligati della partita di caccia grossa.
Da ragazzo io m’accorgevo che i parenti di Ultra non sa-
25 pevano nulla delle loro montagne, e me ne stupivo. Quei
monti, quelle vallate, quelle gole boscose non avevano in
realtà alcuna importanza per loro, come per i cittadini non
hanno importanza molte strade e le piazze della città – a
meno che, allontanandosene essi, la nostalgia non li riporti
30 a ripensarle e vagheggiarle. A furia di viverci in mezzo, i no-
stri parenti quasi non vedono più i loro monti. Era un poco
così anche per Maria e Donato, allora, e fui io che comuni-

3. ricordo] ricordo, D D1 D2 ricordo B     14. Crocefisso] Crocifisso D D1


D2 Crocefisso B     16. spiavo] spiai D spiavo (← spiai) D1     18. me!»] me!»,
D D1 D2 B ≠ M2     18-19. vento. Anche] vento.↔|| Ancora D D1 D2 ven-
to.↔|| Anche B ≠ M2     20. parenti] parenti di Ultra D D1 D2 parenti ›di
Ultra‹ B     28. molte strade] le strade D D1 D2 B ≠ M2     29. allontanando-
sene essi,] allontanandosene, D allontanandosene |essi|, D1     
Michele Boschino 207

cai ai miei amici la passione delle lunghe passeggiate e delle


escursioni sui monti. Vedendoci partire coi nostri sacchi in
spalla, tutti ci guardavano con meraviglia, non arrivando a
immaginarsi che gusto ci fosse a far tanta strada sotto il sole
senza uno scopo preciso. Capivano che si potesse andare a 5
consumare una merenda in qualche bel sito ombroso, in
riva a un torrente, ma le nostre lunghe marce non le capi-
vano. Uscivamo di casa all’alba, quando gli zii andavano a
far la posta alle tortore nelle aie dei dintorni, e tornavamo
dopo il tramonto impolverati, stanchi, abbronzati dal sole. 10
Quando dicevo dove eravamo stati, io e i miei amici, i cugi-
ni di mia madre scoppiavano a ridere. Non credevano che
avessimo potuto fare tanta strada in una sola giornata. A
sentir loro, non c’eravamo allontanati dalla pineta del Co-
mune. Io non sapevo i nomi di quelle vallate e di quei mon- 15
ti, e non ci curavamo di consultare la carta del Touring che
il Capitano metteva nella tasca esterna del sacco di Donato;
ma appunto per questo, dalle descrizioni precise che ne fa-
cevo, si dovevano convincere che c’eravamo stati veramen-
te. Come ultima prova, mi chiedevano delle sorgenti. Se si 20
possono inventare, più o meno, le valli, che si somigliano
tutte, perché dietro il Pulva non ci sono altro che boschi di
lecci, fino al mare, non è possibile inventarsi le sorgenti, al-
cune delle quali, in quella stagione erano secche. Essi le co-
noscevano per sentito dire, per esserci passati vicino. Noi le 25
scoprivamo tutte infallibilmente. Ci guidava la conforma-
zione stessa del terreno, i giunchi o le felci. I nomi dei luo-
ghi li imparavo dopo esserci stato, e rimangono nella mia
memoria anche ora che da tempo non faccio più gite sui
monti di Parte d’Ispi, uniti a quel profilo di monti che fin 30
da bambino la mamma m’indicava quando mi conduceva
a passeggio sui bastioni o al castello di San Michele. M’in-
dicava Ultra, dove aveva passato la sua fanciullezza: una
piccola macchia cenerognola sul fianco del Monte Pulva,
tra i boschi. Ma quei nomi non avevano per i nostri parenti 35

2. sui] tra i D D1 D2 ||sui|| B     16. Touring] Touring D D1 D2 B ≠ M2     24.


stagione] stagione, D D1 D2 B ≠ M2     32. castello] Castello D D1 D2 B ≠
M2     34. del] di D D1 D2 del (← di) B     
208 GIUSEPPE DESSÌ

di Ultra, e forse nemmeno per Maria e Donato, lo stesso si-


gnificato che avevano per me. Per me Giarrana significava
vento, spazio, e non in senso materiale soltanto; significava
desiderio di altri paesi, desiderio di andarmene e poi desi-
5 derio di ritornare. Lontano da casa non ho mai amato nes-
sun altro luogo come Giarrana. E tornandovi vi riportavo
quell’amore, non il ricordo della nostalgia, ma proprio tutta
la mia nostalgia, come il desiderio di possedere meglio quel
luogo, nel quale mi trovavo. Forse perché di rado potevo
10 starmene lì solo, e le persone che m’accompagnavano, che
pure erano sempre Maria e Donato, non potevano sentire
quel che io sentivo. Invano tante volte ho tentato di comu-
nicare ai miei amici questo sentimento. Neanche la mam-
ma, che pure ama tanto Ultra, è mai riuscita a capirlo. Lei
15 ama Ultra, il paese, la campagna, i ricordi della sua infanzia,
e non può capire il mio amore per quella terrazza di roccia
sulla costa del monte, il mio desiderio di star lì seduto per
ore e ore. Forse anche l’amore per i luoghi è solitario e ine-
sprimibile come l’amore per le persone. Quando mi trova-
20 vo lontano da Ultra e dalla città e da mia madre (come per
esempio l’inverno che passai a P.) in quell’intenso desiderio
di ritornare s’apriva il ricordo della pianura che si vede dal-
la terrazza di roccia di Giarrana. Quei villaggi rari e distanti
visibili solo in certe ore del giorno, di lassù, secondo che
25 batte la luce, o di sera, come fuochi di accampamenti. Quei
torrenti ciottolosi e secchi la maggior parte dell’anno. Quei
boschi di querce, tra i quali, a tratti, appaiono mandorleti
e vigne. Quelle strade. Quei sentieri. Oltre i boschi, terre
seminate, simili alle striscie di colore diverso che si vedono
30 in mare dalla riva, quando tira libeccio; poi, un colore uni-
forme, un turchino cupo tendente al viola: e questo colore
uniforme – nient’altro che questo colore – sollevarsi, pro-
filarsi in colline, distendersi nel preciso e diritto altopiano
della Giara. Nella pianura ci sono sì altri colli, più vicini,

2. Giarrana] Giarrana D Giarrana D1     9. di rado] ›solo‹ di rado D     11.


pure] ›erano‹ pure D     26. secchi] secchi, D secchi (← secchi,) D1   ◆  
dell’anno. Quei] dell’anno, quei D dell’anno. Quei (← dell’anno, quei)
D1     29. striscie] strisce D D1 D2 striscie B     33. altopiano] altipiano D
D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 209

ma a me parevano di natura del tutto diversa da quelli. Ci


sentivo attorno l’aria. Potevo immaginare o vedere un volo
d’uccelli girarci attorno, sparire e ricomparire; la tortuosità
dei sentieri sotto gli alberi, le siepi, le tane dei conigli, i ce-
spugli. I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel 5
limite entro il quale i sensi operano concordi e dell’oggetto
ti danno la cognizione completa, immediata.
L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uc-
celli, i sentieri, gli sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nes-
sun oggetto isolato, ma tanti infiniti oggetti tutti assieme, 10
uniti in una forma e in un nome vago. Non un sasso, non un
rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi
sensi in particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sen-
te l’esistenza del colle. Invece quegli altri colli lontani, solo
lo sguardo li individua, solo lo sguardo ne intuisce la pre- 15
senza, come in sogno, a volte, s’intuisce la presenza di una
persona che non si riesce ad avvertire se non come un’om-
bra. Ripensando alla terrazza di Giarrana, ora che sono qui
immobile, in questo letto, mi pare di poter ritrovare tutta
la mia vita in quel ricordo. E anche questo sentimento è 20
solitario, incomunicabile. Mia madre entra nella stanza, si
siede accanto a me. Non sa quello che penso, che sento. È
inutile tentare di dirglielo, se lei stessa non lo capisce, se dal
profondo del suo essere non è mosso lo stesso sentimento,
lo stesso pensiero. Entro quell’orizzonte, nell’amore di quel 25
luogo che è soltanto mio, in quel bisogno di andarmene,
di ritornare, nella nostalgia che continuava a durare anche
quando ero tornato, tutta la mia vita si delimita, si siste-
ma, diventa comprensibile come se la leggessi narrata in un
libro. Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa 30

11. vago] indeterminato D •indeterminati (›indeterminato‹) D1 D2 ||vago||


(›indeterminati‹) B     12. un colle] un colle D un colle D1     13. sensi in
particolare] sensi, in particolare, D sensi in particolare (← sensi, in par-
ticolare,) D1  ◆  il colle] il colle D il colle D1     14. altri colli lontani] altri
lontani D altri /colli/ lontani D1     15. individua] individuava D D1 D2
individua (← individuava) B     15-16. ne intuisce la presenza,] intuiva
la presenza di quei colli, D /ne/ intuiva la presenza ›di quei colli‹, D1 D2
ne intuisce (← intuiva) la presenza, B     17. ad avvertire] a individuare D
ad avvertire (← a individuare) D1     28. quando ero] quand’ero D D1 D2
quando ero B     
210 GIUSEPPE DESSÌ

prospettiva, e cerco di guardarla più da vicino, ogni fatto


si riempie di altri fatti, all’infinito, è un brulichio infinito.
C’è stato un tempo in cui i fatti le persone i luoghi erano
come addormentati, in confronto a oggi. Io li animavo di
5 significazioni fantastiche. Li isolavo. Ne facevo dei simbo-
li. Le cose, la natura erano impenetrabili, per me, in quel
tempo, nella loro essenza. Né io avevo il sospetto, se non
lontanissimo, inconscio, di questa impenetrabilità. Mi ac-
contentavo di fermare su un oggetto, su una persona, su un
10 luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una
nave al fondo sconosciuto del mare. Io stesso non ricono-
scerei ora una roccia, sopra Giarrana, che a un certo pun-
to del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo seduto,
un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda
15 rialzata sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A
Maria invece sembrava una donna china sul suo bambino.
Salendo ancora, non era più possibile riconoscere in quella
roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le al-
tre. Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraver-
20 sava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle
darsene per legarci le gomene. E io mettevo in relazione la
figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo che,
un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e
forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a quell’a-
25 nello. A ogni richiamo, la mia fantasia era pronta a lasciarsi
attirare entro queste teorie d’immagini. Forse così accadeva
anche a Maria e a Donato. Forse – e per me certamente – il
piacere di quelle corse sui monti ci veniva in gran parte dal-
la convinzione che ciascuno di noi aveva di poter fantasti-
30 care per proprio conto nulla lasciando trasparire delle pro-
prie fantasie, come ora io faccio con la mamma; e parlare
di tutt’altro. Eravamo in quell’età in cui si ha sempre paura
di dire e di pensare cose che agli altri possano sembrare
puerili. Parlavamo invece di cose che non avevano per noi

8-9. Mi accontentavo] M’accontentavo D D1 D2 Mi accontentavo B     11-


12. riconoscerei ora] potrei riconoscere D riconoscerei (← potrei ricono-
scere) /ora/ D1     14-15. dalla falda rialzata] ›con‹ |dal|la falda |rialzata|
(›alzata su‹) D     21. legarci] legarvi D D1 D2 legarci (← legarvi) B     24.
ormeggiata] |ormeggiata| (›legata‹) D     
Michele Boschino 211

alcun vero interesse. Per me, almeno, era così. Ma qualun-


que cosa dicessimo, eravamo animati dalla forza di quelle
fantasie segrete. Quando tacevamo, marciavamo tutti e tre
con tanto impegno che la fatica non si faceva sentire. Ci
prendeva una specie di ebbrezza silenziosa, come appunto 5
accade quando si cammina fantasticando. Facevamo chilo-
metri e chilometri senza accorgercene.
Come mi sembrava docile, allora, la natura! Come tut-
to sembrava dover secondare, non dico la mia volontà, ma
ogni moto del mio desiderio! Quando, per la festa di Santa 10
Barbara, i razzi s’alzavano altissimi sulla cupola della chie-
sa, ero certo che non avrebbero scoppiato, solo che io, chiu-
dendo gli occhi, lo avessi voluto. Se non lo volevo, se non
cedevo a questa tentazione, era per un vago istintivo timore
di penetrare un segreto della vita che doveva restare anco- 15
ra inviolato: il limite della mia volontà, del mio desiderio,
la distanza infinita tra il mondo delle mie fantasie e quello
della realtà, tanto più grande di quella che mi separava dal
razzo che scoppiava nel cielo. L’adolescenza doveva ancora
durare. 20
L’ultima volta che sono partito da Ultra, mentre andavo
alla stazione con la carrozza del Capitano (e Maria era con
me) ho visto una scala appoggiata a una catasta di legna.
La catasta era in cima a un colle, e dietro il colle era il cielo
chiaro. Saranno state le cinque del pomeriggio: il treno del- 25
la sera parte appunto verso le cinque e mezzo. La scala era
precisa, sottile: un segno. Io non potevo rimuoverla, non
potevo spezzare un rametto di quella catasta di legna.
Eppure ora questo pensiero non mi dà più tristezza.
30

Ho pensato che forse ogni tanto Boschino bestemmia.


Ho diritto di pensare questo?

4. faceva sentire] |faceva sentire| (›sentiva‹) D     6. quando…fantasti-


cando.] quando si fantastica. D quando si /cammina/ fantasticando (←
fantastica). D1     14. vago istintivo timore] vago timore D D1 D2 vago
||istintivo|| timore B     23. legna] legna›me‹ D     27. precisa,] precisa D
precisa|,| D1     
212 GIUSEPPE DESSÌ

Quando qualche estraneo (noi non eravamo tra gli estra-


nei) gli chiedeva notizia dei parenti, rispondeva, che qual-
che cane randagio doveva averne rosicchiato le ossa già da
molto tempo. Ma questa non è ancora una bestemmia.
5 I contadini di Parte d’Ispi e del Centro non bestemmiano
mai. Imprecano. Ma l’imprecazione raggiunge talvolta una
violenza tale che la bestemmia del becero toscano è nulla, in
confronto. La bestemmia del becero è abituale; l’impreca-
zione del contadino del Centro o di Parte d’Ispi è ragionata,
10 terribile.
So positivamente che Boschino imprecava. Non potrebbe
essersi generata dall’imprecazione una bestemmia, che, una
volta concepita, ritorna sempre, che egli ripete sempre?
Forse non ho diritto di pensare questo, anzi certamente
15 non ne ho diritto.
In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la
conseguenza. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io,
disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla
branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e te-
20 nace. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la
zappa s’impiglia in una radice, e sono costretto a fare uno
sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di lentezza e di mi-
sura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco
che la parola terribile si formula nel mio spirito e pende
25 minacciosa. Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo,
la zappa si libera dalla radice, la porta si apre. Le cose si
fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di
vertigine. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità
delle cose che m’induce in tentazione e neppure l’ebbrezza
30 leggera che mi dà, come un bicchier di vino a digiuno. È
un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma,
come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda
e misteriosa dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di
se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono gio-

2-4. che qualche…tempo.] che qualche cane randagio doveva averne ro-
sicchiato le ossa già da molto tempo. D che qualche cane randagio doveva
averne rosicchiato le ossa già da molto tempo. D1     6. mai. Imprecano.]
mai; imprecano. (← mai. Imprecano.) D1     11. positivamente] positiva-
mente dunque D D1 D2 positivamente ›dunque‹ B     
Michele Boschino 213

vane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a tratte-


nere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto
sacrilego, sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato,
e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro na-
scosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi 5
v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per
comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero
pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano seminato,
la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto.
E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si 10
aspetta la maturazione di un frutto.
Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se
ne va e il presente si distende ancora intorno a me come un
campo pieno di sassi. E io sono un albero sradicato e non
ancora morto.35 15

Non ho nessun diritto di pensar questo di lui. Eppure in


questo pensiero vive e si agita. Il suo tormento di ora non
è più oscuro. I fatti della sua vita non sono più così esa- 20
speratamente coerenti, ma legati da altra forza, che ancora
dura. Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla,
e forse neppure il Boschino che monologa e mugola vici-
no al fuoco. È quello e questo, è anche un Boschino finora
sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser 25
nella solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a
Maria il segno lasciato dal Crocefisso sulla carta ingiallita, è
un aspetto di Boschino, un modo di essere. Lo vedo salire dal
profondo della solitudine e del tormento, comporsi davanti
a lei, farsi chiaro, dimentico di tutti i suoi dolori. L’odio 30
ribolle lontano – lontano dalle sue parole, lontano dai suoi
gesti brevi, forse anche lontano dalle sue stesse parole di

23. monologa e mugola] monologa D monologa /e mugola/ D1     24. que-


sto,] questo; D1     25. esser] esserlo D esser (← esserlo) D1     27. Croce-
fisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     28. un aspetto] un aspetto D un
aspetto D1  ◆  un modo di essere] un modo di essere D un modo di essere D1     
35
In questo momento…non ancora morto.] cfr. Appendice (Parte se-
conda).
214 GIUSEPPE DESSÌ

odio, che in presenza a Maria suonano a vuoto. Somiglia a


me quando sono in presenza a Maria, questo vecchio che
come me ama la purezza di Maria. E Maria non potrà so-
spettare mai l’esistenza di questo bestemmiatore, lì, accanto
5 a lei, separato da lei da un velo.

Mi sono alzato la prima volta venerdì, a mezzogiorno.


Ho fatto subito qualche passo fino alla poltrona accanto
10 alla finestra appoggiandomi al dottor Vernieri. Tutto bene.
In quindici giorni sarò a posto, potrò camminare senza
stampelle.
Fuori pioveva. Niente è cambiato. Ho rivisto dalla finestra
i giardini pubblici, i viali del Terrapieno, la chiesa di San
15 Lucifero, la darsena. Sono debole come se avessi fatto una
lunga malattia, ma il dottore dice che le forze torneranno
presto, benché mi stanchi anche a star seduto in poltrona e
il letto m’attiri. Se non ci fosse la mamma a incitarmi, me
ne starei a letto tutto il giorno. L’unico sollievo è di poter
20 tenere, stando a letto, le gambe un poco piegate. Piegate ma
ferme. Gli esercizi che il medico mi ha ordinato mi costano
una gran fatica. E non vorrei veder nessuno. Invece, dopo
che siamo andati in carrozza al Santuario di Bonaria (ieri il
tempo si è rimesso, verso sera) si è sparsa la voce tra i co-
25 noscenti, e sono cominciate le telefonate e le visite. Quando
la mamma non è in casa, lascio che il telefono suoni. Linda
non c’è pericolo che risponda. Ma non è più così piacevole
come prima starsene a letto soli, a leggere. Non ho più vo-
glia di leggere né di pensare. Ho voglia di uscire. Ma solo.
30 Invece la mamma vuole accompagnarmi sempre.

Stamattina, mentre la mamma era a scuola, ho telefonato


per un tassì e sono andato all’Università. Tutto chiuso: le
35 vacanze sono già cominciate da due giorni. Sempre in tassì

15. debole] •debole (›stanco‹) D     17. stanchi] stanchi presto D D1 D2


stanchi ›presto‹ B  ◆  a star] di star D D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 215

sono andato a Buoncammino, poi sono sceso per il viale


Fra Ignazio fino alla darsena. Ho avuto la tentazione di fare
una passeggiata in barca, ma ci ho rinunciato per non farmi
aiutare dal meccanico a scendere, e per non usare le stam-
pelle in mezzo alla gente. 5
Sono passato davanti allo studio di Antonino Colliva, che
un tempo lavorava col babbo.
Nel pomeriggio è venuto Alberto, che non si faceva vivo
da una settimana. Abbiamo passato il pomeriggio a chiac-
chierare di cose insignificanti. E mi ha salvato dalle altre 10
visite, che sono rimaste in salotto con la mamma.

Ho telefonato all’avvocato Colliva. Si ricorda benissimo


di Boschino, ma non ha potuto darmi, lì per lì, i dati che 15
gli chiedevo. Ha fissato un appuntamento per sabato pros-
simo.

Maria mi scrive che, ora che ho parlato con l’avvocato, 20


non dovrei aver più nessuna difficoltà a pregare Linda di
andare a Ultra. Maria rimane sempre della sua idea: far
incontrare Boschino e Linda, e non cercar nemmeno di
sapere che cosa l’ingegnere Almerio ha fatto dei danari di
Boschino. Ma io ormai mi sono messo per questa strada, 25
che ritengo l’unica da seguire. Mandando a Ultra Linda io
impongo a Boschino qualche cosa che forse gli ripugna;
cercando di farlo reintegrare nei suoi diritti allevierò i suoi
disagi materiali, e gli darò la sensazione che qualcuno si oc-
cupa di lui. 30

È impressionante constatare come Boschino si manifesti


a tutti nello stesso modo. Antonino Colliva me ne parlava
come se lo avesse lasciato ieri. A me pareva di vederlo sedu- 35

4. e per] e forse per D e ›forse‹ per D1     21. pregare] |pregare| (›parlare‹) D     
216 GIUSEPPE DESSÌ

to davanti a lui, nello studio, col costume bianco e nero che


poi, col passare degli anni, è stato sostituito con vecchi abiti
del Capitano. Ma quest’impressione è durata solo un mo-
mento. Non riesco più a vederlo con la chiarezza di prima,
5 da quando non sono più a letto. Immobile, immaginavo di
muovermi come lui, di gestire, di parlare come lui. Ora il
mio corpo si rianima come una pianta dopo la pioggia; e
vuol vivere, e riempie tutto di sé.
Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva
10 che ha dovuto lottare per fare i suoi interessi. Non ha parla-
to di Boschino con quel disprezzo che hanno per i contadi-
ni gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in provin-
cia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante.
Secondo lui l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che
15 Boschino ha una concezione preistorica del diritto. Gli ho
chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare il più pos-
sibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la con-
tesa alle conseguenze estreme, cioè alla espropriazione delle
povere case e dei piccoli poderi dei parenti, all’asta, ecc. ecc.
20 È rimasto un poco soprapensiero, poi ha detto che in te-
oria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non
bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un
altro avvocato, il quale era pronto a valersi d’ogni sua debo-
lezza. Cercare di venire a patti e accontentarsi di vincer la
25 causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che riconoscere
l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale»
ha soggiunto «non sempre coincidono. La morale, l’umani-
tà, la tolleranza, la pietà, tutti questi elementi che possono
aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della famiglia,
30 non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale

6. gestire] gestire come lui D D1 D2 gestire ›come lui‹ B     7. pioggia;]


pioggia, D D1 D2 pioggia; (← pioggia,) B     10. lottare] |lottare| (›fare‹)
D     10-11. interessi. Non ha parlato] interessi. ›Secondo lui Boschino ha
una concezione preistorica del diritto. E forse c’è qualcosa di vero in que-
sta definizione.‹ Non ha ›mai detto che Boschino è un ignorante‹ parlato
D     18-19. delle…poderi] dei beni D D1 D2 ||delle povere case e dei piccoli
poderi|| (›dei beni‹) B     21. non in pratica] |non in pratica| (›perché nella
pratica‹) D     22. bisognava] bisogna D bisogna|va| D1 D2     
Michele Boschino 217

del codice sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle


cause civili per lo meno… il giudice di pace. Ma un giudice
di pace seduto sotto un albero, in un paese abitato da tanti
Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era
convinto della buona fede di Boschino. «Assolutamente» 5
ha risposto «Boschino si sarebbe accontentato di riavere i
suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che avrebbe po-
tuto toglier loro tutto ciò che avevano; avrebbe voluto mo-
strare la sua potenza e la sua magnanimità». Allora non ho
potuto fare a meno di chiedergli ancora perché non avesse 10
cercato d’aiutarlo. Gli ho detto le condizioni in cui ora si
trova il vecchio, ho accennato all’ingegnere Almerio. Era
già informato di tutto. «È andato a cadere in brutte mani»
ha detto. «Non volle fidarsi di me. Credeva che io non l’a-
vrei secondato nei suoi propositi». Gli ho chiesto di quali 15
propositi intendesse parlare. Mi ha detto che, visto che non
si era potuti arrivare in nessun modo ad un accordo a causa
dell’ostinazione degli avversari, Boschino, dopo l’asta, vole-
va restituire ai parenti tutto ciò che era stato ricavato dalla
vendita della loro roba. 20
«Boschino non ebbe subito questa idea» ha detto Colli-
va. «Gli venne solo dopo qualche tempo. Dopo l’asta se ne
andò da Sigalesa senza dir nulla. Già!, chiuse la casa e se ne
andò col carro a buoi. Per diversi mesi non ebbi più notizie
di lui. Poi seppi che era a Ultra, e andai a trovarlo. Avevo ri- 25
scosso circa sessantamila lire, che ormai gli appartenevano,
tolte le spese e gli onorari. Viveva in casa di un contadino
di Ultra…»

1. nelle] in teoria, nelle D ›in teoria,‹ nelle D1     7. buoi] buoi ›e di‹ D     8.
avevano; avrebbe] avevano, avrebbe D avevano. Avrebbe (← avevano,
avrebbe) D1 D2 avevano; avrebbe (← avevano, avrebbe) B     9. magnani-
mità] clemenza D D1 D2 ||magnanimità|| (›clemenza‹) B     20. della loro
roba] dei loro beni D D1 D2 ||della loro roba|| (›dei loro beni‹) B     21. «Bo-
schino] Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia, come Antonino
Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ricavato? – dissi – E
come? «Boschino D ›Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia,
come Antonino Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ri-
cavato? – dissi – E come?‹ «Boschino D1     21-22. idea» ha detto Colli-
va.] idea». D idea» /- ha detto Colliva -/. D1     23. andò] ||vive|| (›aandò
b
||tornò||‹) B  ◆  Già!, chiuse] Chiuse D D1 D2 Già!, chiuse (← Chiuse) B     
218 GIUSEPPE DESSÌ

«Cristoforo Usùla».
«Precisamente. Aveva preso in affitto una stanza in casa
di quest’uomo e teneva i buoi nella sua stalla. Era come uno
di casa. Mi disse che lui di quei danari maledetti non sapeva
5 cosa farsene, che io lo avevo rovinato, e che voleva vivere
del suo lavoro. Lavorava col suo ospite, o per conto di altri
proprietari di Ultra, oppure per conto dei carbonai toscani,
in foresta. Continuava, presso a poco, la stessa vita che ave-
va fatto fin allora al suo paese. E si trovava bene. Non riuscii
10 in nessun modo a fargli capire la ragione. Ma io capii che
questa decisione non poteva non essere definitiva, perché
mi diede l’incarico di vendere anche la sua casa di Sigalesa
e i poderi. Cercai di convincerlo che non era un momento
buono per vendere, ma visto che insisteva, benché avessi
15 la procura generale, mi feci ripetere la cosa in presenza di
testimoni. Questa mia diffidenza gli dispiacque molto: dis-
se che voleva trattare con me da uomo a uomo, e che gli
estranei non dovevano sapere i fatti suoi. Io tenni duro, e gli
accordai solo questo, che i testimoni non fossero di Ultra.
20 Voleva che a Ultra si sapesse che viveva del suo lavoro e che
era povero, e questo non per prudenza, ma perché era il suo
sentimento. Io vendetti la casa e i poderi e ne ricavai altre
venticinquemila lire, e investii tutto il capitale in azioni del-
la Società Elettrica. Per tre anni Boschino non si fece vivo».
25 «Per tre anni?»
«Per tre anni. Non bisogna meravigliarsi neanche di que-
sto. Io ci ho pensato molto. Questa indifferenza per il da-
naro deriva da una particolare concezione del danaro. Ci
sono popoli selvaggi che contano solo sino a quattro. Gli
30 indiani del Guarany, per esempio… Gli abiponi e i damma-
ra contano fino a tre. I popoli che possono contare al di là

2. Precisamente. Aveva] Aveva D D1 D2 ||Precisamente.|| Aveva B     5. ro-


vinato,] rovinato D D1 D2 rovinato|,| B     9. fin allora] fin’allora D D1 D2 B
M2     10. ragione. Ma] ragione. ›Mi diede l’incarico di vendere la sua casa
e i suoi poderi di Sigalesa, dove‹ Ma D     11. non poteva non essere] non
poteva essere D D1 D2 B ≠ M2     23. e investii] |e investii| (›che investii‹)
D     29. solo sino a] |solo sino a| (›sino a‹) D     30. Gli abiponi] ›Lo lasciai
parlare per un pezzo senza interromperlo‹ Gli Abiponi D Gli Abiponi D1
D2 B ≠ M2     30-31. dammara] Dammara D D1 D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 219

di cinque si servono delle dita, e fanno uso di una notazione


quinaria o decimale e vigesimale…»
«Boschino non è un selvaggio» dissi ridendo.
«D’accordo, non è un selvaggio. Non ci penso che sia
un selvaggio! Ma non è questo che voglio dire. Io ho una 5
vecchia cameriera che conta solo fino a venticinque. Chi sa
perché fino a venticinque e non a ottanta! Ma è così. Fino
a venticinque. Oltre questo numero si figura tanti gruppi
di oggetti come si vedono nelle illustrazioni dei sillabari,
ognuno di venticinque unità. Sì, ma astrattamente. Oltre il 10
venticinque, gli oggetti, siano lire, scudi, patate, uova, non
hanno più, per lei, realtà concreta. Voi matematici direste
che sono entità ideali. Questi oggetti hanno valore per lei
solo entro il gruppo di venticinque. Il valore stesso del da-
naro e i vantaggi che se ne possono trarre, sono condizio- 15
nati, per lei, a questa concezione numerica. Questa donna
è vecchia e quasi inabile, ma non ha nessuna difficoltà a
dare a suo fratello o ai nipoti i soldi che accumula da cin-
quant’anni a questa parte, mese per mese, quando superano
una certa somma, cioè, immagino… un multiplo di venti- 20
cinque! Non è generosità, è assoluta indifferenza. Eppure
questa donna è tutt’altro che stupida. Per Boschino deve
essere stata presso a poco la stessa cosa. Non si è reso con-
to del valore della somma che aveva a sua disposizione. Se
avesse avuto la stessa somma investita in terre, mettiamo, 25
allora avrebbe capito. Ma il danaro no; il danaro, sono ci-
fre…»
Gli feci notare che, forse, anzi certamente Boschino non
voleva toccare quel danaro perché gli ripugnava.
«Può darsi; ma non bisogna dimenticare che una parte 30
di quel danaro era suo, ricavato dalla vendita della sua casa
e della sua terra. Ora, pian piano, col passare del tempo,
il valore esatto della somma, si andò maturando nella sua

4. penso che] penso neppure che D D1 D2 penso che B     9. oggetti] og-
getti, D1     11. venticinque,] venticinque D D1 D2 venticinque|,| B     23.
essere stata presso] essere presso D essere /stata/ presso D1     26. no; il
danaro,] no, il danaro D no; il danaro, (← no, il danaro) D1     32. della
sua terra] dei suoi poderi D D1 D2 ||della sua terra|| (›dei suoi poderi‹) B     
220 GIUSEPPE DESSÌ

testa. E solo allora, e sempre con perfetta coerenza, si decise


a servirsi di quel danaro. Fu un fatto esteriore che lo fece
decidere, probabilmente. Un giorno, mentre tornava dal-
la foresta con un carico di carbone, dopo una tempesta di
5 vento, come se ne vedono in Parte d’Ispi, i buoi gli moriro-
no fulminati dalla corrente elettrica. Il vento aveva abbattu-
to due pali della linea ad alta tensione. Allora venne da me a
chiedermi i danari per comprarsi un altro giogo di buoi. Lui
senza buoi non può vivere. Aveva deciso anche di comprar-
10 si un pezzo di terra a Ultra coi suoi quattromila scudi, come
diceva lui. Ma gli altri? Gli altri voleva restituirli ai parenti.
Io rimasi allibito. Lo conoscevo e sapevo che non avrebbe
più cambiato idea. Tuttavia ero contento di non poter di-
sporre subito della somma, che era investita in azioni della
15 Società Elettrica, come ti ho detto. Bisognava aspettare…
Gli spiegai la cosa; ma rimase molto meravigliato quando
gli dissi che la stessa Società Elettrica era tenuta a pagargli
i buoi ch’erano stati fulminati dalla corrente. Mi chiese che
colpa ne aveva la Società se i suoi buoi erano andati a cac-
20 ciarsi tra i fili ad alta tensione! Per prendere tempo, mi valsi
di questa sua perplessità. Cercavo di fare il suo interesse suo
malgrado, come avevo fatto sempre. Fu questo il mio sba-
glio. Sul momento non fece nessuna obiezione. Si chiuse in
se stesso, come fanno questi contadini quando diffidano di
25 qualcuno, e mi disse solo che sarebbe tornato tra qualche
giorno per riparlare della cosa. Non lo vidi più; e fu allora
che mi tolse la procura per darla a Francesco Almerio».
«All’ingegnere?»
«Sì, all’ingegnere Almerio».
30 «E poi?»
«E poi non so altro. Se Boschino s’è deciso a dargli la pro-
cura, Almerio deve avergli promesso di fare tutto ciò che
lui voleva. Anch’io, del resto, ero arrivato a questa conclu-
sione. Volevo solo prendere tempo perché potesse pensarci
35 su meglio. È bastata quest’incertezza. Almerio, come sai, ha
una casa a Ultra, e Boschino è andato a stare in questa casa;
credo che faccia il custode, l’ortolano, non so».
«Ma quest’ingegnere Almerio» dissi io imprudentemente
«è un ladro».
40 «No! neanche per sogno! Cosa ti viene in mente? Io non
Michele Boschino 221

so come abbia amministrato i danari di Michele Boschino.


Non so, voglio dire, se lo abbia accontentato, o se lo abbia
convinto a impiegarli diversamente. Ma sono convinto del-
la correttezza di Almerio».
Ancora una volta, io dissi all’avvocato Colliva delle tristi 5
condizioni del vecchio, della sua estrema povertà.
L’avvocato si strinse nelle spalle:
«Io conosco meglio Almerio di quanto non conosco Bo-
schino. Boschino anzi, per me, è un essere quasi incom-
prensibile. Almerio so come può agire, come può pensare. 10
Il mistero qui è tutto in Boschino».
Gli chiesi se non fosse il caso di farsi dire, con delicatezza,
dall’ingegnere, come avesse sistemato le cose; ma l’avvocato
rispose che la cosa era indelicata per se stessa.
«In qualunque modo tu la rigiri, il sospetto rimane. Ma è 15
legittimo» dissi io.
«No» disse l’avvocato animandosi. «Non è affatto legit-
timo. Allora anche di me si sarebbe potuto sospettare. Chi
avesse saputo che Boschino aveva tutti quei danari e conti-
nuava a fare una vita da miserabile, nei primi anni che era 20
a Ultra, avrebbe potuto legittimamente sospettare anche di
me».
Con calma, feci osservare all’avvocato che le cose erano
molto mutate, da allora. Allora Boschino non faceva una
vita da miserabile. Quella era la sua vita. Anche con dei mi- 25
lioni in tasca avrebbe continuato a vivere allo stesso modo.
Ma ora viveva d’elemosina. E avevo ragione di credere che
tutto egli avrebbe fatto per evitare quell’umiliazione di
stender la mano. E poi accusava apertamente l’ingegnere.
Era furibondo, contro l’ingegnere. L’odiava. 30
Queste parole fecero uno strano effetto all’avvocato.
«Lo odia?» chiese.
E dopo aver pensato un poco disse:
«Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Bo-
schino». 35

3-4. della correttezza] dell’onestà D D1 D2 ||della correttezza|| (›dell’o-


nestà‹) B     28. quell’umiliazione] quest’umiliazione D l’umiliazione (←
quest’umiliazione) D1 D2 quell’umiliazione B     31. uno strano] un certo
D uno strano (← un certo) D1     
222 GIUSEPPE DESSÌ

«Perché?» chiesi io.


«Ma! non lo so. Ma non vorrei».
«Credo invece che di lei conservi un buon ricordo» dissi
a caso.
5 «Credi proprio?» e mi guardò negli occhi per vedere se
dicevo la verità.
«Credo di sì» affermai.
Mi venne in mente di dirgli che avrei parlato di lui a Bo-
schino in occasione della mia prossima gita a Ultra, ma
10 subito capii che questo non poteva riuscir gradito all’av-
vocato, che avrebbe preferito invece esser dimenticato da
Boschino.
Riportai il discorso sull’ingegnere, accennai all’orto del
Capitano, di cui gli Almerio s’erano impadroniti in un
15 momento assai difficile per la famiglia della signora Mon-
ti. L’avvocato era informato anche di questo, perché il Ca-
pitano avrebbe voluto affidargli la causa, quando però era
già troppo tardi. Gli chiesi se questo atto poco onesto non
autorizzava ad aver dei sospetti sull’ingegnere. Di nuovo
20 l’avvocato sembrò meravigliarsi.
«Non bisogna far confusioni» disse. «Quella appropria-
zione risale al tempo in cui viveva ancora il padre di Fran-
cesco, il notaio Gaetano. Suo figlio è ben diverso da lui».
«Dal fico nasce il fico» dissi. Era un proverbio che avevo
25 sentito ripetere da Michele Boschino. Lo dissi in dialetto,
credo con lo stesso tono con cui Boschino lo avrebbe detto.
Per un momento vidi l’incertezza negli occhi dell’avvo-
cato. L’incertezza e il disorientamento. Per un attimo. Poi,
subito si riprese, sorrise, scosse la testa, accese una sigaretta,
30 e si mise a parlar d’altro. Mi chiese notizia delle gare di nuo-
to per i campionati universitari, che si dovranno svolgere
domenica, quando io sarò già a Ultra. Forse aveva dimen-

25. Boschino. Lo dissi] Boschino, e lo dissi D Boschino. Lo dissi (← Bo-


schino, e lo dissi) D1     29-30. sigaretta, e si] sigaretta, ma credo che non si
dimenticherà quel proverbio, e forse mi serberà rancore per averlo citato.
Subito si D sigaretta, ›ma credo che non si dimenticherà quel proverbio,
e forse mi serberà rancore per averlo citato. Subito‹ ||e|| si D1     32. Ultra.
Forse] Ultra: forse D Ultra. Forse (← Ultra: forse) D1     
Michele Boschino 223

ticato dell’incidente che mi aveva immobilizzato per tanto


tempo, e che non mi permetteva certo di prender parte alle
gare. Rimase male quando, accompagnandomi verso l’u-
scita s’accorse che non solo camminavo faticosamente ma
dovevo usare il bastone, che avevo lasciato accanto all’at- 5
taccapanni, nell’atrio. Mi salutò con molta effusione; ma la
mia visita deve avergli lasciato un certo scontento.
È la prima volta che ho parlato di cose serie, di affari, con
l’avvocato Colliva, che pure si è sempre un poco occupato
di me, dopo la morte del babbo. Era convenuto, tra lui e la 10
mamma, che, finito il liceo, mi sarei iscritto in legge e sarei
entrato a far pratica nel suo studio. Anch’io non sapevo,
allora, che avrei studiato matematica: ero in buona fede. Ma
non credo di avere dato una gran delusione all’avvocato.
Alberto mi ha detto poi (e del resto anch’io me n’ero accor- 15
to) che l’avvocato Colliva non aveva mai creduto che io po-
tessi riuscir bene nella professione: era convinto che in me
ci fossero, aggravate, certe qualità negative, nei rispetti del-
la professione, che egli aveva già conosciuto in mio padre.
Solo per l’amicizia che lo aveva legato al babbo aveva pro- 20
messo alla mamma di accogliermi nel suo studio, pensando
che, se non fossi riuscito come avvocato, avrei potuto fare la
carriera giudiziaria. Ora, tutto questo è verosimile perché la
mamma mi disse che l’avvocato soleva dire anche del babbo
che avrebbe dovuto fare il giudice, non l’avvocato. Tuttavia 25
la mia decisione assurda di iscrivermi a matematica l’aveva
offeso. Anche in me doveva trovare, come in mio padre,
qualcosa d’incomprensibile che gli dava noia; forse una
mancanza di duttilità mentale, una naturale mancanza di
eloquenza, penso. Da quando mi sono iscritto all’universi- 30
tà, continua a chiedermi ogni volta: «Come va?», ma senza
nessun interesse, ormai. Anche l’altro giorno, poco prima
di congedarmi, mi ha chiesto: «Come va?». Eppure, fino a

2-3. tempo…gare.] tempo. D tempo/, e che non mi permetteva certo di


prender parte alle gare/. D1     5. il bastone] le stampelle D D1 D2 ||il basto-
ne|| (›le stampelle‹) B     17. convinto che] convinto anzi che D convinto
›anzi‹ che D1     20-21. promesso alla mamma] accettato D •promesso alla
mamma (›accettato‹) D1     32. l’altro giorno] questa volta D •l’altro giorno
(›questa volta‹) D1     
224 GIUSEPPE DESSÌ

qualche momento prima aveva parlato con calore, come


non era mai accaduto nelle nostre conversazioni. Penso che
lui stesso, poi, se ne sia meravigliato. Tutte quelle questioni
riguardanti Boschino, interessanti per se stesse, in quanto
5 materia del suo lavoro, della sua professione, dopo la con-
versazione devono essergli sembrate vuote, gratuite, ridotte
a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro
avvocato, con uno del mestiere, la questione di Boschino
sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso ele-
10 gante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano.
Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a
parlare di questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale,
umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile?36

15
Ho raccontato alla mamma del mio colloquio con l’avvo-
cato. È stata a sentirmi fino all’ultimo, poi ha detto che la
mia impressione di non essere stato preso sul serio era esat-
ta. L’avvocato l’ha incontrata e le ha raccontato la cosa a suo
20 modo, esortandola anche a consigliarmi di non prendermi
troppo a cuore la cosa, specie nei riguardi dell’ingegnere. La
mamma è convinta come me della malafede di Almerio, e
anche di Colliva. Ho fatto alla mamma una domanda natu-
rale e ingenua, che l’ha fatta sorridere, e io mi sono un po’
25 vergognato, di fronte a lei, come un ragazzo. Le ho chiesto
se Colliva è una persona onesta. «È una persona corretta»
ha detto la mamma. E la correttezza s’impara, come l’edu-
cazione o come il mestiere, mentre l’onestà presuppone

7. a una questione morale] a una questione morale D a una questione mo-


rale D1     16. raccontato] detto D •raccontato (›detto‹) D1  ◆  del] del D B
di (← del) D1 D2     21-22. La mamma] Ma la mamma D La mamma (← Ma
la mamma) D1     26. onesta] |onesta| (›seri‹) D  ◆  corretta»] corretta», D
D1 D2 B ≠ M2     27. E la correttezza] E mi ha spiegato che la correttezza D
D1 D2 E ›mi ha spiegato che‹ la correttezza B     
36
Se ne avesse parlato…improntitudine giovanile?] cfr. Appendice (Par-
te seconda).
Michele Boschino 225

qualità morali innate. Mi ha detto che il babbo era stato più


volte sul punto di separarsi da Colliva, col quale aveva lo
studio in comune, proprio per una certa mancanza di deli-
catezza da parte di Colliva, per la sua avidità di trafficante.
Ma poi, con gli anni, crescendo la clientela, diventando più 5
sicura la posizione, era diventato più raffinato, più signore.
Ora poteva dirsi uno dei professionisti più corretti e irre-
prensibili della città. Certo non amava che nessuno gli ri-
cordasse i suoi primi anni di esordio come non amava che
gli si ricordasse il piccolo appartamento che allora abitava. 10
«Se è così, non c’è nulla da fare» dissi io, vedendo che
questo discorso della mamma non poteva avere altra con-
clusione.
«Nulla da fare, in che senso?»
«Per Boschino». 15
Stette un poco pensierosa, poi disse:
«Non c’è altro da fare che quello che ha detto Maria».
Dunque Maria, vedendo che io non mi decidevo a parlare
a Linda, ne aveva scritto alla mamma.
«È inutile parlare con Colliva e con Almerio. Non si ot- 20
terrebbe nulla. E quand’anche si ottenesse qualcosa, sareb-
be tardi».
Chiesi se aveva avuto notizie di Boschino. Mi ha detto
di no, che non c’è nulla di nuovo. Ma Linda è già andata a
Ultra. È partita stamattina. 25
Mi ha detto che non è stato per niente difficile convincer-
la, che anzi lei stessa ha chiesto subito di andare.
E io non mi sono accorto di nulla.
Mentre io ero pieno di dubbi e fantasticavo di Boschino,
lei pensava a Boschino. Ci pensava forse anche quando se- 30
deva accanto a me a leggere o a lavorare.
«Maria mi ha scritto dei tuoi scrupoli» mi ha detto. «Ed
erano giusti. Ho capito che avresti finito per andare da Col-
liva».
«Sapevi già quello che mi avrebbe risposto?» 35

1-2. più volte sul punto] più volte D più volte /sul punto/ D1     2. da Col-
liva] |da Colliva| (›dall’avvo‹) D     3-4. delicatezza da parte di Colliva]
correttezza D •delicatezza da parte di Colliva (›correttezza‹) D1     7. Ora
poteva] ›La correttezza‹ Ora poteva D     
226 GIUSEPPE DESSÌ

«Press’a poco. Lo immaginavo. È gente che conosco


bene».
Le ho detto che avrebbe potuto consigliarmi di non an-
darci.
5 «E perché?» ha chiesto lei. «Forse quello che ti ha detto
può essere utile. E poi, in certi casi, è meglio non dar consi-
gli. Neppure io ti ho chiesto consigli prima di dire a Linda
che suo cugino è a Ultra».
«Le hai detto solo questo? Che è a Ultra?»
10 «Le ho detto che è ammalato, che vive di elemosina».
«E lei?»
«Ieri sera mi ha chiesto di lasciarla partire. Io non ho fatto
altro».
«Ma lo sai che lo odia?»
15 «Può darsi. Ma ha comprato un po’ di biancheria da por-
targli e qualche altra cosuccia. Anche a lei non rimane più
nessuno, dei parenti di Sigalesa. O sono morti, o hanno la-
sciato il paese. Uno dei fratelli, il solo che sia ancora vivo,
è in America».
20 Linda tornerà il giorno stesso della nostra partenza, per
non lasciare la casa incustodita, dato che il marito, da una
settimana a questa parte, lavora in fabbrica.
Quando il Capitano ha accompagnato di sopra la mam-
ma per mostrarle la nuova sistemazione della camera di
25 Isabella, che ora è a S. con la signorina Airoli, io e Maria
siamo rimasti in sala da pranzo. Maria si è alzata, e siamo
usciti sulla veranda, da dove si udivano le voci della cuci-
na. Si udivano anche i passi del Capitano e della mamma,
di sopra. Ma noi eravamo soli. E mi è sembrato che Maria
30 aspettasse qualcosa da me. L’ho baciata. E mi è parso che da
tanto tempo avrei dovuto farlo. Che lei aspettasse questo da
tanto tempo. E io solo ora ho capito. Solo ora ho capito che
anch’io avevo bisogno di questo. A che cosa doveva portare
la nostra amicizia, se non a questo fatto così semplice?
35 Altri ci arrivano senza conoscersi. Eppure, anche noi, tut-

1. Press’a poco.] Presso a poco. D D1 D2 B ≠ M2     22-23. fabbrica. Quan-


do] fabbrica.↔|| Quando D D1 D2 B ≠ M2     29. sembrato] parso D D1
D2 B ≠ M2     
Michele Boschino 227

to ciò che non conosciamo l’uno dell’altro, ci unisce forse


più della nostra amicizia. A un tratto mi son trovato tra le
braccia un’altra donna, diversa dalla Maria che ho sempre
conosciuto.
Non sono mai stato tanto felice come ora. Come tutto si 5
chiarisce, come tutto diventa nuovo, qui. Nuovo e chiaro.
Mi sembra impossibile che Maria abbia potuto soffrire in
questa casa. Quando non sono con lei, ascolto il suono della
sua voce. Anche per lei è nuova, questa felicità. Forse, se
non si fosse sentita tanto sola, se non mi avesse aspettato, 10
ora non sarebbe così bello, né per lei né per me.
Ho trovato questa gioia accanto a me, senza neppure
cercarla. E tutto ciò ch’era consueto si è improvvisamente
rinnovato.
Nessuno ha parlato di Boschino, la sera del nostro arrivo, 15
né i giorni seguenti, fino a oggi. Oggi siamo stati al Tiro a
segno, Maria, il Capitano e io. La mamma è andata a salu-
tare gli zii. Ci siamo arrampicati su per la valle chiusa in
alto dalla gola di Cona, sino alla tettoia. Maria portava la
borsa delle munizioni e il Capitano il fucile; io appena il 20
mio bastone. Lo zappatore ha alzato la bandiera rossa, poi
abbiamo visto i bersagli spuntare dal fosso. Per accontenta-
re suo padre, anche Maria ha sparato qualche colpo. L’eco
si diffondeva fino alle pietraie della gola, secco, si moltipli-
cava con un rumore di frane. A ogni colpo mi pareva che 25
Maria dovesse durar fatica a vincere la ripugnanza che le
dava il freddo metallico, lo scoppio, il rinculo dell’arma. E
questo mi ha rattristato. Perché ha acconsentito a sparare?
Non poteva dire semplicemente che non si sentiva? Ero im-
paziente di andarmene, di tornare a casa, di star solo con 30
lei. Anche a me ripugnava il fragore dei colpi ampliato dalla

4-5. conosciuto. Non] conosciuto.↔|| Non D D1 D2     14-15. rinnovato.


Nessuno] rinnovato.↔|| Nessuno D D1 D2 B ≠ M2     23. suo padre,] |suo
padre,| (›il Capitano‹) D  ◆  qualche colpo] qualche colpo ›mettendosi la
sciarpa sulla spalla‹ D     27. freddo…dell’arma.] freddo metallico dell’ar-
ma, lo scoppio, il calcio sulla spalla. D D1 D2 freddo metallico ›dell’arma‹,
lo scoppio, il ||rinculo dell’arma|| (›calcio sulla spalla‹). B     30. casa,] casa
D D1 D2 B ≠ M2     31. lei] Maria D D1 D2 ||lei|| (›Maria‹) B  ◆  dei] di D
D1 D2 B ≠ M2     
228 GIUSEPPE DESSÌ

valle, quello star fermi a scrutare i segni della bandierina nel


fosso, il vento freddo della montagna.
D’improvviso mi sono ricordato di Boschino.
Siccome non parlavo, Maria, durante il ritorno, mi ha
5 chiesto cosa avessi. Le ho detto che mi faceva male il ginoc-
chio. E del resto era vero.
A buio siamo arrivati a casa.

10 Oggi sono andato da Boschino, nel pomeriggio, passando


dalla strada però. Non avevo chiesto niente di lui a Maria,
né Maria me ne aveva parlato. Boschino non ha mostrato
nessuna meraviglia vedendomi. Era disteso sul letto, e si è
alzato a sedere tirando giù le gambe. Perché non s’alzasse
15 in piedi, gli ho messo una mano sulla spalla; e sento ancora
sotto le dita quella spalla magra e fragile. Senza ragione, gli
occhi mi si sono riempiti di lacrime. Ma nella stanza non
c’era molta luce, e poi io voltavo le spalle alla porta. Mi ha
tenuto a lungo la mano tra le sue, scuotendola debolmente.
20 Gli ho fatto le solite domande, senza trovare altro da dire.
Specialmente la sua voce è mutata. Si sente che è stato mol-
to malato.
Aveva una camicia nuova, pulita, con le maniche troppo
lunghe. Questo era l’unico segno del passaggio di Linda.
25 Abbiamo parlato non di lui, ma di me. Ha voluto sapere
perché zoppico, com’è avvenuto l’incidente, quanto tempo
sono rimasto a letto, quando potrò di nuovo camminare
speditamente. Si è interessato di tutto, e si ricordava benis-
simo di tutto ciò che gli avevo detto tanto tempo prima,
30 quando andavo a chiacchierare da lui e mi regalava coco-
meri e pomodori.
Quando ho acceso una sigaretta, ho visto che aspirava
l’odore del fumo, e gliene ho offerto una. Non avrei creduto

20-21. dire. Specialmente] dire, e lui mi ha risposto stringendosi nelle


spalle. Specialmente D dire›, e lui mi ha risposto stringendosi nelle spal-
le‹. Specialmente D1     23-24. una camicia…lunghe.] la biancheria pulita.
D D1 D2 ||una camicia nuova, pulita, con le maniche troppo lunghe|| (›la
biancheria pulita‹). B     30. da] con D D1 D2 ||da|| (›con‹) B     
Michele Boschino 229

che l’accettasse. Ma non aveva sigari, e io m’ero dimenticato


di portargliene. Per accendere la sigaretta, mi ha preso dalle
dita il fiammifero acceso stringendolo sotto la fiamma, con
quella familiarità che i contadini hanno col fuoco. La mano
gli tremava, un tremito appena percettibile. Ha acceso la 5
sigaretta come un sigaro, e come un sigaro la teneva. Dopo
un poco, secondo la sua abitudine, se l’è messa in bocca dal-
la parte del fuoco, e l’ha tenuta così ascoltandomi parlare.
Neppure con Maria Boschino ha parlato della visita di
Linda. Non sa che sia stata Maria a farla venire. Però ora 10
sembra tranquillo.

Oggi, mentre ero da Boschino, è venuta Lavinia. Ha co-


minciato a chiamarlo di là dal muro con la sua voce acuta 15
rotta da singhiozzi di riso convulso. Veniva a chiedergli un
po’ di basilico per condire non so che salsa.
«Ce n’è quanto ne vuoi» le ha detto Boschino indicandole
la porta che mette nell’orto; e insisteva in quel gesto come
per cacciarla via. Si vedeva che la presenza della donna gli 20
dava noia. Forse perché voleva continuare a parlare con
me. Mi stava dicendo della sua intenzione di riprendere il
commercio delle arance non appena starà meglio; e calcola-
va quanto potrebbe guadagnare, a ogni viaggio.
Dopo un poco Lavinia ripassò col suo mazzo di basilico, 25
e scuotendoglielo sotto il naso disse:
«Dio ve ne renda merito, zio Michele».
Boschino sorrise un poco a bocca chiusa e rispose:
«Dio è giusto coi giusti».
Quando Lavinia fu uscita disse: 30
«Quella non è una donna, è una cavalla».

1. m’ero dimenticato] non avevo pensato D •m’ero dimenticato (›non


avevo pensato‹) D1     3. acceso stringendolo] acceso, D D1 D2 acceso
||stringendolo|| B     5. tremava] tremava un poco D D1 D2 tremava ›un
poco‹ B     11. tranquillo] calmo D D1 D2 ||tranquillo|| (›calmo‹) B     20. Si
vedeva] Era chiaro D •Si vedeva (›Era chiaro‹) D1     25. ripassò] passò D
/ri/passò D1     26. scuotendoglielo] scuotendocelo D scuotendoglielo (←
scuotendocelo) D1     28. Boschino sorrise] Boschino accettò lo scherzo,
sorrise D Boschino ›accettò lo scherzo‹, sorrise D1     
230 GIUSEPPE DESSÌ

Poi, continuò a parlarmi del commercio delle arance,


senza curarsi più di Lavinia. Ma quando stavo per andar-
mene, ha ripetuto:
«Quella non è una donna, è una cavalla. Io mi ricordo di
5 mia madre, quand’era giovane. Anche lei lavorava, aveva
sempre tante cose per le mani, e gridava anche, qualche vol-
ta, ma non correva così. E anche quando gridava, qualche
volta, aveva un’altra voce».
Gli ho chiesto a che età fosse rimasto vedovo.
10 «Avevo trentatré anni, l’età di Cristo. E da allora non ho
più avuto bene. Da quando lei mi ha lasciato solo, tutto è
andato male per Michele Boschino».
Stette un poco assorto, poi tagliò l’aria con la mano, da-
vanti a sé, con un gesto breve, di contenuta disperazione.
15 Tenne un poco la mano aperta in aria, poi chiuse lentamen-
te il pugno e si ricompose.
«Quella sì che era una donna. Era di queste parti, di Parte
d’Ispi, ma qui non ho mai visto una donna come lei, in tanti
anni che ci sono».
20 «Era giovane?» chiesi.
«Ventidue. Era dritta e sottile come un fuso. Magrolina.
Ma anche lei lavorava come mia madre. Sapeva far di tut-
to. Bisognava vederla, quando faceva il pane! Tutto, sapeva
fare. Sapeva tessere, filare… Tutto. E come il fuso era silen-
25 ziosa, quando lavorava».
Era la prima volta che mi parlava di sua moglie.
Andandomene, cercai con gli occhi il foglio di giornale
attaccato al muro. Era al posto che Maria mi aveva detto, e
si poteva vedere il segno chiaro, nel centro.
30 Mi ha raccontato come gli morirono i buoi fulminati dal-
la corrente. Era d’autunno. Le carbonaie cominciavano a
bruciare nella foresta di Cona. Come a Sigalesa, anche qui i

7. E anche] Anche D D2 E anche (← Anche) D1     10-11. non ho più] non


ho ›avuto più‹ più D     12. male] male, D D1 D2 male (← male,) B     17-
18. di Parte d’Ispi] |di Parte d’Ispi| (›del Ca‹) D     22-23. Sapeva far di
tutto.] Sapeva far tutto. D D1 D2 Sapeva far ||di|| tutto. B     29-30. centro.
Mi] centro.↔|| Mi D D1 D2 B ≠ M2     32. bruciare] fumare D •bruciare
(›fumare‹) D1     
Michele Boschino 231

toscani prendevano in appalto le foreste, facevano carbone,


vendevano legname, fornivano traversine per la strada fer-
rata. Una o due volte la settimana, se non aveva altri lavori
per le mani, andava a fare il suo carico accompagnato da
Giovannino, il figlio più piccolo di Cristoforo Usùla. Una 5
mattina, dopo la discesa dell’Arenaria, erano montati tutti e
due sul carro per passare il Fino, ch’era in piena. Quando il
Fino è in piena, non è possibile guidare il carro dallo stretto
ponte di tronchi. Dopo il guado c’è una ripida e breve sali-
ta, e bisogna scendere svelti dal carro per alleggerire i buoi, 10
incitarli col pungolo, star pronti alla martinicca e frenare di
botto, nel caso che perdano la lena nella rincorsa. Boschino,
a quel tempo, doveva essere ancora bene in gambe,37 per far
questo. Il carro era sceso nel fiume lentamente, con fracas-
so. I buoi soffiavano sul pelo dell’acqua torbida e precipito- 15
sa. Avanzavano cauti, ingegnandosi di poggiar le zampe al
sicuro sui ciottoli del fondo. Non appena cominciò la salita
sulla sponda opposta, senza fermare il carro, Boschino e il
ragazzo si lasciarono scivolare dall’alto del carico e gridan-
do incitarono le bestie. In un lampo, tra le grida, la breve 20
salita fu superata, e il carro svoltò sulla strada che costeg-
gia il fiume per un buon tratto. Lì accadde la disgrazia. Era
ancora buio, e Boschino non s’accorse dei pali che il vento
aveva abbattuto. A un tratto i buoi si fermarono, e quello

1. toscani] Toscani D D1 D2 B ≠ M2     2-3. la strada ferrata] le strade ferra-


te D la strada ferrata (← le strade ferrate) D1     3-4. aveva…mani] c’erano
altri lavori in corso, D D1 D2 ||aveva altri lavori per le mani|| (›c’erano altri
lavori in corso,‹) B     7-8. il Fino] il fiume D il Fino (← fiume) D1     9. c’è]
c’era D c’è (← c’era) D1     10. bisogna] bisognava D bisogna (← bisognava)
D1  ◆  svelti] rapidamente D D1 D2 ||svelti|| (›rapidamente‹) B     13. an-
cora bene in gambe] ancora bene in gambe D D1 D2 ancora in gambe B
ancora in gamba M2     14-15. con fracasso] con grande fracasso D con
›grande‹ fracasso D1     19-20. del carico e gridando] del ›carro‹ carico e
›dall’alto‹ gridando D     
37
In questo luogo del testo l’editore ristabilisce la primitiva lezione portata
da D D1 D2 perché più rispondente e confacente al contesto linguistico in
cui è inserita e perché considera la lezione conclusiva di M («ancora in
gamba») alterata da un precedente errore – verosimilmente dovuto a cat-
tiva lettura del dattiloscritto – commesso in sede di trascrizione del testo
di B («ancora in gambe»).
232 GIUSEPPE DESSÌ

di sinistra si piegò sulle gambe davanti come se la mazza


del beccaio l’avesse colpito, stramazzò con un muglio la-
mentoso. Subito anche l’altro stramazzò, di schianto. Prima
che Boschino avesse il tempo di correre avanti, il ragazzo
5 gli si aggrappò alla casacca gridando: «Non andate, zio Mi-
chele! non andate!». Si sentiva odore di bruciaticcio, come
quando si abbrustolisce il maiale prima di mondarlo con la
coltella. Giovannino continuava a strillare, e con la faccia
indicava qualcosa che luccicava a mezzaria. Sotto il peso
10 del carro, i buoi erano percorsi da lunghi fremiti. Il ragazzo
cominciò a piangere. Si sedettero tutti e due, Boschino su
un sasso, il ragazzo accanto a lui, per terra. Il carro non si
muoveva più. Aspettarono che si facesse chiaro, che venisse
qualcuno. Venne un pastore con un branco di pecore, sulla
15 strada, il cane si avvicinò, annusò i buoi, girò intorno al car-
ro, tornò verso il gregge. Boschino s’alzò e diede una voce
al pastore perché si tenesse al largo. Poi venne, sempre sulla
strada, dal paese, una donna, con due ragazzetti, e anche
loro si fermarono; poi altri e altri ancora. Quando albeggiò
20 e fu possibile muoversi senza pericolo, Boschino, tenendo
il ragazzo per mano, passò cautamente alla testa del carro.
Allora vide le due grandi bestie dal mantello latteo stramaz-
zate, con la lingua sporca di terra e gli occhi stravolti dai
quali pareva ancora esalare quel lungo muggito lamentoso.
25 Finito il racconto mi ha chiesto se per caso, senza inco-
modarmi, non potessi procurargli una pipa per fumare la
cima dei sigari; senza comprarla però. Qualche mio cono-
scente potrebbe averne una. Gli ho detto che, se s’acconten-
ta, ne ho una io, che ho usato solo poche volte.
30 Mi è sembrato di vedere in questo suo desiderio un segno
di fiducia e di serenità.

2. muglio] muggito D D1 D2 ||muglio|| (›muggito‹) B     3. stramazzò,]


stramazzò D D2 stramazzò|,| D1     6. sentiva odore] sentiva un odore D D1
D2 B ≠ M2     7-8. con la coltella] con la coltella e l’acqua bollente D con la
coltella ›e l’acqua bollente‹ D1     20. Boschino, tenendo] Boschino, giran-
do al largo, e tenendo D Boschino, ›girando al largo, e‹ tenendo D1     21.
passò…testa] passò alla testa D passò /cautamente/ alla testa D1     24. an-
cora esalare] |ancora esalare| (›esalare‹) D     
Michele Boschino 233

Del resto quali altri mezzi ho di leggere ora nell’animo di


quest’uomo?
O che mi abitui pian piano a vederlo così, o che realmen-
te pian piano si vada rimettendo e, per quanto è possibile,
riacquistando le forze,38 in certi momenti mi sembra il Bo- 5
schino di un tempo, il Boschino che non poteva invecchia-
re. O forse non è altro che il mio bisogno di tranquillità che
me lo fa vedere così; il bisogno di poterlo dimenticare, o di
poter dimenticare quel che vi è in lui di così doloroso.
Io e Maria abbiamo deciso di non dir nulla, per ora, di 10
ciò che ci riguarda. Cosa potremmo dire? Che ci amiamo?
Certo se ne sono già accorti; ma finché noi taciamo, tutto
continuerà come prima. E per noi è meglio così, per ora.
Così Maria potrà venire in città, a primavera.
Avevamo tante cose da dirci: ora invece parliamo di 15
tutt’altro. E tutto ciò che diciamo era imprevisto. Non fini-
remmo mai di parlare.
Fra qualche giorno io e la mamma torneremo in città.
Sono felice. E questo pensiero della partenza non ha il po-
tere di rattristarmi. Credo sia anche così per Maria. Giunge 20
opportuna, questa separazione. Abbiamo tanto bisogno, io
e lei, di pensare a quello che ci è accaduto.
Da due settimane siamo in città. Sembra già primavera.
Ho incontrato, rincasando, l’avvocato Colliva, che mi ha
detto che ha bisogno di parlarmi di un certo affare. Imma- 25

5. riacquistando le forze] riacquisti forze D riacquistando le (← riacquisti)


forze D1 D2 riacquistando forze B M2     6-7. il Boschino…invecchiare]
quando portava ancora il costume di Sigalesa D •il Boschino che non pote-
va invecchiare (›quando portava ancora il costume di Sigalesa‹) D1     9-10.
doloroso. Io] doloroso.↔|| Io D D1 D2 B ≠ M2     14. Così Maria] Maria
D /Così/ Maria D1     15. ora invece parliamo] ora ›parli‹ invece parlia-
mo D     16. ciò che diciamo] ciò che ci diciamo D D1 D2 ciò che diciamo
B     20. per Maria] per |Maria| (›lei‹) D     22-23. accaduto. Da due] acca-
duto.↔|| Da due D D1 D2 B ≠ M2     25. certo affare] certo affare D certo
affare D1
38
In questo luogo del testo l’editore ristabilisce la lezione portata da D1 e
da D2 – ricavata per espunzione sostituzione sulla primitiva di D – perché
considera la lezione conclusiva di M alterata da un originario errore per
omissione commesso in sede di trascrizione del testo di B («riacquistando
forze»).
234 GIUSEPPE DESSÌ

gino che si tratti ancora di Boschino: consigli di non pren-


dermi a cuore la faccenda.

5 Non so a che cosa attribuire il nuovo atteggiamento


dell’avvocato, né se devo fidarmene. O vuole che io stesso
arrivi alla conclusione di non chiedere nessuna spiegazione
all’ingegnere?
Anche la mamma non sa cosa pensarne. Ma dice che la
10 spiegazione ci verrà dallo stesso avvocato. Bisogna lasciare
a lui l’iniziativa.
Durante la mia assenza ha ripensato alla cosa, e lui stesso,
con molta prudenza e tatto, è riuscito a sapere la situazio-
ne di Boschino. Già da qualche anno Boschino, per mezzo
15 dell’ingegnere, suo procuratore, ha fatto testamento desi-
gnando erede universale la Società di San L. Il capitale è an-
cora investito in titoli, e gli interessi sono vincolati, tranne
una parte che va devoluta all’ingegnere stesso come ono-
rario. Boschino, volendo, ha diritto di entrare nell’ospizio
20 della stessa Società di San L. Ma pare che non ne abbia mai
voluto sapere. Non si sa se Boschino abbia fatto testamento
di sua spontanea volontà o vi sia stato costretto.
Ho chiesto all’avvocato se Boschino è ancora in tempo a
fare un nuovo testamento, a destinare la somma a chi vuol
25 lui – ai parenti, per esempio.
L’avvocato dice che Boschino può ritirare quando vuole
la procura all’ingegnere e disporre a piacimento della som-
ma. Ma è rimasto incerto quando gli ho chiesto se sarebbe
disposto a prendersi lui la procura. Giustamente ha osser-
30 vato che Boschino preferirà certamente un’altra persona.
Non avrei immaginato che la cosa fosse così facile. Ho
scritto a Maria di chiedere a Boschino se veramente ha
acconsentito a far questo testamento, e di spiegargli come
stanno le cose.

21. fatto testamento] fatto il testamento D D1 D2 fatto testamento B


Michele Boschino 235

Oggi l’avvocato mi ha di nuovo chiamato nel suo studio.


La cosa è meno semplice di quel che sembrava, perché l’in-
gegnere ha in mano delle cambiali firmate da Boschino col
segno di croce, per una somma superiore a quella investita
in titoli. È incredibile che Boschino sia stato tanto cieco da 5
lasciarsi indurre ad apporre il suo segno a queste cambiali.
Ma l’avvocato invece di scoraggiarsi, dopo questa notizia
sembra deciso ad agire. Vorrebbe che io facessi un viaggio a
Ultra per parlare con Boschino e convincerlo a fidarsi di lui.
10

Maria mi scrive d’aver consegnato a Boschino la pipa che


gli ho mandato. Era una piccola pipa di radica che Alberto
mi ha portato da Londra l’estate scorsa.
Maria dice che Boschino è tranquillo, che non bisogna 15
turbarlo, che una causa contro l’ingegnere non servirebbe
che a rompere questa pace. Ha ripreso a coltivare l’orto, e
Maria, per mezzo di Lavinia, provvede a non fargli mancare
nulla. Se anche potesse ricuperare questa somma, che cosa
ne farebbe? 20
Alla mamma questo ragionamento sembra molto assen-
nato. Dice che Maria ha ragione.
Nulla da fare, del resto, per ora. Bisogna aspettare che
l’ingegnere torni da R.
25

Dopo essere stati fino a tarda ora a goderci il fresco sulla


terrazza del Muraglione, Donato e io rincasavamo una sera,
a Ultra, dopo cena. Donato mi parlava di una donna che
aveva conosciuto quell’estate al mare. 30
Sul punto d’aprire il portone, fummo colpiti da uno scop-
pio di urli e di tonfi che veniva dal fondo del cortile.

9. Boschino] |Boschino| (›lui‹) D     17. l’orto] il suo orto D l’orto (← il suo


orto) D1     21-22. sembra molto assennato] non sembra assurdo D •sem-
bra molto assennato (›non sembra assurdo‹) D1     24-27. da R. Dopo] da
R. Ma io voglio parlare con quest’uomo, veder chiaro in questa faccenda.
E se ci sarà bisogno di un avvocato, si troverà. Dopo D da R. ›Ma io voglio
parlare con quest’uomo, veder chiaro in questa faccenda. E se ci sarà biso-
gno di un avvocato, si troverà.‹↔|| Dopo D1     
236 GIUSEPPE DESSÌ

Chi sa perché, io pensai subito a Maria: possibilità assur-


de e funeste attraversarono in tumulto il mio spirito, come
se Maria potesse essere veramente in pericolo, là, nella sua
casa.
5 Prima che io mi riavessi, Donato, chiuso il portone, s’e-
ra inoltrato nell’atrio e se ne stava tranquillo, col cappello
sulla nuca, nella luce della luna, come a godersi uno spetta-
colo. Si volse verso di me, e io vidi il bianco dei suoi denti
nell’ombra, e pensai a quel che Maria m’aveva scritto per-
10 ché anch’io cercassi d’indurlo a tornare a casa a passare il
resto delle vacanze estive.
«Farabutti!» disse. «Anche questa sera!»
Andammo fino in fondo al cortile, Donato avanti e io
dietro, sulla ghiaia che scricchiolava, fino al muro che sepa-
15 ra il cortile dalla rimessa. Voci di uomini violente e allegre
venivano dalla rimessa, e insieme alle voci tonfi, come se là
dentro, picchiassero con un bastone su una tavola o su una
porta chiusa. E poi uno scroscio improvviso, un tintinnio
di vetri rotti. A ogni scroscio, rinforzavano le grida. Gli uo-
20 mini ridevano anche, e tra le risa virili si udiva un riso di
donna che pareva nascondersi tra quelle.
«Farabutti!» disse di nuovo Donato.
Ma sorrideva come se dentro di sé approvasse quel diver-
timento. Io, toccandogli il gomito col gomito, con un cenno
25 della testa gli chiesi di che cosa si trattasse.
«Rubano la carne e vengono qui a cuocerla e a mangiarla.
Ci sarebbe da farli arrestare».
«Che carne?» chiesi io, che non riuscivo a capire nulla.
Non capivo e non riuscivo a rendermi conto di quello che
30 avveniva nella rimessa.
«Che carne?» fece Donato. «Carne di pecora. Non c’è al-
tro, qui, in questa stagione. Anche l’altra notte hanno svali-
giato la bottega di un macellaio. È carnaccia, ma ci pigliano
gusto a rubarla, si vede».

16-17. se…picchiassero] se qualcuno, là dentro, picchiasse D D1 D2 se


›qualcuno,‹ là dentro, picchiasse||ro|| B     19-20. Gli uomini ridevano]
Gli uomini, là dentro, ridevano D D1 D2 Gli uomini›, là dentro,‹ rideva-
no B     21. nascondersi] nascosto D D1 D2 ||nascondersi|| (›nascosto‹)
B     28. io, che] io. E D io, che (← io. E) D1     33. macellaio] maccellaio D
D1 ma›c‹cellaio D2     
Michele Boschino 237

«Ma chi sono?» chiesi alzando un po’ la voce spazientito.


Donato mi fece cenno di tacere, come se quelli della ri-
messa potessero udirci, in mezzo al baccano.
I tonfi gli scrosci e le risa si confondevano, ma io ora
cominciavo a distinguere i rumori, a isolarli, a localizzar- 5
li. Quegli uomini stavano lanciando le patate che erano
ammucchiate dietro la branda del vecchio, contro i fiaschi
vuoti dello scaffale. Stavano facendo una gara di tiro a se-
gno, a quanto pareva. Tiravano anche contro la vetrata. Era
come se li vedessi. Forse uno solo tirava, e gli altri stavano 10
a sedere sul letto con la donna. A ogni colpo, un tonfo, uno
sfrigolio minuto.
A un tratto, senza che alcun fatto nuovo accadesse, senza
che alcun rumore particolare me lo suggerisse, mi venne
questo pensiero: «Boschino è morto». E tutto si fece chia- 15
ro, comprensibile. Boschino era morto. Qualche altro ora
abitava la rimessa e coltivava l’orto. Ma era morto anche
nella mia memoria. S’era adagiato in pace, ed era morto.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che ne avevo
chiesto notizie? «Tira avanti, poveraccio» mi aveva risposto 20
Maria. Avevamo tante cose da dirci, e non c’era più posto
per Boschino, nelle nostre lettere. Ridotto a un mucchietto
di ossa e di stracci, ridotto a un gemito, là, nella sua branda,
continuava a tirare avanti. Quando ci pensavo, desidera-
vo in cuor mio la sua fine. Era troppo penoso pensare che 25
soffriva, che era solo. O immaginavo che la sua vita fosse
ridiventata serena. Ma anche nella morte lo immaginavo
così, sereno, tranquillo ormai.
In quel momento la certezza improvvisa della sua mor-
te mi diede una pena acuta che non mi sarei immaginato 30
prima, quando pensavo alla sua morte come a un riposo.

1. spazientito] impazientito D D1 D2 B ≠ M2     4. tonfi] tonfi, D D1 D2


tonfi›,‹ B     6-7. erano…contro] erano dietro la branda del vecchio, in un
mucchio, contro D erano /ammucchiate/ dietro la branda del vecchio, ›in
un mucchio,‹ contro D1     18. memoria. S’era] memoria, si era D D1 D2
memoria. S’era (← memoria, si era) B     20. notizie?] notizie a Maria? D
D1 D2 notizie ›a Maria‹? B     24. tirare avanti] tirare avanti D tirare avanti
D1     25. sua fine. Era troppo] sua fine, perché era D sua fine. Era troppo
(← sua fine, perché era) D1     29. In] Ma in D In (← Ma in) D1     
238 GIUSEPPE DESSÌ

Mi faceva pena pensare che la sua scomparsa fosse stata un


fatto insignificante per tutti, anche per Maria, che non me
ne aveva scritto nulla e non me ne aveva parlato al mio ar-
rivo a Ultra. Tutti lo avevano già dimenticato, e anch’io. Se
5 Maria, in una di quelle notti serene (ero a Ultra ormai da
tre giorni, essendo giunto subito dopo Donato) mi aves-
se detto: «Sai! Boschino è morto», questo fatto mi sarebbe
parso naturale – naturale e nell’ordine previsto delle cose.
La morte del vecchio mi sarebbe parsa, come nei momenti
10 in cui ci pensavo, veramente un riposo. Avrei pensato al
piccolo orto, al pozzo dal quale, negli ultimi tempi faticava
tanto a tirar su il secchio colmo, agli alberi di limone attor-
no al pozzo, al mucchio di sassi e di cocci sotto il fico ca-
stagnolo. E non mi sarei affacciato al muro, per accertarmi
15 dell’assenza di Boschino da quel luogo silenzioso. Invece il
fatto che tutti lo avessimo così presto dimenticato dava alla
sua morte una realtà presente e dolorosa, che forse, chi sa,
nulla le può togliere.
«Quando è morto?» chiesi mentre ci allontanavamo. E
20 siccome Donato non capiva, accennai alla rimessa.
«Non so» disse. Ma certo pensava ad altro.
Maria intanto s’era affacciata alla finestra del corridoio
dal quale s’accede, nel piano di sopra, alle nostre camere.
«Avete sentito?» chiese.
25 A me dispiaceva che Maria potesse udire il riso di quella
donna in mezzo alle grida degli uomini, nascosto e sfaccia-
to. Anche un’altra finestra s’aprì, e il Capitano comparve
nel vano scuro. Senza far caso a noi s’appoggiò al davanzale
della finestra, come se prendesse il fresco tranquillamente.
30 Il baccano là nella rimessa lo incuriosiva senza dargli al-
cun fastidio. E io, dentro di me, sapevo che a tutti piaceva
ascoltare quelle grida virili che cancellavano dal fondo della
memoria i fiochi gemiti che di là salivano prima in certe
notti quiete come quella.

3. nulla] nulla, D D1 D2 nulla (← nulla,) B     7. «Sai! Boschino è morto»,]


«Sai! Boschino è morto», D D1 D2 B «Sai! Boschino è morto» M2     11. dal
quale…faticava] dal quale faticava D dal quale|,| /negli ultimi tempi/ fati-
cava D1     26-27. nascosto e sfacciato] nascosto e ›stacc‹ sfacciato D     27.
Capitano] capitano D D1 D2 B ≠ M2     31. E io…sapevo che] E io dentro
di me pensavo che D E io|,| dentro di me|,| •sapevo (›pensavo‹) che D1     
Michele Boschino 239

Entrammo in sala da pranzo, e Donato versò da un boc-


cale due bicchieri di limonata.
«Papà non vuol denunciarli» mi disse porgendomi il bic-
chiere «ma io credo che sarebbe meglio».
Spense la luce e salimmo al buio le scale. Maria era sem- 5
pre affacciata alla finestra dell’andito. Donato si mise a de-
stra, io a sinistra, e così restammo tutti e tre affacciati coi
gomiti sul davanzale d’ardesia.
«E Isabella?» chiesi tanto per parlare.
«Dorme» disse Maria. 10
Nell’alito tiepido della bocca e in quel suo stringersi nelle
spalle con un brivido c’era il piacere del sonno già pregu-
stato e l’affettuoso compiacimento, che io le conosco, per la
sorella minore.
«Chi fa tanto chiasso laggiù?» chiesi ancora. 15
«Mah! Un giovanotto che ha preso in affitto l’orto e ci
viene a far baldoria con gli amici. Ora l’hanno richiamato.
Parte lunedì».
«E tu, come lo sai?» chiese Donato.
«Lavinia» disse Maria. 20
Allora io chiesi, accennando alla rimessa, come avevo fat-
to prima:
«Quando è morto?»
«In aprile» disse Maria. E non aggiunse altro.
Il baccano cessò. Si udirono le voci di quegli uomini, 25
calme, chiare, e schiocchi, come di rami spezzati contro il
ginocchio. Poi un fumo denso si levò dal piccolo cortile da-
vanti alla rimessa, e l’odore della legna bruciata misto a un
puzzo acre di vernice e di stracci riempì l’aria.
Quando le voci tacevano, si udiva il suono velato di un 30
organino a bocca.
«Bruciano anche le finestre che erano nel ripostiglio» dis-
se Donato.
La notte chiara, lattea (la luna non si vedeva dietro le nu-
vole) era offuscata da quella colonna di fumo denso. 35

3-4. bicchiere] bicchiere, D D1 D2 B ≠ M2     5. le scale.] le scale ›dopo aver


bevut‹. D     7. restammo] stemmo D D1 D2 B ≠ M2     20. Maria] Maria
›Dopo poco si aprì anche la pi‹ D     34. La notte chiara] La notte ›era‹
chiara D
Q2 2r
APPENDICE A
Apparato genetico
Appendice 247

PARTE PRIMA

Capitolo I

p. 6:

14-17. Parenti e amici…Un giorno Salvatore]

D D1
Anche altre persone, amici comuni, •
Parenti e (›Anche altre persone,‹)
cercarono di convincere Benedetto amici comuni cercarono /inutil-
e Salvatore a lasciarlo in pace, fin- mente/ di convincere •i due testardi
ché Giuseppe, vedendo che tutto era a desistere (›Benedetto e Salvatore a
inutile, pregò queste persone di non lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe,
occuparsi più della cosa. “Io” diceva vedendo che tutto era inutile, pregò
Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora per- queste persone di non occuparsi più
ché mi dispiaceva di vederli sempre della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho
così inquieti. Ma se proprio ci voglio- ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva
no stare, nella loro rabbia, che frigga- di vederli sempre così inquieti. Ma se
no pure!” Un giorno però Salvatore proprio ci vogliono stare, nella loro
rabbia, che friggano pure!”‹.
  Un giorno ›però‹ Salvatore

si riporta
esattamente il
processo corretorio
248 michele boschino

p. 7:

24-27. compagnia. «Povero Beppe»… che gli scudi]

D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola di e se n’andarono senza una parola di
pace. “Povero Beppe” disse una vec- pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
chia “forse son più i colpi che ti hanno chia /dopo che quei due se ne furono
dato quei due giovanotti che gli scudi andati/ “forse son più i colpi che ti
hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi

B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne fu-
rono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che
gli scudi

è ristabilita la lezione cassata


Appendice 249

p. 9:

9-16. Allora Giuseppe scavò…della loro miseria;]

D D1
Allora Giuseppe scavò un pozzo ›e Allora Giuseppe scavò un pozzo
[—].‹ “Giuseppe Boschino ha fortu- “Giuseppe Boschino ha fortuna”,
na”, diceva la gente vedendo che ave- diceva la gente vedendo che aveva
va trovato il punto giusto per scavare trovato il punto giusto per scavare il
il pozzo, che risultò ricco di acqua pozzo,‹ che risultò ricco di acqua an-
anche in piena estate. Quando Giu- che in piena estate. Quando ›Giusep-
seppe si fu accertato della ricchezza pe‹ si fu accertato della ricchezza di
di quella vena d’acqua, fece accanto al quella vena ›d’acqua‹, fece accanto al
pozzo una vasca in muratura, ci mise pozzo una vasca in muratura, ci mise
una noria e incominciò a impiantare una noria|,| e ›incominciò a‹ impiantò
un orto. I fratelli, che passavano di là (← impiantare) un orto. I fratelli, che
spesso per andare a un loro podere passavano di là spesso per andare a un
di Nadoria, non gli davano pace. Ve- loro podere di Nadòria (← Nadoria),
nivano nell’orto con la scusa di farsi •
entravano (›non gli davano pace. Ve-
dare un po’ d’insalata o di ravanelli da nivano‹) nell’orto con la scusa di farsi
mangiare col pane e si lamentavano dare un po’ d’insalata o di ravanelli
della loro miseria: da mangiare col pane. Si (← pane e
si) lamentavano della loro miseria; (←
miseria:)
250 michele boschino

p. 9:

24-29. Giuseppe si mise a ridere… assieme con Salvatore.]

D D1
Giuseppe si mise a ridere, e ridendo Giuseppe si mise a ridere. Rispose (←
rispose che lui il socio ce l’aveva già, a ridere, e ridendo rispose) che lui il
aveva suo figlio Michele, per socio; socio ce l’aveva già, aveva suo figlio
poi, siccome l’altro insisteva, lo pre- Michele, per socio. Poi (← socio; poi),
gò di essere ragionevole e di smettere siccome l’altro insisteva, •si rimise
quest’idea. L’altro, esasperato dalla a zappare senza più dargli retta. (›lo
sua calma, cominciò a minacciare pregò di essere ragionevole e di smet-
come l’altra volta che, assieme con tere quest’idea‹). Esasperato (← L’al-
Benedetto l’aveva picchiato. tro, esasperato) dalla sua calma, /Be-
nedetto/ cominciò a minacciare come
l’altra volta che, 2assieme con •Salva-
tore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.
Appendice 251

p. 10:

19-24. Fu lui che consigliò…la serenità di suo padre.]

D D1
Fu lui che consigliò alla madre di ven- Fu lui che /le/ consigliò ›•[—]‹ (›alla
dere anche l’altro giogo di buoi, ch’e- madre‹) di vendere anche l’altro gio-
rano inutili finché il terreno da semi- go di buoi, ›ch’erano inutili finché il
na rimaneva affittato, e di comprare terreno da semina rimaneva affittato,‹
un muletto per portare i prodotti al e di comprare un muletto per portare
mercato. i prodotti al mercato.
  Passarono due anni duri e tristi, e il   Passarono due anni duri e tristi; (←
ragazzo, vedendo la madre arrabat- tristi,) e il ragazzo, vedendo la madre
tarsi senza posa ›[—]‹ e i guadagni di- arrabattarsi senza posa e i guadagni
minuire sempre rimpiangeva la calma diminuire sempre|,| rimpiangeva la
e la serenità di suo padre. calma e la serenità di suo padre.
252 michele boschino

Capitolo II

p. 12:

18-24. temeva per il figlio. Sapeva…della scelta di Michele.]

D D1
temeva per il figlio. Sapeva che certi temeva per il figlio. Sapeva che certi
stati d’animo sono come la siccità. stati d’animo /diffusi/ sono come la
Senza tempeste di grandine o di ven- siccità. Senza tempeste di grandine o
to, le foglie degli alberi finiscono per di vento, le foglie degli alberi •avvizzi-
avvizzire e cadere, l’erba inaridisce scono e cadono, (›finiscono per avviz-
sulla terra secca: come un fiammifero zire e cadere,‹) l’erba inaridisce sulla
basta allora a distruggere una foresta, terra secca. (← secca:) ›come‹ /Allora
così una parola distrugge la fama d’un basta/ un fiammifero ›basta allora‹ a
uomo, se la gente è ostile. Eppoi, lui distruggere una foresta. (← foresta,)
stesso, ripensandoci non era contento •
Allo stesso modo (›così‹) una paro-
della scelta di Michele. la distrugge la fama d’un uomo, se la
gente è ostile. ›Eppoi,‹ Lui (← lui) stes-
so, •in fondo (›ripensandoci‹), non era
contento della scelta di Michele.
Appendice 253

p. 13:

5-14. non era un brutto giovane… soffermati con desiderio.]

D D1
non era un brutto giovane, anzi si non era •un (›un‹) brutto •giovine
poteva affermare il contrario. Non (›agiovane b•neppure lui‹), anzi si po-
era nè stupido nè povero, eppure gli teva affermare il contrario; e non (←
mancava qualcosa per essere l’uomo contrario. Non) era nè stupido nè po-
per esser l’uomo adatto per Angela. vero – eppure gli mancava qualcosa
Che cosa? Giuseppe non avrebbe sa- |per esser l’uomo| (›per essere l’uo-
puto dirlo, non lo sapeva: forse solo mo‹) •che ci voleva per (›adatto per‹)
l’abitudine di trattar con la gente, la Angela. Che cosa, (← cosa?) Giuseppe
sicurezza che viene dalla familiarità e non avrebbe saputo dirlo, non lo sa-
specialmente poi coi giovani suoi co- peva /[—]/: forse solo l’abitudine di
etanei. Michele era stato sempre solo, trattar con la gente, •coi giovani suoi
e questo non si confà a chi sposa una coetanei, e quella sicurezza che solo
donna sulla quale gli occhi di molti si |quest’abitudine| (›la familiarità‹)
sono soffermati con desiderio. può dare (›la sicurezza che viene dal-
la familiarità e specialmente poi coi
giovani suoi coetanei‹). Michele era
stato sempre solo, e /.pareva a Giu-
seppe che/ questo non si confacesse
(← confà) •a uno che doveva sposare
(›a chi sposa‹) una donna sulla quale
gli occhi di molti si .erano (›sono‹)
soffermati con desiderio.

D2 B
non era un brutto giovane, anzi si non era un brutto giovane, anzi si
poteva affermare il contrario; e non poteva affermare il contrario; e non
era nè stupido nè povero – eppure gli era né stupido né povero, eppure gli
mancava qualcosa per esser l’uomo mancava qualcosa per essere l’uomo
che ci voleva per Angela. Che cosa, che ci voleva per Angela. Che cosa,
Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo,
non lo sapeva: forse solo l’abitudine non lo sapeva: forse solo l’abitudine
di trattar con la gente, coi giovani suoi di trattar con la gente, coi giovani
coetanei, e quella sicurezza che solo suoi coetanei, e quella sicurezza che
questa abitudine può dare. Michele solo quest’abitudine può dare. Miche-
era stato sempre solo, e questo /•pare- le era stato sempre solo, e a Giuseppe
va a Giuseppe che/ non si confacesse pareva che questo non si confacesse
a uno che doveva sposare una donna a uno che doveva sposare una donna
sulla quale gli occhi di molti si erano sulla quale gli occhi di molti si erano
soffermati con desiderio. soffermati con desiderio.
254 michele boschino

p. 14:

15-21. Nel frattempo Michele…Angela o Carmela.]

D D1
Intanto Michele aveva cominciato a •
Nel frattempo (›Intanto‹) Michele
costruire due camere accanto al gra- aveva cominciato a costruire due ca-
naio e a seminare un po’ di terra per mere accanto al granaio, aveva semi-
suo conto, per metter da parte qual- nato (← al granaio e a seminare) un
che soldo; e Angela, finiva di tesser po’ di terra per suo conto, e metteva
la tela per il corredo. All’infuori di (← per metter) da parte qualche soldo;
questo, vivevano più come fratello e ›e‹ Angela›,‹ finiva di tesser la tela per
sorella che come fidanzati; e siccome il corredo. All’infuori di questo, /i due
Carmela era sempre con loro, spes- giovani/ vivevano più come fratello
so qualcuno chiedeva a Michele, o a e sorella che come fidanzati; e ›sic-
Giuseppe, chi fosse, delle due, la pro- come Carmela era sempre con loro,‹
messa sposa. spesso qualcuno chiedeva a Michele,
o a Giuseppe, chi fosse, ›delle due‹, la
promessa sposa, (← sposa,) |Angela o
Carmela.|
Appendice 255

p. 15:

4-28. Poi, improvvisamente, quando… erano sempre quelle.]

D D1 D2
Poi, improvvisamente, quando chiese Poi, improvvisamente, quando /Michele/
al padre di affrettare le nozze, queste chiese ›al padre‹ di •anticipare (›af-
dispute cessarono; e i due vecchi non frettare‹) le nozze, /non solo/ queste
erano mai stati d’accordo come allo- dispute cessarono ma (← cessarono;
ra. Maddalena non era mai stata così e) i due vecchi non erano mai stati
docile e remissiva con Giuseppe. “Io d’accordo come allora, (← allora.)
non c’entro” diceva a Michele. “È tuo /mai come allora/ Maddalena •s’era
padre che deve decidere”. E Giuseppe mostrata (›non era mai stata‹) così
aveva deciso che le nozze non fossero docile e remissiva con Giuseppe. “Io
anticipate neppure d’un giorno. Mi- non c’entro” diceva a Michele. “È
chele sapeva ch’era inutile insistere, e tuo padre che deve decidere”. E Giu-
si sarebbe facilmente adattato alla vo- seppe aveva /bell’e/ deciso ›che‹ |:| le
lontà di suo padre, se Angela lo aves- nozze non •dovevano essere (›fosse-
se lasciato in pace. Era lei che voleva ro‹) anticipate neppure d’un giorno.
affrettare le nozze. Carmela doveva •
Sapendo (›Michele sapeva‹) ch’era
fidanzarsi anche lei, ma il padre non inutile insistere, •Michele (›e‹) si sa-
lo avrebbe permesso se non dopo le rebbe ›facilmente‹ adattato /come
nozze della sorella maggiore. Voleva sempre,/ alla volontà di suo padre, se
che ›[—]‹ l’una sorvegliasse l’altra, Angela lo avesse lasciato in pace. Era
non voleva due uomini in casa in una lei che voleva affrettare le nozze. /Di-
volta sola. Questa non sembrava a ceva che/ Carmela doveva fidanzarsi
Giuseppe una ragione sufficiente; e ne ›anche lei‹, •e che (›ma‹) il padre non
aveva discusso a lungo con Maddale- lo avrebbe permesso se non dopo le
na, che, in un primo tempo, avrebbe /loro/ nozze|;| ›della sorella maggiore.
voluto accontentare il giovane. Giu- Voleva che l’una sorvegliasse l’altra,‹
seppe avrebbe voluto almeno che An- non voleva due uomini in casa in una
gela ›parlas‹ ne parlasse apertamente volta sola. •Giuseppe (›Questa non
con lui stesso o con Maddalena: in- sembrava a Giuseppe una ragione suf-
vece, in loro presenza faceva l’agnel- ficiente; e ne‹) aveva discusso a lungo
la, ma quand’era sola con Michele /della cosa/ con Maddalena, che, in
non gli dava un momento di respiro. un primo tempo, •era propensa ad ac-
Maddalena propendeva a credere che condiscendere (›aavrebbe voluto ac-
ci fosse un’altra ragione, che la ragaz- contentare il giovane. Giuseppe b•era
za fosse incinta e si vergognasse. Giu- decisa ad accontentare‹). Avrebbe (←
seppe disse che non c’era motivo, in avrebbe) voluto almeno che Angela
tal caso, di nasconder la cosa anche a |ne parlasse| (›parlas‹) apertamente
Michele. Ma, lui li aveva ascoltati di- con lui stesso o con Maddalena: inve-
verse volte parlare senza che loro due ce, in loro presenza faceva l’agnella, •e
se n’accorgessero, e sapeva che le ra- quando poi era (›ma quand’era‹) sola
gioni di Angela erano sempre quelle. con Michele non gli dava un momen-
256 michele boschino

to di respiro. Maddalena propendeva


a credere che ci fosse un’altra ragione
/nascosta che la ragazza non voleva
dire/, che la ragazza fosse incinta e si
vergognasse. Giuseppe •diceva (›dis-
se‹) che non c’era motivo, in tal caso,
di nasconder la cosa anche a Miche-
le. ›Ma,‹ Lui (← lui) li aveva •sentiti
(›ascoltati diverse volte‹) parlare|,|
senza che loro due se n’accorgesse-
ro, e sapeva che le ragioni di Angela
erano sempre quelle. Maddalena pro-
pendeva a credere che ci fosse un’altra
ragione nascosta, che la ragazza non
voleva dire. (← dire,) ›che la ragazza
fosse incinta e si vergognasse.‹ ||Forse
la ragazza era incinta e si vergogna-
va.|| Giuseppe diceva che non c’era
motivo, in tal caso, di nasconder la
cosa anche a Michele. ||Disse di aver-
li|| (›Lui li aveva‹) sentiti parlare›,‹ ||di
nascosto tra loro,|| (›senza che loro
due se n’accorgessero,‹) e sapeva che
le ragioni di Angela erano sempre
quelle.

B
Poi, improvvisamente, quando Michele chiese di anticipare le nozze, non solo
queste dispute cessarono ma i due vecchi non erano mai stati d’accordo come
allora. Maddalena mai come allora si era mostrata così docile e remissiva con
Giuseppe. «Io non c’entro» diceva a Michele. «È tuo padre che deve decidere».
E Giuseppe aveva bell’e deciso: le nozze non dovevano essere anticipate nep-
pure d’un giorno. Sapeva ch’era inutile insistere, Michele, e si sarebbe adat-
tato, come sempre, alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in
pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. Diceva che Carmela doveva fidan-
zarsi, e che il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le loro nozze; non
voleva due uomini in casa in una volta sola. Giuseppe aveva discusso a lungo
della cosa con Maddalena, che, in un primo tempo, era propensa ad accon-
discendere. Avrebbe voluto almeno che Angela ne parlasse apertamente con
lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, e quando
poi era sola con Michele non gli dava un momento di respiro. Maddalena
propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione nascosta, che la ragazza
non voleva dire. Forse la ragazza era incinta e si vergognava. Giuseppe diceva
che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. Disse
di averli sentiti parlare di nascosto tra loro, e sapeva che le ragioni di Angela
erano sempre quelle.
Appendice 257

Capitolo III

p. 22:

20-28. Michele stava lunghe ore…la forza giovanile di un tempo.]

D D1 D2
Michele gli rendeva conto di tutto Michele gli rendeva conto di tutto
minuziosamente e stava lunghe ore minuziosamente e stava lunghe ore
seduto accanto a suo letto; e gli pa- seduto accanto a|l| suo letto. Gli (←
reva che ciò che faceva non sarebbe letto; e gli) pareva che /tutto/ ciò che
servito a nulla, se non ne parlava con faceva non sarebbe servito a nulla,
lui, o prima o dopo. Non che avesse se non ne parlava con lui, ›o prima
bisogno di consigli, chè ormai sapeva o dopo‹. Non che avesse bisogno di
fare da sé, [—] e neppure voleva dare consigli, chè ormai sapeva fare da
al vecchio l’illusione di essere anco- sé, •Ma non (›e neppure‹) voleva •to-
ra tanto necessario, ma amava, in gliere (›dare‹) al vecchio l’illusione
quest’illusione, riposarsi egli stesso. di essere ancora tanto necessario, •e
Che cosa era egli, in fine? Era come (›ma‹) amava, in quest’illusione, ripo-
una mano che Giuseppe allungasse sarsi egli stesso. /E/ che (← Che) cosa
a occhi chiusi, una mano esperta che era|,| •lui (›egli‹), in fine? Era come
aveva conservato la forza giovanile di una mano che Giuseppe allungasse a
un tempo. occhi chiusi, una mano ›esperta‹ che
aveva conservato la forza giovanile di
un tempo.

B
Michele 2gli rendeva conto di tutto minuziosamente e 1stava lunghe ore sedu-
to accanto al suo letto. Gli pareva che tutto ciò che faceva non sarebbe servito
a nulla, se non ne parlava ||prima|| con lui. Non che avesse bisogno di consigli,
ché ormai sapeva fare da sé. Ma non voleva togliere al vecchio l’illusione di
essere ancora tanto necessario, e amava, in quest’illusione, riposarsi egli stes-
so. E che cosa era, lui, in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a
occhi chiusi, una mano che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.
258 michele boschino

p. 23:

5-12. e quell’anno appunto… che era una pazzia pensarci.]

D D1 D2
e quell’anno appunto toccava, ›e non e quell’anno appunto toccava. ›Ciò
si poteva rimandare‹ Ciò che meravi- che meravigliava Michele però era
gliava Michele però era che il vecchio che‹ Il (← il) vecchio parlava come
[—] parlava come se alla fiera inten- se alla fiera •dovesse (›intendesse‹)
desse andarci egli stesso. Dapprima andarci •lui (›egli‹) stesso. Dapprima
non ci fece caso, perché ›il padre‹ /Michele/ non ci fece caso, perché
Giuseppe, anche quando si trattava ›il padre‹ Giuseppe, anche quando
dei lavori dell’orto e del podere parla- si trattava dei lavori dell’orto e del
va allo stesso modo, come se anche lui podere|,| parlava allo stesso modo,
potesse veramente prendervi parte; come se •dovesse farli con le sue stesse
poi s’accorse che non era un semplice mani; ma presto (›anche lui potesse
modo di dire, e ne fece parola a |Mad- veramente prendervi parte; poi‹) s’ac-
dalena| (›sua madre‹) perché cercasse corse che non era un semplice modo
lei di convincerlo ch’era una pazzia di dire, e •lo disse (›ne fece parola‹) a
pensarci. Maddalena perché cercasse lei di con-
vincerlo ch’era una pazzia pensarci.

B
e quell’anno appunto toccava. Il vecchio parlava come se alla fiera dovesse an-
darci lui stesso. Dapprima Michele non ci fece caso, perché Giuseppe, anche
quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere, parlava allo stesso modo,
come se dovesse farli con le sue ›stesse‹ mani; ma presto s’accorse che non era
un semplice modo di dire, e ||ne parlò con|| (›lo disse a‹) Maddalena perché
cercasse lei di convincerlo che era una pazzia pensarci.
Appendice 259

pp. 23-24:

17-32/1-4. «Sei vecchio!» diceva Maddalena…di esser galan-


tuomini.]

D D1 D2
“Sei vecchio diceva Maddalena “Met- “Sei vecchio |!| diceva Maddalena
titi in testa che sei vecchio, e devi “Mettiti in testa che sei vecchio, e
averti riguardo, benedetto”. Ad ogni devi averti riguardo, benedetto|!|”.
costo volle alzarsi, e a stento riuscì Ad ogni costo volle alzarsi, •ma (›e‹)
a tenersi seduto su una sedia; ma ri- a stento riusciva (← riuscì) a •reggersi
petè il tentativo per parecchi giorni (›tenersi‹) seduto su una sedia. Ripetè
di seguito, e con grande meraviglia (← sedia; ma ripetè) il tentativo per
di Michele e Maddalena, migliorava parecchi giorni ›di seguito‹, /ostina-
sensibilmente. Non parlava che della tamente,/ e con grande meraviglia
fiera di Santa Croce, della gente che ci di Michele e Maddalena, /prese a/
andava ogni anno da tutti (← tutte) •i migliorare (← migliorava) •davvero
paesi (›le parti‹) del Centro, del Goce- (›sensibilmente‹). Non parlava che
ano e di Parte d’Ispi, dei gran danari della fiera di Santa Croce, della gente
che si maneggiavano in quel merca- che ci andava ogni anno da tutti i pa-
to, che neppure si sapeva da dove esi del Centro, dal (← del) Goceano e
uscissero. [—] Si vedevano •sacchetti da (← di) Parte d’Ispi, dei gran danari
(›[—]‹) di scudi e di marenghi in [—] che si maneggiavano in quel merca-
quelle mani terrose come se li avesse- to, che neppure si sapeva da dove
ro scavati la sera prima sotto qualche / uscissero. Si vedevano sacchetti di
vecchio/ muro con l’aiuto del diavolo. scudi e di marenghi •passare per (›in
E quanto più il danaro correva, tanto [—]‹) quelle mani terrose|,| come se
più cresceva l’avidità del danaro. Per- li avessero scavati la sera prima sotto
ché alla fiera c’erano sì le persone che qualche vecchio muro con l’aiuto del
non cercavano altro che un bel giogo diavolo. E quanto più il danaro corre-
di buoi da lavoro o un buon cavallo; va, tanto più cresceva l’avidità del da-
ma ce n’erano poi di quelli che in una naro. Perché alla fiera|,| •oltre le (›c’e-
sola giornata compravano e rivende- rano sì le‹) persone che|,| /come lui/|,|
vano e ricompravano ancora e ancora non cercavano altro che un bel giogo
rivendevano. Bisognava stare con gli di buoi da lavoro o un buon cavallo,
occhi aperti, perché lì anche i galan- (← cavallo;) ma ce n’erano poi di quel-
tuomini si dimenticavano di esser le (← quelli) che in una sola giornata
galantuomini. compravano e rivendevano •anche
tre o quattro gioghi di buoi col solo
scopo di guadagnarci su (›e ricompra-
vano ancora e ancora rivendevano‹).
Bisognava stare con gli occhi aperti,
perché lì anche i galantuomini si di-
menticavano di esser galantuomini.
260 michele boschino

B
«Sei vecchio!» diceva Maddalena «mettiti in testa che sei vecchio, e devi aver-
ti riguardo, benedetto!». A›d‹ ogni costo volle alzarsi, ma a stento riusciva a
reggersi seduto su una sedia. Ripeté il tentativo per parecchi giorni, ostinata-
mente, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, prese a migliorare
davvero. Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava
ogni anno da tutti i paesi del Centro, dal Gocèano (← Goceano) e da Parte
d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si
sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi e di marenghi passare
per quelle mani terrose, come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche
vecchio muro. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del
danaro. Perché alla fiera, oltre le persone che, come lui, non cercavano altro
che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo, ›ma‹ ce n’erano poi di
quelle che in una sola giornata compravano e rivendevano anche tre o quattro
gioghi ›di buoi‹ col solo scopo di guadagnarci su. Bisognava stare con gli occhi
aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.
Appendice 261

p. 24:

20-26. Ma quando fu poi nell’orto…parlare, tornava;]

D D1 D2
Ma quando poi fu nell’orto, si straiò Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso
all’ombra del pergolato, accanto alla da una grande stanchezza./ Si sdraiò
vasca, ›e non si mosse di lì per tutta (← si straiò) all’ombra del pergolato,
la giornata‹ con la testa sul basto del accanto alla vasca, con la testa sul
mulo. Disse che voleva star lì un poco basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che
a riposarsi, e si addormentò beata- voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si
mente allo scroscio del ritrecine. Mi- addormentò beatamente allo scroscio
chele gli mise accanto una brocchetta del ritrecine. Michele gli mise accan-
d’acqua fresca, per quando si sveglia- to una brocchetta d’acqua fresca, per
va, e andò a zappare, poco discosto. quando si svegliava, e andò a zappare,
Ogni tanto, sentendolo parlare, tor- poco discosto. Ogni tanto, sentendolo
nava; parlare, tornava;

B
Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò
all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si
addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto
una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i
cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹)
parlare, tornava;
262 michele boschino

p. 25:

5-10. distingueva ora il rumore…voglia di mangiarne.]

D D1 D2
distingueva ora distintamente il ru- distingueva ora ›distintamente‹ il
more che faceva la zappa di Michele rumore /ben noto/che faceva la zap-
urtando un sasso, lo schiocco delle pa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo
forbici, il cigolio lungo del cancello di schiocco delle forbici, il cigolio lungo
legno. Si ricordò che da quando [—] del cancello di legno /e questi rumo-
s’era ammalato non mangiava più po- ri gli facevano bene come l’aria della
modori crudi, e subito gliene venne campagna/. Si ricordò che da quando
desiderio. s’era ammalato non mangiava più po-
modori crudi, e subito gli (← gliene)
venne •voglia di mangiarne (›deside-
rio‹).

B M2
distingueva ora il rumore ben noto distingueva ora il rumore ben noto
che faceva la zappa urtando un sas- che faceva la zappa urtando un sas-
so, lo schiocco delle forbici, il cigolio so, lo schiocco delle cesoie, il cigolio
lungo del cancello di legno, e questi lungo del cancello di legno, e questi
rumori gli facevano bene come l’a- rumori gli facevano bene come l’aria
ria della campagna. ||A un tratto si|| della campagna. A un tratto si ricordò
(›Si‹) ricordò che da quando si era che da quando si era ammalato non
ammalato non mangiava più pomo- mangiava più pomodori crudi, e subi-
dori crudi, e subito gli venne voglia di to gli venne voglia di mangiarne.
mangiarne.
Appendice 263

Capitolo IV

pp. 29-30:

28/1-9. Cosimo non ebbe tempo…soffocato dal bavaglio.]

D D1 D2
“E la volpe l’avete già scuoiata?” chie- ›“E la volpe l’avete già scuoiata?”
se Cosimo. Ma non ebbe tempo di chiese Cosimo.‹ •Cosimo (›Ma‹) non
fare altre domande. Non appena fu ebbe tempo di fare •molte (›altre‹) do-
spontato da cavallo, Bore Lisca e Pe- mande. Non •aveva neanche messo il
donca gli saltarono addosso, lo disar- piede a terra, che (›appena fu sponta-
marono; gli altri tirarono giù Michele to da cavallo,‹) Bore Lisca e Pedonca
dal cavallo. Il giovane si trovò con la gli saltarono addosso e (← addosso,)
faccia tra l’erba. In un attimo fu lega- lo disarmarono; gli altri tirarono giù
to e imbavagliato. Era inutile opporre 2
Michele 1dal cavallo. /In un attimo/ il
resistenza, e lasciò fare. Cosimo inve- (← Il) giovane si trovò /›disteso‹ boc-
ce lottava con tutte le sue forze; ma coni ›per terra‹/ con la faccia tra l’er-
presto fu ridotto all’impotenza. Mi- ba. ›In un attimo‹ Fu (← fu) legato e
chele sentiva i suoi lamenti soffocati imbavagliato. Era inutile opporre re-
dal bavaglio e il respiro affannoso. sistenza, e lasciò fare. Cosimo invece
lottava con tutte le sue forze /gridan-
do e sbuffando/; ma presto fu ridotto
all’impotenza /anche lui/; (← .) •e non
si sentiva altro all’infuori dei (›Miche-
le sentiva i‹) suoi lamenti|,| soffocati
dal bavaglio|,| o il respiro affannoso.

B
Cosimo non ebbe tempo di fare molte domande. Non aveva neanche messo il
piede a terra, che Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e lo disarmaro-
no; gli altri tirarono giù dal cavallo Michele. In un attimo il giovane si trovò
bocconi con la faccia tra l’erba. Fu legato e imbavagliato. Era inutile opporre
resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze gridando
e sbuffando; ma presto fu ridotto all’impotenza anche lui. (← lui;) ||E non si
sentì altro che il /suo/ respiro affannoso soffocato dal bavaglio.|| (›e non si
sentiva altro all’infuori dei suoi lamenti, soffocati dal bavaglio, o il respiro
affannoso.‹)
264 michele boschino

p. 31:

2-9. Erano rimasti lì un poco…nulla fosse accaduto.]

D D1
›[−]‹ Vacca disse che non era il caso •
Erano rimasti lì un poco, poi veden-
di ritentare, dato che il colpo non era do che non era il caso d’arrischiarsi a
riuscito, e diede ai compagni l’ordine (← in) un nuovo tentativo, se n’erano
di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| tornati verso la radura dov’erano i
(›Prima di andare via‹) si avvicinò cavalli. Vacca era rimasto indietro
al ferito, cavò di tasca il coltello da col ferito, che fu trovato poi sgozza-
caccia, si chinò su di lui. Cosimo si to come un agnello. (›Vacca disse che
voltò dall’altra parte: sentì una spe- non era il caso di ritentare, dato che il
cie di gorgoglio, un sospiro, poi più colpo non era riuscito, e diede ai com-
nulla. In silenzio s’avviarono verso la pagni l’ordine di ritirarsi. Prima di
radura. allontanarsi si avvicinò al ferito, cavò
  A Cosimo e a Michele fu intimato, di tasca il coltello da caccia, si chinò
sotto la minaccia dei fucili spianati, su di lui. Cosimo si voltò dall’altra
di continuare il viaggio come se nulla parte: sentì una specie di gorgoglio,
fosse accaduto. un sospiro, poi più nulla. In silenzio
  Cosimo e Michele furono lasciati li- s’avviarono verso la radura.‹)
beri con l’ordine preciso di continua-   |A| Cosimo e /a/ Michele fu (← fu-
re il viaggio come se nulla fosse stato. rono) •intimato, sotto la minaccia dei
E quattro giorni dopo tornarono a fucili spianati (›lasciati liberi con l’or-
Sigalesa coi loro acquisti: il torello da dine preciso‹) di continuare il viaggio
monta e il giogo di buoi da lavoro. come se nulla fosse •accaduto. (›stato.
  Interrogati dal capo della gendar- E quattro giorni dopo tornarono a
meria se avessero incontrato uomini Sigalesa coi loro acquisti: il torello da
armati sulla strada di Forri, dissero di monta e il giogo di buoi da lavoro. In-
no, e furono lasciati in pace. terrogati dal capo della gendarmeria
se avessero incontrato uomini armati
sulla strada di Forri, dissero di no, e
furono lasciati in pace.‹)

D2 B
Erano rimasti lì un poco, poi vedendo Erano rimasti lì un poco, poi ||pen-
che non era il caso d’arrischiarsi in un sando|| (›vedendo‹) che non era il
nuovo tentativo, se n’erano tornati caso d’arrischiarsi a un nuovo tentati-
verso la radura dov’erano i cavalli. vo, se n’erano tornati verso la radura,
Vacca era rimasto indietro col ferito, dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto
che fu trovato poi sgozzato come un indietro col ferito, che fu trovato poi
agnello. sgozzato come un agnello.
  A Cosimo e a Michele fu intimato,   A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati di sotto la minaccia dei fucili spianati,
Appendice 265

continuare il viaggio come se nulla di continuare il viaggio come se nulla


fosse accaduto. fosse accaduto.
266 michele boschino

Capitolo VII

p. 54:

19-23. il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così de-
serto.]

D D1
il cielo stellato: |tutti oggetti presenti e il cielo stellato: tutte cose presenti,
reali, a cui lo teneva avvinto il terrore reali, (← tutti oggetti presenti e reali,)
d’abbandonarsi ai fantasmi dei sogni a cui lo teneva avvinto il terrore d’ab-
che avrebbero popolato la sua ango- bandonarsi ai fantasmi ›dei sogni‹ che
scia. Eppure quel velo sottile lo se- •
popolavano (›avrebbero popolato‹)
parava dal presente, divenuto per lui la sua angoscia. Eppure quel velo sot-
così deserto.| (›tutti oggetti presenti e tile /bastava/ a separarlo (← lo separa-
reali, a cui lo teneva avvinto la paura va) dal presente, divenuto per lui così
d’abbandonarsi ai fantasmi paurosi deserto.
dei sogni che avrebbero popolato la
sua angoscia. Eppure quel velo sottile
lo separava dal presente, divenuto per
lui così deserto, ma non dagli.‹)
Appendice 267

Capitolo X

pp. 90-91:

24-25/1. la portò nel capanno. Per questo,]

D D1
la portò nel capanno. la portò nel capanno.
  ›Della grassazione di Cantòria le   ›Della grassazione non pensò più a
parlò solo molto tempo più tardi, parlargliene, anche perché quel segre-
quando Severina ‹era› sua moglie già to non gli pesava più ormai. Un altro
da parecchi mesi.‹ segreto aveva preso il posto di quello
  Della grassazione non pensò più a e teneva continuamente occupata la
parlargliene, anche perché quel segre- sua mente: ciò ch’era avvenuto nel
to non gli pesava più ormai. Un altro capanno tra lui e Severina.‹
segreto aveva preso il posto di quello   Per questo,
e teneva continuamente occupata la
sua mente: ciò ch’era avvenuto nel
capanno tra lui e Severina.
  Per questo,
268 michele boschino

Capitolo XII

p. 100:

15-26. A pensarci, pare strano… sia pure momentaneo.]

D D1 D2
A pensarci, sembrerebbe che non A pensarci, •pare strano (›sembrereb-

possa (›potrebbe‹) riprendere ›il lavo- be‹) che ||dopo questa prodigalità che
ro sempre a quale [−]‹, dopo le nozze, si direbbe l’inizio di una nuova era,
la vita parsimoniosa e lenta di prima, più prospera e libera,|| (›non‹) pos-
senza questa interruzione. Molto per sa riprendere, •senza fatica (›dopo le
tempo il contadino si chiude nell’idea nozze,‹) la vita parsimoniosa e lenta
della casa che deve costruire, che sta di prima›, senza questa interruzio-
costruendo o che ha già costruito e ne‹. Molto per tempo il contadino si
aspetta la donna, come l’Esquimese si chiude nell’idea della casa che deve
chiude nella sua casa di ghiaccio. Non costruire o che (← costruire, che) sta
disperde neppure una caloria. Pone costruendo o che ha già costruito|,| e
tra sé e gli altri l’egoismo legittimo ›di aspetta la donna. (← donna,) /Si chiu-
chi alimenta un pensiero e di chi sa di de in questa idea/ come l’Esquimese
non poter‹ dell’ape che fabbrica le cel- ›si chiude‹ nella sua casa di ghiaccio.
lette di cera e le riempie di miele. Le Non disperde neppure una caloria.
nozze risvegliano in lui una fierezza, Pone tra sé e gli altri l’egoismo legit-
un orgoglio che ha bisogno di un ri- timo dell’ape che fabbrica le cellette
conoscimento sia pure momentaneo. di cera e le riempie di miele. Le nozze
risvegliano in lui una fierezza, un or-
goglio che ha bisogno di un riconosci-
mento sia pure momentaneo.

B
A pensarci, pare strano che dopo questa prodigalità che ||sembra|| (›si di-
rebbe‹) l’inizio di una nuova era, più prospera e libera, possa riprendere (←
riprendere,) senza fatica la vita parsimoniosa e lenta di prima. Molto per
tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire o che sta
costruendo o che ha già costruito, e aspetta la donna. Si chiude in questa idea
come l’Esquimese1 nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una ca-
loria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che fabbrica le cellette
di cera e le riempie di miele. Le nozze ||poi|| risvegliano in lui una fierezza, un
orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento, sia pure momentaneo.

1
In M: «l’esquimese».
Appendice 269

p. 103:

1-13. Le disgrazie che lo avevano…lui e Michele.]

D D1 D2
Le disgrazie che lo avevano colpito Le disgrazie che lo avevano colpito
non avevano potere sulla sua gras- non avevano potere sulla sua gras-
sezza, anzi pareva che ›[−]‹ anch’es- sezza; (← grassezza,) era (›anzi pareva
sa fosse una disgrazia. Gli avevano che anch’essa fosse‹) una disgrazia
incendiato l’aia, un anno, un altro, /anche quella/. 2Gli avevano incendia-
le vacche avevano bevuto in un ac- to l’aia, 1un anno, 3un altro, le vacche
quitrino ed erano state colpite dalla •
s’erano abbeverate a (›avevano be-
moria, e uno dei suoi figli, Gavino, vuto in‹) un acquitrino ed erano sta-
era stato trovato in una siepe di fi- te colpite dalla moria; un’altra volta
chidindia con le mani e i piedi legati suo figlio Gavino (← moria, e uno dei
come un capretto e il viso tagliato da suoi figli, Gavino,) era stato trovato in
una coltellata. Chi fosse stato a sfre- una siepe di fichidindia con le mani
giarlo così non s’era mai saputo, e il e i piedi legati come un capretto e il
ragazzo non aveva mai voluto parlare, viso tagliato da una coltellata, (← col-
tanto grande era stato il suo spavento tellata.) /dall’occhio al mento./ Chi
e così terribili le minacce che gli ave- fosse stato a sfregiarlo così non s’era
vano fatto. Era un avvertimento che mai saputo; (← saputo, e) il ragazzo
davano a Cosimo, ›e Cosimo‹ come se non aveva mai voluto parlare, tanto
ce ne fosse bisogno! E Cosimo sapeva grande era stato il suo spavento e così
da dove veniva. terribili le minacce che gli avevano
fatto. Era un •avvertimento (›ammo-
nimento‹) che davano a Cosimo, •e
solo (›come se ce ne fosse bisogno! E‹)
Cosimo sapeva da dove veniva - |lui, e
Michele| (›[−]‹).

B
Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza;
era una disgrazia anche quella. Un anno gli avevano incendiato l’aia, un altro
(← altro,) le vacche s’erano abbeverate a un acquitrino ed erano state colpite
dalla moria; un’altra volta suo figlio Gavino era stato trovato in una siepe di
fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da
una coltellata, dall’occhio al mento. Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era
mai saputo; il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il
suo spavento e così terribili le minacce che gli avevan (← avevano) fatto. Era
un ammonimento che davano a Cosimo, e solo ||lui|| sapeva da dove veniva
– lui (← lui,) e Michele.
270 michele boschino

p. 112:

15-24. Qualche volta portava… non avevano mai fine.]

D D1 D2
Qualche volta la portava con sé a ›Qualche volta la‹ Portava (← porta-
Monte Ulìa. Allora passavano dalla va) ›con sé‹ a Monte Ulìa, (← Ulìa.)
Cantoniera a prendere Anna e i bam- /Severina, una volta ogni quindici
bini, e andavano a fare il bucato in un giorni/ ›Allora‹ passavano dalla Can-
torrente che scorreva in quella sta- toniera a prendere Anna e i bambini;
gione sotto Orèsula, mentre Michele (← bambini,) e /le donne/ andavano
lavorava nel mandorleto. All’ora del a fare il bucato in un torrente che
pranzo Severina lo chiamava, e man- scorreva|,| in quella stagione|,| sotto
giavano tutti assieme vicino all’acqua. Orèsula, mentre Michele lavorava nel
|I bambini giuocavano| (›aErano bI mandorleto. All’ora del pranzo Seve-
bambini in mezzo‹) tutto il giorno in rina •mandava i bambini a chiamarlo
mezzo agli oleandri, andavano a fun- (›lo chiamava,‹) e mangiavano tutti
ghi nel bosco, ›e benché Severina [−] assieme vicino all’acqua. I bambini
avesse poco da dirsi con sua sorella‹ e giuocavano tutto il giorno in mezzo
la sera arrivava sempre troppo presto agli oleandri, andavano a funghi nel
per tutti. A casa invece certe giornate bosco, e la sera arrivava sempre trop-
non avevano mai fine. po presto per tutti. A casa invece •le
(›certe‹) giornate non avevano mai
fine.

B
Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta ogni quindici giorni
passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; e le donne anda-
vano a fare il bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto
Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severi-
na mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano tutti assieme vicino all’ac-
qua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano
a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa
invece le giornate non avevano mai fine.
Appendice 271

Capitolo XIII

pp. 114-115:

25-26/1-7. Ma bastava un ago … l’aria sottile della montagna.]

D D1 D2
Ma bastava un ago appuntato a capo- Ma bastava un ago appuntato al (← a)
letto, che gli rammentasse la camicia capoletto, •un ago che, con la gugliata
che aveva rammendato il giorno pri- bianca, le facesse pensare alla (›che gli
ma, la roncola dimenticata da Miche- rammentasse la‹) camicia che aveva
le dietro la porta di cucina, il solco rammendato il giorno prima, ||oppu-
lasciato dalla ruota del carro vicino al re|| la roncola •lasciata (›dimenticata‹)
cancelletto del cortile, perché tutto il da Michele dietro la porta di cucina,
suo essere fosse pieno di lui. Non lo /o/ il solco ›lasciato‹ della (← dalla)
vedeva né lo pensava distintamente, ruota del carro vicino al cancello (←
come quando faceva di lui un abitante cancelletto) /nella sabbia/ del cortile,
di Mamusa, ma lo sentiva come |sen- perché tutto il suo essere /balzasse e/
tiva| (›si sente‹) quell’aria sottile della fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo
montagna. pensava distintamente, come quando
faceva di lui un abitante2 di Mamusa;
(← Mamusa, ma) lo sentiva come sen-
tiva l’aria (← quell’aria) sottile della
montagna.

B
Ma bastava un ago appuntato al capoletto, un ago che, con la gugliata bianca,
le facesse pensare alla camicia che aveva rammendato il giorno prima, ›oppu-
re‹ bastava la roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il solco
della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del cortile, perché tutto il
suo essere balzasse e fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distin-
tamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come
sentiva l’aria sottile della montagna.

2
In D1: /abitatore/ abitante
272 michele boschino

Capitolo XIV

p. 121:

17-26. La zia Luisa…e riprese a cucire.]

D D1
Ma la zia |Luisa| (›Aurelia‹) e Aurelia La (← Ma la) zia Luisa e Aurelia cu-
cucivano, la più piccola delle bambi- civano, la più piccola delle bambine
ne dormiva |su una| (›in una‹) stuoia dormiva su una stuoia di sala ai piedi
di sala ai piedi della nonna, Caterina, della nonna, Caterina, la più grandi-
la più grandicella, ›[−]‹ cuciva anche cella, cuciva anche lei imitando sua
lei imitando sua madre, e l’altra, Lu- madre, ›e‹ l’altra, Luisicca, ›teneva in
isicca, teneva in una mano una fetta una mano una fetta di pane, nell’altra
di pane, nell’altra un grappolo d’uva un grappolo d’uva passa, e ogni tanto‹
passa, e ogni tanto staccava un boc- staccava /ogni tanto/ un boccone da
cone dalla fetta di pane e un chicco una (← dalla) fetta di pane e un chic-
dal grappolo, ma sembrava assorta co da un grappolo d’uva passa, e (←
come una persona grande in qualche dal grappolo, ma) sembrava assorta
pensiero, e guardava fuori dalla por- come una persona grande in qualche
ta aperta sul cortile. Era uno di quei pensiero›, e guardava fuori dalla por-
momenti di silenzio che passano sulle ta aperta sul cortile‹. Era uno di quei
case e prendono tutti, vecchi e bam- momenti di silenzio che passano sulle
bini. case e prendono tutti, vecchi e bam-
  Sempre con quel vivo senso di gio- bini.
ia che l’era nato, Severina abbassò di   Sempre •pervasa da (›con quel‹) quel
nuovo la testa e riprese a cucire. vivo senso di gioia che l’era nato, Se-
verina abbassò di nuovo la testa e ri-
prese a cucire.
Appendice 273

PARTE SECONDA

p. 197:

13-18. Così siamo in questa … oppure Donato.]

D D1
Così siamo in questa strana situa- Così siamo in questa strana situazio-
zione: non c’è nulla, tra il babbo e la ne: non c’è nulla, tra il babbo e la si-
signorina Airoli, ›all’inf‹ eppure io gnorina Airoli, eppure io mi sento a
mi sento a disagio, e so che gli altri disagio, e •soffro (›so che‹). Gli estra-
parleranno della cosa, non ci vedran- nei (← gli altri) parleranno della cosa,
no chiaro e finiranno per sparlarne. non ci vedranno chiaro e •chi sa mai
Solo un amico del babbo, ›un uomo‹ cosa finiranno per inventare (›finiran-
potrebbe parlargliene francamente, no per sparlarne‹). Solo un amico ›del
aprirgli gli occhi; oppure Donato. babbo‹ potrebbe parlar al babbo (←
parlargliene) francamente, aprirgli gli
occhi; oppure Donato.
274 michele boschino

pp. 212-213:

16-34/1-15. In questo momento…non ancora morto.]

D D1 D2
  Mi assumo io il peso e la conseguen-   Mi assumo io il peso e la conseguen-
za della bestemmia. Sono io stesso za della bestemmia. Sono io stesso
Michele Boschino. Sono io, disteso, Michele Boschino. Sono io, disteso,
non qui, nella mia camera, nel mio non qui, nella mia camera, nel mio
letto, ma sulla branda della rimessa. letto, ma sulla branda della rimessa.
Ritrovo in me l’abitudine antica della Ritrovo in me l’abitudine antica della
bestemmia. Se il secchio non viene su bestemmia. Se il secchio non viene su
facilmente dal pozzo, se la zappa s’im- facilmente dal pozzo, se la zappa s’im-
piglia in una radice più tenace delle piglia in una radice più tenace delle
altre e sono costretto a fare uno sfor- altre e sono costretto a fare uno sfor-
zo che rompe la mia resistenza fatta di zo che rompe la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se non riesco ad lentezza e di misura, se non riesco ad
aprire la porta, subito la bestemmia si aprire la porta, subito la bestemmia si
formula nel mio spirito, mi sale alle formula nel mio spirito, mi sale alle
labbra, pende minacciosa. Ed ecco labbra, pende minacciosa. Ed ecco
che subito il secchio sale docile dal che subito il secchio sale docile dal
pozzo, la zappa si libera dalla radice, pozzo, la zappa si libera dalla radice,
la porta cede, si apre. Le cose si fanno la porta cede, si apre. Le cose si fanno
sommesse e timorose intorno a me. sommesse e timorose intorno a me.
Ma non è questa improvvisa docilità Ma non è questa improvvisa docilità
delle cose che m’induce a bestemmia- delle cose che m’induce a bestemmia-
re; e neppure la lieve ebbrezza che mi re; e neppure la lieve ebbrezza che mi
dà la bestemmia. È una tentazione dà la bestemmia. È una tentazione
improvvisa, irresistibile. Bestemmie- improvvisa, irresistibile. Bestemmie-
rei anche se sapessi che la bestemmia rei anche se sapessi che la /mia stes-
può fulminarmi. La bestemmia mi sa/ bestemmia può fulminarmi. La
dà un senso di liberazione, di forza. bestemmia mi dà un senso di libera-
Spesso, quando penso ai casi della zione, di forza. Spesso, quando penso
mia vita, tutti legati l’uno all’altro ai casi della mia vita, tutti legati l’uno
come le maglie di una catena, e mi all’altro come le maglie di una cate-
trovo qui fermo, impotente, e penso na, e mi trovo qui fermo, impotente,
che un altro si gode i danari che mio e penso che un altro si gode i danari
padre e io abbiamo sudato, e che nulla che mio padre e io abbiamo sudato,
mi rimane più d’attendere dalla vita, e che nulla mi rimane più d’attendere
se non la minestra che quella putta- dalla vita, se non la minestra che quel-
na di Lavinia ruba in casa dei suoi la puttana di Lavinia ruba in casa dei
padroni per portarmela, anche allora suoi padroni per portarmela, anche
bestemmio. È un piacere sempre nuo- allora bestemmio. È un piacere sem-
vo. Non mi stanca mai. È un piacere pre nuovo. Non mi stanca mai. È un
simile a quello che si prova da giovani piacere simile a quello che si prova da
quando si prende la donna. Mi sem- giovani quando si prende la donna.
Appendice 275

bra di bestemmiare sempre per la pri- Mi sembra di bestemmiare sempre


ma volta. Per un attimo ho di nuovo per la prima volta. Per un attimo|,|
trent’anni. Sono giovane. Il passato ho di nuovo trent’anni. Sono giovane.
non ha importanza. Tutto è ancora Il passato non ha importanza. Tutto
da cominciare. Se riuscissi a trattene- è ancora da cominciare. Se riuscissi
re la forza di quell’attimo, avrei tut- a trattenere la forza di quell’attimo,
to ciò che avevo allora. Come allora avrei tutto ciò che avevo allora. Come
conterei i danari sotto la pianella della allora conterei i danari sotto la pianel-
mia stanza. Saprei quanti altri me ne la della mia stanza. Saprei quanti altri
porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne porterebbe il nuovo raccolto.
me ne mancano per comprare un al- Quanti me ne mancano per compra-
tro pezzo di terra. Penserei al grano re un altro pezzo di terra. Penserei
seminato, alla fioritura dei mandorli, al grano seminato, alla fioritura dei
alla vigna d’arare, al tempo che fa, al mandorli, alla vigna d’arare, al tempo
lino che mia moglie tesserebbe sotto che fa, al lino che mia moglie tesse-
il portico, a un bambino che dovrebbe rebbe sotto il portico, a un bambino
nascermi. Invece tutto è fermo, tutto che dovrebbe nascermi. Invece tutto
è arido. Io non ho più radici, sono è fermo, tutto è arido. Io non ho più
come un albero sradicato. Le foglie radici, sono come un albero sradica-
sono appassite, le radici all’aria, e non to. Le foglie sono appassite, le radici
sono ancora morto. all’aria, e non sono ancora morto.

B≠ M2
 Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Miche-
le Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sul-
la branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il
secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice
più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resi-
stenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la
bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa.
Ed ecco che ›subito‹ il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla
radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a
me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestem-
miare ||e in tentazione||; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia.
È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che
la mia stessa bestemmia ||può ricadere su di me all’istante e|| può fulminarmi.
La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso
ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena,
e mi trovo qui fermo, impotente; (← impotente,) e penso che un altro si gode
i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’at-
tendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in
casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere
sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova
da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per
la prima volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato
non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i
276 michele boschino

danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il
nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra.
Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna da arare (←
d’arare), al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse (← tesserebbe) sotto il
portico, a un bambino che deve (← dovrebbe) nascermi. Invece tutto è fermo,
tutto è arido. Io non ho più radici, sono ›come‹ un albero sradicato. Le foglie
sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

M2
 In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io
stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio
letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace.
Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una
radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che
la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che
il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre.
Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigine.
Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce in
tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di vino
a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma, come
chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa dell’esistenza,
ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni.
Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza
illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego, sentirei ancora il telaio
battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro
nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi v’aggiungerei al
nuovo raccolto, quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra.
I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano
seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto. E un
bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si aspetta la maturazione
di un frutto.
  Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente
si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un
albero sradicato e non ancora morto.
Appendice 277

p. 224:

7-13. Se ne avesse parlato … improntitudine giovanile?]

D D1
Se un altro avvocato, uno del mestie- Se ›un altro avvocato, uno del me-
re, gliene avesse parlato al mio posto, stiere, glie‹ne avesse parlato •con un
la questione di Boschino sarebbe po- altro avvocato, con uno del mestiere,
tuta diventare ciò che essi chiamano (›al mio posto,‹) la questione di Bo-
un caso elegante. Pura forma. Ma io, schino sarebbe potuta diventare ciò
che c’entro? Io sono un profano. Solo che essi chiamano un caso elegante.
l’improntitudine giovanile può aver- Pura forma. Ma io, che c’entro? Io
mi indotto a parlare di questo con sono un profano. Solo l’improntitu-
l’avvocato. Perché cos’è l’interesse dine giovanile •poteva (›può‹) avermi
morale, umano, disinteressato, se non indotto a parlare di questo con •lui
improntitudine giovanile? Solo per (›l’avvocato‹). Perché cos’è l’interesse
un momento l’avvocato Colliva può morale, umano, disinteressato, se non
essersi abbandonato a pensare che io improntitudine giovanile? ›Solo per
parlassi con lui di cose serie. E passato un momento l’avvocato Colliva può
quel momento, io sono tornato per essersi abbandonato a pensare che io
lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha parlassi con lui di cose serie. E passato
battuto sulla spalla dicendo come al quel momento, io sono tornato per
solito: «Beh! Come va?». lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha
battuto sulla spalla dicendo come al
solito: «Beh! Come va?».‹
Appendice B
M1   Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942.
Avantesto

Studi per Michele Boschino1

descrizione del quaderno


1
Il primo quaderno di abbozzi (Q - GD.1.2.1) reca nella copertina illustrata il
titolo Studi per Michele Boschino. Esso è a righe e il testo – composto verosi-
milmente tra il 1939 e il 1942, generalmente in pulito e con poche correzioni
autografe a penna e a matita rossa – è contenuto entro sei carte numerate nel
recto e in cifre arabe da mano aliena (probabilmente del catalogatore). Ogni car-
ta misura 204x150 mm. La scrittura, di una mano, è distribuita su 22 righe nel
recto e nel verso, tranne la carta numerata 6, il cui specchio è contenuto nelle 21
righe; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta
con un inchiostro nero. Il tratteggio, morbido, si caratterizza per l’ampio cali-
bro dei caratteri e per gli allunghi sopra la media. Il ductus appare uniforme per
intensità, ampiezza ed altezza. Lo stato di conservazione del testimone è buono.
Q – Copertina
Appendice 283

Sabina si legò il grembiale alla vita, si fasciò il mento con


le cocche del fazzoletto rimboccate l’una sotto l’altra in
modo da lasciare appena scoperta la bocca, e si pose sulla
testa la corba vuota. Dritta come un fuso, con i neri vestiti
vedovili che la facevano apparire anche più magra, fece un 5
mezzo giro su se stessa, e con una sola occhiata ispezionò la
stanza prima di uscire e chiudere la porta: il tavolo spaccato
e lustrato per tutta la lunghezza e annerito dal tempo, le
rustiche seggiole contro il muro, i ‹ventagli› di cartoline
illustrate sotto le rotonde paniere grandi come ruote di car- 10
ro e infiocchettate di sbiaditi nastri di lana, i cesti d’aranci
da portare // a vendere ad Acquapiana il giorno dopo. Girò
due volte la grossa chiave nella toppa, scosse la porta per
vedere se fosse chiusa a dovere. Un’occhiata al cancelletto
del portico del forno, alla legnaia, sempre diritta, alle fine- 15
stre delle case prospicienti al vasto cortile scosceso e roso
dalle piogge, poi, sempre tenendo in equilibrio la corba sul-
la testa, con un movimento da acrobata si chinò rapida e
nascose la chiave in un buco del muro a livello del suolo. I
suoi occhi chiari come quelli delle capre nel viso segnato da 20
una costante volontà di difesa e, in quel momento, da un
pensiero che l’assorbiva e stimolava tutte le sue energie di
donna // abituata a difendersi da sola in un mondo malevo-
lo o nemico, diedero intorno un’altra occhiata sospettosa.
Calcolò l’ora, il tempo che avrebbe impiegato ad arrivare 25

1. vita, si fasciò] vita, ›alo bs’aggiustò il fazzoletto sotto‹ si fasciò     3. si


pose] •si pose (›portandosi‹)     6. ispezionò] |ispezionò| (›‹abbra›‹)     7.
porta: il tavolo] porta: ›Sabrina non aveva mai visto un teatro‹ il tavolo     
8. e lustrato] /.e lustrato/     8-9. le rustiche seggiole] ›ae le, bgli cseggi‹ le
rustiche seggiole     11. nastri di lana, i cesti] |nastri| (›‹stracci›‹) di lana,
›la grande [−]‹ i cesti     13. grossa] /grossa/  ◆  toppa, scosse] toppa, ›se
la infilò nella cintura‹ scosse     15. del portico] del ›forno‹ portico  ◆  alla
legnaia] ›[−]‹ alla legnaia  ◆  diritta] ›[−]‹ diritta     16. al vasto cortile] al
›cortile‹ vasto cortile     17. tenendo] ›con‹ tenendo     18. movimento da
acrobata] movimento |da acrobata| (›rapido da acrobata‹)  ◆  rapida] /ra-
pida/     20. capre nel] capre ›[−]‹ nel     23-24. malevolo o nemico] |male-
volo| (›nemico‹) o ›[−]‹ nemico     25. arrivare] |arrivare| (›andare‹)     
284 michele boschino

all’orto di Battista Aricutu, e quello che ci avrebbe messo


Carmela a tornare dal fiume. Le premeva tornare a casa pri-
ma della figlia minore in modo da mandarla, come le sere
precedenti, in casa di sua sorella Rosa. Per ora era bene che
5 i Giovanni Batrila non trovasse in casa altri che lei e Lucia-
na. Voleva però parlare con Erica, quella sera, e prevenirla,
perché sentiva che la tempesta stava per scoppiare. Erica,
bisognava prevenire, e anche le sorelle: Rosa, Lucia e Anna,
perché a loro volta // lavorassero i loro uomini, se no, que-
10 sta volta, non avrebbe evitato le legnate che suo zio Martino
le aveva promesso. Sfortunatamente una donna non può
far nulla senza dar conto ai parenti. Lei se n’era sempre in-
fischiata, e aveva sempre fatto ciò che le era tornato utile,
ma pure bisognava, almeno in apparenza, sottomettersi, se
15 si voleva vivere in pace. Eppoi essa aveva bisogno del loro
aiuto. Dell’aiuto di tutti i parenti, femmine e maschi.
Uscì dal cortile, chiuse anche, con cura, il cancelletto di
legno, e nascose la chiave in un buco del muro, dalla parte
interna, passando il suo magro braccio tra le stecche, ben-
20 ché chiunque, salendo, potesse entrare nel cortile // scaval-
cando l’altro cancello, largo come una porta carraia, e da
cui appunto, in altri tempi, entrava il carro, quando viveva
il marito. Ma non nessuna casa di Ruinalta aveva porte che
non si potessero buttar giù con una spallata, cancelli che
25 non si potessero scavalcare. Le serrature dei cancelli erano
le stesse di cento, di mille, di duemila anni fa: serrature di
legno, con chiavi di legno a due o tre denti, che poteva-
no essere facilmente sostituite dalle dita con l’aiuto di uno
stecco manovrato abilmente. Se non che, chiudere una por-
30 ta, o un cancelletto, non significa altro, per la // gente di
Ruinalta che, chiudere un circolo magico entro il quale ci si
sente al sicuro. Non è un simbolo. È molto di più. Dentro

1. ci] /ci/     1-2. messo Carmela] |messo Carmela| (›impiegato Carme-


la‹)     4. di] di (›del‹)  ◆  Per] ›[−]‹ Per     8. le] le (›gli‹)     9-10. se no,
questa] se no, ›|l’avrebbero| (›l’avrebbe‹)‹ questa     16-17. maschi. Uscì]
maschi. ›Chiuse anche con cura il cancell‹ Uscì     19. stecche] stecche
›di legno‹     21. l’altro] |l’altro| (›il‹)     23. non nessuna] non ›[−]‹ nessu-
na     27. legno, con chiavi] legno, ›usate certo dagli antichi che si poteva-
no‹ con chiavi   
Appendice 285

il circolo magico si dorme sicuri, e si può lasciare sicuri la


propria casa, nella quale resta sempre una parte della nostra
anima mentre noi siamo assenti. Noi possiamo andare su le
strade con una corba in testa, guardare la gente, salutare e
rispondere ai saluti, comprare e vendere, ascoltare e rispon- 5
dere, e la nostra anima sta seduta nella casa, come un odore
che un soffio di vento può portarsi via, seduta al sicuro al
centro del circolo.
Sabina passò davanti alle // finestre di Maurilia Cabras e
diede un’occhiata rapita e penetrante, ma di quelle occhia- 10
te che penetrano da uno spiraglio e girano tutta la casa e
guai se incontrano qualcuno perché lo colpiscono diritto
al cuore e per un momento gli troncano il respiro. Guardò
una dopo l’altra le finestre. In una sala c’era luce: quella del
salotto. Sabina sapeva che lì stavano i ragazzi e le ragazze, la 15
sera, a ricamare, a scrivere, a giocare a dama o a poker, Giu-
lia, Ines, Paolo, Emanuele… mentre la vita vera si svolgeva
nelle stanze in fondo che davano all’altra strada. Quelle fi-
nestre erano più alte e protette da inferriate. Non si vedeva
dalla strada la famiglia della vedova // Maurilia Cabras in- 20
torno alla tavola riccamente imbandita, né si vedeva la ricca
e fonda cucina, né le stanze piene di ogni ben di dio. Qui
nella stanza illuminata, rivedeva il soffitto dipinto, i tendag-
gi, il gambo del lampadario sotto il quale stava, Sabina lo
sapeva, una tavola tonda sul [sic] quale Eugenia posava il 25
suo cestino da lavoro e Ines ed Emanuele i loro libri e i loro
quaderni. Gli altri stavano seduti sul sofà. Domani o dopo
avrebbero saputo che loro cugino, Giovanni Babila, figlio
di Edoardo Babila e di Alina Erides, unico erede s’era fi-
danzato con Luciana Zae. // La tempesta sarebbe scoppiata. 30
Ma Sabina è abituata alle tempeste è abituata alla siccità.
Non teme nulla. Quando la gente si sarà sfogata ben bene,

13. al cuore…troncano] al cuore /e per un momento/ gli |troncano| (›dan-


no‹)     15. ragazzi e le ragazze] ragazzi ›la sera a‹ e le ragazze     16. a rica-
mare] a |ricamare| (›giocare‹)     16-17. Giulia, Ines, Paolo, Emanuele…]
/Giulia, Ines, Paolo, Emanuele…/     20-21. intorno alla tavola] |intorno
alla tavola| (›a tavola‹)     25. posava] |posava| (›teneva‹)     29-30. s’era fi-
danzato] ›[−]‹ s’era fidanzato     31. è abituata] ›com’‹ è abituata     
286 michele boschino

questo fatto rimarrà: Luciana fidanzata a Giovanni Babila,


Giovanni Babila compromesso, impegnato, e tutti i parenti
di lei, Sabina, e del suo povero marito, maschi e femmine,
impegnati a difendere l’onore della famiglia. Chi sa! Sabina
5 aveva, su questo punto, i suoi dubbi; ma tuttavia qualcosa
sarebbe rimasta: il ragazzo era già fin troppo legato, «cotto»
era, e non capiva più nulla. Non avrebbe mai immaginato
che sua figlia potesse far perdere // la testa a un uomo, né
che un uomo potesse perderla a quel modo. Lei era avvez-
10 za a vedere gli uomini infoiati sì, ubriachi di desiderio, ma
non pazzi come questo. Perché era pazzo, così tranquillo,
discreto, e risoluto a non lasciarsi smuovere nei suoi pro-
positi. Sembrava che neppure la desiderasse, Luciana. Lei,
Sabina, non sapeva cosa facevano quand’erano soli, ma
15 tutto lasciava pensare che Luciana dicesse la verità quando
affermava che non le aveva mai messo le mani addosso. Di-
ceva di voler fare scuola a Luciana, e le aveva portato libri e
quaderni. Pazzo era. Un pazzo quieto. E // lei non era don-
na da lasciarsi sfuggire un’occasione simile. V’erano nove
20 probabilità su dieci che la cosa non riuscisse: ma v’era pur
sempre, su dieci, una probabilità. E se anche qualcosa, Dio
non voglia, fosse successa alla ragazza… Ma a questa pro-
babilità Sabina non vuol neppure pensare. È troppo sicura
di sé, e oramai è troppo tardi, in tutti i casi, per metterlo
25 fuori dalla porta.
In casa Babila tutte le finestre sono spente. Questa è la
finestra dello studio di Edoardo, questo il salotto, questa la
stanza da lavoro di Alina.

10. ubriachi] ›ma‹ ubriachi     17. e le aveva] e /le/ aveva     26. spente] /


chiuse/ spente     27-28. Edoardo, questo…Alina] Edoardo, ›che [−]‹
questo il salotto, questa la stanza da lavoro •di (›dove‹) Alina ›andava a
sedersi la sera‹
Appendice C
P   «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile 1941) - Copertina.
Appendice 289

«Primato. Lettere e arti d’Italia»


[II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11 (P)]

il cui testo corrisponde, con alcune difformità redazionali, in


larga parte al VI capitolo del romanzo, con brani, sempre par-
zialmente modificati, del X.

M2 P
X Michele Boschino
di Giuseppe Dessì

Per questo, quando sua madre fece Quando Michele seppe da sua madre
quell’insinuazione maligna attribuen- ciò che la gente an­dava dicendo sul
dola alle chiacchiere della gente, Mi- suo conto, non ci fece nessun caso,
chele finse di non aver sentito. Cosa né s’addolorò per il fatto che lei gli
potevano sapere, la gente e sua madre, ripetesse quelle parole: «Dicono che ti
di Severina? Chi la conosceva meglio sei messo a far l’amore con una poco
di lui? Eppoi capiva bene che era tut- di buono». Aveva anche capito che
to un trucco di Maddalena per farlo sua madre si pentiva di quelle parole
parlare. Nessuno sapeva nulla, nes- proprio mentre gliele ridiceva, e che
suno. “Eh no!” disse egli tra sé come ciò nonostante era pronta ad appro-
se rispondesse a sua madre, “Eh no! fittare del loro effetto per sa­pere. «Eh,
Lo saprete quando vorrò dirvelo io. no!» disse tra sé Michele «lo saprete
Domani, forse. Forse anche domani, quando vorrò dirvelo. Domani, forse.
forse tra una settimana. Ma ora no”. Forse domani stesso. Forse tra una
Era estranea a questo proposito l’in- settimana. Ma ora no». Era estranea
tenzione di punirla per quelle parole a questo pro­posito di tacere l’inten-
imprudenti. Non voleva parlare di Se- zione di punire sua madre per quel­
verina con nessuno, non poteva. Era le parole. Non aveva nessun rancore,
certo che Severina non aveva ancora ma non voleva par­larle di Severina,
detto nulla neppure a sua sorella; e per ora. Era certo che Severina non
anche lui voleva fare lo stesso con sua ave­va detto nulla a sua sorella di ciò
madre. Non solo gli estranei non do- che era accaduto tra loro nel capanno;
vevano sapere nulla prima del tempo, e anche lui voleva mantenere il segre-
ma neppure la gente di casa. Voleva to. Dire il nome della ragazza, in quel
continuare a pensare tutto solo a quel momento, sarebbe sta­to, per lui, come
fatto ch’era accaduto. Era padrone di fare un’aperta confessione. Quando
tenersi ancora quel segreto, di nutrir- aveva fantasticato, prima, che al po-
lo dentro di sé. E questa possibilità gli sto di Severina ci fosse An­gela, aveva
dava un piacere intenso. immaginato ciò che la gente avrebbe
290 michele boschino

  Se pure era rimasto, in fondo a que- detto di un’Angela nuova, sconosciu-
sta stanchezza e a questo avvilimento, ta, egli non faceva altro che medicare
un istinto tenace che lo legava alla vita,
la sua vecchia ferita; ma della gente
egli non lo aveva sentito che come un non gliene importava nulla. Non gli
torbido e indeterminato bisogno di importava di quello che dicevano
rivolta. E contro chi? Forse contro la ora che non sapevano ancora nulla di
gente di Sigalesa, forse contro suo pa-preciso, e inventa­vano una quantità
dre stesso, che se n’era andato così, in
di storie per arrivare a scoprir la ve­
silenzio, portandosi via il meglio del-rità, né di quello che avrebbero detto
la vita. Quando, allontanandosi pian poi. Ora sentiva sol­tanto fastidio della
piano nel tempo, dietro le piogge e gente, e voleva pensare tutto solo a
le nebbie dell’inverno, quegli avveni- Se­verina e a quello che era capitato.
menti che l’avevano sconvolto, sentì Era padrone di tenersi quel segreto, di
ripullulare la vita, non dentro ma nutrirlo dentro di sé. Nessuno poteva
fuori di sé, in quel campo che aveva im­pedirglielo. Questa possibilità gli
arato e seminato senza fiducia, nel dava un piacere intenso, ma indipen-
quale s’era rifugiato come un animale dentemente dai possibili commenti
ferito che cerca un luogo solitario perdella gente. Quando suo padre, tanti
lasciarsi morire in pace, in quel granoanni prima, era stato arrestato, tutti,
che veniva su rigoglioso nonostante tranne i parenti di Salvatore e di Be-
la cattiva annata, un senso di salute nedetto, si era­no schierati dalla sua
e di calma cominciò pian piano a ri- parte mostrando chiaramente quale
storarlo, qualche cosa che era ancora fosse la loro opinione, tutti avevano
fuori di lui, nel vento che passava sul-
avuto una parola di commiserazione
le spighe come una mano, nel tepore per Maddalena e per lui. Nel dolo-
dell’aria. Amava già, allora, il poderere s’e­rano sentiti confortati da quel
di Monte Ulìa, ma come si ama un consenso, da quella simpa­ tia della
luogo che bisogna lasciare. gente. La gente allora era importante,
  La gioia di rivedere Severina si con-per Miche­le. Ciò che la gente pensa-
fuse con questo senso di salute e di va e diceva aveva un significato, per
calma della stagione. Egli non l’avver-lui. E la gente erano i parenti di sua
tì neppure. Pensava invece ad Angela. madre, lo zio Teo­doro e la zia Luisa,
Anche con lei avevano cominciato che venivano a sedersi in cucina per
a salutarsi e a sorridersi senza nes- tener compagnia a Maddalena, erano
suna ragione al mondo. Immaginò le vicine di casa, che in quei giorni di
come sarebbe stato bello se, al posto lutto non cantavano più quando si
di quella sconosciuta, ci fosse stata mettevano al telaio o a far la farina,
Angela, ma venuta anche lei di fuori, erano le donne sedute davanti alle
da un paese lontano, e che nessuno di porte del vicolo, che lo salutavano in
Sigalesa l’avesse mai vista prima, che silenzio quando lui passava, e parla-
nessuno potesse dire d’averle sfiorato vano sotto voce tra loro, erano tutti
una mano. quelli che conosceva soltanto di vista
e che, in quella occasione, con una
VI parola, con un saluto o anche tacendo
mostravano di sapere che suo padre
Quando suo padre, tanti anni pri- era innocente. Allora la sua certezza
ma, era stato arrestato, tutti, tranne che suo padre venisse messo in libertà
Appendice 291

i pochi amici di Salvatore e di Bene- dopo il processo, s’era fondata sopra-


detto, s’erano messi dalla sua parte, tutto in questa solidarietà della gente.
tutti dicevano che aveva fatto bene a I giudici non avrebbero dovuto fare
difendersi. Nella disgrazia, lui e sua altro che informarsi, chiedere a tutto
madre s’erano sentiti confortati da il paese come erano andate le cose, chi
quel consenso, da quella solidarietà era Giuseppe Boschino. Ma cosa vera-
della gente. La gente allora era mol- mente va­lesse l’opinione della gente si
to importante per lui. Gli parevano vide poi al processo. Tutti quelli che
tutti amici. Non solo la zia Luisa e lo erano stati chiamati a testimoniare
zio Teodoro con Aurelia e Marietta in favore di Giuseppe non avevano
venivano a sedersi in cucina, la sera, saputo sostenere là nell’aula ciò che
a tener compagnia a Maddalena, ma avevano detto fino al giorno prima.
anche i vicini di casa. In quei giorni Nessuno disse neppure la cosa più
di lutto, in tutto il rione, le donne semplice, di cui tutti erano convinti,
non cantavano più, quando si mette- che Giuseppe era un uomo mite, che
vano al telaio o a far la farina. Sedu- ì suoi fratelli erano dei violenti, che
te in crocchio davanti alla porta, nel lui non aveva mai alzato la mano su
vicolo, lo salutavano quando passava nes­suno, prima d’allora, mentre i
coi buoi per portarli all’abbeverata, fratelli già altre volte lo avevano pic-
e parlavano sottovoce della disgrazia chiato a sangue. Nessuno aveva detto
che aveva colpito Giuseppe. Anche che Giu­seppe aveva colpito solo per
le persone che conosceva soltanto di difendersi. Nessuno. Sem­ brava che
vista, con un saluto, con un sorriso, o quel lugubre apparato di toghe, di pa-
anche tacendo, mostravano di sapere, role incom­prensibili, di gendarmi, e il
gli testimoniavano la loro solidarietà. chiuso stesso di quelle aule avessero
In quei giorni trovava facce amiche insinuato un sospetto di colpevolezza
dappertutto, anche fra gli estranei. La che prima non aveva neppure sfiorato
certezza che suo padre venisse messo le loro menti. Davanti al ban­co, i testi-
in libertà dopo il processo s’era fon- moni si limitavano a rispondere sec-
data soprattutto su questa solidarietà chi secchi alle domande che venivano
della gente. I giudici non avrebbero loro rivolte da quei signori togati, i
dovuto fare altro che chiedere a tutto quali sorridevano tra loro inchinan-
il paese com’erano andate le cose, chi dosi e facevano la fac­cia severa e grave
era Giuseppe Boschino. Ma proprio quando si rivolgevano ai testimoni.
al processo si vide poi che cosa valesse Ave­vano la faccia severa della legge,
questa simpatia e fin dove arrivasse sconosciuta e terribile, della legge che
questa solidarietà. Tutti quelli ch’era- sta per colpire un uomo che fino al
no stati chiamati a testimoniare in fa- giorno prima era occupato ad arare
vore di Giuseppe non avevano saputo tranquillamente il suo campo, dalla
sostenere, là nell’aula, ciò che avevano legge che può colpire tutti, come un
sempre pensato; nessuno disse la cosa colpo di acci­dente. Non era la prima
più semplice, quella che i giudici stes- volta che si vedeva un testimonio ca-
si forse ammettevano, che Giuseppe dere nelle mani della Giustizia solo
era un uomo mite, che aveva colpito per essersi contrad­ detto. Bisognava
per difendersi, mentre i fratelli erano stare bene attenti a non dire la veri-
violenti e caparbi e già altre volte lo tà intera, ma solo quei fatti che tutti
avevano picchiato a sangue. Davanti sanno, e che, nell’opi­nione comune,
292 michele boschino

al banco, si limitavano a rispondere s’accordano tra loro, dire il minor


secchi secchi alle domande che veni- possibile di fatti, dire soltanto sì e no,
vano loro rivolte da quei signori toga- possibilmente. I testimoni della difesa
ti, i quali sorridevano tra loro inchi- non difendevano Giuseppe, badavano
nandosi ma facevano la faccia severa a met­tere al riparo se stessi, prima di
e grave quando si rivolgevano ai testi- tutto, a non tirarsi addosso dei guai.
moni. Avevano la faccia severa della Per questo erano stati molto pruden-
legge, della legge sconosciuta, terri- ti anche con l’avvocato difensore. La
bile, della legge che può colpire un loro opinione era una cosa, la Giusti-
uomo che fino al giorno prima arava zia un’altra. Anche l’avvocato faceva
pacificamente il suo campo, della leg- parte della Giustizia, in fondo, parlava
ge che può prendere tutti come un come gli altri e aveva la stessa faccia
colpo d’accidente. Non era la prima degli altri.
volta che si vedeva incriminare un   Se Michele non lo avesse conosciu-
testimonio solo per essersi contrad- to prima, non a­vrebbe certo capito
detto. Bisogna stare attenti a non dire che era lui che doveva difendere suo
la verità tutta intera, ma solo quei fatti padre. L’avvocato disse cose stranissi-
che s’accordano con altri già provati e me sul conto di Giu­seppe. Disse che
accettati. I testimoni della difesa non Giuseppe era un uomo fiero, di quegli
si preoccupavano di Giuseppe, bada- uomini di tempra antica che formano
vano a mettere al riparo se stessi, a il fiore della razza del Centro; e mol-
evitare domande pericolose, e quando te altre cose che Michele non poteva
potevano si limitavano a rispondere ca­pire e che nessuno degli abitanti di
soltanto sì e no, per non tirarsi addos- Sigalesa chiamati in città per il pro-
so guai. La loro opinione era una cosa, cesso poteva capire. Ma la colpa non
la Giustizia un’altra. Anche l’avvocato era dell’avvocato. Michele se ne rese
difensore, in mezzo a quell’apparato conto subito che la colpa non era
di toghe e di gendarmi, aveva la stes- dell’avvocato. Neanche a lui i testi-
sa faccia severa di quegli altri signo- moni della di­fesa avevano detto le sole
ri, e disse sul conto di Giuseppe cose cose che importava dire, neanche con
stranissime. Disse, per esempio, che lui avevano osato accusare Salvatore e
Giuseppe era un uomo fiero, di quegli Benedetto, per­ché avevano capito che
uomini di tempra antica che formano egli si sarebbe valso delle loro pa­role e
il fiore della razza del Centro; mentre li avrebbe costretti a ripeterle, quelle
Giuseppe, in realtà era soltanto mite parole, nel­l’aula del tribunale, in fac-
e saggio. E Michele, quando poi restò cia a tutti. Ora, cosa c’entravano loro,
solo con Maddalena, che non poteva con la Giustizia? Eppoi, ammettendo
patire l’ingiustizia subita e continua- anche che Giu­seppe venisse assolto,
mente imprecava contro l’avvocato, Giuseppe era un uomo mite, mentre
che aveva voluto i suoi onorari ben- Salvatore e Benedetto non avrebbero
ché non fosse riuscito a far nulla, e perdonato chi li a­vesse accusati. Que-
contro i giudici, e contro i testimoni, sto avevano fatto i testimoni di dife-
e contro i falsi amici, cercava rifugio sa, la gente. E un mutamento ancora
e conforto nel ricordo di quella sag- più strano Michele lo aveva notato
gezza. La colpa non era dell’avvocato, dopo la condanna. C’era ancora chi
egli lo sapeva bene. Se n’era reso con- commi­serava Giuseppe, e forse since-
to subito, di questo. Neanche a lui i ramente, che tanto non co­stava nulla;
Appendice 293

testimoni della difesa avevano detto le ma tutti quelli che avrebbero dovuto
sole cose che importava dire: non osa- testimo­niare in favore di suo padre,
vano accusare apertamente Salvatore non guardavano più in faccia, ora, ne
e Benedetto. Sapevano che l’avvocato lui né Maddalena, come se si fossero
si sarebbe valso delle loro parole e li dati una pa­rola d’ordine. Non si par-
avrebbe costretti a ripeterle nell’aula. lava più dell’innocenza di Giu­seppe.
Ora, con Salvatore e Benedetto Bo- L’opinione che tutti si erano fatti del
schino non c’era tanto da scherzare. gesto violento a cui Giuseppe era stato
Non erano uomini di buona pasta tratto dall’improntitudine dei fra­telli,
come Giuseppe, quelli. Ecco cosa ave- ora non contava più: contava la sen-
vano fatto i testimoni della difesa, la tenza del tribuna­le. La gente, che non
gente! credeva alla Giustizia, aveva finito per
  Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla ,
accettare la condanna come una cosa
deposizione di Antonio Màsala, o da giusta. Lui e sua madre furono messi
qualche altro indizio, si scopriva che da parte. In ogni occasione Maddale­
c’erano anche Cosimo Aneris e lui, na ricordava la sua disgrazia: «Sono
quella sera? O se la stessa persona una donna sola, sono come una ve-
che aveva avvertito Antonio Màsala dova, e tutti vogliono approfittare di
faceva la spia? Chi lo avrebbe difeso? me p. La gente si stancava di questi
Chi avrebbe creduto che lui stesso piagnistei continui, e Madda­ lena
aveva subìto una violenza? Meglio sempre più si accaniva, s’arrovellava
non pensarci neppure. Non contava per l’indifferen­za della gente. E anche
nulla essere onesti e miti come suo Michele, sentendo sua madre con­
padre. Nulla! Quando Giuseppe era tinuamente così agitata, stava con
stato portato lontano, in una città del tutti sulla difesa, in so­spetto, e tutti,
Continente, per scontare la sua pena, anche i parenti dì sua madre, finivano
mentre Salvatore e Benedetto conti- per allontanarsi da loro.
nuavano pacificamente la loro vita di   Anche allora la gente aveva per lui
sempre, non si parlava più, in paese, una grande importanza: erano tut-
dell’innocenza di suo padre. La gente, ti nemici, tutti contro di loro. Poi,
che pure non credeva alla Giustizia, quando suo padre, dopo due anni
aveva finito per accettare la sentenza di carcere era tornato in paese, con
come una cosa giusta, e si stancavano meraviglia Michele lo aveva trovato
dei piagnistei e delle recriminazioni sereno come un tempo, persino alle-
di Maddalena. Persino i parenti se ne gro, come se la disgrazia non lo aves-
stancavano. E loro due erano rimasti se neppure toccato; e con meraviglia
soli come un orfano e una vedova, tra ancora più grande lo ascoltava dire,
l’indifferenza di tutti, sempre sul chi quando Maddalena o lui stesso gli
vive, come bestie selvatiche. «Aspetta raccontavano i torti che avevano subi-
che tuo padre rimetta piede in paese, to da parte dei finti amici, che la gente
e poi vedrai che fine fanno quei cani» aveva ragione a non volersi immi-
diceva Maddalena. «Anche se poi me schiare in una faccenda che la riguar-
lo riportano via per sempre non me dava, che alla gente non bisognava
ne importa, ma la devono pagar cara». mai chiedere niente. «Cosa possono
Ma quando suo padre, dopo due anni fare, la gente?» diceva. Se io mi rom-
di carcere, era tornato, Michele lo po una gamba «Se io mi rompo una
aveva ritrovato sereno e tranquillo gamba, cosa ci possono fare, gli altri?
294 michele boschino

come un tempo, e persino allegro, Il male non l’Ho fatto a Benedetto,


come se la disgrazia non l’avesse nep- quando gli ho dato il colpo di zappa:
pure sfiorato. Che sollievo era stato a me l’Ho fatto, e a mio figlio». «E a
quel ritorno, per Michele! Com’era ri- me no?» diceva Maddalena. «Sicuro,
diventata subito facile e serena la vita! anche a te» ammetteva Giuseppe so-
«Cosa ci possono fare, la gente?» di- prapensiero. Non serbava rancore a
ceva Giuseppe. «Se io mi rompo una nessuno. Era lui il primo a salutare
gamba, cosa ci possono fare gli altri? le persone che incontravano, anche i
Il male non l’ho fatto a Benedetto, testimoni che non avevano osato dire
quando gli ho spaccato la testa, l’ho una parola in suo favore per paura di
fatto a me, a te, poveretta, e a questo Salvatore e di Benedetto; si fermava a
innocente». Non serbava rancore. Era parlare, chiedeva notizie della salute,
lui il primo a salutare le persone che della famiglia. E quelli, allegri, espan-
incontrava, anche i testimoni che, per sivi, amici come prima del processo;
paura di Salvatore e di Benedetto, non salutavano con la stessa cordialità an-
avevano osato dire una parola in suo che Michele, come se anche lui fosse
favore; si fermava a parlare, chiede- stato via dal paese in quei due anni.
va notizie della salute, della famiglia, Così era fatta la gente. Solo i fratelli
degli affari. E quelli, allegri, espansi- non aveva voluto rivedere, Giuseppe,
vi, amici come prima; e con la stessa benché gli avessero mandato a dire
cordialità salutavano Michele, come che desideravano venire a salutarlo;
se anche lui fosse stato via dal paese non perché serbasse rancore; ma per
in quei due anni e lo rivedessero per prudenza. Era pericoloso parlare con
la prima volta. Così era fatta la gente. loro non erano come la gente estranea
Solo i fratelli non aveva voluto che può dire e far ciò che vuole senza
rivedere, Giuseppe, benché gli aves- toccarci: con loro una parola poteva
sero mandato a dire più volte che attirarne un’altra impreveduta, non si
desideravano salutarlo; non perché sapeva mai dove si andava a finire. E
serbasse rancore, ma per prudenza. Michele sentiva che suo padre faceva
Era pericoloso parlare con loro. Una bene a essere indifferente, riguardo
parola, anche innocente, poteva tirar- agli estranei invece di prendersela
ne un’altra, non si sapeva mai dove come Maddalena. «Ora tutto è finito»
s’andava a finire. Meglio ognuno per diceva Giuseppe «bisogna dimenticar
suo conto, una volta per sempre. tutto». Sentiva che aveva ragione, ma
  Così era cresciuto, all’ombra di que- non poteva far a meno di chiedersi, in
sta tranquilla saggezza, la cui luce gli certi momenti, perché tutti si fossero
pareva di scorgere ancora negli occhi comportati così, perché tutti erano
del morente che ogni tanto si vol- stati così ingiusti.
gevano a lui dal viso immobile. Era   La sua giovinezza era così cresciuta
cresciuto come un pollone giovane ai all’ombra di quella tranquilla saggez-
piedi di un grande albero. Lavorare za. Il dolore e la mortificazione s’era-
in campagna con lui, come quando no dissipati. Lavorare in campagna
era bambino, trattare con le persone con suo padre, trattare con le persone
con cui lui trattava, ritrovare sempre, con cui lui trattava, ritrovare sempre
dovunque, in tutti, la sicurezza, la in lui la stessa sicurezza, la stessa fidu-
fiducia, la simpatia perfino che veni- cia rendere la vita facile e piacevole.
vano da lui, rendeva la vita agevole e Senza accorgersene, egli lo imitava
Appendice 295

lieta a Michele. Non cercava amicizie persino nei gesti. S’era trovato a con-
e neppure gli svaghi dei giovani della trastare per la prima volta con suo
sua età. Si sarebbe detto che avesse la padre quando si era innamorato di
stessa età di suo padre, tanto era si- Angela. Ma neanche allora la sua fidu-
mile a lui anche nei gesti. Ora egli ri- cia era venuta meno. Ciò ch’era segui-
andava con la memoria a quegli anni to, quei fatti inesplicabili che avevano
uguali e tranquilli; e, con dolore, pen- come arrestato lo svolgersi sereno
sò alla prima volta che s’era trovato a della sua vita, invece di scuotere la sua
contrastare con suo padre. Era stato fiducia in lui l’avevano rafforzata. Suo
quando s’era innamorato di Angela. padre arrivava a vedere ciò che non
Eppure neanche allora la sua fiducia vedeva lui, ciò che non vedeva sua
era venuta meno. Ciò ch’era seguito, madre, capiva ciò che gli altri avreb-
i fatti inesplicabili che avevano inter- bero voluto tener segreto nella loro
rotto lo svolgersi tranquillo della sua anima. Un senso di vago timore s’im-
giovinezza, invece di scuoterla, quella padroniva di Miche quando gli veniva
fiducia, l’avevano rafforzata, l’aveva- a mancare la compagnia di suo padre,
no resa necessaria alla sua vita. Suo quando si trovava solo in mezzo agli
padre arrivava a vedere ciò che non estranei. Allora, pensava che essi sa-
vedeva lui, sapeva leggere nell’animo pevano sul suo conto più di quanto
degli altri, ne conosceva i riposti pen- egli stesso non sapesse sul conto loro,
sieri. Un vago senso di timore s’impa- sapevano, che Angela lo aveva ingan-
droniva di lui quando era lontano da nato. Lo sapevano anche quando egli
Giuseppe, come se il ricordo di quei era stato sul punto di sposarla. E se
due anni passati in paese tra l’ostilità suo padre non gli apriva gli occhi, egli
della gente si ridestasse dal profondo la sposava e non avrebbe mai saputo
del suo essere. Quando il vecchio non ciò che tutti gli altri sapevano di lei.
c’era, sentiva, come allora, tutti osti- Anche allora la gente aveva per lui
li intorno. Forse gli altri sapevano di una grande importanza. Egli la teme-
lui più di quanto egli non sapesse di va, la gente. Per lungo tempo aveva
loro. Sapevano che Angela lo aveva attribuito a suo padre come una se-
tradito. Lo sapevano anche quan- conda vista, una facoltà eccezionale,
do egli, ignaro di tutto, era stato sul quasi miracolosa di penetrare nelle
punto di sposarla. Forse, se suo padre cose e di dominarle senza sforzo. Egli
non gli apriva gli occhi, non avrebbe si sentiva come una parte di suo pa-
mai sospettato di nulla; lui solo, men- dre, come una mano. Ecco che cos’era
tre tutti gli altri sapevano. Da allora, in quel tempo: una mano di suo pa-
proprio come un bambino, aveva dre. Non faceva un gesto che non fos-
cercato sicurezza e rifugio in suo pa- se voluto da lui. E dei propri gesti non
dre, di nuovo. Era stato suo padre conosceva altra origine, all’infuori di
che l’aveva indotto a romperla con questa. I segreti del mestiere li impa-
la ragazza, ed egli s’era assoggettato a rava materialmente da suo padre; ma
questo soffrendone: aveva chiuso gli non pensava che suo padre li avesse
occhi e s’era lasciato guidare. Consi- imparati allo stesso modo da altri,
derava suo padre come una parte di bensì per una lunga esperienza e per
se stesso a cui avesse affidato la sua quella sua facoltà di penetrare le cose.
coscienza più profonda, una facoltà E anche quando questa idea fanciulle-
segreta e dolorosa di vedere dentro le sca generata dal suo bisogno di trova-
296 michele boschino

cose e dentro l’animo degli uomini, re una ragione ai propri atti in questa
una consapevolezza di cui non voleva fiducia illimitata per non abbando-
risvegliare la possibilità dentro di sé. narsi alla disperazione dopo che ebbe
Ciò che il padre gli aveva detto della rotto il fidanzamento con Angela, fu
relazione di Angela con quell’altro, lo da lui, non risolta in un modo più ma-
aveva sentito dentro come un ferro turo di veder le cose, ma piuttosto di-
penetrato nelle carni per un momento menticata, gliene rimase tuttavia il
solo; e glien’era rimasta la ferita: ma senso e gli effetti della puerile convin-
la certezza, la logica del ragionamen- zione continuarono a durare in lui.
to di suo padre le aveva dimenticate. Poi venne la malattia di Giuseppe,
Quelle parole erano appassite come dovette badare da solo agli affari, di-
foglie nella sua memoria. Non aveva stricarsi da solo nelle mille difficoltà
più chiesto nulla, non aveva neppure che giornalmente sorgevano intorno
più voluto sentirne parlare. E quando a lui, trattar con la gente, prendere de-
un dubbio l’assaliva improvvisamen- cisioni a volte gravi senza aspettare il
te, o anche gli tornava il suo ricordo suo consiglio. Allora aspettava con
di Angela, facendolo soffrire, di An- ansia i momenti in cui suo padre po-
gela che continuava a vivere senza di teva riposatamente parlargli e ascol-
lui, e pensava che non le avrebbe mai tarlo come un tempo, per attingere
più parlato, che tutto tra loro era fi- dalle sue parole quell’inesplicabile
nito senza rimedio, solo la serenità di senso di fiducia che nessun’altra cosa
suo padre poteva ridargli pace. Solo in al mondo poteva dargli. Lo assaliva a
quella saggezza, lontana, irraggiungi- volte un terrore folle. Gli pareva di
bile, era la giustificazione dell’atto che non sapere più né parlare né muover-
aveva compiuto a occhi chiusi. Allora si; e solo il pensiero di suo padre pote-
passava lunghe ore col vecchio e lo va ridarli coraggio. Cosa sarebbe ac-
ascoltava parlare. Il vecchio parlava caduto se gli altri si fossero accorti di
della condanna, della vigna perdu- questi terrori? Anche quando sedeva
ta, del tempo passato in carcere; e la sul muricciolo dell’orto a chiacchiera-
giustezza delle sue parole lo guariva. re col servo di Bore Lisca, quel senso
Il vecchio diceva che quando si perde di smarrimento poteva nascergli den-
una cosa bisogna far conto d’averla tro senza ragione. Il servo di Bore Li-
restituita a Chi ce l’aveva data per sua sca lo guardava coi suoi occhi impe-
bontà; e non tocca a noi giudicare se netrabili di pastore, e vedeva forse ciò
colui per mani del quale Egli ce la to- che accadeva dentro di lui, sapeva che
glie, è un nostro nemico. Michele rife- sarebbe bastata la mano di un bambi-
riva a sé queste parole, come se il vec- no a stenderlo a terra, anche se lui
chio raccontasse un apologo, e cerca- continuava a parlare del prezzo dei
va di non pensare all’uomo per mano terreni da semina. Parlava, ascoltava,
del quale Angela gli era stata tolta, di ma le parole non avevano più senso,
dimenticarlo subito, prima che quel erano vuote. Anche col suo servo Be-
volto odioso risorgesse chiaro dalla niamino gli accadeva questo fatto.
memoria. Angela, come se fosse mor- Allora si sentiva nudo come un geco,
ta, se l’era presa quell’Altro. Così egli nudo e trasparente, gli pareva che
s’affidava a suo padre, senza chiedere quel ragazzo chiacchierone e maligno
nulla, come uno smemorato; in lui era potesse vedere la vergogna che, ecco,
la ragione della sua stessa vita. Anche si riaccendeva in lui all’improvviso
Appendice 297

l’arte di coltivare la terra, con tutti i come quando suo padre glia aveva
suoi segreti, gli pareva che suo padre detto il nome di quell’uomo col quale
non l’avesse appresa, a sua volta, da Angela lo aveva tradito. Non udiva
altri, ma che l’avesse scoperta da sé, più le parole del suo interlocutore, ma
come il primo uomo. E quest’idea le parole di suo padre, rinascevano i
fanciullesca, nata dal bisogno di tro- pensieri dolorosi che quelle parole
vare in suo padre la ragione di tutti avevano alimentato in lui, e ciò che
i propri atti, anche quando fu da lui, aveva visto in quel momento con
non risolta, con gli anni, in un modo l’immaginazione e aveva cercato di-
più maturo di veder le cose, ma come speratamente di cancellare subito dal-
messa in disparte, dimenticata, come la memoria quelle immagini che inve-
accade di molte idee dell’adolescenza, ce ritornavano sempre con lo stesso
i suoi effetti continuarono a durare in vigore anche ora che di Angela non gli
lui, gliene rimase ancora il senso. Ma importava più nulla. Dopo questi tur-
era una fiducia che, quand’era lonta- bamenti era come uno che si sveglias-
no da suo padre, poteva venir meno a se: si ritrovava seduto sul muricciolo,
un tratto; come un nuotatore inesper- dell’orto, oppure a camminare accan-
to che s’accorge con terrore di non to alla ruota del carro col pungolo sul-
toccare più il fondo con la punta del la spalla, a fianco del servo che, nel
piede. Gli accadeva anche quand’era frattempo, sentendolo immerso in al-
con Beniamino. Il servo lo guardava tri pensieri, s’era messo a canterellare
coi suoi occhi impenetrabili di pa- per suo conto. Con uno sforzo richia-
store, e forse vedeva quel che stava mava il pensiero di suo padre, riac-
accadendo dentro di lui, chi sa! Forse quistava fiducia, gli pareva di essere
sapeva che sarebbe bastata la mano non lui stesso ma Giuseppe. Si sentiva
di un bambino a stenderlo a terra, in all’improvviso sicuro, padrone di se
quei momenti, benché lui continuasse anche lui come tutti gli altri, che si
a parlare del prezzo dei terreni da se- spogliavano del loro mistero: vedeva
mina o dei danni che, la notte prima, che i pensieri che nascondevano non
avevano fatto le capre del vicino. Par- erano molto diversi da ciò che diceva-
lava, ascoltava, ma le parole, a un trat- no o che avrebbero potuto dire. Len-
to, perdevano il loro senso, non ave- tamente, durante la malattia di Giu-
vano più valore, erano vuote. Allora seppe, quasi senza accorgersene, si era
si sentiva nudo e trasparente come un andato preparando alla sua morte.
geco che ha la pancia piena di mosche; Ma ecco che di colpo era stato di nuo-
gli pareva che quel ragazzo chiacchie- vo gettato in mezzo ai terrori e ai so-
rone e maligno potesse vedere la ver- spetti, che non erano più fantasmi
gogna che, ecco, improvvisamente si della sua immaginazione, ma una re-
riaccendeva, la vergogna e il dolore altà alla quale non si poteva sfuggire;
di quando suo padre, nella stalla, pe- ecco che era venuta quella notte terri-
stando col maglio le fave per i buoi, bile del Ponte del Faraone, ed era sta-
gli aveva detto il nome di quell’uomo to trascinato, contro la sua volontà,
col quale Angela lo tradiva. Non udi- con un altro uomo come lui ignaro e
va più le parole del suo interlocutore mite, quasi a commettere un delitto.
ma le parole di suo padre, rinasceva- Senza neppure saper come, s’era tro-
no i pensieri che quelle parole aveva- vato a essere complice di ladri e di as-
no alimentato per tanto tempo, e ciò sassini e questi assassini erano uomini
298 michele boschino

che in quel momento aveva visto con che suo padre conosceva, dei quali
l’immaginazione e aveva cercato di- non aveva mai sospettato nulla; tra
speratamente di cancellar subito dalla costoro c’era Lubina, di cui suo padre
memoria, quelle immagini che invece s’era sempre fidato. Da quel momento
ritornavano sempre con lo stesso vi- egli aveva sentito che c’era qualche
gore, quando la fiducia lo abbando- cosa che sfuggiva anche a suo padre.
nava, anche ora che di Angela non Neanche suo padre sapeva tutto degli
gl’importava più nulla. Dopo questi altri, non conosceva a fondo le perso-
turbamenti, era come uno che si desta ne, come egli, Michele, aveva sempre
da un incubo: si ritrovava seduto sul creduto. Per tutto il viaggio di ritorno
muricciuolo dell’orto, o a camminare da Arci in compagnia di Lubina e di
accanto alla ruota del carro col pun- Cosimo, era stato assillato dal bisogno
golo sulla spalla, a fianco del servo che di correre da suo padre e raccontargli
nel frattempo, vedendolo assorto in quel che era avvenuto. Sapeva che il
altri pensieri, aveva preso a canterel- vecchio sarebbe rimasto allibito come
lare qualcosa. Pensava a suo padre, gli lui; ma voleva raccontargli tutto;
pareva di essere non lui ma suo padre come era la voce di quegli uomini, la
stesso; e come per incanto tornava a loro risolutezza feroce; come erano
sentirsi sicuro, padrone di sé, anche stati ammazzati quei due, sotto i suoi
lui come tutti gli altri; e gli altri si spo- occhi. E invece aveva dovuto cammi-
gliavano del loro mistero, e vedeva nare al passo di quegli altri, entrare
che i pensieri che nascondevano non senza fretta in paese per non dare so-
erano molto diversi dalle parole che spetto, e aveva trovato il vecchio già
dicevano o che avrebbero potuto dire. privo di conoscenza. Come era arriva-
Tutto era naturale, tutto era sempli- ta terribile, in quel momento, la mor-
ce. Pensava anche, qualche volta, alla te del vecchio! Come avrebbe avuto
morte del vecchio; ma come a una ancora bisogno di lui, Michele, di sen-
possibilità lontana, indeterminata; tire la sua presenza, di liberarsi da
pensava che in quel tempo, sarebbe quel ricordo che doveva invece tener-
stato diverso, più forte, più sicuro, più si per se, ormai, per tutta la vita. Si era
uomo. Ed ecco che invece la morte era trovato solo improvvisamente. Ogni
arrivata improvvisamente, e lui era lo cosa sembrava essere morta con suo
stesso di prima; era arrivata proprio padre, e che lui si fosse portato via il
quando aveva più bisogno di aiuto. meglio della vita. La casa, l’orto, i po-
Come avrebbe voluto ascoltare anco- deri, tutto era vuoto, il lavoro non
ra quella voce amica e saggia! Come aveva più scopo. Per tanti e tanti mesi
avrebbe voluto poter credere che per la sua vita non era stata altro che stan-
il vecchio non c’era nulla d’impre- chezza e disgusto; e se n’era andato a
veduto, e che anche la cosa che era Monte Ulìa come un animale ferito
capitata a lui qualche sera prima non che cerchi la solitudine per morire in
era né straordinaria né terribile, e che pace. Se anche era rimasto, in fondo
lui, Michele, era innocente, e che fa- alla sua stanchezza, un istinto tenace
ceva bene a tacere, a confessarsi solo che lo legava alla vita, egli non lo sen-
con lui, suo padre; sentirsi dire che tiva, allora, che come un indetermina-
quell’avvenimento sarebbe rimasto to sentimento di rivolta; e quando,
nascosto sempre a tutti gli altri. allontanandosi gi giorno in giorno
  E invece, quando gli occhi di suo pa- quegli avvenimenti terribili e la morte
Appendice 299

dre si chiudevano, e il viso immobile del vecchio, egli sentì gli effetti di que-
sembrava immerso in un silenzio più sto istinto, gli parve di veder ripullu-
grande del sonno, gli pareva di sentire lare la vita non dentro, ma fuori di sé,
che in quell’avvenimento c’era qual- in quel campo che aveva arato e semi-
cosa che sfuggiva anche al vecchio, nato contro la volontà di sua madre,
che preferiva andarsene così, senza in quel grano che veniva su rigoglioso
dir nulla. non ostante l’annata cattiva. Gli pare-
  Si ricordò di questo tre giorni dopo, va di essere estraneo, lui, a questo ri-
quando si sparse la notizia che suo pullulare di vita. Amava il podere di
cugino Giovanni era stato trovato nel Monte Ulìa, ma come si ama un luogo
podere di Nadòria con due palle nella che bisogna abbandonare. Il lavoro di
schiena. quei mesi di oscuro dolore aveva frut-
tato, ma per chi? Solo quando s’era
portato Severina nel capanno, il pos-
sesso di quella creatura gli aveva dato
il senso del possesso del campo, di
tutto ciò che era nel campo. Ancora
una volta, come quando suo padre era
in vita e lui si riaveva da quei turba-
menti senza ragione, ancora una volta
s’era sentito rinascere. Ma non pensa-
va a suo padre; e la solitudine non lo
angosciava; anzi in quella solitudine si
sentiva sicuro e tranquillo.
L   «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie III),
4 (maggio 1941) - Copertina.
Appendice 301

II

«Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura»


[III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33 (L)]

il cui brano corrisponde in molte sue parti al capitolo XIII.

M2 L

D A L R O MA N ZO IN E D I T O
XIII “ MIC H EL E BO N C H I NO ”
di Giuseppe Dessì

Quando, dopo le nozze, Maddalena   Di solito Severina, come accade alle
non seppe resistere alla tentazione di persone che si trovano all’improvviso
riferirgli certe chiacchiere che la gente in una condizione nuova, fantasticava
aveva fatto sul matrimonio, Michele, per suo conto anche quando gli altri
invece di adirarsene, come sua ma- parlavano intorno a lei. Le pia­cevano
dre s’aspettava, disse che non gliene i lavori quieti, come mondare il gra-
importava nulla. Dicevano che s’era no o fare la farina. Le tornavano in
sposato come un vedovo, che Seve- mente le canzoni che aveva imparato
rina era povera e lui poteva aspirare da ragazza a Mamusa e le nenie con
a qualcosa di meglio, che non vale- le quali ninnava i bambini di Anna
va la pena di andare a cercare tanto alla Cantoniera, e cantava a mezza
lontano una ragazza come Severina voce. A volte la tristezza la coglieva
quando in paese ce n’erano tante all’improvviso come un malessere
dieci volte meglio. La gente poteva fisico, senza ragione, ed era più che
dire quel che voleva: cosa ne sapeva una tristezza presente una tristezza di
di Severina? Ciò ch’era avvenuto tra ricordi. Tra i quattordici e i quindici
lui e Severina nel capanno di Monte anni era stata a servire in casa di un
Ulìa, lo sapevano solo lui e Severina. possidente, a Mamusa. Era una casa
La gioia che lui ne aveva avuto, forse ricca, piena di roba. C’erano molti
non l’aveva indovinata neppure lei, servi e molto lavoro. Si radunavano
poveretta, che aveva fatto tanti pianti in cucina, la sera, quando tornavano
di nascosto, in casa della sorella. Nes- dalla campagna, e stabilivano quel che
suno poteva penetrare nella sua vita; bisognava fare il giorno dopo nei di-
avrebbero finito per tacere. Che poi versi poderi. Il padrone non dava gli
la gente dicesse che Severina non era ordini senza aver prima sentito il pa-
bella, non gli dispiaceva. Severina era rere di ognuno. I nomi dei diversi po-
diversa dalle donne di Sigalesa. Non deri della vigna, degli orti, dei terreni
era come tante altre sulle quali anche da semina, dei pascoli di montagna
a lui era capitato di metter gli occhi e di pianura ricorrevano di continuo
302 michele boschino

con desiderio; tante, delle quali i gio- nei loro di­scorsi; e i servi, parlando
vani parlavano tra loro. Era contento della roba del padrone dicevano: la
che quelli di Sigalesa avessero visto nostra vigna, il nostro orto, le nostre
Severina soltanto allora e non l’aves- vacche. Il mandriano, il pastore, il
sero trovata bella. Severina era come porcaro, i compartecipanti dell’aia,
il campo di Monte Ulìa: prima che lui della vigna, degli orti eran tenuti nella
lo diveltasse con l’aratro nessuno ne stessa considerazione dei membri del-
dava un soldo. Lui solo ne conosceva la famiglia e avevano sotto di sé i servi
i segreti e i pregi. Era contento di lei, più giovani; e questi dicevano come
anche se la vedeva un po’ smarrita, loro, la nostra vigna, il nostro orto, le
ora, nella nuova casa. nostre vacche. E a tutti pareva di go-
dere del benesse­re della famiglia. Ma
  Severina passava la maggior parte del a lei quel dire il nostro parlando della
tempo sola in casa con Maddalena, roba dei padroni, dava una tristezza,
tranne quando Michele la portava con un accoramento che non la lasciava-
sé a Monte Ulìa, o quando venivano, no più. Era la nostalgia della sua casa,
la sera, la zia Luisa e Aurelia. Parla- della mamma, della sorella delle lun­
va poco, le piacevano i lavori quieti. ghe serate d’inverno passate col padre
E come tutte le persone che si trova- nella piccola cucina accanto al fuoco,
no all’improvviso in una condizione la nostalgia del piccolo cortile pieno
nuova, fantasticava per suo conto. di vento, dove ogni tanto lei e sua so-
Tutto per lei era mutato nel volgere rella Anna - a turno per non perdere
di poche settimane, e faceva fatica a il filo del racconto - andavano a pren-
rendersene conto. Fin allora non ave- dere un ciocco dalla catasta. Tutto ciò
va mai avuto desideri e bisogni suoi che fino al­lora aveva chiamato nostro
propri, dimenticandosi tutta nelle la univa alle persone care che la sera
urgenti necessità della casa allo stes- se­devano intorno al focolare della
so modo di Anna. Da quando Anna sua casa e sapevano tutto l’una del­
aveva avuto il secondo bambino, era l’altra. Erano le brocche allineate sul
stata sempre con lei, aveva patito muretto fuori della porta, gli sgabelli
le sue gravidanze, i suoi parti, i suoi di ferula che suo padre fabbricava
puerperii. Aveva adeguato la sua vita d’inverno, nelle giornate piovose, il
a quella di Anna e dei bambini che ve- forno dove sua madre cuoceva il pane
nivano su; e i sentimenti materni su- e i dolci che poi andava a vendere, la
scitati in lei da questa dedizione erano domenica, a San Sebastiano di Gaia,
più assoluti di quelli della sorella non a Norbio, a Pontàrio... erano le ceste
essendo nati dai patimenti del corpo, per la farina, il setaccio, il crivello, il
che insegnano la moderazione e la mor­taio, la bilancia, tutti quegli og-
sapienza della natura, ma dall’istinto getti necessari, ora per ora, alla vita,
più vergine e profondo del suo esse- che si possono prestare e che ritorna-
re. Nel suo animo non c’era posto per no intatti a casa coi loro segni che li
altro, oltre quest’amore che la soggio- fanno riconoscibili in mezzo a mille: e
gava, che guidava tutti i suoi pensieri il telaio piantato sotto il loggiato, vec-
e annullava la sua fatica. Dall’alba al chio e liscio come i banchi di chiesa.
tramonto era in faccende; tutti i lavori In quel tempo che aveva passato fuori
più pesanti della casa erano i suoi, e in di casa a servire, s’era sviluppato in
mezzo a tutte queste fatiche trovava il lei, dalla sua tristezza, quel senso ge-
Appendice 303

tempo di stare con i bambini, di giuo- loso della proprietà che è cosi forte
care con loro. A se stessa pensava solo nella po­vera gente costretta a vivere
di rado e vagamente; quand’ecco che in mezzo all’abbondanza degli estra-
era entrato nella sua vita Michele. Se nei. La stessa mortificata soggezione
anche, prima d’allora, aveva pensato rinasceva ora, in certi momenti, in
qualche volta che anche lei un giorno casa del marito, dove tutto doveva
si sarebbe sposata e avrebbe lasciato la essere veramente anche suo. Come in
casa della sorella, poneva tutto questo casa del possidente di Mamusa, anche
in un avvenire lontano, indetermina- qui era come se le sue mani ricusas-
to. E invece ecco ch’era sopraggiunta sero d’assuefarsi agli oggetti che con-
quell’improvvisa stanchezza, quel tinuamente toccavano, i suoi occhi
bisogno d’abbandono. Anna se n’era agli oggetti sui quali continuamente si
accorta anche prima di lei, e ci aveva posavano. Tutto era vecchio, consun-
scherzato su, dapprincipio, poi era to, levigato dal contatto di mani estra-
diventata aspra, aveva preso a rim- nee. Non era neppure tristezza, la sua,
proverarla per delle cose da nulla, a neppure nostalgia, ora, ma una specie
tempestarla di domande strane a cui di stu­pore che arrestava i gesti più
lei non sapeva rispondere. Un giorno, consueti, come se improvvisamente
ch’era stata come al solito a Monte sor­gesse in lei, dall’intimo, sempre la
Ulìa per l’acqua, le aveva tolto dai stessa domanda: «Dove sono? perché
capelli un rametto secco, gliel’aveva sono qui?».
messo sotto il naso sul palmo della   Quasi ogni giorno Michele partiva
mano. Severina aveva capito il signifi- all’alba e tornava dopo il tramon-
cato di quel gesto solo più tardi, quan- to. Andava a Monte Ulìa, a Spinalva
do Michele l’aveva presa nel capanno. oppure a caricar legna e carbone in
Allora aveva desiderato ardentemente foresta per conto dei Toscani; e solo
di andar via, di lasciare la casa di sua di rado la menava seco al mandorleto.
sorella, di tornarsene da sua madre, a Allora passavano dalla Cantoniera a
Mamusa. Ed ecco che invece si trova- prendere Anna che metteva sul carro
va in una casa nuova, estranea, quasi le ceste della biancheria e i bambini, e
senza sapere come. Tutto s’era risolto andavano a far bucato in un torrente
per il meglio. che scorreva, in quella stagione sotto
  Tra i quattordici e i quindici anni era Ore­sula, poco lontano dal mandor-
stata a servire in casa di un possidente leto dove Michele si fermava a lavo­
di Mamusa. Era una casa ricca, piena rare. Facevano bollire il paiuolo su un
di roba e di gente. C’erano molti servi fuoco di sterpi senza perdere d’occhio
e molto lavoro. La sera si radunava- i bambini che giuocavano a nascon-
no tutti in cucina, e stabilivano tutti dersi tra i cespugli. Severina aveva
d’accordo, padroni e servi, quel che poco da raccontare di Sigalesa della
si doveva fare il giorno dopo. I nomi sua nuova vita: ma le due sorelle era-
dei poderi, delle vigne, degli orti, delle no felici di ritrovarsi assieme e quelle
località dov’erano i terreni da semina giornate che rom­ pevano la mono-
ricorrevano di continuo nei loro di- tonia della quotidiana vita casalinga
scorsi, e i servi, parlando della roba passavano rapide e felici.
del padrone, dicevano anche loro, la   In casa invece e con Maddalena era
nostra vigna, il nostro oliveto, il nostro tutt’altra cosa. Se il filo delle sue fan-
orto, le nostre vacche. Il mandriano, il tasticherie si rompeva, ecco che un
304 michele boschino

pastore, il porcaro, i compartecipanti senso di solitudine le ge­lava l’anima.


dell’aia, delle vigne e degli orti eran Le più piccole cose l’angustiavano,
tenuti in considerazione come se fa- come più tardi, quan­do si trovò incin-
cessero parte della famiglia e avevano ta, certi odori e il sapore di certi cibi
sotto di sé i servi più giovani e i brac- le facevano salire la nausea alla gola,
cianti che lavoravano a giornata; ma inspiegabilmente. Come un’incinta
tutti indistintamente dicevano, come aveva trasalimenti improvvisi. Il me-
loro, il nostro orto, la nostra vigna, le stolo di castagno col quale raccoglieva
nostre vacche. A tutti pareva così di la crusca per separarla dalla semola e
godere, per quanto potevano, del be- dal tritello si faceva pesante nella sua
nessere della famiglia. Ma a lei, quel mano, il setaccio che fino a quel mo-
dover dire il nostro parlando della mento aveva frullato come una trotto-
roba dei padroni faceva tristezza. Era la sotto il tocco leggero delle sue dita
la nostalgia della sua casa, della mam- scorrendo rapido e treppicando sugli
ma, delle sorelle (era ancora al mondo staggi levigati perdeva improvvisa-
Carmela, allora), delle lunghe serate mente il suo ritmo.
d’inverno passate col padre nella pic- Per non farsi vedere a piangere come
cola cucina, intorno al focolare, del una sciocca da Maddalena, s’al­
cortile, dove ogni tanto una di loro (a lontanava con una scusa, andava in
turno e disputandosi il diritto di re- cortile a versarsi una ciotola d’ac­
star seduta per non perdere il filo del qua dalla brocca, oppure saliva in
racconto del padre) doveva andare a camera sua, apriva la cassapanca, ne
prendere una bracciata di legna o un toglieva la biancheria, la rimetteva a
ciocco d’aggiungere al fuoco. Tutto posto, raddrizzava le coperte del let-
ciò che fin allora aveva chiamato no- to; e spesso l’angoscia passava così
stro era unito alle persone care che, la senza lacrime. Le accadeva anche di
sera, sedevano accanto al fuoco nella affacciarsi alla piccola finestra dal-
cucina di casa sua. Erano le brocche la quale si vedeva il campa­nile della
allineate sul muretto fuori della porta, chiesa parrocchiale, e, dietro, Monte
gli sgabelli di ferula fabbricati da suo Grinu coi suoi castagneti già spogli,
padre, le conche dove impastavano il e più sopra i boschi di quercia sem-
pane o i dolci che poi, la domenica, pre uguali. Accanto a quello, e dietro
andavano a vendere ad Acquapiana, a a quello, c’erano altri monti più sel-
San Silvano, a Gaia, la pala del forno, vatici, spogli e malinconici. L’occhio
le ceste per la farina, il mortaio, la bi- distingueva chiaramente tra i rami
lancia, tutti quegli oggetti che servono nudi dei ca­stagni le strade tortuose
ora per ora alla vita, che si possono che salivano verso i boschi di quercie
anche prestare e ritornano a casa con e spa­rivano nel folto, l’intrico minuto
quei loro segni che li fanno riconosci- dei sentieri. Al persistere immobile
bili come persone. Nostro era il tela- dello sguardo che non cercava nulla,
io, piantato sotto il portico, vecchio si scoprivano, proprio là dove il nudo
e liscio come un banco di chiesa. In bosco sembrava già immerso nella de-
quel mezzo anno che aveva passato serta quiete dell’inverno, piccole trup-
fuori di casa a servire, s’era sviluppato pe di donne e di ragazzi che salivano
in lei, dalla sua tristezza, quel senso in fila o scendevano sparsi, facendo
geloso della proprietà che è così forte rotolare i fasci di legna da albero a al-
nella gente povera costretta a vive- bero. Apparivano e sparivano, su nei
Appendice 305

re in mezzo all’abbondanza in case canaloni pietrosi più vicino alla cima,


estranee. E ora, in casa del marito, come in­setti nel vello d’una bestia ad-
dove tutto doveva essere veramente dormentata. Qua e là si levava il fumo
anche suo, le rinasceva lo stesso senso di qualche fuoco, e restava sospeso tra
di mortificata soggezione; e pensava balza e balza. E Severina, che era vis-
a Mamusa e alla casa di sua madre, suta sempre in pianura, si meraviglia-
come allora. Anche qui, come in casa va a vedere quelle montagne così vi-
del possidente, le sue mani ricusavano cine, animate e silenziose. L’angoscia
d’assuefarsi agli oggetti che toccava- si scioglieva, s’addolciva in un senso
no, il suo occhio agli oggetti sui quali vago di rimorso misto alla gioia che le
continuamente si posava. Tutto era dava la presenza di quel paese nuovo.
vecchio, consunto, levigato dal con- Non appena si accendeva in lei questo
tatto di altre mani. Non era tristezza, sentimento di meraviglia e di gioia, e
la sua, e forse neppure nostalgia, ma insieme la speranza di qualche cosa di
una specie di stupore che arrestava nuovo che doveva venire a mutare an-
improvvisamente i gesti più consue- cora la sua vita, non sapeva neppure
ti, come se risorgesse in lei sempre la lei come, si sentiva in colpa di fronte
stessa domanda: “Dove sono? perché alla madre e al padre, che non erano
sono qui?”. neppure venuti a vederla in occasio-
  Quasi ogni giorno Michele partiva ne delle nozze, di fronte ad Anna, che
all’alba e tornava dopo il tramonto. continuava a vivere nella Cantoniera,
Andava a Monte Ulìa, a Spinàlva, op- dietro la finestre sbar­rate delle zan-
pure a caricar legna e carbone in fo- zariere, in mezzo alla pianura. Im-
resta per conto dei Toscani. Qualche maginava di andare a Mamusa con
volta portava a Monte Ulìa Severina, Michele, di raccontare ai suoi come
una volta ogni quindici giorni pas- fosse felice ora. Quel vecchio mondo
savano dalla Cantoniera a prendere dal quale si era staccata, ritornava a
Anna e i bambini; e le donne anda- spiegarsi, a viverle nella memoria. Ba-
vano a fare il bucato in un torrente stava che ci pensasse un poco perché
che scorreva, in quella stagione, sotto la sua vita si animasse come quelle
Orèsula, mentre Michele lavorava nel montagne che da lontano apparivano
mandorleto. All’ora del pranzo Seve- uni­formi e deserte. Di tante persone
rina mandava i bambini a chiamarlo appena conosciute ricordava con pre­
e mangiavano tutti assieme vicino cisione il viso e la voce, come se fosse-
all’acqua. I bambini giuocavano tutto ro presenti. Anche Michele, nei primi
il giorno in mezzo agli oleandri, anda- tempi dopo le nozze, quanto non era
vano a funghi nel bosco, e la sera ar- in casa, era nel suo spirito solo come
rivava sempre troppo presto per tutti. un ricordo, come una vecchia cono-
A casa invece le giornate non avevano scenza di Mamusa. Benché ogni sera
mai fine. Se il filo delle sue fantasti- egli tornasse a casa per la cena, Seve-
cherie si rompeva, un senso di solitu- rina pensava a lui come a una persona
dine mai provato prima la gelava. Le lontana. In certi momenti non ci pen-
più piccole cose l’angustiavano, come sava affatto. Ma bastava l’ago col qua-
più tardi, quando si trovò incinta, cer- le aveva rammendata la sua camicia
ti odori o il sapore di certi cibi le dava- appuntato al capoletto, la roncola die-
no nausea. Come una donna incinta, tro la porta di cucina, il solco lasciato
aveva trasalimenti improvvisi. Il me- dalla ruota del carro vicino al cancel-
306 michele boschino

stolo di castagno col quale separava la lo, perché tutto il suo essere si ricor-
crusca dal tritello, si faceva pesante, dasse di lui. Allora quella casa, che
all’improvviso, di pietra; il setaccio, un momento prima le era sembrata
che fino a quel momento aveva frulla- estra­nea, era come una parte di lui; e
to come una trottola al tocco leggero e il suo sangue scorreva vivace, e tutti
abile delle sue dita scorrendo e treppi- gli oggetti che toccava erano vivi nelle
cando sugli staggi levigati, perdeva il sue mani, animati dalla forza del suo
suo ritmo. Allora, per non farsi vedere sangue. Meno d’ogni altro avrebbe
a piangere scioccamente – ché lei stes- saputo dire da che cosa nascesse que-
sa non avrebbe saputo dirne la ragio- sta gioia improvvisa, legata misterio-
ne, se Maddalena gliel’avesse chiesta samente, come la sua tristezza a certi
– s’allontanava con una scusa, andava oggetti, a certi fatti. Anche l’acqua di
in cortile a versarsi una ciotola d’ac- Sigalesa le dava gioia, e lei la beveva
qua fresca dalla brocca, oppure saliva avidamente, meravigliandosi ogni
in camera da letto, apriva la cassapan- volta della sua trasparenza e leggerez-
ca, ne toglieva la biancheria, la ripo- za. Non avrebbe saputo dire perché
neva con cura, raddrizzava le coperte quei monti, quei boschi, lo stormire
del letto. E così l’angoscia passava. del vento a lunghe ondate, quando
  In questa camera da letto c’era una il paese dormiva, le dessero un tale
piccola finestra dalla quale si vedeva il turbamento di gioia. Lei pensava che
campanile della chiesa. Dietro, Monte fosse la vita più riposata di quella che
Grinu coi suoi castagneti già spogli faceva a Mamusa o alla Cantoniera, il
e i boschi di querce, sempre uguali cibo più abbondante e saporito; e se
in ogni stagione. Accanto e dietro a ne vergognava. Ma era una gioia di
quello, altri monti di cui non sapeva cui gli altri non si accorgevano, a volte
il nome. L’occhio distingueva chiara- offuscata, a volte più viva, come una
mente tra i rami nudi dei castagni, le stagione al suo inizio, quando non è
strade che salivano con ampie curve an­cora del tutto finita quella che l’ha
verso i boschi di querce dove spariva- preceduta. Di fuori si manifestava
no e l’intrico minuto dei sentieri. Se appena in una maggior floridezza a
lo sguardo distratto si fermava in un cui Michele s’assuefaceva senza farci
punto, ecco che si scoprivano, pro- caso. Era un sentimento della carne,
prio là dove il nudo bosco sembra- profondo, solitario. Lei stessa for-
va già immerso nella deserta quiete se non sentiva la sua gioia intera e
dell’inverno, piccole truppe di donne compiuta se non nelle ore notturne,
e di ragazzi che salivano in fila o scen- quando s’abbandonava a Michele in
devano sparsi facendo rotolare i fasci silenzio; e conti­ nuava a durare nel
di legna da albero a albero. Sparivano, sonno. Al mattino, quando, nei dor-
riapparivano su, nei canaloni pietrosi miveglia, non lo sentiva più accanto
più vicini alla cima, come insetti nel a sé, e vedeva i riflessi della lanterna
vello d’una bestia addormentata. Si sull’impan­nata, s’avvolgeva in fretta
levava qua e là il fumo di qualche fuo- nello scialle e correva a raggiungerlo
co e restava sospeso tra balza e balza. giù nella stalla dei buoi. Si svegliava di
Severina, che era vissuta sempre in colpo nell’aria diaccia del mat­tino, si
un paese di pianura, si meravigliava trovava improvvisamente sveglia in
a vedere quelle montagne così vici- mezzo al cortile, nell’aria fredda che
ne, animate e silenziose. L’angoscia le penetrava sotto i panni, e si fermava
Appendice 307

si scioglieva, s’addolciva in un sen- lì vergognosa. Con un gesto istintivo


so vago di rimorso. Rimorso di che? toccava i panni stesi, e con lo stesso
Rimorso d’aver lasciato Anna nella piacere con cui beveva l’acqua, aspi-
casa sperduta in mezzo alla pianura rava il vento che li aveva asciugati al
malarica, con quei bambini da tirar sereno.*
su, con tutta quella roba da lavare? ri-
morso di non avere rivisto sua madre
da tanto tempo? rimorso per la gioia
che le dava quel paese nuovo? Il suo
vecchio paese, la sua pianura tornava
a viverle nella memoria; bastava che
ci pensasse un poco perché tutta la
vita trascorsa laggiù si animasse come
quelle montagne che dalla Cantonie-
ra apparivano uniformi e deserte. Di * In cauda, si legge: «Quando Dessi,
nell’estate del millenovecentotrentanove,
tante persone dimenticate ricordava il mi scriveva di pensare a un racconto og-
viso, la voce, come se le vedesse e le gettivo, alla storia di un contadino sardo,
sentisse parlare. E Michele era l’unica io non lo intendevo. Non capivo quel
persona presente e reale che vivesse bisogno di cui mi parlava, di uscire dal-
la forma autobiografica; anzi, vedevo in
anche tra quei ricordi lontani. Qual- questo, per lui, come un pericolo. Dopo
che volta fantasticava di essere con San Silvano, dopo la poetica, descritta
lui a Mamusa, in casa di sua madre, in modo immaginoso nel corsivo della
Sposa in città, questa insofferenza della
e dire a sua madre quanto fosse felice forma autobiografica, del personaggio
del suo nuovo stato. Solo così anzi ri- io, mi pareva una distrazione di origine
usciva a sentire Michele distintamen- intellettuale e psicologica. Ero affeziona-
te, ponendolo fuori dal confuso pre- to alla forma romantica e geniale di San
Silvano; ne avevo tanto sentito la novità
sente. Benché ogni sera egli tornasse da desiderare che Dessì avesse scavato
a casa, Severina pensava a lui come si subito e ancora dentro quella forma; per
pensa a una persona lontana. Ma ba- questo avevo sentito meno l’oggettività,
pur così ricca, di alcune novelle, né mi
stava un ago appuntato al capoletto, aveva commosso la malinconica Paulette
un ago che, con la gugliata bianca, le de L’ospite di Marsiglia. Per questo, con
facesse pensare alla camicia che aveva molta attenzione ma con molta diffiden-
rammendato il giorno prima, bastava za, sono andato leggendo e discutendo
questo romanzo, a mano a mano che si
la roncola lasciata da Michele dietro la formava e trasformava. Dessì mi spiegava
porta di cucina, o il solco della ruota che gli era necessario un momento di as-
del carro vicino al cancello nella sab- soluta oggettivazione, vedere veramente
oggettivo nel racconto impersonale l’og-
bia del cortile, perché tutto il suo esse- getto della sua fantasia. Allora ha scritto
re balzasse e fosse pieno di lui. Non lo la storia della vita di Michele Boschino
vedeva né lo pensava distintamente, di Giuseppe, contadino di Sigalesa del
come quando faceva di lui un abitante centro della Sardegna. La tendenza ad
oggettivarsi non era per Dessì, come io
di Mamusa; lo sentiva come sentiva sospettavo, uno scrupolo intellettuale e
l’aria sottile della montagna. Allora un gusto psicologico, ma una necessità
quella casa, che un momento prima della sua fantasia; una maniera per svol-
gere la sua arte. Che Michele Boschino si
l’era sembrata estranea, era anch’essa sia oggettivato dentro il personaggio io,
tutta piena di lui. E il suo sangue, al che Dessì si sia mantenuto fedele al tema
ricordo di una gioia acuta, intensa, e di San Silvano, anzi l’abbia approfondito,
al tempo stesso lontanissima, scorre- il lettore lo scopre quando, nella secon-
308 michele boschino

va vivace, e tutti gli oggetti che tocca- da parte del romanzo, vede il racconto
va erano vivi nelle sue mani, animati oggettivo in terza persona ripreso dal
racconto soggettivo e di forma autobio-
dalla forza del suo sangue. Meno d’o- grafica. La vita di Michele Boschino di-
gni altro avrebbe saputo dire da che venta perciò, in questa seconda parte, il
cosa nasceva questa gioia, che viveva, problema morale di un giovane che asso-
miglia al personaggio IO di San Silvano,
come la sua angoscia, nelle cose che la come Boschino è parente delle donne e
circondavano. Anche l’acqua di Siga- degli uomini del popolo che solo fugge-
lesa le dava gioia, quell’acqua cristalli- volmente vi appaiono. Questa oggettiva-
na e leggera come aria, che lei beveva zione, che è stata un approfondimento
stilistico e morale di certi motivi umani,
avidamente. Non avrebbe saputo dire si é dunque compiuta dentro il mon-
perché quei monti, quei boschi, lo do soggettivo. Pure, fra le due parti dei
stormire del vento a lunghe ondate, romanzo c’è una continuità della lingua
che vuole far vibrare la ricca e molteplice
quando il paese dormiva, le dessero concretezza delle cose. La mia diffidenza
quel turbamento di gioia. Pensava che fu smussata, già alla prima lettura della
forse era la vita più riposata, a farla parte oggettiva del romanzo, da questo
star bene, e l’acqua buona, l’aria sa- senso così intenso della realtà. Siccome
Dessì stesso mi ha chiarito il rapporto tra
lubre, il cibo abbondante e nutriente. questa mia impressione di continuità e
E se ne vergognava. Era una gioia di questo mio gusto di lettere che ammirava
cui gli altri non potevano accorgersi, a e amava certi oggetti, certi utensili, certi
fuochi, le cose insomma di questo libro,
volte offuscata, a volte più viva, come riporto le sue parole: «Cose e gesti che
una stagione al suo inizio, quando ritornano, situazioni che si ripetano, do-
non è ancora del tutto passata quella vrebbero vivere nel libro come un albero
che l’ha preceduta. Di fuori si mani- vive nella campagna: vivere e rivelarsi
dai diversi punti di vista di cui l’occhio
festava appena in una maggior flori- dello scrittore e del lettore lo guardano, e
dezza, che solo Anna notava, quando nei mille possibili e taciuti punti di vista:
s’incontravano, e a cui Michele s’as- avere in sé queste mille possibilità come
le cose reali. Credo che tutto il libro sia
suefaceva senza farci caso. Era un impostato in questo senso. Ci sono due
sentimento della carne, profondo e punti di vista che interferiscono: quello
solitario. Lei stessa forse non sentiva oggettivo e quello soggettivo. Il raccon-
la sua gioia intera e compiuta se non to oggettivo interrotto, viene ripreso dal
racconto soggettivo del giovane e dal-
quando s’abbandonava a Michele. la introspezione, ma il racconto è solo
Allora la sua gioia continuava nel apparentemente continuato, in realtà è
sonno. Al mattino, quando, nel dor- ripetuto. Tutto sta in questa ripetizio-
ne, in questo aprire due punti differenti
miveglia, non lo sentiva più accanto sull’orizzonte, da cui convergono due
a sé, e vedeva sull’impannata i riflessi raggi in un sol punto. Vorrei che si sen-
della lanterna della stalla, s’avvolgeva tisse la possibilità di mille altri raggi. Il
in uno scialle e correva a raggiunger- lettore nel mio ideale, dovrebbe sentire,
al di là della più rigorosa precisione della
lo. Si svegliava nell’aria diaccia del mia immagine, il desiderio fantastico di
mattino, si trovava improvvisamente ripensarla. Così come è accaduto a te, per
sveglia in mezzo al cortile, nell’aria esempio, per i pomodori che Boschino
offre nel cestello al giovane, dopo la vi-
fredda che le penetrava sotto i panni, sita». Lette queste parole, e ripensando a
e si vergognava. Allora si metteva a questo molteplice e profondo sentimento
raccogliere la biancheria stesa la sera delle cose, io ho provato la medesima for-
prima, e con la stessa avidità con cui ma di gioia di chi, dopo la lettura delle tre
Critiche, sente, commosso di riconoscen-
beveva l’acqua, aspirava il vento che za per Kant, le infinite direzioni spirituali
l’aveva asciugata al sereno. della realtà. Claudio Varese».
Bibliografia

ROMANZI E RACCONTI

La sposa in città, Modena, Guanda, 1938 [La sposa in città, 1938;


Un’ospite di Marsiglia, 1938; La città rotonda, 1930; Giuoco
interrotto, 1931; I piedi sotto il muro, 1932; Il cane e il vento,
1934; Le amiche, 1935; La rivedremo in paradiso, 1937; Una
collana, 1937; Inverno, 1936, Cacciatore distratto,1938].

San Silvano, Firenze, Le Monnier, 1939 [Milano, Feltrinelli,


1962; Milano, Mondadori, 1981].

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ro, Ilisso, 2002].

Racconti vecchi e nuovi, Roma, Einaudi, 1945 [Nuoro, Ilisso,


2010: Giuoco interrotto, 1931; Inverno, 1936; Una collana,
1937; La rivedremo in paradiso, 1937; Un’ospite di Marsi-
glia, 1938; Cacciatore distratto, 1938; Incontro nel buio,
1938; Ricordo fuori del tempo, 1939; Un bambino quieto,
1939; L’insonnia, 1940; Suor Emanuela, 1940; Vigilia, 1940;
Ritratto, 1941; Le aquile, 1941; Gli amanti, 1941; Saluto a
Pietro Quendesquitas, 1941; Lebda, 1942; Paesaggio, 1942;
Innocenza di Barbara, 1942; La cometa, 1945].

Storia del principe Lui, Milano, Mondadori, 1949 [1969].

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Nuoro, Ilisso, 2004].

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l’acqua, Milano, Mondadori, 1966; Nuoro, Ilisso, 2003: Isola
dell’Angelo, 1949; I segreti, 1952; La cometa, 1945; La mia
trisavola Letizia, 1949; Lei era l’acqua, 1950; Il bacio, 1949;
La capanna, 1949; Black, 1951; La frana, 1950].

La ballerina di carta, Bologna, Cappelli, 1957 [Nuoro, Ilisso,


310 Bibliografia

2009: La mano della bambina, I violenti, La ballerina di car-


ta, La magnolia, Fuga di Marta, La paura, Il fidanzato, La
verità, Succederà qualcosa, Paese d’ombra, Giovani sposi, La
rondine, Le scarpe nere, Caccia alle tortore, Oh Martina!, La
ragazza nel bosco, L’uomo col cappello, Lo sbaglio, Il cole-
ra, La felicità, Un canto, La clessidra, L’utilitaria, Il grande
Lama, La bambina malata].

Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo, Venezia, Sodalizio del


Libro, 1959 [Milano, Mondadori, 1973].

Il disertore, Milano, Feltrinelli, 1961 [Milano, Mondadori, 1974;


1976; Nuoro, Ilisso, 1997].

Lei era l’acqua, Milano, Mondadori, 1966 [Nuoro, Ilisso, 2003:


Isola dell’Angelo, 1949; I segreti, 1952; La cometa, 1945; La
mia trisavola Letizia, 1949; Lei era l’acqua, 1950; Il bacio,
1949; La capanna, 1949; Canto negro, 1949; Il giornale del
lunedì, 1961; Il distacco, 1958; Commiato dall’inverno, 1958;
Fuochi sul molo, 1959; Black, 1951; La frana, 1950; Vacanza
nel Nord, 1965].

Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1972 [1975; Nuoro, Ilisso,


1998].

La scelta, a cura di A. Dolfi, Milano, Mondadori, 1978.

Come un tiepido vento, Palermo, Sellerio, 1989 [Pagine bian-


che, 1958; Il bastone, 1933; Risveglio, 1934; Eucalipti, 1934;
La sposa in città, 1937; Il figlio, 1945; Le scarpe nuove, 1949;
L’offerta, 1949; Il risveglio di Daniele Fumo, 1951; Ellisse,
1953; La fiducia, 1955; Il pozzo, 1956; La serva degli asini,
1956; Un’astrazione poetica, 1957; Giroscopio, 1957; Tredi-
ci, 1958; Signorina Eva, 1958; La strada, 1959; È successo a
Livia, 1959; Il destino di Numa, 1959; Breve diluvio, 1960; Il
disastro, 1960; Coro angelico, 1960; Fuga, 1962; La certezza,
1962; Claudia, 1963; I cinque della cava, 1963; Come un tie-
pido vento, 1964; Il battesimo, 1966; Lettera crudele, 1975; Il
giorno del giudizio, 1975].
Bibliografia 311

TEATRO

Racconti drammatici (La giustizia, Qui non c’è guerra), Milano,


Feltrinelli, 1959.
L’uomo al punto, in Terzo programma, 1961, 1, pp. 240-283.
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mio paese, Il professore di liceo].
Un pezzo di luna, Note, memoria e immagini della Sardegna,
a cura di A. Dolfi, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987 [I -
Scoperta della Sardegna, Paese d’ombra, Le due facce della
Sardegna, Sale e tempo, La donna sarda, La leggenda del
Sardus Pater, Proverbi e verità, Io e il vino, Taccuino di
viaggio, Nostalgia di Cagliari, Carnevale con diavoli rossi,
Belli feroci e prodi, Noialtri, Un’isola nell’isola; II – I sogni
dell’arciduca, Il frustino, Il castello, Una giornata di prima-
vera, Solitudine del popolo sardo, “Riscossa”, Il verismo di
Grazia Deledda, Grazia Deledda cent’anni dopo, L’uomo
Gramsci, Ricordo di Eugenio Tavolara, Come sono diven-
tato scrittore].

POESIE, DIARI, CORRISPONDENZE

Diari 1926-1931, ed. critica a cura di F. Linari, Roma, Jouvence,


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Giuseppe Dessì. Italia: Gigi Martello per Libero Bizzarri,
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La Sardegna: un itinerario nel tempo di Giuseppe Dessì, regia:


Libero Bizzarri. Soggetto e testo: Giuseppe Dessì. Musiche:
Egisto Macchi. Canti eseguiti dal Coro di Orgosolo, dal
Coro di Aggius e da Gavino Gabriel, Italia: 1963. Società
Umanitaria, 2004. Documento televisivo Rai in tre puntate.

Dessì tra cinema e televisione, a cura di G. Olla - C. Maccioni,


programma televisivo della sede regionale Rai per la Sarde-
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Il disertore, regia: Giuliana Berlinguer. Soggetto dal romanzo


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2003.
Bibliografia critica

Qui forniamo una bibliografia critica essenziale sulla personali-


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italiani ed europei, a cura di L. Pisano, Milano, Fondazione
Giuseppe Dessì-Franco Angeli, 2005, pp. 141-164.
G. Olla, Ritorno a casa: Giuseppe Dessì e l’esplorazione televisi-
va della Sardegna negli anni Sessanta, in Aa. Vv., Memoria,
paesaggio, cultura. Itinerari italiani ed europei, a cura di L.
Pisano, Milano, Fondazione Giuseppe Dessì-Franco Angeli,
2005, pp. 333-342.
AA. VV. Narrativa breve, cinema e tv. Giuseppe Dessì e altri pro-
tagonisti del Novecento, a cura di V. Pala e A. Zanda, Roma,
Bulzoni, 2011.
G. Dessì, Nell’ombra che la lucerna proiettava sul muro, a cura
di G. Olla, Cagliari, CUEC, 2011.
Indice

dino manca
Introduzione p. xi

Nota al testo xic

Giuseppe Dessì
Michele Boschino p. 1

Appendice A 243

Appendice B 279

Appendice C 287

Bibliografia 309
volumi pubblicati

SCRITTORI SARDI

1) Domenico Simon, Le piante, a cura di Giuseppe Marci


2) Francesco Ignazio Mannu, Su patriota sardu a sos feudatarios, a cura
di Luciano Carta
3) Antonio Cano, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu,
Prothu et Januariu, a cura di Dino Manca
4) Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli
in Sardegna, a cura di Giuseppe Marci
5) Proto Arca Sardo, De bello et interitu marchionis Oristanei, a cura di
Maria Teresa Laneri
6) Salvatore Satta, L’autografo de Il giorno del giudizio, edizione critica
a cura di Giuseppe Marci
7) Giuseppe Manno, Note sarde e ricordi, a cura di Aldo Accardo e
Giuseppe Ricuperati, edizione del testo di Eleonora Frongia
8) Antonio Mura, Poesia ininterrompia e Campusantu marinu, a cura
di Duilio Caocci
9) Giovanni Saragat, Guido Rey, Alpinismo a quattro mani, a cura di
Giuseppe Marci
10) Giuseppe Todde, Scritti economici sulla Sardegna, edizione delle
opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette
11) Giovanni Delogu Ibba, Index libri vitae, a cura di Giuseppe Marci
12) Predu Mura, Sas poesias d’una bida, nuova edizione critica a cura di
Nicola Tanda con la collaborazione di Raffaella Lai
13) Francisco de Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña (7
volumi), a cura di Francesco Manconi, edizione di Marta Galiña-
nes Gallén
14) Vincenzo Sulis, Autobiografia, edizione critica a cura di Giuseppe
Marci, introduzione e note storiche di Leopoldo Ortu
15) Antonio Purqueddu, De su tesoru de sa Sardigna, a cura di Giusep-
pe Marci
16) Sardus Fontana, Battesimo di fuoco, edizione del testo a cura di
Eleonora Frongia, prefazione di Aldo Accardo, introduzione di
Giuseppina Fois
17) Andrea Manca Dell’Arca, Agricoltura di Sardegna, a cura di Giu-
seppe Marci
18) Pietro Antonio Leo, Di alcuni antichi pregiudizii sulla così detta
sarda intemperie e sulla malattia conosciuta con questo nome lezione
fisico-medica, a cura di Giuseppe Marci, presentazione di Ales-
sandro Riva e Giuseppe Dodero, profilo biografico di Pietro Leo
Porcu
19) Sebastiano Satta, Leggendo ed annotando, edizione critica a cura di
Simona Pilia
20) Il carteggio Farina - De Gubernatis (1870-1913), edizione critica a
cura di Dino Manca
21) Giovanni Arca, Barbaricinorum libelli, a cura di Maria Teresa La-
neri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas
22) Antonio Baccaredda, Vincenzo Sulis. Bozzetto storico, a cura di Si-
mona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci
23) Giovanni Saragat, Guido Rey, Famiglia alpinistica. Tipi e paesaggi,
a cura di Giuseppe Marci, introduzione di Giuseppe Garimoldi
24) Efisio Marcialis, Vocabolari, a cura di Eleonora Frongia
25) Grazia Deledda, Il ritorno del figlio, edizione critica a cura di Dino
Manca
26) Francesco Cucca, Lettere ad Attilio Deffenu (1907-1917), a cura di
Simona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci
27) Giuseppe Todde, Scritti economici, edizione delle opere a cura di
Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette
28) Antonio Canales De Vega, Discursos y apuntamientos sobre la propo-
sición hecha en nombre de su Magestad a los tres Braços Ecclesiástico,
Militar y Real, a cura di Antonello Murtas, introduzione di Gian-
franco Tore
29) Antonio Mura Ena, Memorie del tempo di Lula, edizione critica a
cura di Dino Manca, prefazione di Nicola Tanda
30) Gerolamo Araolla, Rimas diversas spirituales, a cura di Maurizio
Virdis
31) Frate Antonio Maria da Esterzili, Libro de Comedias, a cura di A.
Luca de Martini
32) Grazia Deledda, Lettere ad Angelo de Gubernatis (1892-1909), a
cura di Roberta Masini
33) Sigismondo Arquer, Sardinae brevis historia et descriptio, a cura di
Maria Teresa Laneri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas
34) Giuseppe Todde, Note sulla Economia Politica, edizione delle opere
a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette
35) Antonio Maccioni, Arte y Vocabulario de la lengua Lule y Tonocoté,
a cura di Riccardo Badini, Tiziana Deonette, Stefania Pineider,
introduzione di Riccardo Badini, Raoul Zamponi
36) Antonio Maccioni, Las siete estrellas de la mano de Jesús, a cura di
Tiziana Deonette, Simona Pilia, introduzione di María Cristina
Vera de Flachs, Luciano Gallinari, Gianna Carla Marras
37) Umberto Cardia, Il mondo che ho vissuto, a cura di Giuseppe Marci,
prefazione di Joseph Buttigieg
38) Juan Tomás Porcell, Información y curación de la peste de Çaragoça y
praeservación contra peste en general, a cura di María Dolores García
Sánchez
39) Pompeo Calvia, Quiteria, edizione critica a cura di Dino Manca
40) Grazia Deledda, L’edera, edizione critica a cura di Dino Manca
41) Giuseppe Biasi, Comparsa conclusionale. I parenti poveri, a cura di
Giambernardo Piroddi, prefazione di Nicola Tanda

OPERE DI ENRICO COSTA

1) La bella di Cabras, a cura di Giuliano Forresu, introduzione di


Giuseppe Marci
2) Racconti, a cura di Elena Casu, Melanie Sailis e Francesca Sirigu,
prefazione di Pasquale Mistretta, introduzione di Ines Loi Corvetto
3) Guida-racconto. Da Sassari a Cagliari e viceversa, a cura di Simona
Pilia, introduzione di Giuseppe Marci

TESTI E DOCUMENTI

1) Il libro sardo della confraternita dei disciplinati di Santa Croce di


Nuoro (XVI sec.), a cura di Giovanni Lupinu
2) Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio
Virdis
3) Il Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di Paolo Manin-
chedda e Antonello Murtas
4) Il Registro di San Pietro di Sorres, introduzione storica di Raimondo
Turtas, edizione critica a cura di Sara Silvia Piras e Gisa Dessì
5) Innocenzo III e la Sardegna, a cura di Mauro G. Sanna
6) Il Vangelo di San Matteo voltato in logudorese e cagliaritano, a cura
di Brigitta Petrovszki Lajszki e Giovanni Lupinu
7) Il Condaghe di San Gavino, a cura di Giuseppe Meloni
8) I Malaspina e la Sardegna, a cura di Alessandro Soddu
9) Le chiese e i gosos di Bitti e Gorofai, a cura di Raimondo Turtas e
Giovanni Lupinu
10) Il Condaxi Cabrevadu, a cura di Patrizia Serra
11) Il Vangelo di San Matteo voltato in Sassarese, a cura di Giovanni
Lupinu

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