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IMPERO E PAPATO NELL’ALTO MEDIOEVO

UNA DIFFICILE CONVIVENZA


I CONFLITTI TRA IL PAPA E L’IMPERATORE
I due poteri universali, ovvero quello spirituale (Chiesa) e quello temporale (Impero) costituivano il
collante del Medioevo. Tra l’XI e il XIII secolo le vicende storiche dell’Europa furono condizionate
dai rapporti tra il papa e l’imperatore, in quanto entrambi cercassero di imporre il proprio dominio
sull’intera cristianità. Entrambi si ritenevano legittimati a governare l’Europa cristiana ed a
rivendicare la loro supremazia. L’imperatore, essendo erede di una duplice tradizione imperiale,
puntava all’autorità suprema. Il papa, invece, rivendicava la guida del mondo cristiano come capo
della chiesa e suo promotore. Queste due figure avrebbero dovuto garantire la pace, ordine e
giustizia alla comunità dei credenti. Con il tempo venne sempre più difficile mantenere un confine
tra questi due poteri, entrambi sacri perché fondate sul volere di Dio, e papa ed imperatore non
esitarono a lottare l’uno contro l’altro per il dominio dell’Occidente.
L’ORIGINE REMOTA DEL CONFLITTO: IL CONCETTO DI “IMPERO CRISTIANO”
La separazione fra Stato e Chiesa è una conquista del mondo moderno e del pensiero laico. Questo
concetto non apparteneva alla mentalità dell’uomo medievale. Dopo il crollo dell’impero
d’Occidente ed il fallimento nella riconquista dell’Italia dalle armate di Bisanzio si diffuse l’idea che
fosse bene costruire un nuovo “impero cristiano” in Europa.
LA DOTTRINA DELLE DUE SPADE
Nel 494 papa Gelasio formulò una teoria dei rapporti tra Chiesa e Stato per influenzare la cultura
occidentale per un intero millennio. Egli mirava a difendere l’autorità del papato dalle
interferenze dell’imperatore bizantino. Gelasio voleva inoltre affermare il primato della chiesa di
Roma sulla chiesa di Costantinopoli. Secondo lui la comunità cristiana è governata da due poteri,
entrambi istituiti da Dio: Temporale, che compete all’imperatore; Spirituale, che compete al papa.
Essendo però l’imperatore cristiano è sottomesso al papa, e dunque il primato spettava alla chiesa.
Questa tesi di Gelasio, chiamata “dottrina delle due spade”, verrà ripresa da papa Gregorio VII.
L’IMPORTANZA DELLA CHIESA NEL MEDIOEVO
L’autorità del papato nasceva dall’importanza che gli uomini del medioevo davano alla religione.
Dopo le invasioni barbariche, la chiesa cattolica fu l’unico punto di riferimento dell’Occidente. A
difendere le città restarono i vescovi, che col tempo assunsero anche funzioni amministrative.
VERSO IL POTERE TEMPORALE DEI PAPI
Il vescovo di Roma giunse presto ad esercitare una forte influenza su tutti i regni romano-
germanici, grazie al suo potere di scomunica. Grazie alle donazioni di terre e proprietà da parte di
fedeli e monarchi, incorporate nel patrimonio di San Pietro, la chiesa era quindi diventata una
grande potenza economica e politica.

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LE REGIONI E GLI SVILUPPI DI UN DISSIDIO INEVITABILE
Quando Leone III pose sul capo di Carlo Magno la corona del sacro romano impero, intendeva
subordinare la nomina imperiale al potere del papa. Sta di fatto che Carlo mise l’organizzazione
ecclesiastica al servizio dell’impero. Oltre a nominare di persona i vescovi e gli abati, li rese
partecipi della vita politica. Reclutò nella fila del clero anche i missi dominici. Infine, non mancò
d’intervenire nell’elezioni dei papi.
I SOVRANI CAROLINGI E LA NATURA RELIGIOSA DEL POTERE POLITICO
A differenza degli imperatori bizantini i primi sovrani carolingi tennero comunque divise le
questioni di fede dai compiti del re. Questo non significa che l’attività del sovrano si limitasse alle
“cose profane”. Sia Carlo Magno sia i papi del tempo erano convinti che l’autorità imperiale
derivasse direttamente da Dio. Inoltre, nessuno metteva mai in dubbio la facoltà dell’imperatore di
indicare il candidato al titolo papale.
I VESCOVI-CONTI E LA DECADENZA DELLA CHIESA
Anche Ottone I di Sassonia seguì l’esempio di Carlo Magno. Egli attribuì l’autorità civile e militare ai
vescovi e agli abati. I sovrani sassoni pretesero dunque di gestire anche quella religiosa con il
pastorale ma produsse il decadimento morale e spirituale della chiesa. Molti vescovi, infatti,
misero prima i loro interessi mondani a quelli religiosi. Durante l’XI secolo cominciò an farsi strada
l’idea che solo limitando l’intromissione del potere imperiale nella vita della chiesa sarebbe stato
possibile riformare i costumi del clero.
LA DEBOLEZZA DELL’IMPERO E L’AUTONOMIA DELLE CITTA’
I problemi maggiori per l’impero germanico giunsero dall’Italia settentrionale. Anche i grandi
feudatari invece di sostenere l’imperatore cominciarono a battersi contro le sue ingerenze. A
Milano il popolo si mise d’accordo con la nobiltà per formare un nuovo governo cittadino. Questo
fu l’inizio del comune, che ebbe come simbolo il carroccio.
LA RIFORMA DELLA CHIESA E LA LOTTA PER LE INVESTITURE
INTERESSI MATERIALI E DECADENZA MORALE DEL CLERO
All’inizio del nuovo millennio la Chiesa appariva prigioniera degli interessi materiali. Numerosi
fedeli lasciavano le loro proprietà al clero. Queste risorse dovevano essere utilizzate a sostegno dei
poveri, ma spesso finivano per accrescere la ricchezza privata di alcuni ecclesiastici. Anche i
vescovi-conti tendevano a trascurare la cura delle anime, danneggiando l’azione apostolica della
Chiesa. Sul piano morale, la situazione del clero si era fatta pesante. Abati, vescovi, parroci
cadevano spesso nel peccato di simonia, praticando cioè la compravendita delle cariche religiose.
Anche il nicolaismo, ossia l’inosservanza del celibato sacerdotale; benché fosse vietato, molti preti
avevano mogli e figli, ai quali non facevano mancare privilegi e favori.
REAZIONI E PROTESTE CONTRO L’IMMORTALITA’
Voci autorevoli si levarono allora per contrastare la crisi spirituale alcuni religiosi tornarono a
predicare e a praticare la fuga dal mondo, come nei secoli rovinosi delle invasioni "barbariche".
Tra questi, san Romualdo e san Giovanni Gualberto, che in Toscana fondarono gli eremi di
Camaldoli e di Vallombrosa, luoghi di solitudine e preghiera. Largo seguito ebbe, per esempio, il
movimento milanese della patarìa. I patarini si ribellarono all'arcivescovo Guido da Velate
cacciandolo da Milano con l'accusa di simonia.
VERSO UNA NUOVA SPIRITUALITA’: LE ABAZIE DI CLUNY E DI CITEAUX
Buona parte del mondo cattolico chiedeva di tornare a modelli di comportamento più austeri e
ricchi di spiritualità. Questa esigenza trovò ampio riscontro nei più importanti centri religiosi
dell'epoca. Furono i due grandi monasteri francesi di Cluny e Cîteaux a diffondere in tutta Europa
l'ideale di una vita pura e virtuosa. Il monachesimo era una scelta di vita che mirava a realizzare
l'ideale evangelico attraverso il distacco dal mondo, la povertà, il contatto con Dio. Esso si
diffonde:

 in Oriente, nella versione eremitica, caratterizzata dall'isolamento individuale.

 In Occidente assunse la forma cenobitica, cioè comunitaria. Proprio per questo si sentì
l'esigenza di definire una regola, cioè un insieme di norme che stabilissero i doveri dei
monaci.
Dall'817 fino all'XI secolo, la Regola benedettina fu l'unica ammessa all'interno dell'impero. Fissata
nel 540 da Benedetto da Norcia, essa si basava sul motto “ora et labora”, sull'obbligo di unire alla
preghiera il lavoro manuale e lo studio. Nell'abbazia di Cluny l'attività principale era la preghiera,
unita alla lettura dei salmi, al culto dei santi, alla distribuzione di pasti ai poveri, allo studio e alla
scrittura. Nel monastero di Citeaux fondato le orazioni e gli esercizi spirituali si alternavano al
lavoro, soprattutto agricolo. Entrambe le abbazie seguivano comunque l'antica Regola di san
Benedetto, ritornando così alle origini del monachesimo.
L’ORDINE CLUNIACENSE SI ASTRAE AL CONTROLLO DEI VESCOVI
A Cluny fu costituito anche il primo ordine religioso. In precedenza ogni monastero dipendeva dal
proprio abate e dal vescovo. Ora tutte le comunità monastiche cluniacensi furono sottoposte alla
guida di un solo abate, quello di Cluny, che reggeva i monasteri "satelliti" attraverso i suoi priori.
L'ordine cluniacense si diffonde a macchia d'olio nel resto dell'Europa. Da Cluny e da Citeaux
partirono intere colonie di monaci che presero a fondare sedi "gemelle" in luoghi anche molto
lontani.
SI ACCENDONO LE SPERANZE DI CAMBIAMENTO
Le speranze di un pronto riscatto morale della Chiesa cominciarono a tradursi in realtà con
l'avvento di alcuni papi riformatori, tra cui il Leone IX, cugino dell'imperatore Enrico III, il francese
Niccolò II, vescovo di Firenze, e soprattutto l'italiano Ildebrando di Soana, monaco benedettino che
assunse il nome di Gregorio VII. I primi importanti cambiamenti vennero decisi nel Concilio
lateranense del 1059: l'elezione del papa fu riservata al solo collegio dei cardinali escludendo
l'aristocrazia romana e l'attribuzione dell'assenso dell'imperatore a una pura formalità. Anche la
nomina dei vescovi tornò nelle mani del clero. Il conflitto tra papa e imperatore si sarebbe
inasprito proprio intorno a questo punto.
I CARDINI DELLA RIFORMA GREGORIANA
Opponendosi al concilio, Enrico IV di Franconia cercò in tutti i modi di mantenere il controllo delle
sedi vescovili, a cominciare da quella di Milano. Nel frattempo, saliva al soglio pontificio Gregorio
VII, che rivendicò la supremazia del papa all'interno della Chiesa. Nel 1074, con un'enciclica, sciolse
i fedeli dall'obbedienza ai vescovi che tolleravano preti sposati. Poi convocò due sinodi che
dichiararono decaduti tutti i sacerdoti nicolaiti e simoniaci. Infine vietò la pratica dei vescovi-conti,
scomunicando chi riceveva la carica ecclesiastica dalle mani di un laico.
GREGORIO VII EMANA IL DICATUS PAPAE
Nel 1075 Gregorio VII completò la sua riforma, detta appunto "gregoriana", emanando il Dictatus
papae ("Dichiarazione del papa"). In esso affermava solennemente la superiorità del papa nei
confronti dell'imperatore, paragonandola a quella dell'anima sul corpo, e l'infallibilità della Chiesa.
Enrico IV ed i suoi successori secondo il papa non avevano alcun diritto di "investire" vescovi e
nominare pontefici o d'interferire nell'organizzazione ecclesiastica. Tutti i sovrani giudicati indegni
dal pontefice, e perciò "scomunicati", avrebbero perso ogni autorità di comando sui loro sudditi. Il
Dictatus papae tolse quindi alla figura dell'imperatore la sacralità che aveva assunto dai tempi di
Carlo Magno e pose fine anche alla supremazia dell'Impero imposta da Ottone I. Nasceva così la
monarchia universale della Chiesa di Roma, guidata dal papa.
UNO SCONTRO CHE COINVOLGE TUTTA CRISTIANITA’ (worms)
Enrico IV respinse con forza le decisioni di Gregorio VII e il conflitto che seguì, "lotta per le
investiture", si tradusse subito in uno scontro a tutto campo tra i due poteri universali. Nel 1076
Enrico IV riunì a Worms un'assemblea di nobili e vescovi tedeschi ottenendo la deposizione e la
scomunica del pontefice. Gregorio VII rispose scomunicando gli ecclesiastici ribelli e l’imperatore.
Enrico fu costretto dai suoi stessi feudatari ad affrontare il giudizio papale in un’assemblea
convocata nel 1077. Volendo però evitare i rischi di un processo pubblico, l’imperatore decise di
chiedere perdono al papa e implorarlo di revocare la scomunica.
CANOSSA: L’IMPERATORE SI UMILIA DAVANTI AL PAPA
Lo scontro avvenne in Italia a Canossa, presso un castello della contessa Matilde di Toscana.
Inizialmente, Gregorio VII si rifiutò di ricevere l'imperatore. Dopo averlo fatto attendere tre giorni
e tre notti in mezzo alla neve vestito solo di un saio, decise di accogliere la sua richiesta. Lo scontro
non era concluso. Poco dopo Enrico IV si volse di nuovo contro il papa tornando in Italia alla testa
di un esercito. Colpito nuovamente dalla scomunica papale, convocò un sinodo a Bressanone
dove ottenne la deposizione di Gregorio VII e la nomina dell'antipapa Clemente III, che non fu mai
riconosciuto da tutta la Chiesa. Infine puntò verso Roma, costringendo alla fuga il nemico, dopo
averlo tenuto prigioniero. L'anno seguente, mentre Gregorio VII moriva in esilio a Salerno, Enrico si
faceva incoronare imperatore dal papa Clemente III a san Pietro.
UNA SOLUZIONE DI COMPROMESSO: IL CONCORDATO DI WORMS
Dopo la morte di entrambi, la lotta proseguì ancora per mezzo secolo. Infine l'imperatore Enrico V
e il papa Callisto II giunsero a un accordo, firmando nella cittadina tedesca di Worms un
concordato che stabiliva la non ingerenza del potere politico nelle nomine ecclesiastiche. I vescovi
sarebbero stati eletti dal clero e dal popolo della diocesi, gli abati dalle comunità monastiche.
L'investitura imperiale avrebbe riguardato esclusivamente le prerogative temporali connesse al
feudo. Prese forma così una prima separazione. Il papato, che aveva intrapreso lo scontro, si
ritrovava al vertice dell'Europa cristiana. L'Impero non riuscirà più ad arrestare il processo di
disgregazione innescato dalla lotta per le investiture: ad approfittare saranno le nascenti
monarchie nazionali, i Comuni dell'Italia centro-settentrionale e il Regno normanno di Sicilia.

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