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Le carte di
Michele Boschino
edizione critica
a cura di Dino Manca
Giuseppe Dessì
opera pubblicata con il contributo di
scrittori sardi
coordinamento editoriale
centro di studi filologici sardi / cuec
I volumi pubblicati nella collana del Centro di Studi Filologici Sardi sono passati al
vaglio da studiosi competenti per la specifica disciplina e appartenenti ad università
italiane e straniere. La valutazione è fatta sia all’interno sia all’esterno del Comita-
to scientifico. Il meccanismo di revisione offre garanzia di terzietà, assicurando il
rispetto dei criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni, ai sensi
dell’art. 3-ter, comma 2, del decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito
dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1.
giuseppe dessì
LE CARTE
DI michele boschino
coordinamento editoriale
centro di studi filologici sardi / cuec
Giuseppe Dessì
Le carte di Michele Boschino
ISBN: 978-88-8467-708-2
cuec editrice © 2011
prima edizione dicembre 2011
Via Bottego, 7
09125 Cagliari
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Sant’Agostino
Tutte le immagini a corredo del testo sono state pubblicate su gentile concessione
del prof. Francesco Dessì e del «Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux»
nella persona del suo direttore, la dottoressa Gloria Manghetti. È vietata la ri-
produzione o duplicazione con qualsiasi mezzo delle immagini qui pubblicate.
1
Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, Roma (via Prisciano,
75), 18 maggio 1966. La lettera, conservata presso l’Archivio Contem-
poraneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto “G. P. Vieusseux” a Fi-
renze, si trova pubblicata in: F. Nencioni (a cura di), A Giuseppe Dessì.
Lettere di amici e lettori, Firenze, University Press, 2009, pp. 431-432.
Ricordi autobiografici si trovano altresì in: Ritratti su misura (Venezia,
Sodalizio del Libro, 1960), La Scelta (Milano, Mondadori, 1978), Un
pezzo di luna, Note, memoria e immagini della Sardegna (Cagliari, Edi-
zioni Della Torre, 1987).
XII DINO MANCA
2
Cfr. G. Dessì, Un pezzo di Luna, note, memoria e immagini della Sar-
degna, a cura di A. Dolfi, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987 [2006],
p. 187.
Introduzione XIII
3
G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, in La scelta [Milano,
Mondadori, 1978], intr. di cura Varese comm. di A. Dolfi, Cagliari,
2003, p. 127.
4
Cfr. Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, cit., p. 431.
XIV DINO MANCA
5
G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, cit., pp. 128-129. Il
padre, per attenuare e compensare quell’ossessivo e «claustrofobico»
rovello deterministico-meccanicista, gli propose di leggere l’Orlando
Furioso. L’incontro con la poesia e l’«armonia» compositiva dell’Ario-
sto risultò essere, per il sedicenne Dessì, salvifico.
XVI DINO MANCA
6
G. Dessì, Il professore di liceo, in La scelta, cit., p. 138.
7
Seguito da Momigliano, inoltre, aveva preparato una tesina triennale
sulla personalità e l’opera del Tommaseo.
Introduzione XVII
8
G. Dessì, Prefazione a I Passeri, Milano, Mondadori, 1965, p. X.
9
L’avvocato Baraldi fu radiato dall’albo perché di idee socialiste.
10
Cfr. A. Romagnino, Dessì e Varese dal liceo Dettori a Ferrara, Ca-
gliari, Demos editore, 1999, pp. 29-30.
11
Cfr. G. Dessì, La sposa in città, a cura di C. Varese, Parma, Guanda,
1938 [a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilisso, 2009]. Gli undici racconti furo-
no scritti e pubblicati tra il 1930 e il 1938: La sposa in città, Un ospite
di Marsiglia, La città rotonda, Giuoco interrotto, I piedi sotto il muro,
Il cane e il vento, Le amiche, La rivedremo in Paradiso, Una collana,
Inverno, Cacciatore distratto.
XVIII DINO MANCA
12
Cfr. G. Dessì, San Silvano, Firenze, Le Monnier, 1939 [Milano, Fel-
trinelli, 1962; Milano, Mondadori, 1981; a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilis-
so, 2003].
13
Cfr. G. Contini, Inaugurazione di uno scrittore, “Letteratura”, aprile
1939 [in Esercizi di lettura, Torino, Einaudi, 1974, pp. 175-180].
14
Si deve tener conto «della formazione gentiliana e delle frequen-
tazioni idealistiche pisane, lo storico dell’arte Ragghianti e Varese, il
normalista sardo Borio. Soprattutto […] occorre conoscere meglio le
frequentazioni filosofiche sassaresi da Borio a Forteleoni, in un am-
biente in cui si discuteva oltre che di socialismo, di idealismo, di con-
tingentismo, di esistenzialismo» (N. Tanda, Lingue e letteratura nella
Sardegna moderna e contemporanea, in Dal mito dell’Isola all’Isola del
mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 177).
15
Cfr. G. Dessì, Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1942 [Milano,
Mondadori, 1975; Milano, Mondadori, 1977; a cura di C. A. Madrigna-
ni, Nuoro, Ilisso, 2002].
16
A Pisa, già durante gli anni dell’università, quotidiani e periodici ini-
ziarono a pubblicare alcuni suoi lavori. Nel 1937 collaborò a “La Stam-
pa”, seguirono negli anni poi le collaborazioni a “Primato”, “Il Giorna-
le d’Italia”, “L’Orto”, “Portanova”, “Campano”, “Il Resto del Carlino”,
“Il Giornale”, “La Gazzetta del Popolo”, “Il Messaggero”, “Il Giornale”,
“Il Tempo”, “Belfagor”, “Il Ponte”, “Botteghe Oscure”, “Il Lavoro”,
“Rinascita”, “Sipario”, “L’Unità” e “Paese sera”. Come già scritto, nel
Introduzione XIX
18
G. Dessì, Diari…, pp. 170 e 235. Il 25 febbraio del 1948 fu inaugu-
rata al “Museo Sanna” di Sassari, grazie all’interessamento di Raffaello
Delogu, direttore della Sovrintendenza alle Belle Arti della Sardegna,
e di Filippo Figari, direttore dell’Istituto d’Arte, una mostra didattica
di pittura moderna presentata con un catalogo da Corrado Maltese,
e comprendente stampe stereoscopiche di Manet, Gauguin, Pizzaro,
Sisley, Seurat, Deraine, Monet, Manet, Renuart, Cezanne, Van Gogh,
Degas, Picasso, Rouault, Matisse e Bonnard.
XXII DINO MANCA
19
Giuseppe Dessì ad Anna Dolfi, Roma, 10 aprile 1976. Cfr. G. Dessì,
La scelta…, p. 167.
XXIV DINO MANCA
20
«Quanto alla fenomenologia e alla linguistica, (partecipò alla presen-
tazione dell’opera di Bailly, Linguistica generale e linguistica francese),
ed è sufficiente scorrere il catalogo del «Saggiatore» di quegli anni per
scorgervi opere di Gramsci, De Martino, Kerényi, Cantoni, Paci, Sar-
tre, Lévi-Strauss, Jung; (io stesso ho assistito spesso a discussioni su
Merlau Ponty e su Lévi Strauss), né si può trascurare che curatore di
quella collana era Giacomo Debenedetti, amico di Dessì» (N. Tanda,
Lingue e letteratura…, cit., p. 177).
21
N. Tanda, La Sardegna come la luna di Giuseppe Dessì, in Dal mito
dell’isola all’isola del mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 142.
XXVI DINO MANCA
22
Sull’archivio Dessì cfr. Giuseppe Dessì: storia e catalogo di un archi-
vio, a cura di A. Landini, Firenze, University Press, 2002; Le corrispon-
denze familiari nell’archivio Dessì, a cura di C. Andrei, Firenze, Univer-
sity Press, 2003; A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori, a cura di F.
Nencioni, Firenze, Firenze University Press, 2009.
23
Le clausole sottoscritte per la donazione furono: la catalogazione
completa del materiale, la pubblicazione del catalogo e l’affidamento
ad Anna Dolfi del ruolo di supervisione. Cfr. Giuseppe Dessì: storia e
catalogo di un archivio, cit.
Introduzione XXVII
24
Il materiale riordinato e schedato nel rispetto delle norme archivi-
stiche giunse a Firenze già organizzato in faldoni e raccoglitori siste-
mati a loro volta dentro quattordici scatoloni accuratamente predi-
sposti e numerati dalla vedova. Si tenga conto, peraltro, che la Babini
partecipò tanto alla formazione e alla conservazione dell’archivio del
marito quanto alla scrittura (con appunti, note, integrazioni di titoli,
segnalazioni, trascrizioni) fin da quando iniziò a vivergli accanto e in
particolar modo dopo che nel dicembre del 1964 l’uomo fu colpito da
un’emiplegia. È stato quindi dovere del catalogatore «presupporre da
parte sua la conoscenza dei criteri in base ai quali lo scrittore amava
ordinare e conservare le proprie carte». Cfr. Giuseppe Dessì: storia e
catalogo di un archivio, cit.
25
Il corpus è costituito dalle lettere dello scrittore al padre Francesco (e
viceversa), alla madre, al fratello Franco (e viceversa), a Luisa Babini
(e viceversa), a parenti, ad amici e a destinatari del mondo letterario,
editoriale e massmediologico (case editrici, riviste, giornali, teatro,
televisione, radio); dalle missive della prima moglie Lina Baraldi e di
mittenti vari (colleghi, amici, scrittori, critici).
XXVIII DINO MANCA
D D1 D2
distingueva ora distintamente il ru- distingueva ora ›distintamente‹ il
more che faceva la zappa di Michele rumore /ben noto/ che faceva la zap-
urtando un sasso, lo schiocco delle pa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo
forbici, il cigolio lungo del cancello di schiocco delle forbici, il cigolio lungo
legno. Si ricordò che da quando s’era del cancello di legno /e questi rumo-
ammalato non mangiava più pomo- ri gli facevano bene come l’aria della
dori crudi, e subito gliene venne de- campagna/. Si ricordò che da quando
siderio. s’era ammalato non mangiava più po-
modori crudi, e subito gli (← gliene)
venne •voglia di mangiarne (›deside-
rio‹).
B M2
distingueva ora il rumore ben noto distingueva ora il rumore ben noto
che faceva la zappa urtando un sasso, che faceva la zappa urtando un sas-
lo schiocco delle forbici, il cigolio so, lo schiocco delle cesoie, il cigolio
lungo del cancello di legno, e questi lungo del cancello di legno, e questi
rumori gli facevano bene come l’aria rumori gli facevano bene come l’aria
della campagna. ||A un tratto si|| della campagna. A un tratto si ricordò
(›Si‹) ricordò che da quando si era che da quando si era ammalato non
ammalato non mangiava più pomo- mangiava più pomodori crudi, e subi-
dori crudi, e subito gli venne voglia di to gli venne voglia di mangiarne.
mangiarne.
30
Cfr. Appendice C.
31
Il testo critico del primo quaderno (Q) con apparato genetico è stato
collocato a titolo esemplificativo in cauda. Cfr. Appendice B.
XXXIV DINO MANCA
D D1ª
la portò nel capanno. la portò nel capanno.
Della grassazione di Cantòria le par- ›Della grassazione di Cantòria le
lò solo molto tempo più tardi, quando parlò solo molto tempo più tardi,
Severina era sua moglie già da parec- quando Severina era sua moglie già
chi mesi. da parecchi mesi.‹
Della grassazione non pensò più a Della grassazione non pensò più a
parlargliene, anche perché quel segre- parlargliene, anche perché quel segre-
to non gli pesava più ormai. to non gli pesava più ormai.
D D1ª
Come accade alle persone che si tro- ›Come accade alle persone che si
vano all’improvviso in una condizio- trovano all’improvviso in una con-
ne nuova, Severina fantasticava per dizione nuova, Severina fantasticava
suo conto anche quand’era in compa- per suo conto anche quand’era in
gnia. Le piacevano certi lavori quieti, compagnia. Le piacevano certi lavori
come mondare il grano e fare la fari- quieti, come mondare il grano e fare
na, e le tornavano in mente le nenie la farina, e /le tornavano in mente/ |le
con le quali ninnava i bambini di sua canticchiava a mezza voce| [-] le ne-
sorella, e le cantava a mezza voce nie con le quali ninnava i bambini di
sua sorella, e le cantava a mezza voce‹
Quando, dopo le nozze, Maddalena
non seppe resistere alla tentazione di
riferirgli certe chiacchiere che la gente
aveva fatto sul suo matrimonio, Mi-
chele, invece di adirarsene, come sua
madre s’aspettava, disse che non glie-
ne importava nulla.
D D1 = M2
Anche altre persone, amici comuni, •
Parenti e (›Anche altre persone,‹)
cercarono di convincere Benedetto amici comuni cercarono /inutil-
e Salvatore a lasciarlo in pace, fin- mente/ di convincere •i due testardi
ché Giuseppe, vedendo che tutto era a desistere (›Benedetto e Salvatore a
inutile, pregò queste persone di non lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe,
occuparsi più della cosa. “Io” diceva vedendo che tutto era inutile, pregò
Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora per- queste persone di non occuparsi più
ché mi dispiaceva di vederli sempre della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho
così inquieti. Ma se proprio ci voglio- ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva
no stare, nella loro rabbia, che frigga- di vederli sempre così inquieti. Ma se
no pure!” Un giorno però Salvatore proprio ci vogliono stare, nella loro
rabbia, che friggano pure!”‹.
Un giorno ›però‹ Salvatore
←
D D1 D2
Ma quando poi fu nell’orto, si straiò Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso
all’ombra del pergolato, accanto alla da una grande stanchezza./ Si sdraiò
vasca, ›e non si mosse di lì per tutta (← si straiò) all’ombra del pergolato,
la giornata‹ con la testa sul basto del accanto alla vasca, con la testa sul
mulo. Disse che voleva star lì un poco basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che
a riposarsi, e si addormentò beata- voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si
mente allo scroscio del ritrecine. Mi- addormentò beatamente allo scroscio
chele gli mise accanto una brocchetta del ritrecine. Michele gli mise accan-
d’acqua fresca, per quando si sveglia- to una brocchetta d’acqua fresca, per
va, e andò a zappare, poco discosto. quando si svegliava, e andò a zappare,
Ogni tanto, sentendolo parlare, tor- poco discosto. Ogni tanto, sentendolo
nava; parlare, tornava;
B
Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò
all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si
addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto
una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i
cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹)
parlare, tornava;
32
Da qui in avanti la sigla B designerà sia B (ultima bozza di stampa)
che M1 (Iª edizione, 1942).
XXXVIII DINO MANCA
D D1 D2 B M2
voleva esigeva
interiore, D D1 D2 B interiore M2
L’orto D D1 D2 B Lo orto M2
33
Per rendere il ritmo narrativo più sostenuto l’autore ha innova-
to a diversi livelli formali ed espressivi. Da ascrivere a questa finalità
crediamo vi sia anche la frequentissima consuetudine codificatoria –
precisatasi sempre meglio nell’evoluzione da D a M2 – di apostrofare
(“gl’infondeva”) e soprattutto di apostrofare le particelle pronominali
atone davanti a vocale diversa da «i»: «s’affaccia» anziché «si affaccia»;
«s’era»; «s’avvicinò»; «s’arrampicava»; «s’addormentò»; «s’alzò»; «s’a-
privano»; «s’affidava»; «s’accorava»; «s’asciugava».
XLII DINO MANCA
34
Analogo discorso si è fatto a proposito della filologia deleddiana e,
come già per la scrittrice sarda, analogamente si constata la quasi totale
assenza di edizioni critiche con apparato genetico o diacronico di buo-
na parte dell’opera dessiana. Tra le poche esistenti meritano di essere
ricordate per completezza e rigore (presenza di testo critico, apparato
diacronico, nota al testo, introduzione, note esplicative e di commen-
to) soprattutto quelle approntate da Franca Linari: Diari 1926-1931,
Roma, Jouvence, 1993; Diari 1931-1948, Roma, Jouvence, 1999; Diari
1949-1951, Firenze, University Press, 2009.
35
Cfr. D. Manca, Introduzione a G. Deledda, L’edera, Cagliari, Cen-
tro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, p. XCV.
Introduzione XLIII
D D1
Vacca disse che non era il caso di Erano rimasti lì un poco, poi vedendo
ritentare, dato che il colpo non era che non era il caso d’arrischiarsi a un
riuscito, e diede ai compagni l’ordi- nuovo tentativo, se n’erano tornati
ne di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| verso la radura dov’erano i cavalli.
(›Prima di andare via‹) si avvicinò Vacca era rimasto indietro col ferito,
al ferito, cavò di tasca il coltello da che fu trovato poi sgozzato come un
caccia, si chinò su di lui. Cosimo si agnello.
voltò dall’altra parte: sentì una spe- A Cosimo e a Michele fu intimato,
cie di gorgoglio, un sospiro, poi più sotto la minaccia dei fucili spianati di
nulla. In silenzio s’avviarono verso la continuare il viaggio come se nulla
radura. fosse accaduto.
A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati,
di continuare il viaggio come se nulla
fosse accaduto.
Cosimo e Michele furono lasciati li-
beri con l’ordine preciso di continua-
re il viaggio come se nulla fosse stato.
E quattro giorni dopo tornarono a
Sigalesa coi loro acquisti: il torello da
monta e il giogo di buoi da lavoro.
Interrogati dal capo della gendar-
meria se avessero incontrato uomini
armati sulla strada di Forri, dissero di
no, e furono lasciati in pace.
D2 B M2
Erano rimasti lì un poco, poi vedendo Erano rimasti lì un poco, poi pensan-
che non era il caso d’arrischiarsi in un do che non era il caso d’arrischiarsi a
nuovo tentativo, se n’erano tornati un nuovo tentativo, se n’erano tornati
verso la radura dov’erano i cavalli. verso la radura, dov’erano i cavalli.
Vacca era rimasto indietro col ferito, Vacca era rimasto indietro col ferito,
che fu trovato poi sgozzato come un che fu trovato poi sgozzato come un
agnello. agnello.
A Cosimo e a Michele fu intimato, A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati di sotto la minaccia dei fucili spianati,
continuare il viaggio come se nulla di continuare il viaggio come se nulla
fosse accaduto. fosse accaduto.
36
Lettera di Giuseppe Dessì a Carlo Varese, 1947. La lettera si trova
pubblicata in: G. Dessì, Dal romanzo inedito Michele Boschino, “Lette-
re d’oggi. Rivista mensile di letteratura” III (serie III), 4 (maggio 1941),
pp. 32-33; C. Varese, Introduzione a Michele Boschino, Milano, Mon-
dadori, 1975, p. VII.
Introduzione XLV
37
L’io narrante racconta innanzitutto se stesso, e fa di una parte della
sua vita l’oggetto del racconto.
XLVI DINO MANCA
38
Si propone qui la relazione «oggettiva» della vita di Boschino fatta
da Linda, per via epistolare, al giovane Filippo nella seconda parte del
romanzo.
39
G. Dessì, Introduzione a Scoperta della Sardegna…, cit., p. 5.
Introduzione XLIX
40
G. Dessì, Diari…, p. 80.
41
Spesso di carattere generico, continuativo, iterativo e singolativo
sono infatti le determinazioni temporali: «un giorno», «alcuni anni
prima», «sui vent’anni», «parecchie volte a distanza di tempo».
L DINO MANCA
42
«Non è vero che Vincenzo conosca la campagna meglio di me: lui
sa sfruttarla meglio, ma io la conosco più intimamente di lui, e sono
certo che se tornassi a San Silvano fra venti anni dopo essere vissuto
a Milano o a Londra, tornando e sentendo la ruvidezza di questi tron-
chi, l’odore amaro di queste foglie, l’erba piegata dal vento sfiorarmi
le gambe, io riacquisterei questa conoscenza perfetta della campagna.
Che è conoscenza di questa campagna. Un giorno, ad Assisi, dove ero
stato a trovare un amico sul finire della primavera, dopo un lungo sog-
giorno cittadino, mi sentii, mi svegliai in mezzo alla campagna. Intor-
no grano verde, odore della terra ricca di [-] riscaldata dal sole, l’odore
della estate che si avanzava, uno di quegli annunci che ti fanno sentire
la stagione che viene quasi spiritualmente; l’estate, l’autunno. Eppure
io in quella ricchezza della natura, in mezzo a tutto quel verde, a quei
Introduzione LI
Io e te dobbiamo dimenticarci
43
Cfr. C. Toscani, Dessì, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 5.
Introduzione LV
44
Cfr. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiato-
re, 1966; J. M. Lotman, Tesi sullo studio semiotico della cultura, Par-
ma, Pratiche, 1980; Testo e contesto, Bari, Laterza, 1980; J. M. Lotman
- A. Uspenskij Boris, Tipologia della cultura, a cura di R. Facciani,
M. Marzaduri, Milano, Bompiani, 2001; C. Segre, Semiotica, storia e
cultura, Padova, Liviana, 1977.
LVI DINO MANCA
47
Le riflessioni di Dessì sulla lingua «meritano indubbiamente un
esame attento a cogliere e rilevare sia il versante dell’impegno teorico
ma anche quello dell’impegno formale che egli, intellettuale ormai di
cultura italiana ed europea, ha impiegato riformulare, in un altro si-
stema linguistico, italiano, ciò che egli riusciva a decifrare, con la sua
competenza, dai codici sardi. Un impegno che è in ragione di una scel-
ta linguistica e letteraria perfettamente ortodossa, come ha rimarcato
la Lavinio ma, aggiungiamo, proprio perché altra, di inappartenenza:
una scelta vissuta, evidentemente, e anche sofferta in maniera lace-
rante. Non a caso il suo modello di lingua tende verso l’integrazione
nazionale verso una lingua letteraria che egli si è conquistato giorno
per giorno, con lo studio. Davanti al suo tavolo di lavoro Dessì aveva
un’edizione ottocentesca del Dizionario del Tommaseo. Solo ora nel
rileggere alcuni suoi libri, in particolare Michele Boschino, riesco a im-
maginare e a comprendere quale debba essere stato il suo rovello nel
commutare in italiano, in una prosa corrispondente ai modelli letterari
tra le due guerre, per intenderci tra “Solaria” e “Letteratura”, e che egli
ha contribuito ad arricchire ed innovare, quanto aveva appreso e co-
nosciuto dei codici sardi, ripulendo la lingua mediante il Tommaseo
[…]» (N. Tanda, Dessì e il problema dei codici, in Letteratura e lingue
in Sardegna, Cagliari, Edes, 1984, pp. 119-122).
Introduzione LIX
Forse gli altri sapevano di lui più di quanto egli non sa-
pesse di loro.
48
G. Dessì, La mia Sardegna, “Il Gatto Selvatico”, n. 8, VII (agosto
1961), p. 12.
Introduzione LXI
49
Lettera di Grazia Deledda ad Antonio Scano, Nuoro 10 ottobre 1892.
La lettera si trova pubblicata in G. Deledda, Versi e prose giovanili, a
cura di A. Scano, Milano, Ed. Virgilio, 1972, p. 251. Sull’argomento
si vedano altresì, a titolo esemplificativo: R. Bonghi, Perché la lette-
ratura italiana non sia popolare in Italia. Lettere critiche, Milano, F.
Colombo – F. Perelli, 1856; B. Croce, La letteratura dialettale riflessa,
la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico, “La Critica”, XXIV,
6 (20 novembre 1926), pp. 334-343 [poi in: Id., Uomini e cose della
vecchia Italia, serie I, Bari, Laterza, 1927, pp. 225-234]; M. Sansone,
Relazioni fra la letteratura italiana e le letterature dialettali, in Aa. Vv.,
Problemi ed orientamenti critici di lingua e di letteratura italiana – IV,
Letterature comparate, Milano, Marzorati, 1948, pp. 281-287; Poesia
dialettale del Novecento, a cura di P. P. Pasolini e M. Dell’Arco, Parma,
Guanda, 1952; G. Contini, Dialetto e poesia in Italia, “L’approdo”, III,
2 (1954), pp. 12-18; Ultimi esercizi ed elzeviri, Torino, Einaudi, 1988;
T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963
[1972]; D. Isella, Introduzione a A. Manzoni, Postille al Vocabolario
della Crusca nell’edizione veronese, a cura di D. Isella, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1964, VIII-XVII; C. Dionisotti, Per una storia della lingua
italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einau-
di, 1967; C. Segre, Polemica linguistica ed espressionismo dialettale
nella letteratura italiana, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli,
1974, pp. 407-426; Aa. Vv., Letteratura e dialetto, a cura di G. L. Bec-
caria, Bologna, Zanichelli, 1975; G. Devoto, Profilo di storia lingui-
stica italiana, Firenze, Le Monnier, 1976; P. V. Mengaldo, Lingua e
letteratura, in Lingua, sistemi letterari, comunicazione sociale, Padova,
CLEUP, 1978, pp. 137-200; Poeti italiani del Novecento, a cura di P. V.
Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978, pp. LXXVII-1096; F. Brevini,
Poeti dialettali del Novecento, Torino, Einaudi, 1987; Le parole perdute.
Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990; La poesia in
dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, III tomi, Milano, Mon-
LXII DINO MANCA
50
G. Dessì, Le due facce della Sardegna, “Il Ponte”, rivista mensile
diretta da Piero Calamandrei, 9-10 (1951), Firenze, Le Monnier, pp.
965-970.
51
Si confronti, a tal riguardo, la ricostruzione «obiettiva», logico-cro-
nologica delle vicende di Boschino fatta per via epistolare da Maria.
Introduzione LXV
52
L’evocazione, intesa come atto di coscienza del presente, non può
non rimanere condizionata dall’adesso temporale.
LXVI DINO MANCA
D D1 D2 B
A un tratto, mentre ero immerso in A un tratto, mentre ero immerso in
questi ricordi, e quasi impregnato di questi ricordi, e quasi impregnato di
odori campestri, pensai che anche a odori campestri, pensai che anche a
Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel- Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel-
53
G. Dessì, Diari…, p. 81.
54
G. Dessì, Diari…, p. 175.
Introduzione LXVII
lo colpito deve dare un brivido, come lo colpito deve dare un brivido, come
succedeva a me al solo pensarci; e de- succede a me al solo pensarci; e desi-
siderai ardentemente di rivederla […] derai ardentemente di rivederla […]
55
Ritornano alla mente altre pagine della migliore letteratura sarda dalla
Deledda ad Atzeni, lì dove riaffiora in modi diversi il conflitto dei codici,
espressione di mondi e mentalità diverse, e quella interferenza comuni-
cativa che è discrasia culturale e geografica oltre che generazionale. Una
novella, ad esempio, dai risvolti sociali, che si risolve nell’arco di una se-
quenza scenica e si specifica per la presenza di esistenti modellati per sta-
tuti dicotomici (giovane e vecchio, ricco e povero, sano e malato, istruito
e incolto, innovazione e conservazione) che interagendo producono il
significato letterario del racconto, è Lo studente e lo scoparo. Come sug-
gerisce il titolo, la vicenda si impernia sul confronto dialogico fra un
giovane studente-giornalista di nome Lixia, sconfortato e abbattuto per
lo stato di malessere sociale ed economico in cui ritrova la sua terra (e
ciononostante mosso da una convinta tensione verso il cambiamento), e
un vecchio e malazzato venditore di scope, zio Pascale, figlio di un’altra
mentalità, uomo di oramai incerte e smarrite convinzioni, che, provato
dalla miseria e dalla fatica rude, rassegnato e avvilito, si trascina, mace-
randosi, in un quotidiano senza speranza. È un confronto fra vecchi e
giovani, fra tradizione e innovazione, fra generazioni diverse, lontane
fra loro, proiezione simbolica di una Sardegna che vuole cambiare e di
una terra invece diffidente e misoneista, irrimediabilmente prigioniera
LXVIII DINO MANCA
56
G. Dessì, Diari…, pp. 174 -175.
57
Nell’introduzione a I passeri Dessì domandava e rispondeva: «Perché
in Sardegna? mi si chiederà ancora una volta. Perché, a parte le ragio-
ni storiche e artistiche che richiederebbero un troppo lungo discorso,
come ci insegnano Spinoza, Leibniz, Einstein e Merleau-Ponty, ogni
punto dell’universo è anche il centro dell’universo» (C. Varese, Intro-
duzione a Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1972, p. V).
LXX DINO MANCA
D D1 D2 B M2
Forse anche l’amore per i luoghi è solitario e inesprimibi-
le come l’amore per le persone […] Ripensando alla ter-
razza di Giarrana, ora che sono qui immobile, in questo
letto, mi pare di poter ritrovare tutta la mia vita in quel
ricordo. E anche questo sentimento è solitario, incomu-
nicabile. Mia madre entra nella stanza, si siede accanto
a me. Non sa quello che penso, che sento. Inutile tentare
di dirglielo, se lei stessa non lo capisce, se dal profondo
del suo essere non è mosso lo stesso sentimento, lo stesso
pensiero. Entro quell’orizzonte, nell’amore di quel luo-
go che è soltanto mio, in quel bisogno di andarmene, di
ritornare, nella nostalgia che continuava a durare anche
quando ero tornato, tutta la mia vita si delimita, si siste-
ma, diventa comprensibile come se la leggessi narrata in
un libro […]
Introduzione LXXI
58
Michele Boschino è uno dei «primi “meta romanzi” della nostra nar-
rativa proprio secondo l’accezione di Moravia» (N. Tanda, Dessì e il
problema dei codici, in Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, Edes,
1984, pp. 119).
59
G. Dessì, La mia Sardegna…, p. 13 [anche in: Introduzione a Scoper-
LXXII DINO MANCA
D D1 D2
Colliva mi diceva dell’ostinazione di Colliva mi diceva dell’ostinazione di
Boschino. Mi diceva che ha dovuto Boschino. Mi diceva che ha dovuto
|lottare| (›fare‹) per fare i suoi inte- lottare per fare i suoi interessi. Non ha
ressi. ›Secondo lui Boschino ha una parlato di Boschino con quel disprez-
concezione preistorica del diritto. E zo che hanno per i contadini gli avvo-
forse c’è qualcosa di vero in questa cati che sono stati costretti a lavorare
definizione.‹ Non ha ›mai detto che in provincia per tanti anni. Non lo ha
Boschino è un ignorante‹ parlato trattato neppure da ignorante. Secon-
di Boschino con quel disprezzo che do lui l’ostinazione di Boschino di-
hanno per i contadini gli avvocati che pende dal fatto che Boschino ha una
sono stati costretti a lavorare in pro- concezione preistorica del diritto. Gli
vincia per tanti anni. Non lo ha trat- ho chiesto se non sarebbe stato il caso
tato neppure da ignorante. Secondo di secondare il più possibile quest’i-
lui l’ostinazione di Boschino dipende dea preistorica del diritto, senza por-
dal fatto che Boschino ha una con- tare la contesa alle conseguenze estre-
cezione preistorica del diritto. Gli ho me, cioè alla espropriazione dei beni
chiesto se non sarebbe stato il caso di dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto
secondare il più possibile quest’idea un poco soprapensiero, poi ha detto
preistorica del diritto, senza portare che in teoria forse si poteva. In teoria,
la contesa alle conseguenze estreme, non in pratica. Perché non bisognava
cioè alla espropriazione dei beni dei dimenticare che lui s’era trovato di
parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto fronte a un altro avvocato, il quale era
un poco soprapensiero, poi ha detto pronto a valersi d’ogni sua debolezza.
che in teoria forse si poteva. In teoria, Cercare di venire a patti e acconten-
|non in pratica| (›perché nella prati- tarsi di vincer la causa solo a mezzo,
ca‹). Perché non bisogna dimenticare sarebbe stato lo stesso che riconoscere
che lui s’era trovato di fronte a un al- l’insufficienza dei propri argomenti.
tro avvocato, il quale era pronto a va- «Il diritto e la morale» ha soggiunto
lersi d’ogni sua debolezza. Cercare di «non sempre coincidono. La morale,
venire a patti e accontentarsi di vincer l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti
la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo questi elementi che possono aiutare
stesso che riconoscere l’insufficienza a risolvere una contesa nell’ambito
LXXIV DINO MANCA
dei propri argomenti. «Il diritto e la della famiglia, non hanno più voce
morale» ha soggiunto «non sempre quando ci s’affida al codice. L’ideale
coincidono. La morale, l’umanità, la del codice sarebbe l’annullamento del
tolleranza, la pietà, tutti questi ele- codice stesso, nelle cause civili per lo
menti che possono aiutare a risolvere meno… il giudice di pace. Ma un giu-
una contesa nell’ambito della fami- dice di pace seduto sotto un albero, in
glia, non hanno più voce quando ci un paese abitato da tanti Boschini…».
s’affida al codice. L’ideale del codice Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto
sarebbe l’annullamento del codice se era convinto della buona fede di
stesso, in teoria, nelle cause civili per Boschino. «Assolutamente» ha rispo-
lo meno… il giudice di pace. Ma un sto «Boschino si sarebbe accontenta-
giudice di pace seduto sotto un albe- to di riavere i suoi buoi, limitandosi
ro, in un paese abitato da tanti Bo- a mostrare ai parenti che avrebbe
schini…». Ho riso per cortesia, e gli potuto toglier loro tutto ciò che ave-
ho chiesto se era convinto della buona vano. Avrebbe voluto mostrare la
fede di Boschino. «Assolutamente» ha sua potenza e la sua clemenza» […]
risposto «Boschino si sarebbe accon- Tutte quelle questioni riguardanti
tentato di riavere i suoi buoi, limitan- Boschino, interessanti per se stesse, in
dosi a mostrare ai parenti che avrebbe quanto materia del suo lavoro, della
potuto toglier loro tutto ciò che ave- sua professione, dopo la conversa-
vano, avrebbe voluto mostrare la sua zione devono essergli sembrate vuo-
potenza e la sua clemenza» […] Tutte te, gratuite, ridotte a una questione
quelle questioni riguardanti Boschi- morale. Se ne avesse parlato con un
no, interessanti per se stesse, in quan- altro avvocato, con uno del mestiere,
to materia del suo lavoro, della sua la questione di Boschino sarebbe po-
professione, dopo la conversazione tuta diventare ciò che essi chiamano
devono essergli sembrate vuote, gra- un caso elegante. Pura forma. Ma io,
tuite, ridotte a una questione morale. che c’entro? Io sono un profano. Solo
Se un altro avvocato, uno del mestie- l’improntitudine giovanile poteva
re, gliene avesse parlato al mio posto, avermi indotto a parlare di questo
la questione di Boschino sarebbe po- con lui. Perché cos’è l’interesse mo-
tuta diventare ciò che essi chiamano rale, umano, disinteressato, se non
un caso elegante. Pura forma. Ma io, improntitudine giovanile?
che c’entro? Io sono un profano. Solo
l’improntitudine giovanile può aver-
mi indotto a parlare di questo con
l’avvocato. Perché cos’è l’interesse
morale, umano, disinteressato, se
non improntitudine giovanile? Solo
per un momento l’avvocato Colliva
può essersi abbandonato a pensare
che io parlassi con lui di cose serie. E
passato quel momento, io sono tor-
nato per lui, il ragazzo di sempre; e
lui mi ha battuto sulla spalla dicendo
come al solito: «Beh! Come va?».
Introduzione LXXV
B M2
Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto lot-
tare per fare i suoi interessi. Non ha parlato di Boschino con quel disprezzo
che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in
provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui
l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione
preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare
il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle
conseguenze estreme, cioè alla espropriazione delle povere case e dei piccoli
poderi dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi
ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non
bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il
quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e ac-
contentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che ricono-
scere l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto
«non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti
questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della
famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale del codice
sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle cause civili per lo meno… il
giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abi-
tato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto
della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sa-
rebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che
avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano; avrebbe voluto mostrare la
sua potenza e la sua magnanimità» […] Tutte quelle questioni riguardanti
Boschino, interessanti per se stesse, in quanto materia del suo lavoro, della sua
professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite,
ridotte a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro avvocato, con
uno del mestiere, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che
essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un
profano. Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a parlare di
questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non
improntitudine giovanile?
60
La scuola gestaltista (della «Gestalt» o Psicologia della forma), ad
esempio, che nasce fra il 1915 e il 1935 e che rappresenta una delle
correnti più illustri della psicologia contemporanea, «trova la sua fi-
liazione in quella psicologia dal punto di vista empirico di Brentano,
che getta le basi per una psicologia fondata sull’atto, sull’intenzionali-
tà: quest’ultima intesa come l’atto che rapporta il soggetto all’oggetto.
L’oggetto ha realtà sua propria ma diviene esistente in sede psichica solo
quando un atto rapporta ad esso l’essere umano. La psicologia dell’at-
to convoglia l’attenzione verso il soggetto, verso il suo mondo e verso
i dati immediati dell’esperienza». Matrice di questa analisi dell’espe-
rienza diretta è proprio l’atteggiamento fenomenologico, fondamento
della filosofia di Husserl, che costituisce un’alternativa alla psicologia
empirica, ed influenzerà largamente la psicologia clinica (Rogers) e la
psichiatria (Laing), nonché l’analisi psicologica di Sartre e di Merleau-
Ponty. Tanda, in Letteratura e lingue (cit., p. 119), osserva che «c’è non
solo un’impossibilità gnoseologica, che è proprio quella della crisi delle
scienze moderne denunciata soprattutto dalla fenomenologia husser-
liana, ma anche la consapevolezza della difficoltà di approccio alle per-
sone e ai fatti relativa alle differenze dei codici rilevata da tutto il pen-
siero contemporaneo, Wittgenstein incluso, che soli possono metterci
in comunicazione con questi e che ci rinviano continuamente al pro-
blema della incomunicabilità. La ragione della spaccatura del romanzo
cui allude la Dolfi è da ricercarsi in questa direzione». Sandro Maxia,
inoltre, ci ricorda che «tra gli scrittori di lingua italiana del nostro se-
colo [Dessì] si distingue per un’autentica e non dilettantesca passione
Introduzione LXXVII
D D1 D2
I colli all’orizzonte invece erano posti I colli all’orizzonte invece erano posti
al di là di quel limite entro il quale i al di là di quel limite entro il quale i
sensi operano concordi e dell’oggetto sensi operano concordi e dell’oggetto
ti danno la cognizione completa, im- ti danno la cognizione completa, im-
mediata. mediata.
L’oggetto è davanti a te, esiste. Esi- L’oggetto è davanti a te, esiste. Esisto-
stono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, no gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli
gli sterpi. Non un oggetto solo, o me- sterpi. Non un oggetto solo, o meglio
glio nessun oggetto isolato, ma tanti nessun oggetto isolato, ma tanti infi-
infiniti oggetti tutti assieme, uniti in niti oggetti tutti assieme, uniti in una
una forma e in un nome indetermi- forma e in un nome indeterminati.
nato. Non un sasso, non un rametto Non un sasso, non un rametto secco o
secco o una foglia, ma un colle. E nes- una foglia, ma un colle. E nessuno dei
suno dei tuoi sensi, in particolare sen- tuoi sensi in particolare sente il colle,
te il colle, ma tutto il tuo essere sente ma tutto il tuo essere sente l’esistenza
l’esistenza del colle […] del colle […]
B M2
I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi
operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata.
L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli
sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti
oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome vago. Non un sasso,
non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi in
particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle […]
D D1 D2
Ma se perdo il senso di questo oriz- Ma se perdo il senso di questo oriz-
zonte, di questa prospettiva, e cerco di zonte, di questa prospettiva, e cerco di
guardarla più da vicino, ogni fatto si guardarla più da vicino, ogni fatto si
riempie di altri fatti, all’infinito, è un riempie di altri fatti, all’infinito, è un
brulichio infinito […] M’accontenta- brulichio infinito […] M’accontenta-
vo di fermare su un oggetto, su una vo di fermare su un oggetto, su una
persona, su un luogo le mie fantasie persona, su un luogo le mie fantasie
e i miei pensieri; come si àncora una e i miei pensieri; come si àncora una
nave al fondo sconosciuto del mare. nave al fondo sconosciuto del mare.
Io stesso non potrei riconoscere ora Io stesso non riconoscerei ora una
una roccia, sopra Giarrana, che a un roccia, sopra Giarrana, che a un certo
certo punto del sentiero sembrava, punto del sentiero sembrava, vista dal
vista dal basso, un uomo seduto, un basso, un uomo seduto, un marinaio
marinaio con un largo cappello di con un largo cappello di tela cerata
tela cerata ›con‹ |dal|la falda |rialzata| dalla falda rialzata sulla fronte, come
(›alzata su‹) sulla fronte, come usano usano i pescatori del Baltico. A Maria
i pescatori del Baltico. A Maria inve- invece sembrava una donna china sul
ce sembrava una donna china sul suo suo bambino. Salendo ancora, non
bambino. Salendo ancora, non era era più possibile riconoscere in quella
più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una
roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accan-
roccia come tutte le altre. Ma accan- to ve n’era una che per un foro che
to ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di
l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene
quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarvi le gomene. E io mettevo
per legarvi le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio se-
in relazione la figura del marinaio se- duto con quell’anello, e pensavo che,
duto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti
un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche
Introduzione LXXIX
emergeva dal mare, e forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a
ciclopica nave era stata |ormeggiata| quell’anello […]
(›legata‹) a quell’anello […]
B M2
Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa prospettiva, e cerco di
guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un bru-
lichio infinito […] Mi accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona,
su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo
sconosciuto del mare. Io stesso non riconoscerei ora una roccia, sopra Giar-
rana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo
seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda rialzata
sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una
donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile ricono-
scere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre.
Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare
a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarci le gomene. E io
mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo
che, un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche
ciclopica nave era stata ormeggiata a quell’anello […]
61
Sul rapporto tra paradigma fenomenologico e diversità culturale cfr.
G. Dal Fiume, Educare alla differenza, Bologna, Emi, 2000.
62
Cfr. M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris,
Gallimard, 1945 (edizione italiana Fenomenologia della percezione, a
cura di A. Bonomi, Milano, il Saggiatore 1965).
63
La condizione negativa dell’uomo contemporaneo fu, peraltro, il
tema di fondo della corrente francese «École du regard» o «École du
nouveau roman», che portò ad estreme conseguenze il tema dell’in-
comunicabilità e dell’incapacità gnoseologica. La presa d’atto dell’im-
possibilità di poter interpretare e spiegare la realtà spinse alcuni scrit-
tori d’oltr’alpe a teorizzare la figura di un narratore nuovo, non più
disponibile né a ordinare i fatti né a interpretarli. Egli semmai avrebbe
dovuto – anche attraverso l’enumerazione e la struttura labirintica del
romanzo – mostrare il non senso oppure la pluralità di sensi possi-
bili, perché la realtà che ci appare non è nient’altro che un labirinto.
Questi scrittori decostruirono, da fronti diversi, le strutture narrative
tradizionali servendosi di monologo interiore, flusso di coscienza, sot-
toconversazione, descrizione fenomenologica di gesti e oggetti. Questa
sorta di antiromanzo iniziò da Nathalie Sarraute con Tropismi (1938, e
poi con i successivi del dopoguerra come Ritratto di un ignoto, 1956),
seguito da Alain Robbe-Grillet con Le gomme (1953) e dalle opere suc-
cessive che intesero porsi come momenti di descrizione freddamente
oggettiva della realtà eliminando ogni preoccupazione di tipo psicolo-
gico, da Michel Butor con La modifica (1957) fino a Georges Perec con
Introduzione LXXXI
D D1 D2
Mi sono chiesto quale differenza pas- Mi sono chiesto quale differenza pas-
sa tra la conoscenza che ho di me stes- sa tra la conoscenza che ho di me stes-
so e la conoscenza che ho di quest’uo- so e la conoscenza che ho di quest’uo-
mo che si chiama Michele Boschino. mo che si chiama Michele Boschino.
Ho pensato a lungo a questo. Ho pensato a lungo a questo.
Che valore hanno i fatti della sua Che valore hanno i fatti della sua
vita? Io riconosco, questi fatti, o vita? Io li conosco, questi fatti, o per-
perché lui stesso me li ha raccontati, ché lui stesso me li ha raccontati, o
o perché li ha raccontati a Maria, e perché li ha raccontati a Maria, e poi
poi Maria a me, o da altri. Se accetto Maria a me, o da altri. Se accetto que-
questi fatti come se fossero la sua vita sti fatti come fossero la sua vita stessa,
stessa, e do a questi fatti un valore as- e do a questi fatti un valore assoluto
soluto (così, in fondo, li ho accettati (così, in fondo, li ho accettati fino-
finora) la sua vita si delinea chiarissi- ra) la sua vita si delinea chiarissima
ma nel mio spirito, coerente […] non nel mio spirito, coerente […] non è
è la simpatia o l’odio che conta, ma i la simpatia o l’odio che conta, ma i
fatti, che si vestono di un sentimento fatti, che si vestono di un sentimento
particolare che io ho di lui […] I due particolare che io ho di lui […] I due
racconti si fondono, o meglio coinci- racconti si fondono, o meglio coinci-
dono in un punto che è fuori di essi. dono in un punto che è fuori di essi.
Allo stesso modo, dalle descrizioni di Allo stesso modo, dalle descrizioni di
Linda e dal ricordo delle descrizioni Linda e dal ricordo delle descrizioni
di Boschino è risultato questo paese di di Boschino è risultato questo paese di
Sigalesa, concreto, visibile, noto come Sigalesa, concreto, visibile, noto come
può esserlo Ultra. può esserlo Ultra, per esempio.
Se quest’idea che io mi son fatto di Se quest’idea che io mi son fatto di
Boschino coincide col Boschino reale, Boschino coincide col Boschino reale,
io conosco quest’uomo meglio di me io conosco quest’uomo meglio di me
stesso. stesso.
Ma è assurdo. Non si conoscono così Ma è assurdo. Non si conoscono così
gli uomini reali, ma i personaggi dei gli uomini reali, ma i personaggi dei
romanzi. romanzi.
C’è dunque, dietro quest’uomo C’è dunque, dietro quest’uomo che
che io vedo muoversi, sento parlare, io vedo muoversi, che sento parlare,
che vive con me ormai tutte le ore, che vive con me ormai tutte le ore,
e del quale conosco il tormento fino e del quale conosco il tormento fino
a soffrirne, c’è un altro uomo vero, a soffrirne, c’è un altro uomo vero,
sconosciuto, impenetrabile alla mia sconosciuto, impenetrabile alla mia
coscienza, un’inviolabile realtà mo- coscienza, un’inviolabile realtà mo-
rale […] E se anche Maria si fosse rale […] E se anche Maria si fosse
fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria
potremmo avere di Boschino la stessa potremmo avere di Boschino la stessa
idea falsa. I nostri pensieri s’incontra- idea falsa. I nostri pensieri s’incontra-
no spesso, e tale incontrarsi ci dà la no spesso, e tale incontrarsi ci dà la
certezza della loro giustezza […] Ma certezza della loro giustezza […] Ma
questa verità che a un tratto appare a questa verità che a un tratto appare a
noi due, non potrebbe essere un’illu- noi due, non potrebbe essere un’illu-
sione comune? Nel caso di Boschino, sione comune? Nel caso di Boschino,
per esempio […] per esempio […]
B M2
Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e
la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino.
Ho pensato a lungo a questo.
Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, questi fatti, o perché
lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a
me; o da altri. Se accetto questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a
questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita
si delinea chiarissima nel mio spirito, coerente […] non è la simpatia o l’odio
che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di
Introduzione LXXXIII
D D1 D2
io posso agire, nei riguardi di Bo- io posso agire, nei riguardi di Bo-
schino, solo se lo considero come schino, solo se lo considero come
me stesso, se agisco verso di lui come me stesso, se agisco verso di lui come
potrei agire verso me stesso […] Mi potrei agire verso me stesso […] Mi
assumo io il peso e la conseguenza assumo io il peso e la conseguenza
della bestemmia. Sono io stesso Mi- della bestemmia. Sono io stesso Mi-
chele Boschino. Sono io, disteso, non chele Boschino. Sono io, disteso, non
qui, nella mia camera, nel mio letto, qui, nella mia camera, nel mio letto,
ma sulla branda della rimessa. Ri- ma sulla branda della rimessa. Ri-
trovo in me l’abitudine antica della trovo in me l’abitudine antica della
bestemmia. Se il secchio non viene su bestemmia. Se il secchio non viene su
facilmente dal pozzo, se la zappa s’im- facilmente dal pozzo, se la zappa s’im-
piglia in una radice più tenace delle piglia in una radice più tenace delle
LXXXIV DINO MANCA
altre e sono costretto a fare uno sforzo altre e sono costretto a fare uno sforzo
che rompe la mia resistenza fatta di che rompe la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se non riesco ad lentezza e di misura, se non riesco ad
aprire la porta, subito la bestemmia si aprire la porta, subito la bestemmia si
formula nel mio spirito, mi sale alle formula nel mio spirito, mi sale alle
labbra, pende minacciosa. Ed ecco labbra, pende minacciosa. Ed ecco
che subito il secchio sale docile dal che subito il secchio sale docile dal
pozzo, la zappa si libera dalla radice, pozzo, la zappa si libera dalla radice,
la porta cede, si apre. Le cose si fanno la porta cede, si apre. Le cose si fanno
sommesse e timorose intorno a me. sommesse e timorose intorno a me.
Ma non è questa improvvisa docilità Ma non è questa improvvisa docilità
delle cose che m’induce a bestemmia- delle cose che m’induce a bestemmia-
re; e neppure la lieve ebbrezza che mi re; e neppure la lieve ebbrezza che mi
dà la bestemmia. È una tentazione dà la bestemmia. È una tentazione
improvvisa, irresistibile. Bestemmie- improvvisa, irresistibile. Bestemmie-
rei anche se sapessi che la bestemmia rei anche se sapessi che la mia stessa
può fulminarmi. La bestemmia mi bestemmia può fulminarmi. La be-
dà un senso di liberazione, di forza. stemmia mi dà un senso di liberazio-
Spesso, quando penso ai casi della mia ne, di forza. Spesso, quando penso ai
vita, tutti legati l’uno all’altro come le casi della mia vita, tutti legati l’uno
maglie di una catena, e mi trovo qui all’altro come le maglie di una cate-
fermo, impotente, e penso che un na, e mi trovo qui fermo, impotente,
altro si gode i danari che mio padre e penso che un altro si gode i danari
e io abbiamo sudato, e che nulla mi che mio padre e io abbiamo sudato, e
rimane più d’attendere dalla vita, se che nulla mi rimane più d’attendere
non la minestra che quella puttana di dalla vita, se non la minestra che quel-
Lavinia ruba in casa dei suoi padroni la puttana di Lavinia ruba in casa dei
per portarmela, anche allora bestem- suoi padroni per portarmela, anche
mio. È un piacere sempre nuovo. Non allora bestemmio. È un piacere sem-
mi stanca mai. È un piacere simile a pre nuovo. Non mi stanca mai. È un
quello che si prova da giovani quan- piacere simile a quello che si prova da
do si prende la donna. Mi sembra di giovani quando si prende la donna.
bestemmiare sempre per la prima Mi sembra di bestemmiare sempre
volta. Per un attimo ho di nuovo per la prima volta. Per un attimo, ho
trent’anni. Sono giovane. Il passato di nuovo trent’anni. Sono giovane.
non ha importanza. Tutto è ancora da Il passato non ha importanza. Tutto
cominciare. Se riuscissi a trattenere la è ancora da cominciare. Se riuscissi
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò a trattenere la forza di quell’attimo,
che avevo allora. Come allora con- avrei tutto ciò che avevo allora. Come
terei i danari sotto la pianella della allora conterei i danari sotto la pianel-
mia stanza. Saprei quanti altri me ne la della mia stanza. Saprei quanti altri
porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne porterebbe il nuovo raccolto.
me ne mancano per comprare un al- Quanti me ne mancano per compra-
tro pezzo di terra. Penserei al grano re un altro pezzo di terra. Penserei
seminato, alla fioritura dei mandorli, al grano seminato, alla fioritura dei
alla vigna d’arare, al tempo che fa, al mandorli, alla vigna d’arare, al tempo
lino che mia moglie tesserebbe sotto che fa, al lino che mia moglie tesse-
Introduzione LXXXV
B
io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stes-
so, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] Mi assumo io
il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino.
Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda
della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio
non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più
tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resi-
stenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la
bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa.
Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la
porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma
non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare e
in tentazione; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una
tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la
mia stessa bestemmia può ricadere su di me all’istante e può fulminarmi. La
bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai
casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena,
e mi trovo qui fermo, impotente; e penso che un altro si gode i danari che
mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla
vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi
padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuo-
vo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani
quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima
volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non
ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i
danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne portereb-
be il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo
di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna
da arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse sotto il portico, a un
bambino che deve nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho
più radici, sono un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’a-
ria, e non sono ancora morto.
M2
io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stes-
so, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] In questo
momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io stesso
LXXXVI DINO MANCA
Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto,
ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace.
Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una
radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che
la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che
il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre.
Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigi-
ne. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce
in tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di
vino a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di cal-
ma, come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa
dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di
nuovo trent’anni. Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi
a trattenere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego,
sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conte-
rei mentalmente il danaro nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei
quanti scudi v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per
comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi.
Avrei negli occhi chiusi il grano seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna
da arare al tempo giusto. E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei
come si aspetta la maturazione di un frutto.
Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente
si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un
albero sradicato e non ancora morto.
D D1 D2
Non è il Boschino di Maria, il Bo- Non è il Boschino di Maria, il Bo-
schino che parla, e forse neppure il schino che parla, e forse neppure il
Boschino che monologa vicino al Boschino che monologa e mugola
fuoco. È quello e questo, è anche un vicino al fuoco. È quello e questo; è
Boschino finora sconosciuto e solita- anche un Boschino finora sconosciu-
rio e disperato come solo si può esser- to e solitario e disperato come solo si
lo nella solitudine della bestemmia. Il può esser nella solitudine della be-
Boschino che accenna a Maria il se- stemmia. Il Boschino che accenna a
gno lasciato dal Crocifisso sulla carta Maria il segno lasciato dal Crocifisso
ingiallita, è un aspetto di Boschino, sulla carta ingiallita, è un aspetto di
un modo di essere […] Boschino, un modo di essere […]
Introduzione LXXXVII
B M2
Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino
che monologa e mugola vicino al fuoco. È quello e questo, è anche un Bo-
schino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser nella
solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato
dal Crocefisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di es-
sere […]
– le forme apocopate:
mandar, andar, venir, finir, aprir
– le forme monottongate:
decine
Nota al testo XCI
– le forme raddoppiate:
intravvedeva
– i capoversi.
accaduto] accaduta D D1 D2 B ≠ M2
La lezione di M2 è siglata:
accappiate] accapate D D1 D2 B M2
D D1
Giuseppe si mise a ridere, e ridendo Giuseppe si mise a ridere. Rispose (←
rispose che lui il socio ce l’aveva già, a ridere, e ridendo rispose) che lui il
aveva suo figlio Michele, per socio; socio ce l’aveva già, aveva suo figlio
poi, siccome l’altro insisteva, lo pre- Michele, per socio. Poi (← socio; poi),
gò di essere ragionevole e di smettere siccome l’altro insisteva, •si rimise
quest’idea. L’altro, esasperato dalla a zappare senza più dargli retta. (›lo
sua calma, cominciò a minacciare pregò di essere ragionevole e di smet-
come l’altra volta che, assieme con tere quest’idea‹). Esasperato (← L’al-
Benedetto l’aveva picchiato. tro, esasperato) dalla sua calma, /Be-
nedetto/ cominciò a minacciare come
l’altra volta che, 2assieme con •Salva-
tore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.
D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola di e se n’andarono senza una parola di
pace. “Povero Beppe” disse una vec- pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
chia “forse son più i colpi che ti hanno chia /dopo che quei due se ne furono
dato quei due giovanotti che gli scudi andati/ “forse son più i colpi che ti
hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi
B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono
andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli
scudi
interiore, D D1 D2 B] interiore M2
L’orto D D1 D2 B] Lo orto M2
D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola e se n’andarono senza una parola di
di pace. “Povero Beppe” disse una pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
vecchia “forse son più i colpi che ti chia /dopo che quei due se ne furono
hanno dato quei due giovanotti che andati/ “forse son più i colpi che ti
gli scudi hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi
B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono
andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli
scudi
Avantesto
Testo
A mio Padre
Michele Boschino 5
seppe aveva avuto da uno zio una piccola eredità che, se-
condo Salvatore e Benedetto, avrebbe dovuto venir divisa
in tre parti uguali: un vecchio giogo di buoi, che Giuseppe
vendette per poche decine di scudi. Poca roba, ma quanto
5 bastava per alimentare un rancore che forse aveva origini
più lontane.
Secondo i due fratelli questa piccola somma aveva dato
origine al modesto patrimonio che Giuseppe, prima solo,
poi con l’aiuto della moglie e del figlio era andato arroton-
10 dando; e non se ne davano pace, anzi il loro astio cresceva
col passare degli anni. Giuseppe aveva cercato tante volte
di far capire ai fratelli che quell’eredità gli spettava perché
aveva assistito lo zio, negli ultimi tempi, quand’era vecchio
e ammalato; e c’era anche uno scritto. Parenti e amici co-
15 muni cercarono inutilmente di convincere i due testardi a
desistere.
Un giorno Salvatore1 e Benedetto andarono a trovarlo nel
suo podere di Spinàlva e lo affrontarono di nuovo con mi-
nacce. Giuseppe, seduto su un sasso, stava aggiustando le
20 tirelle dell’asino, e non si mosse neppure. Li lasciò sfogare,
poi disse: «Non lo sapete neppure voi perché gridate così.
Sedetevi qui all’ombra e ragioniamo. Voi siete più arrabbia-
ti ora di prima. Ogni anno siete sempre più arrabbiati. Ogni
sasso che butto nella callaia vi fa arrabbiare. E perché? La
25 mia terra è come un albero. Se io, il seme di quell’albero, lo
facevo andare a male, voi a quest’ora non ci pensavate più.
1-2. Invece ho] Invece io ho D Invece ›io‹ ho D1 3. Voi eravate] Voi ›sie‹
eravate D 5-6. Dimenticatevi di quest’albero.] Dimenticatevi di questo
bell’albero. D D1 D2 B ≠ M2 8-9. come…giovincelli] come allora, che
eravate giovincelli D D1 D2 come ||quando|| (›allora, che‹) eravate giovin-
celli B 10. l’invidia] e l’invidia DD2 ›e‹ l’invidia D1 10-11. v’accechi.]
v’acciechi. D D1 D2 v’accechi. B 11. questo:] un’altra cosa: D •questo
(›un’altra cosa‹): D1 12. me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1 13. mio
grano,] mio ›[…]‹ grano, D ◆ ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazie-
rei; D1 18-19. stette…giorno, e] stette a letto qualche giorno ›cor‹, ma D
stette a letto qualche giorno, •e (›ma‹) D1
2
compagnia. «Povero Beppe»…che gli scudi] cfr. Appendice (Cap. I).
8 GIUSEPPE DESSÌ
«Ma non sono quei pochi scudi che stanno sullo stomaco ai
miei fratelli. Se io lavorassi ancora a giornata e non avessi
legna per scaldare il bambino d’inverno, non ci pensereb-
bero più, a quegli scudi. Ma ora sentono che c’è un po’ di
5 calduccio, nella mia casa, che non si tira più la cinghia, e mi
vogliono male per questo».
Nei paesi del Centro, anche oggi – e tanto più a quei tem-
pi – la vita del contadino è così grama che le perdite gli
nuocciono assai meno di quanto non lo avvantaggi il ben-
10 ché minimo guadagno. Il bisogno ha indurito la sua tena-
cia: la prosperità lo trova con lo stesso animo diffidente con
cui accoglie la gente forestiera, con le stesse mani infatica-
bili di quando lotta con la carestia. Abituato a mangiar pane
e olive secche per mesi e mesi, non si concede nulla di più
15 nelle annate buone: e mette da parte il resto per le cattive,
che succederanno a quelle infallibilmente. Ogni pugno di
grano sparagnato è un guadagno.
Giuseppe Boschino, col ricavo dei buoi ereditati, e con
qualche piccolo risparmio, ne aveva comprato un giogo di
20 buona razza, forte e grande, come se ne vedevano di rado
nei paesi del Centro; e aveva cominciato a lavorare a gior-
nata per conto d’altri. In qualche anno aveva messo da
parte quanto bastava per comprare alcuni ettari di terra a
3
Allora Giuseppe scavò…della loro miseria;] cfr. Appendice (Cap. I).
4
Giuseppe si mise a ridere…assieme con Salvatore.] cfr. Appendice
(Cap. I).
10 GIUSEPPE DESSÌ
II
6
temeva per il figlio. Sapeva…della scelta di Michele.] cfr. Appendice
(Cap. II).
Michele Boschino 13
7
non era un brutto giovane…soffermati con desiderio.] cfr. Appendice
(Cap. II).
14 GIUSEPPE DESSÌ
8
Nel frattempo Michele…Angela o Carmela.] cfr. Appendice (Cap. II).
Michele Boschino 15
9
Poi, improvvisamente, quando…erano sempre quelle.] cfr. Appendice
(Cap. II).
16 GIUSEPPE DESSÌ
III
14. che] e che D ›e‹ che D1 15. dava, che] dava perchè l’immobilità gl’im-
pediva di digerire il cibo. Diceva che D dava|,| ›perchè l’immobilità gl’im-
pediva di digerire il cibo. Diceva‹ che D1 15-16. campagna; e voleva]
campagna e che voleva D campagna|;| e ›che‹ voleva D1
11
e quell’anno appunto…che era una pazzia pensarci.] cfr. Appendice
(Cap. III).
24 GIUSEPPE DESSÌ
12
«Sei vecchio!» diceva Maddalena…di esser galantuomini.] cfr. Appen-
dice (Cap. III).
13
Ma quando fu poi nell’orto…parlare, tornava;] cfr. Appendice (Cap.
III).
Michele Boschino 25
1-3. e udiva…lavoro,] e gli pareva di udire, tra gli alberi della riva, voci
di uomini. Disse che l’orto lo avrebbe visto [—] un altro giorno, e che
per quella volta gli bastava di respirare quell’aria buona che lo rigenerava.
Michele tornò alle prere, D e •udiva ›distintamente‹ (›gli pareva di udire‹),
tra gli alberi della riva, voci di uomini. ›Disse che l’orto lo avrebbe visto
un altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respirare quell’aria
buona che lo rigenerava.‹ Michele tornò al (← alle) •lavoro (›prere‹), D1 D2
e udiva tra gli alberi della riva›,‹ voci di uomini. Michele tornò al lavoro,
B 15. caldi e pieni di polvere.] caldi e |polverosi| (›polverosi‹ ← [—]). D
caldi e •pieni di polvere (›polverosi‹). D1 16-17. sporcandosi…Miche-
le.] sporcandosi di sugo le mani e la camicia, ›[—]‹ come un bambino, di
nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fatto male. D sporcandosi di succo
(← sugo) le mani e la camicia, •preoccupato solo di non farsi scorgere da
Michele (›come un bambino, di nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fat-
to male‹). D1
14
distingueva ora il rumore…voglia di mangiarne.] cfr. Appendice
(Cap. III).
26 GIUSEPPE DESSÌ
1-3. Di sera…ragione.] Di sera, sulla strada del ritorno, gli tornò la febbre
alta e i dolori al fegato. Dovette rimettersi a letto e attenersi (← [—]) alle
|prescrizioni| (›precauzioni‹) del medico. Ma non delirava. ›[—]‹ La paura
di morire teneva desta la sua ragione. D Di sera, •si mise di nuovo a letto
con (›sulla strada del ritorno, gli tornò‹) la febbre alta e i dolori al fegato.
›Dovette rimettersi a letto e attenersi alle prescrizioni del medico.‹ Ma non
delirava. La paura di morire teneva desta la sua ragione. D1 D2 Di sera, si
mise di nuovo a letto con la febbre alta e i dolori al fegato. Ma non delirava.
La paura di morire|,| /ora,/ teneva desta la sua ragione. B 5. andato solo
Michele;] andato Michele; D andato /solo/ Michele; D1 9-10. Sulla…
dubbi,] Circa la capacità di Michele di sceglier le bestie, ›[—]‹ non aveva
dubbi, D D1 D2 ||Sulla|| (›Circa la‹) capacità di Michele ||a|| (›di‹) sceglier
le bestie, non aveva dubbi, B 11-12. gli tornò…voleva] tornò la febbre
alta e il delirio. Il vecchio voleva D /gli/ tornò la febbre alta e il delirio, (←
delirio.) •e (›Il vecchio‹) voleva D1 13-14. Così…venduti.] Così la fiera
passò e i buoi non furono venduti. D Così la fiera passò e i buoi|,| /per
quella volta,/ non furono venduti. D1
Michele Boschino 27
IV
14. tutto inutile] tutto fu inutile D D1 D2 tutto ›fu‹ inutile B 25. le per-
sone. Tra questi] le persone: solo che si guardava bene dal farne parola
›[—]‹ per non fare la fine di Giovanni Boschino. Tra questi D le persone›:
solo che si guardava bene dal farne parola per non fare la fine di Giovanni
Boschino‹. Tra questi D1
28 GIUSEPPE DESSÌ
15
Cosimo non ebbe tempo…soffocato dal bavaglio.] cfr. Appendice
(Cap. IV).
Michele Boschino 31
16
Erano rimasti lì un poco…nulla fosse accaduto.] cfr. Appendice (Cap.
IV).
32 GIUSEPPE DESSÌ
5-6. delle donne che s’apprestano] che assumono le donne quando s’ap-
prestano D ›che assumono‹ delle (← le) donne •che (›quando‹) s’appresta-
no D1 9. prima,] prima D prima|,| D1 10. funebre,] funebre D D1 D2
funebre|,| B 13. nelle cassapanche] nei cassoni D D1 D2 B ≠ M2 16-17.
E non…legato”.] Ma non sanno che ci sono stato condotto a forza, che
sono stato picchiato e legato”. D •E (›Ma‹) non sanno che /mi/ ci •han-
no portato (›sono stato condotto‹) a forza, che •mi hanno (›sono stato‹)
picchiato e legato”. D1 19. Le…sé] |Le mormorava dentro di sé| (›che
mormorava dentro di sé‹) D 24-25. fugace] |fugace| (›breve‹) D 26.
voltava a guardarlo] voltava ›[—]‹ a guardarlo D
Michele Boschino 35
1. i buoi di Arci] i nuovi buoi D i ›nuovi‹ buoi /di Arci/ D1 3. venduti:]
venduti; D D1 D2 venduti: B 4. magri. Lentamente] magri. ›|La pelle pa-
reva posata su quelle grandi ossa| (›Le grandi ossa parevano‹)‹ Lentamente
D 5. narici. Erano] narici. ›[—] questo, nella immobilità‹ Erano D 6.
dome] |dome| (›domate‹) D ◆ e questo si capiva] e capiva D e /questo/ si
capiva D1 7. della] |della| (›che‹) D 8. di] |di| (›se‹) D 9. accappiate]
accapate D, D1, D2, B, M2 ◆ pelle] pelle (← pelle,) D 10. dall’occhio alla
spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1
dall’›angolo dell’‹ occhio alla spalla, D2 12-13. la voce] la voce (← lo zio)
D 15. tra…zio.] tra i piedi. La ragazza diceva che non voleva star sola. D
tra i piedi, (← piedi.) /diceva lo zio./ ›La ragazza diceva che non voleva star
sola.‹ D1 19. prima. Ma era] se niente fosse. Erano lì come certa gente
che va in chiesa per abitudine, quasi per far piacere agli altri. Ma era D se
niente fosse. ›Erano lì come certa gente che va in chiesa per abitudine, qua-
si per far piacere agli altri.‹ Ma era D1 D2 ||prima|| (›se niente fosse‹). Ma
era B 20. Sarebbero rimasti] Tutti, meno D D1 D2 ||Sarebbero rimasti||
(›Tutti, meno‹) B
38 GIUSEPPE DESSÌ
VI
possibilità dentro di sé. Ciò che il padre gli aveva detto della
relazione di Angela con quell’altro, lo aveva sentito dentro
come un ferro penetrato nelle carni per un momento solo; e
glien’era rimasta la ferita: ma la certezza, la logica del ragio-
namento di suo padre le aveva dimenticate. Quelle parole 5
erano appassite come foglie nella sua memoria. Non aveva
più chiesto nulla, non aveva neppure più voluto sentirne
parlare. E quando un dubbio l’assaliva improvvisamente, o
anche gli tornava il suo ricordo di Angela, facendolo soffri-
re, di Angela che continuava a vivere senza di lui, e pensava 10
che non le avrebbe mai più parlato, che tutto tra loro era
finito senza rimedio, solo la serenità di suo padre poteva
ridargli pace. Solo in quella saggezza, lontana, irraggiun-
gibile, era la giustificazione dell’atto che aveva compiuto
a occhi chiusi. Allora passava lunghe ore col vecchio e lo 15
ascoltava parlare. Il vecchio parlava della condanna, della
vigna perduta, del tempo passato in carcere; e la giustezza
delle sue parole lo guariva. Il vecchio diceva che quando si
perde una cosa bisogna far conto d’averla restituita a Chi
ce l’aveva data per sua bontà; e non tocca a noi giudicare 20
se colui per mani del quale Egli ce la toglie, è un nostro ne-
mico. Michele riferiva a sé queste parole, come se il vecchio
raccontasse un apologo, e cercava di non pensare all’uomo
per mano del quale Angela gli era stata tolta, di dimenti-
carlo subito, prima che quel volto odioso risorgesse chiaro 25
dalla memoria. Angela, come se fosse morta, se l’era presa
1. al vecchio, che preferiva] a lui; e che egli preferiva D •al vecchio (›a lui‹);
e che egli preferiva D1 D2 •al vecchio, (← vecchio; e) che ›egli‹ preferiva
B 3. sparse] |sparse| (›seppe in‹) D
Michele Boschino 51
VII
1. buoi,] buoi D buoi|,| D1 2. ai] e ai D ›e‹ ai D1 5. padre, fin] padre.
Fin D padre, fin (← padre. Fin) D1 19. di suo padre] di lui D di •suo
padre (›lui‹) D1 32-33. Beniamino] egli D •Beniamino (›egli‹) D1 33.
occhio aperto e vigile] occhio vigile D occhio /aperto e/ vigile D1
54 GIUSEPPE DESSÌ
1. vedere] vedere D vedere D1 2. per sempre] fino alla fine D •per sempre
(›fino alla fine‹) D1 5. qualche persona] qualcuno D •qualche persona
(›qualcuno‹) D1 7. causava] causavano D causava (← causavano) D1 8.
strappasse… torpore, a] distogliesse da quell’atonia che lo aveva preso, da
D •strappasse a quel molle torpore, a (›distogliesse da quell’atonia che lo
aveva preso, da‹) D1 12-13. fra le mangiatoie] tra la mangiatoia D tra le
mangiatoie (← la mangiatoia) D1 D2 fra (← tra) le mangiatoie B 13. buoi,]
buoi; D D1 D2 B ≠ M2 15-16. sereno,] azzurro sereno D ›azzurro‹ sere-
no|,| D1 16-17. lungo…respiro] lungo e profondo, un respiro D lungo
›e profondo‹, un /profondo/ respiro D1 18. trasparente,] trasparente D
D1 D2 trasparente|,| B ◆ il velo del sonno] ›le palpebre‹ quel velo di sonno
D •il (›quel‹) velo del (← di) sonno D1
17
il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così deserto.] cfr. Appen-
dice (Cap. VII).
Michele Boschino 55
11-12. una moglie come Angela] •una (›quella‹) moglie •come Angela (›la-
boriosa‹) D 19. amava] amasse (← amava) D amava (← amasse) D1 ◆
voleva] volesse D voleva (← volesse) D1 22. vita. Tale] vita. Tale (← vita,
tale) D 28. suo] sua D suo (← sua) D1 29.il] suo D •il (›suo‹) D1 ◆ la-
sciato;] lasciato, D D1 D2 lasciato; B
Michele Boschino 61
20
62 GIUSEPPE DESSÌ
VIII
5-6. in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1 16. a non aprir
bocca] a lasciarlo continuare per suo conto D •a non aprir bocca (›a la-
sciarlo continuare per suo conto‹) D1 26. neppure] neanche D •neppure
(›neanche‹) D1 28. lo vorrei sapere] vorrei saperlo D lo vorrei sapere
(← vorrei saperlo) D1 31. Se sapessi chi è stato] Se lo sapessi, D Se ›lo‹
sapessi /chi è stato/, D1D2 Se sapessi, chi è stato B ≠ M2
64 GIUSEPPE DESSÌ
1. siamo] si è D •siamo (›si è‹) D1 2. si può fare] è possibile D •si può fare
(›è possibile‹) D1 3. si può far più] non è più possibile D si può far più
(›non è più possibile‹) D1 8. Io] Ma io D Io (← Ma io) D1 9. Malìga,]
Malìga D D1 D2 B ≠ M2 10. sospetto, ora, me] sospetto, me D sospetto,
/ora,/ me D1 11. è morto] muore D D1 D2 ||è morto|| (›muore‹) B 13-
14. porterete…eredità.] porterete questa brutta eredità. D porterete /die-
tro/ questa ›brutta‹ eredità D1 26-27. Michele] E Michele D ›E‹ Michele
D1 27. zio credeva] zio ›non‹ credeva D
66 GIUSEPPE DESSÌ
Sorrise tra sé, poi alzò gli occhi, e il suo sorriso, da inte-
riore e segreto che era, s’appuntì maliziosamente. Si cavò la
berretta, chinò la testa sulle ginocchia e mostrò col dito, tra
i capelli grigi, la cicatrice lunga e profonda. Poi si coprì di
nuovo, come uno che nasconda in fretta qualcosa di prezio- 5
so. E continuava a sorridere maliziosamente.
«Certo il danno che ha avuto Giuseppe è stato più grande
di quello che ne ho avuto io. Tu lo sai meglio di me. Ma a
che cosa serve parlare di questo?»
L’aria maliziosa era scomparsa dal suo viso. Ora lo guar- 10
dava col viso serio. E Michele pensava che ciò che il vecchio
diceva era giusto. Ci fosse o no un secondo fine, era giusto.
Era lui che doveva decidere, adesso. Quella lunga contesa
che aveva angustiato suo padre per tutta la vita, poteva ri-
solverla lui. Chi sa! forse anche Giuseppe avrebbe preferito 15
morire in pace coi fratelli, lasciare la pace tra quelli che ri-
manevano. Si tira avanti, si trascina un rancore per anni ed
anni, ma si pensa, in fondo al cuore, che è meglio finirla, e
poco importa se con una rivincita o col perdono. Quante
volte si vorrebbe la pace! Anche chi odia, pensa con rim- 20
pianto, qualche volta: “Ah! se non avessi detto quella paro-
la!, se non avessi fatto la tal cosa!, se tutto questo non fosse
successo!”. E in certi momenti non sappiamo neanche più
che cosa ci separa veramente dal fratello offeso. E ancora
meno lo sanno i nostri figli, se tramandiamo a loro il nostro 25
odio. Pensò anche che suo padre non aveva mai odiato i
fratelli. «Mi fa pena vederli così arrabbiati» diceva. Perché
l’odio è come un malaugurio che non ci lascia mai. E allora?
Far la pace con Benedetto e Salvatore?… Maddalena avreb-
1. alla] •alla (›per la‹) D 7. sapeva che] sapeva ›di far bene‹ che D 8. in
vita] presente D D1 D2 ||in vita|| (›presente‹) B ◆ avrebbe] |avrebbe| (›sa-
rebbe‹) D 14. a voce alta Maddalena,] Maddalena a voce alta, D 2Mad-
dalena 1a voce alta, /che aveva capito tutto,/ D1 D2 a voce alta Maddalena,
›che aveva capito tutto,‹ B 16. Senza…bevettero] Bevettero D /Senza
curarsi di lei,/ bevettero (← Bevettero) D1 18. che aveva] che Michele
aveva D che ›Michele‹ aveva D1 19. Michele sapeva] Sapeva D /Michele/
sapeva (← Sapeva) D1 21. data,] data, ›ma il vecchio non chiese nulla‹
D 24. esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2
Michele Boschino 71
IX
2. rami, dove] rami tra i quali D rami|,| •dove (›tra i quali‹) D1 3. cono-
sce] |conosce| (›è in grado‹) D 4. segni che] segni impercettibili che D
segni ›impercettibili‹ che D1 5. i suoi] |i suoi| (›le sue‹) D 6. fagioli]
fagiuoli D D1 D2 fagioli (← fagiuoli) B 7. giovevoli] che giovano D •gio-
vevoli (›che giovano‹) D1 8-9. e ne…cenere] e spargeva la cenere ›[—]‹
D e /ne/ spargeva la cenere D1 11. un odore particolare] un’odore spe-
ciale D D1 D2 un’odore ||particolare|| (›speciale‹) B ≠ M2 16. Giuseppe,]
Giuseppe D D1 D2 B ≠ M2 20. s’era già messo d’accordo] aveva già preso
accordi D D1 D2 ||s’era già messo d’accordo ›[—]‹|| (›aveva già preso accor-
di‹) B 22. rinfacciava] •rinfacciava (›rimproverava‹) D 23. che non]
che quello non D D1 D2 che ›quello‹ non B 26. che,] che D D1 D2 che|,|
B 28. gliene] gliele D D1 D2 gliene (← gliele) B
Michele Boschino 73
teva metter gli occhi, lui, se non era qualche poveretta che
non aveva da portare in dote nemmeno un paio di camicie?
Covò in silenzio questi pensieri per alcuni giorni, poi,
all’improvviso chiese a Michele:
5 «E lei, chi è?»
L’ostilità della madre faceva rinchiudere sempre Michele
nel suo riserbo abituale. Benché ogni volta si proponesse di
parlarle dei suoi nuovi progetti, finiva sempre per dirle le
cose quand’eran già belle e fatte; e questo perché la vecchia
10 cominciava subito a contraddirlo con un tono così aggres-
sivo che a lui passava la voglia di continuare. «A me chiedi
pareri?» diceva Maddalena. «E cosa vuoi che sappia io di
quel che ti passa nella testa?» Il silenzio di Michele finiva
per renderla allora più suscettibile. Anche quella volta la
15 semplice domanda: «E lei, chi è?» portava con sé l’amaro di
tante considerazioni poco benevole, di tante prevenzioni,
di tanta diffidenza. Quelle parole furono pronunziate con
un tono di voce così aspro e risentito che Michele non si
sentì di dire quel nome che a lui ispirava sentimenti tanto
20 diversi. Disse che non lo sapeva ancora nemmeno lui chi
era la donna, che non aveva ancora pensato a nessuna don-
na, che ciò che importava era di preparar tutto; poi sarebbe
venuto il momento di far la scelta. Maddalena pensò che
dopo tanti anni di solitudine non era possibile che Michele
1. gli occhi] gli occhi addosso D gli occhi ›addosso‹ D1 ◆ era] su D •era
(›su‹) D1 2. nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D
B 6. faceva rinchiudere] respingeva D •faceva rinchiudere (›respin-
geva‹) D1 7. riserbo abituale] selvaggio riserbo D ›selvaggio‹ riserbo
/abituale/ D1 ◆ ogni volta si proponesse] si proponesse sempre D /ogni
volta/ si proponesse ›sempre‹ D1 9. già belle e fatte] già fatte D già /bel-
le e/ fatte D1 11. passava la] passava ›[—]‹ la D 14. allora più] allora
anche più D D1 D2 allora ›anche‹ più B 15. chi è?] chi è D D1 D2 B ≠
M2 17-18. tanta…aspro] tante diffidenze, e fu pronunziata •con un tono
di voce /così/ aspro (›acon un tono di voce così [—] bcol solito‹) D tanta
diffidenza. (← tante diffidenze,) •Quelle parole furono (›e fu‹) pronunziate
(← pronunziata) con un tono di voce così aspro D1 19. dire] pronunciare
D •dire (›pronunciare‹) D1 19-20. che…diversi] a lui già caro D /che/
a lui •ispirava sentimenti tanto diversi (›già caro‹) D1 20. lui] lui, D D1
D2 lui B 21. donna, che non] donna. Non D donna, che non (← donna.
Non) D1 21-22. donna, che ciò] donna. Ciò D donna, che ciò (← donna.
Ciò) D1
Michele Boschino 75
1. tanti misteri] misteri con lei D /tanti/ misteri ›con lei‹ D1 5. confer-
mavano. Qualche] confermavano. ›Doveva essere una di quelle poverette
che vanno a lavorare a giornata dove la chiamano‹ Qualche D 6-7. che
veramente Michele] che Michele D che /veramente/ Michele D1 11. una
indulgenza] un’indulgenza D D1 D2 una indulgenza B 18. occhi, i pregi,
le doti] occhi, i pregi, le doti D occhi, /i pregi,/ le doti D1 27. dava] |dava|
(›rispondeva‹) D 29. voler] poter D D1 D2 ||voler|| (›poter‹) B
Michele Boschino 77
2. donna] |donna| (›ragazza‹) D 3-4. il seno] |il seno| (›i seni‹) D 4.
intorno] attorno D D1 D2 B ≠ M2 5. donne, – o] donne. O D donne, – o
(← donne. O) D1 6. e un senso] E un senso D e (← E ) un •senso (›a senso
b
[—]‹) D1 7-8. la più…quella che] quella forse era la donna che D •la
più giovane delle due poteva essere quella (›quella forse era la donna‹) che
D1 8-9. scelto: una] scelto, quella D scelto. (← scelto,) •Era una (›quella‹)
D1 D2 scelto: (← scelto.) ›Era‹ una B 9. magra, piuttosto] magra e piutto-
sto D D2 magra|,| ›e‹ piuttosto D1 ◆ bruttina] brutta D D1 D2 B ≠ M 10.
trave] •trave (›tronco‹) D 12. il pensiero che aveva fatto] il suo pensiero.
D D1 D2 il pensiero ||che aveva fatto||. B
Michele Boschino 79
1. la gota] |la gota| (›le gote [—]‹) D 2. sì] ›[—]‹ sì D 6-7. senso…
indovinò] senso di |desiderio e di pena Michele |indovinò| (›guardò‹)|
(›pena Michele quel corpo‹) D 7-8. fianco…magro] fianco /giovine e/
magro D 9. la ragazza] lei D •la ragazza (›lei‹) D1 11. così] che era
D •così (›che era‹) D1 21-22. guardarlo…con] guardarlo, con D guar-
darlo, /quegli occhi,/ con D1 22. naturalezza] /mobilità/ naturalezza
D1 22-23. si…alzano] abbassava e alzava D |si| abbassano e alzano (←
abbassava e alzava) D1 25. erano sottili] erano straordinariamente sottili
D erano ›straordinariamente‹ sottili D1
Michele Boschino 83
1-2. discosta dal] più sopra del D •discosta (›più sopra‹) dal (← del) D1 4.
può] ›se ha[—]‹ può D 4-5. di un’ora] d’un’ora D D1 D2 B ≠ M2 9-10.
dell’acqua…riparo.] dell’acqua, che interessava tanto a tutti, la mettesse
al riparo. D dell’acqua, ›che interessava tanto a tutti,‹ la mettesse al ripa-
ro. D1 D2 dell’acqua›,‹la mettesse al riparo. B 12. Anna?] Anna D D1 D2
Anna|?| B 18. dell’acqua] di quella D •dell’acqua (›di quella‹) D1 19.
l’aria] l’aria D D1 D2 |l’|aria B 22. ci siamo] siamo D /ci/ siamo D1 24.
volete,] volete D D1 D2 B ≠ M2 28. giorno. Si mise] giorno. Ringraziò
per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e si mise D D1 D2 gior-
no. ›Ringraziò per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e‹ Si (←
si) mise B
Michele Boschino 85
18
la portò nel capanno. Per questo,] cfr. Appendice (Cap. X).
92 GIUSEPPE DESSÌ
XI
XII
21
In D D1 D2 il capitolo è numerato IX.
100 GIUSEPPE DESSÌ
XII).
Michele Boschino 101
12-13. gli invitati] |gli invitati| (›i compa‹) D 13. uscire per andare]
uscire dalle loro case per andare D uscire ›dalle loro case‹ per andare
D1 15. veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva fuori‹) D1 •veniva
fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B 17. confusione, fu] confu-
sione di quella lunga giornata, fu D confusione ›di quella lunga giornata‹,
fu D1 19. veder la sposa] vedere la sposa D veder (← vedere) •la (›ala bgli‹)
sposa D1 ◆ sua] sua /›loro‹/ D1 21. la fisarmonica d’Anacleto] una fi-
sarmonica D •la (›una‹) fisarmonica /d’Anacleto/ D1 22. Anche] |Anche|
(›Si sen‹) D 24. accorgendosene] ›[—]‹ accorgendosene D 30. Nella]
Infatti, nella D ›Infatti,‹ Nella (← nella) D1
Michele Boschino 105
1-5. Certamente…ripreso] forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’ac-
cordo, e c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Bene-
detto avevano preso parte, in gioventù; e ora avevano ripreso D 2forse,
in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, 1›e‹ /Certamente/ c’erano
state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso
parte, in gioventù; 3e ora ||i due vecchi|| avevano ripreso D1 6. non sa]
sa D /non/sa D1 8. può] |può| (›pot‹) D 12. subito. Fu] subito, e fu D
subito. Fu (← subito, e fu) D1 13. che…gli] che non si trattava che di un
malessere passeggero, gli D che •non era niente di grave (›non si trattava
che di un malessere passeggero‹), gli D1 19-20. avevano tutte] parlavano
avevano D ›parlavano‹ avevano /tutte/ D1 21. carretta;] carretta, D D2
carretta; (← carretta,) D1 25. la voce] la ›sua‹ voce D 26. dalla voce] da
quella D •dalla voce (›da quella‹) D1
108 GIUSEPPE DESSÌ
XIII
24
In D D1 D2 il capitolo è numerato X.
Michele Boschino 109
25
In IL si legge: «puerperi».
110 GIUSEPPE DESSÌ
XIV
29
In D D1 D2 il capitolo è numerato XI.
118 GIUSEPPE DESSÌ
6. il discorso cadeva] |il discorso cadeva| (›si parlava di‹) D 7. si ani-
mava] si animava anche lei D si animava ›anche lei‹ D1 13. Le] A lei
D D1 D2 ||Le|| (›A lei‹) B ◆ che avessero potuto] che si potesse D D1 D2
||che avessero potuto|| (›che si potesse‹) B 15. quell’uomo] un uomo D
D1 D2 quell’uomo (← un uomo) B ◆ così mite e tranquillo] |così mite e
tranquillo| (›che non aveva fatto nulla di male‹) D 17. tanta pazienza]
|una pazienza, una remissione così incondizionate| (›tanta [—] pazienza
e remissione‹) D D1 D2 ||tanta pazienza|| (›una pazienza, una remissione
così incondizionate‹) B 18. spiegando] dicendo D D1 D2 ||spiegando||
(›dicendo‹) B 19. volendo] dovendo D D1 D2 ||volendo|| (›dovendo‹)
B ◆ doveva] voleva D D1 D2 ||doveva|| (›voleva‹) B 25. condanna,]
condanna D condanna|,| D1
Michele Boschino 119
sarebbe stato bello avere una casa come quella, col pozzo
nel cortile tutto coperto da un gran pergolato, e una grande
cucina e la mola; ma in fondo non desiderava altro che una
casa dove potesse vivere sola con Michele, senza Maddale-
na. A volte questo pensiero si faceva anche troppo chiaro 5
nella sua mente, e allora lei lo respingeva, parendole di de-
siderare così qualche cosa d’illecito.
Un giorno che era in casa della zia e cuciva, in attesa che
il ciuchino avesse terminato di macinare il grano, fu presa,
a un tratto, da una gioia intensa che le saliva di dentro come 10
un calore benefico. Mai prima d’allora aveva provato un
senso di gioia così calmo e così pieno. Era contenta, conten-
ta di tutto, come se nulla mancasse alla sua vita. Se qualcuno
l’avesse guardata, in quel momento, forse avrebbe potuto
vedere nel suo viso il riflesso di questo sentimento incomu- 15
nicabile. Pensava tutta assorta e accoglieva nella sua gioia
tutto ciò che la circondava. La zia Luisa e Aurelia cucivano,
la più piccola delle bambine dormiva su una stuoia di sala ai
piedi della nonna, Caterina, la più grandicella, cuciva anche
lei imitando sua madre, l’altra, Luisicca, staccava ogni tanto 20
un boccone da una fetta di pane e un chicco da un grappolo
d’uva passa, e sembrava assorta come una persona grande
in qualche pensiero. Era uno di quei momenti di silenzio
che passano sulle case e prendono tutti, vecchi e bambini.
Sempre pervasa da quel vivo senso di gioia che l’era nato, 25
Severina abbassò di nuovo la testa e riprese a cucire.30 Dal-
1. quella, col] quella della zia, |col| (›con un bel‹) D D1 D2 quella ›della zia‹,
col B 2. una] |una| (›la‹) D 6-7. parendole…d’illecito.] parendole di
desiderare così la morte della suocera. D parendole di /fare brutti pen-
sieri/ desiderare così |qualche cosa d’illecito| (›la morte della suocera‹).
D1 parendole di desiderare così qualche cosa d’illecito. D2 8. che era]
che Severina era D che ›Severina‹ era D1 13. tutto…mancasse] tutto.
Nulla mancava D tutto, come se nulla mancasse (← tutto. Nulla mancava)
D1 14-15. potuto vedere nel] visto sul D •potuto vedere nel (›visto sul‹)
D1 16. Pensava] Ella pensava D Pensava (← Ella pensava) D1 16-17.
accoglieva…circondava.] riempiva la sua gioia di una quantità di pensieri
insignificanti. D D1 D2 ||accoglieva nella|| (›riempiva la‹) sua gioia ||tutto
ciò che la circondava|| (›di una quantità di pensieri insignificanti‹). B
30
La zia Luisa…e riprese a cucire.] cfr. Appendice (Cap. XIV).
122 GIUSEPPE DESSÌ
3. la briga] cura D |la| •briga (›cura‹) D1 5. scatti] gli scatti D ›gli‹ scatti
D1 7. La zia Luisa] ›Luisa e Aurelia sbadigliarono‹ La zia Luisa D 13. a
un tratto,] Severina D •a un tratto, (›Severina‹) D1 14. dormiva. Mentre]
dormiva. ›Avrebbe voluto dire che‹ Mentre D 15. Aurelia] Anna D D1
•
Aurelia (›Anna‹) D2 16. lontani] /lontani/ D 16-17. alla Cantoniera,
in] nella Cantoniera, nella pianura, in D alla (← nella) Cantoniera, ›nella
pianura,‹ in D1 19-20. quest’aria» sospirò Aurelia.] quest’aria». D D1 D2
quest’aria» ||sospirò Aurelia||. B 25. liberi!] liberi D liberi|!| D1
Michele Boschino 123
2. col quale] con quale D D1 con /il/ quale D2 col quale B 3. caduto]
|caduto| (›andato‹) D 9. Sta’] Sta D D1 D2 B ≠ M2 ◆ sta’] sta D D1 D2 B
≠ M2 11. dall’orto.] dall’orto degli Almerio. dall’orto ›degli Almerio‹. D1
150 GIUSEPPE DESSÌ
Forse un anno più tardi (io ero ospite dei Monti essendo la
mamma rimasta in città per certe lezioni), una notte, dopo
che tutti gli altri furono andati a letto, mi venne la fantasia
d’andare a distendermi in cortile su una catasta di tronchi
di pioppo che i contadini del Capitano avevano abbarcato 5
contro il muro dell’orto, proprio davanti alla vecchia rimes-
sa. Sdraiato supino con le mani dietro la nuca, su quei tron-
chi, guardavo il cielo lunare, dove appariva appena qualche
stellina. I tronchi erano stati tagliati qualche giorno prima,
e mi pareva che l’aria, fin lassù, fosse piena dell’odore del- 10
la loro linfa. Ricostruivo mentalmente una partita a dama
che Silvio Catello m’aveva vinto, e rifacendo tutte le mosse
avevo trovato quella che mi aveva rovinato il giuoco. A un
tratto mi parve di udire due voci poco lontane. Non mi ri-
cordavo più del vecchio ortolano, e mi pareva impossibile 15
che quelle voci venissero dalla casa disabitata degli Alme-
rio. Non so più che cosa fantasticai, in quel momento: forse
di ladri appiattati nelle stanze cadenti. Non distinguevo le
parole. Tra le foglie della vite balenava il vago riflesso di
una luce rossastra, fioca, palpitante, come di un lume che 20
sta per spegnersi. Strisciai carponi sui tronchi fino al muro
– nel mio corpo immobile si desta il ricordo dei movimenti
cauti, la sensazione del muro freddo e scabro sotto il palmo
della mano, un odore di terra umida e di legna bruciata che
si confondeva con quello dei tronchi ancora freschi. Un fo- 25
cherello di sterpi era acceso davanti alla porta della rimessa.
Il vecchio stava seduto su una panchetta bassa e lo attizzava
oziosamente con un pezzo di fil di ferro ripiegato a unci-
no. Non certo per scaldarsi, perché era piena estate. Faceva
quest’operazione tutto assorto nelle parole che diceva, cam- 30
biando di volta in volta il tono della voce, così che pareva
Gli dissi che sarei andato da lui con piacere a veder l’orto.
«E perché non venite ora?»
«Entro la settimana verrò di certo».
«Eh! Io so invece che se non venite ora non verrete più.
5 Tutti facciamo promesse: farò, andrò, verrò… Ma è diffici-
le mantenere una promessa, se si lascia passar tempo. Una
piccola cosa, se la facciamo subito, non ci pesa, ma se pro-
mettiamo di farla e ci pensiamo, allora diventa difficile…»
«Entro la settimana verrò di certo. Ora devo aiutare il
10 Capitano».
Il vecchio fece un cenno di saluto, e tenendosi agli staggi
della scala, ridiscese e sparì dietro il muro.
Aveva ragione lui: io non mantenni la promessa. Ma la
primavera dell’anno dopo, per le vacanze pasquali, chiesi il
15 nome del vecchio, una sera, e appoggiata al muro la scala a
piuoli della legnaia, mi affacciai all’orto, e chiamai:
«Boschino! O Boschino!»
Quel nome suonava familiare al mio orecchio. Dall’alto
del muro rivedevo il piccolo orto mezzo nascosto dal per-
20 golato, e sotto, il grande agrumeto dei Catello punteggiato
di frutti maturi. Veniva di là uno scroscio di acqua. Quella
piccola valle che s’insinua profondamente nel paese col suo
verde era animata dalla stessa voce che anima anche ora,
nel mio ricordo, tutta la campagna di Ultra. Nessuno ri-
25 spondeva. Chiamai ancora. Poi, siccome dall’altra parte del
muro c’era pure un’altra scala a piuoli, discesi nel piccolo
cortile quadrato della rimessa. La porta era socchiusa. La
spinsi e entrai. Di faccia c’era un’altra grande porta a due
battenti, sormontata da una lunetta a vetri, spalancata su
30 un breve terrapieno limitato da una ringhiera di ferro, dal
quale si scendeva nell’orto per una stretta scala di pietra. Il
grande stanzone della rimessa era attraversato da una cor-
4-5. pale zappe rastrelli] pale, zappe, rastrelli, D pale zappe rastrelli (←
pale, zappe, rastrelli,) D1 7-8. tagliate…in terra] tagliate alla stessa mi-
sura D tagliate •a punta per esser piantate facilmente in terra (›alla stessa
misura‹) D1 10-11. bottiglie…barattoli] bottiglie, boccette, ampolle,
barattoli, D bottiglie boccette ampolle barattoli (← bottiglie, boccette, am-
polle, barattoli,) D1 11-12. ragnateli. In] ragnateli, tranne D ragnateli.
In (← ragnateli, tranne) D1 12. stavano allineati con cura dei] dove sta-
vano allineati dei D ›dove‹ stavano allineati /con cura (›in bell’ordine‹)/
dei D1 17. Partivo appunto] |Partivo appunto| (›Partii app‹) D 23.
dall’orto. Persisteva] dall’orto, ›e la sua improvvisa apparizione, proprio
lì, a due passi, sulla porta‹ Persisteva D 25. disse. «Mi] disse. ↔| «Mi D
dissi (← disse).↔| «Mi D1 D2 disse. |↔ «Mi B
160 GIUSEPPE DESSÌ
«Al mercato?»
«Sì, al mercato. Ma non al mercato di Ultra. Al mercato
di Acquapiana».
«Ad Acquapiana?»
5 «Sì, ad Acquapiana. Lì non ci sono né aranci né manda-
rini né limoni. Si vende bene, al minuto. Un mandarino lo
pagano anche tre reali. I mandarini primaticci, s’intende, e
quelli di fine stagione».
Tutto, nella rimessa, era come quando c’ero stato in pri-
10 mavera. Prima d’andare nell’orto, vedendo che m’interes-
savo, il vecchio mi disse che le canne dell’orcio servivano
per incannare i fagioli rampicanti e le aveva portate da Col-
gianus l’anno prima. Due ore di strada. Mi chiese s’ero mai
stato a Colgianus, e io gli dissi anche dove crescevano le
15 canne. Poi mi mostrò il contenuto dei sacchetti di sementa:
ceci fagioli lenticchie… se li versava nel palmo e li sparge-
va col pollice. Aprì uno dopo l’altro anche i sacchetti più
piccoli, che erano di carta. Imparai a conoscere i semi dei
ravanelli, delle lattughe, delle rape, e in che stagione si se-
20 minano. In uno di questi sacchetti c’erano dei grossi fagioli
bianchi picchiettati di macchie scure come le uova dei car-
derini.
«Questi» disse «me li ha regalati vostro suocero».
«Mio suocero?» chiesi meravigliato.
25 Il vecchio sorrise maliziosamente. Capii che voleva
scherzare, e non replicai. Uscimmo sul terrapieno e scen-
demmo nell’orto per la scaletta di pietra. Il vecchio conti-
nuava a parlare senza aspettare le mie domande. Mi disse
che in primavera aveva seminato delle fave nelle aiuole del
30 terrapieno e le aveva vendute fresche in baccelli, al mercato
7. tre reali] |tre reali| (›sei reali‹) D 11. disse] spiegò D •disse (›spiegò‹)
D1 ◆ le canne dell’orcio] le canne ch’erano nell’orcio D le canne che
vedevo (›ch’erano‹) nell’orcio D1 D2 le canne ›che vedevo‹ dell’orcio (←
nell’orcio) B 12. per incannare i fagioli] per ›incannare‹ i fagioli D1 ◆ e
le] che però quell’anno non aveva seminato. Le D •e (›che però quell’an-
no non aveva seminato‹) le (← Le) D1 17. pollice.] pollice dicendomi
che erano scelti. D pollice ›dicendomi che erano scelti‹. D1 18. Imparai]
Così imparai D ›Così‹ Imparai (← imparai) D1 26. sul terrapieno] |sul
terrapieno| (›nello spiazzo dietro la [—]‹) D
Michele Boschino 161
1. Penso che abbia aggiunto] •Penso che (›Credo che accorgendosi delle
mie lacrime‹) abbia ›voluto‹ aggiunto (← aggiungere) D 2. non…accor-
to] non mostrare d’essersi accorto D non •darmi a vedere che s’era (›mo-
strare d’essersi‹) accorto D1 3. lasciarmi il tempo] darmi tempo D D2
•
lasciarmi il (›darmi‹) tempo D1 4. sia l’orto che la] l’orto e la D /sia/
l’orto •che (›e‹) la D1 8-9. due limoni] due alberi di limone D due ›alberi
di‹ limoni (← limone) D1
Michele Boschino 163
4. non] /›[—]‹/non D1 9. volte. Mi] volte. ›Non dico per voi‹ Mi B 10.
Quelli sono] Quelli /lì/ sono D1 D2 Quelli sono D B ◆ razza. Ma] razza.
/Non dico per voi/ Ma D1 D2 razza. Ma D B 13. mi dicevo] |mi dicevo|
(›pensavo‹) D 21. il cuore] il mio cuore D D1 D2 B ≠ M2 28. Cosa…
voi?] per essere in pace anche col povero babbo. D Cosa avreste fatto voi?
(›per essere in pace anche col povero babbo.‹) D1
Michele Boschino 167
non avesse più l’incanto degli anni passati, che era l’incan-
to dell’infanzia e della prima adolescenza; il Capitano, che
aveva passato la cinquantina, non era più l’instancabile
cacciatore di un tempo, si appesantiva e faceva i capelli gri-
5 gi: tutto mutava: solo Boschino restava sempre lo stesso. Il
vecchio costume d’orbace e di lino gli si logorava addosso,
cadeva in brandelli, veniva sostituito con abiti smessi del
Capitano, ma lui non cambiava mai. Le cose si muoveva-
no intorno a lui, invecchiavano, crescevano, e lui solo era
10 fermo. La decrepitezza non lo toccava. Credo che, allora,
solo questa sua consistenza, questa sua incorruttibilità gli
facessero avere un posto nel mio spirito e nel paesaggio di
Ultra. Quand’ero in città, me ne ricordavo solo raramente;
e se qualcuno m’avesse chiesto di lui, ben poco avrei saputo
15 rispondere. Ma non appena ritornavo a Ultra, non appena
sentivo l’aria di Ultra, ecco che la figura del vecchio si ravvi-
vava. Neanche allora avrei saputo dirne nulla di preciso, se
avessi dovuto parlarne, ma forse avrei saputo parlare come
lui, gestire come lui, applicare a qualunque discorso il tono
20 di familiarità e di conoscenza, per esempio, con cui parlava
delle piante, del modo di coltivarle, o delle persone, che egli
considerava, come le piante, soggette a leggi immutabili.
Sentivo la concretezza che avevano per lui le cose che lo
circondavano, o che avevano comunque un rapporto con la
25 sua persona e col suo lavoro, come gli oggetti logorati dalle
sue mani, che ogni giorno tornavano agli stessi gesti; e non
solo gli oggetti necessari al suo lavoro, ma anche quelli di
cui si serviva oziosamente, come un piccolo temperino di
madreperla con una lama spezzata, che teneva in una tasca
30 del panciotto, col quale, quand’era seduto, tagliava stecchi,
li raschiava, li affilava, sia quando parlava con me, sia quan-
do se ne stava solo davanti al fuoco, la notte, immerso nei
1. degli] •degli (›di quegli‹) D 4-5. grigi…solo] grigi. Tutto mutava. Solo
D D1 D2 grigi: tutto mutava: solo (← grigi. Tutto mutava. Solo) B 10. che,
allora,] che allora D che, allora, D1 13. me ne ricordavo] mi ricordavo di
lui solo D me ne ricordavo (← mi ricordavo di lui solo) D1 16-17. si rav-
vivava] ritornava vivissima D D1 D2 ||si ravvivava|| (›ritornava vivissima‹)
B 17. dirne] dir D dir/ne/ D1 19. come lui] come lui gestiva D come lui
›gestiva‹ D1 20. con cui parlava] con cui ›il vecchio‹ parlava D
Michele Boschino 169
1-2. dire in che cosa] dire ›oppure ora potrei in che cosa consistesse‹ in che
cosa D 5-6. sedermi…sponda] sedermi, come lui, sull’orlo D sedermi,
come lui, sulla sponda (← sull’orlo) D1 D2 sedermi come lui (← sedermi,
come lui,) sulla sponda B 7. fossero] siano D •fossero (›siano‹) D1 20.
Una volta] |Una volta| (›Un giorno‹) D 27. tono solito dei] tono dei
D tono /solito/ dei D1 28-29. solo lui poteva avere] era verosimile che
avesse D •solo lui poteva aver (›era verosimile che avesse‹) D1 D2 solo lui
poteva avere B 29. serva:] serva, D D1 D2 serva: (← serva,) B
170 GIUSEPPE DESSÌ
3-4. come se… quegli] come se egli non avesse passato. Era come uno di
quegli D come se •per lui il (›egli non avesse‹) passato /non esistesse/. Era
come ›uno di‹ quegli D1 D2 come se ›per lui‹ il ||suo|| passato non esistesse.
Era come quegli B 6. al presente] |al presente| (›nel presente‹) D 7. fat-
ti…nel] fatti lontani, avvenuti nel D fatti ›lontani‹, avvenuti /tanto tempo
prima/ nel D1 8. Centro, della] Centro, che si era poi identificato per me
col paese stesso di Linda; della D Centro, ›che si era poi identificato per me
col paese stesso di Linda;‹ della D1 14. inalterabile] inesauribile D D1
D2 B ≠ M2 15. era mai venuto] venne mai D •era (›venne‹) mai /venuto/
D1 19. sospetto assurdo] sospetto D sospetto /assurdo/ D1 21. porta-
to] gettato D D1 D2 B ≠ M2 26. Trovai…credere] Credetti D •Trovai più
semplice credere (›Credetti‹) D1
Michele Boschino 171
31
In IL in modo congetturale si integra come segue: «appropriandosi [di]
una». Nessun testimone che ci ha trasmesso il romanzo riporta in questo
luogo del testo la preposizione semplice, perciò si conserva la forma transi-
tiva del verbo «appropriare», per altro correttamente utilizzata dall’autore.
172 GIUSEPPE DESSÌ
tro tempo, del tempo reale, su cui nulla ha potere. Altri fatti
potevano aggiungersi a questo. E Boschino avrebbe preso a
vivere staccato da me, animato dal suo passato sconosciuto,
che appariva confusamente e urgeva come un fuoco nasco-
5 sto; non sarebbe stato più il vecchio albero fermo, immu-
tabile, avrebbe riacquistato la sua età, sarebbe invecchiato
di colpo.
Da molto tempo io non lo rivedevo. Che n’era stato di
lui? Era ancora al mondo? Mi ripetevo spesso questa do-
10 manda che prima non m’era venuta neppure in mente.
Constatai con meraviglia che la mamma non si ricordava
più di Boschino.
Quella sera stessa scrissi a Maria Monti. La ringraziavo
per la lettera d’auguri che avevo ricevuto alcuni giorni pri-
15 ma, le chiedevo notizia di tutti e, come incidentalmente,
anche del vecchio ortolano degli Almerio.32
Caro Filippo,
20 ti rispondo solo ora perché anch’io sono stata a letto qua-
si una settimana. Un po’ d’influenza, come ogni anno al
principio dell’inverno.
Ora che stai meglio, posso dirti che ho pensato sempre a
te con molta pena, tutto questo tempo. Non mi avevi nep-
25 pure scritto che tra qualche giorno ti leveranno l’ingessa-
tura: l’ho saputo dal poscritto della signora Bianca. Non
puoi immaginare che importanza abbia avuto per me que-
1. del] di un D del (← di un) D1 ◆ su cui] |su cui| (›in cui‹) D 2. preso
a] potuto muoversi, D •preso a (›potuto muoversi,‹) D1 6-7. età…col-
po.] età e sarebbe invecchiato. D età|,| ›e‹ sarebbe invecchiato |di colpo|.
D1 20. ti] Ti D D1 D2 B ≠ M2 23. meglio,] meglio D meglio|,| D1 24.
Non] Tu non D Non (← Tu non) D1 25. leveranno] levano D D1 D2
||leveranno|| (›levano‹) B 26. Non] Tu non D Non (← Tu non) D1 27.
immaginare] capire D D1 D2 ||immaginare|| (›capire‹) B
32
In D1 in questo luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per mano auto-
rale, si legge: «(Cominciare la lettera in un’altra pagina. ›Spazio piuttosto
largo‹)». In D2 nello stesso luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per
mano verosimilmente non autorale, si legge: «(Cominciare la lettera in
un’altra pagina.)».
Michele Boschino 173
Caro Filippo,
grazie del libro. Ho cominciato subito a leggerlo, e mi
piace molto. È vero, non bisogna lasciarsi influenzare, nei
giudizi, da uno stato d’animo passeggero. Non bisogna, 20
non bisognerebbe… Ma io non ho gusto. Un libro m’in-
teressa proprio perché ci ritrovo un mio stato d’animo. E
allora?… È giusto quel che dici dell’avvocato Majuri. Mi
hai fatto molto ridere. Ridevo tanto che ho dovuto mostra-
re la lettera a Isabella e anche il babbo ha voluto leggerla, 25
ma non è rimasto, mi pare, molto entusiasta – forse perché
anche lui appartiene a quel tipo di lettori, per quel poco
che legge. Eppure l’avvocato Majuri è sempre una persona
simpatica, e quando ti parla di un libro ti fa venir la voglia
di leggerlo. Io credo che un tempo leggessero tutti così. Per 30
loro, un libro, per essere un vero libro, deve poter durare,
dev’essere un classico. Come nei classici, bisogna poterci
trovare tutto – quello che essi chiamano la vita, cioè un’idea
1. come poi sarà] come è D come ||poi|| •sarà (›è‹) D1 2. età, lottare]
età poi lottare D età|,| ›poi‹ lottare D1 ◆ Io sento] Io /lo/ sento|,| D1 Io
lo sento D2 Io sento D B 7. poi,] poi D D2 poi|,| D1 17-18. Filippo,
grazie] Filippo,↔| Grazie D D1 D2 B ≠ M2 30-31. Per loro, un] Un D
/Per loro,/ un (← Un) D1
176 GIUSEPPE DESSÌ
Caro Filippo,
per la terza volta mi chiedi notizie di Boschino. M’ero
sempre dimenticata di risponderti; forse anche perché è pe-
10 noso parlarne, benché non passi giorno senza che, volere
o no, debba occuparmi di lui. È una delle tante cose poco
allegre della vita di qui. È un pezzo che non si alza più dalla
sua branda. Pare si tratti di una malattia al fegato. Fino a un
mese fa si ostinava ad alzarsi. Io e Lavinia gli facevamo pro-
15 mettere di stare a letto, secondo le prescrizioni del medico,
ma quando ci affacciavamo al muro, Boschino non c’era.
Anche in quelle condizioni continuava il suo piccolo com-
mercio di frutta, che ormai era la sua unica risorsa. Com-
prava la frutta qui e andava a rivenderla ad Acquapiana.
20 Figurati con che vantaggio! Il carico di frutta era quello che
poteva portarsi sulle spalle, nella sua bisaccia. Prima faceva
la strada a piedi, ma poi, coll’aggravarsi del male, fu costret-
to ad andarci in treno: così il guadagno si riduceva a una lira
o due. Quel tanto, del resto, che gli bastava per comprarsi
25 il pane e l’olio per una minestrina, come dice lui. Solo ora
si è adattato ad accettare da noi qualche aiuto – da noi per-
33
Nel margine sinistro della carta si legge, scritto a penna con inchiostro
nero e mano verosimilmente autorale: «(Capoverso)».
Michele Boschino 179
1. siamo suoi amici] siamo suoi amici D D1 D2 siamo suoi amici B 3.
assisterlo…tutto] assisterlo, e tutto D assisterlo /assiduamente/. Tutto (←
e tutto) D1 D2 assisterlo assiduamente, e tutto B 12-13. dichiarato] detto
D •dichiarato (›detto‹) D1 18. adesso] qui D •adesso (›qui‹) D1 23-24.
con me non parla più] ›non parla‹ con me non parla D con me non parla
/più/ D1 25. dispetto] rancore D D1 D2 ||dispetto|| B 28. fatti, e d’as-
sicurarsi] fatti, ›come se si accontentasse di assicurar‹ e d’assicurarsi D
180 GIUSEPPE DESSÌ
contro l’avvocato che gli ha fatto fare ciò che non voleva,
contro se stesso, contro l’ingegnere Almerio. Ti ricordi
com’era circospetto, quando parlava dell’ingegnere? For-
se lo sarà ancora con gli altri, ma con me ne dice tutto il
5 male che si può dire di un uomo. E tutta questa agitazione
mi fa male. Allora, per due o tre giorni, mi riesce impos-
sibile metter piede nella rimessa. Ma soprattutto impreca
contro se stesso e contro Dio, che non lo ha illuminato a
tempo. Dice che Dio, che ha tanto sofferto in terra, doveva
10 insegnare anche a lui a sopportare in pace tutte le offe-
se. Quando ritorno da lui, dopo queste sfuriate, ritrovo il
Boschino di un tempo, sereno e tranquillo. Allora parla
dell’odio che lo tormenta. Ne parla come di una malattia
da cui bisogna guarire. Dorme pochissimo. Dalla mia ca-
15 mera lo sento lamentarsi e borbottare tutta la notte. Dopo
la scenata contro le povere “Damine” è stato di nuovo
malissimo, e il prete gli ha portato la Comunione. Poi ha
avuto ancora un miglioramento. Io gli ho chiesto: “Come
state ora, Boschino?”. “Male” mi ha risposto lui “proprio
20 male”. Gli ho fatto notare ch’era stato molto peggio pochi
giorni prima. “Appunto per questo” ha risposto. “Sto male
perché non finisce ancora”. Ho detto le solite cose che si
dicono in queste circostanze, le solite frasi stupide; perché
sono convinta anch’io che sarebbe meglio per lui finir di
25 soffrire. Ma anche con un uomo che desidera sinceramen-
te la morte non si può ammettere una verità così sempli-
ce. È un pensiero che mi tormenta. Mi pare che lui debba
accorgersi di ciò che penso veramente. T’immagini la so-
litudine di un uomo che sentisse dire dagli altri una cosa
simile? Anche se sa quello che io penso veramente, Bo-
schino è sicuro che io non glielo dirò mai, che anzi lo sgride-
rò ogni volta che lo dirà lui. Così parla della sua morte tran-
quillamente. Si sente meno solo. “Vedete”, mi ha detto l’al-
tro giorno “stavo per addormentarmi e mi sono svegliato di
colpo”. Dapprima ho creduto che intendesse parlare delle 5
sue coliche epatiche, e gli ho detto che gli avrei portato una
pastiglina che lo avrebbe aiutato a dormire. “Eh! So io che
pastiglina ci vorrebbe” ha detto. “Una di quelle pastigline
che si danno alle volpi in primavera, quando hanno la pel-
liccia tutta fiorita. Ma io sono una volpe tignosa”. Come il 10
solito, ho cominciato a sgridarlo. Lui scuoteva la testa senza
ribattere alle mie parole. Vorrei poterti descrivere l’espres-
sione del suo viso tra ironica e divertita. Capivo, parlando,
che stavo dicendo delle sciocchezze. Allora lui si è messo a
parlarmi dei sonni che faceva quand’era sano, o meglio del 15
sonno. Era un elogio del sonno, quello che faceva, e senza
nessuna retorica. Disse che dormiva con la porta spalan-
cata, e la luna non gli dava nessun fastidio. Ricordo que-
ste parole: “Il sonno scende bello, scende sugli occhi, sulla
fronte, qui, pian piano, quel sonno che ristora, ed ecco, mi 20
sembra che mi piantino un coltello qui”. Si toccava la fron-
te, gli occhi, e il fianco dove il dolore si risvegliava. C’era
in lui un tale desiderio di ristorarsi col sonno che ho fatto
una cosa che non mi accadeva più da moltissimo tempo:
ho pregato perché potesse dormire. Intanto lui continuava 25
a parlare, e mi sono accorta che non parlava più del sonno
che ci ristora ogni notte, ma – come diceva lui – di quello
che ci ristora da tutti i mali. Così almeno mi parve di capire;
1-2. lo sgriderò…dirà lui.] lo sgriderò ogni volta che lo dirà lui. D lo sgri-
derò ogni volta che lo dirà lui. D1 2-3. tranquillamente] con più serenità
D •tranquillamente (›con più serenità‹) D1 3. solo. “Vedete”,] solo di
quanto non si sentirebbe se io mostrassi di ammettere tranquillamente
quella cosa. “Vedete”, D solo ›di quanto non si sentirebbe se io mostrassi di
ammettere tranquillamente quella cosa‹. “Vedete”, D1 4. stavo] Stavo D
D1 D2 stavo (← Stavo) B 5. Dapprima ho creduto] Io credevo dapprima
D ›Io credevo‹ Dapprima (← dapprima) /ho creduto/ D1 11. ho] io ho
D ›io‹ ho D1 13. viso] viso|,| D1 ◆ Capivo] Io capivo D Capivo (← Io
capivo) D1 16. sonno] Sonno D D1 D2 sonno B ◆ sonno] Sonno D D1
D2 sonno B 17. retorica] rettorica D D1 D2 B ≠ M2 22. e il fianco…
risvegliava.] il fianco. D /e/ il fianco /dove il dolore si risvegliava/. D1
182 GIUSEPPE DESSÌ
3. tra l’uno e l’altro sonno.] tra il sonno e la morte. D tra ›il‹ /l’uno e
l’altro/ sonno ›morte‹. D1 6. punto,] punto D D1 D2 B ≠ M2 ◆ l’aveva
assalito] l’aveva assalito ›l’aveva svegliato‹ D 8. pensiero,] pensiero: (←
pensiero,) D1 9-10. il molesto…lasciava,] ci pensava, D •non (›ci‹) pen-
sava /ad altro/, D1 D2 ||il molesto pensiero non lo lasciava|| (›non pensava
ad altro‹), B 12. parenti, mentre lui] parenti D parenti|,| /mentre lui/
D1 13-14. Dalla] E dalla D Dalla (← E dalla) D1 14-15. ho capito] ca-
pisco D •ho capito (›capisco‹) D1 18. “nel suo ristoro”] nel suo ristoro
D |”|nel suo ristoro|”| D1 21-22. stare] starlo D D1 D2 stare (← starlo)
B 22. sentirlo] sentire D D1 D2 sentirlo (← sentire) B
Michele Boschino 183
Caro Filippo,
la storia che Linda ti ha raccontato non corrisponde a ve-
rità – o meglio risponde a verità solo in parte. Inutile dirti
che Boschino è proprio la persona che Linda non nomina, 10
lo scellerato. Se tutto ciò che Linda dice fosse vero, questo
vecchio non meriterebbe altro nome. Tu mi fai, del raccon-
to di Linda, una relazione oggettiva; e non riesco a capire
qual è la tua vera opinione. Ma non vorrei aver contribui-
to anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione 15
sbagliata. Bisogna che per la verità t’informi di alcuni fatti
che certamente ignori. Bada che mi sono stati confermati
dall’avvocato Majuri, che li ha saputi dall’avvocato che trat-
tò la causa intentata da Boschino contro i parenti – e che
non è altri che Antonino Colliva. Tralascio tutti i particolari 20
inutili e mi limito all’essenziale.
Il dissidio nacque molto prima di quel che mostra di sa-
pere Linda. Boschino era ancora bambino, quando suo pa-
dre cominciò a essere in urto coi fratelli, a causa di una pic-
cola eredità che essi non volevano riconoscergli. A quanto 25
ho capito, si trattava di un giogo di vecchi buoi. Questi fra-
telli, zii di Boschino, non avevano nessun diritto all’eredità,
tanto è vero che ricorsero a minacce e finirono per passare
alle vie di fatto: più volte picchiarono a sangue il padre di
Boschino. Finché costui, stanco, un giorno reagì e spaccò 30
la testa a uno dei fratelli. Fu denunciato e condannato a
tra forma, l’antica contesa, che finì per assumere tutti gli
aspetti di quell’altra, perché i cugini non si davano pace,
e chiedevano a loro volta un risarcimento dei danni del-
la causa, riportando anche in ballo la questione dell’antica
eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista 5
oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io forse sono in gra-
do di spiegare. A un certo punto tutte e due le famiglie degli
zii si trovano coinvolte nella contesa, mentre la causa era
stata fatta contro gli eredi di uno solo di essi. A me è sem-
brato di capire che Boschino, per metter termine alla cosa, 10
abbia promesso di dare – cioè di regalare – un giogo di buoi
al più giovane dei cugini, figlio di Salvatore, quello che stre-
pitava più di tutti. È meno strano di quanto può sembrare.
Perché Boschino era rimasto vedovo, senza figli, e con un
patrimonio discreto. Secondo la mia idea, gli altri paren- 15
ti quando seppero che Boschino aveva deciso di regalare i
buoi al giovane, accamparono anche loro dei diritti. Allora
Boschino ritirò la promessa fatta. Tu ti chiederai perché.
È molto semplice: Boschino, cedendo i buoi, non intende-
va riconoscere il diritto dei parenti sull’antica eredità, ma 20
Bada che anch’io sono stata tentata di farlo – anche per li-
berarmi dalla pena delle sue sofferenze, per poter pensare
che, in certo senso, se le fosse meritate. Diffida di questa
tentazione. Io sono certa che se noi pure lo giudichiamo
5 male, lo teniamo inchiodato alle sue sofferenze. Le colpe
che lui stesso si attribuisce quando si dispera, sono imma-
ginarie, o per lo meno ingigantite dalla sua immaginazio-
ne. Noi dobbiamo vederci più chiaro di lui, ricondurlo a
quell’esemplare equilibrio che era la sua caratteristica di
10 un tempo, quando l’abbiamo conosciuto. Altrimenti non
s’addormenterà mai in pace. Tu sai che io credo al Para-
diso, all’Inferno e anche al Purgatorio, anche se questo fa
sorridere Donato e forse anche te, no? Io ci credo. Credo a
questa distinzione tra i Santi e i Reprobi. Facciamo in modo
15 che quest’uomo muoia in grazia di Dio. Lui che sconta qui,
in terra, il suo Purgatorio. Io non ne dubito; purché muoia
in grazia di Dio, questo tormento è già una purificazione.
E se muore in grazia di Dio, continuerà a purificarsi nel
nostro spirito, perché nel nostro spirito è il Purgatorio del-
20 le anime. Nel nostro spirito ritrovano la coerenza loro più
profonda, fino a che si compongono in pace. E che cosa
sono le preghiere, se non lo sforzo che noi facciamo per
aiutarli a chiarirsi? Noi pensiamo con loro, facciamo nostri
i loro dubbi, soffriamo dei loro errori, e stiamo saldi senza
25 lasciarci prendere dalla passione, con gli occhi fermi alla
perfetta misura, alla perfetta coerenza.
Io vorrei che tu cercassi di convincere quella buona
donna sorda che avete in casa, a fare una scappata a Ultra
(naturalmente noi le pagheremmo il viaggio), dopo averle
30 spiegato che la responsabilità di Boschino è minima. Biso-
gnerebbe ragionare con lei, farle lasciare ogni astio. Nella
1. farlo – anche per] farlo per D D1 D2 farlo ||– anche|| per B 3. fosse] era
D D1 D2 ||fosse|| (›era‹) B 4. se noi pure] se anche noi D se ›anche‹ noi
/pure/ D1 7. o per lo meno ingigantite] o ingigantite D o /per lo meno/
ingigantite D1 8. vederci più] vederci anche più D D1 D2 vederci ›anche‹
più B 9. equilibrio] equilibrio, D D1 D2 equilibrio (← equilibrio,) B 16.
terra] Terra D D1 D2 terra B 26-27. coerenza. Io vorrei] coerenza. Io
vorrei D coerenza.↔| Io vorrei D1 28. a fare] di fare D a (← di) fare D1
Michele Boschino 189
Caro Filippo,
al tuo posto non sarei così sicura della inutilità del tenta-
tivo. Prova a parlare con quella donna. Anch’io non riesco
facilmente a parlare con i contadini. Preferisco lasciar par- 30
lare loro, e stare ad ascoltarli. Noi ci ostiniamo a vederli sol-
tanto come paesaggio. Perché dobbiamo pensare che non
possano capire ciò che pensiamo noi? Credi che mio padre
sia molto più vicino di loro ai nostri pensieri? Eppure fra
17. con le persone] assieme alle persone D •con (›assieme alle‹) persone
D1 D2 con ||le|| persone B 18. immiserisce!] immiserisce. D immiseri-
sce! (← immiserisce.) D1 18-19. ho paura, ho paura di] ho paura di D
ho paura|,| /ho paura/ di D1 24. spiegargli] dire D •spiegargli (›dire‹)
D1 28. al] Al D D1 D2 al B 31. Noi] ›È un vezzo lettera‹ Noi D
190 GIUSEPPE DESSÌ
noi e lui non sentiamo questo fatto come una barriera in-
sormontabile. Tu andavi a caccia con lui, facevi con lui del-
le partite a dama… Queste cose uniscono come il linguag-
gio, diventano linguaggio. Se Linda viene in camera tua e
5 s’inginocchia vicino al tuo letto per parlarti di Sigalesa, e
accende nel caminetto il fuoco con gesti che ti fanno pen-
sare alla gente di quel paesino sconosciuto, se lei porta così
francamente tutte le sue abitudini nella tua casa, e prende
inconsciamente certe intonazioni di voce di tua madre – lei
10 sorda! – non credi di esserle diventato, senza accorgertene,
abbastanza familiare anche tu? È gente che s’affeziona, che
ha bisogno di noi, e che noi a torto ignoriamo. Sì, quando
le parlerai, sentirai dapprima un tono falso, nella tua voce,
ma poi le parlerai con naturalezza; e lei se n’accorgerà. Tu
15 non puoi sapere di che risorse dispone questa donna per
capirti. Essa ha fiducia in te; e tu te ne puoi valere: lo fai a fin
di bene. Se poi proprio non ti senti di vincere questa intima
resistenza, o se credi che la tua parola sarebbe inefficace,
prega tua madre di parlargliene lei, di convincerla. Son cer-
20 ta che la signora Bianca capirà subito.
Se questa donna verrà qui, senza far finta di nulla, e si
siederà vicino alla branda di Boschino, come una persona
amica, Boschino non la respingerà; si sentirà pacificato con
quel mondo lontano, sommerso, col quale ha perduto i
25 contatti, con quel mondo che per lui è di irreparabile colpa.
Lo sentirà di nuovo vicino, potrà parlargli, ascoltarlo. Sarà
di nuovo un mondo vivo. E liberatosi dal suo tormento, si
1. questo fatto come] questo come D questo /fatto/ come D1 5. Sigale-
sa,] Sigalesa D Sigalesa|,| D1 10. senza accorgertene] ›anche tu‹ senza ac-
corgertene D 18. se credi] se proprio credi D se ›proprio‹ credi D1 20.
Bianca capirà subito.] Bianca |capirà| (›capirebb‹) subito. ›Mostrale la
mia lettera‹ D 21. verrà] venisse D •verrà (›venisse‹) D1 22. siederà]
sedesse D •siederà (›sedesse‹) D1 23. Boschino…pacificato] Boschino
non solo non la respingerebbe, ma si ›paci‹ sentirebbe pacificato D Bo-
schino non solo non la respingerà; (← respingerebbe,) ›ma‹ si sentirà (←
sentirebbe) pacificato D1 D2 Boschino non ›solo non‹ la respingerà; si sen-
tirà pacificato B 26. Lo sentirà] Egli lo sentirebbe D Lo sentirà (← Egli
lo sentirebbe) D1 ◆ potrà] potrebbe D potrà (← potrebbe) D1 26-27.
ascoltarlo…liberatosi] ascoltarlo, sarebbe un mondo vivo. ›E se credi che
farebbe‹ Liberatosi D ascoltarlo. Sarà (← ascoltarlo, sarebbe) /di nuovo/ un
mondo vivo. E liberatosi (← Liberatosi) D1
Michele Boschino 191
No, vedi, ti sbagli. Sai bene del resto che per me andare
in Chiesa è una cosa molto delicata. Io credo all’Inferno, al
Purgatorio, al Paradiso, credo nella Vita Eterna, credo nel
Padre, nel Figliolo e nello Spirito Santo, credo nella Resur- 10
rezione della Carne. Eppure per me andare in Chiesa non è
una cosa semplice. Credo nelle stesse cose in cui credono gli
altri che ci vanno, ma ci credo diversamente. Non dico più
profondamente, ma diversamente. Ci credo pensandoci. E ci
sono dei momenti in cui questo mi dà una gioia intensa. Ho 15
l’impressione precisa che solo un travaglio quasi infinito del
pensiero può essere arrivato al sigillo del dogma. Tu sbagli,
se credi che si possa arrivare a credere queste cose solo at-
traverso il rapimento ascetico, l’annullamento del pensiero.
Tu dici che per passare dal campo della filosofia a quello 20
della teologia, bisogna attraversare un abisso incolmabile
nelle condizioni di Dante che viene rapito dall’aquila. A me
non pare. Certo è che molti potrebbero rimproverarmi di
vedere nei loro dogmi delle allegorie che adombrano verità
che tu chiameresti filosofiche. Ma io credo che, in fondo a 25
ogni dogma, il mistero sia uno solo. E questo mistero lo ac-
cetta tanto il filosofo quanto il teologo, alla stessa maniera, e
così anche tutti gli uomini che vivono e operano; perché in
fondo a ogni minimo atto morale c’è questo mistero.
Caro Filippo,
non devi affatto preoccuparti delle difficoltà che potrebbe
opporre mio padre o la signorina Airoli – cosa, in questo
momento, non del tutto impossibile. Questi sono dettagli
5 che risolveremo all’ultimo momento. C’è qui Ada Catello
che vorrebbe rimediare, per quanto è in lei, al male che han-
no causato le “Damine” a Boschino con la loro mancanza di
tatto. Non dirmi che difendo Boschino oltre il ragionevole.
Boschino le ha cacciate via, ma non aveva poi tutti i torti.
10 Ada ci aiuterebbe ospitando in casa sua Linda.
E sì! purtroppo. «I vecchi hanno le loro idee», dici tu. In-
tanto il babbo non può dirsi vecchio, a sessant’anni, e poi
non ha affatto le sue idee, in questo caso, ma quelle della
signorina Airoli, che, da governante d’Isabella, è diventa-
15 ta governante di tutti noi, compreso il babbo. Che cosa ci
starebbe a fare, se no? Il suo compito sarebbe finito da un
pezzo.
Il babbo – cioè la signorina Airoli – ha una concezione
della carità non molto diversa da quella delle povere “Da-
20 mine” scacciate da Boschino. Il babbo, per esempio, non
approva che io gli porti dei sigari, perché “non sono stret-
tamente necessari”. Si deve dare a un povero solo ciò che è
“strettamente necessario”. Il povero pesa sulla società, no?
e la società non è tenuta ad alimentare “i vizi” di chi pesa su
25 di lei. Mio padre, che regalava i sigari a Boschino quando
Boschino non viveva d’elemosina, ora non vuole più dar-
gliene. E non pensare che sia avarizia. Neanche per sogno.
È una questione di principio. O per lo meno non è avari-
zia personale, ma avarizia… sociale. Perché Boschino, per
30 quanto avidissimo di fumare, consuma un mezzo toscano
la settimana! Lo accende, tira due o tre boccate, e lo spegne.
(A me ha raccontato che ha preso l’abitudine di fumare
perché l’odore del sigaro piaceva a sua moglie, quand’era
Caro Filippo,
grazie dei consigli. Ma è difficile riuscire a sentirsi di-
staccati da queste cose, che sono piccole, ma che occupano
15 gran parte della mia giornata. La mia vita è un’altra? La vita
interiore? Parole! La vita è quella che è. Se io fossi venuta
qui come istitutrice, se fossi in casa d’estranei, sì che po-
trei fare come tu dici. Ma sono in casa mia. Tu sai che io
penso a fatica e difficilmente riesco a dimenticare ciò che
20 mi sta intorno. Anche quando leggo, quando vado a pas-
seggio con Isabella e fantastico per mio conto fingendo di
ascoltare quello che lei mi dice, queste piccole miserie mi
perseguitano e immagino di parlarne con te. A proposito,
Donato mi ha scritto una lunga lettera saggia, anche lui mi
25 dà dei consigli molto più saggi dei tuoi, quei consigli che
solo un estraneo può dare. Io lo sento estraneo, in questa
lettera. Perché mi vuole ragionevole oltre il possibile? Per-
ché io dovrei sopportare tutto, tutto, accettare tutto? Io non
incolpo né il babbo né la sorte di esser costretta a passar qui
30 la mia giovinezza. Al babbo piace questa vita. L’ha imposta
alla mamma, che pure, di stare a Ultra, non voleva saperne,
e ora l’impone a me e a Isabella. Dunque… Ma Donato è
quello che meno ne soffre. Anzi credo che, in fondo, sia un
Caro Filippo,
forse sarebbe meglio, come tu dici, che io non mi ostinas-
si a ricercare la causa della mia inquietudine nelle persone e 30
nelle situazioni intorno a me. Forse è vero, come tu dici, che
la tristezza e la gioia non hanno ragione alcuna, che si devo-
no “romanticamente accettare come sentimenti assoluti”.
5 Caro Filippo,
cerchiamo di restare fedeli ai patti. E non parliamo più
di me.
Mi chiedi spiegazioni sulle “Damine”. Mi pareva di aver-
tene già parlato. Come avrai capito, le “Damine”, sono ra-
10 gazze di ogni ceto che, guidate da alcune signore del paese,
assistono i poveri. Non essendovi qui un ospizio, portano
in casa delle persone bisognose buoni per il pane il latte lo
zucchero il caffè, ecc. ecc. Il Comune e altri enti, e anche
i privati, sono tassati per una certa somma. Fanno quello
15 che possono. Ada Catello è una delle più assidue e attive
“Damine”, ma riconosce che lo scatto di Boschino è più che
scusabile. Boschino era molto diffidente fin da principio, a
dir la verità. Non appena seppero che s’era ammalato e che
non aveva di che vivere, le “Damine” capitarono anche da
20 lui, gli portarono latte e uova. Boschino non ha mai bevuto
latte in vita sua, e le uova non può prenderle per via del fe-
gato. Ma le “Damine” rimasero molto meravigliate veden-
do che un povero diavolo, che non aveva di che sfamarsi,
rifiutava il latte e le uova. Ci volle tutta la pazienza di Ada
25 Catello per far capire la ragione alle sue compagne. Quan-
do Boschino si aggravò, e il prete doveva venire a portargli
l’Estrema Unzione, le “Damine” prepararono sul tavolino
appoggiato al muro una specie di altare con ceri e immagi-
ni. Sul muro affumicato attaccarono una pagina di giornale
30 con quattro puntine da disegno, e nel mezzo un Crocefisso
2-4. che qualche…tempo.] che qualche cane randagio doveva averne ro-
sicchiato le ossa già da molto tempo. D che qualche cane randagio doveva
averne rosicchiato le ossa già da molto tempo. D1 6. mai. Imprecano.]
mai; imprecano. (← mai. Imprecano.) D1 11. positivamente] positiva-
mente dunque D D1 D2 positivamente ›dunque‹ B
Michele Boschino 213
4. e per] e forse per D e ›forse‹ per D1 21. pregare] |pregare| (›parlare‹) D
216 GIUSEPPE DESSÌ
1. nelle] in teoria, nelle D ›in teoria,‹ nelle D1 7. buoi] buoi ›e di‹ D 8.
avevano; avrebbe] avevano, avrebbe D avevano. Avrebbe (← avevano,
avrebbe) D1 D2 avevano; avrebbe (← avevano, avrebbe) B 9. magnani-
mità] clemenza D D1 D2 ||magnanimità|| (›clemenza‹) B 20. della loro
roba] dei loro beni D D1 D2 ||della loro roba|| (›dei loro beni‹) B 21. «Bo-
schino] Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia, come Antonino
Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ricavato? – dissi – E
come? «Boschino D ›Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia,
come Antonino Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ri-
cavato? – dissi – E come?‹ «Boschino D1 21-22. idea» ha detto Colli-
va.] idea». D idea» /- ha detto Colliva -/. D1 23. andò] ||vive|| (›aandò
b
||tornò||‹) B ◆ Già!, chiuse] Chiuse D D1 D2 Già!, chiuse (← Chiuse) B
218 GIUSEPPE DESSÌ
«Cristoforo Usùla».
«Precisamente. Aveva preso in affitto una stanza in casa
di quest’uomo e teneva i buoi nella sua stalla. Era come uno
di casa. Mi disse che lui di quei danari maledetti non sapeva
5 cosa farsene, che io lo avevo rovinato, e che voleva vivere
del suo lavoro. Lavorava col suo ospite, o per conto di altri
proprietari di Ultra, oppure per conto dei carbonai toscani,
in foresta. Continuava, presso a poco, la stessa vita che ave-
va fatto fin allora al suo paese. E si trovava bene. Non riuscii
10 in nessun modo a fargli capire la ragione. Ma io capii che
questa decisione non poteva non essere definitiva, perché
mi diede l’incarico di vendere anche la sua casa di Sigalesa
e i poderi. Cercai di convincerlo che non era un momento
buono per vendere, ma visto che insisteva, benché avessi
15 la procura generale, mi feci ripetere la cosa in presenza di
testimoni. Questa mia diffidenza gli dispiacque molto: dis-
se che voleva trattare con me da uomo a uomo, e che gli
estranei non dovevano sapere i fatti suoi. Io tenni duro, e gli
accordai solo questo, che i testimoni non fossero di Ultra.
20 Voleva che a Ultra si sapesse che viveva del suo lavoro e che
era povero, e questo non per prudenza, ma perché era il suo
sentimento. Io vendetti la casa e i poderi e ne ricavai altre
venticinquemila lire, e investii tutto il capitale in azioni del-
la Società Elettrica. Per tre anni Boschino non si fece vivo».
25 «Per tre anni?»
«Per tre anni. Non bisogna meravigliarsi neanche di que-
sto. Io ci ho pensato molto. Questa indifferenza per il da-
naro deriva da una particolare concezione del danaro. Ci
sono popoli selvaggi che contano solo sino a quattro. Gli
30 indiani del Guarany, per esempio… Gli abiponi e i damma-
ra contano fino a tre. I popoli che possono contare al di là
4. penso che] penso neppure che D D1 D2 penso che B 9. oggetti] og-
getti, D1 11. venticinque,] venticinque D D1 D2 venticinque|,| B 23.
essere stata presso] essere presso D essere /stata/ presso D1 26. no; il
danaro,] no, il danaro D no; il danaro, (← no, il danaro) D1 32. della
sua terra] dei suoi poderi D D1 D2 ||della sua terra|| (›dei suoi poderi‹) B
220 GIUSEPPE DESSÌ
15
Ho raccontato alla mamma del mio colloquio con l’avvo-
cato. È stata a sentirmi fino all’ultimo, poi ha detto che la
mia impressione di non essere stato preso sul serio era esat-
ta. L’avvocato l’ha incontrata e le ha raccontato la cosa a suo
20 modo, esortandola anche a consigliarmi di non prendermi
troppo a cuore la cosa, specie nei riguardi dell’ingegnere. La
mamma è convinta come me della malafede di Almerio, e
anche di Colliva. Ho fatto alla mamma una domanda natu-
rale e ingenua, che l’ha fatta sorridere, e io mi sono un po’
25 vergognato, di fronte a lei, come un ragazzo. Le ho chiesto
se Colliva è una persona onesta. «È una persona corretta»
ha detto la mamma. E la correttezza s’impara, come l’edu-
cazione o come il mestiere, mentre l’onestà presuppone
1-2. più volte sul punto] più volte D più volte /sul punto/ D1 2. da Col-
liva] |da Colliva| (›dall’avvo‹) D 3-4. delicatezza da parte di Colliva]
correttezza D •delicatezza da parte di Colliva (›correttezza‹) D1 7. Ora
poteva] ›La correttezza‹ Ora poteva D
226 GIUSEPPE DESSÌ
PARTE PRIMA
Capitolo I
p. 6:
D D1
Anche altre persone, amici comuni, •
Parenti e (›Anche altre persone,‹)
cercarono di convincere Benedetto amici comuni cercarono /inutil-
e Salvatore a lasciarlo in pace, fin- mente/ di convincere •i due testardi
ché Giuseppe, vedendo che tutto era a desistere (›Benedetto e Salvatore a
inutile, pregò queste persone di non lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe,
occuparsi più della cosa. “Io” diceva vedendo che tutto era inutile, pregò
Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora per- queste persone di non occuparsi più
ché mi dispiaceva di vederli sempre della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho
così inquieti. Ma se proprio ci voglio- ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva
no stare, nella loro rabbia, che frigga- di vederli sempre così inquieti. Ma se
no pure!” Un giorno però Salvatore proprio ci vogliono stare, nella loro
rabbia, che friggano pure!”‹.
Un giorno ›però‹ Salvatore
si riporta
esattamente il
processo corretorio
248 michele boschino
p. 7:
D D1 D2
compagnia. Nessuno si curò di loro, compagnia. ›Nessuno si curò di loro,
e se n’andarono senza una parola di e se n’andarono senza una parola di
pace. “Povero Beppe” disse una vec- pace.‹ “Povero Beppe” disse una vec-
chia “forse son più i colpi che ti hanno chia /dopo che quei due se ne furono
dato quei due giovanotti che gli scudi andati/ “forse son più i colpi che ti
hanno dato ›quei due giovanotti‹ che
gli scudi
B
compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne fu-
rono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che
gli scudi
p. 9:
D D1
Allora Giuseppe scavò un pozzo ›e Allora Giuseppe scavò un pozzo
[—].‹ “Giuseppe Boschino ha fortu- “Giuseppe Boschino ha fortuna”,
na”, diceva la gente vedendo che ave- diceva la gente vedendo che aveva
va trovato il punto giusto per scavare trovato il punto giusto per scavare il
il pozzo, che risultò ricco di acqua pozzo,‹ che risultò ricco di acqua an-
anche in piena estate. Quando Giu- che in piena estate. Quando ›Giusep-
seppe si fu accertato della ricchezza pe‹ si fu accertato della ricchezza di
di quella vena d’acqua, fece accanto al quella vena ›d’acqua‹, fece accanto al
pozzo una vasca in muratura, ci mise pozzo una vasca in muratura, ci mise
una noria e incominciò a impiantare una noria|,| e ›incominciò a‹ impiantò
un orto. I fratelli, che passavano di là (← impiantare) un orto. I fratelli, che
spesso per andare a un loro podere passavano di là spesso per andare a un
di Nadoria, non gli davano pace. Ve- loro podere di Nadòria (← Nadoria),
nivano nell’orto con la scusa di farsi •
entravano (›non gli davano pace. Ve-
dare un po’ d’insalata o di ravanelli da nivano‹) nell’orto con la scusa di farsi
mangiare col pane e si lamentavano dare un po’ d’insalata o di ravanelli
della loro miseria: da mangiare col pane. Si (← pane e
si) lamentavano della loro miseria; (←
miseria:)
250 michele boschino
p. 9:
D D1
Giuseppe si mise a ridere, e ridendo Giuseppe si mise a ridere. Rispose (←
rispose che lui il socio ce l’aveva già, a ridere, e ridendo rispose) che lui il
aveva suo figlio Michele, per socio; socio ce l’aveva già, aveva suo figlio
poi, siccome l’altro insisteva, lo pre- Michele, per socio. Poi (← socio; poi),
gò di essere ragionevole e di smettere siccome l’altro insisteva, •si rimise
quest’idea. L’altro, esasperato dalla a zappare senza più dargli retta. (›lo
sua calma, cominciò a minacciare pregò di essere ragionevole e di smet-
come l’altra volta che, assieme con tere quest’idea‹). Esasperato (← L’al-
Benedetto l’aveva picchiato. tro, esasperato) dalla sua calma, /Be-
nedetto/ cominciò a minacciare come
l’altra volta che, 2assieme con •Salva-
tore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.
Appendice 251
p. 10:
D D1
Fu lui che consigliò alla madre di ven- Fu lui che /le/ consigliò ›•[—]‹ (›alla
dere anche l’altro giogo di buoi, ch’e- madre‹) di vendere anche l’altro gio-
rano inutili finché il terreno da semi- go di buoi, ›ch’erano inutili finché il
na rimaneva affittato, e di comprare terreno da semina rimaneva affittato,‹
un muletto per portare i prodotti al e di comprare un muletto per portare
mercato. i prodotti al mercato.
Passarono due anni duri e tristi, e il Passarono due anni duri e tristi; (←
ragazzo, vedendo la madre arrabat- tristi,) e il ragazzo, vedendo la madre
tarsi senza posa ›[—]‹ e i guadagni di- arrabattarsi senza posa e i guadagni
minuire sempre rimpiangeva la calma diminuire sempre|,| rimpiangeva la
e la serenità di suo padre. calma e la serenità di suo padre.
252 michele boschino
Capitolo II
p. 12:
D D1
temeva per il figlio. Sapeva che certi temeva per il figlio. Sapeva che certi
stati d’animo sono come la siccità. stati d’animo /diffusi/ sono come la
Senza tempeste di grandine o di ven- siccità. Senza tempeste di grandine o
to, le foglie degli alberi finiscono per di vento, le foglie degli alberi •avvizzi-
avvizzire e cadere, l’erba inaridisce scono e cadono, (›finiscono per avviz-
sulla terra secca: come un fiammifero zire e cadere,‹) l’erba inaridisce sulla
basta allora a distruggere una foresta, terra secca. (← secca:) ›come‹ /Allora
così una parola distrugge la fama d’un basta/ un fiammifero ›basta allora‹ a
uomo, se la gente è ostile. Eppoi, lui distruggere una foresta. (← foresta,)
stesso, ripensandoci non era contento •
Allo stesso modo (›così‹) una paro-
della scelta di Michele. la distrugge la fama d’un uomo, se la
gente è ostile. ›Eppoi,‹ Lui (← lui) stes-
so, •in fondo (›ripensandoci‹), non era
contento della scelta di Michele.
Appendice 253
p. 13:
D D1
non era un brutto giovane, anzi si non era •un (›un‹) brutto •giovine
poteva affermare il contrario. Non (›agiovane b•neppure lui‹), anzi si po-
era nè stupido nè povero, eppure gli teva affermare il contrario; e non (←
mancava qualcosa per essere l’uomo contrario. Non) era nè stupido nè po-
per esser l’uomo adatto per Angela. vero – eppure gli mancava qualcosa
Che cosa? Giuseppe non avrebbe sa- |per esser l’uomo| (›per essere l’uo-
puto dirlo, non lo sapeva: forse solo mo‹) •che ci voleva per (›adatto per‹)
l’abitudine di trattar con la gente, la Angela. Che cosa, (← cosa?) Giuseppe
sicurezza che viene dalla familiarità e non avrebbe saputo dirlo, non lo sa-
specialmente poi coi giovani suoi co- peva /[—]/: forse solo l’abitudine di
etanei. Michele era stato sempre solo, trattar con la gente, •coi giovani suoi
e questo non si confà a chi sposa una coetanei, e quella sicurezza che solo
donna sulla quale gli occhi di molti si |quest’abitudine| (›la familiarità‹)
sono soffermati con desiderio. può dare (›la sicurezza che viene dal-
la familiarità e specialmente poi coi
giovani suoi coetanei‹). Michele era
stato sempre solo, e /.pareva a Giu-
seppe che/ questo non si confacesse
(← confà) •a uno che doveva sposare
(›a chi sposa‹) una donna sulla quale
gli occhi di molti si .erano (›sono‹)
soffermati con desiderio.
D2 B
non era un brutto giovane, anzi si non era un brutto giovane, anzi si
poteva affermare il contrario; e non poteva affermare il contrario; e non
era nè stupido nè povero – eppure gli era né stupido né povero, eppure gli
mancava qualcosa per esser l’uomo mancava qualcosa per essere l’uomo
che ci voleva per Angela. Che cosa, che ci voleva per Angela. Che cosa,
Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo,
non lo sapeva: forse solo l’abitudine non lo sapeva: forse solo l’abitudine
di trattar con la gente, coi giovani suoi di trattar con la gente, coi giovani
coetanei, e quella sicurezza che solo suoi coetanei, e quella sicurezza che
questa abitudine può dare. Michele solo quest’abitudine può dare. Miche-
era stato sempre solo, e questo /•pare- le era stato sempre solo, e a Giuseppe
va a Giuseppe che/ non si confacesse pareva che questo non si confacesse
a uno che doveva sposare una donna a uno che doveva sposare una donna
sulla quale gli occhi di molti si erano sulla quale gli occhi di molti si erano
soffermati con desiderio. soffermati con desiderio.
254 michele boschino
p. 14:
D D1
Intanto Michele aveva cominciato a •
Nel frattempo (›Intanto‹) Michele
costruire due camere accanto al gra- aveva cominciato a costruire due ca-
naio e a seminare un po’ di terra per mere accanto al granaio, aveva semi-
suo conto, per metter da parte qual- nato (← al granaio e a seminare) un
che soldo; e Angela, finiva di tesser po’ di terra per suo conto, e metteva
la tela per il corredo. All’infuori di (← per metter) da parte qualche soldo;
questo, vivevano più come fratello e ›e‹ Angela›,‹ finiva di tesser la tela per
sorella che come fidanzati; e siccome il corredo. All’infuori di questo, /i due
Carmela era sempre con loro, spes- giovani/ vivevano più come fratello
so qualcuno chiedeva a Michele, o a e sorella che come fidanzati; e ›sic-
Giuseppe, chi fosse, delle due, la pro- come Carmela era sempre con loro,‹
messa sposa. spesso qualcuno chiedeva a Michele,
o a Giuseppe, chi fosse, ›delle due‹, la
promessa sposa, (← sposa,) |Angela o
Carmela.|
Appendice 255
p. 15:
D D1 D2
Poi, improvvisamente, quando chiese Poi, improvvisamente, quando /Michele/
al padre di affrettare le nozze, queste chiese ›al padre‹ di •anticipare (›af-
dispute cessarono; e i due vecchi non frettare‹) le nozze, /non solo/ queste
erano mai stati d’accordo come allo- dispute cessarono ma (← cessarono;
ra. Maddalena non era mai stata così e) i due vecchi non erano mai stati
docile e remissiva con Giuseppe. “Io d’accordo come allora, (← allora.)
non c’entro” diceva a Michele. “È tuo /mai come allora/ Maddalena •s’era
padre che deve decidere”. E Giuseppe mostrata (›non era mai stata‹) così
aveva deciso che le nozze non fossero docile e remissiva con Giuseppe. “Io
anticipate neppure d’un giorno. Mi- non c’entro” diceva a Michele. “È
chele sapeva ch’era inutile insistere, e tuo padre che deve decidere”. E Giu-
si sarebbe facilmente adattato alla vo- seppe aveva /bell’e/ deciso ›che‹ |:| le
lontà di suo padre, se Angela lo aves- nozze non •dovevano essere (›fosse-
se lasciato in pace. Era lei che voleva ro‹) anticipate neppure d’un giorno.
affrettare le nozze. Carmela doveva •
Sapendo (›Michele sapeva‹) ch’era
fidanzarsi anche lei, ma il padre non inutile insistere, •Michele (›e‹) si sa-
lo avrebbe permesso se non dopo le rebbe ›facilmente‹ adattato /come
nozze della sorella maggiore. Voleva sempre,/ alla volontà di suo padre, se
che ›[—]‹ l’una sorvegliasse l’altra, Angela lo avesse lasciato in pace. Era
non voleva due uomini in casa in una lei che voleva affrettare le nozze. /Di-
volta sola. Questa non sembrava a ceva che/ Carmela doveva fidanzarsi
Giuseppe una ragione sufficiente; e ne ›anche lei‹, •e che (›ma‹) il padre non
aveva discusso a lungo con Maddale- lo avrebbe permesso se non dopo le
na, che, in un primo tempo, avrebbe /loro/ nozze|;| ›della sorella maggiore.
voluto accontentare il giovane. Giu- Voleva che l’una sorvegliasse l’altra,‹
seppe avrebbe voluto almeno che An- non voleva due uomini in casa in una
gela ›parlas‹ ne parlasse apertamente volta sola. •Giuseppe (›Questa non
con lui stesso o con Maddalena: in- sembrava a Giuseppe una ragione suf-
vece, in loro presenza faceva l’agnel- ficiente; e ne‹) aveva discusso a lungo
la, ma quand’era sola con Michele /della cosa/ con Maddalena, che, in
non gli dava un momento di respiro. un primo tempo, •era propensa ad ac-
Maddalena propendeva a credere che condiscendere (›aavrebbe voluto ac-
ci fosse un’altra ragione, che la ragaz- contentare il giovane. Giuseppe b•era
za fosse incinta e si vergognasse. Giu- decisa ad accontentare‹). Avrebbe (←
seppe disse che non c’era motivo, in avrebbe) voluto almeno che Angela
tal caso, di nasconder la cosa anche a |ne parlasse| (›parlas‹) apertamente
Michele. Ma, lui li aveva ascoltati di- con lui stesso o con Maddalena: inve-
verse volte parlare senza che loro due ce, in loro presenza faceva l’agnella, •e
se n’accorgessero, e sapeva che le ra- quando poi era (›ma quand’era‹) sola
gioni di Angela erano sempre quelle. con Michele non gli dava un momen-
256 michele boschino
B
Poi, improvvisamente, quando Michele chiese di anticipare le nozze, non solo
queste dispute cessarono ma i due vecchi non erano mai stati d’accordo come
allora. Maddalena mai come allora si era mostrata così docile e remissiva con
Giuseppe. «Io non c’entro» diceva a Michele. «È tuo padre che deve decidere».
E Giuseppe aveva bell’e deciso: le nozze non dovevano essere anticipate nep-
pure d’un giorno. Sapeva ch’era inutile insistere, Michele, e si sarebbe adat-
tato, come sempre, alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in
pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. Diceva che Carmela doveva fidan-
zarsi, e che il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le loro nozze; non
voleva due uomini in casa in una volta sola. Giuseppe aveva discusso a lungo
della cosa con Maddalena, che, in un primo tempo, era propensa ad accon-
discendere. Avrebbe voluto almeno che Angela ne parlasse apertamente con
lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, e quando
poi era sola con Michele non gli dava un momento di respiro. Maddalena
propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione nascosta, che la ragazza
non voleva dire. Forse la ragazza era incinta e si vergognava. Giuseppe diceva
che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. Disse
di averli sentiti parlare di nascosto tra loro, e sapeva che le ragioni di Angela
erano sempre quelle.
Appendice 257
Capitolo III
p. 22:
D D1 D2
Michele gli rendeva conto di tutto Michele gli rendeva conto di tutto
minuziosamente e stava lunghe ore minuziosamente e stava lunghe ore
seduto accanto a suo letto; e gli pa- seduto accanto a|l| suo letto. Gli (←
reva che ciò che faceva non sarebbe letto; e gli) pareva che /tutto/ ciò che
servito a nulla, se non ne parlava con faceva non sarebbe servito a nulla,
lui, o prima o dopo. Non che avesse se non ne parlava con lui, ›o prima
bisogno di consigli, chè ormai sapeva o dopo‹. Non che avesse bisogno di
fare da sé, [—] e neppure voleva dare consigli, chè ormai sapeva fare da
al vecchio l’illusione di essere anco- sé, •Ma non (›e neppure‹) voleva •to-
ra tanto necessario, ma amava, in gliere (›dare‹) al vecchio l’illusione
quest’illusione, riposarsi egli stesso. di essere ancora tanto necessario, •e
Che cosa era egli, in fine? Era come (›ma‹) amava, in quest’illusione, ripo-
una mano che Giuseppe allungasse sarsi egli stesso. /E/ che (← Che) cosa
a occhi chiusi, una mano esperta che era|,| •lui (›egli‹), in fine? Era come
aveva conservato la forza giovanile di una mano che Giuseppe allungasse a
un tempo. occhi chiusi, una mano ›esperta‹ che
aveva conservato la forza giovanile di
un tempo.
B
Michele 2gli rendeva conto di tutto minuziosamente e 1stava lunghe ore sedu-
to accanto al suo letto. Gli pareva che tutto ciò che faceva non sarebbe servito
a nulla, se non ne parlava ||prima|| con lui. Non che avesse bisogno di consigli,
ché ormai sapeva fare da sé. Ma non voleva togliere al vecchio l’illusione di
essere ancora tanto necessario, e amava, in quest’illusione, riposarsi egli stes-
so. E che cosa era, lui, in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a
occhi chiusi, una mano che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.
258 michele boschino
p. 23:
D D1 D2
e quell’anno appunto toccava, ›e non e quell’anno appunto toccava. ›Ciò
si poteva rimandare‹ Ciò che meravi- che meravigliava Michele però era
gliava Michele però era che il vecchio che‹ Il (← il) vecchio parlava come
[—] parlava come se alla fiera inten- se alla fiera •dovesse (›intendesse‹)
desse andarci egli stesso. Dapprima andarci •lui (›egli‹) stesso. Dapprima
non ci fece caso, perché ›il padre‹ /Michele/ non ci fece caso, perché
Giuseppe, anche quando si trattava ›il padre‹ Giuseppe, anche quando
dei lavori dell’orto e del podere parla- si trattava dei lavori dell’orto e del
va allo stesso modo, come se anche lui podere|,| parlava allo stesso modo,
potesse veramente prendervi parte; come se •dovesse farli con le sue stesse
poi s’accorse che non era un semplice mani; ma presto (›anche lui potesse
modo di dire, e ne fece parola a |Mad- veramente prendervi parte; poi‹) s’ac-
dalena| (›sua madre‹) perché cercasse corse che non era un semplice modo
lei di convincerlo ch’era una pazzia di dire, e •lo disse (›ne fece parola‹) a
pensarci. Maddalena perché cercasse lei di con-
vincerlo ch’era una pazzia pensarci.
B
e quell’anno appunto toccava. Il vecchio parlava come se alla fiera dovesse an-
darci lui stesso. Dapprima Michele non ci fece caso, perché Giuseppe, anche
quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere, parlava allo stesso modo,
come se dovesse farli con le sue ›stesse‹ mani; ma presto s’accorse che non era
un semplice modo di dire, e ||ne parlò con|| (›lo disse a‹) Maddalena perché
cercasse lei di convincerlo che era una pazzia pensarci.
Appendice 259
pp. 23-24:
D D1 D2
“Sei vecchio diceva Maddalena “Met- “Sei vecchio |!| diceva Maddalena
titi in testa che sei vecchio, e devi “Mettiti in testa che sei vecchio, e
averti riguardo, benedetto”. Ad ogni devi averti riguardo, benedetto|!|”.
costo volle alzarsi, e a stento riuscì Ad ogni costo volle alzarsi, •ma (›e‹)
a tenersi seduto su una sedia; ma ri- a stento riusciva (← riuscì) a •reggersi
petè il tentativo per parecchi giorni (›tenersi‹) seduto su una sedia. Ripetè
di seguito, e con grande meraviglia (← sedia; ma ripetè) il tentativo per
di Michele e Maddalena, migliorava parecchi giorni ›di seguito‹, /ostina-
sensibilmente. Non parlava che della tamente,/ e con grande meraviglia
fiera di Santa Croce, della gente che ci di Michele e Maddalena, /prese a/
andava ogni anno da tutti (← tutte) •i migliorare (← migliorava) •davvero
paesi (›le parti‹) del Centro, del Goce- (›sensibilmente‹). Non parlava che
ano e di Parte d’Ispi, dei gran danari della fiera di Santa Croce, della gente
che si maneggiavano in quel merca- che ci andava ogni anno da tutti i pa-
to, che neppure si sapeva da dove esi del Centro, dal (← del) Goceano e
uscissero. [—] Si vedevano •sacchetti da (← di) Parte d’Ispi, dei gran danari
(›[—]‹) di scudi e di marenghi in [—] che si maneggiavano in quel merca-
quelle mani terrose come se li avesse- to, che neppure si sapeva da dove
ro scavati la sera prima sotto qualche / uscissero. Si vedevano sacchetti di
vecchio/ muro con l’aiuto del diavolo. scudi e di marenghi •passare per (›in
E quanto più il danaro correva, tanto [—]‹) quelle mani terrose|,| come se
più cresceva l’avidità del danaro. Per- li avessero scavati la sera prima sotto
ché alla fiera c’erano sì le persone che qualche vecchio muro con l’aiuto del
non cercavano altro che un bel giogo diavolo. E quanto più il danaro corre-
di buoi da lavoro o un buon cavallo; va, tanto più cresceva l’avidità del da-
ma ce n’erano poi di quelli che in una naro. Perché alla fiera|,| •oltre le (›c’e-
sola giornata compravano e rivende- rano sì le‹) persone che|,| /come lui/|,|
vano e ricompravano ancora e ancora non cercavano altro che un bel giogo
rivendevano. Bisognava stare con gli di buoi da lavoro o un buon cavallo,
occhi aperti, perché lì anche i galan- (← cavallo;) ma ce n’erano poi di quel-
tuomini si dimenticavano di esser le (← quelli) che in una sola giornata
galantuomini. compravano e rivendevano •anche
tre o quattro gioghi di buoi col solo
scopo di guadagnarci su (›e ricompra-
vano ancora e ancora rivendevano‹).
Bisognava stare con gli occhi aperti,
perché lì anche i galantuomini si di-
menticavano di esser galantuomini.
260 michele boschino
B
«Sei vecchio!» diceva Maddalena «mettiti in testa che sei vecchio, e devi aver-
ti riguardo, benedetto!». A›d‹ ogni costo volle alzarsi, ma a stento riusciva a
reggersi seduto su una sedia. Ripeté il tentativo per parecchi giorni, ostinata-
mente, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, prese a migliorare
davvero. Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava
ogni anno da tutti i paesi del Centro, dal Gocèano (← Goceano) e da Parte
d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si
sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi e di marenghi passare
per quelle mani terrose, come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche
vecchio muro. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del
danaro. Perché alla fiera, oltre le persone che, come lui, non cercavano altro
che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo, ›ma‹ ce n’erano poi di
quelle che in una sola giornata compravano e rivendevano anche tre o quattro
gioghi ›di buoi‹ col solo scopo di guadagnarci su. Bisognava stare con gli occhi
aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.
Appendice 261
p. 24:
D D1 D2
Ma quando poi fu nell’orto, si straiò Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso
all’ombra del pergolato, accanto alla da una grande stanchezza./ Si sdraiò
vasca, ›e non si mosse di lì per tutta (← si straiò) all’ombra del pergolato,
la giornata‹ con la testa sul basto del accanto alla vasca, con la testa sul
mulo. Disse che voleva star lì un poco basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che
a riposarsi, e si addormentò beata- voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si
mente allo scroscio del ritrecine. Mi- addormentò beatamente allo scroscio
chele gli mise accanto una brocchetta del ritrecine. Michele gli mise accan-
d’acqua fresca, per quando si sveglia- to una brocchetta d’acqua fresca, per
va, e andò a zappare, poco discosto. quando si svegliava, e andò a zappare,
Ogni tanto, sentendolo parlare, tor- poco discosto. Ogni tanto, sentendolo
nava; parlare, tornava;
B
Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò
all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si
addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto
una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i
cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹)
parlare, tornava;
262 michele boschino
p. 25:
D D1 D2
distingueva ora distintamente il ru- distingueva ora ›distintamente‹ il
more che faceva la zappa di Michele rumore /ben noto/che faceva la zap-
urtando un sasso, lo schiocco delle pa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo
forbici, il cigolio lungo del cancello di schiocco delle forbici, il cigolio lungo
legno. Si ricordò che da quando [—] del cancello di legno /e questi rumo-
s’era ammalato non mangiava più po- ri gli facevano bene come l’aria della
modori crudi, e subito gliene venne campagna/. Si ricordò che da quando
desiderio. s’era ammalato non mangiava più po-
modori crudi, e subito gli (← gliene)
venne •voglia di mangiarne (›deside-
rio‹).
B M2
distingueva ora il rumore ben noto distingueva ora il rumore ben noto
che faceva la zappa urtando un sas- che faceva la zappa urtando un sas-
so, lo schiocco delle forbici, il cigolio so, lo schiocco delle cesoie, il cigolio
lungo del cancello di legno, e questi lungo del cancello di legno, e questi
rumori gli facevano bene come l’a- rumori gli facevano bene come l’aria
ria della campagna. ||A un tratto si|| della campagna. A un tratto si ricordò
(›Si‹) ricordò che da quando si era che da quando si era ammalato non
ammalato non mangiava più pomo- mangiava più pomodori crudi, e subi-
dori crudi, e subito gli venne voglia di to gli venne voglia di mangiarne.
mangiarne.
Appendice 263
Capitolo IV
pp. 29-30:
D D1 D2
“E la volpe l’avete già scuoiata?” chie- ›“E la volpe l’avete già scuoiata?”
se Cosimo. Ma non ebbe tempo di chiese Cosimo.‹ •Cosimo (›Ma‹) non
fare altre domande. Non appena fu ebbe tempo di fare •molte (›altre‹) do-
spontato da cavallo, Bore Lisca e Pe- mande. Non •aveva neanche messo il
donca gli saltarono addosso, lo disar- piede a terra, che (›appena fu sponta-
marono; gli altri tirarono giù Michele to da cavallo,‹) Bore Lisca e Pedonca
dal cavallo. Il giovane si trovò con la gli saltarono addosso e (← addosso,)
faccia tra l’erba. In un attimo fu lega- lo disarmarono; gli altri tirarono giù
to e imbavagliato. Era inutile opporre 2
Michele 1dal cavallo. /In un attimo/ il
resistenza, e lasciò fare. Cosimo inve- (← Il) giovane si trovò /›disteso‹ boc-
ce lottava con tutte le sue forze; ma coni ›per terra‹/ con la faccia tra l’er-
presto fu ridotto all’impotenza. Mi- ba. ›In un attimo‹ Fu (← fu) legato e
chele sentiva i suoi lamenti soffocati imbavagliato. Era inutile opporre re-
dal bavaglio e il respiro affannoso. sistenza, e lasciò fare. Cosimo invece
lottava con tutte le sue forze /gridan-
do e sbuffando/; ma presto fu ridotto
all’impotenza /anche lui/; (← .) •e non
si sentiva altro all’infuori dei (›Miche-
le sentiva i‹) suoi lamenti|,| soffocati
dal bavaglio|,| o il respiro affannoso.
B
Cosimo non ebbe tempo di fare molte domande. Non aveva neanche messo il
piede a terra, che Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e lo disarmaro-
no; gli altri tirarono giù dal cavallo Michele. In un attimo il giovane si trovò
bocconi con la faccia tra l’erba. Fu legato e imbavagliato. Era inutile opporre
resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze gridando
e sbuffando; ma presto fu ridotto all’impotenza anche lui. (← lui;) ||E non si
sentì altro che il /suo/ respiro affannoso soffocato dal bavaglio.|| (›e non si
sentiva altro all’infuori dei suoi lamenti, soffocati dal bavaglio, o il respiro
affannoso.‹)
264 michele boschino
p. 31:
D D1
›[−]‹ Vacca disse che non era il caso •
Erano rimasti lì un poco, poi veden-
di ritentare, dato che il colpo non era do che non era il caso d’arrischiarsi a
riuscito, e diede ai compagni l’ordine (← in) un nuovo tentativo, se n’erano
di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| tornati verso la radura dov’erano i
(›Prima di andare via‹) si avvicinò cavalli. Vacca era rimasto indietro
al ferito, cavò di tasca il coltello da col ferito, che fu trovato poi sgozza-
caccia, si chinò su di lui. Cosimo si to come un agnello. (›Vacca disse che
voltò dall’altra parte: sentì una spe- non era il caso di ritentare, dato che il
cie di gorgoglio, un sospiro, poi più colpo non era riuscito, e diede ai com-
nulla. In silenzio s’avviarono verso la pagni l’ordine di ritirarsi. Prima di
radura. allontanarsi si avvicinò al ferito, cavò
A Cosimo e a Michele fu intimato, di tasca il coltello da caccia, si chinò
sotto la minaccia dei fucili spianati, su di lui. Cosimo si voltò dall’altra
di continuare il viaggio come se nulla parte: sentì una specie di gorgoglio,
fosse accaduto. un sospiro, poi più nulla. In silenzio
Cosimo e Michele furono lasciati li- s’avviarono verso la radura.‹)
beri con l’ordine preciso di continua- |A| Cosimo e /a/ Michele fu (← fu-
re il viaggio come se nulla fosse stato. rono) •intimato, sotto la minaccia dei
E quattro giorni dopo tornarono a fucili spianati (›lasciati liberi con l’or-
Sigalesa coi loro acquisti: il torello da dine preciso‹) di continuare il viaggio
monta e il giogo di buoi da lavoro. come se nulla fosse •accaduto. (›stato.
Interrogati dal capo della gendar- E quattro giorni dopo tornarono a
meria se avessero incontrato uomini Sigalesa coi loro acquisti: il torello da
armati sulla strada di Forri, dissero di monta e il giogo di buoi da lavoro. In-
no, e furono lasciati in pace. terrogati dal capo della gendarmeria
se avessero incontrato uomini armati
sulla strada di Forri, dissero di no, e
furono lasciati in pace.‹)
D2 B
Erano rimasti lì un poco, poi vedendo Erano rimasti lì un poco, poi ||pen-
che non era il caso d’arrischiarsi in un sando|| (›vedendo‹) che non era il
nuovo tentativo, se n’erano tornati caso d’arrischiarsi a un nuovo tentati-
verso la radura dov’erano i cavalli. vo, se n’erano tornati verso la radura,
Vacca era rimasto indietro col ferito, dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto
che fu trovato poi sgozzato come un indietro col ferito, che fu trovato poi
agnello. sgozzato come un agnello.
A Cosimo e a Michele fu intimato, A Cosimo e a Michele fu intimato,
sotto la minaccia dei fucili spianati di sotto la minaccia dei fucili spianati,
Appendice 265
Capitolo VII
p. 54:
19-23. il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così de-
serto.]
D D1
il cielo stellato: |tutti oggetti presenti e il cielo stellato: tutte cose presenti,
reali, a cui lo teneva avvinto il terrore reali, (← tutti oggetti presenti e reali,)
d’abbandonarsi ai fantasmi dei sogni a cui lo teneva avvinto il terrore d’ab-
che avrebbero popolato la sua ango- bandonarsi ai fantasmi ›dei sogni‹ che
scia. Eppure quel velo sottile lo se- •
popolavano (›avrebbero popolato‹)
parava dal presente, divenuto per lui la sua angoscia. Eppure quel velo sot-
così deserto.| (›tutti oggetti presenti e tile /bastava/ a separarlo (← lo separa-
reali, a cui lo teneva avvinto la paura va) dal presente, divenuto per lui così
d’abbandonarsi ai fantasmi paurosi deserto.
dei sogni che avrebbero popolato la
sua angoscia. Eppure quel velo sottile
lo separava dal presente, divenuto per
lui così deserto, ma non dagli.‹)
Appendice 267
Capitolo X
pp. 90-91:
D D1
la portò nel capanno. la portò nel capanno.
›Della grassazione di Cantòria le ›Della grassazione non pensò più a
parlò solo molto tempo più tardi, parlargliene, anche perché quel segre-
quando Severina ‹era› sua moglie già to non gli pesava più ormai. Un altro
da parecchi mesi.‹ segreto aveva preso il posto di quello
Della grassazione non pensò più a e teneva continuamente occupata la
parlargliene, anche perché quel segre- sua mente: ciò ch’era avvenuto nel
to non gli pesava più ormai. Un altro capanno tra lui e Severina.‹
segreto aveva preso il posto di quello Per questo,
e teneva continuamente occupata la
sua mente: ciò ch’era avvenuto nel
capanno tra lui e Severina.
Per questo,
268 michele boschino
Capitolo XII
p. 100:
D D1 D2
A pensarci, sembrerebbe che non A pensarci, •pare strano (›sembrereb-
•
possa (›potrebbe‹) riprendere ›il lavo- be‹) che ||dopo questa prodigalità che
ro sempre a quale [−]‹, dopo le nozze, si direbbe l’inizio di una nuova era,
la vita parsimoniosa e lenta di prima, più prospera e libera,|| (›non‹) pos-
senza questa interruzione. Molto per sa riprendere, •senza fatica (›dopo le
tempo il contadino si chiude nell’idea nozze,‹) la vita parsimoniosa e lenta
della casa che deve costruire, che sta di prima›, senza questa interruzio-
costruendo o che ha già costruito e ne‹. Molto per tempo il contadino si
aspetta la donna, come l’Esquimese si chiude nell’idea della casa che deve
chiude nella sua casa di ghiaccio. Non costruire o che (← costruire, che) sta
disperde neppure una caloria. Pone costruendo o che ha già costruito|,| e
tra sé e gli altri l’egoismo legittimo ›di aspetta la donna. (← donna,) /Si chiu-
chi alimenta un pensiero e di chi sa di de in questa idea/ come l’Esquimese
non poter‹ dell’ape che fabbrica le cel- ›si chiude‹ nella sua casa di ghiaccio.
lette di cera e le riempie di miele. Le Non disperde neppure una caloria.
nozze risvegliano in lui una fierezza, Pone tra sé e gli altri l’egoismo legit-
un orgoglio che ha bisogno di un ri- timo dell’ape che fabbrica le cellette
conoscimento sia pure momentaneo. di cera e le riempie di miele. Le nozze
risvegliano in lui una fierezza, un or-
goglio che ha bisogno di un riconosci-
mento sia pure momentaneo.
B
A pensarci, pare strano che dopo questa prodigalità che ||sembra|| (›si di-
rebbe‹) l’inizio di una nuova era, più prospera e libera, possa riprendere (←
riprendere,) senza fatica la vita parsimoniosa e lenta di prima. Molto per
tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire o che sta
costruendo o che ha già costruito, e aspetta la donna. Si chiude in questa idea
come l’Esquimese1 nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una ca-
loria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che fabbrica le cellette
di cera e le riempie di miele. Le nozze ||poi|| risvegliano in lui una fierezza, un
orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento, sia pure momentaneo.
1
In M: «l’esquimese».
Appendice 269
p. 103:
D D1 D2
Le disgrazie che lo avevano colpito Le disgrazie che lo avevano colpito
non avevano potere sulla sua gras- non avevano potere sulla sua gras-
sezza, anzi pareva che ›[−]‹ anch’es- sezza; (← grassezza,) era (›anzi pareva
sa fosse una disgrazia. Gli avevano che anch’essa fosse‹) una disgrazia
incendiato l’aia, un anno, un altro, /anche quella/. 2Gli avevano incendia-
le vacche avevano bevuto in un ac- to l’aia, 1un anno, 3un altro, le vacche
quitrino ed erano state colpite dalla •
s’erano abbeverate a (›avevano be-
moria, e uno dei suoi figli, Gavino, vuto in‹) un acquitrino ed erano sta-
era stato trovato in una siepe di fi- te colpite dalla moria; un’altra volta
chidindia con le mani e i piedi legati suo figlio Gavino (← moria, e uno dei
come un capretto e il viso tagliato da suoi figli, Gavino,) era stato trovato in
una coltellata. Chi fosse stato a sfre- una siepe di fichidindia con le mani
giarlo così non s’era mai saputo, e il e i piedi legati come un capretto e il
ragazzo non aveva mai voluto parlare, viso tagliato da una coltellata, (← col-
tanto grande era stato il suo spavento tellata.) /dall’occhio al mento./ Chi
e così terribili le minacce che gli ave- fosse stato a sfregiarlo così non s’era
vano fatto. Era un avvertimento che mai saputo; (← saputo, e) il ragazzo
davano a Cosimo, ›e Cosimo‹ come se non aveva mai voluto parlare, tanto
ce ne fosse bisogno! E Cosimo sapeva grande era stato il suo spavento e così
da dove veniva. terribili le minacce che gli avevano
fatto. Era un •avvertimento (›ammo-
nimento‹) che davano a Cosimo, •e
solo (›come se ce ne fosse bisogno! E‹)
Cosimo sapeva da dove veniva - |lui, e
Michele| (›[−]‹).
B
Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza;
era una disgrazia anche quella. Un anno gli avevano incendiato l’aia, un altro
(← altro,) le vacche s’erano abbeverate a un acquitrino ed erano state colpite
dalla moria; un’altra volta suo figlio Gavino era stato trovato in una siepe di
fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da
una coltellata, dall’occhio al mento. Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era
mai saputo; il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il
suo spavento e così terribili le minacce che gli avevan (← avevano) fatto. Era
un ammonimento che davano a Cosimo, e solo ||lui|| sapeva da dove veniva
– lui (← lui,) e Michele.
270 michele boschino
p. 112:
D D1 D2
Qualche volta la portava con sé a ›Qualche volta la‹ Portava (← porta-
Monte Ulìa. Allora passavano dalla va) ›con sé‹ a Monte Ulìa, (← Ulìa.)
Cantoniera a prendere Anna e i bam- /Severina, una volta ogni quindici
bini, e andavano a fare il bucato in un giorni/ ›Allora‹ passavano dalla Can-
torrente che scorreva in quella sta- toniera a prendere Anna e i bambini;
gione sotto Orèsula, mentre Michele (← bambini,) e /le donne/ andavano
lavorava nel mandorleto. All’ora del a fare il bucato in un torrente che
pranzo Severina lo chiamava, e man- scorreva|,| in quella stagione|,| sotto
giavano tutti assieme vicino all’acqua. Orèsula, mentre Michele lavorava nel
|I bambini giuocavano| (›aErano bI mandorleto. All’ora del pranzo Seve-
bambini in mezzo‹) tutto il giorno in rina •mandava i bambini a chiamarlo
mezzo agli oleandri, andavano a fun- (›lo chiamava,‹) e mangiavano tutti
ghi nel bosco, ›e benché Severina [−] assieme vicino all’acqua. I bambini
avesse poco da dirsi con sua sorella‹ e giuocavano tutto il giorno in mezzo
la sera arrivava sempre troppo presto agli oleandri, andavano a funghi nel
per tutti. A casa invece certe giornate bosco, e la sera arrivava sempre trop-
non avevano mai fine. po presto per tutti. A casa invece •le
(›certe‹) giornate non avevano mai
fine.
B
Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta ogni quindici giorni
passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; e le donne anda-
vano a fare il bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto
Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severi-
na mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano tutti assieme vicino all’ac-
qua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano
a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa
invece le giornate non avevano mai fine.
Appendice 271
Capitolo XIII
pp. 114-115:
D D1 D2
Ma bastava un ago appuntato a capo- Ma bastava un ago appuntato al (← a)
letto, che gli rammentasse la camicia capoletto, •un ago che, con la gugliata
che aveva rammendato il giorno pri- bianca, le facesse pensare alla (›che gli
ma, la roncola dimenticata da Miche- rammentasse la‹) camicia che aveva
le dietro la porta di cucina, il solco rammendato il giorno prima, ||oppu-
lasciato dalla ruota del carro vicino al re|| la roncola •lasciata (›dimenticata‹)
cancelletto del cortile, perché tutto il da Michele dietro la porta di cucina,
suo essere fosse pieno di lui. Non lo /o/ il solco ›lasciato‹ della (← dalla)
vedeva né lo pensava distintamente, ruota del carro vicino al cancello (←
come quando faceva di lui un abitante cancelletto) /nella sabbia/ del cortile,
di Mamusa, ma lo sentiva come |sen- perché tutto il suo essere /balzasse e/
tiva| (›si sente‹) quell’aria sottile della fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo
montagna. pensava distintamente, come quando
faceva di lui un abitante2 di Mamusa;
(← Mamusa, ma) lo sentiva come sen-
tiva l’aria (← quell’aria) sottile della
montagna.
B
Ma bastava un ago appuntato al capoletto, un ago che, con la gugliata bianca,
le facesse pensare alla camicia che aveva rammendato il giorno prima, ›oppu-
re‹ bastava la roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il solco
della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del cortile, perché tutto il
suo essere balzasse e fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distin-
tamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come
sentiva l’aria sottile della montagna.
2
In D1: /abitatore/ abitante
272 michele boschino
Capitolo XIV
p. 121:
D D1
Ma la zia |Luisa| (›Aurelia‹) e Aurelia La (← Ma la) zia Luisa e Aurelia cu-
cucivano, la più piccola delle bambi- civano, la più piccola delle bambine
ne dormiva |su una| (›in una‹) stuoia dormiva su una stuoia di sala ai piedi
di sala ai piedi della nonna, Caterina, della nonna, Caterina, la più grandi-
la più grandicella, ›[−]‹ cuciva anche cella, cuciva anche lei imitando sua
lei imitando sua madre, e l’altra, Lu- madre, ›e‹ l’altra, Luisicca, ›teneva in
isicca, teneva in una mano una fetta una mano una fetta di pane, nell’altra
di pane, nell’altra un grappolo d’uva un grappolo d’uva passa, e ogni tanto‹
passa, e ogni tanto staccava un boc- staccava /ogni tanto/ un boccone da
cone dalla fetta di pane e un chicco una (← dalla) fetta di pane e un chic-
dal grappolo, ma sembrava assorta co da un grappolo d’uva passa, e (←
come una persona grande in qualche dal grappolo, ma) sembrava assorta
pensiero, e guardava fuori dalla por- come una persona grande in qualche
ta aperta sul cortile. Era uno di quei pensiero›, e guardava fuori dalla por-
momenti di silenzio che passano sulle ta aperta sul cortile‹. Era uno di quei
case e prendono tutti, vecchi e bam- momenti di silenzio che passano sulle
bini. case e prendono tutti, vecchi e bam-
Sempre con quel vivo senso di gio- bini.
ia che l’era nato, Severina abbassò di Sempre •pervasa da (›con quel‹) quel
nuovo la testa e riprese a cucire. vivo senso di gioia che l’era nato, Se-
verina abbassò di nuovo la testa e ri-
prese a cucire.
Appendice 273
PARTE SECONDA
p. 197:
D D1
Così siamo in questa strana situa- Così siamo in questa strana situazio-
zione: non c’è nulla, tra il babbo e la ne: non c’è nulla, tra il babbo e la si-
signorina Airoli, ›all’inf‹ eppure io gnorina Airoli, eppure io mi sento a
mi sento a disagio, e so che gli altri disagio, e •soffro (›so che‹). Gli estra-
parleranno della cosa, non ci vedran- nei (← gli altri) parleranno della cosa,
no chiaro e finiranno per sparlarne. non ci vedranno chiaro e •chi sa mai
Solo un amico del babbo, ›un uomo‹ cosa finiranno per inventare (›finiran-
potrebbe parlargliene francamente, no per sparlarne‹). Solo un amico ›del
aprirgli gli occhi; oppure Donato. babbo‹ potrebbe parlar al babbo (←
parlargliene) francamente, aprirgli gli
occhi; oppure Donato.
274 michele boschino
pp. 212-213:
D D1 D2
Mi assumo io il peso e la conseguen- Mi assumo io il peso e la conseguen-
za della bestemmia. Sono io stesso za della bestemmia. Sono io stesso
Michele Boschino. Sono io, disteso, Michele Boschino. Sono io, disteso,
non qui, nella mia camera, nel mio non qui, nella mia camera, nel mio
letto, ma sulla branda della rimessa. letto, ma sulla branda della rimessa.
Ritrovo in me l’abitudine antica della Ritrovo in me l’abitudine antica della
bestemmia. Se il secchio non viene su bestemmia. Se il secchio non viene su
facilmente dal pozzo, se la zappa s’im- facilmente dal pozzo, se la zappa s’im-
piglia in una radice più tenace delle piglia in una radice più tenace delle
altre e sono costretto a fare uno sfor- altre e sono costretto a fare uno sfor-
zo che rompe la mia resistenza fatta di zo che rompe la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se non riesco ad lentezza e di misura, se non riesco ad
aprire la porta, subito la bestemmia si aprire la porta, subito la bestemmia si
formula nel mio spirito, mi sale alle formula nel mio spirito, mi sale alle
labbra, pende minacciosa. Ed ecco labbra, pende minacciosa. Ed ecco
che subito il secchio sale docile dal che subito il secchio sale docile dal
pozzo, la zappa si libera dalla radice, pozzo, la zappa si libera dalla radice,
la porta cede, si apre. Le cose si fanno la porta cede, si apre. Le cose si fanno
sommesse e timorose intorno a me. sommesse e timorose intorno a me.
Ma non è questa improvvisa docilità Ma non è questa improvvisa docilità
delle cose che m’induce a bestemmia- delle cose che m’induce a bestemmia-
re; e neppure la lieve ebbrezza che mi re; e neppure la lieve ebbrezza che mi
dà la bestemmia. È una tentazione dà la bestemmia. È una tentazione
improvvisa, irresistibile. Bestemmie- improvvisa, irresistibile. Bestemmie-
rei anche se sapessi che la bestemmia rei anche se sapessi che la /mia stes-
può fulminarmi. La bestemmia mi sa/ bestemmia può fulminarmi. La
dà un senso di liberazione, di forza. bestemmia mi dà un senso di libera-
Spesso, quando penso ai casi della zione, di forza. Spesso, quando penso
mia vita, tutti legati l’uno all’altro ai casi della mia vita, tutti legati l’uno
come le maglie di una catena, e mi all’altro come le maglie di una cate-
trovo qui fermo, impotente, e penso na, e mi trovo qui fermo, impotente,
che un altro si gode i danari che mio e penso che un altro si gode i danari
padre e io abbiamo sudato, e che nulla che mio padre e io abbiamo sudato,
mi rimane più d’attendere dalla vita, e che nulla mi rimane più d’attendere
se non la minestra che quella putta- dalla vita, se non la minestra che quel-
na di Lavinia ruba in casa dei suoi la puttana di Lavinia ruba in casa dei
padroni per portarmela, anche allora suoi padroni per portarmela, anche
bestemmio. È un piacere sempre nuo- allora bestemmio. È un piacere sem-
vo. Non mi stanca mai. È un piacere pre nuovo. Non mi stanca mai. È un
simile a quello che si prova da giovani piacere simile a quello che si prova da
quando si prende la donna. Mi sem- giovani quando si prende la donna.
Appendice 275
B≠ M2
Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Miche-
le Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sul-
la branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il
secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice
più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resi-
stenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la
bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa.
Ed ecco che ›subito‹ il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla
radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a
me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestem-
miare ||e in tentazione||; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia.
È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che
la mia stessa bestemmia ||può ricadere su di me all’istante e|| può fulminarmi.
La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso
ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena,
e mi trovo qui fermo, impotente; (← impotente,) e penso che un altro si gode
i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’at-
tendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in
casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere
sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova
da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per
la prima volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato
non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la
forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i
276 michele boschino
danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il
nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra.
Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna da arare (←
d’arare), al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse (← tesserebbe) sotto il
portico, a un bambino che deve (← dovrebbe) nascermi. Invece tutto è fermo,
tutto è arido. Io non ho più radici, sono ›come‹ un albero sradicato. Le foglie
sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.
M2
In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io
stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio
letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace.
Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una
radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di
lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che
la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che
il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre.
Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigine.
Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce in
tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di vino
a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma, come
chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa dell’esistenza,
ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni.
Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza
illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego, sentirei ancora il telaio
battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro
nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi v’aggiungerei al
nuovo raccolto, quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra.
I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano
seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto. E un
bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si aspetta la maturazione
di un frutto.
Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente
si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un
albero sradicato e non ancora morto.
Appendice 277
p. 224:
D D1
Se un altro avvocato, uno del mestie- Se ›un altro avvocato, uno del me-
re, gliene avesse parlato al mio posto, stiere, glie‹ne avesse parlato •con un
la questione di Boschino sarebbe po- altro avvocato, con uno del mestiere,
tuta diventare ciò che essi chiamano (›al mio posto,‹) la questione di Bo-
un caso elegante. Pura forma. Ma io, schino sarebbe potuta diventare ciò
che c’entro? Io sono un profano. Solo che essi chiamano un caso elegante.
l’improntitudine giovanile può aver- Pura forma. Ma io, che c’entro? Io
mi indotto a parlare di questo con sono un profano. Solo l’improntitu-
l’avvocato. Perché cos’è l’interesse dine giovanile •poteva (›può‹) avermi
morale, umano, disinteressato, se non indotto a parlare di questo con •lui
improntitudine giovanile? Solo per (›l’avvocato‹). Perché cos’è l’interesse
un momento l’avvocato Colliva può morale, umano, disinteressato, se non
essersi abbandonato a pensare che io improntitudine giovanile? ›Solo per
parlassi con lui di cose serie. E passato un momento l’avvocato Colliva può
quel momento, io sono tornato per essersi abbandonato a pensare che io
lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha parlassi con lui di cose serie. E passato
battuto sulla spalla dicendo come al quel momento, io sono tornato per
solito: «Beh! Come va?». lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha
battuto sulla spalla dicendo come al
solito: «Beh! Come va?».‹
Appendice B
M1 Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942.
Avantesto
M2 P
X Michele Boschino
di Giuseppe Dessì
Per questo, quando sua madre fece Quando Michele seppe da sua madre
quell’insinuazione maligna attribuen- ciò che la gente andava dicendo sul
dola alle chiacchiere della gente, Mi- suo conto, non ci fece nessun caso,
chele finse di non aver sentito. Cosa né s’addolorò per il fatto che lei gli
potevano sapere, la gente e sua madre, ripetesse quelle parole: «Dicono che ti
di Severina? Chi la conosceva meglio sei messo a far l’amore con una poco
di lui? Eppoi capiva bene che era tut- di buono». Aveva anche capito che
to un trucco di Maddalena per farlo sua madre si pentiva di quelle parole
parlare. Nessuno sapeva nulla, nes- proprio mentre gliele ridiceva, e che
suno. “Eh no!” disse egli tra sé come ciò nonostante era pronta ad appro-
se rispondesse a sua madre, “Eh no! fittare del loro effetto per sapere. «Eh,
Lo saprete quando vorrò dirvelo io. no!» disse tra sé Michele «lo saprete
Domani, forse. Forse anche domani, quando vorrò dirvelo. Domani, forse.
forse tra una settimana. Ma ora no”. Forse domani stesso. Forse tra una
Era estranea a questo proposito l’in- settimana. Ma ora no». Era estranea
tenzione di punirla per quelle parole a questo proposito di tacere l’inten-
imprudenti. Non voleva parlare di Se- zione di punire sua madre per quel
verina con nessuno, non poteva. Era le parole. Non aveva nessun rancore,
certo che Severina non aveva ancora ma non voleva parlarle di Severina,
detto nulla neppure a sua sorella; e per ora. Era certo che Severina non
anche lui voleva fare lo stesso con sua aveva detto nulla a sua sorella di ciò
madre. Non solo gli estranei non do- che era accaduto tra loro nel capanno;
vevano sapere nulla prima del tempo, e anche lui voleva mantenere il segre-
ma neppure la gente di casa. Voleva to. Dire il nome della ragazza, in quel
continuare a pensare tutto solo a quel momento, sarebbe stato, per lui, come
fatto ch’era accaduto. Era padrone di fare un’aperta confessione. Quando
tenersi ancora quel segreto, di nutrir- aveva fantasticato, prima, che al po-
lo dentro di sé. E questa possibilità gli sto di Severina ci fosse Angela, aveva
dava un piacere intenso. immaginato ciò che la gente avrebbe
290 michele boschino
Se pure era rimasto, in fondo a que- detto di un’Angela nuova, sconosciu-
sta stanchezza e a questo avvilimento, ta, egli non faceva altro che medicare
un istinto tenace che lo legava alla vita,
la sua vecchia ferita; ma della gente
egli non lo aveva sentito che come un non gliene importava nulla. Non gli
torbido e indeterminato bisogno di importava di quello che dicevano
rivolta. E contro chi? Forse contro la ora che non sapevano ancora nulla di
gente di Sigalesa, forse contro suo pa-preciso, e inventavano una quantità
dre stesso, che se n’era andato così, in
di storie per arrivare a scoprir la ve
silenzio, portandosi via il meglio del-rità, né di quello che avrebbero detto
la vita. Quando, allontanandosi pian poi. Ora sentiva soltanto fastidio della
piano nel tempo, dietro le piogge e gente, e voleva pensare tutto solo a
le nebbie dell’inverno, quegli avveni- Severina e a quello che era capitato.
menti che l’avevano sconvolto, sentì Era padrone di tenersi quel segreto, di
ripullulare la vita, non dentro ma nutrirlo dentro di sé. Nessuno poteva
fuori di sé, in quel campo che aveva impedirglielo. Questa possibilità gli
arato e seminato senza fiducia, nel dava un piacere intenso, ma indipen-
quale s’era rifugiato come un animale dentemente dai possibili commenti
ferito che cerca un luogo solitario perdella gente. Quando suo padre, tanti
lasciarsi morire in pace, in quel granoanni prima, era stato arrestato, tutti,
che veniva su rigoglioso nonostante tranne i parenti di Salvatore e di Be-
la cattiva annata, un senso di salute nedetto, si erano schierati dalla sua
e di calma cominciò pian piano a ri- parte mostrando chiaramente quale
storarlo, qualche cosa che era ancora fosse la loro opinione, tutti avevano
fuori di lui, nel vento che passava sul-
avuto una parola di commiserazione
le spighe come una mano, nel tepore per Maddalena e per lui. Nel dolo-
dell’aria. Amava già, allora, il poderere s’erano sentiti confortati da quel
di Monte Ulìa, ma come si ama un consenso, da quella simpa tia della
luogo che bisogna lasciare. gente. La gente allora era importante,
La gioia di rivedere Severina si con-per Michele. Ciò che la gente pensa-
fuse con questo senso di salute e di va e diceva aveva un significato, per
calma della stagione. Egli non l’avver-lui. E la gente erano i parenti di sua
tì neppure. Pensava invece ad Angela. madre, lo zio Teodoro e la zia Luisa,
Anche con lei avevano cominciato che venivano a sedersi in cucina per
a salutarsi e a sorridersi senza nes- tener compagnia a Maddalena, erano
suna ragione al mondo. Immaginò le vicine di casa, che in quei giorni di
come sarebbe stato bello se, al posto lutto non cantavano più quando si
di quella sconosciuta, ci fosse stata mettevano al telaio o a far la farina,
Angela, ma venuta anche lei di fuori, erano le donne sedute davanti alle
da un paese lontano, e che nessuno di porte del vicolo, che lo salutavano in
Sigalesa l’avesse mai vista prima, che silenzio quando lui passava, e parla-
nessuno potesse dire d’averle sfiorato vano sotto voce tra loro, erano tutti
una mano. quelli che conosceva soltanto di vista
e che, in quella occasione, con una
VI parola, con un saluto o anche tacendo
mostravano di sapere che suo padre
Quando suo padre, tanti anni pri- era innocente. Allora la sua certezza
ma, era stato arrestato, tutti, tranne che suo padre venisse messo in libertà
Appendice 291
testimoni della difesa avevano detto le ma tutti quelli che avrebbero dovuto
sole cose che importava dire: non osa- testimoniare in favore di suo padre,
vano accusare apertamente Salvatore non guardavano più in faccia, ora, ne
e Benedetto. Sapevano che l’avvocato lui né Maddalena, come se si fossero
si sarebbe valso delle loro parole e li dati una parola d’ordine. Non si par-
avrebbe costretti a ripeterle nell’aula. lava più dell’innocenza di Giuseppe.
Ora, con Salvatore e Benedetto Bo- L’opinione che tutti si erano fatti del
schino non c’era tanto da scherzare. gesto violento a cui Giuseppe era stato
Non erano uomini di buona pasta tratto dall’improntitudine dei fratelli,
come Giuseppe, quelli. Ecco cosa ave- ora non contava più: contava la sen-
vano fatto i testimoni della difesa, la tenza del tribunale. La gente, che non
gente! credeva alla Giustizia, aveva finito per
Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla ,
accettare la condanna come una cosa
deposizione di Antonio Màsala, o da giusta. Lui e sua madre furono messi
qualche altro indizio, si scopriva che da parte. In ogni occasione Maddale
c’erano anche Cosimo Aneris e lui, na ricordava la sua disgrazia: «Sono
quella sera? O se la stessa persona una donna sola, sono come una ve-
che aveva avvertito Antonio Màsala dova, e tutti vogliono approfittare di
faceva la spia? Chi lo avrebbe difeso? me p. La gente si stancava di questi
Chi avrebbe creduto che lui stesso piagnistei continui, e Madda lena
aveva subìto una violenza? Meglio sempre più si accaniva, s’arrovellava
non pensarci neppure. Non contava per l’indifferenza della gente. E anche
nulla essere onesti e miti come suo Michele, sentendo sua madre con
padre. Nulla! Quando Giuseppe era tinuamente così agitata, stava con
stato portato lontano, in una città del tutti sulla difesa, in sospetto, e tutti,
Continente, per scontare la sua pena, anche i parenti dì sua madre, finivano
mentre Salvatore e Benedetto conti- per allontanarsi da loro.
nuavano pacificamente la loro vita di Anche allora la gente aveva per lui
sempre, non si parlava più, in paese, una grande importanza: erano tut-
dell’innocenza di suo padre. La gente, ti nemici, tutti contro di loro. Poi,
che pure non credeva alla Giustizia, quando suo padre, dopo due anni
aveva finito per accettare la sentenza di carcere era tornato in paese, con
come una cosa giusta, e si stancavano meraviglia Michele lo aveva trovato
dei piagnistei e delle recriminazioni sereno come un tempo, persino alle-
di Maddalena. Persino i parenti se ne gro, come se la disgrazia non lo aves-
stancavano. E loro due erano rimasti se neppure toccato; e con meraviglia
soli come un orfano e una vedova, tra ancora più grande lo ascoltava dire,
l’indifferenza di tutti, sempre sul chi quando Maddalena o lui stesso gli
vive, come bestie selvatiche. «Aspetta raccontavano i torti che avevano subi-
che tuo padre rimetta piede in paese, to da parte dei finti amici, che la gente
e poi vedrai che fine fanno quei cani» aveva ragione a non volersi immi-
diceva Maddalena. «Anche se poi me schiare in una faccenda che la riguar-
lo riportano via per sempre non me dava, che alla gente non bisognava
ne importa, ma la devono pagar cara». mai chiedere niente. «Cosa possono
Ma quando suo padre, dopo due anni fare, la gente?» diceva. Se io mi rom-
di carcere, era tornato, Michele lo po una gamba «Se io mi rompo una
aveva ritrovato sereno e tranquillo gamba, cosa ci possono fare, gli altri?
294 michele boschino
lieta a Michele. Non cercava amicizie persino nei gesti. S’era trovato a con-
e neppure gli svaghi dei giovani della trastare per la prima volta con suo
sua età. Si sarebbe detto che avesse la padre quando si era innamorato di
stessa età di suo padre, tanto era si- Angela. Ma neanche allora la sua fidu-
mile a lui anche nei gesti. Ora egli ri- cia era venuta meno. Ciò ch’era segui-
andava con la memoria a quegli anni to, quei fatti inesplicabili che avevano
uguali e tranquilli; e, con dolore, pen- come arrestato lo svolgersi sereno
sò alla prima volta che s’era trovato a della sua vita, invece di scuotere la sua
contrastare con suo padre. Era stato fiducia in lui l’avevano rafforzata. Suo
quando s’era innamorato di Angela. padre arrivava a vedere ciò che non
Eppure neanche allora la sua fiducia vedeva lui, ciò che non vedeva sua
era venuta meno. Ciò ch’era seguito, madre, capiva ciò che gli altri avreb-
i fatti inesplicabili che avevano inter- bero voluto tener segreto nella loro
rotto lo svolgersi tranquillo della sua anima. Un senso di vago timore s’im-
giovinezza, invece di scuoterla, quella padroniva di Miche quando gli veniva
fiducia, l’avevano rafforzata, l’aveva- a mancare la compagnia di suo padre,
no resa necessaria alla sua vita. Suo quando si trovava solo in mezzo agli
padre arrivava a vedere ciò che non estranei. Allora, pensava che essi sa-
vedeva lui, sapeva leggere nell’animo pevano sul suo conto più di quanto
degli altri, ne conosceva i riposti pen- egli stesso non sapesse sul conto loro,
sieri. Un vago senso di timore s’impa- sapevano, che Angela lo aveva ingan-
droniva di lui quando era lontano da nato. Lo sapevano anche quando egli
Giuseppe, come se il ricordo di quei era stato sul punto di sposarla. E se
due anni passati in paese tra l’ostilità suo padre non gli apriva gli occhi, egli
della gente si ridestasse dal profondo la sposava e non avrebbe mai saputo
del suo essere. Quando il vecchio non ciò che tutti gli altri sapevano di lei.
c’era, sentiva, come allora, tutti osti- Anche allora la gente aveva per lui
li intorno. Forse gli altri sapevano di una grande importanza. Egli la teme-
lui più di quanto egli non sapesse di va, la gente. Per lungo tempo aveva
loro. Sapevano che Angela lo aveva attribuito a suo padre come una se-
tradito. Lo sapevano anche quan- conda vista, una facoltà eccezionale,
do egli, ignaro di tutto, era stato sul quasi miracolosa di penetrare nelle
punto di sposarla. Forse, se suo padre cose e di dominarle senza sforzo. Egli
non gli apriva gli occhi, non avrebbe si sentiva come una parte di suo pa-
mai sospettato di nulla; lui solo, men- dre, come una mano. Ecco che cos’era
tre tutti gli altri sapevano. Da allora, in quel tempo: una mano di suo pa-
proprio come un bambino, aveva dre. Non faceva un gesto che non fos-
cercato sicurezza e rifugio in suo pa- se voluto da lui. E dei propri gesti non
dre, di nuovo. Era stato suo padre conosceva altra origine, all’infuori di
che l’aveva indotto a romperla con questa. I segreti del mestiere li impa-
la ragazza, ed egli s’era assoggettato a rava materialmente da suo padre; ma
questo soffrendone: aveva chiuso gli non pensava che suo padre li avesse
occhi e s’era lasciato guidare. Consi- imparati allo stesso modo da altri,
derava suo padre come una parte di bensì per una lunga esperienza e per
se stesso a cui avesse affidato la sua quella sua facoltà di penetrare le cose.
coscienza più profonda, una facoltà E anche quando questa idea fanciulle-
segreta e dolorosa di vedere dentro le sca generata dal suo bisogno di trova-
296 michele boschino
cose e dentro l’animo degli uomini, re una ragione ai propri atti in questa
una consapevolezza di cui non voleva fiducia illimitata per non abbando-
risvegliare la possibilità dentro di sé. narsi alla disperazione dopo che ebbe
Ciò che il padre gli aveva detto della rotto il fidanzamento con Angela, fu
relazione di Angela con quell’altro, lo da lui, non risolta in un modo più ma-
aveva sentito dentro come un ferro turo di veder le cose, ma piuttosto di-
penetrato nelle carni per un momento menticata, gliene rimase tuttavia il
solo; e glien’era rimasta la ferita: ma senso e gli effetti della puerile convin-
la certezza, la logica del ragionamen- zione continuarono a durare in lui.
to di suo padre le aveva dimenticate. Poi venne la malattia di Giuseppe,
Quelle parole erano appassite come dovette badare da solo agli affari, di-
foglie nella sua memoria. Non aveva stricarsi da solo nelle mille difficoltà
più chiesto nulla, non aveva neppure che giornalmente sorgevano intorno
più voluto sentirne parlare. E quando a lui, trattar con la gente, prendere de-
un dubbio l’assaliva improvvisamen- cisioni a volte gravi senza aspettare il
te, o anche gli tornava il suo ricordo suo consiglio. Allora aspettava con
di Angela, facendolo soffrire, di An- ansia i momenti in cui suo padre po-
gela che continuava a vivere senza di teva riposatamente parlargli e ascol-
lui, e pensava che non le avrebbe mai tarlo come un tempo, per attingere
più parlato, che tutto tra loro era fi- dalle sue parole quell’inesplicabile
nito senza rimedio, solo la serenità di senso di fiducia che nessun’altra cosa
suo padre poteva ridargli pace. Solo in al mondo poteva dargli. Lo assaliva a
quella saggezza, lontana, irraggiungi- volte un terrore folle. Gli pareva di
bile, era la giustificazione dell’atto che non sapere più né parlare né muover-
aveva compiuto a occhi chiusi. Allora si; e solo il pensiero di suo padre pote-
passava lunghe ore col vecchio e lo va ridarli coraggio. Cosa sarebbe ac-
ascoltava parlare. Il vecchio parlava caduto se gli altri si fossero accorti di
della condanna, della vigna perdu- questi terrori? Anche quando sedeva
ta, del tempo passato in carcere; e la sul muricciolo dell’orto a chiacchiera-
giustezza delle sue parole lo guariva. re col servo di Bore Lisca, quel senso
Il vecchio diceva che quando si perde di smarrimento poteva nascergli den-
una cosa bisogna far conto d’averla tro senza ragione. Il servo di Bore Li-
restituita a Chi ce l’aveva data per sua sca lo guardava coi suoi occhi impe-
bontà; e non tocca a noi giudicare se netrabili di pastore, e vedeva forse ciò
colui per mani del quale Egli ce la to- che accadeva dentro di lui, sapeva che
glie, è un nostro nemico. Michele rife- sarebbe bastata la mano di un bambi-
riva a sé queste parole, come se il vec- no a stenderlo a terra, anche se lui
chio raccontasse un apologo, e cerca- continuava a parlare del prezzo dei
va di non pensare all’uomo per mano terreni da semina. Parlava, ascoltava,
del quale Angela gli era stata tolta, di ma le parole non avevano più senso,
dimenticarlo subito, prima che quel erano vuote. Anche col suo servo Be-
volto odioso risorgesse chiaro dalla niamino gli accadeva questo fatto.
memoria. Angela, come se fosse mor- Allora si sentiva nudo come un geco,
ta, se l’era presa quell’Altro. Così egli nudo e trasparente, gli pareva che
s’affidava a suo padre, senza chiedere quel ragazzo chiacchierone e maligno
nulla, come uno smemorato; in lui era potesse vedere la vergogna che, ecco,
la ragione della sua stessa vita. Anche si riaccendeva in lui all’improvviso
Appendice 297
l’arte di coltivare la terra, con tutti i come quando suo padre glia aveva
suoi segreti, gli pareva che suo padre detto il nome di quell’uomo col quale
non l’avesse appresa, a sua volta, da Angela lo aveva tradito. Non udiva
altri, ma che l’avesse scoperta da sé, più le parole del suo interlocutore, ma
come il primo uomo. E quest’idea le parole di suo padre, rinascevano i
fanciullesca, nata dal bisogno di tro- pensieri dolorosi che quelle parole
vare in suo padre la ragione di tutti avevano alimentato in lui, e ciò che
i propri atti, anche quando fu da lui, aveva visto in quel momento con
non risolta, con gli anni, in un modo l’immaginazione e aveva cercato di-
più maturo di veder le cose, ma come speratamente di cancellare subito dal-
messa in disparte, dimenticata, come la memoria quelle immagini che inve-
accade di molte idee dell’adolescenza, ce ritornavano sempre con lo stesso
i suoi effetti continuarono a durare in vigore anche ora che di Angela non gli
lui, gliene rimase ancora il senso. Ma importava più nulla. Dopo questi tur-
era una fiducia che, quand’era lonta- bamenti era come uno che si sveglias-
no da suo padre, poteva venir meno a se: si ritrovava seduto sul muricciolo,
un tratto; come un nuotatore inesper- dell’orto, oppure a camminare accan-
to che s’accorge con terrore di non to alla ruota del carro col pungolo sul-
toccare più il fondo con la punta del la spalla, a fianco del servo che, nel
piede. Gli accadeva anche quand’era frattempo, sentendolo immerso in al-
con Beniamino. Il servo lo guardava tri pensieri, s’era messo a canterellare
coi suoi occhi impenetrabili di pa- per suo conto. Con uno sforzo richia-
store, e forse vedeva quel che stava mava il pensiero di suo padre, riac-
accadendo dentro di lui, chi sa! Forse quistava fiducia, gli pareva di essere
sapeva che sarebbe bastata la mano non lui stesso ma Giuseppe. Si sentiva
di un bambino a stenderlo a terra, in all’improvviso sicuro, padrone di se
quei momenti, benché lui continuasse anche lui come tutti gli altri, che si
a parlare del prezzo dei terreni da se- spogliavano del loro mistero: vedeva
mina o dei danni che, la notte prima, che i pensieri che nascondevano non
avevano fatto le capre del vicino. Par- erano molto diversi da ciò che diceva-
lava, ascoltava, ma le parole, a un trat- no o che avrebbero potuto dire. Len-
to, perdevano il loro senso, non ave- tamente, durante la malattia di Giu-
vano più valore, erano vuote. Allora seppe, quasi senza accorgersene, si era
si sentiva nudo e trasparente come un andato preparando alla sua morte.
geco che ha la pancia piena di mosche; Ma ecco che di colpo era stato di nuo-
gli pareva che quel ragazzo chiacchie- vo gettato in mezzo ai terrori e ai so-
rone e maligno potesse vedere la ver- spetti, che non erano più fantasmi
gogna che, ecco, improvvisamente si della sua immaginazione, ma una re-
riaccendeva, la vergogna e il dolore altà alla quale non si poteva sfuggire;
di quando suo padre, nella stalla, pe- ecco che era venuta quella notte terri-
stando col maglio le fave per i buoi, bile del Ponte del Faraone, ed era sta-
gli aveva detto il nome di quell’uomo to trascinato, contro la sua volontà,
col quale Angela lo tradiva. Non udi- con un altro uomo come lui ignaro e
va più le parole del suo interlocutore mite, quasi a commettere un delitto.
ma le parole di suo padre, rinasceva- Senza neppure saper come, s’era tro-
no i pensieri che quelle parole aveva- vato a essere complice di ladri e di as-
no alimentato per tanto tempo, e ciò sassini e questi assassini erano uomini
298 michele boschino
che in quel momento aveva visto con che suo padre conosceva, dei quali
l’immaginazione e aveva cercato di- non aveva mai sospettato nulla; tra
speratamente di cancellar subito dalla costoro c’era Lubina, di cui suo padre
memoria, quelle immagini che invece s’era sempre fidato. Da quel momento
ritornavano sempre con lo stesso vi- egli aveva sentito che c’era qualche
gore, quando la fiducia lo abbando- cosa che sfuggiva anche a suo padre.
nava, anche ora che di Angela non Neanche suo padre sapeva tutto degli
gl’importava più nulla. Dopo questi altri, non conosceva a fondo le perso-
turbamenti, era come uno che si desta ne, come egli, Michele, aveva sempre
da un incubo: si ritrovava seduto sul creduto. Per tutto il viaggio di ritorno
muricciuolo dell’orto, o a camminare da Arci in compagnia di Lubina e di
accanto alla ruota del carro col pun- Cosimo, era stato assillato dal bisogno
golo sulla spalla, a fianco del servo che di correre da suo padre e raccontargli
nel frattempo, vedendolo assorto in quel che era avvenuto. Sapeva che il
altri pensieri, aveva preso a canterel- vecchio sarebbe rimasto allibito come
lare qualcosa. Pensava a suo padre, gli lui; ma voleva raccontargli tutto;
pareva di essere non lui ma suo padre come era la voce di quegli uomini, la
stesso; e come per incanto tornava a loro risolutezza feroce; come erano
sentirsi sicuro, padrone di sé, anche stati ammazzati quei due, sotto i suoi
lui come tutti gli altri; e gli altri si spo- occhi. E invece aveva dovuto cammi-
gliavano del loro mistero, e vedeva nare al passo di quegli altri, entrare
che i pensieri che nascondevano non senza fretta in paese per non dare so-
erano molto diversi dalle parole che spetto, e aveva trovato il vecchio già
dicevano o che avrebbero potuto dire. privo di conoscenza. Come era arriva-
Tutto era naturale, tutto era sempli- ta terribile, in quel momento, la mor-
ce. Pensava anche, qualche volta, alla te del vecchio! Come avrebbe avuto
morte del vecchio; ma come a una ancora bisogno di lui, Michele, di sen-
possibilità lontana, indeterminata; tire la sua presenza, di liberarsi da
pensava che in quel tempo, sarebbe quel ricordo che doveva invece tener-
stato diverso, più forte, più sicuro, più si per se, ormai, per tutta la vita. Si era
uomo. Ed ecco che invece la morte era trovato solo improvvisamente. Ogni
arrivata improvvisamente, e lui era lo cosa sembrava essere morta con suo
stesso di prima; era arrivata proprio padre, e che lui si fosse portato via il
quando aveva più bisogno di aiuto. meglio della vita. La casa, l’orto, i po-
Come avrebbe voluto ascoltare anco- deri, tutto era vuoto, il lavoro non
ra quella voce amica e saggia! Come aveva più scopo. Per tanti e tanti mesi
avrebbe voluto poter credere che per la sua vita non era stata altro che stan-
il vecchio non c’era nulla d’impre- chezza e disgusto; e se n’era andato a
veduto, e che anche la cosa che era Monte Ulìa come un animale ferito
capitata a lui qualche sera prima non che cerchi la solitudine per morire in
era né straordinaria né terribile, e che pace. Se anche era rimasto, in fondo
lui, Michele, era innocente, e che fa- alla sua stanchezza, un istinto tenace
ceva bene a tacere, a confessarsi solo che lo legava alla vita, egli non lo sen-
con lui, suo padre; sentirsi dire che tiva, allora, che come un indetermina-
quell’avvenimento sarebbe rimasto to sentimento di rivolta; e quando,
nascosto sempre a tutti gli altri. allontanandosi gi giorno in giorno
E invece, quando gli occhi di suo pa- quegli avvenimenti terribili e la morte
Appendice 299
dre si chiudevano, e il viso immobile del vecchio, egli sentì gli effetti di que-
sembrava immerso in un silenzio più sto istinto, gli parve di veder ripullu-
grande del sonno, gli pareva di sentire lare la vita non dentro, ma fuori di sé,
che in quell’avvenimento c’era qual- in quel campo che aveva arato e semi-
cosa che sfuggiva anche al vecchio, nato contro la volontà di sua madre,
che preferiva andarsene così, senza in quel grano che veniva su rigoglioso
dir nulla. non ostante l’annata cattiva. Gli pare-
Si ricordò di questo tre giorni dopo, va di essere estraneo, lui, a questo ri-
quando si sparse la notizia che suo pullulare di vita. Amava il podere di
cugino Giovanni era stato trovato nel Monte Ulìa, ma come si ama un luogo
podere di Nadòria con due palle nella che bisogna abbandonare. Il lavoro di
schiena. quei mesi di oscuro dolore aveva frut-
tato, ma per chi? Solo quando s’era
portato Severina nel capanno, il pos-
sesso di quella creatura gli aveva dato
il senso del possesso del campo, di
tutto ciò che era nel campo. Ancora
una volta, come quando suo padre era
in vita e lui si riaveva da quei turba-
menti senza ragione, ancora una volta
s’era sentito rinascere. Ma non pensa-
va a suo padre; e la solitudine non lo
angosciava; anzi in quella solitudine si
sentiva sicuro e tranquillo.
L «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie III),
4 (maggio 1941) - Copertina.
Appendice 301
II
M2 L
D A L R O MA N ZO IN E D I T O
XIII “ MIC H EL E BO N C H I NO ”
di Giuseppe Dessì
Quando, dopo le nozze, Maddalena Di solito Severina, come accade alle
non seppe resistere alla tentazione di persone che si trovano all’improvviso
riferirgli certe chiacchiere che la gente in una condizione nuova, fantasticava
aveva fatto sul matrimonio, Michele, per suo conto anche quando gli altri
invece di adirarsene, come sua ma- parlavano intorno a lei. Le piacevano
dre s’aspettava, disse che non gliene i lavori quieti, come mondare il gra-
importava nulla. Dicevano che s’era no o fare la farina. Le tornavano in
sposato come un vedovo, che Seve- mente le canzoni che aveva imparato
rina era povera e lui poteva aspirare da ragazza a Mamusa e le nenie con
a qualcosa di meglio, che non vale- le quali ninnava i bambini di Anna
va la pena di andare a cercare tanto alla Cantoniera, e cantava a mezza
lontano una ragazza come Severina voce. A volte la tristezza la coglieva
quando in paese ce n’erano tante all’improvviso come un malessere
dieci volte meglio. La gente poteva fisico, senza ragione, ed era più che
dire quel che voleva: cosa ne sapeva una tristezza presente una tristezza di
di Severina? Ciò ch’era avvenuto tra ricordi. Tra i quattordici e i quindici
lui e Severina nel capanno di Monte anni era stata a servire in casa di un
Ulìa, lo sapevano solo lui e Severina. possidente, a Mamusa. Era una casa
La gioia che lui ne aveva avuto, forse ricca, piena di roba. C’erano molti
non l’aveva indovinata neppure lei, servi e molto lavoro. Si radunavano
poveretta, che aveva fatto tanti pianti in cucina, la sera, quando tornavano
di nascosto, in casa della sorella. Nes- dalla campagna, e stabilivano quel che
suno poteva penetrare nella sua vita; bisognava fare il giorno dopo nei di-
avrebbero finito per tacere. Che poi versi poderi. Il padrone non dava gli
la gente dicesse che Severina non era ordini senza aver prima sentito il pa-
bella, non gli dispiaceva. Severina era rere di ognuno. I nomi dei diversi po-
diversa dalle donne di Sigalesa. Non deri della vigna, degli orti, dei terreni
era come tante altre sulle quali anche da semina, dei pascoli di montagna
a lui era capitato di metter gli occhi e di pianura ricorrevano di continuo
302 michele boschino
con desiderio; tante, delle quali i gio- nei loro discorsi; e i servi, parlando
vani parlavano tra loro. Era contento della roba del padrone dicevano: la
che quelli di Sigalesa avessero visto nostra vigna, il nostro orto, le nostre
Severina soltanto allora e non l’aves- vacche. Il mandriano, il pastore, il
sero trovata bella. Severina era come porcaro, i compartecipanti dell’aia,
il campo di Monte Ulìa: prima che lui della vigna, degli orti eran tenuti nella
lo diveltasse con l’aratro nessuno ne stessa considerazione dei membri del-
dava un soldo. Lui solo ne conosceva la famiglia e avevano sotto di sé i servi
i segreti e i pregi. Era contento di lei, più giovani; e questi dicevano come
anche se la vedeva un po’ smarrita, loro, la nostra vigna, il nostro orto, le
ora, nella nuova casa. nostre vacche. E a tutti pareva di go-
dere del benessere della famiglia. Ma
Severina passava la maggior parte del a lei quel dire il nostro parlando della
tempo sola in casa con Maddalena, roba dei padroni, dava una tristezza,
tranne quando Michele la portava con un accoramento che non la lasciava-
sé a Monte Ulìa, o quando venivano, no più. Era la nostalgia della sua casa,
la sera, la zia Luisa e Aurelia. Parla- della mamma, della sorella delle lun
va poco, le piacevano i lavori quieti. ghe serate d’inverno passate col padre
E come tutte le persone che si trova- nella piccola cucina accanto al fuoco,
no all’improvviso in una condizione la nostalgia del piccolo cortile pieno
nuova, fantasticava per suo conto. di vento, dove ogni tanto lei e sua so-
Tutto per lei era mutato nel volgere rella Anna - a turno per non perdere
di poche settimane, e faceva fatica a il filo del racconto - andavano a pren-
rendersene conto. Fin allora non ave- dere un ciocco dalla catasta. Tutto ciò
va mai avuto desideri e bisogni suoi che fino allora aveva chiamato nostro
propri, dimenticandosi tutta nelle la univa alle persone care che la sera
urgenti necessità della casa allo stes- sedevano intorno al focolare della
so modo di Anna. Da quando Anna sua casa e sapevano tutto l’una del
aveva avuto il secondo bambino, era l’altra. Erano le brocche allineate sul
stata sempre con lei, aveva patito muretto fuori della porta, gli sgabelli
le sue gravidanze, i suoi parti, i suoi di ferula che suo padre fabbricava
puerperii. Aveva adeguato la sua vita d’inverno, nelle giornate piovose, il
a quella di Anna e dei bambini che ve- forno dove sua madre cuoceva il pane
nivano su; e i sentimenti materni su- e i dolci che poi andava a vendere, la
scitati in lei da questa dedizione erano domenica, a San Sebastiano di Gaia,
più assoluti di quelli della sorella non a Norbio, a Pontàrio... erano le ceste
essendo nati dai patimenti del corpo, per la farina, il setaccio, il crivello, il
che insegnano la moderazione e la mortaio, la bilancia, tutti quegli og-
sapienza della natura, ma dall’istinto getti necessari, ora per ora, alla vita,
più vergine e profondo del suo esse- che si possono prestare e che ritorna-
re. Nel suo animo non c’era posto per no intatti a casa coi loro segni che li
altro, oltre quest’amore che la soggio- fanno riconoscibili in mezzo a mille: e
gava, che guidava tutti i suoi pensieri il telaio piantato sotto il loggiato, vec-
e annullava la sua fatica. Dall’alba al chio e liscio come i banchi di chiesa.
tramonto era in faccende; tutti i lavori In quel tempo che aveva passato fuori
più pesanti della casa erano i suoi, e in di casa a servire, s’era sviluppato in
mezzo a tutte queste fatiche trovava il lei, dalla sua tristezza, quel senso ge-
Appendice 303
tempo di stare con i bambini, di giuo- loso della proprietà che è cosi forte
care con loro. A se stessa pensava solo nella povera gente costretta a vivere
di rado e vagamente; quand’ecco che in mezzo all’abbondanza degli estra-
era entrato nella sua vita Michele. Se nei. La stessa mortificata soggezione
anche, prima d’allora, aveva pensato rinasceva ora, in certi momenti, in
qualche volta che anche lei un giorno casa del marito, dove tutto doveva
si sarebbe sposata e avrebbe lasciato la essere veramente anche suo. Come in
casa della sorella, poneva tutto questo casa del possidente di Mamusa, anche
in un avvenire lontano, indetermina- qui era come se le sue mani ricusas-
to. E invece ecco ch’era sopraggiunta sero d’assuefarsi agli oggetti che con-
quell’improvvisa stanchezza, quel tinuamente toccavano, i suoi occhi
bisogno d’abbandono. Anna se n’era agli oggetti sui quali continuamente si
accorta anche prima di lei, e ci aveva posavano. Tutto era vecchio, consun-
scherzato su, dapprincipio, poi era to, levigato dal contatto di mani estra-
diventata aspra, aveva preso a rim- nee. Non era neppure tristezza, la sua,
proverarla per delle cose da nulla, a neppure nostalgia, ora, ma una specie
tempestarla di domande strane a cui di stupore che arrestava i gesti più
lei non sapeva rispondere. Un giorno, consueti, come se improvvisamente
ch’era stata come al solito a Monte sorgesse in lei, dall’intimo, sempre la
Ulìa per l’acqua, le aveva tolto dai stessa domanda: «Dove sono? perché
capelli un rametto secco, gliel’aveva sono qui?».
messo sotto il naso sul palmo della Quasi ogni giorno Michele partiva
mano. Severina aveva capito il signifi- all’alba e tornava dopo il tramon-
cato di quel gesto solo più tardi, quan- to. Andava a Monte Ulìa, a Spinalva
do Michele l’aveva presa nel capanno. oppure a caricar legna e carbone in
Allora aveva desiderato ardentemente foresta per conto dei Toscani; e solo
di andar via, di lasciare la casa di sua di rado la menava seco al mandorleto.
sorella, di tornarsene da sua madre, a Allora passavano dalla Cantoniera a
Mamusa. Ed ecco che invece si trova- prendere Anna che metteva sul carro
va in una casa nuova, estranea, quasi le ceste della biancheria e i bambini, e
senza sapere come. Tutto s’era risolto andavano a far bucato in un torrente
per il meglio. che scorreva, in quella stagione sotto
Tra i quattordici e i quindici anni era Oresula, poco lontano dal mandor-
stata a servire in casa di un possidente leto dove Michele si fermava a lavo
di Mamusa. Era una casa ricca, piena rare. Facevano bollire il paiuolo su un
di roba e di gente. C’erano molti servi fuoco di sterpi senza perdere d’occhio
e molto lavoro. La sera si radunava- i bambini che giuocavano a nascon-
no tutti in cucina, e stabilivano tutti dersi tra i cespugli. Severina aveva
d’accordo, padroni e servi, quel che poco da raccontare di Sigalesa della
si doveva fare il giorno dopo. I nomi sua nuova vita: ma le due sorelle era-
dei poderi, delle vigne, degli orti, delle no felici di ritrovarsi assieme e quelle
località dov’erano i terreni da semina giornate che rom pevano la mono-
ricorrevano di continuo nei loro di- tonia della quotidiana vita casalinga
scorsi, e i servi, parlando della roba passavano rapide e felici.
del padrone, dicevano anche loro, la In casa invece e con Maddalena era
nostra vigna, il nostro oliveto, il nostro tutt’altra cosa. Se il filo delle sue fan-
orto, le nostre vacche. Il mandriano, il tasticherie si rompeva, ecco che un
304 michele boschino
stolo di castagno col quale separava la lo, perché tutto il suo essere si ricor-
crusca dal tritello, si faceva pesante, dasse di lui. Allora quella casa, che
all’improvviso, di pietra; il setaccio, un momento prima le era sembrata
che fino a quel momento aveva frulla- estranea, era come una parte di lui; e
to come una trottola al tocco leggero e il suo sangue scorreva vivace, e tutti
abile delle sue dita scorrendo e treppi- gli oggetti che toccava erano vivi nelle
cando sugli staggi levigati, perdeva il sue mani, animati dalla forza del suo
suo ritmo. Allora, per non farsi vedere sangue. Meno d’ogni altro avrebbe
a piangere scioccamente – ché lei stes- saputo dire da che cosa nascesse que-
sa non avrebbe saputo dirne la ragio- sta gioia improvvisa, legata misterio-
ne, se Maddalena gliel’avesse chiesta samente, come la sua tristezza a certi
– s’allontanava con una scusa, andava oggetti, a certi fatti. Anche l’acqua di
in cortile a versarsi una ciotola d’ac- Sigalesa le dava gioia, e lei la beveva
qua fresca dalla brocca, oppure saliva avidamente, meravigliandosi ogni
in camera da letto, apriva la cassapan- volta della sua trasparenza e leggerez-
ca, ne toglieva la biancheria, la ripo- za. Non avrebbe saputo dire perché
neva con cura, raddrizzava le coperte quei monti, quei boschi, lo stormire
del letto. E così l’angoscia passava. del vento a lunghe ondate, quando
In questa camera da letto c’era una il paese dormiva, le dessero un tale
piccola finestra dalla quale si vedeva il turbamento di gioia. Lei pensava che
campanile della chiesa. Dietro, Monte fosse la vita più riposata di quella che
Grinu coi suoi castagneti già spogli faceva a Mamusa o alla Cantoniera, il
e i boschi di querce, sempre uguali cibo più abbondante e saporito; e se
in ogni stagione. Accanto e dietro a ne vergognava. Ma era una gioia di
quello, altri monti di cui non sapeva cui gli altri non si accorgevano, a volte
il nome. L’occhio distingueva chiara- offuscata, a volte più viva, come una
mente tra i rami nudi dei castagni, le stagione al suo inizio, quando non è
strade che salivano con ampie curve ancora del tutto finita quella che l’ha
verso i boschi di querce dove spariva- preceduta. Di fuori si manifestava
no e l’intrico minuto dei sentieri. Se appena in una maggior floridezza a
lo sguardo distratto si fermava in un cui Michele s’assuefaceva senza farci
punto, ecco che si scoprivano, pro- caso. Era un sentimento della carne,
prio là dove il nudo bosco sembra- profondo, solitario. Lei stessa for-
va già immerso nella deserta quiete se non sentiva la sua gioia intera e
dell’inverno, piccole truppe di donne compiuta se non nelle ore notturne,
e di ragazzi che salivano in fila o scen- quando s’abbandonava a Michele in
devano sparsi facendo rotolare i fasci silenzio; e conti nuava a durare nel
di legna da albero a albero. Sparivano, sonno. Al mattino, quando, nei dor-
riapparivano su, nei canaloni pietrosi miveglia, non lo sentiva più accanto
più vicini alla cima, come insetti nel a sé, e vedeva i riflessi della lanterna
vello d’una bestia addormentata. Si sull’impannata, s’avvolgeva in fretta
levava qua e là il fumo di qualche fuo- nello scialle e correva a raggiungerlo
co e restava sospeso tra balza e balza. giù nella stalla dei buoi. Si svegliava di
Severina, che era vissuta sempre in colpo nell’aria diaccia del mattino, si
un paese di pianura, si meravigliava trovava improvvisamente sveglia in
a vedere quelle montagne così vici- mezzo al cortile, nell’aria fredda che
ne, animate e silenziose. L’angoscia le penetrava sotto i panni, e si fermava
Appendice 307
va vivace, e tutti gli oggetti che tocca- da parte del romanzo, vede il racconto
va erano vivi nelle sue mani, animati oggettivo in terza persona ripreso dal
racconto soggettivo e di forma autobio-
dalla forza del suo sangue. Meno d’o- grafica. La vita di Michele Boschino di-
gni altro avrebbe saputo dire da che venta perciò, in questa seconda parte, il
cosa nasceva questa gioia, che viveva, problema morale di un giovane che asso-
miglia al personaggio IO di San Silvano,
come la sua angoscia, nelle cose che la come Boschino è parente delle donne e
circondavano. Anche l’acqua di Siga- degli uomini del popolo che solo fugge-
lesa le dava gioia, quell’acqua cristalli- volmente vi appaiono. Questa oggettiva-
na e leggera come aria, che lei beveva zione, che è stata un approfondimento
stilistico e morale di certi motivi umani,
avidamente. Non avrebbe saputo dire si é dunque compiuta dentro il mon-
perché quei monti, quei boschi, lo do soggettivo. Pure, fra le due parti dei
stormire del vento a lunghe ondate, romanzo c’è una continuità della lingua
che vuole far vibrare la ricca e molteplice
quando il paese dormiva, le dessero concretezza delle cose. La mia diffidenza
quel turbamento di gioia. Pensava che fu smussata, già alla prima lettura della
forse era la vita più riposata, a farla parte oggettiva del romanzo, da questo
star bene, e l’acqua buona, l’aria sa- senso così intenso della realtà. Siccome
Dessì stesso mi ha chiarito il rapporto tra
lubre, il cibo abbondante e nutriente. questa mia impressione di continuità e
E se ne vergognava. Era una gioia di questo mio gusto di lettere che ammirava
cui gli altri non potevano accorgersi, a e amava certi oggetti, certi utensili, certi
fuochi, le cose insomma di questo libro,
volte offuscata, a volte più viva, come riporto le sue parole: «Cose e gesti che
una stagione al suo inizio, quando ritornano, situazioni che si ripetano, do-
non è ancora del tutto passata quella vrebbero vivere nel libro come un albero
che l’ha preceduta. Di fuori si mani- vive nella campagna: vivere e rivelarsi
dai diversi punti di vista di cui l’occhio
festava appena in una maggior flori- dello scrittore e del lettore lo guardano, e
dezza, che solo Anna notava, quando nei mille possibili e taciuti punti di vista:
s’incontravano, e a cui Michele s’as- avere in sé queste mille possibilità come
le cose reali. Credo che tutto il libro sia
suefaceva senza farci caso. Era un impostato in questo senso. Ci sono due
sentimento della carne, profondo e punti di vista che interferiscono: quello
solitario. Lei stessa forse non sentiva oggettivo e quello soggettivo. Il raccon-
la sua gioia intera e compiuta se non to oggettivo interrotto, viene ripreso dal
racconto soggettivo del giovane e dal-
quando s’abbandonava a Michele. la introspezione, ma il racconto è solo
Allora la sua gioia continuava nel apparentemente continuato, in realtà è
sonno. Al mattino, quando, nel dor- ripetuto. Tutto sta in questa ripetizio-
ne, in questo aprire due punti differenti
miveglia, non lo sentiva più accanto sull’orizzonte, da cui convergono due
a sé, e vedeva sull’impannata i riflessi raggi in un sol punto. Vorrei che si sen-
della lanterna della stalla, s’avvolgeva tisse la possibilità di mille altri raggi. Il
in uno scialle e correva a raggiunger- lettore nel mio ideale, dovrebbe sentire,
al di là della più rigorosa precisione della
lo. Si svegliava nell’aria diaccia del mia immagine, il desiderio fantastico di
mattino, si trovava improvvisamente ripensarla. Così come è accaduto a te, per
sveglia in mezzo al cortile, nell’aria esempio, per i pomodori che Boschino
offre nel cestello al giovane, dopo la vi-
fredda che le penetrava sotto i panni, sita». Lette queste parole, e ripensando a
e si vergognava. Allora si metteva a questo molteplice e profondo sentimento
raccogliere la biancheria stesa la sera delle cose, io ho provato la medesima for-
prima, e con la stessa avidità con cui ma di gioia di chi, dopo la lettura delle tre
Critiche, sente, commosso di riconoscen-
beveva l’acqua, aspirava il vento che za per Kant, le infinite direzioni spirituali
l’aveva asciugata al sereno. della realtà. Claudio Varese».
Bibliografia
ROMANZI E RACCONTI
TEATRO
SAGGISTICA
Filmografia
dino manca
Introduzione p. xi
Giuseppe Dessì
Michele Boschino p. 1
Appendice A 243
Appendice B 279
Appendice C 287
Bibliografia 309
volumi pubblicati
SCRITTORI SARDI
TESTI E DOCUMENTI