Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
18 NOVEMBRE 2021
H 8-10 circa
“fra le diverse proposte di Fabrizio Sinisi abbiamo scelto AGAMENNONE sia perché è un
personaggio noto ai nostri alunni, che studiano l’ILIADE al primo anno, sia perché rappresenta un
archetipo di uomo forte e audace, che qui invece viene colto nelle sue fragilità. Si tratta infatti di
Agamennone al ritorno in patria, ad Argo, dopo la guerra di Troia, costretto a combattere non più
contro i troiani bensì contro le insidie tremende della sua famiglia”
Legge il coro
Ogni guerra, si sa, proietta la sua ombra . Ogni guerra genera un’altra guerra. C’è la guerra di chi
parte per la guerra e la guerra di chi rimane a casa. La guerra dei mariti e quella delle mogli. La
guerra dei padri e quella dei figli. E la guerra di chi parte produce la guerra di chi resta: così come
non solo una madre mette al mondo un figlio ma ogni figlio genera una madre, trasforma una
donna in una madre – così ogni guerra scatena un’altra guerra contrapposta e diversa come un
riflesso perverso in uno specchio. Sono dieci anni che Agamennone è partito.
Dieci anni che fra noi, Argo, sua città, sprofonda la guerra della sua assenza. È sempre bene al
popolo una guida, anche quando è una pessima guida: è bene avere sempre qualcuno, anche solo
da odiare, qualcuno a cui dare la colpa. E infatti oggi, dopo dieci anni che Agamennone manca, la
nostra Argo è una città distrutta dalla fame, intontita dal disordine, ottusa e accecata dalla febbre.
I bambini che non sono mai partiti per la guerra adesso sono giovani ventenni intossicati dalla
rabbia e dalla noia, feroci, stupidi e violenti come animali drogati. E quasi rido nel chiamare nostro
questo luogo che pure è stato grande: una città smarrita in un delirio profondo, come un tropico
abissale, o l’intimo recesso di una giungla.
2CSU -
La governa, pro tempore e in assenza del legittimo sovrano, sua moglie Clitemnestra, la regina.
Non la vediamo mai, se non quando decide di mostrarsi, uscendo dalla tana del palazzo reale
blindato come un bunker, circondato di guardie. Ed eccola: stanata forse dalla vergogna o dal
desiderio del sole, venire qui sull’orlo estremo del paese, bella e piena d’ombra come l’imminenza
del giorno che proprio ora avanza pianissimo sul mare.
LEGGE CLITEMNESTRA
Io non sono Agamennone. Lui sì, era capace di sedersi lungo una lama di muro nel piovasco per
ore ad ascoltare le stupide lamentele di un pastore, o i conti di un mandriano, mangiare insieme ai
contadini la frutta appena sgranata dalla terra, parlare con quella gente come se fosse uno di loro.
Agamennone, lui sì, sapeva aiutare a sollevare un carro incastrato nel fango, conosceva l’arte
segreta – a me sempre e per sempre sconosciuta – di giocare coi bambini, parlare con un povero:
lui sì sapeva farsi amare. Era forte, in mezzo a uomini che rispettano solo la forza; e così pure era
dolce lì dove invece loro conoscono soltanto la violenza. Il dio che Agamennone ha nel sangue è un
dio che tutti sono in grado di capire. Io no. Io ho schifo di toccare un povero, non sono capace di
camminare per una strada sventrata; rido poco, e quando lo faccio la mia risata è muta e genera
sospetto in chi l’ascolta. Guardo ogni uomo con rabbia: ogni essere mi è contrapposto, e io,
Clitemnestra, io sola sono l’essere unico, diverso – inconciliabile. Il popolo non mi ama, e lo
capisco, fa bene: nessuno è capace di amare Clitemnestra.
Io Starò zitta invece. Cassandra starà zitta. Zitta e buona. Zitta e buona come una brava bambina. Certo
però è bizzarro. Ero figlia di Priamo, re di Troia, sacerdotessa di Apollo – io stessa ero il capolavoro del dio, il
culmine di Troia città d’oro : eppure nessuno credeva alla mia profezia, nessuno. Nessuno mi ha creduta
allora. Ho detto loro, a ciascuno di loro di che morte sarebbero caduti. E nessuno mi ha creduta. Neanche
per un attimo un soffio di dubbio ha attraversato quei pensieri bovini. Eppure ero la figlia del re. E invece
ora che sono schiava come un cane alla catena, adesso l’unico a credermi è il mio padrone, l’unico ad
amarmi è il mio padrone, quello a cui appartengo, quello che potrebbe rompermi un osso o mozzarmi la
testa così, senza fiatare: e ne avrebbe il diritto. Lui sì, mi crede, e mi teme, e non vuole che io parli, perché
io so qual è la tua fine. E nessun uomo al mondo vuole davvero sapere la fine prima della fine. Vero,
Agamennone?
Solo a te posso dirlo. Ho paura di tutto. La malattia, la noia, la paura. Il volto di mia moglie. La casa
e la strada, che forse non mi basteranno più. Queste cose, a Troia, non erano. Erano solo l’oggetto
di una nostalgia. Per questo la guerra mi piaceva. La guerra è più semplice di questo, la guerra è
facile, e a volte è bella, certi momenti: sei lì, puro corpo, in bilico fra la morte e la vita. Non mi
sono mai sentito così vivo come presso la morte, inzaccherato di sangue, i nervi tesi, leggero,
ficcato alle radici del pensiero dove non esiste pensiero ma solo l’azione, stretto all’arma come al
corpo di una donna, fedele al mio essere qui e ora corpo, lampo, passaggio di luce fra un’ombra e
l’altra della vita: una gioia indicibile. Ma sempre poi bisogna ritornare ai giochi del terribile: il
potere, la politica, la storia.
Cittadini di Argo, mia carissima moglie. Vi confesso che a lungo nei giorni nei mesi negli anni sotto le mura
di Troia ho pensato che non avrei mai più rivisto la mia casa. A tutto ci si abitua, anche alla morte, e io ho
visto morire molti amici. E mi dicevo: domani toccherà a me. Oggi no, oggi ancora no. Ma domani. E poi
domani. Così per dieci anni. Pensavo a questa casa, al mio popolo, alla chiara, e vasta mandria di case sotto
la luna a perdita d’occhio dai palazzi ai giardini alle suburre e alle periferie color di cenere fino al mare ed
era come un sogno che si avvicinava e nel tempo diventava sempre un po’ più vero. Adesso quel sogno è
qui, adesso, ed io non potrei essere più felice. Mia moglie dice che non l’avete amata. Questo mi dispiace,
ma lo comprendo: il popolo soffre in assenza del padre, come io ho sofferto ogni secondo passato lontano
da voi, miei figli – il mio popolo, la mia casa, la mia città, la mia famiglia: ecco la mia vita, ecco il luogo della
mia pace. Cittadini di Argo, mia carissima moglie. Vi guardo e penso: “Nulla più mi manca”. Ora mi ritirerò a
palazzo per stare con mia moglie che tanto mi è mancata e che tanto mi ha voluto. È finito il tempo dei
massacri. Cominci la festa! Godete, suonate e ballate, andate e riempite le strade: è scesa su di noi la sera,
un tempo nuovo inizia.
Lo stanzone è vuoto: tutti se ne sono andati qua e là per il palazzo. Dopo la musica e il frastuono è salito
sulla città e sulla casa un silenzio terribile: qualcosa qui sta per succedere. “È finito il tempo dei massacri”.
Così ha detto Agamennone, il re, il signore degli eserciti. Ma il tempo dei massacri non finisce. Una volta
innescata la ruota non si ferma finché non ha esaurito il suo ciclo e bruciato ogni cosa. L’odore della morte
appesta i muri, il sangue invade i saloni bui e muti – nella gola ho il sapore della cenere. Tempo di sangue,
tempo di sventura: qualcosa qui sta per succedere.
LEGGE CLITEMNESTRA – 1CSU: AMATO Aurora
Adesso tutto mi separa dalla vita. Sono murata fuori dal mondo degli umani. Vivo arsa di nostalgia e guardo
alla mia vita, a quello che io ero come una bestia feroce d’inverno da fuori guarda una casa illuminata. Non
c’è creatura al mondo che ami Clitemnestra. Nemmeno Clitemnestra ama Clitemnestra! Ecco cosa c’è
adesso.
Ti vidi quella prima volta. Ti vidi. Lo ricordo e ti vedo come se fosse qui davanti a me la Clitemnestra di
allora. Ti vedo: in un mattino d’inizio maggio svelarti tra le sbarre di un cancello – di là, in un giardino
acceso di un furore di luce: bella, bella al punto che quell’apparizione mi fece trasalire. Sapevo che ti avrei
sposata, ma ancora non ti avevo vista, e allora – quando finalmente ti vidi – il cuore ebbe un contraccolpo
di gioia; il vero, il primo e forse l’unico contraccolpo di gioia della vita, così forte che ho dovuto
appoggiarmi a un muro per non cadere. Mi sentii stravolto per il bene che contro ogni speranza e mio
malgrado in te mi stava accadendo.
Anch’io ti vidi. Un giovane uomo. Non avevo paura degli uomini ma di te sì. Una tremenda malinconia nella
voce. La sentii quando mi parlasti, mi chiamasti la prima volta... E avevi una tristezza nella voce – ma in
quella tristezza riconobbi la mia. Finora non avevo mai visto la mia tristezza, e nella tua finalmente mi
riconobbi. Prima di te non avevo mai saputo il mio desiderio di essere più di questo, più della terra e del
corpo, oltre il cuore e il potere. 45 Da te lo seppi, quel giorno e poi ancora e ancora. La tua fame m’insegnò
la fame – fu il tuo desiderio a dare fuoco al mio.
E tu con il tuo sguardo d’infinito amore mi davi la vertigine. Quello che io ho fatto da quel momento in poi
l’abbiamo fatto insieme.
Oh, tutta la vita sentiamo su di noi l’ombra di un destino diverso. Mai però che ci decidiamo a dire di sì o di
no veramente, e ad afferrarlo e a prenderci la vita che ci spetta. Agamennone, quello che abbiamo
l’abbiamo scelto e quello che ci manca l’abbiamo rifiutato. Non c’è un altro destino, per noi, qui.
È davvero così necessario questo, Clitemnestra? È davvero così tardi, per noi? Quello che devi fare fallo
presto.