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Sbarbaro e la forma-frammento
Federico Castigliano
To cite this article: Federico Castigliano (2014) Sbarbaro e la forma-frammento, Italian Studies,
69:1, 111-126, DOI: 10.1179/0075163413Z.00000000062
Sbarbaro e la forma-frammento
Federico Castigliano
University of Nantes
A partire dalla rassegna dei recenti lavori sulla prosa di Camillo Sbarbaro,
il saggio prende in esame l’operazione decennale di riscrittura che ha
caratterizzato i frammenti dell’autore ligure. Questa revisione esprime,
da un lato, la dialettica tra l’espressionismo ‘vociano’ di inizio secolo e il
classicismo degli anni Trenta e Quaranta e, da un altro lato, una necessità
interiore dell’autore: esorcizzare, attraverso il controllo formale, il risultato
doloroso della ricerca esistenziale condotta durante la sua giovinezza.
L’articolo rivaluta dunque la portata filosofica e lo sperimentalismo stilistico
che caratterizzano l’ultima fase della produzione di Sbarbaro, elementi a
lungo sottovalutati dalla critica.
Il rinnovato fervore che gli studi su Camillo Sbarbaro hanno conosciuto nell’ultimo
decennio ha contribuito a dissipare un pregiudizio critico consolidato, secondo il
quale l’autore, placati gli impeti della giovinezza, avrebbe ripiegato, attorno agli
anni Venti, verso uno scialbo calligrafismo, consacrandosi in seguito alla revisione o
‘riverniciatura’ stilistica dei propri testi, per abbandonare infine il campo letterario e
asserragliarsi nel silenzio o nello studio dei licheni.1 Questo paradigma interpretativo,
ormai datato, assegnava un ruolo minore alla produzione in prosa rispetto a quella
poetica, anche a causa dell’assenza di un’edizione critica degli scritti dell’autore. Un
quarantennale lavoro di riscrittura si concludeva, infatti, con la versione riconosciuta
come ‘definitiva’ — la ‘ne varietur’, pubblicata da Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller
nel 1985 — che proponeva però i testi nella loro ultima veste e senza tenere conto
di una vicenda compositiva particolarmente tormentata.2 Se i lavori di Giampiero
Costa — cui si deve, oltre alla bibliografia degli scritti, l’edizione critica di Resine, di
Trucioli (1920) e la raccolta dei ‘Trucioli’ dispersi —3 hanno consentito di leggere i
1
Vittorio Coletti, Prove di un io minore (Roma: Bulzoni, 1997), p. 40.
2
Camillo Sbarbaro, L’opera in versi e in prosa, a cura di Gina Lagorio, Vanni Scheiwiller (Milano: Garzanti,
1985).
3
Carla Angeleri, Giampiero Costa, Bibliografia degli scritti di Camillo Sbarbaro (Milano: All’insegna del pesce
d’oro, 1986). Camillo Sbarbaro, Resine, a cura di Giampiero Costa (Milano: Scheiwiller, 1988); Id., Trucioli
(1920), a cura di Giampiero Costa (Milano: Scheiwiller, 1990); Id., Trucioli dispersi, a cura di Giampiero
Costa (Milano: Scheiwiller, 1990).
testi nella loro veste originale e di apprezzare, quindi, la stratificazione delle varianti,
gli studi più recenti portano alla luce, pur con risultati ancora discussi e dibattuti, il
rapporto dialettico tra le opere della maturità e quelle della giovinezza, rilevando
come la riformulazione stilistica costituisca un elemento essenziale del percorso
letterario e morale dell’autore.4
La centralità della categoria estetica del frammento sembra essere un approdo
comune alla critica odierna: non solo perché l’attività creativa di Sbarbaro è stata
frammentaria, vista l’abbondanza di pubblicazioni sparse, di varianti e di continui
ripensamenti, ma anche perché essa trova nella forma-frammento la sua espressione
più congeniale. Una scelta stilistica che si spiega, in primo luogo, in relazione a
fattori storico-letterari, come i lavori di Antonello Perli hanno evidenziato in modo
esemplare, rilevando la fitta rete di rapporti tra gli autori e le riviste che costituis-
cono il retroterra dell’opera sbarbariana. Si pensi alla koinè vociana che al tramonto
della cultura positivista seppe catalizzare il desiderio, condiviso da molti, di sprovin-
cializzare e rinnovare il panorama letterario italiano. Nella rivista diretta da De
Robertis confluirono infatti i principali motivi ispiratori del frammentismo: la crisi
del romanzo naturalista — e della sua propensione a fornire rappresentazioni unitarie
e compatte, giudicate inautentiche a seguito della sfiducia nella capacità cognitive e
sistematrici della scienza –, una concezione soggettivista della letteratura, di ispira-
zione ancora spiccatamente romantica, i cui prodromi sono rintracciabili nell’esperienza
della Scapigliatura e delle avanguardie e, infine, la teoria estetica di Benedetto Croce.
Attecchendo in questo fertile terreno, l’opera di Sbarbaro seguì, tuttavia, un percorso
autonomo, solo in parte riconducibile all’evoluzione del contesto culturale a lui
contemporaneo: del resto la figura dell’autore, dato il suo atteggiamento dimesso e
antiretorico, rimase marginale rispetto all’attivismo anche politico delle riviste con
cui collaborò.
In questo articolo mi propongo quindi di ripercorrere, attraverso una scansione
diacronica delle tappe che la compongono, l’evoluzione formale del frammento
di Sbarbaro, definendo un iter letterario che, pur contrassegnato da una spiccata
propensione per la palinodia e lo sperimentalismo, appare oggi più che mai coerente
nei suoi sviluppi.5 Attraverso un’analisi del suo pensiero, ma anche delle fonti e
delle varianti testuali, cercherò di portare alla luce le ragioni personali e morali che
determinarono l’evoluzione stilistica di Sbarbaro, ipotizzando che l’autore ricorse
alla forma prosastica quando, affrancato dalla negatività del proprio ‘io’ che aveva
occupato la scena nelle poesie della giovinezza, intese dare solidità, attraverso
l’atto della scrittura, all’apparenza fenomenica diventata, paradossalmente, la sola
‘sostanza’ nella caducità del tutto.6 Ma dal momento che l’incanto del mondo, per
sua natura fugace e discontinuo, si rivela ai nostri sensi per bagliori improvvisi, ecco
allora che la forma-frammento — secondo le indicazioni che Baudelaire, tra gli
4
Mi riferisco, in particolare, a Stefano Pavarini, Sbarbaro prosatore (Bologna: Il Mulino, 1997); Simone Giusti,
Sulla formazione dei ‘Trucioli’ di Camillo Sbarbaro (Firenze: Le Lettere, 1997); Antonello Perli, La parola
necessaria. Saggio sulla poetica di Sbarbaro (Ravenna: Giorgio Pozzi Editore, 2008).
5
In proposito, il riferimento principale resta il saggio di Donato Valli, Vita e morte del frammento in Italia
(Lecce: Milella, 1980). L’autore ripercorre, dalle avanguardie agli anni del Fascismo, l’evoluzione del genere
letterario.
6
‘Però che, se al vero guardi, cosa non v’ha di sustanzia quanto la parvenza’ (Camillo Sbarbaro, Liquidazione
(Torino: Ribet, 1928), pp. 112–13).
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 113
ideatori del genere, fornisce nella celebre lettera dedicatoria dello Spleen de Paris7
— offre una soluzione stilistica adeguata perché aderisce, con una precisione
fotografica, a questo effimero, permettendo, allo stesso tempo, di narrare la fram-
mentarietà di un’esistenza che non può essere ricondotta a percorso lineare. D’altronde,
il frammento esprime, già da un punto di vista formale, un’impossibilità del dire e del
conoscere. Ponendosi come nota a margine dell’esperienza, esso rimarca un limite
del soggetto, secondo quella ‘gnoseologia negativa’ che accompagna l’atteggiamento
anti-retorico di Sbarbaro e che si riflette in modo evidente nei titoli delle sue raccolte:
da Trucioli a Liquidazione, da Fuochi fatui a Scampoli.
È attraverso uno spoglio delle riviste letterarie degli anni Dieci che si possono
rintracciare le prime esperienze in prosa di Sbarbaro:8 un lavoro di composizione
che interessa il periodo 1913–1919 e che culmina nella raccolta dei Trucioli (1920).
Il passaggio alla prosa era stato prefigurato da Sbarbaro in una lettera del 1912 ad
Angelo Barile:
Non so perché ho sempre sperato poco dalla poesia, l’ho sempre considerata per me un
intermezzo, un episodio. Sento che mi abbandonerà, ma non solo: mi lascerà nelle braccia
della prosa, nella quale spero molto di più [. . .].9
7
‘Quel est celui de nous qui n’a pas, dans ses jours d’ambition, rêvé le miracle d’une prose poétique, musicale
sans rythme et sans rime, assez souple et assez heurtée pour s’adapter aux mouvements lyriques de l’âme, aux
ondulations de la rêverie, aux soubresauts de la conscience’ (Charles Baudelaire, Le Spleen de Paris. Petits
poèmes en prose (Paris: Librairie générale française, 2003), p. 60).
8
Quali Lacerba, La Riviera Ligure, La Voce, La Diana, La Brigata, Dada e la Rivista di Milano (Cfr.
Bibliografia, p. 16). Sulla questione rinvio a Perli, pp. 11–52.
9
L’opera, pp. 553–54.
10
Lo sforzo di rinnovamento che De Robertis impresse a La Voce, anche in senso anti-storicista e anti-crociano,
fece della forma-frammento il punto di incontro tra le poetiche ispirate al simbolismo francese — Mallarmé
in particolare — e le esperienze di autori d’avanguardia italiani quali Campana, Onofri e Soffici (Cfr. Valli,
pp. 7–13).
11
Valli, p. 86.
114 FEDERICO CASTIGLIANO
Tra Pianissimo e le prose dei Trucioli non esiste, d’altronde, una netta cesura,
perché i frammenti, pur allontanandosi dai moduli stilistici del monolinguismo, si
situano nel territorio di confine — così battuto in quegli anni — tra poesia e prosa.12
Già Marziano Guglielminetti notava come il verso di Pianissimo fosse quello di una
poesia che tendeva alla prosa, ‘una musica appena intonata’, e avesse già abbando-
nato alcuni connotati esteriori che caratterizzano la forma poetica, come la rima, per
esempio.13 È perciò rivelativo che, proprio sulla Riviera Ligure, Boine definisca le
composizioni di Pianissimo non poesie, ma ‘frammenti’.
Nella raccolta del 1920 confluì, dunque, un materiale eterogeneo: a testi già
pubblicati su riviste (spesso riproposti con varianti) se ne affiancano altri inediti, per
creare un percorso articolato, volutamente composito, in cui il ‘truciolo’ — prototipo
su cui si svilupperanno anche le prose delle successive raccolte di Sbarbaro — ‘esibisce
fin nel suo aspetto formale la propria fondazione negativa, il suo porsi come esito di
mancata integrazione ontologica tra l’”io” e la realtà’.14
Una classificazione tipologica dei frammenti che costituiscono i Trucioli è utile per
la finalità di questo studio, soprattutto se si tiene conto delle date delle loro prime
pubblicazioni su rivista. Un raffronto cronologico rivela, infatti, il progressivo allon-
tanamento dai temi dell’investigazione esistenziale verso una maggiore oggettivazi-
one, secondo un movimento prefigurato già nella chiusura della silloge poetica, in cui
Sbarbaro aveva introdotto il tema della ‘fuoriuscita da sé’.15
La continuità rispetto a Pianissimo è evidente nei dodici frammenti lirici e intros-
pettivi che scandiscono i Trucioli, i primi a essere pubblicati su riviste, per lo più nel
biennio 1914–1915.16 Caratterizzati graficamente dal corsivo, quasi a segnalare il loro
statuto di commento, questi trucioli tracciano le tappe del monologo interiore
dell’autore, conferendo alla raccolta una struttura unitaria:
A volte seduto in faccia a me vedo il mio io che mi guarda senza voce
o in una stanza improvvisamente mi sento eguale a quel vestito appeso a quell’att-
accapanni.
È l’ora che il burattinaio Bisogno è assente. E se a illudermi d’essere vivo di là mi scrollo
ed esco
sento camminando il meccanismo del corpo e come la caverna dell’eco l’anima mi s’empie
del rumore della via.17
Ritmata dai frequenti ‘a capo’, dalle anafore, dalle ripetizioni e dalle formule
metriche nascoste dietro la linearità del discorso prosastico, la scrittura di Sbarbaro
perviene a una specie di ‘verso lungo’ di stampo vociano, molto simile a quello
12
Boine, sancendo sulle pagine della Riviera Ligure l’appartenenza di Sbarbaro alla ‘letteratura dell’io’, usa
espressamente il termine di ‘frammenti’: ‘Sono colpito in questi frammenti dello Sbarbaro dalla secchezza,
dalla immediata personalità, dalla scarna semplicità del suo dire’ (Giovanni Boine, Sbarbaro. Pianissimo, in Id.,
Il peccato, Plausi e botte, Frantumi, Altri scritti (Milano: Garzanti, 1983), p. 134).
13
Marziano Guglielminetti, Sbarbaro poeta, ed altri liguri (Palermo: Flaccovio, 1983), p. 26.
14
Pavarini, p. 54.
15
‘La mia miseria lascio dietro a me / come la biscia la sua vecchia pelle. / Io non sono più io, io sono un altro.
/ Io sono liberato di me stesso’ (L’opera, p. 45).
16
Per tutte le datazioni si farà riferimento alla Bibliografia.
17
Trucioli (1920), p. 160.
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 115
L’insieme più numeroso dei trucioli ha, invece, un tono più neutro, nella direzione
di quella ‘poetica visiva pittorico-impressionista’,21 per ricorrere alla formula di Perli,
in cui si fa evidente la ‘lezione impressionista di Soffici’.22 In questi testi — che risal-
gono perlopiù a una fase successiva, e cioè al biennio 1916–1917 — la fenomenologia
psicologica dell’autore resta in secondo piano rispetto alle componenti descrittive
e narrative. Sbarbaro si allontana nettamente dal monolinguismo e dall’uniformità
lessicale di Pianissimo: il ricorrere di alcune tecniche compositive quali le catene
analogiche, le ripetizioni, le frequenti spezzature e le coordinazioni per asindeto
testimonia, infatti, l’affermarsi di quella ‘esthétique du discontinu’ che, sulla scia
della tradizione francese del poème en prose, aveva definito la forma-frammento
presso le avanguardie degli anni Dieci.23
Punto di riferimento per misurare l’importanza dei modelli francesi è il saggio
di Susanne Bernard, Le poème en prose de Baudelaire jusqu’à nos jours (1959). La
studiosa, descrivendo il fenomeno del poema in prosa nella letteratura francese,
individua due principali linee di sviluppo di questo genere letterario. La prima, nel
corrispondere all’esasperazione del principio distruttore e anarchico che presiede alla
forma frammentaria, e dunque alla negazione di ogni istituzione formale preesistente,
trova la sua espressione paradigmatica con le Illuminations di Rimbaud. La seconda,
invece, dominata da un principio organizzatore che tende a dare un nuovo assetto al
discorso letterario, è presieduta da un’idea di ordine e di conciliazione, che si realizza,
nel testo, con un processo di stilizzazione della realtà. Negli autori che fanno capo al
secondo gruppo — il cui archetipo è lo Spleen de Paris di Baudelaire — le percezioni
sensibili e il dato biografico sono filtrati mediante un rigoroso controllo formale,
con strumenti retorici, simmetrie e corrispondenze che integrano i contenuti in una
sequenza armoniosa.
Una prosa come quella dei Trucioli, che procede per accumulo di blocchi ritmici e
semantici autonomi senza che le frasi si organizzino secondo rapporti gerarchici, è
18
Cfr. Piero Jahier, Poesie in versi e in prosa (Torino: Einaudi, 1981).
19
Valli, p. 77.
20
Trucioli (1920), p. 153.
21
Perli, p. 77.
22
Giusti, p. 154. Per l’importanza di Soffici si veda anche Perli, pp. 37–51.
23
Suzanne Bernard, Le poème en prose de Baudelaire jusqu’à nos jours (Paris: Nizet, 1959), p. 182.
116 FEDERICO CASTIGLIANO
Sbarbaro, come ha rilevato Valli, non è alieno dall’imprimere a questi trucioli ‘una
loro particolare cadenza sfruttando abilmente la disposizione simmetrica delle parti
e concentrando, attraverso una palese gradazione melodica, l’enfasi emozionale
nel momento in cui la oggettività della descrizione cede la sua carica inerziale
all’apparizione dell’io’.28 Ciononostante, le scelte stilistiche dell’autore testimoniano
la ricerca di una poetica oggettivante: una scrittura ancorata alle ‘cose’, alla realtà
esterna piuttosto che all’introspezione.
Tale ricerca di concretezza emerge dall’analisi delle scelte lessicali e sintattiche dei
Trucioli e si riscontra nel valore dato alle singole parole, ai sostantivi soprattutto, e
nella sintassi nominale, funzionale al principio di sintesi che sovrintende alla forma-
frammento. La ricorrenza di periodi brevi, perlopiù privi di verbo o con forme verbali
indefinite, la punteggiatura isolante, così come l’abbondanza di frasi ellittiche,
enumerazioni ed esclamazioni olofrastiche, sono gli elementi che caratterizzano lo
stile nominale sbarbariano. Si veda, ad esempio, il ritrattino di Nelly, pubblicato
sulla Riviera ligure nel 1916, ma escluso dalla raccolta:
Minuta. Visuccio d’alabastro. Bioccoli intagliati nell’ebano, aderenti alla cute. Aloni
traslucidi intorno agli occhi di brillante.
Gonna moderna e pare di guardinfante.
Non caca non fa pipì. Sgranocchia solo marrons glacés.
Robina da orafo, bibelot.
Si prega di non toccare.29
Spotorno,
paesaggio dell’anima
monti ridotti allo scheletro
aria schietta celestina
cielo liquido che a guardarlo si beve. . .32
30
Un testo in cui è evidente il richiamo a Rimbaud è Evasione: ‘In fondo alla mia breve strada è il silenzio, io
spero. / Non avere faccia né nome fra gli uomini / ma vedere l’alba nascere sulle altre parti del mondo! [. . .]
Diventi muto e le parole non dette mi restino pietre sul cuore / purché io parta un giorno a casaccio pel
mondo / libero e solo non sapendo più il mio nome’ (Trucioli [1920], p. 259).
31
Mario Novaro, Murmuri ed Echi, a cura di Veronica Pesce, pref. di Giorgio Ficara (Genova: San Marco dei
Giustiniani, 2011); Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Tutte le opere, a cura di Pier Antonio Balli (Carrara:
Apua, 1969).
32
Trucioli (1920), p. 277.
118 FEDERICO CASTIGLIANO
legati al ‘maledettismo’ urbano. È una struttura calcolata, che allontana Sbarbaro dal
modello espressionista di Boine — lo avvicina, piuttosto, ad autori più estetizzanti o
formalisti, quali Onofri o Papini — e fa presagire le ricerche stilistiche degli anni
Venti.
Un’analisi dei frammenti di Sbarbaro che tenga conto della progressione
cronologica delle pubblicazioni permette di riscontrare come le prose degli anni
Venti, pubblicate su riviste (quali la Gazzetta di Genova o l’Azione) e confluite
nella raccolta Liquidazione (1928), pur contrassegnate da alcune novità formali, non
costituiscano, contrariamente a quanto è stato sostenuto, un’inversione di rotta nel
percorso stilistico dell’autore. Infatti, se i frammenti di Liquidazione si distendono
in forme narrative o descrittive, seguendo un andamento ‘fra il narrativo e il
colloquiale, il conversativo e l’esempio morale’33 che li allontana nettamente dalla
‘saison en enfer’ dei primi trucioli, essi si pongono in linea di continuità rispetto
al cambiamento preannunciato, innanzitutto a livello stilistico, dai testi narrativi e
paesaggistici scritti negli anni a ridosso della guerra e raccolti nei Trucioli.34
Il frammento sbarbariano degli anni Venti, dilatato ben oltre la misura della
pagina, si organizza come un blocco omogeneo e compatto, secondo una scrittura
continua e distesa orizzontalmente, senza fratture e ‘a capo’. Si tratta, per lo più, di
quadri di vita ligure (Cose di primavera, Particolare di via Montaldo, Borgo) e di
brevi narrazioni o apologhi che hanno come protagonisti gli amici dello scrittore
(Nello l’anarchico, Pierangelo). La descrizione di un fatto quotidiano e comune —
come ad esempio, in Particolare di via Montaldo, un corteo funebre osservato dalla
finestra della propria abitazione genovese — diventa il pretesto per divagazioni e
fantasticherie di varia natura.35
La struttura del frammento riflette questa nuova esigenza compositiva, acquisendo
ora i connotati esteriori della prosa, con forme più distese, quasi digressive. Le frasi
si susseguono in una colata unica, verso quella struttura fluida e musicale in cui
si dissolve il tormentato autobiografismo dei primi Trucioli. Spesso il poema si
organizza in forma anaforica o ciclica, procedendo secondo riprese e variazioni:
Facendo com’io vi dico, ottimamente meriterete della patria, da tema sollevata di villan
marmo; ottimamente di voi medesimo, cui di perspicacia monumento eleverete in eterno;
ottimamente infine delle lettere, ché, sciolto da cure, opere creerò come bimbo spiccia da
canna bolle.36
33
Giorgio Bàrberi Squarotti, Camillo Sbarbaro (Milano: Mursia, 1971), p. 161.
34
Si noti come il tema dell’uscita dall’interiorità, già presente in Pianissimo, ritorni tra i trucioli in corsivo: ‘Così
da me stesso mi muro e le pietre sono le parole’ (Trucioli [1920], p. 258).
35
Liquidazione, pp. 23–30.
36
Liquidazione, p. 19.
37
Si veda, a proposito di questo frammento, Perli, p. 187.
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 119
dei primi trucioli in favore di un dettato più composto, strumento espressivo che mira
a elevare all’eccellenza la quotidianità ricorrendo a un codice linguistico raro e quasi
iniziatico:
Locali rasentati allora con timore riverenziale; dove entrando, qualcuno si interrompe e
al banco vi servono con la premura di chi sbriga un importuno; non presto così che non
notiate la cassapanca troppo sollevata per non celare un sacco di refurtiva; mentre sentite
che verrebbe prevenuto un vostro gesto o passo in direzione del ripostiglio che v’intriga
o della finestra che non si capisce dove risponda.38
38
Bàrberi Squarotti scorge in Liquidazione «un’involuzione sintattica e lessicale nettissima: il discorso si fa con-
torto, cerca la disposizione difforme, tende alla forma arcaica per inversione di costrutti, soprattutto per forti
iperbati fra sostantivi e aggettivi, fra verbi e complementi, per la collocazione del verbo al fondo della propo-
sizione, non per una ragione ritmica, ma per accrescere decisamente il carattere non attuale della poesia,
l’allontanamento dal parlato, la condizione, insomma, della letteratura, che deve essere intesa come diversità,
separazione. . .» (Bàrberi Squarotti, p. 162).
39
Liquidazione, pp. 51–52.
40
Liquidazione, p. 125.
41
L’esaltazione dei modelli nobili della prosa ottocentesca condusse i rondisti al rifiuto degli autori che avevano
sconvolto la lingua e lo stile della tradizione letteraria italiana: D’Annunzio, Pascoli, le avanguardie e i vociani,
in particolare. L’estetica razionalista dei rondisti, come declama Vincenzo Cardarelli nel prologo al primo
numero della rivista, afferma il primato assoluto, nell’arte, della forma per se stessa, e svincola la letteratura
da qualunque contenutismo. L’ideale rondista di ‘arte per arte’ esclude quindi qualsiasi responsabilità o pro-
getto sociale della letteratura, che si limita invece a rispecchiare la realtà esistente e occuparsi del gioco formale
dei testi in un superiore distacco ironico.
120 FEDERICO CASTIGLIANO
42
Per un’analisi degli Ammaestramenti, si veda anche Federico Castigliano, ‘“Cosa non v’ha di sustanzia quanto
la parvenza”. Gli Ammaestramenti a Polidoro di Camillo Sbarbaro’, Studi e Ricerche, 3 (2008), 37–63.
43
Del resto, il leopardismo di Sbarbaro ha radici profonde ed è riconoscibile, come notò già Boine, nella cifra
stilistica di Pianissimo: ‘Questa sordità, questa funebre cenere, questo che di muto e di disadorno è passato dal
Leopardi nello Sbarbaro’ (Sbarbaro. Pianissimo, p. 133).
44
Cfr. questo passo dello Zibaldone: ‘Le illusioni non possono esser condannate, spregiate, perseguitate se non
dagl’illusi, e da coloro che credono che questo mondo sia o possa essere veramente qualcosa, e qualcosa di
bello. Illusione capitalissima: e quindi il mezzo filosofo combatte le illusioni perché appunto è illuso, il vero
filosofo le ama e predica, perché non è illuso: e il combattere le illusioni in genere è il più certo segno
d’imperfettissimo e insufficientissimo sapere, e di notabile illusione’ (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri,
2 vols (Milano: Mondadori, 1972), II, p. 620).
45
Liquidazione, p. 113. Cfr. anche: ‘Nostra risorsa, piluccare apparenze’ (Trucioli dispersi, p. 117).
46
Forse proprio a causa di questa oscurità della parola prevalgono, sugli Ammaestramenti, giudizi negativi:
se Scalia li definisce ‘un’elaborazione di dubbio gusto’, una ‘prova sostanzialmente gratuita’ (Gianni Scalia,
‘Camillo Sbarbaro’, Belfagor, X, 1955, 463–64), Puccini parla di uno stile ‘aulico’ e ‘classicamente paludato’
(Davide Puccini, Lettura di Sbarbaro (Firenze: Vallecchi, 1974), p. 85), mentre Bàrberi Squarotti fa notare come
questo linguaggio rischi di esplodere ‘nel contrasto insopportabile fra l’elevazione lirica e lo strumento che è,
invece, di tipo grottesco, intimidatorio, terroristico, eminentemente antilirico’ (Bàrberi Squarotti, p. 169).
47
Liquidazione, p. 258.
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 121
Così, messi da parte i compagni della giovinezza (‘con siffatti usa parcatamente, se
non vuoi indi a poco malazzato di buzzo trovarti. . .’),48 il nuovo modello di scrittura
diviene, nel modo più paradossale, Ponson du Terrail, scrittore di romanzi d’appendice,
orditore di intrecci straordinari, emblema di una letteratura che non si interroga sul
senso o sul non senso del mondo, ma si appaga edonisticamente della narrazione
pura:49
Ma tutti, a mio vedere, li avanza Ponsone; Ponsone mio cocco; quei che solo, al mio
genio indulgendo, avrei per maestro tenuto. Se quelli ponzano un rigo e di sette riposano
poi, ha questi tal buzzo da far vana d’Ercole la bisogna. [. . .] Polidoro, foss’io tale
autore!
48
Liquidazione, pp. 110–11.
49
Per chi aspira a uscire dall’angusto spazio dell’‘io’, l’obiettivo è dunque l’incoscienza, o il divertissement:
‘per fortuna non c’è un momento libero per pensare’, scrive Sbarbaro ad Angelo Barile dal fronte. Persino la
guerra è preferibile al buco nero dell’interiorità: ‘ormai che è ricordo, riconoscenza alla guerra che per due anni
mi distrasse da me’ (Trucioli dispersi, p. 117).
50
Celebre la definizione montaliana di Sbarbaro, quale ‘storico / di cupidigie e brividi’ (Eugenio Montale, Tutte
le poesie (Milano: Mondadori, 1985), p. 17).
51
Liquidazione, p. 48.
52
‘Ero così approdato alla mia terraferma, la prosa’ (L’opera, p. 473).
53
Scampoli, pubblicato nel 1960 da Vallecchi, riproduce, con varianti, ventisette frammenti di Trucioli (1920) e
uno di Liquidazione; a ciò si aggiungono nove frammenti inediti e altri sei già pubblicati su quotidiani (Il
Lavoro e La gazzetta del Popolo) negli anni 1931–1933. Gli Scampoli costituiscono un assemblaggio realizzato
dall’autore per mere ragioni editoriali e si situano perfettamente nell’ambito delle tendenze stilistiche dei
Trucioli del 1948.
122 FEDERICO CASTIGLIANO
54
Il modello baudelairiano traspare direttamente in alcuni frammenti, come Le finestre (L’opera, p. 335), che
ricalca direttamente Les fenêtres dello Spleen de Paris (Baudelaire, pp. 173–74).
55
Trucioli (1948), p. 342.
56
Il tema stoico dell’’arrabbiato amor di vita’ costituisce l’evoluzione e il superamento del giovanile cupio
dissolvi.
57
Un rapporto, questo tra lo Sbarbaro scrittore e scienziato, oggetto di diversi studi, tra i quali ricordo quello di
Lavinia Spalanca, I fiori del deserto. Sbarbaro tra poesia e scienza (Genova: Edizioni San Marco dei Giustiniani,
2008).
58
Trucioli (1948), in L’opera, pp. 390–91.
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 123
59
Cfr. la nota introduttiva di Vanni Scheiwiller in L’opera, p. 10.
60
Per la stessa ragione, alcuni testi dei Trucioli (1920), ad esempio il Paesaggio ubriaco, sono addirittura
espunti dall’edizione definitiva: Trucioli (1920), pp. 214–15.
61
Trucioli (1920), p. 186.
62
Trucioli (1948), p. 137.
124 FEDERICO CASTIGLIANO
Le varianti testuali, più evidenti quando operate sui trucioli trasposti graficamente
in corsivo nell’edizione del 1920 di cui si è fornito un esempio, si riscontrano anche
nei frammenti successivi, e persino nei testi di Liquidazione, dai quali, tuttavia, erano
già sfumati i motivi più espliciti del ‘maledettismo’.
I Fuochi fatui, quasi il punto di arrivo della ricerca stilistica intrapresa da Sbarbaro
negli anni Dieci, furono pubblicati nel 1956 e più volte ristampati, in edizioni
accresciute, fino alla definitiva, del 1967. In quest’ultima confluirono, oltre ad alcuni
inediti, anche frammenti già pubblicati su riviste (che risalivano perfino alla prima
stagione della prosa sbarbariana) i quali, scartati dalle precedenti raccolte, furono
riproposti con varianti, così come le plaquettes nate dalla collaborazione con Schei-
willer e pubblicate in occasione dei compleanni di Sbarbaro (Gocce, 1963; ‘Il Nostro’
e Nuove gocce, 1964; Contagocce, 1965; Bolle di sapone, 1966; Quisquilie, 1967).63
La raccolta, Fuochi fatui, si presenta, dunque, come una cornice aperta, concepita
per accogliere materiale eterogeneo — brevi battute, ricordi, quadretti descrittivi e
aforismi — rispecchiando, nella sua struttura, la discontinuità dell’attività creativa
dell’ultimo Sbarbaro. Benché i frammenti che la compongono risalgano a epoche
diverse, l’opera è caratterizzata da una generale uniformità espressiva:64 per lo stile
sentenziale, aforistico, e per il ricorso a una lingua spoglia che marca il ritorno, come
l’autore stesso segnala in apertura della raccolta, alla ‘povertà di Pianissimo’.65 Di
fronte al riemergere di alcuni temi giovanili e al rinnovamento stilistico che carat-
terizza i Fuochi fatui, sembra quindi più che mai impropria la dicotomia, a lungo in
voga nella critica, tra lo Sbarbaro ‘espressionista’ e quello ‘calligrafico’ dell’ultimo
periodo: Fuochi fatui si pone, anzi, come riepilogo dell’intera esistenza e del percorso
creativo dell’autore.
Come ha rilevato Bàrberi Squarotti, i Fuochi fatui danno l’impressione calcolata
‘dell’ultima dichiarazione della vecchiaia, sempre dettata sull’orlo del silenzio, già,
anzi, corrosa ai margini del nulla’.66 I frammenti tendono a una dimensione ‘monis-
tica e residuale’,67 acquisendo un tono lapidario, quasi testamentario, tanto da non
essere suscettibili di un’ulteriore sintesi, né di una diversa espressione: ‘Queste
quisquilie sono prefabbricate. Tra chi scrive e quel che vuol dire, l’intermediario più
infido è la carta. Non l’affronto finché sono incerto sia pure su una virgola’.68
Se, conformemente alla poetica sbarbariana, la soggettività deve eclissarsi dietro
alla grandezza delle cose, i Fuochi fatui — frammenti composti in fasi diverse,
63
La prima edizione dei Fuochi fatui è pubblicata nel 1956, a Milano presso Scheiwiller, cui fa seguito una
seconda, accresciuta, del 1958, e poi una terza, questa volta presso Ricciardi, nel 1962; vi è infine l’edizione
definitiva, che segue il dattiloscritto inviato da Sbarbaro a Vanni Scheiwiller nel giugno 1967, poco prima
della morte dell’autore (ma che venne pubblicata solo nel 1985, nell’edizione Garzanti di ‘tutto Sbarbaro’), e
che riproduce, secondo un nuovo ordine, i testi del 1962, con l’aggiunta di alcuni frammenti contenuti nelle
plaquettes stampate da Scheiwiller negli anni 1963–1967.
64
I frammenti dei Fuochi fatui si dispongono nella raccolta senza un criterio ordinatore. L’edizione Garzanti del
1985, a differenza delle altre, circoscrive due sezioni cronologiche (1916–1918 e 1940–1945) per i frammenti che
si riferiscono ai periodi delle due guerre.
65
‘. . .mi sono per naturale decantazione spogliato fin dove possibile di letteratura, riaccostandomi alla povertà
di Pianissimo’ (L’opera, p. 422).
66
Bàrberi Squarotti, p. 225.
67
Pavarini, p. 15.
68
Trucioli dispersi, p. 115.
SBARBARO E LA FORMA-FRAMMENTO 125
Una scrittura ellittica, funzionale all’espressione di una saggezza che si vuole scet-
tica e asistematica. L’insegnamento morale assume allora una forma paradossale,71
perché esso mette in causa o rovescia il pensiero comune: ‘Possiede — per cui non si
possiede’; ‘Solo ciò che non si paga costa’; ‘Non ha punti d’appoggio; per questo è
stabile’.72 Lo sforzo moraleggiante dell’autore, insomma, mira a sollevare a massima
o epigramma i piccoli insegnamenti della quotidianità:
Del suo riflesso la vite ora illumina la stanza: un riflesso che alimenta la corruzione,
acceso quanto più vicino a spegnersi. Come i popoli la loro parabola, chiude la sua
vicenda un fuoco d’artifizio. Felice epilogo: a che pro secoli di stento se la forza di Roma
non fosse sbocciata nella decadenza?73
Riemerge così, nei Fuochi fatui, quella tendenza alla sfiducia nella parola che
aveva percorso l’intera parabola creativa di Sbarbaro: dai Trucioli del 1920, conce-
piti sotto l’astro rimbaudiano della ‘rinuncia’ alla letteratura,74 a quelli del 1948, dove
il silenzio era la dimensione in cui si allontanava la soggettività, considerato che la
felicità consiste nell’oblio e nella rimozione: ‘Più facile scrivere che cancellare; più che
in ciò che riesce a dire, il merito dello scrittore è in ciò che riesce a tacere’; ‘Che hai?
Ti senti male?’ — Ruminavo un verso. Pensare sciupa’.75
69
L’opera, p. 484.
70
L’opera, p. 438.
71
‘La forza dell’aforisma è nella sua perentorietà, come quella dello sgherro nel ceffo. Forza-sopruso’, ibid.
72
L’opera, p. 458; p. 458; p. 537.
73
L’opera, p. 487.
74
‘In fondo alla mia breve strada è il silenzio, io spero. / Non avere faccia né nome tra gli uomini / ma vedere
l’alba nascere sulle altre parti del mondo!’ (Trucioli [1920], p. 259).
75
L’opera, p. 480; p. 468.
126 FEDERICO CASTIGLIANO
Se l’apparenza è la sola sostanza del mondo, ma anche il solo ambito in cui può
operare e pronunciarsi il filosofo, la forma frammentaria riproduce, sulla pagina di
un libro, queste illuminazioni. Il ‘fuoco fatuo’ è quindi metafora dell’apparire,
improvviso quanto effimero, della bellezza fenomenica: un ‘velo di Maia’ dietro a cui si
cela il noumenico ‘nulla’: ‘Nostra risorsa, piluccare apparenze; ‘Bisognerà un giorno
o l’altro riabilitare l’apparenza’; ‘Deploriamo l’incoscienza; e senza questo sughero
quanti si terrebbero a galla?’.79 Come un drappo lucente disteso sulla ‘putrefazione’
del mondo, le illusioni acquisiscono un valore pietoso: perché da esse, e non dalla
verità, discende la felicità dell’uomo.80 Un tema, questo, di chiara derivazione leop-
ardiana, ma che lo stesso Sbarbaro aveva preannunciato sin da Resine, la cui poesia
Il Picco si concludeva così:
Il picco rovente
col sogno contrasta;
ma il sogno per giungere
sul picco mi basta.81
76
‘Poesia, altro vizio solitario’ (L’opera, p. 537; p. 505).
77
L’opera, pp. 364–65.
78
L’opera, pp. 530–31.
79
Trucioli dispersi, p. 117; p. 26; L’opera, p. 437.
80
‘Mi piace questo paese dove tutto è falso e brillante / come un velo iridato su una putrefazione’ (Trucioli [1920],
p. 193).
81
Resine, p. 90.