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1.

L’IMPRENDITORE
Il sistema legislativo
Il concetto di attività economica ruota attorno alla figura dell’imprenditore regolata dall’articolo
2082 del codice civile. La quale disciplina non è pero identica per tutti i tipi di imprenditore.
Il codice civile infatti, distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:
A) l’oggetto dell’impresa, che determina la distinzione fra imprenditore agricolo (art 2135) e
imprenditore commerciale (art 2195).
B) La dimensione dell’impresa, in base alla quale è individuato il piccolo imprenditore (art 2083) e
l’imprenditore medio-grande
C) La natura del soggetto che esercita l’impresa, che determina la tripartizione legislativa fra
impresa individuale, impresa costituita in forma di società ed impresa pubblica

Tutti gli imprenditori sono assoggettati ad una disciplina base comune e non è altro che lo statuto
generale dell’imprenditore che comprende parte della disciplina dell’azienda e dei segni distintivi,
la disciplina della concorrenza e dei consorzi.
Chi è imprenditore commerciale non piccolo è assoggettato inoltre ad uno specifico statuto.
Rientrano nello statuto tipico dell’imprenditore commerciale: l’iscrizione nel registro delle imprese,
con effetti di pubblicità legale; la disciplina della rappresentanza commerciale; le scritture contabili;
il fallimento, le altre procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare e

l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi.

Nozione dell’imprenditore
La nozione generale dell’imprenditore è regolata dall’articolo 2082 del codice civile: È
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi.
L’articolo 2082 fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto
all’applicazione delle norme del c.c. dettate per l’impresa e per l’imprenditore, dall’articolo 2082 si
ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti) ed attività caratterizzata sia da uno specifico
scopo (produzione o scambio di beni o servizi) , sia da specifiche modalità di svolgimento
(organizzazione, economicità, professionalità).

L’attività produttiva
L’impresa è attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. È attività produttiva
(in senso lato) di nuova ricchezza.
Non è impresa l’attività di mero godimento; ossia l’attività che non da luogo alla produzione di beni
e servizi. Classico è l’esempio del proprietario di immobili che ne gode i frutti concedendoli in
locazione. Ma diventa attività di godimento e produttiva l’attività del proprietario di un immobile che
adibisca lo stesso ad albergo, pensione o residence. In tal caso le prestazioni locative sono
accompagnate dall’erogazione di servizi collaterali che eccedono il mero godimento del bene. È
opinione ormai decisamente prevalente che la qualità di imprenditore deve essere riconosciuta
anche quando l’attività produttiva svolta è illecita, cioè contraria a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume. E ci sia nei casi meno gravi in cui sono violate norme imperative che
subordinano l’esercizio dell’attività di impresa a concessione o autorizzazione amministrativa, sia
nei casi più gravi quando l’oggetto stesso dell’attività è illecito, non vi è alcun motivo per sottrarre
chi viola, la legge alle norme che tutelano i creditori commerciali.

L’organizzazione. Impresa e lavoro autonomo


L’imprenditore crea un complesso produttivo, formato da persone e da beni strumentali. Ci è
sottolineato dal legislatore quando qualifica l’impresa come attività organizzata; quando disciplina
il lavoro e l’organizzazione del lavoro nell’impresa( art 2086 e 2094); quando definisce l’azienda
come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art 2555). È
assodato ormai che l’organizzazione imprenditoriale pu essere anche organizzazione di soli
capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale.
Art. 2083. (Piccoli imprenditori).
Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei
componenti della famiglia.
Ci significa che è imprenditore anche colui che non utilizza ne capitali ne lavoro altrui.
Economicità dell’attività a scopo di lucro
La nozione di imprenditore è una nozione unitaria, comprensiva sia dell’impresa provata che
dell’impresa pubblica; ci implica che requisiti essenziale pu essere considerato solo ci che e
comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. E l’impresa pubblica è si tenuta ad operare
secondo criteri di economicità ma non è, ne necessariamente ne di regola, preordinata alla
realizzazione di un profitto. Conseguentemente possiamo dunque affermare che per aversi
impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico: ossia tramite la
copertura dei costi con i ricavi.

La professionalità
L’ultimo requisito espressamente richiesto dall’art 2082 è il carattere professionale dell’attività .
Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. La
professionalità non richiede pero che l’attività imprenditoriale sia svolta on modo continuato e
senza interruzioni. Per le attività stagionali è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa
secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività. La professionalità non richiede neppure
che quella di impresa sia l’attività unica o principale. Parliamo di impresa anche quando si compie
un unico affare ma che comporta il compimento di operazioni molteplici.
Pu ritenersi imprenditore anche colui che produce beni o servizi destinati ad uso o consumo
personale.

Impresa e professioni intellettuali


Art 2238 stabilisce che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali
solo se "l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma
d’impresa”, infatti i liberi professionisti non sono mai imprenditori.
È giocoforza concludere che i professionisti non sono degli imprenditori per libera scelta del
legislatore

2. LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI
Il ruolo della distinzione
Il codice civile distingue due tipi di imprenditori: l’imprenditore agricolo (art 2135) e l’imprenditore
commerciale (art 2195). Chi è imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per
l’imprenditore in generale. È esonerato dall’iscrizione del registro delle imprese, la tenuta delle
scritture contabili; assoggettamento al fallimento ed altre procedure concorsuali.

L’imprenditore agricolo. Le attività agricole essenziali


Art 2135 comma 1:
“È imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla viticoltura,
all’allevamento del bestiame e attività connesse”
Comma 2
“Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli,
quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura”.
Le attività agricole possono essere distinte in due grandi categorie:
A) attività agricole essenziali
B) attività agricole per connessione
Per comprendere portata e significato di tale ampliamento è necessario tener presente i contrasti
che la formulazione originaria dell’articolo 2135 aveva sollevato. vi era infatti chi riteneva che
impresa agricola fosse ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico
naturale. vi era l’opposto chi riteneva che doveva essere dato rilievo anche al modo di produzione
tipico dell’agricoltore (sfruttamento della terra e delle sue risorse) .
Il legislatore ha optato per la prima impostazione, infatti, l’articolo 2135 ribadisce che è
imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura,
allevamento di animali e attività connesse.
La produzione di specie vegetali e animale, è sempre qualificabile giuridicamente come attività
agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento
della terra e dei suoi prodotti.
Le attività agricole per connessione
La seconda categoria di attività agricole è costituita dalle attività agricole per connessione.
Inizialmente bisognava fare una distinzione tra attività agricole dirette alla trasformazione o
all’alienazione di prodotti agricoli che rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura; in tutte le
altre attività esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento
del bestiame (es. agriturismo) si riteneva che le stesse avessero carattere accessorio. Questa
distinzione oggi scompare in base al 3° comma del 2135,, con formula più ampia si intendono
comunque connesse:
A) le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale
B) Le attività agricole dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.
È importante precisare quando un’attività intrinsecamente commerciale possa qualificarsi come
agricola per connessione.
Da qui nascono due condizioni necessarie:
Condizione soggettiva evince che è certamente imprenditore commerciale chi trasforma o
commercializza prodotti agricoli altrui.
Condizione oggettiva: è necessario che ricorra anche una connessione oggettiva fra le due attività.
Queste due condizioni vengono sostituite dal concetto di prevalenza; ossia, è sufficiente che le
attività connesse non prevalgono, per rilievo economico, sull’attività agricola essenziale.

Imprenditore commerciale
Art. 2195. (Imprenditori soggetti a registrazione).
Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per
aria; 4) un' attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si
applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese
che le esercitano. Ne consegue che dovrà essere considerata commerciale ogni impresa che non
sia qualificabile come agricola.

Il criterio dimensionale. La piccola impresa


La dimensione dell’impresa è ill secondo criterio di differenziazione della disciplina degli
imprenditori. A riguardo viene distinto il concetto di piccolo imprenditore, che è sottoposto allo
statuto generale dell’imprenditore, ma esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, dal fallimento
e dalle altre procedure concorsuali, pu usufruire solo delle procedure di sovraindebitamento.

Il piccolo imprenditore
Art. 2083. (Piccoli imprenditori).
“Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei
componenti della famiglia”. La prevalenza del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere
distintivo di tutti i piccoli imprenditori.
Per aversi piccola impresa è necessario che:
a) l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
b) Il suo lavoro e quello dei familiari prevalgono su lavoro altrui
La prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi deve intendersi on senso qualitativo-
funzionale. È necessario che l’apporto personale dell’imprenditore e dei suoi familiari caratterizzino
i beni o servizi prodotti.
Il piccolo imprenditore nella legge fallimentare
Oggi la disposizione fallimentare non definisce più chi è piccolo imprenditore, ma semplicemente
individua alcuni parametri dimensionali dell’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore
commerciale no fallisce.
Secondo l’attuale disciplina, dunque, non è soggetto a fallimento l’imprenditore commerciale che
dimostri impossessa congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio
dell’attività se di durata inferiore), un attivato patrimoniale di ammontare complessivo annuo
non superiore a trecentomila euro
b) Aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, ricavi
lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro
c) Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a cinquecentomila euro Basta
aver superato anche solo uno degli indicati limiti dimensionali per essere esposto a fallimento.
Chi pu essere dichiarato fallito si determina esclusivamente in base a criteri dimensionali stabiliti
dall’articolo 1,2° comma della legge fallimentare.

L’impresa familiare
È impresa familiare ripresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli
affini entro il secondo grado dell’imprenditore: cosiddetta famiglia nucleare. L’istituto è regolato
dall’articolo 230-bis c.c.
L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa, è frequente che la piccola impresa sia
anche impresa familiare. Viceversa, anche l’impresa non piccola pu essere impresa familiare. Il
legislatore ha voluto predisporre una tutela minima del lavoro familiare nell’impresa destinata a
trovare applicazione quando non sia configurabile un diverso rapporto giuridico e non sia perci
azionabile un altro mezzo di tutela.
La tutela legislativa è realizzata riconoscendo ai membri della famiglia nucleare che lavorino in
modo continuato nella famiglia o nell’impresa determinati diritti patrimoniali e amministrativi. Sul
piano patrimoniale sono riconosciuti i seguenti diritti:
A) Diritto al mantenimento
B) Diritto di partecipazione agli utili
d’impresa C) Diritto sui beni acquistati con gli
utili
D) Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda
stessa
Sul piano amministrativo è previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria
dell’impresa sono adottate, a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa.
L’impresa familiare resta un impresa individuale. Ne consegue che:
A) I beni aziendali restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore-datore di lavoro
B) I diritti patrimoniali dei partecipanti all’impresa costituiscono semplici diritti di credito nei
confronti del familiare imprenditore
C) Gli atti di gestione ordinaria rientrano nella competenza esclusiva dell’imprenditore Si deve
ritenere inoltre che l’imprenditore agisca nei confronti dei terzi in proprio e non come
rappresentante dell’impresa.

l’impresa societaria
Esistono diversi tipi di società e che le società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività
non commerciale, mentre gli altri tipi di società possono svolgere sia attività agricole sia attività
commerciali come dettato dall’articolo 2249 c.c.
Le società diverse dalle società semplice si definiscono società commerciali e possono essere
imprenditori agricoli o imprenditori commerciali seconda dell’attività esercitata. L’applicazione alle
società commerciali degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale segue regole diverse rispetto
l’imprenditore individuale.
Tali regole possono essere cosi sintetizzate:
A) parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali
qualunque sia l’attività svolta. Il principio è espressamente enunciato per l’obbligo di iscrizione
nel registro delle imprese (art 2136 e 2200). Inoltre anche le società commerciali che
esercitano impresa commerciale sono esonerate dal fallimento.
B) Nelle società in nome collettivo o in accomandita semplice parte della disciplina
dell’imprenditore commerciale trova applicazione solo o anche nei confronti dei soci a
responsabilità illimitata.
Attività commerciali delle associazioni e delle fondazioni
Le associazioni, le fondazioni e tutti gli altri enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere
attività commerciale qualificabile come attività d’impresa. L’essenziale è che l’attività produttiva
venga condotta con metodo economico.
Queste attività non sono esonerate dallo statuto dell’imprenditore commerciale quindi anch’essi
saranno esposti al fallimento.

3. L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA


Esercizio diretto dell’attività
È principio generale del nostro ordinamento che gli effetti degli atti giuridici ricadono sul soggetto e
solo sul soggetto il cui nome è stato validamente speso nel traffico giuridico.
Questo principio si ricava dalla disciplina del mandato. Il mandatario è un soggetto che agisce
nell’interesse di altro soggetto e pu porre in essere i relativi atti giuridici sia spendendo il proprio
nome (mandato senza rappresentanza) sia spendendo il nome del mandante, se questi gli ha
conferito il potere di rappresentanza (mandato con rappresentanza).
Secondo l’Art. 1388. (Contratto concluso dal rappresentante).
“Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle
facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato”
Per contro secondo l’art. 1705 (Mandato senza rappresentanza)
“Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti
compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.
I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario,
pu ' esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, salvo che ci possa
pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono.”

Esercizio indiretto dell’attività di impresa. L’imprenditore occulto


L' imprenditore occulto, secondo la giurisprudenza italiana, è un imprenditore che non agisce
direttamente nella propria attività, ma tramite un prestanome. In tale modo riesce a compiere
l'attività d'impresa pur non apparendo come colui che la esercita. A questo espediente si pu
ricorrere per aggirare un divieto di legge.
Questa figura, di creazione giurisprudenziale, permette di associare l'imprenditore occulto al
fallimento, in quanto obbligato in solido col prestanome, pur non avendone i requisiti formali. Tra
imprenditore occulto e imprenditore apparente giuridicamente c'è un contratto di mandato senza
rappresentanza e l'imprenditore occulto è il mandante mentre l'imprenditore apparente è il
mandatario. L'imprenditore occulto mette i soldi per l'attività d'impresa, prende le decisioni
aziendali e incassa gli utili, l'imprenditore apparente, che di solito è nullatenente, esegue le
decisioni e viene pagato con una somma fissa mensile.
Finché le cose vanno bene non ci sono problemi, ma quando vanno male la faccenda diventa
seria per i creditori dell'imprenditore apparente perché il soggetto utilizzato dal dominus è
nullatenente o è una società per azioni con capitale irrisorio (c.d. società di comodo) . Pu per
verificarsi il caso che i creditori scoprano che tutta l'impresa era in realtà gestita dall'imprenditore
occulto; se ci avviene ci si chiede se i creditori possono rivalersi nei confronti dell'imprenditore
occulto.
emergono due importanti teorie giurisprudenziali:
1) la teoria del potere-responsabilità, di Ferri (cosiddetta "teoria del potere d'impresa"), che
mira a sanzionare non solo il prestanome, ma parallelamente anche il dominus, colui che si
serve del prestanome stesso per i propri interessi, conseguendo gli utili ma scaricando su
di lui tutte le passività: l'intento di Ferri è quello di superare il principio formale della
spendita (cessione) del nome. Tale teoria muove dall'inscindibilità tra potere e
responsabilità, facendo leva su alcuni articoli del codice civile in relazione alle società di
persone e di capitali (ad es, l'art. 2320, per il quale l'accomandante che si ingerisce
nell'amministrazione della società, diviene automaticamente illimitatamente responsabile, o
ancora l'art.2267 ecc).
2) Walter Bigiavi si spinge oltre, mirando a regolare il fenomeno delle procedure fallimentari in
riferimento alla figura dell'imprenditore occulto: il dominus non solo sarà tenuto a
rispondere in modo solidale con il prestanome, ma fallirà sempre e comunque nel caso in
cui fallisca lo stesso prestanome. Bigiavi muove la propria teoria sulla base dell'art. 147,
comma 4 della legge fallimentare, secondo cui, se, dopo la dichiarazione di fallimento,
emergono altri soci
illimitatamente responsabili, anche questi saranno dichiarati falliti.
È frequente che il socio di comando di una società di capitali non si limiti ad esercitare i poteri
sociali riconosciuti ma tratti la società come cosa propria e ne disponga a suo piacimento,
attraverso comportamenti tipici: sistematico finanziamento della società con prestiti o con la
concessione di garanzie a suo favore. Orbene la giurisprudenza ritiene che questi comportamenti
possano dar vita ad un’autonoma attività di impresa; un impresa di finanziamento e/o di gestione
diversa e distinta dall’attività di impresa delle o della società di capitali denominata.
Pertanto ricorrendo all’articolo 2082 del c.c. il socio che ha abusato dello schermo societario
rispondere come titolare di un’autonoma impresa commerciale individuale per le obbligazioni da lui
contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali ed in quanto tale
potrà fallire.

Inizio e fine dell’impresa


L’inizio dell’impresa
La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa. Non
è sufficiente quindi iscriversi nel registro delle imprese. Questo principio è pacifico per le persone
fisiche.
Le società al contrario acquistano la qualità di imprenditori fin dal momento della loro costituzione
e quindi dall’effettivo inizio dell’attività, poiché la costituzione di una società vale come semplice
manifestazione dell’intenzione di dar vita ad attività di impresa.
L’effettivo inizio dell’attività di impresa è spesso preceduto dal una fase preliminare di
organizzazione più o meno lunga e complessa. Ci significa che si pu diventare imprenditori già
durante la fase preliminare poiché l’organizzazione di una data impresa è indirizzata ad un fine
produttivo.
In sostanza, anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale, sopratutto se particolarmente
qualificato poter essere sufficiente per affermare che l’attività d’impresa è iniziata.

La fine dell’impresa
Inizialmente l’articolo 10 della legge fallimentare disponeva che l’imprenditore commerciale poteva
essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa. Per quanto riguarda
l’imprenditore individuale, la qualità di imprenditore si perdeva solo con l’effettiva cessazione
dell’attività. È da tenere presente che la fase di cessazione dell’attività è preceduta dalla fase di
liquidazione e la fase di liquidazione pu ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del
complesso aziendale, che rende definitiva ed irrevocabile la cessazione. Ma (ed è questo il punto)
per l’imprenditore individuale la giurisprudenza riconosceva che non era necessario che fossero
stati riscossi tutti i crediti e pagati tutti i debiti relativi. E ovviamente se l’impresa avesse dovuto
ritenersi ancora in vita fin quando sopravvivono le passività, l’articolo 10 della legge fall. non aveva
nessun significato: l’anno per la dichiarazione di fallimento avrebbe cominciato a decorrere da
quando l’insolvenza in pratica non era più possibile essendo stati soddisfatti quanto meno tutti i
creditori di impresa.
Per le società era diverso, le società banche cancellata dal registro delle imprese, doveva ritenersi
ancora esistente ed esposta al fallimento fin quando non fosse stato pagato l’ultimo debito.
La corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 10 ed è stato modificato.
Art. 10. (Fallimento dell'imprenditore che ha cessato l'esercizio dell'impresa).
Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si e' manifestata anteriormente alla
medesima o entro l'anno successivo.
In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva
la facoltà (per il creditore o per il pubblico ministero) di dimostrare il momento dell'effettiva
cessazione dell'attività da cui decorre il termine del primo comma. (50)

4. STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE


Premessa
L’imprenditore commerciale è destinatario di una peculiare disciplina dell’attività in parte comune
agli altri imprenditori (c.d. statuto generale) in parte e specifica (c.d. statuto speciale)

La pubblicità legale
La pubblicità delle imprese commerciali
Gli imprenditori avvertono da sempre la necessita di poter disporre con facilità di informazioni
veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto. Per
le imprese commerciali e per le imprese societarie questa esigenza è soddisfatta dal
legislatore con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale. È previsto l’obbligo di rendere
di pubblico dominio determinati atti o fatti dell’impresa. Le informazioni non sono rese
accessibili solo ai terzi interessati (c.d. pubblicità notizia) ma diventano opponibili a chiunque
indipendentemente dall’effettiva conoscenza (c.d. conoscibilità legale)
Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e
delle società commerciali dal 1942.
L’istituto per non ha funzionato per molti anni e ha trovato applicazione il regime transitorio
previsto dal c.c.
Il regime transitorio era basato sull’iscrizione nei registri di cancelleria presso il tribunale e
esonerava gli imprenditori commerciali individuali dall’iscrizione.
Col tempo erano anche nate altre due forme di pubblicità per le società , la busarl e la busc. Ne
risultava cosi un sistema di pubblicità di imprese disorganico e complesso.
Nel 1993 la situazione si sblocco e la nuova disciplina del registro delle imprese ha portato nuove
novità:
A) il registro delle imprese non è solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali ma
è diventato anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese.
Infatti l’iscrizione nel registro delle imprese è stata estesa agli imprenditori agricoli, piccoli
imprenditori e società semplici con effetti di mera pubblicità-notizia, ma adesso per
l’imprenditore agricolo anche pubblicità legale.
B) La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio
C) Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informative mi modo da garantire la velocità del
passaggio di informazione

Il registro delle imprese


Il registro delle imprese è costituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio. L’attività
d’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice.
Il registro è articolato in una sezione ordinaria e una sezione speciale.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese
produce gli effetti di pubblicità legale.
Sono tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:
1) gli imprenditori individuali commerciali non piccoli
2) Tutte le società tranne la società semplice
3) I consorzi fra imprenditori con attività esterna
4) I gruppi europei di interesse economico con sede in Italia
5) Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un ‘attività commerciale
6) Le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione
Per quanto riguarda la sezione speciale invece:
1) sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori. Vale a dire: gli
imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori, le società semplici
2) Sezione speciale delle società tra professionisti come le società di avvocati con efficacia di
pubblicità notizia.
3) Sezione speciale dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento: è la sezione
dedicata alla pubblicità dei legami societari di gruppo.
4) Sezione speciale delle imprese sociali
5) Sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera
6) Sezione speciale delle start-up
7) Sezione speciale delle piccole e medie imprese innovative
I fatti e gli atti da registrare sono specificati in una serie di norme ( dall’art 2196 a 2200)
Riguardano, essenzialmente, gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa,
nonché la struttura e l’organizzazione delle società.
Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha la
sede, per agevolare la ricerca da parte di terzi.
L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma pu avvenire anche di ufficio se l’iscrizione
è obbligatoria e l’interessato non vi provvede.
L’iscrizione è seguita tramite l’inserimento dei dati nella memoria del computer e i dati sono
messi a disposizione del pubblico per la visione diretta.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative.
Per quanto riguarda gli effetti dell’iscrizione è necessario distinguere fra l’iscrizione nella sezione
ordinaria e quella nella sezione speciale. L’iscrizione nella sezione ordinaria ha funzione di
pubblicità legale, quindi serve a rendere conoscibili i dati pubblicati, ma ha anche, a seconda dei
casi efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa.

Efficacia dichiarativa: i fatti e gli atti soggetti ad iscrizione ed iscritti sono opponibili a chiunque e lo
sono dal momento stesso della registrazione (c.d. efficacia positiva immediata). Intervenuta la
registrazione, i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto.
L’omessa iscrizione inca impedisce che il fatto possa essere opposto ai terzi (efficacia negativa).
L’imprenditore che ha omesso la registrazione non è tuttavia senza difesa in quanto gli è
consentito di provare che, nonostante l’omessa registrazione, i terzi hanno avuto conoscenza
effettiva del fatto o atto.
In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione produce effetti ulteriori e rilevanti. È
presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i terzi (efficacia costitutiva
totale) per le società di capitali. solo nei confronti dei terzi ( efficacia costitutiva parziale) per le
società in nome collettivo.
Efficacia normativa: l’iscrizione è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime
giuridico. È questo il caso delle società in nome collettivo e delle società in accomandita
semplice. La mancata registrazione fa si che la società sia irregolare
L’iscrizione nella sezione speciale del registro non produce nessun effetto, in quanto ha di regola
solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.

L’articolo 2 del d.lgs. 228/2001 ha stabilito che per le categorie di imprenditori l’iscrizione nella
sezione speciale ha anche efficacia di pubblicità legale. È così cancellato sotto tale profilo la
diversità di disciplina fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale.

Scritture contabili
L’obbligo di tenuta delle scritture contabili
Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitative
e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione patrimoniale e del risultato economico.
Articolo 2214 (La tenuta delle scritture contabili è elevata ad obbligo)
“L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli
inventari.
Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni
dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei
telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture
spedite.
Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.”
Il libro giornale è un registro cronologico-analitico. In esso vengono indicate giorno per giorno le
operazione relative all’attività
Il libro degli inventari è un registro periodico-sistematico. Deve essere redatto all’inizio
dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno. L’inventario fornisce il quadro della
situazione patrimoniale dell’imprenditore (articolo 2217).
Il bilancio è un prospetto contabile riassuntivo del quale devono risultare con evidenza e verità la
situazione complessiva del patrimonio /articolo 2217).

Regolarità delle scritture contabili. Efficacia probatoria.


Per garantire la veridicità delle scritture contabili ed in particolare per impedire che le stesse siano
successivamente alterate, è imposta l’osservanza di determinate regole formali e sostanziali nella
loro tenuta.
Art. 2219. (Tenuta della contabilità).
“Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in
bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se e'
necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano
leggibili.”
“Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione" (Art
2220)
L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non pu utilizzarle come mezzo di
prova suo favore, è inoltre assoggettato alle sanzioni penale per i reati di bancarotta semplice o
fraudolenta in caso di fallimento.

Efficacia probatoria:
Le scritture contabili possono essere usate in giudizio come mezzo di prova sia a favore che
contro l’imprenditore che le ha tenute.
Contro l’imprenditore fanno sempre prova, anche se non regolarmente tenute.
Peraltro, chi vuole utilizzarle in proprio favore non pu scinderne il contenuto.
Per rispettare il diritto dell’imprenditore alla riservatezza della propria documentazione contabile, il
giudice pu disporre solo l’esibizione di singole scritture contabili, solo per estrarne le registrazioni
concernenti la controversia.
Soltanto in tre ipotesi il giudice pu ordinare la comunicazione di tutte le scritture contabili: nelle
controversie relative allo scioglimento delle società, alla comunione dei beni e alla successione per
causa di morte.
A favore dell’imprenditore, invece, le sue scritture contabili possono fare prova soltanto quando
ricorrono tutti i seguenti presupposti: - che le scritture siano regolarmente tenute;
- che la lite sia con un altro imprenditore;
- che la controversia concerna rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

Rappresentanza commerciale
Ausiliari dell’imprenditore commerciale e rappresentanza
L’imprenditore pu avvalersi della collaborazione di altri soggetti.
Questi soggetti possono essere interni o subordinati, oppure esterni o autonomi. In entrambi i casi
la collaborazione pu riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto
dell’imprenditore.
Il fenomeno della rappresentanza è solitamente regolato dall’articolo 1387, ma quando si tratta di
atti inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure come: institori,
procuratori e commessi, è regolato da delle norme speciali che vanno dall’articolo 2203-2213
Queste tre figure sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore, e
di un potere di rappresentanza ex lege commisurato al tipo di mansioni.

L’institore
È insistere colui che è proposto dal titolare all’esercizio dell’impresa, o di una sede secondaria o
un ramo particolare (direttore). È un lavoratore subordinato all’imprenditore. Si parla di vertice
assoluto quando lui è direttamente sotto l’imprenditore. Si parla di vertice relativo se è preposto
ad una filiera e si trova in una posizione subordinata rispetto ad un altro institore.
Art. 2205. (Obblighi dell'institore).
Per le imprese o le sedi secondarie alle quali e' preposto, l'institore e' tenuto, insieme con
l'imprenditore, all'osservanza delle disposizioni riguardanti l'iscrizione nel registro delle imprese e
la tenuta delle scritture contabili. Art. 2204. (Poteri dell'institore).
L'institore pu compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto, salve le
limitazioni contenute nella procura. Tuttavia non pu alienare o ipotecare i beni immobili del
preponente, se non e' stato a ci espressamente autorizzato.
L'institore pu stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti
compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui e' preposto.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore.
Le limitazioni saranno per opponibili ai terzi solo se l’atto di limitazione è stato pubblicato nel
registro delle imprese.
La revoca è opponibile ai terzi solo se pubblicata o se l’imprenditore prova la loro effettiva
conoscenza.
I procuratori
Art. 2209. (Procuratori).
Le disposizioni degli articoli 2206 e 2207 si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un
rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti
all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso.
Inoltre, i procuratori non sono posti a capo dell’impresa e il loro potere decisionale è circoscritto ad
un settore operativo. ( direttore degli acquisti)
Inoltre il procuratore non ha la rappresentanza processuale e non è soggetto agli obblighi di
iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili

I commessi
Art. 2210. (Poteri dei commessi dell'imprenditore).
“I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della
rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni
di cui sono incaricati.
Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, ne'
concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo che siano a ci espressamente autorizzati.”
In altri termini: il commesso non pu esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la
consegna, ne concedere dilazioni o sconti. L’imprenditore pu ampliare o limitare i loro
poteri.

5. AZIENDA
La nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento
art. 2555. (Nozione).
"L'azienda e' il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell’impresa.”
L’azienda sotto il profilo giuridico costituisce l’apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale
per lo svolgimento e nello svolgimento della propria attività.
Non posso essere considerati beni aziendali i beni di proprietà dell’imprenditore che nono sono
destinati allo svolgimento della produttività.
Nella nozione di azienda l’accento va posto sul dato dell’organizzazione. L’azienda è infatti un
insieme di beni eterogenei, non necessariamente di proprietà dell’imprenditore.
Rilievo economico: Sul piano dinamico l’impresa è un nuovo “valore”, per l’attitudine alla
produzione di nuova ricchezza che l’organizzazione le conferisce.

L’avviamento di un’azienda è in sostanza rappresentato dalla sua attitudine a consentire la


realizzazione di un profitto. Bisogna distinguere l’avviamento oggettivo da quello soggettivo. È
oggettivo quello ricollegabile a fattori che restano all’interno dell’impresa anche quando il
titolare cambia.
È soggettivo quando invece è ricollegabile alla bravura dell’imprenditore ad attirare la clientela.

Il trasferimento dell’azienda è regolato dall’articolo 2556-2562.


Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo produce peculiari effetti ispirati dalla finalità di
favorire la conservazione dell’unità economica e del valore di avviamento dell’azienda a tutela dei
lavoratori.

La circolazione dell’azienda. oggetto e forma


L’azienda pu formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura. Pu essere venduta,
conferita in società, donata e sulla stessa possono essere costituiti diritti reali (usufrutto) o
personali (affitto) di godimento.
È importante perci stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia
da qualificare come trasferimento di un azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali. È
necessario che sia Trasferito solo un insieme di beni potenzialmente idoneo ad essere utilizzato
per l’esercizio di una determinata attività di impresa.
Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’articolo 2556.
Art 2556: i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà sono validi solo se
stipulati con l’osservanza “delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che
compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto.”
Ad esempio il conferimento dell’azienda in una società di capitali dovrà avvenire per atto pubblico.
Al fine della pubblicità l’articolo 2556 comma 2: I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica
o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle
imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.

La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante


Articolo 2557 divieto di concorrenza
Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una
nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela
dell’azienda ceduta. Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal
comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Esso
non pu eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. Se nel patto è indicata una durata
maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal
trasferimento. Nel caso di usufrutto o di affitto dell’azienda il divieto di concorrenza disposto dal
primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell’usufrutto o
dell’affitto. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad
esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.

Successione nei contratti


Art 2558
Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente pu tuttavia
recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa,
salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei
confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto

I crediti e i debiti aziendali


Art 2559
La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, a che in manca di notifica al debitore o di sua
accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel
registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienavate.
Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell’azienda, se esso si estende ai
crediti relativi alla medesima.
Art 2560
L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al
trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un’azienda
commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri
contabili obbligatori

Usufrutto dell’azienda
L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire
l’azienda senza modificano la destinazione e in modo da conservare l’efficienza
dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo
o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applicano l’articolo 1015. La differenza tra
le consistenze di inventario all’invio e al termine dell’usufrutto è regolata in denaro, sulla base dei
valori corretti al termine dell’usufrutto.

6. I SEGNI DISTINTIVI
L’attività d’impresa vede coesistere più imprenditori che producono e\o distribuiscono beni o servizi
identici o similari.
L’imprenditore perci utilizza segni distintivi che consentono di individuarlo.
1. La ditta (Art. 2563-2567): contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio d’attività
d’impresa (nome commerciale)
2. L’insegna: individua i locali in cui l’attività d’impresa è esercitata
3. Il marchio (Art. 2569-2574 \ codice della proprietà industriale): individua i beni e servizi prodotti.
4. Il nome a dominio (Art. 2568): individua un sito internet usato nell’attività. Hanno una funzione
comune nell’economia di mercato, favoriscono la formazione e il mantenimento della clientela
poiché consentono al pubblico di distinguere fra i vari operatori economici.
Intorno a questi segni finiscono per ruotare diversi interessi:
- L’interesse dell’imprenditore di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la
propria clientela.
- L’interesse degli stessi imprenditori a poter liberamente cedere ad altri i propri segni, in modo
da monetizzare il valore economico.
- L’interesse di quanti entrano in contatto con essi (segni), a non essere tratti in inganno
sull’identità dell’imprenditore.
- L’interesse principale, la competizione concorrenziale si deve svolgere in modo ordinato e
leale. E’ tuttavia possibile desumere dei principi comuni:
a. L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi.
b. L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi.
c. L’imprenditore pu trasferire ad altri i propri segni distintivi.

7. LA DITTA
E’ il nome commerciale dell’imprenditore; lo individua come soggetto di diritto nell’esercizio
dell’attività d’impresa. Ed è segno distintivo necessario, nel senso che in mancanza di diversa
scelta essa coincide col nome civile dell’imprenditore.
Non è per necessario che la ditta corrisponda al nome civile: essa pu essere liberamente
prescelta dall’imprenditore (Art. 2563, comma 1).
Nella scelta della propria ditta l’imprenditore incontra per due limiti rappresentati dal rispetto dei
principi della verità e della novità.
Art. 2563 il principio di verità della ditta ha un contenuto assai limitato e soprattutto un contenuto
diverso a seconda che si tratti di
- Ditta originaria, è quella formata dall’imprenditore che la utilizza. Essa deve contenere
almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Tanto è necessario, ma al tempo stesso
sufficiente, perché sia soddisfatto il requisito della verità restando poi l’imprenditore libero di
completare come preferisce la propria ditta.
- Ditta derivata, è quella formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad
altro imprenditore insieme all’azienda.
Art. 2564 più consistente è il principio della novità. La ditta non deve essere uguale o simile a
quella usata da altro imprenditore.
Chi ha adottato per primo una data ditta ha perci diritto all’uso esclusivo della stessa. Chi
successivamente adotti ditta uguale o simile pu essere costretto ad integrarla o modificarla con
indicazione idonee a differenziarla. E ci quand’anche la ditta usata per seconda corrisponda al
nome civile dell’imprenditore (ditta patronimica).
Comma 2 l’obbligo d’integrare o di modificare la ditta spetta infatti a chi ha iscritto la propria ditta
nel registro delle imprese in epoca posteriore.
Il principio della novità opera anche nei rapporti con altri segni distintivi; è fatto divieto di adottare il
marchio altrui come propria ditta se sussiste pericolo di confusione fra i segni.
Art. 2565 La ditta è trasferibile, ma solo insieme all’azienda.
Se il trasferimento avviene tra vivi, è necessario il consenso espresso dall’alienante.
Se il trasferimento avviene per successione ereditaria, la ditta si trasmette al successore.

8. IL MARCHIO
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa.
Esso è disciplinato sia dall’ordinamento nazionale, sia dall’ordinamento comunitario ed
internazionale.
Il marchio nazionale è regolato dagli Art. 2569-2574 e dal codice della proprietà industriale. Al
marchio nazionale, recentemente si è affiancato il marchio dell’Unione Europea, consentendo di
ottenere un marchio che produce gli stessi effetti in tutta l’Unione Europea.
La tutela internazionale del marchio è infine disciplinata da due convenzioni, che consentono di
semplificare le procedure per accedere alla tutela del marchio nei singoli Stati aderenti secondo le
rispettive discipline nazionali.
Tali normative, imperniate sull’istituto della registrazione, riconoscono al titolare al marchio,
rispondente a determinati requisiti di validità, il diritto all’uso esclusivo dello stesso, così
permettendo che il marchio assolva la sua funzione di identificazione.
Il marchio:
- non è un segno distintivo essenziale, ma certamente è il più importante
- costituisce il principale simbolo di collegamento fra produttori e consumatori svolgendo un ruolo
centrale nella formazione e mantenimento della clientela.

I tipi di marchio
I marchi possono essere classificati e raggruppati secondo diversi criteri ed una prima distinzione
si basa sulla natura dell’attività svolta dal titolare del marchio.
1. Marchio di fabbrica e di commercio
Si può servire innanzitutto il fabbricante del prodotto o può essere apposto anche dal
commerciante, sia esso un distributore intermedio. Su uno stesso prodotto possono
coesistere più marchi.
Art 2572 il rivenditore non può per sopprimere il marchio del produttore.
2. Marchio di servizio
Pu essere utilizzato anche da imprese che producono servizi. La forma tipica di uso di tali marchi
è quella pubblicitaria, essendo essi apposti sui materiali che servono per la produzione del
servizio.
3. Marchio generale e marchi speciali
L’imprenditore pu utilizzare un solo marchio per tutti i prodotti (generale) o pu utilizzare, per
differenziare più prodotti, per sottolineare ai consumatori le relative diversità qualitative (speciali).
4. Marchio di forma
Pu essere costituito anche dalla forma del prodotto.
5. Marchio collettivo
Un tipo particolare di marchio poiché si distingue nettamente dai marchi d’impresa. Il titolare è un
soggetto che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti.
Tale marchio non viene utilizzato dall’ente che ne ha ottenuto la registrazione, ma concesso in uso
ai produttori o commercianti consociati. Ha una funzione puramente funzione di garanzia della
qualità.
6. Composizione del marchio
Il marchio pu essere costituito solo da parole (marchio denominativo) inoltre pu essere
costituito, da figure, lettere, cifre o disegni (marchio figurativo) ed anche da suoni.

I requisiti di validità del marchio


Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:
liceità, verità, originalità e novità.
Liceità: Il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon
costume (Art. 14), stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali (Art. 10). E’ altresì
fatto divieto di utilizzare come marchio l’altrui ritratto senza il consenso dell’interessato (Art.8).
Questo consenso è necessario anche per poter usare come marchio il nome che ha acquistato
notorietà.
Verità: Il principio della verità vieta di inserire nel marchio ‘’segni idonei ad ingannare il pubblico, in
particolare sulla provenienza geografica’’.
Originalità: il marchio deve essere originale. Deve cioè essere composto in modo da consentire
l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra tutti i prodotti simili nel mercato. Infatti non possono
essere utilizzati come marchi:
- Le denominazioni generiche (tranne che non siano combinato fra loro in modo fantasioso)
- Le indicazioni descrittive
- I segni divenuto di uso comune nel linguaggio corrente (es. extra, lusso, super)
Novità: è un aspetto ulteriore della capacità distintiva, complementare ma distinto rispetto
all’originalità.
Il difetto dei requisiti fin qui esposti comporta la nullità del marchio (Art. 25).

Il marchio registrato
Il contenuto e la rispettiva tutela sono per differenti a seconda che il marchio sia stato o meno
registrato all’Ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico.
La registrazione attribuisce al marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio
nazionale, coprendo anche non solo i prodotti identici ma anche quelli affini. Questa regola
cambia per i marchi celebri.
L’uso di un marchio celebre da parte di altri imprenditori oltre a costituire ‘’usurpazione’’ dell’altrui
fama, comporterebbe equivoci sulla reale fonte di produzione. Con la riforma del 1992, la tutela di
questi particolari marchi è stata svincolata dall’affinità merceologica.
La registrazione
Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa
domanda all’Ufficio brevetti. Il titolare è perci tutelato ancor prima che inizi ad utilizzarlo, anche
nella fase pubblicitaria.
La registrazione per poter estendere la tutela in ambito internazionale, avviene presso l’OMPI. Per
ottenere successivamente il marchio dell’Unione Europea la registrazione avviene presso l’EUIPO
di Alicante, Spagna.
La registrazione nazionale dura dieci anni, per rinnovabile per un numero illimitato di volte.
Assicurerà una tutela perpetua salvo che non sia dichiarata
- Nullità del marchio
- Causa di decadenza, ad esempio la volgarizzazione.
Il marchio, infine, è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare del marchio, il cui
diritto di esclusiva è stato leso da un concorrente, pu promuovere contro questi l’azione di
contraffazione.

Il marchio non registrato


L’ordinamento tutela anche i marchi non registrati, ma si tratta di una tutela minore.
Art. 2571 chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne,
nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso. Il
diritto esclusivo si basa sull’uso di fatto e sull’effettivo grado di notorietà raggiunto.

Il trasferimento del marchio


Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo sia a titolo temporaneo. E’
così consentito al titolare di un marchio di monetizzare il valore commerciale.
Oggi è possibile trasferire il marchio per tutti o per parte dei prodotti per i quali è stato registrato,
senza trasferire l’azienda.
La novità principale è la licenza non esclusiva, è consentito che lo stesso marchio sia
contemporaneamente utilizzato dal titolare e da uno o più concessionari. Quest’ultimo deve
utilizzare il marchio con caratteristiche uguali a quelle dei corrispondenti prodotti messi in
commercio dal titolare. La violazione espone alla sanzione della decadenza.
Il legislatore si preoccupa di prevenire e reprimere pericoli come
- Franchising -
Merchandising

9. L’INSEGNA
Contraddistingue i locali dell’impresa o più genericamente il complesso aziendale.
Art. 2568 non pu essere uguale a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con
conseguente obbligo di differenziazione.
L’insegna dovrà essere:
- Lecita
- Non dovrà contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico
- Sufficiente capacità distintiva
Il trasferimento pu avvenire, in materia trova applicazione la disciplina prevista sul trasferimento
del marchio.
La concorrenza sleale
La libertà di iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di più imprenditore
concorrenti fra loro per conquistare il potenziale pubblico dei consumatori.
Ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione, azione che pu diventare rude e pesante
dato che, in un sistema basato sulla concorrenza non è tutelabile.
E’ tuttavia interesse generale che la competizione si svolga in modo corretto e leale, da qui
l’esigenza a fissare talune regole.

Art. 2598-2601
nello svolgimento della competizione è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi
della correttezza professionale; i fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola sono atti di
concorrenza sleale. (2598)
Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo e senza colpa (2600); ed
anche se non hanno ancora recato un danno (2598).
Tanto è necessario e sufficiente perché scattino le sanzioni tipiche dell’inibitoria alla
continuazione degli atti e della rimozione degli effetti prodotti (2599).
Tutelato è anche il più generale interesse a che non vengano tratti in inganno i consumatori;
quest’ultimi non sono tutelati direttamente poiché solo gli imprenditori concorrenti sono tutelati
(2601).
Tuttavia all’originaria tutela dei consumatori:
- contro gli inganni pubblicitari ha infatti portato alla nascita del codice di autodisciplina
pubblicitaria.
- Disciplina contro tutte le pratiche scorrette commerciali.

Gli atti di concorrenza sleale


Sono definiti tutti dall’articolo 2598
Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie
atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi
legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con
qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attivita' di un
concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a
determinarne il discredito (atti di denigrazione), o si appropria di pregi dei prodotti o
dell'impresa di un concorrente.
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della
correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda; ad esempio la
concorrenza parassitaria, la sistematica vendita sotto costo dei prodotti, la sottrazione ad
un concorrente di dipendenti particolarmente qualificati.

10. PARTE SECONDA. LE SOCIETÀ


Il sistema legislativo
Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per l’esercizio
in comune di un’attività produttiva.
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi. Il legislatore nazionale pone infatti
a disposizione dell’autonomia privata otto tipi di società.
I tipi di società previsti sono: la società semplice, società in nome collettivo e società in
accomandita semplice che formano le società di persone; le società per azioni, la società in
accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata che formano le società di capitali; la
società cooperativa e le mutue assicuratrici; inoltre esistono altri due tipi di società regolate dal
diritto comunitario: la società europea e la società cooperativa europea.

Il contratto di società
Art 2247
“Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune
di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Questa è la nozione, anzi lo era fino al 93,
dato che il c.c. non consentiva la costituzione di società da parte di una sola persona. Oggi invece
questa possibilità è stata eccezionalmente prevista per la società a responsabilità limitata e anche
per la società per azioni, pertanto possono essere costituite anche con atto unilaterale.
Le società sono enti associativi a base contrattuale che si caratterizzano per la contemporanea
presenza di tre elementi:
a) I conferimenti dei soci
b) L’esercizio in comune di un‘attività economica
c) Lo scopo di divisione degli utili

I conferimenti
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano.
La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento
dell’attività di impresa. Infatti, col conferimento ciascun socio destina stabilmente parte della
propria ricchezza personale all’attività comune e si espone al rischio d’impresa.
Possono essere diversi sia l’oggetto che i conferimenti apportati dai soci. L’art 2247 stabilisce che
essi possono essere costituiti da beni e da servizi; ma si pu dire che esso trova piena
applicazione solo nelle società di persone e nella società a responsabilità limitata. Nelle altre
società di capitali e nelle società cooperativa non possono formare oggetto di conferimento “le
prestazioni d’opera o di servizi”.

Patrimonio sociale e capitale sociale


Il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società.
Esso è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci; subisce anche
variazioni qualitative e quantitative. La consistenza del patrimonio sociale è accertata
periodicamente tramite la redazione del bilancio d’esercizio. Si definisce patrimonio netto la
differenza positiva tra attività e passività.
Il patrimonio sociale (attivo patrimoniale) costituisce la garanzia principale per i creditori della
società. Garanzia principale se, per le obbligazioni sociali rispondono anche i soci col proprio
patrimonio. Garanzia esclusiva se si tratta di un tipo di società nel quale per le obbligazioni sociali
risponde solo la società col proprio patrimonio.
Il capitale sociale nominale è una cifra che esprime il valore in denaro dei conferimenti quale
risulta dall’atto costitutivo della società. Il capitale sociale nominale rimane immutato nel corso
della vita della società fino a quando, con modifica dell’atto costitutivo, non se ne decide l’aumento
o la riduzione. Il capitale sociale è quindi un valore storico. Assolve due fondamentale funzioni:
una funzione vincolistica e una organizzativa.
La cifra del capitale sociale indica la frazione del patrimonio netto non distribuibile fra i soci e
perci assoggettata ad u convolo stabile di destinazione all’attività sociale. Per evidenziare la
funzione vincolistica del capitale sociale nominale, la cifra è iscritta al passivo del patrimoniale. Il
capitale sociale nominale assolve poi una funzione organizzativa. Svolge un ruolo organizzativo
nelle società di capitali in quanto funge anche da base di misurazione di alcune fondamentali
situazioni soggettive dei soci, sia dei caratteri amministrativo, sia di carattere patrimoniale.
Tali diritti spettano infatti a ciascun socio in misura proporzionale alla parte del capitale sociale
sottoscritto.
Il capitale sociale nominale è nel contempo un fondamentale termine di riferimento per un ordinato
e corretto svolgimento delle vita sociale.

L’esercizio in comune di attività


L’esercito in comune dia attività economica è il secondo degli elementi caratterizzanti fissati dalla
nozione di società.
È questo il cosiddetto scopo-mezzo del contratto di società ed oggetto sociale si definisce la
specifica attività economica che i soci si propongono di svolgere.
Le società non possono essere costituite al solo scopo di consentire il godimento dei beni conferiti
dai soci. La disciplina in tal caso applicabile è infatti quella della comunione, non quella delle
società. La stessa attività pu costituire nel contempo godimento di beni preesistenti e attività
produttive di nuovi beni o servizi.
Certamente illegittime sono perci le società immobiliari di comodo; società il cui patrimonio attivo
è costituito esclusivamente dagli immobili conferiti dai soci e la cui attività si esaurisce nel
concedere tali immobili in locazione a terzi o agli stessi soci, senza produrre e fornire agli uni o agli
altri alcun servizio collaterale. Queste società costituite per ragioni di evasione fiscale, sono nulle,
anche se il fenomeno non è agevolmente reprimibile.
Non pu essere considerata società di mero godimento una società immobiliare che ha per
oggetto la gestione di un albergo o di un resine, utilizzando l’immobile conferito dai cosi. È
possibile d’altro canto che dalla comunione di passi alla società, ma è necessario che i
comproprietari si servano di beni relativi per l’esercizio di una comune attività di impresa.

Le società fra professionisti


L’attività dei professionisti intellettuali è attività economica, ma non è legislativamente considerata
attività di impresa.
la società fra professionisti va per innanzitutto tenuta distinta sa alcuni fenomeni contigui, che
pure vedono la partecipazione di professionisti ad una società: la società di mezzi tra professionisti
e la società di servizi imprenditoriali.
La cosiddetta società di mezzi fra professionisti è una società costituita da professionisti per
l’acquisto e la gestione in comune di beni strumentali all’esercizio individuale delle rispettive
professioni.
Le società di servizi imprenditoriali sono società che offrono sul mercato un servizio complesso,
per la cui realizzazione sono necessarie anche prestazioni i professionali dei soci o dei terzi.
Prestazioni che hanno pero carattere strumentale e servente rispetto al servizio unitario offerto
dalla società.
Veniamo cosi alle vere e proprie società fra professionisti, tali possono essere considerate le
società fra professionisti intellettuali che hanno come oggetto unico ed esclusivo l’esercizio in
comune dell’attività professionale agli stessi riservata per legge.
L’atto costitutivo della società tra professionisti deve prevedere l’esercizio in via esclusiva
dell’attività professionale da parte dei soci; pu trattarsi tuttavia anche di più attività professionali,
se i soci svolgono professioni diverse (c.d. società multiprofessionali).
La partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra
professionisti.
A tutela dell’utente, l’atto costitutivo deve prevedere che i criteri e modalità affinchè l’esecuzione
dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo da soci in possesso dei requisiti
per l’esercizio della prestazione professionale richiesta. L’utente ha diritto di chiedere che la
prestazione sia realizzato da un particolare socio professionista di sua fiducia; in caso contrario la
designazione viene effettuata dalla società e comunicato al cliente.
La società tra professionisti è tenuta ad iscriversi in un’apposita sezione speciale nel registro delle
imprese, con funzione di certificazione anagrafica e pubblicità notizia. La ragione o denominazione
sociale pu essere formata liberamente ma deve contenere l’indicazione società tra avvocati
(s.t.a.) o società tra professionisti. La responsabilità della società per l’inadempimento dell’incarico
professionale non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica
prestazione.
La società fra avvocati non è soggetta a fallimento in quanto non svolge attività di impresa.
Lo scopo-fine delle società
Una società pu essere costruita per svolgere attività di impresa con terzi allo scopo di conseguire
utili, destinati ad essere successivamente divisi fra i soci. È questo lo scopo tipico che il legislatore
assegna ad alcuni tipi di società: le società di persone e le società di capitali, definite società
lucrative.
Società sono pero anche le società cooperative e queste devono perseguire per legge uno scopo
mutualistico. Lo scopo cioè, di fornire direttamente ai soci beni, servizi od occasioni di lavoro a
condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato. Il loro scopo tipico
quello di procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto che potrà consistere in un risparmio di
spesa o in una maggiore remunerazione del lavoro prestato dai soci nella cooperativa. Tutti i tipi
di società ( tranne la società semplice) possono essere utilizzati anche per la realizzazione di uno
scopo consortile. Una società consortile è tenuta ad operare con metodo economico e per la
realizzazione di uno scopo economico dai soci, consiste in un particolare vantaggio patrimoniale
degli imprenditori consorziati: minori costi o maggiori guadagni nelle loro imprese.
In definitiva abbiamo tre grandi categorie di società: società lucrative (art 2247), società
mutualistiche (art 2511) società consortili (art 2615-ter)
Un dato comunque resta costante, le società sono enti associativi che operano con metodo
economico e per la realizzazione un risultato economico a favore esclusivo dei soci.
Esistono anche altre società come le società “benefit”. Una società benefit è una società che oltre
allo scopo lucrativo o mutualistico previsto in base al tipo di appartenenza, persegue anche una o
più finalità di beneficio comune nei confronti di comunità, ambiente, cultura etc. Le finalità di
beneficio comune devono essere specificate nell’oggetto sociale

Tipi di società
Classificazioni
Gli otto tipi di società possono essere aggregati in categorie omogenee sulla base di alcuni
fondamentali criteri di classificazione.
Una prima distinzione, è quella basata sullo scopo istituzionale perseguibile. Sotto questo profilo le
società cooperative e le società assicuratrici (società mutualistiche) si contrappongono a tutti gli
altri tipi di società, definiti come società lucrative.
Una seconda distinzione è quella basata sulla natura dell’attività esercitabile. La società semplice
è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale (art 2249). Tutte le altre società
lucrative possono esercitare sia attività commerciale sia attività non commerciale e sono sempre
soggette ad iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale. Per quest’ultima
caratteristica si definiscono società di tipo commerciale
Altra distinzione legislativa è quella fra società dotate di personalità giuridica e società prive di
personalità giuridica. Hanno personalità giuridica le solita di capitali e le società cooperative. Ne
sono invece prive le società di persone.
Aspetti organizzativi nelle società di capitali in quanto società con personalità giuridica:
A) è legislativamente prevista ed è inderogabile un’organizzazione di tipo corporativo;
un’organizzazione cioè basata sulla necessaria presenza di una pluralità di organi (assemblea,
organo di gestione e organo di controllo) dove ciascun organo ha le proprie competenze
B) Il funzionamento degli organi sociali è denominato dal principio maggioritario. L’assemblea
delibera a maggioranza anche le modifiche dell’atto costitutivo e le maggioranze assembleari
sono calcolate in base alla partecipazione di ciascun socio al capitale sociale, non per teste.
C) Il singolo socio in quanto tale non ha alcun potere diretto di amministrazione e di controllo; ha
solo il diritto di concorrere, con il suo voto in assemblea, alla designazione dei membri
dell’organo amministrativo e/o di controllo.

Nelle società di persone invece:


A) Non è prevista un’organizzazione basata sulla presenza di una pluralità di organi
B) L’attività della società si fonda su un modello organizzativo che, per un verso, riconosce ad
ogni socio a responsabilità illimitata il potere di amministrare la società (art 2257) e per altro e
all’opposto, richiede di regola il consenso di tutti i soci per le modificazioni dell’atto costitutivo
( art 2252);
C) Il singolo socio a responsabilità illimitata è in quanto tale investito del potere di
amministrazione e di rappresentanza della società e ci indipendentemente dall’ammontare del
capitale conferito e della consistenza del suo patrimonio personale
Ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali.
Sotto questo profilo vi sono:
1) le società nelle quali per le obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociale sia i singoli
soci personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile o con possibilità di deroga pattizia
per i soci non amministratori (società semplice)
2) Società, come l’accomandita semplice e per azioni, nelle quali coesistono istituzionalmente
soci a responsabilità illimitata (gli accomandatari) e soci a responsabilità limitata (gli
accomandanti)
3) Società, infine, nelle quali per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la società col
proprio patrimonio.

Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale delle società


Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale costituiscono due diverse tecniche legislative per
realizzare un medesimo disegno di politica economica, volto a creare le condizioni di diritto privato
più propizie per per la diffusione e lo sviluppo delle imprese societarie. Condizioni che risiedono:
A) Nella previsione di un’adeguata tutela dei creditori delle imprese societarie, realizzata
facendo del patrimonio delle società un patrimonio in via di principio aggregabile solo dai
creditori sociale e non anche dai creditori personali dei soci;
B) Nel consentire a quanti costituiscono una società di creare un diaframma fra il proprio
patrimoniale personale e le obbligazioni contratte nell’esercizio dell’impresa comune. Nelle
società di capitali e nelle società cooperative questo duplice obiettivo è conseguibile in modo
diretto e lineare con il riconoscimento della personalità giuridica. In quanto persone
giuridiche, queste società sono per legge trattate come soggetti di diritto formalmente distinti
dalle persone dei soci. La società gode, perci , di una piena e perfetta autonomia
patrimoniale. In sintesi, attraverso il riconoscimento della personalità giuridica, il patrimonio
sociale è reso autonomo rispetto a quello dei soci e quello dei soci è reso autonomo rispetto
a quello della società.
Alle società di persone il legislatore ha negato la personalità giuridica, nel contempo ha per
provveduto a soddisfare le esigenze di tutela dei creditori sociali e di incentivazione dei soci con
specifiche disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo rispetto a quello dei
soci, oltre che stabilmente vincolato allo svolgimento dell’attività di impresa.
Infatti, nelle società di persone:
A) i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi.
B) I creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci
illimitatamente responsabili. È necessario che prima tentino di soddisfarsi sul patrimonio della
società e solo dopo aver infruttuosamente escusso il patrimonio sociale potranno agire nei
confronti dei soci.
In sintesi, anche nelle società di persone il patrimonio della società è (relativamente) autonomo
rispetto a quello dei soci; il patrimonio dei soci è (relativamente) autonomo rispetto a quello della
società.

Le società di persone se pur prive di personalità giuridica, costituiscono soggetti di diritto distinti
dalle persone dei soci, secondo l’articolo 2266: “la società acquista diritti e assume obbligazioni
per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi”.
È quindi la società che diventa titolare dei diritti e delle obbligazioni relative, al pari di qualsiasi
altro soggetto di diritto.
Ne consegue che nelle società di persone:
A) i beni sociali non sono beni in comproprietà “speciale” fra i soci, bensì beni in proprietà della
società
B) Le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci ma obbligazioni della società,
cui si aggiunge a titolo di garanzia la responsabilità di tutti o di alcuni dei soci;
C) Imprenditore è la società non il gruppo di soci, anche se il fallimento della società determina
automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili.

Tipi di società ed autonomia privata


Secondo l’articolo 2249 comma1: chiunque pu costituire una società ed è libero di scegliere fra
tutti i tipi di società previsti dalla legge se l’attività da esercitare non è commerciale; fra tutti i tipi
tranne la società semplice se l’attività è commerciale
Secondo l’articolo 2249 comma2: se l’attività non è commerciale la scelta del tipo è necessaria
solo se le parti vogliono sottrarsi al regime della società semplice.
La società semplice e la società in nome collettivo costituiscono i regimi residuali dell’attività
societaria , rispettivamente commerciale e non commerciale. Una società con oggetto non
commerciale è una società semplice ed una società con oggetto commerciale è una società in
nome collettivo, se le parti non hanno manifestato una diversa scelta.
I modelli organizzativi fissati dal legislatore per i singoli tipi di società non sono del tutto rigidi e
consentono un parziale adattamento alle esigenze del caso concreto. È necessario pero che le
clausole a tal fine introdotte nell’atto costitutivo non siano incompatibili con la disciplina del tipo di
società prescelto.
È invece inammissibile la creazione di un tipo di società del tutto inconsueto e stravagante, che
non corrisponde ad alcuno dei modelli legislativi previsti.

11.LA SOCIETÀ DI PERSONE


Società semplice, in nome collettivo e la società in accomandita semplice formano la categoria
delle società di persone.
1. La società semplice (Art.2251-2290) è un tipo che pu esercitare solo attività non
commerciale.
2. La società in nome collettivo (Art. 2291-2312) è un tipo che pu essere utilizzato sia per
l’esercizio di attività commerciale, sia per l’esercizio di attività non commerciale. Tutti i
soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali (art. 2291).
3. La società in accomandita semplice (Art. 2313-2324) si caratterizza per la presenza di
due categorie di soci
a. Soci accomandatari, rispondono solidalmente per obbligazioni sociali
b. Soci accomandanti, rispondono limitatamente alla quota conferita.
La società semplice ha un particolare rilievo nell’ambito delle società di persone. Infatti, la
disciplina per essa dettata è in linea di principio applicabile anche alla collettiva ed
all’accomandita semplice per i rinvii operati dal legislatore.
Ma qui si esaurisce la sua importanza poiché ne circoscrive l’utilizzabilità solo nel settore agricolo.
Si consiglia di osservare in modo unitario società semplice e collettiva, formando così uno ‘’statuto
generale’’ delle società di persone.

La costituzione della società


Art. 2251 Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste
dalla natura dei beni conferiti.
Oggi è prevista l’iscrizione nel registro delle imprese, nella sezione speciale, ottenendo al giorno
d’oggi anche l’efficacia di pubblicità legale all’iscrizione delle società semplici. Il contratto pu
essere concluso anche verbalmente o pu risultare da comportamenti concludenti; l’eventuale
silenzio delle parti viene colmato dal legislatore con norme suppletive. Regole non diverse
valgono per la nascita della società in nome collettivo. E’ vero che sono dettate regole di forma
(Art. 2296) e di contenuto (Art. 2295) per l’atto costitutivo; per prescritte solo ai fini dell’iscrizione
nel registro delle imprese. Iscrizione che, a differenza della società semplice, è condizione di
regolarità della società, ma non elevata condizione di esistenza della stessa.
I rapporti fra società e terzi vengono regolati sotto alcuni aspetti dalla disciplina della società
semplice (Art. 2297).
Da qui la distinzione fra società in nome collettivo
-Regolare, iscritto nel registro -
Irregolare, non iscritto
Perci solo ai fini della registrazione e della regolarità della società, l’atto costitutivo deve essere
redatto per atto pubblico o scrittura privata autentica. Deve inoltre contenere:
1. Generalità dei soci
2. Ragione sociale
3. I soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza
4. La sede della società
5. L’oggetto sociale
6. I conferimenti
7. Prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera
8. I criteri di ripartizione
9. La durata della società
Art. 2251 la libertà di forma per la costituzione delle società di persone incontra un limite quando
forme speciali sono richieste dalla natura dei beni conferiti.

Società di fatto, società occulta, società apparente


La società di fatto
per la costituzione di una società di persone non è necessario l’atto scritto. Il contratto di società si
pu perfezionare anche per fatti concludenti.
E’ regolata dalle norme della società semplice se l’attività esercitata non è commerciale; dalla
collettiva irregolare se l’attività è commerciale.
Una società di fatto che esercita attività commerciale è esposta al fallimento al pari di ogni
imprenditore commerciale. Ed il fallimento della società determina automaticamente il fallimento di
tutti i soci.
L’esteriorizzazione della qualità di socio non è quindi necessaria. L’aver tenuto celata ai terzi la
propria partecipazione ad una società di fatto non esonera da responsabilità per le obbligazioni
sociali e dal fallimento.

Società occulta
la società costituita con l’espressa e concorde volontà dei soci di non rivelarne l’esistenza
all’esterno. La società occulta pu essere una società di fatto, ma pu risultare anche da un atto
scritto tenuto ovviamente segreto dei soci; l’attività di impresa deve essere svolta ed è svolta per
conto della società, ma senza spenderne il nome. La società esiste nei rapporti interni fra i soci,
ma non viene esteriorizzata.
Nei rapporti esterni l’impresa si presenta perci come impresa individuale di uno dei soci o anche
di un terzo, che operano spendendo il proprio nome.
Lo scopo che le parti si presuppongono col patto di non esteriorizzazione della società è quello di
limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio del solo gestore; evitando così che la
società sia esposta al fallimento.
La mancata esteriorizzazione della società non impedisce ai terzi di invocare la responsabilità
anche della società occulta e degli altri soci; necessario e sufficiente a tal fine, si afferma che, è
che i terzi provino a posteriori l’esistenza del contratto di società e che gli atti posti in essere dal
soggetto agente in proprio nome siano comunque riferibili a tale società, sia pure non
esteriorizzata. Perci , dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale, il fallimento viene
esteso alla società ed agli altri soci occulti.
La recente riforma del diritto fallimentare ha recepito questo orientamento, nuovo Art 147; comma
5, in sostanza la legge tratta allo stesso modo il socio occulto di società (di fatto) palese e la
società occulta.
In entrambi i casi ritiene non necessaria l’esteriorizzazione e sufficiente la prova dell’esistenza del
contratto di società nei rapporti interni.
Sono così considerato indici probatori
- Sistema finanziamento di un imprenditore individuale anche attraverso il rilascio di fideiussioni
omnibus
- La partecipazione a trattative di affari con fornitori
- Compimento di atti di gestione
- Prelievo di somme di pertinenza dell’impresa
Questa parificazione, a livello fallimentare, non deve essere fraintesa.
A. Socio occulto di società palese, l’attività di impresa è svolta in nome della società. La
partecipazione alla società è titolo sufficiente a fondare la responsabilità ed il fallimento sia
dei soci sia di quelli occulti.
B. Società occulta, l’attività d’impresa è svolta in nome proprio ovvero agendo come
mandatario senza rappresentanza della società occulta.
Art. 1705 a lui sono imputati tutti gli atti d’impresa e relativi effetti.
A diversa conclusione si potrebbe giungere solo ammettendo che, ai fini dell’imputazione della
responsabilità per debiti d’impresa, vale non solo il criterio formale ma anche sostanziale della
titolarità dell’interesse; escludendo che la società occulta sia direttamente responsabile verso i
terzi per le obbligazioni contratte per conto della stessa, ma in nome proprio, dall’imprenditore
individuale, affinché quest’ultimo non è dichiarato fallito. L’imprenditore individuale potrà agire nei
confronti della società e dei soci occulti per farsi somministrare:
Art. 1719 i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni
che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome.

Società apparente
Capita spesso che il giudice si convinca che dietro un imprenditore individuale, insolvente, ci sia
una società.
Se il giudice è proprio convinto, il tribunale fallimentare si limita a prevenire possibili obiezioni sulla
prova dell’esistenza della società invocando il principio dell’apparenza. La giurisprudenza afferma
infatti che una società, ancorché non esistente nei rapporti tra i presunti soci, deve tuttavia
considerarsi esistente all’esterno quando due o più persone operino in modo da ingenerare nei
terzi la ragionevole opinione che essi agiscono come soci e quindi da determinare in essi
l’incolpevole affidamento circa l’esistenza effettiva della società.
I conferimenti
con la costituzione della società il socio assume l’obbligo di effettuare i conferimenti determinati
nel contratto sociale.
La determinazione del conferimento dovuto da ciascun socio non è per condizione essenziale per
la valida costituzione delle società di persone.
Art. 2253; 2 comma se i conferimenti non sono determinati si presume che i soci siano obbligati a
conferire, in parti uguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale. I
beni conferibili, nessuna limitazione è posta per essi. Di conseguenza nelle società di persone pu
essere conferita ogni entità suscettibile di valutazione economica ed utile per il conseguimento
dell’oggetto sociale.
Il codice detta poi una specifica disciplina per alcuni tipi di conferimenti
1. Conferimento di beni in proprietà:
Art. 2254, comma 1 la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme
sulla vendita ***
2. Conferimento di beni in godimento: art. 2254, comma 2il rischio resta a carica del socio che le
ha conferite.
Questi potrà perci essere escluso dalla società qualora la cosa perisca o il godimento diventi
impossibile per causa non imputabile agli amministratori.
Il bene conferito resta di proprietà del socio; la società ne pu godere, ma non ne pu disporre.
3. Conferimenti di crediti
Il socio che conferisce crediti risponde nei confronti della società dell’insolvenza del debitore
ceduto nei limiti del valore assegnato al suo conferimento. Art. 2255 se non versa tale
valore pu essere escluso dalla società
4. Socio d’opera
Nelle società di persone il conferimento pu infine essere costituito anche dall’obbligo del socio di
prestare la propria attività lavorativa a favore della società. Non è un lavoratore subordinato, il
compenso per il suo lavoro è rappresentato dalla partecipazione ai guadagni della società. Il socio
d’opera rischia la sua posizione invano, infatti i soci possono escluderlo per la sopravvenuta
inidoneità a svolgere l’opera conferita.

Patrimonio sociale e capitale sociale


I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società. Questa, in particolare, diventa
proprietaria dei beni conferiti a tal titolo dai soci. I soci non possono pertanto servirsi delle cose del
patrimonio sociale, per fini estranei a quella della società (Art. 2256).
Ci nonostante, una disciplina del capitale sociale è del tutto assente nella società semplice. Anzi,
non è neppure richiesta la valutazione iniziale dei conferimenti; non è obbligata alla tenuta delle
scritture contabili ed alla redazione annuale del bilancio.
Nelle società in nome collettivo è prescritto che l’atto costitutivo indichi non solo i conferimenti dei
soci, ma anche il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione (Art. 2295). Non è per dettata
alcuna disciplina per la determinazione del valore dei conferimenti diversi dal danaro, che perci è
rimessa alla libertà delle parti.
L’art. 2303 vieta la ripartizione fra i soci di utili non realmente conseguiti; stabilisce anche che, se
si verifica una perdita del capitale sociale, non pu farsi luogo alla ripartizione di utili fino a che il
capitale non si sia reintegrato.
L’art. 2306 -vieta agli amministratori di rimborsare ai soci i conferimenti in assenza di una specifica
deliberazione di riduzione del capitale sociale.
L’operazione comporta una riduzione netta del patrimonio netto ed è pertanto riconosciuto, ai
creditori sociale, il diritto di opporsi alla riduzione del capitale.

La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite


Tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili e partecipano alle perdite della gestione sociale,
non è in particolare necessario che la ripartizione sia proporzionale ai conferimenti. Il solo limite
posto all’autonomia privata è rappresentato dal divieto di patto leonino.
Art. 2265 è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o
alle perdite.
Art. 2263 Nulla è in via di principio solo il patto leonino con la conseguenza che troveranno
applicazione i criteri legali di ripartizione degli utili e delle perdite previsti per l’ipotesi in cui l’atto
costitutivo nulla disponga al riguardo. Vale a dire che:
a. Se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si
presumono proporzionali ai conferimenti
b. Se, come è possibile, neppure il valore dei conferimenti è stato determinato, le parti si
presumono uguali
c. Se è determinata soltanto la parte di ciascuno nei guadagni, si presume che nella stessa
misura debba determinarsi la partecipazione alle perdite. Ed è da ritenersi che valga
anche la regola inversa.
Infine, la parte spettante al socio d’opera, non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice
secondo equità.
Il diritto agli utili è differente
- Nella società semplice, il diritto del socio di percepire la sua parte di utili nasce con
l’approvazione del rendiconto.
- Nella società in nome collettivo il documento destinato all’accertamento degli utili e delle
perdite è invece un vero e proprio bilancio di esercizio.
Il bilancio d’esercizio deve essere predisposto dai soci amministratori e deve competere tutti i soci.
L’approvazione del bilancio è condizione sufficiente perché ciascun socio possa pretendere
l’assegnazione della sua parte di utili.
L’art. 2262 salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo
l’approvazione del rendiconto.
Di ripartizione periodica non se ne parla per le perdite risultanti dal bilancio. Le perdite incidono
direttamente sul valore della singola partecipazione sociale riducendolo proporzionalmente, e in
sede di liquidazione, il socio si vedrà rimborsare una somma inferiore al valore originario del
capitale conferito.

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali


Nelle società semplice e nelle società in nome collettivo delle obbligazioni sociali risponde la
società col proprio patrimonio, che costituisce perci la garanzia primaria di quanti concedono
credito alla società e rispondono personalmente ed illimitatamente anche i singoli soci. Nella
società semplice, la responsabilità personale di tutti i soci non è principio inderogabile. La
responsabilità dei soci non investiti del potere di rappresentanza della società pu essere infatti
esclusa o limitata da un apposito patto sociale.
Nella società in nome collettivo, la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è inderogabile.
L’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi.
In entrambe, viene estesa anche ai nuovi soci.
Inoltre, lo scioglimento del rapporto sociale per morte, recesso o esclusione, non fa venir meno la
responsabilità personale del socio per le obbligazioni anteriori al verificarsi di tali eventi. La norma
è dettata in tema di società semplice ed è applicabile anche alla collettiva irregolare. Nella
collettiva regolare, invece, l’opponibilità ai terzi delle cause di scioglimento del rapporto sociale
resta soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto costitutivo (Art.
2300)

Responsabilità della società e responsabilità dei soci


Nella società semplice e in nome collettivo i creditori sociali hanno di fronte a sé più patrimoni su
cui soddisfarsi: il patrimonio della società ed il patrimonio dei singoli soci illimitatamente
responsabili.
I soci sono responsabili in solido fra loro, ma sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla
società in quanto godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale (Art. 2268\
2304).
Il beneficio di preventiva escussione opera per diversamente
1. Nelle società semplici, il creditore sociale pu rivolgersi direttamente al singolo socio
illimitatamente responsabile e sar questi a dover invocare la preventiva escussione del
patrimonio sociale indicando, specifica l’art. 2268, i beni sui quali il creditore possa
agevolmente soddisfarsi.
2. Nelle società in nome collettivo irregolare, si applica stessa disciplina ma ferma restando la
responsabilità solidale ed illimitata di tutti i soci.
3. Nelle società in nome collettivo regolari, il beneficio di escussione è più intenso; opera
automaticamente.
Art. 2304 i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dei singoli soci, se non dopo
l’escussione del patrimonio sociale; è necessario altresì che abbia infruttuosamente esperito
l’azione esecutiva sul patrimonio sociale.
I creditori personali dei soci
Il patrimonio della società è insensibile alle obbligazioni personali dei soci ed intangibile da parte
dei creditori di questi ultimi.
Il creditore personale del socio non pu in alcun caso aggredire direttamente il patrimonio sociale
per soddisfarsi.
Art. 2271 non pu compensare il suo credito verso il socio con il debito che eventualmente abbia
verso la società.
Il creditore personale del socio è previsto di tutela:
- Pu far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore
- Compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nelle liquidazioni della società - Pu
chiedere anche la liquidazione della quota del suo debitore, deve solo far provare che gli altri
beni del suo debitore non sono sufficienti a soddisfare i suoi crediti (solo in società semplice e
in nome collettivo irregolare)
La società sarà tenuta, entro tre mesi, a versare una somma in danaro corrispondente alla quota
al momento della domanda.
- Il creditore particolare del socio, affinché dura la società non pu chiedere la liquidazione della
quota del socio debitore.
Tale regola vale tuttavia fino alla scadenza della società fissata nell’atto costitutivo.

L’amministrazione della società


È l’attività di gestione dell’impresa sociale. Il potere di amministrare è il potere di compiere tutti gli
atti che rientrano nell’oggetto sociale.
Art. 2257 Per legge ogni socio illimitatamente responsabile è amministratore della società.
Quando l’amministrazione spetta a più soci, trova applicazione il modello legale
dell’amministrazione disgiuntiva, ciascun socio pu intraprendere da solo tutte le operazioni che
rientrano nell’oggetto sociale, senza essere tenuto a richiedere il consenso o il parere degli altri
soci.
L’ampio potere di iniziativa individuale è tuttavia temperato dal diritto di opposizione riconosciuto a
ciascuno degli altri soci amministratori. L’opposizione deve essere esercitata prima che
l’operazione sia stata compiuta paralizzando così il potere decisorio del singolo amministratore.
Sulla fondatezza dell’operazione decide infatti la maggioranza dei soci, si tratta di una
maggioranza per quote d’interesse.
Art. 2558 L’amministrazione congiunta, al contrario, deve essere espressamente convenuta
nell’atto costitutivo. Necessario è il consenso di tutti i soci per il compimento delle operazioni
sociali. L’atto costitutivo pu prevedere per l’amministrazione sia necessario il consenso della
maggioranza.
Pu quindi atteggiarsi sia come unanimità sia come a maggioranza. La maggior rigidità della
congiunta è per temperata dal riconoscimento ai singoli amministratori del potere di agire
individualmente quando vi sia urgenza di evitare un danno alla società. Amministrazione
disgiunta e congiunta possono essere fra loro combinate.

Amministrazione e rappresentanza
Fra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge investiti vi è anche quella di rappresentanza
della società.
Art. 2266 il potere di rappresentanza è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della
società, dando luogo all’acquisto di diritti e all’assunzione di obbligazioni da parte della stessa e
rappresenta l’amministrazione esterna.
Si distingue dal potere di gestione, riguarda l’attività amministrativa interna.
La rappresentanza della società spetta a ciascun socio, disgiuntamente o congiuntamente. Nel
caso di amministrazione disgiunta, ogni amministratore pu perci solo decidere e da solo
stipulare atti in nome della società.
Nell’amministrazione congiunta, i soci devono partecipare alla stipulazione dell’atto.
Secondo il modello legale, sia il potere di gestione sia quello di rappresentanza si estendono a tutti
gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
Art. 2266, comma 1 La rappresentanza non è solo sostanziale ma anche processuale: la società
pu agire o pu essere convenuta in giudizio in persona dei soci amministratori che ne hanno la
rappresentanza.
L’atto costitutivo pu tuttavia prevedere una diversa regolamentazione poiché pu :
- Riservare la rappresentanza legale della società solo ad alcuni soci amministratori.
- Stabilire per la rappresentanza modalità di esercizio diverse da quelle valevoli per il potere di
gestione.
- Limitare l’estensione del potere di rappresentanza del singolo amministratore.
- Prevedere la firma disgiunta per gli atti che non superano un dato importo o per quelli di ordinaria
amministrazione
La previsione di limitazioni convenzionali al potere di rappresentanza solleva il problema della loro
opponibilità ai terzi che entrano in contatto con gli stessi.
1. Società in nome collettivo, è risolto attraverso la pubblicità legale.
Le limitazioni del potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi se non sono iscritte nel
registro delle imprese.
2. Società in nome collettivo regolare, l’omessa registrazione si ritorce contro i soci essendo
tutelato l’affidamento dei terzi sulla corrispondenza della situazione di fatto al modello legale di
rappresentanza.
3. Società semplice, le limitazioni sono sempre opponibili ai terzi, sempre se su costoro incombe
l’onere di accertare se il socio che agisce in nome della società abbia il potere di
rappresentanza.

I soci amministratori
La regola secondo cui ogni socio illimitatamente responsabile è amministratore della società ha
carattere dispositivo. L’atto costitutivo pu riservare l’amministrazione solo ad alcuni soci, dando
così luogo alla distinzione fra soci amministratori e soci non amministratori. In tal caso, i soci
investiti dell’amministrazione possono essere nominati direttamente nell’atto costitutivo o con atto
separato.
La distinzione fra amministratori nominato nell’atto costitutivo e amministratori nominati con atto
separato acquista rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare (Art. 2259). la revoca
dell’amministratore nominato nel contratto sociale comporta una modifica di quest’ultimo; deve
essere perci decisa dagli altri soci all’unanimità.
Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli amministratori, l’Art. 2260 stabilisce che essi sono
regolati dalle norme sul mandato.
Poteri l’amministratore è investito per legge del potere di compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale. Dai poteri degli amministratori restano esclusi solo gli atti che comportano
modificazione del contratto sociale.
Doveri numerosi e articolati sono poi i doveri specifici che incombono sugli amministratori. In
particolare, nella società in nome collettivo essi devono tenere le scritture contabili e redigere il
bilancio d’esercizio; devono inoltre provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione
nel registro delle imprese.
Responsabilità gli amministratori sono poi solidalmente responsabili verso la società, con
conseguente obbligo di risarcire i danni alla stessa arrecati. Tuttavia la responsabilità non si
estende agli amministratori che dimostrano di non avere colpe.
Compenso in applicazione della disciplina del mandato, i soci amministratori avranno di regola
diritto al compenso per il loro ufficio.

I soci non amministratori


Art 2261 ai soci esclusi dall’amministrazione sono riconosciuti ampi poteri di informazione e di
controllo. Ogni socio non amministratori ha
a. Il diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali
b. Il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione
c. Il diritto di ottenere il rendiconto al termine di ogni anno
Nella società in nome collettivo incombe un altro obbligo, quello di non esercitare per conto proprio
un’attività concorrente con quella della società.

Le modificazioni dell’atto costitutivo


Art. 2252 Nelle società semplice e in nome collettivo il contratto sociale pu essere modificato
soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente.
Nessun patto contrattuale è modificabile senza il consenso di tutti e quindi di ciascun socio. Fra le
modificazioni del contratto sociale rientrano anche i mutamenti nella composizione della
compagine sociale. Per il rapporto fiduciario, il consenso di tutti gli altri soci è perci necessario per
il trasferimento della quota sociale sia fra vivi che a causa di morte. Pu per stabilire la libera
trasferibilità fra vivi della quota e\o la continuazione della società con gli eredi del socio defunto.
Le modificazioni dell’atto costitutivo sono soggette a pubblicità legale e affinché non sono state
iscritte nel registro delle imprese non sono opponibili ai terzi.
Nella collettiva irregolare, le modificazioni devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi
idonei.
La modifica pu avvenire anche per maggioranza ma, non sono sempre senza limiti perché si
devono seguire due principi generali:
1. L’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede
2. Rispetto della parità di trattamento fra i soci
Scioglimento del singolo rapporto sociale
Il singolo socio pu cessare di far parte della società per morte, recesso o esclusione. Il
venir meno di uno o più soci non determina in alcun caso lo scioglimento della società, è
rimesso ai soci superstiti il decidere se potte fine alla società o continuarla.
Il principio di conservazione della società opera anche quando resta un solo socio, il venir meno
della pluralità dei soci opera come causa di scioglimento della società solo se la pluralità non è
ricostruita nel termine dei sei mesi (Art. 2272).
Se muore un socio, i soci superstiti sono per legge obbligati a liquidare la quota del socio defunto
ai suoi eredi nel termine di sei mesi. In alternativa i soci superstiti possono decidere
- Lo scioglimento anticipato della società
- La continuazione della società con gli eredi del socio defunto
Art. 2285 il recesso è lo scioglimento del rapporto sociale per volontà del socio
Se la società è a tempo indeterminato, ogni socio pu recedere liberamente.
Se la società è a tempo determinato, il recesso è ammesso per legge solo se sussiste una giusta
causa.
Un’altra delle cause dello scioglimento parziale del rapporto sociale è costituita dall’esclusione
del socio dalla società. Essa in alcuni casi ha luogo di diritto; in altri è facoltativa ovvero è
rimessa alla decisione degli altri soci. E’ escluso di diritto: a. Il socio dichiarato fallito
b. Il socio il cui creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota
I fatti che legittimano la società a deliberare l’esclusione di un socio sono stabiliti dall’Art. 2286 e
possono essere raggruppati in tre categorie
1. Gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale 2.
L’interdizione, l’inabilitazione del socio o la sua condanna ad una pena che comporti
l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici.
3. Casi di sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile al
socio
Art. 2287 L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, non
computandosi nel numero il socio da escludere. La deliberazione deve essere comunicata al socio
escluso ed ha effetti decorsi trenta giorni dalla data di comunicazione.
Art. 2287 Questo procedimento non è evidentemente possibile quando la società è composta da
due soli soci. In tal caso l’esclusione di uno di essi è pronunciata direttamente dal tribunale su
domanda dell’altro.

La liquidazione della quota


In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scoglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi
hanno diritto alla liquidazione della quota sociale.
Art. 2289 hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. Ne
pu pretendere la restituzione dei beni conferiti in godimento fin quando dura la società, salvo che
non sia stato diversamente pattuito.
Il valore della quota è determinato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in
cui si verifica lo scioglimento del rapporto, tenendo conto anche dell’esito delle eventuali
operazioni ancora in corso. Nella situazione patrimoniale va determinato attribuendo ai beni il loro
valore effettivo, nonché del valore dell’avviamento dell’azienda, degli utili e delle perdite. Il
pagamento della quota spettante al socio deve essere effettuato entro sei mesi ove si verifica lo
scioglimento del rapporto.

Scioglimento della società


Art. 2272 le cause di scioglimento della società semplice, valide anche per la collettiva.
1. Il decorso del termine fissato nell’atto costitutivo
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo 3. La
volontà di tutti i soci
4. Il venire meno della pluralità dei soci, se nel termine entro sei mesi questa non è ricostituita
5. Altre cause previste dal contratto sociale
Art. 2308 Sono poi cause specifiche di scioglimento della società in nome collettivo, il fallimento
della stessa ed il provvedimento dell’autorità governativa con cui si dispone la liquidazione coatta
amministrativa della società.
Verificatasi una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di liquidazione e
nella società in nome collettivo tale situazione deve essere espressamente indicata negli atti e
nella corrispondenza.
La società non si estingue direttamente, si deve prima provvedere al soddisfacimento dei creditori
sociali ed alla distribuzione fra i soci dell’eventuale residuo attivo.

Il procedimento di liquidazione, l’estinzione della società.


Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il
consenso di tutti i soci se nell’atto costitutivo non è diversamente previsto.
Art. 2275, comma 1 In caso di disaccordo fra i soci, i liquidatori sono nominati dal presidente del
tribunale.
Comma 2 i liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal
tribunale per giusta causa, su domanda di uno o più soci.
Con l’accettazione della nomina i liquidatori prendono il posto degli amministratori. Questi devono
consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare loro il conto della gestione
relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto.
Art. 2777 gli amministratori e i liquidatori devono poi redigere insieme l’inventario dal quale risulta
lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale.
Entrano così in funzione i liquidatori, il cui compito è quello di definire i rapporti che si ricollegano
all’attività sociale:
1. conversione in danaro dei beni
2. pagamento dei creditori
3. ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo.
Art. 2278 i liquidatori perci possono compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione e, se i
soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche in blocco i beni aziendali. 2
comma in particolare possono chiedere, per procedere al pagamento dei creditori sociali, ai
soci i versamenti ancora dovuti, ma solo se i fondi disponibili risultano insufficienti. Sui
liquidatori incombono dei divieti:
a. Non possono intraprendere nuove operazioni, se violano tale divieto essi rispondono
personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi.
b. Non possono ripartire fra i soci i beni sociali affinché i creditori sociali non siano stati pagati.

Per il resto gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono regolati dalle norme stabilite per gli
amministratori (art 2276 c.c.).
Estinti tutti i debiti sociali, la liquidazione si avvia all’epilogo con la ripartizione tra i soci
dell’eventuale dell’attivo patrimoniale residuo convertito in danaro.
Il saldo attivo di liquidazione è destinato innanzitutto al rimborso del valore nominale dei
conferimenti.
L’eventuale eccedenza è poi ripartita tra tutti i soci in proporzione della partecipazione di
ciascuno nei guadagni (art 2282 c.c.).
Nella società in nome collettivo, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione e il
piano di riparto (art 2311 c.c.): - Il primo è il rendiconto della gestione
- Il secondo è una proposta di divisione tra i soci dell’attivo residuo
Con l’approvazione del bilancio, i liquidatori sono liberati di fronte ai soci e il procedimento di
liquidazione ha termine.
Nella società in nome collettivo irregolare la chiusura del procedimento di liquidazione determina
l’estinzione della società.
Principi diversi valgono per la società in nome collettivo registrata, nonché per la società semplice,
in seguito alla recente previsione di un regime di pubblicità legale.
Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della
società dal registro delle imprese (art 2312 c.c.). La cancellazione pu anche essere disposta
d’ufficio.
Con la cancellazione dal registro delle imprese, la società si estingue, quandanche non tutti i
creditori sociali siano stati soddisfatti. I creditori insoddisfatti non sono per senza tutela: essi
possono agire nei confronti dei soci, che restano personalmente responsabili per le obbligazioni
sociali insoddisfatte.
Possono inoltre agire anche nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è imputabile a
colpa o dolo di questi ultimi.
I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società entro
un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Se, per , la cancellazione è stata disposta d’ufficio, è eccezionalmente fatta salva la facoltà per il
creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività.
12. SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
Nozione e caratteri distintivi
La società in accomandita semplice è una società di persone che si differenzia dalla società in
nome collettivo per la presenza di due categorie di soci:
A) i soci accomandatari che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali
B) I soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita
L’amministrazione della società compete esclusivamente ai soci accomandatari, gli accomandanti
sono esclusi dalla direzione dell’impresa
La disciplina della società in accomandita semplice è modellata su quella della società in nome
collettivo (art 2135), con gli adattamenti imposti dalla presenza du due categorie di soci con diversi
poteri e con diverse responsabilità per le obbligazioni sociali.
L’accomandita semplice è il solo tipo di società di persone che consente l’esercizio in comune di
un’impresa commerciale con limitazione del rischio e non esposizione a fallimento personale per
alcuni soci (gli accomandanti). Per questo motivo è un tipo di società che potrebbe prestarsi ad
abusi gravi. Infatti, servendosi di un accomandatario di paglia (nullatenente), i soci accomandanti
potrebbero in fatto cumulare i vantaggi della società di persone (esercizio personale e diretto del
potere di direzione dell’impresa), con quelli delle società di capitali ( beneficio della responsabilità
limitata)

La costituzione della società. La ragione sociale.


Per la costituzione della società in accomandita semplice valgono le regole esposte per la società
in nome collettivo. Latto costitutivo dovrà indicare quali sono i soci accomandatari e accomandanti.
Inoltre, l’atto costitutivo è è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese, omessa registrazione
comporta solo l’irregolarità della società.
Art. 2314. (Ragione sociale).
“La società agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di almeno uno dei soci
accomandatari, con l'indicazione di società in accomandita semplice.
L'accomandante, il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di
fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali.”

I soci accomandanti e l’amministrazione della società


L’amministrazione della società pu essere conferita soltanto ai soci accomandatari, che hanno gli
stessi diritti e gli stessi obblighi dei soci della collettiva. Dall’amministrazione della società sono
invece esclusi i soci accomandanti.
Art 2320 divieto di ammistione “I soci accomandanti non possono compiere atti di
amministrazione, ne' trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura
speciale per singoli affari.” Più esattamente per quanto riguarda l’amministrazione interna
l’accomandante è privo di ogni potere decisionale autonomo in merito alla condotta degli affari
sociali. Per quanto riguarda l’attività esterna, l’accomandante pu legittimamente trattare e
concludere affari in nome della società in forza di procura speciale per singoli affari.
L’accomandante che viola il divieto di immistione si espone ad una sanzione patrimoniale, egli
infatti risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidamente per tutte le obbligazioni sociali. In
caso di fallimento della società, anch’egli sarà automaticamente dichiarato fallito al pari dei soci
accomandatari. Inoltre, potrebbe essere escluso dalla società, con decisione a maggioranza degli
altri soci.
Art. 2319. (Nomina e revoca degli amministratori).
“Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, per la nomina degli amministratori e per la loro
revoca, sono necessari il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione di tanti soci
accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto.” Per quanto
riguarda la partecipazione all’attività dell’impresa comune i soci accomandanti:
A) possono trattare o concludere affari in nome della società, sia pure solo in forza di una procura
speciale per singoli affari
B) Possono prestare la loro opera, manuale o intellettuale, all’interno della società sotto la
direzione degli amministratori e quindi mai in posizione autonoma ed indipendente
C) Possono dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni
In ogni caso, i soci hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e controllarne
l’esattezza, hanno anche il diritto di concorrere all’approvazione dello stesso.
Il trasferimento della partecipazione sociale
La diversa posizione degli accomandatari e degli accomandanti si riflette sulla disciplina del
trasferimento della partecipazione sociale. Resta Ferma per i soci accomandati la disciplina
prevista per la società in nome collettivo. Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il
trasferimento per atto fra vivi della quota degli accomandatari pu avvenire solo col consenso di
tutti gli altri soci e per la trasmissione a causa si morte sarà necessario anche il consenso degli
eredi.
Diversamente avviene per la quota dei soci accomandanti, la loro quota è liberamente trasferibile
per causa di morte, senza che sia perci necessario il consenso dei superstiti. Per il trasferimento
per atto fra vivi è necessario il consenso di soci che rappresentano la maggioranza del capitale
sociale, salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente.

Lo scioglimento della società


La duplice categoria di soci che caratterizza la società in accomandita semplice deve permanere
per tutti la vita della società. Infatti, questo tipo di società si scioglie quando rimangono soltanto
soci accomandatari o soci accomandano, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato
sostituito il socio che è venuto meno. Se sono venuti meno i soci accomandatari, gli accomandanti
devono nominare un amministratore provvisorio, i cui poteri sono per legge limitati al “compimento
degli atti di ordinaria amministrazione”
Per il procedimento di liquidazione e l’estinzione della società valgono le regole dettate per la
scotta in nome collettivo. Art 2324
i creditori sociali che non sono stati soddisfatti nella liquidazione della società possono far valere i
loro crediti anche nei confronti degli accomandanti, limitatamente alla quota di liquidazione.

La società in accomandita irregolare


È irregolare la società in accomandita semplice il cui atto non è iscritto nel registro delle imprese.
Art 2317 comma 2 Tuttavia per le obbligazioni sociali i soci accomandanti rispondono
limitatamente alla loro quota, salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali.
Per il resto vale l’accomandita irregolare la stessa disciplina esposta per la collettiva irregolare

13. LA SOCIETÀ PER AZIONI

LA COSTITUZIONE
Il procedimento
La costituzione della società per azioni si articola attualmente in due fasi essenziali:
A) stipulazione dell’atto costitutivo
B) Iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese. Solo con l’iscrizione nel registro delle
imprese la società per azioni acquista la personalità giuridica e viene ad esistenza.
La stipulazione dell’atto costitutivo pu a sua volta avvenire secondo due diversi procedimenti:
A) stipulazione (o costituzione) simultanea
B) Stipulazione (o costituzione) per pubblica sottoscrizione
Nella costruzione simultanea l’atto costitutivo è stipulato immediatamente da coloro che assumono
l’iniziativa per la costituzione della società (soci fondatori). E tale soggetti provvedono
contestualmente all’integrale sottoscrizione del capitale sociale iniziale. Nella costituzione per
pubblica sottoscrizione, invece, si addiviene alla stipulazione dell’atto costitutivo al termine di un
complesso procedimento che consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale sulla base di
un programma predisposto da coloro che assumono l’iniziativa (promotori). È raramente utilizzato.
Anche quando occorrono ingenti capitali di rischio, che i soci fondatori non sono in grado di fornire
personalmente, si preferisce infatti ricorrere alla stipulazione simultanea dell’atto costitutivo
utilizzando altre tecniche per collocare le azioni fra il pubblico dei risparmiatori.

L’atto costitutivo: forma e contratto


La società per azioni pu essere costituita per contratto o per atto unilaterale (art 2328), nel caso in
cui si abbia un solo socio fondatore.
In ogni caso, l’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità della società
( art 2332).
L’atto costitutivo deve indicare:
1) le generalità dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate a
ciascuno di essi
2) La denominazione, il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi
secondarie
La denominazione sociale pu essere liberamente formata, ma deve contenere l’indicazione di
società per azioni (art 2326). Non pu essere per uguale o simile a quella già adottata da altra
società concorrente, quando ci possa creare confusione.
La sede sociale è il luogo dove risiedono l’organo amministrativo e gli uffici direttivi della società.
Sono sedi secondarie quelle dotate di una rappresentanza stabile. Il comune, la via e il numero
civico dovranno essere indicati nella domanda di iscrizione presso il registro delle imprese. 3)
l’oggetto sociale, vale a dire il tipo di attività economica che la società si propone da svolgere.
4) l’ammontare del capitale sottoscritto e versato
5) il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di
emissione e circolazione.
6) il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura, sempreché vi siano conferimenti di tale
tipo.
7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Tale indicazione è pero
necessaria solo se si voglia modificare la relativa disciplina legale.
8) i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori. Per i prodotti l’unico
beneficio pu essere costituito da una partecipazione agli utili che non pu superare
complessivamente il dieci per cento degli utili netti risultanti dal bilancio e non pu avere durata
superiore a cinque anni. Identica regola vale per i soci fondatori.
9) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro precisi poteri,
infocando quali tra essi hanno la rappresentanza della società.
10) il numero dei comportamenti del collegio sindacale.
11) la nomina dei primi amministratori e sindaci.
12) l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della
società
13) la durata della società. In base all’attuale disciplina si pu anche stabilire che la società è a
tempo indeterminato.
L’omissione di una o più tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l’atto costitutivo.
Non tutti i requisiti di contenuto fissati dalla?art 2328 sono pero richiesti a pena di nullità della
società una volta intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, come si vedrà in seguito.
Spesso si preferisce redigere due distinti documenti: l’atto costitutivo e lo statuto. Il primo, più
sintetico, contiene la manifestazione di volontà di costituire la società ed i dati fondamentali della
costituenda società. Il secondo, più analitico, contiene le regole di funzionamento della società. Lo
statuto si considera parte integrante della società.

Le condizioni per la costituzione


La società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a cinquantamila euro, salvo i
casi in cui leggi speciali impongono un capitale minimo più elevato.
Per procedere alla costituzione della società per azioni è poi necessario che ricorrano le seguenti
condizioni stabilite dall’art 2329:
1) che sia sottoscritto per intero il capitale sociale
2) Che siano rispettate le disposizioni relative ai conferimenti, in particolare che sia versato
presso una banca il 25% dei conferimenti in denaro, nel caso di atto unilaterale, il loro intero
ammontare.
3) Che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la
costituzione della società in relazione al suo particolare oggetto.
I conferimenti devono essere versati prima dell’atto costitutivo e restano vincolati presso la banca,
vengono consegnati agli amministratori solo quando è avvenuta l’iscrizione nel registro delle
imprese.

L’iscrizione nel registro delle imprese


Art 2436:
Il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto, entro trenta giorni, verificato
l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l'iscrizione nel registro delle
imprese contestualmente al deposito e allega le eventuali autorizzazioni richieste.” Se il notaio non
provvede, l’obbligo ricade sugli amministratori. Nell’inerzia di entrambi, punita con sanzione
amministrativa pecuniaria, ogni socio pu provvedervi a spese della società.
La legge notarile prevede sanzioni amministrative a carico del notaio che chiede l’iscrizione nel
registro delle imprese di lun atto costitutivo da lui rogato “quando risultano manifestamente
inesistenti le condizioni richieste dalla legge”.
Pertanto il notaio dovrà svolgere un controllo di legalità, volto ad accertare la conformità alla legge
della costituenda società. Se questo controllo ha esito positivo, il notaio richiede l’iscrizione della
società nel registro delle imprese. Se invece, ha esito negativo, il notaio potrà e dovrà rifiutare di
chiedere l’iscrizione nel registro delle imprese.
Con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista la personalità giuridica e viene ad
esistenza. Diversamente da quanto visto per le società di persone, non e perci configurabile una
società per azioni irregolare.
Capita che tra la stipulazione dell’atto e l’iscrizione dell’ impresa vengano compiute delle
operazioni in nome della società, per queste operazioni sono illimitatamente e solidalmente
responsabili verso i terzi coloro che hanno agito.
Prima dell’iscrizione nel registro delle imprese è vietata l’emissione delle azioni ed esse non
possono formare oggetto di offerta al pubblico, eccezion fatta per il caso in cui la costituzione della
società avvenga per pubblica sottoscrizione.

La nullità della società per azioni


Il procedimento di costituzione della società per azioni ed in particolare l’atto costitutivo possono
presentare vizi ed anomalie. Prima della registrazione vi è solo un contratto di società; un atto di
autonomia privata che per il momento è destinato a produrre effetti solo fra le parti contraenti. La
situazione cambia dopo l’iscrizione della società al registro, perché se prima esisteva un contratto
invalido, dopo esiste una società. Art. 2332. (Nullità della società):
“Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società pu essere pronunciata
soltanto nei seguenti casi:
1) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico;
2) illiceità dell'oggetto sociale;
3) mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i
conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo
l'iscrizione nel registro delle imprese.
I soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento fino a quando non sono soddisfatti i creditori
sociali.
La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori.
La nullità non pu essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale
eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese.
Il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità deve essere iscritto, a cura degli amministratori
o dei liquidatori nominati ai sensi del quarto comma, nel registro delle imprese.”

B SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE


La societa per azioni unipersonale
Il legislatore italiano non si era avvalso della facoltà di prevedere anche s.p.a. unipersonali a
responsabilità limitata.
Infatti in base all’attuale disciplina:
A) è consentita la costituzione della società per azioni con atto unilaterale di un unico
socio fondatore
B) Anche nella societa per azioni unipersonale per le obbligazioni sociali di regola risponde solo
la societa col proprio patrimonio, salvo alcuni casi eccezionali.

L’unico socio fondatore risponde in solido con coloro che hanno agito, per le operazioni compiute
in nome della società prima dell’iscrizione nel registro delle imprese ( art. 2331, 2 comma). Sia in
sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale, l’unico socio è
tenuto infatti a versare integralmente, al momento della sottoscrizione, i conferimenti in danaro. Se
viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro 90
giorni.
Per consentire ai terzi di conoscere agevolmente se la società è unipersonale, negli atti e nella
corrispondenza della società deve essere indicato se questa ha unico socio. Per consentire
l’agevole identificazione dell’unico socio, i dati anagrafici dello stesso, devono essere iscritti nel
registro delle imprese a cura degli amministratori ( art. 2362 ).
L’omissione di tale pubblicità impedisce che operi per l’unico socio il beneficio della responsabilità
limitata.
Una particolare disciplina è stata introdotta per assicurare maggiore trasparenza ai rapporti che
intercorrono fra società ed unico socio. Si stabilisce infatti che i contratti fra società ed unico socio
e operazioni a favore dello stesso sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal
libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente
data certa anteriore al pignoramento (art. 2362, 5 comma).
Per quanto riguarda il regime di responsabilità per le obbligazioni sociali, oggi per la società per
azioni unipersonale vale la regola opposta rispetto a quella dettata dal codice del 1942: l’unico
socio non incorre in responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.
Sono tuttavia previste due eccezioni ( art. 2325, 2 comma ) che comportano, in caso di insolvenza
della società, la responsabilità illimitata dell’unico socio per le obbligazioni sociali sorte nel periodo
in cui tutte le azioni sono allo stesso appartenute:
1. A) l’unico socio risponde illimitatamente quando non sia osservata la disciplina dell’integrale
liberazione dei conferimenti;
2. B) l’unico socio risponde inoltre fino a quando non sia stata attuata la specifica pubblicità
dettata per la Spa unipersonale dall’art. 2362.
In entrambi i casi la responsabilità illimitata dell’unico azionista ha carattere sussidiario, in quanto
pu essere fatta valere dai creditori solo in caso di insolvenza della società.
La responsabilità illimitata viene meno per le obbligazioni sociali sorte dopo che i conferimenti
sono stati eseguiti o dopo che la pubblicità è stata effettuata.
Con la riforma del 2003 sono stati soppressi gli altri due casi di perdita del beneficio della
responsabilità limitata previsti dalla disciplina del 1993: unico socio che sia una persona giuridica
ed unico socio che sia socio unico di altra società di capitali.

C) I CONFERIMENTI
I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società:
la loro funzione essenziale è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo
svolgimento dell’attività di impresa.
Il valore dei conferimenti costituisce il capitale sociale nominale della società. La S.p.A. prevede
un’articolata disciplina per i conferimenti, assente invece nelle società di persone.
Lo scopo è duplice:
1) garantire che i conferimenti promessi dai soci vengano effettivamente acquisiti dalla società
2) garantire che il valore assegnato dai soci ai conferimenti sia veritiero.

I conferimenti in denaro
Nella società per azioni i conferimenti devono essere effettuati in denaro se nell’atto costitutivo non
è stabilito diversamente.
Per garantire fin dalla costituzione della società l’effettività almeno parziale del capitale, è disposto
l’obbligo di versamento immediato presso una banca di almeno il 25% dei conferimenti in denaro o
dell’intero ammontare se si tratta di società unipersonale.
Dal titolo azionario devono risultare i versamenti ancora dovuti e in caso di trasferimento delle
azioni l’obbligo di versamento dei conferimenti residui grava sia sul socio attuale (acquirente delle
azioni) sia sull’alienante.
Sempre per agevolare l’acquisizione dei conferimenti in denaro, è poi dettata una speciale
disciplina qualora il socio non esegua il pagamento delle quote dovute. Innanzitutto il socio
in mora nei versamenti non pu esercitare il diritto di voto.
Inoltre, la società pu avvalersi di una più celere procedura di vendita coattiva delle azioni del socio
moroso. A tal fine la società è tenuta prima di tutto ad offrire le azioni agli altri soci. In mancanza di
offerte, la società pu far vendere le azioni a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato.
Se la vendita coattiva non ha esisto, gli amministratori possono escludere il socio dalla società,
trattenendo i conferimenti già versati e salvo il risarcimento dei maggiori danni.
Le azioni del socio escluso entrano a far parte del patrimonio della società e questa pu ancora
tentare di rimettere in circolazione entro l’esercizio.
Svanita anche quest’ultima possibilità, la società deve annullare le azioni rimaste invendute
riducendo il capitale sociale per pari ammontare.

I conferimenti diversi dal danaro


Diversamente da quanto visto per le società di persone, nella S.p.A. non tutti i beni diversi dal
denaro possono essere conferiti.
È infatti espressamente stabilito che non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni
di opera o di servizi.La difficoltà di dare una valutazione oggettiva a tali prestazioni mal si concilia
con l’esigenza di garantirne l’effettiva acquisizione da parte della società.
Perci , le prestazioni di opera o di servizi possono oggi formare oggetto solo di prestazioni
accessorie distinte dai conferimenti.
Limitazioni sono poi state introdotte anche per quanto riguarda i conferimenti di beni in natura e
dei crediti.
Infatti è stabilito che le azioni corrispondenti a tali conferimenti “devono essere integralmente
liberate al momento della sottoscrizione”, vale a dire che il socio deve porre in essere tutti gli atti
necessari affinché la società acquisti la titolarità e la piena disponibilità del bene conferito. Questa
norma preclude l’apporto a titolo di conferimento di cose generiche, future o altrui, nonché di
prestazioni periodiche di beni (conferimenti con effetti obbligatori).
È invece da ritenersi ammissibile il conferimento di diritti di godimento, dato che la società acquista
col consenso del conferente l’effettiva disponibilità del bene ed è in grado di trarne tutte le utilità.
Resta conferibile ogni prestazione di dare suscettibile di valutazione economica oggettiva e di
immediata messa a disposizione della società (ad esempio diritti di brevetto per marchi o per
invenzioni industriali).

La valutazione
I conferimenti diversi dal denaro, tanto se effettuati in sede di costituzione della società quanto se
effettuati in sede di aumento del capitale sociale, devono formare oggetto di uno specifico
procedimento di valutazione.
Si vuole così assicurare una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti e soprattutto
evitare che agli stessi venga complessivamente assegnato un valore nominale superiore a quello
reale.
Il procedimento di valutazione si articola in più fasi. Chi conferisce beni in natura o crediti deve
presentare una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale. La stima deve
attestare che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del
capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo.
Il valore assegnato in base alla relazione di stima ha carattere provvisorio: entro 6 mesi dalla
costituzione della società gli amministratori devono controllare le valutazioni e, se sussistono
fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima.
Se dalla revisione risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto a
quello per cui avviene il conferimento, la società deve ridurre il capitale sociale e annullare le
azioni che risultano scoperte.
Al socio è per concessa una duplice alternativa per non vedere così ridotta la propria
partecipazione: pu versare la differenza in denaro oppure pu recedere dalla società. L’obbligo
di assoggettare a stima i conferimenti in natura poteva in passato essere eluso attraverso un
semplice espediente.
Chi intendeva conferire un bene in natura figurava nell’atto costitutivo come socio che si era
obbligato a conferire denaro ma poi, appena costituita la società, vendeva alla stessa il bene per
importo pari alla somma da lui dovuta a titolo di conferimento, con la conseguenza che il suo
debito si estingueva per compensazione.
Questo pericolo è oggi neutralizzato in quanto il codice civile prevede che l’apporto di beni da
parte di promotori, fondatori o amministratori richiede la preventiva autorizzazione e la
presentazione da parte dell’alienante della relazione giurata di stima di un esperto.
In caso di violazione di tale disciplina l’acquisto resta valido, ma gli amministratori e l’alienante
sono solidalmente responsabili per i danni alla società

Le prestazioni accessorie
Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo pu prevedere l’obbligo dei soci di eseguire
prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinandone anche contenuto, durata,
modalità e compenso.
Ad esempio, l’obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa o professionale nella
società.
Le prestazioni accessorie costituiscono utile strumento per vincolare i sodi ad effettuare a favore
della società prestazioni che non possono formare oggetto di conferimento.
Le azioni per prestazioni accessorie devono essere nominative e non sono trasferibili senza il
consenso degli amministratori, dato che il trasferimento delle azioni comporta anche il
trasferimento in testa all’acquirente dell’obbligo di esecuzione delle prestazioni accessorie.
Inoltre, tali obblighi possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.
14. LE AZIONI
Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni, sono rappresentate da
documenti (i titoli azionari) che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito. Nella società per
azioni, il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di parti di identico
ammontare, ciascuna delle quali costituisce un’azione e attribuisce identici diritti nella società e
verso la società. La singola azione rappresenta perci , l’unità minima di partecipazione al capitale
sociale e l’unità di misura dei diritti sociali, è dunque indivisibile. se più soggetti diventano titolari di
un’unica azione devono nominare un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti verso la
società (art.2347).

AZIONI E CAPITALE SOCIALE


Le azioni devono essere tutte di uguale valore rappresentano un’identica frazione del capitale
sociale nominale. E si definisce VALORE NOMINALE delle azioni la parte del capitale sociale da
ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria. La disciplina attuale consente tuttavia che
vengano emesse anche azioni senza indicazione del valore nominale. Non è consentito emettere
contemporaneamente azioni con e senza valore nominale. (art 2345)
Nelle azioni con valore nominale dello statuto lo statuto deve specificare non solo il capitale
sottoscritto, ma anche il valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo. Il
valore nominale è insensibile alle vicende patrimoniali della società. Rimane invariato nel tempo,
pu essere modificato solo con una modifica dell’atto costitutivo, dando luogo al frazionamento o al
raggruppamento delle azioni.
Nella azione senza valore nominale invece lo statuto ed i titoli azionari devono indicare solo il
capitale sottoscritto ed il numero delle azioni emesse. In questo caso la partecipazione al capitale
singolo azionista sarà espressa in una percentuale del numero complessivo delle azioni emesse.
Perci nelle azioni senza valore nominale le disposizioni che si riferiscono si applicano con
riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse.
Per tutte le azioni (con e senza valore nominale) il valore complessivo dei conferimenti pu essere
inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Si vuole che il reale conferimento dei soci sia
inferiore a quello dichiarata.
Le azioni possono essere emesse per somma superiore al valore nominale (emissione con
sovrapprezzo). Il valore di emissione delle azioni va infatti tenuto distinto dal valore reale delle
stesse, si ottiene dividendo il patrimonio netto delle società per il numero di azioni. Tale valore
varia nel tempo in funzione delle vicende economiche della società e pu essere contabilmente
con il bilancio di esercizio.
Il valore di mercato delle azioni, che risulta giornalmente dai listini ufficiali quando le azioni sono
ammesse alla quotazione in mercato regolamentato (borsa valori) indica il prezzo di scambio delle
azioni in quel determinato giorno. L’ andamento delle quotazioni di borsa esprime il valore effettivo
delle azioni meglio del valore di bilancio. E’ fuori dubbio infine che un pacchetto azionario,
soprattutto se non consente il controllo della società, ha un proprio specifico valore, maggiore e
spesso notevolmente maggiore della somma dei valori delle singole azioni.

LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA
Ogni azione costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un complesso
unitario di diritti e poteri di natura amministrativa, di natura patrimoniale ed anche contenuto
amministrativo e patrimoniale.
Un peculiare carattere delle azioni: L’UGUAGLIANZA DEI DIRITTI.
Le azioni “conferiscono ai loro possessori uguali diritti” (art.2348). Si tratta di uguaglianza relativa e
non assoluta e inoltre di un’uguaglianza oggettiva non soggettiva.
L’uguaglianza è relativa perché è possibile creare “categorie di azioni fornite di diritti diversi”,
segue la distinzione fra AZIONI ORDINARIE e AZIONI DI CATEGORIA o SPECIALI.
L’uguaglianza è poi oggettiva e non soggettiva. Uguali sono i diritti che ogni azione attribuisce, non
i diritti di cui ciascun azionista. Alcuni diritti dell’azionista sono indipendenti dal numero di azioni
possedute (es. il diritto di intervento in assemblea), non è meno vero che i diritti più significativi
spettano in proporzione del numero di azioni possedute (es. il diritto di voto, il diritto agli utili). In
riferimento a questi diritti si coglie la situazione di disuguaglianza soggettiva degli azionisti. Ogni
azione ordinaria attribuisce il diritto di voto; non è meno vero che diversa è la posizione di potere
nella società di chi è titolare di una sola azione e di un voto, rispetto a chi è titolare di una sola
azione e di un voto, rispetto a chi è titolare di mille azioni e di mille voti.
Si tratta di DISUGUAGLIANZE SOGGETTIVE perfettamente LEGITTIME e GIUSTE. In esse si
esprime infatti l’essenza del principio cardine delle società di capitali: chi ha più conferito e più
rischia ha più potere e pu imporre, nel rispetto della legalità, la propria volontà alla minoranza.
Quando entrano in gioco gli interessi pubblici di particolare rilievo, siano introdotte deroghe al
principio capitalistico, con il riconoscimento dello stato o ad enti pubblici di poteri societari
svincolati dall’ammontare della partecipazione azionaria o addirittura dalla qualità stessa di
azionista (es. il potere di veto).

LE CATEGORIE SPECIALI DI AZIONI


Sono categorie speciali di azioni quelle fornite di diritti diversi da quelli tipici previsti dalla disciplina
legale. Le azioni speciali si contrappongono perci a quelle ordinarie. Queste possono essere
create con lo statuto o con successive modificazioni dello stesso.
La presenza di categorie speciali di azioni comporta una modifica nell’organizzazione interna delle
società. Infatti se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell’assemblea (generale)
che pregiudicano i diritti di una di esse devono essere approvate anche dall’assemblea speciale
della categoria interessata. Alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee
straordinarie, se le azioni speciali non sono quotate (art. 2376). Se le azioni speciali sono quotate,
si applica la disciplina dell’organizzazione degli azionisti di risparmio.
La valutazione dell’interesse di tutti gli azionisti e quella degli interessi di categoria prevalgono
perci sulla volontà individuale e rendono legittimo nell’interesse comune, il sacrificio dei diritti
speciali originariamente attribuiti ad una determinata categoria di soci. I diritti speciali di categoria
sono perci diritti di gruppo e non diritti individuali.
Con la riforma del 2003 tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto, in passato
consentite solo per le società quotate.
Al contempo sono scomparse le azioni privilegiate a voto limitato e si consente a tutte le società:
a.La creazione di azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti
b.Di azioni con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente
potestative
La riforma del 2003 ha invece mantenuto il divieto, previsto dalla disciplina previgente di emettere
azioni a voto plurimo (che attribuiscono ciascuna più di un voto). Oggi le società non quotate
possono emettere azioni speciali a voto plurimo che attribuiscono fino a tre voti per ciascuna
azione.
Gli statuti delle società quotate non possono invece prevedere l’emissione di azioni a voto
plurimo, ma possono riconoscere per statuto una maggiorazione del voto ai soci “di lungo
periodo”: attribuire loro un numero di voti maggiore rispetto alle azioni di cui sono titolari, fino ad
un massimo di due voti per ciascuna azione.
La differenza con le azioni a voto plurimo è che la maggiorazione del voto è un privilegio
conseguibile da tutti gli azionisti in base alle condizioni fissate dallo statuto; non è un diritto
riservato ai titolari di una speciale categoria di azioni.
A tutte le società per azioni è consentito di prevedere in relazione alle azioni possedute da uno
stesso soggetto:
a. Il diritto di voto sia limitato ad una misura massima
b. sia introdotto c.d. voto scalare
Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza nella
distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società.
Inoltre è permessa l’emissione di azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività
sociale di un determinato settore.

LE AZIONI DI RISPARMIO
Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate
in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione europea. Non possono superare la metà
del capitale sociale.
Con le azioni di risparmio la differenza fra azionisti imprenditori e azionisti risparmiatori trova pieno
riconoscimento legislativo: le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto.
Oggi agli azionisti di risparmio non è riconosciuto il diritto di intervento in assemblea ed il diritto di
impugnare le delibere assembleari invalide, con la riforma del 2003 l’esercizio di tali diritti è stato
riservato agli azionisti con diritto di voto.
Le azioni di risparmio sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale.
La riforma del 1998 ha cancellato la rigida disciplina legislativa dei privilegi patrimoniali; l’attuale
disciplina applicabile anche alle azioni di risparmio precedentemente emesse, si limita a stabilire
che le azioni di risparmio sono “dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale” e che all’atto
costitutivo “determina il contenuto privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini per il suo
esercizio”.
La disciplina delle azioni di risparmio è poi completata dalla previsione di un’organizzazione di
gruppo che si articola nell’assemblea speciale e nel rappresentante comune.
L’ASSEMBLEA delibera sugli oggetti interesse di comune e in particolare sull’approvazione delle
delibere dell’assemblea della società.
Il RAPPRESENTANTE COMUNE nominato dall’assemblea di categoria, gli è riconosciuto il diritto
di assistere alle assemblee della società e di impugnare le deliberazioni.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro


L’art 2349 c.c. consente l’assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti delle società o di società
controllate da attuarsi mediante un articolato procedimento: gli utili sono imputati a capitale e per
l’importo corrispondente, la società emette speciali categorie di azioni che vengano assegnate
gratuitamente ai prestatori di lavoro. (azioni gratuite)
La società può escludere o limitare il diritto degli azionisti sulle azioni a pagamento di nuova
emissione per offrirle ai dipendenti di società o di società controllate (art. 2441) (azioni a
pagamento).
La società può decidere di assegnare ai propri dipendenti o dipendenti di società controllate
strumenti finanziari partecipativi diversi da azioni.

15. L’ASSEMBLEA
I SINDACATI DI VOTO
I sindacati di voto sono accordi (patti parasociali) con i quali alcuni soci si impegnano a concordare
preventivamente il modo in cui votare in assemblea. I sindacati di voto possono avere carattere
determinato o indeterminato in questo caso possono essere a tempo determinato o a tempo
indeterminato, riguardare tutte le delibere assembleari o solo quelle di un certo tipo. I sindacati di
voto danno un indirizzo unitario all’azione dei soci sindacati e se questi vengono a costituire il
gruppo di comando il patto di sindacato consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della
società. L’accordo di sindacato consente una migliore difesa dei comuni interessi quando è
stipulato tra soci di minoranza. Il voto dato in assemblea resta valido anche se espresso in
violazione degli accordi di sindacato ma il socio che ha votato in modo diverso da quanto
preventivamente convenuto sarà tenuto a risarcire i danni da lui arrecati agli altri aderenti al patto.
Nelle società non quotate non solo i sindacati di voto ma anche gli altri patti stipulati al fine di
stabilizzare gli aspetti societari o il governo della società non possono avere durata superiore a 5
anni ma sono rinnovabili alla scadenza. Nelle società non quotate i patti parasociali devono essere
comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea. La dichiarazione deve essere
trascritta nel verbale di assemblea che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle
imprese. L’omessa dichiarazione è sanzionata con sospensione del diritto di voto delle azioni cui si
riferisce il patto parasociale. Nelle società quotate i sindacati di voto e gli altri patti parasociali
devono essere comunicati alla Consob, pubblicati sulla stampa quotidiana e depositati presso il
registro delle imprese. La violazione di tali obblighi di trasparenza comporta nullità dei patti e la
sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate.

DELIBERE ASSEMBLEARI INVALIDE


L’invalidità delle delibere assembleari pu essere determinata dalla violazione delle norme che
regolano il procedimento assembleare o da vizi che riguardano il contenuto della delibera.
L’annullabilità costituisce la regola per le delibere assembleari invalide.
Possono dare vita ad annullabilità della delibera:
La partecipazione all’assemblea di persone non legittimate ma solo se tale partecipazione sia
stata determinante per la regolare costituzione dell’assemblea.
L’invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio ma solo se determinanti per il raggiungimento
della maggioranza.
L’incompletezza o l’inesattezza del verbale ma solo se impediscono l’accertamento del
contenuto, degli effetti e della validità della delibera.
L’impugnativa pu essere proposta solo dai soggetti espressamente previsti dalla legge. La
legittimazione all’impugnativa non compete ai soci che abbiano votato a favore della delibera né a
terzi qualificati come creditori sociali. Legittimati all’impugnativa sono solo gli azionisti con diritto di
voto che rappresentino l’1 per 1000 del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio e il 5% nelle altre. Lo statuto pu ridurre o escludere questo requisito.
L’impugnativa o l’azione di risarcimento danni devono essere: Il di 90 giorni dalla data della
delibera o di 90 giorni dall’iscrizione o dal deposito se questa è soggetta a iscrizione o a deposito
nel registro delle imprese. Il termine è poi allungato a 180 giorni per Consob, banca d’Italia e
Ivass. L’azione di annullamento è proposta davanti al tribunale delle imprese competente per il
luogo dove la società ha la sede, i soci impugnanti devono dimostrare di essere possessori al
tempo dell’impugnazione del prescritto numero di azioni.

DELIBERAZIONI NULLE
Delibera nulla si ha nei 3 casi indicati dall’articolo 2379:
1) Oggetto impossibile o illecito e quindi contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al
buon costume.
2) Mancata convocazione dell’assemblea.
3) Mancanza del verbale.
La nullità delle delibere assembleari pu essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e pu
essere rilevata d’ufficio dal giudice. Possono essere impugnate senza limiti di tempo solo le
delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, in tutti gli altri
casi è introdotto un termine di decadenza di 3 anni. Nei casi di aumento del capitale sociale,
riduzione del capitale per perdite ed emissione di obbligazioni l’azione di nullità è soggetta a un
termine di decadenza di 180 giorni. Se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio la nullità della delibera di aumento del capitale sociale non pu essere pronunciata dopo
che sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione dell’aumento di capitale.

16. SISTEMI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO


la riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e di controllo.
a. Il sistema tradizionale, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina assembleare:
l’organo amministrativo ed il collegio sindacale. Il controllo contabile è affidato per legge ad un
organo di controllo esterno.
b. Il sistema dualistico, di ispirazione tedesca, prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza
di nomina assembleare, e di un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza. c.Il
sistema monistico, di ispirazione anglosassone, l’amministrazione ed il controllo sono esercitato
rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla
gestione. Sia per il sistema dualistico e monistico, il controllo contabile è esterno.
GLI AMMINISTRATORI
Struttura e funzioni dell’organo amministrativo
Nel sistema tradizionale, la società per azioni non quotata pu avere sia
-Amministratore unico
-Consiglio di amministrazione
Alle società non quotate è invece imposta l’amministrazione pluripersonale. Il numero di
componenti del consiglio di amministrazione pu essere in ogni caso liberamente determinato dallo
statuto. Inoltre il consiglio di amministrazione si articola al suo interno con la creazione di uno o più
organi delegati, dando luogo alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati.
La centralità della posizione degli amministratori è scolpita dalle numerose e articolate funzioni,
esercitate in particolare autonomia rispetto all’assemblea. L’adempimento dei loro doveri comporta
che sono personalmente responsabili civilmente e penalmente.
1. Art. 2380-bis gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione
dell’impresa sociale e ad essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione
dell’oggetto sociale.
2. Potere gestorio, deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che non
siano riservati dalla legge all’assemblea.
3. Hanno la rappresentanza generale della società, potere di manifestare all’esterno la volontà
sociale ponendo in essere i singoli atti giuridici in cui si concretizza l’attività sociale. 4.Danno
impulso all’attività dell’assemblea: la convocano e ne fissano l’ordine del giorno. 5.Devono
curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società e devono redigere
annualmente il bilancio
6.Prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società Sono
investiti per legge e non per mandato dei soci.

Nomina. Cessazione dalla carica.


I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente la loro nomina compete
all’assemblea ordinaria. Lo statuto pu tuttavia riservare la nomina di un amministratore
indipendente ai possessori di strumenti finanziari partecipativi.
Inoltre:
-Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la legge pu riservare la
nomina di uno o pi amministratori allo Stato, purché siano titolari di partecipazioni sociali -
Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, è possibile riconoscere diritti speciali di
nomina allo Stato mediante attribuzione agli stessi di strumenti finanziari partecipativi o azioni
speciali: solo un amministratore!
-Nelle società quotate almeno un amministratore deve essere espresso dalla minoranza: secondo
i criteri fissati dal Consob, lo statuto disciplina le modalità di presentazione delle liste di candidati.
Inoltre, almeno un amministratore deve essere un amministratore indipendente.
La nomina deve possedere delle modalità volte ad assicurare l’equilibrio fra donne e uomini nella
composizione dell’organo amministrativo; la misura si applica per tre mandati consecutivi a partire
dal 2012.
Il numero degli amministratori è fissato dallo statuto.
I requisiti sono specifici e per tutti; onorabilità, professionalità ed indipendenza sono richiesti da
leggi speciali per amministratori di società che svolgono determinate attività.
Le cause di ineleggibilità e incompatibilità: Art. 2382 non possono essere nominati
amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad una pena che
comporta l’interdizione dai pubblici uffici. Le cause di incompatibilità sono numerose e diverse,
comportano solo che l’interessato è tenuto ad optare fra l’uno e l’altro ufficio; non rendono
invalida la delibera di nomina.
La durata la nomina dura per tre esercizi, essi sono anche rieleggibili.
Cessazione dall’ufficio: La revoca, La rinuncia, La decadenza, La morte
La decorrenza, è preoccupazione del legislatore di evitare che il verificarsi di una causa di
cessazione dall’ufficio paralizzi l’attività, la cessazione degli amministratori per scadenza ha effetto
solo dal momento in cui l’organo amministrativo è stato ricostituito.
Le dimissioni hanno effetto immediato se rimane in carica la maggioranza degli amministratori. Nei
casi infine in cui gli effetti della cessazione non sono differiti o differibili, è dettata una particolare
disciplina per la sostituzione degli amministratori. Sono al riguardo previste tre ipotesi: 1.Se rimane
in carica più della metà degli amministratori nominati, i superstiti provvedono a sostituire
provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare.
2. Se viene a mancare più della metà, i superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda
alla sostituzione dei mancanti ed i nuovi così nominati scadono con quelli in carica.
3. Se vengono a cessare tutti, il collegio sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la
ricostituzione dell’organo amministrativo.
La nomina e la cessazione dalla carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro
delle imprese.

Compenso. Divieto.
Art. 2389 Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività. Questo pu
consistere anche in una partecipazione agli utili della società o nell’attribuzione del diritto di
sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.
Modalità e misura del compenso sono determinati dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto
della nomina. Per gli amministratori investiti di particolari cariche, la remunerazione è stabilita dallo
stesso consiglio di amministrazione.
Per assicurare trasparenza sui compensi, nelle società quotate il consiglio di amministrazione
sottopone una volta l’anno all’assemblea, una relazione sulla remunerazione.
La centralità della posizione degli amministratori nella direzione della società li rende partecipi di
tutti i segreti aziendali e ci ispira alcuni divieti. Per prevenire, gli amministratori delle società per
azioni non possono assumere la qualità dei soci a responsabilità illimitata in società concorrenti.
L’inosservanza dei divieti espone gli amministratori a revoca.

Il consiglio di amministrazione
Come anticipato, le società per azioni possono avere o un amministratore unico o una pluralità di
amministratori.
L’amministratore unico riunisce in sé ed esercita individualmente tutte le funzioni proprie
dell’organo amministrativo. Caso contrario, il consiglio di amministrazione è retto da un presidente
scelto, in tal caso l’attività è esercitata collegialmente. Le relative decisioni devono essere perci
adottate in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci.
Il consiglio è convocato dal presidente stesso, il quale ne fissa anche l’ordine del giorno, ne
coordina i lavori e provvede affinché tutti gli amministratori siano adeguatamente informati sulle
materie iscritte all’ordine del giorno.
Per la validità delle deliberazioni del consiglio è necessaria la presenza della maggioranza degli
amministratori e il loro voto favorevole. La riforma del 2003 ha infine radicalmente modificato la
disciplina dell’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, la cui impugnabilità in
passato era riferibile solo ad un caso: delibera adottata col voto determinante di un amministratore
in conflitto di interessi.
L’attuale disciplina ha decisamente optato nell’ampliare la categoria delle delibere consiliari
annullabili, mentre non sono previste cause di nullità delle stesse.
L’art. 2388, comma 4 possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione
che non sono prese in conformità della legge.
L’impugnativa pu essere fatta proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio
sindacale entro 90 giorni dalla data della deliberazione.
Si applica solo la disciplina del procedimento di impugnazione prevista per le delibere
assembleari. Inoltre, quando va a ledere direttamente un diritto soggettivo del socio, questi avrà
diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera.
Comma 5 l’annullamento non esclude i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti
compiuti in esecuzione delle stesse
Art. 2391 l’amministratore che in un’operazione ha un interesse non necessariamente in conflitto
con quello della società:
a.Deve darne notizia agli altri precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata
b.Se si tratta di amministratore delegato, deve astenersi dal compiere l’operazione e investire
qualcun altro
c. Il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la
società dell’operazione
La delibera del consiglio, qualora possa recare un danno potenziale, è impugnabile non solo
quando l’amministratore interessato ha votato, ma anche quando sono stati violati gli obblighi di
trasparenza, astensione e motivazione. L’impugnazione deve essere proposta entro 90 giorni. La
società pu agire contro l’amministratore per il risarcimento del danno derivante dalla sua
omissione o azione.
L’amministratore non pu approfittare della propria posizione. Maggiori cautele sono imposte alle
società che fanno ricorso ad un capitale di rischio per quanto riguarda le operazioni con parti
correlate; vale a dire operazioni con controparti uno dei soggetti indicati dalla Consob. Quest
ultimo al riguardo ha emanato una disciplina, la quale prevede che sull’operazione si raccolga il
preventivo parere di un comitato di amministratori indipendenti. Parere non vincolante. Delle
operazioni più rilevanti concluse con parti correlate deve darsi informazione alla Consob ed al
pubblico con le modalità fissate dal regolamento, successivamente pubblicate sul sito internet
della società e rese note nella relazione sulla gestione.

Comitato esecutivo. Amministratori delegati.


Art. 2381 Se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione pu
delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo, ovvero ad uno o più amministratori
delegati.
Il comitato esecutivo, al pari del consiglio di amministrazione è un organo collegiale. Le sue
decisioni sono adottate in riunioni alle quali devono assistere i sindaci.Le relative deliberazioni
devono risultare da un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo,
tenuto a cura dello stesso organo.
Gli amministratori delegati (uno o più) sono invece organi unipersonali. Se vi sono più
amministratori delegati, essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente, a seconda di quanto
stabilito nello statuto o nell’atto di nomina. Agli amministratori delegati è affidata la rappresentanza
della società. È poi possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori
delegati con competenze ripartite.
I membri del comitato esecutivo e gli amministratori delegati sono designati dallo stesso consiglio
di amministrazione, che determina inoltre l’ambito della delega. In base all’attuale disciplina non
possono essere tuttavia delegati: 1) la redazione del bilancio di esercizio;
2) la facoltà di aumentare il capitale sociale e di emettere obbligazioni convertibili per delega; 3) gli
adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale
sociale per perdite;
4) la redazione del progetto di fusione o di scissione.
Con la concessione della delega, larga parte della gestione corrente della società è svolta dagli
organi delegati, nei quali in fatto si concentra il potere decisionale. E ci determina una modifica del
regime di responsabilità degli amministratori.
Gli organi delegati:
1) curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società;
2) riferiscono periodicamente al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale sul generale
andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di
maggior rilievo.
Nel contempo, per consentire una effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della
società si dispone che tutti gli amministratori devono agire informati e che ciascuno pu chiedere
agli organi delegati che siano fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della società.
L’attuale disciplina attribuisce al consiglio di amministrazione il potere – dovere di: 1)
valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile della società;
2) esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società;
3) valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.

La rappresentanza della società


Tra le funzioni di cui gli amministratori sono investiti vi è quella di rappresentanza della società. In
presenza di un consiglio di amministrazione, gli amministratori investiti del potere di
rappresentanza devono essere indicati nello statuto. Se più sono gli amministratori con
rappresentanza, deve essere specificato se essi hanno il potere di agire disgiuntamente (firma
disgiunta) o congiuntamente (firma congiunta).
Di regola la rappresentanza della società è attribuita, disgiuntamente o congiuntamente, al
presedente del consiglio di amministrazione e/o ad uno o più amministratori delegati. In base
all’attuale disciplina il potere di rappresentanza degli amministratori è generale. Essi hanno inoltre
la rappresentanza processuale, attiva e passiva, della società. La rappresentanza della società
conferita ad altri soggetti pu aggiungersi, ma non pu sostituire quella degli amministratori.
Due sono i principi cardine secondo l’attuale disciplina.
• E’ inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad
invalidità dell’atto di nomina. Infatti, intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di
nomina, le cause di nullità e di annullabilità della nomina degli amministratori con
rappresentanza non sono opponibili ai terzi, salvo che la società provi che i terzi ne erano a
conoscenza. In mancanza, la società resta vincolata dagli atti compiuti dagli amministratori
invalidamente nominati.
• La società inoltre resta vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato
eventuali limiti posti dallo statuto ai loro poteri di rappresentanza. Ad esempio, nello statuto
è previsto che i poteri degli amministratori sono limitati agli atti di ordinaria amministrazione,
ovvero che gli atti superiori ad un determinato ammontare o di un determinato tipo devono
essere preventivamente deliberati dall’assemblea dei soci.
Tali limitazioni sono certamente consentite e dovrebbero essere opponibili ai terzi una volta iscritte
nel registro delle imprese. Così è per le società di persone e così era in passato per la stessa
s.p.a.
Con l’attuale disciplina non è stata invece riprodotta l’ulteriore disposizione, di origine comunitaria,
che precludeva alla società di opporre ai terzi di buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli
atti compiuti dagli amministratori in nome della società; degli atti cioè che non rientravano
nell’attività di impresa determinata dallo statuto. Restano invece opponibili ai terzi i limiti legali del
potere di rappresentanza degli amministratori.
Ad esempio, il caso dell’amministratore unico e dell’amministratore delegato che stipuli un
contratto in conflitto di interessi con la società. Il contratto sarà annullabile su richiesta della
società, se il conflitto di interessi era conosciuto o riconoscibile dal terzo. È il caso ancora
dell’assunzione di partecipazioni in società a responsabilità illimitata, senza la prescritta delibera
dell’assemblea.

La responsabilità degli amministratori verso la società


Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni: verso la società,
verso i creditori sociali e verso i singoli soci o terzi. Iniziamo dalla responsabilità verso la società.
In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono
tenuti al risarcimento dei danni dalla stessa subiti quando non adempiono i doveri ad esempio
imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro
specifiche competenze. Vale a dire, con la normale diligenza professionale di un amministratore
di società. Gli amministratori non sono responsabili per i risultati negativi della gestione che non
siano imputabili a difetto di normale diligenza. Se gli amministratori sono più, essi sono
responsabili solidamente. Ciascuno pu essere costretto dalla società a risarcirle l’intero danno
subito.
La presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta che gli altri siano senz’altro
esonerati da responsabilità solidale per i comportamenti dei primi. L’attuale disciplina, a differenza
della precedente, non pone più a carico degli amministratori un dovere di vigilanza sul generale
andamento della gestione. La stessa disciplina per impone a tutti gli amministratori di agire in
modo informato e soprattutto pone a carico degli amministratori senza delega, specifici obblighi,
quale quello di valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento
della gestione.
Infatti in ogni caso gli amministratori sono solidamente responsabili se essendo a conoscenza di
atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o
attenuarne le conseguenze dannose. Quindi se il comportamento dannoso è imputabile
direttamente solo ad alcuni amministratori, con essi risponderanno in solido anche gli altri qualora,
per violazione di specifici obblighi posti a loro carico, non abbiano prevenuto o impedito l’attività
dannosa dei primi.
Ne risponderanno per solo per culpa in vigilando, con la conseguenza che, se costretti a risarcire
il danno, avranno diritto di regresso per l’intero nei confronti dei primi. La responsabilità degli
amministratori è comunque per colpa e non responsabilità oggettiva. Infatti, la responsabilità per
gli atti e le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che sia immune da
colpa, purché:
1) abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio di amministrazione;
2) del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato
dall’assemblea ordinaria, anche se la società è in liquidazione. L’azione pu essere
esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore della carica. La deliberazione
dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dell’ufficio degli amministratori
contro cui è proposta solo se la delibera è approvata col voto favorevole di almeno un
quinto del capitale sociale.
Le cose cambiano quando la società cade in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a
liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria. In tal caso la legittimazione
a promuovere l’azione sociale di responsabilità compete al curatore fallimentare, al commissario
liquidatore o al commissario straordinario. Una tutela limitata e indiretta delle minoranze è per
prevista anche quando la società è in bonis. La società infatti pu rinunciare all’esercizio
dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori.
L’una e l’altra devono per essere espressamente deliberate dall’assemblea. È inoltre necessario
che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata: il quinto del capitale sociale, ridotto ad
un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o la percentuale
prevista per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della minoranza.
Altrimenti, la rinuncia o transazione sono senza effetto. Una tutela più energica delle minoranze è
stata infine introdotta dalla riforma del 1998 per le sole società con azioni quotate e poi estesa a
tutte le s.p.a. dalla riforma del 2003. Infatti l’azione di responsabilità contro gli amministratori pu
essere promossa anche dagli azionisti di minoranza. Per evitare azioni giudiziarie pretestuose o
ricattatorie contro gli amministratori, i soci che assumono l’iniziativa devono rappresentare almeno
il 20% del capitale sociale o la diversa misura prevista dallo statuto (e comunque non superiore a
un terzo).

La responsabilità verso i creditori sociali


Gli amministratori sono responsabili anche verso i creditori sociali. Diversi sono per i presupposti
di quest’azione:
• Gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo per l’inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
• L’azione pu essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente
al soddisfacimento dei loro crediti. Un danno per i creditori infatti non sussiste fino a quando il
patrimonio sociale è capiente.
L’azione pu essere proposta dai singoli creditori sociali. In caso di fallimento della società, l’azione
pu essere proposta esclusivamente dal curatore.
L’azione dei creditori sociali esercitata fuori del fallimento è azione diretta ed autonoma. Gli
amministratori non potranno perci opporre ai creditori agenti le eccezioni opponibili alla società.
Inoltre e soprattutto, quanto corrisposto dagli amministratori a titolo di risarcimento danni non
spetterà alla società, ma direttamente ai creditori fino alla concorrenza del loro credito. Per , se
l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società ed il relativo patrimonio è stato reintegrato, i
creditori non potranno più esercitare l’azione di loro spettanza dato che gli amministratori sono
ovviamente tenuti a risarcire una sola volta il danno. Anche la transazione intervenuta con la
società paralizza l’azione dei creditori sociali. Invece, la rinuncia all’azione da parte della società
non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali; e per l’ovvia ragione che il
patrimonio sociale non è stato reintegrato.

La responsabilità verso i singoli soci o terzi


Le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali non pregiudicano il diritto al
risarcimento del danno spettante al singolo socio o al singolo terzo che sono stati direttamente
danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. Perché il singolo socio o il singolo terzo
possano chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni devono ricorrere 2 presupposti: • Il
compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio del loro ufficio.
• La produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo.
Caso classico di danno diretto è quello degli amministratori che con un falso in bilancio inducono i
soci o i terzi a sottoscrivere un aumento di capitale a prezzo eccessivo. Ancora, incorrono in
responsabilità gli amministratori che, dissimulando dolosamente lo stato di dissesto della società,
inducono una banca a concedere fido.

I direttori generali
I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale. Essi
sono al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa ed operano in rapporto diretto
con gli amministratori, dando attuazione alle direttive generali dagli stessi impartite. I direttori
generali sono parificati agli amministratori sotto il profilo delle responsabilità penali. Inoltre se
nominati dall’assemblea o per disposizione dell’atto costitutivo, agli stessi si applicano le norme
che regolano la responsabilità civile degli amministratori, in relazione ai compiti loro affidati.

IL COLLEGIO SINDACALE
Premessa
Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno della società per azioni, con funzioni di vigilanza
sull’amministrazione della società. Dal 1942 ad oggi, la disciplina ha subito profonde modifiche al
fine di rendere più efficace la relativa attività di vigilanza. La riforma del 1974 ha introdotto per le
società quotate un controllo contabile esterno da parte di una società di revisione, dando per vita
ad una sovrapposizione di funzioni col collegio sindacale che si è rilevata scarsamente funzionale.
Il d. lgs. 27.1.1992 n. 88, che fra l’altro, ha istituito un apposito registro dei revisori contabili ha
parzialmente modificato la disciplina del codice. Anche la riforma del 1998 ha modificato la
disciplina del collegio sindacale delle società con azioni quotate e, in particolare, ha affrancato tale
organo dalle funzioni di controllo contabile, affidate ora alle società di revisione.
Con la riforma del 2003 anche nelle altre s.p.a. il controllo contabile è stato sottratto al collegio
sindacale ed è stato attribuito ad un revisore contabile o una società di revisione.
Composizione. Nomina. Cessazione
Diversamente disciplinata è innanzitutto la composizione del collegio sindacale. Il collegio
sindacale delle s.p.a. non quotate si compone di 3 o 5 membri effettivi, soci o non soci, secondo
quanto stabilito nello statuto. Devono inoltre essere nominati due membri supplenti.
Diversamente dall’organo amministrativo, il collegio sindacale delle società non quotate ha quindi
struttura semirigida (3 o 5 membri) e ci costituisce un primo ostacolo all’efficiente svolgimento
delle sue funzioni, soprattutto nelle grandi società. Questo ostacolo è stato rimosso per le società
quotate, con la riforma del 1998. Fermo restando il numero minimo di tre sindaci effettivi e di due
supplenti, l’atto costitutivo della società pu liberamente indicare il numero dei sindaci. I primi
sindaci sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente essi sono nominati dall’assemblea
ordinaria.
Quindi i sindaci sono nominati dallo stesso organo che nomina gli amministratori. L’atto costitutivo
delle società quotate deve prevedere che almeno un membro effettivo sia eletto dalla minoranza.
Inoltre se il collegio sindacale è formato da più di tre membri, il numero dei sindaci riservati alla
minoranza non pu essere inferiore a due. Il collegio sindacale delle società quotate è così reso
espressione dell’intera compagine azionaria e la presenza di sindaci eletti dalla minoranza offre
maggiori garanzie di effettivo svolgimento del controllo.
Nelle società con azioni quotate, dopo la riforma del 2003, almeno un sindaco effettivo ed uno
supplente devono essere scelti fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili. Gli altri sindaci, se
non iscritti in tale registro, devono essere scelti tra gli iscritti negli albi professionali individuati dal
ministero della Giustizia, o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche.
Per le società quotate i requisiti di onorabilità e di professionalità sono invece fissati con
regolamento del Ministero della Giustizia che prevede anche la nomina di sindaci non iscritti nel
registro dei revisori contabili. Nel registro dei revisori possono iscriversi persone fisiche in
possesso di specifici requisiti di professionalità e di onorabilità, che abbiano superato un apposito
esame di ammissione.
Per assicurare l’indipendenza dei sindaci sono previste cause di ineleggibilità ulteriori, rispetto a
quelle dettate per gli amministratori. In base al testo attuale non possono essere nominati sindaci:
• Il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori, nonché gli
amministratori di società facenti parte dello stesso gruppo.
• Coloro che sono legati alla società o a società facenti parte dello stesso gruppo da un rapporto
di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita,
ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.
Valgono poi per i sindaci le stesse cause di incompatibilità viste per gli amministratori.
Il compenso dei sindaci deve essere predeterminato ed è invariabile nel corso della carica. I
sindaci restano in carica per tre esercizi e sono rieleggibili. I sindaci scaduti restano in carica fino
alla nomina dei nuovi. L’assemblea pu revocare i sindaci solo se esiste una giusta causa. Inoltre
la delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale, al fine di verificare se sussiste una
giusta causa. I sindaci nominati dallo Stato o enti pubblici possono essere revocati solo dall’ente
che li ha nominati. Costituisce causa di decadenza dall’ufficio, il sopraggiungere di una delle cause
di ineleggibilità, nonché la cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori. Decade inoltre
dall’ufficio il sindaco che, senza giustificato motivo, non assiste alle assemblee o diserta, durante
un esercizio sociale, due riunioni del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del
collegio sindacale. È così sanzionato l’eventuale assenteismo dei sindaci. In caso di morte,
rinuncia o decadenza di un sindaco, subentrano automaticamente i supplenti in ordine di età
(anagrafica). La nomina e la cessazione dall’ufficio dei sindaci devono essere iscritte, a cura degli
amministratori, nel registro delle imprese.

Il controllo sull’amministrazione
Funzione primaria del consiglio sindacale è quella di controllo. Il controllo del collegio sindacale ha
per oggetto l’amministrazione della società globalmente intesa e si estende a tutta l’attività sociale,
al fine di assicurare che la stessa venga svolta nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo,
nonché dei principi di corretta amministrazione. In particolare, il collegio sindacale vigila
sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul
suo concreto funzionamento.
Il collegio sindacale non svolge più il controllo contabile sulla società, oggi affidato alle società di
revisione. Per , nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio e che non
sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, lo statuto pu prevedere che anche il controllo
contabile sia esercitato dal collegio sindacale. In tal caso, l’intero collegio sindacale deve essere
costituito da revisori contabili iscritti nell’apposito registro.
La vigilanza del collegio sindacale è esercitata nei confronti degli amministratori, ma riguarda
anche l’attività dell’assemblea e comunque pu estendersi in ogni direzione. Da qui il poteredovere
dei sindaci di intervenire alle riunioni dell’assemblea, del consiglio di amministrazione e del
comitato esecutivo, nonché di impugnare le relative delibere.
Il controllo del collegio sindacale sull’amministrazione è di carattere globale e sintetico, le cui
modalità di esercizio sono rimesse alla discrezionalità tecnica del collegio. La legge pone a carico
degli amministratori numerosi obblighi di comunicazione nei confronti del collegio sindacale.
Obblighi di informazione particolarmente intensi nelle società quotate. In queste ultime gli
amministratori devono riferire tempestivamente al collegio sindacale sull’attività svolta, sulle
operazioni compiute di maggior rilievo economico, nonché su quelle a rischio di conflitto di
interessi perché gli amministratori stessi vi avevano interessi personali, oppure perché influenzate
dal soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento.
Con la riforma del 2003 gli strumenti informativi del collegio sindacale sono stati potenziati. Infatti il
collegio sindacale pu scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate
in merito ai sistemi di amministrazione e di controllo e all’andamento generale dell’attività sociale;
è inoltre previsto lo scambio tempestivo di informazioni fra collegio sindacale e soggetti incaricati
del controllo contabile. Infine, nelle società quotate il collegio sindacale deve comunicare senza
indugio alla CONSOB le irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza. I sindaci hanno il potere-
dovere di procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di
controllo, nonché di chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società
controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Il collegio sindacale, pu
inoltre convocare l’assemblea qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di
rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere.
E nelle società quotate il potere di convocare l’assemblea pu essere esercitato anche solo da due
membri del collegio sindacale. Il collegio pu inoltre promuovere il controllo giudiziario sulla
gestione se ha fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella
gestione.
Nelle società quotate, la CONSOB pu attivare tale procedura se ha fondato sospetto di gravi
irregolarità nell’adempimento dei poteri dei sindaci.
Il funzionamento del collegio sindacale
Nelle società non quotate il presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea. Nelle
società quotate è invece l’atto costitutivo a fissare i criteri di nomina dello stesso. Ad esempio si
potrà prevedere che è lo stesso collegio sindacale a nominare il presidente. Il collegio sindacale
deve riunirsi almeno ogni 90 giorni. Pu avvenire anche attraverso mezzi telematici, se lo statuto lo
consente.
Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci e
delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Delle riunioni deve essere redatto processo verbale,
sottoscritto da tutti gli intervenuti, che viene trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni
del consiglio sindacale. Il sindaco dissenziente ha diritto di far iscrivere a verbale i motivi del
proprio dissenso. I sindaci possono avvalersi, sotto la propria responsabilità e a proprie spese di
dipendenti per lo svolgimento dell’attività di controllo.
Nelle società quotate, invece il collegio sindacale possono avvalersi dell’assistenza di dipendenti
della società nell’espletamento delle proprie funzioni. L’attività del collegio sindacale pu essere
sollecitata dai soci. Ogni socio pu denunziare al collegio sindacale fatti che ritiene censurabili. Il
collegio sindacale è poi tenuto solo a tenerne conto nella relazione annuale dell’assemblea. Doveri
più specifici sono posti a carico del collegio sindacale quando la denuncia provenga da tanti soci
che rappresentano il 5% del capitale sociale (2% per le società che fanno ricorso al capitale di
rischio) o la minore percentuale prevista dallo statuto. In tal caso il collegio sindacale deve
indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte
all’assemblea.

La responsabilità dei sindaci


I sindaci devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura
dell’incarico. Sono responsabili anche penalmente, della verità delle loro attestazioni e devono
conservare il segreto sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
L’obbligo di risarcimento dei danni grava esclusivamente sui sindaci, di regola solidamente tra
loro, qualora il danno sia imputabile solo al mancato o negligente adempimento dei loro doveri. È
più frequente per che l’evento dannoso sia conseguenza anche ed innanzitutto di un
comportamento doloso o colposo degli amministratori, che i sindaci avrebbero potuto e dovuto
prevenire od impedire nell’espletamento della loro funzione di vigilanza. I sindaci quindi sono
responsabili in solido con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi, qualora il
danno non si
sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
L’azione di responsabilità contro i sindaci è disciplinata dalle stesse norme dettate per l’azione di
responsabilità contro gli amministratori.

17. IL BILANCIO
Bilancio d’esercizio: documento contabile che rappresenta in modo chiaro, veritiero e corretto la
situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio nonché il risultato
economico dell’esercizio stesso. È costituito da stato patrimoniale, conto economico, nota
integrativa e rendiconto finanziario ed è corredato da relazione sulla gestione degli amministratori
e relazioni del collegio sindacale e del revisore contabile. La sua funzione è di accertare
periodicamente la situazione del patrimonio e la redditività della società. Il bilancio d’esercizio è
per i soci lo strumento legale di informazione contabile sull’andamento degli affari sociali. Il
bilancio d’esercizio delle società di capitali ha rilievo anche per l’applicazione della normativa
tributaria in quanto costituisce per il fisco il termine di riferimento per la tassazione periodica del
reddito della società. I principi cardine che dominano la redazione del bilancio sono quelli della
correttezza e quello della rappresentazione veritiera e corretta e deve essere redatto con
chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria
della società e il risultato economico dell’esercizio.
Ulteriori principi sono:
a) Prudenza: la valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella
prospettiva di continuazione dell’attività e ci al fine di evitare che dal bilancio risultino utili
non realmente conseguiti;
b) Bilancio di competenza: bisogna tenere conto delle entrate e delle uscite di competenza
dell’esercizio indipendentemente dalla data d’incasso o di pagamento nonché dei rischi e
delle perdite di competenza dell’esercizio;
c)Continuità: i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio con l’altro.

LA STRUTTURA DI BILANCIO

Il bilancio d’esercizio si articola in 4 parti: stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e
rendiconto finanziario.
Criteri di redazione:
a.Le voci devono essere inserite nello stato patrimoniale e nel conto economico secondo l’ordine
tassativo fissato per legge
b.Le voci sono organizzate in categorie omogenee a loro volta articolate in sottocategorie, voci e
sottovoci
c. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l’importo
della voce corrispondente dell’esercizio precedente d.È vietato il compenso di partite
La legge prevede anche 2 modelli semplificati che sono bilancio in forma abbreviata e bilancio
delle micro-imprese. Ridotte sono le voci dello stato patrimoniale e del conto economico e le
informazioni richieste in nota integrativa.
STATO PATRIMONIALE: Rappresenta in modo sintetico la composizione quantitativa e qualitativa
del patrimonio della società e la sua situazione finanziaria nel giorno della chiusura dell’esercizio.
Consente l’immediata conoscenza del patrimonio netto della società ed è redatto in forma a
colonne e vanno iscritte le attività, il patrimonio netto e le passività.
VOCI DELL’ATTIVO
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
B) Immobilizzazioni: immateriali, materiali e finanziarie
C) Attivo circolante: rimanenze, crediti, attività finanziarie e disponibilità liquide
D) Ratei attivi: quote di proventi comuni a 2 o più esercizi di competenza dell’esercizio ma esigibili
in esercizi successivi e risconti attivi: quote di coste comuni a 2 o più esercizi sostenuti
nell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi
VOCI DEL PASSIVO
A. Patrimonio netto
B. Fondi per rischi e oneri
C. Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato
D. Debiti
E. Ratei passivi: quote di costi comuni a 2 o più esercizi di competenza dell’esercizio ma che
saranno sopportati negli esercizi successivi e Risconti passivi: quote di proventi comuni a 2 o più
esercizi percepiti nell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi.
CONTO ECONOMICO: Espone il risultato economico dell’esercizio attraverso la rappresentazione
dei costi e degli oneri sostenuti nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell’esercizio. È
redatto in forma espositiva scalare con esposizione in unica sequenza dei componenti positivi e
negativi di reddito e consente una migliore valutazione del risultato d’esercizio attraverso una serie
di totali parziali. È articolato in 4 sezioni:
A. Valore della produzione: vengono indicati e sommati i ricavi di competenza dell’esercizio
dell’attività produttiva tipica e le variazioni delle rimanenze di magazzino;
B. Costi della produzione: ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti
Valore della produzione – costi della produzione = risultato lordo gestione ordinaria
A. Proventi e oneri finanziari: proventi da partecipazioni in altre società, interessi attivi e passivi,
utili e perdite su cambi
B. Rettifiche di valore di attività finanziarie: rivalutazioni e svalutazioni delle attività finanziarie La
somma algebrica dei diversi totali parziali è il risultato globale d’esercizio che va indicato prima al
lordo e poi al netto delle imposte sul reddito. Si ottiene quindi l’utile o la perdita d’esercizio che va
riportata in stato patrimoniale
RENDICONTO FINANZIARIO: Rappresenta i flussi finanziari cioè gli incassi e i pagamenti che
hanno determinato una variazione delle disponibilità liquide della società nel corso dell’esercizio
NOTA INTEGRATIVA: Fornisce una serie di informazioni integrative sulla situazione patrimoniale
e finanziaria, sul risultato economico d’esercizio, sul numero dei dipendenti, sui compensi degli
amministratori e dei sindaci e sulle azioni e sugli strumenti finanziari emessi dalla società.
Vengono elencate le partecipazioni in società controllate e collegate e i fatti di rilievo avvenuti
dopo la chiusura dell’esercizio
RELAZIONE SULLA GESTIONE: Allegato esterno al bilancio che assolve una funzione di
resoconto della gestione della società e sulle sue prospettive. Deve contenere un’analisi fedele,
equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell’andamento della gestione nel suo
complesso e nei vari settori in cui ha operato

I CRITERI DI VALUTAZIONE
Le immobilizzazioni sono iscritte in bilancio al costo storico vale a dire al costo d’acquisto o di
produzione nel quale vanno computati anche i costi accessori. Il valore delle immobilizzazioni
materiali e immateriali deve essere ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua
possibilità di utilizzo del bene attraverso la diretta riduzione del valore iscritto nell’attivo dello stato
patrimoniale. Viene quindi ripartito fra più esercizi di durata del bene il costo inizialmente
sopportato sulla base di un piano di ammortamento. Se il valore di un’immobilizzazione risulta
durevolmente minore del costo storico regolarmente ammortizzato, essa dovrà essere iscritta in bilancio per
tale minor valore. La svalutazione non pu essere mantenuta negli esercizi successivi se vengono meno i
motivi della stessa
Le partecipazioni possono essere valutate col metodo del patrimonio netto iscrivendo in bilancio
un importo pari alla corrispondente quota del patrimonio netto della società partecipata risultante
dall’ultimo bilancio della stessa. Le eventuali plusvalenze rispetto al precedente esercizio devono
essere iscritte in un’apposita riserva non distribuibile
I costi di impianto, ampliamento e sviluppo possono essere iscritti nell’attivo solo se hanno utilità
pluriennale e devono essere ammortizzati secondo la vita utile per i costi di sviluppo e in 5 anni
per i restanti costi
L’avviamento può essere iscritto nell’attivo solo se acquistato a titolo oneroso. Deve essere
ammortizzato secondo la sua vita utile se è possibile stimarne la durata o nel periodo massimo di
10 anni
I crediti devono essere valutati secondo il valore di prudente realizzo e dovranno essere iscritti per
la minor somma che si presume di poter realizzare
Ricavi e costi devono essere ripartiti in parti uguali su tutta la durata di vita del rapporto e imputati
pro quota ad ogni esercizio sul valore del rispettivo credito o debito (c.d. CRITERIO DEL COSTO
AMMORTIZZATO)
Gli strumenti finanziari derivati sono iscritti al fair lue e quindi al valore di scambio o di mercato
dello strumento finanziario
I cespiti dell’attivo circolante devono essere iscritti al costo di acquisto o di produzione o se minore
al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato
Tu5e le aMvità e le passività espresse in valuta estera che hanno ad ogge5o pagament i in denaro devono
essere iscritte al tasso di cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio e la differenza
rispetto al cambio del giorno di compimento dell’operazione dà luogo a utili o perdite su cambi da
imputare al conto economico

IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL BILANCIO


Il bilancio d’esercizio è un atto della società alla cui redazione cooperano: amministratori, collegio
sindacale, assemblea e soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Nel sistema dualistico il
bilancio è predisposto dal consiglio di gestione ed è approvato dal consiglio di sorveglianza.
L’assemblea ordinaria competente per l’approvazione del bilancio deve essere convocata almeno
1 volta all’anno entro il termine stabilito dallo statuto comunque non superiore a 120 giorni dalla
chiusura dell’esercizio. Lo statuto pu anche stabilire un termine maggiore non superiore
comunque a 180 giorni. Gli amministratori redigono il progetto di bilancio, nelle società quotate si
avvalgono della collaborazione di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari che attesta la correttezza formale e sostanziale del bilancio. Il progetto di bilancio con la
relazione degli amministratori deve essere preventivamente comunicato al collegio sindacale che
deve riferire all’assemblea sui risultati dell’esercizio e sull’attività svolta e fare le osservazioni e le
proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione Il progetto di bilancio e i relativi allegati
devono restare depositati in copia nella sede della società durante i 15 giorni che precedono
l’assemblea e finché sia approvato. L’assemblea pu approvare il bilancio e pu modificare
direttamente il progetto di bilancio sottoposto al suo esame dagli amministratori. Entro 30 giorni
dall’approvazione copia del bilancio deve essere depositata a cura degli amministratori presso
l’ufficio del registro delle imprese. Le azioni di nullità o di annullabilità non possono essere più
esercitate dopo che sia stata approvato il bilancio d’esercizio successivo

18. LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO


NOZIONE. PROCEDIMENTO.
Costituisce modificazione dello statuto ogni mutamento del contenuto oggettivo del contratto
sociale. Le modificazioni dello statuto rientrano nella competenza dell’assemblea dei soci in sede
straordinaria. In base all’attuale disciplina (art.2436) è il notaio che ha verbalizzato la delibera
dell’assemblea che verifica l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge ed entro 30 giorni
ne richiede l’iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito. L’ufficio del registro
a sua volta verificata la regolarità formale iscrive la delibera nel registro. Se il notaio non ritiene
adempiute le condizioni stabilite dalla legge dà comunicazione agli amministratori che nei 30 giorni
successivi possono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti o ricorrere al tribunale
affinchè ordini con proprio decreto l’iscrizione. La delibera non produce effetti se non dopo
l’iscrizione. Dopo ogni modificazione del contenuto dello statuto deve essere depositato nel
registro delle imprese il testo integrale nella sua redazione aggiornata.

IL DIRITTO DI RECESSO
L’applicazione del principio maggioritario fa sì che nella spa la minoranza non possa impedire
modifiche dell’assetto societario, è necessario comunque che vengano rispettati i limiti posti da
norme inderogabili e che non siano violati i principi cardine della correttezza e della buona fede
nell’attuazione del contratto sociale e la parità di trattamento fra gli azionisti. In presenza di
delibere modificative di particolare gravità la minoranza è indirettamente tutelata dalla previsione
di maggioranze più elevate e dal riconoscimento del diritto di recesso dalla società. Nelle società a
tempo indeterminato non quotate il recesso costituisce un temperamento alla durata
potenzialmente illimitata del vincolo sociale. Per evitare che i soci restino prigionieri della società
tutti i soci possono recedere liberamente da una società a tempo indeterminato non quotata con
un preavviso di 180 giorni allungabile dallo statuto fino ad 1 anno. Il diritto di recesso deve essere
esercitato tramite comunicazione con lettera raccomandata alla società entro 15 giorni
dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima ed entro 30 giorni dalla
conoscenza del socio se il fatto che legittima il recesso non è una delibera. Le azioni per le quali è
esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate preso la
sede della società che pu sottrarsi al rimborso delle azioni se entro 90 giorni revoca la delibera
che lo legittima o i soci deliberano lo scioglimento della società.
Nelle società non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli amministratori
sentito il parere del collegio sindacale e del sogge5o incaricato della revisione legale dei con<. Nelle
società con azioni quotate il valore di liquidazione è determinato facendo riferimento alla media
aritmetica dei prezzi di chiusura nei 6 mesi che precedono la convocazione dell’assemblea Le
azioni del socio che recede devono essere offerte in opzione agli altri soci in proporzione al
numero di azioni possedute. Per la parte non acquistata dai soci possono essere collocate sul
mercato. In caso di mancato collocamento le azioni vengono rimborsate mediante acquisto da
parte della società. Solo in assenza di utili e riserve distribuibili deve essere convocata
l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della
società. I creditori possono opporsi alla delibera di riduzione del capitale e se l’opposizione è
accolta la società si scioglie

L’AUMENTO REALE DEL CAPITALE SOCIALE


Con l’aumento reale di capitale sociale la società intende procurarsi nuovi mezzi finanziari a titolo
di capitale di rischio. L’aumento reale dà luogo all’emissione di nuove azioni a pagamento che
vengono sottoscritte dai soci attuali o da terzi che diventano quindi soci. Per evitare la formazione
di un vistoso capitale rappresentato prevalentemente da crediti verso soci non è consentito
eseguire un aumento di capitale fino a che le azioni precedentemente emesse non siano
interamente liberate. La violazione di tale disposizione non comporta comunque nullità della
delibera. Competente a deliberare l’aumento di capitale è l’assemblea straordinaria dei soci. Lo
statuto o una sua successiva modifica possono attribuire agli amministratori la facoltà di
aumentare in una o più volte il capitale sociale. Il verbale della delibera del consiglio di
amministrazione di aumento del capitale sociale deve essere redatto da un notaio e la relativa
delibera consiliare è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese. La delibera di aumento del
capitale deve fissare il termine non inferiore a 15 giorni dalla pubblicazione dell’offerta entro il
quale le sottoscrizioni devono essere raccolte. Il versamento del 25% dei conferimenti in denaro
deve essere effettuato all’atto della sottoscrizione direttamente alla società. Se le azioni sono
emesse con sovrapprezzo questo deve essere integralmente versato all’atto della sottoscrizione. I
conferimenti in natura possono essere sottoposti ad 1 dei metodi alternativi a quello della stima
giurata e gli amministratori devono controllare il valore dei conferimenti valutati con metodi
alternativi entro 30 giorni dalla data di esecuzione del conferimento. Entro questo termine i soci
che rappresentano il 5% del capitale sociale possono chiedere che gli amministratori facciano
realizzare una nuova valutazione secondo il normale procedimento. Tra la data di pubblicazione
della delibera di aumento del capitale e quella in cui il conferimento diventa efficace devono
intercorrere non meno di 30 giorni per consentire ai soci di presentare l’istanza.

DIRITTO DI OPZIONE
Diritto dei soci di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale a
pagamento. Consente di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa al
capitale e al patrimonio sociale e serve a mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio
partecipa alla formazione della volontà sociale e serve a mantenere inalterato il valore reale della
partecipazione azionaria. Il diritto di opzione ha un proprio valore economico che l’azionista pu
monetizzare cedendo a terzi. Oggetto del diritto di opzione sono le azioni di nuova emissione e le
obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società. Per l’esercizio del diritto di opzione la
società deve concedere agli azionisti un termine non inferiore a 15 giorni. Il diritto di opzione è poi
sacrificabile in presenza di situazioni oggettive rispondenti ad un concreto interesse della società.

AUMENTO NOMINALE DI CAPITALE SOCIALE


L’aumento nominale o gratuito del capitale sociale è un’operazione che non dà luogo a nuovi
conferimenti e non determina quindi un incremento del patrimonio sociale. L’aumento nominale è
posto in essere dall’assemblea straordinaria imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti
in bilancio in quanto disponibili. L’aumento nominale di capitale sociale pu essere attuato o
aumentando il valore nominale delle azioni in circolazione o tramite l’emissione di nuove azioni
che dovranno avere le stesse caratteristiche di quelle già in circolazione e devono essere
assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle già possedute. L’aumento deve
quindi essere attuato in modo da non alterare le preesistenti posizioni reciproche degli azionisti.
RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
Il capitale sociale non pu essere ridotto al di sotto del minimo legale di 50.000 euro e se la società
ha emesso obbligazioni la riduzione reale del capitale sociale non pu avere luogo se non è
rispettato il limite legale all’emissione. L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le
ragioni e le modalità della riduzione di modo che i soci siano preventivamente informati. La
delibera adottata con le normali maggioranze previste per le modificazioni dello statuto pu essere
eseguita solo dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese. Entro questo termine i
creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione alla delibera di riduzione.
L’opposizione sospende l’esecuzione della delibera fino all’esito del giudizio. Il tribunale pu
disporre che l’esecuzione abbia ugualmente luogo se ritiene infondato il pericolo di pregiudizio per
i creditori o se la società presta idonea garanzia a favore del creditore opponente. La riduzione del
capitale sociale pu essere attuata tramite la liberazione dei soci dall’obbligo di versamenti ancora
dovuti, rimborso agli stessi del capitale e acquisto e successivo annullamento di azioni proprie.

LA RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE PER PERDITE


La riduzione del capitale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale nominale
all’attuale minor valore del capitale reale. È una riduzione puramente nominale dato che non
comporta alcuna riduzione del patrimonio sociale perché si è già verificata per effetto delle perdite.
La società non è obbligata a ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita dello stesso non sia
superiore a 1/3 e non si ha una perdita del capitale fin quando l’importo delle perdite non supera
l’ammontare delle riserve. La società pu comunque ridurre il capitale per perdite per poter
distribuire gli utili successivamente conseguiti. Si ha una riduzione obbligatoria del capitale se
esso è diminuito di oltre 1/3 in conseguenza di perdite. Se il minimo legale non è stato intaccato gli
amministratori o il collegio sindacale devono convocare senza indugio l’assemblea straordinaria e
sottoporle una situazione patrimoniale aggiornata della società. L’assemblea non è tenuta a
decidere l’immediata riduzione del capitale sociale e pu anche limitarsi ad un semplice rinvio a
nuovo delle perdite. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di 1/3
l’assemblea ordinaria deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza la
riduzione è disposta dall’ufficio del tribunale. Se il capitale scende al di sotto del minimo legale
l’assemblea deve deliberare o la riduzione del capitale sociale e il contemporaneo aumento ad
una cifra non inferiore al minimo legale o la trasformazione della società. Se l’assemblea non
adotta una di queste 2 decisioni la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione.
19. LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ
PER AZIONI
le cause di scioglimento
La s.p.a. si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti cause.
• Il decorso termine di durata fissato nell’atto costitutivo; termine che pu anche essere
prorogato prima della scadenza con delibera dell’assemblea straordinaria. L’attuale disciplina
limita tuttavia sotto un duplice profilo il potere dispositivo della maggioranza. Per le società che
non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza rafforzata di più
di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione. In tutte le s.p.a. è inoltre
riconosciuto il diritto di recesso agli azionisti che non hanno concorso all’approvazione della
delibera, salvo che lo statuto non disponga diversamente.
• Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
semprechè quest’ultima abbia carattere assoluto e definitivo. In ogni caso e comunque,
puntualizza l’attuale disciplina, tale causa di scioglimento non opera se l’assemblea, all’uopo
convocata senza indugio, delibera le opportune modifiche statutarie.
• L’impossibilità di funzionamento o la continua inattività dell’assemblea. E’ necessario per che
la paralisi dell’organo assembleare (per assenteismo degli azionisti o per contrasti che
impediscono la formazione delle prescritte maggioranze) precluda l’adozione di delibere
necessarie per il funzionamento della società (ad esempio, la nomina di amministratori e
sindaci, l’approvazione del bilancio).
• La riduzione del capitale (per perdite) al di sotto del minimo legale, salvo che l’assemblea
deliberi la riduzione e il contemporaneo aumento del capitale ad una cifra superiore al minimo
legale, oppure la trasformazione della società.
• La delibera dell’assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso di
uno o più soci, ovvero all’impossibilità di provvedere al rimborso delle relative azioni senza
ridurre il capitale sociale o all’opposizione dei creditori alla riduzione.
• La deliberazione dell’assemblea straordinaria di scioglimento anticipato, per la quale nelle
società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione.
• Le altre causa previste dall’atto costitutivo o dallo statuto (ad esempio: scadenza di una
concessione, morte di un socio), per le quali lo statuto deve determinare la competenza a
deciderle o accettarle e ad effettuare i prescritti adempimenti pubblicitari
• La sentenza che dichiara la nullità della società.
La s.p.a. si scioglie inoltre per dichiarazione di fallimento o il provvedimento dell’autorità
governativa che ne dispone la liquidazione coatta amministrativa. In questi casi, tuttavia, la
liquidazione della società avviene secondo le regole proprie di tali procedure concorsuali.
Verificatasi una causa di scioglimento, gli amministratori devono procedere al suo accertamento e
all’iscrizione nel registro delle imprese della relativa dichiarazione che ne dispone lo scioglimento.
In caso di omissione da parte degli amministratori, il tribunale, su istanza dei singoli soci o
amministratori o sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento con decreto soggetto ad
iscrizione nel registro delle imprese.
L’iscrizione nel registro delle imprese della causa di scioglimento acquista con la riforma del 2003
grande rilievo, in quanto l’attuale disciplina ha profondamente modificato la precedente, per quanto
riguarda la decorrenza degli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento. Per
esigenze di certezza, questi, in via di principio, non decorrono più dal momento stesso in cui la
causa di scioglimento si è verificata, bensì da quello successivo all’iscrizione nel registro delle
imprese della dichiarazione di accertamento del consiglio di amministrazione o della delibera
assembleare che dispone lo scioglimento. Da tale momento si producono, almeno nei confronti dei
terzi, tutti gli effetti che l’ordinamento ricollega al verificarsi di una causa di scioglimento.

La società in stato di liquidazione


Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l’immediata estinzione della società: si
deve prima provvedere, attraverso il procedimento di liquidazione, al pagamento dei creditori
sociali ed alla ripartizione tra i soci dell’eventuale residuo attivo. La società entra in stato di
liquidazione e si producono effetti che coinvolgono i vari organi sociali e gli amministratori in primo
luogo.
Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori ma, contestualmente
all’accertamento della causa di scioglimento, devono convocare l’assemblea per le deliberazioni
relative alla liquidazione. Sono inoltre responsabili della conservazione dei beni sociali fino a
quando non li abbiano consegnati ai liquidatori.
Per il semplice verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di
gestire la società ai soli fin della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale in
attesa di farne consegna ai liquidatori; formula questa che sostituisce il divieto di nuove operazioni
posto dalla disciplina previgente. Per gli atti e le omissioni posti in essere violando tale limitazione,
gli amministratori sono personalmente e solidamente responsabili dei danni arrecati alla società, ai
soci, ai creditori sociali e ai terzi.
Con gli amministratori risponderà nei confronti dei terzi anche la società. Lo scioglimento della
società si ripercuote anche sugli altri organi sociali. Il collegio sindacale continuerà a svolgere la
consueta attività di controllo, anche nei confronti dei liquidatori che subentrano agli amministratori.
Meno agevole è invece definire i limiti che l’attività deliberativa dell’assemblea incontra durante la
liquidazione. E’ infatti controverso se con lo stato di liquidazione siano compatibili alcune delibere
modificative dello statuto: aumento del capitale sociale a pagamento, riduzione facoltativa,
trasferimento della sede sociale all’estero, trasformazione.
E’ sicuramente consentita la fusione con altre società. Con la riforma del 2003 è stata disciplinata
la revoca dello stato di liquidazione. La società pu in ogni momento revocare lo stato di
liquidazione e tornare ad una fase di normale esercizio con delibera dell’assemblea straordinaria,
ma nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la
maggioranza rafforzata di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione. Ai soci
che non hanno concorso alla deliberazione è riconosciuto il diritto di recesso.
La revoca ha effetto solo dopo 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, termine entro il
quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono proporre opposizione.

Il procedimento di liquidazione. L’estinzione della società.


Il procedimento di liquidazione si apre con la nomina di uno o più liquidatori. Essi sono nominati
dall’assemblea straordinaria, con delibera che ne fissa il numero, le regole di funzionamento, ed i
poteri con particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di
singoli beni o diritti, nonché agli atti necessari per la conservazione del valore d’impresa, ivi
compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo.
Nell’inerzia dell’assemblea, i liquidatori sono nominati dal tribunale, su istanza dei soci o
amministratori ovvero dei sindaci. I liquidatori restano in carica per tutta la durata del procedimento
di liquidazione, salvo che non sia espressamente fissato un termine. Valgono per essi le cause di
ineleggibilità e di decadenza previste per gli amministratori.
I liquidatori possono essere revocati dall’assemblea con le maggioranze prescritte per l’assemblea
straordinaria. Se sussiste giusta causa, sono revocabili anche dal tribunale, su istanza dei soci, dei
sindaci o del pubblico ministero. I provvedimenti di nomina e di revoca dei liquidatori sono soggetti
a iscrizione nel registro delle imprese. Con l’iscrizione della nomina dei liquidatori, gli
amministratori cessano dalla carica e devono consegnare ai liquidatori i libri sociali, una situazione
dei conti alla data dello scioglimento ed un rendiconto della loro gestione relativo al periodo
successivo all’ultimo bilancio approvato.
Di tale consegna viene redatto apposito verbale. Poteri doveri e responsabilità dei liquidatori sono
modellati su quelli degli amministratori, sia pure con alcuni adattamenti imposti dalle peculiarità
dello stato di liquidazione. Pertanto:
• I liquidatori devono adempiere i loro doveri con diligenza e professionalità e la loro
responsabilità è disciplinata dalle norme in tema di responsabilità degli amministratori.
• I liquidatori devono prendere in consegna dagli amministratori i beni e i documenti sociali,
nonché redigere con gli stessi l’inventario del patrimonio sociale.
• I liquidatori possono compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società salvo diversa
disposizione statutaria o adottata in sede di nomina. Scompare il previgente divieto di
intraprendere nuove operazioni e la connessa responsabilità personale per gli affari intrapresi.
L’attività dei liquidatori deve essere innanzitutto diretta al pagamento dei creditori sociali. Essi
non possono perciò ripartire tra i soci i beni della società fin quanto non siano pagati tutti i
creditori noti o non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli. L’attuale
disciplina consente di distribuire ai soci acconti durante la liquidazione, evitando che siano
pregiudicati i creditori sociali. I liquidatori sono personalmente e solidamente responsabili per i
danni che ne derivano a questi ultimi. Se i fondi disponibili risultano insufficienti, i liquidatori
possono chiedere proporzionalmente ai soci i versamenti ancora dovuti sulle azioni non
interamente liberate. I liquidatori devono redigere ogni anno il bilancio e sottoporlo
all’approvazione dell’assemblea. Nel primo bilancio successivo alla loro nomina i liquidatori
devono indicare le variazioni nei criteri di valutazione adottati rispetto all’ultimo bilancio
approvato e le ragioni e le conseguenze di tali variazioni. Completata la liquidazione del
patrimonio sociale con la conversione in denaro dell’attivo, i liquidatori devono redigere il
bilancio finale di liquidazione, indicando la parte spettante a ciascun socio nella divisione
dell’attivo.
Il bilancio finale di liquidazione deve essere approvato dai singoli soci e non dall’assemblea.
Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della
società dal registro delle imprese. I libri della società sono depositati presso l’ufficio del registro
delle imprese. Intervenuta che sia la cancellazione dal registro, ferma restando l’estinzione della
società, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere i loro diritti:
• Nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio
finale di liquidazione.
• Nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, pu essere notificata presso l’ultima
sede della società. La cancellazione dal registro delle imprese segna quindi l’estinzione della
s.p.a., quand’anche vi siano creditori non soddisfatti. Inoltre, l’attuale disciplina prevede la
cancellazione di ufficio quando per oltre tre anni successivi non viene depositato il bilancio
annuale di liquidazione.
I creditori possono tuttavia chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione
della stessa dal registro delle imprese. Precedentemente, nonostante la cancellazione dal registro
delle imprese, la società doveva ritenersi ancora in vita ed esposta al fallimento fin quando non
fosse stato pagato l’ultimo debito sociale noto o ignoto.

20. LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA


Caratteri distintivi
La societa a responsabilità limitata art (2462-2483) è una società di capitali nella quale:
Per le obbligazioni sociali risponde solo la società col suo patrimonio.
Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e non possono inoltre
costituire oggetto di sollecitazione all’investimento. Il che costituisce significativo ostacolo alla
raccolta di ingenti capitali di rischio fra il pubblico dei risparmiatori, rendendo meno agevole la
pronta mobilitazione dell’investimento. Con la riforma del 2003 è caduto il divieto per le s.r.l. di
emettere obbligazioni e quindi di emettere titoli di credito di massa (valori mobiliari) anche per la
raccolta di capitale di credito. L’attuale disciplina consente alla s.r.l. di emettere titoli di debito,
sostanzialmente assimilabili alle obbligazioni, ma vieta la collocazione diretta degli stessi presso il
pubblico dei risparmiatori.
Il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione della società è di 10.000 euro. La riforma ha
radicalmente revisionato la disciplina di questo tipo di società. Infatti secondo la disciplina
delineata dal codice del 1942, l’assetto organizzativo della s.r.l. ricalcava il modello base della
s.p.a. , pur caratterizzandosi per la possibilità di una più snella articolazione e di una più attiva e
diretta partecipazione dei soci alla vita della società.
Nella s.r.l. oggi è consentito adottare statutariamente anche soluzioni organizzative proprie delle
società di persone. Ad esempio, in tema di decisioni dei soci, per le quali pu entro certi limiti
essere soppresso il metodo assembleare, e per quanto riguarda i modelli di amministrazione. Nel
contempo è rafforzata la tutela del singolo socio, con il riconoscimento di nuovi diritti, quale la
legittimazione individuale all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori.
L’obiettivo di fondo è accentuare il distacco della s.r.l. dalla s.p.a. e di farne un modello societario
particolarmente elastico, che consenta di valorizzare i profitti di carattere personale presenti
soprattutto nelle piccole e medie imprese. In breve, di realizzare meglio di quanto seppe fare il
legislatore del 1942, l’idea della s.r.l. come tipo di società di capitali che si presta meglio della
s.p.a. per l’organizzazione di imprese di modeste dimensioni, a base familiare e comunque con
compagine societaria ristretta e attiva.

La costituzione della società. La s.r.l. unipersonale


La costituzione della s.r.l. presenta limitate deviazioni dal regime della s.p.a. , la cui disciplina è
ampiamente richiamata.
Il capitale minimo richiesto per la costituzione è 10.000 euro.
La denominazione sociale pu essere liberamente formata come nella s.p.a. , ma deve ovviamente
contenere l’indicazione di s.r.l.
Anche la s.r.l. pu essere costituita a tempo indeterminato. In tal caso ogni socio pu recedere
dalla società dando un preavviso di sei mesi, che lo statuto pu allungare fino a un anno. La s.r.l.
è il primo tipo di società di capitali per il quale fu introdotta nel 1993 la possibilità di costituzione
da parte di un singolo socio, con il mantenimento della responsabilità limitata per le obbligazioni
sociali.
La disciplina è stata modificata con la riforma del 2003 ed allo stato coincide con quella della
società per azioni unipersonale per quanto riguarda gli specifici profili di differenziazione dalla
società pluripersonale.

I conferimenti. Le altre forme di finanziamento.


Nella disciplina previgente ai conferimenti nella s.r.l. si applicava la stessa disciplina dettata per la
s.p.a. La materia è stata per modificata dalla riforma del 2003. l’attuale principio base è che come
nella società di persone, anche nella s.r.l. possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo
suscettibili di valutazione economica. Inoltre il versamento presso una banca del 25% dei
conferimenti in denaro e dell’intero sovrapprezzo pu essere sostituito dalla stipula di una polizza
di assicurazione o di una fideiussione bancaria.
Infine è espressamente consentito il conferimento di prestazioni d’opera o servizi, purché l’intero
valore assegnato a tale conferimento sia garantito da una polizza di assicurazione o da una
fideiussione bancaria. Semplificata è anche la disciplina relativa ai conferimenti in natura. Non è
necessario che l’esperto chiamato ad effettuare la valutazione sia designato dal tribunale, ma è
sufficiente che si tratti di un esperto o di una società di revisione iscritta nell’apposito albo. Non è
prevista revisione della stima.
Analoga semplificazione della stima è prevista anche per gli acquisti pericolosi della società nei
confronti dei soci, amministratori, fondatori, la cui disciplina ricalca per il resto quella della s.p.a. in
parte richiamata. Specificatamente disciplinata è la posizione del socio moroso, con disciplina
applicabile anche quando siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la
fideiussione bancaria rilasciata dal socio.
Rispetto alla disciplina della s.p.a. resta comunque ferma la regola che il socio moroso non pu
partecipare alle decisioni dei soci. Resta ferma anche la facoltà per la società di vendere
coattivamente le quote del socio moroso, in alternativa alla normale azione giudiziaria. Se
mancano offerte d’acquisto da parte dei soci per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato,
si procede tuttavia alla vendita all’incanto solo se lo statuto lo prevede. Emerge in ci il rilievo più
personalistico della s.r.l.
Se la vendita non pu aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio
moroso, trattenendo le somme. In tal caso, il capitale deve essere immediatamente ridotto in
misura corrispondente, in quanto la s.r.l. non pu in nessun caso farsi acquirente delle proprie
quote. Altra novità della riforma del 2003 è l’introduzione di una specifica disciplina dei
finanziamenti dei soci, volta a porre un freno al fenomeno, diffuso soprattutto nella società a base
familiare, delle società sottocapitalizzate che operano con ingenti finanziamenti a titolo di capitale
di prestito da parte dei soci.
A tale riguardo si stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei soci alla società è postergato
rispetto al soddisfacimento degli altri creditori. Inoltre, deve essere restituito alla società se
avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della stessa. Questa disciplina si
applica ai finanziamenti dei soci, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un
momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto,
oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento.
Identica disciplina è applicabile ai finanziamenti concessi dalla società capogruppo alle società
controllate.
Con l’attuale disciplina è infine caduto il divieto per le s.r.l. di emettere obbligazioni. Difatti si
consente che lo statuto possa prevedere l’emissione di titoli di debito, peraltro sottratti alla
disciplina propria delle obbligazioni di s.p.a.
E’ infatti lo statuto della singola s.r.l. a stabilire se la competenza ad emettere titoli di debito spetta
ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze
necessarie. La decisione di emissione fissa le condizioni del prestito e le modalità di rimborso ed è
iscritta nel registro delle imprese. Pu anche prevedere che condizioni e modalità di rimborso
possano essere modificate con il consenso della maggioranza dei possessori dei titoli. I titoli di
debito non possono essere collocati direttamente presso il pubblico dei risparmiatori. Possono
infatti essere sottoscritti solo da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale che, in
caso di successiva circolazione, rispondono per legge della solvenza della società nei confronti
degli acquirenti che non siano investitori professionali o soci della società emittente.
Le quote sociali
Nella s.r.l. il capitale è diviso secondo un criterio personale, dato che in tale società le quote di
partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni. Il capitale della s.r.l. è diviso
in parti in base al numero dei soci: in numero iniziale delle quote corrisponde al numero dei soci
che partecipano alla costituzione della società e ciascun socio diventa titolare di un’unica quota di
partecipazione, corrispondente alla frazione di capitale sociale da lui sottoscritta.
Da qui una serie di differenze delle quote di s.r.l. rispetto alle azioni. Mentre le azioni sono di ugual
valore, le quote possono essere di diverso ammontare e lo sono inizialmente se diverso è
l’ammontare del capitale sottoscritto da ciascun socio. Così, ad esempio, se lo statuto stabilisce
che l’ammontare di ciascuna quota è di un euro o suoi multipli, il socio che sottoscrive capitale per
10 euro, non avrà 10 quote da un euro, ma un’unica quota di dieci euro. Mentre le azioni
attribuiscono uguali diritti, le quote possono essere anche sotto tale profilo le une diverse dalle
altre.
Infatti la regola base è che i diritto sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla
partecipazione da ciascuno posseduta e che, se l’atto costitutivo non dispone diversamente, le
partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento. Questa regola
pu essere ampiamente derogata dall’autonomia statutaria dato che l’atto costitutivo pu prevedere
l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la
distribuzione di utili. Diritti questi ultimi che, salvo diversa previsione statutaria, possono essere
modificati solo con il consenso di tutti i soci.
Perci , una quota personale pu essere con prestazioni accessorie, un’altra privilegiata nella
distribuzione degli utili, ad un socio potrà essere riservata l’amministrazione della società e così
via. Ulteriore differenza delle quote rispetto alle azioni, è che le prime non possono essere
rappresentate da titoli di credito, né possono costituire oggetto di sollecitazione all’investimento.
L’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società costituisce semplice documento probatorio
della qualità di socio e della misura della partecipazione sociale, non uno strumento per la
circolazione della stessa.L’atto costitutivo pu limitare ma anche escludere del tutto il trasferimento
delle quote. Pu inoltre subordinare il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi,
senza prevedere condizioni o limiti. In tali casi i soci o i suoi eredi possono recedere dalla società.
L’atto costitutivo non pu sopprimere questa causa di recesso. Per assicurare maggiore stabilità
alla compagine societaria, pu comunque prevedere che il recesso non possa essere esercitato
prima di un certo termine (non maggiore di due anni) dalla
costituzione della società o dalla sottoscrizione della quota.
Anche la disciplina del recesso è stata radicalmente riformata con un significativo ampliamento
rispetto al passato dei casi in cui il recesso è consentito. L’atto costitutivo stabilisce quando il socio
pu recedere e le relative modalità. Inoltre e soprattutto il recesso è inderogabilmente riconosciuto
per legge in una serie di casi.
Se la società è a tempo indeterminato ogni socio pu recedere con un preavviso di 180 giorni, che
l’atto costitutivo pu allungare fino ad un anno.
Se la società è a tempo determinato possono recedere i soci che non hanno consentito (contrari,
assenti, astenuti):
1) al cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società;
2) alla fusione o scissione;
3) alla revoca dello stato di liquidazione;
4) al trasferimento della sede sociale all’estero;
5) all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto;
6) al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o
una rilevante modifica dei diritti particolari attribuiti al singolo socio.
Infine il diritto di recesso è riconosciuto al socio contrario all’aumento del capitale sociale con
esclusione del diritto di opzione. E per le s.r.l. soggette all’altrui attività di direzione e
coordinamento si applicano anche le specifiche cause di recesso in precedenza esaminate. Inoltre
il criterio di determinazione del valore delle quote del socio receduto tende ad assicurarne la
rispondenza al valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso, che in caso di
disaccordo viene determinato da un esperto nominato dal tribunale. La quota del socio recedente
deve essere offerta prima in opzione agli altri soci, oppure ad un terzo concordemente individuato
dai soci stessi. Se non vi sono acquirenti, si procede al rimborso attingendo alle riserve disponibili
della società o, in mancanza, tramite riduzione reale del capitale. Ma se anche la riduzione del
capitale diviene impossibile, perché i creditori si oppongono, la società si scioglie.
Altra novità dell’attuale disciplina è che, come nelle società di persone, l’atto costitutivo pu
prevedere specifiche cause di esclusione del socio per giusta causa. Per il rimborso si applica la
disciplina del recesso, con esclusione della riduzione del capitale sociale.
Gli organi sociali. Le decisioni dei soci.
La disciplina degli organi della s.r.l. è l’aspetto su cui la riforma del 2003 ha inciso con maggior
profondità valorizzando al massimo l’autonomia statutaria, anche se il modello base di partenza
resta pur sempre la tripartizione assemblea-organo amministrativo- collegio sindacale propria della
s.p.a. Molte sono per le modifiche rispetto al sistema previgente. Così l’assemblea dei soci
degrada da organo essenziale ad organo solo eventuale per una serie di decisioni dei soci. Le
materie rimesse alle decisioni dei soci di s.r.l. sono ora definite in maniera autonoma e sono più
ampie rispetto alle competenze dell’assemblea nella s.p.a. sono rimesse inderogabilmente alla
decisione dei soci:
1) l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
2) la nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo;
3) la nomina dei sindaci, del presidente del collegio sindacale e del revisore;
4) le modificazioni dell’atto costitutivo;
5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione
dell’oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. E l’atto costitutivo pu
riservare alla competenza dei soci ulteriori materie.
Con regola opposta rispetto alla s.p.a. si prevede che i soci decidano su qualsiasi argomento sia
sottoposto alla loro approvazione dagli amministratori o da tanti soci che rappresentano almeno un
terzo del capitale sociale.
Su queste materie delibera l’assemblea. L’atto costitutivo pu anche prevedere che le decisioni dei
soci siano adottate con una procedura più snella, mediante consultazione scritta o sulla base del
consenso espresso per iscritto. In questo caso le decisioni sono adottate con voto favorevole di
una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale. Dai documenti sottoscritti
dai soci deve risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla
stessa.
Pur in presenza di tale clausola statutaria, la decisione con metodo assembleare è per necessaria
per le modificazioni dell’atto costitutivo, per le decisioni che comportano una sostanziale modifica
dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci, nonché per la riduzione del capitale
per perdite obbligatoria. E’ inoltre necessaria quando ne sia fatta richiesta da uno o più
amministratori o dai soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale. Anche quando è
l’assemblea a dover deliberare, la disciplina della stessa è resa del tutto autonoma da quella della
s.p.a. e soprattutto è in larga parte devoluta all’atto costitutivo. E’ così rimessa all’atto costitutivo la
determinazione dei modi di convocazione, purchè gli stessi siano tali da assicurare la tempestiva
informazione degli argomenti da trattare. In mancanza, l’assemblea è convocata dagli
amministratori con lettera raccomandata spedita ai soci, almeno otto giorni prima dell’adunanza,
nel domicilio risultante dal libro dei soci. Non è quindi necessaria la pubblicazione dell’avviso di
convocazione nella Gazzetta Ufficiale.
Possono intervenire in assemblea tutti i soci che risultano iscritti nel libro dei soci, anche se
l’iscrizione è avvenuta il giorno stesso dell’adunanza. Per la rappresentanza in assemblea non
operano le limitazioni previste per la s.p.a. Il voto dei soci vale in misura proporzionale alla
partecipazione. Le maggioranze richieste per l’approvazione delle deliberazioni sono più elevate
che nella s.p.a.
L’assemblea ordinaria è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano
almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta del capitale intervenuto.
Per le modificazioni dell’atto costitutivo è per necessario il voto favorevole dei soci che
rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Non è prevista un assemblea di seconda
convocazione con maggioranze ridotte, che per pu essere introdotta dall’atto costitutivo.
L’attuale disciplina prevede invece espressamente l’assemblea totalitaria.
Parzialmente autonoma è anche la disciplina dell’invalidità delle decisioni dei soci.
Le decisioni che non sono prese in conformità dalla legge o dell’atto costitutivo possono essere
impugnate dai soci che non vi hanno consentito anche individualmente, nonché da ciascun
amministratore e dal collegio sindacale entro 90 giorni dalla loro trascrizione nel libro delle
decisioni dei soci. Quindi non si richiede, come per la s.p.a. che l’impugnazione venga proposta
dai soci che rappresentano una determinata percentuale del capitale.
Identica disciplina è dettata per le decisioni adottate col voto determinante dei soci in conflitto di
interessi. Il tribunale pu assegnare un termine massimo di 180 giorni per l’adozione di una nuova
decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità. In tal caso, come nella s.p.a. la sostituzione
sana retroattivamente la decisione invalida e fa salvi i diritti acquistati medio tempore dai terzi.
Possono invece essere impugnate da chiunque ne abbia interesse, entro 3 anni, le decisioni
aventi oggetto impossibile o illecito e quelle prese in assenza assoluta di informazione. Infine
possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale
prevedendo attività impossibili o illecite.
Per il resto è fatto rinvio alla disciplina dell’invalidità delle delibere della s.p.a.

Amministrazione e controlli
La ripartizione di competenze fra assemblea e amministratori in merito alla gestione dell’impresa
sociale è in larga parte rimessa all’autonomia statutaria. Si pone il dubbio se l’atto costitutivo
possa concentrare tutti i poteri gestori in capo ai soci attribuendo ad essi anche l’amministrazione
della società, dati gli ampi spazi concessi all’autonomia statutaria. In mancanza di diversa
previsione statutaria resta ferma la regola che l’amministrazione è affidata a uno o più soci,
nominati con decisione dei soci, che restano in carica a tempo indeterminato. Quando
l’amministrazione è affidata a più persone queste costituiscono il consiglio di amministrazione,
anche se l’adozione del metodo collegiale non è inderogabile. L’atto costitutivo pu infatti
prevedere che le relative decisioni siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del
consenso espresso per iscritto. Tuttavia, (la novità) l’atto costitutivo pu prevedere che gli
amministratori operino non collegialmente, ma disgiuntamente o congiuntamente come nelle
società di persone.
Devono comunque essere decise con il metodo collegiale la redazione del progetto di bilancio e
dei progetti di fusione e scissione, nonché la decisione dell’aumento di capitale per delega.
Coincide con quella prevista per la s.p.a. la disciplina del potere di rappresentanza degli
amministratori. Per i contratti conclusi dagli amministratori con rappresentanza in conflitto di
interessi possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal terzo.
Possono inoltre essere impugnate entro 90 giorni le decisioni adottate dal consiglio di
amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, qualora
cagionino un danno patrimoniale alla società. Riguardo all’azione di responsabilità si prevede: È
affermata la responsabilità degli amministratori verso la società e verso i singoli soci o terzi
direttamente danneggiati, ma non si fa menzione della responsabilità verso i creditori sociali.
Responsabili solidamente con gli amministratori sono anche i soci che hanno intenzionalmente
deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi e quindi i soci che
di fatto, anche se non formalmente, amministrano la società.
Infine e soprattutto, l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori pu essere promossa
anche dal singolo socio, il quale pu altresì chiedere, come provvedimento cautelare, la revoca
degli amministratori in caso di gravi irregolarità nella gestione della società. L’atto costitutivo pu
prevedere la nomina di un collegio sindacale o di un revisore determinandone competenze e
poteri. Nella s.r.l. la nomina del collegio sindacale è per obbligatoria solo se il capitale sociale non
è inferiore a quello minimo stabilito per la s.p.a. o se non ricorrono le condizioni stabilite per la
redazione del bilancio di esercizio in forma abbreviata. In tal caso la disciplina del collegio
sindacale è quella propria della s.p.a. anche se si chiarisce che non è necessaria anche la nomina
di un revisore. Il controllo contabile è esercitato dallo stesso collegio sindacale.
Nelle società dove manca il collegio sindacale alcuni dei poteri di controllo propri dei sindaci sono
riconosciuti direttamente ai soci che non partecipano all’amministrazione. Ogni socio non
amministratore ha diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali e
di consultare libri sociali e documenti relativi all’amministrazione, compresi libri e scritture contabili
della società.

La societa a responsabilità limitata semplificata


Questo tipo di societa è stata introdotta nel 201. Si tratta di un modello societario disciplinato dalle
norme della società a responsabilità limitata. La società pu essere costituita con contratto o atto
unilaterale solo da persone fisiche.
La denominazione sociale deve contenere l’indicazione di società a responsabilità limitata
semplificata. Il capitale sociale deve essere pari almeno ad un euro ed inferiore a 10.000. sono
ammessi soltanto conferimenti in denaro ed il capitale deve essere interamente sottoscritto e
versato nelle mani dell’organo amministrativo alla data della costituzione. La societa deve essere
costituita per atto pubblico, ma l’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle imprese sono esenti
da diritti di bollo e di segreteria e persino dal pagamento di onorari notarili. In compenso di questo
risparmio economico, viene fortemente sacrificata l’autonomia statutaria: l’atto costitutivo deve
essere redatto in conformità del modello standard tipizzato con decreto del ministro della giustizia,
le cui clausole sono espressamente dichiarate inderogabili.
22.PROCEDURE CONCORSUALI
Crisi dell’impresa e procedure concorsuali
La crisi dell’impresa è un evento di fronte al quale i mezzi di tutela individuali dei creditori previsti
dall’ordinamento ed in particolare l’azione esecutiva individuale sui beni del debitore si rilevano
strumenti inadeguati ed insufficienti.
Inadeguati, perché si tratta di tutelare una massa di creditori e di tutelarli di fronte ad una
situazione che coinvolge l’intero patrimonio del debitore.
Insufficienti, perché il problema è quello di cercare di contemperare tale esigenza, con gli ulteriori
interessi collettivi coinvolti dalla qualità di imprenditore del debitore.
Nel 2012 sono state introdotte specifiche procedure concorsuali utilizzabili dai debitori diversi
dall’imprenditore commerciale non piccolo: piccoli imprenditori, imprenditori agricoli, ma anche
professionisti e consumatori.
La legge regola Attualmente sei procedure concorsuali, quattro sono previste dalla c.d. legge
fallimentare e sono : il fallimento, il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e
la liquidazione coatta amministrativa. Una quinta procedura concorsuale, l’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, successivamente si è aggiunta una
speciale amministrazione straordinaria accelerata per le imprese di maggiori dimensioni. Le
procedure concorsuali riservate ai debitori diversi dall’imprenditore commerciale non piccolo sono:
la procedura di liquidazione, l’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore. Le
singole procedure condividono alcuni caratteri, ed esse sono tutte generali e collettive.
Sono generali perché coinvolgono tutto il patrimonio dell’imprenditore e non solo singoli beni.
Sono collettive perché coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore alla data in cui il dissesto è
accertato e mirano ad assicurare, la parità di trattamento degli stessi (par condicio creditorum). A
tal fine le forme ordinarie di tutela dei creditori sono sostituite ex lege da forme di tutela collettiva,
il cui obiettivo è quello di ripartire fra tutti i creditori interessati le conseguenze patrimoniali del
dissento dell’imprenditore.

Le singole procedure concorsuali


Diverse possono essere le cause della crisi dell’impresa. Da qui la necessità di differenziazione
delle procedure concausali. Queste infatti, pur atteggiandosi tutte come procedure generali e
collettive, sono diverse fra loro sotto più profili: presupposti soggettivi ed oggettivi di
applicazione; finalità specificamente perseguita e strumenti giuridici utilizzati; autorità (giudiziaria e
amministrativa) investita della procedura.
Il fallimento è il prototipo delle procedure concorsuali. Ad esso sono soggetti gli imprenditori
commerciali insolventi, salvo che ricorrano gli specifici presupposti soggettivi e/o oggettivi stabiliti
per le altre procedure concorsuali.
Il fallimento è una procedura giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore
insolvente, opportunamente reintegrato e a ripartirne il ricavato fra i creditori.
Dopo il 2005 si è arrivati ad una revisione della legge fallimentare che è stata radicalmente
ridisegnata.
Le novità introdotte nella procedura fallimentare sono ad esempio: maggiore autonomia al curatore
nel determinare le modalità di liquidazione del patrimonio, che devono comunque privilegiare la
cessione in blocco dell’azienda rispetto alla vendita dei singoli beni. Riduzione della funzione del
giudice delegato ad organo di sorveglianza, ma non più di direzione della procedura. Nel
contempo, la nuova disciplina mira ad evitare che la crisi d’impresa sfoci in fallimento. Si inserisce
in questo disegno il nuovo concordato preventivo, che non presuppone più necessariamente
l’insolvente dell’imprenditore, bensì solo una situazione di crisi dell’impresa. L’accordo pu
perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma.
Il concordato preventivo pu quindi perseguire a seconda delle circostanze, vuoi la liquidazione di
tutto il patrimonio, vuoi il ritorno in bonis del debitore e la persecuzione dell’attività d’impresa da
parte dello stesso. Il concordato preventivo assorbe la funzione della soppressa amministrazione
controllata. Le medesime finalità possono avere che gli accordi di ristrutturazione dei debiti, che si
differenziano dal concordato preventivo per il modo in cui viene raggiunto l’accordo e per una
maggiore libertà delle parti nel determinare il contenuto.
La liquidazione coatta amministrativa è invece una procedura che trova applicazione, in luogo del
fallimento, nei confronti di determinate categorie di imprese che svolgono attività di particolare
rilievo economico e soci<le e perci sono sottoposte a vigilanza governativa. È pari al fallimento
una procedura concorsuale che porta all’eliminazione dell’impresa dal mercato ed alla
disgregazione del complesso produttivo, assicurando nel contempo il soddisfacimento paritario dei
creditori. Si differenzia pero dal fallimento perché è una procedura amministrativa ( e non
giudiziaria); inoltre pu essere disposta dall’autorità di vigilanza anche per cause diverse
dall’insolvenza. Ad esempio, per gravi irregolarità nella gestione.
Dal 79’ si è inserita una nuova procedura : l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
crisi. Ma nel 99’ è stata profondamente riformata al fine di meglio conciliare la conservazione del
patrimonio produttivo delle grandi imprese insolventi con la tutela dei creditori.
Ne è conseguita una procedura concorsuale mista (giudiziaria e amministrativa) articolata in due
fasi. La prima si apre con la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria,
che solo in un secondo momento ammette l’imprenditore all’amministrazione straordinaria vera e
propria dopo aver accertato che ricorrono concrete prospettive di riequilibrio economico
dell’impresa. Altrimenti dichiara il fallimento.
È invece devoluta all’autorità amministrativa la gestione della procedura, che si caratterizza per
l’automatica continuazione dell’esercizio dell’impresa insolvente, prima da parte di un commissario
giudiziale e poi da parte di un commissario straordinario di nomina ministeriale. Quest’ultimo
provvede altresì a predisporre ed attuare un programma finalizzato a soddisfare i creditori
attraverso la cessione dei complessi aziendali entro un anno, o alternativamente, a consentire che
l’imprenditore recuperi la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni attraverso un
programma di risanamento di durata non superiore a due anni. L’amministrazione straordinaria si
converte in fallimento ove risulti, anche nel corso della procedura, che questi obiettivi non sono
realizzabili. Punto critico della procedura di amministrazione straordinaria è pero l’eccessiva
complessità della fase di apertura, volta al preventivato accertamento giudiziario dei requisiti di
ammissione.
Regole che prevedono l’immediata ammissione dell’impresa all’amministrazione straordinaria da
parte del ministero dello sviluppo economico su semplice richiesta della stessa. Solo dopo
l’apertura della procedura interviene l’autorità giudiziaria per verificare la condizione di insolvenza
del debitore (ma non l’esistenza di effettive capacità di recupero).
Infine, vi sono le procedure concorsuali utilizzabili dai debitori diversi dall’imprenditore
commerciale non piccolo che versano in stato di sovraindebitamento.
La procedura di liquidazione è una procedura giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio del
debitore insolvente e a ripartirne il ricavato fra i creditori.
L’accordo di composizione della crisi presenta invece affinità con il concordato preventivo e con gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, essendo finalizzato al raggiungimento di una soluzione
concordata della crisi mediante un accordo fra debitore e creditori.
Il piano del consumatore è una procedura riservata soltanto ai consumatori incolpevoli del proprio
sovraindebitamento. Come per l’accordo di composizione della crisi, si prevede il superamento
della crisi mediante l’attuazione di un piano predisposto dal debitore, solo che in questo caso non
è richiesto il consenso di una maggioranza qualificata dei creditori affinchè il piano possa essere
omologato e diventare efficace.

23.I PRESUPPOSTI DEL FALLIMENTO


Il fallimento è una procedura giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore
insolvente e a ripartire il ricavato fra i creditori, secondo il principio della parità di trattamento.
I presupposti (oggettivi) per la dichiarazione di fallimento sono:
A) la qualità di imprenditore commerciale del debitore
B) Lo stato di insolvenza dello stesso
C) Il superamento di almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall’art 1 comma 2° Legge
fallimentare
D) La presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissato dalla legge In
merito al presupposto soggettivo. va puntualizzato che l’ambito di applicazione del fallimento
subisce alcune limitazioni in quanto:
1) il fallimento è sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categorie di
imprenditori
2) Il fallimento cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale procedura.
3) Gli enti pubblici sono esonerati dal fallimento, restando soggetti alla liquidazione coatta
amministrativa in base a leggi speciali oppure alle procedure di dissesto previste dalla
normativa pubblicista
4) Le societa start up innovative sono soggette solo alle procedure concorsuali delle crisi da
sovraindebitamento con esclusione del fallimento e delle altre procedure concorsuali

Il primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore.


L’imprenditore versa in stato di insolvenza quando “ non è più in grado di soddisfare regolarmente
le proprie obbligazioni”. Presupposto oggettivo del fallimento è quindi una situazione irreversibile
che coinvolge l’intero patrimonio dell’imprenditore e non gli consente di soddisfare, a tempo debito
e con mezzi normali, le obbligazioni assunte.
L’insolvenza si manifesta con l’inadempimento di uno o più obbligazioni, tuttavia pu anche
manifestarsi anche indipendentemente dagli inadempimenti, attraverso fatti esteriori.
Il primo (insolvenza) è una situazione del patrimonio del debitore; il secondo (inadempienza) è un
fatto che rileva come uno dei possibili indici dello stato di insolvenza (es. l’imprenditore ha pagato
tutti i debiti ed essere ci nonostante insolvente se lo ha fatto ricorrendo a prestiti usurai o vendite
sotto costo diretti a mascherare l’insolvenza).
Anzi questi espedienti sono puniti come reati di bancarotta semplice. Viceversa l’imprenditore pu
essere inadempiente senza essere insolvente. (es. ha i mezzi patrimoniali liquidi e non paga per
negligenza). Non è insolvente l’imprenditore che non paga per cause che comportano solo una
temporanea difficoltà di adempimento.
In definitiva lo stato d’insolvenza comporta il fallimento la temporanea difficoltà pu integrare
invece il presupposto del concordato preventivo. L’attuale disciplina prevede che per aprire il
fallimento sono necessarie entrambe le circostanze. La cessazione dell’impresa o la morte
dell’imprenditore non impediscono la dichiarazione di fallimento. Il fallimento pu essere dichiarato
solo se non è trascorso più di un anno dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle
imprese

La dichiarazione di fallimento
Il fallimento pu essere dichiarato da:
1) su ricorso di uno o più creditori (ipotesi più frequente);
2) su richiesta del debitore;
3) su istanza del pubblico ministero.
Non più invece d’ufficio dallo stesso tribunale. L’iniziativa del debitore costituisce di regola una
facoltà dello stesso. L’imprenditore (ma non i suoi eredi) che chiede il proprio fallimento deve
depositare presso la cancelleria del tribunale una serie di documenti: le scritture contabili e fiscali
obbligatorie dei tre esercizi precedenti o dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore
durata; uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività; l’indicazione dei ricavi lordi degli
ultimi tre esercizi; l’elenco nominativo dei creditori e dei rispettivi crediti.
Il pubblico ministero ha potere-dovere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulti da fatti
che configurano reati fallimentari. La relativa condanna pu essere per pronunciata solo dopo che
è stato accertato lo stato d’insolvenza. La riforma del 2006 ha soppresso il potere del tribunale di
dichiarare d’ufficio il fallimento. Competente per la dichiarazione di fallimento è il tribunale del
luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. Il tribunale decide sulla richiesta di
fallimento con uno speciale procedimento incamera di consiglio.
Il debitore e i creditori istanti per il fallimento devono per essere sentiti in udienza. Il tribunale pu
emettere provvedimenti cautelari o conservativi volti a tutelare il patrimonio o l’impresa. Se il
tribunale invece ritiene di non accogliere la domanda di fallimento provvede con un decreto
motivato. Contro tale decreto il creditore, il pubblico ministero e lo stesso debitore possono
proporre reclamo alla corte d’appello. Il fallimento è dichiarato con sentenza.
Tale sentenza contiene la nomina del giudice delegato e del curatore fallimentare preposti al
fallimento; l’ordine al fallito il deposito del bilancio, delle scritture contabili e fiscali obbligatorie e
l’elenco dei creditori. Essa viene notificata a tutti gli interessati e resa pubblica mediante
annotazione nel registro delle imprese, la sentenza di fallimento è immediatamente esecutiva fra le
parti del processo dalla data del deposito in cancelleria.

La revoca del fallimento


Possono proporre reclamo contro la dichiarazione di fallimento il fallito e qualsiasi interessato
(anche i figli del fallito). Il ricorso deve essere depositato presso la corte d’appello entro trenta
giorni che decorrono per il fallito dalla data di notificazione della sentenza che dichiara il fallimento
e, per tutti gli altri interessati dalla data d’iscrizione della stessa nel registro delle imprese. Il ricorso
non pu , in ogni caso, essere proposto trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza.
L’impugnazione non sospende gli effetti della dichiarazione di fallimento. Con la sentenza che
accoglie il reclamo di fallimento è revocato. La sentenza viene pubblicata nel registro delle
imprese sul piano patrimoniale restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi
fallimentari. All’ex fallito non resta che rivolgersi nei confronti del creditore istante per ottenere
il risarcimento dei danni.

Gli organi del fallimento


La procedura fallimentare comporta lo svolgimento di una complessa attività, giudiziaria ed
amministrativa. Allo svolgimento dell’attività di fallimento sono preposti quattro organi: - Il
tribunale fallimentare
- Il giudice delegato
- Il curatore
- Il comitato dei creditori
Il tribunale fallimentare è investito dell’intera procedura fallimentare e sovrintende al corretto
svolgimento della stessa. Inoltre:
a) nomina il giudice delegato e il curatore, ne sorveglia l’operato e pu sostituirli.
b) Sostituisce i componenti del comitato dei creditori
c) Decide le controversie relative alla procedura che non sono di competenza del giudice
delegato
d) Pu in ogni momento chiedere chiarimenti ed informazioni al curatore, al fallito ed al comitato
dei creditori
Tutti questi provvedimenti sono adottati dal tribunale con decreto.
Il giudice delegato vigila sulle operazioni di fallimento e controlla la regolarità della procedura, con
la riforma del 2006 ha perduto la funzione di dirigere le operazioni del fallimento (avendo tale
riforma riconosciuto al curatore fallimentare una maggiore autonomia di gestione).
In particolare, il giudice delegato:
A) nomina e revoca i componenti del comitato dei creditori
B) Forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto
C) Autorizza il curatore a stare in giudizio
D) Decide sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori
E) Emette i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio. Anche i provvedimenti
del giudice delegato sono adottati con decreto motivato.

Il curatore è l’organo preposto all’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le


operazioni della procedura nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite. È investito dalla qualità di
pubblico ufficiale. Viene nominato dal tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento. Pu
essere revocato in qualunque momento dal tribunale, anche d’ufficio. Entro 60 giorni dalla
dichiarazione del fallimento, il curatore deve presentare al giudice delegato una relazione
particolareggiata sulle cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità del fallito.
La funzione centrale del curatore è quella di conservare, gestire e realizzare il patrimonio
fallimentare sotto la vigilanza (e non più sotto la direzione) del giudice delegato e del comitato dei
creditori.

Il comitato dei creditori è composto da 3 o 5 membri a scelta tra i creditori in modo da


rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti. L’organo è nominato dal giudice
delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento. La riforma del 2006 ha significativamente
rafforzato il ruolo del comitato dei creditori, aumentandone i poteri e le funzioni, che in passato
erano prevalentemente consultive. Vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime
pareri.
Come in passato il parere espresso dal comitato dei creditori è obbligatorio ma per lo più non
vincolante, salvo in alcuni casi. Il comitato e ogni suo membro hanno diritto di ispezionare tutti i
documenti del fallimento, nonché chiedere al curatore ed al fallito notizie e chiarimenti. Pu
presentare istanza al tribunale per la revoca del curatore e pu esercitare l’azione di responsabilità
contro il curatore revocato.
I componenti dell’organo sono a loro volta soggetti a responsabilità secondo le regole previste per
i sindaci delle spa. Contro gli atti del curatore e del comitato il fallito e ogni interessato pu proporre
reclamo al giudice delegato entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto.

Effetti del fallimento per il fallito: effetti patrimoniali


La dichiarazione di fallimento produce molteplici effetti. Gli effetti nei confronti del fallito si
distinguono in patrimoniali, personali e penali.
Con la dichiarazione del fallimento il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità (ma non la
proprietà) dei suoi beni art 42, che passano al curatore, quale amministratore del patrimonio
fallimentare. Lo “spossessamento“ colpisce tutti i beni ed i diritti esistenti nel patrimonio del fallito
alla data della dichiarazione di fallimento eccetto (art 46): a) i beni e i diritti di natura
strettamente personale;
b) gli assegni a carattere alimentare, stipendi, pensioni e ci che il fallito guadagna con la propria
attività nei limiti (fissati dal giudice delegato) di quanto occorre per il suo mantenimento e quello
della famiglia
c) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli;
d) i beni che non possono essere pignorati per disposizioni di legge (es. vestiti, strumenti di lavoro,
ect.).
Inoltre, se è proprietario della propria abitazione, il fallito ha diritto ad abitarla fino alla vendita. Lo
spossessamento si estende anche ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento
(donazioni, eredità, vincite di lotterie, ect.) ai quali vanno dedotte le passività per l’acquisto e la
conservazione degli stessi. Il fallito con la dichiarazione di fallimento, non perde la capacità di
agire né perde la proprietà dei beni oggetto di spossessamento fino a quando gli stessi non siano
stati trasferiti a terzi.
Gli atti posti in essere dal fallito sono inefficaci rispetto alla massa dei creditori se hanno per
oggetto beni e diritti ricompresi nello spossessamento, dato che degli stessi il fallito non pu
disporre durante il fallimento.

Effetti personali e penali


Il fallimento produce anche effetti che colpiscono la persona del fallito, a loro volta distinguibili in 2
gruppi. Con la dichiarazione di fallimento il fallito vede limitati alcuni diritti civili: il diritto al segreto
epistolare e il diritto alla libertà di movimento. La corrispondenza del fallito che non sia persona
fisica, viene consegnata direttamente al curatore, nel caso di una persona fisica la corrispondenza
verrà recapitata al fallito, il quale per ha l’obbligo di consegnare al curatore quella riguardante il
fallimento.
Un altro limite riguarda le capacità civili del fallito: non pu essere amministratore, sindaco, revisore
o liquidatore di società, né essere iscritto nell’albo degli avvocati o dottori commercialisti. Queste
restrizioni scompaiono autonomamente con la chiusura del fallimento, dato che la riforma del 2006
ha soppresso il registro dei falliti e con esso la necessità di un provvedimento di riabilitazione per il
fallito.
Sempre con la riforma sono state abrogate le incapacità politiche (perdita dell’ elettorato e
interdizione dai pubblici uffici). Il fallito è esposto anche a sanzioni penali.
I principali reati fallimentari sono:
La bancarotta fraudolenta caratterizzati dal dolo dell’imprenditore (occultamento di beni;
distruzione o falsificazione di scritture contabili, ect.);
La bancarotta semplice commessi dall’imprenditore solo per colpa (omessa o irregolare tenuta
delle scritture contabili nei 3 anni precedenti il fallimento, ect.)
Il ricorso abusivo al credito che è il reato di chi ricorre o continua a ricorrere al credito
dissimulando il proprio dissesto.

Effetti del fallimento per i creditori


Dalla data del fallimento i creditori diventano creditori concorsuali, possono cioè realizzare il loro
credito attraverso la procedura fallimentare. Essi per acquistano il diritto di partecipare alla
ripartizione dell’attivo fallimentare solo in seguito all’accertamento giudiziale del loro credito
diventando in tal modo creditori concorrenti. Tra i creditori concorrenti si distinguono i creditori
chirografari e privilegiati (garantiti cioè da pegno, ipoteca o privilegio).
Questi hanno diritto di prelazione sul ricavato della vendita del bene oggetto della loro garanzia; se
non sono soddisfatti integralmente, concorrono alla pari con i creditori chirografari, per il residuo.
Dai creditori concorrenti vanno poi tenuti distinti i creditori di massa coloro cioè i cui crediti devono
essere soddisfatti per prededuzione (ovvero prima dei creditori concorrenti) Sono le spese della
procedura fallimentare, ect.

L’accertamento del passivo


Un’altra fase della procedura fallimentare è quella dell’accertamento del passivo
L’accertamento del passivo prevede le seguenti fasi.
a) predisposizione da parte del curatore di un elenco dei creditori con indicazione dei rispettivi
crediti ed eventuali diritti di prelazione. Ai creditori compresi nell’elenco il curatore deve
comunicare la data dell’esame dello stato passivo e il termine entro il quale devono
presentare le loro domande
b) presentazione da parte dei creditori delle domande di ammissione mediante ricorso da
presentarsi al tribunale entro 30 giorni dalla data dell’udienza per l’esame dello stato
passivo. Le domande devono contenere l’indicazione della somma e degli eventuali titoli di
prelazione e ad esse devono essere allegati i documenti che dimostrano il diritto del
creditore.
c) formazione dello stato passivo da parte del giudice delegato. Tramite udienza il giudice
delegato decide, con decreto, su ogni domanda accogliendola totalmente o parzialmente o
rigettandola. Terminato l’esame di tutte le domande il giudice delegato forma lo stato
passivo e con decreto lo dichiara esecutivo. (lo stato passivo è quindi l’elenco di tutti i
creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo con indicazione per
ciascuna domanda del provvedimento preso dal giudice delegato).
d) il curatore comunica a ciascun creditore l’esito della domanda e l’avvenuto deposito in
cancelleria dello stato passivo.
Contro il decreto attraverso il quale il giudice delegato ha reso esecutivo lo stato passivo sono
ammessi tre rimedi processuali:
a) opposizione. Attraverso l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia
stata rigettata o accolta solo parzialmente. L’opposizione pu essere rivolta solo al curatore
b) revocazione. Pu essere proposta dai creditori o dal curatore qualora risulti che
l’ammissione di un credito è stata determinata da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o
mancata conoscenza di documenti decisivi a suo tempo non prodotti per causa non
imputabile. La revocazione è proponibile solo se sono scaduti i termini per proporre
opposizione o impugnazione. Le impugnazioni si propongono tramite ricorso al tribunale
entro trenta giorni dalla comunicazione da parte del curatore (o in caso di revocazione dalla
scoperta del fatto o del documento). I ricorsi devono essere notificati al curatore, al
creditore di cui si contesta l’ammissione e agli eventuali contro interessati.
Il collegio, di cui non fa parte il giudice delegato, provvede sui ricorsi con decreto motivato entro
60 giorni dall’udienza. Nei confronti del decreto del tribunale le parti possono proporre ricorso in
cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione dello stesso. La formazione del passivo definitivo
non esclude la presentazione di ulteriori domande di ammissione dei creditori (dichiarazioni
tardive di credito). Queste possono essere proposte entro 12 mesi dal deposito dello stato passivo
e dopo tale termine solo se non sono esaurite le ripartizioni dell’attivo e solo se il ritardo è dipeso
da causa non imputabile al creditore. Il creditore tardivo partecipa alla ripartizione di ci che resta
dopo il soddisfacimento dei creditori tempestivi, salve le cause di prelazione. Nel caso in cui il
ritardo sia dipeso da causa non imputabile al creditore questo pu ottenere quanto avrebbe dovuto
percepire nelle precedenti ripartizioni.

La cessazione del fallimento


Oltre che per concordato fallimentare, il fallimento si chiude per una delle seguenti cause: mancata
presentazione di domande di ammissione allo stato passivo nel termine stabilito nella sentenza
che dichiara il fallimento;
pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese da soddisfare in
prededuzione prima che sia compiuta la ripartizione integrale dell’attivo; ripartizione integrale
dell’attivo;
impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo.
La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore,
pubblicato nelle forme previste per la sentenza dichiarativa di fallimento ed è impugnabile con
reclamo dinnanzi alla corte d’appello (successivamente in Cassazione). Il decreto ha effetto
quando non è impugnabile per scadenza dei termini (o quando il reclamo è stato definitivamente
rigettato). Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli
effetti del fallimento (sia per il fallito che per i creditori).
La liberazione del fallito dai debiti residui pu aversi solo in due casi: a)
quando il fallimento si chiude per concordato;
b) quando il debitore ottiene l’esdebitazione dal tribunale fallimentare.
Quest’ultimo è un beneficio concesso al fallito persona fisica (non dunque alle società o
imprenditori collettivi) in presenza di particolari condizioni soggettive ed oggettive:
che gli imprenditori siano meritevoli per aver svolto in modo corretto la propria attività ed abbiano
collaborato durante la procedura fallimentare;
che nei 10 anni precedenti non abbiano beneficiato di altra esdebitazione:
il loro fallimento abbia consentito il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali;
che non abbiano distratti l’attivo o esposto debiti inesistenti; che non siano stati condannati
per bancarotta fraudolenta.
Tale beneficio non opera per tutti i debiti: gli obblighi di mantenimento e alimentari e le
obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa, ne sono esclusi. Il
fallimento chiuso per ripartizione integrale o per insufficienza dell’attivo pu essere
successivamente riaperto nei seguenti casi:
non devono essere trascorsi cinque anni dal decreto di chiusura;
nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività (preesistenti o sopravvenute) che rendono
utile la riapertura.

24. IL CONCORDATO PREVENTIVO. ACCORDI


DI RISTR. DEBITI
Il concordato preventivo. Caratteri generali. Presupposti
Il concordato preventivo è’ una procedura proposta dall’imprenditore prima della dichiarazione di
fallimentare per evitare il fallimento.
L’intervento del 2005, ha modificato il presupposto oggettivo del concordato preventivo che non è
più solo lo stato d’insolvenza ma più in generale è uno stato di crisi economica dell’imprenditore. E
per stato di crisi s’intende sia una difficoltà temporanea e reversibile che non consente
all’imprenditore di soddisfare i creditori, sia lo stato d’insolvenza che giustificherebbe il fallimento.
Al concordato preventivo pu essere riconosciuta una duplice finalità: a) se la crisi è temporanea e
reversibile, essa mira a superare tale situazione attraverso il risanamento economico e finanziario
dell’impresa. (il c.p. sostituisce l’amministrazione controllata soppressa dal d. lgs. 5/2006); b) se la
crisi è definitiva e irreversibile, il concordato preventivo pu essere attuato prima che sia dichiarato
il fallimento. Anche il c.p. è un concordato giudiziale e di massa.
Esso offre per all’imprenditore insolvente l’ulteriore vantaggio di evitare le gravi conseguenze
patrimoniali, personali e penali del fallimento. In definitiva costituisce un beneficio concesso
all’imprenditore per favorire la composizione della crisi mediante una soluzione concordata con i
creditori. Non è neppure necessario che vengano soddisfatti per intero i creditori privilegiati
(condizione invece obbligatoria dell’originaria disciplina).
In merito al contenuto della proposta del c.p. valgono le stesse regole del concordato fallimentare.
Pu perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma;
pu consistere in una dilazione dei termini di pagamento o nel soddisfacimento parziale dei crediti,
o entrambe le soluzioni.

L’ammissione al concordato
Inizia con la domanda di ammissione del debitore, presentata con ricorso al tribunale fallimentare.
Alla domanda devono essere allegati: una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria dell’impresa; uno stato analitico delle attività con i relativi valori ed infine,
l’elenco nominativo dei creditori. Tali documenti devono essere accompagnati dalla relazione di un
professionista (scelto dal debitore fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili) che attesti la
veridicità dei dati aziendali. Ricevuta la domanda il tribunale svolge un controllo preliminare
(formale) volto ad accertare se ricorrono i presupposti richiesti dalla legge. Se l’accertamento è
negativo, il tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato. Se invece ritiene
ammissibile la proposta, con decreto dichiara aperta la procedura di c.p. e, con lo stesso decreto,
designa il giudice delegato (che ha la direzione di tutta la procedura), un commissario giudiziale
(che svolge una funzione di controllo e di vigilanza).
A differenza del fallimento, nel c.p. il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e continua
l’esercizio dell’impresa, anche se per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione è necessaria
l’autorizzazione del giudice delegato. (e se compiuti senza autorizzazione, sono inefficaci nei
confronti dei creditori anteriori al concordato). Il c.p., per i creditori, è caratterizzato dal principio
della par condicio creditorum.
Infatti i creditori non possono intraprendere, pena di nullità, azioni esecutive individuali sul
patrimonio del debitore per il periodo che intercorre dalla data della presentazione del ricorso fino
al momento in cui il decreto di omologazione del c.p. diventa definitivo. Per quanto riguarda i
rapporti contrattuali in corso, si deduce che il c.p. non incide su di essi.
Lo svolgimento della procedura
Lo svolgimento della procedura del c.p. si articola in due fasi: a)
approvazione della proposta da parte dei creditori ;
b) la successiva omologazione del concordato da parte del tribunale.
c) L’approvazione del concordato p. avviene in apposita adunanza dei creditori, presieduta dal
giudice delegato. Identiche al concordato fall., sono anche le maggioranze richieste per
l’approvazione del concordato (maggioranza dei crediti, e nel caso di concordato con classi, la
maggioranza delle classi). Se la proposta è respinta, il tribunale dichiara d’ufficio inammissibile
la proposta di concordato e dichiara fallimento con sentenza separata.
d) Se invece le maggioranze sono raggiunte, si apre il giudizio di omologazione. Anche in questo
caso (come nel concordato fall.), il tribunale si limita a controllare la regolarità della procedura,
e, se i risultati sono positivi, il tribunale omologa con decreto il concordato.
e) In caso contrario lo respinge e dichiara contestualmente il fallimento con sentenza o lo stato
d’insolvenza. Contro il decreto che omologa o respinge il concordato, si pu ricorrere con
reclamo alla corte d’appello. Una volta omologato il concordato p. (come quello fall.) è
obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura della procedura

25. LE PROCEDURE CONCAUSALI DELLE CRISI


DA SOVRAINDEBITAMENTO
Caratteri generali
Una procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento è stata introdotta per la prima
volta nel nostro ordinamento nel 2012, ansime ad altre due: la procedura di liquidazione del
patrimonio ed il piano del consumatore.
Il sistema delle procedure concorsuali destinate ai soggetti non fallibili si articola in tre istituti: una
procedura di liquidazione giudiziaria di tutti i beni del debitore (procedura di liquidazione del
patrimonio); una procedura in cui la crisi viene superata mediante un piano predisposto dal
debitore ed accettato dalla maggioranza dei creditori (accordo di composizione della crisi da
sovraindebitamento); una procedura riservata solo ai consumatori (piano del consumatore). Il
presupposto oggettivo comune a tutte queste procedure è che il debitore è in stato di
“sovraindebitamento”: ovvero che è in una condizione di illiquidità patrimoniale che pu consistere
in uno stato di insolvenza o in una crisi finanziaria.
Altra caratteristica comune a queste procedure è che sono concepite come un beneficio concesso
al debitore, per consentirgli di regolare i rapporti con i creditori. Solo il debitore pu dare impulso ad
un procedimento da sovraindebitamento: i creditori non sono legittimati a chiederne l’apertura.

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