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PRIMO TEMPO
SCENA PRIMA
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insaziabile attrazione, del piacere, del sesso,
dell’innamoramento
SCENA SECONDA
DAMA NERA Sono una e sono l’altra, due nomi, due verità
DAMA BIANCA La verità è sua, è lui. Un giorno la separazione
finirà, ci uniranno
DAMA NERA Sarà il tempo della mia scomparsa, mi prenderà
l’invisibile
DAMA BIANCA Non posso dirti ciò che l’altro, l’altra parte conosce.
Ma saprai, saprai ….
SCENA TERZA
MADRE (fuori scena) Chi figghiu sdisangato chi aiu! Acchiana Peppino!
VOCI DI MERCATO Amunì..ca scurò, sconza, amunì ca scurò.
MADRE (in scena) Peppino! Peppino! Peppino! Ma picchì cunti sempre
cunti spiddi picchì fa scantari i picciriddi…Botta ri
sali! Acchiana! Si chiù spirriusu di un cime tuortu.
Si scinno Peppino, si scinno ti smienno, a matri.
Acchiana! Santa Rusulia ta a scantari.
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SCENA QUARTA
SCENA QUINTA
SCENA SESTA
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DAMA BIANCA Nessun inganno, nessuna promessa, non ho niente
per voi
DAMA NERA Sono padrone solo di me stessa e solo questa posso
dare
DAMA BIANCA Nient’altro che illusione e delusione
DAMA NERA Quello che so non lo dico. E quello che non so lo
taccio
SCENA SETTIMA
(Cagliostro, il gobbo, il sordo, il sifilitico e la vecchia ributtante)
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per farli espandere e poi ci pensa il rosso a renderli
duri. Guadagno netto. Guadagno per tutti.
SORDO Puoi fare udire i sordi?
GOBBO Camminare gli storpi. Vedere i ciechi?
SORDO Non sento, non sento niente
GOBBO Guarisci i tarantolati, gli spiritati, gli invasati, gli
allallati? Tutti?
SIFILITICO Mi interessa solo una cosa: tu puoi guarire la
sifilide?
CAGLIOSTRO Il mal francese, per esempio: riduco la malattia allo
stato acuto e subito dopo guarisco, radicalmente.
Mentre gli altri medici la curano col mercurio, io
non tratto veleno con veleno. Dunque divertitevi, se
non è per le vostre animacce che voi temete, ma solo
per i vostri corpi! Se non temete per le vostre anime
sporche, non temete per i vostri corpi
VECCHIA ( di soprassalto) Divo Cagliostro!
CAGLIOSTRO Brutta, proprio brutta!
VECCHIA Talia sta facci, taliala! E’ veru ca mi po fari mettiri a
peddi nova, liscia e lucenti comu quannu avia
vint’anni? (Scoprendosi i seni) E’ veru che i minni
mi fai turnari duri,comu du pipittuna. (Alzandosi la
veste) E’ veru ca m’allisci i cosci comu du culonni?
E’ veru ca mi fai turnari attigghiu menz’i ncinagghi?
(Spalancando la bocca sdentata) E’ veru ca supra
sta vucca ci fai vulari vasati come fussiru aceddi?
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CAGLIOSTRO (Attira a se la vecchia e la bacia, per poi respingerla
brutalmente) “La follia è una malattia. La vecchiaia
è una malattia. Compaiono insieme, per destino, per
disperazione. E nessuno può farci niente. Solo io
posso, con le mie doti speciali, soprannaturali, con
semplicità, con il mio alito salvifico: di eterna
giovinezza”
GOBBO “Tu che sai guarire tutti i mali, levami questo peso!”
CAGLIOSTRO (Lo fissa profondamente, poi butta il gobbo per
terra) Io posso tutto se voglio. Se mi conviene.
Niente mi sfugge. Niente, per me, è impossibile. Per
te ho una soluzione meccanica: una lastra di ferro di
quattro libre (precise), messe sulla gobba e poi
dormirci sopra. Dopo nove giorni e nove notti la tua
gobba sarà sparita
(La piccola folla esce – il sordo si attarda)
SORDO Ma che dice?
CIECO Masinu, Masinu ‘u mi lassari sulu, Masinu!
ACCOMP.CIECO Ccà sugnu Cosimu, cumpari!
CIECO Amuninni a casa, amuninni a casa!
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SCENA OTTAVA
SCENA NONA
(Fondale del tribunale – Il Presidente del tribunale e Cagliostro)
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SCENA DECIMA
SCENA UNDICESIMA
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CAGLIOSTRO Io ignoro la mia Patria e i genitori…le origini mi
sono ignote, come se avessi aperto gli occhi a un
certo punto, figlio della fortuna
PRESIDENTE Come sarebbe a dire?
CAGLIOSTRO Sospetto, ma solo sospetto, di essere nato a Malta
ma quando ho potuto riflettere sopra la mia
esistenza, mi sono trovato nella città di Medina, ove
ero chiamato Acharat e alloggiato presso il Mufttì
Salaahim…
PRESIDENTE (Sarcastico) Bene, bene, continuate pure…
CAGLIOSTRO Il mio maestro, fu Altotas. E’ stato lui a insegnarmi
botanica e la chimica medicinale. Mi ha istruito nelle
lingue orientali e nella scienza delle piramidi
d’Egitto, quelle vere, depositarie delle cognizioni
umane le più preziose, sulla vita e sulla morte, sulla
ricchezza, sulla verità
PRESIDENTE Che andate raccontando, che fantasia sbrigliata, che
scempiaggini! Risulta qui dagli atti, che voi siete il
palermitano Giuseppe Balsamo, nato il 2 giugno del
1743 a Ballarò, nel vicolo della Perciata, un budello
puzzolente, untuoso, che i palermitani chiamavano
vanella del Pisciato!
CAGLIOSTRO Io ignoro la mia Patria… e i miei genitori…
PRESIDENTE Non mi sorprende. Uno spergiuro come voi può
negare anche la Chiesa e l’Imperatore! Venga
introdotto il teste, Vanni Emanuele marchese di
Villabianca.
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VILLABIANCA Sono Vanni Emanuele, Marchese di Villabianca
diarista fedele anche se qualche maligno, dice
sgrammaticato, del settecento palermitano.
PRESIDENTE Dite, “lo giuro”
VILLABIANCA Lo giuro.
PRESIDENTE Conoscete quest’uomo?
VILLABIANCA La madre di questo impostore, che il simile non ha
finora veduto il presente spirante secolo diciottesimo
e forse neppure i passati secoli, è stata, mi dispiace il
saperlo, la nostra cara patria, città di Palermo.
PRESIDENTE Potete dimostrare quanto affermate?
VILLABIANCA Fu battezzato nella chiesa Madre. I suoi genitori
furono Pietro Balsamo e donna Felice Bracconieri,
mercanti di scarso capitale. Si tramutò il cognome in
Cagliostro perché la sua madrina che lo tenne al
fonte, fu donna Vincenza Cachiostro.
PRESIDENTE Avete altro da aggiungere?
VILLABIANCA Tutto il suo talento, le sue arti “magiche” non sono
stati altro che fare prostituire Lorenzina, me più ne
meno. Ho girato l’Europa, sempre con lei
portafortuna mostrata a tutti, offerta a potenti e
lestofanti (Esce)
PRESIDENTE (Riprendendo l’atto d’accusa) Basso di statura,
bruno di carnagione, pingue di corporatura, torvo
nell’occhio, di un dialetto siciliano che misto con
qualche favella ultramontana gli fa parlare un
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linguaggio pressoché ebraico, chi mai direbbe che
fosse accolto nelle città più illuminate, come un
astro propizio del genere umano o qual novello
profeta? Che si accostasse fino ai troni, che fosse
corteggiato dai grandi, che ricevesse da ogni ceto di
persone, non diremo atti di benevolenza, di stima, di
rispetto, ma di omaggio, servitù, di venerazione?!
CAGLIOSTRO Io ignoro la mia patria…
PRESIDENTE Ancora, insistete, in questa falsità?
CAGLIOSTRO Io ignoro! Confermo. Perché verità!
PRESIDENTE Venga introdotto il teste Goethe Johan Wolfang,
germanico, scrittore, poeta, viaggiatore
SCENA DODICESIMA
( Goethe e lo Scrivano e poi Madre e sorella )
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GOETHE Devo tutto a quest’uomo, di questo scrivano. Su
Cagliostro-Balsamo, quando sono arrivato a
Palermo, esisteva un rapporto del barone Bivona,
avvocato dalla Francia in Sicilia, compiuto su
commissione della polizia francese. Io, non ho
scoperto niente: ho avuto la fortuna di poter leggere
e copiare il rapporto.
SCRIVANO Ricevuto il comando del Bivona, mi sono messo a
disposizione e non avrei potuto fare altrimenti, ho
fatto quello che fa un onesto cittadino e un leale
suddito
GOETHE Poco tempo prima del mio arrivo in Sicilia, Cagliostro
aveva toccato il culmine della celebrità per lo
scandalo alla Corte di Francia, il famigerato affare
della collana di Maria Antonietta. La polizia
francese aveva perciò allargato le indagini in ogni
direzione
SCRIVANO Dopo aver rintracciato i due parenti rimasti, la madre,
sorda e rimbambita e la sorella vedova con tre figli
piccoli, tutti in miseria e ignoranza. Ho progettato
l’inganno, promettendogli un sussidio pubblico. E
loro mi hanno creduto. Non giudicatemi male: sono
solo un povero uomo! Sperando nel sussidio, le due
donne mi hanno colmato di benedizioni aprendomi i
loro cassetti. Non solo i documenti, ma anche
confidenze. Cagliostro e Balsamo sono la stessa
persona!
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GOETHE Preso dalla curiosità di conoscere anch’io le due
donne. Sono andato, accompagnato da lui. (insieme
si avviano verso il fondo della scena) La casa era in
fondo a un vicolo non lontano dal Cassaro, Vicolo
Terra delle Mosche
SCENA TREDICESIMA
(In scena due donne: la prima, anziana, sta seduta con una corona tra le
gambe a recitare il rosario, perduta nella sua smemoratezza; la seconda,
giovane, vestita a lutto, con un grembiule sudicio, è occupata a lucidare
una pentola di rame. Sono la madre e la sorella di Cagliostro).
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MADRE Ah, chiddu da pinzioni: bravu, bravu, Santa Rusulia
cci l’av’a paari!
SORELLA Trasiti, trasiti!
(allo scrivano) Nni porta bboni nutizzii? À spirugghò a matassa?
SCRIVANO Datemi tempo, non è che le cose si possono fare in
un fiat, lampo e stampo, ma non mi rimangio quello
che ho promesso. Piuttosto, c’è qui un forestiero che
porta notizie di Giuseppe, com’è e come non è
SORELLA Iu mi incu stu bellu falari, chi so saluti!
MADRE Chi ddici?
SORELLA Dici ca ‘nun c’è nenti chi ffari, ci voli tempu
MADRE Putemu scanciari e manciari, accattari quacchi cosa
pi vestiri, i seggi p’assittarinni. Non mi pari veru. Ci
su, ci su i boni criaturi ….
SORELLA (alla madre) Botta di Sali a stulitanza!
(a Goethe) Mio fratello lo conosce?!
GOETHE Tutta l’Europa lo conosce e vi farà piacere sentire
che si trova al sicuro e sta bene
SORELLA Scusasse il disordine, stavo facendo la cucina, torno
subito. (Esce)
MADRE (Urlando) Marana, Marana, mi lassi sula cu dù
uomini?! (Accorre la sorella che intanto si è messo
il grembiule pulito).
SORELLA Chi c’è mamà?
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MADRE (Indicando Goethe) Cu cabbasisi è chistu?
SORELLA E’ un cabbasisi di dda ffora ca canusci a Pippinu.
MADRE (A Goethe) Ah, lei canusci a me figghiu?
SORELLA ( A parte) Ora cci vinni ‘a ‘ntisa!
GOETHE Conosco vostro figlio e posso assicurarvi che sta
bene. In Francia ha subito un processo, ma è stato
assolto.
MADRE Figghiu miu, ‘nnuccenti comu Gessucristu!
SORELLA Comu l’acqua ‘o baccalaru!
MADRE (A Goethe) Allora lei ora ‘u viri?
GOETHE (Allo scrivano) Che dice?
SCRIVANO Vi chiede se lo incontrerete ancora
GOETHE (Alla madre) Certamente!
MADRE Sintissi a mmia, facissi finta ca sugnu so matri!
Quannu u viri, cci dicissi ca iu priu sempri a Santa
Rusulia!
(Goethe fa cenno allo scrivano per farsi spiegare le parole della madre)
SCRIVANO Quando lo vedrete, ditegli che lo raccomanda a
Santa Rosalia.
GOETHE Non dubitate!
MADRE Cci dicissi ca mù nsonnu sempri
(Goethe c.s.)
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SCRIVANO Che lo sogna tutte le notti.
MADRE Cci dicissi ca sugnu vecchia e malata, ccì dicissi ca u
vogghiu strinciri supra stu pettu, comu quann’era
nicu, ca sempri n’anticchiedda sfirriusu è statu,
figghiu miu, gran galantomu trarutu di l’amici comu
Cristu!
SORELLA Cci dicissi puru ca aspettu i quattordici unzi d’oru di
quannu cci ivu a spignari i cosi du munti, l’urtima
vota ca vinni ‘m Palermu. Cci dicissi c asti 14 unzi
d’oru cci livò di mmucca ‘e me figghi, poviri
urfaneddi senza patri.
Si chiude il siparietto
SCENA QUATTORDICESIMA
Cagliostro solo. Cagliostro si catapulta in scena con un’acrobazia e con
un urlo che stempera poi in una risata.
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Sono morto nel tempo delle mosche, tante, come
tormenta, tempesta malefica che ti entra in bocca,
nelle narici, nelle orecchie, mentre tutto è caldo,
calmo, infernale e le cicale non si possono più
sentire: basta! E lo stesso basilico viene a nausea,
che …. invade ogni cosa, come labirinto. 26 agosto
1795. Giornata orrida del sepolto vivo, a San Leo,
pieno di zanzare, topi volanti, con la malattia in
testa, notte e giorno, con gli sbirri del papa, sempre
addosso, come cani latranti, affamati, paurosi,
obbedienti, che pensano solo a non subire castigo.
Zelanti e malvagi, raddoppiano ogni porta e ogni
pena la moltiplicano per una misera ricompensa. Per
un tozzo di pane che serve, alla schiavitù, perché
schiavi sono e una schiavitù per un tozzo di pane.
(Sghignazza)
Mi hanno seppellito in un luogo sconsacrato. Come
mago o come buffone? … non lo so. Non lo saprò
mai. Non c’è magia per questo. Non c’è spettacolo.
(Sghignazza)
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Qui sum? Mago terribile: dedicato alla quaresima al
diavolo, ogni giorno un peccato mortale, per
quaranta giorni! Qui sum? Bestia feroce: diavolo
della Zisa! Sum qui sum: non sono mai morto
SCENA QUINDICESIMA
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Cajostro. Quanno che ce sposammo, ero proprio ‘na
creatura, ciavevo 14 anni, figurative. Embè? A
prima botta che fa st’impunito? Me ‘mparò de piacè
all’omini e de sapelli addescà. Proprio così. Me
diceva come dovevo vestimme, guardà, sculettà. E
fajele vedè stè belle zinne!, e m’allargava la
scollacciatura…
(Esegue scoprendo il seno)
…Quasi quasi me la stracciava. ‘Na scola de
lascivia, signori mia! Allora, se viveva ‘n casa de mi
padre e mi madre ‘n via de le Grotte. Mi madre,
poveraccia, non era quer che se può dì proprio
contenta e litigava, ar punto che lui se decise, signori
mia, de cercasse n’antra casa. E quanno che fummo
soli, cominciò a menamme, a famme quello che je
pareva. Me diceva:
CAGLIOSTRO Non sono d’accordo. Si tratta di punti di vista, non
d’altro, non c’è una regola sull’uso del corpo. C’è
adulterio e senso di piacere, di lussuria, di
godimento, è questo è peccato, inammissibile delle
regole universali: c’è un concedersi per interesse,
per denaro, per ottenere quello che, altrimenti, no!
Non si otterrebbe: è questo è lavoro, onesto lavoro!
LORENZINA (Respingendolo) Papponeeeeee!
(Al Pubblico) Nun credete a ‘na parola sola de
quello che ve dice, nun ve fate ‘ncantà come ho fatto
io. Chiedeteje chi è, tanto nun vò dice. Tutt’ar più ve
po’ dì
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CAGLIOSTRO “Ego sum qui sum”
LORENZINA E qui sum? ‘N magnaccione sum! E s’insistete pija
carta e se mette a disegnà, perché è puro disegnatore
co la panna. E vi disegna la cifra sua…
(Lo indica)
… ‘na moralità der peggio bigotto! Tiè! Chiedeteje
invece chi so io, certo nun se farà pregà…
CAGLIOSTRO L’ho conosciuta in casa della Napoletana, mettendo,
subito, il carro davanti ai buoi…
LORENZINA Nun c’è bisogno che continui, ve lo posso di pur’io
che d’era sta casa de la Napoletana: ‘n casino,
embè? Ma stava puro in via delle Grotte, porta a
porta cò la casa de li genitori mia: dù passi e stavo
dentro. Mica me potevo immagginà de dovè fà sto
giro ‘n tutta Europa!
CAGLIOSTRO (Aggressivo, parodistico) A che serve la virtù? Così
ti pensa il tuo Dio? Non vedi la miseria?
LORENZINA Er primo omo che me potrò, subbito doppo maritata,
fu ‘n antro palermitano, er marchese Alliata: Nun ve
dico che zozzo, (tra sé) come tutti l’altri palermitani
pe dì la verità. Cominciò così er giro che nun ve
vojo dì. Solo’na cosa pe tutte ve vojo ariccontà:
quella der quacquero, ‘na bella storia… Fateme
arricordà… Era l’anno 1776 e noi allora stavamo nè
Londra…
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SCENA SEDICESIMA
SCENA DICIASSETTESIMA
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ne feci confidenza a mì marito. Se combinò così…
(Si stende sul baule e si spoglia)
Er quacquero venne ar puntamento e cominciò a
famme la corte s’usava da le parti sue, là nà
Pensirvania. Figurative… je dissi, nun capisco come
che ‘n quacquero come voi potesse fa tanto er
galante… Parlanno, parlanno, je salì er calore… ar
punto
(Staccandosi dall’abbraccio)
Che er quacquero, tutto sudato, se levò er cappello,
la parrucca.er giubbone…
(Il quaquero resta in mutande a sua volta)
Allora al segnale mio
(Esegue mentre il quaquero continua a stringerla)
Entra mi’marito
CAGLIOSTRO (Caricaturale) Mio Dio che vedo! Mia moglie tra le
braccia di un altro uomo! Rovinato! Rovinato! Non
ho più onore! Laggiù...
(indica il fondale – velario con la stampa di Palermo)
Nella mia terra e nella mia Sicilia, questi affronti si
lavano solo col sangue! (Freddo al quaquero) Devo
uccidervi. All’ultimo sangue!
QUACCHERO (Terrorizzato urla) Nooooo!
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CAGLIOSTRO Non mi resta che denunciarvi, allora, portare la
vostra offesa davanti al giudice
QUACCHERO Noooooo!
CAGLIOSTRO Cosa proponete. Un accordo? Riconoscete il vostro
orrendo crimine?
QUACCHERO Yes!
CAGLIOSTRO Duecento sterline!
QUACCHERO (Patteggiando) Cinquanta!
CAGLIOSTRO Facciamo cento! Né per me né per voi! (Si stringono
la mano – Buio)
******
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SECONDO TEMPO
SCENA PRIMA
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cutupre’ frastuocchia e puru me, vecchia lupa e vecchia
lapa carni i pipa e merda i capra, vecchia ca ri naschi ti
niesci pruvulazzu di finestri! Nannò viri ca ccà
agghiurnamu!!! Tabaccusa, avanzu di libidini, mu po’ diri
o no’ unn’è a Terra ri Muschi?
VECCHIA Ora se… A vanedda un c’è chiù s’accattaru certi genti chi
futti o prossimu. Ma tu chi ci a jiri a fari?
G. BARBIERE Avia a jiri a rariri un Gran Signuri, ca cci turnò sta sira.
Sugnu varberi, aiu a manu fina.
VECCHIA (improvvisamente interessata) Fatti taliari. Si sicuru
varbieri?
G. BARBIERE Cce lo giuro! Pi me patri!
VECCHIA E cu era to patri?
G. BARBIERE Varbieri r’ Alivuzza ci niscieru puru a canzuna!
O’ varbieri r’Alivuzza
Ci tirar una ciacata
E lu sangu ancora scurri
Strati strati balati balati…
VECCHIA Si ssi varberi ammola u rasoiu e arrascami!
G. BARBIERE Ma iu mi scantu!
VECCHIA Di chi ti scanti?
G. BARBIERE Ca vi scorciu!
VECCHIA E tu scorcia figghiu scorcia. Scorcia figghiu scorcia …
26
SCENA SECONDA
SCENA TERZA
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La prima professa un’assoluta miscredenza, agisce
magicamente e ha principalmente in oggetto la distruzione
totale della religione cattolica, delle monarchie.
La seconda apparentemente si trattiene nell’indagine degli
arcani della natura, ma indaga l’arte ermetica e la pietra
filosofale. Il suo scopo è: distruggere lo Stato e la
Tranquillità pubblica!
SCENA QUARTA
Preghiera:
DAMA BIANCA Chi seguito porta al vento
non si merita alcun gesto
amore, parole o cortesia.
Che lo faccia per piacere,
per eresia o per follia,
gliene venga gran disdoro.
Solo vero, solo bello, danza
e suona d’invenzione,
fabbro, falsario o usuraio
mette in gagna, appesa,
né per terra né per cielo.
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DAMA NERA Architetto e sale forte,
fanno parte nella corte
angeli, fanti e cavalieri
tutti disposti a scacchiera
per giocare gran partita,
fughe, canti, gran commedia.
Compasso, angolo e gesso
fan le pietre gran progresso,
terra e oro, oro e terra
son scommesse e virtù rare.
DAMA BIANCA Vien danzando falegname
DAMA NERA che fa lutto, che fa morte
(insieme) con le falci, coi coltelli
racconta storie e ritornelli.
Ammaestra capre e lupi
Inventa macchine di scena
Spettacoli e nero fumo
come pirata di Bretagna,
come filosofo e ruffiano,
santo e buono
assassino e criminale
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un po’ zucchero un po’ sale
come ruota musa fine.
SCENA QUINTA
(V.F.C della VECCHIA) Scorcia Scorcia figgi p’un amuri milli peni...
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Alla moglie fu data di più una fettuccia ossia
legaccia e le fu ingiunto di dover dormire in quella
notte cingendola a una coscia.
SCENA SESTA
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VENERABILE Di obberdirli ciecamente senza chiederne il perché
LORENZINA (Ripete)
VENERABILE Edi non rivelare il segreto e tutti gli arcani che mi
verranno comunicati…
LORENZINA (ripete)
VENERABILE Né voce, né scritto, né gesti.
LORENZINA (Ripete)
(Sia il VENERABILE che i Massoni abbracciano LORENZINA)
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Me fecero capì che p’esse sicuri, passavano la notte
‘nsieme a me: mica pe fa li zozzoni, solo pè fa la
guardia…
(dalle quinte giunge l’esortazione lacinante della
vecchia)
VOCE VECCHIA Scorcia figghiu, scorcia!
PRESIDENTE “Gli uomini buoni e di giudizio era possibile che
avevano potuto credere l’empie di lui operazioni: le
logge dè Massoni non contengono che combriccole
di empi, di libertini, di sedizione della pubblica pace
e di nemici specialmente dè regnanti.” Per tanti anni
ha vissuto tra Massoni, considerato dà medesimi
come un genio soprannaturale!
LORENZINA L’iniziazione de mì marito avvenne er dodici aprile
del ’77, ne la loggia chiamata l’Esperance numero
369, che riuniva alla Royal Taverne. L’aspiranti
maschi avevano dà certe prove de coraggio.
(ancora lo spasimo della Vecchia dalle quinte)
VOCE VECCHIA Scorcia figghiu, scorcia!
PRESIDENTE (a Lorenzina) Avete altro da aggiungere?
LORENZINA E’ stato sempre nò spergiuro, farso, buciardo.
Quanno, che ritornammo a Roma, doppo tutti li
patimenti ‘n Francia e ‘n Inghirterra, quanno che pè
le insistenze mie se convinse de scenne a Roma,
andò subbito a buttasse a li piedi der prete
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confessore, pè fasse vede pentito e fasse aver favori.
Però, quanno che a casa fummo soli me disse:
BUFFONI Ho coglionato quel prete
VOCE VECCHIA Scorcia figghiu, scorcia!
PRESIDENTE (a Lorenzina) Non c’è altro?
LORENZINA Volete sapè com’era er vino suo eggiziano capace dè
procurà vertigine sensualità? Vino de botte
mischiato cò certi aromi… Volete sapè com’erano le
famose porveri rinfrescative der Conte de
Cagliostro? ‘N impasto de cicoria, invidia e lattuga,
che venneva a quattro-cinque paoli alla porzione,
quanno che si e no je costaveno mezzo baiocco l’
una. E volete sapè com’erano la riggenerazione
morale e la rigenerazione fisica? Mo vo dico io. La
riggenerazione morale s’otteneva facilmente, tanto
chi poteva vedella? Quaranta giorni de vita solitaria
e la grazia era fatta! Ma pè quella fisica, che poi
sarebbe a dì la conquista de l’eterna giovinezza, hai
voja de fa diggiuni, salassi, diete, sudorazioni! Mò
ve faccio vede a ‘na perzona che ci ha vuta la grazia
de la giovinezza eterna…
(entra la vecchia, mezza nuda, che si è trasformata in una donna
bellissima. Ma è sfinita. Dal volto al petto
l’attraversa un filo di sangue).
VECCHIA Scorcia figghiu, scorcia!
(stramazza) (buio- boati sordi)
34
SCENA SETTIMA
Cagliostro, il Presidente del Tribunale, Villabianca, Goethe.
Le luci rivelano Cagliostro al centro del proscenio.
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CAGLIOSTRO E’ necessario, indispensabile che io richiami alla
vostra attenzione lo scandalo della collana, l’evento
più crudele della mia vita, da cui dipende la
leggenda non meno dell’ignominia. L’avvenimento
mi spaventa ancora, come la testa di Medusa.
Distrussero la dignità regale, tanto che lo scandalo
può dirsi la vera prefazione della rivoluzione.
(exit)
A Parigi- ahimè a Parigi! Ero giunto agli inizi dll’85,
accolto come una curiosità, come fenomeno da
baraccone. La Corte di Luigi XVI era ormai
permeabile come un teatro da fiera, che dico come
una piazza di mercato, come un bordello. La Corona
aveva perduto ogni credibilità, il lusso smoderato
della corte era una sfida alla miseria del popolo. Le
pazzie, autentiche di Maria Antonietta provocavano
malignità e calunnie. Contro l’austriaca, venivano
messi in giro opuscoli vergognosi, che sfogavano lo
sdegno dei cortigiani non favoriti. Questi i tempi
infelici in cui avvenne lo scandalo della collana…
SCENA OTTAVA
Contessa de la Motte, Cardinale de Rohan.
CONTESSA Avete perduto il sonno, lo so. È insopportabile
sentirsi messi da parte, cercare lo sguardo della
regina e riceverne una smorfia di disgusto. Peggio
che avere la peste addosso. Ma?
36
CARDINALE Ma?
CONTESSA E’ ancora possibile fare qualcosa…
CARDINALE Sono disposto a tutto, contessa! Cosa devo fare?
CONTESSA E’ sufficiente che dimostriate la vostra devozione…
CARDINALE In quale modo, parlate chiaro?
CONTESSA Maria Antonietta, sdegnosa “austriaca”, sta facendo
malattia per una collana…
CARDINALE Che collana?
CONTESSA Il desiderio l’ha resa folle. Per questa benedetta
collana. Nemmeno chiude occhio: in questo le siete
compagno.
CARDINALE Che collana, per Dio…!
CONTESSA La meraviglia delle meraviglie, il capolavoro dei
capolavori, un miracolo uscito dalle mani dei signori
Bohomer e Bassengue. Composta di 585 pezzi!
CARDINALE 585 pezzi…
CONTESSA Costa un milione e mezzo di franchi… e la Regina
momentaneamente, non ha soldi
CARDINALE Neanch’io! Mi avete già prosciugato la borsa,
strappata la pelle di dosso, essiccato il cervello!
Ridotto, ultimo dei mendicanti, più famelico dei cani
randagi!
CONTESSA Oh, come la fate tragica! Non ci vuole denaro! La
Regina gradisce l’avallo di un amico fidato: dovete
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solo apporre la vostra firma sul contratto d’acquisto,
il vostro nome, il vostro sigillo vale più del denaro:
Cardinale Luigi de Rohan!
CARDINALE (molto interessato) Solo… la firma?
CONTESSA Solo la firma, pagherà lei, l’austriaca, l’intera
somma!
SCENA NONA
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PRESIDENTE L’imputato cerca di alleggerire la sua posizione,
facendo d’inganno, il perseguitato della sfortuna.
Ma non è così, dove arriva lui, finisce ogni pace e
ogni equilibrio, il disordine prende il posto
dell’ordine, nello stato, nelle società, nelle famiglie,
nelle persone. E’ colpevole!
SCENA DECIMA
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la morte vi regnano. Un barbaro silenzio è il minore
dei delitti che vi si commettono. Ero da sei mesi a
quindici piedi da mia moglie e lo ignoravo. Altri v’è
sepolto da trent’anni, reputato morto, disgraziato di
non esserlo. Le prigioni rassomigliano tutte alla
Bastiglia! Dicono che non difetti né di torture né di
carnefici. Non stento a crederlo. Qualcuno mi
chiedeva se tornerei in Francia nel caso venissero
tolti i veti che ce ne tengono lontani. Certo, ho
risposto io, purchè la Bastiglia diventi un luogo di
pubblico passeggio…”
PRESIDENTE Voi siete un uomo di mala indole! Una bestia feroce!
Sia condannato! Sia condannato a vivere carcerato
tutto il tempo dei suoi giorni nel Castello della Città
di San Leo, nel Ducato di Urbino, Stato della
Chiesa. Vengano parimenti bruciati, per mano del
carnefice, tutti gli arnesi e strumenti dell’infernale
vilissimo suo magistero.
SCENA UNDICESIMA
(monologo finale di Cagliostro)
CAGLIOSTRO Agghiornò ‘u tempu, occhiu fici Sperracavaddu, i
negghi pigghiaru ‘a strata ‘i fora… Vota rimu,
Pippinu! E comu attummulamu! Mamà, mi senti
mamà? Ora si ca putemu parrari, chiari e libbiri ri
cuegghè putemu parrari, mamà: ‘un cci nni sunnu
sbarri, ‘un cci nni sunnu finestri, mancu ‘na vucca i
lippu cc’è, mamà. Sulu petri, sulu mura, nni putemu
parrari ‘o scuru: tu suttaterra e iu vurricatu vivu,
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mamà! Cci dissi: “Superiuri, quannumanenti
arribbasciatimi ‘n Palermu, facitimi assaccari ddà,
puru ‘n Palermu cc’è ‘a vicaria. Ma ogni martiriu
havi ‘na finestra e tutti i finestri affacciano a livanti e
si virino ‘i varchi chi trasinu ‘a Cala e u nolu si inchi
ri curdami, ri pisci, ri carbuni, obbonu. No, ‘un si
nn’havi a parrari! Mi puntanu come canazzi
arrabbiati, parinu liuna e ursi, ‘zammaddìu avissi a
scappari! Mamà, mi senti, mamà? Chi si rici ‘n
Palermu? Sempri “spata e cuteddu” cumu rici ‘a
canzuna?! Ancora si scannanu e si ‘nfamanu?!
Ancora sangue a sguazzu, mamà? Chi pena, ca veni!
Mamà, ‘u vò sapiri ‘nsoccu mi ‘nsunnavu? Mi
‘nsunnavu quann’era nicu, n‘a vanedda ‘a Pirciata, a
Baddarò, e ‘a sira mi tinivi ‘mmrazza e cantavi e
m’annacavi e cantavi pi farimi addummisciri: “Vo e
a la vò ora veni lu patri tò e ti porta la siminzina, la
rosa marina e lu basilicò, vò, vò e vò”. ‘U basilicò,
mamà, ma ora ‘u nu sentu cchiù u ciavuru, ‘u nu
sentu cchiù u ciavuru ‘u basilicò!
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