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Il Mezzogiorno agli inizi dell' XI sec.

IL Catapanato Bizantino d' Italia


Il Catapanato bizantino d’Italia era delimitato a sud dal mare Jonio, ad ovest dal Tirreno, ad est
dall’Adriatico. Il confine settentrionale era segnato da una linea di frontiera che aveva questo
percorso: partiva dal fiume Fortore, seguiva il crinale dei monti Dauni ed il corso superiore
dell’Ofanto ad ovest di Melfi; di qui aggirava il monte Vulture, passava ad est di Potenza, e
raggiungeva il corso del Tanagro all’altezza di Polla; correva lungo il Vallo di Diano fino a
Lagonegro, e seguendo il corso del Noce arrivava al Tirreno. Al vertice del Catapanato v’era il
Catapano, che risiedeva in Bari. Il Catapanato era a sua volta diviso nei tre Temi (circoscrizioni
amministrative) di Longobardia, con capitale Bari, di Calabria, con capitale Reggio, e di Lucania,
con capitale Tursi.
L' arrivo dei Normanni
In questo quadro politico, frammentato ed in continuo stato di belligeranza, si inserirono i primi
cavalieri normanni, chiamati come mercenari. Essi erano divisi in due bande. La prima era
capeggiata da Osmondo Drengot, e fu assoldata dal principe Guaimario di Salerno. La seconda
condotta da Gilberto Buatère, si pose al servizio di Melo da Bari, un nobile barese, di origine
longobarda, ribelle al dominio bizantino e alleato coi principi longobardi.
Si trattava di cavalieri forti ed audaci; alcuni erano cadetti di famiglie feudali, che per essere stati
esclusi dalla successione paterna, erano stati costretti all’avventura e all’esercizio della “militia”.
Armati “alla pesante”, con il giaco di maglia di ferro, elmo, scudo a forma di mandorla, spada, e
lunga lancia, essi introdussero nel Mezzogiorno una tecnica di combattimento nuova, quella della
carica di cavalleria, che consentì loro di ottenere delle facili vittorie militari, e, soprattutto, di
creare delle autonome signorie territoriali.
La nascita delle contee normanne di Ariano e di Aversa
I cavalieri che combatterono con Melo da Bari, costituirono, dopo il 1016 e prima del 1024, la
contea di Ariano, che è da considerare il primo organismo politico posto in essere dai Normanni
nel Mezzogiorno. Dopo qualche anno, nel 1030, Rainulfo Drengot, capo di una seconda
immigrazione di Normanni, ottenne dal duca di Napoli Sergio IV l’investitura della contea di
Aversa.
L’arrivo in Italia della famiglia d’Altavilla
In questi stessi anni arrivarono I primi rappresentanti della famiglia di Tancredi d’Altavilla,
“destinati” a conquistare tutta l’Italia meridionale e la Sicilia. Si trattava dei figli di Tancredi e
della sua prima moglie, Muriella: Guglielmo, detto Bracciodiferro, Drogone, Umfredo.
 
 
 
Il Ducato di Puglia
Drogone d' Altavilla
Drogone d’Altavilla ebbe modo di rafforzare i domini ereditati, anche grazie ad un’accorta alleanza matrimonial
principessa longobarda di Salerno. Cosicché, allorquando nel 1047 Enrico III di Franconia (perseguendo un dise
imperatori d’Occidente) scese nell’Italia meridionale per affermarvi l’autorità imperiale, poté ottenere il riconos
Umfredo d’Altavilla
A Drogone, ucciso da una congiura nel 1051, successe il fratello Umfredo. Costui ebbe il merito di coordinare tu
vittoriosamente al tentativo messo in atto dal papa Leone IX di scacciare con la forza delle armi i Normanni dall
1053 a Civitate, nella pianura di Capitanata, l’esercito pontificio fu sonoramente sconfitto, e lo stesso papa fu fat
nell’agosto 1057, dopo aver fatto acclamare quale suo successore il fratello Roberto, detto il Guiscardo.
Roberto il Guiscardo, duca di Puglia
Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, cioè l’astuto, era il figlio primogenito del normanno Tancredi d’Altavilla
moglie. Giunto in Italia meridionale tra il 1046 ed il 1047, dopo aver condotto una vita da ladrone, fu incitato ad
Calabria, un territorio che non era stato ancora oggetto delle scorrerie dei suoi conterranei. Ne avviò allora la con
suoi soldati di saccheggiare, incendiare, devastare le terre occupate e di ricorrere ad ogni accorgimento psicolog
Dopo aver partecipato nel giugno 1053 alla battaglia di Civitate, ereditò le terre pugliesi del fratello Umfredo. In
posizione di assoluta preminenza tra tutti i capi normanni. Due anni dopo nel 1059, dopo aver portato a termine
acclamato dall’esercito “duca di Puglia”. Si trattava di un titolo onorifico, già utilizzato dai suoi fratelli, con cui
sui possessi bizantini dell’Italia meridionale, conquistati o da conquistare.
La fortuna politica del Guiscardo da questo momento in avanti fu sempre in ascesa. Tutte le fonti contemporanee
E’ possibile individuare due linee nella sua azione politica: da un lato egli cercò di organizzare ed unificare i var
Calabria, per subordinare a sè le molteplici giurisdizioni dei signori normanni; dall’altro lato avvertì la necessità
locali la legittimazione al suo potere, ma di ottenerla direttamente dalla potestà universale del pontefice. Vediam
obiettivo.
Dopo la battaglia di Civitate si andò facendo strada all’interno della Curia romana la convinzione dell’impossibi
Normanni dal Mezzogiorno, e la necessità di riconoscere loro un ruolo politico, utilizzandoli in funzione antimp
soprattutto alcuni degli esponenti più intransigenti del “partito della riforma”, consapevoli che il problema eccle
dell’elezione del papa fosse pregiudiziale per qualsiasi iniziativa di riforma.
Nel Concilio Lateranense dell’aprile-maggio 1059 fu regolamentata l’elezione pontificia, e fu per questo scatena
imperiale e dei vescovi germanici. Cosicché apparve quanto mai opportuno ricercare nei Normanni un appoggio
Alle origini dei diritti pontifici sull’Italia meridionale
Nel maggio 1059 Riccardo Drengot, dopo essere stato riconosciuto principe di Capua dall’arcidiacono Ildebrand
in Roma in favore di Niccolò II contro l’antipapa Benedetto X.
Subito dopo, il 24 giugno, papa Niccolò si recò a Melfi, dove convocò un sinodo di tutti i vescovi latini del Mez
richiamare il clero meridionale all’osservanza del celibato, e di deporre i vescovi simoniaci. Nello stesso sinodo
del principato di Capua il normanno Riccardo Drengot; e del ducato di Puglia e Calabria, il normanno Roberto il
pervenuto il testo del giuramento di Roberto, dove egli si intitola: “Per grazia di Dio e di San Pietro duca di Pugl
Sicilia”; nel quale giura fedeltà al pontefice e si impegna ad aiutarlo a conservare e a recuperare le regalíe di S. P
sostenerlo nel controllo sicuro ed onorevole del Papato romano; a non invadere né a depredare le terre di San Pie
concessioni dai pontefici; a corrispondere una somma annua per le terre di San Pietro che possiede o avrebbe po
giurisdizione pontificia le chiese esistenti nei propri territori; a prestare giuramenti ad altri solo con la riserva di
ad intervenire in aiuto dell’elezione pontificia per garantirne lo svolgimento secondo le recenti norme del Concil
al pontefice e ai papi che gli avrebbero confermato l’investitura. Inoltre Roberto il Guiscardo, con un altro atto, a
della fedeltà, avrebbe offerto un tributo annuo di dodici denari pavesi per ogni iugero di terra ecclesiastica di sua
Senza volere entrare nel merito di una plurisecolare disputa storiografica, dal dettato dei documenti non è possib
abbiano avuto in Melfi una regolare investitura, che avrebbe comportato nel futuro la soggezione dei Normanni
sarebbero provenuti la concessione di tutti i territori meridionali ed i rispettivi titoli di princeps e di dux. A noi s
rivolti al pontefice perché vedevano in lui il vertice dei detentori di autorità, come avevano fatto, fino a quel mom
avevano ricercato presso i poteri costituiti i titoli di legittimità ai domini conquistati con le armi. Per Roberto e p
del pontefice avrebbe comportato la sanzione giuridica della loro superiorità sugli altri Normanni, e nulla più: es
dalla concezione di riconoscere nel papa il dominus mundi.
In merito a Roberto il Guiscardo, l’investitura di Melfi comportò la possibilità di trasformare il suo titolo onorifi
titolare di una nuova entità politica, sia pura in fase di definizione da un punto di vista territoriale: “duca di Pugl
Sicilia”.
Le conseguenze pratiche di ciò furono che egli, dopo aver imposto ai Normanni di Puglia e di Calabria il giuram
ad una serie di azioni militari, che gli consentirono, nel breve volgere di un quindicennio, il definitivo allontanam
(1071); la conquista dell’ultimo organismo politico della Longobardi minore, cioè il principato di Salerno (1076
della Sicilia, con la collaborazione del fratello Ruggiero, suo vassallo; la difesa del Papato, fino a sostenere vitto
delle armi il pontefice Gregorio VII contro l’imperatore Enrico IV (1084); infine, il progetto e l’attuazione di un
l’impero d’Oriente (1081-1085)11.
Il ducato di Puglia dopo la morte del Guiscardo. Guglielmo d'Altavilla
Dopo la morte del Guiscardo avvenuta durante la sua avventurosa campagna militare contro Bisanzio nel 1085,
dalle lotte tra i suoi due figli: Ruggiero Borsa, che era stato designato erede, e Boemondo.
Nel 1089 i due fratelli addivennero alla spartizione delle terre del ducato. Boemondo, che riconobbe l’alta sovran
che avevano fatto parte dei Temi bizantini di Longobardia e di Lucania; compresi tra il fiume Ofanto a nord, ed
conservò il titolo ducale, limitò i suoi possessi alle terre che avevano costituito il principato di Salerno al tempo
Gisulfo II.
Tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, il duca di Puglia che abitualmente risiedeva a Salerno, capitale del d
nelle guerre continue che sconvolsero le regioni meridionali, soprattutto dopo la partenza di Boemondo per la pr
durante la fortunata avventura di quest’ultimo in Oriente, prolungatasi per quasi un decennio, e concretizzatasi n
Antiochia.
Guglielmo d’Altavilla, duca di Puglia, e Boemondo II
La situazione si aggravò dopo il 1111, anno in cui morirono Ruggiero e Boemondo. Costoro lasciarono quali ere
Guglielmo e Boemondo II, sotto la tutela delle rispettive madri Ailana e Costanza. In particolare le terre di Boem
dall’anarchia più completa, nonostante un tentativo espletato dalla principessa Costanza presso la corte di Costan
Protagonisti degli avvenimenti furono Roberto, Alessandro, e Tancredi di Conversano, figli del conte Goffredo,
Boemondo nel coraggioso tentativo di affermare la sua autorità, subì per ben due volte, nel 1116 e nel 1119, la p
costretta a soccombere. Nel 1119 in Bari si costituì un principato autonomo ad opera di Grimoaldo Alferanite, ca
città; mentre i possessi di Boemondo, con centro in Taranto, furono limitati alla Terra d’Otranto ed al territorio d
Lucania.
Le capacità d’intervento del duca di Puglia Guglielmo furono, anche in queste circostanze, pressocché nulle. Bas
tentativo di portare aiuto a Costanza effettuato nell’aprile 1121, fu costetto a rientrare precipitosamente nelle sue
Giordano di Ariano. In questa occasione dovette fare ricorso al conte di Sicilia e cedergli, in cambio dell’aiuto ri
Calabria e le sue quote-parti di Messina e di Palermo.
Il duca Guglielmo morì il 27 luglio 1127 senza eredi, lasciando aperto il problema della successione nel ducato d
La frantumazione del ducato di Puglia
La struttura territoriale del ducato di Puglia quale fu posseduta dal Guiscardo, si frantumò, dopo la sua morte, in
Puglia, con capitale Salerno, la cui estensione corrispondeva a quella del principato longobardo di Salerno nell’u
principato di Bari; le terre di Boemondo II d’Altavilla, con centro in Taranto, che compre

ndevano la Terra d’Otranto ed il territorio dell’antico Tema bizantino di Lucania


 
 

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Il principato normanno di Capua
Nascita
Intorno al 1030 il duca di Napoli Sergio IV concesse ad un gruppo di cavalieri normanni, capitanati da Rainulfo
Lavoro, perché vi si stanziassero e difendessero il ducato napoletano dalle mire espansionistiche del principato l
modo nacque la contea normanna di Aversa, che è stata considerata il primo insediamento stabile dei Normanni
Nel 1058 il conte di Aversa Riccardo I, pur non essendo in possesso di Capua, si proclamò princeps capuanus. N
ottenne dal papa Niccolò II l’investitura del principato di Capua, ed avviò subito la ristrutturazione politico-amm
Organizzazione politico-amministrativa
Le fonti mostrano in modo inequivocabile come i Normanni si siano inseriti, quale nuova classe dirigente, nel ve
longobardo, senza sconvolgerne le strutture amministrative e, almeno in una prima fase, quelle economico-socia
Riccardo si fece incoronare principe secondo il cerimoniale in uso a Capua, e conservò nei suoi diplomi le intito
longobardi. Il suo entourage, inoltre, fu composto oltre che da cavalieri normanni, anche da giudici, notai, e curi
Fu conservata la distrettuazione territoriale per contee, in atto nel principato longobardo, nonché la prassi della l
il frazionamento pro-capite tra tutti gli aventi diritto. E questo avvenne anche quando, a partire dai 1066, inesora
gli antichi conti longobardi, ed al loro posto furono insediati conti di origine normanna, che erano legati da paren
potere.
La stessa distribuzione della proprietà fu conservata secondo la prassi in atto nel principato longobardo e contem
che è da credere che gran parte dei vecchi proprietari abbiano conservato intatti i loro possessi. Basti pensare che
principe Riccardo I (1058-1078) e di suo figlio Giordano I (1078 - novembre 1090), non compare mai nei docum
che pur i Normanni avevano utilizzato per tempo in Aversa.
La dipendenza dal ducato di Puglia
Il nuovo organismo politico normanno non modificò affatto le strutture preesistenti del vecchio principato longo
anche se emarginato a livello istituzionale, conservò intatte le fonti della sua ricchezza, nonché i privilegi conne
dimostra il fatto che alla morte del principe Giordano, una rivolta degli abitanti di Capua costrinse il giovane ere
madre Gaitelgrima, in Aversa. Soltanto dopo otto anni, nel 1098, egli fu in grado di rientrare in possesso del prin
Ruggiero, duca di Puglia, e di Ruggiero, conte di Sicilia: in tale occasione Riccardo, in cambio dell’aiuto militar
cedere al conte di Sicilia il suo diritto di conquista su Napoli, e fu obbligato a prestare - cosa che il Guiscardo no
suo padre né da suo nonno - il giuramento di fedeltà vassallatica al duca di Puglia.
I principi Riccardo II, Roberto, Riccardo III, Giordano, Roberto II
Riccardo II, diffidente a ragione nei confronti della nobiltà longobarda, avviò una rapida normannizzazione del p
modello le positive esperienze offerte da Aversa. In particolare si circondò esclusivamente di cavalieri normanni
vassallatico. Nei documenti degli anni del suo principato, infatti, compare per la prima volta il concetto di feudo
Riccardo II dopo avere contrastato vittoriosamente nel 1104 un tentativo di ribellione del fratello Roberto, morì
per ragioni che le fonti non precisano, proprio il fratello Roberto.
E’ molto probabile che l’elezione del principe Roberto abbia coinciso con una ripresa dei Longobardi nel Princip
di alcuni esponenti di tale etnía ai vertici dell’amministrazione statale, in posizioni-chiave come quelle di comes
Il principe Roberto morì all’inizio del mese di giugno del 1120, dopo aver fatto ungere e riconoscere, quale succ
Costui sopravvisse al padre solo pochi giorni. Nello stesso mese di giugno fu consacrato principe di Capua Giord
Roberto e Riccardo II, e figlio di Giordano I. Il nuovo principe di Capua visse fino al dicembre 1127, quando gli
che nel 1135, sconfitto da Ruggiero II d’Altavilla, dovette assistere alla definitiva caduta del principato fondato
Il principato di Capua, unico tra tutti gli organismi territoriali normanni nati dalla conquista, visse fino alla sua “
uno “splendido isolamento” rispetto alla vicenda che coinvolse gli altri Normanni nel Mezzogiorno. La sua stori
rapporto privilegiato con il Papato, come è stato di recente dimostrato dal Loud, attende ancora di essere scritta r
grandi eruditi capuani del XVIII secolo.
 
La Contea di Sicilia
La Contea di Sicilia
Ruggiero, ultimo figlio di Tancredi d’Altavilla e della sua seconda moglie Fredesenda, giunse in
Italia quando le fortune del suo fratello maggiore, Roberto il Guiscardo, erano già in ascesa. Così
lo descrive una fonte contemporanea: era “un giovane assai bello, di alta statura e di proporzioni
eleganti, pronto di parola, saggio nel consiglio, lungimirante nel trattare gli affari, sempre di
carattere piacevole e allegro, era pure dotato di grande forza fisica e gran coraggio nei
combattimenti: per tutti questi pregi in breve meritò ogni credito”.
Nel 1061 quando il Guiscardo progettò la conquista della Sicilia musulmana, di cui era stato
investito a Melfi due anni prima, Ruggiero non aveva un ruolo particolarmente significativo nella
spedizione. Questa, infatti, fu affidata a Goffredo Ridell allorché il duca fu costretto a correre in
Puglia per contrastare una spedizione bizantina. Soltanto dopo il 1062 Ruggiero assunse in prima
persona il comando dell’impresa siciliana, e lo tenne durante tutta la lunga campagna militare.
el 1068 ottenne una grande vittoria a Misilmeri contro le forze saracene riunite sotto il comanda
dell’emiro Ayub, che fu costretto a fuggire in Africa.
Nel 1071, unite in Messina le sue forze ad una spedizione navale allestita dal Guiscardo, cinse
d’assedio Palermo.
La caduta di Palermo
Il 10 gennaio 1072 Palermo capitolò nonostante il disperato eroismo degli abitanti, che anche un
cronista partigiano come Guglielmo di Puglia ebbe modo di sottolineare, offrendoci nel suo poema
questa descrizione dell’episodio:
I due popoli compivano un medesimo sforzo, ma per cause diverse: l’uno per prendere la città,
l’altro per difenderla; gli uni combattevano per loro stessi, per i figli e le loro donne; gli altri
desideravano far cosa grata al duca conquistando la città. Mentre i due popoli si combattevano con
tanto valore, il destino fu propizio a Roberto e crudele per la città. All’improvviso un
distaccamento di cavalieri si arrampicò sulle scale e guadagnò le alte mura. I difensori siciliani
fuggirono per la paura. La città nuova fu presa, mentre essi si rifugiarono nella vecchia. Gli
Agareni, vedendosi allo stretto delle proprie forze, e perdendo ogni speranza di salvezza,
supplicarono il duca di avere pietà della loro triste sorte e di non esercitare contro di essi alcuna
rappresaglia; gli consegnarono ogni cosa, chiedendo salva solo la vita. Arrendendosi, ottennero
con le suppliche la protezione e la clemenza del duca, che promise loro la vita e la sua
benevolenza. Egli non proscrisse alcuno e, fedele alla sua promessa, non nocque ad alcuno, benché
fossero tutti pagani. Trattò tutti i sottomessi con equità. E rendendo gloria a Dio distrusse dalle
fondamenta l’empio tempio. Al posto della moschea edificò una chiesa alla Vergine Maria. E il
tempio di Maometto e del demonio, trasformato in santuario di Dio, divenne una porta del cielo
per i giusti. Fece poi munire i castelli di robuste mura perché il suo esercito potesse essere sicuro
dai siciliani; e li rifornì delle bevande e dei viveri necessari.
Il condominio tra il Gran Conte Ruggero e Roberto il Guiscardo
Dopo la conquista di Palermo Ruggiero e suo fratello Roberto definirono il problema del
condominio delle terre siciliane conquistate o ancora da conquistare. Purtroppo siamo troppo male
informati per stabilire se i due fratelli abbiano concordato per la Sicilia una forma di condominio
identica a quella utilizzata per la Calabria, o se, al contrario, il Guiscardo si sia accontentato del
solo possesso di metà di Palermo e Messina, e della Val Demone. Certo è che il Conte Ruggiero si
legò nuovamente al duca di Puglia con un rapporto di dipendenza vassallatica, che trovava il suo
fondamento giuridico nell’aver il duca ottenuto dal pontefice l’investitura dell’isola nel concordato
di Melfi del 1059.
IL’organizzazione amministrativa della contea di Sicilia
Con la partenza del Guiscardo, Ruggiero restò praticamente il padrone assoluto dell’isola, e, pur
continuando ancora nel 1087 a riconoscere nel duca di Puglia il “nobilissimus dux... a quo omnis
honor et gloria mea processit”, avviò da solo la costruzione delle strutture della nuova signoria.
Il conte fu innanzitutto attento ad evitare - secondo la esplicita testimonianza del Malaterra - la
formazione di autonomi potentati da parte dei cavalieri del suo seguito. Per questo motivo non
provvide a dividere i territori conquistati, fino a che nel 1091 non assoggettò completamente
l’isola. Quando, poi, iniziò la distribuzione delle terre, procedette dapprima ad attribuire vasti ed
importanti feudi ai membri della sua famiglia, proprio allo scopo di tenere delle persone, le più
fidate possibili, nei posti più importanti dell’isola da un punto di vista strategico. Il figlio Giordano
ebbe Siracusa; l’altro figlio Goffredo ebbe Ragusa; il figlio Malgerio le terre di Troina; il nipote
Tancredi ottenne, alla morte del padre Giordano, la città di Siracusa con altre terre; il cognato
Enrico Del Vasto ebbe i feudi di Adernò e Butera. In un secondo tempo distribuì le terre ai suoi
fideles più intimi e ad ecclesiatici, secondo il modulo dell’investitura feudale, che ci è chiaramente
attestata, ad esempio, da questo passo di Goffredo Malaterra: “Comes laboris indeficiens, crebis
incursionibus, ut sibi omnia substernat, infestare congreditur; brevique termino usque ad duodecim
famosissima castra suo dominio, obsidendo, subire coëgit: quae militibus suis distribuens, cum
omnibus appendiciis suis de se habenda delegavit”.
Ruggiero riserva al suo demanio ampi possessi. Nella parte orientale della Sicilia e nella Calabria,
infatti, i diritti e i beni comitali nonché i feudi tenuti in demanio dal conte, erano notevoli, anche se
il territorio da essi occupato non era prevalente, “sicuramente discontinuo, anche perché
frantumato, sbocconcellato, dalla presenza di una fitta rete di feudatari grandi, meno grandi e
piccoli”. Nella parte occidentale dell’isola, invece, i possessi demaniali che comprendevano
importanti castelli come Termini, Trapani, Agrigento, Castrogiovanni, e Palermo, erano
frammezzati piuttosto che da terre feudali, da ampi possessi patrimoniali tenacemente difesi dai
proprietari saraceni.
Attraverso questa accorta politica di distribuzione delle terre, Ruggiero riuscì ad imporre in tutta la
contea il suo potere, come quello supremo dal quale derivavano tutti gli altri, non solo quelli dei
vicecomiti e degli strateghi che erano le magistrature che sorvegliavano nelle città e nei distretti
l’esecutività delle disposizioni del conte, ma anche quelli dei così detti imperantes, di coloro cioè
che detenevano un qualche potere: “mandamus omnibus qui sub manu et potestate nostra sunt,
strategis... vicecomitis, imperantibus et subditis ut nullam audeant innovationem... inferre”.
In conclusione, la situazione della contea di Sicilia sotto il suo primo titolare fu “caratterizzata da
un lato da una penetrante jurisdictio del conte su tutta l’isola, dall’altro da una subordinazione
formale di tale jurisdictio a quella del duca di Puglia”, secondo il modulo della dipendenza
feudale.
La Legazia Apostolica
Il gran conte Ruggiero ricercò nel Papato il fondamento del suo potere, ed intessè con Roma un
rapporto privilegiato ed atipico, che si concretizzò nella concessione da parte del papa al conte
della cosiddetta Legazia Apostolica nel 1098.
Non si vuole qui affrontare il complesso problema della natura e del contenuto di questo privilegio
concesso da papa Urbano Il, che consentì al conte di Sicilia di esercitare in piena autonomia il
potere ecclesiastico nella sua contea. La Legazia Apostolica, infatti, è stata oggetto di appassionate
ed erudite dispute storiografiche dal XVI secolo fino ai nostri giorni. Quello che importa
sottolineare è che il Gran Conte Ruggiero ottenendo il diritto di portare l’anello, il bastone
pastorale e la dalmatica, simboli propri della maestà imperiale, perfezionò, anche sul piano
dell’ideologia, il concetto di sovranità, perché la finalità religiosa riconosciuta alla sua autorità
riempiva di contenuto giuridico un titolo che Ruggiero I aveva assunto sul suolo isolano: quello di
“protettore dei cristiani”, che “riecheggiava qualificazioni imperiali bizantine”27.
Ruggiero II Conte di Sicilia
I primi anni
Nel giugno del 1112 Ruggiero, jam miles jam comes, con la madre Adelaide, concede alcuni
privilegi all’arcivescovo di Palermo29. È questo il primo atto che ci è pervenuto, relativo al
giovane Altavilla, dopo che, uscito di minorità e fatto cavaliere all’inizio dello stesso anno30,
assunse la guida della contea di Sicilia.
Scuro di capelli e di occhi, cresciuto in un ambiente cosmopolita, ed educato da precettori greci e
musulmani, non ricordava affatto i suoi biondi antenati venuti dal Nord, ignoranti e predoni. Ed
infatti, le scarse fonti (latine, greche ed arabe) a disposizione, concordano tutte nel tracciare un
profilo del personaggio proiettato, durante i suoi primi quindici anni di governo, nel Mediterraneo
e verso l’Oriente.
Il matrimonio di Adelaide del Vasto e Baldovino, re di Gerusalemme
Nello stesso anno della sua nomina a conte di Sicilia egli cercò di persuadere sua madre Adelaide
a dare una risposta positiva alla richiesta di re Baldovino di Gerusalemme di sposarla.
Nell’atteggiamento del giovane conte si deve cogliere il desiderio di ereditare il regno crociato,
visto che Baldovino non aveva figli, e che Adelaide era oramai “mulierem vero vetustate
rugosam”; ma anche la volontà di imporsi all’attenzione delle forze politiche operanti nel
Mediterraneo orientale, mostrando, attraverso tangibili segni esteriori, il suo potere. Egli conseguì
quest’ultimo fine, facendo accompagnare sua madre a San Giovanni d’Acri da “due triremi, su
ognuna delle quali erano imbarcati cinquecento guerrieri, e sette navi cariche di oro, di argento, di
porpora e di grandi quantità di pietre preziose e vesti magnifiche, per non parlare di armi, corazze,
spade, elmi; scudi fiammeggianti d’oro e tutti gli altri equipaggiamenti guerreschi simili a quelli
impiegati dai principi più potenti per i servizi e la difesa delle loro navi. Il vascello sul quale la
gran dama aveva eletto di viaggiare era ornato di un albero maestro ricoperto con lamina d’oro
purissimo, che sfolgorava da lontano alla luce del sole”.
La politica del conte Ruggero II
L’attenzione del conte era tutta volta al mare che circondava la sua isola. E’ sicuramente provato
dalla sua concessione ai Genovesi del 1116, e dalle sue spedizioni in Africa del 1117-1118, e
1123.
Nel 1116 Ruggiero concede ad Ogeno Capra consul dei Genovesi ed a suo fratello Amico un
terreno in Messina, posto sulla riva del mare, presso il castello reale, per la costruzione di un
ospizio, nonché la rendita annua di una libbra d’oro con inizio dal I settembre dello stesso anno, e
la libertà di commerciare fino all’importo di 60 once di tarì. A parte il problema della presenza o
meno dei Genovesi e dei Savonesi in Sicilia precedentemente a questa concessione - presenza che
non a torto è stata messa in relazione con la dominazione Aleramica in Savona - non vi è dubbio
che l’atto del conte aprì le porte dell’isola ai Genovesi. Infatti, “è nota la tattica d’una società
mercantile, come quella genovese, di partire da posizioni di questo tipo per affermare
successivamente e progressivamente l’intervento del Comune: tanto più, poi, nel caso specifico,
quando l’operazione è volta a favore d’un membro del collegio dei consoli della Repubblica”.
Vero è che Ruggiero non poteva certo prevedere le conseguenze del suo gesto, anche perché in
quel periodo il commercio sicilano era in espansione. In particolare il commercio con gli Zairiti
dell’Africa settentrionale era saldamente nelle mani dei mercanti siciliani, i quali traevano lauti
guadagni dall’esportazione del grano, ed avevano, per questo motivo, istituito a Mahdia una
stabile missione commerciale.
Le spedizioni africane del conte Ruggero
Per difendere i mercanti siciliani in Africa il conte di Sicilia nel 1117-1118 prima, e nel 1123 poi,
allestì due spedizioni contro Mahdia. La prima si risolse con una fuga precipitosa da Gabes delle
ventiquattro navi di cui era formata la flotta siciliana. La seconda, al comando dell’ammiraglio
Christodulus, e del suo luogotenente Giorgio d’Antiochia, finì anch’essa in una sconfitta dei
Siciliani, ai quali non restò - come riferisce un cronista arabo - che “strapparsi i peli della barba
fino a fare scorrere il sangue giurando vendetta”.
La politica ecclesiastica del conte Ruggero
Le fonti relative ai primi anni di governo del secondo conte di Sicilia ci permettono di illustrare,
oltre che il suo interesse verso il Mediterraneo e verso le attività commerciali dell’isola, anche il
suo atteggiamento nei confronti dei problemi ecclesiastici.
Nel 1114 Ruggiero depose l’arcivescovo di Cosenza, riaffermando, come già suo padre, il diritto
alla giurisdizione sugli ecclesiastici e alla convocazione dei sinodi. Dopo una probabile
controversia con Roma, acuitasi in occasione del consenso pontificio alla rottura del matrimonio
tra Adelaide e Baldovino di Gerusalemme, il I ottobre 1117 Pasquale II indirizzò all’Altavilla una
bolla. In essa il Papa, dopo aver ribadito l’antica dipendenza da Roma delle Chiese locali,
riconosceva che il conte di Sicilia aveva ottenuto, per merito della conquista, uno speciale
privilegio (la Legazia Apostolica), e lo invitava a mantenersi nei limiti di quella concessione, della
quale forniva, peraltro, una interpretazione restrittiva.
La morte del pontefice avvenuta il 21 gennaio 1118, e le difficoltà incontrate dal suo successore
Gelasio II per essere consacrato, smorzarono la polemica, che non sembra sia stata ripresa negli
anni successivi, neppure quando il nuovo pontefice Callisto II, dopo aver ottenuto il giuramento di
fedeltà dai signori normanni, percorrendo la Campania, la Calabria e la Puglia, intervenne nei
rapporti tra il duca di Puglia ed il conte di Sicilia, che appariva sempre più interessato ad estendere
i suoi possessi nel Mezzogiorno continentale.
 
La nascita del Regno di Sicilia
L’ unzione del nuovo duca di Puglia
Contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla storiografia che si è occupata dell’argomento, io non ritengo che
venisse proclamato duca di Puglia”. Le fonti fanno una precisa distinzione tra unzione ed assunzione del titolo d
“ab Alfano Caputaquensi episcopo est unctus in principem. Dehinc Regium veniens ibidem in ducem Apulie est
Falcone Beneventano, che non fa menzione dell’unzione, narra che Ruggiero, soltanto dopo aver lasciato Salern
Ducatus arripiendum honorem animum impulit elatum”. Per questo motivo comandò a quelli che dimoravano ne
inviò al papa Onorio molti doni d’oro e di argento, promettendo anche le città di Troia e di Montefusco, purché
del Ducato. Alessandro di Telese, infine, concorda con Falcone, nel riferire che Ruggiero solo dopo essere ritorn
pontefice “ducatum jure generis sibi succedentem liceret accipere”.
Pertanto, a noi non sembra che l’unzione ricevuta dal conte di Sicilia in Salerno, possa essere intesa come un att
quest’ultimo, fatto per superare l’investitura pontificia; e che il conte di Sicilia abbia così ottenuto una sorta di sa
potere direttamente da Dio. Se bisogna dar credito alle fonti, non si può non riconoscere che il conte di Sicilia rit
del papa per assumere legittimamente la successione nel ducato di Puglia.
Che cosa rappresentò, dunque, per Ruggiero l’unzione sacra? Io sono del parere che essa, riferita dal solo Romu
stata una cerimonia circoscritta all’ambito salernitano, con la quale il vescovo di Capaccio, tradizionalmente del
pubbliche dei principi longobardi di Salerno, abbia attribuito all’Altavilla la dignità longobarda di princeps di Sa
ipotesi il fatto che Ruggiero tenne distinti i titoli di principe di Salemo e di duca di Puglia: “he gathered into his
Salerno and duke of Apulia”.
Per quanto riguarda, poi, il problema dell’investitura di Benevento del 1128, siamo del parere che essa non sia a
che, al contrario, sia stata esemplata sulle procedure adottate in precedenza per le investiture dei duchi normanni
Telesino, Ruggiero II avrebbe prima prestato l’omaggio al papa, poi avrebbe ottenuto l’investitura del ducato, in
Questa stessa prassi fu seguita nel 1114 a Ceprano da papa Pasquale II per investire Guglielmo d’Altavilla del du
fronte ad una forma di investitura, di derivazione franca, che aveva assunto in Italia una sua autonoma fisionomi
L’assemblea di Melfi del 1129
Ottenuta l’investitura del Ducato, Ruggiero convocò nel 1129 in Melfi un’assemblea di tutti gli optimates dell’A
anche quest’editto, che restando in pace non si combattessero tra loro. Contemporaneamente li costrinse a giurar
avrebbero mantenuto, e aiutato a mantenere, pace e giustizia... Non stupisce dunque che avesse potuto sottomett
giacché, promulgato che fu tale severo rigore di giustizia, in ogni parte del suo dominio si vide affermarsi la stab
È molto probabile che nell’assemblea di Melfi il nuovo duca di Puglia abbia provveduto anche ad una ridefinizio
dai feudatari, in vista di un più razionale reclutamento della leva militare e dell’allestimento dell’esercito ducale
Alessandro di Telese. Costui ricorda l’episodio accaduto immediatamente prima dell’assemblea: Ruggiero costri
rinunziare alle terre che possedeva, perché aveva interrotto il servizio che prestava nel suo esercito durante l’ass
Insomma, i vari atti del nuovo duca manifestarono la volontà di esercitare un’effettiva potestà su tutte le signorie
continentale, e di imporre all’interno di esse la sua jurisdictio nelle forme da sempre in atto nella contea siciliana
La nascita del Regno di Sicilia
Anche grazie alla forza del suo esercito, Ruggiero portò a termine i suoi obiettivi. “Il duca Ruggiero, conseguiti
potentemente tutte le terre di Boemondo e tutto intero il ducato; e smessa ormai la resistenza militare si sottomet
Capuani, il Maestro delle milizie napoletane e ogni terra fin quasi ai confini della città di Ancona”.
A questo punto le fonti concordano nel riferire che il neo-duca di Puglia diventò re, ma divergono nel raccontare
Alessandro di Telese attribuisce agli ambienti palermitani l’idea di un “colpo di Stato costituzionale”: “si comin
confidenziali discorsi, che lui, che con l’aiuto di Dio dominava tutte le province di Sicilia, Calabria, Puglia e le a
fino a Roma, non doveva più fregiarsi dell’onore ducale, ma nobilitarsi con l’onore del fastigio regale. Ruggiero
questi suggerimenti, e radunato fuori della città di Salerno un consiglio di “ecclesiastici peritissimi e molto comp
baroni e ad altre persone che sapeva attendibili, sottopose al loro esame la questione segreta ed imprevista, ed es
duca sia promosso a dignità regia in Palermo”. “ Il duca torna in Sicilia, ingiungendo per tutte le province delle s
dignità, potestà e onori, tutti convenissero a Palermo nel giorno dell’incoronazione, che doveva avvenire nell’im
quell’anno 1130.
Romualdo Guarna fornisce, sia pure in forma più laconica, la stessa versione dell’avvenimento: “Postmodum ba
Panormum se in regem Sicilie inungi et coronari fecit”.
Falcone Beneventano e le fonti romane attribuiscono, invece, all’iniziativa dell’antipapa Anacleto gli accordi ch
della monarchia. Secondo questa versione dei fatti, alla morte di Onorio II, due papi, Innocenzo II e Anacleto II
Ruggiero d’Altavilla fu il solo a riconoscere come vero papa Anacleto. Nel settembre del 1130 i due si incontrar
riconobbe nuovamente e solennemente Anacleto quale papa legittimo. Costui, da parte sua, lo confermò nel poss
dominate: “Anacletus concedit Rogerio universas terras, quas predecessores Roberto Guiscardo et Rogerio filio
concesse al duca la potestà regia: “Concediamo dunque, doniamo e consentiamo, a te, a tuo figlio Ruggiero, agli
disposizioni dovranno succedere nel regno, ed ai tuoi discendenti, la corona del regno di Sicilia e di Calabria e d
nostri predecessori donammo e concedemmo ai tuoi predecessori duchi di Puglia, i ricordati Roberto Guiscardo
concediamo] che tu tenga il regno e l’intera dignità regia ed i diritti regali a titolo perpetuo, sicché tu li tenga e s
la Sicilia capo del regno”.
L’incoronazione di Ruggero II nella cattedrale di Palermo
Alessandro e Falcone concordano nel riferire che nella notte di Natale del 1130 con sfarzo favoloso Ruggiero d’
sacro olio e l’incoronazione nella cattedrale di Palermo.
Due preziosi reperti iconografici della metà del XII secolo ce ne hanno conservato la rappresentazione. Si tratta
di Palermo, e di uno smalto “limosino” conservato nel tesoro della basilica di San Nicola di Bari. Ruggiero, con
stola di legato apostolico, riceve la corona greca con pendenti di perle: dal Cristo nel mosaico, da San Nicola nel
Il nuovo re di Sicilia conquista le signorie normanne del Continente
A Ruggiero d’Altavilla, incoronato ed unto re, apparve indifferibile affermare concretamente la giurisdizione su
suo Regno. Si trattava non solo di conquistare le signorie normanne da sempre autonome, ma anche di piegare d
conti all’interno delle tre signorie nate dalla divisione del ducato di Puglia dopo la morte del Guiscardo. L’impre
dall’appoggio offerto dal pontefice Innocenzo II e dall’imperatore Lotario ai Normanni nemici dell’Altavilla, ch
sostenitore dell’antipapa Anacleto.
Le cronache di Alessandro di Telese e di Falcone Beneventano raccontano, con dovizia di particolari, le lotte ch
Puglia.
Dopo aver sottomesso Amalfi e Napoli, piegò con una ferocia inaudita Grimoaldo, principe di Bari, poi Goffred
Conversano, che erano diventati signori di gran parte dei territori toccati nel 1089 a Boemondo d’Altavilla.
Risolta in questo modo la situazione in Puglia, Ruggiero cercò di eliminare una volta per tutte l’opposizione in C
del 1132 aveva dovuto subire una pesante sconfitta. I suoi avversari, Roberto, principe di Capua, e Rainulfo, con
sorella Matilde - potevano contare su di un ampio fronte di alleati, che vedeva in prima fila papa Innocenzo II, l’
Chiaravalle, fervente sostenitore del pontefice legittimo e dei diritti imperiali nell’Italia meridionale, la repubblic
nuovo re normanno ai Genovesi vedeva fortemente lesi i propri interessi commerciali.
Nonostante la scomunica contro Ruggiero lanciata durante il concilio di Pisa ai primi di giugno del 1135, ed una
del Regno81, l’Altavilla, che poteva contare in Sicilia su di una riserva di uomini e di mezzi, accentuò la sua pre
ad incendiare Aversa e ad assediare Napoli. Al re si affiancarono, nel controllo della regione, suo figlio Ruggiero
figlio Anfuso, che nell’autunno del 1135 fu investito del principato di Capua.
La discesa dell’imperatore Lotario nell’Italia meridionale
La reazione dei due imperi al consolidarsi delle fortune dell’Altavilla si concretizzò nel maggio del 1137 con la
Lotario al comando di un forte esercito. Fu un momento importante, nel quale si decise definitivamente la sorte
normanni che erano stati privati da Ruggiero delle proprie signorie, e quelli che vedevano imminente la perdita d
intorno all’imperatore in un ultimo, estremo tentativo per sopravvivere. Guglielmo, conte di Loritello; Roberto,
tra i quali primeggiava Rainulfo d’Alife, cognato del re; Ugo II de Mulisio, conte di Boiano; Ruggiero, conte di
conte di Conza; Alessandro, Goffredo e Tancredi di Conversano, tutti insieme accorsero, con i cavalieri rimasti l
imperiale che si dirigeva contro i territori meridionali. L’avanzata sembrò inarrestabile. Capua fu occupata e rest
Bari fu conquistata, mentre re Ruggiero si ritirava nella sua fedele Sicilia. Nel settembre, prima che l’armata imp
Nord, Rainulfo d’Alife, campione della resistenza antiruggieriana, fu eletto duca di Puglia, dopo laboriose trattat
che rivendicavano entrambi diritti sui territori meridionali: alla fine i due si accordarono per concedere al neo-du
tenuto contemporaneamente.
La riconquista di Ruggero delle province continentali. Gli accordi di Mignano tra il re di Sicilia ed il Papa

Partito l’esercito imperiale, già nell’ottobre Ruggiero, lasciata la Sicilia, era in Campania dove rioccupò Salerno
Benevento. Si diresse, poi, in Puglia, dove però a Rignano, presso Siponto, il 30 ottobre subì una clamorosa scon
al comando di Rainulfo d’Alife, duca di Puglia.
Gli ultimi mesi del 1137 e l’intero 1138 videro una situazione di stallo delle operazioni militari. Ruggiero, infatt
dopo la morte dell’antipapa Anacleto, avvenuta il 25 gennaio 1138, in un vano tentativo di assicurargli un succe
stato eletto dai cardinali scismatici, fu costretto a rinunziare, perché rimasto privo di ogni appoggio.
All’inizio del 1139 la situazione trovò degli esiti imprevisti. Nell’aprile Innocenzo II, durante il sinodo lateranen
scomunica contro Ruggiero ed i suoi fautori. Ma alla fine dello stesso mese morì Rainulfo d’Alife, ed il pontefic
alla sua azione nel Regno. Ruggiero, ritornato dalla Sicilia dove aveva trascorso l’inverno, riorganizzò subito le
una parte dell’esercito a suo figlio Ruggiero, duca di Puglia, egli si diresse in Capitanata. Qui restò fino al luglio
San Germano (nei pressi dell’abbazia di Montecassino), dove Innocenzo II, al comando di un’armata costituita i
ribelli, si era acquartierato. Il papa, stabiliti dei contatti con gli inviati di Ruggiero, non mostrava alcuna intenzio
22 luglio Innocenzo II, mentre disponeva che le sue truppe si accampassero in un luogo più sicuro, fu fatto prigi
Roberto di Capua e Riccardo di Rupecanina (fratello del defunto Rainulfo d’Alife) si davano alla fuga. A questo
Falcone Beneventano, che è la fonte meglio informata su questi avvenimenti - il re inviò presso il papa prigionie
pace. Subito dopo Ruggiero ed i suoi figli “ante ipsius Apostolici praesentiam veniunt, et pedibus ejus advoluti m
Pontificis imperium usquequaque flectuntur”.
Gli accordi di Mignano tra il re di Sicilia ed il Papa
Il giorno 27, a Mignano (oggi in prov. di Caserta) fu stilato dalla cancelleria pontificia il privilegio, con il quale
dell’intesa tra il re di Sicilia ed il Papa.
Il testo del documento, che ci è pervenuto, mostra come da parte pontificia, e con l’assenso dell’Altavilla, si foss
dell’operato del defunto Anacleto, perché non solo non si fece riferimento all’investitura regia attribuita dall’ant
accennò ai privilegi dallo stesso concessi al re normanno, relativi all’organizzazione della chiesa siciliana. Inoltr
fatti, fu attribuita l’elevazione regia dell’Altavilla al papa Onorio II, anche se si consentì a ritenere che la sua dig
esclusivamente sulla concessione pontificia, perché la Sicilia era stata sede di regno nell’antichità: “quod utique,
regnum fuisse non dubium est”. Si limitò, poi, la dignità regia alla sola Sicilia, mentre al principato di Capua ed
autonome fisionomie. Infine si riconobbe l’ereditarietà del Regno nella discendenza del suo primo titolare.

Ruggero conquista le ultime sacche di resistenza. Gli appannaggi feudali per i figli del re
Confermato nella dignità regia, Ruggiero, con i suoi figli, iniziò con decisione a stroncare le ultime sacche di res
Nell’ottobre dello stesso 1139 fu riconquistata Bari e fu impiccato il principe Giaquinto. Ritornato poi il re in Si
Ruggiero ed Anfuso completarono la sottomissione dell’intero principato di Capua e degli impervi territori abru
Furono così annesse, in modo definitivo, al Regno di Sicilia le signorie nate a seguito dell’insediamento norman
le quali erano riuscite, nonostante il tentativo di unificazione realizzato da Roberto il Guiscardo, a conservare ge
contea di Loritello, con tutti i suoi vasti territori abruzzesi, il principato di Capua, la contea di Boiano, la contea
contea di Principato, entrarono a fare parte del nuovo organismo politico che Ruggiero d’Altavilla aveva creato
La stessa cosa accadde anche per i tre organismi territoriali che erano nati dallo smembramento del ducato di Pu
cioè per il ducato di Puglia, con capitale Salerno, per il principato di Bari, e per le terre, con centro in Taranto, to
nella spartizione del 1089.
Gli appannaggi feudali per i figli del re
Bisogna notare che, mentre tutte le signorie normanne, ad eccezione della contea di Principato, all’indomani del
perdettero le rispettive fisionomie territoriali, perché furono disintegrate nelle nuove strutture organizzative della
accadde per le terre dell’antico ducato di Puglia e del principato di Capua. Infatti Ruggiero, dopo la sua elevazio
modo: nel 1130 concesse al suo primogenito Ruggiero il ducato di Puglia, la cui consistenza territoriale rimase i
dal duca Guglielmo, nipote del Guiscardo; poco dopo il giugno 1132, creato il nuovo principato di Taranto, che
lo concesse a suo figlio Tancredi, unitamente al principato di Bari89; nell’autunno del 1135 concesse al figlio A
1139 il ducato di Napoli90.
La morte prematura dei figli del re, e gli accordi di Mignano, portarono ad una modifica di questo progetto inizia
figli sulle terre continentali del Regno, la cui non chiara natura giuridica è stata riconfermata anche dalla recente
Il 16 marzo 1138, morto Tancredi, principe di Taranto e di Bari, i suoi due principati subirono sorti diverse. Que
territorio fu inglobato nel ducato di Puglia. Il principato di Taranto, fu, invece, dato a Guglielmo, il più giovane
una posizione di subordinazione rispetto al ducato di Puglia. Quando, poi, il 10 ottobre 1144 morì Anfuso, il prin
Guglielmo, che cedette, a sua volta, il principato di Taranto al suo fratellastro Simone.
Si venne così a realizzare già nel 1144 quella struttura territoriale ipotizzata negli accordi di Mignano, e che sarà
Tutte le terre continentali del Regno, a nord del fiume Sinni e fino al fiume Tronto, venivano divise tra il ducato
Si dovette al genio politico di Ruggiero d’Altavilla se il ducato ed il principato, che nell’intenzioni del pontefice
propria autonoma fisionomia, divennero due province del Regno. Ma questo fu soltanto uno dei risultati che il fo
una volta instaurata la pace, nella sua intensa attività di governo, volta alla creazione delle strutture organizzativ
collocazione nel panorama politico contemporaneo.
Le province continentali del regno di Sicilia: ducatus Apuliae e principatus Capuae
Tutto il territorio conquistato nell’Italia meridionale, fu strutturato da Ruggero II d’Altavilla in due province det
Capuae, che erano poste rispettivamente ad oriente e ad occidente della linea degli Appennini. Esse erano separa
così ricostruito procedendo da Nord verso Sud:
dal fiume Castellano, che è un affluente del Tronto, raggiungeva il fiume Sangro seguendo la stessa linea che og
Ascoli Piceno, Teramo-Rieti, Teramo-L’Aquila, Pescara-L’Aquila, Chieti-L’Aquila;
dal fiume Sangro raggiungeva il fiume Trigno lungo il corso dell’affluente di quest’ultimo chiamato Verrino, inc
Giudice, Capracotta, Agnone, Poggio Sannita, Castel Verrino, e nel principatus Vastogirardi, Pietrabbondante;
dal fiume Trigno raggiungeva il fiume Biferno presso Castropignano, secondo una linea che includeva nel ducat
Torella del Sannio, Castropignano, e nel principatus Bagnoli del Trigno, Duronia, Frosolone;
dal Biferno raggiungeva l’alto corso del Tammaro, ad oriente di Sepino, secondo una linea che includeva nel du
Cercemaggiore, S. Croce del Sannio, e nel principatus Oratino, Busso, Baranello, Vinchiaturo, Sepino; dal Tamm
fiume Calore ad oriente di Castelpoto, secondo una linea che includeva nel ducatus, Pontelandolfo, Fragneto Mo
corso del fiume Calore a partire da Castelpoto, nonché Civitella Licinio, Cerreto Sannita, Limata, Guardia Sanfr
dal Calore raggiungeva il fiume Sabato presso S. Leucio, ponendo nel ducatus la città di Benevento. Dopo aver s
fino a nord di Altavilla Irpina, raggiungeva il fiume Scafati presso Sarno e poi il mare Tirreno, seguendo una lin
nel ducatus Altavilla Irpina, S. Angelo a Scala, Grottolella, Capriglia, Mercogliano, Forino, Sarno, e nel principa
Montesarchio, Ceppaloni, Arpaia, S. Martino Valle Caudina, Cervinara, Baiano, Monteforte Irpino, Lauro.
Pertanto i confini del ducatus Apuliae erano i seguenti: a nord il confine partiva dal fiume Castellano e raggiung
con qualche piccola variazione la linea che attualmente separa le province di Teramo e Ascoli Piceno, includend
Ancarano, Controguerra, Colonnella, Monsampolo del Tronto, Acquaviva Picena, ed escludendo Mozzano, Asc
Colli del Tronto; ad oriente il mare Adriatico; ad occidente il principatus Capuae; a sud il confine partiva da Pol
lo Ionio a nord della foce del Sinni, seguendo una linea che includeva nel ducatus Policastro, Tortorella, Caselle
Marcellina, Sarconi, Spinoso, Carbone, S. Arcangelo, Roccanova, Castronuovo S. Andrea, Colobraro, Tursi, S. M
I confini del Principatus Capuae erano i seguenti: ad oriente e a sud il ducatus Apuliae; ad occidente e a nord i d
da questa provincia normanna da una linea di confine che partiva dal Tirreno ad est di Terracina e giungeva al fi
dove iniziava il ducatus Apuliae. Tale linea può essere così ricostruita: partendo da Terracina, che restava nei do
monte La Monna, la vetta più alta dei monti Ernici, ponendo nel principatus Fondi, Lenola, Vallecorsa, Pastena,
Fontana Liri, Arpino, Isola Liri, Castelliri, Sora109; dal monte La Monna seguiva l’attuale confine tra le provinc
Rieti; dal punto sul fiume Turano dove oggi si incontrano le tre province di L’Aquila, Roma, Rieti, dopo aver ra
Carseolani, raggiungeva il fiume Salto a nord del lago Salto, includendo nel principatus Pescorocchiano; seguiva
con il fiume Velino, di qui proseguiva verso il nord fino a raggiungere il monte La Pelosa, includendo nel princi
Macchione, Pianezza, ed escludendo Rieti e Poggio Bustone; dal monte La Pelosa raggiungeva il Tronto ad orie
confine tra le province di Rieti e di Perugia, e poi il fiume Castellano.
Il confine settentrionale del Regno di Sicilia secondo il pontefice e l’imperatore d’Occidente
Le due province del Regnum Siciliae dette Ducatus Apuliae e Principatus Capuae erano tagliate in senso orizzon
non fu mai formalmente riconosciuta nell’organizzazione militare ed amministrativa della monarchia ruggierian
Papato fino al trattato di Benevento del 1156 e per l’Impero d’Occidente, il confine settentrionale del Regno nor
così ricostruito: dopo aver seguito il corso del fiume Garigliano, dalla foce sul mare Tirreno fino alla confluenza
nord-est e poi verso nord, così come procede l’attuale confine tra le province di Gaeta-Caserta, Isernia-Frosinon
nord-est e raggiungeva prima il fiume Sangro, poi il Trigno, che percorreva fino alla foce sul mare Adriatico, sec
divisione tra il Molise e l’Abruzzo, ad eccezione del fatto che questo antico confine abbandonava il fiume Sangr
e raggiungeva il Trigno da Capracotta seguendo la valle del fiume Verrino, ponendo così al nord i paesi di Pesco
che oggi sono inclusi nel Molise.
Questo confine, dal punto di vista romano, come mostra il Liber Censuum, separava dal Regnum Siciliae le terre
possesso fu riconosciuto a re Guglielmo I di Sicilia soltanto nel trattato di Benevento del 1156 dal pontefice Adr
costituite dalle diocesi di Aprutium, Penne, Chieti, Valva, Forcone, Marsia, Gaeta, Fondi; quelle ultra Marsia era
diocesi di Rieti e di Ascoli Piceno.
Secondo il punto di vista imperiale, in particolare di Federico I di Svevia, tale confine segnava il limite settentrio
motivi: perché era questo il confine settentrionale riconosciuto dall’imperatore Enrico II al principato di Capua,
creato per Melo di Bari114; perché tutte le terre a nord di questo confine, cioè le terre di Marsia e ultra Marsia d
all’impero, essendo state parti del ducato di Spoleto, a sua volta parte del Regnum Italicum
 
Il Regno come “opera d’arte”
L'assemblea generale di Melfi
Nel settembre del 1129 Ruggiero d’Altavilla “muovendo per Melfi, ordinò a tutti i grandi di Puglia
di presentarsi a lui, e ad essi impose tra l’altro anche quest’editto, che restando in pace non si
combattessero tra loro. Contemporaneamente li costrinse a giurare che da quel momento in avanti
avrebbero mantenuto, e aiutato a mantenere, pace e giustizia...”. Fu questo il primo significativo
atto politico fatto sul continente dal conte di Sicilia, dopo che il 22 agosto dell’anno precedente
aveva ricevuto dal pontefice Onorio II l’investitura del ducato di Puglia.
In questa circostanza il neo-duca manifestò in modo molto esplicito quelle che, in quel momento,
erano le connotazioni fondamentali del suo concetto di potere, che avrebbero però permeato, anche
negli anni successivi, il suo concetto di regalità. Egli, inoltre, mostrò in modo altrettanto evidente
la linea di tendenza alla quale si sarebbe costantemente tenuto fedele in tutti gli atti fondamentali
che avrebbero portato alla costruzione del suo edificio statuale, e cioè quella di inserire all’interno
delle situazioni consolidatesi nella lunga gestione dell’insediamento normanno, strutture
istituzionali ed amministrative provenienti in prevalenza dalla cultura franco-normanna, ma anche
da quella bizantina, araba, e longobarda. Nel caso specifico di Melfi è da sottolineare innanzitutto
come Ruggiero sia apparso mosso dalla volontà di esercitare un’effettiva potestà, la quale esigeva
soltanto obbedienza da parte dei componenti l’assemblea. In secondo luogo è da notare come egli
abbia utilizzato un’antica istituzione franca, cioè l’assemblea dei nobili, che era sconosciuta alla
tradizione del Mezzogiorno, per affermare quello che Alessandro di Telese chiama un edictum, e
che altro non era se non l’antico bando di pace con il quale il re franco salvaguardava la pace
pubblica. E, come la pax regis franca era la “premessa indispensabile per conservare la capacità
difensiva ed indirizzare il popolo alla sua più alta meta politica”, allo stesso modo l’Altavilla
intese il suo editto di pace. Lo testimonia, ancora una volta, l’abate telesino, che così commenta
l’episodio: “Non stupisce dunque che avesse potuto sottomettersi tutte le terre con l’aiuto di Dio,
giacché, promulgato che fu tale severo rigore di giustizia, in ogni parte del suo dominio si vide
affermarsi la stabile pace, nella quale, secondo il salmista, tiene il suo luogo il Signore”.
Le assemblee generali di Ariano e di Silva Marca
Diventato re e consolidata la sua autorità su tutto il territorio del Regno, Ruggiero ebbe modo di
andare sempre meglio precisando la sua nozione di sovranità in due nuove assemblee, che, a
differenza di quella di Melfi, furono generali, cioè vi parteciparono tutti gli uomini liberi. Si tratta
delle assemblee tenute ad Ariano (prov. Avellino) nel 1140, e a Silva Marca presso Ariano nel
1142.
Lo stato della documentazione ci impedisce di conoscere nei particolari lo svolgimento di queste
due assemblee, ma non sembra che possano sussistere dubbi circa gli argomenti che vi furono
trattati.
Ad Ariano il re si occupò di questioni legislative: “trattò innumerevoli affari nella curia di grandi e
di vescovi colà riunita. Tra le altre sue disposizioni emanò un terribile editto... e cioè che nessuno
di coloro che vivevano in tutto il regno accettasse o spendesse nei mercati le romesine, e con
decisione mortale impose una sua moneta, cui diede il nome di ducato, che valeva otto romesine, e
che alla prova esultava assai più di rame che d’argento”; e “ promulgò leggi da lui novellamente
istituite”.
A Silva Marca, invece, Ruggiero trattò i problemi connessi con il servizio militare che avevano
dato luogo a contrasti ed ingiustizie: “cum apud Silvam Marcam cum Anfuso Neapolitanorum
duce et Capuanorum principe filio nostro et comitibus nostris ceterisque baronibus et parte
maxima populi regni nostri ad altercationes et iniusticias corrigendas congregaremur”.
L'organizzazione amministrativa
Ruggiero organizzò la struttura amministrativa del suo Regno in questo modo.
Ai componenti della sua Curia, che aveva sede stabile nella capitale Palermo, affidò i compiti
propri del governo centrale. Egli, però, non giunse a delineare per ciascuno dei singoli funzionari
dei compiti specifici, connessi con le cariche ricoperte, ma di volta in volta affidò loro le mansioni
più varie. Questo, tuttavia, non significò che l’ordinamento centrale del Regnum Siciliae fosse
privo di un’articolazione interna, perché con l’introduzione nella Curia, fin dal 1145, di individui
muniti di competenze professionali, si avviò di fatto una differenziazione tra mansioni giudiziarie
e finanziarie.
Il territorio del Regno fu diviso in tre grandi province: il Ducatus Apuliae, il Principatus Capuae, e
la Sicilia, che comprendeva anche la Calabria a sud del fiume Sinni.
In ciascuna di queste tre province il re nominò dei suoi funzionari. Costoro avevano competenza in
precisi ambiti, che coprivano tutto il territorio del Regno, e si occupavano dell’amministrazione sia
della giustizia (giustizieri) che delle finanze (camerari). Le città, inoltre, pur continuando spesso a
godere dei loro usi e delle loro antiche consuetudini, furono sottoposte al re, che designava i suoi
ufficiali (strateghi, catapani, giudici), ai quali demandava dei compiti precisi.
Accanto all’amministrazione della giustizia e delle finanze, era compito precipuo del re quello di
organizzare e comandare l’esercito. A questo scopo Ruggiero d’Altavilla prese alcune decisioni
rivoluzionarie, che gli consentirono di utilizzare le istituzioni feudo-vassallatiche, introdotte dai
Normanni nel Mezzogiorno, per rinforzare l’autorità regia. Primo in Europa egli intuì che la
feudalità e la regalità non erano affatto delle istituzioni antitetiche, e che nell’Italia meridionale,
anche grazie al fecondo processo dell’insediamento normanno, si erano determinate le condizioni
favorevoli a che ciò avvenisse.
In entrambe le assemblee, che non avevano né potere deliberativo né consultivo, l’Altavilla
provvide ad attuare una sua nuova ed originale concezione della sovranità. In essa si sposava la
tradizione romana dell’imperium, filtrata attraverso il modello bizantino, con la concezione franca
del legame personale tra sovrano e popolo.
Il re era titolare diretto di ogni potere. Pertanto, tutti coloro che all’interno dello Stato esercitavano
un qualche potere, lo facevano “per partecipazione”, nel senso che svolgevano delle mansioni per
diretto volere del sovrano e senza alcuna autonomia, tanto che gli uffici di cui erano titolari, non
erano destinati a svolgere dei compiti ben precisi, ma soltanto quelli che di volta in volta erano
loro demandati dal re.
Questa “reductio ad unum” di tutti i poteri pubblici dello Stato, era accompagnata dalla concezione
del legame personale tra sovrano e popolo, nella quale l’infedeltà appariva il reato più grave, che
comportava la perdita del favore regio: “perciò vogliamo e ordiniamo che accogliate con fedeltà e
zelo le disposizioni da noi promulgate o composte”. Il re era, cioè, legato ai suoi sudditi da un
legame diretto, che non era mediato da alcuna struttura operante nello Stato, e tanto meno da
quella feudale, i cui compiti erano esclusivamente militari.
Queste premesse teoriche si concretizzarono nella fondazione, negli anni successivi, di una
struttura statuale monarchica, che era fondata sulla burocrazia, e che aveva origine dal sovrano ed
in lui ritornava.
La nascita del sistema feudale
Fedele alla concezione della regalità che assorbiva in sé tutti i poteri dello Stato, il re di Sicilia
permise l’esistenza di un solo tipo fondamentale di feudo, quello in capite de domino Rege. Il
titolare era direttamente e personalmente responsabile verso il re, ovvero verso i suoi funzionari,
non solo del suo operato, ma anche, e soprattutto, della regolare prestazione del servizio militare
dovuto, che era computato in modo proporzionale alla consistenza del possesso feudale.
La nascita del feudo in capite de domino Rege fu il risultato di almeno due geniali operazioni,
portate a termine da Ruggiero, con molta probabilità, io ritengo, nell’assemblea generale di Silva
Marca del 1142.
A Silva Marca egli estese a tutte le contee del Regno un modello di organizzazione territoriale, che
aveva avuto modo di sperimentare con la contea di Conversano fin dal 1134, e che era stato forse
ideato da Roberto il Guiscardo. Si trattava di togliere alla contea la sua antica fisionomia di
signoria territoriale, per attribuirle una funzione squisitamente militare. In questa prospettiva
Ruggiero istituì dei nuovi organismi feudali, che chiamò contee, i quali erano costituiti da una
serie di terrae che non erano necessariamente contigue tra loro, sparse a macchia di leopardo, e che
erano poste in difesa di itinerari strategicamente rilevanti. Tutti i nuovi conti furono, poi, legati al
re da un vincolo di sangue. Ciò permise loro di partecipare della potestà regia, attraverso
l’esercizio di taluni regalia, e attraverso il comando attivo in guerra sui cavalieri, che essi erano
tenuti, come tutti gli altri esponenti della gerarchia feudale, a fornire all’esercito del re in numero
proporzionato alla consistenza dei rispettivi beneficia.
La seconda, geniale operazione attuata da re Ruggiero nell’assemblea di Silva Marca, fu
l’istituzione di una nuova categoria di feudi, che nella seconda metà del XII secolo furono
chiamati feuda quaternata o feuda in baronia. Si trattava di feudi sui quali il re esercitava il più
stretto controllo, perché era necessario comunque il suo assenso nella loro trasmissione, anche
quando si trattava degli eredi legittimi. In cambio i titolari godevano del diritto regio di riscuotere
il plateaticum.
Anche i feuda in baronia dovevano all’esercito regio un numero di cavalieri proporzionato alla
loro consistenza. Ma, a differenza di quanto avveniva per quelli comitali, i cavalieri che essi
fornivano erano comandati da un funzionario regio, detto connestabile, che aveva competenza
nell’ambito di ben definiti distretti territoriali, detti “connestabilie”.
Ai connestabili, inoltre, era demandato il compito, all’interno delle rispettive connestabilie, del
comando, dell’ispezione delle armi e dell’equipaggiamento, oltre che sui cavalieri forniti
all’esercito regio dai feuda quaternata, anche su quelli forniti dai semplici feudi in capite de
domino Rege, nonché dalle terre e dalle città demaniali, e dai possessori di terre patrimoniali.
I connestabili, dunque, esercitavano le loro competenze tanto sulle terre demaniali quanto su
quelle feudali, in precisi ambiti circoscrizionali che ricoprivano tutto il Regno, e, al pari degli altri
funzionari regi, “appaiono come le strutture portanti di un moderno edificio, strutture che non
troverebbero una loro funzionalità nella costruzione di forma piramidale che è propria dello Stato
feudale”.
In conclusione, sia la struttura amministrativa che l’organizzazione feudale del Regno furono
plasmate da re Ruggiero in armonia con la sua concezione di una monarchia assoluta fondata sulla
burocrazia: egli, ben più di Federico II, vide il suo Regno come “opera d’arte”.
 

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