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Monteverdi

La sua opera racchiude e comprende da una parte le esperienze stilistiche maturate


negli ultimi decenni del 500, mentre dall’altra introduce un ricco ventaglio di nuovi
mezzi espressivi, stilistici e formali, prima di allora perlopiù sconosciuti.
Continua l’opera di De Rore, cioè la musica diventa elemento discorsivo, e la articola
sugli elementi semantici, l’unica differenza è ce non utilizza i fonemi delle lettere ma
utilizza gli accordi. Le sovrapposizioni dei suoni vengono quindi visti come dei
fonemi da utilizzare all’interno del discorso musicale. Questa viene definita da
Monteverdi Seconda Pratica.
È l’uso di tali liceità armoniche, che contraddicevano le regole tradizionali del
contrappunto fissate da Zarlino e praticate da Palestrina, che si appuntarono le critiche
di Giovanni Maria Artrusi. Infatti ne l’Artrusi, overo Delle imperfettioni della
moderna musica, il teorico condannò le abitudini dei “moderni” che adoperavano
combinazioni intervallari contrarie alle buone regole del contrappunto, per cui la
dissonanza deve necessariamente provenire da una consonanza e risolvere su di
un’altra consonanza. Monteverdi si difese quindi da tali critiche nell’Avvertimento del
Libro quinto (1605), in cui afferma che le sue cosiddette innovazioni non le aveva
fatte a caso, ma che andavano considerate nel contesto di una “seconda pratica”,
diversa da quella “insegnata da Zarlino”. La distinzione tra prima e seconda pratica
viene però esposte dal fratello Giulio Cesare nella Dichiarazione allegata alla stampa
degli Scherzi musicali del 1607.
La prima pratica, nella quale “l’armonia non è comandata ma comandante”,
comprende la vecchia arte del contrappunto esemplificata dalle composizioni dei
fiamminghi e insegnata da Zarlino. La seconda pratica è invece quella in cui “per
signora dell’armonia pone l’oratione”, in cui cioè i valori espressivi del testo poetico
prevalgono su quelli della musica. Monteverdi fa anche notare che le innovazioni
della seconda pratica non sono altro che un’estensione dell’opera di compositori
antecedenti, tra i quali Rore, Marenzio, Wert, Luzzaschi, Peri e Caccini.
Quindi Intenzione esplicita di Monteverdi è di elaborare, coordinare e articolare il
discorso musicale, al quale la parola ha dato l’avvio, su ampia scala in cui
l’organizzazione formale complessiva gioca un ruolo di primaria importanza.
Musicata da Marino
Esempio è un madrigale del quarto libro di madrigali su testo anonimo Anima
Dolorosa in cui gli accordi diventano fonemi.
La musica ha acquistato quindi capacità drammatiche poiché suscita emozioni e di
suscitare affetti. Questi sono aspetti che sono alla base del melodramma che nascerà a
breve. Il basso strumentale esegue quindi i fonemi armonici e le voci superiori sono
libere di esprimere i sentimenti del testo.
Questo processo inizia dall’accostamento del melodramma allo stile recitativo,
sfruttando ampiamente le voci solistiche e la compagine sonora strumentale
Un esempio è un madrigale sul pastor fido di Guarini musicata da Marino.
Madrigale - Tancredi e Clorinda
La ricerca di nuovi mezzi espressivi si rivela appieno nel Libro ottavo di Madrigali di
Monteverdi sottotitolato Madrigali guerrieri et amorosi in genere rappresentativo,
alcune di queste composizioni quindi prevedevano un’azione scenica pur rimanendo
ancora nel contesto cameristico.
Egli aveva constatato che tre erano le principali passioni dell’anima, cioè Ira,
Temperanza e Umanità (o supplicazione). Questi corrispondono agli stili Concitato,
Temperato e Molle e questi devono quindi trasmettere tali “affetti”. Poiché i
compositori del passato non avevano mai affrontato lo stile concitato, egli intende
introdurlo in queste composizioni.
Per tradurre in musica gli affetti iracondi e guerreschi Monteverdi ricorre ad una
varietà di espedienti stilistici, primo fra tutti la frenetica ripercussione di note o
d’accordi affidata ad un corpo di strumenti. Fa anche utilizzo di ritmi marziali, di
fanfara, di tremoli, di pizzicati degli archi (i primi esempi del genere che si trovano
nella musica italiana).
Lo stile concitato appare per la prima volta nel Combattimento tra Tancredi e
Clorinda, compreso tra i Madrigali guerrieri della raccolta. La base letteraria è fornita
dal 16 ottave della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. È un episodio in cui si
avvicendano tre personaggi in stile monodico, ovvero Tancredi, Clorinda e il Testo
che sono due tenori e un soprano. La scena è improntata a un vivido realismo in cui
risultano il trotto dei cavalli, il cozzo delle spade, le parole di guerra, che Monteverdi
sa rendere con inedite figurazioni e sonorità nelle parti vocali e strumentali: rapide
scale, ritmi ostinati e incalzanti, figurazioni marziali di fanfara, effetti di tremolo,
sincopi e imitazioni tra voci e strumenti.
Sono tutti elementi che hanno la precisa funzione di regolare la realizzazione del gesto
mimico, espressamente richiesto da Monteverdi. Egli adopera gli effetti squisitamente
espressivi dello “stile concitato” anche in altri suoi lavori, in specie quelli teatrali.
La composizione inizia con l’intervento del Testo. Al verso n.3 inizia una fanfara
allusiva dello sfregiare delle armi, mentre alla metà della prima ottava (verso n.5)
inizia “il motto del cauallo”, momento in cui Tancredi si lancia nella battaglia,
rappresentato dallo stile concitato con note ribattute da tutte le parti orchestrali.
Negli ultimi due versi della prima ottava i Tancredi e Clorinda hanno un dialogo con
interventi del Testo.
Negli ultimi due versi della seconda ottava vi sono prima note lunghe che
rappresentano i passi tardi e lenti nel momento in cui si vanno incontro, ma subito
dopo a quai duo tori gelosi e d’ira ardenti iniziano di nuovo i ribattuti dello stile
concitato che rappresenta appunto l’ira.
La terza ottava ‘ un momento di grande espressività accompagnata da solo il basso
continuo. L’ottava è preceduta e divisa in mezzo da un intervento musicale. L'intera
sezione si oppone al concitato precedente.
Nell’ottava successiva vi è l’alternanza tra concitato e hoquetos. Nelle parti concitate
la linea melodica della voce si oppone con le linee ritmiche degli strumenti, mentre
nell’hoquetus entrambi seguono la linea singhiozzata.
In questo mottetto sono in contrapposizione l’aspetto della guerra iniziale con
l’aspetto di morte e preghiera finale.
Il Melodramma
Tancredi e Clorinda Monteverdi

La le
musica doveva esprimere passioni dell' anima ovvero temperanza ,
ira e umanità ,
ma nessuno

dei compositori precedenti aveva affrontato lo stile concitato .

Monteverdi prima volta nel


utilizza lo stile concitato per la
madrigale Tancredi e Clorinda
nella raccolta di
Madrigali detti
guerrieri e amorosi in stile rappresentativo
la base letteraria di questo madrigale è
fornita da 16 ottave della Gerusalemme Liberata ,

l'
episodio in
questione è l' incontro tra Tancredi e Clorinda che porterà alla morte di

quest' ultima .

Si avvicendano Tancredi ( terre ) Clorinda (sopraso) il Testo (tenore )


3
personaggi

e
,

Utilizza rendere la
per
scena
più realistica ora di spade e tolti di cavalli
resi tramite rapide scale

}
: •

fanfara
È.am?IIr!
• ritmi marziali di
• ritmi ostinati
• note ribattute da Monteverdi .

• imitazioni tra voci e strumenti

Analisi
Inizia con l' intervento del Testo
Al verso n .
3 inizia una fanfara allusiva per
indicare lo sfoggiare delle armi
lancia
verso n .
5 molto del cavallo → Tancredi si in
battaglia note ribattute

Ultimi versi della prima ottavo dialogo tra Tancredi e Clorinda con interventi del Testo

passi lenti ( momento dell' incontro) note lunghe dai tori d' ire ardenti
gelosi

e
qua
stile concitato ribattuti

La terra ottava è momento di estrema la del testo è


un
espressività ,
voce oca .

da solo b. c. e la sezione è
preceduta e inframmezzata da un intervento
strumentale . Questa sezione si
contrappone al concitato precedente
Nell' ottava l' alternanza tra concitato ho
queI
è
stile
successiva vi e s

la voce si
contrappone sia voce che strinati
agli strumenti che usano l' andamento
ribaltano le rate .

singhiouato .

Il la morte di Clorinda vediamo tra


madrigale si conclude con
quindi la , contrapposizione
l' aspetto iniziale l' aspetto di morte e preghiera finale
guerriero e .
Il Melodramma
In quanto a rappresentazione scenica e canora di azioni e di testi drammatici recitati
integralmente in musica, la storia dell’opera si apre intorno all’anno 1600 come
tentativo di dare al linguaggio musicale una sempre più accentuata espressività,
principio questo che stava alla base della nuova musica in stile monodico. Nella sua
fase iniziale lo spettacolo operistico è ascritto in prevalenza nella cornice d’una festa
di corte o accademia, oppure si svolge entro le mura di un palazzo patrizio. A partire
dalla seconda metà circa del Seicento un genere nuovo di produzione operistica andò
istituzionalizzandosi, propagandosi e consolidandosi prima nei teatri urbani
impresariali di Venezia e poi in tutt'Italia e anche oltralpe. Per un numero cospicuo di
lavori teatrali possediamo soltanto le fonti testuali. Nella gran parte dei casi, le
partiture d’opera secentesche pervenuteci contengono indicazioni piuttosto sommarie,
limitate alle parti vocali e a quella del basso continuo.
Gli storici della musica hanno per lungo tempo attribuito alla cosiddetta Camerata
Fiorentina (o Camerata dei Bardi) il merito di aver concepito e creato l’opera come
tentativo di ripristinare sotto l’aspetto musicale l’antica tragedia greca. In realtà, le
riunioni accademiche non erano dedicate esclusivamente ad argomenti musicali, così
come in tante accademie neoplatoniche rinascimentali. In campo musicale, le
discussioni della Camerata Fiorentina, riguardano in via generica il potere che aveva
avuto la musica antica di muovere gli affetti dell’animo. Si auspicava un ritorno alla
semplicità monodica dell’antichità e si sottoponeva a critiche serrate il linguaggio
musicale del tempo, spesso basato su una scrittura contrappuntistica segnatamente
complessa.
Forte fu l’influsso delle ricerche svolte sull’antica musica greca dall’umanista e
filologo fiorentino Girolamo Mei che mantenne un fitto scambio di lettere con
Vincenzo Galilei, uno dei tre musicisti che sicuramente fecero parte della Camerata.
Il documento che più rispecchia tali conoscenze è il Dialogo della musica antica et
della moderna di Galilei. Egli però non accenna mai al problema della tragedia: era il
Madrigale, non lo spettacolo teatrale, la forma d’espressione che si doveva riformare e
rinnovare, eliminando le artificiosità del contrappunto. Si doveva coltivare invece lo
stile monodico.
Fin dall’inizio del Cinquecento il canto solistico e corale aveva trovato applicazione in
funzione scenica all’interno di una grande varietà di spettacoli drammatici allestiti
nelle corti in occasione di avvenimenti eccezionali e solenni. Fra atto e atto di una
commedia recitata si usava intercalare, come diversivo, una serie di intermedi,
accompagnati da scene spettacolari, ingegnose macchine teatrali, danze mimate,
musiche vocali e strumentali. Le trame di questi spettacoli con musica erano di tipo
allegorico oppure erano ricavate dalla mitologia antica. Questi venivano chiamati
intermedi, di notevole successo furono i sei su testo di Ottavino Rinuccini.
La prima azione scenica interamente cantata fu progettata, sin dal 1594, a Firenze da
O. Rinuccini e dal gentiluomo dilettante di musica e mecenate Jacopo Corsi, il quale
riunì in casa sua, dal 1592, una cerchia di compositori e poeti per affrontare i problemi
della rappresentazione di favole musicali. Corsi stesso aveva iniziato a comporre la
favola pastorale Dafne prima di rivolgersi al cantante-compositore Jacopo Peri.
L’opera fu rappresentata in casa Corsi nel carnevale del 1598 e fu poi replicata alla
Corte medicea negli anni successivi. Per iniziativa e a spese di corsi fu rappresentata
nel 1600 a palazzo Pitti a Firenze l’Euridice di Rinuccini e di Peri, la prima opera
interamente conservatasi nella musica.
Poche settimane prima della rappresentazione dell’Euridice di Peri alcuni compositori
tentarono di appropriarsi del merito della forma teatrale pubblicando prima i loro
lavori.
Nelle favole in musica la vocalità prevalentemente declamatoria dello stile recitativo
rimane il veicolo principale per esprimere i contenuti emotivi del testo poetico.
In Peri prevale un tipo di linea strettamente sillabica con scarsi melismi mentre i
Caccini sono più frequenti gli abbellimenti espressivi che si collocano perlopiù a
chiusura di frase. Non periodica e irregolare è la scansione ritmica, che si presta alla
continua mutevolezza di accenti offerta dai versi sciolti. Il profilo melodico segue
perlopiù il movimento per gradi congiunti. Peri di rado supera la quinta, Caccini la
sesta. Gli andamenti disgiunti servono per dare rilievo alle sillabe toniche, sottolineate
anche mediante l’uso di valori di durata maggiore rispetto a quelli associati alle sillabe
atone: si applicano nei momenti di particolare eccitazione psicologica.
L’Orfeo
Anche Monteverdi esprime il lamento pungente di Orfeo, cantato subito dopo
l’annuncio della morte di Euridice, in uno stile recitativo di grande intensità patetica,
segnato da scontri dissonanti col basso e da inusitati cromatismi, che pure si distende
in zone di accentuato lirismo, caratteristica questa precipua del recitativo
monteverdiano derivato dalla sua lunga esperienza madrigalistica. Composta sul
libretto del letterato e diplomatico mantovano Alessandro Striggio, la favola in
musica, L’Orfeo di Monteverdi si ricollega direttamente alle recenti esperienze
fiorentine delle due Euridice di Peri e Caccini sul libretto di Rinuccini. Striggio attinse
direttamente allo stile poetico di Rinuccini. L’Orfeo e le Euridice sono suddivisi in
cinque episodi, preceduti da un Prologo, e osservano la regola del lieto fine proprio
della tradizione della pastorale. L’aura serena del mondo pastorale predomina nella
favola monteverdiana, ma nei momenti di maggiore tensione drammatica vi trovano
posto certi caratteri propri della tragedia: si veda la funzione moralistica di stampo
classico riservata ai cori alla fine dei primi quattro atti. I brani corali dell’Orfeo sono
più ampi e distesi rispetto ai brevi intervalli corali, per lo più all’unisono,
dell’Euridice di Peri.
Nell prime partiture operistiche talvolta il flusso continuo del recitativo (parte in cui
l’azione va avanti nella narrazione) viene interrotto da un certo numero di pezzi che
hanno uno svolgimento chiuso, a se stante. Tali brani, denominati arie o canzoni,
hanno lo scopo di dare spicco musicale a certe situazioni sceniche (qui la scena si
arresta per dare spaio all’espressione dei sentimenti del personaggio su schemi
ritmici). I pezzi chiusi hanno in comune una struttura quasi sempre strofica, svolta
sopra un testo di terzine, quartine, sestine o ottave a base di endecasillaba o settenaria,
contro la scioltezza e l’irregolarità dei versi che caratterizzano i recitativi dei dialoghi
e dei monologhi. Non essendo modellato sulla declamazione, il profilo vocale delle
arie impiega una gamma più ridotta di valori ritmici e si fa uso di qualche ripetizione
di parole. Alcuni esempi nell’Orfeo sono i canti a solo strofici di Orfeo Vi ricorda o
boschi ombrosi e Possente spirto.
Il timbro orchestrale riveste particolare importanza nell’Orfeo monteverdiano. Per la
prima volta nella storia dell’opera, il compositore elenca all’inizio della partitura a
stampa insieme coi Personaggi, la serie di Stromenti da impiegarsi nel corso
L' Orfeo
È suddiviso in 5
episodi preceduti da un
Prologo ,
a sua volta preceduto da una Toccata che
avvertiva il pubblico dell' inizio dell' opera .

I peni chi si ( arie o canzoni ) sono strofini ed era


possibile che ci
fossero delle ripetizione
di frasi o
parole e si
opponevano ai recitativi che non erano statici ,
con versi sciolti e
irregolari
Per la prima volta
appaiono nella partitura gli strumenti che dovevano essere utilizzati
e in numerosi brani vi sono delle didascalie .

L' uso
degli strumenti era utilizzato a seconda del contesto :

e.
strumenti con timbro
grave erano utilizzati per le scene
infernali e mesti

strumenti con timbro acuto erano utilizzati per
le scene di serenità pastorale .

I brani strumentali vengono chiamati sinfonie e sono


posti alla fine di ogni atto .

Qual onor di te
fia degno
Quest' aria trova nell' inferno
si nel II alto che si
svolge
Il # alto è un atto di Peripezie ovvero cambia la situazione ,
qui la
situazione cambia per colpa
dell' errore di Orfeo ,
vedere Euridice .

In quest' Orfeo celebra la lira che ha l' aiuto di Prosperi


aria sua
gli permesso
di avere na

Platone
moglie di .

La tra
lira è
rappresentata dal
dialogo i due violini .
dell’opera, e numerosi brani risultano accompagnati da didascalie strumentali.
L’organico richiesto risponde a criteri espressivi e raramente utilizza tutto l’insieme
orchestrale: gli strumenti dal timbro grave e scuro sono riservati alle scene infernali e
ai momenti di toccante mestizia, mentre gli strumenti dai timbri acuti e soffici sono
adoperati nelle situazioni di serenità pastorale. I brani strumentali prendono il nome di
Sinfonie e ricorrono più volte nel corso dell’opera: quelli collocati alla fine di ciascuno
dei primi quattro atti svolgono la duplice funzione di anticipare il tono espressivo
dell’atto seguente nonché di accompagnare il cambio di scena, che avveniva non con
il calo del sipario ma sotto gli occhi di tutti. Il Prologo è preceduto da una Toccata,
eseguita dall’orchestra per annunciare l’inizio dell’opera.
Atto VI “Qual onor di te fia degno”
Gli atti dell’opera sono speculari il primo col terzo e il secondo col quarto, il terzo e il
quarto sono quindi degli Apogei che rispecchiano i primi due atti. Il quarto è un atto di
peripezia, ovvero come nelle tragedie di concezione aristotelica, vi è un mutamento
improvviso dell’azione. Il libretto quindi aderisce ai precetti aristotelici, che divide
quindi la tragedia dello stesso modo. La Peripezia è dovuta all’errore di Orfeo di
essersi volto verso Euridice prima di uscire dagli Inferi, quindi dalla felicità più
assoluta passa alla tristezza.
L'azione del quarto atto si svolge all’interno degli Inferi. Qui Orfeo tenta di portare
Euridice attraverso il regno degli inferi, ma verrà cacciato dal coro degli spiriti per il
suo errore. Il quarto atto si divide in tre parti: la prima parte è un dialogo con
Prosperina e Plutone (Ade), la seconda è la parte di peripezia in cui Euridice appare
per l’ultima volta, la terza parte è il coro finale degli spiriti.
Nella seconda parte del quarto atto (battuta 91-108) Orfeo celebra e illustra il potere
della sua Lira che gli ha permesso di avere l’appoggio di Prosperina per convincere
Plutone a far modo che Euridice tornasse tra i vivi a patto che lui non si fosse voltato a
guardarla.
La lira di Orfeo è illustrata da due violini che dialogano nei ritornelli a trio, il ruolo di
questa canzone di tre strofe si riferisce alla canzone dell’atto speculare e vi è un
ritornello ad ogni stanza cioè ad ogni quartina. Questa è una forma di aria in forma
strofica.

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