I giganti della montagna e` l’ultima opera di Pirandello, iniziata nel 1931 e rimasta
incompiuta. Il terzo atto dell'opera fu schematicamente completato dal figlio Stefano, su
indicazione del padre morente. Il dramma fu messo in scena per la prima volta nel 1937 ai giardini Boboli di Firenze. Una compagnia di attori girovaghi, guidata dalla contessa Ilse, avendo deciso di recitare “La favola del figlio cambiato” (una opera altamente drammatica dello stesso Pirandello) e non trovando accoglienza nei comuni teatri, giunge ad una villa che sembra abbandonata. Gli strani e misteriosi abitanti della villa, il mago Cotrone e gli Scalognati, cercano dapprima di allontanarli con tuoni, fulmini, apparizioni di fantasmi e altro, infine, poiche` i commedianti non si lasciano intimorire, li accolgono, e Cotrone cerca di convincere la contessa a recitare per gli ospiti della villa il suo dramma, una storia scritta per lei da un giovane poeta che, innamorato e da lei respinto, si e` ucciso. La villa puo` accoglierli perché e` una ‘dimora molto particolare’, dove tutto puo` realizzarsi, basta volerlo: “Siamo qui come agli orli della vita, Contessa” dice Crotone ad Ilse “Gli orli, a un comando, si distaccano, entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. E` cosa naturale. Avviene cio` che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… Tutto l’infinto che e` negli uomini, lei lo trovera` dentro e intorno a questa villa” Ma Ilse non accetta, vuole che, in qualche modo, chi assiste all’opera teatrale venga coinvolto, magari in modo conflittuale; allora Cotrone le propone di recitare la sua favola ai Giganti della montagna, potenti signori occupati nella realizzazione di grandi opere, che potrebbero inserirla in un contesto di festeggiamenti per un loro importante matrimonio. La tragedia termina con l’arrivo dei Giganti (si odono musiche e urla quasi selvagge) ed ecco le ultime parole mai scritte da Pirandello in un'opera, e pronunciate da Diamante, la seconda donna della compagnia del teatranti: “Io ho paura, ho paura”. Nell’epilogo, che non e` nel dramma, ma che era nelle intenzioni dell’autore, poi, si viene a sapere che i Giganti, tutta razionalita` e interessi materiali, non accettano la proposta, non hanno tempo per la poesia e le cose dello spirito, ma permettono che la rappresentazione venga allestita per il popolo, i loro servitori. Ilse, pure consapevole del pericolo di portare la sua arte a chi e` completamente privo di sensibilita`, accetta. Urla e fischi accolgono la rappresentazione, gli attori reagiscono, nasce una zuffa, Ilse viene uccisa. Nella figura dei Giganti possiamo scorgere gli echi del regime fascista, nei cui confronti Pirandello si rivelererà sempre più scettico nonostante la formale adesione al partito e il sostegno da esso ricevuto. Per P. la smodata ricerca della potenza materiale aveva reso lo stato fascista insensibile nei confronti dell'arte e della poesia, utilizzate come mero strumento di autocelebrazione e di retorica nazionale estraneo all'autenticità del gesto poetico. La villa di Cotrone appare come un non-luogo staccato dalla realtà politica e sociale, posto in una dimensione marginale e onirica, l'unica in cui sia rimasto possibile coltivare la bellezza e l'autenticità. Dietro le spoglie del bizzarro mago si cela l'autore stesso, rifugiatosi nel sogno, lontano dal brutale mondo degli uomini e degli stati che hanno assassinato l'arte. Emblematico il modo in cui si sarebbe chiusa l'opera: la morte della contessa Ilse (che simboleggia l'amore disinteressato per l'arte) a opera del popolo, servitore dei Giganti. Con La nuova colonia e Lazzaro, I giganti della montagna appartiene all'ultima fase della produzione drammaturgica pirandelliana, quella dei miti. I giganti della montagna di questi miti è il più potente, lasciando il lettore-spettatore confuso e smarrito a contemplare la morte dell'arte e dell'autenticità del vivere nel mondo moderno.