Sei sulla pagina 1di 8

Mosè l’uomo di Dio e del popolo

Marco Frisina

Nel cammino che intraprende Mosè con il suo popolo, le difficoltà iniziano immediatamente. Mosè si rende
conto che essere pastore del gregge di Ietro era molto più semplice che essere pastore di questo popolo
ribelle, testardo che di fatto non vuole essere salvato. Un po’ quello che succede alla nostra gente no?! Per
noi a volte dici: “Ma come? Io faccio tanto no?!” Il parroco : “per aiutare questa mia gente, in una certa
direzione, ma alla gente non gliene importa nulla”. Diventa frustrante che cosa? Lo sforzo da parte nostra,
per il loro bene, e la loro indifferenza. Non c’è ostilità c’è indifferenza, pesantezza. Sembra quasi di
trascinare ogni volta un peso insopportabile che ricade su di noi, che noi sentiamo, giustamente, come un
peso nostro.

Mosè vive questo da subito già drammaticamente perché appena esce con Israele dall’Egitto, l’episodio del
mar Rosso, per esempio, già è un episodio drammatico perché Israele è tentato a tornare subito indietro.
L’esercito sta arrivando, il Signore fa il prodigio del mare con il bastone di Mosè, perché Mosè deve sempre
stendere il bastone, cioè deve sempre lui, davanti al popolo, essere colui che fa il segno e poi pare si apre il
loro passo.

Questo dovere del segno da parte di Mosè, di questa testimonianza di fede sua, la prima deve essere la sua,
cioè Mosè deve credere per primo perché il popolo creda. Il popolo vede questo gesto, e ricordatevi le
piaghe per esempio, questi dieci gesti così drammatici in cui Dio e il faraone sono in un contrasto, una
guerra, una battaglia all’ultimo sangue, come si direbbe. In questa guerra, violenta, Dio ingaggia la sua
battaglia con Mosè. C’è Mosè che sta lì, sulla breccia, davanti a tutti a dover fare la parte di Dio dice, dirà
così: Aronne fa la parte tua ma tu fai la mia parte davanti al faraone. Quindi capite che i segni, ogni volta
che Mosè pone un gesto deve fare un atto di fede innanzitutto su se stesso e poi, quindi, sulla propria fede
in Dio. Si mette in discussione ogni volta, pensa: “e se poi va male? E se questo gesto non funziona? Mi
ammazzano”. Questo ruolo diventa a volte veramente pesante.

Ritornando alle immagini delle piaghe è significativo questo, tra parentesi ma per capire meglio come tanti
brani della Scrittura che riguardano questi fenomeni così apocalittici, le piaghe d’Egitto sono il modello di
tutte le immagini apocalittiche successive. Pensate al sole che diventa di crine, la luna di sangue, la pioggia
la grandine che distrugge eccetera. Tutte queste immagini, quest’immaginario mostra una creazione in crisi,
una creazione che sta facendo un passaggio violento da uno stato a un altro e che Dio riconduce al caos
originario. È come se tutta la creazione passasse dall’ordine creaturale al caos. È come se Dio stesse
facendo passare in una nuova realtà, in una nuova creazione le cose. Come il diluvio, nel diluvio la stessa
cosa: nel diluvio tutto ritorna nell’abisso delle acque per poi ritornare una nuova creazione pulita, limpida
d’arcobaleno. C’è il passaggio ogni volta. Ricordatevi la morte di Gesù e i discorsi escatologici di Gesù prima
della passione: la distruzione eccetera per poi la Pasqua il cielo si oscura, il terremoto, e l’Apocalisse; la
chiave di lettura è sempre la stessa: “Questo mondo deve passare – Gesù direbbe così – passa questo
mondo ma nasce un mondo nuovo. È un parto – dirà Paolo – la creazione attende nelle doglie del parto la
rivelazione dei figli di Dio. La sintesi paolina è perfetta. Così come nelle piaghe d’Egitto, nella notte
dell’esodo descritta dal libro della Sapienza. Le doglie del parto della vecchia creazione per la rivelazione dei
figli di Dio: Paolo è ancora più preciso, per la manifestazione dei figli di Dio. E quindi anche nella nostra vita
personale il mistero pasquale è sempre questo, è la morte dei primogeniti per far poi salvare i nati nuovi, i
nuovi nati dall’alleanza. È una crisi del vecchio Adamo che fa nascere il nuovo Adamo.

E in questa lotta Mosè sta lì a esserne testimone. È lui a provocare, così crede il faraone, a provocare le
piaghe, mentre lui è soltanto colui che le annuncia ed è colui che ne mostra la terribile efficacia. Ricordatevi
che dicevo stamattina: lui è profeta, quindi ciò che dice è “Parola di Dio” che fa effetto.

Ora questo ruolo, che qui è ancora eroico, nel deserto diventa veramente drammatico perché nel deserto
c’è la grande prova per il popolo, quella prova che deve far passare nella purificazione del deserto il popolo
abituato alla schiavitù comoda e dorata dell’Egitto, alla libertà difficile e scomoda del deserto. Be’ quello
che succede ai nostri, alle nostre persone, alla nostra gente: è tanto bello essere schiavi, schiavi del piacere,
della droga, del potere, della ricchezza è una bella schiavitù. Chi me lo fa fare di essere povero, sobrio,
temperante sempre? È difficile eh? Noi annunciamo una libertà che l’uomo non vuole avere, una libertà che
capisce “è libertà” ma che quando la vive ogni uomo scopre che la responsabilità della propria libertà è
dura, è difficile. È bello dire: ah non ce la faccio, io sono fragile, io sono povero, son debole, non ce la faccio;
è facile, ma a dover dire ce la devo fare mi devo sforzare, devo vivere da penitente in parole povere.
Sapete come diceva uno degli aforismi di Oscar Wilde per vincere le tentazioni? “Il miglior modo per
vincere le tentazioni è cedere” I suoi aforismi ironici ma vero no?! Be’ certo, così la vinci subito la
tentazione, dura pochissimo, tu cedi alla tentazione e tutto è superato, è la facilità della schiavitù. Uno si
arrabbia, si lamenta e poi cede tranquillo: ah che bello però, così mi sono tolto il pensiero di dover lottare.

Questa realtà Mosè la deve vivere in prima persona è il servizio a cui è chiamato, tutta la sua vita sarà la
lotta per portare il popolo verso la libertà. È bellissimo quello che succede nella preghiere, quando Mosè si
mette a pregare per il suo popolo, perché è bello. Mosè non prega mai per se ma lui è l’intercessore del suo
popolo. Ormai è talmente identificato il suo popolo con lui, tra lui e il popolo c’è ormai un’identità e Mosè
prega per il suo popolo. Nel libro dei Numeri c’è quest’episodio dell’intercessione di Mosè veramente
drammatico: Mosè udì il popolo che piangeva in tutte le famiglie e ognuno all’ingresso della propria tenda,
poiché volevano la carne da mangiare. L’ira del Signore si accese e la cosa dispiacque agli occhi di Mosè
perché Dio si arrabbia, dice: “ma insomma, guarda lasciami stare, mo’ lo distruggo ‘sto popolo mi sono
stufato – dice Dio – non è possibile, io mi sto facendo in dodici (per quanto si poteva fare Dio) per salvare
questo popolo e a questi non importa nulla, dai aspetta un attimo, mo’ lo distruggo, me ne prenderò un
altro”. E questo dispiace agli occhi di Mosè. Mosè ama questo popolo, c’era solidarietà, eleemon direbbe la
Lettera agli Ebrei, è misericordioso nei confronti di questo popolo perché lui è di quel popolo. E Mosè disse
al Signore: «Perché hai fatto del male al tuo servo?»

Perché? Mosè va da Dio e gli dice: “tu vuoi farmi proprio del male, ma ce l’hai con me?” dice Mosè a Dio.

«Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? L'ho forse
concepito io tutto questo popolo?»

E che è, l’ho creato io? Mosè è proprio arrabbiato qui, non ce la fa più.

«O l'ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: "Portalo in grembo", come la nutrice porta il lattante,
fino al suolo che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?

Me lo devo portare in collo fino alla terra promessa?

«Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano dietro a me, dicono:
"Dacci da mangiare carne!". Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante
per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi;
che io non veda più la mia sventura!».

Lo sfogo di Mosè su questa preghiera è veramente commovente, non ce la fa più, è schiacciato, è distrutto.
E il Signore disse a Mosè, è bello perché il Signore poi gli risponde, gli risponde con… cioè poi ci si pente il
Signore dopo tutte queste sfuriate di Mosè, e va be’, e poi va be’:

«Radunami settanta uomini tra gli anziani d'Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come loro
scribi; conducili alla tenda del convegno»

Insomma gli fa dei collaboratori, ma non gli toglie il peso, gli dice come fare, gli dà un escamotage, dice:
senti fatti un consiglio pastorale, fatti aiutare in parrocchia insomma però tanto te lo devi portare tu, non
c’è niente da fare, non glielo toglie neanche per un attimo, fino alla fine. E gli dà tuta la carne fino… e gli
dice proprio:

«Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per
venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga nausea, perché avete respinto il
Signore»

Il Signore stesso anche lì perde la pazienza: Volete la carne? Ve la do fino alla nausea. È bello perché c’è
questa umanità, si direbbe, in Dio, come si chiama antropomorfismo (?!) tutti queste espressioni, ma in
realtà è la lettura del mistero di Dio vista proprio nella concretezza della storia di Israele. Ecco
l’antropomorfismo, più che antropomorfismo è la lettura dal punto di vista degli uomini di Dio. Dice ma
certo Dio è come noi in questo. È veramente come noi, quando si arrabbia si arrabbia. Ma poi, ancora dopo
Mosè disse:

«Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, conta seicentomila adulti e tu dici: Io darò loro la carne e ne
mangeranno per un mese intero! Si sgozzeranno per loro greggi e armenti in modo che ne abbiano
abbastanza?

Perché anche Mosè non è che è… ci crede però dice: “ma insomma, ma come fai? Mo’ me lo devi spiegare”.
Questa collaborazione di Mosè con Dio è fino in fondo, Mosè vuole essere consapevole: “io sto rischiando
la testa – dice a Dio – Mo’ come fai però?”.

«O si radunerà per loro tutto il pesce del mare in modo che ne abbiano abbastanza?». Il Signore rispose a
Mosè: «Il braccio del Signore è forse raccorciato?

È una litigata, vedete, una litigata: “Ora vedrai se ti accadrà o no quello che ti ho detto, Mo’ te ne accorgi”.
E infatti fa venire le quaglie, la scena famosa descritta da Esodo. Ma è bellissimo, questo rapporto faccia a
faccia, dice la scrittura: “Mosè parlava con Dio faccia a faccia”, che vuol dire? Con una confidenza autentica.
È veramente il collaboratore, è un collaboratore diretto di Dio. Quel è il mestiere di Mosè? Diciamo il vice
Dio, diciamo per la terra… lui era quello che doveva interpretare la volontà di Dio per il suo popolo e quello
ch doveva dare a Dio la volontà del popolo: i suoi umori, i suoi lamenti. Questa intercessione di Mosè,
questo ruolo che è quello descritto, come dicevamo, dalla Lettera agli Ebrei: “degno di fede da parte di Dio”
eleemon, misericordioso nei confronti del popolo. Ricordiamoci però che Mosè è un laico eh! Mosè non è
prete, non è sacerdote. Aronne è il sacerdote. Mosè ha un ruolo diverso, diremmo anche superiore ad
Aronne, perché Dio l’ha scelto come guida del suo popolo a prescindere dall’ufficio sacerdotale dei sacrifici.
È come succederà per Gesù, Gesù non è stato sacerdote, ossia non è sacerdote nel senso aronitico no?! La
superiorità di Gesù nei confronti di Aronne è proprio perché Lui non è sacerdote come Aronne, ma come
perché? Vi ricordate di tutta questa cosa… nella lettera agli ebrei, questo tra parentesi, tanto ci torneremo
su questo argomento. Ma il sacerdozio cristiano non ha niente a che vedere con il sacerdozio di Aronne. Il
sacerdozio ministeriale dipende dal sacerdozio battesimale, ce l’ha anche Andrea, lo prendiamo come cavia
Andrea ma è il laico della situazione, ma è battezzato. Il sacerdozio su cui si fonda il nostro sacerdozio,
quello anche delle nostre sorelle è quello battesimale, e il nostro ministero sacerdotale senza quello
battesimale non avrebbe senso, non potrebbe essere esercitato, è l’unico sacerdozio che esiste, quello di
Cristo, c’è un solo sacerdote, un solo prete, un solo vescovo, uno solo: è Cristo e tutti noi ne partecipiamo
secondo i diversi ministeri, questa è la grande libertà dei cristiani. Noi non siamo, come dire, clericali, il
clericalismo non c’ha niente a che vedere con il sacerdozio cristiano; capite “il clericalismo” in che senso?
Ossia quell’atteggiamento tipico del clericale, tra il bigotto e il fariseo, un po’ il Tartufo, Moliére, non so se
conoscete Tartuffe di Molièr che è questi personaggi che c’erano nella Francia della sua epoca, in cui erano
preti, abati, abatini, anche vescovi nella corti e nelle case nobiliari, questo all’epoca anche di sant’Alfonso,
ma che erano tutto meno che, veramente, ministri della Grazia di Dio.

Questo mondo, questo clericalismo, non è nostro, non è del cristianesimo ed è quello che Gesù stigmatizza
molto anche nei fariseismo, negli scribi, queste caste, queste caste che si difendono, no, tutt’altra cosa. Il
respiro che dà Gesù al sacerdozio cristiano è un respiro sublime, diverso. È anche, nello stesso tempo, più
impegnativo da una parte, ma anche così vicino alla realtà concreta del popolo di Dio, perché parte dal
popolo di Dio… per usare i termini del papa in cui si puzza di pecore, perché si vive insieme alle pecore,
perché non c’è una differenza di abitazione; cioè non è che uno sta in un palazzo regale e poi va, si piega ad
andare dalle pecore, ecco quest’immagine tipica del nostro ‘seicento barocco è mai stata nella mente di
Dio.

E Mosè partecipa di questo ministero di salvezza. Aronne è addetto al culto, Aronne è proprio clericale e
infatti combina guai. Il guaio maggiore che il povero Aronne fa è di cedere alla debolezza del popolo: il
vitello d’oro. Quel momento che rappresenterà… lì è raccontato, l’episodio del vitello d’oro, ma si
ripresenta in tutto l’Esodo, tutta la storia del popolo nel deserto, quest’evento fa capire come l’unico Dio
può essere confuso con un idolo e come è difficile distinguere gli idoli dal vero Dio; e come è delicato e
come Mosè deve sempre far vedere al popolo che Dio non è un idolo. Cioè Dio non si mette in tasca,
nessuno è padrone di Dio, nessuno fa di Dio il proprio valletto, soprattutto Aronne non lo deve fare.
Nessuno può dire: “io faccio una bella formula e zac… Dio fa quello che voglio io” tipico del mondo
idolatrico e antico no?! Quei sacrifici diventavano, come dice Isaia, una specie di ricatto a Dio: io ti faccio
questo sacrificio e tu mi devi dare questo. Il tariffario dei sacrifici del Tempio arrivano al paradosso al
parossismo e Isaia è costretto a dire… Dio dice nella bocca di Isaia: io ho a nausea i tuoi sacrifici, non ne
posso più. Che ci devo fare? Tanto le cose che tu mi offri sono mie. Non è che tu mi dai una cosa nuova che
io non posseggo. Io voglio il tuo cuore, non mi interessa niente di tutte queste pecore, buoi, vitelli vari,
dammi il tuo cuore!

Allora l’avventura di questo pover’uomo, di Mosè, arriva ad essere talmente difficile che alla fine si direbbe
cedere, Mosè veramente cede. C’è un momento esaltante, io ho un’idea sulla fine di Mosè, io non credo…
credo che Mosè, proprio come lo descrive il Deuteronomio non sia morto come gli altri. Il modo in cui il
Deuteronomio racconta la sua morte è misterioso. C’è un altro fatto che nella trasfigurazione appare
insieme ad Elia che era stato rapito in cielo dal carro di fuoco; quindi non è detto… la tradizione ebraica dà
retta alla mia idea, ma che non è detto che Mosè sia anche lui stato assunto come fu per Elia, perché così si
piega l’apparizione insieme ad Elia… Elia e Mosè che parlano con Gesù nella trasfigurazione. Perché dico
questo? Perché l’ultima prova a cui è sottoposto Mosè, quella di Meriba, in qualche modo lo condiziona, lo
brucia. Nessuno di quelli che sono usciti dall’Egitto, esclusi i giovani, ovvero Giosuè e Caleb, entreranno in
terra promessa, muoiono tutti nel deserto, compreso Mosè. Mosè che nel deserto muore guardando la
terra promessa, diciamo, sul monte Nebo, ma non entrerà, rimane sul monte Nebo a guardare. La
descrizione del Deuteronomio però ci fa pensare che Dio gli fa vedere la terra e lo fa entrare in maniera
speciale nella terra o forse gli rivela la vera terra promessa, che non era quella. Fatto sta che Dio vuole che
lui veda la Terra, dice “Ecco ti mostrerò la terra, ma tu non v’entrerai”. Questa visione probabilmente è già
l’entrata nella terra promessa, quella che nell’Antico Testamento si chiama il seno di Abramo per noi è,
diciamo, è il paradiso anche se ancora non era aperto questo paradiso, ma era già destinato… aveva già il
biglietto per entrare. Il paradiso come luogo del riposo di Dio. Mosè, infatti dice, si addormenta lì sul monte
Nebo, la sua tomba non è mai stata trovata, dice il Deuteronomio. Quest’allusione potrebbe veramente
significare che lui ha un passaggio speciale, è uno di quei pochi che ce l’ha, uno di quei pochi. Certo, lui però
deve subire la sorte del suo popolo, la solidarietà di Mosè fino in fondo con il suo popolo. Questa
solidarietà lo rende ancora una volta uguale, simile a Cristo. Quando pensiamo alla morte di Gesù, la morte
in croce, non dobbiamo dimenticare che Gesù muore come ogni uomo muore e che anche lui deve vivere
l’umiliazione della morte, anche lui vive lo schiacciamento della morte che non è semplicemente morire per
Gesù è diventare akatartos dirà Paolo, l’impurità per noi, è la morte infamante della croce, è la solidarietà
con i peccatori fino in fondo, lui muore da peccatore, nessun Giusto moriva in croce, erano dei ladroni, degli
assassini dei blasfemi. Gesù prende su di se la sorte dell’uomo peccatore, muore come loro e Mosè ha la
stessa sorte, non entra nella terra così come non è entrato tutto il popolo peccatore.

Questa solidarietà impressiona, impressiona perché ce lo mostra drammaticamente solidale. Quando, non
so se conoscete un po’ la vita di san Giovanni Maria Vianney, del curato d’Ars, quest’uomo mandato nel
buco di Ars, 600 abitanti, un po’ come i vostri paesini in montagna che faranno pressappoco questa
popolazione qualcuno in più qualcuno in meno, forse addirittura. Mandato in questo buchino laggiù, perché
non era molto stimato dal suo vescovo Giovanni Maria Vianney, non andava bene a scuola era un tipo
semplice, un tipo diciamo ordinario… “mandiamolo lì”, non superava gli esami quando era in seminario, “lo
mandiamo là”. E Giovanni Maria Vianney nella sua semplicità era un santo però, era uno che credeva
profondamente e credeva profondamente di stare lì per il suo popolo e di doverlo salvare, salvare con
amore, con l’amore, con una solidarietà di tutto cuore e i penitenti se ne accorgevano e andavano da lui
come si va da Dio stesso e andavano ad essere abbracciati dalla misericordia di Dio e lui intercedeva. Non
so se sapete tutte le penitenze che faceva per i penitenti perché? Perché sentiva la necessità. Quando
arrivavano i pezzi grossi il giorno prima il diavolo gli faceva i dispetti, tutte queste cose da santi non
simpatiche nelle descrizioni. Quando arrivavano questi peccatori lui gli dava delle penitenze leggere, dice
“vabbe’ fai questa penitenza”, quelli si stupivano “ma come? Mi dà una penitenza così leggerà?” loro
immaginavano “chissà cosa mi farà fare?” “non si preoccupi, lei faccia questa penitenza, il resto la faccio
io”, lo diceva così con molta semplicità. Questo istinto, questo istinto sacerdotale di Giovanni Maria
Vianney era la sua identità sacerdotale, ed era bellissimo come Mosè, di fatto lui diceva “fa’ morire me, ma
lascia campare loro”, questo anche padre Pio aveva questa cosa, Madre Teresa stessa con i suoi poveri
diceva che lei sarebbe rimasta fuori dal paradiso finché l’ultimo dei poveri sarebbe entrato.

È il ruolo che tu vivi in Dio, è il mistero che poi vivi in Dio che ci rende solidali. È un mistero che prende la
nostra vita. Non siamo più noi alla fine ma “io sarò con te veramente” Dio è con noi; e allora questo mistero
ci spinge a confonderci con la missione. Noi non siamo più noi, noi siamo la nostra… è la volontà di Dio in
noi siamo per usare i termini di Paolo “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”, è questa missione
salvifica: diventiamo incarnazione vera di una parola, incarnazione della volontà di Dio. Ed ecco allora che
Mosè ne rimane prigioniero, come tutti i profeti poi, schiacciato, pensate a Geremia poveretto, schiacciati
da questa parola… Giovanni Battista… una parola che arde e consuma ma che rende la persona ormai
trasparenza della volontà di Dio.
Questa è la gioia del profeta ed è la gioia di Mosè. Lui si addormenta sereno, dice il Deuteronomio, e
tornando indietro in uno dei momenti più alti dell’esperienza di Dio che Mosè fa e che per noi segna una
tappa importante è una delle preghiere di Mosè, quella del capitolo 33 e poi 34. È bella perché ci parla
dell’intimità con Dio di Mosè.

Mosè disse al Signore: «Vedi, tu mi ordini: Fa' salire questo popolo, ma non mi hai indicato chi manderai con
me; eppure hai detto: Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi.

Dio gli aveva detto questo: ti ho conosciuto per nome. Quando Dio conosce per nome è perché ama la
persona e il nome… solo Dio conosce il nostro nome vero, quello dell’amore, come quando noi mettiamo i
sopranomi alle persone che amiamo, ai bambini, alle persone amate. Quel sopranome è il modo con cui noi
la conosciamo quella persona. Così farà Gesù, gli chiama per sopranome i suoi apostoli. Ma è il modo
affettuoso con cui noi conosciamo, Dio lo fa con noi, Dio ci ama e ci dà un nome, il suo nome, il nome che
lui ci ha dato, noi non lo sappiamo, lo sa Lui.

Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai
tuoi occhi; - Dimmi che devo fare? - considera che questa nazione è il tuo popolo».
Rispose: «Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo».
Sentite che meraviglia: «Il mio volto camminerà con voi» Cioè io sarò sempre davanti a te, io ti guarderò
sempre, il mio sguardo sarà sempre su di voi «e io ti darò riposo», e io sarò il tuo riposo.

Riprese: «Se il tuo volto non camminerà con noi, non farci salire di qui. – Devi starci sempre insomma -
Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, - io e il tuo popolo, vedete non
c’è mai differenza - se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i
popoli che sono sulla faccia della terra».
Disse il Signore a Mosè: «Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho
conosciuto per nome».
E gli disse: «Mostrami la tua Gloria!».

Sentite come osa Mosè, si spinge oltre: «Mostrami la tua Gloria!».

Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome: Signore, - e qua usa il
tetragramma Esodo - davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò
misericordia».

Questa è la rivelazione di Dio, il nome di Dio. Non è il Dio che giudica, il Dio violento, il Dio… il vero volto di
Dio è bontà e misericordia come diranno i Salmi.

Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo».
Aggiunse il Signore: «Ecco c’è un luogo vicino a me e tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria,
io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e
vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere».

Capite qui perché Gesù dirà, quando gli diranno gli apostoli “mostraci il Padre. Ci basta”, mostraci il Padre.
Ci basta, Gesù dice: “ma come io sono con voi da tanto tempo e ancora non hai capito? Chi vede me vede il
Padre”. Capite la portata di quella frase? Sconvolgente dopo questo passo. Ma Mosè non può vedere il
volto di Dio, ma Dio gli mostra le sue spalle, come dire: tu mi devi seguire e vedrai solo le mie spalle, ma stai
tranquillo, il mio sguardo è sempre su di te. La sequela, anche qui domani parleremo di questo, ma qui: tu
vedrai le mie spalle.
E allora ecco che si rinnova l’alleanza, perché quest’episodio sta subito dopo il vitello d’oro, è proprio il
dialogo intimo tra Dio e Mosè in vista dell’alleanza rinnovata. Mosè taglia le due tavole di pietra nuove, le fa
insomma come le prime, si alza di buon mattino per andare sul Sinai con le due tavole di pietra in mano.

Allora il Signore scese nella nube, - la Shekinah, la nube della presenza - si fermò là presso di lui e proclamò
il nome del Signore.

Che cosa vuol dire? Dio proclama il suo nome, si rivela, proclama il suo nome, lo grida, lo dice e il nome di
Dio è la sua essenza la sua identità.

E il Signore passò davanti a lui proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira
e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la
trasgressione e il peccato, ma che non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e dei figli
nei figli fino alla terza e alla quarta generazione».

Capito? Siamo ancora nell’economia vetero testamentaria, però Lui è il Dio della misericordia.

Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò e disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il
Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro
peccato: fa' di noi la tua eredità».

E il Signore disse: «Ecco io stabilisco un'alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie…

Eccetera, eccetera, questi brani non dobbiamo mai tralasciarli. Sapete un po’, noi leggiamo la Scrittura un
po’ a francobolli, anche nel lezionario ci sono sempre questi pezzettini, be’ giustamente perché durante la
messa non possiamo leggere tutti i capitoli no? Però noi, non dobbiamo tralasciarli, quando si prepara
l’omelia della domenica e c’è il francobollo leggiamoci tutto il brano, perché? Questi brani non si leggono
mai. Tutta questa parte dei capitoli di Esodo, che sono straordinari, significativi, non possiamo tralasciarli
perché ci rivelano chi è Dio.

Allora questa sera la preghiera si fa intima, tra noi e Dio, noi siamo come Mosè, siamo chiamati ad essere
come Mosè. Non solo se siamo preti, quindi pastori di un popolo ma anche se siamo religiose e abbiamo la
responsabilità delle nostre sorelle, siano esse le povere le anziane, chi ammalate o chi ha soltanto la propria
comunità; oppure dei laici che hanno le loro famiglie, i loro posti di lavoro, che hanno la gente che vive
accanto a noi. Noi siamo coloro che hanno la responsabilità dei propri fratelli, perché siamo parte di un
popolo, e ognuno, nel proprio ministero, viviamo come testimoni della nostra fede nei loro confronti.
Questa testimonianza c’è sempre, i segni che Mosè deve fare deve crederci per primo, quindi anche noi.

Quello che ci contraddistingue da tutti gli altri popoli è che noi viviamo alla presenza di Dio, come dice
Esodo, e Lui guarda verso di noi sempre, il suo sguardo è sempre su di noi. Noi camminiamo in mezzo al
deserto con la sicurezza di questo sguardo, noi siamo consapevoli di essere amati e testimoniamo
quest’amore.

E poi l’intercessione, noi siamo chiamati alla solidarietà dei nostri fratelli, dobbiamo imparare a pregare per
i nostri fratelli, a pregare per il nostro popolo, noi siamo per questo. Noi siamo chiamati ad essere gli oranti,
proprio perché questa nostra intercessione salverà il nostro popolo e salverà noi, perché altrimenti noi non
entriamo, noi entreremo insieme al nostro popolo o non entriamo. Abbiamo la responsabilità di essere
redentori ed è questo rapporto di redenzione profondo che ci lega al nostro popolo. Come i genitori, come
padri e madri si salvano insieme ai loro figli, alle loro famiglie. Non ci si salva da soli, nessuno si salva da
solo, ognuno si salva con la propria realtà, con la propria famiglia, col proprio popolo. È il servizio, è la
vocazione al servizio, al servizio d’amore di redenzione. E questo avviene nel riposo di Dio, avviene proprio
in questa intimità come viene descritta qui bellissima, che Dio ci mostra non le spalle perché Gesù ci mostra
il viso, il volto. Il povero Mosè ha visto le spalle di Dio, noi abbiamo visto il volto di Dio e il volto di Dio è
quello di Cristo: è venuto apposta per rivelare questo volto.

Domani ci accompagnerà Pietro il personaggio più simpatico, probabilmente degli apostoli, perché è uguale
a noi, nel bene e nel male, ma con lui ci accompagneremo per comprendere sempre meglio cosa significa
seguire Cristo, la sequela, perché l’apparire di Cristo, di quel volto che ci rivela Dio, cambia tutte le cose,
compie più che cambiare, compie tutte le cose. Pensate Mosè come avrebbe desiderato poter vedere Dio in
faccia, ci ha litigato anche, però poter vedere, contemplare il volto di Dio gli sarebbe piaciuto, ecco, noi
abbiamo questa possibilità, a noi ci è stato dato di poter vedere Cristo, di poter vedere Dio. Allora
mettiamoci adesso nel mondo di Mosè, sul monte anche noi oranti chiedendo al Signore: mostrami il tuo
volto e aiutami a vivere ogni giorno sotto questo sguardo insieme al mio popolo.

Potrebbero piacerti anche