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Si ringrazia per il contributo

PRESENTAZIONE

Il mio personale benvenuto agli illustri relatori e correlatori, alle associazioni patrocinanti, agli ospiti e ai
partecipanti al terzo convegno nazionale promosso da FIDAPA BPW sezione Versilia “L'Attività Fisica di
Genere per la salute della donna” che anche quest‟anno tratta argomenti che interessano la salute della donna
e illustra il contributo che da l‟esercizio fisico impostato su basi scientifiche nella prevenzione e trattamento
di alcune “malattie croniche non trasmissibili” dovute ad insufficiente attività fisica.
L‟Attività Fisica di Genere è una nuova disciplina di grande interesse e molteplici applicazioni nell‟ambito
del movimento adattato alla salute della persona in età evolutiva, adulta e anziana nei due sessi. E‟ una
“rivoluzione culturale” contro la banalizzazione del movimento e a favore della professione svolta dai
laureati in scienze motorie.
Nella prima sessione “Salute della donna e stili di vita” si afforonta l‟argomento dal punto di vista sociale,
culturale e della Medicina di Genere. L‟insufficiente attività fisica raggiunge i livelli più elevati nei Paesi ad
alto reddito, ma livelli molto alti si stanno registrando anche in alcuni Paesi a medio reddito e in Italia questo
problema riguarda soprattutto le donne. Il fatto singolare è che diamo tutti per scontata la valenza del
movimento senza preoccuparci della qualità e da chi è condotto, da qui l‟importanza dell‟inserimento
dell‟Attività Fisica di Genere nei programmi di salute pubblica. Con questa sessione intendiamo sollevare il
problema a tutto tondo e definire le competenze e i ruoli nella speranza che vengano varate leggi appropriate
per il benessere di tutti cittadini.
Nella seconda sessione si parla di “Osteoporosi, movimento e postura”. E‟ una patologia con diversa
eziologia, andamento, gravita, è diversa nei due sessi, necessita di un accurato inquadramento diagnostico e
terapeutico; l‟esercizio fisico si affianca alle terapie consigliate non solo per migliorare la qualità di vita ma
come percorso virtuoso preventivo e compensativo a partire dal riequilibrio posturale per poi ampliare
nell‟allenamento funzionale generale e per la prevenzione delle cadute. Anche in questo ambito è necessario
chiarire il ruolo, i vantaggi e i limiti dell‟attività fisica che a chi va affidata.
La prima tavola rotonda “Movimento e postura: serve un cambiamento culturale” affronta il ruolo dei Media
nella divulgazione di informazioni corrette e utili per la salute delle persone fuori dalle mode del momento e
dalle esigenze di mercato attraverso la stampa e le TV e sottolinea la responsabilità del giornalista scientifico
anche nel diffondere notizie riguardo all‟importanza del movimento studiato e condotto su base scientifica.
La terza sessione “Come salvaguardare e allenare il cuore della donna” sarà un confronto tra competenze
per comprendere l‟importanza del problema cuore nella donna, le modificazioni e le criticità che ella si trova
ad affrontare, la necessità di sottoporsi a controlli periodici, di avere maggior cura di sé imparando,
unitamente a corretti stili di vita, la gestione dello stress e del sovraccarico psicofisico e infine informarla su
come scegliere il movimento e l‟allenamento corretti a scopo preventivo e post riabilitativo.
Riguardo all‟osteoporosi e alle problematiche cardiache, che colpiscono in particolare le donne in
menopausa, è da ricordare che il periodo menopausale si accompagna spesso a maggiori impegni familiari e
lavorativi e che la donna riesce a fatica a ritagliare tempo per occuparsi del proprio benessere, tant‟è che si
registra una prevalenza di inattive molto superiore agli uomini a parità di età; è dunque importante essere
informate e stimolate adeguatamente per ottimizzare il tempo a disposizione dedicandolo ai percorsi motori
più efficaci nel rispetto dell‟età e delle differenze di genere.
La seconda tavola rotonda “Attività fisica, allenamento e sport: cosa scegliere?” affronta un problema che si
è imposto da alcuni anni alla nostra osservazione e cioè al fatto che per la maggior parte delle persone
movimento (attività fisica/esercizio fisico), allenamento e sport sono considerati sinonimi mentre non lo sono
affatto. Questo modo pensare lo si deve molto a pressapochismo, non conoscenza, agli input dei Media che
non chiariscono ed anzi alimentano confusione e questa non differenziazione purtroppo si ritrova anche nei
disegni di legge; dunque intendiamo affrontare la questione e capirne le differenze e la sostanza che le
caratterizza. La chiarezza su questo aspetto permette scelte oculate sia da parte del medico nella prescrizione
della motricità a scopo di salute, sia da parte delle persone che devono orientarsi nel grande mondo del
fitness, del wellness, degli sport e dell‟attività fisica studiata sulle proprie esigenze estetiche, funzionali, di
benessere e di salute.
Elena Martinelli
Elenco Relatori e Moderatori
Mojgan Azadegan, Responsabile Centro Regionale per la Salute e Medicina di Genere
Regione Toscana
Rita Biancheri, Professoressa associata di Sociologia dei processi culturali Dipartimento di
Scienze Politiche Università di Pisa
Alessandro Battaglia, Neurologo fisiatra direttore Centro Medico Specialistico della Versilia
Andrea Bemi, Scienze Motorie, personal training e allenatore Hokey CGC, Viareggio
Maria Luisa Brandi, FirmoLab, Fondazione FIRMO, Direttore SOD Malattie del Metabolismo
Minerale e Osseo AOUC Careggi Università degli Studi di Firenze
Loredana Cavalli, Istituto di Fisiologia Clinica del CNR Lecce, Direttore sanitario Centro Giusti
Firenze
Anna Maria Celesti, Medico ginecologo Past President sez. Fidapa Pistoia
Cinzia Fatini, Responsabile scientifico Salute e Medicina di Genere AOU Careggi e Coordinatore
Master di II livello in Salute e Medicina di Genere Università degli Studi di Firenze
Ferdinando Franzoni, CdL in Scienze Motorie, Dipartimento di Medicina Clinica e
Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
Fiammetta Galleni, Presidente Fidapa BPW Sezione Viareggio Versilia
Carlo Giammattei Responsabile Dipartimento Prevenzione ASL Toscana Nord Ovest,
Direttore dell‟Unità Funzionale di Medicina dello Sport dell‟Azienda USL 2 di Lucca
Maria Elisabetta Gramolini, Giornalista medico scientifico, Roma
Daniele Iacò Presidente Comitato Italiano Scienze Motorie (CISM), Napoli
Giovanni Innocenti MS, PhD, Chinesiologo docente a contratto Università degli Studi di Firenze e
Pisa
Luca Magni Presidente Associazione Medici Sportivi di Prato, Università degli Studi di Firenze
Mario Manca, Presidente Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d‟Italia (OTODI) e incaricato per la
chirurgia robotica di Area vasta Toscana nord ovest, Viareggio
Loredana Marrapodi, Medico pediatra e Past President sez. Fidapa Montecatini Terme
Elena Martinelli, Scuola di Scienze della Salute Umana, CdL in Scienze Motorie Sport e Salute,
Università degli Studi di Firenze
Luisa Mazzotta, Consigliere Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Lucca,
Coordinatrice per la salute di genere azienda USL Toscana Nordovest e referente dell'area
territoriale di Lucca, Lucca
Daniela Melchiorre Reumatologa ricercatore Università degli Studi di Firenze, Presidente della
Società Medico Chirurgica Lucchese, Lucca
Mario Migliolo Presidente Comitato Regionale Toscana FMSI (Federazione Medico Sportiva
Italiana), Firenze
Diego Minciacchi Presidente LM Scienze e Tecniche dello Sport e delle Attività Motorie
Preventive e Adattate, Università degli Studi di Firenze
Franco Mosca Professore Emerito di Chirurgia Generale Università degli Studi di Pisa, Presidente
fondazione ARPA
Ferdinando Paternostro Professore aggregato di Anatomia Umana Dipartimento di Scuola
Sperimentale e Clinica Università degli Studi di Firenze
Michele Provvidenza, Cardiologo e Medico dello sport, attualmente libero professionista, già
direttore U.O.S. di Riabilitazione Cardiologica ASL 12 Versilia
Umberto Quiriconi Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Lucca,
Vicepresidente Federazione Toscana degli Ordine dei Medici (FTOM) , Lucca
Alberto Tomasi, Direttore area Igiene e Sanità Pubblica azienda USLToscana nord ovest, Lucca
Loira Toncelli Cardiologa e Medico dello sport dirigente medico AOU Careggi, Firenze.
F.I.D.A.P.A. BPW Versilia III° Convegno nazionale

L'ATTIVITÀ FISICA DI GENERE PER LA SALUTE DELLA DONNA


GENDER PHYSICAL ACTIVITY FOR THE HEALTH OF WOMEN
Pietrasanta, Chiostro di S. Agostino - Via Sant' Agostino, 1
sabato 26 ottobre 2019 ore 14,15
Evento realizzato da FIDAPA in collaborazione con
Centro di Coordinamento Regionale per la Salute e la Medicina di Genere
Regione Toscana

Responsabile scientifico
Elena Martinelli

Patrocini
Provincia di Lucca, Comune di Pietrasanta, USL Toscana Nord-Ovest, LM in Scienze e tecniche dello Sport e delle
attività motorie preventive e adattate Università degli Studi di Firenze, Ordine dei Medici Lucca, Comitato Italiano
Scienze Motorie, Società Medico Chirurgica Lucchese, Fondazione FIRMO, Fondazione ARPA,
Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e di Genere ONDA

Ore 14.30 Apertura convegno, presentazione e saluti istituzionali: Alberto Stefano Giovannetti Sindaco del
Comune Pietrasanta, Fiammetta Galleni, presidente Fidapa BPW Versilia, Umberto Quiriconi, Diego Minciacchi,
Cinzia Fatini, Alberto Tomasi, Franco Mosca, Daniele Iacò, Daniela Melchiorre

Ore 15.00 – 15.40 PRIMA SESSIONE


SALUTE DELLA DONNA E STILI DI VITA
Introduce Anna Maria Celesti, Conducono Loredana Marrapodi e A. M. Celesti
Il modello organizzativo regionale della Salute e Medicina di Genere Mojgan Azadegan
Salute e stili di vita: aspetti sociali e culturali Rita Biancheri
15.40-16.40 SECONDA SESSIONE
OSTEOPOROSI, MOVIMENTO E POSTURA
introduce Alessandro Battaglia Conducono Mario Manca e Alberto Tomasi
Lezione magistrale Le Osteoporosi e il Metabolismo Osseo Maria Luisa Brandi
Ruolo dell‟esercizio fisico nei disordini del metabolismo osseo Loredana Cavalli, Giulia Malevolti
Postura cifotica senile e danni biomeccanici attivita‟ fisica di genere adattata metodo C.A.MO.®
Elena Martinelli, Ferdinando Paternostro
16,50-17,20 TAVOLA ROTONDA
MOVIMENTO E POSTURA: SERVE UN CAMBIAMENTO CULTURALE
Conduce Maria Elisabetta Gramolini
Partecipano Loredana Cavalli, Elena Martinelli, Alessandro Battaglia, Mario Manca, Alberto Tomasi, Luisa
Mazzotta, Daniela Melchiorre
DISCUSSIONE
17.30- 18.20 TERZA SESSIONE
COME SALVAGUARDARE E ALLENARE IL CUORE DELLA DONNA
Introduce Michele Provvidenza Conducono Carlo Giammattei e Mario Migliolo
Lezione Magistrale La sindrome di Yentl e il cuore della donna Cinzia Fatini
Rimodellamento cardiaco e allenamento: differenze di genere Loira Toncelli
Esercizio fisico e sport per la salute del cuore e il benessere della donna Giovanni Innocenti
18.20 – 18.40 TAVOLA ROTONDA
ATTIVITÀ FISICA, ALLENAMENTO E SPORT: COSA SCEGLIERE?
Conduce Maria Elisabetta Gramolini
Partecipano Loira Toncelli, Giovanni Innocenti, Luisa Mazzotta, Michele Provvidenza, Mario Migliolo, Carlo
Giammattei, Ferdinando Franzoni, Andrea Bemi, Luca Magni

DISCUSSIONE
18.45 Chiusura lavori
Saluti istituzionali

Alberto Stefano Giovannetti

L'attività fisica come valore morale


Nelle società del benessere abbiamo scoperto come la vita di ognuno di noi sia sempre più
sedentaria e caratterizzata da ritmi frenetici. Tutto ciò porta con sé conseguenze negative per la
salute: il fenomeno dell'obesità e dell'aumento di patologie legate a tali comportamenti, come
diabete e problemi vascolari, è una delle minacce più incombenti sulla società contemporanea.
Dunque promuovere l'attività fisica s'impone come dovere educativo e morale. Da amministratore
ho a cuore il benessere psicofisico dei miei cittadini, pertanto ben vengano iniziative di
sensibilizzazione e una costante attenzione alla promozione dello sport e alle strutture ad esso
demandate. Il nostro territorio pullula di società sportive e la pubblica amministrazione non può
esimersi dal dare risposte in termini di spazi attrezzati e coinvolgimento di ogni fascia di età.
Credere di poterne fare a meno perché si è giovani o perchè si è anziani è un grande errore. Se un
tempo era solo un buon consiglio del medico di famiglia, oggi l'attività fisica sta compresibilmente
entrando nei "ricettari": aumentano, infatti, i medici che prescrivono l'esercizio fisico come
"medicina" per certe malattie o come prevenzione. La prima realtà a sperimentare l'attività fisica
come terapia medica è stata Strasburgo che, nel 2012, ha visto il suo Sindaco approvare un piano
contro le sedentarietà dei cittadini attraverso la prescrizione di sport da parte dei medici di famiglia.
In Italia è stata l'Emilia Romagna a prevedere le cosidette "palestre etiche" cui ha fatto seguito la
Lombardia nel 2017 con le "palestre della salute", quindi il Veneto: realtà nelle quali si crea una rete
in cui operano, fianco a fianco, ASL ed enti pubblici. Lo sport in ricetta si sta progressivamente
diffondendo insieme alla consapevolezza che fare movimento non implica necessariamente
sottoporsi ad estenuanti allenamenti; è sufficiente ritagliarsi tempo per svolgere con costanza
attività fisica accompagnati da professionisti delle scienze motorie, capaci di guidare nella pratica
ogni soggetto, che si tratti di un uomo, di una donna, di un giovane, di un adulto o di un anziano.
Dai dati del primo Rapporto regionale sullo sport condotto nel 2018 dalla Regione Toscana emerge
che i toscani hanno una buona predispozione al movimento, superiore alla media nazionale. Donne
e anziani, tuttavia, fanno meno attività fisica e su questo dato occorre lavorare. A tal proposito
ringrazio Fidapa BPW, sezione Versilia, per l'impegno di sensibilizzazione che da anni ha
intrapreso, anche a Pietrasanta, sull'attività fisica di genere concentrandosi sul benessere della
donna nelle varie fasi di vita. Un appuntamento che vede la partecipazione di numerosi esperti del
settore per una corretta promozione di una cultura dell'esercizio fisico e della cura di sé, per godere
di buona salute ad ogni età.
Sindaco del Comune di Pietrasanta

Fiammetta Galleni

Siamo orgogliosamente giunti al terzo convegno nazionale organizzato da Fidapa Versilia sui temi
dell‟attività fisica di genere, ospitato nella bellissima sala dell‟Annunziata del chiostro di
Sant‟Agostino a Pietrasanta. Nel corso degli anni abbiamo approfondito diversi aspetti riguardanti
questo tema ponendo l‟attenzione sui problemi che la donna affronta dall‟adolescenza all‟età matura
e che una corretta attività fisica adattata alle diverse esigenze e fasi della vita può aiutare a superare.
Il tema dell‟Attività Fisica di Genere è una nuova disciplina che sta ricevendo sempre più
attenzione ed interesse, tanto da essere diventato uno dei punti fondamentali della mission della
nostra associazione anche a livello nazionale. Fidapa BPW Italy ha infatti dato precise indicazioni
di lavoro sul tema della medicina di genere nel corso del XXV Convegno Nazionale tenutosi ad
Ischia lo scorso anno. L‟impegno della sezione Versilia è dunque proseguito con ancor più
motivazione ed entusiasmo, consapevole di aver orgogliosamente precorso i tempi e ha così deciso
di organizzare questo nuovo convegno che indagherà altri aspetti importanti legati alla salute della
donna, come il cuore, l‟osteoporosi, gli stili di vita da seguire e l‟importanza delle scienze motorie e
dell‟inserimento dell‟Attività Fisica di Genere nei programmi della salute pubblica, argomenti che
saranno sviscerati da relatori di eccezione a livello internazionale. Non posso che ringraziare in
primis proprio gli studiosi che hanno accettato il nostro invito a partecipare oggi e che con il loro
contributo danno vita e impreziosiscono questo incontro, i partner che ci sostengono, gli sponsor e
l‟Amministrazione Comunale di Pietrasanta, nella persona del Sindaco Alberto Giovannetti, che
ospita nuovamente il nostro convegno, sostenendo così concretamente gli obiettivi della
Federazione Italiana delle Donne nelle Arti, Professioni e Affari nella diffusione e conoscenza della
Medicina di Genere e dell‟Attività Fisica di Genere per la salute della donna.
Presidente Fidapa BPW Versilia

Diego Minciacchi
Con estremo piacere invio il mio saluto augurale al consesso di studiosi e ricercatori, nonché di
studenti e di ascoltatori, qui riunito in occasione del III° Convegno Nazionale “L‟attività fisica di
genere per la salute della donna”. Sebbene la partecipazione regolare all'attività fisica abbia benefici
per la salute lungo tutta la durata della vita, la percentuale di persone che svolgono un'attività
sufficiente diminuisce con l'età e con l‟accumularsi di impedimenti fisici di varia natura. In questo
contesto esiste una chiara differenza di genere sia nei fattori motivanti, sia nelle preferenze e nelle
esigenze. Le opportunità di attività fisica per gli adulti dovrebbero enfatizzare "la prevenzione dei
problemi di salute" e "il benessere", che sono i principali fattori motivanti per donne e uomini.
Le opportunità di attività fisica per le donne possono essere più allettanti se sono miratamente di
genere, supervisionate e fatte a tempo determinato, come indicato in uno studio recente (van
Uffelen JGZ, Khan A, Burton NW. 2017. Gender differences in physical activity motivators and
context preferences: a population-based study in people in their sixties BMC Public Health volume
17, Article number: 624). Gli uomini, invece, possono essere più attratti dalle opportunità delle
attività fisiche che richiedono un certo grado di competizione, sono vigorose, basate sulle abilità e
svolte all'aperto. Le specificità di genere nello svolgimento di attività fisica che verranno
evidenziate nel Convegno odierno sono bene all‟interno dei Target (Target 1, … riduzione … della
mortalità complessiva per malattie cardiovascolari, cancro, diabete o malattie respiratorie croniche;
Target 3, … riduzione … nella prevalenza di attività fisica insufficiente; Target 7, arresto
dell'aumento del diabete e dell'obesità) del piano globale di azione per le malattie non trasmissibili
(NonCommunicable Diseases – NCD, global action plan) del WHO (World Health Organization).
Il tema è – come brevemente accennato – di grande importanza scientifica, didattica, territoriale e
divulgativa, e raccoglie quindi il plauso e i complimenti vivissimi non solo miei personali ma anche
dei miei colleghi e di tutto il Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche dello Sport e delle
Attività Motorie Preventive e Adattate dell‟Università degli Studi di Firenze.
Certo del buon esito di questo Convegno, per tutti i partecipanti auspico una ricca, proficua e
piacevole giornata di crescita e di approfondimento su questo aspetto vitale delle scienze del
movimento.
Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche dello Sport e delle Attività
Motorie Preventive e Adattate dell’Università degli Studi di Firenze

Cinzia Fatini
Questo convegno è l‟occasione per focalizzare l‟attenzione su due tematiche attuali di grande
interesse sia clinico che sociale, la Medicina di Genere e l‟Attività Fisica di Genere.
Oggi siamo consapevoli che la Medicina di Genere non rappresenta una branca della medicina, non
è una specialistica, ma una dimensione trasversale della medicina che affronta le problematiche
cliniche e sociali in termini di specificità di genere.
L‟Università di Firenze, ha istituito, a tale proposito, un Master di II Livello in “Salute e Medicina
di Genere” offerto ai professionisti sanitari che rappresenta un percorso didattico volto a
promuovere la cultura nell‟ambito di una medicina genere specifica e finalizzato alla formazione di
figure professionali con conoscenze multidisciplinari anche nel campo delle scienze motorie.
Responsabile scientifico Salute e Medicina di Genere AOU Careggi e Coordinatore Master di II
livello in Salute e Medicina di Genere Università degli Studi di Firenze

Umberto Quiriconi
L‟approccio di genere in medicina rappresenta oramai un‟esigenza indilazionabile e necessaria
poichè la comprensione di quanto quest‟ultimo possa influire sull‟incidenza delle varie patologie,
sulla diagnosi, sulla risposta alle terapie, sulla diversa manifestazione degli effetti collaterali è più
che mai necessaria ai fini dell‟appropriatezza, efficacia delle cure ed efficienza dei percorsi
assistenziali.
La formazione sulla Medicina di Genere deve avvenire pertanto sin dal corso di studi universitario,
ma anche e soprattutto attraverso l‟educazione continua in medicina al fine di favorire la diffusione
di tale disciplina mediante pratiche divulgative atte a fornire indicazioni che tengano conto di questa
fondamentale variabile nei processi di ricerca, prevenzione, diagnosi e terapia con il fine ultimo di
offrire qualità e accuratezza nelle cure.
L‟attività fisica di genere si inserisce in questo contesto terapeutico – preventivo con applicazioni
specificamente dedicate alla salvaguardia dell‟efficienza motoria dell‟organismo femminile nel
rispetto delle sue peculiarità.
Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Lucca, Vicepresidente
Federazione Toscana degli Ordine dei Medici (FTOM) , Lucca

Alberto Tomasi* Alice Canali**


Dobbiamo ringraziare molto la prof. Elena Martinelli per l‟invito e soprattutto per il suo costante
impegno per promuovere l‟attività fisica svolta correttamente e con particolare attenzione alla salute
della donna. Il successo di questo terzo convegno nazionale conferma le sue grandi capacità e
l‟interesse per le tematiche affrontate.
L‟attività fisica praticata da tutti ed a tutte le età rappresenta uno degli stili di vita più corretti per
mantenere un buono stato di salute. Obiettivo che accomuna le attività del Dipartimento della
Prevenzione con quelle universitarie e delle società scientifiche. Poiché sono stato invitato anche a
partecipare nell‟ambito di questo convegno ad una interessante tavola rotonda dal titolo:
“Movimento e postura, serve un cambiamento culturale”, provo a portare il mio contributo.
Anche la storia dello sport ci conferma che abbiamo bisogno di un cambiamento culturale per il
quale soprattutto il personale sanitario deve impegnarsi. In realtà le donne furono ammesse per la
prima volta a partecipare alle gare olimpiche nel 1900 a Parigi, ma solo per il tennis e per il golf.
Paradossale il fatto che tra i più fieri avversari della partecipazione delle donne alle gare ci fu
proprio de Coubertin che sosteneva che il ruolo delle donne nei giochi olimpici era quello di
premiare i vincitori. Bisognerebbe quindi ricordare quelle di Atene del 1896 come le prime
Olimpiadi moderne, ma l‟attività fisica di genere non era concepita. Per fortuna l‟atletica femminile
ha radici lontane, molti autori e storici sostengono che in Grecia le ragazze si esercitavano non solo
nel gioco della palla, nella corsa e nei salti, ma anche nel disco e nel giavellotto. Il processo che ha
permesso la partecipazione delle donne a pieno diritto alle gare è stato comunque piuttosto lungo e
lento. Solo nel 1928, alle Olimpiadi di Amsterdam le donne hanno potuto partecipare alle gare di
atletica leggera. Ed è stato solo nel 1984 alle Olimpiadi di Los Angeles, che le donne sono state
ammesse alla gara della maratona. Da allora, il numero di ragazze e di donne che partecipano alle
attività sportive per dilettanti, agonistiche ed olimpiche è aumentato enormemente.
Finalmente, ma solo nel 1998, il CIO ha dichiarato che tutte le nuove discipline olimpiche dovranno
essere aperte indistintamente sia alle donne che agli uomini. Alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 le
atlete italiane hanno vinto lo stesso numero di medaglie d‟oro degli uomini.
La storia dello sport ci insegna che il tema della partecipazione delle donne alle attività sportive non
solo è di grande attualità ma è anche un argomento che va promosso in tutte le maniere. Garantire e
favorire la partecipazione di ognuno ad una attività sportiva è un diritto che va difeso e ribadito.
Fisiologicamente donne e uomini sono diversi e non solo nello sport, dove la fisiologia è alla base
dei movimenti e delle prestazioni, le differenze di genere vanno conosciute e considerate.
Le differenze di prestazioni nelle diverse discipline sportive si devono a caratteristiche fisiologiche,
ma negli sport dove le capacità fisiche come la forza e la velocità sono meno determinanti, le donne
possono competere sullo stesso piano. Le donne hanno una maggiore percentuale di grasso corporeo
rispetto all‟uomo e una massa muscolare relativamente minore, il peso di una donna media è
costituito per il 25% da tessuto adiposo, mentre nell‟uomo medio la percentuale è del 15%.
Il tessuto adiposo, essendo inerte, non aiuta, con l‟eccezione del nuoto, la prestazione sportiva, anzi
la riduce. Gli uomini godono di un ulteriore vantaggio in quanto possiedono un 10-14% di
emoglobina in più delle donne, il che aumenta la capacità del sangue di trasportare l‟ossigeno. Le
donne sono più piccole ed hanno il cuore più piccolo, così che il volume di sangue distribuito con
ogni battito cardiaco è in media inferiore del 25% rispetto a quello degli uomini. Poiché la
resistenza è determinata dalla gittata cardiaca la conseguenza è che le donne hanno
costituzionalmente una minore resistenza negli sport di lunga durata. Anche lo scheletro fornisce
all‟uomo un vantaggio strutturale, non solo ossa, muscoli e tendini sono più resistenti, ma il bacino
più ampio della donna costituisce uno svantaggio meccanico soprattutto nella corsa, costringendola
ad un lieve movimento laterale per bilanciare ogni passo con il successivo, il che sottrae una parte
della spinta alla velocità in avanti.
Il corpo della donna è mediamente costituito per il 40% da muscoli, quello dell‟uomo per il 60%.
Questa differenza e la maggiore forza potenziale dell‟uomo sono dovute all‟ormone maschile: il
testosterone che l‟uomo produce in quantità molto maggiore. L‟uomo è avvantaggiato nello sport
anche dalla maggiore capacità di assumere l‟ossigeno che è sempre mediamente superiore del 15-
20% a quella della donna. Ne è testimonianza la differenza di parecchi minuti nelle prestazioni di
maratona. La donna è anche più facilmente soggetta all‟anemia, sia per una minore capacità di
assimilare il ferro dagli alimenti (in condizioni normali la donna immagazzina solo 250 cc di ferro,
l‟uomo arriva ad assimilarne 800 cc) sia per le maggiori perdite con le mestruazioni. Vi è però una
specialità nella quale le donne possono competere con gli uomini, è il nuoto sulle lunghe distanze.
Anche questo può essere spiegato con le differenze fisiologiche. Le donne possiedono maggiori
quantità di grasso sottocutaneo e galleggiano più facilmente degli uomini, consumano meno energie
nel muoversi nell‟acqua e le loro gambe restano più in superficie, con una nuotata più idrodinamica.
Un altro vantaggio delle nuotatrici è che il grasso le dota di un migliore isolamento termico.
Fino alla pubertà ragazze e ragazzi competono negli sport senza evidenti disparità. Le maggiori
differenze in questa fase sono dovute probabilmente più all‟esperienza che al sesso e sono legate ad
abitudini e ad atteggiamenti culturali. Fino ai 9-10 anni i ragazzi maturano in modo quasi
omogeneo. Dopo le ragazzine si sviluppano più velocemente, diventano più alte, più coordinate e
aumentano di peso. Ma la loro crescita si ferma quando raggiungono l‟età di 15-16 anni, mentre i
ragazzi continuano a crescere fino ai 20-21 anni. La pubertà non migliora le prestazioni atletiche
delle ragazze come invece succede per i ragazzi. Crescendo le bambine acquistano un centro di
gravità più basso di quello dei maschi. Sviluppano le cosce e il bacino si allarga mentre i ragazzi
sviluppano maggiormente il torso, le spalle si allargano e il busto diviene più muscoloso. Mentre le
ragazze hanno un migliore senso dell‟equilibrio, i maschi acquistano un vantaggio meccanico e
strutturale che fornisce loro più forza e più velocità. Le donne dopo la pubertà sono soggette anche
agli effetti negativi non solo psicologici delle mestruazioni sulle attività e sulle prestazioni sportive.
La donna è dotata di un organismo che dal punto di vista metabolico consuma meno di quello
maschile. Come conseguenza la donna ha la tendenza ad ingrassare più facilmente rispetto
all‟uomo. Sono infatti necessarie alla donna meno calorie, circa il 10%, per mantenere in funzione
al meglio tutti gli apparati. Anche nel corso dell‟attività sportiva l‟organismo femminile tende ad
avere un consumo calorico inferiore. Non a caso il fabbisogno calorico consigliato è, a parità di età,
inferiore per la donna. Se negli sport in generale le prestazioni femminili sono, per ora, inferiori a
quelle maschili, non si può non sottolineare tuttavia il fatto che la vita media della donna è di 85,2
anni mentre quella dell‟uomo è di 80.8 anni (dati ISTAT 2018) e che continua ad esistere una
notevole forbice, uno scarto importante, tra la speranza di vita delle donne e quella degli uomini.
Sono state recentemente adottate dal Ministero della Salute le “Linee di indirizzo sull‟attività fisica
per le differenti fasce d‟età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a
sottogruppi specifici di popolazione” dove si ribadisce che: “La promozione di stili di vita salutari è
elemento indispensabile per migliorare la qualità di vita e per intervenire in modo significativo sul
decorso e la prognosi di patologie croniche. Il cambiamento comportamentale orientato all‟adozione
di stili di vita salutari è un processo complesso e dinamico, che si articola nel tempo in fasi
susseguenti, coinvolgendo numerosi attori: i singoli individui, gli operatori impegnati in istituzioni
sanitarie e non sanitarie, la società civile, le amministrazioni, l‟intera comunità. È necessaria una
strategia globale che favorisca la costruzione di convergenze programmatiche e di alleanze su
obiettivi condivisi coinvolgendo il più ampio e qualificato numero di stakeholder, valorizzando tutte
le competenze, superando la logica degli interventi progettuali circoscritti nel tempo, a favore di
programmi poliennali che prevedano fin dall‟inizio un piano condiviso di monitoraggio e
valutazione.” In questo senso i diversi operatori impegnati nella promozione dell‟attività fisica sul
territorio (medici, farmacisti, insegnanti, operatori di associazioni sportive, laureati in scienze
motorie, ecc.) pur operando in contesti differenziati e con finalità diverse, hanno tutti l‟opportunità
di predisporsi all‟accoglienza e all‟ascolto empatico dell‟altro, di creare la relazione all‟interno
della quale poter proporre contenuti, informazioni, attivazioni in base alle esigenze della persona e
alla specifica situazione del momento e al contesto. Tutto questo è possibile però solo se gli
operatori sono formati in specifici percorsi di apprendimento e hanno quindi acquisito le
competenze per condurre il processo comunicativo con intenzionalità e consapevolezza. In tale
contesto è auspicabile che i temi della promozione dell‟attività fisica, pur con differenziati livelli di
approfondimento, siano inseriti oltre che nella formazione degli operatori già attivi anche nel
curriculum formativo universitario dei professionisti sanitari e non, e nei percorsi formativi post-
laurea. Anche la loro motivazione gioca un ruolo fondamentale e questa può essere alimentata dalla
possibilità di lavorare sentendosi parte di una strategia complessiva e considerando il loro
intervento non come un evento episodico e isolato, ma come uno dei molteplici “momenti di
comunicazione” funzionali alla promozione di stili di vita salutari.
Ringraziamo ancora la prof. Martinelli perché anche con l‟organizzazione di questo convegno si
muove lungo il percorso auspicato dal Ministero della Salute con l‟obiettivo di motivare il personale
e di far crescere la cultura del movimento per la salute di tutte le donne.
*Direttore Area Igiene Pubblica - Azienda USL Toscana Nord Ovest
**Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva – Università di Pisa

Franco Mosca
Questa edizione del Convegno “Attività fisica di genere per la salute della donna” dimostra come la
disciplina, frutto della creatività della Prof.ssa Elena Martinelli, stia screscendo rapidamente e
mostri nuovi campi di intervento delle Scienze Motorie Applicate alla ricerca della Salute e del
benessere della persona.
Auguro all‟iniziativa lo stesso grande successo che la tematica ha riscosso nel corso dell‟edizione
2018 del Festival Internazionale della Robotica (http://www.festivalinternazionaledellarobotica.it)
organizzato dalla Fondazione Arpa (www.fondazionearpa.it) in Pisa che ha ospitato l‟Associazione
Fidapa BPW Versilia sostenitrice dell‟iniziativa della Prof.ssa Martinelli.
Professore Emerito di Chirurgia Generale, Università di Pisa
Fondatore e Presidente della Fondazione Arpa (www.fondazionearpa.it)
Mario Migliolo
Per molto tempo lo sport è stato considerato congeniale ai maschi in virtù delle loro caratteristiche
fisiche; questo convinzione, che potremmo definire del "determinismo biologico", ha condizionato
gli interessi della medicina e della medicina dello sport in particolare.
La crescita sostenuta dal dopoguerra della quota femminile sul totale degli atleti, a partire dall'età
più giovani (si stima in 179.000 la partecipazione di giovani atlete ai Giochi della Gioventù nel
1969, giunte a ben 1.170.000 dieci anni più tardi) ha destato l'attenzione degli studiosi sugli effetti
della pratica sportiva sulla fisiologia femminile; gli studi hanno prodotto conoscenze rese
disponibili ai medici anche per merito della FMSI, un impegno che si concretizzo nel luglio dello
scorso anno presso il Coni con l'organizzazione di un importante convegno dal tema "La FMSI è
anche rosa: la Medicina dello Sport e la Donna".
La più recente diffusione della pratica delle attività sportive a fini salutistici, ha poi sortito
un'inversione di tendenza: a differenza della pratica sportiva agonistica, nella partecipazione ad
attività volte al benessere fisico e al mantenimento della funzionalità corporea, le donne superano
gli uomini (eccezion fatta per la fascia di età over 60) contribuendo alle conoscenza delle differenze
di genere del valore "terapeutico" dell'attività fisica.
Il Convegno, ”l’Attività Fisica di Genere per la salute della donna” organizzato da Fidapa BPW
Versilia , apporta importanti contributi alla diffusione delle più recenti conoscenze e al confronto
fra professionisti.
Presidente Comitato Regionale Toscana FMSI (Federazione Medico Sportiva Italiana)

Daniele Iacò
Ringrazio l'Università degli Studi di Firenze per aver confermato anche quest'anno patrocinio
all'evento, la Prof. Martinelli per averci coinvolti in un progetto tanto ambizioso, gli enti, le
personalità e le organizzazioni intervenute e tutti i partecipanti per la sensibilità e l'interesse reso
manifesto con la vostra presenza qui oggi. Siamo giunti alla terza edizione del Convegno nazionale
sull'Attività Fisica di Genere, intuizione della cara prof. Elena Martinelli, che come ogni sogno
guadagna terreno a ritmi lenti, come un albero di ulivo, per poi radicarsi con la solidità dimostrata
oggi dalla sempre crescente partecipazione di enti, personalità ed organizzazioni qui riunite a
sostegno di questa grande “rivoluzione culturale” contro la banalizzazione del movimento e a
favore della professione svolta dai laureati in Scienze Motorie. Fin dalla prima edizione il CISM ha
dato appoggio all'iniziativa credendo in questa nuova disciplina nata con l‟obiettivo di ampliarne gli
studi e le occasioni di divulgazione, pur sapendo che un'idea simile non sarebbe stata compresa nè
accettata facilmente ed avrebbe richiesto un considerevole periodo di incubazione. All‟inizio le
dicemmo “ Vai avanti tu, noi ti seguiremo” così Elena Martinelli con il prezioso apporto di
FIDAPA BPW Versilia ha proseguito creando occasioni e collaborazioni, presentando la disciplina
in molti contesti scientifici, divulgativi e istituzionali, sviluppando una serie di applicazioni pratiche
a disposizione di tutti e portandoci ad oggi con una realtà finalmente consolidata e pronta per essere
posta all'attenzione delle istituzioni accademiche e di governo come strumento ulteriormente
qualificante e professionalizzante le Scienze Motorie, nonché utile strumento per la salute della
persona in età evolutiva, adulta e anziana nei due sessi.
Attività fisica è Vita, lo dice la scienza, lo dice la World Health Organization, lo dice l'esperienza di
miliardi di persone che ogni giorno beneficiano di questo grande strumento. A nome personale e dei
professionisti in Scienze Motorie che rappresento auguro a tutti noi buon lavoro.
Presidente CISM (Comitato Italiano Scienze Motorie)
Daniela Melchiorre
La Società Medico Chirurgica Lucchese (SMCL) anche quest‟anno con il proprio Patrocinio
intende sottolineare l‟importanza ed il ruolo strategico del convegno nazionale “l‟Attività Fisica di
Genere per la salute della donna - Gender Physical Activity for the health of women” che è alla sua
terza edizione. Il convegno è organizzato dalla Prof.ssa Elena Martinelli, del CdL in Scienze
Motorie Sport e Salute e LM in Scienze e Tecniche della Attività Motorie e Sportive Preventive e
Adattate, dell‟Università degli Studi di Firenze e ha come end point primario quello di evidenziare
il ruolo dell‟Attività Fisica di Genere in un contesto più ampio rispetto alle scienze motorie. Da
molti anni come SMCL seguiamo con attenzione l‟attività delle diverse professionalità che con le
proprie competenze cercano un‟integrazione ed un preciso ruolo per favorire e tutelare la salute
della persona. In tal senso auspichiamo che il convegno di quest‟anno rappresenti un momento utile
al confronto e alla divulgazione degli argomenti trattati ma al tempo stesso funga da stimolo per il
riconoscimento del ruolo importantissimo che le scienze motorie svolgono nella prevenzione e per
il benessere psico-fisico dell‟individuo.
Presidente Società Medico Chirurgica Lucchese

Francesca Merzagora* Nicoletta Orthmann**


Con grande piacere sosteniamo anche quest‟anno l‟iniziativa con il patrocinio della Fondazione
Onda, apprezzando in particolare la scelta delle tematiche, tra cui la salute cardio-vascolare e
l‟osteoporosi, e il ricco panel di relatori di alto profilo. Parlare di Attività Fisica di Genere, significa
approcciare l‟ambito delle Scienze motorie applicate in modo innovativo e rispondente alla
necessità di garantire la personalizzazione degli interventi.
Proprio quest‟anno, sulla spinta dei dati sempre più allarmanti, Onda ha promosso un progetto di
sensibilizzazione per contrastare la sedentarietà, veicolando nel network degli ospedali italiani
premiati con i Bollini Rosa per l‟attenzione rivolta alla salute femminile, materiali divulgativi per
spiegare l‟importanza di praticare corretta attività fisica con regolarità, far conoscere i gravi rischi
correlati all‟inattività e offrire consigli pratici.
Secondo l‟Organizzazione Mondiale della Sanità, l‟inattività fisica è il quarto fattore di rischio di
mortalità a livello globale: circa 3,2 milioni di persone muoiono ogni anno perché non abbastanza
attive. È riconosciuta quale causa principale dei tumori della mammella e del colon (23%), del
diabete (27%) e malattie cardiache ischemiche (30%). La sedentarietà rappresenta uno dei principali
problemi della società moderna ed è responsabile della drammatica crescita di sovrappeso e obesità,
a loro volta potenti fattori di rischio per gravi patologie croniche.
In Italia, la sedentarietà è responsabile del 14,6% di tutti i decessi, pari a circa 90.000 morti
all‟anno, e a una spesa in termini di costi diretti sanitari di 1,6 miliardi di euro annui per le quattro
malattie maggiormente ad essa imputabili.
Nel nostro Paese oltre il 60% della popolazione non fa attività fisica corretta e regolare, quasi 4
persone su 10 praticano meno di 10 minuti di attività moderata o intensa 1 giorno a settimana e sono
quindi sedentarie. Il rischio di sedentarietà aumenta con l‟avanzare dell‟età ed è maggiore tra le
donne: la prevalenza di donne sedentarie è del 43,4% rispetto al 34,8% degli uomini.
Del resto, le donne hanno sempre meno tempo a disposizione, impegnate nel mondo del lavoro
spesso in attività prevalentemente di tipo sedentario, assorbite dai carichi domestici e familiari,
dalla gestione dei figli e dei genitori sempre più anziani.
Per sostenere uno stile di vita attivo, motivando le persone a modificare le proprie abitudini e a
mantenere nel tempo questi modelli di comportamento, occorre dunque agire non solo sulle
condizioni individuali ma anche su quelle sociali e ambientali.
È inoltre opportuno promuovere tra gli operatori una cultura della “prescrizione” dell‟attività fisica
attraverso programmi personalizzati adeguati alle esigenze di salute del singolo individuo.
*Presidente Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere
**Coordinatore medico-scientifico Onda
PRIMA SESSIONE: SALUTE DELLA DONNA E STILI DI VITA

Introduce Anna Maria Celesti, Conducono Loredana Marrapodi e A. M. Celesti

IL MODELLO ORGANIZZATIVO REGIONALE DELLA SALUTE E MEDICINA DI


GENERE

Mojgan Azadegan
Responsabile del Centro di Coordinamento Regionale per la Salute e la Medicina di Genere,
Regione Toscana

Il Modello Organizzativo Regionale della Salute e Medicina di Genere


I concetti di sesso e di genere sono spesso impropriamente sovrapposti. Le differenze di genere
influiscono su prevenzione , diagnosi e cura delle malattie. Pur essendo soggetti alle medesime
patologie, uomini e donne presentano sintomi, progressione di malattia e risposta ai trattamenti
molto diversi tra loro. La medicina di genere non è una specialità a sé stante, ma un‟integrazione
trasversale di specialità e competenze mediche affinché si formi una cultura e una presa in carico
della persona che tenga presente le differenze di genere.
Si Pone un approccio diverso e innovativo alle disuguaglianze di salute, studiando le persone
uomini e donne, non solo biologicamente, ma in maniera più complessa e globale con una presa in
carico che analizza anche il contesto socio-culturale in cui vivono.
Il principio di equità significa non solo parità di accesso alle cure, ma anche poter disporre della
cura più adeguata al proprio genere, con un intervento più mirato, che permette anche notevoli
risparmi economici a tutto il sistema che diventa più sostenibile.
Il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, approvato il 30 maggio
scorso dalla Conferenza Stato-Regioni, ed adottato con DM 13 giugno 2019 del Ministero della
Salute come previsto dall‟art. 3 della legge 3/2018, è nato dall‟impegno congiunto del Ministero
della salute e del Centro Nazionale di riferimento per la Medicina di Genere dell‟Istituto Superiore
di Sanità. L‟articolo 3 della legge n. 3/2018 “Applicazione e diffusione della medicina di genere nel
Servizio sanitario nazionale” prevedeva, infatti, che il Ministro della salute, sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e
avvalendosi del Centro nazionale di riferimento per la medicina di genere dell'Istituto superiore di
sanita', predisponesse, con proprio decreto, un piano volto alla diffusione della medicina di genere
mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella
prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine
di garantire la qualita' e l'appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale in
modo omogeneo sul territorio nazionale. In particolare, la legge prevedeva che il decreto tenesse
conto dei seguenti principi:
a) previsione di un approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche e le scienze umane che
tenga conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire l'appropriatezza della ricerca,
della prevenzione, della diagnosi e della cura;
b) promozione e sostegno della ricerca biomedica, farmacologica e psico-sociale basata sulle
differenze di genere;
c) promozione e sostegno dell'insegnamento della medicina di genere, garantendo adeguati livelli di
formazione e di aggiornamento del personale medico e sanitario;
d) promozione e sostegno dell'informazione pubblica sulla salute e sulla gestione delle malattie, in
un'ottica di differenza di genere.
Aree principali di intervento del Piano Nazionale di Medicina di Genere sono:
1. percorsi clinici (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione): Garantire la prevenzione,
diagnosi e cura ad ogni persona con un approccio che tenga conto delle differenze di genere, in
tutte le fasi della vita e in tutti gli ambienti di vita e di lavoro;
2. ricerca e innovazione:Promozione e sostegno della ricerca biomedica, farmacologica e psico-
sociale basata sulle differenze di genere e trasferimento delle innovazioni nella pratica clinica;
3. percorsi clinici (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione): Garantire la prevenzione,
diagnosi e cura ad ogni persona con un approccio che tenga conto delle differenze di genere, in
tutte le fasi della vita e in tutti gli ambienti di vita e di lavoro;
4. ricerca e innovazione: Promozione e sostegno della ricerca biomedica, farmacologica e psico-
sociale basata sulle differenze di genere e trasferimento delle innovazioni nella pratica clinica;
5. formazione e aggiornamento professionale: garantire adeguati livelli di formazione e di
aggiornamento di tutto il personale medico e sanitario in tema di Medicina di Genere;
6. comunicazione informazione: promuovere la conoscenza della Medicina di Genere presso tutti
gli operatori della sanità e la popolazione generale, coinvolgendo il mondo del giornalismo e dei
media.
Alcuni obiettivi specifici del Piano Nazionale di Medicina di Genere sono:
• costruire mappe online di ambulatori,ospedali e istituti di ricovero cura e riabilitazione che applichino
la Medicina di Genere;
• produrre in modo sistematico e diffuso le analisi dei ricoveri ospedalieri, della riabilitazione post-
acuzie e del consumo dei farmaci e dell‟utilizzo di dispositivi medici con dati sesso-stratificati;
• promuovere azioni a livello nazionale e regionale volte all‟applicazione dei principi della legge 81/08
in tema differenze di genere e sicurezza negli ambienti di lavoro;
• predisporre le linee di attuazione delle conoscenze e innovazioni derivate dalle ricerche specifiche
nell‟ambito della Medicina di Genere nel SSN, attuazione di PDTA dedicati;
• informare e sensibilizzare la popolazione generale e i pazienti sulla Medicina di Genere, attraverso
campagne e iniziative di comunicazione con il coinvolgimento del giornalismo e dei media;

Salute e Medicina di Genere: istituzione del Centro regionale di coordinamento


La Toscana è la prima Regione Italiana ad aver inserito nel suo Piano Socio-Sanitario l‟elemento di
Genere ed è l‟unica regione in Italia ad istituire già dal 2014 un Centro Regionale di
Coordinamento.
La Delibera n. 960/2018 ha definito il sistema Regionale della Salute e Medicina di Genere, di cui
fanno parte il Centro di Coordinamento Regionale per la salute e medicina di genere (SMG) e la
rete territoriale, aggiornando la composizione del Centro, già costituito con DGR 144/2014 e
collocato, ai sensi dell'art. 43 della LR 40/2005, fra le strutture del Governo Clinico regionale.
L‟organizzazione territoriale prevede la presenza in tutte le Aziende ed Enti del Sistema Sanitario
Regionale dei Centri di Coordinamento SMG con l‟obiettivo principale di puntare su un modello "a
rete" per una sanità sempre più attenta alle differenze di genere.
Creare una rete di professionisti già attivi nelle reti cliniche e la promozione delle iniziative tese a
sviluppare un attenzione gender-sensitive nelle varie realtà e percorsi aziendali, ci aiuta a potenziare
gli aspetti progettuali gender-oriented.
Un recente articolo (BMJ n.365/2019) revisiona un‟ampia letteratura che testimonia l‟importanza
della qualità dell‟organizzazione per la qualità delle cure. La variabilità degli esiti clinici dipende in
parte dalla disponibilità di farmaci e tecnologie innovative. Certe differenze si spiegano anche con
la capacità di lavorare in team.
Il Centro, programma la propria attività e i propri obiettivi attraverso la presentazione di un
documento tecnico pluriennale di attività, aggiornato annualmente. Pur espletando attività
prettamente sanitarie, il Centro si relaziona anche con gli altri tavoli istituzionali e settori regionali
che si occupano direttamente o indirettamente della parità di genere.
Considerato che, in base al Decreto Ministeriale n.70/2015 le Regioni sono chiamate a costituire
reti cliniche e percorsi diagnostici terapeutici (PDTA) che ci spingono a lavorare in team, nel piano
biennale dell‟attività 2019-2020 sono stati sviluppati aspetti pratici come l‟intervento nei PDTA
(percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali) Gender Sensitive, tenendo presente l‟importanza
della formazione degli operatori socio sanitari.
Nell‟ambito delle politiche gender oriented si colloca anche una specifica attenzione agli stili di vita
e allo sviluppo di buone pratiche. In questo contesto possono collocarsi interventi specifici, da
coordinare con le altre strutture e figure professionali interessate, anche nella promozione delle
attività sportive. Infatti, l‟attenzione al genere si ritrova anche nella Carta Europea dello sport (Rodi
1992) che, all‟art. 2, comma I, definisce lo sport come: “qualsiasi forma di attività fisica che,
attraverso una partecipazione organizzata o non organizzata, abbia per obiettivo l’espressione o il
miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento
di risultati in competizioni di tutti i livelli”.
Per quanto riguarda l‟attività fisica, la Regione Toscana nel 2016 ha aderito al programma WHP
(Workplace Health Promotion) che è un programma dell‟OMS per la promozione della salute
attraverso corretti stili di vita sul lavoro.
Il programma Regionale ha ottenuto il riconoscimento dalla Rete Europea ENWHP come
modello di buona pratica, perché in linea con la Dichiarazione di Lussemburgo e perchè
contribuisce alla diffusione di una nuova cultura a sostegno della salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro. Il programma WHP prevede lo sviluppo di buone pratiche, da realizzare nell'ambito di 6
aree tematiche di riferimento tra queste la promozione dell‟attività fisica.
La filosofia di intervento del WHP è la rete, realizzata attraverso una stretta collaborazione tra
sistema sanitario e imprese o enti, con il coinvolgimento attivo di tutti i destinatari: attori sociali,
amministrazioni pubbliche e figure della prevenzione, compresi i dirigenti, i lavoratori e i loro
rappresentanti.
Inoltre, il “Global action plan on physical activity 2018–2030: more active people for a healthier
world ” , il primo Piano d‟azione globale per promuovere l‟attività fisica, ha lo scopo di aiutare le
nazioni ad avere nuove linee guida in grado di migliorare la quantità e la qualità dell‟attività fisica
di tutta la popolazione. Il Piano è rivolto specialmente alle categorie più a rischio quali donne adulte
e adolescenti.
Affinché ognuno applichi questi concetti a livello organizzativo ed essi diventino un approccio
culturale quotidiano, occorre investire sulla medicina di genere per dare concretezza al concetto di
centralità del paziente nella ricerca e messa a punto di trattamenti efficaci e innovativi per la tutela
della salute.
L‟obiettivo deve essere quello di una medicina basata sull‟evidenza e personalizzata sul genere così
da assicurare maggiore adeguatezza e appropriatezza delle cure, con conseguente riduzione degli
aggravi al Sistema Sanitario nazionale e regionale.
SALUTE E STILI DI VITA: ASPETTI SOCIALI E CULTURALI

Rita Biancheri
Sociologia dei processi culturali Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Pisa

La Commissione sui Determinanti Sociali di Salute dell‟Organizzazione Mondiale della Sanità


(2008), ha messo in luce come le disuguaglianze dell‟ambiente sociale influenzino sia l‟accesso ai
servizi sanitari sia gli stili di vita, determinando conseguentemente anche le disuguaglianze di
salute. Ha tali fattori dobbiamo includere il genere, non solo come ulteriore elemento assieme alla
classe, al livello di istruzione, all‟etnia e all‟appartenenza geografica ma come categoria trasversale
interpretativa per leggere le differenze e superare il neutro inclusivo maschile, che ha caratterizzato
per lungo tempo l‟approccio bio-medico. In alcuni studi recenti per esprimere tale molteplicità di
variabili individuali è stato introdotto il concetto di intersezionalità aggiungendo l‟ orientamento
sessuale e l‟età, mettendo in discussione gli approcci tradizionali improntati sulle categorie binarie
uomo-donna.
Nel seguente articolo ci occuperemo in particolare della prospettiva di genere in salute, cioè non
solo delle componenti biologiche delle differenze sessuali, ma degli aspetti sociali e culturali che
intervengono nell‟insorgenza della malattia e nella cura, ritenendo un aspetto fondamentale del
percorso terapeutico proprio l‟appartenenza identitaria e gli aspetti che riguardano la prevenzione.
Nella fig. 1 (Fig. 1 - Donne di 65 anni e più per livello di
soddisfazione per dimensione e classe d‟età. Fonte Istat
2016) si vede chiaramente che le donne anziane sono
particolarmente soddisfatte delle relazioni familiari e per le
relazioni amicali, compreso il tempo libero mentre le
dimensioni più critiche sono la situazione economica
considerata molto e abbastanza soddisfacente soltanto dal
46,8% e la salute dichiarata soddisfacente dal 55,2 %.
Rispetto però ai coetanei maschi ci sono differenze in tutti i
fattori che riguardano anche le donne del Mezzogiorno.
Questo ci conferma ancora una volta di più che non si
possono non tenere conto dei diversi contesti e i corsi di vita
come dimostrano le rilevazione Istat.
Di conseguenza, tale prospettiva richiede dimensioni
maggiormente comprensive rispetto ai criteri clinici e
funzionali, in altri termini è necessario un approccio
multidisciplinare che tenga conto della multidimensionalità
della salute, intesa come benessere bio-psico-sociale. Se le
donne vivono di più, così ci dicono le statistiche, ma soffrono
di una maggiore morbilità, per spiegare un simile apparente
paradosso, abbiamo bisogno di chiavi di lettura diverse
rispetto alle teorie tradizionali che escludevano le donne sia come soggetti che praticano la scienza
sia come oggetti di studio assimilati all‟universo maschile (Cfr. Fig 2)

Fig. 2 Speranza di vita a 65 anni e


speranza di vita senza limitazioni
funzionali a 65 anni
Fonte Istat 2016 Mortalità della
popolazione italiana
Le donne continuano ad essere più longeve rispetto agli uomini, seppure il vantaggio si riduce nel
tempo: nel 2014 è di 4,7 anni (nel 2000 era di 5,8 anni), inoltre convivono per più tempo con
malattie croniche meno letali, ma invalidanti, che possono comportare ulteriori limitazioni
funzionali e pregiudicare la qualità degli anni ancora da vivere, come si vede dalla fig. 1. Sebbene
persistano tali differenze di genere, dall‟analisi di questo indicatore nel tempo emerge in modo netto
che gli anni di vita guadagnati sono tutti vissuti senza limitazioni funzionali severe. In altri termini
le donne di 65 anni raggiungeranno in media almeno gli 81 anni senza problemi funzionali severi.
Inoltre l‟Istat registra una crescita degli indicatori di salute soggettiva, anche se riguarda
maggiormente la popolazione più istruita rispetto a quella parte di popolazione più
svantaggiata(Cfr. Fig 3). Tra i cambiamenti da segnalare ai fini dell‟oggetto di questo articolo, sono
quelli relativi alle patologie più diffuse cioè quelle osteoarticolari: l‟artrosi/artrite riguarda infatti il
59,8 per cento delle donne di 65 anni e più, ma resta stabile rispetto al 2005, mentre l‟osteoporosi è
in aumento e colpisce circa il 40 per cento di tali donne.

Fig 3. Donne di 65 anni e più


con limitazioni funzionali per
classe di età e livello di
istruzione conseguito. Fonte
Istat 2016 Indagine Condizioni
di salute e ricorso ai servizi
sanitari

1. La situazione teorico-applicativa della prospettiva di genere in salute


Negli ultimi dieci anni nel nostro paese abbiamo assistito a una proliferazione di convegni sui temi
della medicina di genere, ma persiste tuttora una confusione che si è generata attorno all‟argomento,
in quanto non abbiamo tra le diverse discipline, divise tra natura e cultura, un frame condiviso. Le
possibili trappole derivano in primis dall‟utilizzo del termine genere come sinonimo di sesso,
perdendo quella ricchezza euristica che invece appartiene alla sua costruzione sociale e culturale.
Ne deriva la necessità di superare tali strettoie, provando a delineare spazi dove poter attuare il
confronto, avendo un fine comune: il miglioramento del benessere delle persone. Gli studi che si
concentrano su indicatori non materiali e sulle condizioni del quotidiano femminile senza separare
l‟ambito familiare da quello produttivo, possono rappresentare un campo teorico paradigmatico per
quanto riguarda la salute delle donne, superando i riferimenti biologici e ormonali che hanno
prevalso finora in ambito medico, oltre a una una messa a punto di strumenti che possano essere
utilizzati anche sul piano operativo, come un diverso tipo di anamnesi che comprenda le storie di
vita del/lla paziente (Biancheri, Taddei 2018). Occorre una progettazione in grado di superare la
frammentazione dei servizi e costruire degli strumenti e degli interventi che agiscano
sinergicamente per attuare un‟effettiva integrazione socio- sanitaria. Misure, per esempio, che
assumano la conciliazione dei tempi di vita per la doppia presenza lavorativa delle donne,
schiacciate tra cura e occupazione per il mercato, non semplicemente come risposta ai mutati
bisogni delle famiglie, ma diventi un‟azione di prevenzione assieme al cambiamento dei modelli
culturali (Biancheri 2014). Non possiamo, quindi, non sottolineare anche in questa sede che se si
vuole affrontare il tema della salute, attraverso la lente del genere e in una prospettiva
multidisciplinare, è necessario rimandare ad una più ampia riflessione sui “saperi situati”, rispetto
alla presunta oggettività della scienza; a quell‟eurocentrismo androcentrico di cui la scienza è
tuttora fortemente impregnata. Questa critica, ai fondamenti epistemologici della medicina, per chi
si occupa di temi di salute nella sua componente sociale è certamente è un contributo importante, e
ormai si può dire del tutto sedimentato in molte teorie, per superare l‟approccio bio-medico a favore
di un concetto che incorpori la complessità delle variabili che intervengono nella sua costruzione.
Lo stesso non si può dire per l‟uso del genere, come categoria analitica, applicata alla salute come
testimonia anche l‟importante Manuale curato da Ellen Kuhlmann e Ellen Annandale The Palgrave
Handbook of Gender and Healthcare del 2014 dove si si legge che nonostante sia accresciuta
l‟attenzione alle questioni dell‟equità di genere i tentativi di integrare questa prospettiva
nell‟assistenza sanitaria sono frammentari e ridotti alle differenze sessuali, senza tenere conto delle
“complesse condizioni di vita di uomini e donne” e dei riflessi che questo può avere nell‟erogazione
delle cure. Ci sono nuove disuguaglianze sociali che possono avere conseguenze sulle domande di
salute per cui, secondo le Autrici, è necessario un approccio critico e riflessivo in grado di esplorare
le sfide e le opportunità che possano derivare “dal portare il genere al centro della politica, della
pratica e della ricerca in materia di salute”(p.34).
I dati statistici ci offrono elementi che riguardano maggiormente le differenze nelle malattie, ma
abbiamo meno conoscenze sulla salute e, in particolare, sui motivi e in che modo si verificano gli
svantaggi. Abbiamo conoscenze sui ruoli, le posizioni sociali di donne e uomini ma raramente la
ricerca sanitaria adotta un approccio sistemico che potrebbe aiutare a esplorare le opportunità di
interventi politici più organici per un assistenza sanitaria gender sensitive.
La letteratura a livello internazionale ribadisce dunque l‟importanza di riflettere sull‟ architettura
istituzionale e organizzativa, aprendo così nuove opportunità di interventi per l'uguaglianza di
genere, riducendo le diseguaglianze sociali e migliorando la qualità e l‟efficienza delle prestazioni
sanitarie. E‟ necessario rimuovere, sostengono Kuhlmann e Annandale il pregiudizio organizzativo
maschiocentrico, apparentemente neutro, a partire dagli obiettivi, attraverso nuove forme di
governance che tengano conto dei risultati delle ricerche e delle loro implicazioni pratiche.
Non c‟è dubbio che in questo terreno consolidato della clinica l‟utilizzo del genere come paradigma
abbia trovato seri ostacoli così come in molti altri settori disciplinari, e particolarmente, laddove i
condizionamenti accademici hanno maggiormente cristallizzato gli studi attorno a temi, ritenuti
rilevanti, dalle comunità scientifiche; escludendo percorsi che, a torto, erano considerati soltanto
rivendicazioni per acquisire pari opportunità e, quindi, di pertinenza femminile. Sottovalutando,
dunque, il terreno degli studi di genere come nuove ontologie ed escludendo la soggettività
femminile dall‟analisi, costruita su una pretesa razionalità senza corpo affidata all‟occhio della
mente, si è consolidata una visione maschile tecnico- scientifica ben strutturata da cui sono derivati
i principali frame teorici e metodologici. È soltanto nell‟ultimo quinquennio l‟inserimento di questo
insegnamento nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia e la costituzione di Osservatori nelle diverse
regioni e presso l‟Istituto Superiore di Sanità.
2. Stili di vita in ottica di genere
Come è noto ci sono malattie croniche che vengono associate a comportamenti sedentari, la
strategia dell‟OMS si pone l‟obiettivo di ridurre del 15% l‟inattività, entro il 2030 e costituisce uno
dei nove obiettivi previsti a livello mondiale dal “Piano d‟azione globale per la prevenzione e il
controllo delle malattie croniche non trasmissibili 2013–2020”. Il nostro piano nazionale
“Guadagnare in salute”, fino al 2020, ha un obiettivo sistemico e intersettoriale di coinvolgimento
di tutti i nodi della rete da quelli socio-economici a quelli culturali e ambientali. Questa sfida non
può essere gender blind e quindi ciascun approccio deve tenere conto del contesto di vita e delle
inclinazioni affinché si possano applicare programmi efficaci per diffondere la vita attiva,
migliorare la salute e la qualità della vita, ma anche per favorire i processi di inclusione e di
coesione nella società. Nella Dichiarazione di Bangkok del novembre 2016, che ha richiamato gli
obiettivi di sviluppo per il 2030, vengono sostenuti i seguenti punti che sono fortemente correlati tra
loro per ridurre le diseguaglianze fra questi l‟equità di genere occupa un posto non solo centrale ma
anche trasversale con gli altri elementi: tutelare la salute e il benessere per tutti e a tutte le età,
offrire un‟istruzione di qualità, realizzare l‟uguaglianza di genere, ridurre le disuguaglianze, rendere
le città e le comunità inclusive, sicure, resilienti e sostenibili, agire per combattere il cambiamento
climatico proteggere la vita sulla terra, promuovere società eque, pacifiche e inclusive. Per la
promozione di questi stili di vita, oltre al Sistema sanitario, la scuola e il sistema sportivo sono
importanti le infrastrutture, la morfologia e la tutela ambientale, la progettazione urbana, spazi
pubblici attrezzati, mobilità sostenibile, politiche sociali adeguate ed efficaci.
Inoltre sta assumendo un‟importanza fondamentale l‟attenzione ai luoghi di lavoro1 per la
promozione dell‟attività fisica attraverso: policy aziendali a favore della promozione di uno stile di
vita attivo, che prevedano il coinvolgimento del medico competente; riorganizzazione dell‟ambiente
lavorativo e delle modalità di lavoro in modo da facilitare la pratica dell‟attività fisica e contrastare
la sedentarietà; supporto al cambiamento dei comportamenti non salutari da parte del singolo e del
gruppo.
Scrive l‟Istat: “La nostra salute è frutto di una complessa interazione di concause, sia operanti nel
presente che eredità di stili di vita passati: fattori economici, sociali, culturali, politici, ambientali,
comportamentali e biologici concorrono infatti nel favorire o danneggiare la salute. Anche una
insufficiente offerta di servizi socio-assistenziali e sanitari può avere un impatto più o meno
determinante nell'insorgenza e nella persistenza delle condizioni di malessere”.
In tutte le fasi della vita, lo stato di salute (psichico, fisico e funzionale) condiziona in positivo o in
negativo la possibilità di espressione e costruzione della propria vita, tanto a livello individuale
quanto familiare e sociale, tanto a livello materiale (condizioni socio-economiche in età attiva e non
attiva) quanto immateriale (partecipazione alla vita sociale, relazionale, benessere soggettivo,
benessere psicologico). Per quanto riguarda gli stili di vita le donne hanno una maggiore attitudine a
fare prevenzione, si sottopongono più frequentemente ad accertamenti medici. Se prima c‟era una
distinzione legata alla classe sociale, oggi con l‟attivazione dei programmi di screening tali
diseguaglianze stanno diminuendo. Inoltre le donne hanno anche abitudini più salutari rispetto ai
loro coetanei, fumano di meno e consumano un quantità inferiore di alcol, sono in misura minore
obese o in sovrappeso rispetto agli uomini della stessa età e mediamente mangiano più frutta e
verdura, ma si rivelano molto più sedentarie degli uomini. Infatti le percentuali di donne tabagiste
sono il 15% mentre gli uomini seppur con una diminuzione significativa nel tempo sono al 23,3%
(Cfr . Fig.4)

Fig. 4 Percentuale di fumatori/fumatrici - Fonte Ministero della salute 2018

Ci sono anche differenze regionali significative come dimostra la cartina dell‟Italia

1
La bibliografia di settore evidenzia ricadute con effetti positivi non solo per la salute dei lavoratori, ma anche per il
datore di lavoro con immagine positiva sul piano sociale ed economico, un conseguente miglioramento degli indici di
produttività, una riduzione delle assenze per malattie e infortuni ed i costi associati, un positivo effetto sulla
socializzazione e sull’aggregazione, la fidelizzazione e la soddisfazione del dipendente.
3. L’attività fisica
Come è noto, scrive l‟Istat “l‟attività fisica è un fattore protettivo per diverse patologie
(ipertensione, ictus, malattie coronariche, diabete mellito, ecc.), produce una positiva ricaduta
sull‟umore e sul livello di autostima individuale, riduce stress, ansia e depressione, ma i livelli di
pratica sono oggi ancora assolutamente insufficienti, soprattutto tra le donne anziane, malgrado
esistano numerose evidenze scientifiche che dimostrano i benefici effetti della pratica di attività
fisico-motoria regolare e moderata, anche nell‟età anziana” (p.24).
Da segnalare sono 
le differenze territoriali rispetto a prevenzione, stili di vita e comportamenti
salutari sono marcate e vedono sempre più svantaggiato il Mezzogiorno, la pratica di attività fisica è
meno frequente e riguarda più gli uomini che le donne, superiore, contro il 4,2% tra quelle con al
massimo la licenza elementare.
Sappiamo che le donne, da sempre adottano stili di vita più salubri. Nella seguente tabelle sugli stili
di vita dei giovani, non divisa per genere, si nota che con il crescere dell‟età aumenta il peso
soprattutto nei maschi.
Tab.1
Fig. 5 Persone di 65 anni e più che praticano attività
fisica per sesso e ripartizione geografica e titolo di
studio - Fonte Istat 2016

Per concludere le attività fisiche e motorie praticate sono oggi ancora assolutamente insufficienti,
soprattutto tra le donne anziane, malgrado esistano numerose evidenze scientifiche che dimostrano i
benefici effetti di tali pratiche anche nell‟età avanzata. Le motivazioni possono ancora essere lette
in ottica di genere, vedendo nell‟impegno che permane per molte donne nell‟attività di cura e
domestica, per la solidarietà intergenerazionale e il ruolo dei nonni, un tempo ancora di rinuncia
sottratto a quello per sé a cui le donne sono abituate a rinunciare.

Bibliografia di riferimento
AA.VV, Linee di indirizzo sull‟attività fisica per differenti fasce d‟età con riferimento a situazioni
fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione, Roma
Biancheri R. (a cura di)(2014), Genere e salute tra prevenzione e cura, Salute e Società, n°1.
Biancheri R. (a cura di)(2016), Culture di salute ed ermeneutiche di genere, Salute e società n° 3
Biancheri R., Cervia S.(a cura di)(2017), Costruire la salute nel welfare socio-sanitario, Pisa
University press Biancheri R.(a cura di)(2017), La qualità della vita in una società in
trasformazione. Vita urbana, salute, partecipazione, Roma, Carocci.
Biancheri R., Taddei Stefano (a cura di) (2018), Narrare la malattia per costruire la salute.Una
prospettiva multidisciplinare, Pisa University Pres
Istat (2016), Come cambia la vita delle donne, Roma
SECONDA SESSIONE
OSTEOPOROSI, MOVIMENTO E POSTURA
Introduce Alessandro Battaglia Conducono Mario Manca e Alberto Tomasi
Lezione magistrale

LE OSTEOPOROSI E IL METABOLISMO OSSEO

Maria Luisa Brandi


FirmoLab, Fondazione FIRMO, Direttore SOD Malattie del Metabolismo Minerale e Osseo AOUC
Careggi Università degli Studi di Firenze

Molto si parla di osteoporosi come una unica patologia, ma sarebbe meglio parlare delle osteoporosi
come condizioni cliniche che si traducono in un aumento della fragilità ossea, ma la cui causa è
diversa. Nella grande famiglia delle osteoporosi la classificazione prevede di parlare di osteoporosi
involutive, la post,menopausale e la senile, e forme secondarie, una famiglia composita la cui
patogenesi trova una causa definita e diagnosticabile.
Oggi in realtà sono le osteoporosi secondarie - quelle causate da malattie di altri organi o sistemi, da
deficit nello stile di vita e da uso di farmaci che alterano il metabolismo osseo – a rimanere non
diagnosticate. Su questo argomento si deve fare formazione e la formazione partirà dall‟educare il
medico alla valutazione del metabolismo osseo, che è poi il metabolismo dei minerali.
In questa presentazione verranno approfondite le basi cellulari e molecolari del metabolismo osseo
e dei mezzi che la ricerca ci ha messo a disposizione per fare una diagnosi biochimica e strumentale
di fragilità ossea.
La prevenzione delle fratture da fragilità è un‟emergenza dei Paesi industrializzati e sapere che in
un decennio in Italia si frattureranno i baby boomers ci fa comprendere l‟importanza di eventi
formativi di questa natura.

RUOLO DELL’ESERCIZIO FISICO NEI DISORDINI DEL METABOLISMO OSSEO

Loredana Cavalli* Giulia Malevolti**


*Istituto di Fisiologia Clinica del CNR Lecce, Direttore sanitario Centro Giusti Firenze
*Laureata Magistrale Scienze e tecniche dello sport e delle attività motorie preventive e adattate
Università degli Studi di Firenze

L‟esercizio fisico riveste molteplici ruoli nell‟ambito dei deficit di massa ossea, in quanto agisce sul
metabolismo osseo, sul trofismo muscolare, riduce il dolore, migliora la postura e la mobilità di
ogni distretto, innalza il tono dell‟umore e in senso più ampio migliora in modo significativo la
qualità della vita. L‟effetto osteotrofico dell‟esercizio si esplica attraverso una azione diretta data
dalla stimolazione del rimodellamento osseo mediata dalle sollecitazioni meccaniche (Legge di
Wolf) e un‟azione indiretta, migliorando forza e vigilanza muscolare allo scopo di prevenire le
cadute o ridurne la gravità. Pertanto è importante che l‟esercizio fisico preveda un percorso di
rieducazione propriocettiva, dell‟equilibrio e del controllo posturale, al fine di prevenire il
sovraccarico articolare e ridurre il rischio di caduta.
L‟effetto osteoprotettivo varia a seconda dell‟età del soggetto, del sito osseo esaminato e del tipo di
esercizio. Nel soggetto pre-pubere l‟attività fisica, purchè non superi il limite fisiologico, è in grado
di incrementare il picco di massa ossea raggiunta (Karlsson J Bone Miner Res 2002; Singh Int J
Sport Med 2002). Nell‟anziano invece il movimento è utile a preservare la massa ossea attuale
(Bonaiuti et al. Eur Med Phys 2005). Numerosi studi hanno esaminato gli effetti sulla massa ossea
di diversi approcci fisioterapici, che vengono presi brevemente in esame.
I dati recentemente raccolti dalla sottoscritta e riportati in una tesi di laurea magistrale in Scienze
Motorie hanno messo in evidenza la precocità degli effetti osteotrofici dell‟esercizio fisico mirato,
nonché l‟importanza della costanza e della correttezza nell‟esecuzione degli esercizi per ottenere in
breve tempo un miglioramento della postura.
La valutazione degli effetti densitometrici ossei (T-score ottenuto con tecnica REMS) e funzionali
(sulla postura e sul dolore) di un percorso di riequilibrio posturale con metodo C.A.MO. e panca
WBS in 6 soggetti osteoporotici con deviazioni o fratture del rachide. Dopo una accurata visita
fisiatrica, completa di fotografie e test funzionali, gli esercizi sono stati scelti allo scopo di
mobilizzare il rachide, irrobustire la muscolatura erettoria del tronco e i muscoli antigravitari degli
arti inferiori. Nell‟arco di un solo mese di percorso di riequilibrio posturale metodo C.A.MO.®,
svolto per 1 ora dalle 2 alle 3 volte a settimana, è emerso un miglioramento dell‟assetto posturale e
una riduzione del dolore in tutti e 6 i pazienti arruolati, un mantenimento dei valori densitometrici
lombari e un lieve miglioramento di quelli femorali (delta T score= + 0,1).
L‟esercizio fisico assume dunque un ruolo chiave nella prevenzione e nel trattamento
dell‟osteoporosi e delle sue complicanze, nel miglioramento dell‟equilibrio e della postura, da
associare necessariamente ad un corretto stile di vita e regime alimentare, nonché alla eventuale
terapia farmacologica. Fondamentale che l‟esercizio sia proposto e illustrato da professionisti
laureati in scienze motorie, i soli in grado di selezionare in sicurezza i movimenti ottimali e più
consoni alla funzionalità del soggetto.

Bibliografia
 Babatunde et al. Exercise interventions for preventing and treating low bone mass in the forearm: A
systematic review and meta-analysis. Arch Phys Med Rehabil. 2019 Aug 26.
 Bass S et al. J Bone Miner Res 13: 500-7 1998;
 Doyle F, et all: Lancet 1970;1:391–3;
 Gibbs JC et al, Exercise for improving outcomes after osteoporotic vertebral fracture. Cochrane
Database Syst Rev. 2019 Ju
 J Bone Miner Res 2001;16:175-81
 Martinelli E., “Mal di schiena: prevenzione e trattamento Postural Back School Metodo
C.A.MO.®”, (2017), Firenze: Masterbooks.
 Martinelli E., “Rieducazione posturale: fondamenti per la progettazione della postura”. (2012),
Firenze: Firenze University Press
 Parodi V., Martinelli E., “Il back pain di origine meccanica”. (2008). Editrice Veneta Vicenza
 Schafer R.C., “Clinical Biomechanics: Musculoskeletal Actions and Reactions”, Williams &
Wilkins
POSTURA CIFOTICA SENILE E DANNI BIOMECCANICI
ATTIVITA’ FISICA DI GENERE ADATTATA METODO C.A.MO.®

Elena Martinelli* Ferdinando Paternostro**

*Associato, Scuola di Scienze della Salute Umana, Corso di Laurea in Scienze Motorie,
Università degli Studi di Firenze
** Ricercatore, Scuola di Scienze della Salute Umana, Corso di Laurea in Scienze Motorie,
Università degli Studi di Firenze

Introduzione:
L‟allineamento scheletrico ideale, standard, è un meccanismo antigravitario economico. Il
mantenimento delle curve fisiologiche della colonna vertebrale garantisce la salute e l‟efficienza del
corpo. Soltanto il 10% delle persone rientra nei parametri fisiologici ed è rappresentata da soggetti
che raramente accusano sintomatologia dolorosa [13]. Il tratto toracico o dorsale trasferisce i
carichi, sostenuti / trasmessi dagli arti superiori o dalla parte alta del tronco, verso la zona lombare.
In assenza di radiografia, l‟entità della curva cifotica si può valutare con il soggetto in posizione
eretta con i talloni e la schiena appoggiati ad una parete misurando la distanza dell‟occipite dal
muro; la classificazione è arbitraria: leggera ( < 5.0 cm.), moderata (5.1 – 8.0 cm.) e grave (> 8.0)
[16]. Per opporsi alle forti forze gravitazionali, il corpo umano si è adattato integrando finalità
architettoniche raffinate e dinamiche di sostegno che permettono di mantenere la posizione eretta
relativamente senza sforzo. La Postura è il risultato dell‟interazione funzionale tra le componenti
biomeccaniche, neurofisiologiche, psicologiche e psicomotorie dell‟individuo che si evidenzia con
gli atteggiamenti statici e dinamici dei segmenti corporei, variabili in relazione agli obiettivi da
perseguire e agli stimoli dell‟ambiente [16]. Una postura corretta è il risultato di una condizione di
equilibrio muscolo-scheletrico spendibile sia nella posizione eretta statica che durante i movimenti.
L‟equilibrio è garantito dalle strutture dinamiche e inerti responsabili dell‟equilibrio posturale: la
muscolatura fornisce controforze dinamiche ai momenti di estensione e di flessione causati dalla
forza gravitazionale a livello delle articolazioni e, in presenza di un sistema nervoso intatto, fornisce
un feedback sensitivo-motorio. Le strutture inerti ossee e legamentose e le componenti di tessuto
connettivo forniscono tensione passiva alle articolazioni e sostegno per sorreggere il peso in
stazione eretta.
Uno stile di vita sedentario può indurre ad assumere atteggiamenti scorretti, ma molti sono gli
eventi attitudinali, patologici o traumatici che nel corso della vita possono indurre ad assumere vizi
posturali che compromettono inevitabilmente lo stato di benessere del rachide e della persona
stessa. Tra questi particolare interesse, per le ripercussioni sull‟apparato respiratorio e per le
sindromi dolorose lombari e cervicali associate, rivestono le ipercifosi acquisite (dorso curvo
“professionale”, atteggiamento cifotico del cardiopatico, cifosi osteoporotica, cifosi dorsolombari
da posture fisse sedute o da sedia a rotelle) [14]. La cifosi toracica non è deputata al movimento
bensì alla protezione e la sua accentuazione non necessariamente può avere una causa imputabile ad
un problema muscolo –vertebrale, può invece rappresentare un problema interno o anteriore [6].
Alcuni studi definiscono la ipercifosi
come una condizione di normalità in una
gran parte della popolazione anziana
dovuta a diversi eventi: cuneizzazione
del corpo vertebrali in seguito a frattura
della parte anteriore, artrosi e
conseguente degenerazione, morbo di
Parkinson, cardiopatie. Si tratterebbe di
una condizione con eziologia
multifattoriale. Tra le varie probabili
cause, la demineralizzazione e la postura
sembrerebbero avere maggiori
responsabilità, ma alcuni recenti studi [20] hanno dimostrato che non c‟è relazione di causa – effetto
tra osteoporosi e grado di ipercifosi, così come pure tra alterazione posturale e presenza di fratture.
Certo è che l‟ipercifosi determina una perturbazione pericolosa del fisiologico assetto posturale, per
l‟apparato respiratorio e digestivo, tali da provocare importanti conseguenze sulla salute della
persona.
L‟assetto posturale cifotico dell‟anziano, quindi, deve essere valutato con attenzione anche per le
conseguenti modificazioni sulla forza e l‟allungamento della muscolatura del busto e degli arti
inferiori e sulle altre curve fisiologiche, fattori che determinano pericolose condizioni di
sovraccarico globale e distrettuale oltre a influenzare la deambulazione e l‟affaticamento generale.
L‟attività fisica adattata, il riequilibrio posturale e le scelte su basi ergonomiche e biomeccaniche
risultano quindi indispensabili nel trattamento conservativo della ipercifosi senile e per tutte le
persone a rischio il medico dovrebbe avvalersi del contributo del laureato in Scienze Motorie.
Lo studio della biomeccanica rachidea generale, e in particolare lo studio dei mutamenti indotti nel
sistema dall'invecchiamento fisiologico e dalle patologie relazionate all'età, richiede di conoscere le
proprietà dei componenti rachidei, intesi sia come "sistemi" che come "materiali", per poterli
utilizzare nel contesto di un'analisi di tipo quantitativa [2] e approntare il programma di educazione
comportamentale e motorio di riequilibrio posturale e di compensazione.
Considerando che gli strumenti a disposizione del laureato in Scienze Motorie sono essenzialmente
di natura biomeccanica, la distinzione precedente è fondamentale, in quanto consente di trarre
ispirazione dal comportamento in natura per ottimizzare la strategia anti-ingravescente dell'anziano
possibile nell'ambito della sua sfera di competenza. Solo la conoscenza più approfondita dei
meccanismi di trasformazione correlati all'invecchiamento consentirà di evitare interventi
improvvisati e scorretti, permettendo di coordinare in modo intelligente e potenziare le risorse
fisiche residue dell'anziano [12].

Comportamento biomeccanico dei costituenti dell'elemento di mobilità rachideo


Il rachide è in grado di svolgere in modo egregio le funzioni basilari richieste ad un meccanismo
poliarticolato tridimensionale (cinematica, di sostegno e di protezione dell‟asse nervoso), ma per
ottenere ciò opera costantemente in regime di "economia biomeccanica" richiedendo spesso ai suoi
costituenti un comportamento di tipo polifunzionale (strutturale/mobilizzazione/controllo).
I legamenti hanno come funzione principale quella del controllo, permettendo limitati movimenti
relativi, ma sono in grado di trasmettere carichi elevati una volta giunti a fine corsa, svolgendo così
funzione strutturale.
Le varie fibre muscolari sono gli elementi di movimentazione, ma, dosando le azioni antagoniste,
possono svolgere funzioni di controllo della postura corporea di rilevanza strategica. I muscoli,
secondo differenti meccanismi, possono trasferire notevoli carichi dalla parte superiore del dorso al
bacino, svolgendo perciò funzione strutturale. Altra azione strutturale, svolta dall'azione sinergica di
tutti i fasci muscolari, è quella di mantenere i dischi sostanzialmente sempre a pura compressione
(contenendo in valori ragionevoli le forze di taglio, che favoriscono gli scorrimenti) e minimizzando
le sollecitazioni di flessione nelle differenti direzioni [1].
Per quanto riguarda il disco, esso rappresenta la massima estrinsecazione della polifunzionalità.
La vertebra è fondamentalmente un elemento strutturale. Con i mutui contatti attraverso le faccette
articolari superiori ed inferiori, si formano catene vertebrali che si autolimitano nei movimenti,
realizzando così anche la funzione di controllo. La vertebra è il costituente rachideo che meglio si
identifica con l'immagine della funzione strutturale svolta dalla colonna vertebrale. È l'elemento
"rigido" del sistema; ma tale rigidezza è assai relativa e la deformabilità della vertebra è tutt' altro
che trascurabile. Il corpo vertebrale è soggetto a compressione, le apofisi trasferiscono le
sollecitazioni di flessione e di taglio derivanti dalla interconnessione con legamenti e fibre
muscolari e pertanto una certa parte del loro materiale osseo può essere sollecitato a trazione. Il
corpo vertebrale è costituito da un guscio periferico di osso compatto (di rigidezza inferiore a quello
delle ossa lunghe), molto sottile, che avvolge l'osso spongioso dalla caratteristica struttura
trabecolare. L'architettura dello spongioso è organizzata per trasmettere i carichi pressori in senso
verticale, da piatto a piatto, ed armonizzare gli inserimenti delle apofisi. È essenziale ricordarsi che
per tutta la vita è sottoposta ad una continua azione di rimodellamento che ne modifica la
geometria, ubbidendo a segnali di natura specifica ancora dubbia ma correlabili all'intensità ed alla
direzione delle tensioni agenti, rendendola adeguata alla situazione operativa prevalente.

Meccanismi di trasformazione legati all’invecchiamento:


L'osso è un materiale "vivo" che muta le proprietà meccaniche passando dallo stadio immaturo a
quello maturo e da quest'ultimo all'invecchiamento. Patologie, farmaci, regimi di vita ed alimentari,
razza, condizioni di lavoro, ecc. risultano altamente condizionanti nei confronti delle sue proprietà
biomeccaniche. Inoltre l'osso vecchio risente dell'eredità storica delle differenti condizioni di
rimodellamento a cui è stato sottoposto nel tempo e che condizionano le differenze qualitative e
quantitative di minerale e collagene a livello strutturale. Si può quindi dire che, almeno in parte,
possiamo ritenerci direttamente responsabili della qualità del materiale scheletrico che
accompagnerà la seconda metà della nostra vita. L'inizio della senescenza dell'osso compatto
vertebrale (e in generale) viene indicato dalla riduzione delle tensioni limiti sopportabili senza
danneggiamento, sia in compressione che in trazione. La rigidezza non sembra molto compromessa,
mentre la deformazione accettabile prima di giungere al danno si riduce. Anche il comportamento
sotto urto è caratterizzato da una riduzione, crescente con l'età, della capacità di assorbimento
dell'energia d'impatto (infragilimento dell'osso) [15]. L'elemento dominante della fase
d'invecchiamento dell'osso è il continuo incremento di mineralizzazione. Esiste una degradazione
senile delle proprietà del collagene (il componente "fibroso" del "composito" osso), ma è nel
raggiungimento dell'ipermineralizzazione che si nascondono i meccanismi di degradazione della
resistenza all'urto. L'osso che evolve verso l'invecchiamento ha la tendenza di sviluppare localmente
delle regioni ipermineralizzate; in tali punti la frattura è facilitata dalla presenza di microcricche
attivate che spesso si arrestano quando, nella loro diffusione attraverso la massa ossea, invadono
zone meno mineralizzate. La creazione di zone ad alta densità, ad esempio in seguito ad un
rimodellamento originato dal prodursi di microfratture, è certamente un evento meglio collegabile
all'accumulo dei traumatismi piuttosto che al valore assoluto del grado di mineralizzazione. Per
questo motivo il fenomeno del degrado delle proprietà meccaniche dell'osso sotto urto può apparire
meglio correlabile con l'età che con altri parametri. Rimane ovviamente valida la considerazione
che una fase di vita precedente, in cui si siano ridotte le occasioni di produzione di
microtraumatismi, risulti favorevole al raggiungimento dell'età avanzata nelle migliori condizioni
[16]. Evitare i microtraumatismi non significa condurre una vita statica e sedentaria, ma
semplicemente sviluppare fin da giovani, attraverso l'educazione fisica, un controllo posturale
corretto e una capacità motoria intelligente, finalizzata all'uso del corpo senza commettere abusi.
Effetti biomeccanici dell’osteoporosi:
La patologia più comune collegabile all'invecchiamento dell'osso spongioso è l'osteoporosi (OP).
Da un punto di vista nosologico è difficile inquadrare l'OP in quanto l'unica manifestazione clinica
certa è la frattura patologica [23]. Attualmente la diagnosi dell'OP è orientata nel senso di
considerare come fattore indicativo la riduzione della densità ossea al di sotto di una definita soglia
di rischio di frattura. In questo contesto si deve tenere conto della densità ossea raggiunta in età
adulta e della velocità di riduzione in post-menopausa o durante lunghe immobilizzazioni (che
possono costituire cause scatenanti di fratture osteoporotiche negli anziani) [3]. Dato che l'osso
spongioso vertebrale ha tempi di rinnovamento estremamente rapidi (velocità circa 10 volte
superiore a quella del corticale delle ossa lunghe), i mutamenti osteoporizzanti stravolgono
precocemente la sua struttura, che diviene così sede di elezione per il riconoscimento della
patologia in atto. L'immobilizzazione dell'anziano, per qualunque motivo, e le posture fisse
cifotiche sono situazioni ad altissimo rischio che devono essere scongiurate con ogni metodo
possibile. (60 giorni di immobilizzazione nelle scimmie riduce a meno della metà la resistenza a
compressione dello spongioso nei corpi vertebrali lombari).
L'OP consiste nel fatto che la cavità di riassorbimento viene riempita con una quantità insufficiente
di osso neoformato e lo squilibrio dipenderà sia dall'entità del bilancio negativo dell'unità
multicellulare che dal numero di unità attivate. Se nell'unità si ha un riassorbimento superiore alla
neoformazione, e questa azione si esplica su trabecole più sottili della norma, si ha il taglio e la
perdita di continuità della trabecola stessa. Dal punto di vista biomeccanico la trabecola così
lesionata perde la sua funzione strutturale (riduzione della rigidezza e della resistenza dell'osso) pur
garantendo un congruo contributo al rilievo densitometrico. Successivi processi riparativi
risulteranno pressoché inutili, in quanto depositeranno nuovo osso sui lembi delle interruzioni ma
raramente saranno in grado di ripristinare la continuità delle trabecole e con questa la vera integrità
strutturale. Si può, al limite, recuperare del tutto la densità ossea iniziale, pur avendo ormai
compromessa gravemente la funzione strutturale. Questa visione concorda con l'osservazione del
prodursi di fratture di tipo OP nell'osso spongioso pur in presenza di valori di densità ossea tutt'altro
che sospetti [8].
In conclusione si può affermare che nell'anziano sono da attendersi notevoli decrementi di
resistenza meccanica del corpo vertebrale in concomitanza di modeste riduzioni di densità ossea. I
farmaci disponibili per lo stimolo della neoformazione sono di efficacia dubbia nel confronto del
miglioramento delle caratteristiche meccaniche dell'osso spongioso ed ancora una volta si evidenzia
la convenienza della prevenzione, preferendo il ricorso agli inibitori del riassorbimento osseo che
svolgono una funzione di profilassi sul meccanismo di sconnessione trabecolare [9]. L'osso
spongioso del corpo vertebrale può sorreggere anche il 90% del carico pressorio totale; supponendo
per esso un degrado della resistenza per scorrimento è possibile giungere nel giro di qualche ora alla
moltiplicazione del valore del fattore di rischio. Questa situazione può rivelarsi estremamente
pericolosa in soggetti anziani sottoposti per molte ore a carichi "fisiologici", specie se aggravati da
posture scorrette (sono del resto noti casi di fratture vertebrali, in età senile, derivanti da prolungate
giacenze su sedie a rotelle). Pertanto attività ripetitive, con carichi rachidei elevati e persistenti nel
tempo, possono giocare un ruolo importante nella progressione delle fratture vertebrali nell'anziano.
Nella struttura vertebrale l'osso spongioso provvede al trasferimento di gran parte dei carichi lungo
l'asse rachideo e pertanto è continuamente soggetto a sollecitazioni variabili nel tempo.
Nella trabecola, che costituisce l'elemento strutturale dell'osso spongioso, si ha una struttura a
"pacchetti" di lamelle, variamente ordinati, di diverso grado di mineralizzazione, uniti da irregolari
linee di cementazione. Si è dimostrato che è sufficiente una modesta percentuale di rotture
trabecolari per provocare forti riduzioni della rigidezza dello spongioso. Questo perché le rotture
delle trabecole tendono a manifestarsi in adiacenza a precedenti fratture con la tendenza a creare
zone espanse di danneggiamento [16]. Ancora una volta si evidenzia come l'anziano debba temere,
più che l'eccesso di attività fisica, una eccessiva limitazione abbinata a ripetitività degli schemi
comportamentali (spesso scorretti) che si traducono in costanza di sollecitazioni statiche ed in un
accumulo di danni da fatica eccessivamente localizzati. Dato che il compito strutturale principale
della vertebra è la trasmissione della compressione dal piatto superiore al piatto inferiore, l'osso
spongioso del corpo vertebrale organizza le trabecole secondo strutture colonnari verticali che
congiungono detti piatti. Tali strutture, se sottoposte a compressione, diverrebbero facilmente
instabili per problemi di equilibrio elastico; a ciò provvede l'osso stesso stabilendo robusti
collegamenti trasversali che uniscono le singole trabecole colonnari. La conseguenza è che nel
corpo vertebrale del soggetto giovane si ha una predominanza di organizzazione "crociata" (nelle
sezioni verticali) dell'architettura trabecolare. L'invecchiamento evidenzia una incapacità di
adeguamento completo ai mutamenti che si manifestano, e in particolare si osserva una
"trascuratezza" nel ripristino dei collegamenti trasversali rispetto a quelli verticali; probabilmente
perché in essi viene a mancare la presenza continua di uno stato di sollecitazione e quindi il senso
della loro "indispensabilità". L'invecchiamento si riconosce per la sostituzione dell'organizzazione
crociata delle trabecole con una assai meno caratterizzata geometricamente. Nelle donne il
fenomeno si scatena con la menopausa, precedendo nel tempo ciò che avverrà anche nel maschio in
età generalmente più avanzata. La conseguenza è una notevolissima riduzione della capacità della
vertebra di sopportare carichi pressori. Diventano altamente pericolose le posture non fisiologiche e
ipercifotiche. Infatti se comprimiamo una colonna vertebrale si osserva l'avvicinamento tra le
vertebre contigue e, in corrispondenza, un rigonfiamento del profilo laterale del disco.
L'invecchiamento attiva meccanismi che producono una riduzione della rigidezza dell'osso, mentre i
carichi da sopportare rimangono sostanzialmente invariati; ne consegue un incremento delle
deformazioni subite che facilmente giungono a superare i limiti tollerabili. Studi di simulazione che
attribuiscono, per osteoporosi, riduzioni della rigidezza dello spongioso del 25 e del 50%
identificano incrementi della deformazione del piatto vertebrale pari rispettivamente al 35 ed al
100%. Tale modello comportamentale trova conferma nel riscontro di numerosi microcalli riparativi
nella zona sottostante il piatto vertebrale, crescenti in numerosità con il progredire dell'età. Nelle
stesse condizioni, se si ipotizza una condizione di carico pressorio eccentrico (come in presenza di
momenti flettenti agenti sul rachide) si raggiungono valori molto elevati di tensione sulla corticale
del corpo vertebrale, che possono spiegare la tipica rottura del corpo nella parte anteriore [7].

Il disco intervertebrale e sue modificazioni con l'invecchiamento


Il disco è formato da un nucleo polposo "fluido" cerchiato da un anello fibroso; a sua volta
quest'ultimo è costituito da numerosi strati di fibre, ad inclinazioni variabili ed invertibili ad ogni
strato, fissate con gli estremi alla zona periferica dei piatti delle vertebre affacciate.
Con l'invecchiamento il volume del nucleo diminuisce e la sua matrice si modifica assumendo un
aspetto fibroso e solido simile a quello dell'anello. E' indubbio che tale trasformazione, anche se è
fisiologicamente correlata all'avanzamento dell'età, viene notevolmente accelerata da una situazione
di vita che sottopone i dischi a frequenti sovraccarichi. Le fibre dell'anello sono mediamente
inclinate di 30-35° nel giovane ed evolvono verso l'orizzontalizzazione con il progredire dell'età (a
conseguenza di un abbassamento generalizzato del disco), attivando un meccanismo di strappi e
sfilacciature a partire dagli strati più interni. Si può giungere, nei soggetti anziani, ad anelli con
fibre degenerate per più del 50% del totale e presenza di estese calcificazioni nelle fessurazioni.
La depressurizzazione del disco ed il consolidamento del nucleo polposo hanno come conseguenza,
nell'anziano, lo spostamento della zona pressoria dal centro del piatto vertebrale verso la periferia
della vertebra. Ne risulta una riduzione dello stato tensionale dell'osso spongioso del corpo
vertebrale ed un trasferimento dei carichi sulle sottili corticali del contorno. La rigidezza di tale
guscio, sommata ad una quasi certa cattiva distribuzione del carico in conseguenza
dell'irrigidimento dell'anello, amplifica i rischi di fratture vertebrali sotto carichi statici e dinamici.
La degenerazione del disco non è fonte, di per sé, di importanti asimmetrie di pressione, ma lo
diviene in presenza dell‟inclinazione dei piatti [4]. Un disco sano ed alto ha un comportamento da
"liquido", permettendo la distribuzione uniforme della pressione sulla superficie vertebrale anche in
presenza di un certo grado di inclinazione e di carico eccentrico. Nel caso invece di dischi bassi ed
alterati, come spesso si riscontrano nell'anziano, il comportamento è da sistema "solido", con
possibilità di forti concentrazioni di pressioni locali e conseguente elevato rischio di fratture a parità
di carico globale applicato. Il fenomeno del cambiamento di distribuzione delle pressioni sul piatto
condiziona anche nella tipologia il meccanismo della frattura vertebrale. Nel giovane, a nucleo
polposo "fluido", la frattura si manifesta centralmente con lo sfondamento del piatto vertebrale,
fratture trabecolari ed assenza di erniazione nello spongioso. Nell'anziano, a disco "solido", la
frattura avviene a cuneo coinvolgendo la corticale vertebrale anteriore od anterolaterale [20].
La muscolatura:
Fondamentale è il contributo dei vari livelli di attivazione delle differenti fibre muscolari del dorso
che condizionano pesantemente la deformabilità del sistema rachideo e ne garantiscono, per quanto
possibile, l‟integrità [14]. Il riequilibrio posturale metodo C.A.MO.® attiva la muscolatura
intrinseca ed estrinseca del rachide e le sinergie equilibratrici muscolari che, abbinate al ripristino
della mobilità residua del dorso e del cingolo scapolo omerale, sono indispensabili per contrastare
l‟atteggiamento curvo abituale e per rimuovere lo schema posturale scorretto a livello del SNC.
Il rachide sottoposto a sollecitazioni:
Sotto eccitazioni di vibrazione o d'urto, non importa se applicate attraverso i
glutei nella posizione seduta o in arrivo direttamente nel bacino attraverso le
articolazioni degli arti inferiori, l'energia meccanica si trasmette lungo il rachide
dal bacino verso il cranio. Il trasporto energetico è ripartibile su di un vasto
campo di frequenze e si verificherà un'attenuazione tanto più marcata quanto più
il rachide presenterà un comportamento "elastico" [3; 4]. La somma dei fenomeni
degenerativi connessi normalmente con l'aumento dell'età porta il sistema
rachideo verso un irrigidimento generale. Questo significa che una sempre
maggiore quantità di energia, avente origine da eventi dinamici, viene
convogliata senza attenuazione verso la parte superiore del corpo. Se si considera
che gli stessi fenomeni d'invecchiamento producono anche una fragilizzazione delle strutture ossee
rachidee ed una generalizzata riduzione di resistenza di tutte le strutture integrate nella colonna, è
palese la pericolosità della situazione illustrata (specie se aggravata da scorretti atteggiamenti
posturali) [14]. Anche situazioni non estreme, come la semplice deambulazione od il trasporto da
seduto su mezzi motorizzati, possono divenire per l'anziano fonti di danno.
Conclusioni:
In un fisico sano ed esente da patologie, la salute del rachide non potrà che trarre giovamento da
tutte quelle attività che ne favoriranno la mobilizzazione e il mantenimento della postura fisiologica.
E‟ perciò necessario mantenere e/o incrementare la forza della muscolatura erettoria del dorso e
l'educazione nel controllo posturale corretto, che, se sviluppato già in età evolutiva, potrà attenuare
gli effetti biomeccanici negativi associati all'invecchiamento. In età più avanzata
il controllo posturale, la forza muscolare e la corretta gestione della colonna
vertebrale [17] diverranno strategici per limitare i rischi di danni rachidei
associati ai fenomeni degenerativi [11]. Anche l'educazione alla deambulazione
ed all'esecuzione biomeccanicamente corretta dei più elementari movimenti della
vita quotidiana può risultare preziosa per ridurre il rischio di danni irreversibili
anche in soggetti che presentano gravi
alterazioni rachidee [13; 17].
Particolarmente importanti saranno le
iniziative finalizzate a ridurre la
produzione di compressioni localizzate in
siti specifici del corpo vertebrale e la loro
persistenza nel tempo, nonché ad inibire la
generazione di eccessivi carichi impulsivi nell'esecuzione dei più comuni atti
quotidiani [12]. Nella prevenzione primaria e nella prevenzione secondaria
appaiono evidenti le grandi potenzialità insite nel ruolo che rivestono
l'apprendimento di corretti stili di vita, l‟incremento della forza e della elasticità muscolare e un
corretto comportamento posturale associato al mantenimento della mobilità residua, argomenti di
personalizzazione dell‟intervento che caratterizzano l‟Attività Fisica di Genere, disciplina delle
Scienze Motorie.
(Foto archivio C.A.MO.®)

Bibliografia
1. Becchetti S.,Monti M. e Parodi V.(1997)"La biomeccanica delle funzioni rachidee come sintesi dell'organizzazione
muscolare e legamentosa vertebrale",Chinesiologia, XV,N.1,p. 11.
2. Becchetti S., Monti M. e Parodi V. (1996) "La biomeccanica della funzione strutturale rachidea considerando le
curve fisiologiche" Chinesiologia, XIV, N. 4, p. 15.
3. Becchetti S., Parodi V. e Monti M. (1996) "La biomeccanica delle strutture corporee sottoposte a carichi dinamici"
Chinesiologia, XIV, N. 2/3, p. 9.
4. Becchetti S., Parodi V. e Monti M. (1997) "Analisi biomeccanica del comportamento del rachide sotto eccitazione
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mechanical testing: the effect of osteoporosis and osteoarthritis" Proc. Instn. Mech. Engrs., Vol. 204, p. 123.
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10. Martinelli E. Parodi V. (2001) – Attività fisica, prevenzione e benessere – Atti del 8° Congresso della Società
Italiana Menopausa – Pisa 14 -17 giugno 2001
11. Martinelli E.: “Osteoporosi: Attività motoria preventiva e compensativa” in La Ginnastica Medica, vol. LI-Fasc.1,
da pag. 9 a pag. 12, anno 2003
12. Martinelli E.: “Trattamento chinesiterapico nella scoliosi dell‟adulto” Convegno regionale SIGM Lombardia “Il
trattamento conservativo delle scoliosi” - su Monografie di aggiornamento del Gruppo di studio della scoliosi e
delle patologie vertebrali (GSS) “ Rachide riabilitazione 2000” da pag. 171 a pag.182, Milano 15 giugno 2002
13. Martinelli E.: “Videoscreening nel Portamento nell‟Anziano”1997 “La Ginnastica Medica”, vol.XLV, fascicolo
5/6, pagg. 37-38, 1997
14. Martinelli E., Parodi V.: “L‟adulto scoliotico: salute e qualità della vita: Ruolo delle attività motorie adattate” su
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15. Martinelli E., Ciari E., Cerri B., Salvatori F.: “Strategie e metodi rieducativi nelle scoliosi altiche e non altiche
dell‟adulto” su La Ginnastica Medica ISSN 1724-7640 – Vol. LIII, Fasc. 3 Anno 2005 da pag. 41 a pag. 46
16. Martinelli E. “ Riequilibrio Posturale Fondamenti per la progettazione della postura” Firenze University Press 2012
17. Martinelli E. “Mal di schiena prevenzione e trattamento Postural Back School metodo C.A.MO.®” Masterbook
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18. Oxnard, C.E. (1993) "Bone and bones, architecture and stress, fossile and osteoporosis" J. Biomechanicals, Vol. 26,
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19. Parfitt A.M. (1988) "Bone remodelling: relationship to the amount and structure of bone and patogenesis and
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20. Pipino F., De Giorgi G., Gentile A. e Martucci G. (1995) "Biomeccanica della colonna vertebrale" in
"Biomeccanica Ortopedica e Traumatologica" Edizioni UTET, Torino.
21. Raimondi P. e Vincenzini O. con la collaborazione di Prosperini V., Cecchini E., Faraldo P. e Martinelli E.: “Teoria
metodologia e didattica del movimento compensativo rieducativi preventivo”, capitolo n°28 “L‟attività motoria
adattata all‟adulto scoliotico” da pag. 641 a pag. 650, Margiacchi – Galeno Editrice, 1.a edizione italiana, Perugia,
ottobre 2003.
22. Romano M., Trevisan C., Negrini S.: “La riabilitazione del rachide dorsale dell‟anziano” in L‟ipercifosi e le
patologie del rachide dorsale – Monografie di aggiornamento GSS 2003 – da pag.47 pag. 109 a pag. 111
23. Sinaki M., Grubbs NC (1989) – Back strengthening exercises: quantitative evaluation of their efficacy for women
aged 40 to 65 years.- Arch Phys. Med. Rehabil. 70.
24. Zamberlan N., Adami S., Rossini M., Gatti P., Girardello S., Bertoldo F. e Braga V. (1992) "Osteoporosi:
dell'epidemiologia e dalla fisiopatologia i principi di terapia" in 'Il punto sul rimodellamento osseo', OIC Medical
Press, Firenze.
TAVOLA ROTONDA

MOVIMENTO E POSTURA: SERVE UN CAMBIAMENTO CULTURALE


Loredana Cavalli, Elena Martinelli, Alessandro Battaglia, Mario Manca, Alberto Tomasi,
Luisa Mazzotta, Daniela Melchiorre

Conduce Maria Elisabetta Gramolini

DONNE, UNA ATTIVITÀ TUTTA PER LORO


Maria Elisabetta Gramolini
Giornalista medico scientifico, Roma

Dalla fine del Novecento è in atto una vera rivoluzione: la scienza ha cominciato ad avere un approccio
mirato allo studio di quelle variabili che caratterizzano la salute della donna rispetto all‟uomo. Si
osservano quindi gli aspetti biologici, ambientali, culturali e socio-economici e di risposta alla terapia
che incidono sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulle peculiarità cliniche delle malattie. È nata così la
medicina di genere o, per meglio dire, la medicina genere-specifica. Ma quando si parla di genere, è
utile ricordare che non si sta parlando solo del sesso biologico. Per definire il genere, infatti, occorre
osservare come la persona è stata educata o meglio formata psico-fisicamente nel suo ambiente,
conoscere il Paese in cui vive o la sua condizione culturale e sociale. La nuova visione pone al centro la
persona: considera le terapie appropriate in base all'età, al sesso, alla fase della vita, al contesto
educativo e sociale, culturale o di relazioni. Non stupisce perciò che fra gli obiettivi primari di questo
nuovo orientamento ci sia la personalizzazione delle cure.
Uno degli esempi di come sia necessario cambiare le prospettive deriva dalla farmaceutica. All'inizio
degli anni duemila, la comunità scientifica ha iniziato a richiamare l'attenzione sul fatto che i farmaci
venissero studiati su una popolazione in prevalenza maschile di età fra i 30 e i 55 anni. Esistono tuttavia
non pochi farmaci, anche per condizioni o malattie largamente diffuse, che sui maschi hanno un effetto
mentre sulla donna ne hanno un altro. L'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), a questo proposito, ha
istituito già nel 2011 un gruppo specifico di lavoro chiamato "Farmaci e genere" che ha l'obiettivo di
definire le linee guida per la sperimentazione farmacologica di genere. Un altro esempio viene suggerito
dai dati elaborati ogni anno dal Centro Nazionale Trapianti (Cnt). In Italia, due terzi dei donatori viventi
sono donne (66%) ma la situazione è ribaltata se si guardano i risultati riferiti ai pazienti: il 69% dei
riceventi sono uomini e, di conseguenza, meno di un terzo è rappresentato da donne. Ciò potrebbe
rappresentare una criticità, dovuta alle diverse caratteristiche morfologiche e funzionali degli organi
maschili e femminili da trapiantare. Ma anche una conseguenza di alcuni aspetti socioculturali. Il fatto
che i riceventi siano maggiormente maschi riflette senza dubbio la differenza di genere nelle patologie
correlate al trapianto visto che, per esempio, la cirrosi epatica, una delle malattie per cui si richiede
l'intervento, è più frequente negli uomini. Le altre motivazioni, per così dire, non biologiche, fanno
supporre che esistano ancora delle differenze nella nostra società tra uomini e donne per il ruolo sociale
ricoperto, la situazione economica o il livello culturale le quali non agevolano l'accesso alle terapie
uguale per tutti. Questi esempi danno solo un accenno del complesso quadro rappresentato dalla
medicina di genere. Di certo, nel mondo, sta aumentando la consapevolezza che solo considerando le
peculiarità di ogni persona si potrà arrivare al superamento delle disuguaglianze sociali e di trattamento
fra uomini e donne. Il comprendere le differenze permette ai decisori e a coloro che programmano la
sanità pubblica di assicurare infatti un uguale accesso alle cure. Ne è convinta l'Organizzazione
mondiale della sanità che recentemente ha sottolineato la necessità di rivedere le politiche sanitarie in
considerazione delle diversità.
Attività fisica di genere
Nel grande capitolo della medicina di genere si inserisce una nuova disciplina, nata come branca delle
Scienze Motorie: l‟Attività Fisica di Genere (AFG). Per comprenderne l'orientamento basterebbe
ricordare che la colonna vertebrale e l‟intero apparato motorio delle donne è messo alla prova da tanti
piccoli e grandi pericoli durante le fasi della vita. Posture sbagliate sui banchi di scuola oppure davanti
al pc, uso di tacchi alti o troppo bassi, gravidanze e disturbi alimentari sono solo alcuni fattori che
incidono sulla salute. L'AFG indaga le necessità peculiari della persona, studia il movimento effettuato
in partenza, la correttezza dell‟esecuzione dell'esercizio lungo tutte le fasi per valutare i risultati. Ad
accompagnare il trattamento non può essere un istruttore qualsiasi con in un mano un corso di poche ore
ma un laureato in Scienze Motorie. Ciò è fondamentale, in particolare in Italia, dove permane ancora
una non cultura del movimento, come afferma la professoressa Elena Martinelli, fra le principali esperte
e che ha teorizzato la disciplina. Basti pensare che alla scuola primaria non sono inserite nei programmi
le ore di educazione fisica. Questo a lungo andare ha portato a “banalizzare” l‟esercizio fisico e a non
affidarsi a degli specialisti competenti. Proporre l‟esercizio adattato per quel momento della vita è frutto
di studi rigorosi e non è ammesso sbagliare. Focalizzare infatti sulla donna significa considerare i
periodi scanditi dalla fisiologia, le modificazioni indotte mensilmente dal ciclo mestruale che mettono
alla prova varie strutture corporee. L‟AFG interviene con esercizi specifici sulla sintomatologia, sul
riequilibrio posturale allenando la muscolatura di sostegno. Tale approccio viene impiegato anche
quando si apre il capitolo della prevenzione nelle donne che hanno superato i 65 anni. Le insidie in
questa fase sono dietro l‟angolo, a cominciare dalle alterazioni posturali che provocano difficoltà di
deambulazione, perdita di equilibrio con rischio di cadute e fratture, ma anche disturbi osteoarticolari,
osteoporosi, sindromi metaboliche, cardiache, sovrappeso.
Informazione medico scientifica
Peculiarità, personalizzazione delle cure, prevenzione e cultura del movimento. Cosa può fare il
giornalismo di settore per diffondere la corretta informazione e aumentare la sensibilizzazione nella
popolazione di questi temi? La risposta è moltissimo perché il rischio di cadere nella falsa credenza che
in poco tempo diventa virale è dietro l'angolo. Molto lavoro viene già compiuto con serietà e
professionalità da alcune testate che mettono in pratica il Testo unico dei doveri del giornalista,
approvato dal Consiglio nazionale dell'ordine nel 2016 per armonizzare i precedenti documenti
deontologici su diverse tematiche. Molti lo fanno ma non tutti. Anche perché non tutto ciò che circola o
viene pubblicato nel web è frutto del lavoro giornalistico. Scrivere di salute è sempre stato redditizio ed
attira anche chi non conosce le regole e i doveri della professione. La fame di risposte di coloro che
interpellano il cosiddetto dottor Google fa gola a molti che spacciano per "consigli dell'esperto" banalità
o affermazioni senza fondamento scientifico.
Il risultato è un pubblico - sebbene si dovrebbe insistere sull'esistenza di diversi pubblici – confuso, mal
informato o convinto di inesattezze. Gli esempi da ricordare sono tanti. Uno su tutti è il caso dei no-vax
che in Italia, ma non solo, sono riusciti a far emergere una posizione contrastata e perdente, sostenuta da
nicchie esigue della popolazione. Non va poi dimenticata l'abitudine sempre più crescente di informarsi
tramite i social network. Il fenomeno è allo studio da tempo, almeno dal 2009, da quando Google ha
cominciato a mettere in risalto risultati diversi a seconda delle preferenze effettuate in precedenza
dall'utente. Il resto è sotto gli occhi di tutti, basta aprire Facebook: la maggior parte dei post in bacheca
sono di persone che la pensano come noi, che mettono gli stessi like e guardano le stesse pagine. Anche
i post di articoli o news non sono da meno, saranno sempre in linea con quello che più apprezziamo, già
conosciamo o acquistiamo. La gabbia in cui noi stessi ci siamo infilati è chiamata da Eli Pariser la "bolla
dei filtri", nel suo saggio Il filtro. Lì dentro anche l'informazione, pure quella medico scientifica, è
divenuta marketing. Parlare dei rischi di questo fenomeno applicato alla salute fa venire i brividi perché
significa rinnegare secoli di cammino dell'uomo per divulgare le scoperte scientifiche fuori dalle aule di
medicina. È a questo panorama che si affaccia la divulgazione della Attività Fisica di Genere e prima
ancora la Medicina di Genere. Un quadro complesso, in cui il risultato, vale a dire, la corretta
informazione, non è assicurato. Ad essere in pericolo non è solo la confusione, la salute dei cittadini ma,
come sempre quando si parla di informazione medico scientifica, una questione di costi sanitari,
necessari per curare problematiche che potrebbero essere prevenute se si conoscessero gli stili di vita
adeguati tra cui emerge l'abitudine al movimento.
TERZA SESSIONE
COME SALVAGUARDARE E ALLENARE IL CUORE DELLA DONNA
Introduce Michele Provvidenza Conducono Carlo Giammattei e Mario Migliolo

Lezione Magistrale

LA SINDROME DI YENTL E IL CUORE DELLA DONNA


Cinzia Fatini
Responsabile scientifico Salute e Medicina di Genere AOU Careggi e Coordinatore Master di II
livello in Salute e Medicina di Genere Università degli Studi di Firenze

Le malattie, la loro prevenzione e la terapia sono state studiate prevalentemente su casistiche


maschili, sottovalutando le peculiarità biologico-ormonali e anatomiche proprie delle donne. La
necessità di sviluppare nella pratica clinica una medicina personalizzata non può prescindere da un
approccio di genere in grado di portare all‟attenzione del clinico un innovativo e valido strumento
di definizione diagnostica e prognostica. Bernardine Patricia Healy, cardiologa americana, prima
donna a divenire Direttrice dell‟Istituto Nazionale della Salute (NIH) negli Stati Uniti, descrisse la
“Sindrome di Yentl”. Yentl, l‟eroina di una storia del Premio Nobel Isaac B. Singer, dovette rasarsi
i capelli e vestirsi da uomo per poter accedere alla scuola ebraica e studiare il Talmud, uno dei testi
sacri dell‟ebraismo. Healy evidenziò in un famoso editoriale sul New England Journal of Medicine
la discriminazione che aveva constatato nell‟Istituto di Cardiologia che dirigeva: le donne erano
meno ospedalizzate, meno sottoposte a indagini diagnostiche (coronarografie), interventi e terapie
(trombolisi, stent, bypass) rispetto agli uomini; le donne, inoltre, erano poco o per nulla
rappresentate nelle sperimentazioni cliniche per introdurre nuovi farmaci e nuove tecnologie
diagnostiche e terapeutiche. L‟articolo suscitò molto scalpore in tutto il mondo, ma fu un buon
punto di partenza per dare forza alla Medicina di Genere.
Negli ultimi 20 anni la Medicina di Genere ha suscitato un interesse crescente anche se non è
sempre ben compresa nel suo reale significato e dimensione. Le malattie cardiovascolari
rappresentano un esempio emblematico di medicina di genere e sono oggi la principale causa di
morbilità e mortalità nel mondo occidentale; in accordo alle recenti linee guida della Società
Europea di Cardiologia (ESC 2016), la mortalità per malattie cardiovascolari è superiore nella
donna (49%) rispetto all‟uomo (40%).
Nell‟ambito delle malattie cardiovascolari, la sindrome coronarica acuta rappresenta la prima causa
di morte nella donna. Le donne presentano una tipologia di rischio coronarico diversa da quella
degli uomini, hanno spesso manifestazioni cliniche diverse tanto che si parla di sintomatologia
atipica: spesso non hanno il dolore precordiale, ma diffuso al collo, al dorso oppure non hanno
alcun dolore ma solo irrequietezza, ansia, lieve dispnea; per tale motivo possono non essere
ricoverate, ed essere soccorse in ritardo. Di conseguenza la mortalità delle donne in fase acuta e in
periodo ospedaliero, dopo un infarto, è superiore rispetto agli uomini.
Il cuore della donna è anche anatomicamente diverso da quello dell‟uomo, l‟età di insorgenza della
patologia coronarica è più elevata nelle donne (si manifesta principalmente dopo la menopausa) e la
malattia coronarica è prevalentemente monovasale.
Una delle differenze più interessanti tra i due sessi in materia di malattia cardiovascolare è che le
donne presentano un carico aterosclerotico coronarico minore rispetto agli uomini, con conseguente
malattia coronarica ostruttiva di minore entità e l‟aterosclerosi è più recente.
Nelle donne, infatti, si ammalano più facilmente le piccole arterie del cuore (il microcircolo)
piuttosto che le grandi arterie, di conseguenza la diagnostica è più complessa e deve seguire
percorsi differenti. Un‟alterata funzione dell‟endotelio è ritenuta uno dei principali meccanismi alla
base della patologia microvascolare implicata ad esempio nella sindrome anginosa che si manifesta
in assenza di una significativa ostruzione coronarica, nota come sindrome di Tako-Tsubo o “angina
microvascolare”, quasi esclusiva del genere femminile.
Anche i fattori di rischio cardiovascolare tradizionali (fumo, ipertensione, dislipidemia, diabete e
obesità) sembrano avere un impatto diverso in accordo al genere. Nella costruzione del profilo di
rischio è utile che, in una nuova visione di medicina di genere, si declinino inoltre fattori di rischio
genere-specifico insieme ai fattori di rischio più forti o più prevalenti nelle donne, quali emicrania
con aura e depressione. In questi ultimi anni sono state inserite nuove variabili legate alla vita
riproduttiva della donna e alla storia di pregresse gravidanze patologiche oltre alla menopausa
precoce, e l‟endometriosi determinanti ancora assai poco utilizzati nella pratica clinica.
Risulta pertanto fondamentale l‟inquadramento e il monitoraggio del rischio vascolare globale a
lungo termine da parte del medico di medicina generale, dell‟internista o del cardiologo come
raccomandato dalle recenti linee guida dell‟American Stroke and Heart Association (Bushnell
2014).
Oggi la medicina genere specifica necessita di ricostruire un equilibrio volto alla comprensione di
quali segni clinici, procedure diagnostiche e modelli terapeutici diversifichino l‟uomo e la donna.
Questa nuova dimensione della medicina richiede investimenti nell‟ambito della ricerca, della
formazione e della politica sanitaria.

RIMODELLAMENTO CARDIACO E ALLENAMENTO: DIFFERENZE DI GENERE


Loira Toncelli
Cardiologa e Medico dello sport dirigente medico AOU Careggi, Firenze

In molte pubblicazioni sulle differenze tra donne e uomini i termini "sesso" e "genere" sono stati
usati quasi in modo intercambiabile. Sebbene entrambi questi termini abbiano significati distinti,
non sono sinonimi. Il termine "sesso" è usato per indicare la presenza di differenze biologiche tra
individui femminili e maschi che corrisponde alla distinzione tra cromosomi sessuali XX e XY. Al
contrario, "genere" è principalmente un termine grammaticale che è anche usato per denotare la
distinzione culturale e sociale in ruoli prevalenti e/o previsti di donne e uomini in un dato ambiente.
L‟allenamento sportivo sistematico determina un “ rimodellamento “ cardiaco che consiste in una
serie di modificazioni del cuore morfologiche, funzionali ed anche del sistema nervoso autonomo.
Il rimodellamento cardiaco risente di molti fattori: il tipo di allenamento (prevalentemente dinamico
o statico), l‟età, l‟entità dell‟allenamento, l‟etnia, la genetica ed anche il sesso. Caratteristica del
cuore d‟atleta è l‟aumento della diametrie e degli spessori parietali e quindi della massa cardiaca.
L‟ipertrofia dell‟atleta differisce per vari aspetti dall‟ipertrofia patologica rilevabile in diverse
patologie (ipertensione, stenosi aortica ed altre valvulopatie, cardiomiopatia ipertrofia etc).ll sesso
ha importanza nel determinare il grado di rimodellamento del cuore. Le atlete, quando paragonate ai
maschi della stessa età e praticanti le stesse discipline sportive, presentano dimensioni minori sia
della cavità (circa -10%) che dello spessore delle pareti ventricolari (circa -20%). Queste differenze
sono legate a una serie di fattori, tra cui i principali sono la superficie corporea e la percentuale di
massa magra, mediamente più piccole nelle donne, l‟aumento più modesto della portata cardiaca e
della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo e, non ultimo, il più basso livello di ormoni
androgeni naturali. L‟elettrocardiogramma differisce per molti aspetti nei due sessi , sia nella
popolazione generale che negli atleti. Le differenze nell'attività elettrica cardiaca tra sesso maschile
e femminile sono state osservate già un secolo fa, in alcune delle primissime registrazioni ECG. Le
differenze dell‟ECG nei due sessi sono legate ad una diversità nelle correnti ioniche che sono alla
base del potenziale d‟azione e la loro regolazione ,all‟influenza del tessuto mammario e per ultima ,
ma non ultima come importanza, il diverso assetto ormonale. Le differenze dell‟ECG due sessi
riguardano molti aspetti: nella donna si riscontra una frequenza cardiaca (FC) tendenzialmente
maggiore e variabilità minore, un „onda P minore ampiezza, un intervallo PR più breve, un QRS
leggermente più stretto e di voltaggio minore, un segmento ST più lungo e con minore pendenza
(salita meno ripida) e minore altezza, un‟onda T con salita meno ripida e altezza minore, un
intervallo QT più lungo (di circa 20 msec a riposo). La frequenza cardiaca nel sesso femminile è
tendenzialmente maggiore ( la differenza nei due sessi si manifesta dopo la pubertà ed è presente fra
i 20-50 anni) : l‟effetto è legato agli ormoni , alla diversa modulazione del tono simpatico-
parasimpatico, alle diversità nelle afferenze autonomiche sulle cellule del nodo seno-atriale. Questa
differenza rimane anche negli atleti maschi e femmine. Molti studi hanno documentato che un
allenamento intenso e duraturo è in grado di modificare l‟equilibrio simpatovagale in senso vagale,
inducendo la predominanza della componente parasimpatica. La bradicardia sinusale è l‟espressione
peculiare dell‟elettrocardiogramma dello sportivo (adattamento “ipervagotonico” all‟allenamento
fisico ) ed è talora caratterizzata da valori a riposo anche inferiori ai 40 bpm. È più frequente negli
atleti praticanti sport di resistenza a elevato livello agonistico. Nell‟ atleta donna però a parità di
tipo di sport e di allenamento la frequenza cardiaca rimane più elevata rispetto all‟atleta uomo. Le
alterazioni della ripolarizzazione sono più frequenti nella donna ( sottoslivellamento dell‟ST ed
alterazioni dell‟onda T ) soprattutto dopo la menopausa. L‟intervallo QT è più lungo nella donna
per cui fino a poco tempo i criteri per QT patologico differivano nei due sessi (valore di QT
patologico nella donna > di 470msec e nell‟uomo > di 450msec) ; attualmente questo criterio è stato
unificato per cui si considera patologico un QT > 480msec.
Molte differenze all‟ECG sono legate all‟assetto ormonale. La variabilità femminile dipende dalle
variazioni ormonali fisiologiche, dall‟uso degli ormoni sessuali per la contraccezione, dalle
modificazioni durante la gravidanza ,dall‟uso degli ormoni sessuali per la terapia sostitutiva in post-
menopausa. Durante la gravidanza l‟utero cresce e sposta gli organi interni ed il volume di sangue
aumenta nel 2° e 3° con aumento della gettata cardiaca. Lo spostamento del cuore e l‟ipertrofia che
si realizza per il sovraccarico emodinamico comportano modificazioni all‟ECG , in particolare
dell‟onda T. Differenze nei due sessi esistono riguardo alla composizione corporea e compaiono
dopo la pubertà: l‟effetto è legato agli ormoni che determinano nel sesso femminile una massa
magra minore rispetto al sesso maschile. Con l‟allenamento però la donna può aumentare la massa
magra e ridurre quella grassa .Con l‟allenamento la donna come l‟uomo può inoltre incrementare il
Vo2 max e può migliorare la forza muscolare , anche se parte da livelli inferiori perchè ha fibre
muscolari di minor diametro.
Problemi particolari della donna sportiva sono i disordini alimentari, i disturbi mestruali e
l‟osteoporosi.

ESERCIZIO FISICO E SPORT PER LA SALUTE DEL CUORE E IL BENESSERE


DELLA DONNA

Giovanni Innocenti
MS, PhD, Chinesiologo docente a contratto Università degli Studi di Firenze e Pisa

“Coraggio, sacrificio, determinazione,


impegno, tenacia, cuore, talento, coraggio.
Questi sono gli ingredienti con cui sono fatte
le bamboline, c'è pure zucchero e zenzero”
(B. Hamilton)
Prolusione
Lo sport non è sempre stato aperto a tutti, l‟attività motoria fisica e sportiva sì! La “Carta dei
principi dello sport per tutti”, redatta nel dicembre del 2002, recita nel suo primo articolo: “Praticare
lo sport è un diritto dei cittadini di tutte le età e categorie sociali”. Questo intervento vuole
evidenziare il ruolo della donna nella storia dello sport, l‟evoluzione della sua partecipazione e le
caratteristiche che la differenziano dall‟uomo, senza tuttavia impedirle di raggiungere mete
comparabili a quelle maschili. Si prefigge, altresì, l‟obiettivo di evidenziare le migliori linee
prescrittive dell‟esercizio fisico nel rispetto del “biotipo” donna: “Medicina non sempre fa rima con
realizzazione!”.
Kw: meccanobiologia, ISIRINA, , motricità, preparazione fisico-atletica, sport e movimento.

Cosa sta succedendo nel mondo sportivo e soprattutto dell’attività di genere?


In ambito sportivo l‟interesse per il tema è andato sempre crescendo, in quanto parrebbe il terreno
maggiormente fertile per eliminare, tanto convinzioni disparitarie, quanto potenzialità di genere
come anche attribuzioni di ruoli gerarchicamente decrescenti.
Lo sport è uno dei più importanti ambiti sociali contemporanei in cui si articola l‟identità di genere.
Le idee e le convinzioni sul genere ne possono condizionare l‟organizzazione ed anche il modo in
cui è praticato: può essere un luogo di marginalizzazione dell‟attività femminile e di affermazione
di ideologie di disuguaglianza o di valori mascolini ma, allo stesso tempo, pure di trasformazione e
conflitto. Tuttavia lo sviluppo dell‟attività motorie e sportive sembra essere un importante segnale
di emancipazione femminile; laddove lo sforzo atletico, tradizionalmente associato alla virilità,
diviene a - poco a poco - disponibile anche alle donne, queste sembrano sottrarsi alla femminilità
più tradizionale, allo steriotipo del “Sesso debole” che le voleva passive, sedentarie, custodi del
focolare domestico, e sembrano poter godere di nuovi spazi per la sperimentazione di un diverso
uso del corpo e la costruzione di nuove forme di identità.

Storiografia
Il mosaico chiamato “le ragazze in bikini” (P.zza Armerina – Enna) mostra che già nel IV secolo le
donne erano solite esercitarsi in attività fisica. Sono raffigurate ragazze impegnate nella corsa
campestre, nel lancio del disco e nel gioco della palla, mentre le vincitrici vengono premiate con la
palma della vittoria e una corona di rose (figura nr. 1).

Nell‟antichità non era quindi inusuale trovare figure femminili dedite alla pratica sportiva.
Nell‟antica Grecia troviamo invece una diversa situazione.
Le Olimpiadi antiche, svoltesi dal 776 a.C. al 393 d.C., erano aperte esclusivamente a cittadini di
sesso maschile. Le donne non potevano parteciparvi né da atlete né da spettatrici.
Nell‟epoca del Romanticismo ottocentesco la donna era vista come un essere languido e
malinconico, o addirittura “ una creatura malata e dodici volte impura” (Alfred de Vigny).
Pierre de Coubertin ha l‟incredibile merito di aver portato le Olimpiadi nell‟epoca moderna, nel
1896 ad Atene, ma non era distante dal credo delle manifestazioni antiche riguardo alla
partecipazione femminile. “La partecipazione femminile sarebbe poco pratica, priva di interesse
anti-estetica e scorretta” (Pierre de Coubertin, 1912).
A Parigi nel 1900 alcune atlete riuscirono a partecipare in modo non ufficiale alle gare di tennis,
croquet, vela e golf.
Continuarono a partecipare a qualche gara in forma non ufficiale, finchè nel 1920 ad Anversa
furono ammesse ufficialmente. Nel 1928 ad Amsterdam le donne poterono partecipare alle gare di
atletica leggera, fatto che aumentò notevolmente i numeri: 290 atlete su 2883. Tra il 1928 e il 1936
(Berlino) si inserirono gare femminili per le principali discipline olimpiche.
Nel 1968 a Città del Messico ci fu la dimostrazione di una grande crescita del movimento tecnico, e
la partecipazione femminile arrivò al 12% del totale.
Le Olimpiadi estive londinesi hanno visto per la prima volta le donne ammesse a tutti gli sport
considerati in precedenza totalmente maschili, aggiungendo il pugilato femminile. Paradossalmente
due sono le discipline femminili non presenti nella versione maschile: la ginnastica ritmica e il
nuoto sincronizzato (in Giappone, però, ve ne sono gia da anni sperimentazioni in tal senso).
Parlando di Olimpiadi invernali, citiamo alcune discipline: nel Bob, presente dalla prima edizione
del 1924 a Chamonix-Mont Blanc (FR), le atlete parteciparono per la prima volta nel 2002 a Salt
Lake City (USA). L‟Hockey su ghiaccio, anch‟esso presente dalla prima edizione, è stato aperto
alle squadre femminili nel 1998 (Nagano, J). Il Biathlon venne introdotto nel 1960 (Squaw Valley,
USA) per gli uomini e nel 1992 (Albertville, FR) per le donne. Altre specialità come lo Short Track
(1992) e lo Snowboard (1998) sono state inserite nelle ultime edizioni e sono state aperte da subito
sia a uomini che a donne. Grande conquista per le donne nelle Olimpiadi di Sochi (RU): il salto con
gli sci, prima ritenuto troppo pericoloso per le atlete. Unica specialità che manca ancora all‟appello
degli sport invernali in rosa è la Combinata Nordica, una combinazione di salto con gli sci e sci di
fondo.

Le competenze nello sport: differenze di genere


Uomini e donne hanno un corpo molto diverso nelle sue caratteristiche. La donna adulta in media
ha una statura di 7,5–12 cm più bassa, un peso corporeo di 11– 13 KG più leggero, 4,5-6 kg in più
di tessuto adiposo, 12–18 kg in meno di massa magra. Queste differenze valgono per uomini e
donne indipendentemente che siano sedentari o atleti. Fino alla pubertà uomo e donna hanno
potenziali atletici molto simili. Con la maturazione sessuale a causa della diversa qualità e quantità
di ormoni prodotti le caratteristiche fisiche cambiano in modo importante nei due sessi. Le
influenze ormonali sulla composizione corporea sono determinanti.
La donna adulta può raggiungere al massimo i due terzi della forza dell‟uomo per la fisiologica
minore massa muscolare. L‟allenamento sulla forza muscolare può determinare nella donna un
aumento di forza del 20-30% ma l‟ipertrofia muscolare è comunque in valori assoluti minore che
nell‟uomo. La massa muscolare oltre che per quantità è diversa nella donna anche per distribuzione:
nelle donne essa è maggiormente sviluppata nella parte inferiore del corpo ed in particolare nelle
gambe. E‟ facilmente visibile come la donna non abbia nelle braccia e nel dorso importanti masse
muscolari. Questo fa comprendere come le attività di forza che coinvolgono gli arti
superiori, svantaggino le donne in maniera significativa.
Ma vediamo come alcune caratteristiche possano migliorare la condizione femminile: minore massa
muscolare significa minori resistenze vascolari periferiche, migliore attivazione neuromuscolare,
maggiore ossidazione degli acidi grassi. Il basso livello di testosterone impedisce alla donna di
incrementare con l‟allenamento la massa muscolare (ipertrofia e iperplasia) allo stesso livello
dell‟uomo ma non impedisce di esaltarne le capacità di resistenza alla fatica. Anche la meccanica
della corsa è differente tra uomo e donna. La conformazione del corpo femminile necessita di uno
sforzo maggiore per spostare il bacino, con una lieve riduzione dell‟efficacia meccanica. Va infine
ricordato a proposito di apparato locomotore che gli estrogeni conferiscono all‟organismo
femminile una elevata elasticità, nettamente superiore a quella dell‟uomo. Questa caratteristica si
traduce in evidente vantaggio nella pratica di alcuni sport (ginnastica). D‟altro canto un aumento
della lassità legamentosa a carico delle principali articolazioni ed una minore resistenza e densità
ossea rappresentano degli svantaggi, essendo cause di maggior rischio infortuni rispetto agli atleti di
sesso maschile.
Anche l‟apparato cardiaco è differente: il cuore femminile è proporzionalmente più piccolo rispetto
a quello degli uomini, sono quindi minori la gittata sistolica e la portata cardiaca, l‟apporto di
ossigeno ai tessuti è quindi inferiore (Ugo Monsellato, 2013).
Nonostante tali consistenti differenze, le modalità e i caratteri della risposta dell‟organismo
femminile all‟allenamento non sono dissimili a quelli descritti tradizionalmente per gli uomini. Le
donne, proporzionalmente al livello di partenza, beneficiano dell‟allenamento esattamente come i
maschi, così come sovrapponibili sono i meccanismi biochimici in corso di esercizio fisico.
Diversi sono gli effetti dell‟allenamento sulla composizione corporea della donna e dell‟uomo
praticanti attività sportiva di pari livello: più veloce perdita della componente grassa, ma più lento
incremento della componente muscolare nella donna. La riduzione di peso, pur non importante, sarà
accompagnata da un costane incremento della performance sportiva.
Altra grande differenza tra uomini e donne è il ciclo mestruale, che può rivelarsi un problema nelle
atlete quando l‟attività fisica è troppo intensa: il menarca può non comparire, o il ciclo può
interrompersi, creando squilibri ormonali consistenti. Tale condizione può essere sintomo di
Disturbi Alimentari. Particolarmente a rischio sono alcuni sport di resistenza (atletica leggera,
nuoto, canottaggio) o di figura (ginnastica, pattinaggio di figura, danza), in cui la leggerezza fisica
e l‟aspetto hanno grande importanza (Vanessa Costa, 2013).
Un‟attività fisica moderata non ha invece nessuna influenza sul ciclo mestruale. Controlli medici
sono necessari in caso di sforzi fisici intensi e attenzione particolare va dedicata da parte di
allenatori, genitori e dirigenti nei confronti di ragazze in sport a rischio.
Con una giusta prevenzione, nessuna controindicazione è visibile in alcuno sport: la donna atleta va
monitorata in funzione diretta all‟eziopatogenesi della “Triade!”.
Nel caso di gravidanza, non ci sono altre controindicazioni se non quelle mediche ed ostetriche nel
praticare sport. Il corpo della donna e il suo apporto di energia si modificano notevolmente, ma il
peso corporeo del neonato non sembra essere modificato dalla pratica di esercizio fisico anche
intenso da parte di atlete. Uno stretto controllo medico è comunque consigliabile, per la salute della
donna e del bambino. Sconsigliati sono invece gli sport ad alto rischio di traumi. Prestazioni di
altissimo livello sono stati ottenute da atlete in stato di gravidanza: “Mio figlio nascerà con la
medaglia al collo, sono felicissima. Mentre sparavo sentivo muovere il bambino” (Chiara Cainero,
35 anni, al quinto mese di gravidanza, agosto 2013, oro nello skeet donne agli Europei di tiro a
volo; Suhl, Germania).
E‟ provato, per di più, che le donne che svolgono attività sportiva hanno un parto più facile rispetto
alle sedentarie. Inoltre la maternità non limita la prestazione sportiva. Numerose atlete hanno
ottenuto le loro performance migliori tra il primo ed il secondo anno dopo il parto.
Questo excursus nella fisiologia del corpo femminile ci permette di notare le differenze con il corpo
maschile, ma anche le risorse delle donne e le loro possibilità nello sport.
Il corpo femminile dev‟essere allenato e rispettato in un modo diverso da quello dell‟uomo, ma non
ha nessuna controindicazione a un‟attività fisica intensa e legata alla performance, se sottoposta a
controlli medici, ad attenzioni particolari e a una corretta prevenzione.
In tale occasione vorrei mettere in luce come meccanismi fisiologici si manifestino con azioni
comportamentali differenti nella donna e nell‟uomo in base al numero di sedute di allenamento
settimanale. Soprattutto nell‟assunzione di cibi ricchi di grassi, la donna si è contraddistinta
negativamente shiftando la propria alimentazione in modo scorretto ed inoltre, diminuendo quella
che è la sua attività spontanea quotidiana. Questo evidenzia che: prescrivere l’esercizio fisico non
tendendo conto dell’attività fisica o delle abitudini alimentari di un soggetto, porti inesorabilmente
ad accrescere problematiche microfisiologiche che si manifesteranno sfociando in patologie più o
meno specifiche. Nonostante siano presenti questi meccanismi è facile intuire che, con un adeguato
approccio scientifico, si possano evitare e soprattutto comprendere a pieno, fino a che punto le
“compensazioni” del nostro organismo siano problematiche o no.
Questo concetto è essenziale poiché la distribuzione di tipo androide e ginoide forniscono un
diverso Rischio Cardio Vascolare (CVR). Le più recenti raccomandazioni provenienti dagli USA
suggeriscono periodi regolari di attività con un moderato livello di intensità. Si ritiene che, una
camminata a passo sostenuto, sia praticabile per una percentuale molto più elevata della
popolazione, poiché può essere ragionevolmente inserito nelle abitudini quotidiane e richiede un
minor sforzo fisico ed infatti le attuali raccomandazioni consigliano di camminare di buon passo per
30 minuti almeno 5 volte a settimana (Exercise-lite).
Il Physical Activity Level (PAL), di contro, misura lo stile di vita: deriva dall‟equazione Energy
Expenditure (spesa energetica totale del nostro organismo) / Basal Metabolic Rate (metabolismo di
base) e viene calcolato come il rapporto tra il dispendio di energia totale e di energia a riposo nel
corso delle 24 ore. La spesa energetica è definita dalla somma di attività fisica ed esercizio fisico,
l‟inserimento di un programma di trattamento (eventualmente anche terapeutico) che consideri
anche l‟attività fisica quotidiana è determinante per migliorare la condizione di salute individuale e
nel campione, indagato dalla ricerca scientifica in longitudinale nel 2014 e di seguito preso in
esame, è emerso che ad un livello attivo è associato una buona qualità delle variabili adipose, sia
nella quantità che nella distribuzione, un ridotto rischio di sviluppare patologie cardiovascolari ed
un ridotto livello di colesterolo totale indipendentemente dal bilancio energetico. Questo significa
che se da un lato il bilancio energetico spostato verso un maggior introito calorico favorisce
l‟accumulo di tessuto adiposo con tutti i rischi che ne conseguono, dall‟altro il livello di attività
fisica gioca un ruolo protettivo sulla salute cardiovascolare e metabolica. Ovviamente, in tale studio
la sedentarietà delle donne in studio induce ad articolare l‟incremento di intensità e frequenza
dell‟esercizio fisico nell‟arco di molti mesi. E‟ ormai noto che l‟attività fisica protegge l‟insorgenza
o ritarda la progressione di patologie cardiovascolari è stato proposto che esso possa giocare un
ruolo centrale in modo positivo sul profilo lipo-plasmatico. L‟effetto dell‟attività fisica sulle HDL è
clinicamente rilevante, anche se è minore rispetto all‟uso di ipolipemizzanti come ad esempio le
statine. Si stima che con un aumento del 0.025 mmol/L di HDL , il rischio cardiovascolare
diminuisca del 2% per gli uomini e almeno il 3% per le donne. Uno dei possibili meccanismi posti a
spiegazione per l‟effetto dell‟esercizio fisico sul profilo lipidico plasmatico è il suo effetto di
incrementare la capacità muscolare di bruciare grassi in quantità maggiore al glicogeno attraverso
l‟attivazione di un numero superiori di enzimi muscolari deputati al catabolismo dei lipidi, inoltre,
l‟aumento della spesa energetica fa si che quest‟ultima modifichi il bilancio energetico.
Dalle EBP emerge che un esercizio fisico ad intensità e timing crescenti di breve durata (13
settimane) non sembra essere sufficiente a modificare significativamente l‟adiposità; in compenso,
agisce positivamente sui valori di pressione arteriosa sistolica e riduce il rischio cardiovascolare
come confermato dalla letteratura scientifica. Nel lavoro in oggetto abbiamo voluto verificare il
differente effetto del PAL e del bilancio energetico sui valori considerati. Le significatività
borderline della riduzione di tessuto adiposo viscerale e dell‟incremento de tessuto muscolare,
tenendo presente che il peso non è cambiato significativamente, fanno pensare che vi sia stato un
rimodellamento dimostrando che la qualità del peso è importante anche se è alto e che la pratica di
esercizio costante modifichi le variabili sopra citate. Inoltre, dato che, sia il bilancio energetico, sia
il PAL hanno effetto sui parametri indagati e vengono influenzati entrambi dall‟esercizio fisico ed
attività fisica, non poteva non essere effettuato un follow-up: gli effetti del post-trattamento sono
stati complessivamente del tutto significativi..

Differenziazione degli effetti


Gli effetti dell'esercizio fisico possono esplicarsi mediante meccanismi talvolta inversi che, spesso,
si confondono e si sovrappongono tra loro. Tali meccanismi sono rappresentati dalla perdita di peso
esercizio-indotta e/o dallo stress metabolico che lo stesso esercizio fisico induce. Questi
meccanismi si presentano clinicamente con il quadro clinico dell'amenorrea, cioè con l'assenza di
mestruazione spontanee per almeno 3 mesi.
Quando ciò si verifica si parla classicamente di "amenorrea delle atlete". Le amenorree delle atlete
possono essere classificate in "amenorree primitive", ovvero quando la donna non presenta la
comparsa del menarca (prima mestruazione), e secondarie, nel caso in cui la mestruazione scompaia
dopo un periodo più o meno lungo di flussi mestruali spontanei. "L'amenorrea da esercizio fisico",
assieme all'amenorrea da disturbi alimentari (come da bulimia e da anoressia nervosa) fa parte delle
amenorree ipotalamiche funzionali. Quest'ultime vanno differenziate dalle amenorree ipotalamiche
da causa organica, che comprendono quelle secondarie a patologia tumorale, ischemica o flogistica.
I soggetti particolarmente a rischio per amenorrea da eccessivo esercizio fisico sono soprattutto
coloro i quali esercitano sport come nuoto, fitness, danza classica, maratona (...). In queste donne
l'amenorrea è dovuta innanzitutto alla riduzione del peso corporeo e all'assenza quasi totale di
massa grassa; tali condizioni vengono aggravate, inoltre, dalla riduzione degli introiti calorici da
parte degli stessi soggetti.
Un altro importante meccanismo responsabile dell'amenorrea dell'atleta è quello dello stress neuro-
endocrino, con conseguente aumento del tono inibitorio sull'ipotalamo da parte dell'ossitocina,
serotonina e melatonina, quindi con ridotta secrezione di GnRH.
Dopo questa breve sintesi sugli effetti cosiddetti “disfunzionali”, andiamo a vedere perché
promuovere il movimento in tutte le sue accezioni.
L‟attività fisica, motoria e sportiva ha un‟azione preventiva e curativa verso:
 la sedentarietà (fattore che spesso deprime i sistemi endogeni);
 l‟osteoporosi (soprattutto con l‟utilizzo di pesi anche con soggetti anziani ha portato ad ottimi
risultati);
 il sovrappeso e l‟obesità;
 il diabete;
 la depressione ormonale correlata all‟invecchiamento;
 l‟ipertensione;
 il rinforzo del sistema immunitario;
 il miglioramento e/o la prevenzione di patologie dell‟apparato muscolo-scheletrico e nervoso.
(figure nr. 2, 3 , 4 e 5)
Lavorare con i pesi: fa male?
Uno studio del 2000 di Misko e Cess ha evidenziato come le donne sottoposte ad un regolare
esercizio fisico con i pesi durante la vita:
 sono fisiologicamente più giovani di 20-30 anni rispetto alle loro coetanee sedentarie;
 gli esercizi con i pesi sono fondamentali per il mantenimento della massa ossea in pre e post-
menopausa;
 si dovrebbero praticare dalle 2 alle tre sedute settimanali con carichi che vanno dal 40 all‟80%
del massimale;
 la ricerca per quanto riguarda l‟attività fisica e gli anziani (Tauton, Martin, Rhodes, Wolski,
Donelly, Elliot – Br.sports med. – 1997 Mar) evidenzia che un allenamento di forza “è
importante per il manteniento della forza fisica, dell‟integrità ossea e della salute psicofisica”;
 uno studio di Le Mura, von Duvillard, Andreacci, Klebez, Chelland e Russo sull‟allenamento
delle donne, ha evidenziato un miglioramento a livello lipidico (diminuzione di trigliceridi e
grasso corporeo totale) oltre che benessere cardio- vascolare e forza.
(figure nr. 6, 7, 8 e 9)

Perché andare in palestra?


 Per essere seguite da chi si prenderà cura di te a 360 gradi, importante che sia laureato in scienze
motorie
 per avere più stimoli sia aerobici che anaerobici e quindi un allenamento vario,
 per staccare dalla quotidianità e creare uno spazio solo per te,
 perché spesso si ha bisogno del gruppo: in palestra troverai tanti corsi in cui poter sfruttare
l‟energia del gruppo per essere più costante e motivata,
 per lavorare sulla forza con carichi adeguati e aiutata da persone qualificate a farti eseguire gli
esercizi in modo corretto, nella sequenza corretta e con i giusti tempi di recupero,
 perché tutti questi fattori si traducono nella realtà in un beneficio superiore alla somma dei
singoli punti e questo beneficio si chiama: BENESSERE.
 Il punto di partenza DEVE essere una base scientifica da sposarsi con la pratica: la base
scientifica la mettiamo noi, la pratica tocca a voi ricordandovi che “La risposta a una domanda è
un cammino già percorso e ogni grande viaggio comincia con il primo passo”.
(figure nr. 10, 11, 12 e 13)
Protocolli operativi, uno tra tutti: L’HIIT e gli adattamenti nelle donne
Report sui di uno studio sul campo svolto per un progetto di tesi magistrale in Scienze e tecniche
dello sport e delle attività motorie preventive e adattate; anno accademico 2018-19.
20 donne non allenate di età media 25±5 sono state suddivise casualmente tra due gruppi long-HIIT
(n=10) e short-HIIT (n=10). Il gruppo long-HIIT si è allenato con picchi di 1min al 90% della
frequenza cardiaca massima (HRmax), intervallati da 30sec con recupero attivo (60% HRmax). Il
gruppo short-HIIT si è allenato con picchi di 20sec al 90% della HRmax, intervallati da 10sec di
recupero attivo (60% HRmax). L‟allenamento per entrambi i gruppi è stato condotto per 3 volte a
settimana per un periodo di 6 settimane. Tutte le donne che hanno partecipato hanno svolto il test
astrand sul cicloergometro per stimare il consumo di ossigeno massimo (VO2max) una settimana
prima e una settimana dopo il periodo di allenamento. La stessa cosa è stata fatta per la
composizione corporea che è stata valutata tramite le circonferenze e spessore delle pliche. Per tutte
le sessioni di allenamento sono stati registrati , la frequenza cardiaca, la scala visiva della fame, il
carico interno e l‟RPE. Nella prima e nell‟ultima settimana di allenamento, ai soggetti è stato
richiesto di registrare un diario di 24h sulla loro alimentazione per 3 giorni. Entrambi gli
allenamenti hanno indotto significative variazioni per la massa grassa, % di massa grassa,
circonferenza del giro vita, somma delle sette pliche e RPE. Non ci sono invece differenze per la
percezione della fame, introito calorico e per la massa corporea. Long e short-HIIT hanno avuto
successo nella riduzione del grasso corporeo senza alterare l‟apporto energetico.
Studi recenti (Tab. 2) hanno dimostrato che l‟HIIT permette un aumento di carico e una maggiore
intensità rispetto all‟allenamento continuo, sebbene non sia ancora un metodo di allenamento
sufficientemente studiato a causa di un numero elevato di variabili che possono essere manipolate,
tra cui sforzi e pause, intensità e durata, carico di lavoro, tempo di riposo, tipo di pause (attive o
passive), numero e durata delle serie, durata e tipologia di recupero tra le serie. Le pazienti sono
state suddivise in due gruppi, short- e long-HIIT, e hanno svolto 3min di riscaldamento prima di
ogni sessione e 3min. di attività di defaticamento dopo la parte centrale del protocollo. Il carico del
riscaldamento è del 60% dell‟HRmax. La parte centrale consiste in 15min di allenamento con il
metodo HIIT: il rapporto pausa-carico è 2:1 e i carichi corrispondono al 90% dell‟HRmax nella fase
di sforzo, e al 60% dell‟HRmax nella fase di recupero attivo. La durata delle serie differisce tra i
due gruppi: il long-HIIT svolge 1 min di lavoro e 30sec di recupero per un totale di 15 serie, mentre
lo short-HIIT svolge 20sec di lavoro con 10sec di recupero, per un totale di 45 serie. In ogni
sessione di allenamento sono stati registrati i valori dell‟HRmax e dalle informazioni raccolte sono
stati aggiustati settimanalmente i carichi per il raggiungimento della % dell‟HR ottimale.
Pre-allenamento Post-allenamento
Variabili
Long (n=10) Short (n=10) Long (n=10) Short (n=10)
Massa corporea (kg) 66.9±10.9 69.0±14.1 66.3±11.3 68.7±13.8

Body mass index (kg/m2) 25.4±3.9 26.0±4.4 25.2±4.0 25.9±4.31

FFM (kg)a) 37.0±7.1 37.9±9.6 39.5±6.1 40.2±9.7

FM (kg)a) 20.4±7.5 24.1±9.5 18.8±7.3 22.1±8.9

FM relativa (%)a) 29.4±6.2 34.0±5.7 26.8±6.0 31.1±5.8

∑7 skinfolds (mm)a) 169.6±56.9 204.1±9.6 142.9±50.8 181.3±49.3

Circonferenza (cm)
Vita 75.3±8.3 80.0±12.3 73.7±9.9 78.5±10.6
Anche 100±9.8 105.9±11.2 99.5±10.6 104.6±11.4

Rapporto vita/anche 0.75±0.05 0.75±0.05 0.74±0.04 0.74±0.05

Circonferenza coscia a) (cm) 46.0±4.8 43.3±4.2 47.6±3.5 46.5±3.0

VO2max (mL/kg/min)a) 27.9±6.0 33.9±8.5 36.2±9.9 41.5±11.6

Introito energetico (kcal) 1,444±556 1,586±444 1,546±411 1,668±520


Tabella n°2
Stima della potenza aerobica, valori antropometrici e introito energetico pre-allenamento e post-
allenamento dopo 6 settimane su donne sottoposte a protocolli di long-HIIT (1 min:30 sec) o short-
HIIT (20 sec:10 sec). I valori sono rappresentati con valore principale ± deviazione standard.
Legenda: Long, long-high-intensity interval training; Short, short-high-intensity interval training;
FFM, fat free mass; FM, fat mass; VO2max, maximal oxygen consumption estimated.a) Difference
between pre-allenamento e post-allenamento (P<0.05).

Non ci sono significative differenze statistiche tra i gruppi all‟inizio del protocollo di allenamento.
Non ci sono differenze significative in relazione alla massa corporea, alla BMI, alla FFM, alla FM,
alle circonferenze di vita, anca, coscia, al rapporto anca-vita, alla VO2max, e all‟introito energetico.
Si ha una significativa riduzione della FM nel corso e al termine del protocollo in entrambi i gruppi.
Gli stessi risultati sono stati riscontrati anche nella valutazione della somma delle pliche cutanee
durante il protocollo (fig. 4).
Si ha una riduzione nella circonferenza della vita dopo l‟intervento (F[1, 18]=9.36, P=0.006, partial
η2=0.262), anche se non è stato riscontrato lo stesso risultato per la circonferenza del bacino (F[1,
18]=1.30, P=0.269, partial η2=0.067), come conseguenza si ha una riduzione del rapporto vita-
bacino (F[1, 18]=6.41, P=0.021, partial η2=0.262).
Si ha un aumento corretto nella circonferenza della coscia dopo l‟intervento (F[1,
18]=19.90, P<0.001, partial η2=0.525) e anche un aumento della VO2max nel corso del protocollo
(F[1, 18]=37.57, P<0.001, partial η2=0.688).

Fig. 4: istogramma dei relative cambiamenti in tricipiti(A), sottoscapolari(B), soprailiaca(C),


addominali(D) coscia(E), e pliche Σ5(F) per ogni individuo dopo 8 settimane di HIIT su giovani
donne.

Una volta raggiunti i valori di HR prescritti dall‟allenamento, il carico è stato aggiustato in linea
con le risposte individuali di ogni soggetto. In questo modo, è stato riscontrato un aumento del
carico durante le sessioni di allenamento in entrambi i gruppi (F[17, 306]=38.40, P<0.001, partial
η2=0.680) (fig. 5) Sebbene non ci siano grosse differenze tra i due gruppi, (F[17,
306]=2.38, P=0.141, partial η2=0.366) nello short-HIIT è stato riscontrato un aumento del carico più
repentino rispetto al long-HIIT, nel quale si vedono le prime variazioni del carico soltanto dopo la
2° settimana. Nonostante il carico sia stato aumentato, è stata riscontrata una diminuzione della
RPE durante le sessioni di allenamento (fig. 6). L‟assenza di differenze nella RPE riportate tra i
due gruppi, coincide con l‟aumento dei carichi. Non ci sono grosse variazioni nemmeno per la
percezione della fame (F[17, 306]=4.24, P=0.054, partial η2=0.172).
Fig. 5: Carico durante le sessioni nei differenti
gruppi di allenamento. Long, long-high-intensity
interval training; Short, short-high-intensity
interval training. a) i valori tendono ad aumentare
settimana dopo settimana.

Fig. International Federation of Business and


Professional Women
6: Variazione dello sforzo percepito attraverso le
sessioni nei differenti gruppi di allenamento
Long, long-high-intensity interval training; Short,
short-high-intensity interval training. a) I valori
aumentano tra la 5° e 6° settimana di conseguenza
all‟aumento dei carichi.

L‟HIIT, quindi, ha riportato ottimi risultati nella riduzione di FM, circonferenza del giro vita,
rapporto vita-bacino, e nell‟aumento della FFM, circonferenza della coscia, del carico e della
VO2max, ed è stata riscontrata una diminuzione della massa grassa del 9% per il long-HIIT e
dell‟8.5% per lo short-HIIT, senza nessuna significativa differenza tra i due gruppi, e un aumento
della massa magra (1.15%) (Airin et al., 2014) e della FFM (1.30%) (Hazell et al., 2014), nonché un
aumento dell‟ipertrofia muscolare.

Conclusioni per assiomi


Conoscere le differenze di genere tra i due sessi è fondamentale per ottimizzare, senza
discriminazioni, la prestazione del singolo atleta o di un gruppo, traendone il miglior risultato
possibile e rispettando ovviamente le fasi sensibili di crescita.
Come farlo? I metodi e mezzi di allenamento sono molteplici, personalizzabili al meglio individuo
per individuo; non credo, però, che oggi giorno la sola esperienza di: formatori, educatori, istruttori,
tecnici o preparatori possa bastare. Nella “new era” tecnologica sfruttare al meglio i supporti relativi
al monitoraggio dell‟allenamento è un aspetto ormai basilare per raggiungere l‟eccellenza.
La meccanobiologia ci può aiutare nell‟applicazione estensiva dell‟unico principio metodologico
trasversale tra gli aspetti psico-pedagogici e quelli organico-muscolari, sto parlando della
“Variabilità e differenziazione degli stimoli”: tensione muscolo-tendinea uguale senso-stimolazione
più meccano-trasduzione e adattabilità.
HIIT (ed in generale i metodi misti) produce il rilascio di “Irisina” (ormone dello sport):
a. produce il “Browing”, ovvero conversione delle cellule adipose bianche in brune attivando il
fenomeno “Brucia grassi”;
b. osteogenesi e c. sviluppo di nuovi neuroni e proliferazione sinaptogenica. (Harvard Medical
School, 2018).
In aggiunta le linee guida internazionali sulla prescrizione dell‟esercizio fisico atto a modificare il
profilo lipoplasmatico dimostrano che le modificazioni di quest‟ultimo non sono legate tanto
all‟intensità ma soprattutto al volume totale di movimento. Un alto volume totale di movimento può
essere raggiunto, oltre che con l‟esercizio fisico, con un cambiamento dello stile di vita passando da
una condizione di “sedentarietà” ad una “attiva”, beneficiando delle modificazioni positive di cui
sopra.
Bibliografia essenziale
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 Caspersen CJ, Powell KE, Christenson JM. (1985) “Physical activity, exercise, and physical fitness:
definitions and distinctions for health-related research”. Public Health Rep. 31-126.
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TAVOLA ROTONDA

ATTIVITÀ FISICA, ALLENAMENTO E SPORT: COSA SCEGLIERE?


Loira Toncelli, Giovanni Innocenti, Luisa Mazzotta, Michele Provvidenza, Mario Migliolo,
Carlo Giammattei, Ferdinando Franzoni, Andrea Bemi, Luca Magni

Conduce Maria Elisabetta Gramolini

DISCUSSIONE
Chiusura lavori

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