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Lez.

7 del 28/10/2020

MC 9, 9-13 e Mt 17, 10-13: Domanda su Elia


Nella lezione si fa riferimento ai versetti 8-9-10 di Marco cap. 9, dopo la trasfigurazione di Gesù:
“e quindi tennero parola chiedendosi tra loro che cosa significasse risorgere dai morti” (questo è
il versetto 10). Questi versetti che sono presenti in Matteo e sono assolutamente assenti in Luca;
esattamente Matteo 17, 10-13 e Marco 9,11-13, la fonte primaria è Marco, Matteo aggiunge “i
discepoli”.
Per quanto riguarda il testo di Marco stavamo un po' esaminando e abbiamo visto che praticamente
è quasi simile il testo. Più che altro notiamo il versetto 12 di Marco: “ma egli dichiarò loro:
certamente Elia vendendo prima rimette  in ordine ogni cosa”, è un po' diverso in Matteo anche se
il testo è quasi uguale: “Certamente egli viene a rimettere in ordine ogni cosa. Vi dico però che
Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto” . In
questo abbiamo un po' una differenza con il testo di Marco “e come sta scritto del Figlio dell'uomo
che avrebbe patito molto e sarebbe stato disprezzato”. Poi c'è una conclusione dicendo: “Ma io vi
dico che Elia è venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto come sta scritto di lui”,
praticamente c’è una inversione: il versetto 13 in Matteo è precedente e il versetto 12 invece è
successivo.
Innanzitutto qui notiamo che gli scribi dicono che prima deve venire Elia. Ora c’è un cambio di
argomento e si rifà a dei personaggi principali già visti nella trasfigurazione in 9,2-8 e mette Elia in
relazione alle sofferenze del figlio dell’uomo (9,9-10). Qui abbiamo gli scribi, gli esegeti del tempo,
erano coloro che erano esperti nell’interpretazione della scrittura e nella loro speculazione esegetica
dicono che prima deve venire Elia, perché proviene da un’interpretazione dell’A.T. da Malachia cap
3, v 23: “ecco io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore”.
Quindi i discepoli vogliono sapere come il figlio dell’uomo possa risorgere dai morti dal momento
che Elia non è ancora venuto. Nel loro immaginario escatologico vedono che prima Elia ritorna e
poi avverrà la risurrezione generale dai morti. Qui succede (v 12-13) che Gesù anziché confutare lo
scenario escatologico dei discepoli, lo accetta, lo interpreta: l’idea che Elia ristabilisce ogni cosa,
dato proprio dal verbo utilizzato, potrebbe derivare anche da Malachia 3,24 dove espressamente si
dice: “ perché converta il cuore dei vostri padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” e poi
ancora segue: “ ma come sta scritto del Figlio dell’uomo che deve soffrire molto ed essere
disprezzato”. Da notare bene non esiste nessun testo dell’A.T. che si riferisce direttamente alle
sofferenze del Figlio dell’uomo o del Messia, ma qui, come in altri passi del N.T. l’insieme delle
scritture dell’A.T. è preso come una indicazione generale delle sofferenze di Gesù. La seconda parte
del v 9,12 ha l’effetto di ricordare ai discepoli e non solo, anche ai lettori, che le sofferenze di Gesù
creano un precedente per la pienezza del regno di Dio più importante di quanto non lo sia il ritorno
di Elia.
Quindi in questi versetti di Marco si dice che Elia è già venuto, Gesù accetta lo scenario
escatologico dei discepoli e suggerisce, però senza dichiararlo, che Giovanni Battista era uguale ad
Elia. La sorte di Giovanni che era stata descritta al cap 6 v 14- 29 preannuncia la sorte di Gesù, il
figlio dell’uomo. L’idea che la sorte di Giovanni è stata predetta dalle scritture può essere basata
sull’analogia tra l’opposizione di Elia a Gezabele (1Re 19, 1-3), dove c’è un parallelismo che si
viene a creare tra Elia e Gezabele e Giovanni ed Erodiade in Mc 6,17-19.
Vediamo in Matteo v 10-11 molto simile al testo di Marco, anche qui i discepoli pongono una
domanda a Gesù sul profeta Elia, che secondo la tradizione giudaica doveva preparare la venuta del
Messia. Il quesito viene posto perché il riferimento ad Elia che deve venire non è altro che un
interrogativo che vuole confermare lo statuto messianico di Gesù. Il verbo “deve venire”, in greco,
ha la funzione di accentuare come questa venuta rientri nella volontà di Dio (molte volte nell’A.T. il
verbo fa riferimento alla volontà di Dio). Anche qui sono riportati gli scribi che esprimono la loro
ipotesi sulla speranza escatologica. Il tema del ritorno di Elia è ripreso anche dalla letteratura
giudaica, infatti tutte le credenze giudaiche sulla venuta di Elia trovano il loro spunto sul libro di
Malachia cap 3, 23-24. Quindi Gesù risponde alla richiesta dei discepoli confermando la venuta del
profeta con la funzione di ristabilire ogni cosa. Il verbo ristabilire vuol dire rimettere alla condizione
precedente, è difficile capire a che cosa si riferisse questa espressione, comunque si pensa al suo
ruolo di riappacificare le famiglie e alla sua funzione di predicatore della conversione.
Poi al v 12 Gesù afferma nella seconda sentenza che la venuta del profeta ha già avuto luogo, ma
non è stata individuata e in questo modo identifica il profeta col Battista che ha già espletato la sua
missione senza che lo abbiano riconosciuto. Qui abbiamo una caratteristica specifica solo di Matteo
in quanto si sottolinea la mancanza del riconoscimento nei confronti di Giovanni Battista e al v 13
si dice: “allora i discepoli compresero che aveva loro parlato di Giovanni Battista”, mentre in
Marco lo si intuisce solamente. E quindi l’espressione “hanno fatto di lui quello che hanno voluto”
rimanda alla sua morte violenta che prefigura il destino del figlio dell’uomo il quale deve patire.
Abbiamo il verbo patire/soffrire che rimanda non ad una sofferenza generica, ma agli eventi della
passione e della morte che Gesù dovrà sopportare (Mt 16,21). Il verbo mellò = deve arrivare,
accadere, sul punto di, evidenzia l’imminenza, ma anche la realizzazione di questa sofferenza. Se
finora tutti i verbi alla terza persona plurale non indicavano un soggetto esplicito per ciò che
riguarda la passione e morte di Gesù, l’espressione finale “per causa loro” attribuisce la
responsabilità di questi avvenimenti agli scribi stessi, che nel racconto della passione sono
determinanti per ciò che concerne il suo destino. Gli scribi sono quelli che interpretano la scrittura e
interpretando la scrittura si arriva alla morte di Gesù. Nella prospettiva di Matteo che, a differenza
di Marco, ritrae i discepoli capaci di comprendere l’insegnamento di Gesù, il dialogo si chiude con
l’annotazione che essi hanno capito come l’Elia atteso non sia altro che il Battista. Abbiamo il
verbo syniemi = comprendere/capire lo troviamo in alcuni momenti in cui c’è bisogno di
un’adesione di fede e sta ad indicare che i discepoli hanno compreso quello che Gesù ha detto e in
questo caso c’è il riconoscimento alla figura di Gesù. Volendo dare un’interpretazione teologica
diciamo che il racconto è un’esperienza molto più complessa, che è stata tradotta attraverso questo
linguaggio, che inizia con una trasformazione luminosa di Gesù e culmina nella voce celeste che lo
dichiara il figlio prediletto. Questa trasfigurazione ha due funzioni: da una parte abilita Gesù al
ruolo salvifico, dall’altra individua quale sarà la sua sorte futura. Quindi la sua parola d’ora in poi
acquista una valenza unica per la comunità dei discepoli, Gesù è sì rifiutato dal suo popolo, avendo
anche di fronte un destino di morte, però viene confermato da Dio nel suo statuto messianico di tipo
filiale.
A questo punto abbiamo un racconto di miracolo: “l’epilettico indemoniato” (Mc 9, 14-29) da
vedere in sinossi.

INTRODUZIONE AI MIRACOLI (articolo che troviamo nel sito sotto la voce miracolo)

Dal punto di vista terminologico ci sono diversi vocaboli che nel N.T. indicano o denominano quelli
che noi chiamiamo miracoli. Da questo punto di vista la figura evangelica di Gesù è inseparabile
dalla cornice del taumaturgo che guarisce i malati, scaccia i demoni, sfama la folla, libera i
discepoli dalla paura. Complessivamente vengono raccontati nei miracoli circa una ventina di gesti
compiuti da Gesù a beneficio di singole persone o gruppi, a cui si devono aggiungere anche alcuni
degli episodi miracolosi del quarto Vangelo. Se noi andiamo a vedere un po’ come sono distribuiti i
miracoli nei Vangeli, possiamo dire che abbiamo 19 miracoli in Matteo, 18 in Marco,20 in Luca e 8
in Giovanni. I termini usati per indicare i miracoli sono:
- Dynamis che viene utilizzato 119 volte nel N.T., ma mai utilizzato da Giovanni, indica la
forza di Dio che agisce in Gesù perché lui è il Messia, è rivestito della forza dello spirito e
manifesta nella storia della salvezza la presenza di Dio, con forza e potenza (nei sinottici).
- Semeion che significa segno ed è utilizzato da Giovanni. I miracoli non sono qualcosa di
portentoso, ma sono un segno, cioè il miracolo deve andare al di là dell’evento prodigioso in
sé e bisogna comprendere che esso è un atto rivelativo di Dio. Quindi questo serve per
comprendere l’identità di Gesù che deve portare ad una adesione di fede non perché
forzatamente costretta da un miracolo. Giovanni ne mette pochi proprio perché i miracoli
sono un segno che devono portare a comprendere l’identità di Gesù e non semplicemente a
rimanere stupefatti di quello che è accaduto. Questo termine compare 77 volte.
- Teras che vuol dire prodigio, questo termine lo troviamo negli atti, solo 3 volte nei vangeli e
non viene mai applicato ai miracoli di Gesù: anche se spesso destano l’ammirazione delle
folle, non è questo il loro scopo.
- Ergon è un altro termine con cui viene indicato il miracolo, questo è un hapax paradoxa =
fatti insoliti (Lc 5,26).
Per una attenta lettura dei testi evangelici si devono tenere presenti due dati importanti, cioè che
i testi evangelici riproducono i miracoli secondo i modelli letterali già collaudati del mondo
antico e si ispirano alla tradizione religiosa del loro ambiente.
Nei miracoli possiamo vedere il seguente schema:
- Introduzione, in cui si presenta il caso del malato e le condizioni in cui si trova, di solito si
evidenzia una situazione disperata e senza speranze.
- Incontro con il taumaturgo, che comprende due momenti richiesta e risposta, cioè colui
che ha bisogno dell’intervento di Gesù esprime una propria richiesta e Gesù risponde con
una parola efficace.
- Conclusione
- Congedo, dove colui che ha ricevuto l’intervento di Gesù riceve un ordine e c’è la
constatazione di quello che è accaduto.
Poi ci poniamo un problema: come gli evangelisti dei testi sinottici raccontano i miracoli e
questo può essere fatto solamente se confrontiamo i testi per vedere come i miracoli si
sviluppano.

Mc 9,14-28 inizia il miracolo della guarigione del fanciullo indemoniato.

Confrontando i testi ci accorgiamo di come sono diversi i testi, in Marco questo miracolo si
sviluppa in 14 versetti, Matteo 5 versetti e Luca 7 versetti. Quindi Marco accusato di “essere il
divino abbreviatore” in realtà in questo brano è molto più dettagliato degli altri.
Marco usa un vocabolario descrittivo, il miracolo viene raccontato in maniera semplicistica e i
termini non suggeriscono un’eccezione alle leggi della natura, per esempio troviamo “la febbre
lo lasciò”, “Gesù guarì molti malati”, “la lebbra si allontanò da lui”, “lo spirito impuro uscì”,
“il vento cadde”. questo vocabolario in se stesso non implica un evento inaudito o straordinario
perché al tempo di Gesù questi eventi potevano capitare, il carattere miracoloso degli atti di
Gesù dipende dalle circostanze e dalle reazioni dei testimoni.
Il pregio di Marco è che cerca nella sua narrazione di coinvolgere continuamente il lettore, chi
assiste rimane stupefatto e affascinato.
Matteo invece abbrevia la parte narrativa, usa espressioni stereotipe per introdurre e concludere
il racconto, sopprime i dettagli pittoreschi, elimina le scene secondarie e applica la regola dei
due personaggi (Gesù e il guarito). Nell’ambito della narrazione abbiamo semplicemente la
parte centrale costituita dal dialogo del miracolo. Matteo quindi accentua la parte dialogica,
mentre Marco presenta dei dettagli secondari e attraverso la guarigione si esprime l’azione
propria di Gesù, qui notiamo che abbiamo questa situazione veramente nuova.
Per quanto riguarda Luca, lui mantiene il quadro generale del racconto di miracolo però anche
qui vedremo che ci sono alcune caratteristiche particolarmente sue. Il miracolo è a servizio
dell’insegnamento, collegato alla Parola. Quando Gesù compie il primo miracolo a Cafarnao sia
Luca che Marco ci dicono che insegnava, il giorno di sabato in una sinagoga, ma dove Marco
dice “insegnava con autorità”, Luca dice “ la sua parola era in potenza”. Quindi il miracolo
mostra la potenza della parola, il miracolo è al servizio della parola.
Lo stesso discorso lo abbiamo anche negli Atti degli Apostoli e allora in Luca si capisce che c’è,
dietro il suo testo, tutta una teologia della Parola di Dio. Per quanto riguarda il miracolo
qualcuno dice che Luca ci presenta alcune notizie più precise sulla guarigione probabilmente
perché Luca era medico, ma non ne abbiamo dimostrazioni. Forse Luca è uno scrittore
acculturato e usa dei termini più specifici nel racconto dei miracoli.
Passiamo al testo di Mc 9, 14 e notiamo che gli attacchi di Marco cominciano sempre con la
particella Kai = e, usata moltissime volte.
V.14 “E quando arrivarono presso i discepoli videro una gran folla intorno ad essi e degli
scribi che discutevano con loro” introduce il racconto con alcuni termini che sono iperbolici.
V.15 “E subito tutta la folla, avendolo visto, restarono stupefatti e accorrendo lo salutavano”.
Altro termine caratteristico di Marco è “E subito”, poi ripete ancora una volta “tutta la folla”.
V.16 “Ed egli domandò loro: “di che cosa discutete con loro?” il racconto con questa domanda
e questa risposta viene presentato in presa diretta.
V.17 “E gli rispose uno dalla folla:“Maestro, ho portato da te mio Figlio, che ha uno spirito
muto”
In Matteo invece: “ho portato da te mio figlio perché epilettico ed è malato, infatti cade spesso
nel fuoco e sovente nell’acqua”
Mc 9 v18 “ E dovunque si impossessa di lui, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti,
diventa rigido”.
Matteo elimina la descrizione, non gli interessa presentare tutta questa parte stupefacente.
“Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non sono stati capaci”, qui Marco mostra
l’incapacità da parte dei discepoli di intervenire.
V.19 “Ora egli rispondendo loro dice: “oh generazione incredula! Fino a quando sarò da voi?
Fino a quando vi sopporterò? Portatelo da me”. Fino qui il discorso in Matteo è simile, poi in
Marco troviamo una parte che Matteo esclude.
Mc 9 vv 20-24 “ E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo Spirito scosse con convulsioni
il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: “ da quanto
tempo gli accade questo?” Ed egli rispose: “Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel
fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli
disse: “ Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede” Il padre del fanciullo rispose subito ad alta
voce: “ Credo; aiuta la mia incredulità!”. Qui abbiamo un intervento diretto di Gesù con la
folla, abbiamo un subito che si ripete in breve tempo (v 20 e v 24).
Mc 9 v25-“Ma Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli:
“Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più”. Gridando e scuotendolo
fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “è morto”. Ma Gesù
lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Vedete allora come è cambiata la
situazione, c’è una contraddizione tra la folla all’inizio del racconto (v 17) e la folla che accorre
come se stesse arrivando (v 25).
“Gli scribi discutevano con loro”, presenta gli scribi impegnati in una discussione con i
discepoli di Gesù ed è difficile da capire se è una discussione tranquilla o una polemica, perché
Marco usa lo stesso verbo sia per la discussione tranquilla o per una polemica.
L’eccitazione della folla per l’arrivo di Gesù è espressa dal verbo “prendere da meraviglia”,
“furono stupiti”. Questo termine stupire viene utilizzato da Marco per esprimere le forti
emozioni di Gesù nel Getsemani, oppure anche quando le donne sono confuse e perplesse
perché trovano la tomba di Gesù vuota il giorno di Pasqua. L’eccitazione della folla preannuncia
ciò che verrà dopo .
Gesù chiede di che cosa stavano discutendo con gli scribi, ma dato che in 9,17 c’è uno che
risponde tra la folla è possibile che Gesù in quel momento stesse interrogando la folla.
Fino a questo momento Marco ha chiamato Gesù “Maestro” solo due volte al cap. 4 v 38 e al
cap. 5 v 35, questo termine diventa sempre più frequente nei passi successivi. Il fatto che
l’uomo porti suo figlio da Gesù implica la sua fiducia in lui, solo Gesù con la sua potenza può
guarirlo.
All’arrivo dell’uomo Gesù è assente perché si trova sull’alto monte nel momento della
trasfigurazione. Uno spirito muto, viene usato il termine greco a/lalon che viene da verbo laleo=
parlare che con l’alfa privativo significa appunto privo di parola. Abbiamo il termine pneuma
per indicare lo spirito, esso si è impossessato del ragazzo e lo rende incapace di parlare. Poi
abbiamo la descrizione degli attacchi del ragazzo (lo getta a terra, digrigna i denti, schiuma), il
presupposto è che lo spirito muto scatena l’attacco e poi tutti gli altri sintomi vengono di
conseguenza. Poi abbiamo l’ultimo sintomo, si irrigidisce viene dal verbo che significa
diventare secco. Matteo invece utilizza il verbo selenyazetai = diventare lunatico da selene =
luna, perché nel mondo antico si pensava che l’epilessia fosse legata alle fasi della luna, qui si
lega la tradizione popolare che legava la luna piena alla licantropia.
I discepoli non sono riusciti a guarirlo mentre Gesù era assente, a questo punto prima che Gesù
intervenga abbiamo l’esclamazione “generazione incredula” che manifesta l’esasperazione di
Gesù davanti alla gente senza fede, sarebbe il termine a/pistos = incredula, dove pistos significa
credente e con l’alfa privativo vuol dire senza fede. Questa espressione riecheggia Dt 32,5
“generazione tortuosa e perversa”.
“Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo da me.” Il fatto che viene
ripetuto due volte “fino a quando” indica che Gesù è stato sistematicamente incompreso. In
Luca abbiamo un discorso più lineare e non abbiamo la ripetizione ma viene detto solo una
volta, in Matteo due volte. Proprio da questi cambiamenti di stile si nota come uno ha utilizzato
l’altro e come effettivamente c’è una interdipendenza. Qui c’è una frustrazione da parte di Gesù
perché si rende conto che la gente non pone in lui la fede, prima i suoi paesani, poi i suoi stessi
discepoli (cap 6,6, 8,14-21).
“Portatelo da me”, Gesù passa sopra la sua frustrazione personale e accetta di guarire il ragazzo
e ridare quella pace piena al cuore del padre.
“Alla vista di Gesù il ragazzo è caduto a terra” qui abbiamo una descrizione simile alla parte
che riguardava i sintomi (v 18), tutta questa parte è tipicamente di Marco perché lui sta
rendendo più vivido il racconto, qui abbiamo qualcosa di nuovo e particolare che suscita
l’attenzione di chi ascolta.
Marco utilizza numerose particelle Kai = e, che nella traduzione letterale non suonano bene.

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