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SENTO IL FISCHIO DEL VAPORE

SENTO IL FISCHIO DEL VAPORE

Sento il fischio del vapore del mio amore che il va via


Sento il fischio del vapore del mio amore che il va via
E l’è partito per l'Albania chissà quando ritornerà
Ritornerà sta primavera con la spada insanguinata
Ritornerà sta primavera con la spada insanguinata

E se mi trova già maritata ohi che pena ohi che dolor!


Ohi che pena ohi che dolor che brutta bestia è mai l’amore
Ohi che pena ohi che dolor che brutta bestia è mai l'amore
Starò piuttosto senza mangiare ma l”amore la voglio far
La voglio far mattina e sera finchè vien la primavera
La voglio far mattina e sera finchè vien la primavera
La primavera è già arrivata ma il mio amore non è tornà

Probabilmente ispirato dalla spedizione italiana in Albania del 1.914 ed inserito nel
clima antimilitarista della Settimana Rossa, questo canto ci viene tramandato da
Giovanna Daffini, rnondina e cantastorie.
Il duro lavoro nelle risaie della pianura Padana produsse solidarietà di classe,
coscienza politica ed emancipazione femminile. Molte delle più belle canzoni
popolari dell'Italia settentrionale, legate alla quotidianità, alla cronaca, alla vita
privata e collettiva, nascono e vengono cantate proprio nelle risate.

O VENEZIA CHE SEI LA PIÙ BELLA

O Venezia che sei la più bella


E te di Mantova che sei la più forte
Gira l’acqua d'intorno alle porte
Sarà difficile poterti pigliar
Un bel giorno entrando in Venezia
Vedevo il sangue scorreva per terra
E i feriti sul campo di guerra
E tutto il popolo gridava pietà
O Venezia ti vuoi maritare
Ma per marito ti daremo Ancona
E per dote le chiavi di Roma
E per anello le onde del mar
Sempre dal repertorio di Giovanna Daffini questa canzone, ricca di echi e
suggestioni Verdiane, narra dell’insurrezione di Venezia del 1848 e della repressione
Austriaca dell'anno successivo.
L’ultima strofa, delicata e misteriosa, di rara intensità poetica, sembra in qualche
modo evocare il sogno dell'Unità d'Italia.

L'ATTENTATO A TOGLIATTI

Le ore undici del quattordici Luglio


Dalla Camera usciva Togliatti
Quattro colpi gli furono sparati
Da uno studente vile e senza cuor

L’Onorevole a terra colpito


Soccorso venne immediatamente
Grida e lutto ovunque si sente
Accorron subito deputati e dottor

L’assassino e stato arrestato


Dai Carabinieri di Montecitorio
E davanti all’interrogator
Ha confessato dicendo così

Già da tempo io meditavo


Di commettere questo delitto
Sono iscritto a nessun partito
E uno scopo mio personal

Rita Montagnana che era al Senato


Coi dottori e tutto il personale
Ha portato il marito all’ospedale
Sottoposto alla operazion

L’onorato chirurgo Valdoni


Con i ferri che sa adoperare
Ha saputo la pallottola levare
E la vita potergli salvar

ll gesto insano brutale e crudele


Al Deputato dei lavoratori
Protestino contro gli attentatori
Della pace e della libertà

L'Onorevole Togliatti auguriamo


Che ritorni ben presto al suo posto
A difendere al Paese nostro
L'interesse di noi lavorator

Palmiro Togliatti fu gravemente ferito nel luglio del '48 da Antonino Pallante,
inseguito arrestato e condannato. La meticolosa narrazione dell’accaduto ben
esprime l’ansia professionale del cantastorie di non omettere il minimo particolare, e
il finale rievoca felicemente il sollievo di tutti per il pronto ristabilimento di Togliatti,
che valse a contenere la protesta dei lavoratori e i disordini e la repressione
successivi.
Un piccolo falso storico, dovuto sicuramente al perbenismo che contraddistingueva
nell'Italia di allora anche la sinistra: non fu, Rita Montagnana, moglie di Togliatti,
ad accompagnare il marito all ospedale, bensì Nilde lotti, fino alla morte compagna
del segretario del PCI.

I TRENI PER REGGIO CALABRIA

Andavano col treno giù nel Meridione


Per fare una grande manifestazione
Il ventidue d'0ttobre del settantadue
In curva il treno che pareva un balcone
Quei balconi con le coperte
Per la processione
Il treno era coperto di bandiere rosse
Slogan, cartelli e scritte a mano
Da Roma Ostiense mille e duecento operai
Vecchi e giovani e donne
Con i bastoni e le bandiere arrotolate
Portati tutti a mazzo sulle spalle
Il treno parte e pare un incrociatore
Tutti cantano Bandiera Rossa
Dopo venti minuti che siamo in cammino
Si ferma e non vuole più partire
Si parla di una bomba sulla ferrovia
Il treno torna alla stazione
Tutti corrono coi megafoni in mano
E richiamano “Andiamo via Cassino
Compagni da qui a Reggio
E tutto un campo minato
Chi vuole si rimetta in cammino
Dopo un'ora quel treno
Che pareva un balcone
Ha ripreso la sua processione
Anche a Cassino la linea è saltata
Siamo tutti attaccati al finestrino
Roma Ostiense Cisterna
Roma Termini Cassino
Adesso siamo a Roma Tiburtino
ll treno di Bologna è saltato a Priverno
È una notte, una notte d”inferno
I feriti tutti sono ripartiti
Caricati sopra un altro treno
Funzionari responsabili, sindacalisti
Sdraiati sulle reti dei bagagli
Per scrutare meglio la massicciata
Si sono tutti addormentati
Dormono, dormono profondamente
Sopra le bombe non sentono più niente
I’importante adesso è di essere partiti
Ma i giovani hanno gli occhi spalancati
Vanno in giro tutti eccitati
Mentre i vecchi sono stremati
Dormono, dormono profondamente
Sopra le bombe non sentono più niente
Famiglie intere a tre generazioni
Son venute tutte insieme da Torino
Vanno dai parenti
Fanno una dimostrazione
Dal treno non è sceso nessuno
La vecchia e la figlia alle rifiniture
Il marito alla verniciatura
La figlia della figlia alle tappezzerie
Stanno in viaggio ormai da più di venti ore
Aspettano seduti, sereni e contenti
Sopra le bombe non gliene importa niente
Aspettano ch’è tutta una vita
Che stanno ad aspettare
Per un certificato mattinate intere
Anni e anni per due soldi di pensione
Erano venti treni più forti del tritolo
Guardare quelle facce bastava solo
Con la notte le stelle e con la luna
l binari stanno luccicanti
Mai guardati con tanta attenzione
E camminato sulle traversine
Mai individuata una regione
Dai sassi della massicciata
Dalle chine di erba sulla vallata
Dai buchi che fanno entrare il mare
Piano piano a passo d'uomo
Pareva che il treno si facesse portare
Tirato per le briglie come un cavallo
Tirato dal suo padrone
A Napoli la galleria illuminata
Bassa e sfasciata con la fermata
Il treno che pare un balcone
Qualcuno vuol salire
“Attenzione! non fate salire nessuno
Può essere una provocazione!”
Si sporgono coi megafoni in mano
E un piede sullo scalino
E gridano, gridano
Quello che hanno in mente
Sono comizi la gente sente
Ora passa la notte e con la luce
La ferrovia è tutta popolata
Contadini e pastori che l’hanno sorvegliata
Col gregge sparpagliato
La Calabria ci passa sotto ai piedi ci passa
Dal tetto di una casa una signora grassa
Fa le corna e alza una mano
E un gruppo di bambini
Ci guardano passare
E fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
È tutta nera di gente
Domani chiuso tutto in segno di lutto
“Attento Ciccio Franco a Sbarre!”
E alla mattina c`era la paura
E il corteo non riusciva a partire
Ma gli operai di Reggio
Sono andati in testa
E il corteo si è mosso improvvisamente
È partito a punta come un grosso serpente
Con la testa corazzata
I cartelli schierati lateralmente
L`avevano tutto fasciato
Volavano sassi e provocazioni
Ma nessuno s'è neppure voltato
Gli operai dell`Emilia Romagna
Guardavano con occhi stupiti
I metalmeccanici di Torino e Milano
Puntavano in avanti tenendosi per mano
Le voci rompevano il silenzio
E nelle pause si sentiva il mare
E il silenzio di quelli fermi
Che stavano a guardare
O ogni tanto dalle vie laterali
Si vedevano i sassi volare
E alla sera Reggio era trasformata
Pareva una giornata di mercato
Quanti abbracci e quanta commozione
Il Nord è arrivato nel meridione
E alla sera Reggio era trasformata
Pareva una giornata di mercato
Quanti abbracci e quanta commozione
Gli operai hanno dato una dimostrazione

Agli inizi degli anni '70 la città di Reggio Calabria, in competizione con Catanzaro
per l'attribuzione del Capoluogo di Regione, fu teatro di gravi disordini con blocchi
stradali, barricate, occupazione della stazione ferroviaria. La rivolta,
strumentalizzata dai partiti di estrema destra e capeggiata dal neo fascista Ciccio
Franco, caporione di Sbarre, durò più di un anno fino ad assumere i contorni di una
vera e propria insurrezione contro lo Stato.
Nell’ottobre del 1972 più di 40. 000 operai provenienti da ogni parte d'Italia
giunsero a Reggio a testimoniare la loro solidarietà e a riaffermare i valori della
democrazia sfidando un clima di pesanti intimidazioni e violenza.

NINA TI TE RICORDI

Nina ti te ricordi
Quanto che gh’avemo meso
Andar su sto toco de lèto
Insieme a fare a l’amor
Sie ani a fare i morosi
Strenzerla franco su franco
E mi che g`ero stanco
Ma no te volevo tocar

To mare che brontoava


Quando che se sposemo
E ‘l prete che racomandava
Che non se doveva pecar
E dopo se semo sposai
Che quasi no ghe credeva
Te giuro che a mi me pareva
Parfin che fusse un pecà

E adesso ti spèti un fijo


E ancuo ea vita z'è dura
Talvolta me ciapa ea paura
De aver dopo tanto sbajà

Amarse no z'è no un pecato


E ancuo z'è un luso de pochi
E intanto ti Nina ti spèti
E mi son disocupà

SACCO E VANZETTI

ll ventidue di agosto a Boston in America


Sacco e Vanzetti van sulla sedia elettrica
E con un colpo di elettricità
All’altro mondo li voller mandà
Circa le undici e mezzo giudici e gran corte
Entran poi tutti quanti nella cella della morte
“Sacco e Vanzetti state a sentir
Dite se avete qualcosa da dir”

Entra poi nella cella il bravo confessore


Domanda a tutti e due la santa religione
Sacco e Vanzetti con grande espression
“Noi morirenio senza religion”

E tutto il mondo intero reclama la loro innocenza


Ma il presidente Fuller non ebbe più clemenza
“Siano essi di qualunque Nazion
Noi li uccidiamo con grande ragion”

E tutto il mondo intero reclama la loro innocenza


Ma il presidente Fuller non ebbe più clemenza
Addio amici in cor la fé
Viva l'ltalia e abbasso il Re

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anarchici, processati sotto la falsa accusa di


rapina ed omicidio, furono assassinati sulla sedia elettrica il 22 agosto 1.927.
L’esecuzione si inseriva nel clima di intolleranza e di razzismo nei confronti degli
immigrati, a quel tempo assai diffuso negli Stati Uniti.
La loro morte scosse le coscienze e divise il Paese. Sacco e Vanzetti, ancora oggi
considerati un simbolo dell’opposizione alla pena di morte, furono completamente
riabilitati nel 1977 dal Governatore del Massachusetts.

DONNA LOMBARDA DI GUALTIERI

Amami me che sono re non posso amarti tengo mari


Tuo marito fallo morire fiinsegnerò come devi far
Vai nell'orto del tuo buon padre taglia la testa di un serpentin
Prima la tagli e poi la schiacci e poi la metti dentro nel vin
Ritorna a casa il mari dai campi Donna Lombarda oh che gran sé
Bevilo bianco bevilo nero bevilo pure come vuoi tu
Cos’è sto vino così giallino sarà l`avanzo di ieri ser
Ma un bambino di pochi mesi sta nella culla e vuole parlar
O caro padre non ber quel vino Donna Lombarda l'avvelenò
Bevilo tu o Donna Lombarda tu lo berrai e poi morirai
E per amore del Re di Spagna io lo berrò e poi morirò
La prima goccia che lei beveva lei malediva il suo bambin
Seconda goccia che lei beveva lei malediva il suo marì

È una delle più antiche canzoni popolari italiane, una storia di passione e tradimento
con accenti sospesi fra il favolistico ed il grottesco.
Giovanna Daffini, la incise per la prima volta nei Dischi del Sole agli inizi degli anni
'60 quando si incontrò con Roberto Leydi e Giovanni Bosio, musicologi e ricercatori
che animavano il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano.
A lei dobbiamo alcuni fra i più bei canti della risaia e della guerra partigiana.
Dotata di una voce intensa e di straordinarie capacità interpretative si esibiva spesso
con il marito Wttorio Carpi, violinista, nelle piazze e nei circuiti tradizionali della
sinistra. Partecipo agli spettacoli “Bella Cíao”e “Ci ragiono e canto” con Dario Fo.
Il suo ricchissimo repertorio comprendeva canti di lavoro e di lotta, canzoni d’amore,
pezzi classici, romanze d’opera; nè disdegnava di cantare ai matrimoni dove talvolta
le capitava di interpretare le ultime canzoni di Sanremo, anch’esse in qualche modo
“popolari”.
Giovanna Daffini è morta all'età di 54 anni il 7 luglio 1967.

IL TRAGICO NAUFRAGIO DELLA NAVE SIRIO

E da Genova
In Sirio partivano
Per l’America varcare
Varcare i confin
Ed a bordo
Cantar si sentivano
Tutti allegri
Del suo destin
Urtò il Sirio
Un orribile scoglio
Di tanta gente
La misera fin
Padri e madri
Bracciava i suoi figli
Che si sparivano
Tra le onde del mar
E fra loro
Un vescovo c'era
Dando a tutti
La sua benedizion
Per l’America varcare
Varcare i confin
Ed a bordo
Cantar si sentivano
Tutti allegri
Del suo destin
Urtò il Sirio
Un orribile scoglio
Di tanta gente
La misera fin
Padri e madri
Bracciava i suoi figli
Che si sparivano
Tra le onde del mar
E fra loro
Un vescovo c'era
Dando a tutti
La sua benedizion

Quasi una copertina della “Domenica del Corriere”questo bellissimo canto di


emigrazione nello stile tipico dei cantastorie della pianura Padana. All'inizio del
secolo, quando l’analfabetismo era largamente diffuso, la funzione del cantastorie
era di grande importanza ai fini della comunicazione e l'elemento pittoresco (in
questo caso un imperturbabile Vescovo) era fondamentale per attirare l'attenzione di
ogni tipo di spettatore.

IL FEROCE MONARCHICO BAVA

Alle grida strazianti e dolenti


Di una folla che pan domandava
ll feroce monarchico Bava
Gli affamati col piombo sfamò
Furon mille i caduti innocenti
Sotto al fuoco degli armati Caini
E al furor dei soldati assassini
“Morte ai vili!” la plebe gridò
L’infinita catena dei ladri
Dopo averci ogni bene usurpato
La sua sete di sangue ha saldato
In quel giorno nefasto e crudel
Tu non rider Sabauda marmaglia
Se i fucili han domato i ribelli
Se i fratelli hanno ucciso i fratelli
Sul tuo sangue quel sangue cadrà
Su piangete mestissime madri
Quando oscura discende la sera
Per i figli gettati in galera
Per gli uccisi dal piombo fatal

La sanguinosa repressione dei tumulti milanesi del 1898 valse al generale Bava
Beccaris la croce di Grand 'ufficiale dell'Ordine Militare dei Savoia.
Lo stile aulico del testo lascia intendere come l'anonimo autore fosse di buona
cultura borghese e padroneggiasse il linguaggio letterario dellepoca.
Sulla stessa linea melodica fu scritta la Ballata di Pinelli, dopo la misteriosa morte
dell’anarchico precipitato da una finestra della Questura di Milano nel corso delle
indagini per l'attentato di Piazza Fontana del dicembre 1969.

LAMENTO PER LA MCRTE DI PASOLINI

Persi le forze mie persi l‘ingegno


Che la morte m'è venuta a visitare
E leva le gambe tue da questo regno!

Persi le forze mie porsi l’ingegno


Le undici le volte che l'ho visto
Gli vidi in faccia la mia gioventù

Oh Cristo me l`hai fatto un bel disgusto


Le undici le volte che l'ho visto
Le undici e un quarto io mi sento ferito
Davanti agli occhi ho le mani spezzate

E la lingua mi diceva “è andata è andata”


Le undici e un quarto mi sento ferito
L’undici e mezza mi sento morire
La lingua mi cercava le parole

E tutto mi diceva che non giova


Le undici e mezza mi sento morire
Mezzanotte m’ho da confessare
Cerco il perdono da la madre mia

E questo è un dovere che ho da fare


Io a mezzanotte m’ho da confessare
Ma quella notte volevo parlare
La pioggia il fango e l’auto per scappare

O Solo a morire lì vicino al mare


Ma quella notte volevo parlare
E non può non può
Può più parlare può più parlare

Non può non può


Può più parlare può più parlare
Persi le forze mie persi l’ingegno

Che la morte m’è venuta a visitare


E leva le gambe tue da questo regno!
Persi le forze mie persi l’ingegno

Il canto ricalca la narrazione per orario tipica del modo narrativo popolare. È nelle
passioni religiose, soprattutto nel Lazio, in Umbria e nelle Marche, che si cantano le
ore collegandole a momenti significativi della Crocefissione.
Pierpaolo Pasolini poeta, scrittore e regista cinematografico, ê stato uno dei più
ispirati intellettuali del ‘900.
Fu ucciso il 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia, nei pressi di Roma.

L’ABBIGLIAMENTO DI UN FUOCHISTA

Figlio con quali occhi


Con quali occhi ti devo vedere
Coi pantaloni consumati al sedere
E queste scarpe nuove nuove
Figlio senza domani
Con questo sguardo di animale in fuga
E queste lacrime sul bagnasciuga
Che non ne vogliono sapere
Figlio con un piede ancora in terra
E l'altro già nel mare
Con una giacchetta per coprirti
Ed un berretto per salutare
E i soldi chiusi dentro la cintura
Cosi nessuno te li può strappare
La gente oggi non ha più paura
Nemmeno di rubare
Ma mamma a me mi rubano la vita
Quando mi mettono a faticare
Per pochi dollari nelle caldaie
Sotto al livello del mare
In questa nera nera nave che mi dicono
Che non può affondare
In questa nera nera nave che mi dicono
Che non può affondare
Figlio con quali occhi
E quale pena dentro al cuore
Adesso che la nave se ne è andata
E sta tornando il rimorchiatore
Figlio senza catene
Senza camicia cosi come sei nato
Su questo Atlantico cattivo
Figlio già dimenticato
Figlio che avevi tutto
E che non ti mancava niente
Che andrai a confondere la tua faccia
Con la faccia dell'altra gente
E che ti spose-rai sicuramente
In un bordello americano
E avrai dei figli con una donna strana
E che non parlano l`italiano
Ma mamma io per dirti il vero
L’italiano non so cosa sia
E pure se attraverso il mondo
Non conosco la geografia
In questa nera nera nave che mi dicono
Che non può affondare
In questa nera nera nave che mi dicono
Che non può affondare

L’inaffondabile Titanic, meraviglia tecnologica e simbolo estremo di fiducia nella


modernità, colò a picco nell'aprile del 1912 durante il suo viaggio inaugurale.
Sembra che il Comandante, incurante deibollettini che segnalavano la presenza di
numerosi iceberg lungo la rotta, avesse lanciato la nave alla massima velocità per
stabilire un nuovo primato. A bordo, oltre al jet-set dell'epoca, passeggeri di seconda
e terza classe, molti emigranti e, ultimi fra gli ultimi, coloro che si pagavano il
passaggio lavorando.

SALUTEREMO IL SIGNOR PADRONE

Saluteremo il signor padrone


Per il male che ci ha fatto
Che ci ha sempre maltrattato
Fino all'ultimo momen’
Saluteremo il signor padrone
Per la sua risera neta
Pochi soldi in la casseta
Ed i debiti a pagar
Macchinista macchinista faccia sporca
Metti l”olio nei stantuffi
Di risaia siamo stufi
Di risaia siamo stufi
Macchinista macchinista faccia sporca
Metti l'olio nei stantuffi
Di risaia siamo stufi
A casa nostra vogliamo andar
Con un piede con un piede sulla staffa
E quell’altro sul vagone
Ti saluto cappellone
Ti saluto cappellone
Con un piede con un piede sulla staffa
E quell`altro sul vagone
Ti saluto cappellone
A casa nostra vogliamo andar

Il lavoro delle mondine era massacrante: lontane da casa, sottoposte a turni


disumani in condizioni ambientali spesso proibitive, ricevevano una paga irrisoria ed
erano alla mercé del proprietario della risaia, padrone assoluto delle loro esistenze.
La fine del periodo di lavoro era per loro un vero e proprio ritorno alla vita.
Il “cappellone”cui si allude nei versi finali di questa canzone è probabilmente il
largo cappello di paglia che le mondine usavano per proteggersi dal sole e che può
finalmente essere abbandonato al momento di tornare a casa.

BELLA CIAO

Alla mattina appena alzate


Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Alla mattina appena alzate
Laggiù in risaia ci tocca andar
E fra gli insetti e le zanzare
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
E fra gli insetti e le zanzare
Duro lavoro ci tocca far
Oh mamma mia oh che tormento
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Oh mamma mia oh che tormento
Io ti invoco ogni doman
Ma verrà il giorno che tutte quante
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Verrà un giorno che tutte quante
Lavoreremo in libertà

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