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Quaderni del Gruppo di Ur

IX
CONSIDERAZIONI SULL'INIZIAZIONE
I ediz. : Equinozio di Primavera 2005; II ediz. Novembre 2007

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso
nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia
citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo
aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può
rendere opportuna una nuova edizione.
Come nei precedenti quaderni, alcune osservazioni pertinenti, fatte in messaggi privati, sono
state riportate sotto il nome collettivo di "Turba Philosophorum". Nella II edizione è stato
aggiunto il capitolo "Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo" ed altri interventi. Lo
scritto è diviso in più sezioni:
I) Confrontando Evola e Guenon:
1a) Sui Limiti della Regolarità Iniziatica;
1b) Evola-Guenon: Un confronto sull'Iniziazione (Prospetto Sinottico);
1c) Evola: Il Fondo Personale e le Prime Esperienze.
II) L'Iniziazione secondo il M° Giuliano Kremmerz
III) L'Iniziazione Politeista:
3a) Evola: L'equivoco del 'nuovo paganesimo';
3b) Esiste oggi una iniziazione politeista?
3c) Manifesto Politeista.
IV) L'Iniziazione Massonica:
4a) Vivificazione dei segni e delle prese;
4b) Qualificazioni Iniziatiche e Massoneria;
4c) Massoneria Operativa e Speculativa;
4d) A. Reghini: La morale ed il lavoro massonico.
V) L'Ermetismo può identificarsi con l'Alchimia?
VI) Iniziazione Cristiana e Antroposofia
6a) E' mai esistito un esoterismo cattolico?
6b)Esistono Prove Scritturali dell'Esistenza dell'Esoterismo Cristiano?:
6b1) Exoterismo ed Esoterismo;
6b2) "Cani e Porci";
6b3) La "Porta Stretta" e la "Cruna dell'Ago";
6b4) Il "Deposito";
6b5) Il Battesimo "Uno e Trino";
6b6) La Resurrezione.
6c) L'Antroposofia:
6c1) Evola e Steiner;
6c2)Teosofia e Teosofismo;
6c3)Atteggiamenti "old age" e "new age".
VII) L'Iniziazione "Orientale": l'Arabismo
7a) M. Scaligero: L'Arabismo e l'Equivoco Esoterico;
7b) L. Caetani: La funzione dell'Islam nell'evoluzione della civiltà
VIII) Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo
IX) L'Iniziazione: Una Sintesi

I
Confrontando Evola e Guenon
Nel III vol. di Introduzione alla Magia, si può trovare la monografia "Sui Limiti della Regolarità
Iniziatica", firmata "Ea". In essa viene preso in esame lo schema teorico, relativo all'iniziazione,
formulato da Renè Guenon e si prendono le distanze in più punti da tale schema. Si deve tener
presente che tale saggio non è mai comparso nella rivista Ur/Krur e perciò deve ritenersi
espressione del solo Evola e non del Gruppo di Ur nel suo complesso. Evola, peraltro, ha
dedicato al problema dell'iniziazione svariati altri saggi; diversi riferimenti ad essi si potranno
trovare nel seguito. Per il momento, ci limitiamo a riportare una delle frasi conclusive del suo
saggio "Renè Guenon e il Tradizionalismo Integrale" (in Ricognizioni, Roma 1974): "Il problema
per i più resta aperto e forse deve essere riformulato in termini diversi da quelli indicati dal
Guénon". E' proprio ciò che pensiamo. Anzi, visto l'indirizzo "teosofico-contemplativo" e non
"magico" seguito da Guenon, abbiamo motivo di credere che il confronto evoliano con lui sia
stato inopportuno e finanche fuorviante per gli studiosi venuti dopo, viste le diverse premesse
dei due autori e visto che, in campo magico, esistevano schemi iniziatici assai più lineari e
consistenti, come quelli di Giuliano Kremmerz.

1a) SUI LIMITI DELLA «REGOLARITÀ» INIZIATICA

Fra i pochi scrittori. che in Occidente, non per erudizione, ma per un sapere effettivo su base
iniziatica, han dato un contributo di orientamento e di chiarificazione nel dominio delle scienze
esoteriche e della spiritualità tradizionale, René Guénon ha un posto di rilievo. In genere,
consigliamo lo studio delle opere del Guénon a quei nostri lettori che non le conoscessero,
perché sono uniche nel loro genere e nel loro valore, mentre esse possono fare da controparte
integrativa a molto di ciò che noi stessi abbiamo esposto - almeno, per quel che riguarda
l'essenziale. Invece, quanto ad alcuni punti particolari, s'impongono da parte nostra delle
riserve, perché spesso l'orientamento dd Guénon risente di una linea di pensiero diversa da
quella che sta a base delle nostre formulazioni. e, inoltre, perché, mentre l'indirizzo del Guénon
è essenzialmente teorico, il nostro è invece essenzialmente pratico. Sarà utile, pertanto,
considerare brevemente come stanno le cose a tale riguardo, onde chi ci segue possa stabilire
il modo con cui egli può utilizzare adeguatamente quanto espone il Guénon, ai fini
dell'integrazione anzidetta.
Per quel che riguarda le divergenza in fatto di dottrina, noi qui le accenneremo
semplicemente, senza fermarvici. Noi dissentiamo dal Guénon circa i rapporti esistenti fra
iniziazione regale e iniziazione sacerdotale, circa il suo schema relativo ai Piccoli e ai Grandi
Misteri, infine circa la restrizione del, termine «magia» ad un suo significato inferiore e
peggiorativo. I tre punti, del resto, sono in una certa misura collegati insieme. Ma ciò che ora
vogliamo trattare è il problema, in genere, dell'iniziazione (I).

(I) Ci riferiamo essenzialmente al libro Aperçus sur l'initiation (Paris, 1945), che, per comodità
del lettore, citeremo nella traduzione italiana uscita col titolo Considerazioni sulla via iniziatica
(ed. Bocca, Milano, 1949).

La veduta del Guénon è, in sintesi, la seguente. L'iniziazione consiste in un superamento della


condizione umana e in una realizzazione degli stati superiori dell'essere; cosa impossibile coi
soli mezzi dell'individuo (p. 31). Ciò poteva ancora accadere nelle origini, presso ad un tipo
umano assai diverso da quello attuale; oggi sarebbe invece necessario un intervento esterno e
cioè la trasmissione di una «influenza spirituale» nell'iniziando (47, 57). Questa trasmissione si
effettua ritualmente col collegarsi ad una organizzazione iniziatica regolare. Tale è la
condizione-base, non soddisfacendo la quale, per il Guénon, non vi è iniziazione effettiva, ma
solo una vana parodia di essa (la «pseudo-iniziazione») (46). La «regolarità» di una
organizzazione consiste nel suo essere a sua volta collegata, direttamente o tramite altri centri,
con un centro supremo ed unico; consiste inoltre nel suo rimandare ad una catena ininterrotta di
trasmissione che si continua nel tempo attraverso rappresentanti reali, mentre retrocede fino
alla «tradizione primordiale» (92). Affinché la trasmissione delle influenze spirituali che
condizionano lo sviluppo iniziatico sia reale basta che i riti richiesti siano eseguiti esattamente
da chi sia regolarmente designato a tale funzione; che, poi questi comprenda o no i riti, creda o
no nella loro efficacia, ciò non ha influenza (152). Anche in questi casi la catena non è interrotta
ed una organizzazione iniziatica non cessa di esser «regolare» e capace di conferire
l'iniziazione: anche quando essa non comprenda che «iniziati virtuali », perché privi di un vero
sapere (83). Come è noto, vedute analoghe ha la Chiesa nei riguardi dell'ordinazione
sacerdotale e dell'efficacia dei riti regolarmente eseguiti. Quanto all'iniziando, per ottenere la
trasmissione delle «influenze spirituali» si richiede che egli sia a ciò qualificato. Una tale
qualificazione riguarda sia il piano fisico, nel senso di assenza di certi difetti corporei da
considerarsi come segni di corrispondenti disposizioni negative interne, sia una certa
preparazione mentale («speculativa»), sia la presenza di, una precisa aspirazione - o, come noi
diremmo, vocazione. Più in genere, uno stato di disarmonia e di squilibrio rende squalificati a
ricevere l'iniziazione (149,150, 359). Con la trasmissione delle «influenze spirituali» si diviene un
«iniziato virtuale»; si produce un mutamento interno che - come la stessa appartenenza
all'organizzazione a cui ci si è collegati - sarà indelebile, sussisterà una volta per tutte; tuttavia
l'iniziazione effettiva ha bisogno di un lavoro attivo, «operativo», di attualizzazione (259) che si
deve fare da sé e che nessun Maestro può compiere in sua vece (dato che esistono vari gradi di
iniziazione, ciò viene inteso verosimilmente per ogni grado) (49, 274). I rappresentanti di una
organizzazione iniziatica possono solo indirizzare, controllare ed appoggiare questo sviluppo e
prevenire possibili deviazioni. Il collegamento con stati superiori dell'essere, stabilito con la
trasmissione delle influenze spirituali, non ha sempre bisogno di esser cosciente per esser reale
(151). In particolare, il Guénon distingue nettamente fra misticismo e iniziazione, perché il
mistico non è «attivo» nelle sue esperienze, di solito non ha anzi nemmeno i mezzi per
interpretarle adeguatamente - ma soprattutto perché egli.è un isolato e la condizione-base per
l'iniziazione, ossia il collegamento con un «centro» e con una «catena », non è soddisfatta
(41-46 sgg.). In secondo luogo, il Guénon nega ogni possibilità di un collegamento - come egli
lo chiama - «ideale» con una tradizione, cioè ogni collegamento che non si effettui per la via
rituale anzidetta e per contatto con rappresentanti viventi, esistenti, presenti e autorizzati di
quella tradizione. Una iniziazione «spontanea», infine, viene parimenti esclusa, perché quasi
equivarrebbe ad un nascere senza l'ausilio di chi a ciò fornisca la possibilità, allo svilupparsi di
una pianta senza che prima vi sia un seme, il quale a sua volta rimanda ad altre piante nate
l'una dall'altra (48).
Questo, in breve, è lo schema guénoniano della «regolarità iniziatica». Vediamo che si deve
pensare in proposito. Contro lo schema in sé, non vi sarebbe un gran che da obiettare; solo che
esso, con riferimento alla situazione esistente di fatto per la grandissima maggioranza di coloro
ai quali si indirizzano gli stessi scritti del Guénon, appare come un semplice schema astratto. Si
può assentire a questo schema; ma quando, dopo di ciò, si chiedesse come poter venire al fatto
per ricevere l'iniziazione, dal Guénon non si riceverebbero troppi lumi, al contrario. Egli, in
effetti, dichiara di voler solo chiarire il concetto della vera iniziazione; quanto ad occuparsi del
problema pratico, cioè a dire dove ci si debba rivolgere e a dare, insomma, indirizzi concreti, ciò
- egli afferma (21) - è cosa che non lo riguarda in alcun modo e che non può menomamente
rientrare nei suoi còmpiti. Così, pel singolo, mentre dal Guénon sente parlare tutto il tempo di
«organizzazioni iniziatiche» come se ne esistessero a iosa e ad ogni angolo di via, egli, nel
punto in cui voglia far sul serio e non aver semplici chiarimenti dottrinali, si trova quasi di fronte
ad una via chiusa, qualora lo schema della «regolarità iniziatica» dovesse esser davvero
assoluto ed esclusivo. Noi pensiamo, naturalmente, all'uomo occidentale. In Oriente - dai paesi
islamici al Giappone - possono ancora esistere alcuni centri che conservano sufficientemente le
caratteristiche indicate dal Guénon. Ma non vi si può fare troppo assegnamento, anche qualora
uno si risolvesse a trasportarsi sul luogo pur di ricevere una iniziazione regolare e autentica.
Bisognerebbe infatti, a tanto, aver la ventura di entrare in rapporto con centri di una purità, per
così dire, assolutamente supertradizionale, perché, in caso diverso, si tratta di iniziazioni la
giurisdizione delle quali (come lo stesso Guénon lo riconosce) è l'àmbito di una data religione
positiva, che non è la nostra. E qui non si tratterebbe di «convertirsi» o meno; è un co~plesso di
fattori fisici e sottili, razziali, atavici, di forme specifiche di culto e di divinità, fino a giungere al
fattore rappresentato dalla mentalità e dalla stessa lingua, che entra in linea di conto. Si
tratterebbe di trapiantarsi in un ambiente psichico e spirituale diverso. Cosa che non è certo per
i più, né si lascia realizzare con un semplice viaggio.
Se invece ci si rivolgesse alla tradizione venuta a predominare in Occidente, non se ne farebbe
nulla, perché il cristianesimo è una tradizione mutila della sua parte superiore, esoterica e
iniziatica. All'interno del cristianesimo tradizionale - il che vale quanto dire del cattolicesimo -
non vi è una gerarchia iniziatica; qui le prospettive si limitano a sviluppi mistici per iniziativa
individuale, su base carismatica. Solo sporadicamente qualche mistico è passato oltre, in via
affatto individuale si è elevato fino al piano metafisico. Da qualche sparso accenno dei primi
secoli della nostra era o di quelli che si è creduto di rilevare nell'esicasmo (Chiesa.
greco-ortodossa) a cui sono andati a caccia alcuni guénoniani, qui si può e si deve prescindere.
Se dopo aver riconosciuto tutto ciò si cerca ancora, quel che si ode dal Guénon non è molto
consolante. Egli riconosce, infatti, che sole ad esistere ai nostri giorni nel mondo occidentale
sono delle organizzazioni iniziatiche finite in uno stato di degenerescenza, delle «vestigia
incomprese da quelli stessi che le hanno in custodia» (315-21). Non solo: quel che egli
aggiunge in fatto di precisazioni è tale da lasciar. ancor piu perplessi e da render, d'altra parte,
visibili i pericoli che derivano dall'assumere incondizionatamente lo schema astratto della
«regolarità iniziatica».
Qui non possiamo non esprimere il nostro dissenso preciso circa due punti. L'uno è che anche
attraverso organizzazioni degradate si potrebbe ottenere qualcosa di simile ad una vera
iniziazione. La continuità delle «influenze spirituali», secondo noi, è invece illusoria quando non
esistano piu rappresentanti degni e consapevoli in una data catena e la trasmissione sia quasi
divenuta meccanica.
Esiste di fatto la possibilità che le influenze veramente spirituali in tali casi si «ritirino», per cui
ciò che resta e che si trasmette è solo qualcosa di degradato, un semplice «psichismo» aperto
perfino a forze oscure, per cui l'aggregazione alla corrispondente organizzazione, per chi aspiri
davvero verso l'alto, diviene spesso piu un pericolo che non un aiuto. Il Guénon sembra non
pensarla così, crede che se la continuità esterioristicamente rituale si è mantenuta si possa
sempre ottenere ciò che egli chiama l'«iniziazione virtuale».
Piu grave è il nostro dissenso quando il Guénon dice che il risultato delle investigazioni da lui
fatte in un'epoca già lontana è «la conclusione formale e indubitabile» che, «a parte il caso della
sopravvivenza possibile di qualche «gruppo di ermetismo cristiano del Medioevo, fra tutte le
«organizzazioni a pretese iniziatiche attualmente esistenti «in Occidente non ve ne sono che
due le quali, per quanto «decadute... possono rivendicare un'origine tradizionale autentica e una
trasmissione iniziatica reale: il Compagnonaggio e la Massoneria. Tutto il resto non è che
fantasticheria «o ciarlatanismo quand'anche non serva a dissimulare qualcosa di peggio» (60,
cfr. 139). Ora, qui non faremo entrare considerazioni particolari dicendo che segni
sufficientemente certi vi sono circa persone che, in Occidente, sono o sono state in
possesso di conoscenze iniziatiche effettive senza esser aggregate né al
Compagnonaggio, né alla Massoneria. Lasciando dunque da parte ciò, diremo che, quanto al
Compagnonaggio, si tratta di una organizzazione iniziatica residua d'origine corporativa di
portata assai ristretta e di cui, fuor della Francia, si ignora perfino il nome. Per pronunciarsi nel
riguardo, non possediamo dati sufficienti, né crediamo che la cosa valga la pena. Ma, quanto
alla Massoneria, le cose stanno diversamente. Il Guénon può aver avuto in vista qualche nucleo
superstite dell'antica Massoneria «operativa» privo di rapporto con ciò che la Massoneria
moderna concretamente è. Quanto a quest'ultima, essa almeno per quattro quinti non ha
assolutamente nulla di iniziatico, è un sistema fantasioso di gradi costruito sulla base di un
inorganico sincretismo, tanto da rappresentare un caso tipico di quel che il Guénon chiama
pseudo-iniziazione. Di là da questo artificioso edificio, ciò che può trovarsi con carattere
«non-umano» nella Massoneria moderna ha, se mai, un carattere piu che sospetto; molte cose
rendono legittima la supposizione che, nel riguardo, si tratta proprio di uno dei casi di
organizzazioni dalle quali l'elemento veramente spirituale si è ritirato e nelle quali il «psichismo»
rimasto ha servito da strumento a forze tenebrose. Chi si attiene al principio di giudicare dai
frutti, nel riconoscere la precisa «direzione d'efficacia» della Massoneria nel mondo moderno, la
sua costante azione rivoluzionaria, la sua idelogia, la sua lotta contro ogni forma positiva di
autorità dall'alto e via dicendo, non può nutrir ,dubbi circa la natura di questo fondo occulto della
organizzazione in parola, là dove essa non si riduce ad una pura e semplice scimmiottatura
dell'iniziazione e della gerarchia iniziatica. Il Guénon nori si sente disposto ad aderire ad una
interpretazione del genere (259). Ma non è che, per questo, le cose cambino: La responsabilità
che egli che pur non intende «condurre o togliere aderenti ad una qualche organizzazione» (21)
- indirettamente si prende con tali considerazioni, è tutta sua e noi non possiamo condividerla
nemmeno in minima parte (II).

(II) E' anche discutibile che la Massoneria sia «una forma iniziatica puramente occidentale»
(61): bisognerebbe ignorare tutta la parte che nel suo rituale e nelle sue «leggende» ha
l'elemento ebraico.

Così, dovendo chiudere il bilancio, il problema pratico nei quadri della pura «regolarità
iniziatica» si presenta, per l'uomo occidentale, piuttosto male. Bisogna vedere quali altre vedute,
legittime e fondate, possono entrare in linea di conto per porlo in una luce migliore.
Il merito, da riconoscere, della concezione del Guénon è il risalto dato alla difficoltà della
realizzazione iniziatica nelle condizioni attuali e il porre un limite di contro a certe vedute circa
1'«iniziazione individuale» e 1'«autoiniziazione », da alcuni (per es. dallo Steiner) data
addirittura come la sola che l'uomo occidentale dovrebbe perseguire. Ma non bisogna cadere
dall'un eccesso nell'altro. È verissimo che, causa il processo di involuzione cui l'umanità ha
soggiaciuto, certe possibilità di realizzazione diretta, presenti nelle origini, se non del tutto
perdute, sono almeno divenute estremamente rare. Ma non si deve cadere in un equivalente
della concezione cristiana, secondo la quale l'uomo, irrimediabilmente tarato dal peccato
originale, nulla potrebbe da sé nel campo propriamente sovrannaturale - come equivalente
della «grazia» e dei « sacramenti» qui apparendo l'intervento imprescindibile di chi può
trasmettere ritualmente le «influenze spirituali», base, pel Guénon, di tutto.
Un'altra considerazione importante da fare è la seguente. Lo stesso Guénon ha messo in luce,
in altro libro, che uno degli aspetti dell'accennata involuzione è una solidificazione, da intendersi
sia come quella onde la realtà oggi si presenta nelle forme rigide di una materialità disanimata,
sia - aggiungeremmo noi - come quella che determina una chiusura interna dell'individuo
umano. Ora, deve ritenersi che in tali condizioni il potere e quindi l'ausilio proprio alle «influenze
sottili» nel campo dei riti non solo iniziatici, ma anche religiosi, sia ,quanto mai ridotto e, in dati
casi, addirittura nullo. In effetti, bisognerebbe domandarsi, alla fine, che natura abbiano queste
«influenze spirituali», e se chi, in qualità di «iniziato virtuale», le possiede, con ciò sia protetto di
fronte ad ogni specie di errori dottrinali e di deviazioni. In verità, conosciamo fin troppi casi di
persone - e non solo di Occidentali - che sono a posto quanto a «regolarità iniziatica» in senso
guénoniano (in prima linea massoni), ma che mostrano una tale incomprensione e confusione
circa tutto ciò che è veramente esoterico e spirituale, da farle apparire molto al disotto di
persone che non abbiano avuto quel dono ma abbiano un giusto intuito e la mente
sufficientemente aperta. Anche qui non si può non far entrare in linea di conto il criterio: «Li
giudicherò dai frutti» e, dunque, non ci si debbono fare illusioni circa quel che, allo stato attuale,
le «influenze» in parola da sole possono dare.
Ciò posto, come connsiderazione generale e decisiva bisogna terier presente questo: l'uomo
venuto a nascere nell'epoca attuale è un uomo che ha accettato ciò che i teosofisti
chiamerebbero un karma collettivo: è l'uomo associatosi ad una «razza», che «ha voluto fare da
sé», sciogliendosi perfino dai vincoli che servivano solo per sorreggerla e guidarla. In che
misura quest'uomo che «ha voluto fare da sé» e che è stato lasciato fare sia andato incontro
solo alla propria rovina, è noto ad ognuno che sappia intendere il volto della civiltà moderna. Ma
il fatto resta: oggi in Occidente ci si, toova in un ambiente, da cui le forze spirhuali si sono ritirate
e nel quale il singolo su di esse non può fare troppo assegnamento qualora, per un felice
concorso di circostanze, egli non sappia aprirsi, in una certa misura, la via da sé. In ciò non vi è
nulla da cambiare. Trovandosi dunque in una situazione che già di per sé stessa costituisce una
anomalia, praticamente anche nel campo dell'iniziazione, più che le vie regolari, bisogna
considerare quelle che esse stesse hanno un carattere di eccezione.
E che ve ne siano, in una certa misura lo stesso Guénon lo ammette. I centri spirituali - egli dice
(98) - sia pure con modalità estremamente difficili a definire, possono intervenire di là dalle
forme della trasmissione regolare, «sia in favore di individui particolarmente qualificati ma che si
trovino isolati in un ambiente ove l'oscuramento sia arrivato ad un punto tale che non vi sussista
quasi piu nulla di tradizionale e che l'iniziazione non possa esservi ottenuta, sia in vista di uno
scopo piu generale, ed anche piu eccezionale, come quello consistente nel riannodare una
catena iniziatica rotta accidentalmente».
Esistono dunque possibilità non normali di «contatto» diretto. Ma il ,Guénon aggiunge: «È
essenziale ritenere che, anche se
avviene che un individuo apparentemente isolato pervenga ad una iniziazione reale, questa
iniziazione non potrà mai essere spontanea che in apparenza, perché di fatto implicherà sempre
il collegamento, per un mezzo qualsiasi, ad una catena effettivamente esistente» (ibid.). Ora,
proprio a tale riguardo bisogna intendersi, e vedere da che parte venga l'iniziativa che
determina il contatto. Noi diciamo contatto perché l'essenziale non è un collegamento «lungo
l'orizzontale», cioè con una data organizzazione continuatasi storicamente, bensì il
collegamento «sulla verticale», cioè, come partecipazione interiore ai princìpi e agli stati
superindividuali, di cui ogni particolare organizzazione di uomini non è che una manifestazione
sensibile epperò, in un certo modo, solo una esteriorizzazione contingente (III).

(III) Del resto, a proposito dei Rosacroce il Guénon parla della collettività di coloro che sono
pervenuti ad un determinato.. stadio, superiore a quello della comune umanità, che hanno
conseguito lo stesso grado iniziatico (315). Per cui, di rigore, non si dovrebbe parlare non solo
di «società» ma nemmeno di «organizzazioni». In altra occasione il Guénon ha ricordato che le
gerarchie iniziatiche altro non sono che quelle dei gradi dell'essere. Tutto ciò può dunque esser
inteso in senso spirituale e metafisico, e non personalizzato e organizzatorio.

Così nei casi in quistione si può sempre chiedere: È davvero l'intervento di un centro che ha
determinato l'iniziazione o, al contrario, è l'iniziativa attiva del singolo portatosi avanti sino ad un
certo punto che ha provocato quell'intervento?
A tale riguardo si può parlare di una qualificazione che non rientra del tutto in quelle indicate dal
Guénon, una qualificazione attiva creata da una speciale disciplina: da una speciale
preparazione individuale, che rende atti non solo ad essere «eletti», ma, in certi casi, appunto
ad imporre l'elezione e l'iniziazione. Il simbolo di Giacobbe che lotta contro l'angelo fino ad
imporre che esso lo benedica, come tanti altri, fino a quello di Parsifal (in Wol£ram von
Eschenbach) che si apre la via al Graal «con le armi alla mano», cosa «fino ad allora mai
udita», corrispondono a tale possibilità. Nei libri del Guénon, purtroppo, non si trova nulla circa
quel che può essere una disciplina attiva di preparazione, la quale, in certi casi, può condurre
perfino senza soluzione di continuità alla stessa illuminazione (IV): allo stesso modo che il
Guénon nulla indica, come discipline concrete, quanto all'opera di attualizzazione che
dell'«iniziato virtuale» fa un iniziato vero e, alla fine, un adepto.

(IV) Tale è tipicamente il caso nell'ascesi del buddhismo delle origini. Il buddhismo ha anche un
termine tecnico a designare appunto «coloro che si sono svegliati da sé»

Come si è detto, il dominio del Guénon è quello della semplice dottrina, laddove a noi
interessa essenzialmente quello della pratica. Ma anche in quel dominio il Guénon, in altra
occasione, ha scritto qualcosa che può creare disorientamento. Egli riferisce un
insegnamento islàmico, secondo il quale «chi si presenta ad una certa "porta" senza esservi
pervenuto per via normale e legittima vede questa porta chiudersi dinanzi a lui ed egli è
costretto a tornare indietro, «ma non come un semplice profano - cosa ormai impossibile - bensì
come sâhar (stregone o mago in senso inferiore) ». Contro di ciò bisogna avanzare precise
riserve, dicendo anzitutto che se chi è giunto a quella «porta» per via non normale ha una
intenzione retta e pura, questa intenzione sarà certamente riconosciuta da chi di dovere e la
porta si aprirà, secondo il principio: «Bussate e vi sarà aperto». E qualora la porta non dovesse
aprirsi, ciò - sempre nel caso accennato - vorrà solo dire che l'iniziando è posto dinanzi alla
prova di aprirla lui usando violenza, secondo il principio che la soglia dei Cieli soffre violenza;
perché, in via generale, è esattissimo quel che dice Éliphas Levi, ossia che la conoscenza
iniziatica non la si dona, essa la si prende, ciò essendo, del resto, l'essenza di quella qualità
attiva che, entro certi limiti, lo stesso Guénon riconosce (V). Volere o non volere, un certo tratto
«prometeico» ben inteso apparterrà sempre al tipo piu alto dell'iniziato.
Il Guénon ha ragione a non prender sul serio l'«iniziazione in astrale» (139) se ha in vista quel
che in proposito, divagando, se ne pensa in certi ambienti «occultistici». Ma anche qui non
bisogna mettere nello stesso sacco ciò di cui vedute del genere possono essere solo una
distorsione (VI). A parte il fatto che, in qualsiasi caso, l'iniziazione vera si compie in una
condizione che non è quella della coscienza desta ordinaria, è possibile elevarsi attivamente a
stati, in cui i contatti essenziali per lo sviluppo superindividuale sono propiziati. Nello stesso
esoterismo islàmico si parla della possibilità di conseguire lo shath, stato interiore speciale che
fra l'altro rende eventualmente atti a collegarsi col Khidr, essere enigmatico in cui risiede il
principio di una iniziazione diretta, cioè senza l'intermediario di una tariqa (organizzazione) e di
una sìlsila (catena) (VII). Benché concepita come eccezionale, questa possibilità è ammessa.
L'essenziale, qui, è la nyyah, cioè l'intenzione giusta, da non intendersi in senso astratto e
soggettivo, ma altresì come direzione magica d'efficacia.

(V) E' su questa base che, in uno dei suoi aspetti, va inteso il principo della «incomunicabilità ».
La vera conoscenza metafisica è sempre un «atto» e ciò che ha qualità di «atto» non può venire
da altro; secondo l'espressione greca si può raggiungerlo solo "kath'autò" (da sè stesso).
(VI) Si può anche ricordare la parte rilevantissima che fra le popolazioni selvagge ha
l'iniziazione ricevuta in sogno; su ciò cfr. p. es. M. ELIADE, Lo sciamanismo e le tecniche
dell'estasi, trad. it., Roma 1953.
(VII) Su ciò si cfr. uno scritto di ABDUL HADI (Études traditionnelles, agosto 1946, p. 318). Egli
parla di due catene, di cui una sola è storica e tale che l'iniziazione è impartita da un maestro
(sheikh) vivente, autorizzato, possedente la chiave del mistero: è l'et-talimurrijâl, poggiante su
uomini, distinta dall'et-talimur-rab-bani, nel quale non si tratta di un maestro vivente come uomo,
ma di un maestro «assente», sconosciuto o perfino «morto» da molti secoli. A questa seconda
via si riconnette la nozione del Khidr (Seyidna El-Khidr), attraverso cui si può ricevere
l'iniziazione per via diretta. Tale veduta ha particolare risalto nell'Ismaelismo. Fra i Rosacroce la
figura misteriosa di «Elia l'artista» era in un certo modo l'equivalente del Khidr.

Veniamo ad ancora un punto. Come si è visto, il Guénon esclude il collegamento «ideale» con
una tradizione, perché «ci si può collegare solo con ciò che ha una esistenza attuale» (53-54),
intendendo dire una catena di cui esistano ancora rappresentanti viventi in una filiazione
regolare. Senza di che l'inizi azione sarebbe impossibile e inesistente. Anche qui vi è una
curiosa confusione fra l'elemento essenziale e quello contingente e organizzatorio. Che
significa, insomma, «esistenza attuale»? Ogni esoterista sa bene che quando un principio
metansico cessa di avere una manifestazione sensibile in dato ambiente o periodo, non è che
per questo esso sia meno «attuale» ed esistente: su un altro piano (cosa che, del resto, il
Guénon più o meno riconosce - cfr. p. 319). Ora. se per collegamento «ideale» s'intende una
semplice aspirazione mentale, si può esser d'accordo col Guénon; altrimenti stanno però le
cose nei riguardi delle possibilità " di una evocazione effettiva e diretta sulla base del principio
magico delle corrispondenze analogiche e sintoniche.
Insomma, lo stesso Guénon ammette - e fors'anche piu del dovuto - che le «influenze spirituali»
hanno anche le loro leggi (224). Ciò non equivale, in fondo, ad ammettere, in via di principio, la
possibilità di un'azione determinante su di esse? Il che può esser concepito perfino in sede
collettiva, potendosi creare una catena psichica e disporla così che serva come un corpo che, in
base a «sintonia» e, appunto, a corrispondenza «simpatica», attiri una influenza spirituale nei
termini di una «discesa» da un piano, ove le condizioni di tempo e di spazio non hanno un
valore assoluto. La cosa può riuscire o non riuscire. Ma non è da escludersi, né da confondersi
col semplice, inconsistente «collegamento ideale».
Infine il Guénon nega che una iniziazione possa realizzarsi in base a quanto è già avvenuto in
precedenti esistenze (203). Ora, siccome noi ammettiamo così poco quanto il Guénon la teoria
reincarnazionistica, se è a questa che ci si riferisce, siamo d'accordo. Ma non è che con ciò resti
esclusa quella che si potrebbe chiamare una speciale eredità trascendentale in dati individui,
tale da conferire ad essi una particolare «dignità» quanto alla possibilità di conseguire per via
diretta il risveglio iniziatico. Nel buddhismo ciò viene riconosciuto esplicitamente. L'imagine del
Guénon di una pianta o di un essere vivente che non. nasce, quando non sia posto un seme
(che sarebbe l'«inizio» determinato dall'iniziazione rituale dall'esterno) non è valida che entro
certi limiti. Assolutizzandola, si andrebbe a con tradire la veduta metansica fondamentale della
non-dualità e, insomma, a riportare uniformisticamente tutti gli esseri ad un minimo comun
denominatore. Vi è chi può già portar in sé il «seme» del risveglio.
Con ciò abbiamo indicato gli elementi essenziali da far valere di fronte allo schema unilaterale
della «regolarità iniziatica». Noi in un certo modo squalificheremmo noi stessi se a questo
schema non riconoscessimo il dovuto valore. Ma non bisogna esagerare e perdere di vista le
condizioni speciali, diciamo pure anomale, in cui si trovano in Occidente anche coloro che
hanno la , migliore intenzione e qualincazione. Chi non sarebbe lieto se, si trovassero
organizzazioni iniziatiche come il Guénon le concepisce, anche se non negli aspetti secondo cui
esse fanno pensare quasi ad un sistema burocratico di «legalità» formale? Chi non le
cercherebbe, chiedendo semplicemente di esser giudicato e «provato»? Ma non è così e chi
legge il Guénon si trova un po' nella situazione di chi oda dire che cosa bella sia il possedere
una certa affascinante ragazza ma, nel punto di chiedere dove essa sia, essendosi eccitato,
abbia per risposta il silenzio ovvero un: «Non è affar nostro». Perché, quanto alle indicazioni
date in via indiretta dal Guénon circa quel che sussisterebbe in Occidente in fatto di
organizzazioni iniziatiche regolari, si è già detto quali precise riserve si impongano.
Vi è poi una quistione che, a dir vero, avremmo dovuto porre proprio al principio, dicendo che
l'idéa stessa dell'iniziazione rituale, quale il Guénon l'espone, ci sembra cosa assai indebolita.
Troppo poco è, infatti, una trasmissione di mal individuate «influenze spirituali », della quale ci si
può perfino non accorgere, che rende uno un semplice «iniziato virtuale» il quale, in concreto,
come dicemmo, è esposto ad ogni errore e ad ogni deviazione proprio come l'ultimo «profano».
Per quel che sappiamo, e per quel che si può desumere da tradizioni precise, comprese quelle
dei Misteri antichi, l'iniziazione reale è invece assimilabile ad una specie di operazione
chirurgica, avente per controparte una esperienza vissuta particolarmente intensa, lasciante -
come è detto in un testo - «una traccia eterna di frattura» .
Incontrare chi sia capace di dare una iniziazione in questi termini, non è cosa facile, né
dipendente dalla sola qualificazione (per la ragione già detta, debbonsi porre varie restrizioni,
oggi, in Occidente, al principio: «Quando il discepolo è pronto, anche il Maestro è pronto»). Nel
caso, si tratta essenzialmente di elementi, per così dire, «distaccati» (nel senso militare), che
nella vita si possono incontrare e non incontrare.
Non ci si deve illudere di trovare una «scuola» vera e propria con tutto quanto occorre per uno
sviluppo regolare, con un sistema sufficiente di «sicurezze» e di controlli. Le «scuole» che in
Occidente presumono di esser tali, e tanto più, per quanto più lo presumono, con «iniziati» che
per poco non mettono questa loro qualifica sul loro biglietto da visita o nell'elenco telefonico,
sono volgari mistificazioni, e uno dei meriti del Gtiénon è di aver esercitato, nei riguardi di molte
di esse, una giusta critica distruttrice.
Quanto poi a coloro che, assunto il karma della civiltà in cui hanno voluto nascere essendo ben
certi della loro vocazione, vogliono portarsi avanti da sé cercando di giungere a dei contatti
diretti sulla «verticale» cioè come contatti metafisici, al luogo del collegamento «orizzontale»
con orgamzzazioni apparse nella storia che forniscano loro un sostegno -, costoro imboccano
naturalmente una via pericolosa, cosa che qui teniamo a sottolineare esplicitamente: è come
l'avventurarsi in un paese selvaggio, senza avere «credenziali» né una carta geografica esatta.
Ma, in fondo, se nel mondo profano si considera naturale che una persona ben nata metta in
giuoco la propria vita quando lo scopo ne vale la pena, non vi è ragione di pensarla
diversamente nei riguardi di chi, date le circostanze, non abbia altra scelta per quanto concerne
la conquista dell'iniziazione e rimozione del vincolo umano. Allah akbar! - si può dire con gli
Arabi, cioè: Dio è grande - mentre fu già di Platone il detto: «Ogni cosa grande è pericolosa».
Janus: Se si analizza quanto scritto dal Guènon - in particolare in Considerazioni sulla Via
Iniziatica e Iniziazione e Realizzazione Spirituale - si può ben notare come le differenze che
"Ea" evidenzia siano già accennate, nel senso di casi straordinari. Il tradizionalista francese ha
voluto inquadrare la questione, come fa sempre nei suoi scritti e per tutti gli argomenti, in un
senso rigoroso e generale, in maniera ortodossa e fedele alla Dottrina. "Ea", ad un livello
operativo e diverso, esprime la necessità di come i casi eccezzionali, nel Kali-yuga, si
manifestano come unica realtà, per ovvi motivi; da ciò, la complementarietà tra Dottrina e
Metodo.
Abraxa: Credo far cosa utile agli studiosi della tradizione, presentando loro questo prospetto
sinottico, relativo ad alcuni aspetti dell'iniziazione, che mette a confronto le rispettive posizioni di
Renè Guenon e di Julius Evola. Per un approfondimento, rimandiamo alla lettura integrale dei
testi citati.
1b) J.Evola - R. Guenon

Un Confronto sull'Iniziazione

OPERE CITATE ABBREVIAZIONI USATE


Guenon_Considerazioni sulla Via Iniziatica, CVI
Milano 1949
Guenon_Iniziazione e Realizzazione IRS
Spirituale, Torino 1967
Guenon_Errore dello Spiritismo, Milano 1974 ES
Guenon_Oriente e Occidente, Torino, 1965 OO
Ea_ Sui Limiti della Regolarità Iniziatica (in LRI
Introd. Alla Magia III, Roma1971)
Evola_ Il Problema Spirituale (in Cavalcare la PS
Tigre), Milano 1973
Evola_Renè Guenon e la Scolastica SG
Guenoniana (ne Il Ghibellino gennaio 1963,
ora anche nel Quaderno di Testi Evoliani n°19
Roma 2001)
Evola_Sul Concetto di Iniziazione (in L'Arco e CI
la Clava, Milano 1971)
Evola_L'iniziazione nel Mondo Moderno (in IMM
Testimonianze su Evola II ed. Roma 1985)
Evola_Correnti Iniziatiche e Alta Magia (in CIAM
Maschera e Volto dello Spiritualismo
Contemporaneo, Roma 1971)

Guenon Evola
1.1 Definizione L'iniziazione consiste essenzialmente Presa nella sua accezione
e Aspetti nella trasmissione di una certa influenza rigorosa e legittima l'iniziazione
Principali spirituale e questa trasmissione può corrisponderebbe, nell'uomo, ad
essere operata solo mediante un rito, un reale cambiamento ontologico
quello appunto con cui si effettua il e esistenziale di stato, all'apertura
ricollegamento ad un'organizzazione di fatto della dimensione della
avente lo scopo precipuo di conservare e trascendenza...E noi possiamo
trasmettere l'influenza di cui si parla. (IRS dichiarare categoricamente che a
p. 51) questo riguardo i casi possibili si
riducono a tre soltanto. Il primo
Nell'iniziazione è di fondamentale caso è che il diverso potere lo si
importanza un collegamento ad una possegga già per natura. È il caso
Organizzazione Tradizionale , che non eccezionale di quella che fu
può, beninteso , dispensare in alcun chiamata lla «dignità naturale »e
modo dal lavoro interiore che ognuno non derivante dalla semplice
deve compiere da se stesso, ma che è nascita umana; è paragonabile a
richiesto come condizione preliminare ciò che nel dominio religioso è
perché questo lavoro stesso possa l'elezione...Gli altri due casi
effettivamente dare i suoi frutti. riguardano una «dignità
Bisogna capire fin da ora che coloro che acquisita». In primo luogo si può
sono stati costituiti depositari della considerare la possibilità
Conoscenza Iniziatica, non possono dell'apparire del potere in
comunicarla in maniera più o meno questione, con una conseguente,
paragonabile a quella di un professore brusca rottura esistenziale e
che nell'insegnamento profano comunica ontologica di livello, in casi di
ai suoi allievi formule attinte dai libri, profonde crisi, di traumi spirituali,
formule che essi dovranno soltanto di azioni disperate. In cui è
immagazzinare nella loro memoria; si possibile che l'individuo, se non va
tratta qui di una cosa che, nella sua in rovina, sia portato a partecipare
essenza stessa, è propriamente a quella forza, anche senza che se
incomunicabile, poiché sono Stati lo sia posto consapevolmente
dell'Essere da realizzare interiormente. come scopo. La situazione
Si possono insegnare invero soltanto certi effettiva deve però essere chiarita
metodi preparatori per ottenere questi dicendo che in casi del genere era
Stati; a tale riguardo, dal di fuori, non può stata già accumulata una energia
essere fornito che un aiuto, un appoggio che le circostanze accennate
per facilitare grandemente il lavoro da hanno fatto d'un tratto
compiersi, ed anche un controllo per manifestare, con l'effetto di un
allontanare gli ostacoli ed i pericoli che cambiamento di stato: per cui,
possono presentarsi. quelle circostanze appaiono come
Nella iniziazione occorre sviluppare la una causa occasionale ma non
virtualità che essa costituisce; ma altresì determinante, necessaria ma non
è anche necessario, in primo luogo, che sufficiente. Del pari l'ultima goccia
questa virtualità preesista. non farebbe traboccare il vaso ove
E' dunque in un modo diverso che deve esso non fosse già colmo, e lo
essere intesa la trasmissione iniziatica spaccare una diga non farebbe
propriamente detta, e non sapremmo prorompere l'acqua se non
meglio caratterizzarla che dicendola premesse già dietro di essa. Il
essenzialmente la trasmissione di terzo e ultimo caso riguarda
un'influenza spirituale. l'innesto del potere in parola
Le fasi dell'iniziazione riproducono quelle nell'individuo in. virtù dell'azione
del processo cosmogonico; una tale dell'esponente di una
analogia , basantesi direttamente su organizzazione iniziatica
quella del 'microcosmo' e del preesistente, che a tanto sia
'macrocosmo', permette meglio di ogni qualificato. È l'equivalente di quel
altra considerazione di chiarire la che nel campo religioso è
questione . Infatti si può dire che le l'ordinazione sacerdotale, la quale
attitudini o possibilità incluse nella natura in teoria imprimerebbe
individuale non sono in un primo nell'individuo un character
momento in sé stesse che una materia indelebilis che lo qualifica per
prima, vale a dire una pura potenzialità, in l'esecuzione efficace dei
cui non v'è niente di sviluppato o di riti....Renè Guenon...considera
differenziato; è quindi lo stato caotico e quasi esclusivamente questo terzo
tenebroso, che il simbolismo iniziatico fa caso. Per conto nostro, riteniamo
corrispondere precisamente al mondo invece che ai nostri giorni esso
profano, e nel quale si trova l'essere non praticamente sia pressoché da
ancora pervenuto alla 'seconda nascita. escludere per via dell'inesistenza
Perché questo Caos possa cominciare a quasi completa delle
prendere forma ed a organizzarsi, è organizzazioni accennate.(PS
necessario che gli sia comunicata una pp.210-213)
vibrazione iniziale dalle potenze spirituali
che la Genesi ebraica designa come gli Può servire a chiarire il concetto di
Elohim; questa vibrazione è il Fiat Lux iniziazione l'opposizione fra
che illumina il Caos, e che è il punto di «superuomo» e «iniziato» quali
partenza necessario per tutti gli sviluppi tipi. Il superuomo si è presentato
ulteriori. come il potenziamento estremo e
Dal punto di vista iniziatico, questa problematico della specie «uomo
illuminazione è rappresentata ». Invece, in via di principio,
precisamente dalla trasmissione l'iniziato non appartiene piu a
dell'influenza spirituale di cui si è detto più questa specie. Se si ha in vista
sopra. l'alta iniziazione, si può dire che il
In virtù di questa influenza le possibilità « superuomo » appartiene ad un
spirituali dell'essere non sono più la piano prometeico (l'uomo resta
semplice potenzialità che erano prima; tale ma cerca,
esse sono diventate una 'virtualità' pronta prevaricatoriamente, di far propria
a svilupparsi in atto nei diversi stadi della una dignità e un potere superiori),
realizzazione iniziatica. mentre l'iniziato in senso proprio
L'iniziazione, quindi, implica 3 condizioni appartiene ad un piano olimpico.
che si presentano in modo successivo, e (ha connaturata una diversa,
che si potrebbero far corrispondere legittima dignità). (CI pp. 94-95)
rispettivamente ai 3 termini di Gruppi effettivamente seri ed attivi
'potenzialità' , di 'virtualità' e di 'attualità' : nel campo dell'iniziazione è ben
1) la potenzialità è la qualificazione raro trovarne o indicarne in
costituita da certe possibilità inerenti alla Occidente. Ci sono tuttavia delle
natura propria dell'individuo, e che sono vene sparse qua e là, le cui origini
la materia prima su cui il lavoro iniziatico sono difficilmente rintracciabili: le
dovrà effettuarsi; 2) la virtualità è la rappresentano senza dubbio le
trasmissione, per il tramite di un organizzazioni di Giuliano
collegamento ad un'organizzazione Kremmerz, che pare avessero una
tradizionale regolare, di un'influenza dimensione iniziatica; ma non si sa
spirituale che dia all'essere la bene quale sia il primo anello della
illuminazione , che gli permetterà di catena. (IMM p.337)
ordinare e di sviluppare quelle possibilità La scuola del Kremmerz - la
che porta con sé; 3) l'attualità è il lavoro Myriam - si era costituita infatti
interiore per cui, con l'aiuto di 'cooperanti' come una vera e propria unità
o di 'appoggi' esteriori, se è il caso ,e magica, organizzata da riti,
soprattutto nei primi stadi , questo contrassegnata da simboli, da
sviluppo sarà realizzato gradualmente, gradi di iniziazione e da
facendo passare l'essere, di gradino in cerimoniali. È da escludere che
gradino, attraverso i differenti gradi della tutto ciò sia stato creato ex novo
gerarchia iniziatica, per condurlo allo dal Kremmerz: si tratta piuttosto
scopo finale della 'Liberazione' o dell dell'affiorare di una vena di una
'Identità Suprema' . preesistente tradizione la, cui
Lo scopo essenziale e finale origine non è facile individuare.
dell'iniziazione oltrepassa il dominio (CIAM p.201)
dell'individualità e le sue possibilità
particolari. Da un tale semplice rilievo, e
senza nemmeno andare al fondo delle
cose, si può dunque immediatamente
concludere che sia necessaria la
presenza di un elemento non umano, e
tale è proprio infatti il carattere
dell'influenza spirituale la cui trasmissione
costituisce l'iniziazione propriamente
detta.
....E' facile capire come 'la parte'
dell'individuo che conferisce l'iniziazione
ad un altro individuo (profano) sia invero
una parte di trasmettitore, nel senso più
esatto della parola; questi infatti non
agisce in quanto individuo, ma in quanto
appoggio di una influenza non
appartenente all'ordine individuale; è
unicamente un anello della "catena " il cui
punto di partenza è al di fuori e al di là
dell'umanità. In tal modo, egli non può
agire in nome proprio, ma in nome
dell'organizzazione cui è collegato e da
cui detiene i suoi poteri, o, ancora più
esattamente, in nome del Principio che
questa organizzazione rappresenta
visibilmente. Ciò spiega d'altronde come
1'efficacia del Rito compiuto da un
individuo è indipendente dal valore stesso
di quest'individuo in quanto tale; se
l'individuo non possiede il grado di
conoscenza necessario per comprendere
il senso profondo del Rito e la ragione
essenziale dei suoi diversi elementi,
questo rito non per tal motivo avrà meno
il suo pieno effetto se, essendo
regolarmente investito della funzione di
'trasmettitore' , egli lo adempirà
osservando tutte le regole prescritte, e
con una intenzione che sia
sufficientemente determinata dalla
coscienza del suo collegamento
all'Organizzazione Tradizionale.
Di contro, la conoscenza anche completa
del Rito, se è stata ottenuta al di fuori
delle condizioni regolari, è interamente
sprovvista di ogni valore effettivo; e così
diremo, per prendere un esempio
semplice (poiché il Rito si riduce
essenzialmente nella pronuncia di una
parola o di una formula), che, nella
Tradizione Indù, se il Mantra non è
appreso dalla bocca di un Guru
autorizzato, è senza alcun effetto, poiché
non è 'vivificato' dalla presenza
dell'influenza spirituale di cui è
unicamente destinato ad essere il veicolo.
La consacrazione dei Templi, delle
immagini, degli oggetti rituali, ha lo scopo
essenziale di farne il ricettacolo effettivo
delle influenze spirituali senza la cui
presenza i Riti , ai quali debbono servire,
sarebbero sprovvisti di efficacia.
Le ''formule ritmate, corrispondenti
esattamente ai Mantra Indù, sono formule
la cui ripetizione ha lo scopo di produrre
un'armonizzazione dei diversi elementi
dell'essere, e di determinare vibrazioni
suscettibili, con la loro ripercussione
attraverso la serie degli stati in gerarchia
infinita, di aprire una comunicazione con
gli Stati Superiori, che è d'altronde, in
generale, la ragione d'essere essenziale
e primordiale di tutti i riti".
(CVI passim)

1.2 Oriente e Per quanto roguarda l'Oriente, dobbiamo Se organizzazioni del genere in
Occidente convenire che i danni causati dalla Occidente ebbero già sempre un
modernizzazione sono andati carattere più o meno sotterraneo a
considerevolmente aumentando, almeno causa della natura della religione
dal punto di vista esteriore; nelle regioni venuta a predominarvi e delle sue
che più a lungo vi avevano resistito, il iniziative repressive e
cambiamento sembra ormai effettuarsi a persecutorie, nei tempi ultimi esse
ritmo accelerato; l'India stessa ne è un sono quasi del tutto scomparse
esempio caratteristico. Tuttavia nulla di per quel cbe riguarda altre aree,
tutto ciò ha ancora raggiunto il cuore della soprattutto l'Oriente, esse si sono
Tradizione: dal nostro punto di vista, rese sempre più rare e
questa è la sola cosa che importi e inaccessibili, quando anche le
sarebbe senza dubbio errato attribuire forze di cui erano le portatrici non
un'importanza eccessiva ad apparenze si siano da esse ritirate,
che possono essere solanto transitorie; parallelamente al processo
ad ogni modo, è sufficiente che il punto di generale di degenerescenza e di
vista tradizionale, con tutto ciò che esso modernizzazione che ormai ha
comporta, sia integralmente preservato in investito anche quelle aree. Di
Oriente in qualche luogo inaccessibile massima, oggi lo stesso Oriente
all'agitazione della nostra epoca. (OO ai più non è in grado di fornire che
p.250) dei sottoprodotti, in un «regime di
residui», cosa evidente solo che si
esamini la statura spirituale degli
Asiatici che si sono messi ad
esportare e a divulgare fra noi la
«sapienza orientale». (PS 213)
1.3 Le I selvaggi, i quali secondo noi non sono La teoria che l'essere presenta
iniziazioni dei "primitivi", ma dei degenerati, stati multipli, dei quali quello
tribali possono aver conservato certi riti senza umano è soltanto uno particolare,
comprenderli, e questo fin da tempi assai è dunque la premessa del
remoti; la tradizione di cui si è perduto il concetto di iniziazione. Vanno
significato, ha in essi lasciato il posto alla però considerati stati dell'essere
consuetudine o alla "superstizione" nel non soltanto superiori ma anche
senso etimologico della parola. (ES p. inferiori a quello che definisce la
158) comune e normale personalità
umana. Casi è concepibile una
duplice possibilità di apertura di
questa personalità, verso l'alto e
verso il basso; in corrispondenza,
un trascendimento «ascendente»
(conforme al senso etimologico
rigoroso del termine transcendere
= «andar al di là innalzandosi») va
ben distinto da un trascendimento
« discendente». Per questo poco
sopra abbiamo parlato
specificamente di «alta
iniziazione» ... Nelle iniziazioni
tribali dei primitivi ed anche nelle
loro iniziazioni delle cosidette
«classi di età» ci si trova in genere
sulla direzione discendente. Il
singolo si apre alla forza
mistico-vitale del proprio ceppo, si
integra in essa, ne fa la vita della
propria vita. Ovvero l'integrazione
può riguardare le potenze
profonde che agiscono
formativamente nell'organismo-
nei vari periodi dell'esistenza. Ciò
che pel singolo può risultarne, le
nuove facoltà che egli così può
acquisire comportano però quasi
sempre qualcosa di
collettivizzante, di subpersonale.
Su questo caso qui non abbiamo
da fermarci ulteriormente. Esso ci
si presenta in forme tipiche, ad
esempio, nel totemismo e in
alcune varietà dei culti primitivi dei
morti. (CI pp. 95-96)
1.4 Piccoli e I Grandi Misteri concernono propriamente Un cenno merita una
Grandi misteri la realizzazione degli stati sovrumani. differenziazione che si presenta
(CVI p. 326) I G.M. sono in relazione anche nell'area delle civiltà
diretta coll'iniziazione sacerdotale. (id., superiori. Essa riguarda la dualità
327) I Grandi Misteri comportano di iniziazione ai Piccoli Misteri che
essenzialmentela conoscenza di ciò che genericamente si possono
è oltre la natura. La conoscenza chiamare demetrico-ctoni, e di
metafisica pura appartiene dunque iniziazione ai Grandi Misteri che si
propriamente ai I Grandi Misteri (id., 328) possono chiamare uranici o
I Piccoli Misteri comprendono tutto olimpici. Talvolta i Piccoli Misteri
quanto si rifensce allo sviluppo delle sono stati presentati come una
possibilità dello stato umano considerato fase preliminare, i Grandi Misteri
nella sua integralità. (CVI p. 325) I Piccoli come il compimento. Tuttavia altre
Misteri sono in relazione diretta volte i Piccoli e i Grandi Misteri
coll'iniziazione reale. I Piccoli Misteri insieme a molte altre forme di
comportano essenzialmente la iniziazione diversamente
conoscenza della natura. (id., 327) La denominate che si possono far
conoscenza delle scienze tradizionali corrispondere rispettivamente agli
appartiene propriamente ai Piccoli uni e agli altri non hanno
Misteri (id., 328) presentato questo carattere di fasi
successive, sono stati distinti e
E' a questa tecnica concernente il perfino contrapposti gli uni agli
maneggio delle influenze spirituali che si altri. In effetti, essi possono anche
riferiscono propriamente espressioni riportare ad orientamenti,
come quelle di ''arte sacerdotale'' ed ''arte vocazioni e significati differenti.
reale'' designanti le applicazioni rispettive Semplificando, si può dire che lo
delle iniziazioni corrispondenti (vedi più sfondo dei Piccoli Misteri ha un
oltre); d'altra parte, si tratta qui di Scienza carattere «cosmico» e, in un certo
Sacra e Tradizionale, ma che, pur senso, panteistico. Il loro limite è
essendo sicuramente di un ordine del la fysis nel senso più vasto e
tutto diverso dalla scienza profana, non è originario del termine, ossia la
perciò meno ''positiva'', anzi lo è natura, Mater Natura, Mater
realmente molto di più se si prende Magna, il mondo manifestato. I
questa parola nel suo significato vero, Grandi Misteri stanno invece sotto
che invece è abusivamente svisato dagli il segno della trascendenza, di ciò
''scientisti'' moderni. (CVI) che non è «vita» nemmeno in
senso cosmico, ma super-vita,
essere. Si potrebbe dunque
parlare di un rinascere nella Vita
per gli uni, di un rinascere
nell'Essere per gli altri, come fine
delle corrispondenti iniziazioni.
Però il concetto di iniziazione
acquista la pienezza delle sue
valenze superiori essenzialmente
con riferimento alla seconda
direzione. A parte, come una
varietà dei Piccoli Misteri sono da
considerarsi le iniziazioni che
miravano a stabilire o a rinnovare
un contatto con particolari potenze
della natura. Diverse iniziazioni
facenti da controparte, nel mondo
tradizionale, ai mestieri rientrano
in tale tipo. (CI p. 96)
2. Religione e Possiamo dividere le organizzazioni Dopo di ciò, conviene distinguere,
Iniziazione tradizionali in exoteriche ed esoteriche ; per prima cosa, il mondo della
per exoteriche intenderemmo le religione da quello dell'iniziazione.
organizzazioni che in una certa forma di Qui non si può evitare una certa
civiltà sono aperte a tutti indistintamente; schematizzazione. Infatti esistono
sono invece esoteriche quelle riservate religioni nelle quali è presente una
ad una élite, o, in altri termini, dove sono iniziazione, e dal punto di vista
soltanto ammessi coloro che posseggono della storia delle religioni è un fatto
una particolare qualificazione. Queste che alcune religioni si sono
ultime sono propriamente le sviluppate da un dominio che in
organizzazioni iniziatiche. (CVI) origine aveva avuto un carattere
iniziatico attraverso un processo di
Molta gente sembra dubitare della volgarizzazione, di appiattimento e
necessità, per chi aspira all'iniziazione, di di esteriorizzazione degli
riallacciarsi come prima cosa ad una una insegnamenti e delle pratiche
forma tradizionale exoterica e di originarie. A tale riguardo un
osservarne tutte le prescrizioni;... esempio caratteristico è costituito
ma è invece inammissibile che chi ha dal buddhismo: esiste un vero iato
delle pretese all'esoterismo possa fra ciò che si può chiamare la pura
ignorare l'exoterismo, anche solo nei suoi «dottrina del risveglio» e la
aspetti pratici, in quanto il "più" deve corrispondente prassi del
necessariamente contenere il "meno". buddhismo delle origini, e il
(IRS p.77) buddhismo come religione
successivamente diffusosi. Però si
può ammettere che in un sistema
tradizionale completo religione e
iniziazione sono due gradi
gerarchicamente ordinati, il
rapporto fra i quali è quello che nel
campo dottrinale è espresso dai
termini exoterismo e esoterismo,
semplice fede e gnosi, devozione
e realizzazione spirituale, piano
dei dogmi e dei miti e piano della
metafisica. L'attuale storia delle
religioni dà un risalto scarso o
nullo a questa articolazione
essenziale, e il modo di concepire
la religione venuto a predominare
in Occidente, modo del quale
anche molti studiosi indipendenti
subiscono senza accorgersene la
suggestione, dimostra che la «
religione» può effettivamente
rappresentare una categoria a sè,
ben determinata, definita perfino
da una opposizione rispetto a tutto
ciò che è iniziatico e metafisico.
Questa concezione deriva in gran
parte dalle credenze di ceppo
semitico, ossia dall'ebraismo, dal
cristianesimo e dall'islamismo,
caratterizzate, nelle loro forme
positive, dal teismo, dal
creazionismo e dal concetto
dell'uomo come generato per
iatum (ossia: fatto sorgere dalla
divinità come un essere staccato).
L'islamismo conosce bensi una
tradizione esoterica e iniziatica nel
quadro della Sh'ya e come
sufismo; l'ebraismo ha una
tradizione corrispondente, nella
Kabbala; ma queste correnti sono
in un certo modo disgiunte
dall'ortodossia, mentre nel
cattolicesimo manca del tutto un
loro equivalente, al posto
dell'esoterismo e dell'esperienza
iniziatica avendosi una semplice
mistica mentre, in particolare, nel
cattolicesimo, come rileveremo piu
oltre, s'incontra il curioso
fenomeno di strutture che come
forma sono di tipo iniziatico, che
però sono applicate ad un piano
non iniziatico. Possiamo fissare
sinteticamente il carattere
specifico dell'orizzonte
propriamente religioso rispetto a
quello iniziatico dicendo che il
primo ha per centro la concezione
della divinità come persona (=
teismo) ed è definito da una
distanza essenziale, ontologica,
fra questo Dio-persona e l'uomo,
in secondo luogo, di conseguenza,
da una trascendenza tale da
ammettere soltanto rapporti di
dipendenza, di devozione, al
massimo di trasporto e di estasi
mistica, restando fermo il limite
corrispondente alla relazione Io
umano -Tu divino. L'iniziazione ha
invece come premessa la
rimuovibilità di questo limite e il
cosidetto principio della «identità
suprema» la cui controparte è una
concezione superpersonale del
Principio Primo. Di là dal Dio come
persona vi è l'Incondizionato come
una realtà superiore sia all'essere
che al non-essere e ad ogni
imagine specificamente religiosa
(vi è chi ha parlato di un «Superdio
»). Come si sa, ad esempio nella
metafisica indù e nel buddhismo
delle origini il Dio personale, gli dèi
e i regni celesti sono stati
riconosciuti, ma ad essi è stato
dato un grado minore di realtà,
sono stati considerati come
appartenenti essi stessi al
condizionato. L'assoluto sta di là
da essi. Nel neoplatonismo, di cui
sono attestate le relazioni col
mondo dei Misteri.ellenistici,
s'incontrano concezioni analoghe.
Questo secondo punto mostra
quanto sia arbitrario parlare
promiscuamente di «religione»
dovunque si tratti di rapporti
dell'uomo con un mondo piu che
umano. (CI pp.97-98)
E' da respingere ciò che il Guénon
scrisse in un infelice articolo sulla
«Necessità di un exoterismo
tradizionale», offrendo pericolosi
incentivi e alibi ad un conformismo
codino e piccolo-borghese. (SG)
2.1 Mistica e L'iniziazione appartiene all'individuo; Quel che si è detto fin qui fa capire
Iniziazione l'iniziativa di una 'realizzazione' che si anche che fra mistica e iniziazione
perseguirà metodicamente, sotto un deve essere tracciata una
controllo rigido ed incessante, e che frontiera. Questo punto è
dovrà condurre a superare le possibilità generalmente trascurato, la
stesse dell'individuo come tale. E' confusione fra i due domini è
indispensabile aggiungere che questa corrente, per cui sarà bene
iniziativa non basta, poiché è evidente aggiungere qualche breve
che l'individuo non può superare sé considerazione. A dire il vero, se ci
stesso solo con i suoi mezzi propri, ma, si tiene all'etimologia il misticismo
ed è ciò che ci interessa, è questa riporta al mondo iniziatico perché il
iniziativa a costituire obbligatoriamente il «miste» (da cui «misticismo») era
punto di partenza di ogni 'realizzazione' l'adepto degli antichi Misteri. Ma
per l'iniziato. Ogni realizzazione iniziatica anche qui ci si trova di fronte ad
è dunque essenzialmente e puramente un caso tipico della corrosione
'interiore', contrariamente a quella 'uscita delle parole. Nella sua accezione
da sé' che costituisce 'l'estasi' nel senso ormai corrente il termine
esatto ed etimologico della parola. E in «misticismo» può essere
questo consiste non certo la sola legittimamente usato soltanto per
differenza, ma almeno una delle grandi designare un fenomeno avente
differenze esistenti tra gli stati mistici, una fisionomia sua propria e da
interamente appartenenti al dominio considerarsi come il limite estremo
religioso, e gli stati iniziatici. (CVI) del solo mondo della religione.
Anzitutto si tratta dell'orientamento
fondamentale. Per usare i termini
già riferiti, il misticismo sta nel
segno dell'estasi, l'iniziazione nel
segno dell'enstasi; movimento
estroverso nell'un caso,
movimento introverso nell'altro.
Conformemente alla struttura dello
spirito religioso, la posizione del
mistico rispetto alla trascendenza
è essenzialmente «eccentrica» (=
discentrata). Da qui, un prevalente
carattere di passività nel caso del
misticismo, di attività nel caso
dell'iniziazione. Un simbolismo
assai ricorrente nella mistica,
specie occidentale, quello delle
nozze spirituali nelle quali l'anima
umana ha la parte feminile di una
sposa, sarebbe assurdo sul piano
iniziatico. Sotto un altro aspetto, la
passività del mistico è quella
inerente alla predominanza
dell'elemento affettivo, emozionale
e sub-intellettuale, ed essa si
riflette nel carattere prevalente
delle esperienze mistiche le quali
sopraffanno e travolgono il
principio cosciente dell'Io, più che
venire da questo controllate e
dominate. Cosi quasi sempre il
mistico non ha un senso preciso
della via percorsa né è in grado di
cogliere e indicare il contenuto
reale e oggettivo delle proprie
esperienze. Il momento soggettivo
qui prevale in aspetti pur sempre
umani, l'anima avendo il
sopravvento sullo spirito (è quel
che rende quasi insopportabile la
lettura dei testi con le monotone,
effusioni emozionali della
grandissima parte dei mistici
cristiani - si può scorrere, ad
esempio, l'antologia intitolata «I
Mistici» a cura di E. Zolla). Cosi
può legittimamente parlarsi, per
simboli, della via mistica come di
una via essenzialmente umida, di
contro a quella secca iniziatica.
Non è da negarsi che alcuni mistici
abbiano raggiunto talvolta altezze
metafisiche, però senza una vera
trasparenza e, si può dire, per dei
balenamenti e dei rapimenti, pel
sollevarsi momentaneo di una
cortina che sùbito dopo è ricaduta.
Inoltre il mistico in quanto tale è un
viandante solitario. Egli si
avventura nel dominio del
sovrasensibile senza avere dei
veri principi per orizzontarsi e
senza disporre di una vera
protezione. Abbandonato il suolo
della tradizione positiva e
dogmatica, egli va da sé. Non
esistono catene di mistici, cioè di
maestri che si trasmettono la
tradizione mistica in modo
ininterrotto; con una
corrispondente, adeguata dottrina
e pratica. In effetti, il misticismo si
presenta prevalentemente come
un fenomeno sporadico e
irregolare. Esso fiorisce soprattutto
in quelle tradizioni che hanno un
carattere incompleto, cioè nelle
quali quel che è semplice religione
e exoterismo non ha la sua
integrazione e il suo coronamento
in una iniziazione e in un
esoterismo. Essenzialmente, di
contro al carattere precipuo
dell'esperienza propriamente
mistica si deve mettere in
evidenza il carattere cosciente,
noetico e intellettuale, di chiarezza
sovrarazionale, attribuito alla vera
esperienza iniziatica. (CI pp.
102-104)
Domanda: Quindi non esiste la
catena, quindi attualmente
sarebbe difficile fare questo
trasbordo...
Evola: Veramente, a voler essere
onesti, se legge Meister Eckart
spesso si incontra: "Il mio maestro
mi ha detto...", eccetera. Ciò
presuppone che riceveva da
qualcuno quelle dottrine. (IMM
p.350)
3.1 Iniziazione La distinzione fra l'iniziazione effettiva e Vi è poi una quistione che, a dir
Virtuale ed l'iniziazione virtuale è tanto importante da vero, avremmo dovuto porre
Effettiva indurci a precisarla meglio; a tal riguardo, proprio al principio, dicendo che
faremo rilevare in primo luogo che, tra le l'idéa stessa dell'iniziazione rituale,
condizioni dell'iniziazione enunciate in quale il Guénon l'espone, ci
precedenza, il collegamento ad una sembra cosa assai indebolita.
organizzazione tradizionale regolare Troppo poco è, infatti, una
(collegamento che naturalmente trasmissione di mal individuate
presuppone la qualificazione) è «influenze spirituali », della quale
sufficiente per l'iniziazione virtuale, ci si può perfino non accorgere,
mentre, il lavoro interiore che ne che rende uno un semplice
consegue concerne proprio l'iniziazione «iniziato virtuale» il quale, in
effettiva; insomma, questa è a tutti i suoi concreto, come dicemmo, è
gradi lo sviluppo '' in atto'' delle possibilità esposto ad ogni errore e ad ogni
cui l'iniziazione virtuale dà accesso. deviazione proprio come l'ultimo
Questa iniziazione virtuale è dunque «profano». Per quel che
l'iniziazione intesa nel significato più sappiamo, e per quel che si può
stretto del termine, vale a dire come una '' desumere da tradizioni precise,
entrata '' o un '' principio''; il che, bene comprese quelle dei Misteri
inteso, non significa minimamente che antichi, l'iniziazione reale è invece
essa possa essere considerata come assimilabile ad una specie di
qualche cosa di sufficiente a se stessa, operazione chirurgica, avente per
ma soltanto come il punto di partenza controparte una esperienza
necessario per tutto il resto; quando si è vissuta particolarmente intensa,
entrati in una via, bisogna altresì sforzarsi lasciante - come è detto in un
di seguirla, ed anzi, se è possibile, di testo - «una traccia eterna di
seguirla fino in fondo. Si può riassumere frattura» .(LRI p.174)
tutto in poche parole: entrare nella via è Qui non possiamo non esprimere il
l'iniziazione virtuale; seguire la via è nostro dissenso preciso circa due
l'iniziazione effettiva; disgraziatamente, di punti. L'uno è che anche
fatto, molti restano sulla soglia, non attraverso organizzazioni.
sempre per colpa della loro incapacità nel degradate si potrebbe ottenere
procedere oltre, ma anche, nelle qualcosa di simile ad una vera
condizioni attuali del mondo occidentale iniziazione. La continuità delle
soprattutto, a causa della «influenze spirituali », secondo
degenerescenza di certe organizzazioni noi, è invece illusoria quando non
che, divenute troppo '' speculative '', esistano più rappresentanti degni
come abbiamo spiegato e consapevoli in una . data catena
precedentemente (...), non possono per e la trasmissione sia quasi
tal motivo aiutarli in alcun modo nel divenuta meccanica.
lavoro '' operativo'', fosse pure nei suoi Esiste di fatto 'la possibilità che le
stadi più elementari, e nulla forniscono di influenze veramente' spirituali in
ciò che almeno possa permettere ad essi tali casi si «ritirino», per cui ciò che
di avere il semplice sospetto resta e che si trasmette è solo
dell'esistenza di una qualsiasi '' qualcosa di degradato, un
realizzazione''. Epperò, anche in queste semplice «psichismo» aperto
organizzazioni, si parla è vero ad ogni perfino a forze oscure, per cui
istante di '' lavoro '' iniziatico, o almeno di l'aggregazione alla corrispondente
qualche cosa che si considera tale; ma ci organizzazione, per chi aspiri
si può porre allora legittimamente la davvero verso l'alto, diviene
questione: in qual senso e in qual misura spesso piu un pericolo che non un
ciò corrisponde ancora a qualche realtà? aiuto. Il Guénon sembra non
Per rispondere ad una tale questione, pensarla così, crede che se la
ricorderemo che l' iniziazione è continuità esterioristicamente
essenzialmente una trasmissione, ed rituale si è mantenuta si possa
aggiungeremo che un tal fatto può sempre ottenere ciò che egli
intendersi in due modi differenti:da una chiama 1'«iniziazione virtuale ».
parte, trasmissione di una influenza (LRI p.165)
spirituale,e, d'altra parte, trasmissione di Un'altra considerazione importante
un insegnamento tradizionale. E' la da fare è la seguente. Lo stesso
trasmissione dell'influenza spirituale che Guénon ha messo in luce, in altro
dev'essere soprattutto considerata, non libro, che uno degli aspetti
soltanto perché deve logicamente dell'accennata involuzione è una
precedere ogni insegnamento ( il che è solidificazione, da intendersi sia
troppo evidente quando si comprende la come quella onde la realtà oggi si
necessità del collegamento tradizionale), presenta nelle forme rigide di una
ma anche e principalmente perché materialità disanimata, sia -
proprio questa trasmissione costituisce aggiungeremmo noi - come quella
essenzialmente l'iniziazione in senso che determina una chiusura
stretto, sicché, se non dovesse trattarsi interna dell'individuo umano. Ora,
che di iniziazione virtuale, tutto si deve ritenersi che in tali condizioni
potrebbe insomma limitare a ciò, senza il potere e quindi l'ausilio proprio
nemmeno porsi la questione di alle «influenze sottili» nel campo
aggiungervi ulteriormente un dei riti non solo iniziatici, ma anche
insegnamento qualsiasi. religiosi, sia ,quanto mai ridotto e,
In effetti, l'insegnamento iniziatico non in dati casi, addirittura nullo. In
può essere altro che un aiuto esteriore effetti, bisognerebbe domandarsi,
apportato al lavoro interiore di alla fine, che natura abbiano
realizzazione, alfine di appoggiarlo e queste «influenze spirituali», e se
guidarlo per quanto possibile; donde in chi, in qualità di «iniziato virtuale»,
fondo la sua unica ragion d'essere, ed è le possiede, con ciò sia protetto di
solo in ciò che può consistere il lato fronte ad ogni specie di errori
esteriore e collettivo di un vero ''lavoro'' dottrinali e di deviazioni. In verità,
iniziatico, se si intende realmente conosciamo fin troppi casi di
quest'ultimo nel suo significato legittimo e persone - e non solo di Occidentali
normale. (CVI passim) - che sono a posto quanto a
«regolarità iniziatica» in senso
guénoniano (in prima linea
massoni), ma che mostrano una
tale incomprensione e confusione
circa tutto ciò che è veramente
esoterico e spirituale, da farle
apparire molto al disotto di
persone che non abbiano avuto
quel dono ma abbiano un giusto
intuito e la mente sufficientemente
aperta. Anche qui non si può non
far entrare in linea di conto il
criterio: «Li giudicherò dai frutti» e,
dunque, non ci si debbono fare
illusioni circa quel che, allo stato
attuale, le «influenze» in parola da
sole possono dare. (LRI pp.
167-168)
3.2 Ascesi e ...Vi sono certi ignoranti i quali si Il merito, da riconoscere, della
Iniziazione immaginano che ci 'si inizi' da sé, il ché èconcezione del Guénon è il risalto
in qualche modo una contraddizione dei dato alla difficoltà della
termini; dimenticando, seppur l'hanno mai realizzazione iniziatica nelle
saputo, che la parola initium significa condizioni attuali e il porre un
'entrata' o 'principio' ; essi confondono illimite di contro a certe vedute circa
fatto stesso dell'iniziazione, intesa nel l'«iniziazione individuale» e
senso strettamente etimologico, col l'«autoiniziazione », da alcuni (per
lavoro da compiersi ulteriormente affinché es. dallo Steiner) data addirittura
questa iniziazione, da virtuale nel primo come la sola che l'uomo
momento, divenga più o meno occidentale dovrebbe perseguire.
completamente effettiva. L'iniziazione, Ma non bisogna cadere dall'un
compresa in tal modo, è ciò che tutte le eccesso nell'altro. È verissimo
tradizioni si accordano nel designare che, causa il processo di
come 'seconda nascita'; come un essere involuzione cui l'umanità ha
potrebbe agire da se stesso prima ancora soggiaciuto, certe possibilità di
di essere nato?... non siamo più in realizzazione diretta, presenti nelle
un'Epoca Primordiale, quando tutti gli origini, se non del tutto perdute,
uomini possedevano normalmente e sono almeno divenute
spontaneamente uno stato spirituale che estremamente rare. Ma non si
oggi può dipendere solo da un alto grado deve cadere in un equivalente
di iniziazione...stato spirituale e sviluppodella concezione cristiana,
spirituale che si compiva in essi tanto secondo la quale l'uomo,
naturalmente quanto lo sviluppo irrimediabilmente tarato dal
corporeo. (CVI) peccato originale, nulla potrebbe
da sé nel campo propriamente
A dir il vero, vi sarebbe pertanto, in sovrannaturale - come equivalente
questo stesso dominio religioso cui della «grazia» e dei « sacramenti»
appartiene il misticismo, qualche cosa qui apparendo l'intervento
che, per certi riguardi, potrebbe prestarsi imprescindibile di chi può
meglio ad un avvicinamento o piuttosto trasmettere ritualmente le
ad un'apparenza d'avvicinamento; è ciò «influenze spirituali », base, pel
che si designa col termine di "ascetica", Guénon, di tutto. (LRI p.167)
poichè v'è in essa almeno un metodo Inoltre qui andrebbero esaminate
"attivo", invece dell'assenza di metodo e le relazioni fra ascesi e iniziazione.
della passività che caratterizzano il Nei casi ora accennati questa
misticismo e su cui ritorneremo più relazione è reale, sempreché
innanzi; ma è evidente che queste l'ascesi non sia considerata nelle
similitudini sono puramente esteriori e, sue forme mortificatorie,
d'altra parte questa ascetica non ha forse penitenziali e gravate da elementi
che scopi troppo visibilmente limitati per accessori morali e religiosi.
poter essere vantaggiosamente utilizzata L'ascesi può venire concepita
in tal modo (CVI pp.26-27) come un'azione intrapresa
La parola ascesi definisce propriamente dall'individuo coi propri mezzi, la
uno sforzo metodico per raggiungere un quale può provocare la «discesa»
certo. scopo che, nel caso in questione, è e l'innesto in lui di una forza
di ordine spirituale (IRS.p. 163) Il dall'alto (in questo caso si ha un
termine ascesi, come lo intendiamo noi collegamento che può dirsi
qui, è quello che, nelle lingue occidentali, «verticale» o diretto, a differenza
ha maggiore affinità col sanscrito Tapas. del collegamento «orizzontale»
Il senso primitivo di Tapas è quello di mediato da una catena iniziatica)
"calore "; nel caso in questione si tratta con l'incontro integrante della
evidentemente del fuoco interiore che forza che dal basso va verso l'alto
deve distruggere tutto ciò che nell'essere con quella non individuale e non
è d'ostacolo ad una realizzazione umana dall'alto verso il basso (sul
spirituale. (id., 167) In fondo ogni piano religioso, si parlerebbe
vera ascesi è essenzialmente un dell'innesto della «grazia» - ma
"sacrificio" che, in tutte le tradizioni e qui, fra l'altro, vi è la differenza
sotto qualsiasi forma si presenti, essenziale dovuta al carattere
costituisce l'atto rituale per eccellenza, determinante dell'azione
quello nel quale si riassumono in qualche «ascetica», in quanto essa crea
modo tutte le altre forme. Quello che nell'uomo una qualità come quella
nell'ascesi viene gradualmente del magnete che attira un metallo -
sacrificato, in questo modo, è l'insieme qui, l'influenza trascendente:
delle contingenze di cui l'essere deve questo senso si potrebbe dare, fra
giungere a sbarazzarsi, trattandosi di l'altro, al detto che la porta dei
altrettanti ostacoli che gli impediscono di Cieli può subire violenza). Con tale
innalzarsi ad uno stato superiore. (id., incontro è aperta la via allo
168) sviluppo iniziatico, è realizzata la
Il termine ascetico ha assunto un premessa pel mutamento di stato
significato più ristretto che non ascesi, in per via autonoma. (CI p. 105)
quanto viene applicato quasi Il giudizio originario del Guénon
esclusivamente al dominio religioso (IRS sul buddhismo attestava una
p. 163). stupefacente incomprensione; già
Quando si parla di ascetismo, quello che soppresso nell'edizione inglese di
normalmente doveva ,essere soltanto un Orient et Occident, il Guénon in
mezzo a carattere preparatorio troppo seguito lo ha mutato solo in parte,
spesso viene preso come un vero e perché ha fatto delle concessioni
proprio fine; non crediamo affatto di solo ad un buddhismo
esagerare dicendo che per molti spiriti «brahmanizzato», il che equivale a
religiosi l'ascetismo non ha minimamente dire ad un buddhismo privato di
per scopo la realizzazione effettiva di stati ciò che esso, nelle origini, ebbe di
spirituali, ma ha come unico fine la specifico e di più valido. Questo
speranza in una salvezza che si elemento specifico riguardò una
concreterà solo nelll'altra vita. (IRS p. via di realizzazione in un certo
165) modo autonoma, la situazione in
cui l'azione dell'individuo
qualificato che si svolge verso
l'incondizionato, perfino con la
violenza (lo stesso cristianesimo
conosce la violenza di cui la porta
dei Cieli è suscettibile a subire, e il
detto «voi siete dèi») è la
controparte imprescindibile della
discesa di una forza dall'alto
senza «burocrazie iniziatiche».
(SG)
A tale riguardo si può parlare di
una qualificazione che non rientra
del tutto in quelle indicate dal
Guénon, una qualificazione attiva
creata da una speciale disciplina:
da una speciale preparazione
individuale, che rende atti non solo
ad essere «eletti», ma, in certi
casi, appunto ad imporre l'elezione
e l'iniziazione. Il simbolo di
Giacobbe che lotta contro l'angelo
fino ad imporre che esso lo
benedica, come tanti altri, fino a
quello di Parsifal (in Wol£ram von
Eschenbach) che si apre la via al
Graal «con le armi alla mano»,
cosa «fino ad allora mai udita»,
corrispondono a tale possibilità.
Nei libri del Guénon, purtroppo,
non si trova nulla circa quel che
può essere una disciplina attiva di
preparazione, la quale, in certi
casi, può condurre perfino senza
soluzione di continuità alla stessa
illuminazione (1): allo stesso modo
che il Guénon nulla indica, come
discipline concrete, quanto
all'opera di attualizzazione che
dell'« iniziato virtuale» fa un
iniziato vero e, alla fine, un adepto.
(1) Tale è tipicamente il caso
nell'ascesi del buddhismo delle
origini. Il buddhismo ha anche un
termine tecnico a designare
appunto «coloro che si sono
svegliati da sé» (LRI p.170)
Come si è detto; il dominio del
Guénon è quello della semplice
dottrina, laddove a noi interessa
essenzialmente quello della
pratica. Ma anche in quel dominio
il Guénon, in altra occasione, ha
scritto qualcosa che può creare
disorientamento. Egli riferisce un
insegnamento islàmico, secondo il
quale «chi si presenta ad una
certa "porta" senza esservi
pervenuto per via normale e
legittima vede questa porta
chiudersi dinanzi a lui ed egli è
costretto a tornare indietro,«ma
non come un semplice profano
-cosa ormai impossibile - bensì
come sàhar (stregone o mago in
senso inferiore)». Contro di ciò
bisogna avanzare precise riserve,
dicendo anzitutto che se chi è
giunto a quella « porta» per via
non normale ha una intenzione
retta e pura, questa intenzione
sarà certamente riconosciuta da
chi di dovere e la porta si aprirà,
secondo il principio: «Bussate e vi
sarà aperto ». E qualora la porta
non dovesse aprirsi, ciò - sempre
nel caso accennato - vorrà solo
dire che l'iniziando è posto dinanzi
alla prova di aprirla lui usando
violenza, secondo il principio che
la soglia dei Cieli soffre violenza;
perché, in via generale, è
esattissimo quel che dice Éliphas
Levi, ossia che la conoscenza
iniziatica non la si dona, essa la si
prende, ciò essendo, del resto,
l'essenza di quella qualità attiva
che, entro certi limiti, lo stesso
Guénon riconosce. Volere o non
volere, un certo tratto
«prometeico» ben inteso
apparterrà sempre al tipo piu alto
dell'iniziato.(LRI p.170).

4.Qualificazioni Le prove iniziatiche costituiscono un Però anche per l'iniziazione


e Prove insegnamento dato sotto forma simbolica «regolare» col suo collegamento
Iniziatiche e destinato ad essere meditato «orizzontale» esistono delle
ulteriormente, e contengono in sé un condizioni, in relazione alla
significato che appartiene ad ognuno di qualificazione richiesta
approfondire secondo la misura delle nell'iniziando. Questa
proprie capacità. qualificazione non ha nulla da
Per maggior precisazione, diremo che le vedere con qualità di carattere
prove sono riti preliminari o preparatori profano; cosi può accadere che un
all'iniziazione propriamente detta; esse eminente esponente della cultura,
ne costituiscono il preambolo necessario, uno scienziato o un filosofo
sicché l'iniziazione stessa è come la loro moderno siano meno qualificati
conclusione o il loro scopo immediato. E' per l'iniziazione di una persona
da rilevare che esse rivestono spesso la quasi analfabeta, mentre per quel
forma di ' viaggi simbolici'; non facciamo che riguarda le qualità morali
che notare questo punto di sfuggita, abbiamo già spiegato in che senso
poiché non possiamo pensare a esse possono entrare in quistione
dilungarci qui sul simbolismo del viaggio e avere un valore sul piano
in generale, e diremo soltanto che, sotto iniziatico. In genere, la
questo aspetto, esse si presentano come qualificazione per l'iniziazione
una ''ricerca'' (o meglio una ''questua'' riguarda una speciale situazione
come si diceva nel linguaggio del medio esistenziale e si riferisce ad una
evo) conducente l'essere dalle ''tenebre'' tendenza virtuale
del mondo profano alla luce iniziatica; ma all'autotrascendimento, ad una
anche questa forma, che si comprende in apertura attiva di là dall'umano.
tal modo da sè stessa, non è in qualche Quando essa manca, l'individuo
maniera che accessoria, per quanto non è suscettibile di iniziazione
possa essere appropriata a ciò di cui si perché o l'azione iniziatica non
tratta. In fondo, le prove sono avrebbe effetto, o sarebbe
essenzialmente 'dei riti di purificazione' , pericolosa e distruttiva. Non
ed è in un tal fatto che si trova la vera avrebbe effetto nel caso
spiegazione di questa parola stessa di dell'«iniziazione virtuale », ossia
''prove'', che ha qui un significato quando viene semplicemente
nettamente alchemico, e non quello trasmessa una influenza spirituale
volgare che ha dato luogo agli equivoci come un germe che l'individuo
segnalati precedentemente. deve sviluppare da sé
Si può comprendere ora perché, quando (assumendo subito una parte
le prove rivestono la forma di ''viaggi'' attiva realizzatrice autonoma - il
successivi, questi siano messi che corrisponde ad uno sviluppo
rispettivamente in rapporto con i differenti più o meno articolato fino
elementi della natura; e ci resta soltanto all'adeptato). Essa agirebbe in
da indicare in quale senso, dal punto di modo distruttivo nei casi di una
vista iniziatico, il termine stesso di iniziazione diretta e massiccia da
''purificazione'' debba essere inteso. Si parte di un maestro. Se il potere,
tratta di ricondurre l'essere ad uno stato che viene attribuito ad alcune
di semplicità indifferenziata, personalità, specie in Oriente, di
paragonabile, come abbiamo detto in provocare direttamente l'apertura
precedenza, a quello della materia prima iniziatica della coscienza con l'una
(intesa naturalmente qui in senso o l'altra tecnica, incontrasse una
relativo), alfine che sia atto a ricevere la rigidità nella struttura dell'Io del
vibrazione del Fiat Lux iniziatico; è neofita, l'effetto sarebbe un
necessario che l'influenza spirituale, la cui trauma, una distruzione dell'unità
trasmissione gli darà questa prima della persona. Da qui il senso di
''illuminazione'', non incontri in lui alcun varie prove preliminari iniziatiche,
ostacolo dovuto a ''preformazioni'' talvolta descritte in termini
disarmoniche provenienti dal mondo spettacolari; esse sono sempre
profano; e perciò deve essere ridotto in volte a saggiare la capacità di
primo luogo a questo stato di materia autotrascendimento portando il
prima, il che, se si vuole riflettere un singolo perfino sulle frontiere della
poco, mostra abbastanza chiaramente morte e della pazzia. L'affinità fra
come il processo iniziatico sia la iniziazione e morte è stata sempre
conquista della Luce divina che è l'unica sottolineata. Classiche sono le
essenza di ogni spiritualità. espressioni che a tale riguardo si
La ''seconda nascita'', intesa come trovano in Plutarco e in Porfirio. In
corrispondente alla prima iniziazione, è essenza, la qualificazione
propriamente, come abbiamo detto, ciò iniziatica è quella richiesta per
che può chiamarsi una rigenerazione poter affrontare attivamente e
psichica; ed è infatti nell'ordine psichico, «trionfalmente» già da vivi una
vale a dire nell'ordine in cui si situano le esperienza corrispondente a
modalità sottili dell'essere umano, che quella della morte. Spesso come
debbono effettuarsi le prime fasi dello requisito per l'iniziazione viene
sviluppo iniziatico; ma queste ultime non indicata anche una certa
costituiscono uno scopo in sè stesse e unificazione e armonizzazione
non sono ancora che preparatorie in dell'essere. Viene spiegato che
rapporto alla realizzazione delle quando esistono squilibri e
possibilità di un ordine più elevato, scissioni nell'individuo, essi
vogliamo dire dell'ordine spirituale nel risultano potenziati al contatto con
vero senso di questa parola. II punto del forze trascendenti e invece
processo iniziatico cui abbiamo alluso è dell'integrazione dell'essere
dunque quello che segnerà il passaggio l'effetto può essere la sua
dall'ordine psichico all'ordine spirituale. disgregazione e la rovina. Di
(CVI passim) passata, ciò mette in chiaro
l'errore delle interpretazioni di
quella psicanalisi che ha
«valorizzato» alcuni procedimenti
iniziatici nei termini di equivalenti
della terapia psicanalitica: si
pretende che, in forme
«prescientifiche», le iniziazioni
avrebbero mirato a mettere in
sesto una individualità scissa, un
Io alle prese con l'inconscio, con la
libido e via dicendo. Invece ogni
alta iniziazione richiede come
punto di partenza e come
«qualificazione» l'uomo sano,
unificato e perfettamente
cosciente. L'unica eccezione è
costituita dai casi in cui certe
malattie offrono alcune possibiiità
virtuali di autotrascendimento, e
hanno carattere di malattie solo
perché queste possibilità non
agiscono come tali. Allora le
tecniche iniziatiche le utilizzano
dando loro la giusta direzione e
integrandole nel processo
complessivo. Ciò risulta attestato
nello stesso caso delle iniziazioni
sciamaniche. Ci si può riferire
anche, in parte, a quelle che
nell'antichità furono chiamate le
«malattie sacre» e qui, come
nuovo còmpito, si presenterebbe il
mettere a punto le cose anche nei
riguardi di quelle interpretazioni
psichiatriche «positive» che,
specie nel periodo precedente,
hanno preteso di gettar luce
scientifica su molti fatti delle
antiche iniziazioni, della mistica e
anche della demonologia dando
luogo a gravissimi
disconoscimenti. (CI pp. 105-107)
5.1 Non si opponga a ciò che abbiamo detto Il Guénon ha ragione a non
Iniziazione in il fatto che i "poteri" spontanei potrebbero prender sul serio l'«iniziazione in
"astrale" essere il prodotto di qualche iniziazione astrale» se ha in vista quel che in
e preesistenza ricevuta "in astrale", se anche non proposito, divagando, se ne pensa
addirittura in "esistenze anteriori"; in certi ambienti «occultistici». Ma
dev'essere evidente che, quando anche qui non bisogna mettere
parliamo d'iniziazione, intendiamo parlare nello stesso sacco ciò di cui
unicamente di case serie e non di vedute del genere possono essere
fantasmagorie di gusto equivoco. (CVI p. solo una distorsione. A parte il
203 n.3) fatto che, in qualsiasi caso,
l'iniziazione vera si compie in una
condizione che non è quella della
coscienza desta ordinaria, è
possibile elevarsi attivamente a
stati, in cui i contatti essenziali per
lo sviluppo superindividuale sono
propiziati. Nello stesso esoterismo
islàmico si parla della possibilità di
conseguire lo shath, stato interiore
speciale che fra l'altro rende
eventualmente atti a collegarsi col
Khidr, essere enigmatico in cui
risiede il principio di una
iniziazione diretta, cioè senza
l'intertnediario di una tariqa
(organizzazione) e di una silsila
(catena). Benché concepita come
eccezionale, questa possibilità è
ammessa. L'essenziale, qui, è la
nyyah, cioè l'intenzione giusta, da
non intendersi in senso astratto e
soggettivo, ma altresì come
direzione magica d'efficacia.(LRI
p. 171) Infine il Guénon nega che
una iniziazione possa realizzarsi in
base a quanto è già avvenuto in
precedenti esistenze. Ora,
siccome noi ammettiamo così
poco quanto il Guénon la teoria
reincarnazionistica, se è a questa
che ci si riferisce, siamo
d'accordo. Ma non è che con ciò
resti esclusa quella che si
potrebbe chiamare una speciale
eredità trascendentale in dati
individui, tale da conferire ad essi
una particolare «dignità» quanto
alla possibilità di conseguire per
via diretta il risveglio iniziatico. Nel
buddhismo ciò viene riconosciuto
esplicitamente. L'imagine del
Guénon di una pianta o di un
essere vivente che non nasce,
quando non sia posto un seme
(che sarebbe 1'« inizio»
determinato dall 'iniziazione rituale
dall' esterno) non è valida che
entro certi limiti. Assolutizzandola,
si andrebbe a contradire la veduta
metafisica fondamentale della
non-dualità e,insomma, a riportare
uniformisticamente tutti gli esseri
ad un minimo comun
denominatore. Vi è chi può già
portar in sé il « seme» del
risveglio.(LRI p.173)
5.2 Forme Si possono così intravvedere certe E che ve ne siano, in una certa
extra normali possibilità d'azione dei centri spirituali, misura lo stesso Guénon lo
di contatto anche al di fuori dei mezzi che si possono ammette. I centri spirituali - egli
considerare norma1i, e soprattutto dice - sia pure con modalità
quando le circostanze sono di per se estremamente difficili a definire,
stesse anormali, vogliamo dire in possono ,intervenire di là dalle
condizioni tali da non più permettere l'uso forme della trasmissione regolare,
di vie più dirette e di una regolarità più «sia in favore di individui
apparente. Anche senza parlare di un particolarmente qualificati ma che
intervento immediato del centro supremo, si trovino isolati in un ambiente
che è possibile sempre e dovunque, un ove l'òscuramento sia arrivato ad
qualsiasi centro spirituale può agire al di un punto tale che non vi sussista
fuori della sua zona d'influenza normale, quasi piu nulla di tradizionale e
sia in favore d'individui particolarmente che l'iniziazione non possa esservi
«qualificati», ma che si trovino isolati in ottenuta, sia in vista di uno scopo
un ambiente ove l'oscuramento sia piu generale, ed anche piu
arrivato ad un punto tale che non vi eccezionale, come quello
sussista quasi più nulla di tradiziouale e consistente nel riannodare una
che l'iniziazione non possa esservi catena iniziatica rotta
ottenuta, sia in vista di uno scopo più accidentalmente ». Esistono
generale, ed anche più eccezionale, dunque possibilità non normali di
come quello consistente nel riannodare «contatto» diretto. Ma il Guénon
una «catena» iniziatiea rotta aggiunge: «È essenziale ritenere
accidentalmente. Una talee azione, che, anche se avviene che un
producendosi particolarmente in un individuo apparentemente isolato
periodo o in una civiltà dove la spiritualità pervenga ad una iniziazione reale,
è quasi completamente perduta, e dove, questa iniziazione non potrà mai
per conseguenza, le cose dell'ordine essere spontanea che in
iniziatico sono più nascoste di quanto non apparenza, perché di fatto
lo siano in alcun altro caso, non implicherà sempre il collegamento,
bisognerà meravigliarsi se le sue per un mezzo qualsiasi, , ad una
modalità siano estremamente difficili a catena effettivamente esistente».
definire, tanto più che le condizioni Ora, proprio a tale riguardo
ordinarie di luogo e qualche volta bisogna intendersi, e vedere da
anche.di tempo vi divengono per così dire che parte venga l'iniziat.iva che
inesistenti. Non v'insisteremo dunque determina il contatto. Noi diciamo
ulteriormente: ma è essenziale ritenere contatto perché l'essenziale non è
che, anche se, avviene che un individuo un collegamento «lungo
apparentemente isolato pervenga ad una l'Orizzontale », cioè con una data
iniziazione reale, questa iniziazioue non organizzazione continuatasi
potrà mai essere spontanea che in storicamente, bensì il
apparenza, poichè di fatto implicherà collegamento «sulla verticale»,
sempre il collegamento, per un mezzo cioè, come partecipazione
qualsiasi, ad un centro effettivamente interiore ai principi e agli stati
esistente (6); al di fuori di un tale superindividuali, di cui ogni
collegamento, non può essere in alcun particolare organizzazione di
modo questione di iniziazione. uomini non è che una
(6) Certi misteriosi incidenti della vita di manifestazione sensibile epperò,
Jacob Boehme, ad esempio, non in un certo modo, solo una
possono spiegarsi realmente che in tal esteriorizzazione contingente (l).
modo. Così nei casi in quistione si può
(CVI pp. 98-99) sempre chiedere: È davvero
l'intervento di un centro che ha
determinato l'iniziazione o, al
contrario, è l'iniziativa attiva del
singolo portatosi avanti sino ad un
certo punto che ha provocato
quell'intervento?
(l) Del resto, a proposito dei
Rosacroce il Guénon parla della
collettività di coloro che sono
pervenuti ad un determinato..
stadio, superiore a quello della
comune umanità, che hanno
conseguito lo stesso grado
iniziatico. Per cui, di rigore, non si
dovrebbe parlare non solo di
«società» ma nemmeno di
«organizzazioni ».
In altra occasione il Guénon ha
ricordato che le gerarchie
iniziatiche altro non sono che
quelle dei gradi dell'essere. Tutto
ciò può dunque esser inteso in
senso spirituale e metafisico, e
non personalizzato e
organizzatorio. (LRI p.169)
5.3 Il collegamento di cui si tratta dev'essere Veniamo ad ancora un punto.
Collegamento reale ed effettivo e un cosiddetto Come si è visto, il Guénon esclude
reale e ideale collegamento "ideale", come alcuni si il collegamento «ideale» con una
sono compiaciuti a volte di considerarlo tradizione, perché «ci si può
nella nostra epoca, è interamente vano e collegare solo con ciò che ha una
di nessun effetto. (CVI p. 53) esistenza attuale», intendendo
Coloro che a partire dal XIV secolo furono dire una catena di cui esistano
chiamati i Rosa-Croce in Occidente, e ancora rappresentanti viventi in
che ricevettero diverse denominazioni in una fi1iazione regolare. Senza di
altri tempi e in altri luoghi, (poiché il nome che l'iniziazione sarebbe
ha qui soltanto un valore puramente impossibile e inesistente. Anche
simbolico e deve esso stesso essere qui vi è una curiosa confusione fra
adattato alle circostanze), non formarono l'elemento essenziale e quello
mai una associazione qualsiasi; essi sono contingente e organizzatorio. Che
la collettività degli esseri pervenuti ad uno significa, insomma, «esistenza
stesso stato superiore a quello attuale»? Ogni esoterista sa bene
dell'umanità ordinaria, ad uno stesso che quando un principio metansico
grado di iniziazione effettiva, di cui cessa di avere una manifestazione
abbiamo indicato uno degli aspetti sensibile in dato ambiente o
essenziali, e posseggono così gli stessi periodo, non è che per questo
caratteri interiori, il che è sufficiente per esso sia meno «attuale» ed
riconorscersi fra loro senza aver bisogno esistente: su un altro piano (cosa
di alcun segno esteriore. Per tale motivo, che, del resto, il Guénon piu o
non hanno altro luogo di riunione che '' il meno riconosce). Ora, se per
Tempio dello Spirito Santo, che è collegamento «ideale» s'intende
dovunque '', sicché le sue descrizioni una semplice aspirazione mentale,
date talvolta non possono essere intese si può esser d'accordo col
che simbolicamente; ed è anche per un Guénon; altrimenti stanno però le
motivo simile che restano cose nei riguardi delle possibilità
necessariamente sconosciuti dai profani di una evocazione effettiva e
fra cui vivono, esteriormente simili a loro, diretta sulla base del principio
sebbene in realtà interamente differenti magico delle corrispondenze
da questi ultimi; infatti i loro soli segni analogiche e sintoniche. Insomma,
distintivi sono puramente interiori e non lo stesso Guénon ammette e
possono essere percepiti che da quelli fors'anche più del dovuto - che le
che hanno raggiunto lo stesso sviluppo «influenze spirituali» hanno anche
spirituale; in tal modo, la loro influenza, le loro leggi. Ciò non equivale, in
più legata ad una ''azione di presenza'' fondo, ad ammettere, in via di
che ad un'attività esteriore qualsiasi, si principio, la possibilità di un'azione
esercita per vie totalmente determinante su di esse? Il che
incomprensibili agli uomini comuni. può esser concepito pernno in
Quello che esso rappresenta è ciò che sede collettiva, potendosi creare
può chiamarsi la perfezione dello stato una catena psichica e disporla
umano, poiché il simbolo stesso della così che serva come un corpo
Rosa-Croce figura, per i due elementi da che, in base a «sintonia» e,
cui semplicemente è composto, la appunto, a corrispondenza
reintegrazione dell'essere al centro di «simpatica», attiri una influenza
questo stato e la piena espansione delle spirituale nei termini di una
sue possibilità individuali a partire da «discesa» da un piano, ove le
questo centro; esso designa dunque condizioni di tempo e di spazio
molto esattamente la restaurazione dello non hanno un valore assoluto. La
'' stato primordiale '', o, ed è lo stesso, il cosa può riuscire o non riuscire.
compimento dell'iniziazione in senso Ma non è da escludersi, né da
stretto. confondersi col semplice,
Dopo la distruzione dell'Ordine dei inconsistente «collegamento
Templari, gli iniziati all'esoterismo ideale». (LRI p.172)
cristiano si riorganizzarono, d'accordo
con gli iniziati dell'esoterismo islamico per
mantenere, nella misura del possibile, il
legame apparentemente rotto da questa
distruzione; ma una tale riorganizzazione
dovette farsi in modo più nascosto, in
qualche maniera invisibile, e senza
prendere appoggio in una istituzione
esteriormente conosciuta, che , come tale
avrebbe potuto essere distrutta ancora
una volta. I veri Rosa-Croce furono
propriamente gli ispiratori di questa
riorganizzazione, o se si vuole, furono i
possessori del grado iniziatico di cui
abbiamo parlato, considerati
specialmente in quanto rappresentarono
questa parte che si continuò fino al
momento in cui, in seguito ad altri
avvenimenti storici, il legame tradizionale
considerato fu definitivamente rotto per il
mondo Occidentale, il che si produsse
durante il XVII secolo. E' detto che i Veri
Rosa-Croce si ritirarono in Oriente, vale a
dire, da quel momento, non vi fu più in
Occidente alcuna iniziazione atta a far
raggiungere effettivamente questo grado;
in conseguenza l'azione che vi si era
esercitata fino ad allora, per il
mantenimento dell'insegnamento
tradizionale corrispondente, cessò di
manifestarsi almeno in modi regolare e
normale. (CVI cap. 38°)
I Riti hanno sempre lo scopo di mettere
l'essere umano in rapporto, direttamente
od indirettamente, con qualche cosa che
supera la sua individualità e che
appartiene ad altri stati di esistenza. Non
è necessario in tutti i casi che la
Comunicazione così stabilita sia
cosciente per essere reale, poiché si
opera abitualmente mediante certe
modalità sottili dell'individuo, modalità in
cui la maggioranza degli uomini è
attualmente incapace di trasferire il centro
della propria coscienza.
Ad ogni modo, sia l'effetto apparente o
no, sia immediato o differito, il Rito porta
sempre in se stesso la sua efficacia, a
condizione beninteso, che sia compiuto in
conformità alle regole tradizionali che ne
assicurano la validità, e al di fuori delle
quali , non sarebbe più che una forma
vuota ed un vano simulacro. Questa
Efficacia non ha niente di ''meraviglioso'',
né di ''magico'', come talora pensano e
dicono alcuni con una palese intenzione
di denigrazione e di negazione, poiché
risulta semplicemente dalle leggi
nettamente definite secondo cui agiscono
le Influenze Spirituali, leggi di cui la
Tecnica Rituale non è insomma che
l'applicazione e la messa in opera (N.d.T.
: un po'' come accade nella Tecnica
dell'Ipnosi Medica ove la semplice lettura
del manuale da parte del Medico,
ritmando e modulando opportunamente
la voce, induce lo stato di coscienza
particolare denominato 'stato ipnotico').
E' dunque un errore grave usare, come
abbiamo spesso visto fare da uno
scrittore massonico francese,
apparentemente molto soddisfatto di
questa " trovata" piuttosto disgraziata,
1'espressione di "giocare al rituale"
parlando dell'adempimento dei riti
iniziatici da parte di individui che ne
ignorano il senso e che non cercano
nemmeno di penetrarlo; una tale
espressione non può convenire che nel
caso di profani i quali simulassero i riti,
non avendo qualità per adempierli
validamente; ma, in un'organizzazione
iniziatica regolare, per quanto degenerata
possa essere in riguardo alla qualità dei
suoi membri attuali, il rituale non è
qualche cosa con cui si giochi; è e resta
sempre una cosa seria e realmente
efficace, seppure all'insaputa di coloro
che vi partecipano.
Un altro punto di importanza capitale è il
seguente: l'iniziazione, a qualsiasi grado,
rappresenta per l'essere che l'ha ricevuta,
un'acquisizione permanente, uno stato
che, virtualmente od effettivamente, egli
ha raggiunto una volta per sempre, e che
ormai nulla può togliergli.
Il Legame stabilito dal carattere iniziatico
non dipende affatto da contingenze quali
possono essere quelle di una dimissione
o di una esclusione, che sono
semplicemente d'ordine ''amministrativo'',
come già detto, e non toccano che le
relazioni esteriori; se nell'ordine profano
tutto si riduce a queste relazioni, per cui
un'associazione non può dare altro ai
suoi membri, queste stesse relazioni
esteriori non sono invece nell'ordine
iniziatico che un mezzo del tutto
accessorio e non necessario,
relativamente alle realtà interiori che
soltanto interessano in verità.
Per prendere, come applicazione di
quanto abbiamo detto in ultimo, l'esempio
più semplice , in riguardo alle
organizzazioni iniziatiche, è del tutto
inesatto parlare di un ''ex-Massone'',
come si fa comunemente; un Massone
dimissionario od anche escluso non fa più
parte di una Loggia né di una
Obbedienza, ma non per tal motivo è
meno Massone; lo voglia o no, nulla
cambia. Prova ne sia che , se in seguito
viene reintegrato non lo si inizia
nuovamente, e non lo si fa ripassare per i
gradi già ricevuti. Così l'espressione
inglese di unattached Mason è la sola
che si addica correttamente a casi simili.
...In un tal fatto risiede la confusione,
veramente strana per chi abbia pretese
più o meno confessate di servire da
'guida' ad altri in un dominio dove sono
precisamente i riti ad avere una parte
essenziale e della più grande importanza,
essendo ' veicoli' indispensabili delle
influenze spirituali senza le quali non può
essere questione del minimo contatto
effettivo con realtà di ordine superiore,
ma solamente d'aspirazioni vaghe ed
inconsistenti, d' ''idealismo'' nebuloso e di
speculazioni nel vuoto.
Il Rito comporta in sé stesso sempre,
relativamente alla sua essenza, un
elemento 'non umano'.
Colui che adempie un rito, se ha
raggiunto un certo grado di conoscenza
effettiva, può e deve anche avere
coscienza che vi è qualche cosa che lo
supera, che non dipende in alcun modo
dalla sua iniziativa individuale. (CVI
passim.)
6. Conoscenza Ogni organizzazione iniziatica è altresì Nell'esoterismo non si tratta di
Iniziatica e "inafferrabile" dal punto di vista del suo conoscenze che siano state
Segreto segreto, quest'ultimo essendo tale per monopolizzate e tenute segrete in
iniziatico natura e non per convenzione, e non modo artificiale bensi di verità che
potendo per conseguenza in alcun caso risultano evidenti solamente a un
essere penetrato dai profani,..., poiché il livello della coscienza diverso da
vero segreto iniziatico non è altro che quello dell'uomo comune, del
l'incomunicabile, e l'iniziazione sola può profano e anche del semplice
dare accesso alla sua conoscenza. credente. (CI p. 108)
Valuteremo ora , parlando dei diversi Nel mondo moderno fuor dallo
generi di segreti di ordine più o meno «spiritualismo» di tipo teosofista,
esteriore che possono esistere in certe antroposofico, neo-mistico e simili,
organizzazioni iniziatiche, del segreto la tendenza verso il
riferito ai nomi dei costituenti tali sovrannaturale ha agito in alcune
organizzazioni. A prima vista può correnti aventi un carattere che si
sembrare che sia da classificare fra le può chiamare iniziatico e magico.
semplici misure precauzionali destinate a Anche in questo campo non sono
garantirsi contro i pericoli che possono mancate deviazioni, specie
provenire da un nemico qualsiasi. In quando vi si è associato
realtà in questo segreto coesistono l'atteggiamento «occultistico »,
ragioni ben più profonde. Questo segreto, ossia il gusto del parlare oscuro,
come vedremo, in realtà riveste un del pronunciarsi ex cathedra e ex
carattere veramente simbolico. tripode con un ostentato tono di
L'interesse moderno di voler insistere su mistero e d'autorità, dicendo le
questo punto è accresciuto dal fatto che cose a metà tanto da dare ad
la curiosità dei nomi è una delle intendere che si «sa», mentre
manifestazioni più ordinarie nella gran parte dei casi non si sa
dell'individualismo moderno, e che, nulla e si mira solo a crearsi,
quando pretende di applicarsi alle cose dinanzi agli ingenui, l'aureola di
del dominio iniziatico, testimonia di un «Maestri» possessori di chi sa
grave disconoscimento della realtà di quali tremendi arcani. Se si deve
quest'ordine e di una deprecabile ammettere che certi insegnamenti,
tendenza a volerle ridurre al livello delle è bene non spiattellarli dinanzi a
contingenze profane. chi non ha la capacità di
Il cosiddetto 'storicismo' dei nostri comprenderli ma solo quella di
contemporanei è insoddisfatto se non travisarli, questo necessario e
attribuisce nomi propri ad ogni cosa, vale sano riserbo (peraltro già adottato
a dire se non li attribuisce ad individualità da analoghe scuole dei tempi
umane determinate, secondo la passati) è lungi dall'avere a che
concezione più ristretta possibile, quella fare con lo stile «occultistico» ora
che ha corso nella vita profana e non accennato, di cui purtroppo non
tiene conto che della sola modalità sono esenti, ad esempio, alcuni
corporea. Tuttavia, il fatto che l'origine ambienti di ermetisti francesi. È
delle organizzazioni iniziatiche non può bene rispondere alla obiezione,
mai essere riferita a tali individualità che il «segreto» è necessario data
dovrebbe già far riflettere a tal riguardo; la pericolosità di alcuni
e, quando si tratta delle organizzazioni insegnamenti riguardanti la
dell'ordine più profondo, i loro stessi pratica. Ebbene, vi è da dire che in
membri non possono essere identificati, tali casi esiste quasi sempre una
non perché si dissimulino, il che, per «autoprotezione», nel senso che
quante precauzioni si possano prendere, chi non ha una certa
non può essere sempre efficace, ma qualificazione, con tali pratiche
perché, a stretto rigor di termini, non sono realizzerà un bel niente, mentre
''personaggi'' nel senso che vorrebbero gli chi la ha e viene ben indirizzato si
storici; chiunque credesse dunque di trova già in grado di affrontare.
poterli nominare sarebbe inevitabilmente eventuali pericoli.(CIAM pp.
e proprio per tal motivo in errore. 187-188)
Quando l'essere passa ai ''grandi misteri'',
vale a dire alla realizzazione di stati
sopra-individuali, passa per tale motivo
oltre il nome e la forma, poiché, come
insegna la dottrina indù, questi ultimi
(nama-rupa) sono le espressioni
rispettive dell'essenza e della sostanza
dell'individualità. Un tal essere in vero
non ha dunque più nome, trattandosi di
una limitazione di cui egli si è ora liberato;
occorrendo, egli potrà prendere un nome
qualsiasi per manifestarsi nel dominio
individuale, ma questo nome non lo
toccherà in alcun modo e gli sarà
''accidentale'' al pari di un semplice abito
che si può lasciare o cambiare a volontà.
Questa è la spiegazione di quanto
dicevamo in precedenza: allorché si tratta
di organizzazioni di quest'ordine, i loro
membri non hanno nome, e d'altronde
neppure esse stesse ne hanno; in tali
condizioni, da che cosa può ancora
essere suscitata la curiosità profana? Se
anche le capita di scoprire dei nomi,
questi ultimi non avranno che un valore
del tutto convenzionale. (CVI passim)

Janus: Ringrazio Abraxa per la tabella in questione, che ritengo molto utile per ribadire come,
da un confronto, diretto, emerga un'essenziale complementarietà di visione. Naturalmente si
evidenziano ancor di più le differenze prodotte, come già spiegato in precedenza, da una
diversa ottica, che è di Dottrina per il Guènon e di Metodo per Evola (1).

(1) Un metodo che deriva da una dottrina non la contraddice ad ogni piè sospinto. Se lo fa è
perchè deriva da un'opposta dottrina. Ma per decidere, in via definitiva, se tra la posizione di
Evola e quella di Guenon vi sia complementarità, come sostiene Janus, ovvero opposizione,
lasciamo la parola ad Evola stesso [n.d.u]
1c) Evola

Il Fondo Personale e le Prime Esperienze

(dalla sua Autobiografia "Il Cammino del Cinabro")

Per fornire una guida attraverso i miei scritti il meglio è, pertanto, dire succintamente della loro
genesi, delle loro premesse e delle intenzioni avute stendendoli. Se dei cenni autobiografici non
potranno essere evitati, essi saranno però ridotti al minimo indispensabile e serviranno piu che
altro a spiegare quel che nei miei libri ha un carattere non rilevante... Ciò premesso, quanto a
equazione personale due disposizioni sembrano caratterizzare la mia natura. La prima è stata
un impulso alla trascendenza, impulso manifestatosi fin dalla primissima gioventù. Come
conseguenza da tempo mi è stato proprio un certo distacco dall'umano. Vi è chi ha ritenuto
procedere, tale posizione, da un residuale ricordo prenatale. È anche il sentimento che io ho
avuto. Solo dopo che ebbi lasciato dietro di me il piano delle esperienze estetiche e filosofiche
l'impulso ora accennato si manifestò nella sua forma autentica. Ma già prima era accaduto che
qualcuno, che in cose del genere aveva una competenza specifica, fosse sorpreso nel rilevare
in me, sia pure in germe, in relazione a ciò, l'orientamento che generalmente deriva non da
teorie, ma dal mutamento di stato causato da certe operazioni a cui in prosieguo avrò spesso da
accennare. Cosi potrei parlare di una linea preesistente, o celata eredità, che ner corso della
mia esistenza è stata ravvivata da varie influenze. Da ciò deriva la sostanziale autonomia del
mio sviluppo. È probabile che ad un dato momento due personalità labbiano esercitato su di me
una insensibile ma reale azione risvegliatrice. Ma già il fatto che io ne abbia avuto il sospetto
solo a distanza di anni, dimostra che non si trattò di un innesto estrinseco. Il naturale distacco
dall'umano nei riguardi di molto di ciò che, specie nel campo affettivo, viene solitamente
considerato come normale, si manifestò in me in età giovanissima, direi anzi soprattutto in essa.
Come aspetto negativo, dovunque questa disposizione si è manifestata ibridamente,
impegnando la mia semplice individualità, essa ha ingenerato una certa insensibilità e
freddezza d'animo. Però nel campo che più importa è stata essa a rendermi possibile il
riconoscimento diretto di valori non condizionati, esulanti del tutto dal modo di vedere e di
sentire dei miei contemporanei. La seconda disposizione la si potrebbe chiamare - ad usare un
termine indù - da kshatriya. La parola in India ha designato un tipo umano incline all'azione e
all'affermàzione, «guerriero» in senso lato, opposto a quello religioso-sacerdotale o
contemplativo del brahmana. Anche questo è stato un mio orientamento, benché solo a poco a
poco esso si precisò nel modo giusto. Esso potrebbe derivare da una seconda, nascosta
eredità, o oscuro ricordo. In un primo periodo della mia vita questa disposizione si manifestò in
una forma grezza, portando ad una non equilibrata affermazione dell'Io, con la controparte
speculativa della dottrina della potenza e dell'autarchia da me formulata. Ma essa è stata anche
la base esistenziale che, malgrado il loro anacronismo, mi ha fatto sentire come assolutamente
evidenti valori e realtà di un diverso mondo, del mondo di una civiltà gerarchica, aristocratica e
feudale. È stata anche la base esistenziale per la mia critica immanente all'idealismo
trascendentale e pel suo superamento in una teoria dell'Individuo Assoluto. Infine, come
disposizione generale mentale, debbo ad essa l'impulso a posizioni nette, senza compromessi,
una specie di intrepidezza intellettuale esprimentesi, a parte le estrinsecazioni polemiche, in
coerenza e rigore logico. Come è evidente, vi era una certa antitesi fra le due predisposizioni.
Mentre l'impulso alla trascendenza ingenerava un senso di estraneità per la realtà e - in
gioventù - quasi il desiderio di una liberazione o evasione non esente da sfaldamenti mistici, la
disposizione da kshatriya mi portava all'azione, all'affermazione libera centrata sull'Io. Può darsi
che il contemperare le due tendenze sia stato il compito esistenziale fondamentale di tutta la
mia vita. Assolverlo, ed evitare, anche, un tracollo, mi è stato possibile nel punto in cui giunsi ad
assumere l'essenza dell'uno e dell'altro impulso su di un piano superiore. Nel campo delle idee,
la loro sintesi sta alla base della formulazione precipua da me data, nell'ultimo periodo
della mia attività, al «tradizionalismo », in opposto a quella, piu intellettualistica e
orientaleggiante, della corrente facente capo a René Guénon.
II

L'Iniziazione secondo il M° Giuliano Kremmerz

Abraxa: L'iniziazione è, per la sua complessità, uno di quei concetti sui quali si sono
maggiormente "arrovellate" e si arrovellano le menti di molti studiosi contemporanei della
tradizione. Questo concetto va studiato in sé stesso e, successivamente, in relazione ad altri
termini, indicanti anch'essi un ascenso spirituale, cioè ad es. termini come ascesi e misticismo.
Cominciamo dal concetto di iniziazione considerato in sé stesso. Nell'ambito dell'Italica Schola,
esso fu formulato con grande chiarezza dal maestro Giuliano Kremmerz. Egli dice:
"L'INIZIAZIONE nella pratica è il complesso di tutte le operazioni che un maestro perfetto può
fare su un discepolo per concedergli, conferire, confermare e sviluppare le virtù ascose nel suo
organismo di uomo volgare (La Scienza dei Magi 1° v. pp. 140-141). "L'iniziazione era l'atto di
penetrare nel tempio ricevendo da un sacerdote provetto il 'seme che deve fruttificare'- perciò
anche nel linguaggio moderno si dice INIZIATO chi è entrato nella conoscenza dei misteri, e
adepto chi è riuscito a realizzare" (1° v. p. 249).
L'iniziazione può essere classificata in base a vari criteri. Ad es., in base al modo di attuarla, si
distingue l'iniziazione diretta dall'iniziazione per conferimento e dall'iniziazione per riti (l° v. p.
249):
- "L'INIZIAZIONE DIRETTA è la comunione che un Maestro fa di sé stesso direttamente a un
discepolo o Beniamino - ed in questo caso è una vera dedizione del maestro al discepolo.
Questa avviene nel solo caso di un mandato extraumano, diversamente nessun maestro si
dona".
- "L'INIZIAZIONE PER CONFERIMENTO è quella delle Società costituite visibilmente: gerarchia
di gradi, quindi, e potere di iniziazione conferito da un Maestro a seggi di praticanti". Con
l'espressione "seggi di praticanti" hanno da intendersi quindi ad es. società come il Grande
Oriente Egiziano.
- L'INIZIAZIONE PER RITI fu quella prescelta dal Kremmerz (si vedano il 'rito di Novembre' e il
'rito di Marzo') per fondare in Italia una scuola di magia (la Miriam). Come dice l'espressione,
essa consiste nell'assegnare ai neofiti dei riti da attuare. Su questa iniziazione Kremmerz si
esprime così: "II Maestro che la dà, dev'essere in grado di sentire il suo discepolo che è entrato
nella zona di purificazione, dovunque si trovi, e mettersi in determinati momenti in rapporto con
esso o assegnare ad esso un suo sostituto nella zona extra-umana"; e aggiunge: "E' una
'iniziazione virtuale', perché per se stessa non vale che a spingere il presunto neofito a
traversare la corrente astrale umana e tentare di afferrare la mano o la parola del maestro che
aspetta i vincitori della lotta col serpente, fuori la corrente della terra. Di là comincia la vera
iniziazione ai misteri della natura intelligente". Ovviamente anche l'iniziazione diretta e quella
per conferimento comportano dei riti iniziatici, più o meno semplici o complessi a seconda dei
casi. L'iniziazione per riti si distingue dalle prime due, perchè in tal caso il rito viene eseguito
integralmente dall'iniziando, senza il concorso del maestro, che si limita a fornire il rito.
Considerando invece, come criterio di classificazione, il metodo usato per trasformare l'iniziato
in adepto, si distingue l'iniziazione isiaca da quella osiridea (3° v. p. 231):
- INIZIAZIONE ISIACA (ad es. quella della confraternita di Miriam) "così detta da Iside o dalla
Luna: consiste nel mettere il proprio interiore in istato recipiendario, in modo da ricevere le
impressioni delle forze esteriori. Questo è il metodo più lungo ma più facile. Con questo si
diventa Maestro Isiaco".
- INIZIAZIONE OSIRIDEA (ad es. quella del Grande Oriente Egiziano) - "così detta da Osiride,
ossia dal Sole, generatore per eccellenza, datore a tutto l'universo di forza attiva. L'iniziazione
osiridea o solare è quella che mette il praticante nella possibilità di esteriorizzare la sua forza.
Questa iniziazione è più rapida, ma è difficilissima. Chi arriva diventa Maestro Osirideo".

Janus: Ringrazio Abraxa, per averci riportato le preziose precisazioni del maestro Kremmerz,
che testimoniano, quanto sia poliedrico l'argomento trattato, che va, quindi, sentito, visto ed
esplicitato nella sua unità organica.

Turba Philosophorum: Come altri esempi di "Iniziazione per Conferimento", possono citarsi
quelli delle logge massoniche aventi finalità iniziatiche e quello di ordini cavallereschi aventi
analoghe finalità. Se un maestro guida una società iniziatica piuttosto vasta, spesso conferisce
ad iniziati di livello intermedio la facoltà di iniziare i neofiti in sua vece. Un iniziato intermedio al
quale sia stato dato il potere di iniziare può esser detto, in latino, "promagister" (upaguru in
sanscrito). E' da evidenziarsi come Guenon, che come è noto vantava una iniziazione islamica,
non abbia mai ricevuto, dal suo maestro, la facoltà di trasmettere e pertanto, nonostante le sue
pretese di infallibilità, egli non può essere considerato neppure un upaguru.

III
L'Iniziazione Politeista

Si ricorderà come Evola, pur pubblicando, in Introduzione alla Magia, il saggio di Ekatlos "La
Grande orma: la scena e le quinte", manifestasse qualche perplessità per quell'orientamento,
che pur sembrava voler far rinascere, in qualche modo, la Tradizione Romana. Se non era
completamento d'accordo neppure con l'atteggiamento di Ekatlos, si può ben capire perchè, a
maggior ragione, prese ufficialmente le distanze da quel tipo di neo-paganesimo, che si stava
imponendo a quel'epoca, soprattutto in Germania. Lo fece nel n.2/1936 della rivista
"Bibliografia fascista", in un saggio intitolato L'equivoco del 'nuovo paganesimo'. Tale scritto
non è solo di interesse storico, ma ha anche una certa attualità, visto che una rinascita del
paganesimo può constatarsi in tutta Europa, ma che, oggi come allora, buona parte di esso non
è condivisibile, non possedendo delle effettive basi metafisiche. L'atteggiamento religioso,
pagano o cristiano che sia, si limita a propiziarsi il Dio Personale (Giove, Geova) e la sua corte:
poco conta che i membri di questa corte li si chiami dei o angeli. L'esoterismo europeo ha fatto
uso sia delle divinità greco-romane (e di quelle di altri pantheon pre-cristiani), sia delle gerarchie
angeliche cristiane, ma lo ha fatto a scopo evocatorio, coniscitivo e dominativo, mai per adorarli
(si veda quanto abbiamo già detto sull'argomento dell'Evocazione Dinamica, in alcuni messaggi
del forum). Inutile dire che, oltre alla via evocatoria, l'esoterismo europeo conosce anche altre
vie.
3a) Julius Evola

L'equivoco del 'nuovo paganesimo'

Recentemente a Vienna, in occasione di una intervista, un giornalista, cui era noto come noi già
molti anni fa in Italia avemmo a difendere un "Imperialismo Pagano", ci disse che ormai la
nostra ora, in un altro paese almeno, poteva dirsi venuta. Egli alludeva naturalmente alla
Germania, alle correnti più o meno affiancate al nazismo, intese a creare un nuovo spirito
religioso germanico e non-cristiano. Noi rispondemmo che il tempo, piuttosto, ci sembra venuto,
in cui ci troviamo quasi costretti a dichiararci, se non cristiani, almeno cattolici.
In realtà, quello del "nuovo paganesimo" d'oltralpe è un grosso equivoco, chiarire il quale non
può non offrire dell'interesse, sia per la cosa in sè, che, in una certa misura, appunto per un
fatto personale di chi scrive. Noi infatti avemmo ad indicare il valore che la ripresa di alcune
nostre grandi tradizioni precristane potrebbe avere per una ricostruzione in senso eroico,
imperiale ed integralmente "romano" della nostra civiltà occidentale: ed oggi siamo ben lungi dal
pensare diversamente che nel 1928, quando fra una certa sensazione uscí un nostro libro
recante appunto il titolo Imperialismo Pagano. Senonché fra le idee da noi riprese, e ciò che
viene oggi affermato in Germania come "nuovo paganesimo", esiste non solo una differenza,
ma anche un'antitesi. Per cui - notiamolo di passata, e non senza riferimento alle dicerie di
qualche interessato - se è vero che certe nostre opere trovano ora in Germania una risonanza
maggiore che in Italia, altrettanto vero è però che una tale risonanza si riferisce assenzialmente
ad ambienti dell'antica Germania conservatrice e per nulla alle nuove correnti pagane, con le
quali insomma non abbiamo nessun rapporto, e con lo stesso fronte semi-ufficiale di Alfred
Rosenberg.
Il Rosenberg tanto interesse dimostrava per noi quando credeva, per sentito dire e per
l'equivoco, appunto, del termine generico "pagano", che fossimo sulla sua stessa linea,
altrettanta frigidità sembra dimostrare ora che è venuto propriamente a conoscenza dei nostri
veri punti di vista. I quali, se possono avere un'azione in Germania, è quella di mostrare la
deformazione che molte idee, suscettibili di un significato superiore, hanno subíto in una
adattazione avente per mira scopi puramente empirici e tendenziosamente politici.
Ma vediamo ora in che consiste propriamente ed oggettivamente l'equivoco del neopaganesimo
nordico e proponiamoci di esaminare la quistione nel modo più impersonale: chiediamo venia a
coloro che forse perferirebbero vederci usare le parole d'ordine oggi, a tale riguardo, più d'uso
fra noi, ma ormai più o meno note a tutti.
Il primo punto da fissare è che la scelta del termine "pagano" per designare in genere visioni del
mondo e tradizioni estranee ai quadri del cristianesimo è tutt'altro che felice, onde noi stessi ci
rammarichiamo di aver precedentemente usato questa espressione. Paganus, infatti, è un
termine essenzialmente dispregiativo se non ingiurioso, adoperato ad uso polemico dalla prima
apologetica cristiana. Senonché non solo come termine, cioè come parola, bensí anche come
contenuto e come concetto esiste un "paganesimo", che è una escogitazione polemica e che
trova ben poco riscontro nel mondo pre-cristiano e non-cristiano quale veramente fu,
prescindendo da periodi di palese decadenza. Per affermare e glorificare la nuova fede, una
certa apologetica cristiana procedette ad una deformazione e ad una svalutazione spesso
sistematica di quasi tutte le dottrine e le tradizioni precedenti, alle quali poi si fece corrispondere
la designazione complessiva e dispregiativa di "paganesimo".
Orbene, noi ci troviamo di fronte più o meno al seguente paradosso: un tale "paganesimo" mai
esistito, generato polemicamente dell'apologetica cristiana militante, minaccia proprio oggi di
esistere per la prima volta, appunto per opera dei neopagani e degli anticristiani della nuova
Germania.
Quali sono i tratti principali della visione pagana della vita, così come detta apologetica l'ha
supposta e l'ha diffusa? Anzitutto: naturalismo. La visione pagana della vita avrebbe ignorato
ogni trascendenza. Essa sarebbe rimasta in una promiscuità fra spirito e natura. Il suo limite,
sarebbe stato una mistica delle forze naturali (é la vecchia storia della "Selva" opposta al
"Tempio") e una divinificazione superstiziosa delle energie delle razze, allevate da altrettanti
idoli. Da cui, in primo luogo, un particolarismo e un politeismo condizionato dalla terra e dal
sangue. In secondo luogo, l'assenza del concetto di personalità e di libertà, uno stato di
innocenza, che è semplicamente quello proprio agli esseri di natura, a coloro che ancora non si
sono destati a nessuna aspirazione veramente sovranaturale. Di contro al determinismo e al
naturalismo "pagano" sorge per la prima volta col cristianesimo un mondo della libertà
sovramondana, cioè della grazia e della personalità; un ideale "cattolico", vale a dire,
etimologicamente, universale; un sano dualismo, che permette la subordinazione della natura
ad un ordine superiore, ad una legge dall'alto.
Questi sono i tratti principali, schematici, della concezione più corrente del paganesimo. Tutto
quel che essa presenta di inesatto e di unilaterale, vi è appena bisogno di farlo rilevare a
chiunque abbia, in fatto di storia delle civiltà e delle religioni, una conoscenza diretta anche
soltanto elementare: e del resto già nei quadri della prima patristica - in un Origene, in un
Clemente Alessandrino, in un Giustino, ecc. - assai spesso si dette prova di una comprensione
assai maggiore dei principi e dei simboli della precendente civiltà. Qui non possiamo mettere in
risalto che qualche punto.
Anzitutto, ciò che caratterizzò il mondo non-cristiano in tutte le sue forme superiori, non fu una
divinificazione superstiziosa della natura, bensì una comprensione simbolica di essa, per via
della quale ogni fenomeno ed ogni azione apparì come la manifestazione sensibile di un mondo
sovrasensible: la concezione "pagana" dell'uomo e del mondo abbe essenzialmente carattere
simbolico-sacrale. In secondo luogo, il modo "pagano" di vita non fu per nulla una naturalistica
licenza: nelle forme originarie e di alta tensione dell'antica Roma, dell'antica Ellade, delle
antiche civiltà indogermaniche, d'Oriente, ecc., non vi fu aspetto della vita, sia individuale che
collettiva, che non fosse accompagnata, sorretta e animata da un rito corrispondente, cioè da
una azione e da una intenzione spirituale concepite come oggettivamente efficaci. In terzo
luogo, il mondo "pagano" conobbe già un sano dualismo: esso si ritrova non solo in grandi
concezioni speculative - limitiamoci a nominare un Platone e un Çankara - ma altresì in visioni
religiose generali, come quella antigonistica a tutti nota degli Indoeuropei dell'antico Iran, come
l'opposizione ellenica fra le "due nature", come quella fra mondo degli Asen e mondo
elementare degli antichi Nordici, o quella fra "via solare" e "degli Dei" e "via della terra", fra "vita"
e "liberazione della vita" degli antichi indú, e via dicendo, in connessione a ciò, l'aspirazione ad
una libertà sovrannaturale, cioè ad un compimento metafisico della personalità, fu comune a
tutte le grandi civiltà precristiane, le quali conobbero tutte una "iniziazione" e celebrarono i loro
"misteri".
L'innocenza naturalistica pagana è una tale favola, che essa non si ritrova nemmeno fra i
selvaggi: quella forma che, per alcuni, sarebbe il suo limite, cioè l'ideale classico, non sta al di
qua, ma al di là del dualismo fra spirito e corpo essendo l'ideale di uno spirito resosi così
dominante, da plasmare interamente il corpo e l'anima a sua imagine, in perfetta
corrispondenza di contenente e contenuto.
In quarto luogo, un'aspirazione universalistica è da constatarsi dovunque, nel mondo "pagano",
nel ciclo ascendente di una razza superiore, si manifestò una vocazione all'impero: e una tale
vocazione spesso fu anche metafisicamente potenziata e apparve come una naturale
conseguenza dell'estensione dell'antica concezione sacrale dello Stato e come la forma propria
in cui tende a manifestarsi una presenza vittoriosa del sovra-mondo nel mondo. A tale riguardo
potremmo ricordare l'antica concezione iranica dell'impero quale "corpo" del "Dio di Luce", la
tradizione indo-aria del "Signore Universale" o "çakravarti", e così via, fino a giungere alla teoria
"solare" del tardo impero romano, il quale ebbe un contenuto rituale e sacrale nel culto
imperiale, che si pose non come la negazione, bensí come la culminazione gerarchia
unificatrice di un pantheon, cioè di una serie di culti condizionati della terra e dal sangue. E per
moltiplicare rettificazioni del genere, senza un'ombra di tendenziosità vi sarebbe solo
l'imbarazzo della scelta.
Colui che si rendesse ben conto di tutto ciò, e riconoscesse che è una pessima tattica difendere
la propria tradizione discreditando quella degli altri, avrebbe facile modo di vedere la via per
superare ogni unilateralezza dettata da spirito di parte, per dare ad ognuno il suo, per separare
il positivo dal negativo, e dal contingente nelle varie forme storiche, ma soprattutto per venire ad
una visione più completa, ad un punto di vista veramente universale, tale che ad esso possa
davvero applicarsi l'assioma "cattolico" quod ubique, quod ab omnibus et quod semper. Si
potrebbe cioè enucleare un corpo di principi, da dirsi "tradizionali" in senso eminente, perché
essi apparirebbero, in fondo, anteriori e superiori - metafisicamente - a qualsiasi particolare di
queste tradizioni o religioni. È su questo piano, e senza la minima animosità, con la fermezza,
invece, che proviene dalla giusta visione, che si potrebbe poi anche procedere ad una revisione
dei valori, sia nel senso di limitare o gerarchicamente subordinare la validità di alcune
concezioni particolari, specificatamente ebraiche, del cristianesimo, sia nel senso di riportare
alla loro giusta luce molti aspetti dimenticati di grandi tradizioni di un passato più remoto,
anteriore al cristianesimo, per saggiare quali fra di essi, senza anacronismi, potrebbero
eventualmente ancora oggi venir chiamati a vita e agire in modo creativo, non contro la Chiesa
e il Cristianesimo, ma, se mai, di là dall'una e dall'altro, in una determinata èlite. Orbene,
assolutamenta nulla di simile è da ritrovarsi nel neo-paganesimo germanico. Anzitutto, come
dicevamo, e quasi cadendo in una trappola appositamente preparata, i neopagani finiscono col
professare e difendre dottrine riducentesi più o meno al paganesimo fittizio, naturalistico, privo
di luce, privo di trascendenza, vincolato dal sangue, pervaso da un misticismo sospetto, creato
polemicamente proprio dalla dialettica dei loro avversari. Ma, come se ciò non bastasse, si
ripete quell'opera partigiana di tacitamento degli aspetti superiori, di risalto degli aspetti
contingenti o deteriori del cristianesimo e del cattolicesimo, che già era stata esercitata sul
"paganesimo" vero, e, infine, si mette mano a sinistre concezioni di tipo prettamente moderno,
illuministico e razionalistico, che già erano scese in campo contro la Chiesa e il cristanesimo
sotto il segno - miracolo dei miracoli - del liberalismo, della socialdemocrazia e della
massoneria.
Infatti, null'altro che questo può ravvisarsi, quando il nuovo paganesimo si dà all'esaltazione
dell'immanenza, della "vita" e della "natura" creando una nuova superstiziosa religione che è nel
più stridente contrasto con ogni superiore ideale "olimpico" delle antiche civiltà d'Oriente e
d'Occidente e andando ad accusare in ogni dualismo ascetico un prodotto di degenerescenza
antiariana inoculalto dalla razza levantina; quando nega ogni verità superiore alla razza e alla
mistica della razza e non esita a mettere ogni concezione sovrannaturale del conoscere e
dell'agire, e così anche il "sovrannaturalismo" cristiano e l'intera dottrina cattolica dei sacramenti
e del miracolo, a carico delle superstizioni dell'"oscuro Medioevo" e della tattica di dominio dei
preti per esaltare invece le "conquiste" proprie al cosiddetto libero esame e alle scienze profane
moderne; quando riesuma le vecchie storielle anticattoliche circa l'inquisizione e la donazione
costantiniana e si scandalizza di fronte a quella pretesa di infallibilità, che, in civiltà normali,
sempre veniva tranquillamente riconosciuta a tutti coloro che fossero veramente pervenuti alla
conoscenza metafisica; quando, verosimilmente sotto l'inconscia angoscia per orizzonti troppo
vasti, nell'universalismo non sa vedere che una creatura del despotismo ebraico-romano letale
per le nazionalità o un prodotto del caos etnico di un clima di decadenza, invece che una
superiore unità gerarchia e una esigenza spirituale; quando, associando un fanatismo per la
nazione di sapore alquanto giacobino col sospetto romanticismo dell'"eroismo tragico" e
dell'"amore per il destino" esso da un lato ridesta a vita la mistica dell'orda primordiale, dall'altro
fomenta una rivolta del potere temporale contro ogni autorità spirituale, fino al tentativo di ridurre
la seconda ad una mera promanazione del primo.
Tutto ciò è sul serio "paganesimo" nel senso negativo desiderato dall'antica apologetica
militante, ma, in più, è confusione, regressione, perdita di ogni vero orientamento, soggiacenza
a suggestioni irrazionali e, infine, dilettantismo, fanatismo e incultura. Qualcuno, in Italia, ha
trovato una espressione assai felice nel dire che, mentre il nazismo accusa il cattolicesimo di far
della politica, la verità vera è che esso spesso fa della religione. Ciò è, in larga misura, vero. Il
nuovo paganesimo è il prodotto di una trasposizione della politica nella religione, per cui perfino
la religione si fa politica, laddove, nei tempi antichi si faceva religione. Esso, lungi dal
rappresentare, come pretenderebbe, un ritorno alle origini, ci si presenta essenzialmente come
una deformazione delle origini e come la risultante di elementi derivati esclusivamente della
disgregazione anti-tradizionalistica moderne e, più propriamente, da questi tre elementi: dal
pathos della "nazione" divinificata più o meno giacobinamente, dell'immanentismo naturistico
moderno e infine di una attrezzatura di tipo razionalistico e scientista, la quale si ritrova, poi,
nello stesso paradossale connubio con il misticismo, in ciò che è propriamente tecnica
"razzista".
Certo, noi non vogliamo contestare che presso a tali elementi si agitino, nel fermento dell'ultima
cultura tedesca, anche esigenze di diverso valore e per questo ci siamo astenuti dal riferimento
a particolari autori: ma si deve in ogni modo constatare che il tono generale è dato dal
"paganesimo" ora accennato e che è soprattutto in funzione di esso che si stanno formando, in
Germania, nuovi miti, e che si esasperano gravi conflitti spirituali. Ma se cosi stanno le cose,
dovendo uscire dalla neutralità di fronte ad un conflitto fra un nuovo paganesimo ed il
cristianesimo, è evidente che ad onta di ogni buona volontà sarebbe impossibile schierarsi dalla
parte del primo, specie poi se, più che non di cristianesimo in genere, si tratti di Cattolicesimo e
di Chiesa cattolica. Se non altro, il Cattolicesimo può assolvere ad una funzione di sbarramento
portatore di una dottrina della trascendenza, finché esso sussisterà, impedirà che la mistica
dell'immanenza e le invasioni prevaricatrici dal basso si portino oltre un certo segno. Inoltre, si
può essere simpatizzanti finché si vuole con una teoria del superuomo, negli aspetti in cui essa
può riflettere i valori più virili dei periodi di alta tensione delle nostre più antiche civiltà;
purtuttavia la stessa etica cristiana della rinuncia, del sacrificio e dell'umiltà viene ad avere una
funzione ben precisa - la funzione di un necessario contrappeso - quando ogni dottrina
dell'eroismo, dell'affermazione, della potenza e della virilità resti su di un piano affatto secolare,
umanistico e materialistico come oggi quasi senza eccezione si vede accadere.
Questa rivista non è precisamente dedicata a menti non adulte, da non disturbare con punti di
vista diversi da quelli della mentalità corrente e conformista. Perciò si può dire che secondo la
prospettive di chi scrive il Cattolicesimo non si presenta come l'unico ed esclusivo portatore dei
valori sopra accennati, e nemmeno come la dottrina nella quale un punto di vista integralmente
"tradizionalista" può trovare una espressione completa ed inattenuata di tipo schiettamente
metafisico.
Ma è evidente che di fronte a tendenze, per le quali, alle fine, il Cattolicesimo rappresenta già
un "troppo" e per questo esse cercano di "superarlo", per fare, col ritmo di avanzata del
gambero, in confusioni, deviazioni e soggiacenza alla forze meno intellettuali e meno
controllabili del mondo attuale, è evidente che di fronte a tali tendenze è inutile riferirsi a tali più
vasti orizzonti e far sì che, per un capovolgimento distruttivo, un punto di vista che potrebbe
esser di "supertradizione" vada comunque a confortare e fomentare punti di vista, che sono
semplicemente di antitradizione.

3b) Ekatlos

Esiste oggi una iniziazione politeista?

Sui limiti di un certo paganesimo, rinato unicamente per ribellione al cristianesimo exoterico e
spesso identificantesi, quasi per ripicca, proprio col ridicolo clichè del paganesimo, creato dagli
apologeti cristiani, ebbe già ad esprimersi Evola nel saggio "L'equivoco del nuovo paganesimo".
E' chiaro che tale paganesimo è meramente exoterico e perciò non riveste per noi più interesse
di quanto ne abbia l'exoterismo cristiano. Tuttavia come ha evidenziato Sandro Consolato nel
saggio Aeternitas Romae(1) "Julius Evola, anziano e malato, poteva sorprendere il sufi persiano
Seyyed Hossein Nasr, recatosi a visitarlo(2), dicendogli di credere ancora alla speciale dignità
spirituale degli Italiani quali eredi di Roma". Questa eredità spirituale si è fatta valere, nel corso
dei tempi, in due maniere. La prima all'interno dello stesso cristianesimo, tramite confraternite,
come quelle rosacrociane, che hanno sintetizzato l'esoterismo pitagorico-romano con quello
proprio al cristianesimo delle origini. La seconda in forma ancora più occulta, perpetuando gli
antichi riti italici. Della prima maniera altri hanno già accennato. Riguardo alla seconda, essa ha
dato vita, in epoca recente, ad una ripresa anche pubblica di quella ritualità (non senza qualche
reazione da parte cattolica). Tra i vari esempi che si potrebbero portare, alleghiamo di seguito il
Manifesto Politeista(3) dei politeisti vicentini. Esso presenta il "neo" di parlare genericamente di
cristianesimo, mentre le sue critiche possono valere essenzialmente per l'exoterismo cristiano,
la cui prevaricazione è stigmatizzata da coloro che si definiscono - non discuto qui se a ragione
o a torto - esoteristi cristiani non meno che dai politeisti. In fondo, tutto il compito attuale
dell'Occidente consiste nel ricondurre l'exoterismo al suo giusto e subordinato ruolo. Fatto
questo, la stessa reazione materialista, che l'exoterismo dogmatico ha suscitato e suscita, è
destinata a scemare. Esattamente come, in Tibet, il Buddhismo Vajrayana coesiste con il
precedente esoterismo Bon, in Occidente possono benissimo coesistere esoterismo cristiano e
politeista, poichè ciascun uomo ha diritto a seguire la via che ritiene migliore per lui. Nei
fenomeni sociali, nei quali R.Guenon ha voluto vedere una decadenza della tradizione
occidentale, noi vediamo invece una dissoluzione dell'exoterismo religioso, indispensabile
affinchè si ristabiliscano i giusti rapporti tra esoterismo ed exoterismo. Di conseguenza
consideriamo miopi e con una mentalità da servi ("cani bisognosi di un padrone") coloro che
vorrebbero sostituire l'invasivo exoterismo cristiano con altre forme altrettanto invasive di
exoterismo, come ad es. quello islamico. L'elite europea ha ben altri obiettivi.

(1)La Cittadella, aprile-giugno 2001. "La Cittadella", come è noto, è la rivista del Movimento
Tradizionale Romano (M.T.R.)
(2) Forse illudendosi di convincere Evola ad additare ai suoi seguaci l'Islamismo, come via
possibile per loro.
(3) Pubblicato sul numero di aprile 1986 del bollettino 'Pagus'

3c) Manifesto Politeista

'Facciamo prigioniero in nome di Cristo ogni pensiero' Gregorio di Nazianzo

'Il cane che annusa il vento non crede nel vento, cerca semplicemente di captarlo, e di cogliere
quel che va dicendo'.
Molti aspetti della repressione sociale e culturale sono indiretti: la libertà non è perseguitata
manifestatamente, ma piuttosto viene limitata dall'uniformità e povertà del progetto vitale:
lavorare e produrre, consumare e accumulare oggetti, arricchirsi per godere oggetti più
numerosi, più grandi e più lussuosi.
Altrettanto si potrebbe dire per le restrizioni di altre libertà, da quella sessuale a quella del
tempo libero: ambedue sono pause pianificate nei tempi produttivi.
L'altra grande istituzione repressiva, il cristianesimo, invece si occupa di questi spazi in modo
più diretto e consapevole. La regolamentazione è aperta, diretta, minuziosa. La costrizione non
è fisica ma mentale e, alla lunga, insistendo solo sulla responsabilizzazione psichica, il
cristianesimo ci porta in tanti vicoli ciechi sbarrati da muri: soggettivismo, prova certa, lo status
dell' 'oggetto di fede', delirio, illusione, fede; il problema del dubbio e tutti i tormenti della
colpevolizzazione. Basterebbe solo che ci liberassimo da questo bagaglio per camminare diritti
e leggeri nel vento.
Per converso, il cristianesimo non è riuscito a cancellare la vera religiosità, lasciando così un
vuoto spirituale che può, oggi, essere solo riempito dal politeismo.
E' attraverso il politeismo che si attua il ri-appropriarsi della propria vita.
Il politeismo non è un 'ritorno al passato'. Non consiste nel richiamarsi ad un passato contro un
altro passato. Non si manifesta nel desiderio di ritornare al 'paradiso perduto', tematica di
origine giudeo-cristiana, d'altronde è uno spettacolo grottesco vedere denunciati 'idoli pagani' da
cristiani adoratori del proprio abito nero; è comico vedere rifiutato il nostro passato politeista da
chi non cessa di vantarsi della continuità giudeo-cristiana e di ricordarci come esempio Abramo,
Giacobbe, Isacco ed altri beduini proto-storici, d'altronde la stessa chiesa non rifiutò come vuote
fantasie gli antichi Dei, ma conferì loro una effettiva esistenza, affermando per altro che quelle
divinità erano semplicemente esseri diabolici. Al momento della cristianizzazione, furono, i
'grandi Dei' che mobilitarono la maggiore ostilità dei predicatori cristiani. I 'piccoli Dei',
considerati come meno pericolosi, furono più facilmente 'amnistiati'; battezzati in modo più o
meno ingegnoso, essi divennero dei santi locali (esempio la Madonna nera).
Non si tratta di rifarsi al politeismo come un fatto cronologico, ma riferirsi ad una funzione
mitologica, per ricercare quello che attraverso il tempo, supera il tempo e ci possa parlare anche
oggi.
Il politeismo non è una regressione, ma al contrario la scelta di liberarci ad un avvenire più
autentico, più armonioso; gli Dei ci parlano altro che le avventure di Giuseppe.
Non c'è bisogno di credere in Juppiter o in Odino (che tuttavia non è più ridicolo che credere in
Jahvè) per essere politeisti, il politeismo oggi giorno non consiste nell'innalzare altari a Apollo o
a resuscitare il culto di Odino. Il politeismo ci serve per cercare una determinata concezione
della divinità e del sacro, una certa interpretazione del mondo, il politeismo pone tra l'uomo e
l'universo, una relazione fondamentalmente religiosa, una spiritualità molto più intensa, più
grave, più forte di quella che il giudeo-cristianesimo reclama, lontano da desacralizzare il
mondo, lo sacralizza nel vero senso. Per il politeismo il sacro non è opposto al profano, ma lo
ingloba per donargli un senso. NON C'E' BISOGNO DI UNA CHIESA PER FARE DA
MEDIATRICE TRA L'UOMO E GLI DEI. Il politeismo è l'esempio più grandioso di una religiosità
assolutamente adogmatica, che non contraddice nessuna esperienza naturale pur penetrando e
comprendendo tutta l'esistenza. Non è stato proprio il dogma che ha fatto 'ammalare' le nostre
anime? Non è stato il dogma a far ammalare l'anima del mondo di questa civiltà, tagliandola da
fatti della vita, dalle cose così come esse sono? Il politeismo sacralizza, e per questo esalta
questo mondo, là dove il cristianesimo santifica, e per questo si ritira da questo mondo.
Possiamo definire il politeismo come una concezione eminentemente aristocratica della persona
umana, un etica fondata sull'onore (sull'onore piuttosto che sul 'peccato'), una attitudine eroica
difronte alle sconfitte dell'esistenza, l'esaltazione e la sacralizzazione del mondo, della bellezza,
del corpo, della forza e della salute.
Il cristianesimo si basa sulla distinzione dell'essere creato (il mondo) e dell'essere increato(dio),
il mondo non è il corpo di Dio, non è eterno è radicalmente diverso dall'assoluto. Alle basi del
Politeismo si trova l'idea che il mondo è anima e che l'anima del mondo è divina. Il mondo
rappresenta lo sviluppo degli Dei nello spazio e nel tempo. La sostanza e l'essenza degli Dei è
la stessa di quella del mondo. Per il Politeismo gli Dei non sono esseri dissociati dal mondo, il
politeismo non è una teologia della natura, ma una teologia del mondo. Il Politeismo ha
concepito le cose di questo mondo col più potente senso di realtà che sia mai esistito, e tuttavia,
anzi certamente per questo motivo, riconobbe in essere le linee meravigliose del divino. Il divino
è il fondo di ogni essere e accadere. Nessuna immagine di vita è priva di elemento divino.
Il politeismo è il frutto di una visione del mondo, del riconoscimento e dell'adesione ad una
realtà che il cristianesimo ha ridotto a livello di fantasia, invenzione poetica, realtà demoniaca
etc., il concetto fondamentale è quello di una creazione organica, di un tutto visto come
organismo vivente e, in più, popolato da esseri che, a vari livelli, hanno il compito di regolarne lo
sviluppo. Ogni manifestazione naturale ha il suo sovrintendente, spirito 'elementare', elfo,
angelo di zona. Lo stesso globo terrestre 'vive', avvolto da energia che si raccoglie
particolarmente in alcuni puti dove, a seconda delle epoche, sono sorti monumenti megalitici e
templi. Alla domanda dove cessi l'umano e cominci il divino non può venir data risposta alcuna,
perché la certezza nell'esperienza è radicata nel fatto che l'uno viene concepito dall'altro ed
entrambi coincidono. La divinità non agisce da un al di là nella vita interiore dell'uomo,
sull'anima; è una col mondo e si fa incontro all'uomo nelle cose del mondo, quando egli è per
via prende parte alla sua via prende parte alla sua vita movimentata. Non è rientrando in se
stesso che egli ne fa esperienza, ma uscendo da se stesso, affermando ed agendo.
Una delle devastazioni più tragiche operate dal cristianesimo è la distruzione della nostra vita
psichica. Il cristianesimo si nutre, come Crono, degli Dei che divorava. Via via che il
cristianesimo si diffondeva la nostra vita veniva privata di ogni riferimento superiore (gli Dei) e di
conseguenza ogni manifestazione superiore veniva fatta apparire, adesso, come
manifestazione patologica. Gli Dei potevano tornare, ma attraverso la porta di servizio
dell'aberrazione mentale. La più significativa di tutte questi ricorrenti aberrazioni è il concetto di
'inconscio'. Un tempo, nel periodo classico, c'era un mondo infero profondo, che ospitava i
nostri sogni e il lato notturno della nostra anima. Ma il cristianesimo devastò l'Ade e lo trasformò
in inferno, cosicché tutti i fenomeni del mondo infero divennero peccaminosi e malati.
Parrebbe quasi che, nella nostra vita e nella società, le trasformazioni riflettano le contese degli
Dei che, se rimossi e dimenticati, diventano una maledizione quotidiana. C'è nei racconti degli
Dei, una comprensione delle nostre crisi culturali maggiore di quanto ce n'è in tutte le teorie
socio-politiche messe insieme. Il tecnologismo contemporaneo si sviluppa in armonia con
Prometeo. Prometeo ruba il fuoco e finisce legato alla roccia, artigliato dal potere a cui si era
sostituito. La diffusione epidemica della depressione segue il modello della storia di Crono.
Crono divorava i propri figli, consumava ciò che egli stesso produceva, senza mai consentire
alla propria creatività una vita autonoma. L'onnipresenza di esplosioni di violenza è opera di
Pan, la cui onnipresenza gli ha valso un nome che significa 'tutto'. Pan e Ares la violenza e la
guerra. La natura di Pan catapultarsi giù dalla montagna violando qualunque cosa si trovi sul
suo cammino.
Diventare consapevoli del Pantheon divino che sfila nei nostri pensieri, al di là del nostro
controllo e perfino contro la nostra volontà. Vuol dire ritrovare un contatto con le dimensioni più
profonde del pensiero e delle idee, riconoscere il Politeismo che non possediamo ma che in
effetti ci possiede.
'Il Politeismo è la via alla verità, e pertanto è la verità stessa'.
Il ritorno agli Dei è più simile a un ri-volgersi, un rivolgersi a/in quel cerchio i cui orizzonti si
aprono all'infinito, e il cui centro, essendo ovunque, è molteplice. Sarà un nuovo circolo, non più
vizioso bensì alleviante e liberante.

SALUTIAMO LA LIBERAZIONE RELIGIOSA,

SALUTIAMO IL RITORNO DEGLI DEI

IV
Considerazioni sull'Iniziazione Massonica
4a) Vivificazione dei segni e delle prese

Leo Young: Cari amici del Gruppo di UR, prima di tutto vorrei prentarmi a voi come fratello e
amico dell'Arte reale, il mio nome è Leo Young e sono uno studioso, un 'L..M.', ma soprattutto
un praticante di esoterismo che per molti anni si e interessato allle prestigiose publicazioni del
Gruppo UR, avendo avuto la fortuna di avere un padre che, nella sua libreria, aveva sia tesoro
di conoscenza, che però non ho mai potuto veramente approfondire con altri perchè vivo da 10
anni all'estero, dove solo recentemente e stato pubblicato con grande successo il primo volume
d'Introduzione alla Magia. Mi sembra che ora abbiano pubblicato anche il secondo, ma non in
Inghilterra stranamente solo negli Stati Uniti...ed è proprio a proposito di questo secondo
volume che vorrei farvi qualche domanda. Perchè il ritardo nella distribuzione della publicazione
inglese del secondo volume sembra essere dovuta alla presenza dei fatidici esercizi di von
Sebottendorff, che sono descritti in dettaglio nella monografia di Arvo,Vivificazione di "segni" e
"prese" (in Introduzione alla Magia Volume lI, pp118-128, Edizioni Mediterranee). di Arvo,
pseudonimo dietro cui si celava il Barone Colonna di Cesarò(1), un intervento che venne
inserito per la prima volta solamente nella riedizione degli anni 50 dei tre volumi della rivista
Ur/Krur ....Perchè ci domandiamo tanto mistero intorno a questo soggetto? Perchè esso non
compare nell'edizione originale del 1928? Quel che so è che si deve al gran burattinaio della
Thule, G. Rudolf von Sebbottendorf, la prima publicazione europea della pratica operativa
dell'antica massoneria turca nel 1924 (Die Praxis Der Alten Turkishen Freimaurerei) e voi che
ne pensate?

(1) Come in altri casi (ad es. i saggi firmati Leo ed Abraxa), fu in realtà Evola a dare forma
letteraria al saggio, servendosi di indicazioni e pubblicazioni, ottenute da Giovanni Antonio
Colonna di Cesarò, per il tramite di antroposofi tedeschi [n.d.u].

EA: Per comprendere il saggio di Arvo, è necessario fare alcune considerazioni preliminari sulla
massoneria. Trascurando, almeno per il momento, le associazioni massoniche prevalentemente
etico-politiche e soffermandoci unicamente sulla massoneria iniziatica, diremo che essa ha
assunto in Occidente due forme principali. La prima, in ordine storico, è la massoneria
operativa, un insieme di organizzazioni di mestiere costituito perciò prevalentemente da
operatori del settore edilizio-architettonico, anche se non mancavano "massoni accettati"
provenienti da altri ambienti. La seconda è rappresentata dalle emanazioni massoniche del
cosiddetto "Ordine Egizio", come l'organizzazione del barone Tschoudy e quella di Cagliostro,
che furono un tentativo di ricondurre in direzione iniziatica la cosiddetta massoneria speculativa,
cioè quella prevalentemente etico-politica. Si tratta, come è noto, di quello stesso Ordine Egizio,
che circa un secolo dopo emanò la confraternita (non massonica) di Miriam. Il Gruppo di Ur era
ideologicamente più vicino a questo secondo tipo di massoneria iniziatica, come è facile capire
tenendo presente, oltre alla presenza di kremmerziani, l'interesse ad es. di Arturo Reghini per
Cagliostro o le connessioni dell'Ordine Egizio con gli ambienti Rosacrociani, sicuramente
interessanti per gli antroposofi.
La "Vivificazione dei segni e delle prese" ha invece a che fare con il primo tipo di massoneria
iniziatica, quella di mestiere. Essa era prevalentemente organizzata in sette gradi, che possono
essere rispettivamente chiamati: 1) Apprendista esterno, 2) Apprendista interno, 3) Compagno
d'Arte, 4) Maestro del Marchio, 5) Maestro Muratore, 6) Maestro dell'Arco, 7) Ex Maestro. Due
gradi erano "esterni al tempio": il primo e il settimo. L'apprendista esterno doveva compiere
l'importantissima preparazione necessaria per la sua iniziazione effettiva e l'ammissione al
tempio come apprendista interno. L'Ex Maestro, avendo percorso tutto l'iter iniziatico, non
aveva più bisogno delle pratiche nel tempio, anche se ovviamente in esso era più che
benvenuto e i suoi insegnamenti ritenuti una autentica benedizione. Gli altri cinque gradi erano
"interni al tempio": tre erano fondamentali, cioè implicavano forti cambiamenti di prospettiva
rispetto ai gradi precedenti (si tratta dei tre gradi rimasti nella massoneria inglese: Apprendista
interno, Compagno d'arte, Maestro muratore); gli altri due (Maestro del Marchio e Maestro
dell'Arco) erano di perfezionamento rispetto al grado a loro precedente . In ciascuno dei cinque
gradi interni si studiava una delle cinque prese (o segni) di cui parla Sebottendorf. Esse
costituivano un modo per attivare l'energia interna, e venivano coadiuvati da logodìnami
(mantra), da marce (per far circolare la medesima energia), da toccamenti e strette di mano,
per lavorare energeticamente con altri iniziati in coppia o in gruppo (catena di unione). Soltanto
nel grado di Maestro dell'Arco, avendo studiato tutte e cinque le prese, era possibile combinarle
tra loro per la realizzazione finale. Sebottendorf ed altri, ad es. Krebs, avevano probabilmente
trovato manoscritti relativi al grado di Maestro dell'Arco, ma non manoscritti relativi ai gradi
precedenti ed avevano cercato di supplirvi come potevano (vedi le giaculatorie in Sebottendorf e
gli esercizi respiratori in Krebs). Arvo rilevò giustamente che tali escogitazioni possono
funzionare solo in casi di specialissime disposizioni interiori, ma non possono certo sostituire
l'intero iter tradizionale. E perciò l'iniziato "medio" ben difficilmente può trarre qualcosa di
positivo dalle pratiche di Sebottendorff, se è a conoscenza solo di esse.
Leo Young: Caro Ea, riguardo alla tua risposta molto interessante sul saggio di Arvo noto che
hai delle informazioni diverse da quelle proposte da Arvo, che parla solamente di tre fasi
racchiuse apparantemente in un sistema operativo di tre gradi, legati a quella che
Sebottendorff chiama "l'Opera spirituale", la "Scienza della Chiave", praticata da quegli iniziati
orientali che definiscono sé stessi come "Figli della Chiave" e adoperano un sistema alchemico
di trasformazione mediante l'uso Kabalistico del Corano, che si svilupperà nel verde, colore
sacro del l'Islam.
EA: Non vi è corrispondenza tra le tre fasi e i gradi massonici, dal momento che, come ho già
accennato, le tre fasi sono applicabili solo da chi conosca tutte e cinque le "prese". Sono queste
a corrispondere ai gradi "interni al tempio". Dice ad es. Sebottendorf: in relazione alla presa
mediana: "Questa presa non è più conosciuta dalla massoneria attuale, veniva attuata un po' al
di sotto della presa del petto;" La presa mediana era appunto appresa e studiata nel grado di
Maestro del Marchio, immediatamente successivo a quello di Compagno
Leo Young: Sistema alchemico ma anche piu' ermetico quello dei tre gradi del Rito Egizio di
Giuseppe Balsamo il Gran copto; per quanto riguarda invece il barone Tschoudy, il nostro caro
Chevalier de Lussy, non dobbiamo sopravvalutarlo nel suo sapere iniziatico, che senza dubbio
aveva, perchè il suo catechismo ermetico e il suo sapere vengono (come sappiamo anche da
recenti studi in proposito) dalla Societa dei Filosofi Incogniti (des Philosophes inconnus) e da
F.M. Santinelli (alias Crassellame) per essere più precisi e dalla sua Ode alchemica "Lux
Obnubilata", pubblicata a Venezia presso Alessandro Zatta nel 1666.
EA: Al di là della sua realizzazione personale, che però non abbiamo elementi per
valutare, Tschoudy fu indubbiamente il tramite di un autentico insegnamento esoterico. Sui
Filosofi Incogniti puoi vedere, oltre al saggio "Brevi Note sul Cosmopolita" di Arturo Reghini,
anche alcuni messaggi del nostro forum.
Leo Young: Ma hai per caso preso, caro Ea, le tue informazioni sui turchi, che sembrano più
dettagliate, su una copia del libro publicato dalla C.E. Il Delfino di Torino nel 1980? Il libro si
chiamava "La pratica operativa dell'antica massoneria Turca".
EA: Sono uscite due traduzioni italiane del testo di Sebottendorff. Quella di Torino, da te
ricordata, è accompagnata da una breve introduzione. Di utile (per chi non lo ha letto) una
citazione tratta dal Domenicano Bianco di Meyrink (citato più brevemente da Arvo), in cui tale
scrittore accenna al medesimo tipo di pratiche descritte da Sebottendorff. Consiglio, potendo, di
leggere il Domenicano Bianco per intero. Un'altra traduzione è stata fatta dalle Edizioni Arktos.
Nell'introduzione ad essa, senza nulla togliere all'esistenza della Massoneria Turca, il curatore,
studioso dell'Islam, dimostra l'assoluta improbabilità di una effettiva derivazione "coranica" delle
pratiche esposte da Sebottendorff. In realtà, come già accennato e come Krebs, Meyrink ed
altri dimostrano, esse erano praticate dall'antica massoneria operativa europea, dalla quale
anche quella turca deriva.

4b) Qualificazioni Iniziatiche e Massoneria

di Frater Petrus

La classificazione tradizionale degli esseri umani si basa sulla prevalenza dell'una o dell'altra tra
le principali funzioni psicofisiche: la funzione motoria, quella emotiva e quella intellettuale.
Ciascuno dei tre tipi umani, quando decide di evolversi spiritualmente, tende a seguire una via
basata soprattutto sulla funzione in lui prevalente. Perciò, le vie che la Tradizione consiglia ai
suddetti tipi sono rispettivamente: la via dell'azione, la via della devozione e la via della
conoscenza. Viene poi considerata una quarta via, che sintetizza le altre tre ed è detta via del
re: quest'ultimo, secondo la Tradizione, dovrebbe possedere in forma essenziale ed equilibrata
le qualità di tutte le caste (artigiani, guerrieri, sacerdoti) da lui governate. Il termine casta
significava, in origine ed essenzialmente, "natura interiore" ed è con questo significato originario
che useremo tale parola nel presente documento. La determinazione delle caste per via
ereditaria (detta impropriamente "regime delle caste") è invece un metodo accessorio, che gli
esponenti della Tradizione adottarono nelle epoche e nei luoghi, nei quali ritennero che il fattore
ereditario e l'ambiente familiare dell'infanzia fossero i migliori indizi della suddetta natura
interiore. Non avrebbe ovviamente senso applicare tale metodo nella civiltà occidentale
moderna, dove è abituale vedere figli che desiderano e fanno attività completamente diverse da
quelle dei padri. Per le quattro vie, esiste sia un ordine di derivazione (via del re, via della
conoscenza, via della devozione, via dell'azione) sia un ordine di eccellenza (via della
conoscenza, via del re, via della devozione, via dell'azione). In altri termini, tutte le vie derivano
da quella del re, perchè non sono altro che specializzazioni di tale via. L'ordine di eccellenza
delle quattro vie pone invece per prima la via della conoscenza. Ciò è facilmente intuibile se si
pensa che il sacerdote, al quale tale via compete, può dedicare tutta la sua vita alla spiritualità,
mentre il re deve occuparsi anche di cose più terrene. Perciò la via del re contiene
sinteticamente anche la via della conoscenza, ma non con la stessa estensione con la quale
può essere praticata da un sacerdote. Un individuo può ricevere, oltre all'iniziazione
corrispondente alla propria natura, anche le iniziazioni corrispondenti alle vie inferiori nella
scala di eccellenza, ma non può accedere normalmente a quelle superiori. Ciò ha una perfetta
corrispondenza anche con ciò che accade nella vita profana. Ad es. un grande fisico può
generalmente, con un po' di pratica, svolgere il lavoro di un elettricista o di un idraulico, ma non
è affatto detto che un elettricista o un idraulico possano, con analogo periodo di studio,
comprendere operativamente ad es. la teoria della relatività. In ambito cristiano, i sacerdoti non
costituirono mai una casta indipendente, ma i suoi membri provenirono per lungo tempo dalle
famiglie nobili, di solito guerriere. Perciò i sacerdoti cristiani adottarono la via della devozione
propria della casta guerriera, anzichè la via della conoscenza. Quando una tradizione è
soggetta a decadenza, le ultime vie iniziatiche a permanere sono quelle relative alla via
dell'azione, giacchè a tale via possono aspirare un maggior numero di persone. Tra le iniziazioni
attinenti alla via dell'azione si situa anche l'iniziazione massonica.
Fatte queste premesse assolutamente generali, possiamo analizzare le qualificazioni iniziatiche
specifiche della Massoneria. Per farlo cominceremo con l'esaminare alcuni dei documenti più
antichi, relativi alla Massoneria stessa. Si tratta della Carta di Bologna, del Poema Regius e del
Manoscritto Cooke. La Carta di Bologna, che raccoglie gli Statuti e i Regolamenti della Società
dei maestri del muro e del legno del Comune di Bologna, reca la data 8-Agosto-1248 . E', in
assoluto, il più antico documento massonico che si conosca. E' conservata nell'Archivio di Stato
di Bologna assieme ai successivi Statuti della medesima società (che hanno permesso di
ricostruire talune parti danneggiate della "Carta") e ad una Matricola (un piè di lista) datata
1272. Il più antico documento massonico anglosassone attualmente conosciuto è, invece, il
"Poema Regius", così chiamato perché faceva parte della Royal Library di Inghilterra, donata al
British Museum da Giorgio II nel 1757. È detto anche "Manoscritto di Halliwell", perché nel 1840
James 0. Halliwell lo pubblicò per la prima volta. La copia della Royal Library è stata scritta nel
1390, ma la tesi più accreditata sostiene, sulla base dell'analisi scritturale, che la stesura del
documento originario sia da collocarsi tra il 1250 e il 1300. La datazione del Manoscritto Cooke
è anch'essa controversa; gli studiosi la collocano comunque tra il 1400 e il 1440. Si presenta
come un codice deontologico preceduto, come nel Poema Regius, da un racconto sulle origini
mitiche della Massoneria, che occupa circa metà dell'intero documento. Confrontiamo, con
l'ausilio di una tabella sinottica, i passi dei tre documenti, che indicano le qualificazioni
necessarie per accedere alla Massoneria.

Qualificazione Carta di Bologna Poema Regius Manoscritto Cooke


Età [IV]... Aggiungiamo che
il figlio di un maestro
della Società non debba
né possa essere
partecipe delle elezioni
«ad brevia» se non ha
almeno quattordici anni.
E suo padre non sia
obbligato ad immetterlo
nella Società prima di
questa età e il figlio
stesso non sia accettato
nella società prima del
tempo stabilito. E che
nessuno prenda un
Apprendista che abbia
meno di dodici anni,
sotto pena di
un'ammenda di venti
soldi e della nullità del
contratto.
[VII]... E se un maestro
ha un figlio o più figli che
conoscono il mestiere, o
che sia stato per due
anni ad apprendere il
mestiere, allora sia suo
padre ad immetterlo
nella Società di diritto e
senza alcuna cerimonia
dì entrata, col pagare
egli stesso [quanto
dovuto] alla Società
nella forma sopraddetta,
sotto pena di
un'ammenda di venti
soldi. E una volta
pagata l'ammenda
nondimeno sia tenuto a
fare entrare il figlio nella
Società...
[XXXIII] "Del fatto che i
maestri siano tenuti a
fare accogliere i
discepoli (apprendisti)
nella Società entro due
anni"
Noi stabiliamo ed
ordiniamo che ciascun
maestro sia tenuto a
fare accogliere come
discepolo il suo
(apprendista) nella
Società dopo che questi
sia rimasto con lui per
due anni e a garantire
per questo discepolo
una e buona e
sufficiente sicurezza
(per la) sua entrata nella
Società. E che coloro
che contraverranno
siano puniti con venti
soldi Bolognesi per ogni
contravvenzione e in
ogni caso se non
recepiscono questa
(garanzia di idoneità).
Apprendistato [XXX] "Del fatto che Articolo terzo Articolo terzo.
minimo nessuno possa Il maestro, per educare Nessun maestro
assumere alla sua arte e metterla a prenderà un
un'apprendista per profitto, deve prendere un apprendista per un
meno di 4 anni" apprendista soltanto se è periodo inferiore a sette
Noi stabiliamo ed sicuro di poterlo tenere anni almeno, questo
ordiniamo che nessuno con lui sette anni. Un perché con un periodo
della Società debba in periodo più breve, cosa minore, l'apprendista,
alcun modo o mezzo evidente se ci si pensa, non sarebbe all'altezza
assumere non sarà utile né per lui né della sua Arte, di
un'apprendista per il committente. conseguenza non
(discepolo) per meno di potrebbe servire in
quattro anni. modo leale il suo
signore e considerare
l'Arte come un massone
dovrebbe.
Libertà [XXXII] "Del fatto che Articolo quarto Articolo quarto.
nessuno possa Il maestro deve prestare Nessun maestro,
assumere chi non sia attenzione a non qualunque possa
della città o del contado assumere un servo della essere il vantaggio,
di Bologna o chi sia gleba come apprendista, assumerà apprendista
servo (al servizio) di né assumerne uno per nato da sangue servile,
qualcuno" avarizia, giacché il signore giacché il signore, a cui
Noi stabiliamo ed che possiede il servo della l'apprendista è
ordiniamo che nessuno gleba può venire a asservito, lo toglierebbe
della Società possa richiederlo in ogni alla nostra Arte e
tenere né debba avere momento. Se un servo potrebbe chiamarlo a sé
come apprendista della gleba fosse preso in fuori dalla Loggia o dal
qualcuno che sia un una loggia, creerebbe luogo del suo lavoro; i
servo o sia di un altro molti problemi e sarebbe suoi compagni
territorio (distretto). E causa di danni per uno o rischierebbero allora di
chi contravverrà sia tutti, giacché i muratori di accorrere in suo aiuto,
punito con cento soldi una regione si tengono di provocare un alterco
Bolognesi per ogni uniti. Se un servo della a cui potrebbe seguire
infrazione. E gleba fa parte dell'arte, un’uccisione. Questo è
prescriviamo che se aspettatevi di avere delle vietato. Senza
qualche socio sposerà noie; per la pace, e in tutta considerare che la sua
una serva (non libera), onestà, prendete un Arte ebbe inizio con i
paghi a titolo di apprendista di nobile stato. figli dei grandi signori,
ammenda dieci libre e Negli antichi trattati, ho nati liberi, com’è
che sia escluso letto che l'apprendista raccontato sopra.
(espulso) dalla Società. deve essere di nascita
E ciò sia irrevocabile. nobile e si è visto di figli di
nobili praticare la
geometria.
Nascita Articolo quinto Articolo sesto.
legittima e L'apprendista deve essere Nessun maestro, per
salute di nascita legittima. Il avarizia o cupidigia
corporea maestro non deve, in prenderà per
nessun caso, prendere un l'insegnamento
apprendista malformato; apprendista che sia
questo significa che è deforme, o che presenti
indispensabile che le sue qualche difetto che gli
membra siano integre. Per impedisca di lavorare
l'arte sarebbe una come dovrebbe.
vergogna assumere uno
storpio, uno zoppo, un
invalido o un uomo di
sangue impuro, questo
sarebbe pregiudizievole
all'arte. Ciascuno di voi
saprà così che l'arte
accetta chi è forte; uno
storpio non ha forza, ci si
renderà rapidamente
conto di questo."
Religiosità; "Altri punti adottati in "Altri consigli.
amore per il questa assemblea dai Questi consigli vengono
maestro, i grandi signori e dai dai diversi signori e
compagni, etc. maestri." maestri di differenti
Primo punto. province e assemblee di
Chi vuole abbracciare Massoneria."
quest'arte, ovunque sia, Primo punto.
nei campi o nei boschi, Bisogna sapere che chi
deve amare Dio la santa desidera abbracciare lo
Chiesa e il maestro presso stato dell'Arte in
cui vive; e amerà anche i questione deve per
suoi compagni, perché prima cosa amare Dio,
così lo prescrive l'arte. la santa Chiesa e tutti i
santi, il suo maestro, i
suoi compagni e tutti i
suoi fratelli.

Le qualificazioni richieste erano ritenute valide tanto per l'aspetto exoterico, quanto per quello
esoterico dell'arte muratoria. Occorrerà però distinguere ciò che deve essere ritenuto
definitivamente valido per tale arte, da ciò che invece dipende dal tempo e dal luogo nel quale
operarono gli antichi massoni.

1. Come risulta dalla Carta di Bologna, nessun maestro può assumere un apprendista, se
questi non ha almeno dodici anni , perchè, solo a questa età, si può ritenere che egli abbia
le caratteristiche psico-fisiche e intellettuali necessarie. L'entrata effettiva nella Società
Massonica richiede invece che siano già trascorsi due anni di apprendistato. Tale entrata
richiede una cerimonia di iniziazione, tranne che per coloro che sono figli di un maestro,
ai quali è sufficiente il rito di iniziazione paterno. Questo perchè si ritiene che il figlio di un
maestro sia, tramite il padre, in collegamento materiale e sottile con la confraternita, sin
dalla sua nascita e perciò a lui si trasmetta più facilmente e direttamente l'influsso
iniziatico. Questo collegamento si realizza, ma solo parzialmente, anche per i figli di
apprendisti e compagni; questi ultimi costituiscono dei veicoli dell'influenza iniziatica
ancora imperfetti e perciò ad essi è interdetta la trasmissione dell'iniziazione.
2. Per quanto riguarda l'istruire un apprendista solo se si prevede che egli possa rimanere
un buon numero di anni con il proprio maestro, è evidente l'inutilità di iniziare una persona
disposta ad accettare una assunzione momentanea, ma che abbia a breve altri propositi.
E' altresì inutile l'iniziazione di un postulante di passaggio, che non si abbia possibilità di
seguire successivamente, a meno che non si possa affidarlo, nel luogo dove ha stabile
dimora, ad un altro maestro di conosciute qualità. Ma, anche in tal caso, sarà da valutarsi
se non è meglio che egli venga iniziato direttamente in quella sede.
3. Riguardo al fatto che l'apprendista non debba essere un servo è importantissima la frase
del Poema Regius "giacché il signore che possiede il servo della gleba può venire a
richiederlo in ogni momento". Servo, in senso ampio, è dunque chiunque svolga un lavoro,
che può richieder la sua presenza in qualunque momento, non permettendogli o
disturbando l'attività di loggia. Da questo punto di vista, è iniziabile un modesto operaio,
che terminate le sue ore di lavoro è libero da impegni; non lo è invece un manager, che
debba essere sempre pronto a fiondarsi alla sua azienda alla bisogna.Si obietterà che
esistono anche persone iper-impegnate, che sono tali, non perchè sono schiave del
denaro, della notorietà o del potere, ma perchè svolgono un servizio sociale: medici,
agenti di polizia, missionari, etc. A parte dover discernere, anche in questi casi, quanto
dell'impegno è effettivamente servizio sociale, e quanto invece è dovuto a più o meno
consapevoli forme di arrivismo, occorre notare che, per tali persone, la Tradizione ha
sempre previsto forme di iniziazione specifiche. Ai suoi tempi, Renè Guenon ebbe a dire
che le uniche forme iniziatiche autentiche rimaste in Occidente erano la Massoneria e il
Compagnonaggio. Oggi questa frase ha perso, in gran parte, la sua validità, sia perchè
nel frattempo sono riaffiorati filoni esoterici occidentali, che Guenon non ebbe modo di
contattare, sia perchè svariati maestri orientali sono venuti a risiedere stabilmente in
Europa. L'iter iniziatico, in Massoneria, si basa sia sui riti individuali, sia su quelli collettivi.
La forza della catena iniziatica si fa sentire particolarmente nei rituali d'iniziazione ai vari
gradi, ma anche in quei punti morti dello sviluppo iniziatico, nei quali un individuo solo
potrebbe desistere. L'iniziazione massonica non è trasmessa da un maestro che opera
isolatamente, ma una loggia è tale solo se sono presenti in essa almeno tre maestri. A tal
proposito la leggenda di Hiram non lascia dubbi: nonostante che re Salomone e re Hiram
di Tiro conoscessero la "'Parola Sacra", morto Hiram Abif, cioè il terzo maestro, essi non
furono più in grado di trasmetterla e la parola andò "perduta". Viene però ritrovata
ogniqualvolta Hiram risorga, attraverso il rituale di iniziazione di un Fratello a Maestro
Massone. Questa leggenda fornisce due importanti informazioni. Da un lato, indica che,
salvo qualificazioni del tutto eccezionali, per l'iniziazione di un apprendista o di un
compagno sono normalmente necessari in loggia tre maestri. D'altro lato, indica invece
che il terzo maestro non è necessario per l'iniziazione di un compagno a maestro. Il
compagno ha già infatti percorso un certo tratto del cammino iniziatico e perciò comincia a
dipendere di meno dal sostegno fornitogli dalla catena iniziatica. Ritornando al concetto di
servo, aggiungeremo che, anticamente, erano annoverati tra i servi anche i galeotti,
essendo essi privi di libertà. La Carta di Bologna aggiunge che anche la moglie di un
maestro non può essere una serva. Ciò viene affermato non solo per motivi di ordine
sociale, ma anche perchè, come vedremo, nella Massoneria le mogli dei maestri,
analogamente ai figli, facevano parte di diritto della loggia.
4. L'importanza di una nascita legittima, indicata dal Poema Regius, è un chiaro residuo del
periodo in cui, come abbiamo già detto, le caste erano determinate per via ereditaria e si
riteneva che nascite avvenute fuori dei normali schemi sociali contribuissero a creare
confusione tra le caste stesse. La richiesta dell'assenza di malformazioni corporee e di
altre invalidità non è da imputarsi alle sole necessità del lavoro muratorio esteriore, ma
anche alla non meno importante necessità di poter usare, senza rischi, le energie sottili
dell'organismo. Per fare un parallelo, diremo che alcune iniziazioni tantriche, che utilizzano
le medesime energie, richiedono, tra gli altri preliminari, che l'allievo sia in grado di
eseguire giornalmente un certo numero di prostrazioni complete, dalla posizione in piedi a
quella prona (talvolta addirittura cento). Non si tratta di un esercizio devozionale, ma di un
esercizio psicofisico, che, oltre che con i muscoli, va eseguito con la volontà: esso
comincia a stimolare proprio quelle energie sottili, che dovranno essere successivamente
affinate. Naturalmente il guru è normalmente disposto ad aspettare che l'aspirante, se già
non le possiede, raggiunga le capacità fisiche richieste, tramite un opportuno allenamento.
5. Per quanto riguarda l'atteggiamento religioso richiesto che, nelle epoche in cui sono stati
scritti i documenti esaminati, si identificava con l'accettazione del teismo
cristiano-cattolico, esso venne modificato dalle costituzioni di James Anderson, in
prospettiva di una diffusione della massoneria fuori dagli ambienti cristiano-cattolici. Nelle
Costituzioni dei Liberi Muratori del 1723, si legge infatti: " 1. Concernente Dio e la
religione: Un muratore è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se
intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma
sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della
religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più
conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono,
lasciando loro le loro particolari opinioni; ossia essere uomini buoni e sinceri o uomini di
onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono
distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare
sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti." Il termine
"ateo stupido" ha suscitato un gran numero di discussioni, relative al suo significato. Da un
punto di vista iniziatico, tale termine è, invece, facilmente intellegibile. Sono infatti sempre
esistiti sia atei materialisti, sia atei spiritualisti. Per quanto riguarda i primi, non credendo
essi nella sopravvivenza personale dopo la morte, non avrebbe alcun senso iniziarli. Si
può, al più, indirizzarli verso ideali di fraternità e di socialità, affinchè vivano almeno in
armonia con la società. Per lo stesso motivo, non possono essere iniziati neppure coloro
che aderiscono a forme di materialismo camuffato. Ci riferiamo ad es. a quella particolare
forma di panteismo, che si può chiamare "panteismo nichilistico". Tale dottrina afferma
che tutto è Dio, ma che il destino degli esseri dopo la morte è semplicemente di
riassorbirsi nella divinità, senza alcuna possibiltà di sopravvivenza personale. E' evidente
che il panteismo nichilistico non è altro che un materialismo, che chiama "Dio", anzichè
"materia", il principio unico e annichilente. Anche in questo caso, l'iniziazione è inutile
poichè non viene ammessa la sopravvivenza personale. Ovviamente tale interdetto non
vale per altre dottrine panteistiche, che ammettono la sopravvivenza personale. Per atei
spiritualisti si deve invece intendere coloro che, pur credendo nella sopravvivenza
personale e nella possibilità di evoluzione spirituale, non fanno di un dio personale o
panteistico il centro della propria visione del mondo. Sono tali ad es. i seguaci della
filosofia Samkhya e i Buddhisti. E' logico che non vi sia alcuna difficoltà ad accettare
siffatti atei spiritualisti in Massoneria . L'amore per il proprio maestro, infine, è una
qualificazione richiesta praticamente da qualsiasi tipo di iniziazione ma, quando questa
avviene nell'ambito di una confraternita, esso deve essere necessariamente esteso ai
confratelli della propria loggia e delle altre logge.

In nessuno dei manoscritti esaminati viene indicata, come qualificazione indispensabile per
l'iniziazione, l'esecizio effettivo delle attività di muratore. Anzi, nel piè di lista del 1272, che
accompagna la Carta di Bologna risultano 371 Maestri, dei quali oltre una ventina svolgono altre
attività; tra essi vi sono ad es. anche 2 notai, 2 frati e 6 nobili. Già a quell'epoca, perciò, era in
uso la prassi dell'Accettazione, in virtù della quale si ammetteva e si ammette all'iniziazione
massonica anche individui non esercitanti l'Arte Muratoria. La validità di tale prassi discende
direttamente dai principi generali sulle qualificazioni iniziatiche, che abbiamo indicato
nell'introduzione e in particolare dal fatto che una iniziazione della via dell'azione (che è la più
bassa nella scala di eccellenza) è praticabile non solo da chi è normalmente qualificato per tale
via (artigiani, operai e commercianti), ma anche dai membri delle caste superiori, che
posseggano le qualità specifiche indicate e che siano disposti ad adattarsi alle caratteristiche
simbolico-operative di tale iniziazione. Nei manoscritti citati non viene neppure indicata come
qualificazione indispensabile l'appartenenza dell'iniziando al sesso maschile. Al contrario nel
Poema Regius si trovano frasi nelle quali viene fatto esplicito riferimento sia a fratelli sia a
sorelle delle confraternite massoniche. Le riportiamo di seguito:
"Il nome di questo grande maestro era Euclide e la sua fama si diffuse ovunque. Ordinò che
quello che era più dotato doveva istruire quello che lo era meno per migliorarlo in questa onesta
arte; così dovevano istruirsi l'un l'altro e dovevano amarsi tutti come fratelli e sorelle."
"Articolo decimo: Nell'arte, un maestro non ne deve escluderne mai un altro, essi devono vivere
insieme come fratelli e sorelle, perché la nostra arte è esigente."
"Nono punto: Se l'attendente [steward] della nostra grande sala e te vi trovate insieme in
camera, servitevi l'un l'altro, con gioia. I nobili compagni, saranno a turno tutti attendenti,
settimana dopo settimana; saranno tutti sorveglianti e dovranno aiutarsi gli uni con gli altri con
amore come conviene a fratelli e sorelle."
Del resto, nella storia si trovano altre tracce, che attestano l'ammissione delle donne, con parità
di diritti e doveri, nelle Gilde degli Artigiani. In Francia il "Livre des Métiers" di Etienne Boileau
(1268) prevedeva l’accesso delle donne nelle Corporazioni artigiane, e la loro elevazione al
grado di Maestro, anche in mestieri tradizionalmente maschili. Gli Statuti della Gilda dei
Carpentieri di Norwich (1375) sono indirizzati " ai Fratelli ed alle Sorelle ". La catena tradizionale
delle ammissioni femminili continua fino all'albeggiare della Massoneria Speculativa. Lo Statuto
della Loggia di York (1693) riporta che: " Colui o Colei che deve esser fatto Massone pone le
mani sul Libro [la Bibbia] ed allora le istruzioni vengono date". L’accettazione di membri anche
femminili si può quindi considerare d’uso comune nella cosìddetta Massoneria Operativa o
Massoneria Antica. Non partecipando direttamente ai lavori muratori, le donne venivano a
trovarsi sullo stesso piano dei membri "accettati" di sesso maschile. Curiosamente, sembra che,
solo con il sorgere della Massoneria Speculativa, venne interdetta alle donne l'iniziazione
massonica (salvo eccezioni che in questa sede non tratteremo). Il problema dell'iniziazione
femminile ha suscitato e suscita, sempre più, molte controversie. In realtà le diatribe sono
inutili. L'unica possibilità di dirimere il problema è un'analisi dei riti massonici (particolarmente
dei primi tre gradi) che metta in evidenza quali aspetti sottili dell'uomo essi mettano in gioco.
Tale analisi potrà portare, con ogni probabilità, ad uno dei seguenti possibili risultati:

1. I riti non sono legati alla struttura sottile specifica del l'uomo. In tal caso "nihil obstat" a che
essi vengano usati, così come sono, per iniziare anche le donne.
2. I riti sono legati alla struttura sottile specifica dell'uomo per il quale sono stati concepiti, ma
non così strettamente da non poter essere adattati alla struttura sottile della donna. Allora
ella potrà essere iniziata a dei riti adattati.
3. I riti sono così strettamente dipendenti dalla struttura sottile dell'uomo, da non essere
adattabili a quella della donna. In tal caso, ispirandosi ai soli simboli massonici (ma non
alla rituaria maschile), occorre elaborare una rituaria "toto genere" diversa, che si
confaccia alla struttura sottile femminile. La donna potrà allora essere iniziata a tale
specifica rituaria.

***
Janus: Ho letto con attenzione ed interesse il saggio di Frater Petrus e permettetemi alcune
considerazioni. Considero davvero ben esplicitata la differenza delle tre vie d'iniziazione,
dell'azione, della devozione e della conoscenza, che, come fece Guènon, sono state accostate
ai tre 'varna' dei produttori, dei guerrieri e dei sacerdoti. Vi è scritto, giustamente, di una quarta
via, del Rex e qui non comprendo e non condivido il perchè la si debba sottovalutare rispetto
alla via della conoscenza. Il Rex, inteso primordialmente, ma anche ermeticamente, è anche
Pontifex, cioè l'ativarna, colui che è al di là delle caste, incorporandole in sè. Se analizziamo la
dottrina ermetico-alchemica, l'Ars Regia, al rosso rugine si associa l'elemento Marte non
purificato (che platonicamente si può assimilare all'aretè della passione) proprio dei guerrieri; al
bianco si associa la conoscenza dei bramhana, cioè la ritrovata edenicità, ma al rosso
purificato, all'oro puro, a Saturno raggiunto tramite Marte che lotta e vince in Giove, corrisponde
il Rex, l'invictus, simile al Sole, come si diceva di Mithra e di Horus. Non dimentichiamoci che
proprio Evola, dopo l'esperienza di Ur, ha sviluppato tali argomenti in uno dei suoi testi più
illuminanti, La Tradizione Ermetica.
Inoltre, interessanti ho trovato le dissertazioni sulla Massoneria, ma ho qualche dubbio sulle
critiche a Guènon. Credo che le parole di Guènon siano superate in peggio e certamente non in
meglio, nel senso che la Massoneria è ormai da considerarsi un'organizzazione al servizio di
Arimanne a tutti gli effetti, senza pie illusioni e che quelli che vengono definiti nuove sorgenti
esoteriche o maestri venuti dall'Oriente non siano altro che ennesime dimostrazioni di come la
spiiritualità alla rovescia dell'ultima yuga sia ormai imperante (ovviamente sono considerazioni
personali). Sono sempre più convinto che Evola aveva visto giusto nell'indicare la via eroica
come l'unica svolta possibile nel Kali-yuga, una via tanto solitaria quanto solitaria (sic!), senza
sostegni di alcun tipo!
Turba Philosophorum: Ma perchè un esponente di una via così "solitaria" partecipa ad un
forum? Se cerca "compagni di via" cade in contraddizione. Se invece vuol suggerire agli altri di
andarsene "ognuno per i fatti propri", perchè parla di Tradizione? E' invece un fautore
dell'individualismo più totale! Ha tutta l'aria di uno specchietto per le allodole il fatto di difendere
Guenon a spada tratta, per poi concludere in maniera completamente opposta.
Il Vicario di Satana: Vorrei soffermarmi su quei passi de "Il Camino del Cinabro", ove Evola
parla delle sue "qualificazioni" iniziatiche ed accenna a due misteriose personalità, che forse
agirono iniziaticamente su di lui.
Il punto che io ritengo più interessante, per gli studiosi, è quando egli dice: "Infine, come
disposizione generale mentale, debbo ad essa l'impulso a posizioni nette, senza compromessi,
una specie di intrepidezza intellettuale esprimentesi, a parte le estrinsecazioni polemiche, in
coerenza e rigore logico". Tener conto di quanto questo impulso a posizioni nette influenzi, in
Evola, l'esposizione del suo pensiero è di capitale importanza per chi lo studia. Evola una volta
ebbe a dire che esistevano sia evoliani e sia "evolomani". Tutti i suoi seguaci naturalmente
pensavano di essere evoliani e, altrettanto ovviamente, ritenevano che evolomane fosse
qualche tizio a loro antipatico. Invece esiste un criterio oggettivo per distinguere gli evoliani
dagli evolomani . Evola era ben consapevole, quando assumeva posizioni nette, che le stava
assumendo ed era altrettanto consapevole del contesto (e perciò dei limiti) in cui le assumeva.
Evoliano può dirsi colui che, studiando Evola, quando trova in lui assunzioni nette le associa
indissolubilmente al loro contesto. Per gli evolomani invece quelle assunzioni diventano
affermazioni apodittiche e veri e propri slogan. Un esempio? Ne prendo uno dalla mia borsa dei
veleni. In Cavalcare la Tigre, Evola afferma. "Ciò che bisogna negare nel modo più reciso è la
trasposizione in questo campo [iniziatico] della veduta individualistica e democratica del
self-made man, cioè l'idea che ognuno che lo voglia possa divenire un iniziato, e possa anzi
divenirlo da sé, con le sue sole forze, ricorrendo ad esercizi e pratiche di vario genere. Questa è
una illusione, la verità essendo che con le sole forze dell'individuo umano non si saprebbe
andare di là dall'individuo umano, che qualsiasi risultato positivo in tale campo è condizionato
dalla presenza e dall'azione di un potere reale d'ordine diverso, non individuale". L'evoliano
autentico allora (come già fece il Buddha) si dedicherà proprio ad esercizi e pratiche di vario
genere, lasciando impregiudicato se e quando otterrà una qualche forma di realizzazione: non
presumendo egli, ma neppure negando di possedere quell'indispensabile "quid"
sovraindividuale. L'evolomane invece non praticherà un bel niente. Prenderà le sue
"incazzature" e/o depressioni per quel che Evola (sempre in Cavalcare la Tigre) definisce
"brusca rottura esistenziale e ontologica di livello" e se ne andrà in giro profferendo frasi
perentorie su quella "merda di mondo che lo circonda" e affermando di praticare una non meglio
precisata "via eroica".

EA: Ho letto con grande piacere le note di Frater Petrus sulle caste, che completano quanto
diceva, qualche tempo fa, in un suo saggio di metapolitica(1), in relazione alla primordiale
"casta unica". Condivido il suo schema, che, nel succedersi dei cicli, si riferisce ad una
distribuzione delle caste immediatamente successiva alla "casta unica". E' da notare che, in un
epoca così primordiale, la "conoscenza" fa tutt'uno con l'atto magico: è ciò che Evola tentò di
descrivere, anche in termini filosofici, nel suo "idealismo magico". In una tale epoca, i Brahmani
o Sacerdoti sono tali nel significato originario del termine: essi sono coloro che dominano il
Brahman (la Possibilità Universale) mediante il potere del rito. In questa situazione, di solito il
regno è dominato da due "capi". Il primo, che è il Rex propriamente detto, è il capo supremo ed
è il brahmano con il più alto potere magico. Egli è cioè il più eccellente nella via della
conoscenza, che segue come tutti gli altri brahmani. E' il Rex-Pontifex Maximus. L'altro capo,
più esteriore rispetto al primo, è invece quel brahmano che ha il compito di governare le altre
caste (guerrieri e artigiani), stando a diretto contatto con i più alti esponenti di queste. Rispetto a
tali caste, egli è un Dux (cioè un Duce, uno Shogun). Per la sua particolare funzione di
intermediario tra la casta brahmana e le altre, gli compete l'iniziazione alla "quarta via", che altro
non è che la pratica armonica e "in essenza" di tutte e tre le "vie". L'espressione "in essenza"
significa che esse vengono praticate in modo certamente adeguato alla funzione ricoperta, ma
ovviamente non con quella medesima estensione applicativa, che è possibile a chi si
specializza in una sola via.
Ma è risaputo che la degenerazione incombe. Così può verificarsi che la casta brahmana passi
da un atteggiamento magico nei confronti del Brahman ad un atteggiamento contemplativo in
senso deteriore, cioè di un mero "guardare" al sovrasensibile, che allora assume, per i
sacerdoti, i connotati di una "realtà autonoma", che non si può più dominare, ma solo
"propiziare", ottenendo "grazie". Se ciò si verifica, automaticamente il Rex decade nella
condizione di mero Rex Sacrorum, termine qui da intendersi nel senso di semplice capo di
sacerdoti contemplativi, cioè praticanti una forma speciale di via della devozione. Se, in una tale
situazione, il Dux ha invece avuto la fortuna di conservare intatta la sua via iniziatica, si ritrova
ad essere l'unico detentore, sia pure in forma essenziale, anche della via della conoscenza.
Viene dunque ad essere il personaggio spiritualmente più elevato del regno e compete a lui
allora "de iure" il pontificato massimo. Il Dux-Pontifex Maximus è ciò che, con altro termine, può
dirsi Imperator e che io, in un precedente scritto e con altra terminologia, indicai come quel
"re-mago" che domina (in una tale epoca di mezzo) sia i sacerdoti, sia i guerrieri. Ma i guai
sembrano non finire mai. Così può capitare che l'Imperator scada al livello di un semplice capo
di guerrieri e di folle, e non sia più, neanche lui, in grado di seguire la via della conoscenza. La
sua quarta via si riduce allora alle sole vie della devozione e dell'azione. In tale situazione, il
capo dei sacerdoti, il rex sacrorum che normalmente è più esperto dell'Imperator nel campo
della devozione, avanza pretese sul pontificato massimo e talora (come accadde al vescovo di
Roma) lo ottiene.
Naturalmente, con queste poche parole, non ho potuto far altro che schematizzare all'estremo
ciò che avviene in tempi assai lunghi e con le più svariate sfumature, a seconda degli
innumerevoli possibili casi.

(1) Frater Petrus: Europa Unita - Elite e Triarticolazione Sociale

Frater Petrus: Ringrazio Ea per aver completato quanto io avevo molto schematicamente
accennato, riguardo alle vie iniziatiche. Esiste una corrispondenza simbolica tra le varie caste (e
le loro vie) e i cinque elementi della tradizione. All'indifferenziazione dell'etere corrisponde la
primordiale "casta unica". All'aria, di poco più differenziata, corrisponde la quarta via di colui che
Ea ha definito, con vari termini, Dux, Imperator, Re Mago. Occorre tener presente che tale via
compete non ad una persona singola, ma ad un entourage patrizio, in grado di garantire un
successore al Dux. Al fuoco corrisponde la via della conoscenza della casta brahmana.
All'acqua corrisponde la via devozionale della casta guerriera, manifestantesi sia come
devozione ad un Dio, sia come devozione al Dux. In taluni casi (come quelo dell'Imperator
romano) le due devozioni potevano anche coincidere. Alla terra infine corrisponde la via
dell'azione della casta degli artigiani e dei mercanti. Come è noto esistono varie sequenze dei
cinque elementi. Quella appena usata è la sequenza di "derivazione" di un elemento dall'altro.
Esiste poi una sequenza detta "per sottigliezza", identica alla precedente salvo per il fatto che il
fuoco segue l'etere e precede l'aria, la quale, come è noto, dà luogo a un elemento più sottile di
lei (il fuoco) e ad uno più grossolano (l'acqua). La sequenza di derivazione degli elementi,
corrisponde a quella che ho chiamato scala di derivazione delle vie iniziatiche. Invece la
sequenza per sottigliezza corrisponde alla scala di eccellenza delle vie, nella quale la via della
conoscenza magica dei brahmani precede la via meno differenziata del Dux. Così che, come ha
indicato Ea, nell'epoca immediatamente successiva a quella della casta unica, il capo dei
brahmani era il vero capo supremo o Pontifex. Titolo che il Dux potè rivendicare solo dopo il
decadere della casta brahmana stessa e che, a sua volta, il Rex Sacrorum (qui in Occidente il
papa cattolico) potè rivendicare solo in seguito alla decadenza del Dux. E' importante rilevare
che la decadenza di una certa casta non implica la totale scomparsa della corrispondente via
iniziatica. Infatti essa può conservarsi in gruppi molto ristretti, costretti a divenire più o meno
"occulti", dovendo vivere nell'incomprensione dell'ambiente che li circonda. Nel caso estremo,
cioè di totale scomparsa della forma comune di trasmissione iniziatica, vale sempre il detto
buddhista: "Quando è scomparso l'ultimo degli Uditori, compaiono i Buddha Solitari". Teniamo
ora presenti le "qualità" tradizionalmente attribuite agli elementi: l'aria è umida e calda; il fuoco è
secco e caldo; l'acqua è umida e fredda; la terra è secca e fredda. Queste qualità si ritrovano
ovviamente nelle "vie", tenendo presente che "calda" è una via che si serve della conoscenza
magica e perciò "fredda" una via che non se ne serve; "umida" è invece una via che si serve di
pratiche devozionali e perciò "secca" è una via che non se ne serve. Ne consegue che la via del
Dux è umida per la presenza di una componente devozionale, ma anche calda per la presenza
di una componente della via della conoscenza, che prevale (in condizioni normali) sulla
componente della via dell'azione. La via del brahmano è secca e calda per la sola presenza
della via della conoscenza. La via del guerriero è umida perchè è basata sulla via devozionale e
fredda perchè non è praticata la via della conoscenza. Infine la via dell'azione degli artigiani e
dei mercanti è secca perchè manca di devozione e fredda perchè manca della conoscenza
magica. Quando nella quarta via del Dux si perde l'aspetto "conoscenza", rimangono la
componente devozionale (umida e fredda) e la componente dell'azione (secca e fredda), così
che il Dux decaduto viene ad essere una sintesi di guerriero e artigiano, onde la predilezione di
certi re per gli Ordini Cavallereschi, ma anche per la Massoneria. Abbiamo detto altrove che
l'attuale mescolanza delle caste, se si è abbastanza furbi da evitare avvenimenti apocalittici,
può essere semplicemente la preliminare "brutta copia" di una nuova casta unica. In simili
momenti, assurge a particolare importanza proprio la quarta via del Dux, integralmente
sopravvissuta in qualche gruppo occulto, ovvero rievocata tramite una rigorosa ascesi spirituale.
Infatti, per la sua essenzialità rispetto alle altre vie più specializzate, essa risulta essere la via
più simile a quella praticabile dai membri di una casta unica, che, come tali, posseggono
vocazioni poco specializzate. Non è un caso che G. I. Gurdjieff abbia trasmesso proprio una
forma della quarta via. La sua, però, non è l'unica forma possibile di tale via e forse, visto che
proviene da ambienti orientali, non è una forma molto adatta agli occidentali. E' probabile che si
riveli a loro più adatta una sintesi dell'immenso patrimonio iniziatico, preservato dall'Italica
Schola.
Ho letto le obiezioni fattemi da Janus. Per quel che concerne la "quarta via" ho risposto sopra,
spero esaurientemente. Riguardo alla Massoneria, viste le sue affermazioni non molto gentili,
non ritengo di dovergli dare risposta: che non siano solo "rose e fiori" è risaputo, ma esistono
anche studiosi seri e bisognerebbe evitare certe espressioni che li coinvolgono: c'è bisogno
anche del loro contributo. Analogamente non posso condividere quanto egli dice (non
bisognerebbe mai generalizzare) sugli orientali arrivati in Occidente: come sempre ci sono
persone più valide ed altre meno valide. Altrove egli ripropone lo slogan "Guenon=Dottrina e
Evola=Metodo". Questo slogan è stato definitivamente confutato (nel Quaderno relativo alla
Polemica sul Vedanta) dagli interventi di "Tarquinio Prisco" e della "Turba Philosophorum", così
che non è necessario occuparsene oltre.

4c) Massoneria Operativa e Speculativa

Ea: Il saggio "Iniziazione al Grado di Apprendista" di P.M. Schepis fornisce una prima idea di
quella Massoneria Operativa, strutturata originariamente in sette gradi, della quale io stesso mi
sono brevemente occupato e alla quale si riferisce la monografia "Vivificazione deiSegni e delle
Prese".
Afrodite Urania: In effetti, è solo, leggendo "Iniziazione al Grado di Apprendista", che sono
riuscita a intuire effettivamente cosa intendevi, quando dicevi che era solo nel grado di Maestro
dell'Arco Reale, che era possibile combinare segni e prese (come insegna Sebottendorff)
acquisiti singolarmente nei gradi precedenti. Mi è anche più chiara la differenza che facevi tra
apprendista "esterno" ed "interno". Non è un caso che quest'ultimo, in lingua inglese, sia infatti
chiamato "Entered Apprentice" (letteralmente: apprendista entrato). Se, nella massoneria
speculativa, il grado di apprendista esterno si è perso è probabilmente perchè è venuta meno
la fondamentale fase di preparazione, messa in evidenza dall'autore del saggio. Trovo che egli
abbia anche sviluppato, almeno in relazione al grado di apprendista, quel tipo di ricerche sulle
parole sacre, che si trovano ad es. nell'opera di Reghini "Le Parole Sacre e di Passo". Mi
sembra poi finalmente chiaro come nella massoneria operativa potessero esservi delle donne,
senza che esistessero per esse riti specifici di iniziazione.
Pietro Negri: Un'altra cosa che quel saggio rende evidente è la differenza tra iniziazione
effettiva o attuale e iniziazione virtuale. La prima richiede il concorso dell'iniziando e della
catena iniziatica, al fine di ottenere un primo livello di realizzazione. La seconda, pur essendo
sempre presente un inevitabile influsso della catena iniziatica, (e quando mai, nel contatto tra
due esseri, non vi è un influsso reciproco?) è principalmente costituita da una istruzione rituale,
che l'iniziando deve mettere in atto. Come altri hanno giustamente notato, l'iniziazione indicata
sia da Kremmerz, sia da Steiner è di tipo virtuale. L'iniziazione "effettiva" ha un carattere più
"lunare", essendo maggiormente determinante l'influsso della catena; l'iniziazione virtuale è più
"solare", ma è ovviamente più difficile e rimane virtuale, fino a quando l'iniziando non assurge al
necessario grado di solarità.

Pietro Negri: Come dimostra il saggio di Massimo Scaligero la "Croce degli eteri", il
camuffamento steganografico ha costituito nei secoli passati un mezzo abbastanza sicuro per
trasmettere insegnamenti esoterici. Chi, infatti, non possiede la chiave interpretativa e non è
messo sull'avviso tenderà a ritenere il manto steganografico (che è volutamente anch'esso di
contenuto tradizionale, ma più esteriore) il vero contenuto. Per quanto riguarda la Massoneria,
un esempio tipico di camuffamento steganografico è quello morale. In questo forum, gli scritti di
Ea, P.M. Schepis ed altri hanno messo in evidenza come, in origine, nella Massoneria
operativa, l'insegnamento iniziatico era oggetto di trasmissione diretta ed immediata. Venne
però un tempo nel quale molti aristocratici, non trovando più, con sufficiente facilità, iniziazioni
cavalleresche a loro idonee, cominciarono a richiedere sempre più frequentemente di entrare in
Massoneria. Lo stesso comportamento si verificò da parte di esponenti dell'alta borghesia. Non
era facile dir di no ai suddetti richiedenti, perchè si trattava di persone che avevano notevole
peso politico e spesso erano proprio loro a fornire lavoro alle confraternite muratorie, così che
nei loro confronti la "tegolatura" era solo un pro-forma. Il numero di massoni "accettati", e non
praticanti il mestiere, si fece allora preponderante rispetto ai massoni "antichi" (passaggio dalla
Massoneria operativa a quella speculativa, che spesso ha riguardato sé stessa, visto il gran
numero di aristocratici, come un ordine cavalleresco). Divenne importante difendere
l'insegnamento iniziatico nei confronti di coloro che non erano pronti a riceverlo e che nello
stesso tempo, per le ragioni già viste, era impossibile non ammettere in loggia. Diventò prassi
abituale, particolarmente nell'iniziazione ai primi gradi, camuffare l'insegnamento esoterico con
norme etiche. Il vero insegnamento era impartito solo a chi, percorrendo i vari gradi, avesse
dimostrato reale attitudine per la realizzazione iniziatica. Per meglio gestire e giustificare il
"centellinamento" dell'insegnamento, spesso nacquero gerarchie caratterizzate da un gran
numero di gradi. Che le norme etiche siano solo un camuffamento è dimostrato dal seguente
saggio di Arturo Reghini, pubblicato nel 1925 su "Era Nuova", organo ufficiale della Grande
Loggia d’Italia.

4d) Arturo Reghini

La morale ed il lavoro massonico

L'articolo I degli «Statuti Generali della Franca Massoneria in Italia. Seconda edizione. Dalla
stamperia del G.O. d'Italia, 5812 (1812)» dice: «L'Istituzione della Reale Franca Massoneria è
uno dei più antichi monumenti dell'umana sapienza, e appartiene alla classe degli Ordini
Cavallereschi. Essa ha per fine il perfezionamento degli uomini col mezzo dei Membri che la
compongono».
E gli Statuti de1 1820, da questi derivati (Statuti Generali della Massoneria Scozzese. Edizione
la più accurata e completa di quante sin oggi ne apparvero in Cosmopoli. All'Or. di Napoli 1820),
dicono la stessa cosa. Infatti l'art. 1 dice: «L'Ordine dei Liberi Muratori appartiene alla classe
degli Ordini Cavallereschi e ha per fine il perfezionamento degli uomini». E l'art. 14: «Se il fine
della Istituzione è il perfezionamento dell'uomo è indispensabile che il Libero Muratore pratichi
la vera morale che suppone la cognizione e l'esercizio dei doveri e diritti dell'uomo...». E l'art.
15: «Estendendosi lo scopo dell'Istituzione al perfezionamento di tutta la specie umana, il Libero
Muratore impiega tutti i mezzi di fortuna e d'ingegno per giungervi».
Questi Statuti del 1820 sono stati tradotti in spagnolo dal F. Tadeo C. Carvallo di Caracas,
perché giudicati (insieme a quelli di Milano del 1806 e 1812) i meno incompleti e più autentici, e
stampati dal Cassard nella sua autorevole opera (CASSARD ANDRES - Manual de la
Masoneria ò sea el Tejàdor de los Ritos Antiguo escoces, frances y de Adoption - Nueva Y ork
1871, 6a ediz.; pagg. 119 e 122-181).
Ristampati nel 1863 per cura di Domenico Angherà, Venerabile della Madre Loggia La Sebezia
all'Or.'. di Napoli, sono stati poi ripetutamente stampati con delle modificazioni in Italia.
Nell'edizione del 1923 (Statuti Generali dell'Ordine dei Liberi Murateri del Rito Scozzese Ant. ed.
Acc. per l'Italia, Dipendenze e Colonie) il primo articolo così dice: «L'Ordine dei Liberi Muratori
del Rito Scozzese Antico ed Accettato appartiene alla classe degli Ordini Cavallereschi. Esso si
propone il perfezionamento degli uomini ed il bene della patria e dell'umanità».
L'articolo 425 dei nostri Statuti Generali dice: «unico scopo dei Liberi Muratori è il
perfezionamento dell'uomo», e per questo è necessario come prescrive l'art. 343 che l'iniziando
possegga «attività ed ingegno per penetrare, svolgere e conoscere da sè medesimo le alte
scienze che l'arcano istituto massonico offre all'esame dei suoi seguaci».
In una nota a pag. 16 del numero di ottobre-dicembre della Rassegna Massonica dicevamo a
questo proposito:
«Ma questo perfezionamento non va inteso in senso morale, come si crede generalmente,
specialmente nei paesi anglosassoni, ma in senso iniziatico, scientifico, ermetico. Le alte
scienze, che noi consideriamo, hanno a che fare con la morale quanto l'algebra o l'astronomia.
Chi non vuole o non può comprendere questo è destinato a divenire ed a restare un uomo
buono, tre volte buono, ma non un iniziato».
Poiché il nostro pensiero, forse per colpa nostra, è stato da qualche fratello inglese frainteso,
torniamo di proposito sull'importante argomento per meglio chiarirlo. E ricordiamo anzitutto che
sin dalle Costituzioni dell'Anderson, da tutte le Massonerie regolari seguite, è detto che per
entrare a far parte della Massoneria bisogna essere un uomo libero e di buoni costumi, ossia un
uomo morale nel senso etimologico della parola (Mos in latino, come Ethos in greco, non è altro
che il costume). Questo dimostra che il profano prescelto, essendo già morale, non ha bisogno
di divenirlo in Massoneria e che perciò il perfezionamento da raggiungere lavorando alla pietra
grezza per trasformarla in pietra cubica si riferisce ad un campo diverso, superiore, e non a
quello morale. È perciò un errore il credere che tutta l'arte reale consista nel perfezionare la
morale profana, ossia nel diventare un profano perfezionato. Inoltre osserviamo che la morale,
appunto perché sostanzialmente non è altro che un complesso di regole di condotta sociale e
non fa che contemplare i rapporti degli uomini fra di loro, è evidentemente estranea alla
operazione che il massone deve, secondo gli statuti, compiere da sé-medesimo, da solo, per
penetrare, svolgere e conoscere le alte scienze che l'arcano istituto massonico offre all'esame
dei suoi seguaci.
Naturalmente estranea non significa antitetica. Come per apprendere la chimica non occorre
essere né buono, né cattivo, né morale, né immorale; così accade per l'arte della costruzione.
Sarebbe infatti un ingenuo chi credesse di imparare la chimica alla scuola, semplicemente
portandosi bene e non molestando i compagni; tale credenza lo porterebbe a restare, per
quanto riguarda la conoscenza della chimica, un ignorante. La stessa considerazione vale,
evidentemente, per ogni scienza ed in particolare per la scienza suprema, per la sapienza
metafisica, la quale dovendo attingere l'universalità deve necessariamente sottrarsi alle
limitazioni di tutte le contingenze. È proprio del misticismo il cercare di raggiungere la «grazia
illuminante» per mezzo della fede, del sentimento, della devozione e della morale. La scienza,
quella iniziatica come tutte le altre, non si basa, invece, che sull'esperienza. San Tommaso,
come Dante, partono dalla ragione per arrivare alla fede, e non viceversa (la quale fede non è
affatto una credenza filosofica o religiosa, ma «sustanzia di cose sperate»). Perciò sono vittima
di una grave illusione coloro i quali credono che per ottenere il perfezionamento iniziatico basti o
sia necessario basarsi sopra i buoni sentimenti e la buona condotta.
Quando poi si volesse sostenere che la morale è anche essa una scienza, si andrebbe incontro
a serii guai, perché carattere fondamentale della scienza è l'essere vera e l'essere la stessa in
tutti i tempi ed in tutti i paesi. I teoremi di matematica, le leggi di fisica e le reazioni chimiche che
sono vere oggi, lo erano ieri e lo saranno domani; lo sono a Roma, come a Pechino, ed a
Washington. Per la morale è giusto l'opposto, essa varia da luogo a luogo, da tempo a tempo; è
un'osservazione che ogni viaggiatore, da Erodoto a Marco Polo, ha fatto. Le manca dunque
quel carattere di verità universale, che è il fondamento di ogni scienza e di quella reale in
specie; ed anche per questa ragione non è la morale pagana, o la cristiana, o la buddista,
l'antica o la moderna, che può bastare od essere indispensabile per raggiungere quel
perfezionamento dell'uomo di cui parlano gli Statuti e le antiche tradizioni muratorie.
Storicamente, poi, questo perfezionamento è il medesimo che era oggetto, e che era raggiunto,
nei misteri iniziatici eleusini, in cui, come è noto, la catarsi o purificazione non aveva alcun
carattere morale, ma semplicemente tecnico, rituale. Insomma come nei trattati di Calcolo
Integrale non si trova mai menzionato né il Vangelo, né il Corano, e nessuno se ne meraviglia o
se ne duole; così nella «grande opera della edificazione spirituale» non entra e non può entrare
nessun concetto o credenza filosofica o religiosa.
Essa si compie mediante le virtù (intese nel senso originario della parola) dell'anima umana e
del Grande Architetto dell'Universo.
Con questo, lo ripetiamo a scanso di equivoci e di allarmi, non si predica l'immoralità, ma si
mette moralità ed immoralità al loro vero livello, eminentemente sociale, che non arriva né alla
scienza né alla metafisica.
Quanto alla esistenza di una morale universalmente vera, essa non può essere basata che
sopra i caratteri universali della vita e dell'uomo, e quindi per costituirla e per conoscerla occorre
avere raggiunto la piena ed assoluta conoscenza della vita e della natura umana. Essa è
dunque un frutto del perfezionamento dell'uomo, e non il punto di partenza; ed essa si identifica
allora, non con le credenze e le usanze contingenti e transitorie degli uomini, ma con la natura
della vita, ossia con la natura del Grande Architetto dell'Universo, e con la conoscenza delle alte
scienze che l'arcano Istituto massonico offre ai suoi seguaci. Ed il nome stesso di «Morale» non
le si addice più, etimologicamente parlando.
Questa nostra attitudine è perfettamente ortodossa e tradizionale. Secondo Gesù, per entrare
nel regno dei cieli è necessario nascere di nuovo e tornare come un piccolo bambino, il quale
nella sua innocenza ignora che cosa sia il bene ed il male, e non ha ancora appreso a seguire
la morale dell'ambiente in cui nasce; e per rapire il «Regno dei cieli» ci vuole la violenza, e non
la moralità, dice Gesù. In simil modo, secondo i misteri pre-cristiani e post-cristiani, e secondo
quelli massonici in particolare, il profano muore alla vita profana, rinasce di nuovo, impara a
camminare indifferentemente sul bianco e sul nero del pavimento di Loggia, ed impara a
conoscere la stella fiammeggiante grazie al libero ed intelligente uso dei suoi cinque sensi,
come insegna il catechismo del secondo grado.
Anche la resurrezione iniziatica del terzo grado non ha nulla di moralistico. Essa mostra solo
che all'esperienza ed all'insegnamento dei cinque sensi ordinari del compagno, occorre
aggiungere qualche cosa di trascendente per divenire maestro, e precisamente quegli stessi
mezzi di cui dispone chi ha lasciato o superato la vita umana e la vita individuale. Simile
concezione, che si. basa sopra la indistruttibilità dello spirito, è perfettamente ortodossa
massonicamente parlando, ed è la stessa che conobbe e seguì il Fr. Albert Pike. È evidente che
la transumanazione non può essere ottenuta seguitando a restare quanto più è possibile umani,
come è evidente che non è aumentando il numero e perfezionando la robustezza delle sue
zampe che il verme dantesco può trasformarsi nell' «angelica farfalla, che vola alla giustizia
senza schermi».
V

L'ermetismo può identificarsi con l'alchimia?

Abraxa: Come è noto, furono le riviste Ur e Krur a riportare in anteprima quei saggi evoliani,
che poi costituirono la base del testo "La Tradizione Ermetica". Si veda a tal proposito l'edizione
Tilopa di Introduzione alla Magia. Che ne è dell'ermetismo oggi? In un'opera di divulgazione
sull'alchimia intitolata “L’Alchimia questa sconosciuta” si legge: "Ebbene l'Alchimia prende avvio
dalla dissociazione dallo scopo utilitaristico dei fenomeni fisicochimici ( in Egitto la ricerca. della
fabbricazione dell'oro. comune era vecchia di. almeno 12 secoli!) dell'interesse metafisico che
se ne leva in via simbolica (in Egitto i principali simboli, alchimici erano conosciuti da secoli!). Ne
è riprova il fatto che negli scritti alchimici è evidente il disinteresse per i fenomeni in concreto e
di laboratorio, senza con ciò escludere che possa essersi iterata - more antiquo - una operosità
gestuale, piuttosto che rituale, sulle sostanze e/o in ordine a operazioni specifiche, fondata
sull'accezione magica del "ex operae operato", come dire: tanto faccio fuori di me e tanto perciò
realizzo dentro di me. Ma nei procedimenti nulla è di scientifico e neppure di coerente con la
pratica artigiana, né con la sperimentazione di una qualche utilità. La Chimica e la Metallurgia
dell'Alchimia hanno da essere correttamente considerate ed intese non alla lettera, se pur può
darsi che sin da gli inizi siano anche state intese e fraintese, visto che nel IV secolo il filosofo
Cristianos avvertiva che la pratica altro non era se non un pretesto per l'esercizio dello spirito, e
nel VII secolo Stefano fermamente ammoniva a mettere da parte "la teoria materiale", poiché "la
chimica leggendaria" è una cosa, ma "l'opera mentale segreta" un'altra, ed esortava: "non
preoccupatevi dei fornelli materiali, di storte di vetro, di alambicchi, di flaconi e sublimati... ".
Così distinguere fra un'Alchimia interna spirituale ed. una esterna o materiale è del tutto
gratuito, poiché storicamente non esistono due specie siffatte; al più si. possono riscontrare
nell'autentica operatività alchimistica, di ordine egizio, due stili di approccio e di conduzione: uno
purista, di stretta osservanza, secondo il quale la Grande Opera di trasmutazione del "piombo"
in "oro", nei suoi ingredienti, è assunta e mantenuta in tutto il processo, ed uno temperato, per
non dire minus quam, che pur nella consapevolezza del simbolismo si appoggia ad actum o ad
acta ad una certa gestualità di sostegno, in via simpatetica. Oggi, piuttosto che di Alchimia si
parla di Ermetismo alchimico, per il fatto che ad un certo simbolismo strettamente chimico,
fattosi desueto, come desueti diventano certi modi di dire - che in fondo sono modi di pensare -
si è sostituito un simbolismo adeguato ai tempi, come d'altronde in tutta la storia dell'Alchimia,
comunque rimanendo identica la tematica, la problematica, e cioè di sopravvivere in primis alla
morte individuale ossia dell’IO" e "in secundis" di "unificare", grazie alla presa di coscienza della
profonda identità transpersonale dell'operatore (espressione moderna dell'"artifex") con il
Principio dei Principii, in lui medesimo... visto come "deus absconditus" - il dio nascosto".
Abbiamo trascritto questo testo perchè, paroloni a parte, è tipico del modo di pensare di coloro
che assimilano "sic et simpliciter" l'alchimia con l'ermetismo. Evola era invece ben consapevole
della differenza tra questi due termini. In un'intervista a G. de Turris "L'Iniziazione nel mondo
moderno", riportata in appendice a "Testimonianze su Evola" si legge:
"D: Mi fa piacere che lei pronunci alchìmia e non alchimìa.
Evola: Dipende dunque da che cosa si mira: se uno fa dell'alchìmia o alchimìa; per fare l'oro,
vale un detto noto, che dice che "per fare l'oro bisogna avere l'oro", e in qualche caso non è
escluso perfino il fenomeno materiale, ma ciò presuppone una raggiunta dimensione
trascendente l'individuo. In quanto quindi l'alchìmia intesa in quel senso, i maestri alchemici...ce
ne sono ermetici semmai, il che è un po' diverso".
Naturalmente il nostro divulgatore rimprovererebbe ad Evola di dire alchemici anzichè alchimici.
Dice infatti in un altro passo dell'opera citata : "Errore grossolano, comunque, l'aggettivo
alchemi-co/a in luogo di alchimico/a, forma che sola deriva da Alchimia".
E si dimentica così di ciò che egli stesso dice solo qualche riga prima:
"D'altronde kimiya può anche collegarsi all'egizio ... chem (da "kmt" - nero) Gli egizi infatti
chiamavano la Valle del Nilo Kemi (la Nera) per il colore scuro dato dal limo del fiume, ... , tanto
che si dicevano Remru Kemi, ossia uomini della (terra) nera... Allora la parola Alchimia (stante
Al come articolo determinativo) ben potrebbe significare la dottrina e pratica che viene dalla
(terra) nera, cioè dall'Egitto".
Vista la probabile derivazione di Alchimia da Kemi, perchè stupirsi che alchimico abbia come
legittima variante alchemico? Lo stesso autore deve infatti riconoscere: "in greco esisteva pure
la forma chemia". Ma lasciamo da parte questi discorsi linguistici e chiediamoci perchè Evola
faceva giustamente differenza tra maestri alchemici e maestri ermetici. Egli stesso si
considerava studioso ermetico e "La Tradizione Ermetica" si intitola perciò la sua principale
opera sull'argomento. Correttamente non la intitolò "La Tradizione Alchimica", perchè in essa
non si parlava, in senso stretto, di alchimia. La differenza tra alchimia e ermetismo è, per certi
versi, analoga a quella tra massoneria operativa e massoneria speculativa. La massoneria
operativa era legata all'esercizio del mestiere corrispondente, quella speculativa non lo è.
Analogamente l'alchimia (checchè ne pensi il nostro divulgatore) era legata all'esercizio del
mestiere di alchimista, mentre l'ermetismo non lo è. Tanto nella massoneria speculativa che
nell'ermetismo i riferimenti al mestiere corrispondente sono limitati e affiancati da altri simboli di
differente provenienza, col fine iniziale di renderli adatti a persone che non esercitano il
mestiere. Inutile dire che l'allontanamento dal mestiere e perciò da una base simbolica concreta
e ben definita, costituisce un pericolo, perchè nelle mani di persone non all'altezza o di
controiniziati è facile che il simbolismo divenga, col tempo, arbitrario, lussureggiante e
fuorviante. Quante stupidaggini si dicono al giorno d'oggi sull'alchimia, affermando di essere
studiosi di ermetismo?
Occhi di Ifà: In effetti l'autore che citi, in un altro passo di quel libro, dice: "Se la metafora è
quella traslazione retorica che manda da una immagine ad una idea (mentre l'allegoria è una
metafora prolungata) il simbolo manda da una immagine a più idee, epperciò l'una e l'altro sono
di uso generale e consolidato nell'immaginario ermetico alchimico, che ricorre a simbologie
numeriche (del 3, del 4, del 7, del 9, del 12 etc.) al simbolismo geometrico (del triangolo, del
quadrato, del cerchio), al più svariato bestiario (drago, aquila, leone, corvo, colomba etc.) - non
meno che ad anagrammi, ad acrostici - ove si assumono soltanto le iniziali delle parole di una
frase, a formare la parola -come pure a crittografie (tipi di rebus) e, dopo il Rinascimento, a
mi-temi (temi mitici) della mitologia pagana nella esposizione di Operazioni e Fasi dell'Opera,
fermo il vocabolario chimico o metallurgico quale asse portante nel discorso sull'Alchimia quale
"scienza che insegna a trasformare i metalli di una specie in metalli di un'altra specie"
(Paracelso)". Inutile dire che l'alchimia propriamente detta non ha affatto bisogno di un simile
lussureggiante (per usare un tuo termine) e confusionario simbolismo, bastandole i simboli
propriamente alchimici. Esattamente come alla massoneria operativa bastavano e bastano i
simboli architettonico-muratori. Le forme "speculative" delle arti e scienze tradizionali (e
l'ermetismo è una forma "speculativa" dell'alchimia) sono sempre pericolose, perchè il
proliferare sincretico dei simboli permette a ciarlatani e controiniziati... di dire ciò che vogliono,
o, come oggi avviene di frequente, di scrivere un mucchio di libri, senza dire
sostanzialmente...niente. A differenza di Evola che, come rilevi giustamente, ebbe l'onestà di
intitolare Tradizione Ermetica e non Tradizione Alchimica la sua opera, l'autore citato pretende
di parlarci de "L'Alchimia questa sconosciuta", non rendendosi conto che la sua può
considerarsi al più una interpretazione dell'ermetismo. Sarebbe, più o meno, come se qualcuno
scrivesse un libro sulla massoneria speculativa e ingannasse poi i suoi lettori, intitolando l'opera
"La massoneria operativa".
VI) Iniziazione Cristiana e Antroposofia
6a) E' mai esistito un esoterismo cattolico?

di Occhi di Ifà

Talvolta, anche in relazione a membri del gruppo di Ur, si sente parlare di esoteristi cattolici (o di
cattolici esoterici). Ad es. vengono definiti tali Guido de Giorgio (Havismat) e Nicola Moscardelli
(Sirio o Sirius). E si dice anche che antroposofi come Girolamo Comi (Gic) e Corallo Reginelli
(Taurulus) siano poi diventati esoteristi cattolici.
Ma è mai esistito un esoterismo cattolico (o cattolicesimo esoterico)? Per poter rispondere
affermativamente, occorre rispondere alle seguenti domande:
1) E' mai esistito un esoterismo cristiano ? (c'è chi dice di no, perfino tra i cristiani)
2) In caso affermativo, è mai esistito un esoterismo cattolico, che possa distinguersi da
altre forme di esoterismo cristiano?
Rispondere affermativamente alla prima domanda significa dimostrare che vi sono stati dei
"maestri perfetti", come li chiama Kremmerz, che abbiano trasmesso un'iniziazione, avente
come simbolo centrale la figura di Cristo. Cercheremo di rispondere in futuro a tale domanda,
occorrendo molto più che lo spazio di un messaggio.
Per il momento, assumeremo, con beneficio di inventario, che tale esoterismo sia esistito e
forse esista. Questa nostra assunzione provvisoria ci permette di parlare anche di esoterismo
cattolico? Il cattolicesimo si distingue ad es. dalla chiesa ortodossa, principalmente perchè:
a) afferma che lo Spirito Santo "procede dal Padre e dal Figlio" (e non dal solo Padre);
b) afferma l'esistenza del Purgatorio;
c) proclama il dogma dell'Immacolata Concezione;
d) proclama l'infallibilità pontificia.
Si potrà affermare che esiste un esoterismo cattolico, soltanto se si riuscirà a dimostrare che
tutte o alcune di tali caratteristiche peculiari del cattolicesimo siano state assunte quali simboli
fondamentali di una qualche via iniziatica. In caso contrario, si dovrà ammettere (se si risponde
affermativamente alla domanda n° 1) che esistono più exoterismi cristiani, ma un unico
esoterismo cristiano. In tale eventualità, il termine esoterista cattolico non avrà alcun significato,
dovendosi più correttamente parlare di un esoterista cristiano che agisce in ambiente cattolico:
ad es. in relazione a Comi e Reginelli non si potrà dire che essi sono passati all'esoterismo
cattolico, ma (se si considera l'antroposofia una manifestazione dell'esoterismo cristiano) si
potrà dire soltanto che essi, dopo aver agito in ambito antroposofico, sono passati ad agire in un
ambiente cattolico.

***
6b)Esistono Prove Scritturali dell'Esistenza dell'Esoterismo
Cristiano?

6b1) Exoterismo ed Esoterismo

Occhi di Ifà: E' cosa arcinota agli studiosi delle religioni che esse, normalmente, hanno
presentato e presentano un aspetto exoterico, che si rivolge a tutti gli aderenti ed un aspetto
esoterico, più elevato, rivolto solo a chi è in grado di comprenderlo e praticarlo. Occorre dunque
chiedersi, visto che è un quesito posto sia da cristiani, sia da non cristiani, se il Cristianesimo
offre a riguardo le stesse possibilità delle altre religioni o se, per sua intrinseca anomalia, non
presenti l'aspetto esoterico, ma solo l'exoterico.
Cominciamo col portare la nostra attenzione sui seguenti brani tratti dai Vangeli e degli Atti degli
Apostoli:

Vangelo di Marco, IV, 10-12 e 33-34


[10]Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse
loro: [11]«A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene
esposto in parabole, [12]perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».

[33]Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che
potevano intendere. [34]Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli,
spiegava ogni cosa.

Vangelo di Matteo, XIII, 34-36


[34]Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in
parabole, [35]perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in
parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. [36]Poi Gesù lasciò la folla
ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della
zizzania nel campo».

Vangelo di Luca, VIII, 9-10


[9] I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. [10]Ed egli disse: «A voi è dato
conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perchè vedendo non vedano
e udendo non intendano.

Vangelo di Giovanni, XVI, 12-15.


[12] Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; [13] quando però
sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo,
ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. [14] Egli mi glorificherà
perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. [15] Tutte le cose che ha il Padre, sono mie; per
questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà.

Atti degli Apostoli, I, 3-5.


[3]Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per
quaranta giorni e parlando del regno di Dio. [4]Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di
non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre
«quella, disse, che voi avete udito da me: [5]Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece
sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».

In questi brani viene innanzitutto differenziato l'insegnamento dato a "quelli di fuori" (gli
exoterici) consistente unicamente nell'esposizione letterale delle parabole e l'insegnamento dato
"in privato" o "in casa" ai soli apostoli e discepoli. Di questo insegnamento privato i Vangeli
riportano solo le spiegazioni allegoriche e morali. Ma è tradizione da tutti riconosciuta (Chiesa
Cattolica inclusa) che esistesse un quarto livello di significato detto anagogico (= "traente in
alto"), che, come indicano le stesse scritture, sarebbe stato alla portata degli stessi apostoli solo
dopo la "discesa" in loro dello Spirito Santo.

A riguardo, riproduciamo testualmente quanto dice il catechismo della Chiesa Cattolica


(riportato nel sito http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s1c2a3_it.htm) :
I sensi della Scrittura

115 Secondo un'antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso
letterale e quello spirituale, suddiviso quest'ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La
piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la
sua ricchezza.

116 Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso
l'esegesi che segue le regole della retta interpretazione. « Omnes [Sacrae Sripturae] sensus
fundentur super unum, scilicet litteralem – Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello
letterale ». 138

117 Il senso spirituale. Data l'unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma
anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni.

1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti
se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della
vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo. 139

2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente.
Sono stati scritti « per ammonimento nostro » (1 Cor 10,11). 140

3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato
eterno, che ci conduce (in greco: anà-ago) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è
segno della Gerusalemme celeste. 141

118 Un distico medievale riassume bene il significato dei quattro sensi:

« La lettera insegna i fatti, l'allegoria che cosa credere,


il senso morale che cosa fare, e l'anagogia dove tendere ». 142

(138) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, q. 1, a. 10, ad 1: Ed. Leon. 4, 25.

(139) Cf 1 Cor 10,2.

(140) Cf Eb 3,1–4,11.

(141) Cf Ap 21,1–22,5.

(142) Agostino di Dacia, Rotulus pugillaris, I: ed. A. Walz: Angelicum 6 (1929) 256.

Turba Philosophorum: Inevitabilmente, quando viene fondata una nuova religione, si tende ad
enfatizzare la differenza tra gli aderenti consolidati ("quelli che stanno dentro") e coloro che
semplicemente vengono fatto oggetto della nuova propaganda e che sono solo possibili nuovi
aderenti ("quelli di fuori"). In questo caso la differenza tra "interni" ed "esterni" non indica
affatto una differenza di livello spirituale, ma solo l'essere dentro o meno alla nuova
religione. L'ammissione dello stesso Vaticano che esista un significato anagogico, indica
inequivocabilmente che non si tratta dell'esoterismo propriamente detto (mai riconosciuto e
considerato eretico dal Vaticano) ma di semplice misticismo.

6b2) "Cani e Porci"

Occhi di Ifà: Vi sono diversi altri passi dei Vangeli, nei quali le parole di Cristo alludono in
modo assai chiaro, all'insegnamento esoterico presente nella Chiesa di allora. Uno di questi, al
quale altrimenti sarebbe difficile dare significato, è il seguente:

Vangelo di Matteo, VII, 6.


[6]Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le
calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

Questo versetto si riferisce chiaramente ai destinatari dell'insegnamento, che, se è esoterico,


cioè se, come dice la parola, è riservato a coloro che "sono dentro" alla cerchia iniziatica, non
può che essere dato selettivamente. Il cane è, tradizionalmente, un simbolo ambivalente. Da un
lato, essendo carnivoro e dotato di forte istintualità, è associato alla concupiscenza egoica, che
non si cura degli altri: in particolare non disdegnando le carogne è associato con il regno delle
ombre e con gli inferi. Dall'altro, per questa sua familiarità con l'invisibile, è assunto come
simbolo di entità psicopompe, in grado di condurre e proteggere l'anima umana durante il
viaggio nel mondo "al di là". Nel versetto evangelico il simbolo è assunto nella prima accezione
negativa e viene perciò chiaramente indicato che la concupiscenza egoica costituisce una "non
qualificazione" per l'iniziazione. Questa frase evangelica fa definitiva giustizia di chi ritiene che
l'insegnamento di Cristo non andasse mai al di là dell'ambito morale. Se così fosse non vi
sarebbe motivo di escludere i concupiscenti, i quali anzi potrebbero trovar giovamento da un
insegnamento morale. Ciò è confermato dal seguente versetto evangelico:

Vangelo di Marco, VII, 26-29.


[26]Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine
siro-fenicia. [27]Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane
dei figli e gettarlo ai cagnolini». [28]Ma essa replicò: «Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la
tavola mangiano delle briciole dei figli». [29]Allora le disse: «Per questa tua parola và, il
demonio è uscito da tua figlia».

In esso si afferma che l'insegnamento esoterico (il pane) è per gli iniziati (i figli), ma che le
applicazioni etiche (le briciole) di tale insegnamento possono essere dati anche ai non iniziati (i
cani).
Anche il maiale è, per la tradizione, un simbolo ambivalente: per il suo aspetto florido
rappresenta la fertilità e la ricchezza (la scrofa è simbolicamente associata alla Grande Madre);
per il suo modo di mangiare e per la sua abitudine a rotolarsi nel fango è invece simbolo di
voracitá, ingordigia, lussuria. Nei Vangeli è questo secondo significato a prevalere. Possiamo
ricordare a tal proposito l'episodio degli indemoniati di Gadara:

Vangelo di Matteo VIII, 28-32


[28]Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli
vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada.
[29]Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto
qui prima del tempo a tormentarci?».
[30]A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare; [31]e i demòni
presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». [32]Egli disse loro:
«Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la
mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.

Qui dunque i porci appaiono come un involucro materiale gradito ai demoni. Sul significato delle
perle ci illumina un altro passo evangelico:

Vangelo di Matteo 13, 45-46


[45]Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; [46]trovata una
perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Le perle preziose sono simbolo degli stati sovraindividuali, che sono tutti contenuti e sintetizzati
nell'ultimo "il Regno dei Cieli". Non gettar perle ai porci significa dunque non offrire gli
insegnamenti relativi agli stati sovraindividuali a chi è ancora avido solo di cose materiali. I porci,
infatti, credono che le perle siano qualcosa da mangiare, e vedendosi delusi, le calpestano coi
loro piedi, e poi si rivoltano contro chi le ha gettate loro. Dare, senza discernimento,
insegnamenti agli individui incapaci di apprezzarne il valore ha il solo effetto che essi li
sminuiscano al livello della loro stessa insipienza ("le calpestino"), deformando le più elevate
verità in idolatria, superstizione e fanatismo, che viene rivolto non di rado proprio contro chi ha
comunicato loro quegli insegnamenti ("si voltino per sbranarvi").
Tale stato di avidità, peraltro, non è una condizione necessariamente definitiva, come indica la
parabola del "figliuol prodigo":

Vangelo di Luca XV, 14-20


14Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a
trovarsi nel bisogno. 15Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione,
che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che
mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti
salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e
andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19non sono più
degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20Partì e si incamminò
verso suo padre.

E' dunque grazie a quell'esperienza, cioè essere guardiano dei maiali, e perciò fare i conti con
ciò che i maiali simboleggiano, che il figliol prodigo prenderà la decisione di ritornare alla "casa
del padre".

Turba Philosophorum: Quel che dici dimostra soltanto che veniva fatta differenza tra i non
cristiani e i cristiani e, in questo secondo ambito, tra semplici fedeli e mistici. Tu stesso,
trattando dei simboli del cane e del porco, hai indicato alcuni loro diversi significati. Come mai,
se si fosse trattato di reale esoterismo, è sempre stato scelto dai cristiani il significato
peggiorativo e moraleggiante?

6b3) La "Porta Stretta" e la "Cruna dell'Ago"

Occhi di Ifà: Continuando ad esaminare i passi evangelici, nei quali è palese il riferimento
all'esoterismo, ci imbattiamo in un simbolo inequivocabile: quello della "Porta Stretta":

Vangelo di Matteo, VII, 13-14.


[13]Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla
perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; [14]quanto stretta invece è la porta e
angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
Vangelo di Luca, XIII, 23-30
23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: 24«Sforzatevi di
entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.
25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare
alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.
26Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato
nelle nostre piazze. 27Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me
voi tutti operatori d'iniquità! 28Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo,
Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. 29Verranno da oriente e
da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed
ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».

La porta è dichiarata stretta, perché tutti coloro, che hanno un io ancora gonfio delle sue
presunzioni, non vi passano. La via poi è angusta perchè irta di difficoltà e di tentazioni
spirituali.
Dante, nella Divina Commedia, fa uso della medesima simbologia.
In Inf., V, 19-20 Minosse ammonisce Dante con la seguente frase:
"guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!"
E nel Purgatorio si legge:
"Noi salavam per entro ‘l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo…" (Purgatorio IV, 33)

…ma quinci e quindi l’alta pietra rade (Purgatorio XII, 108).

Simbolo equivalente a quello della Porta Stretta è il simbolo della "Cruna dell'Ago":

Vangelo di Matteo, XIX, 23-26


[23]Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno
dei cieli. [24]Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco
entri nel regno dei cieli». [25]A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si
potrà dunque salvare?». [26]E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è
impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

Vangelo di Luca XVIII, 24-27


[24]Quando Gesù lo vide, disse: «Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare
nel regno di Dio. [25]E' più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un
ricco entrare nel regno di Dio!». [26]Quelli che ascoltavano dissero: «Allora chi potrà essere
salvato?». [27]Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio».

Il "ricco", come si è già detto non è che l'ego gonfio delle sue presunzioni, che spiritualmente
sono solo di impaccio. Questi versetti chiariscono che, se nell'uomo vi fosse solo ciò che è
umano e individuale, qualsiasi realizzazione spirituale sarebbe semplicemente impensabile. Ma
nell'uomo vi è una "scintilla divina", come la chiamerebbe Eckhart, alla quale tutto è possibile. E'
infatti al "Dio in Noi" (Emmanuel) che Cristo sta facendo riferimento. L'Emmanuel, di cui Cristo è
perfetta umana manifestazione (Vero Dio e Vero Uomo) è perciò il bifronte guardiano della
Janua.
Cristo Bifronte

Turba Philosophorum: Il parallelo con Dante è fuorviante, giacchè egli è tra coloro - e sono
molti - che hanno cercato di tener viva la fiamma dell'esoterismo pagano anche durante i secoli
bui del cristianesimo. Ovviamente, spesso, per riuscirci senza danno per la propria incolumità,
hanno dovuto servirsi dei simboli stessi del cristianesimo, donando loro dei significati che per la
chiesa mai ebbero. Infatti, il senso della "porta stretta" e della "cruna dell'ago" è tranquillamente
spiegato da qualunque sacerdote cristiano, senza minimamente ricorrere all'esoterismo e
neppure al misticismo, ma in riferimento alla comune religiosità. Lo stesso simbolo del Cristo
Bifronte, segnalato da Charbonneau-Lassay, non è preso di peso dal simbolismo di Giano?

6b4) Il "Deposito"

Occhi di Ifà: Soprattutto nelle Epistole di S. Paolo a Timoteo, vi sono diversi riferimenti ad un
dono spirituale che viene conferito dagli "anziani", per imposizione delle mani, una volta
accertate, anche in modo extranormale ("per indicazione di profeti") certe qualificazioni. Esso
costituisce un "deposito", che va poi trasmesso ad altri con prudenza, pena l'impurità
dell'incauto iniziatore. Tutti termini indicatori di ciò che, con altre parole, viene comunemente
definita "tradizione iniziatica".

I Timoteo, IV, 14.


Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti,
con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri.
I Timoteo, V,22
Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati
puro!

I Timoteo, VI, 12.


Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato
chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.

I Timoteo VI, 20-21.


[20] O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta
scienza, [21]professando la quale taluni hanno deviato dalla fede. La grazia sia con voi!

II Tlmoteo, I, 13, 14.


[13]Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in
Cristo Gesù. [14]Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito santo che abita in noi.

II Timoteo, II, 1-2.


[1]Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù [2]e le cose che
hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in
grado di ammaestrare a loro volta anche altri.

Turba Philosophorum: Ancora una volta si deve rilevare che termini come “Anziani” o
“Deposito” possono benissimo spiegarsi in senso religioso-exoterico, come fa la chiesa
comunemente.

6b5) Il Battesimo "Uno e Trino"

Occhi di Ifà: In origine, il battesimo di Cristo, a differenza di quello di Giovanni Battista, non era
solo un battesimo "in acqua", ma anche un battesimo "in Spirito Santo" e "in fuoco":

Mt. 3, 10-12
Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero, dunque, che non fa buon frutto si taglia
e si getta nel fuoco. Io vi battezzo in acqua per la penitenza, ma colui che viene dopo di me è
più potente di me; ed io non sono degno neanche di portargli i sandali. Egli vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco: nella sua mano tiene il ventilabro e purgherà la sua aia, e raccoglierà il
suo grano nel granaio; brucerà, invece, la pula con un fuoco inestinguibile” .

Non si tratta tuttavia di tre battesimi, come a volta si sente dire, ma di tre aspetti di un unico
battesimo, come indica categoricamente S. Paolo:

Ef. 4: 5-6
[5]un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. [6]Un solo Dio Padre
di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è
presente in tutti.

Si tratta di un passo importantissimo, oltre che per l'affermazione sul battesimo anche per la
concezione di una divinità che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti, concezione ben
diversa da quella del "Dio personale", poi venuta a prevalere nel cristianesimo exoterico.
Anche dopo il periodo apostolico, nei primi quattro secoli della chiesa, l'unico rito di iniziazione
cristiana consisteva in tre atti successivi: l'immersione, l'imposizione delle mani, e la
partecipazione all'eucaristia.
Un eco del "triplice battesimo" si ha ancora oggi ad es. nella chiesa ortodossa, secondo la quale
battesimo, cresima e comunione devono essere amministrati contemporaneamente, con l'unica
sostituzione dell'imposizione delle mani con l'unzione. Nella chiesa ortodossa, il battesimo è
valido solo per triplice immersione. La chiesa romana, dopo il sec. XIII, ha sostituito il battesimo
per "immersione" con quello per "aspersione" e, dopo il Concilio di Trento (1543-1563), ha
posticipato l'amministrazione della Cresima al momento in cui il bambino raggiunge l'età della
ragione e può dare una conferma personale della fede.
Uno dei motivi per cui il battesimo veniva effettuato per immersione è che andare sott'acqua
simboleggia andare nella tomba, immedesimandosi nella morte di Cristo e realizzando la
propria "morte" alla vita precedente di peccato e ignoranza. Uscire dall'acqua corrispondeva
perciò ad una "seconda nascita", prefigurazione di una futura completa resurrezione:

Rom. 6:3-5
"O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua
morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché
come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte
simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione".

Tale tipo di battesimo faceva parte di quelle tecniche iniziatiche, che si servono di una sorta di
«anticipazione della morte» tramite l'uso misurato dell'asfissia. Esso dunque andava fatto non
alla nascita, ma alla "nuova nascita", cioè quando, volontariamente si era deciso di seguire
Cristo "in novità di vita". In origine perciò non si iniziavano bambini, uso che si diffuse dopo il VI
sec.

L'imposizione delle mani era lo stesso rito che S.Pietro attuò sui samaritani per conferire loro lo
Spirito Santo (At 8, 14-117) e il gesto compiuto da S.Paolo ad Efeso quando «impose le mani»
sui discepoli di Giovanni Battista (già perciò battezzati in acqua) donando loro lo Spirito Santo;
infatti quelli dopo l'imposizione «si misero allora a parlare in lingue e a profetizzare» (At 19, 1-7).

L'importanza di battezzare, oltre che in acqua, anche nello spirito è chiaramente indicata da
Gesù e ricollegata alla seconda nascita:

Giovanni 3:1-8
"C'era fra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù di notte,
e gli disse. - Rabbi, sappiamo che sei un Maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni
che tu fai, se Dio non è con lui - Gli rispose Gesù: "in verità, in verità ti dico, se uno non rinasce
dall'alto, non può vedere il regno di Dio ". Gli disse Nicodemo: "Come può un uomo nascere
quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?"
- Gli ripose Gesù: "In verità, in verità ti dico se uno non nasce da acqua e da spirito, non può
entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo spirito è
spirito".

Come si può notare qui Gesù parla di due soli battesimi quello con l'acqua e quello con lo
spirito. Ciò si deve al fatto, che il battesimo con lo spirito ha, a sua volta, due aspetti: il
battesimo con l'aria e quello con il fuoco:

Il battesimo con l'aria è il gesto che il Cristo risorto compì sui discepoli la sera di Pasqua: «I
discepoli gioirono a vedere il Signore... Egli soffiò su di loro edisse: Ricevete lo Spirito Santo!»
(Giovanni 20,20-22).
Il battesimo con il fuoco avvenne, invece, nel giorno di Pentecoste:
Atti degli Apostoli 2:1-4
[1]Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
[2]Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì
tutta la casa dove si trovavano. [3]Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si
posarono su ciascuno di loro; [4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a
parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.
Come si può notare, i tre aspetti del battesimo originario si ricollegano al simbolismo delle tre
lettere madri dell'antico alfabeto caldeo (poi ereditato dagli ebrei): mem legata all' acqua, non
tanto nel senso di "elemento", bensì di tendenza discendente (tamas o nigredo); aleph legata
all'aria, nel senso di tendenza espansiva (rajas o rubedo); shin legata al fuoco nel senso di
tendenza ascendente (sattva, albedo). Come è intuibile dallo stesso attributo di "madri", queste
lettere sono quelle più direttamente connesse alla "seconda nascita", ed anche quelle che
presiedono alle tre fasi dell'opus realizzativo.

Turba Philosophorum: Affermare che Dio è in ogni luogo, e perciò anche in noi, è
affermazione che fanno anche i teologi personalisti e il comune catechismo - non discuto qui se
ciò sia coerente o meno - e non è perciò indice di una concezione esoterica della Divinità.
Che battesimo, cresima e comunione inizialmente costituissero un unico sacramento non
depone per la loro esotericità. Anche il fatto che venissero conferiti unicamente agli adulti indica
soltanto che si riteneva importante una scelta volontaria nell’aderire ad essi. Le tre lettere madri
caldee, esattamente come i tre guna che giustamente dici loro corrispondono, presiedono a
qualunque processo che avvenga in Natura (Prakriti - la Grande Madre) e non solo alla rinascita
iniziatica, la quale peraltro non può prescindere dal Corpo Solare (Purusha), che non è soggetto
ai tre guna.

6b6) La Resurrezione

Occhi di Ifà: Come è noto Ermete è "Tre volte grandissimo" (Trismegisto) quando, grazie al
"grano d'oro" originariamente in suo possesso (Corpo solare), ha trasmutato in oro il Mercurio
(Corpo mercuriale), l'Argento (Corpo lunare) e il Piombo (Corpo Fisico). Lo stato di perfezione
corrisponde dunque alla trasmutazione finale del corpo fisico che, vincendo definitivamente la
morte, "risorge". Questo concetto di resurrezione è presente già nell'Antico Testamento. Giobbe
esprime la sua fede nella risurrezione della forma corporea, tramite queste parole: "Ora, quant’è
a me, io so che il mio Redentore vive, e che nell’ultimo giorno egli si leverà sopra la polvere; e
quantunque, dopo la mia pelle, questo corpo sia roso, pur vedrò con la mia carne Iddio; il quale
io vedrò, gli occhi miei lo vedranno, e non un altro…" (Giob. 19:25-27).
La speranza di Isaia fu identica: "Risorgeranno i morti e si sveglieranno quelli che sono nei
sepolcri" (Is. 26:19).
Daniele, da parte sua, afferma: "Allora risorgeranno quelli che sono nella polvere della terra:
questi alla vita eterna, questi altri invece alla vergogna e alla confusione eterna" (Dan 12:2).
Ed Ezechiele: "Ecco, io aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri" (Ez 37:12).
Quando avverrà tale resurrezione? Su questo punto, exoterici ed esoterici, generalmente,
affermano cose ben diverse. Gli exoterici ritengono che si tratti di qualcosa che avverrà in una
ipotetica "fine del tempo". Si tratta di una concezione assolutamente contraddittoria, perchè
equivale ad affermare la scomparsa del mutamento e quindi di ogni forma di volontà (divina
inclusa) che si manifesta proprio attraverso il mutamento. Gli esoteristi sanno invece che, se si
va indietro nel tempo, non si trova alcun inizio del divenire e che, se si va avanti, non è possibile
trovare alcuna fine. Possono perire pianeti, stelle e galassie, interi mondi fisici e iperfisici, ma
mai il divenire nel suo complesso. Quando, in un testo sacro, si afferma, usando il verbo al
passato, che una certa cosa "è avvenuta in illo tempore" (ad es. la 'creazione') si intende
sempre che quel qualcosa si realizza nel tempo inteso quale eternità e che perciò si verifica in
ogni istante. Quando invece si afferma, usando il verbo al futuro, che una certa cosa "avverrà in
illo tempore", si intende sempre che essa si verifica nel tempo necessario alla realizzazione
interiore, che è diversissimo per ciascuno. La realizzazione spirituale non pone fine al tempo e
al mutamento, impedisce solo di essere trascinati, più o meno passivamente, dall'eterno flusso
del divenire. Dunque divenire e realizzazione non sono due cose diverse, ma due modi diversi
di vivere la medesima cosa. Il momento della resurrezione è dunque quello (diverso per ciascun
realizzato) nel quale si passa dall'uno all'altro modo di esistenza. La differenza tra la concezione
exoterica e quella esoterica venne messa in evidenza proprio da Cristo. Nel racconto della
morte di Lazzaro, Gesù disse: "Tuo fratello resusciterà". L’immediata risposta di Marta, sorella
di Lazzaro, mostra che quella speranza, exotericamente intesa, fosse a lei nota: "Gli rispose
Marta: So che risusciterà nell'ultimo giorno" (Giov. 11:23,24). Cristo invece dimostrò, come è
noto, che quella possibilità era reale proprio in quel momento. Naturalmente il corpo risorto di
Lazzaro non poteva essere incorruttibile, perchè la resurrezione era stata operata per miracolo
altrui (di Cristo), mentre l'autentico corpo di resurrezione, traendo energia unicamente dal
proprio spirito, esige esser prodotto dall'adepto, operando su se stesso. Cosa che Cristo
dimostrò con la sua resurrezione.
Vi è qualche indizio su come sia il "corpo di resurrezione"? Nel vangelo di San Marco, 12:18,27
c'è il seguente passo:
"I Sadducei, che dicono non esserci Resurrezione, vennero presso Gesù e gli chiesero: -
Maestro, ecco quanto Mosè ci ha prescritto se qualcuno muore lasciando una moglie senza
aver avuto figli; il fratello di costui ne sposerà la vedova e darà una discendenza a suo fratello.
Ora, c'erano sette fratelli, il primo si sposò e morì senza lasciare discendenti; il secondo prese
in moglie la vedova e mori anch'esso senza figli; così fu per il terzo ed i successivi; infatti
nessuno lasciò dei discendenti. Alla fine morì anche la donna. Alla Resurrezione, a quale dei
fratelli andrà la donna, dato che tutti e sette l'hanno avuta per moglie? - Gesù rispose: - Non
siete forse nell'errore perché non comprendete né le scritture, né la potenza di Dio? Infatti, alla
Resurrezione dei morti, gli uomini non prenderanno moglie, né le donne marito, ma saranno
come angeli nei cieli. Per ciò che riguarda la Resurrezione dei morti, non avete letto nel libro di
Mosè a proposito del roveto come Dio gli parlò dicendo: - Io sono il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti, ma dei viventi, voi siete in grande errore."
Il paragone è quindi con un corpo angelico, che di solito è descritto come invisibile all'occhio
umano e tuttavia in grado, all'occorrenza, di rendersi visibile. Che si tratti di un corpo spirituale è
confermato da S.Paolo: "...così pure della risurrezione dei morti. Il corpo è seminato corruttibile,
e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile, e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita
potente; è seminato corpo naturale, e risuscita corpo spirituale" (1 Cor. 15:42-44).
E' proprio la capacità di rendersi visibile al comune occhio umano che differenzia il vero corpo di
resurrezione (corrispondente alla trasmutazione del "piombo") dallo stadio immediatamente
precedente di realizzazione (trasmutazione dall'argento) che, non investendo ancora il corpo
fisico, permette di apparire agli altri, solo quando essi sono in stati analoghi al sogno.
Questa apparizione visibile è spesso accompagnata dal fenomeno della "prosopopesi", cioè
dalla capacità di mutare più o meno sensibilmente le proprie sembianze, così da non essere
riconosciuti. In Giovanni 20:14-17 si narra dell'apparizione di Gesù a Marta di Magdala e si dice
fra l'altro:

[14] Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. [15]
Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse il custode del
giardino, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò».
..."

In Giovanni 21:4-6 si narra un fenomeno analogo: "[4] Quando già era mattina, Gesù si
presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù. [5] Allora Gesù disse loro:
«Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». [6] Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato
destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il
gran numero di pesci.

Il corpo spirituale può "entrare" anche in luoghi chiusi: " La sera di quello stesso giorno, che era
il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per
timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» " (Giovanni
20:9)

Il corpo di resurrezione può rendersi indistinguibile, anche al tatto, da un comune corpo fisico:
[26] Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù
venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» [27] Poi disse a
Tommaso: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non
essere incredulo, ma credente». [28] Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!» [29] Gesù
gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno
creduto!» ((Giovanni 20: 26-29).

I riferimenti evangelici all'esoterismo, non ancora esaminati, sono veramente numerosi ed un


esame approfondito richiederebbe troppo tempo. Per ora mi sono limitato, pertanto,
all'essenziale.

Turba Philosophorum: Condivido in gran parte quello che dici sull’ermetismo e sul divenire.
Tuttavia, citare l’Antico Testamento non risolve il problema, perché semmai apre quello della
cosiddetta tradizione ebraica e delle sue origini e di quanto quella cristiana ne sia erede.
Riguardo alla resurrezione di Cristo, i cristiani non la spiegano certo con l’esoterismo, ma con la
sua asserita divinità, tanto che neppure i suoi primi discepoli seppero ripetere l’impresa. Anche
la cosiddetta resurrezione dei corpi “alla fine dei tempi” non viene spiegata esotericamente, ma
semplicemente con la volontà di Dio. Apprezzo i tuoi sinceri tentativi di donare al cristianesimo
un esoterismo, ma a che pro? Le gerarchie cristiane -salvo rarissime eccezioni- aborrono da
tutto ciò che ricorda loro il paganesimo ed espressione di questo è per loro l’esoterismo. Onde,
prima di te, non poterono non fallire nell’impresa: i Templari, i Fedeli d’Amore, i Rosacroce,
Eliphas Levi, i Martinisti, Leadbeater e la Besant, Rudolph Steiner e tanti altri. Noi e la chiesa
concordiamo in una cosa: nell’affermare che l’esoterismo è pagano e che perciò il
cristianesimo non lo ha mai posseduto.

***

6c) L'Antroposofia
6c1) Evola e Steiner

Massimo: Premetto che ho grande stima per l'imponente opera complessiva di J.Evola; tuttavia
con qualche riserva. Una di esse riguarda il poco convincente apprezzamento evoliano, per
metà negativo, dell'altrettanto imponente opera di R. Steiner. Il prof. Renato del Ponte, che
certo nessuno potrà mai accusare di parzialità nei confronti del suo maestro Evola, scrive
nell'opera "Evola e il Magico Gruppo di Ur" (ediz. SeaR 1994 p. 58 nota 45): " La posizione di
Evola nei confronti di Steiner e dei suoi discepoli da una parte e del suo pensiero dall'altra
sembra presentare qualche contraddizione, dal momento che, pur pronunciandosi in maniera
netta contro l'antroposofia (ad esempio in Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo:
ma in modo da non soddisfare R. Guénon - cfr. "Le Voile d'Isis", 1932, p. 658), ha dimostrato
talvolta una certa simpatia per l'autore dell'Iniziazione, sì che due fotografie di R. Steiner
figurano in Sintesi di dottrina della razza (1941), intervallate dalle foto dei due duchi d'Aosta, fra
quelle di chi appare dotato di 'elemento solare' in una 'direzione ascetica' e tale da 'far presagire
delle forme d'illuminazione e un potere di penetrazione spirituale'. D'altronde, nelle riedizioni di
Introduzione alla Magia del 1955-56 e 1971 Evola non soppresse la maggior parte dei contributi
dei collaboratori steineriani".
Cerchiamo di capire, documenti alla mano, i motivi reali di una tale contraddizione. Scrive Evola
in "Imperialismo Pagano" (Roma, 1928, p. 41) in relazione alla figura del 'Dominatore': "Ecco
dunque che siamo portati ad un piano più sottile, ove l'azione e il dominio si esercitano
mediante idee. Idee - si badi - non come nozioni astratte, ma invece come idee-forza, come miti
(nel senso sorelliano), cioè come principi volti a destare energie, movimenti e correnti sociali
attraverso le varie suggestioni morali, emozionali, di credenza, di tradizione, ecc. che esse sono
capaci di esercitare sulle masse. Ma qui debbono restare fermi due punti base; in primo luogo, il
Dominatore deve restare signore delle varie idee o miti, non deve, credendovi, subirne egli
stesso la suggestione, divenendo un ossesso, uno schiavo degli spiriti che ha evocato; non
deve riconoscere ad esse un qualunque valore assoluto - ma deve invece assumerle
freddamente come mezzi, come strumenti fascinatori con cui, presso ad una precisa scienza
della psicologia delle folle, eserciterà quelle influenze che vuole, destando e dirigendo le forze
cieche delle collettività associate. Il secondo punto si connette al primo, e consiste nel
comprendere il lato assolutamente positivo di questa nostra attitudine, che va di là sia dalla
ideologia della forza pura, sia dall'idealismo dei 'valori', degli. 'immortali principi', ecc.. Che la
forza puramente materiale non basti a sè stessa, che essa sarà sempre strumento di idee -
questo è semplicemente un fatto da constatare. Senonchè, da un punto di vista positivo, all'idea
non si può nè si deve dare altro valore fuor di quello che le risulta appunto da questo fatto
constatato, cioè valore di principio suggestivo, misurato dale sue conseguenze pratiche. L'idea -
in altre parole - ha valore in quanto agisce e finchè agisce: non perchè è 'buona', 'giusta', 'vera',
ecc.; tutto ciò non è che nebbia rispetto alla sua realtà di idea-forza. Controllare i 'potenziali
suggestivi' di cui sono caricate le varie idee, dosarli, combinarli, usarli, scaricarli o sospenderli,
questa è un'arte superiore, invisibile e terribile di dominio che, resa cosciente, comunica, come
si dirà, con la magia".
Lasciamo per ora impregiudicato il reale valore metafisco-magico, nonchè etico di questo brano.
In questo momento siamo interessati invece a scoprire se Evola fece concretamente uso di
qualche "idea-forza", cioè adoperò qualche idea a prescindere, come lui dice, dal fatto che essa
sia "buona", "giusta" o "vera". Sicuramente lo fece almeno in una occasione, perchè lo ammette
esplicitamente lui stesso. Premettiamo che, nel numero 6-7 (Giugno-Luglio 1925) della rivista
Ignis, Evola rivolse la prima critica all'opera steineriana nel saggio intitolato "Che cosa vuole
l'antroposofia di R. Steiner". Non molto tempo dopo, in una lettera del 1926 indirizzata all'amico
e poeta Arturo Onofri, così Evola spiega il suo atteggiamento: "Quando più che altro ero preso
dalla elaborazione filosofica di ciò che voglio, ho esaminato le dottrine dello Steiner con
curiosità e niente affatto con acrimonia, prova ne sia l'intervento alle vostre riunioni e le citazioni
nei miei libri. E' soltanto in questi ultimi tempi in cui, in circostanze non troppo ordinarie, sono
venuto a constatare di fatto che cosa sia veramente iniziazione e sapienza iniziatica, che l'opera
dello Steiner mi si è svelata nel suo senso ultimo e nella sua radicale decadenza, e quasi un
dovere - quando ne riconoscessi - ho allora sentito nel reagire, nel colpire e nello smascherare.
Mi si dice ora, che le mie critiche sono parziali: lo so, e non me ne importa. Chi si sente sulla
breccia, chi è giunto a percepire quali forze spirituali siano oggi in lotta senza quartiere affinché
l'Occidente prenda una direzione o un'altra opposta, non ha né il diritto, né il tempo di essere
imparziale. Noi dobbiamo assolutamente finirla con il cristianesimo, epperò il tentativo
steineriano di infiltrarlo subdolamente nella compagine tradizionale dell'esoterismo va
combattuto senza pietà e con tutti i mezzi - anche se il pericolo che oggi presenta è più che
trascurabile. Per converso, tutto ciò che volge verso il polo opposto, deve essere esaltato
trascurando tutto il negativo da cui, per varie contingenze, sia intriso".
L'uso della critica a Steiner come idea-forza, che se ne infischia dell'imparzialità, perchè vuole
sbarazzarsi per sempre del cristianesimo è dunque ammessa, senza possibilità di equivoci,
dallo stesso Evola. Ma le sorprese non finiscono qui. Ci sarebbe stato da aspettarsi, dopo il
saggio critico pubblicato su Ignis (1925) e dopo le motivazioni addotte agli amici steineriani
come Onofri (1926), che Evola prendesse definitivamente le distanze dal movimento
antroposofico. Ma come tutti sanno non fu così. Infatti alla rivista Ur (1927-28) collaborò una
forte componente steineriana, che divenne decisamente preponderante dopo la lite di Evola con
Reghini e Parise, cioè nella rivista Krur (1929). A quersto punto è opportuno prendere in
considerazione due documenti presenti nell' Archivio di Stato a Roma. Il primo di essi è datato
Roma 23 marzo 1929 e proviene dall'ufficio provinciale di investigazione politica di Napoli. Esso
riferisce in merito al diverbio tra Evola e Reghini, aggiungendo le seguenti notizie, riguardanti
l'argomento di cui ci stiamo occupando:
"L'impressione generale era che l'Evola non aveva agito per conto proprio, ma che da poche
settimane andava svolgendo opera di fiancheggiamento di un servizio politico per un certo
centro di difesa della Compagnia di Gesù. Oltre che un servizio informativo privato del Reghini,
faceva supporre ciò il carattere che va assumendo la rivista "Krur" verso il cristianesimo,
carattere favorevole, in contrasto con le precedenti affermazioni anti-cristiane dello Evola, con
una tendenza sui generis verso la Società Antroposofica, di origine austriaca, fondata da Rudolf
Steiner a Dornac. Nuovo redattore del "Krur" è ora il dottore in medicina Giovanni Colazza
(abitante al Corso d'Italia) che firma col pseudonimo di Breuno [sic]. Lo Steiner, morto qualche
anno fa, ha lasciato vuoto il posto di Gran Maestro a Dornac. Una delle accuse lanciate contro
quest'associazione Massonica-Cristiana-neoplatonica è, che essa sia un aspetto profano della
Compagnia di Gesù. II Colazza è il capo dell'antroposofia in Roma, e pare che l'Evola pensi di
impadronirsi della Società in Italia. [...] In merito dell'Evola suppongo che agisca per mire
inconfessabili, e che queste, gli siano suggerite da quegli elementi stessi che hanno sollecitato il
suo avvicinamento alla Società Antroposofica. E a tale riguardo ricordo che codesta
associazione in tempo non sospetto fu sospettata da [omissis] di connivenza con la Compagnia
di Gesù".
E' facile, nonostante lo strafalcione, riconoscere in "Breuno" il "Breno" della rivista Krur. Il 27
maggio 1929, come si sa, il Concordato tra Stato e Chiesa coronò l'avvicinamento, già da
tempo in corso, tra fascismo e chiesa cattolica. Evola comprese che il suo Imperialismo Pagano
(variante di quello di Reghini e uscito appena l'anno prima) era divenuta un' idea-forza in netto
contrasto con gli avvenimenti storici e perciò non più tale da potersi affermare facilmente. Da qui
il suo moderarsi nei confronti delle associazioni cristiane e il suo tentativo di assumere una
posizione di rilievo nel movimento antroposofico romano, per poi giungere eventualmente a
succedere a Colazza. L'ipotesi iniziale di una combutta con La Compagnia di Gesù, venne
smentita da successive indagini della polizia politica, che portarono ad identificare la vera
società, con amicizie in ambito antroposofico, a cui Evola era interessato. Ciò è chiaramente
espresso dal 2° documento, un appunto della Divisione Polizia Politica datato 3 marzo 1930. In
esso si dice:
"E' da notarsi l'atteggiamento assunto dal foglio letterario "La Torre" diretto dal barone Jules
Evola, occultista e filosofo (ex appartenente alla redazione del Mondo e tuttora in ottimi rapporti
con numerosi antifascisti). L'Evola ha iniziato dalle sue riviste, prima "Krur" ed ora "La Torre"
una specie di propaganda per l'imperialismo tedesco. Questo fatto è avvenuto dopo un viaggio
fatto dall'Evola in Austria e in Germania, viaggio che egli dichiara di aver compiuto di nascosto
attraversando il confine senza passaporto e nel quale egli avrebbe avuto modo di incontrare
molte persone della setta politica religiosa "Illuminati", setta imperialista e nel cui Consiglio dei 7
erano compresi il Kronprinz e la signora Krupp. Ora questa setta, che ha legami politici ed
intellettuali con la setta svizzera degli Steineriani (di cui l'Evola è rappresentante per l'Italia)
cercava di avere in Italia un agente generale disposto a lavorare con articoli di propaganda e
con l'opera di propaganda e con "opera informativa" (spionaggio intellettuale e in parte politico)
a favore dell'imperialismo tedesco per difendere il quale gli "Illuminati" hanno creato in
Germania "Gli elmetti d'acciaio". L'Evola attraverso gli Steineriani sarebbe entrato in rapporto
con gli "Elmetti" e forse in pari tempo con il Consiglio dei 7 e degli "Illuminati" e dal suo
atteggiamento si può vedere che gli "Illuminati" hanno trovato il loro agente e il loro giornale in
Italia."
Come si può notare, Evola, pur non essendo ovviamente riuscito (come avrebbero potuto gli
antroposofi dimenticarsi delle sue critiche a Steiner?) a soppiantare una personalità eccezionale
come Colazza, aveva tuttavia potuto presentarsi in Austria e Germania con le credenziali di
rappresentante del movimento antroposofico italiano.
Da parte nostra se abbiamo stima di quella parte dell'opera evoliana, che deriva da effettivo
rigore logico, vale invece per noi come inesistente, tutto ciò che, come la critica a Steiner,
essendo palesemente mera idea-forza, venne adoperata da Evola con troppa spregiudicatezza,
per potergli noi annettere un qualche effettivo valore metafisico. Faremo un unico esempio, in
riferimento al problema dell'iniziazione. Ciò che Steiner definisce "autoiniziazione" equivale a ciò
che nello schema kremmerziano dell'iniziazione viene chiamato "iniziazione mediante riti" (si
veda quanto dice Abraxa). Cioè si tratta di una iniziazione virtuale, da attualizzarsi mediante
opportune pratiche fornite da Steiner stesso. Evola gioca sull'equivoco del termine
autoiniziazione, senza neanche preoccuparsi (cosa insignificante, secondo lui, pur di affermare
la sua idea-forza) del reale significato di quel termine. Ciò non gli impedì, a partire dall'edizione
1955-56 di Introduzione alla Magia, di inserire nel vol. III una monografia, intitolata Liberazione
delle Facoltà, dove riporta una traduzione dal tedesco di uno scritto, in un primo tempo risevato,
di R. Steiner (senza minimamente citarlo), aggiungendo un commento fatto, in una conferenza
del 1940, da Colazza (senza citare neppure lui).
Cogliamo l'occasione per esprimere tutto il nostro apprezzamento a quegli studiosi evoliani,
presenti in questo forum, a cominciare dal moderatore, che parlano di Steiner, considerandolo
per ciò che effettivamente ha detto ed "ex novo", mettendo da parte etichettature vecchie e
probabilmente senza reale fondamento.

EA: Concordo con Massimo nel giudicare inopportuno pubblicare anonimo il saggio
"Liberazione delle Facoltà". Sarebbe stato preferibile inserirlo, ma firmandolo con lo
pseudonimo di Leo, così come era stato fatto per le altre trascrizioni degli insegnamenti orali di
Colazza e citando almeno in nota che erano insegnamenti steineriani.
Ma perchè Evola riteneva così importanti gli insegnamenti contenuti in quel saggio? Scopo
dell'iniziazione non è tanto quello, come a volte sbrigativamente e impropriamente viene detto,
di "innestare" nell'individuo un quid sovraindividuale prima inesistente, perchè ciò equivarrebbe
più o meno a identificare l'iniziazione con una forma sui generis di "possessione" provocata. La
vera finalità dell'iniziazione è invece la rimozione di quei vincoli che impediscono la
realizzazione iniziatica e, contemporaneamente o successivamente, la realizzazione stessa.
Correttamente Massimo ha indicato come sia Kremmerz, sia Steiner abbiano scelto di utilizzare
prevalentemente "l'iniziazione mediane riti". Come ha già accennato Abraxa in un precedente
messaggio, questo termine non deve indurre in errore. Non si tratta, come in Massoneria, di riti
effettuati dal maestro sul neofita. Nella terminologia kremmerziana indica, invece, una
iniziazione virtuale, consistente nell'assegnare (in modo del tutto informale) al neofita dei riti,
cioè delle pratiche che, se correttamente effettuate, renderanno l'iniziazione effettiva.
Se esaminiamo i due riti iniziatici dati da Kremmerz, notiamo che nel rito di Novembre
Kremmerz prescrive: "Nei ventotto giorni della luna, pregare col cuore la volontà intelligente del
mondo che vi faccia degno di entrare nello studio delle leggi secrete dello spirito umano e guida
a voi stesso sia la vostra intelligenza, che da voi si allontanino tutte le creature spirituali
imperfette, tutte le ottenebranti e quelle che influiscono sui vostri sensi". Per il rito di Marzo egli
invece dice: "Invocare la Forza che fa ritornare il sole in Ariete e che ridona la vita alle creature
morte alla luce e che il genio di luce, disperso nel cammino dell'inferno della materia, riappaia".
Si può notare come nel rito autunnale, sfruttando le analogiche forze cosmiche di
degenerescenza in atto, viene posto l'accento sul "solve", sullo scioglimento dei vincoli da tutto
ciò che è ottenebrante. Qui, come era prassi in svariate tradizioni antiche, ma anche nel
cattolicesimo medievale, gli ostacoli vengono personificati in "creature" (in "demoni"), al fine di
oggettivarli e di prendere più facilmente le distanze da essi. Nel rito di Marzo, sfruttando le forze
cosmiche primaverili, che pongono in atto una nuova situazione, si pone l'accento sul "coagula",
sulla fissazione della presenza del "genio di luce" (si confronti questo termine con quanto già
scritto in altro messaggio sull'unione del "Sole Padre" con il "Sole Figlio").
Il saggio Liberazione delle Facoltà, descrive i famosi "cinque esercizi" steineriani (ma di
probabile eredità rosacrociana) che mirano, con differente tecnica, più interiore che cerimoniale,
allo stesso scopo del rito di Novembre kremmerziano. Come è noto i cinque esercizi sono: la
concentrazione, per la liberazione del pensiero; l'azione pura, per la liberazione della volontà;
l'equanimità, per la liberazione del sentimento; la positività, per la liberazione del giudizio e la
spregiudicatezza, per la liberazione della memoria. Per i dettagli rimandiamo al saggio citato,
come anche ai vari riferimenti, esistenti nei libri di Steiner e di Scaligero.
Dal nostro punto di vista operativo, il "nodo" più interessante della critica evoliana a Steiner
riguarda il valore da darsi alla chiaroveggenza. In futuro, senza preconcetti fideistici nei
confronti di un qualunque autore, andranno esaminati ad es. punti come questi:
1) Cosa è mai la chiaroveggenza?
2) Ne esiste un unico tipo o più tipi?
3) Ha a che fare o no con l'iniziazione?
4) Se no, perchè?
5) Se sì a che serve? che estensione è opportuno darle rispetto alle altre pratiche?
6) Esiste una falsa veggenza?
7) Se sì, come evitarla? etc.

Frater Petrus(1): R. Guenon aveva alcune riserve nei confronti di Steiner e così pure J. Evola.
Ciò fece sì che entrambi non approfondissero l'opera steineriana. Le riserve derivavano dal fatto
che, almeno esteriormente, sembrava che Steiner avesse enucleato il movimento antroposofico
dal Teosofismo. Tuttavia, lo stesso Guenon riconobbe ( ne "Il Teosofismo cap. XXII) che la
cerchia più interna degli antroposofi aveva più somiglianze rituali con la Massoneria (della quale
lo stesso Guenon fece parte) che con il Teosofismo. Evola, da parte sua, dovette riconoscere
(in "Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo" cap. V) che Steiner considerava le
norme morali come mezzo a fine e perciò non cadeva sotto l'accusa di moralismo, come era
invece il caso dei teosofisti. Rimanevano le accuse, soprattutto evoliane, di aver fatto di Gesù,
anzichè un iniziato, magari di alto livello, l'incarnazione del Logos Solare e di aver dato
eccessivo peso a certe visioni chiaroveggenti, avute da Steiner stesso. Per quanto riguarda la
prima accusa, bisogna osservare (a prescindere dal fatto che Steiner affermasse che fossero
esistiti due Gesù) che il movimento antroposofico è un aspetto del Cristianesimo, cioè di un
ambito in cui Gesù è, per tradizione, identificato con il Logos e che allora, analogamente,
bisognerebbe ad es. rimproverare ai visnuiti di credere nelle periodiche incarnazioni di Visnù.
Per quanto riguarda le visioni, occorre dire innanzitutto che Steiner non chiedeva ai discepoli di
aver fede in esse, ma le esponeva per stimolarli a sviluppare le proprie facoltà e ad andare a
vedere, con i propri occhi spirituali, come stavano le cose. Detto questo, da parte di chi non ha
avuto le stesse visioni, è ragionevole nei confronti di Steiner, un atteggiamento analogo a quello
che Guenon aveva per E. Swedenborg. Cioè si possono contestare non le visioni in sè stesse,
ma semmai che esse corrispondessero effettivamente al livello di realtà che veniva loro
attribuito e non si riferissero invece ad un piano più basso, ad es. che si trattasse, in diversi
casi, di visioni semplicemente simboliche.
(1) Brano tratto da Frater Petrus: "Europa Unita- Elite e Triarticolazione Sociale". [N.d.U.]

Sadescan(1): Perchè Evola critica Steiner? Secondo Evola, Steiner aveva il torto di mettere
troppo in evidenza i risultati delle sue veggenze personali. Veggenze che, secondo la
concezione magica dell'universo, non hanno necessariamente il valore di una realtà oggettiva e
universale, dipendendo, in buona parte, proprio dall'atto magico e dalla portata del suo effetto,
cioè dal metodo seguito. Dice infatti Evola nel saggio "Cosa vuole l'Antroposofia di R. Steiner"
(n° 6-7 1925 della rivista Ignis): "...Steiner dà dei metodi, seguendo i quali, ognuno può anche
lui riuscire a vedere quel che l'altro vede. Con il che la quistione è semplicemente spostata:
poichè una tale visione non è immediata e universale ma per giungere ad essa occorre un certo
processo, non vi sono argomenti dimostrativi per affermare che quanto ad essa corrisponde non
sia creato da questo processo stesso." Si può essere d'accordo con Evola, ma bisogna tener
conto dell'ambiente nel quale Steiner ebbe ad operare: un ambiente cristiano (e perciò
potenzialmente rosacrociano) influenzato dalle suggestioni del teosofismo anglo-indiano, il
quale faceva proseliti proprio ostentando l'uso della veggenza. Steiner, facendo altrettanto,
impedì che molte persone seguissero una strada orientaleggiante che presentava due difetti:
non c'erano, almeno allora, maestri orientali qualificati in Europa e i metodi orientali spesso non
si confacevano all'uomo occidentale moderno. Ma che Steiner avesse una visione magica
dell'esistenza, dietro a quella apparente teosofico-contemplativa, lo dimostrano certi episodi
della sua attività, come il (sia pur fallito) tentativo magico (del quale riferisce Scaligero in "Dallo
Yoga alla Rosacroce"), al quale partecipò lo stesso Colazza, di dare diverso decorso a quegli
eventi, che poi storicamente "precipitarono" nella I Guerra Mondiale. Anche Kremmerz si trovò
ad operare in un ambiente nel quale spiritismo e teosofismo facevano proseliti. Mentre Evola e
Reghini assunsero un atteggiamento intransigente e di aperta critica nei confronti di tali
ambienti, Kremmerz, analogamente a Steiner, preferiva entrare in maniera più sottile in essi
(non senza usare la sua tipica bonaria ironia) per poi volgerli verso una più alta verità. Infatti, se
l'atteggiamento di Evola e Reghini è atto a creare manipoli di fedelissimi (che, in qualche caso,
però scadono nel fideismo: ci sono evoliani ed evolomani, diceva lo stesso Evola) allontana a
volte, per il tono intransigente, anche persone potenzialmente qualificate e crea (come avvenne)
discordie interne a volte insanabili.
(1) Brano tratto dal quaderno "Reincarnazione, Rinascita, Trasmigrazione, Palingenesi". Lo
riproduciamo per la stretta attinenza con l'argomento trattato. [N.d.U.]
6c2)Teosofia e Teosofismo

Frater Petrus(1): A chi non è troppo addentro in queste cose, ritengo utile dare qualche
informazione sulla differenza, sottolineata da Guenon ed Evola , tra Teosofia e Teosofismo. Per
Teosofia si intende una corrente dell'esoterismo cristiano che annovera tra i più noti
rappresentanti Jacob Bhoeme, J.G. Gichtel, Franz von Baader, Karl von Eckartshausen, Louis
Claude de St. Martin, etc. Il termine Teosofismo venne adoperato per la prima volta dal filosofo
idealista Schelling (estimatore di Bhoeme e di Baader), per indicare dei pedestri imitatori della
corrente teosofica. Venne poi ripreso da Renè Guenon, con analogo significato, nei confronti
dell'organizzazione fondata da H.P.Blavatsky. Non si trattò peraltro di una forzatura, perchè il
termine scelto dai teosofisti inglesi per indicare la propria organizzazione fu proprio
Theosophism (e non Theosophy). E' soprattutto per colpa dei traduttori (francesi, italiani etc.) se
i termini Theosophy, Teosophy, Teosofia e simili divennero (forse ad arte) prevalenti. Il
Teosofismo ha avuto il merito di additare le tradizioni iniziatiche dell'Oriente, ai tempi in cui
erano, qui da noi, poco conosciute. Tuttavia la rielaborazione che ne ha fatto, sulla base di idee
personali dei suoi fondatori, è di scarsa utilità, soprattutto al giorno d'oggi, tenuto conto anche
del fatto che diversi maestri orientali dimorano ormai stabilmente in Occidente. Curiosamente,
sono proprio i libri teosofisti sulla tradizione cristiana quelli meglio scritti, forse perchè C. W.
Leadbeater, uno degli esponenti di maggior spicco del movimento teosofista, era vescovo della
Chiesa Cattolica Liberale di Sidney.

(1) Brano tratto da Frater Petrus: "Europa Unita- Elite e Triarticolazione Sociale". [N.d.U.]

Ida La Regina: Tra le soluzioni, proposte come alternative alla rigidità della Chiesa Cattolica e
dell'exoterismo cristiano in genere, si possono citare la Chiesa Cattolica Liberale (derivata dalla
Chiesa Vetero-Cattolica) e la Comunità Cristiana:
1) Vetero-Cattolici (o Vecchi Cattolici o Cattolici Antichi) vennero detti coloro che respinsero il
dogma dell'infallibilità del papa, proclamato dal primo concilio Vaticano nel 1869, ma da essi
ritenuto in contrasto con le Sacre Scritture e con la vecchia tradizione della Chiesa. Il primo
vescovo della Chiesa Vetero-Cattolica fu Joseph Hubert Reinkens (1821-1896).
Nel 1915, in Inghilterra, alcuni Vetero-Cattolici fondarono una nuova comunità, la Chiesa
Cattolica Liberale, il cui primo vescovo fu J. I. Wedgwood, ordinato sacerdote nella Chiesa
Vetero-Cattolica ed appartenente anche al Movimento Teosofico. La differenza fra la Chiesa
Cattolica Liberale e tutte le altre chiese cattoliche e protestanti si trova nel fatto che al culto
antico dei sette sacramenti è associata la più piena libertà intellettuale e il rispetto per la
coscienza individuale.
Un'importante opera di questa chiesa è la monumentale "Scienza dei Sacramenti", scritta da C.
W. Leadbeater. Essa analizza minuziosamente il rito della messa cristiana e ne scompone gli
elementi occulti ed esoterici, rivendicando al sacramento la realtà dell'azione magico-misterica
rispetto a quanti vorrebbero limitarne la funzionalità al piano strettamente simbolico.
"La Santa Eucaristia – scrive l'autore nella prefazione – è stata finora considerata come un
mezzo di grazia per l'individuo e lo è indubbiamente. Ma io desidero, con tutta reverenza,
mostrare che è anche molto di più. Essa è un mezzo per aiutare l'evoluzione del mondo con la
frequente emanazione di onde di forza spirituale e ci offre un'occasione impareggiabile per
divenire, come dice San Paolo, collaboratori di Dio e rendergli un vero e degno servizio, agendo
come canali del Suo meraviglioso potere".
2) Nel 1921, alcuni giovani teologi, insieme ad alcuni studenti che s'interessavano di questioni
religiose e avevano conosciuto l'antroposofia, domandarono a Steiner se li potesse aiutare a
rinnovare la vita devozionale e rituale del cristianesimo. Egli rispose loro affermativamente,
ponendo però bene in rilievo che il suo compito non era quello di fondare una nuova religione,
ma di sviluppare i metodi dell'indagine spirituale. Negli anni 1921 e 1922 tenne tre grandi cicli di
conferenze su teologia teorica e pratica nei quali dimostrò grandissima competenza.
Successivamente, fu anche in grado di dare il rituale dei nuovi sacramenti cristiani che
permisero, nel 1922, l'instaurazione di un nuovo culto. Così, grazie all'appoggio e ai consigli di
Rudolf Steiner, i futuri sacerdoti poterono fondare la Comunita Cristiana. Il dott. Friedrich
Rittelmeyer (1872-1938), noto teologo evangelico, ne assunse per primo la guida. La Comunità
Cristiana offre un rituale centrato sull’ "Atto di Consacrazione dell’Uomo", che ricorda nelle
forme la messa cattolica, ma il cui contenuto è antroposofico, e su altri sei sacramenti
(battesimo, confermazione, matrimonio, consultazione sacramentale (che ricorda la
confessione) unzione e ordinazione. La Comunità Cristiana, similmente alla Chiesa Cattolica
Liberale, rifiuta una dottrina con limiti dogmatici e aspira ad una sintesi tra fede e conoscenza,
religione e esperienza del mondo sensibile e sovrasensibile. La comunità cristiana ha un
ordinamento gerarchico: la direzione è affidata a sei guide, alle quali è preposta una arciguida.
Nelle singole comunità i "pastori" sono affiancati da una cerchia di aiutanti.
La Comunità Cristiana si è sviluppata notevolmente nel corso degli anni, soprattutto in
Germania. La sede centrale è a Stoccarda dove c'è anche il seminario. L'attività ed i compiti
della Comunità Cristiana si sono sempre svolti separatamente da quelli della Società
Antroposofica, la quale non è un movimento religioso e l'appartenenza alla quale non comporta
alcun culto.

Occhi di Ifà: A proposito di Teosofismo, è da segnalarsi, a chi ancora non lo conosce, un


importante saggio di Piero Fenili, intitolato "Rendiamo giustizia a Helena Blavatsky" e pubblicato
in Politica Romana n° 2 del 1995. Egli ne rivaluta la figura, denigrata a suo tempo da R.
Guenon, con una serie di argomenti che, rimandando per i dettagli alla lettura integrale del
saggio stesso, ci limitiamo ad elencare:
1) H. Blavatsky esternò sempre avversione per ogni forma di passivo spiritismo medianico.
2) Promosse in Occidente la conoscenza dell'antica sapienza arya, custodita in India e in Tibet,
come gli è stato riconosciuto da studiosi del Buddhismo di livello mondiale, ad es. Edward
Conze.
3) Contrariamente alle insinuazioni di R. Guenon che ritiene "La voce del silenzio" un testo
semi-inventato per adattarlo alle tesi teosofiste, vi sono dichiarazioni ufficiali del Dalai Lama e
del Panchem Lama che indicano l'esatto contrario e l'accuratezza della traduzione della
Blavatsky.
4) N. Richard Nafarre, in "Helena P. Blavatsky, ou le Réponse du Sphinx" (Parigi 1991), ha
dimostrato, contro il parere di Guenon, e sulla scorta di precisi riferimenti dottrinali, che la
concezione del karman esposta dalla Blavatsky è conforme alla dottrina induista ortodossa.
5) La stessa Society for Psychical Research, che il 31-12-1885 aveva bollato H. Blavatsky quale
rea di impostura [ a causa di un intrigo in cui venne "incastrata" da due coniugi, venuti in
contrasto con la Società Teosofica] dopo un accurato riesame del caso, ha scagionato
completamente la Blavatsky dalle accuse che le aveva ingiustamente mosse.
6) H. Blavatsky prese parte, nelle file di Garibaldi, alla battaglia di Mentana (3 Novembre 1867),
riportando numerose ferite sia d'arma da fuoco, sia d'arma bianca. Fu come Garibaldi, membro
della Massoneria di "Rito egiziano".
7) H. Blavatsky fu anche membro della autentica Fratellanza di Luxor, mentre Guenon, come lui
stesso ammette in lettere del 17 Agosto 1934 e del 11 Maggio 1936, appartenne al fasullo
ordine, chiamato Hermetic Brotherhood of Luxor ((H. B. of L.), una sorta di tranello, attribuito da
taluni ai Gesuiti, per instillare nei membri dottrine anti-reincarnazioniste, fatte passare come
"ermetiche".
8) H. Blavatsky soggiornò alcuni mesi, a partire dall'Aprile del 1885, a Torre del Greco, con ogni
probabilità per frequentare il capo di quel Grande Oriente non massonico, stimato dallo stesso
Evola, e cioè Giustiniano Lebano.

Ea: In effetti, la denigrazione di H. Blavatsky da parte di Guenon aveva fatto presa anche in
Italia. Ad es. A. Reghini recensendo sulla rivista Ignis (Aprile-Maggio 1925) i "Saggi
sull'idealismo magico" di J.Evola dice: " Per finire faremo alcune osservazioni relative alla forma.
E per esempio vorremmo ben sapere...quale mai trattato di esoterismo indiano adoperi, come
egli afferma, il termine Devakan, che è invece un ibrido sanscrito-mongolico partorito dalla
Blavatsky". Seguendo la tesi guenoniana degli "aggiustamenti" linguistici che avrebbe fatto H.
Blavatsky, Reghini sembra credere che Devakan o Devachan (forma quest'ultima molto più
frequente), che in teosofia indica lo stato di coscienza tra due incarnazioni, sia un termine
composto dal sanscrito "deva" (divinità) e da una presunta parola tibetana o mongola "chan",
significante mondo, luogo o residenza: avrebbe dunque il significato complessivo di "residenza
divina" o "mondo divino". A quell'epoca, per mancanza di riscontri, era difficile sbugiardare
Guenon, ma oggi che gli studi orientalistici sono più avanzati, Devachan è correttamente
considerata una traslitterazione della parola tibetana bde-ba-can (pronunciata de-wa-chen ),
composta da bde-ba 'felicità' + can 'possedente', e che perciò letteralmente significa "avente
natura di felicità". Essa è il modo in cui i buddhisti tibetani hanno reso il sanscrito "sukhâvatî" ,
"la terra felice", termine che, ad un livello più exoterico, designa il paradiso occidentale del
Buddha Amitâbha. Non è dunque affatto un ibrido linguistico, nè tanto meno è termine partorito
da H. Blavatsky.
E' da notare che la critica un po' astiosa del libro di Evola da parte di Reghini seguiva di poco
una lettera del 21 Aprile 1925 a lui inviata da Guenon, dove questo signore si permetteva
(fidando ovviamente sulla discrezione di Reghini) di criticare a priori (lui stesso dice di non averli
letti!) la versione evoliana del Tao Te Ching e il suo lavoro sul Tantra (L'Uomo come Potenza).
Chi non si fece mai ingannare dalle parole di Guenon, nonostante l'amicizia, fu invece Amedeo
Armentano.
Come è noto, Guénon entrò a far parte, segretamente, dell'Islam nel 1912, lo stesso anno che
si sposò con rito cattolico! Si trasferì al Cairo soltanto nel Marzo del 1930, qualche anno dopo la
morte della prima moglie. Nel frattempo si diede da fare, intrufolandosi in ambienti religiosi e
occultistici europei di vario genere. Perchè mai? Non lo soddisfaceva la sua iniziazione
islamica? o ... spiava? Fatto sta che, nel 1924, iniziò a far pressioni su Reghini e su Armentano,
perchè gli iniziati occidentali si palesassero, costituendo una élite e si mettessero quindi in
rapporto con l'Oriente. In ben tre lettere (1-9-1924, 10-11-1924, 12-12-1924) Reghini chiese ad
Armentano come comportarsi di fronte a questa richiesta. Ricevette risposta dal Brasile, dove si
trovava Armentano, solo nel Febbraio 1925 ed in seguito ad essa proseguì i contatti con
Guenon, ma con molta più prudenza e lasciando cadere quella proposta. Infatti, perchè mai
Guenon, che aveva sempre sottolineato che l'élite non deve avere assolutamente un carattere
organizzativo, chiedeva ora che si organizzasse addirittura palesemente? e per conto di chi lo
chiedeva? Qualcuno ha soprannominato Guenon "il Cartesio dell'esoterismo": mai soprannome
fu più azzeccato! perchè, proprio come Cartesio, alla sua epoca, non riuscì mai a contattare i
RosaCroce, così Guenon fu tenuto a debita distanza da quell'élite europea, che non aveva certo
bisogno di aspettare Guenon per costituirsi, nè per continuare i rapporti (mai interrotti!) con
l'Oriente.

6c3) Atteggiamenti "old age" e "new age"

Pietro Negri: Renè Guenon , nel saggio "Alcune considerazioni sulla dottrina dei cicli cosmici" ,
afferma (1): " .. la base principale di questi [cicli], nell'ordine cosmico, è il periodo astronomico
della precessione degli equinozi, la cui durata è di 25.920 anni, per cui lo spostamento dei punti
equinoziali è di un grado ogni 72 anni". Recensendo un'opera di Gaston Georgel, aggiunge (2):
".. la durata di 25.765 anni si deve probabilmente a qualche calcolo ipotetico di astronomi
moderni, la durata reale indicata tradizionalmente essendo di 25.920 anni". Dunque egli
dissentiva quando vedeva, in relazione ai cicli cosmici, calcoli di qualche scienziato moderno,
che si discostavano da quelli che (secondo lui) erano gli unici validi, perchè tradizionali. Ma
Ipparco (I° sec. a.C.), che stimava quel periodo di 28.800 anni, certo non era uno scienziato
moderno.
Come sappiamo, nel campo che vien comunemente detto esoterico, oltre alla visione magica da
noi professata, esiste anche una visione teosofico-contemplativa. Essa contiene errori di due
tipi, a seconda che si parta da un atteggiamento "old age", oppure da un atteggiamento "new
age".
Un teosofo-contemplativo "old age", come Guenon, ritiene che tutto ciò che proviene dalla
scienza tradizionale antica debba per forza esser stato e continuare ad essere più esatto di ciò
che è frutto della scienza attuale. Dopo gli eventi catastrofici degli ultimi giorni(3), diventa
evidente quanto Guenon si sbagliasse. Infatti la durata dei cicli è legata al fenomeno della
precessione equinoziale, a sua volta legato all'inclinazione dell'asse terrestre. Tale inclinazione,
in un mondo magico e perciò mutevole come il nostro, varia nel tempo, in concomitanza di
fenomeni planetari di una certa entità, come il terremoto-maremoto appena verificatosi sulle
coste dell'Asia. Variando l'inclinazione, varia anche (di poco o di tanto non importa) il computo
dei cicli cosmici, che perciò non è affatto costante, come pretendeva "l'eternalista" Guenon. Di
conseguenza, quando ci si riferisce ad epoche antiche, i dati più attendibili sono probabilmente
quelli antichi e lo scienziato moderno dovrebbe ben guardarsi dalla tentazione di "retrodatare" la
validità dei suoi calcoli, basati su dati contemporanei, perchè in passato gli stessi dati potevano
avere valori ben diversi. Ma quando ci si riferisce all'epoca a noi conteporanea, i dati da
considerarsi per i calcoli scientifici sono proprio quelli attuali e quelli antichi diventano
inattendibili.
Se il teosofo "old age" rimane ingabbiato nel passato, il teosofo "new age" corre a farsi
intrappolare nel futuro, illudendosi di conoscerlo sulla base di qualche presunta veggenza, che
vuol descrivergli come sarà questo futuro. In un mondo magico, nessuna previsione può
rivendicare valore di esattezza. Al più, soprattutto in riferimento al futuro più immediato,
possono ravvisarsi "tendenze", che sta pur sempre all'uomo sposare, oppure rigettare. In
generale, per ovvio effetto magico, una comunità che si aspetta calamità le attira. Che
dire, allora, dei libri apocalittici? e della venuta dell'AntiCristo, poi sconfitto dal ritorno del
Messia, credenza che accomuna cristiani e islamici? Si tratta di profezie? No! è bene dirlo una
volta per tutte: quei libri sono, invece, un tentativo magico di "ipotecare il futuro". Le due religioni
in questione sanno benissimo che anche per loro, come per tutte le cose di questo mondo,
verrà il tempo della fine. Come rendere probabile un loro ritorno? tramite la propalazione di
credenze, che affermino che vi sarà sì una fine, ma che sarà poi seguita dalla vittoria definitiva
della religione in questione, la quale quindi ammonisce seguaci e non seguaci a trovarsi dalla
parte giusta, al momento della resa dei conti. La speranza è che, per paura di tali presunte
previsioni, molti non aderiscano alle eventuali nuove dottrine e che ciò permetta alle religioni
suddette di ritornare.

(1) In R. Guenon, "Forme Tradizionali e Cicli Cosmici", Roma 1974; p. 18


(2) op. cit. p. 24
(3) Il riferimento è al disastro dello "Tsunami" del 26 Dicembre 2004. [N.d.U.]

EA: Naturalmente ciò non esclude che l'Apocalisse giovannea potesse essere, nelle intenzioni
dell'autore, soprattutto un testo sapienziale, descrivente, in forma drammatica, un particolare
iter iniziatico, collocato non nel futuro, bensì "in illo tempore", nel "tempo sacro" occorrente alla
realizzazione iniziatica. L'interpretazione profetica può essere accessoria e avente quel
carattere di "legatura delle sorti" (sortilegio) così ben evidenziato da Pietro Negri.
Turba Philosophorum: Per il cattolicesimo non mi pare siano queste le condizioni: la materia
non si distrugge ma muta in qualcosa di celestiale, di "più che materico". I fedeli invece non
periscono del tutto neanche durante i tre anni di regno dell'anticristo, ma si riducono ad un
"pusillus grex".
EA: Ammettiamo pure, per un momento, questa personale interpretazione del testo apocalittico:
tanto la presunta riduzione ad un "pusillus grex" (piccolo gregge), tanto l'altrettanto presunta
trasformazione della materia non sono argomenti atti a rafforzare la fede dei seguaci?
Turba Philosophorum: Per quanto mi riguarda la profezia è una visione più lucida della realtà
stessa, sempre che sia qualcosa di verace, ovviamente. Ciò a cui fa riferimento Pietro non è
quindi considerabile come "profezia" bensì come "profezia autoavverante"
EA: Non bariamo! Una visione più lucida della realtà non si rivolge necessariamente al futuro,
caratteristica che è peculiare della profezia. Per giunta le profezie apocalittiche, quando vennero
create, si rivolgevano ad un futuro lontano e indeterminato e perciò assai poco "lucido"! Quel
che sta dicendo Pietro è che moltissime sedicenti profezie non sono affatto "letture delle sorti",
bensì "legature delle sorti", cioè tentativi magici di ipotecare il futuro, mediante la propalazione
preventiva di credenze.
Turba Philosophorum: La profezia verace taglia la dimensione temporale perchè il tempo, in
determinate condizioni, non esiste. La difficoltà sta solo nella "comunicazione", nella forma
"tradizionale".
EA: Rispetto questo approccio 'contemplativo', ma in magia non ci facciamo raccontare il futuro
da nessuno. In un mondo magico, il presente e il futuro si costruiscono e ci si assume tutta la
responsabilità di ciò che si fa e delle sue conseguenze(1).

(1) Riguardo alle 'profezie' che si possono trovare nei testi del teosofismo anglo-indiano, come
pure nei testi di R. Steiner, si può notare che, da un punto di vista magico, esse hanno il
vantaggio, rispetto a quelle di tipo apocalittico, di assumere, in genere, un atteggiamento
positivo riguardo al futuro.
Esse possono essere, eventualmente, accolte in più maniere:
a) come visioni simboliche;
b) come visioni di "tendenze", che sta pur sempre all'uomo e agli altri esseri attuare o meno;
c) come "sortilegi" di buon auspicio, nel caso si auspichi quel medesimo futuro.
In nessun caso, se si segue una via magica, si potranno accogliere come fatti che debbano
accadere ineluttabilmente, qualunque sia il comportamento degli esseri senzienti. [N.d.U.]

VII) L'Iniziazione "Orientale": l'Arabismo

Alba: Il seguente saggio di Massimo Scaligero, che fa parte dell'opera "Lotta di classe e Karma"
(Perseo, Roma 1970), mette in evidenza tutti i danni palesi e occulti che il cosiddetto
aristotelismo arabo ha prodotto nel mondo occidentale, da quando venne conosciuto in Europa
sino a tempi molto recenti, nei quali ha influenzato un certo tradizionalismo. Danni resi maggiori
dall'avere gli intellettuali europei, nel corso dei secoli, sottaciuto e sottovalutato l'influenza di
questa corrente filosofica, che ha così potuto agire più occultamente.

7a) MASSIMO SCALIGERO

L'Arabismo e l'Equivoco Esoterico

La difficoltà ad afferrare il moderno pensiero razionale come attività pura, indipendente da nome
e forma, l'impossibilità di concepire il conoscere come corrente di vita, l'identificarsi del pensiero
con il guscio sensibile delle cose come con la propria forma dialettica, la chiusura dell'anima al
Sovrasensibile, allato alle presunzioni esoteriche o iniziatiche circa il Sovrasensibile pensato di
là dal pensiero, sono eventi la cui interrelazione rimanda all'influenza esercitata nel Medioevo
dal pensiero arabo sul pensiero europeo: in particolare alla penetrazione in Occidente della
Metafisica di Avicenna e di Averroè.
Al pensiero mediante cui si sarebbe dovuto esprimere in Occidente il principio dell'
Autocoscienza, l'Aristotelismo alterato dai filosofi arabi precostituì un limite, che né la
Scolastica, né in seguito Bacone, né Cartesio, né Kant, né Hegel riuscirono più a superare. A un
tale precedente occorre risalire, se si vuole spiegarsi il venir meno della missione della Filosofia.
L'impossibilità dell'uomo conoscente di avvertire il Logos nel pensiero, o di congiungere la
coscienza pensante con l'Io, ebbe come analogo la perdita del Logos nella sfera religiosa, onde
oggi è generalmente possibile un Cristianesimo etico o politico, senza Cristo. Dal deietto
pensiero è stato posto alla Conoscenza un limite, che il Materialismo ha avuto ragione di
assumere come fondamento e lo Spiritualismo ha creduto superare mediante vie antiche,
impulsi del passato, fuori della corrente in atto del conoscere. Ambedue hanno manifestato
l'incapacità di accogliere l'Io nel nascente processo della coscienza, l'iniziale presenza dello
Spirito nella consapevolezza individuale.
Nei tempi moderni, l'arenamento della missione dell'Idealismo, epperò la possibilità che da esso
filiasse il Materialismo, e, in sede spiritualistica, la nascita di un Esoterismo occidentale capace
di usare e tuttavia ignorare le nuove forze della Conoscenza, mediante impulsi della Tradizione,
o della Gnosi cristiana, o della Teosofia anglo-indiana, incapaci di ravvisare l'inizio del reale
Esoterismo nella connessione della coscienza conoscente con il proprio Principio interiore: sono
fenomeni che si possono far risalire a ciò che penetrò nell'anima occidentale mediante
l'insegnamento di Avicenna e di Averroè riguardo al principio dell'Io, secondo un'alterazione
della dottrina dell'anima di Aristotele. La dialettica di Aristotele fu usata come forma di un
contenuto appartenente all'anima islamica. Un'antica visione del Divino fece sua la logica di
Aristotele: la quale, come primo strumento di una nuova consapevolezza del mondo, avrebbe
dovuto recare nell'attività razionale la virtù del Logos, quale forza radicale dell' Autocoscienza.
Questo moto subì la sua paralisi in Europa, ad opera dell'Arabismo, che negava all'intelletto
individuale capacità sovrasensibile.
L'Aristotelismo penetrò arabizzato in Occidente. Ma non fu tanto l'Aristotelismo alterato, quanto
ciò di cui esso fu veicolo: l'elemento psichico avverso al Logos, sotto forma di un
sostanzialismo metafisico, misticamente fascinoso, che, per altra via, costituì la forza
dell'impulso simboleggiato, nella leggenda del Graal, da «Chastelmarveille», il centro «occulto»
il cui còmpito nel Medio Evo fu avversare l'azione del Graal: come tuttora la avversa. Due sono
le forme in cui ancora l'impulso arabo-siculo di Chastelmarveille tenta di ostacolare il Graal,
mediante nuovi testi ed esegeti: la «arimanica», che tenta di far apparire il Graal un Mistero non
cristiano, e la «luciferica» che, pur apparendo cristiana, edifica un contenuto
mistico-sentimentale della sua simbologia, eludendo la via dell'Io, o del «pensiero Logos», che è
il senso ultimo della vicenda di Parsifal. Si tratta di due forme dell'identico contenuto metafisico,
affermante un mondo celeste o «sidereo» di là dalla coscienza che lo concepisce, secondo una
separazione dal metafisico, possibile come riflesso di un sostanziale vincolo al mondo fisico.
Questo vincolo è simboleggiato dalla figura dell'avversario del Graal, Klingsor, originariamente
cavaliere della Sacra Coppa, espulso dalla Rocca di Titurel, per aver tentato di conseguire il
valore metafisico del sesso mediante un fatto fisico: impresa anti-graalica, non dissimile a quella
di una presunta conquista del Graal nello stato sognante di un artificioso raptus mistico. In ambo
i casi si verifica l'affermazione della coscienza esoterica come coscienza di ciò che è altro da
sé: l'elusione del Logos immediato all'essere della coscienza, l'inganno da cui origina ogni lotta
contro lo Spirito, e ormai ogni esaltazione della Materia.
Il dualismo averroistico, la separazione tra Spirito e Vita, si continuò con potenza razionale in
Bacone, si ripeté in forma critica in Kant, indi, dopo il tentativo riunificatore di Hegel, dette luogo
alla serie traumatica delle scissioni dello Hegelismo, sino all'attuale conciliabilità di
Materialismo e Spiritualismo: conciliabilità che si può vedere come un analogo della duplice
forma dell'impulso avverso al Graal, ossia della filiazione dallo stesso ceppo arabico, ora
secondo un'opposizione semplicemente formale, dovuta alla non coscienza del comune
fondamento. Quando lo Spiritualismo contempla il mondo contemporaneo, lo rifiuta, perché
manca della consapevolezza dei mezzi interiori con cui lo contempla: respingendo l'attuale
conoscere, del quale pertanto fruisce, si appella alla Tradizione, al passato.
Analogamente, quando il Materialismo fonda la sua visione del mondo sul dato dei sensi,
ignorando il senso delle forze connessive del pensiero, attua in forma nuova gli impulsi di un
atavico Misticismo: rivolgendo alle conclusioni della Scienza la fede un tempo richiesta dalla
Rivelazione, resuscita il passato. Né Spiritualismo, né Materialismo sono capaci di avvertire
l'elemento di perennità evocato e ogni volta alienato nel pensiero che opera nel mondo fisico.
Ad ambedue manca.la consapevolezza del momento sovrasensibile con cui assumono
cognitivamente il sensibile: lo cercano oltre il pensiero con cui lo pensano, oltre l'Io che lo
sperimenta. Cercando enti metafisici o fisici di là dal conoscere, si aprono inconsciamente alla
corrente istintiva. Non avvertono che questo conoscere pone a sé un limite, che esso solo può
togliere. Ma il toglierlo non è operazione filosofica, o dialettica: è sperimentare il conoscere,
piuttosto che come opus dialecticum, come fluire dello Spirito indipendente dal pensiero, epperò
afferrabile entro il pensiero.
Attraverso le controversie speculative cui dette luogo, l'Arabismo penetrò in Occidente come
sottile impulso a separare l'elemento spirituale dal conoscere rivolto al mondo fisico, onde al
conoscere divenne impossibile trovare in sé il proprio Principio: lo vide in un di là da sé, epperò
di là dalla vita. Un simile impulso pregiudicò in Occidente la comprensione della funzione
dell'Autocoscienza e la nascita della filosofia dell'Io. In talune espressioni dell'etica e del
presunto Esoterismo, si è persino giunti a vedere nell'Io l'ostacolo allo Spirito, il principio della
prevaricazione. Il germe del pensiero d'Avicenna penetrò nell'anima occidentale come idea della
trascendenza dell'Io reale e della precarietà dell'Io quotidiano, che sedusse molti, ma falsò
preventivamente l'esperienza della Scienza, iniziando una sottile alterazione del processo
dell'Autocoscienza: che non si seppe vedere in rapporto con la nuova posizione del reale, onde
fu inevitabile la caduta nel realismo sensibile. Non è stato più possibile comprendere che la
trascendenza dell'Io può essere posta unicamente dall'Io immanente, affiorando in esso come
potere di disporre di sé e d'intuire la propria identità trascendente: soltanto in esso è la
possibilità di una decisione di ricongiungimento con l'Io Superiore, o con il Logos.
Mediante l'Arabismo fu immesso nell'anima occidentale un impulso di trascendimento dell'Io,
prima che questo Io ci fosse e realizzasse la propria immanenza: fu invero la prematura
captazione imaginativa di una dimensione superiore dell'Io, senza realizzazione umana, o
individuale, dell'Io: senza relazione con il processo reale dell'Io nella coscienza di veglia, alla
vigilia dell'epoca in cui questo sarebbe stato possibile, essendo l'epoca della scienza e della
razionalità. L'Io, che l'uomo cominciava appena a sperimentare come autocoscienza, venne
separato da sé stesso. La concezione araba, eco tardiva di una remota conoscenza
sovrasensibile, abbagliò taluni ambienti della cultura d'Occidente.
La concezione di un Io superiore vivente in tutti gli uomini e animante in ciascuno un Io
individuale, in sé effimero, in quanto dotato di vita soltanto tra nascita e morte, ridestò
illecitamente esauriti impulsi spirituali, giovandosi della forma aristotelica originariamente sorta
per ben altro contenuto: essa era la forma del pensiero preludente l'esperienza dell'Io nella
coscienza umana, come principio individuale. L'Io come principio, nella concezione arabica, non
è realizzabile se non di là dall'umano: onde, il giorno in cui affiorerà nell'umano, verrà
misconosciuto: l'attuale civiltà, infatti, spiritualisticamente e materialisticamente, ignora l'Io.
L'io effimero, secondo Avicenna, è un raggio del Divino, che dopo la morte si riassorbe nel
Divino. Ma proprio mediante questo Io, a torto considerato effimero, si andava preparando la
nascita dello Spirito in Occidente.
La seducente concezione arabica, rispondente a una remota relazione dell'uomo con il
Sovrasensibile, ostacola il fluire dello Spirito nella Vita, diviene deviante nell'epoca in cui
l'originario Sovrasensibile affiora nell'umano come Io, ossia nell' epoca dell'anima cosciente, in
quanto elimina il senso della funzione reale dell'Io quotidiano: che è congiungere la vita
quotidiana con lo Spirito. Elimina la possibilità di comprendere che l'effimero non nasce da un Io
effimero, ma dal fatto che l'uomo non afferra se stesso come Io: non afferra l'elemento vivente
nel concetto, in cui si esprime il potere di sintesi dell'Io. Rimesso lo Spirito a un sognato Io
Superiore, il concetto, in sé pregno di vita, viene assunto privo di vita, astratto. L'uomo rinuncia
all'operazione chiave della sua missione sulla Terra: riconoscersi Soggetto, responsabile della
sua Storia. Questo Soggetto, anche quando lo ravvisa, rimane per lui un'entità astratta:
psicologica, o sociologica, o idealistica.
L'Io che si crede contingente, non ha coscienza della propria realtà, non è sufficiente a sé,
epperò aderisce ad altro, traendo il senso di sé da altro: né avverte che tale senso è sempre lui
a fornirlo. La categoria di effimero, o di contingente, o di materiale, è sempre lui a produrla ed è
lui a non sapere di sé, e lui a negare la propria immanenza, con le forze dell'immanenza. La
concezione arabica, inserendosi nel pensiero europeo, prepara l'eliminazione della possibilità
che l'Occidente comprenda, quando sarà il momento, il senso della nascita dell'Io: i Materialisti
ne negano l'esistenza, gli Spiritualisti si affannano a cercarlo oltre la persona quotidiana, come
se il Soggetto delle loro azioni fosse altrove che in loro. L'influsso arabico, riconosciuto nella sua
ambiguità spirituale soltanto da rari pensatori, ha agito occultamente nell'anima occidentale,
contaminando la Religione e la Gnosi, la Filosofia e la Scienza, sino ad affiorare possente nel
mondo attuale come impulso unitario della cultura.
Al pensiero di Avicenna penetrato nell'anima occidentale, è riconducibile la concezione
materialistica del mondo che, oggi, non potendo più scorgere un Io superiore, si trova ad avere
a che fare soltanto con un Io contingente, ma, come tale, reale, onde è portata a contrapporre
ad esso, ossia all'Individuo, la Società, come nuova trascendenza: parimenti è riconducibile una
religiosità incapace di trovare la connessione del nascente Individualismo con il Divino: e
parimenti un Esoterismo che, mediante le strutture tradizionali della trascendenza, fa leva su un
Io ignaro del potere della propria immanenza, ossia su un Io incapace di ritrovare in sé e non in
Tradizioni il Logos.
Tra le forme del ripullulare di impulsi morti dello Spirito, riattizzati dalle forze avverse alla
presenza attuale dello Spirito nella vicenda terrestre, va indicato il sedicente Esoterismo
Cristiano, rifacentesi alla Kabbala, all'Esichasmo, al Martinismo e a residui gnostici: il cui
còmpito è distogliere l'attuale ricercatore dal contenuto vivente del Cristianesimo, ossia
dall'esperienza consapevole del Logos, quale è richiesta dalla struttura attuale del suo
conoscere. Il fine è far ignorare lo Spirito dove direttamente si esprime nella coscienza, come
moto interiore del conoscere, onde divenga impossibile riferire l'attività della coscienza razionale
alla sua scaturigine, ossia al potere del Logos. Priva di tale riferimento, l'attività razionale viene
di continuo alterata e tradotta in una produzione demonica, il contenuto della presente civiltà. In
verità, il Materialismo si alimenta delle forze che il malaticcio Spiritualismo riesce a
corrompere, assumendo come spirituali le soggettive sensazioni delle mistiche emotive e dello
Yoga, ignorando la vera attività libera dal corpo e perciò capace di dominare il corpo, di lasciar
agire in purezza le potenze del corpo: questa attività è il pensiero nel momento che precede il
suo riflettersi, il momento intemporale del Logos.
L'insolubilità dei problemi del presente tempo si può far risalire all'influenza che l'Arabismo
esercitò in Occidente, preparando un'inconscia opposizione dell'Io alla percezione di sé, per
l'epoca della sua nascita cosciente. E' venuta meno la possibilità che l'Io, come individualità
nascente, volta a indagare il mondo con forze trascendenti divenute interiori, in quanto divenute
pensiero indagante, attraverso personalità come Galileo, Newton, Keplero, Giordano Bruno
ecc., riconoscesse in tali forze il Logos operante nell'intelletto e nella volontà: riconoscesse cioè
la propria identità con sé, ossia con la scaturigine della sua forza: che non poteva essere più il
Logos misticamente sentito, fuori della coscienza, bensì a suo fondamento. Parimenti è venuta
meno la possibilità che l'effimerità dell'Io quotidiano si spiegasse non con la sua irrealtà, ma con
l'insufficiente coscienza di sé dell'Io reale, onde il còmpito dell'uomo non dovrebbe essere
l'estinguere l'Io contingente, ma rafforzarlo in rapporto alla vita dell'anima, così che rispetto al
pensare, al sentire e al volere, esso sia realmente l'Io, non lo strumento dipendente. L'Io invero
diviene contingente solo in quanto lega l'affermazione di sé ai valori sensibili.
Dal germe dell' Arabismo derivano a ugual titolo il Materialismo e lo Gnosticismo moderno:
deriva la difficoltà del Cristianesimo ad avvertire il potere di ogni reale mutamento della Natura e
della Storia come potere del Logos, immanente e tuttavia sconosciuto all'uomo: d'onde, in parte,
il problematicismo di attuali esoteristi riguardo alla figura del Cristo e la loro vana ricerca della
Forza reintegratrice, ossia del Logos, nelle dottrine che precedono l'avvento del Logos.
Dal germe dell' Arabismo deriva parimenti il male tipico dell'umanità attuale: l'Ateismo nelle sue
diverse forme, religiose, filosofiche, psicologiche, sociologiche. Deriva altresì il fatto che
l'individuo è divenuto un ente astratto, componente di una Società ritenuta, invece, concreta.
Come per Avicenna l'Io non era individualmente valido, così è stato per Marx. Come per
Avicenna era reale, di contro alla contingenza dell'individuo, l"ente cosmico originario, così per
Marx è reale di contro all'individuo la Società che lo contiene.
La cultura che oggi si chiude all'Io, in realtà rifiuta la verità dell'Autocoscienza, epperò il sorgere
della libertà come evento individuale: rifiuta perciò la Democrazia: rifiuta l'avvertire nel pensiero
l'attività chiave della libertà e nella libertà l'affiorare dello Spirito e nello Spirito l'essere che solo
può usare la libertà. In tale rifiuto è visibile il continuarsi dell'azione iniziatasi con l'Arabismo
medioevale. L'attuale dialettica del pensiero riflesso è la logica senza Logos, ossia
l'Aristotelismo utilizzato in ogni forma del sapere, in funzione di un Io attuato solo come
relazione mistica con la percezione sensoria. L'Arabismo è l'antico Misticismo rivolto oggi al
dato dei sensi e al verdetto della Scienza: il nuovo «oppio dei popoli» in realtà è l'antica fede un
tempo rivolta alla Rivelazione, oggi rivolta ai risultati della Scienza della Materia che si ritiene il
fondamento, ma il fondamento che non si riesce a scorgere, venendo presupposto allo Spirito
che lo pone: la più strana contraddizione del pensiero, nell'epoca del pensiero cosciente.
La contraddizione è spiegabile: la dialettica assume il ruolo totale della conoscenza, nell'epoca
in cui il pensiero, salvo l'aspetto del reale riducibile a peso e misura, non può più decidere della
verità, in quanto divenuto identico al suo moto riflesso. Alla difficoltà del pensiero a risalire dal
riflesso alla propria luce, risponde la difficoltà a comprendere che nelle forze nuove della
coscienza, producenti la scienza e la tecnologia, si affaccia la realtà di un Io, la cui apparente
effimerità deriva dal suo annientarsi nell'oggetto esteriore, fisico o metafisico, secondo un
inconscio misticismo della privazione di sé e l'attribuzione del valore a ciò che è di là dalla
coscienza, eppur rappresentato dalla coscienza, onde esso arabicamente ignora la relazione
che esso stesso fa sorgere, il reale, fisico o metafisico, a cui si rimette, come ad altro.
L'alienazione dell'Io è il non avvertire sé stesso, epperò il suo mancare di reale coscienza di sé.
Certi drammatici attacchi alla civiltà cadrebbero, se si scorgesse questa semplice verità. L'Io
non può avvertire se stesso mediante il pensiero riflesso, ossia mediante l'inanimata imagine di
sé.
Non potendo afferrare sé stesso, non penetra nel proprio essere spirituale, perciò non penetra
nella propria realtà né in quella della Terra. Il vedere la Terra come entità meramente fisica è
per l'uomo moderno la conseguenza del suo essere vincolato mediante il pensiero riflesso alla
propria entità fisica, i.e. all'incapacità dell'Io di afferrare la propria basalità.
La scienza e la tecnologia sono espressione delle nuove forze della coscienza al livello del
pensiero riflesso. Non è la produzione scientifico-tecnologica il fine di tali forze, bensì
l'esperimentazione di sé, la conoscenza. Il pensiero scientifico è legittimamente normativo per
l'aspetto misurabile della realtà, ossia per il mondo sensibile, ma non è normativo per la totale
realtà. La normazione del reale il pensiero può conseguirla, attuando sé stesso là dove per ora
si aliena, ossia assumendo coscienza della negazione di sé: ma deve sperimentare come idea
obiettiva tale alienazione, per poterla superare: oggi il Materialismo è l'alienazione
inconsciamente subita e codificata; lo Spiritualismo, o la Tradizione, è l'alienazione
inconsciamente subita e proiettata in rappresentazioni spirituali donanti l'illusione del suo
superamento: superamento che non è possibile come ulteriore forma dell'alienazione.
Nell'indagine scientifica il pensiero dovrebbe ravvisare non ciò che ha il còmpito di condurre a
conquiste fisiche, ma anzitutto l'attività in cui esso si aliena e perciò potrebbe compiere un'opera
di reintegrazione, o di conversione obiettiva, realizzando consapevolmente un assunto dello
Spirito, un tempo dato mistericamente in simboli e operazioni rituali: potrebbe cogliere
obiettivamente forze più profonde di sé, sino alla percezione dell'Io. Esso dovrebbe utilizzare il
potere della propria obiettivazione nel sensibile, per attingere alla proprià scaturigine, o all'Io:
trarre da sé l'elemento di correlazione con il vivente o con l'estrasensibile nel mondo. E' questa
l'operazione-chiave mancata come nucleo di vita alla cultura del presente tempo, per via della
persistente impronta «arabica». Se, come riflesso, il pensiero prevale e diviene totale interprete
dell'essere, la sua forza è bensì attinta all'Io ma sfugge all'Io, smarrisce il rapporto con la propria
scaturigine: non può non vedere la realtà identica con il suo aspetto fisico misurabile, non può
non negare il Sovrasensibile. In tal senso la dottrina più coerente è il Materialismo, mentre lo
Spiritualismo, gnostico o teosofico, sedicente cristiano o esoterico o pagano, vive nell'equivoco
di vocazioni, dottrine e tecniche interiori volte al Sovrasensibile, ma incapaci di sollevare l'anima
dal livello sensibile, in quanto ignare del còmpito esoterico chiave: il passaggio dal pensiero
riflesso al pensiero vivente.
La funzione del pensiero riflesso in verità è esaurita, il pensiero riflesso non ha più nulla da dare
all'uomo: ogni problema del tempo, in quanto impostato dal pensiero riflesso, è destinato a
rimanere problema, tema dialettico, pretesto di polemica politica. Il pensiero riflesso ha avuto
una funzione necessaria sino all' epoca del Razionalismo e della Filosofia Critica: con Hegel
doveva iniziarsi il passaggio dal riflesso alla sorgente del pensiero. Il tentativo di Hegel è fallito.
Tuttavia la crisi attuale del «razionale» non è il segno della necessità di un Irrazionale, bensì di
un Sovrarazionale. Mentre solo una parte dell'umanità è virtualmente matura per l'esperienza
sovrarazionale, tutti i problemi presenti dell'uomo la esigono. Ma il razionale riflesso, mai come
in questo periodo, è stato capace di fingere i superamenti della razionalità.
E' l'estensione indefinita, sociologica, religiosa, gnostica, esoterica, del pensiero riflesso. La sua
sostanza è una, ma le sue espressioni sono molte e formalmente inconciliabili tra loro, incapaci
di incontro, perché prive di relazione viva.
Raramente gli incontri e gli aggruppamenti tra gli uomini derivano dalla relazione delle libere
individualità: essi sono suscitati da necessità istintive, che il pensiero riflesso codifica. Questi
aggruppamenti non possono intendersi tra loro, perché il pensiero riflesso non ha capacità di
identità spirituale. L'incontro degli Spiriti è reso impossibile dal persistere del pensiero che non
esprime la reale natura dell'uomo, né perciò il livello della sua basale coscienza. Le forze che
dànno modo all'uomo di produrre la scienza e la tecnologia, sorgono da una zona della
coscienza che egli ignora. Sarebbe importante per lui scoprire che esse gli affiorano - come si è
accennato - non tanto per fornirgli il sapere scientifico, quanto per dargli modo di conoscere il
loro originario movimento. Il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena è in tal senso attuale: l'uomo
ragiona e conclude come uomo, ma in lui l'angelo conosce. In realtà l'uomo respinge
quotidianamente ciò che lui stesso quotidianamente sollecita di più elevato in sé, l'elemento
pragmatico dello Spirito.
Non è il Materialismo l'errore, ma lo Spiritualismo che ignora le forze con cui l'uomo
conosce la Materia. Né la scienza né la tecnologia, ma il vincolarsi dell'intelletto ai loro prodotti
e alla visione quantica del mondo, oggi corrompe la cultura, sollecitando quotidianamente
l'elemento deteriore dell'anima. Nel generale processo della conoscenza, l'essere reale
dell'uomo, l'essere che conosce, viene ignorato: in tale ignoranza si può ravvisare l'effetto di ciò
che fu la soggiacenza dell'anima occidentale al mistico contenuto dell'Aristotelismo arabico. La
Scienza e la Tecnologia non valgono tanto per quello che producono, quanto per il loro
sollecitare forze originarie della mente umana rivolta al sensibile, ai fini del superamento del
limite sensibile; ma l'occulta impronta arabica impedisce l'avvertire tali forze e il ricongiungersi
mediante esse con il Principio cosciente: che è il Principio stesso della Scienza. L'impronta
ostacolante potrebbe essere riconosciuta solo dal pensiero autonomo capace di coscienza del
proprio movimento epperò di indipendenza dalla psiche. Quest'impronta non potrebbe agire
attraverso l'Io: essa perdura nella psiche, grazie all'equivoco Spiritualismo, allo Gnosticismo,
all'Esoterismo presumente afferrare il Logos nel formulario tradizionalista di tipo arabico,
secondo un sincretismo di nomenclature d'Oriente e d'Occidente, nell'epoca in cui l'impresa
dell'Autocoscienza è ritrovare il Logos, non fuori, ma in sé. Solo al distorto Spiritualismo si deve
il fatto che l'attuale coscienza razionale rifiuta di riconoscere nel proprio moto cognitivo le forze
del proprio essere sovrasensibile, che le consentono l'esperienza sensibile. Queste forze di
coscienza sono forze di un Io reale, non effimero, ma l'uomo rifiuta di essere l'Io: o lo nega, o lo
ignora, o arabicamente lo cerca dove non è.
E' incredibile come sia difficile far scorgere nell'incontro del pensiero con la realtà sensibile e
nella correlativa esperienza l'estrinsecazione delle forze più elevate della coscienza:
indubbiamente nella forma meno spirituale. Ma nella coscienza di tali forze lo Spirito può essere
ritrovato. La correlazione con il sensibile esige dall'Io un potere di autonomia, che l'Io non può
attingere se non dal profondo di sé: dalla individuale Forza-Logos. E' l'esperienza del mondo
moderno: sul piano fisico, l'Io, privo di direzioni a lui trascendenti, stabilisce una correlazione
che fa capo esclusivamente a lui, non si appella a memorie, a tradizioni, a dottrine preesistenti,
ma solo al nudo e obiettivo rapporto con l'entità fisica. In questa correlazione l'Io attua l'interno
potere di autonomia che lo affranca da antichi vincoli dell'anima: comincia a esprimere il suo
essere autentico, ma nella forma più bassa, quella sensibile, perché soltanto questa gli dà modo
di realizzare nell'isolamento soggettivo la propria «monade», ossia l'immanenza del Logos. Ma
l'autonomia cosi nascente riguarda l'Io, non la psiche interessata soltanto con i suoi istinti alla
correlazione sensibile: questa in sé è giusta solamente se viene sempre di nuovo ritrovata
dall'Io, o dallo Spirito, mediante cui ha inizio. L'anima affettivo-istintiva dovrebbe vivere la
correlazione con il sensibile secondo l'Io, ossia secondo il Sovrasensibile che la rende possibile.
Il Sovrasensibile è il basale livello dell'ordine gerarchico del creato, come dell'Io e della psiche.
La psiche perde tale livello, se bramosamente o misticamente si impossessa essa della
correlazione, escludendo l'Io.
Se la mediazione del pensiero riflesso, necessaria all'Io e positiva solo in funzione dell'Io, viene
afferrata dall'anima razionale-istintiva, l'esperienza della Scienza, da strumento di una nascita
dell'Io diviene veicolo dell'antica anima istintiva, che si serve delle forze nuove della coscienza
per esprimere se stessa. Il Soggetto del processo, l'Io, viene ignorato: la sua correlazione con il
sensibile viene dominata dall'anima razionale-istintiva, che si giova delle forze dell'Io,
escludendolo come Soggetto. La nascente autonomia dell'Io si esprime sul piano della
correlazione sensibile, come libertà non consapevole del momento del suo sorgere:
erroneamente essa crede riconoscersi nella sua espressione fisica. Sul piano fisico la libertà
non ha senso, il suo senso potendo essere solo la scelta noetica che esprime il suo originario
movimento. Per deficienza di consapevolezza dell'originario movimento, il nascente potere di
scelta viene afferrato dagli istinti. Penserà poi Freud a rendere psicologicamente legittima
l'appropriazione indebita. Praticamente viene smarrita la coscienza dell' autonomia con cui
l'Io ha iniziato il processo della Scienza. L'iniziale visione scientifica sensibile, ove fosse stata
congiunta con il suo Soggetto interiore, avrebbe portato il potere di penetrazione del sensibile a
riconoscersi come sovrasensibile, o come elemento interiore del mondo, rispondente alla realtà
del Soggetto umano. E' venuta meno la possibilità che l'elemento cosciente dell'Io
si riconoscesse all'interno del pensiero, affrancandolo dalla riflessità, movendo nella sua
iniziale luce. Senza un tale riconoscimento, l'Io non può essere libero.
Le verità di fondo, l'uomo conoscente oggi può incontrarle soltanto superando la barriera del
discorsivismo, eretta dall'intelligenza dominante. Tale discorsivismo è il pensiero che si è privato
della propria vita, divenendo riflesso, per dar modo all'Io di incontrare l'esclusivo aspetto
sensibile del mondo: solo questo poteva stimolare l'estrinsecazione dell'elemento più profondo
dell'Io nel terrestre: il suo affrancarsi dall' antica matrice spirituale, il suo operare
esclusivamente fondato su sé traente da sé il Logos.
Il senso ultimo dell' esperienza razionale è la nascita dell'Io Superiore come evento della
coscienza: la missione della dialettica, la cui struttura spirituale si affaccia per la prima volta in
Occidente con il pensiero di Platone, sfugge all'uomo da Hegel in poi, sì da rendere possibile
oggi, tra l'altro, l'equivoco della esistenza di una «dialettica cinese», in realtà mai esistita - se si
deve attribuire al termine dialettica il senso datogli da Platone e dalla filosofia classica - e
tuttavia affermante una sua priorità teoretica, per bocca di Mao-tse Tung, quando sono note le
irregolari origini dell'esperienza filosofica cinese agli inizi di questo Secolo.
Il pensiero riflesso, che dovrebbe essere il veicolo iniziale della penetrazione dello Spirito nella
«obiettività» della Materia, può divenite il veicolo dell'imprigionamento dello Spirito nella Materia,
ossia una irrealtà resa realtà dallo Spirito. Questo imprigionamento è però un'impossibilità;
Mancando del veicolo della conoscenza liberatrice, lo Spirito è portato a spezzare la sua
prigionia-maya mediante catastrofì-maya. Le attuali catastrofi sono il segno della Conoscenza
respinta dall'uomo: sono la conseguenza delle strutture della cultura e della civiltà,
contraddicenti il Principio a cui attingono, l'Ordine spirituale. Quest'Ordine non può non
riaffermarsi: se s'intravvede il suo processo, di là dalle interpretazioni dovute alle filiazioni
moderne della metafisica di Avicenna e di Averroè, si constata che esso esige come veicolo la
coscienza autonoma: non l'ottusità delle teorie o dei provvedimenti esteriori, bensì l'elemento
originario dell'anima, che un tempo veniva trovato nelle mistiche, o nelle metafìsiche, oggi è
invece ritrovabile nel pensiero sollecitato dall'esperienza sensibile-razionale, ma rischia di
essere identificato con l'oggettività fisica, per insufficiente coscienza della funzione del pensiero
riflesso. Da una risoluzione interiore dell'uomo dipende il ristabilimento del circuito della Luce,
epperò il fluire di forze morali nella Terra: che le attende come un suolo arso attende l'acqua
che gli restituisca la vita.
Solo il pensiero vivente può unire gli uomini di là dalle loro diversità: le Nazioni, le categorie, le
associazioni, le correnti politiche, debbono mantenere le loro distinzioni, ma intendersi di là da
queste, secondo incontri metadialettici, prima che secondo unifìcazione formale dei linguaggi.
La confusione delle lingue riguarda l'espressione del pensiero riflesso: il pensiero vivente è
esperienza identica per ogni uomo, al di sopra dell'ordinaria razionalità. Non v'è stato nostro
libro che non sia stato scritto in funzione della indicazione di tale
Via del Pensiero. Questa può restituire all'uomo l'arte del meditare, che è l'arte di accordare
l'Umano con il fondamento superumano, che non è certo l'umano potenziato, bensì ciò di cui
l'umano è manifestazione, se la manifestazione non viene grossolanamente assunta come
realtà in sé. Il Sovrasensibile può divenire esperienza interiore, ritornare ordine umano,
mediante l'autoconoscenza pragmatica dell'individuo: pragmatica in quanto rispondente alla
realtà della sua struttura, piuttosto che a dottrine espressive della incapacità di percepire tale
struttura. Una nuova conoscenza dell'uomo deve nascere, ma da qualcosa di più che un
apprendimento di dottrine: dalla coscienza delle forze interiori a cui l'Io dà forma mediante
l'esperienza razionale-tecnologica. Il senso ultimo di tale esperienza è l'esperienza delle forze
che la rendono possibile.
Oggi è difficile identificare la direttrice impersonale, o l'intenzione di fondo di quel seducente
intellettualismo mistico-metafisico, che previene, nei confronti del cercatore, la possibilità di una
percezione diretta del contenuto dei simboli sacri e dei miti, con il fornirgli la loro interpretazione
già fatta, mediante un sistema di signifìcazioni in cui il Trascendente appare compiutamente
intuito. Venendo presupposta dagli espositori la loro conoscenza sottile dei simboli e dei miti,
sarebbe stato indubbiamente più utile che essi avessero fornito all'uomo di questo tempo il
metodo di tale conoscenza, acciocché egli con i suoi mezzi interiori penetrasse il senso del
Sacro. Per l'indagatore attuale è decisivo sperimentare il Sovrasensibile nelle attività
cognitive in cui immediatamente si manifesta: egli dovrebbe, con i propri mezzi interiori,
poter percepire l'ètere vivente di un fiore, o di un cristallo, o la corrente di vita di un concetto
trasparente, o la forza che si esprime nel lampo o nella bufera. Si tratta di un tipo di esperienza,
per la quale l'uomo attuale sarebbe pronto, ove facesse un logico uso delle forze che invece
lascia degenerare nella coscienza riflessa: non si tratta di «auto-Iniziazione», bensì della
Conoscenza che libera dagli impedimenti del malaticcio Misticismo come dell'inerte
Materialismo: ma è parimenti la preparazione individuale richiesta dall'Iniziazione.
Le forze che occorrono oggi all'uomo per fronteggiare il Meccanicismo assoluto, sono quelle
stesse che generano il Meccanicismo. La loro conversione dà modo di percepire il vivente nella
natura e nella storia, il tramare delle forze cosmiche nella vicenda quotidiana, le entità supere
ed infere che si esprimono nel pensare, nel sentire e nel volere: rispetto alle quali è libero
soltanto colui che sa come contemplarle in sé. Accade invece che l'apprendista esoterico venga
facilmente persuaso a cercare lo Spirito oltre lo Spirito che è in lui - e ciò, malgrado la dovizia
delle dottrine, è un allontanarsi dallo Spirito - a considerare visionarismo la percezione sottile
degli èteri degli elementi, a non considerare «regolare» la dottrina della Reincarnazione, e a
catalogare sotto l'etichetta di «teosofismo» ogni insegnamento che non rientri nel quadro della
Tradizione riesumata. In effetto, il meditare secondo i canoni della Tradizione può afferrare di
questa soltanto ciò che è esaurito, se non conosce l'arte della conversione del pensiero riflesso:
che è arte attuale, riguardante il pensiero del presente tempo e non quello tradizionale. Ove non
superi il limite del pensiero riflesso, ciò che tale meditare ritiene rianimare del «tradizionale», è
soltanto un sentimento che non esce dalla corporeità, attingendo a potenze concluse
nell'inconscio fisico: tuttavia può chiamare ciò esoterico o iniziatico o gnostico. Non vi può
essere uscita dal limite della psiche individuale, senza risoluzione del pensiero riflesso: che è
operazione del pensiero autocosciente: operazione del pensiero nel pensiero, ma non
operazione filosofica, bensì atto pragmatico che va dallo spirituale al fisico, momento
sperimentale della conoscenza, coronamento di una connessione con le forze che, invero
estranee a ciò che di esse esegeticamente viene detto, operano come perennità della
Tradizione.
Il male umano non è veramente là dove appare Materialismo, ma là dove sorge come
alterazione del conoscere, propiziata dal presunto Esoterismo, ricco di kabbale e di omologie di
dottrine, ma gelido perché anemico di pensiero: che è dire di forze morali. Il male sorge là dove
si rinnova in forma moderna l'avversione al Logos, di cui fu inoculatore nell'anima occidentale
l'Aristotelismo derealizzato. La visione dell'assoluto sensibile di Marx, Feuerbach, Lenin,
Trotzkji, ecc. non è una causa, bensì una conseguenza. Questa causa non va ricercata in una
dottrina sociale o politica, o in un sistema dialettico, ma in qualcosa che è prima e tuttora
persiste: in un culto metafisico-mistico, mirante a voluttà meditative ed estatiche, piuttosto che a
conoscenze liberatrici: va ricercata in discipline del sentimento e dell'intelletto, che sviluppano
un tipo psichico di forza, a condizione che non sorga l'autore, l'Io, ossia l'essere indipendente
non soltanto dalla psiche, ma anche dalle facoltà interiori: a condizione che non sorga colui che
usa le facoltà in quanto è lo Spirito.
Le facoltà interiori divengono le forze dell'ego. L'essere inferiore dell'uomo diviene asceta,
maestro di saggezza, geloso del suo sapere, soddisfatto della sua coscienza esoterica e
persino dei suoi impulsi di fraternità.
La consunzione della civiltà rimanda a un culto delle forze estraniate al centro da cui
scaturiscono: inconsciamente usate in opposizione alla loro scaturigine. L'attuale ipnosi
gnostica è identica a quella che l'anima occidentale subì ad opera dell' Aristotelismo arabico,
della Metafisica senza Io, della Logica senza Logos. Quello che allora per via filosofica fu
inserito nell'intelletto umano, perché non ritrovasse in sé lo Spirito, quello che successivamente
è stato confermato come presupposto condizionante ogni conoscere, l'in sé kantiano, risponde
in sede spiritualistica all'in sé del corpus rituale e delle discipline degli attuali metafisici, il cui
còmpito è prospettare un'esperienza trascorsa dello Spirito articolata in tutte le sue analogie e i
suoi nessi, da cui il Soggetto umano sia dipendente: l'indipendenza venendo trasferita all'ente
metafisico, ritenuto reale fuori dello Spirito che lo metafisicizza. Dall'àmbito dello Spirito viene
escluso l'Io, il Soggetto che lo realizza. E' l'operazione che ha come corrispettivo sul piano
razionalistico una scienza della natura da cui viene escluso l'uomo. Questa esclusione si
perpetra nel dominio dell'anima, come continuazione di impulsi a cui sin dal Medio Evo si deve
la deviazione del pensiero. Gli impulsi oggi continuano nella forma della Scienza agnostica,
come della Gnosi criticamente restaurata eppur priva di pensiero: sotto forma di un rifiuto
della civiltà, in nome di un irreale mondo antico, e in funzione della rinuncia a riconoscere il
reale dietro la parvenza della quantità. In effetto, là dove appare assolutamente negato, lo
Spirito dovrebbe essere ritrovato.

***

Abraxa: Il saggio che ora presentiamo, pubblicato per la prima volta nella rivista "Scientia"
(Zanichelli, Bologna, 1912) è dell'illustre orientalista Leone Caetani, autore della monumentale
opera in dieci volumi "Annali dell'Islam", dedicata ai primi quaranta anni dell'egira. Sull'Islam egli
scrisse anche la "Chronographia Islamica" e l' "Onomastico Arabicum". Importante membro del
Grande Oriente Egiziano, al contrario della zia Ersilia Caetani Lovatelli (l'Ekatlos del Gruppo di
Ur), non credette nella possibilità di indirizzare il fascismo verso una concreta ripresa
dell'aspetto magico della Tradizione Romana Prisca e preferì trasferirsi in Canada.
Il seguente saggio, prescindendo da quel poco che si riferisce specificamente a fatti dell'epoca
dell'autore, è di una attualità sorprendente. Si tratta di una chiarissima descrizione della nascita
e dello sviluppo dell'Islam, come anche della sua irriducibile opposizione all'Occidente, che
esclude ogni intimo accordo. Egli indicò anche l'unica via percorribile: "Il più alto compito civile
nostro sarà di dimostrare all'Oriente la possibilità che la sua cultura fiorisca al lato della nostra in
piena libertà e sicurezza...Soltanto in questo modo la crisi, quando mai verrà, potrà svolgersi
per vie pacifiche e legali, per il maggior bene collettivo di tutto il genere umano."
Purtroppo non è stato favorito, come egli indicava il crescere parallelo e indipendente delle due
culture. Gli Occidentali hanno continuato a perseguire troppi interessi economici nell'oriente
islamico e gli islamici, da parte loro, hanno cercato nuovamente di invadere l'Europa. Come?
Prima creando da noi delle loro comunità; poi cercando di allettare alcuni intellettuali come R.
Guenon, che gli facessero propaganda e nello stesso tempo minassero, creando sfiducia, non
solo il materialismo, ma anche le basi spirituali dell'Occidente. Infine, attualmente, mediante
minacce armate. La soluzione? Quella di Caetani, che al giorno d'oggi significa:
1) diventare il più possibile autarchici nei confronti del petrolio islamico e non impicciarsi delle
beghe interne dei popoli islamici;
2) non accettare emigrati di religione islamica, i quali, per loro diversa struttura interiore, non
smettono di odiare gli europei anche quando questi danno loro lavoro;
3) favorire l'emigrazione degli intellettuali europei filo-islamici nei paesi islamici; è coerente che
essi si comportino come fece, anche se forse in ritardo, R. Guenon: perchè se ne stanno qui a
lamentarsi del mondo occidentale, quando se ne possono andare felici e contenti nel mondo
islamico?
In particolare, a Claudio Mutti che, ne "La funzione dell'Islam e l'Occidente" (Parma 1981),
sostiene l'esistenza di un hadith che prevederebbe l'islamizzazione di Roma, rispondiamo che
non esiste alcun hadith del genere, anche se è certo facile inventarsene all'occorrenza e, che,
anche se esistesse, sinceramente ce ne "faremmo un baffo".

7b) Leone Caetani

La funzione dell'Islam nell'evoluzione della civiltà

I rapporti politici, economici e religiosi tra l'Europa e l'Asia, tra Oriente ed Occidente,
costituiscono la tela, sulla quale si disegna e si svolge la drammatica trama della storia del
mondo civile. Le guerre tra la Grecia antica e l'impero persiano, le conquiste di Alessandro, l'età
d'oro dell'Ellenismo mondiale, il dominio romano su tutto il bacino mediterraneo e sull'Asia
Anteriore, la nascita del Cristianesimo, il repentino catastrofico apparire dell'Islamismo, le
Crociate, la caduta di Costantinopoli e l'invasione turca in Europa sono alcune delle pietre miliari
a tutti conosciute nel millenare progresso dell'umanità verso i suoi lontani destini in mezzo al
perpetuo contrasto tra le due civiltà dell'Asia e dell'Europa.
Ma la febbre d'indagine accurata e profonda sulle vere cause di tutti i fenomeni, sia naturali che
umani, sospinge lo studioso moderno a non restar contento di conoscere le sole forme esterne,
teatrali, abbaglianti della storia. Nei re, nei conquistatori, nei profeti, nei moti migratori di popoli,
di idee e di religioni, e nelle intense passioni per cui battaglie furono vinte e perdute, imperi e
civiltà sorsero e caddero noi vediamo sovrattutto i sintomi esterni, materiali, di intricate e oscure
leggi sociologiche che, nei millenni ancora non contati della loro esistenza, hanno regolata tutta
l'evoluzione spirituale e materiale degli uomini.
Oggi che le nazioni europee dominano tanta parte del mondo orientale, oggi che per la divisione
degli ultimi resti di trapassati imperi in Africa e in Asia, sì vive si sono accese le passioni
imperialiste e le cupidigie di domini territoriali: oggi più che mai ha valore e urgenza il conoscere
che cosa sia l'Oriente, qual significato abbiano le civiltà asiatiche e quali leggi ne abbiano
determinato la genesi: l'ignoranza di queste leggi potrebbe essere causa di errori e di
umiliazioni, da scontarsi presto o tardi con perdita di tesori e con orribile spargimento di sangue.
Quanto sia necessario questo studio, quanto sia doverosa una sicura intelligenza del mondo
orientale ci è parso dimostrato a sufficienza dalle prove quotidiane dell'ignoranza generale,
rivelata non solo dalle ingenue improvvisazioni di giornalisti, ma persino da persone che hanno
a lungo vissuto in Oriente senza tuttavia riuscire a penetrare nel fondo della coscienza orientale.
Nell'estate scorsa, ad. esempio, nella "Nineteenth Century" abbiamo letto due bellissimi articoli,
l'uno dello storico E. Bevan (agosto 1911) e l'altro di Sir Bampfylde Fuller (novembre 1911) già
governatore d'una provincia indiana, ambedue intitolati East and West, ossia Oriente ed
Occidente. Il primo ha voluto sostenere che tra orientali ed occidentali non esiste vera
incompatibilità, e perciò non è impossibile una fusione intelettuale e religiosa. Il secondo,
avendo avuto una conoscenza più pratica e diretta del mondo asiatico, ha insistito sulle
differenze morali tra orientali e occidentali, e sul concetto profondamente diverso che gli uni e gli
altri hanno della vita. Ambedue gli scrittori hanno però ignorato, o meglio trascurato, il
coefficiente religioso, che costituisce invero l'elemento fondamentale di divario e
d'incompatibilità tra europei cristiani ed asiatici di varie fedi, ma soprattutto musulmani.
La corretta interpretazione dei fenomeni religiosi ci sembra l'argomento principalissimo di studio
in questa ricerca; va considerato anzi come la chiave di volta di ogni giudizio sintetico
sull'Oriente, e quindi come l'imprescindibile concetto ispiratore e direttore di ogni iniziativa, o
politica o educativa, tra popoli non europei.
Si tratta in altre parole di rispondere a vari quesiti singolarmente delicati a definire e difficili a
considerare con spirito veramente sereno ed imparziale. Dobbiamo cioè domandarci: gli
orientali possono adottare la nostra civiltà, le nostre istituzioni e le nostre concezioni religiose,
giuridiche e sociali? Le religioni che essi professano, e le tradizioni che gelosamente
conservano, sono un impedimento al loro sviluppo ed alla loro elevazione morale e materiale?
Dobbiamo quindi scalzare la loro civiltà e sostituirla con la nostra? L'azione morale della civiltà
europea sugli orientali in quanto è un bene, e in quanto invece è per essi un danno ed un
pericolo? E' nostro dovere di trasformarli in uomini come noi, di europeizzarli, o non conviene
piuttosto di lasciarli invece quali sono e tentare la loro elevazione morale, eccitando le vigorie
naturali senza distruggere quell'«orientalismo» che è prodotto di millenare adattamento alle
esigenze ineluttabili della natura e della vita?
Sono problemi pratici, immediati, che la continua espansione della moderna civiltà ha imposto a
tutte le nazioni europee aventi sudditi orientali; ma che in nessun luogo e in nessun tempo
hanno ancor trovato soddisfacente soluzione: tutti i governi hanno preferito andare innanzi
empiricamente, alla cieca, senza concetti precisi, e senza un obbiettivo chiaro, distinto e voluto.
Solo gl'Inglesi in Egitto e in India - in parte anche gli Olandesi nei loro possedimenti oceanici -
per felice intuito d'ingenita sapienza politica ed amministrativa, hanno compreso quale dovrebbe
essere la soluzione pratica dei quesiti, ma senza approfondire l'indagine e senza elevare la
pratica stessa a sistema teorico. Pochi mesi or sono tali argomenti sarebbero sembrati, a molti,
questioni puramente accademiche per noi Italiani: ma gli eventi sono precipitati e l'Italia, con il
decreto di annessione della Tripolitania e Cirenaica, ha assunto oggi alcune gravissime
responsabilità civili, di cui è dovere rendersi conto. Fra non molto il Parlamento sarà chiamato a
studiar leggi per l'ordinamento delle due nuove provincie africane ed a risolvere problemi
oltremodo intricati, difficili e per di più costosissimi di uomini e di danaro, se l'azione legislativa
non sarà ispirata ad una sicura conoscenza del mondo orientale e ad un sereno apprezzamento
dei bisogni morali dei nostri nuovi sudditi o meglio concittadini musulmani.
Questo fatto nuovo, di capitale importanza politica, è ragione sufficiente perchè oggi si ponga e
si discuta brevemente, in linea sintetica, la diagnosi del fenomeno orientale e in particolar modo
di quello musulmano, il quale per ragioni, che ora chiariremo, porge anche speciali facilitazioni
alla nostra intelligenza e si lascia da noi più agevolmente intendere ed analizzare. Anzi
possiamo dire che l'Islamismo è l'evento più tipico, più caratteristico nei rapporti tra Oriente e
Occidente. La sua nascita e la sua ragion d'essere nell'evoluzione storica del mondo orientale,
studiate con imparziale e serena attenzione, rivelano meglio che ogni altro argomento
d'indagine la segreta ragione di tanti diversi ed in apparenza distinti fenomeni della storia
passata e degli eventi contemporanei, gettano luce su tutto il mondo orientale e possono
riuscire di speciale utilità per noi Italiani nell'imminenza immediata, direi quasi imperiosa di una
nuova opera legislativa. Ma anche se questo non fosse, non è pur nostro dovere il rammentare
e trarne insegnamento dai continui e secolari contatti che l'Italia ha avuto con l'Oriente
musulmano? L'Italia moderna, uscita dalle lotte epiche del Risorgimento, è ormai quasi
immemore del fatto che già sul finire del VII secolo le celeri navi dei Califfi depredavano le coste
della Sicilia e tornavano in Africa con i calici d'oro, i reliquiari ed i preziosi candelabri delle
chiese saccheggiate; mentre nella stiva, fra i negri rematori del naviglio saraceno, piangevano
sconsolate donne e fanciulle, vedove le une, orfane le altre, condannate a mai più rivedere i
patrii lidi e le ubertose zolle delle pendici etnee.
Da quel giorno, o in commercio o in armi, per quasi tredici secoli, l'Italia ebbe, con varia
vicenda, rapporti mai interrotti con i fedeli dell'Islam come padroni, o servi, o rivali. La Sicilia non
fu per secoli una provincia musulmana? I corsari africani , non sono stati il flagello delle coste
tirrene e ionie sin quasi ai tempi nostri? Tutta la vita politica e commerciale delle repubbliche
marittime d'Italia si svolse in continua gara, ora pacifica e commerciale, ora militare e nemica,
con gli stati musulmani lungo le coste del Mediterraneo. La teologia di San Tommaso d'Aquino,
la medicina della Scuola salernitana, i rudimenti delle scienze fisiche nelle prime Università
italiane, e perfino le visioni dantesche del mondo soprannaturale sono inspirate imbevute di
scienza e di filosofia antica, raccolta, trasmessa e plasmata dai teologi arabi di Cordova e
di Baghdad, un tempo maestri alla barbara Europa.
Più tardi la fervida vita commerciale e politica delle nostre repubbliche annodò rapporti di
continuo, immediato, contatto con il mondo musulmano. E negli ultimi anni il crescente scambio
di prodotti con l'Oriente, i moti nazionali in Turchia, le complicazioni marocchine, i possedimenti
coloniali, le nostre ambizioni africane e le recentissime, dolorose, illusioni sui sentimenti delle
popolazioni tripolitane verso di noi, ci ricordano, o almeno dovrebbero, a ogni pie' sospinto,
ricordarci, che al di là del mare già nostro, esistono una civiltà e una fede sempre a noi
irreducibilmente nemiche, barriera insormontabile di pregiudizi di razza, di odii religiosi e di
secolari tradizioni.
Oggi l'Italia con l'occupazione di Tripoli e della Cirenaica è venuta di nuovo in immediato,
diretto, contatto con il cerbero islamico, e le stragi crudeli dei nostri fratelli fra le palme di Sciara
Sciat nella giornata del 23 ottobre 1911 sono state per gli Italiani una dolorosa sorpresa, ma
forse anche un utile insegnamento. L'lnghilterra, la Francia, la Russia nel costituire i loro
immensi imperi fra popolazioni musulmane hanno acquistato una lunga e penosa esperienza,
tutta istoriata di stragi di incendi e di tetre tragedie, Nonostante sforzi generosi, larga
preparazione intellettuale e materiale, e sacrifici incalcolabili di vite e di danaro attraverso lunghi
periodi di tempo, hanno tutte trovato nella civiltà e nei popoli islamici una irreducibile resistenza,
forze sociali di tenace ribellione che niun mezzo civile poteva non già rompere, ma nemmeno
piegare.
Per tutte le nazioni europee ed oggi anche in particolar modo per l'Italia ha importanza, anzi è
perciò un vero dovere, che non soltanto il solitario studio degli orientalisti e islamisti, ma il
pubblico e l'anima popolare acquistino contezza dell'origine, della natura e delle ragioni del
singolare fenomeno, che con bagliore sinistro d'incendi e di armi mise in forse, circa mille e
trecento anni or sono la stessa esistenza del Cristianesimo e della civiltà europea, e che tiene
ancora strettamente avvinta la coscienza di 260 milioni di uomini, tutti concordi in un unico e
vivo sentimento, l'avversione al Cristianesimo ed alla civiltà europea, Ma non basta
spiegare "come" avvenisse la nascita dell'Islam; per noi europei, dominatori o collaboratori di
popoli musulmani soggetti, ha più diretto valore ed urgenza il conoscere "perchè" questa fede
trionfasse così strepitosamente nel VII secolo, "perchè" ricacciasse vittoriosamente la nostra
fede e la nostra civiltà dall'Asia e dall'Africa, e "perchè" oggi ancora, indomata ed invincibile,
perseveri nella implacabile ostilità verso di noi, e con questa bandiera estenda sempre più i suoi
confini in tutte le parti del mondo. Un fatto di proporzioni tanto grandiose, che serba pur dopo
uno svolgimento lungo e svariato una vita ancora intensa e tenace, deve avere ragioni assai
complesse e remote: deve avere le sue radici vitali nella parte più profonda della coscienza
orientale ed esprimere i sentimenti essenziali di quella psiche etnica. Fa d'uopo dunque che il
problema venga scrutato a fondo dalla nostra analisi, perchè solo una corretta interpretazione di
esso potrebbe giovare, in un avvenire non lontano, a diminuire le resistenze più temibili e ad
iniziare, tra buoni auspici, un armonico modus vivendi tra Italiani e musulmani in Tripolitania.
Per deficienza di documenti e per pregiudizio di fede e di razza, errato e parziale fu
sempre il nostro giudizio sulla fede venuta d'Arabia e sulla rivoluzione da essa suscitata
nello svolgimento della civiltà orientale, Soltanto oggi, che la cultura critica moderna va
lentamente disgregando e spegnendo antichi, vieti pregiudizi di fede e di razza, noi riusciamo ad
intravedere, tra le nebbie d'un passato ormai remoto, le grandi linee e le principali ragioni di quel
pauroso dramma musulmano, per cui i veloci guerrieri d'Arabia, in poche decine d'anni,
percorsero una volta, trionfanti, da un capo all'altro, quasi tutto il mondo conosciuto. Quello
stesso piccone demolitore dell'analisi scientifica, imparziale sì ma spietato, che si è appuntato
contro tutti i nostri istituti sociali, morali e religiosi, penosamente eretti per imperioso bisogno
dalle generazioni che ci hanno preceduto, intacca oggi anche i venerandi istituti dell'Islam, ne
muta il significato e ne rivela le intime forze generatrici. La moderna analisi del fenomeno
islamico ne trasforma tutto l'intimo significato, quale era sembrato agli studiosi del XIX secolo,
ne allarga la base e ne rintraccia le intricate origini morali e materiali in tutta la storia antica
dell'Asia e dei suoi rapporti con l'Europa. La nascita della nuova fede non appare più nella veste
semplicista in cui la videro i nostri padri; non è più la vecchia storia di un profeta impostore, che
accende improvvisamente nei suoi accoliti una fiamma religiosa e li lancia alla conquista del
mondo abhagliandoli con l'illusione di convertire l'umanità al nuovo verbo, e di riscattare sè
stessi e gli uomini tutti dal peccato o dall'errore, accecandoli con promesse elettrizzanti di
paradisiache voluttà sensuali. Non è più vero che le schiere musulmane, animate da una
fiammante fede religiosa, illuse di essere l'istrumento della volontà di Dio, trionfassero per la
forza irresistibile di tale sentimento sui loro nemici infiacchiti ed inseniliti da una civiltà millenare
e corrotta. Queste sono fiabe, sono visioni di altri tempi. La verità è ben diversa: meno
drammatica forse, ma assai più vasta, complessa; più gigantesca e sovrattutto meno personale:
non l'opera cosciente di un uomo e di un pugno di temerari guerrieri, ma l'integrazione d'una
mondiale rivoluzione sociale, iniziata secoli e secoli prima di Maometto, evoluzione che oggi
ancora è lontana dal compimento della sua grandiosa parabola.
Maometto, il Corano, l'Islam, furono gli incidenti determinanti, e la veste occasionale d'uno
dei più intricati, maravigliosi e singolari eventi della storia umana, una nuova variazione del
tema fondamentale della storia del mondo: l'incessante agire e reagire di Oriente ed
Occidente, il perpetuo scambio di idee e di uomini e di cose, di religioni e di arti, di spedizioni
militari e di conquiste morali tra l'Asia e l'Europa, tra i due massimi centri della umana civiltà.
Maometto, l'inconscio creatore dell'Islam mondiale, non volle, non credè fondare una nuova
religione: egli chiese un ritorno, o forse meglio, l'epurazione di una relgione secondo lui già
esistente, e invocò soltanto l'abbandono di divinità minori per concentrare il culto sopra la
maggiore, la sola vera divinità, a tutta Arabia già nota, perchè forse la più antica di tutte: Allah.
Ma la riforma non aveva nella sua mente alcun carattere universale; il Profeta non divisò mai la
conquista politica del mondo, nè la conquista morale del genere umano; non si prefisse
nemmeno la conversione di tutta Arabia, ma si preoccupò unicamente di sé e dei suoi, ossia dei
propri paesani e consanguinei, delle persone a lui meglio note e più vicine. Degli altri non si
diede pensiero: si direbbe che ne ignorò perfino l'esistenza. Quando Maometto morì nel 632,
sola una parte della penisola nativa obbediva al suo cenno; e la unione di tribù da lui creata
nelle due città di Mecca e di Medina era assai più un principato politico e militare, che non un
comunità religiosa. Gli Arabi erano per natura irreligiosi e non desideravano una nuova fede; ma
riconobbero in Maometto un uomo di genio a cui conveniva sottostare. Maometto morì senza
lasciare istruzioni, senza curarsi né dell'avvenire del suo stato, nè di quello delle sue
dottrine: non provvide nemmeno a conservare il testo esatto delle sue rivelazioni.
Quasi esclusivamente politico e militare fu lo svolgimento della comunità musulmana nei primi
tempi che seguirono la morte del suo fondatore, svolgimento che ricorda in molte sue fasi
l'espansione territoriale e militare di Roma. La comunità creata da Maometto, dacchè era
diventata la più potente in Arabia, e dacchè sorse in mezzo ad una popolazione di natura
pugnace, rapace ed irrequieta, fu fatalmente trascinata alla conquista della penisola durante il
governo del primo Califfo. Terninata la conquista, l'improvvisa unione politica e militare di tutta
l'Arabia, l'unità nazionale di tutto un popolo dotato delle più irrequiete energie di vita furono
ragioni altrettanto fatali ed inevitabili, per le quali il popolo arabo, già assillato da crudeli bisogni,
bramoso di fuggire da una patria inaridita, povera ed ingrata si precipitasse a depredare le
ricchezze di Persia e di Roma.
E così venne, non prevista, non ideata da alcuno, ma per naturale collegamento di cause ad
effetti, la conquista dell'Asia e dell'Africa. Ma in ciò si sarebbe avuto finora soltanto la fortuita
ripetizione d'una fra le tante vicende politiche, che avevano rimestato e funestato l'Asia dai
tempi di Hammurabi a quelli di Zenobia e dei re Sassanidi: un altro impero, più o meno longevo,
e nulla più. Senonché quel misterioso complesso di leggi, o accidentali o necessarie e
predeterminate, regolatrici della vita di tutti gli esseri sul nostro pianeta, volle che l'erompere dei
guerrieri d'Arabia coincidesse con una profonda crisi morale delle nazioni asiatiche e semitiche
sottoposte contemporaneamente al dominio della razza ariana, affermatasi con le istituzioni
politiche di Roma e con il Cristianesimo ellenizzato di Bisanzio. Tutto l'Oriente era allora in
sorda, implacabile rivolta contro la dominazione bizantina ed agognava una liberazione non solo
politica, ma anche morale e religiosa.
Questa corrente di sentimenti e di idee separatiste non era di recente data, non era creata dal
dominio romano-cristiano-bizantino, ma si può dire esistesse da tempo immemorabile, sebbene
in forma latente ed inconsapevole. Era la manifestazione di quell'antichissimo, indistruggibile,
contrasto morale, quell'istintivo conflitto spirituale che ha sempre reso impossibile ogni unione
durevole di sentimenti fra i popoli dell'Asia e quelli dell'Europa. La scissione è sempre esistita,
ed è di antichissima data, sebbene talvolta non fosse acuta e palese. Le vicende storiche la
posero per la prima volta in evidenza ai tempi delle guerre tra i Greci ed i Persiani nel V secolo
avanti l'èra volgare, l'accesero vieppiù con le conquiste di Alessandro Magno nel IV secolo e
con il dominio dei Seleucidi, i quali tentarono la vana impresa di fondere l'Oriente con
l'Occidente. Si venne poi gradualmente maturando durante l'apogeo e la decadenza del
predominio ellenistico in Asia Anteriore: perciò non rimase circoscritta al solo mondo semitico,
ma si estese a tutto l'Oriente. Fu la forza morale propulsatrice che portò alla caduta dei
Seleucidi in Asia; fu il sentimento più vivo che animasse il grande Mitridate nelle sue guerre
spietate contro Roma: al suo odio per l'Occidente devesi l'eccidio tremendo dei 150.000 inermi
italiani nelle città dell'Asia Minore l'anno 88 avanti l'èra volgare. Lo stesso odio antieuropeo
assisté i Parti a combattere la potenza di Roma, e in India fece sorgere le dinastie nazionali
contro i successori di Alessandro e prese forma religiosa nel Buddismo; il quale, pur subendo le
influenze artistiche della Grecia, espulse l'Ellenismo dalle valli dell'Indo e del Gange. Crescendo
di forza e di intensità il movimento anti-ellenistico cooperò al continuo regresso della cultura e
dell'influenza europea in Asia Centrale, nel III secolo dopo l'èra volgare innalzò al potere la
dinastia nazionale persiana dei Sassanidi, ed abbatté la potestà degli Arsacidi, perchè imbevuti
anche essi di ellenismo. La stessa irresistibile corrente reazionaria di orientalismo cooperò
infine alla restaurazione della religione nazionale dell'Iran, il Mazdeismo. Per effetto della
cresciuta intensità dell'avversione antieuropea, Roma non poté mai imitare l'esempio di
Alessandro Magno, e nemmeno estendere durevolmente i suoi confini al di là dell'Eufrate, dove
le popolazioni, già accese di sentimenti contrari all'Occidente, rimasero sempre più
tenacemente avverse alla cultura ellenistica.
La propaganda nestoriana che portò il verbo cristiano sino nel cuore dell'Asia e della Cina
rappresenta anch'essa un'aspirazione religiosa e un desiderio di elevazione spirituale,
indipendente e persino ostile a Bisanzio e a Roma, ma il simbolo nestoriano ebbe vita effimera,
perchè non sufficientemente orientale e scomparve come una nube innanzi alla tormenta
islamica. Tale ardente e millenario nazionalismo orientale fu dunque moto generale non ispirato
o diretto da alcuno, ma di genesi contemporanea inconscia in tutta quella parte d'Asia, dove le
influenze europee si erano fatte sentire. Certi fenomeni nella storia per i loro caratteri di
contemporaneità e di somiglianza nelle più diverse parti della terra, rivelano l'esistenza di leggi
generali della psicologia umana, a cui tutti obbediamo ciecamente, e di cui avemmo sinora solo
un vago barlume. La reazione anti-europea dell'Asia è uno di questi fenomeni, uno dei pochi
che ci è dato più facilmente di studiare e comprendere. Il corso però di questo vitale contrasto
tra le due parti del mondo civile fu complicato dalla comparsa del Cristianesimo, che costituì una
delle maggiori innovazioni e rivoluzioni della storia umana. Occorre fermarci un momento ad
esaminare il fenomeno. Quando circa sette secoli prima dell'Islam sorse la grande religione
asiatica, destinata al dominio del mondo, il Cristianesimo di Gesù e di Paolo, le condizioni
morali delle società civili erano diventate del tutto eccezionali, e mature per un rivolgimento
morale; il quale però si svolse in tal modo da generare un'inestricabile confusione delle
tendenze sociali fra loro in contrasto. La religione dei popoli occidentali al principio dell'era
cristiana non aveva seguìto il grande progresso morale, intellettuale e politico di tutto il mondo
ellenico e latino; il quale, tormentato nell'intima psiche da questo interno squilibrio, anelava ad
elevare il contenuto e la manifestazione esterna del suo sentimento religioso. Sovrattutto Roma
e l'Italia avevano in quell'età vivo bisogno di fervore religioso e di pietà mistica, sentimenti che
più non trovavano di che appagarsi negli antichi culti patrii, e nella religione ufficiale dello Stato
romano con il suo ritualismo positivo, secco ed interessato, religione troppo strettamente legata
alle piccole vicende della vita politica priva di ogni calore di sentimenti. L'Occidente, rispetto
all'Oriente, si trovava quindi in condizioni di manifesta inferiorità religiosa; i padroni del mondo
per virtù dei loro ordinamenti militari e politici, e per virtù di alte qualità morali, erano per
singolare intrinseca contradizione, in istato d'inferiorità religiosa rispetto ai sudditi orientali, ossia
precisamente a quelli che i marziali cittadini di Roma più disprezzavano. Gli occidentali,
obbedendo ad una fondamentale legge sociologica sentirono irresistibile il bisogno di elevare il
contenuto delle loro credenze religiose al livello della progredita civiltà. Al bisogno vivissimo
corrispose l'Oriente con esuberante larghezza, onde tutte le fedi asiatiche accorsero alla
conquista di Roma. Data la superiorità morale, l'intensità del sentimento che le animava, il
carattere commovente e drammatico delle varie tradizioni orientali, il trionfo delle fedi asiatiche
fu grande e rapido. La rivoluzione morale e religiosa, che poi ebbe nome Cristianesimo, era
inevitabile: fu evento fatale. A soddisfare il profondo bisogno morale, a colmare la lacuna dello
spirito tra le popolazioni occidentali, gareggiarono tra loro tutte le religioni del'Asia, fiammanti di
zelo spirituale, piene di passione intensa: l'Occidente fu inondato, sommerso dall'Oriente
religioso, il quale conquistò l'Europa per la vivacità e profondita di sentimenti che l'Occidente
ancora ignorava, ed in cui si tuffò con frenesia. Fu un momento nella storia di Roma, in cui
sembrò che si fosse avverata la unione di tutti i popoli civili d'Asia occidentale e d'Europa in una
fusione, o poltiglia, o amalgama che si voglia dire, di religioni e di credenze. Roma divenne una
vera Babele religiosa: non v'era culto esotico e bizzarro che non trovasse accoliti pronti ad ogni
stranezza e ad ogni sacrificio. Sul trono imperiale salirono uomini di tutte le razze e in
numero grande pure orientali, i quali protessero e favorirono quegli stessi culti orientali
che il vecchio Senato di Roma repubblicana aveva un tempo vietati e banditi infliggendo
persino la pena di morte. La fusione religiosa fu soltanto apparente, e l'apparenza anche di
breve durata, sebbene i culti orientali, e tra questi principalmente il Mitraismo persiano, si
diffondessero mercè le guarnigioni militari dalle rive del Danubio alle pianure soleggiate
dell'Andalusia ed alle inospiti contrade della Mauritania. Dalla fusione delle varie fedi orientali
tra di loro e dalla loro congiunzione intima con l'anima occidentale, ai cui bisogni
facilmente si adattarono, nacque il Cristianesimo così detto cattolico, ibrido e singolare
miscuglio di credenze e riti primitivi con altissime idealità religiose, e con sublimi insegnamenti
morali. Questa fede, ottenuta da Costantino la sanzione ufficiale, divenuta sovrana in
Occidente, e assunta veste e fisionomia spiccatamente europea, tornò trionfatrice in Oriente
dove volle dominare nel campo spirituale, quanto l'autorità imperiale già vi dominava nel campo
politico, economico ed amministrativo.
L'Oriente perciò si vide invaso ed oppresso con le sue stesse armi: sebbene il Cristianesimo
nella veste e nel contenuto, con cui dall'Occidente ritornò in Oriente, imbevuto di logica, di
filosofia, di sentimento e di diritto occidentale, non fosse più quella fede, di cui la psiche
orientale aveva bisogno, pure l'Oriente lo dovette subire. Ma non appena il Cristianesimo
divenne anche la religione ufficiale dell'impero - istituto essenzialmente occidentale per origine,
essenza e tradizioni - ricominciò, tra Oriente ed Occidente, sebbene velato ed inavverlito,
l'intimo screzio morale e spirituale, che nulla poteva mai sanare, perchè fondato su incancellabili
differenze di razza, di costumi, e di tradizioni.
Anche altre circostanze accidentali vennero ad acuire questo sentimento primordiale, istintivo,
che, pur variando d'intensità, ha sempre mantenuta netta ed insanabile la scissione morale fra il
mondo asiatico e quello europeo. La mano pesante di Roma, implacabile verso ogni velleità
politica entro i propri confini, aveva lasciato in Oriente, sovrattutto tra le razze semitiche
dell'Asia Anteriore un profondo lievito di odio contro l'Occidente, impersonato nell'autorità
imperiale di Roma. Ogni rivolta interna, ogni guerra civile fu causa di nuove, cocenti miserie e
aggiunse sempre maggiore intensità all'insanabile dissidio fra dominatori e soggetti.
Tanta perenne avversione del mondo semitico contro Roma ariana - che traluce ad es. dai Libri
Sibillini, dalla letteratura apocalittica e da mille altri documenti del tempo - aveva fatto, nel primo
periodo di lotte, il giuoco della propaganda orientale e cristiana, perchè l'odio contro Roma fu
confuso con l'odio al paganesimo ellenico e romano. Ma più tardi, quando il cristianesimo
sottentrò al culto ufficiale di Roma repubblicana ed imperiale, la Chiesa ortodossa, difesa dagli
imperatori, vide convergere contro di sé quella stessa animosità che fu già sua preziosa
ausiliaria nelle dure prove dei sanguinosi primordi.
Sorsero allora numerose, aspre, pugnaci, le dottrine dissidenti, sovrattutto in Africa: dottrine che
la Chiesa, suggestionata dall'unità politica dell'Impero romano a voler l'unità di fede nel genere
umano, combattè senza requie con la sua rigida, esosa ed avida gerarchia, chiamandole errori,
scismi ed eresie. L'uniformità non esiste nella natura e meno ancora nel mondo dei fenomeni
morali e sociali. Le così dette eresie erano in realtà, nella loro intima essenza, incoscienti,
istintivi moti sociali, ciechi sforzi della psiche orientale per emanciparsi dal giogo religioso e
sacerdotale della Chiesa ufficiale, per ricuperare, nel distaccarsi e distinguersi da questa, la sua
antica libertà di fede e le caratteristiche locali sì care al al sentimento primitivo, sempre
individualista. L'Occidente impersonato dalla Chiesa mirò a fare della religione una cosa unica
universale, un istituto che nella sua materiale costituzione rappresentasse l'unità monoteistica
da essa professata, e introducesse nel mondo il dominio quasi diretto di Dio sul modello
burocratico dell'impero romano. In questo modo il conflitto millenario tra Oriente ed Occidente
assunse nei primi secoli dell'era cristiana caratteri esclusivamente religiosi, i quali offuscarono
l'intelligenza dei contemporanei e nascosero la vera natura della lotta. Nelle così dette eresie
dei Siri, dei Copti, degli Armeni, degli Aramei sottomessi alla Persia, dei Nestoriani e di
altri gruppi minori, non era tanto una convinzione profonda in una verità diversa da
quella ortodossa, quanto una necessità psicologica, incosciente, irresistibile a pensare e
credere diversamente dagli ortoodossi e in modo più asiatico. Messa in questi termini la
lotta divenne sterile, insanabile e senza concepibile via d'uscita. Seguirono quattro secoli, dal III
al VII di intenso strazio morale, per cui le popolazioni dell'Asia, esasperate, nauseate, avvilite,
caddero in uno stato di acuta irrequietezza morale, ossia in quello stato psicologico più propizio
a fecondare i semi delle grandi rivoluzioni.
Dopo il trionfo del Cristianesimo, al dominio diretto di Roma seguì quello di Bisanzio che fu però
l'erede politico di Roma imperiale e mantenne, con ordinamenti romani, l'egemonia della razza e
della coltura ariana-europea in Asia: Bisanzio fondendo in sé le civiltà di Roma e di Grecia,
continuò, con pertinacia che arrivava sino alla crudelà delle persecuzioni, il lavorio di
europeizzare le nazioni asiatiche, tra le quali in prima linea tutte le nazionalità semitiche, i Siri,
gli Aramei e gli Arabi che popolavano l'Asia Anteriore, nonchè le altre nazionalità più eterogenee
dell'Egitto e dell'Africa settentrionale.
L'Oriente, talvolta anche inconsapevolmente, ha sempre veduto un pericolo per la sua
individualità spirituale nell'influenza diretta della civiltà occidentale, sia ellenistica, sia
romano-bizantina, sia europeo-moderna con le sue tendenze commerciali, pratiche, dominatrici
e razionaliste. La nostra civiltà dissolve come un acido la compagine morale degli Asiatici, ha
azione precipuamente livellatrice ed uguagliatrice, e tendenze laiche e razionaliste, i caratteri
cioè che l'Oriente appunto più aborre e teme, perchè un infallibile istinto intuitivo gli fa
intravedere in essi la propria morte morale. Quindi, per spontaneo moto di conservazione,
l'Oriente pur assorbendo inconsapevolmente dalla cultura ellenica ed occidentale non pochi
elementi utili al suo sviluppo, e confacenti allo spirito, alle aspirazioni e alle tradizioni dell'Asia,
non volle, non potè mai sottostare al dominio occidentale, sovrattutto quando questo pretese
essere anche morale e religioso.
Patria e razza sono concetti estranei alla mente orientale: nella quale invece predomina
in tal misura il senso religioso, che in Oriente la religione racchiude tutta intera la vita
sociale, politica, giuridica, letteraria ed artistica delle popolazioni. La psiche occidentale è
invece ingenitamente sospinta a differenziare entro il campo religioso quello che può esistere e
durare senza essere necessariante religioso. V'è cioè la tendenza a laicizzare: quella tendenza
che ha portato alla creazione del diritto razionalista romano ed è la forza procreatrice dello
spirito scientifico, positivista delle razze occidentali. Una Chiesa come quella di Roma con
grandiosa gerarchia, con pretese al dominio mondiale e politico, non è, in realtà, che una
laicizzazione, in forma cooperativa ed organica, di quanto per l'orientale deve rimanere nel
campo del puro sentimento e conservare caratteri puramente individualistici. Il dissidio quindi è
di sua essenza perenne, senza rimedio e senza possibilità di conciliazione, Ciò spiega come
durante i lugubri secoli del Basso Impero l'opposizione dei Semiti, degli Asiatici e degli Africani
al governo di Bisanzio si svolgesse soprattutto nel campo religioso, e rivolto contro il
Cristianesimo ortodosso, quale era uscito dalla mente e dai sentimenti di generazioni di teologi
filosofeggianti, imbevuti di ellenismo decadente. Le inestricabili difficoltà e sottigliezze
dogmatiche e teologiche, di cui si compiaceva lo spirito ellenistico, sempre essenzialmente
razionalista, ed in cui si erano smarrite le menti direttive del pensiero cristiano, avevano
perturbato la coscienza religiosa orientale, per sua natura semplicista, più primitiva, ma più
intensamente passionale e perciò spesso anche cieca ed illogica.
In Siria, in Palestina ed in Egitto si svolse dunque dal III al VII secolo quella triste, monotona,
serie di sterili lotte religiose tra sudditi orientali ed impero occidentale, che fu un perpetuo ed
inutile strazio; conflitto sterile in cui l'Oriente privo di ogni unità morale e di ogni chiara coscienza
dei suoi veri bisogni spirituali, privo altresì di ogni mezzo per raggiungere almeno la sua libertà
morale, non potè mai liberarsi dal giogo opprimente della gerarchia chiesastica di Bisanzio.
Dall'altra parte non potè e non volle mutare natura, animo e sentimenti, nè sottostare alle
velleità di perfetta uniformità religiosa che Chiesa ed Imperatori ebbero la folle illusione di voler
imporre ai sudditi asiatici ed africani. Le caratteristiche psicologiche di una popolazione sono
difficili a mutare quanto il colore della pelle e dei capelli e la conformazione del cranio. Quindi
tutte le misure prese dagli Imperatori riuscirono vane: fallirono nel tentativo così caparbiamente
ripetuto di spegnere le aspirazioni separatiste in materia religiosa tra i sudditi orientali; nè fu
possibile plasmare con decreti imperiali e sentenze di concili ecumenici la psiche degli orientali
entro le forme ortodosse volute dal sommo sacerdozio cristiano ed ufficiale. Per lunghi anni, e
secoli ancor più lunghi e penosi, si venne accumulando in Oriente una forza immensa di
concentrata esasperazione anti-bizantina ed anti-occidentale, la quale, sebbene ancora
incapace di prendere forma ed unità d'indirizzo, non per questo cessò di creare alfine una
scissione morale assai pericolosa per la quiete sociale e per l'unità politica dello stato bizantino.
Dal contrasto sempre più aspro di tali e tante forze sociali, s'era prodotto, nel VII secolo, uno
squilibrio interno della società civile, analogo a quello avveratosi al principio dell'èra cristiana. Il
mondo romano-bizantino cadde in pieno sfacelo e tutti ne erano consapevoli. L'Oriente si sentì
travolto nella ruina generale di Stato e di Chiesa, ed ebbe la coscienza di una intrinseca
inferiorità morale, che lo condannava a perire anche prima dell'Occidente. Gli occorreva quindi
un simbolo, una cosa indefinibile a parole, magari un'illusione che gli permettesse di salvarsi
dall'incubo, e di ritenersi del tutto libero, separato, distinto - e nel distinguersi l'umano
sentimento pone sempre il senso di superiorità - dal mondo e dalla coscienza occidentale.
Nel periodo che corre dal IV al VII secolo dell'èra volgare, ossia alla vigilia dell'erompere
dell'Islamismo, la parte dell'Oriente più vicina al mare Mediterraneo era quella in cui il contrasto
psicologico fra le due civiltà aveva assunto caratteri più acuti, riducendo l'Asia Anteriore in un
certo modo al campo di battaglia fra le due tendenze. Questa parte perciò del continente
asiatico era diventata più di ogni altra matura e pronta per un grande rivolgimento spirituale e
politico: in essa lo stato d'animo delle popolazioni era ridotto a materia infiammabile, pronta ad
accendersi non appena avesse trovato quella data scintilla necessaria alla sua ormai anelata
combustione, a quella intima reazione, cioè, a cui inconsapevolmente, ma intensamente
tendeva per la propria salvezza. Della sua intensa aspettazione fu l'impeto espansionista sì
brutalmente violento delle conquiste musulmane. Sul campo travagliato dalla psiche asiatica,
fecondata da indicibili sofferenze e da irreducibili rancori, inconsciamente anti-occidentali ed
anti-ariani, venne alfine a cadere il seme rozzo sì, ma schietto e semplicista della dottrina
predicata dal Profeta d'Arabia.
Al moto evolutivo del sentimento asiatico venne, del tutto fortuitamente, a dare unità e direzione
l'appello del Predicatore meccano. Non fu già che egli annunziasse alcunchè di nuovo, perchè
le sue idee religiose erano un imperfetto rimpasto di concetti giudaici e cristiani, rinvigoriti, per la
psiche orientale, da un ritorno alle più genuine caratteristiche delle antichissime fedi dell'Asia.
Maometto ebbe, senza saperlo, il solo merito di sfrondare, semplificare ed irrobustire una fede
che, nella dogmatica cristiana, per le tendenze razionalistiche e filosofiche dell'Occidente, erasi
perduta in una nebbia di sottigliezze teologiche e di sofismi astrusi, spogli di realtà materiale e di
calore religioso, mentre l'anima asiatica, e soprattutto quella semitica aspirava a comunicare
direttamente con Dio, libera da ciarpami ed imposizioni occidentali, e indipendente da monopoli
e tirannie sacerdotali. L'Islam diede novella vita e vigore a tutto l'individualismo religioso
dell'Oriente ribelle all'asservimento chiesastico di Bisanzio e di Roma, ancor più rigido e duro di
quello civile e militare dell'impero.
Ovunque la fede religiosa è veramente sentita, la tendenza a voler entrare in comunione diretta
con Dio senza frapposizione d'intermediari è irresistibile. La Chiesa cristiana nel divenire fede
ufficiale dell'impero si trasformò in un grande congegno amministrativo; usando un bruttissimo
termine moderno, potremmo dire che si burocratizzò, come l'amministrazione dell'esercito e del
fisco, vale a dire assunse quei caratteri che all'orientale sono in religione più odiosi; l'abolizione
di ogni forma di sacerdozio fu uno dei meriti maggiori dell'Islam, e una delle ragioni della sua
straordinaria fortuna. L'Oriente non cercava una nuova fede; non ne aveva bisogno. Anche
il Cristianesimo era stato poco più di un nome nuovo con cui si era riverniciata
l'antichissima, indistruggibile eredità pagana.
Il bisogno vero era di riacquistare la libertà religiosa, e di distaccarsi da Bisanzio, dal suo clero e
da tutto l'Occidente. Ambedue queste liberazioni furono largamente fornite dall'Islam, il quale
sebbene modificasse alcune parvenze, alcuni riti, alcune forme esteriori di culto, e desse ad
ogni cosa un nome nuovo, significò sovrattutto emancipazione completa assoluta
dall'Occidente, e lasciò intatta l'essenza stessa delle credenze e delle superstizioni, che sono
l'anima della coscienza orientale nel suo tendere confuso vlerso il bene morale e materiale
quale essa lo intende. Ne seguì perciò una prima imprevista trasformazione del movimento
islamico: la dottrina novella voluta dal suo ideatore per il bene della sola regione nativa e dei
suoi consanguinei, per effetto delle conquiste nella penisola e fuori, divenne nella prima fase il
simbolo morale dell'unità politica, morale e nazionale, e della superiorità degli Arabi sulle altre
nazioni della terra. Ma poi, con singolare celerità, seguì la seconda e assai più importante
trasformazione, quella cioè che doveva dare all'Islam i caratteri di funzione storica di mondiale
importanza nell'evoluzione dell'umanità. Gli Arabi infatti foggiarono il novello impero sul concelto
fallace che essi sarebbero rimasti sempre i soli padroni e i soli musulmani: tutto il resto del
mondo doveva rimanere perpetuamente nella condizione di soggetti e infedeli, la cui sola
ragione di vivere sarebbe stata di porgere ai vincitori e padroni un continuo e copioso cespite di
ricchezza. All'infuori degli Arabi nessuno era musulmano, perché in principio arabi e musulmani
erano sinonimi: i musulmani, secondo i Califfi, dovevano vivere interamente a spese del mondo
non-musulmano. Gli uni dovevano godere di tutti i vantaggi e di tutto il potere; gli altri dovevano
sobbarcarsi a tutti gli oneri ed a tutti i gravami. A tale sistema sociale i primi Califfi credettero
aver dato permanente assetto.
Mai si ebbe in un popolo più ingenua e più fallace illusione. Gli Arabi, pur tanto geniali, arditi
guerrieri ed intelligenti, erano uomini incolti, rapaci, sensuali e violenti; poco o nulla sapevano o
si curavano dell'Islam, dei quali erano paladini solo in quanto esso era un moto nazionalista ed
un'arma di governo. Gelosi della propria egemonia politica e dei vantaggi materiali che da essa
derivavano, accecati inoltre da uno smodato orgoglio nazionale, ignorarono del tutto l'evoluzione
morale dei sudditi, indegni delle cure e del pensiero della razza dominante. Di tanto disprezzo e
di tanta indifferenza, i vinti approfittarono per prendersi la più trionfante delle rivincite sui
dominatori, scegliendo una via così inaspettata, che gli Arabi, sebbene vivamente contrariati,
non seppero opporre alcuna seria resistenza e si lasciarono quasi vilmente sopraffare e
sommergere. In realtà non ne compresero affatto la portata e il significato, e furono perduti
quasi prima che essi sapessero il loro dominio in pericolo. Avvenne cioè quello che nessuno si
aspettava. Se i cristiani Orientali, Siri, Aramei, Copti e Africani, avevano lottato tenacemente per
secoli contro i Bizantini, la Chiesa romana ed ortodossa e il Mazdeismo dualista dei re Persiani,
apparentemente perché volevano rimanere fedeli ad un profondo convincimento religioso, era
logico arguire che le stesse popolazioni avrebbero resistito con pari tenacia e costanza anche
alla nuova fede venuta d'Arabia, per di più ispirata a sensi ostilissimi verso le concezioni
fondamentali del Cristianesimo (Trinità, Incarnazione Figliolanza di Dio, ecc.). Invece avvenne
tutto il contrario; la resistenza infrangibile rispetto agli occidentali Bizantini ed agli Ariani
sassanidi, si liquefece senza contrasti dinanzi alla fede islamica; le popolazioni soggiogate dai
Califfi di Medina e di Damasco, abbagliate dagli stupendi trionfi delle milizie arabe,
inconsciamente sedotte dallo spirito islamico combattente nel nome dell'Oriente contro tutto
l'Occidente, si appropriarono la religione, la lingua ed i costumi dei loro padroni. Più accorti di
questi, intuirono nell'Islam un mezzo per equipararsi ai dominatori e godere dei medesimi loro
vantaggi. Sentirono confusamente, nel nuovo ordinamento sociale venuto dal deserto arabico,
l'epressione di un sentimento politico e religioso più schiettamente orientale e conforme in tutto
al loro spirito. Infine ebbero, quasi istintivamente, la coscienza che l'Islam, per il suo carattere di
guerra senza tregua all'Occidente cristiano, significava riscossa contro i dogmi incomprensibili,
contro la tirannia della gerarchia chiesastica, contro l'oppressione di ordini monastici parassitari,
contro tutto ciò che all'Oriente sembrava odioso nell'imperio ellenistico-ariano.
Con l'Islam l'Oriente tornava ad essere Oriente vero, libero ed indipendente dalla tirannia
dell'Occidente; nell'Islam trovò il suo riscatto e la sua salvezza. Così, quasi a dispetto degli
Arabi stessi, l'Islam diveniva l'istrumento con cui l'Oriente, ossia i popoli dell'Asia e dell'Africa
sottomessi dai primi Califfi, ritrovarono la morale e la emancipazione dal giogo d'una civiltà e di
una religione, in cui stavano a disagio; onde, divenuti nuovamente e completamente orientali,
tornavano ora a sentirsi gli eguali, anzi vittoriosamente superiori, al millenare nemico l'ariano
occidentale.
La comunanza di razza, di sentimenti, di tradizioni e la affinità di lingua favorirono la
trasformazione dell'Oriente in senso islamico in modo così intenso e rapido che gli Arabi stessi
non ebbero nemmeno il tempo di intenderne la natura ed i pericoli. I sudditi, in meno di un
secolo, si fusero con i loro padroni, e dopo un mezzo secolo divennero essi i padroni
nell'impero arabo. I Semiti cristiani trovarono nella dottrina pur primitiva, imperfetta e persino in
sè illogica e contradditoria, ma dogmaticamente semplice e chiara dell'Islam, una fede più
consona alla loro psiche religiosa e nonostante i contrasti, sovrattutto fiscali e politici che furono
opposti dal governo musulmano, essi si diedero in braccio alla nuova fede, abbandonando
spontaneamente, con un senso quasi di sollievo, le perturbanti, annebbianti sottigliezze della
dogmatica cristiana.
Con queste parole non intendiamo già di formulare un giudizio comparatlvo, ma constatiamo
unicamente un fatto. Ogni giudizio sul valore relativo delle religioni umane è
intrinsecamente errato oltre ad essere odioso ed ingiusto. Ogni popolo pone nella propria
religione tutta l'anima sua, e se la foggia come meglio gli conviene e gli piace. I Cristiani
d'Oriente si diedero in braccio all'Islam, perchè questo meglio intendevano, che non il
Cristianesimo, perchè l'Islam era più orientale e meglio rispondeva alle esigenze della loro
coscienza. La conversione fu un moto libero, naturale, superiore ad ogni volontà individuale e
ad ogni meditato calcolo; vero istintivo moto sociale, per cui assunse sin dai primi tempi
carattere quasi precipitoso, raggiunse proporzioni impreviste e produsse incalcolabili
conseguenze. Siccome l'Islam sorse condannando gli Ebrei di miscredenza, e negando i dogmi
fondamentali cristiani, la divinità di Gesù, la Trinità e via discorrendo, la stessa ragion d'essere
della nuova fede fu appunto combattere l'Occidente e la sua religione. A tutte le fedi asiatiche
preesistenti mancava esplicitamente tale caratteristica di diretto e polemico contrasto che era
invece elemento essenziale dell'Islam. Questo perciò fu causa che tra Oriente ed Occidente si
aprisse ora un abisso morale, prima non mai esistito, fissando cioè tra questo e quello in
perpetuo, anche nelle parvenze esteriori, quel contrasto e quell'incompatibilità essenziale che
prima era solo confusamente avvertita, e che forse non sarà mai più possibile di cancellare.
Per la popolazione travagliata dell'Asia Anteriore intensamente religiosa la nuova dottrina non
servì già per carpire in maggior copia le ricchezze della terra e le gioie della vita, ma fu accolta
perchè sembrò porgere allo spirito, alla grande tendenza anti-ariana, anti-europea, quello sfogo
diretto, quell'unità d'indirizzo che prima faceva difetto ed a cui l'Asia inconsciamente anelava.
Gli Asiatici divennero sinceramente, ardentemente musulmani, assai più che non gli
Arabi stessi, rimasti nell'animo pagani e gaudenti, e i milioni di nuovi proseliti trasportarono
nell'Islam tutto ciò che all'Oriente è più caro; in odio al vecchio nemico, infusero nella nuova
fede quello stesso fanatismo che avevano assorbito dalle dottrine dell'antica fede, fanatismo
soprattutto anti-cristiano ed anti-europeo, che purtroppo ha distinto la storia dell'Islam nelle sue
lunghe e sì spesso sanguinose vicende. In altre parole l'Islam, non per volontà del suo Profeta,
e contro la volontà e gl'interessi dei suoi primi seguaci, per modi e per ragioni da tutti
impreveduti ed ignorati, divenne l'espressione tangibile, l'istrumento potentissimo della grande
rivolta o reazione anti-europea nella coscienza asiatica; la quale pose nell'Islam quanto le era
più proprio e più caro, e quanto perciò doveva più nettamente scinderla dall'Occidente.
Per effetto di tal graduale evoluzione l'Islam fu nel passato e sarà sempre per l'avvenire
l'inevitabile avversario della civiltà occidentale; tale fu la prima ragione d'essere, di tale spirito fu
profondamente imbevuto dai popoli asiatici, e tale sarà il suo destino, la sua naturale missione
per un avvenire incalcolabilmente lungo e lontano. Nel civile mondo europeo Cattolicesimo e
Protestantesimo, un dì sì fieri nemici hanno potuto alfine ai nostri giorni posare le armi, onde i
popoli occidentali dedicano ad altre più nobili battaglie le immense energie di cui dispongono.
Nella nostra civiltà, sì essenzialmente nazionalista e così disposta a laicizzare ogni cosa, la
religione ha cessato nell'ora presente d'essere la preoccupazione principale degli
uomini; molti vivono ed operano anche senza darsi pensiero delle religioni. In Oriente
questo è inconcepibile, è impossibile, perché la religione per gli orientali abbraccia e
compendia tutta la loro vita, perché nel vivo senso di fedeltà alla fede professata la società
musulmana sente istintivamente il suo solo sicuro sostegno morale, la maggiore forza di
coesione e di solidarietà sociale. La sola fede possibile per molte e molte future generazioni dei
popoli dell'Asia e dell'Africa è quella islamica, la quale consolida e consacra, quasi in forma
perpetua, il grande divivorzio tra le due più celebri famiglie umane. L'Islam per le ragioni della
sua genesi e per le funzioni storiche della sua lunga evoluzione è destinato dunque a rimanere,
finché avrà vita, la barriera per lungo tempo infrangibile, lo scudo di difesa che l'Oriente opporrà
sempre all'avanzare aggressivo della nostra cultura.
Se esso perciò in origine servì a riscattare politicamente e religiosamente una parte oppressa
del genere umano, assunse in breve, e con il correre dei secoli sempre più, le funzioni di
conservazione e di difesa della psiche orientale contro il suo dissolvimento, contro la sua morte
morale in grembo alla civiltà europea.
Come l'uomo, per legge naturale, ha vivo il senso e il bisogno della propria conservazione,
come ugualmente potenti ed efficaci sono in ogni specie animale le forze che tendono a
conservare le caratteristiche distintive in armonia con tutto ciò che circonda gli esseri viventi,
così pure, per virtù inconscia, tutte le varie specie umane hanno insito in loro il bisogno di
mantenere anche nel campo morale e spirituale ciò che le distingue dalle altre.
La storia insegna che razze, nel senso voluto anticamente, non esistono, perchè nessuna stirpe
umana è rimasta pura da connubi con altre famiglie. Tutti i popoli sono l'ultimo risultato d'un
numero incalcolabile d'incroci e di mescolanze, ripetute senza interruzione nella millenaria
nostra evoluzione, D'altra parte il clima, la configurazione geografica, le consuetudini, le
tradizioni, le necessità della lotta per la vita che paiono radicate nel suolo delle varie terre
abitate e sono sempre diverse in ognuna, si impongono a chi vi dimora e, qualunque essa sia,
la razza immigrante cade sotto la naturale disciplina locale: nessuno si può sottrarre ad essa, e
come l'acqua leviga e pulisce anche il duro granito, così pur le misteriose innumerevoli forze
naturali, fisse nei luoghi, tendono a riprodurre sempre un tipo solo, che noi chiamiamo razza,
ma che è sovrattutto la risultanza di un processo di adattamento fisiologico all'azione di tutte le
forze locali.
Questo stato fisiologico si fonde, con l'evoluzione della civiltà, in un insieme indissolubile con
tutte le manifestazioni morali dell'uomo, lingua, costumi, arte, religione e via discorrendo. Via via
che la cultura progredisce, aumentati e ripetuti contatti con altre varietà del genere umano, le
varie stirpi locali divengono sempre più gelose di rimanere distinte dalle altre e più che mai
tendono a conservare le divergenze etniche, quali ragioni essenziali di vita. E' la natura che
vuole conservare il risultato prezioso di millenari adattamenti.
L'Europa moderna ne è una prova lampante; la avanzata civiltà, pur mettendo fine a tante
guerre, ha demolito le utopie unitarie del Medioevo il quale mirava a una sola fede e ad un solo
imperio, ha acuito in tutte le nazioni la coscienza delle loro diversità, ed ha dato vita alle correnti
nazionaliste, infiammando le passioni e gli ideali dell'irredentismo, del pangermanismo, del
panslavismo e delle altre nazionalità europee: le complicazioni interne dell'Impero
Austro-ungarico e quelle internazionali dei Balcani e dell'Asia Minore sono sì note, che non
hanno bisogno di lunghi commenti.
Tali energie di conservazione, che noi avvertiamo persino nel nostro paese, non solo nel
nascente partito nazionalista, ma sovrattutto nelle gelosie e recriminazioni regionali e locali,
sono quelle correnti naturali di sentimento insieme con cui le tendenze ataviche di
conservazione della specie lottano istintivamente contro l'internazionalismo o il cosmopolitismo
della nostra civiltà bancaria, proletaria, industriale e scientifica.
Il progresso della cultura affina ed accentua il senso della propria individualità, distinta
da quella degli altri. Tale senso più fine, proprio dell'individuo, diviene fenomeno sociale con la
diffusione dell'istruzione, e coopera a quel processo evolutivo generale di sempre maggiore
differenziazione di attività e di divisione del lavoro, sia intellettuale che materiale, che è legge
universale del cosmos. La quale va riconosciuta nello sviluppo delle industrie, dei
commerci e delle varie attività umane individuali e sociali, e traluce sorprendente nei
meravigliosi congegni anatomici con cui gli organismi viventi si sono adattati alla infinita
varietà delle condizioni della vita.
Nell'Europa del XX secolo, continente moderno per eccellenza, le passioni particolariste - per la
decrescente fede religiosa, per la diminuita tendenza chiesiastica dello spirito e per la nascita di
altri grandi interessi sociali ed economici - hanno assunto un carattere principalmente politico ed
economico e, in generale, pacifico. Nei tempi più remoti e d'inferiore cultura, il moto prese
sempre forme o veste religiosa e caratteri violenti ed aggressivi. In Asia, quando viveva
Maometto, la ragione politica era sconosciuta: dominava soltanto la ragione religiosa. Una
religione, il Cristianesimo, era l'arma di penetrazione occidentale, era il coefficiente sfibrante
dell'orientalismo: solo un'altra religione poteva combatterlo. E questa religione poté essere
soltanto l'Islam; il quale alla sua origine orientale pura aggiungeva lo splendore abbagliante,
affascinante, del più grande trionfo militare e politico che la storia dell'Asia mai ricordasse.
Nella multipla e torbida coscienza delle masse ignoranti, acefale, brute dell'umanità, nel corso di
generazioni e di secoli si viene, a lunghi periodi, formando una specie di costante equilibrio
sentimentale, la cui esistenza è dapprima solo confusamente, inconsapevolmente avvertita.
Privo di un modo di esprimersi, o di una forma per sprigionarsi, lo squilibrio tra i fatti ed i
sentimenti, tra realtà e aspirazioni, rimane a lungo ignorato o mal compreso: continua causa di
disagio senza appparente rimedio. Viene poi o un uomo, o una classe, o una nazione, che,
senza avvertirlo, dopo mille e mille mosse fallite di ignoti predecessori, coglie nel segno, trova la
formula sospirata: allora scatta la scintilla fatale e seguono i cataclismi. Per l'improvvisa rottura
dell'equilibrio, le forze potenzialmente raccolte, ma inerti, si tramutano in energie agenti, che si
liberano, non di rado, con violenza catastrofica. Così Paolo diede espressione ed impulso al
Cristianesimo universale, così Lutero alla Riforma, così la piccola borghesia francese del XVIII
secolo abbagliò l'Europa con la grande Rivoluzione, così l'Italia del XX secolo ha voluto la
conquista della Tripolitania, e così anche undici secoli prima gli Arabi uniti da Maometto
riscattarono l'Oriente dal dominio europeo.
Ponendo il fenomeno islamico nella luce speciale di necessario istrumento di differenziazione, di
conservazione e difesa dell'Oriente contro l'Occidente, sorge spontanea la domanda: tale
funzione è permanente? V'è modo o ragione di prevedere che la cultura europea possa
trasformare ed elevare l'Oriente? O dobbiamo noi in perpetuo avere dinanzi la muraglia di
bronzo di una fede e di una civiltà irriducibile e per sempre inadattabile alla nostra? Pur
rinunziando ad ogni tentativo di leggere nell'avvenire, è obbligo nostro rispondere che gli
indizi presenti sono ben contrari alla sognata fusione. Anzi, se fallì del tutto quello che poté
sembrare possibile ai Seleucidi, quando il mondo era tutto pagano con molti tratti comuni ora
scomparsi e quando da ambo le parti si tentò una tal fusione, oggi essa è più che mai difficile,
perche, il processo evolutivo della storia ha creato una sempre maggiore differenziazione
morale tra Oriente e Occidente. Così è avvenuto che da una parte abbiamo 260 milioni di
uomini devoti ad una fede primitiva sorta in opposizione voluta all'Occidente e dall'altra
abbiamo la civiltà europea che ha compiuto vertiginoso progresso, appunto in senso laico e
razionalista, ossia in quello più contrario all'animo orientale. Ogni intimo accordo è dunque per
ora impossibile, e dai fatti osservati sembra che tale debba rimanere anche in avvenire.
Oggi in Oriente si matura una crisi non dissimile molto da quella che preparò il trionfo dell'Islam,
e certo più acuta e più vasta di quella che già nel passato a noi più vicino, per reazioni a grandi
movimenti ostili del mondo Cristiano e dell'Europa in generale, produsse, nel secolo XII, XVI e
XIX, un risveglio ed esaltamento della coscienza orientale, specialmente islamica. I popoli
asiatici, umiliati dalla potenza irresistibile degli Stati Europei, continuamente offesi dalle nostre
energie dominatrici e prepotenze, dalla sprezzante indifferenza con cui trattiamo la loro cultura
morale e religiosa, invidiosi della sterminata ricchezza che noi collettivamente possediamo,
vanno accumulando un fondo immenso di odio, un'insaziabile brama di rivincita, che è grave
minaccia di future bufere politiche. E i sintomi abbondano: ci sono offerti dal nazionalismo dei
Giovani Turchi, degli Egiziani, dei Persiani e dagli Arabi; dal panislamismo o insieme di
tendenze unitarie che mirano cioè a fare di tutti i 260 milioni di musulmani un'unità politica come
sono un'unità religiosa; e, finalmente, dall'attività incredibilmente solerte e spesso benefica
e civilizzatrice, ma sempre intollerante e fanatica, delle innumerevoli confraternite o
ordini religiosi musulmani. Il moto anti-europeo s'è esteso anche oltre i confini dell'Islamismo,
in India tra gli Indù, e persino tra i Giapponesi ed i Cinesi. Tutti i moti insurrezionali nel Celeste
Impero da quello dei Boxers, in cui si distinsero i soldati musulmani di Tung-fu-hsiang nel 1900,
fino all'odierno repubblicano che ha rovesciato la dinastisa mancese, sono di origine e di
sentimento anti-europeo ed effetti diretti della nostra azione invadente.
Nel perpetuo flusso e riflusso tra l'Europa e l'Asia, oggi l'Europa per la sua cultura, i suoi capitali,
la sua influenza politica e morale, dovuta agli immensi mezzi anche militari di cui dispone,
s'interna da per tutto in Asia, vi introduce i suoi sistemi amministrativi ed educativi, le sue idee,
le sue merci, i suoi allettamenti corruttori, il suo industrialismo egoistico ed avido di lucri, le sue
malattie ed i suoi vizi: ogni giorno offende e conculca i sentimenti delle popolazioni, che vedono
tutte le loro più care caratteristiche intaccate dall'acido dissolvente della nostra cultura e
sentono per istintiva intuizione il pericolo di essere ridotte in umana poltiglia, tutta uniforme,
producente ricchezza per i più potenti al di là dei mari.
Ferrovie, alberghi, linee di navigazione, telefoni, telegrafi, scuole, strade, sistemi scientifici di
trasformazione agricola, uniformità di ordinamenti militari e marini, stabilimenti industriali,
accordi internazionali d'igiene sociale e soprattutto l'arma irresistibile del capitale e del
benessere economico minacciano di cancellare ogni caratteristica, ogni distinzione nazionale e
di porre sempre ed ovunque in disparte gli elementi religiosi. Persino la brutta anti-estetica
foggia di vestire europea tende a diventare universale.
La nostra civiltà in Oriente con il suo indirizzo positivista, razionale, dominato sovrattutto da
preoccupazioni economiche, ignorando di proposito tutte le questioni religiose, produce un
profondo dissenso morale con gravissime conseguenze sociali. Il crociato medievale venne in
Oriente per abbattere con la sua spada la fede di Maometto e ottenere il trionfo della fede
Cristiana. L'odierno crociato, sia commesso viaggiatore, sia speculatore di miniere, di
concessioni, di forniture militari o di aree fabbricabili, non si cura dell'Islam; lo ignora
quasi altrettanto quanto trascura la propria fede.
Al contatto di questo nuovo indirizzo materialista, gli orientali, sempre essenzialmente religiosi,
rimangono perturbati sin nel fondo dell'animo loro; si guardano bene dal rendersi cristiani,
perché è troppo ingenita e profonda la loro ripugnanza per il Cristianesimo europeo quale è
stato ridotto dalle condizioni morali del XX e rimangono più attaccati che mai alla propria fede
tradizionale. Ma se alcuni, ben pochi ancora, si adattano ad europeizzarsi, allora si svolge in
essi un fenomeno, socialmente fatale in Oriente, divengono o atei o areligiosi. La nostra cultura
poco o nulla crea di socialmente utile nella psiche orientale, sembra anzi renderla vuota di
contenuto morale: distrugge le ultime illusioni consolanti della fede avita e sembra sospingerla
verso l'anarchia; ha effetti analoghi a quelli che l'alcool, il tabacco e gli abusi venerei hanno sugli
organismi troppo giovani e ardenti. Ma un Oriente senza religione sarebbe come un Occidente
senza legge: sarebbe morto. Oggi istintivamente, intuendo il pericolo di annientamento morale,
l'Oriente cerca una via di salvezza: ma cieco, perplesso, diviso, povero ed ignorante, brancola
nel buio ed accumula errori su errori.
Nel XIl secolo l'Occidente opprimeva l'Oriente con una religione: la Chiesa ortodossa
gerarchicamente costituita. Allora l'Oriente cercò salvezza in un'altra religione e la trovò,
facendone una fede appunto con pochi dogmi, senza sacerdoti, senza gerarchie e senza ordini
monastici. All'Oriente sì religioso di sentimento, fu facile allora di emanciparsi, e cullarsi
nell'illusione di una superiorità assoluta, il possesso cioè della verità suprema per la grazia di
una speciale rivelazione.
Oggi le condizioni della lotta sono essenzialmente diverse: non è più lotta di religioni ma di
interessi economici e di principi sociali, vuoti di religione intesa nel modo antico: l'Oriente l'ha sì
bene compreso, che i moti nazionali delle popolazioni asiatiche, subendo istintivamente il
suggerimento della difesa dalla natura dell'arma nemica, hanno mire sovrattutto politiche ed
economiche. Noi abbiamo generato nell'animo loro il sentimento - giusto, in fondo - che la
nostra superiorità proviene dalla nostra ricchezza, dallo sviluppo dei commerci e dalla bontà
degli ordinamenti politici, e dei principi democratici. Negli animi loro è sorta la convinzione che
parlamenti e corpi elettorali siano la panacea di tutti i mali, la fonte di tutti i beni: in quelle vane
parole "libertà" e "costituzione" l'Oriente progressista ha riposto tutte le sue confuse, torbide
aspirazioni. Da ciò provengono i boicottaggi in Cina, in India ed in Turchia, ed i cosi detti moti
costituzionali nelle nazioni asiatiche.
Vogliono vincerci con le nostre stesse armi! Vana illusione!
Nei boicottaggi data la strapotenza economica delle razze europee, i perdenti finiscono sempre
con l'essere gli orientali, i quali comperano la stessa merce a maggior prezzo da qualche altro
intermediario. Nel campo politico la loro inferiorità risulta anche maggiore e più palese. Le aride
e sterili logomachie delle assemblee nazionali sono per l'Oriente soltanto focolari di odi, ragioni
di guerre civili e di eccidi. Il parlamento turco e il Maglìs persiano ce ne porgono la prova
lampante. Come è possibile legiferare con consessi elettivi in regime parlamentare a cui
prendono parte con eguali diritti musulmani e cristiani, là dove una "rivelazione divina" ha fissato
le basi del diritto tutte ad esclusivo vantaggio dei musulrmani? In Oriente, date le condizioni
morali delle popolazioni, la ragione religiosa deve predominare su tutte: oggi quanto mille e
trecento anni or sono. La funzione storica delle religioni asiatiche, tra le quali è in prima linea
l'Islam, vive oggi in quella stessa intensa vitalità con la quale, sebbene dilaniato da discordie
politiche, il mondo musulmano respinse vittoriosamente la grande minaccia delle Crociate nel XI
e nel XII secolo.
In Occidente le antiche religioni tradizionali hanno perduto assai più che non si creda il loro
dominio sugli animi; ma in Oriente l'Islam non solo mantiene ma estende ancora il suo imperio,
ed accumula in segreto riserve temibili di passione anti-europea, che un giorno, a tempi maturi,
dovranno venire alla luce, prendere forma e diventare forse anche azione collettiva di resistenza
e di conservazione. Non spetta a noi il sempre vano sogno umano di indagare e predire
anche vagamente come e quando, negli anni lontani, ritroveranno nell'Islam, o in qualche
suo germoglio novello, quell'unità di sentimenti e quella vigoria morale che è lor necessaria
per non perire nella nostra civiltà; per rimanere buoni orientali e non diventare cattivi europei.
Il movimento panislamico per quanto sinora debole, incerto, senza capi, e senza scopi chiari, ha
per lo storico ed il sociologo il pregio di essere il primo sintomo unitario della tendenza difensiva
della società orientale, la prima estrinsecazione moderna della grande legge di conservazione,
per cui nacque l'Islàm mondiale undici secoli or sono.
Per generare la crisi islamica del VII secolo occorsero circa mille anni di predominio ellenistico,
e tale lentezza fu dovuta al maggior torpore dell'umanità poco evoluta, e in parte ancora
barbarica. Il movimento panislamico moderno conta pochi decenni di vita, ma per quanto gli
eventi e le trasformazioni succedano oggi con rapidità affannosa, arrischiata sarebbe ogni
previsione circa il tempo che gli occorrerà per maturare e se avverrà mai che si trasformi in
moto collettivo di azione. Quando si riconosca la giustezza delle precedenti considerazioni e il
naturale diritto del mondo orientale a conservare le sue caratteristiche tradizionali ed a
progredire nei limiti e nei modi più consoni ai suoi sentimenti: allora apparirà chiaro ed evidente
quanto sia difficile e delicato il còmpito delle nazioni europee che hanno interessi diretti nel
mondo orientale, e che per alte ragioni umanitarie vogliono elevare le popolazioni a loro
soggette. Un sistema educativo laico mirante ad europeizzare gli orientali, come, per
esempio, gli Americani hanno tentato nelle isole Filippine, è sicuramente destinato a fallire ed
a produrre un'anarchia morale con danno precipuo per le nazioni soggette.
O sviluppare la loro cultura aiutando e fortificando le tradizioni, le tendenze e le forze educative
locali, e quindi favorire in tutti i modi anche la loro evoluzione religiosa; oppure lasciarli nelle
tenebre intellettuali in cui si trovano, perchè la loro rigenerazione avvenga per le ingenite forze
di ogni singolo popolo e senza artificiale accelerazione. In Oriente bisognerebbe bandire
tanto le missioni cristiane che avessero scopo diretto di conversione, quanto le scuole
laiche che ignorano e conculcano le fedi nazionali. Gli Asiatici debbono diventare buoni
orientali e non imitatori scimmieschi di una cultura che non possono assimilare.
Tra le forze morali e passionali che combattono in Oriente la cultura europea, l'Islam per la sua
interna vigoria e il suo spirito pugnace si erge come gigante: perchè sarebbe pazzia ogni idea di
abbatterlo, poiché esso è il prodotto della più intima necessità morale di centinaia di milioni di
coscienze umane, e poiché la sua funzione storica e sociale avrà ancora lunghissima vita, si
bandisca ogni concetto, o aperto o velato, di ostilità: si tenti almeno l'altra via, la sola razionale e
scientifica.
Si favorisca, si fortifichi il suo sviluppo, si dia libero gioco alle numerosi correnti evolutrici che
esso nasconde in seno, e che dovranno agire in senso conforme ai veri interessi delle nazioni
islamiche. Il più alto compito civile nostro sarà di dimostrare all'Oriente la possibilità che
la sua cultura fiorisca al lato della nostra in piena libertà e sicurezza, non scevra da parte
nostra di sinceri sensi di simpatia. Soltanto in questo modo la crisi, quando mai verrà potrà
svolgersi per vie pacifiche e legali, per il maggior bene collettivo di tutto il genere umano.
Noi europei non possiamo, non dobbiamo, volere la distruzione dell'Oriente:esso, per le
più sacre ragioni di umana giustizia, ha diritto ad una vita propria, ad un proprio sviluppo lungo
le tracce già segnate da una tradizione ancor più antica della nostra. Ciò è anche conforme alle
leggi biologiche e fisiologiche della vita, leggi così alte e complesse, che per noi si perdono nelle
nebbie del mistero, onde sarebbe vano ed imprudente di non volerci conformare ad esse.
Siccome esistono e sono più forti di noi, se le ignoreremo esse agiranno lo stesso, e a nostro
grande smacco e danno: cooperiamo quindi con esse, perché la loro azione non può essere
che per il bene, a beneficio del continuo illimitato progresso del genere umano.
Saremo lieti allora di salutare nelle popolazioni d'Oriente non più uomini condannati dalla
decrepitezza, ma sospinti ad una rissurrezione propria ed originale, manifestazione di forza e di
elevazione morale. In quel giorno auguriamoci che l'Italia, messa dalla natura sulla soglia
dell'Oriente, e legata ad esso da sì antiche e gloriose tradizioni, abbia saputo prendere il
posto che le compete e le spetta come forza feconda di pace, di ricchezza, di cultura e di
civiltà.

***

LEONE CAETANI, ORIENTALISTA E SIONISTA


di Claudio Mutti

Il principe Leone Caetani di Sermoneta (1869-1935) proveniva dalla medesima famiglia che
diede alla Chiesa Bonifacio VIII. Sulla scia paterna (Onorato Caetani fu sindaco di Roma e
deputato al parlamento), Leone Caetani occupò un seggio parlamentare dal 1909 al 1913.
Figlio non immemore del Risorgimento ne sentì fortemente le istanze laiche ed anticlericali: così
il Gabrieli (La storiografia arabo-islamica in Italia, Napoli 1975, p. 50) in un volumetto dedicato
appunto alla memoria di Leone Caetani). A redigere per l¹Enciclopedia Italiana la voce Caetani,
Leone fu invece Giorgio Levi della Vida, che ne lodò la copia dell'erudizione, l'acuta critica delle
fonti, la novità e genialità della costruzione storica. Levi della Vida era legato a Caetani da una
comune formazione culturale, caratterizzata, dice il Gabrieli, dalla tendenza prevalente alla fine
del secolo XIX, imbevuto di positivismo e di ottimistica fiducia nel progresso umano (op. cit., p.
50). Come il Levi, infatti, anche il Caetani fu un figlio dell'età positivistica (p. 56), sicché alla
canonica storia sacra delle origini dell'Islam, espressa dalla storiografia musulmana, egli oppose
un atteggiamento radicalmente scettico e razionalistico (ibidem). Risultato di ciò fu che il
Caetani, in singolare coincidenza di vedute col gesuita P. Lammens, fu un negatore
dell'autenticità della sira, cioè della biografia tradizionale del Profeta. Esplicito in tal senso
l¹encomio del Levi: Nega l¹autenticità della maggior parte della tradizione sulla prima parte della
vita di Maometto e svaluta l'efficacia dell¹elemento religioso nelle conquiste arabe, nelle quali
ravvisa un movimento spontaneo di migrazione (Enciclopedia Italiana, s. v. Caetani, Leone). Il
Caetani fu dunque un vero e proprio pioniere della storiografia di impronta materialista, poiché
dietro gli asseriti motivi spirituali tende sempre a vederne degli altri d'ordine materiale (Babrieli,
op. cit., p.58). Come ciò possa conciliarsi con il grado di grande iniziato attribuitogli da
qualcuno, ci piacerebbe proprio saperlo. In realtà hanno perfettamente ragione, a rivendicarlo
come uno dei loro, Levi della Vida e Gabrieli, poiché il Caetani, per usare ancora una volta le
parole del Gabrieli, fu un democratico dalla inconcussa fede liberale e parlamentare (op. cit., p.
61, n. 9). In più, fu un antesignano del filosionismo nostrano. Un manifesto formato 98x70 del
Comitato della pro-Israele (che non reca la data, ma dovrebbe risalire al periodo 1918-1920)
annuncia una conferenza a favore dell'invasione sionista della Palestina, da tenersi al Teatro
Nazionale di Roma, con la partecipazione del rabbino Dante Lattes. Nella parte inferiore del
manifesto si leggono i nomi dei promotori dell'iniziativa. Tra questi, spicca il nome di Leone
Caetani.

Abraxa: Già il titolo la dice lunga sul contenuto del brano del sig. Mutti. Ci ricorda
sgradevolmente certi politicanti, che, non essendo in grado di affrontare avversari che li
sovrastano sul piano delle argomentazioni, cercano di denigrarli con parole-slogan, come
fascista, comunista, sionista, antisemita ed altre amenità di questo genere.
Infatti, Mutti, anzichè rispondere alle limpide argomentazioni di Caetani del saggio da noi
proposto, pensa di denigrarlo, appioppandogli delle etichette e ricorrendo ad evidenti bugie
(anche se non così grosse come la sua bufala dell'hadith sull'islamizzazione di Roma). Bugia è
infatti quella di Gabrieli (e di Mutti che lo cita), che Caetani "dietro gli asseriti motivi spirituali
tende sempre a vederne degli altri d'ordine materiale". Chiunque abbia letto il saggio da noi
proposto vede anzi come egli asserisca, soprattutto per i secoli passati, l'esclusiva e
onnipervadente importanza del fattore religioso nel mondo islamico, che egli chiede
esplicitamente all'Occidente di non distruggere. Certo Caetani non era uno di quegli allocchi
disposti a credere alle favolette di Guenon circa un Oriente tutto spirituale e un Occidente fatto
di imbecilli. Quando ai fattori religiosi se ne sovrapponevano altri di carattere emotivo o pratico
egli lo riconosceva senza infingimenti. Ciò gli valse la giusta ammirazione anche degli studiosi
positivisti. Che molte delle notizie su Maometto siano tardive e probabilmente inventate non è
certo Caetani l'unico a sostenerlo.
Riguardo al fatto che Caetani politicamente non fosse fascista, ciò esotericamente non è certo
un demerito. Dimostra invece, ancora una volta, la sua lungimiranza: sin dalle prime avvisaglie
si accorse che il fascismo (in parte per mancanza di uomini adeguati e soprattutto per
mancanza di mezzi) era solo una parodia della Romanità. Non basta certo camminare impettiti,
per ripetere le gesta dei Cesari e degli Scipioni. Non è un caso che lo stesso Evola non aderisse
al partito fascista.
A Mutti, poi, piacciono proprio le bufale. Cita addirittura un manifesto senza data, che potrebbe
aver fatto chiunque, anche ... i suoi amici. Aggiungiamo che, se realmente Caetani ha
appoggiato il ritorno degli Ebrei in patria, ha il nostro plauso. Secondo Mutti, era forse meglio
obbligarli a rimanere in Occidente e magari spedirli nei lager? Ma ci stavamo dimenticando che
Mutti è filo-islamico e certo lui vorrebbe tutto il vicino oriente in mano islamica per...dar maggior
fastidio all'Europa! e magari coronare il suo sogno (di novello Massinissa) di riportare a Roma il
puzzo...dei dromedari.
Sia chiaro che il nostro atteggiamento nei confronti degli Ebrei è identico a quello che abbiamo
per gli Islamici. Rispetto reciproco, nell'ambito di Culture Parallele, che evitino imbastardimenti
pericolosi per tutti.

VIII) Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo

Voda: Carissime/i amiche/i, sperando che sia di vostro interesse e in riferimento al tema
"Controiniziazione" vi segnalo un articolo del noto saggista ed esoterista Roberto Negrini: "La
leggenda della controiniziazione”.
Sipex: Interessante il saggio di Negrini, nel quale esistono molti spunti per future discussioni.
Vorrei fare subito una prima osservazione. Anche in questo forum siamo stati spesso critici nei
confronti di Guénon ed è perciò ovvio che quando parliamo di Controiniziazione non la
intendiamo col suo grezzo spirito di parte. Tuttavia è altrettanto inesatto pensare che tutto si
riduca a costruita "leggenda". La Controiniziazione esiste nel senso letterale della parola:
essa è tutto ciò che impedisce l'accesso all'Iniziazione. Da questo punto di vista rigoroso,
qualche ben nota religione, che da secoli non riconosce più l'esoterismo e che cerca di farlo
passare per eresia, è un evidente ostacolo all'Iniziazione ed è perciò ... controiniziatica!
Atmabodha: Non mi pare basti il non riconoscere l'esoterismo per diventare una forza della
controiniziazione. Controiniziazione è specialmente il porre consapevolmente e volontariamente
la pratica iniziatica al servizio dell'ego. Questa purtroppo è realtà e non spirito di parte. È noto
anche che il maggior artifizio di Satana è quello di far credere che non esiste… Quanto alle
organizzazioni controiniziatiche si distinguono da quelle autenticamente iniziatiche dal loro
combattere più o meno apertamente l'autorità spirituale e di Governo, cioè Chiesa e Monarchia
come mette ben in risalto Evola nell'ultimo capitolo de "Il Mistero del Graal". Nel testo di Negrini
mi pare si faccia confusione tra le une e le altre.
Tullio Quasimodo: Il non riconoscere l'esoterismo, cercare di screditarlo e perseguitarlo (e non
solo coi roghi!) basta e avanza; cos'altro mai si dovrebbe fare, per impedire l'iniziazione a chi
non ce l'ha? Concordo con Sipex nella necessità di definizioni rigorose, che non permettano nè
interpretazioni "bizantine", nè del tipo "Cicero pro domo sua". Quella da te indicata non è
"controiniziazione", perchè non impedisce l'iniziazione, ma semmai si propone di deviarla -
quando essa è già in atto - ad altri fini. Potendo essa operarsi solo su chi già è iniziato, essa
deve perciò chiamarsi "deviazione Iniziatica". E il tipo di deviazione da te indicato non è certo
l'unico. Anche l'interpretare, ad es. l'iniziazione alla stessa guisa del misticismo è una
forma di deviazione iniziatica, perchè distoglie dal vero obiettivo e confonde differenti
piani.
Premetto che non sono evoliano ed anzi talvolta , in questo Forum, ho dovuto -dopo aver
studiato la sua opera- metter in luce taluni limiti (chi non ne ha?) del suo pensiero. Tuttavia, se
Evola dicesse veramente quello che gli metti in bocca, sarebbe in contraddizione con sè stesso,
visto che, da sempre, fu apertamente critico nei confronti della Chiesa. Nel capitolo da te citato,
egli dice invece:
"L'iniziato, se è veramente tale, può porsi di là dalle forme storiche contingenti di una
particolare tradizione, può accusarne - ove a ciò riceva il mandato - le limitazioni e porsi al di
sopra della loro autorità, egli può respingere il dogma, perchè ha qualcosa di più, la conoscenza
trascendente, e in ben altra sede sa dell'inviolabilità di questa conoscenza; infine può
rivendicare per sé la dignità di un esser libero, perché egli si è disciolto dai vincoli della natura
inferiore, umana: a tale stregua i 'liberi' sono anche i 'pari' e la loro comunità può essere
concepita cone una 'confraternità. Ebbene, basta materializzare, laicizzare e democratizzare
questi aspetti del diritto iniziatico e renderli in termini individualistici, per avere subito i
principi-base delle ideologie sovversive e rivoluzionarie moderne".
Dunque Evola non nega a sé stesso, e a quelli come lui, il diritto di criticare Chiesa e Stato, lo
nega solo a chi lo fa ponendosi da un punto di vista meramente materialistico. Naturalmente il
materialista potrebbe obiettare che ha il diritto di pensarla come crede, ma non - aggiungiamo
noi - di perseguitare a sua volta chi non la pensa come lui. Detto questo, devesi notare, invece,
che la Chiesa non condanna solo il materialismo, ma anche qualunque - nessuna esclusa -
forma di Iniziazione, dovendo secondo lei esser bastevoli i suoi sacramenti e la preghiera
devozionale. Essa è dunque da sempre, caparbiamente, controiniziatica!
Atmabodha: "Impedire" l'iniziazione a chi vi è chiamato secondo me non rientra nelle possibilità
di nessuno, tanto meno della Chiesa che, essendo una struttura exoterica che pone uno iato
incolmabile tra l'essere umano e Dio, non può comprendere le reali possibilità dell'uomo. Cosa
diversa è il combattere il falso esoterismo e la controiniziazione cosa che ha sempre fatto anche
Evola. D'accordo sull'esistenza di deviazioni personali sulla strada iniziatica ma quando la
deviazione non è inconsapevole ma cosciente e volontaria e finisce col trascendere il problema
personale andando ad agire sulla società in senso negativo inducendo il prossimo ad una
spiritualità confusa ed egoistica, allora mi pare legittimo definire tutto ciò controiniziazione. Un
muoversi per scelta verso le tenebre anzichè verso la luce. Evola ha ammorbidito parecchio, nel
corso degli anni, la sua posizione negativa verso la Chiesa. Egli scrive anche:
"Il lume della mera ragione umana subentra alla 'illuminazione’ e da luogo alle distruzioni del
'libero esame’ e della critica profana. Il sovrannaturale è messo al bando o confuso con la
natura. La libertà, l'eguaglianza e la parità divengono quelle prevaricatoriamente rivendicate dal
singolo 'conscio della sua dignità', non conscio però della sua schiavitù di fronte a se stesso, per
ergersi contro ogni forma di autorità e costituirsi illusoriamente come estrema ragione a se
stesso....".
Indubbiamente la Chiesa non riesce a far distinzione tra organismi iniziatici o controiniziatici,
specie la Chiesa moderna preoccupata solo del 'sociale’. Ma è anche soltanto su questo piano
sociale che combatte le organizzazioni che l'avversano. Ora, a questo livello, secondo me non
può parlarsi di controiniziazione: per farlo occorrerebbe almeno comprendere in che consiste
l'iniziazione. Ovviamente non basta leggere i libri di un Evola, di un Guénon o di un Kremmerz
per comprendere automaticamente di cosa parlano. Occorre anche una predisposizione
interiore. Privi di questa dimensione spirituale i rappresentanti dell'exoterismo combattono
contro i mulini a vento.
Tullio Quasimodo: Bruciare al rogo chi dovrebbe iniziarti o rinchiuderlo in carcere o
costringerlo in un qualunque modo alla non operatività non impedisce la tua iniziazione? E
bruciare te? Gli esseri umani non sono fatti ... solo di "vento"! e perciò le persecuzioni materiali,
sociali e psicologiche costituiscono, eccome, un impedimento! Il brano di Evola da te trascritto
non è affatto un ammorbidimento nei confronti della chiesa, ma proprio, come nel brano da me
citato in precedenza, una critica al materialismo profano.

Tutte le altre son solo belle parole. Ma i fatti ... Ti ho letto sovente in altri forum, come:
http://groups.google.com/group/free.it.religioni.osho-rajneesh/
dove scrivi ad es:
"A me pare che osservare il complesso pensieri-emozioni non li faccia affatto scomparire.
Inoltre, sempre secondo me, osservare pensieri ed emozioni è necessario ma non sufficiente.
Bisognerebbe intervenire sui pensieri, abbandonare quelli impuri (cioè che creano una
dipendenza), eliminandoli o sostituendoli con altri più edificanti. Comunque la "notte oscura
dell'anima" di San Juan de la Cruz era tutt'altra cosa. Un'esperienza mistica forte. L'Opera al
nero degli Alchimisti. Ciao, Atmabodha".

Non stai scientemente cercando di confondere il misticismo di S. Giovanni della Croce con
l'Opera al nero degli alchimisti?
Sipex: Al di là di ogni polemica, penso sia utile spendere qualche parola su questo argomento.
Cioè se esistono o meno - e quali eventualmente siano- le relazioni tra ermetismo alchimico ed
alchimia da una parte e mistica carmelitana e misticismo in genere dall'altra.
Per quanto riguarda l'alchimia in senso stretto, cioè implicante anche una pratica di
laboratorio esterno, ben difficilmente essa potè e può avere rapporti con il misticismo, basato in
genere essenzialmente su un qualche tipo di religiosità interiore. Non si può escludere che
qualche monaco, dedito alla preparazione di elixiri (interni ed esterni), abbia simulato, per
evitare fastidi, un misticismo esteriore. Ma anche ad ammettere un tal caso, non si tratterebbe
di un vero mistico, ma di un alchimista occultatosi ... nella tana del leone.
Il paragone più interessante è perciò di certo quello con l'ermetismo alchimico. L'analisi è resa
più difficile dal fatto che gli esoteristi hanno tentato per secoli di proporre al cristianesimo un
completamento in ambito esoterico, pur essendo sempre ricambiati non solo con rifiuti - di chi
temeva di doversi sottomettere a più alta e legittima autorità - ma anche con persecuzioni. Gli
autori dei suddetti tentativi, per facilitare una conciliazione, non calcarono troppo la mano sulle
differenze tra esoterismo e misticismo e qui, a mio parere, fecero ingenuamente il gioco delle
autorità cristiane. Queste, infatti, approfittando dello scarso discernimento tra i due termini, ne
approfittarono per condannare sistematicamente l'esoterismo come un misticismo eretico.
Bisogna riconoscere che Renè Guénon fu forse il primo a distinguere nettamente - ritengo più di
Evola - i due termini. Naturalmente su Guénon pesa il dubbio che lo abbia fatto per favorire il
cosìddetto esoterismo islamico (ma il Sufismo è realmente islamico?). Qualche suo seguace, ad
es. Titus Burckardt, gioca sulle parole: la Mistica sarebbe esoterica, il Misticismo no, distinzione
controproducente e che rialimenta la confusione, perchè da secoli i due termini sono sinonimi.
Evola, dal canto suo, considera la via mistica , come una possibilità della cosìddetta "Via
Umida" e, a mio parere, non soffermandosi sufficientemente su di essa, perchè non conforme al
suo temperamento, finisce con l'essere impreciso. Sussiste infatti, nella sua trattazione, una
confusione tra "via devozionale esoterica" e "via devozionale mistica". La "via devozionale
esoterica" (bhakti marga) rientra, come dice il secondo attributo, nell'esoterismo ed è impartita
temporaneamente ad allievi che, per loro intima natura, non possono essere subito avviati ad
una via basata sulla pura conoscenza (jnana marga). Sarà il maestro a decidere quando è
opportuno per l'allievo cambiar strada, ma in ogni caso la strumentalità (il carattere di mezzo a
fine) della bhakti è noto fin dall'inizio e non richiede affatto - si veda l'uso delle devata nel
buddhismo - la fede in un dio creatore o trascendente. La via devozionale mistica invece è
caratteristica di quelle forme religiose che hanno il dio creatore come estrema istanza. Esiste
così un misticismo cristiano (da non confondersi con il Rosacrocianesimo), un misticismo
islamico (da non confondersi con il Sufismo) ed un misticismo ebraico (da non confondersi con il
Kabbalismo). La via mistica non nasce dall'esoterismo, ma dall'impulso di taluni fedeli di
andare al di là della comune vita religiosa. I mezzi a loro disposizione sono peraltro quelli
stessi della comune vita religiosa - preghiere ed altre forme di devozionalità - che vengono
perciò semplicemente esasperati, talvolta in modo masochistico, rispetto all'uso comune.
Naturalmente può esistere quello che si potrebbe chiamare un "maestrato mistico", cioè un
mistico già praticante può far da maestro - nel suo campo - ad un proficiente. Ed è a questo
scopo che sono sorti ad es. gli scritti di S. Giovanni della Croce, che attirano molti per il loro
carattere di "manuali", così che taluni - contribuendo così alla confusione - hanno preteso di
paragonarli agli Yoga Sutras di Patanjali, accostamento che, per quanto abbiamo detto, si
riduce in realtà al fatto esteriore di essere entrambi dei "manuali" sui generis. La confusione si
deve anche all'uso, da parte di S.Giovanni della Croce di alcuni termini ad es. "notte oscura",
che può far concludere affrettatamente che si tratti ad es. dell'opera al nero degli alchimisti, o
addirittura degli stati di "non manifestazione" di certe dottrine. Noi riteniamo invece che, a
causa degli orizzonti e dei mezzi limitati dei mistici, la fenomenologia descritta da
S.Giovanni della Croce possa al più considerarsi equivalente a quella descritta da
Massimo nel saggio "Appunti sul Distacco" (Introduzione alla Magia, vol. III ), con
l'aggravante che, giunto al punto in cui "si verifica nella vita fisio-psichica di lui un
arresto della direzione naturale di ogni suo processo vitale", una deviazione del mistico -
in mancanza di indicazioni di livello esoterico - è assai probabile. La vita non lunga di S.
Giovanni della Croce (1542-1591) e la sua morte per malattia potrebbe costituirne una
conferma. Forti dell'esperienza passata, è importante che gli odierni esoteristi non facciano più
"proposte di completamento" alle religioni monoteiste. Le si abbandoni invece a loro stesse - la
catena non gli sia più misurata, come direbbe Evola - così che si trovino concretamente di fronte
all'alternativa di ravvedersi o ... sparire!
Occhi di Ifà: Anch'io fui attratto, in un primo tempo, dai "dettagli manualistici" di S. Giovanni
della Croce e da certe sue espressioni, che sembrano riecheggiare contenuti dell'esoterismo.
Ad es., nella Salita del Monte Carmelo (Lib. I, cap.13, par.11) si legge:
"E quando tu giunga ad avere il tutto,
tu devi possederlo senza voler niente,
poichè se tu vuoi possedere qualche cosa nel tutto,
non hai il tuo solo tesoro in Dio."
Dunque, anche qui, come nell’esoterismo magico, sembrerebbe essere indicato non un perdersi
estatico nel tutto (alla maniera vedantina), ma piuttosto il "possesso" di esso, nel senso che
tutte le possibilità di esistenza in esso contenute sono attuabili dall'asceta, che può
volontariamente assumerle, senza però attaccarsi ad alcuna di esse. Sarebbe bello che il Dio di
cui parlano questi versetti fosse la Divinità (Gottheit) di Eckhart, nel quale ogni ente ha le sue
radici. Esse sono chiamate da Eckhart talvolta il "piccolo punto", talvolta la "favilluzza". Termini
che equivalgono all'Emmanuel (= Dio in noi) dell'Antico Testamento. Ma è più probabile che
-dato il suo orientamento mistico in senso stretto- S.Giovanni della Croce stia parlando
semplicemente del Dio personale (Gott in Eckhart).
Infatti, approfondendo, ci si accorge che egli non esce mai dai limiti del misticismo. A tal
riguardo, ritengo piuttosto significativo riportare alcuni passi del capitolo IV della Notte Oscura,
che reca il sottotitolo "Ove si parla di altre imperfezioni in cui abitualmente cadono i principianti
relativamente alla lussuria, terzo vizio capitale":
"... Qui tratto del vizio della lussuria, ma mio unico intento non è quello di parlare dei peccati
relativi a questo vizio capitale, nei quali cadono le persone spirituali, bensi di occuparmi delle
imperfezioni da purificare nella notte oscura. Ora, sono molte le imperfezioni dei principianti su
questo punto: si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non perché lo siano in realtà, ma
perché derivano da cose spirituali. Molte volte, infatti, accade che durante gli stessi esercizi di
pietà insorgano, anche se non si vogliono, moti di sensualità e atti disordinati. A volte ciò si
verifica persino quando lo spirito è immerso in una profonda orazione o si sta celebrando il
sacramento della penitenza o dell'eucaristia. Queste sensazioni, come ho detto, non dipendono
da noi; derivano da una delle tre cause seguenti.
La prima è il piacere che spesso la natura prova nelle cose spirituali. ...Accade così che l'anima,
pur essendo tutta immersa con lo spirito in una profonda orazione alla presenza di Dio, nei
sensi provi passivamente agitazioni, fermenti e atti sensuali, non senza grande ripugnanza da
parte sua. Ciò accade spesso durante la comunione: poiché l'anima prova gioia e soddisfazione
a compiere quest'atto d'amore, perché il Signore le concede questo dono proprio a questo
scopo, anche la sensualità vuole la sua parte, come ho detto, però a modo suo. ...
La seconda causa, da cui provengono a volte queste agitazioni, è il demonio. Costui cerca
d'importunare e turbare l'anima che è in preghiera o vi si prepara; suscita nella natura questi
movimenti disordinati e reca all'anima, che vi presta attenzione, un grande danno. Difatti non
solo per la paura che le insinua la rende svogliata nell'orazione, che è quanto egli vuole,
dovendo l'anima lottare contro simili suggestioni, ma spinge alcune persone ad abbandonare
completamente la preghiera. Tali anime credono che simili agitazioni si verifichino proprio
durante la preghiera e non in altri momenti. Ciò è vero, perché il demonio le suscita più in questi
momenti che in altri, proprio perché abbandonino questo pio esercizio. ...
Ci sono, poi, delle anime dal temperamento così sensibile e delicato che, appena provano
qualche gusto di devozione o di preghiera, si vedono pure immediatamente invase dallo spirito
di lussuria. La sensualità le stordisce e le inebria a tal punto che sono come sommerse nelle
attrazioni e nei piaceri di questo vizio. Entrambe queste sensazioni perdurano
contemporaneamente e in modo passivo; a volte si constata anche che si sono verificati dei
gesti grossolani e sconsiderati. Questo perché, come ho detto, hanno un temperamento
sensibile e delicato; quindi alla minima emozione si agitano gli umori e il sangue, e provocano
tali sconvolgimenti".
L'approccio di un esoterista, anche del tipo "casto", sarebbe ben diverso. Egli sa che le
"erezioni spontanee" - di esse sta parlando, con cincorlocuzioni, S. Giovanni della Croce - si
verificano nei momenti in cui le energie corporee sono pienamente reintegrate e lo spirito è
sereno. Nell'uomo comune si verificano ad es. nel dormiveglia mattutino, dopo il riposo notturno
(le cosìddette "erezioni mattutine"). Nel mistico anche durante preghiere e devozioni.
Nell'esoterista si verificano quando analoga pienezza energetica ed analoga serenità dello
spirito sono indotte dalla concentrazione o dalla meditazione. Sapendolo, egli non è affatto
preoccupato, nè suppone sé stesso invaso dal demonio, ma fa circolare l'energia in sovrappiù,
per riparare eventuali piccoli malanni o per rafforzare il suo corpo eterico (lunare). Ad es., se è
un taoista, metterà in moto la cosìddetta "ruota della legge" o "ruota ad acqua", immaginando
che l'energia salga, dall'organo genitale, lungo il dorso fino alla sommità del cranio e poi scenda
frontalmente, lungo il volto e il torace, completando il circolo nel basso ventre. Continuerà così,
finchè l'erezione finisce.
Voda: Vista la diatriba, che vi fu a suo tempo, tra Taurulus ed Evola su padre pio, segnalo il
seguente articolo che riconferma i dubbi sul "sant'uomo": Sergio Luzzatto - 24 ottobre 2007
Corriere della Sera
IL LIBRO DELLO STORICO SERGIO LUZZATTO APRE NUOVI DUBBI SUL FRATE DI
PIETRALCINA
Padre Pio, il giallo delle stigmate. Un farmacista: «Nel 1919 fece acquistare dell'acido fenico,
sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani»”
Sipex: Corallo Reginelli (Taurulus), dapprima antroposofo, passò poi sulle posizioni
"cattolico-vedantine" di Guido de Giorgio (Havismat) e ne condivise la valutazione di Padre Pio.
Riguardo alla visita che De Giorgio fece, nel dopoguerra, a S. Giovanni Rotondo, si può
consultare il suo breve diario di viaggio "Ciò che mormora il vento del Gargano", Milano 1999.
Voda: Il 17/07/2007 ho già riferito su questa Mail List, in una mia risposta a Vandermok, di
questa mia esperienza che ormai si può definire "storica":
... Taurulus (membro in età giovanile del Gruppo di Ur, che diceva di aver ottenuto dal prete di
San Giovanni Rotondo una intecessione per la figlia affetta da diffetto visivo e che perciò era
diventato "devoto al sant'uomo") mi riferi' negli anni '80 di aver cercato una volta di convincere
Evola ad andare a chiedere "la grazia" da padre pio. Ricevette dal Barone uno sprezzante
diniego, del tipo "Ma non ci penso nemmeno! Piuttosto la morte ...".
Andai in visita a Taurulis a Merano, dov'egli abitava, accompagnato e presentato da un
Carissimo Fratello sia Libero Muratore che membro dell'Ordine Osirideo Egizio (che non
nominerò per riservatezza).
In tale occasione ebbi a discutere per un pò con il buon "Lanciafiamme" (altro nome che si era
dato il buon Reginelli, pseudonimo con cui scrisse anche due libri, intitolati "Lanciafiamme" e
"Lanciafiamme con amore") sulla questione Evola-Padre Pio, ed il buon vecchio (buono e
cortese ma anche irascibile e caustico se punto nel vivo), che a distanza di tanti anni era ancora
convinto della stupidità manifestata da l Barone nella sua cocciutagine anticristiana nell'aver
rifiutato la "visita salvifica".
Sipex: Vi sono state varie edizioni delle sue opere. Nell'ultima edizione (1986) de "Il
lanciafiamme. Discorsi sull'esoterismo" e de "Il Lanciafiamme con amore", lo pseudonimo è
Alone C. R. In una prima edizione, compariva anche il nominativo dell'autore. Ad esso fa
riferimento Asilas nella Nota Introduttiva a "La
Tradizione Romana" di Guido de Giorgio:"In un chiaro mattino di primavera dell'anno 1970 ... ci
eravamo
recati in Campidoglio ... giungemmo poco dopo in una vicina libreria ove scegliemmo sugli
scaffali un libro edito di recente. In esso vi era il nominativo di una persona ... Nei giorni
successivi entrammo in contatto con tale persona, un anziano signore che in più giovane età
aveva fatto parte del famoso ed esoterico Gruppo di Ur e che, per motivi suoi insindacabili,
desidera conservare l'incognito. Egli era in procinto di lasciare definitivamente la capitale e, tra
le poche cose di cui non si era ancora disfatto, vi era un voluminoso
dattiloscritto di Guido de Giorgio sulla Tradizione Romana, che senza esitazione ci offerse".
Tra gli amici romani di Reginelli vi era Paolo Virio, che lo cita frequentemente nelle sue lettere
(vedi: P.Virio, "Corrispondenza Iniziatica", ediz. Sophia, Roma). Ad es., in una lettera datata
"Roma, 17 Aprile 1951, Virio scrive: "Ogni tanto vedo Reginelli, il Taurulus di Ur, che dopo 15
anni di Antroposofia presso Colazza, si è
finalmente svincolato e da circa 3 anni si è messo a seguire le conoscenze tradizionali". Con
quest'ultimo termine Virio si riferisce ovviamente ad un orientamento affine al suo o a quello di
De Giorgio.
Voda: Quando lo incontrai, Reginelli era un uomo anziano e con forti sintomi di "indigestione di
metalli" (per usare un termine Massonico). Dentro al suo appartamento non aveva porte,
nemmeno nel bagno, poichè era convinto di aver compiuto un percorso alchemico interiore per
cui anche le sue feci, secondo lui, odoravano di violette). D'altra parte, quando scrisse con il
Gruppo di Ur era un giovane inesperto, che iniziava un viaggio iniziatico che evidentemente
avrebbe avuto una fine piuttosto precoce nelll'incontro con l'Eggregore monoteista, anche se ho
notato nell'opacato cristallo i riflessi dell'antica passione esoterica.
A proposito di padre pio, a dire di Reginelli disse di essergli devoto perchè avrebbe salvato sua
figlia dalla cecità (anche se non si può dire che dopo l'incontro col "santo" sia diventata
un'aquila, i problemi di vista restarono). Il mio non è un tentativo diffamatorio ma solo una
cronaca di un incontro (fra l'altro, tutto sommato, il personaggio mi è sembrato anche simpatico
ed a modo suo altruista (nel dispensare ad altri il suo Illuminato Verbo). Comunque, per
completare quanto sta emergendo in questi tempi su "padre pio", segnalo un altro interessante
articolo di Corsera pubblicato, in data odierna, sui dubbi di Giovanni XXIII e sulle sue scoperte a
proposito del "sant'uomo": «Padre Pio, un immenso inganno» Giovanni XXIII annotava: «I suoi
rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime» di Aldo Cazzullo, 25 ottobre 2007,
Corsera”.
Sipex: Come indicano i due articoli segnalati da Voda, ha fatto notevole scalpore -tanto da
essere l'argomento dello Speciale TG1 dello scorso 28 Ottobre alle 23:35- il libro "Padre Pio.
Miracoli e politica nell'Italia del Novecento". L'autore, Sergio Luzzatto, è un giovane studiosio di
tradizione ebraica, professore ordinario di Storia moderna nella Università di Torino. È
considerato uno dei maggiori esponenti in Italia di quella corrente di indagine che -con termine
anglosassone- viene chiamata "body history", perchè riconosce nei corpi umani una fonte
privilegiata di storia. Riguardo ad essa, qualcuno ha parlato di "Nuova tendenza, vecchia
tentazione", giacchè, seguendola, grave è il rischio di ridurre l'ideologia alla fisiologia, e i mali
della storia alle malattie delle persone. A ciò si aggiunge, che Luzzatto, punzecchiato dai
cattolici, ha pensato bene di aggiungere al suo articolo "Padre Pio, quando la storia si ribella ai
luoghi comuni", del 30 Ottobre 2007 sul Corriere della Sera (1), il sottotitolo «Il mio libro contro
intolleranza, agiografia e antisemitismo», confermando così i dubbi cattolici, che si tratti più del
libro di un ebreo, che di uno studioso.
A noi esoteristi il libro di Luzzatto è sostanzialmente inutile. Dal momento che, per un giudizio
definitivo su Padre Pio, si rivelò illuminante il suo scritto "Breve trattato sulla notte oscura", che
Elemire Zolla riportò sul n°1-1970 della rivista Conoscenza Religiosa, indicando nella sua nota
finale che "L'autografo è custodito nell'archivio Pagnossin di Padova" (2).
Si tratta di un trattatello (una sorta di sommario scritto per quel discepolo) che si occupa della
Notte Oscura, secondo i ben noti insegnamenti di S.Giovanni della Croce. In esso, Padre Pio si
rivela un mistico, con tutte le conseguenze ed i limiti di un tale atteggiamento. Ad es.,
similmente a S.Giovanni della Croce, Padre Pio scrive:
"L'anima spirituale, prima di entrare in questa purga, è facile che negli stessi esercizi di
divozione senta sollevarsi nella carne movimenti non tanto puri, e quali non sono in potere
dell'anima di poterli allontanare, nonostante che la poverina provi di tutto questo una grande
ripugnanza e pena e si sforzi positivamente di allontanarli e di evitarli. Questo accade allo
spirituale anche allorchè sia in una orazione di grande raccoglimento. Ora questi movimenti che
in tali santi momenti lo spirituale esperimenta possono provenire dal demonio, il quale cerca
tutte le maniere per allontanarlo dall'orazione o, se ciò non è possibile, almeno farlo andare
all'orazione non tanto spedito. Lo fa ancora al fine di disturbarlo, di inquietarlo e di spaventarlo.
Inoltre può ciò avvenire anche dalla natura molto debole, da soverchio timore che lo spirituale
viene a concepire di queste sensazioni impure. Infine può ciò avvenire da una natura alquanto
debole impressionabile per gusto e piacere in queste cose".
Proprio come S.Giovanni della Croce, Padre Pio dunque si preoccupa delle erezioni spontanee,
che possono verificarsi durante l'orazione. Non ha dubbi che la causa sia il demonio, non lo
sfiora neanche l'idea che si tratti di una semplice manifestazione di accresciuta energia. Ignora -
come sapevano già gli antichi taoisti e come la scienza moderna ha confermato - che simili
erezioni si verificano già nella quiete del feto, prima della nascita, e che perciò non hanno a che
fare con la lussuria. Inutile aggiungere che sono le preoccupazioni sessuofobiche -piuttosto che
il demonio- a disturbare le orazioni dei mistici di questo tipo (3).
Ma torniamo a Luzzatto. Seguendo le tendenze della "body history", egli non può far altro che
insinuare il dubbio che Padre Pio si procurasse le stimmate con sostanze chimiche, ma a ciò i
seguaci del frate possono facilmente ribattere che -quando sorse il sospetto- la chiesa, si
premurò di proibirgliene l'uso, anche per motivi comuni, e tuttavia le stimmate continuarono.
È invece noto da tempo, a chi non si limita a considerare il "physical body", che le stimmate
hanno, in genere, origine psicosomatica, tanto che i mistici le condividono con taluni semplici
isterici. Nel caso di Padre Pio, la psicosomaticità è poi evidente: per il principio di causa-effetto
le stimmate sparirono alla sua morte. Scomparsa infatti la causa (la psiche), cessò anche
l'effetto (le stimmate): ben difficilmente sarebbero scomparse, senza traccia, se dovute a
sostanze chimiche. Altrettanto difficilmente sarebbero scomparse se si fosse trattato di un
miracolo; perchè Dio avrebbe mai dovuto occultarne la prova?
Che si sia trattato di un fenomeno psicosomatico lo sa anche la chiesa che, pur essendo Padre
Pio proclamato santo da Giovanni Paolo II, non ha mai riconosciuto ufficialmente le sue
stimmate, tanto meno poi come fenomeno miracoloso.

(1)
http://www.corriere.it/spettacoli/07_ottobre_30/PADRe_pio_luzzatto_storia_luoghi_comuni.shtml
(2) Si tratta di Giuseppe Pagnossin, ex industriale padovano e ben noto seguace di Padre Pio.
(3) Si veda, in questo stesso quaderno, il precedente intervento di Occhi di Ifà.

Tullio Quasimodo: Nell'articolo, segnalato da Voda e scritto da Aldo Cazzullo si legge tra
l'altro:
"... E, come documenta Luzzatto, quando «La Settimana Incom illustrata» sparò in prima pagina
il titolo «Padre Pio predisse il papato a Roncalli », compreso il dettaglio di un telegramma di
ringraziamento che il nuovo Pontefice avrebbe inviato al cappuccino, Giovanni XXIII ordina al
proprio segretario di precisare all'arcivescovo di Manfredonia che era "tutto inventato": «Io non
ebbi mai alcun rapporto con lui, né mai lo vidi, o gli scrissi, né maimi passò per la mente di
inviargli benedizioni; né alcuno mi richiese direttamente o indirettamente di ciò, né prima, né
dopo il Conclave, né mai»"
Questa invenzione di predizioni mai avvenute o di consensi mai dati, da parte di personaggi
famosi, continua ancor oggi. Ad es., il 28-05-2007, nel forum di Politicaonline, uno che si
definisce "pastore di capre" ha scritto:
"...padre Pio, probabilmente uno dei pochi personaggi espressi dalla chiesa cattolica negli ultimi
decenni in grado di detenere poteri reali (non a caso lo scetticissimo Evola sembrava dar credito
al suo dono dell'ubiquità)".
A parte che è veramente difficile immaginarsi una persona scetticissima nei confronti di
qualcuno, che contemporaneamente gli riconosce addirittura l'ubiquità, il suddetto "pastore" si
guarda bene dal precisare in quale scritto o circostanza Evola possa mai aver fatto una simile
affermazione.
Paolo Longhi: Ricordo nitidamente di aver letto un articolo nel quale Julius Evola faceva un
rapido, fugace cenno su Padre Pio, attribuendogli non il dono dell'ubiquità - dono che, tra l'altro,
mi pare non esista per nessun essere umano ma che sia essenzialmente un attributo relativo
della Divinità stessa - ma il potere della bilocazione. Sono passati sicuramente più di trent'anni
da quando lessi quell'articolo. Pubblicato forse sulla rivista di Gaspare Cannizzo 'Vie della
Tradizionè? Onestamente non saprei ma ricordo che l'affermazione mi sorprese un pochino,
sapendo che Evola non era di certo benevolo nei confronti del Cattolicesimo.
Non vorrei giurare, ma mi pare che il Filosofo romano abbia citato anche altrove il Carismatico
francescano. Secondo me - ma è un'idea mia che mi venne tanto tempo fa e che va pertanto
presa con beneficio d'inventario - se Evola fece una simile affermazione è perchè ebbe
probabilmente nel suo letto di infermo, che era anche un letto di dolore, una visita in bilocazione
da parte del frate del Gargano.
EA: Il saggio "I Centri iniziatici e la storia" comparve nella rivista "Vie della Tradizione" nel 1971
e fu incluso da Evola nella seconda edizione della raccolta "L'Arco e la clava" (Vanni Scheiwiller
- All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1971).
Per comprendere il senso di quella frase occorre tener presente il suo contesto. Evola dice
testualmente:
"Ad esempio, con riferimento dalle cosìddette ricerche metapsichiche moderne, eseguite sotto
severi controlli, è stata accertata la realtà dei 'fenomeni parafisici', ossia la possibilità che
oggetti vengano spostati, mossi o sollevati a distanza, senza che a ciò si possa dare una
spiegazione normale. Solo, che data la materia con la quale ha quasi esclusivamente ha da fare
la ricerca metapsichica, si tratta di processi spontanei sporadici, non riproducibili a volontà,
spesso medianici. Purtuttavia, è attestato il fatto che un agente psichico può provocare
fenomeni che, come il sollevamento di un oggetto pesante, implica una forza indubbiamente
superiore a quella necessaria per provocare, ad esempio, una lesione cerebrale con un esito
mortale. Anche il fenomeno della bilocazione, ossia della proiezione della propria imagine in un
posto lontano, è stato accertato (del resto sembra che ciò avvenisse anche con Padre Pio da
Petralcina)".
Una frase come "sembra che ciò avvenisse" non è affatto una testimonianza diretta del fatto,
ma un semplice riportare ciò che si è sentito e - tenute presenti le amicizie di Evola con De
Giorgio, Reginelli ed altri del medesimo indirizzo - non è difficile capire da chi. Vedi, caro Paolo,
come sia importante ricordare e riportare i documenti come sono, altrimenti una semplice frase
probabilistica sulla bilocazione rischia di diventare - in bocca a poco informati o ... ad interessati
- addirittura una affermazione di ubiquità !!!
Frater Petrus: Voda ci ha narrato l'amore di Reginelli per l' "open space", o meglio per una
casa senza porte, visto che, per una pretesa alchimia, egli avvertiva tutti gli odori -compresi
quelli del bagno- come fossero di violetta. Come accennava Voda, i suoi visitatori sentivano
invece gli odori per quelli che erano, così che tutta l'alchimia si riduceva in pratica ad una
autosuggestione olfattiva.
Anni fa, feci amicizia con una signorina di Salerno, che come personalità rassomigliava per certi
versi a Reginelli: si occupava di magia ed era una devota di Padre Pio. Più volte fui oggetto io
stesso delle sue allucinazioni olfattive: asseriva di avvertire odore di violetta promanare dalla
mia persona. Veniva prontamente a trarmi d'impaccio suo fratello, un simpatico studioso della
famosa scuola medica salernitana, il quale - dopo avermi annusato - sentenziava che odoravo
si, ma del comune sudore estivo.
Penso che anche a Padre Pio sarebbe convenuto qualche "salvataggio" del genere, anzichè
favorire (se fu lui a favorirle) inutili e pericolose allucinazioni. Si pretende si trattasse di un
codice con il quale comunicava, in presenza e a distanza, indicazioni ai suoi seguaci: non
sarebbero state più comprensibili parole interiori?
Il vecchio concetto di osmogenesi (emanazione di profumi), quale carisma posseduto da alcuni
Santi o da alcuni luoghi sacri, è del tutto superato. Oggi si sa che sia le distorsioni degli odori
(parosmie e cacosmie) sia le allucinazioni olfattive vere e proprie (phantosmie) hanno due
cause principali: malesseri e suggestioni sia autoindotte che eteroindotte. Tra le malattie
scatenanti vi sono: tabe dorsale, diabete grave, gravidanza, influenza, intossicazione da
piombo, infezioni virali, traumi cranici, conseguenze di interventi chirurgici, uso di droghe,
malattie psichiatriche, epilessie allucinatorie (che spesso non implicano convulsioni), emicrania,
sifilide, tumori del cervello, sinusiti croniche, corpi estranei nasali, tonsilliti caseose, bronchiti,
alcune affezioni gastriche ed epatiche.
Per quanto riguarda le suggestioni, basterà ricordare come le suggestioni olfattive siano
facilmente indotte dagli ipnotisti e che il provare ad immaginare un profumo non presente, ad
es. di un'arancia, faccia parte della cosìddetta "scala di immaginazione creativa", un comune
test di auto ed etero-suggestionabilità (BARBER T. X., Ipnosi: un approccio scientifico, Ubaldini,
Roma, 1972).
Afrodisia: Ad es. il calendario 2000 di Padre Pio, Edizioni Piemme, con rosario fosforescente in
omaggio, riportava la seguente lista. Il livello delle indicazioni è inferiore perfino a quello della
peggior astrologia da rotocalco:
Aceto=piena vittoria sui nemici
Acido fenico= Sofferenze fisiche e morali;
Aglio= Seguire la strada temporaneamente presa, senza rimorso alcuno;
Anice= Speranza;
Basilico= Tenersi sempre in contatto spirituale con Padre Pio;
Biancospino= compiacimento per il nostro comportamento da parte di Padre Pio;
Caffè= Non agitarsi, non stare in ansia inutilmente;
Canfora= Avviso alla guarigione fisica;
Catrame= Seguire una corretta line di condotta spirituale e di vita, correggendo le storture;
Cera= Essere profondamente innamorata della Fede;
Cioccolato= Sostenersi dai problemi quotidiani;
Confetti= Conferma all'impegno con Dio;
Dolci= Benedizione di Padre Pio;
Erbe amare= Giungeranno notizie di morte, si cerca il conforto del Padre spirituale;
Farina o pane fresco= Segno del sopraggiungere della provvidenza;
Fiori vari= Rassegnazione, sottomissione alla Fede;
Fragola= Benefici per l'intercessione chiesta;
Garofani= Ricevere piccole grazie spirituali, condurre una vita più sincera e fedele;
Gelsomini= Matrimonio spirituale;
Gerani= Riguardarsi dai strapazzi fisici;
Giglio= Invito alla purezza;
Gomma bruciata= Sono rimessi i tuoi peccati;
Incenso= Invito a pregare, pregare con più fede;
Latte bollito= Presto subirete un intervento chirurgico;
Lavanda= Tranquillità e armonia in famiglia;
Menta= Devozione alla Madonna;
Olivo= Invito a pacificarsi con il prossimo;
Papaveri= Non fare chiacchiere e pettegolezze inutili;
Pino= Pregare per le persone a noi care;
Rosa= Presenza ravvicinata di Padre Pio, dono di grazie;
Salvia= Sospettare inutilmente ed infondatamente;
Sangue= Fare sempre la volontà di Dio;
Stalla= Pregare San Michele, visitare il Santuario a Lui dedicato;
Tabacco= L'anima di Padre Pio é vicino alla nostra, presto ci convertiremo;
Tintura di iodio= Confessarsi dei propri peccati;
Torta-Dolci= Benedizione di Padre Pio;
Tuberose= La presenza di Padre Pio ci é vicina, segno di buon augurio;
Vaniglia= Intercessione di Padre Pio per un intervento chirurgico, prossimo matrimonio;
Viola= Grazia che presto viene concessa;
Vino= Felicità, abbondanza, letizia;
Zolfo= Presenza di satana, peccato mortale.
Zucchero bruciato= presenza diabolica
Frater Petrus: Un altro vanto dei seguaci di Padre Pio erano le sue presunte capacità di
"intercessione" e di preveggenza. Anche a riguardo, ho avuto possibilità di conoscere talune
persone direttamente interessate.
Ad es., negli anni '70, conobbi Luciana Marchetti (autrice meglio nota come "Luciana Virio",
moglie di "Paolo Virio"), la quale nel libro "Paolo M.Virio, esempio di vita" (p.144) dice: "È
necessario ora che parli di Padre Pio, perchè per un misterioso concatenamento nei fini
dell'Ordine della Provvidenza noi (io e Virio) siamo in certo qual modo legati al Padre".
Recatasi in pellegrinaggio da P.Pio nel Luglio del 1953 e ritornata a Roma, ebbe una visione
nella quale il frate, riferendosi al marito le diceva (p.156): "Soffre, soffre molto, lo aiuterò ad
essere ancora più forte, ma deve compiere la Volontà di Dio, deve sottostare al suo Volere, non
posso fare nulla!".
Un anno dopo, si verificarano i seguenti fatti (pp. 162 e seg.) : "il giorno 27 Luglio del 1954, il
male colse la sua veste terrena ... Nel mio disperato dolore per la gravità del male, mando un
telegramma ad Ida (mia amica) che si trova da Padre Pio ... si reca con il telegramma in mano
da Padre Pio. ... è ricevuta dal Padre, è ascoltata. ... A me viene telegrafato: Padre Pio ottenuto
grazia, speri! ... Virio, la mattina del 13 settembre inizia a migliorare. ... Trascorre un mese di
convalescenza ... Sembra stia veramente meglio e che sia completamente guarito. ... Finchè nel
frattempo si giunge all'alba fatale del 13 aprile ... Tre volte invoca il mio nome! ... poi il suo
sguardo rimane immobile, fisso: ha perso la coscienza ... i medici non sanno cosa dire ... E Ida,
venuta anche lei, mi dice ciò che veramente Padre Pio aveva detto allora: altri sei mesi. E i sei
mesi, alle sette del mattino del 13 aprile, erano scaduti! ... Erano circa le due quando Virio
riacquista la conoscenza ... Padre Pio aveva concesso sei mesi per prepararmi: compiuti questi,
per quale misterioso Volere, gli sono stati concessi altri 14 anni di vita sulla terra?".
Quando parlammo di persona di questi fatti, non osai insinuare che la faccenda dei sei mesi
poteva essere semplicemente ... una invenzione a posteriori della sua amica. Neppure
sottolineai che -nonostante i suoi pretesi poteri- P. Pio si era sbagliato di ben 14 anni! Ma le
ricordai - suo marito era stato anche uno studioso di Dante - i seguenti versi dal sapore
"magico" di Purg. XVI: 67 e ss:
"Voi che vivete ogne cagion recate
per suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Se così fosse in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per mal aver lutto.
Lo cielo i vostri moventi inizia;
non dico tutti, ma posto ch' i' 'l dica,
lume v'è dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
nelle prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica".

Comprese il mio punto di vista.

Anni dopo, mi trovai, per ragioni di lavoro, a Fuscaldo Marina, sul Tirreno in provincia di
Cosenza. Là, conobbi un'anziana signora, che chiamerò nel seguito con il suo nome di
battesimo: Rosalia.
Subito dopo la II Guerra, Rosalia aveva insegnato nelle scuole elementari di S.Maria del Cedro,
un comune più a Nord di Fuscaldo, non distante da Scalea e dalla Torre Talao, dove come è
noto si riunirono, per diverso tempo, personaggi come Armentano e Reghini. All'epoca, S.Maria
era chiamata ancora con il suo vecchio nome, apparentemente buffo e in realtà squisitamente
latino: si chiamava Cipollina (cioè Cis-pollina=località al di qua del Pollino). A Cipollina, Rosalia
conobbe un giovane che intendeva fidanzarsi con lei. Nello stesso periodo, ritornò alla carica
anche un suo ex fidanzato. Rosalia, incerta sul da farsi, ricorse a P.Pio, del quale era devota.
Recò con sè le fotagrafie dei due fidanzati e glele mostrò. P. Pio rispose che il primo fidanzato
era un poco di buono e, passando alla fotografia del secondo, affermò "e questo è peggio del
primo".
Rosalia decise di lasciarli entrambi. Sul primo dei due forse il frate ci aveva alla lontana
azzeccato, trattandosi di un tipo che si rivelò piuttosto lunatico. Ma il secondo, sposatosi con
un'altra donna, si era invece rivelato un onesto impiegato e un marito e padre affettuoso (di
cinque figli). E su ciò Rosalia non aveva dubbi, perchè in quei piccoli paesi, soprattutto un
tempo, nulla si sarebbe potuto nascondere.
Con che diritto, mi chiesi tra me, P. Pio aveva espresso quei giudizi?

IX) L'Iniziazione: Una Sintesi


di EA

Per concludere, da parte mia, voglio aggiungere una breve sintesi di quanto emerso.
L'iniziazione non è che un caso particolare dell'influenza che due o più esseri, che siano in
relazione, hanno gli uni sugli altri. In realtà, poichè Tutto è Uno, ogni ente è in relazione con
tutti gli altri, perfino quando non sia consapevole di tale relazione e perciò vi è sempre una
qualche influenza reciproca. Perchè essa possa considerarsi "iniziatica", deve essere
soddisfatto almeno un requisito: "L'influenza è iniziatica se agisce a favore della realizzazione
del'individuo sul quale è esercitata". Cosa abbia da intendersi per 'realizzazione', lo abbiamo già
spiegato nel Quaderno dedicato alla Porta Ermetica di Roma: è il triplice atto trasmutatorio,
eseguendo il quale Ermete è detto "Tre volte grandissimo" (Trismegisto). Talvolta si afferma che
un secondo requisito è la 'consapevolezza' della trasmissione dell'influenza stessa, tanto da
parte del Maestro, tanto da parte del Recipiendario. Ma non è sempre così. A volte, agli inizi, il
recipiendario è ignaro dell'influenza. Ciò si verifica soprattutto nel caso di familiari del Maestro,
nei confronti dei quali egli, avendo un contatto molto più frequente che nel caso di estranei,
talvolta preferisce agire gradualmente ed insensibilmente, così da aggirare più facilmente le
resistenze egoiche. Non è un caso che, nella Massoneria Operativa, come testimoniano le
Carte Associative più antiche, figli e mogli dei maestri entravano in Loggia, senza particolari
formalità, non per nepotismo, ma per l'influenza costante che il Maestro aveva su di loro. A volte
il Maestro stesso può avere un influenza involontaria su coloro con i quali entra in contatto. Egli
si comporta, senza particolare intento, in un modo che può esser detto, per l'appunto,
"magistrale" ed il suo esempio (a tacere del suo pensiero magico) può influenzare anche coloro
sui quali non intendeva esercitare volontariamente una influenza. Ma cosa è mai questa
influenza? e come si esercita? Occorre tener presente che l'umano "miscuglio", che Ermete
deve sapientemente trasformare in immortale "composto", è costituito dai quattro 'corpi'
ermetici: solare, mercuriale, lunare e saturnio. Il Corpo Solare (il Purusha del Samkhya, l'Enade
di Proclo, l'Intelletto Attivo di Aristotele) è in "relazione esterna" con il resto dell'universo. Uso il
termine "relazione esterna" per indicare che il "Corpo Solare non è in 'relazione inclusiva' o di
'appartenenza' con la Natura o con altri Corpi Solari, ma gode, rispetto ad essi, di un'autonomia
che non giunge all'estraneità, essendovi una relazione conoscitiva, che però non altera, se non
in apparenza, il Corpo Solare medesimo. Gli altri tre 'corpi' ermetici appartengono invece alla
'Natura' e perciò sono soggetti ad influenze più marcate, che li alterano in bene e in male. In
particolare, l'individualità, intesa in senso ristretto e inferiore, corrisponde soprattutto al Corpo
Mercuriale, che, nel'uomo comune, è quello soggetto alla trasmigrazione (si veda il Quaderno
dedicato a tale argomento). E' soprattutto sul corpo mercuriale, ma talvolta anche sul lunare e
sul saturnio, che si esercita l'influenza di un Maestro. L'influenza che può trasmettersi tra due
individui qualsiasi va da un minimo, dovuto al comportamento esemplare e alla parola
esplicativa, ad un massimo, corrispondente all'influenza ipnotica di un individuo su di un altro.
L'influenza iniziatica non può mai essere ipnotica; al contrario tra le qualificazioni iniziatiche si
richiede che il recipiendario sappia resistere all'ipnosi, altrimenti pratiche come la
concentrazione e la meditazione (e ancor più l'Ars Dormiendi e l'Ars Moriendi) sono
semplicemente impossibili, giacchè devierebbero in forme medianiche passive. Tuttavia, si deve
distinguere l'iniziazione solare (o osiridea) da quella lunare (o isiaca). La prima, riservata agli
individui meno bisognosi di aiuto, si basa sull'esempio (il Maestro si limita a praticare assieme ai
discepoli o assegna loro un rito da eseguirsi) e sulla parola esplicativa. La seconda, riservata a
chi è più bisognevole di aiuto, implica invece una più profonda e diretta modellizzazione dei
corpi sottili del recipiendario da parte del Maestro, al fine di eliminare gli impedimenti alla
realizzazione. L'iniziazione solare, in mancanza di un Maestro (Guru, Magister), può essere
impartita anche da un 'supplente' (Upaguru, Promagister(1)), che disponga del rito da
trasmettere e sappia darne spiegazione: l'iniziato solare ha infatti abbastanza forza in proprio,
da poter fare a meno dell'influsso di un Maestro propriamente detto. L'iniziazione lunare, al
contrario, non può prescindere dall'azione di un Maestro effettivo, essendo l'iniziato lunare, agli
inizi, troppo debole per procedere con le sole proprie gambe. Ciò rende le confraternite isiache
più soggette a decadenza, nel caso vengano a mancare maestri effettivi e l'azione dei maestri
passati non si eserciti in modo extranormale (cioè anche mancando la loro presenza fisica).
Rientrano, ovviamente, nell'iniziazione solare quei casi limite, nei quali basta al recipiendario la
sola conoscenza indiretta dell'insegnamento di un Maestro, appresa anche dalla semplice
lettura di un testo sacro, per indurlo a dedicarsi all'ascesi spirituale.

(1) Il termine latino "promagister" equivale all'italiano "assistente del maestro". Ad es., all'epoca
dell'Impero Romano, l'Imperatore ricopriva anche la carica di Pontifex Maximus o Magister
Pontificum. Quando, come avveniva, egli era altrove impegnato, un Promagister Pontificum lo
suppliva alla guida del Collegium Pontificum.[N.d.U.]

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