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LETTERATURA PER RAGAZZI

MODULO 1 – SEZIONE 1

FIABA Narrazione popolare con racconti brevi e personaggi fantastici. È fondata


sull’invenzione poetica, ovvero è pura finzione. È priva di morale e spesso manca di etica.
Esempio Nella versione originale della fiaba di Cenerentola, ella decapita la matrigna
chiudendole la testa in un baule.
Esempio Nella versione originale de La bella addormentata nel bosco, il principe la
stupra mentre dorme, lasciandola incinta.
I personaggi fiabeschi subiscono e fanno violenze, ma nel momento in cui l’azione finisce,
in essi non rimane alcun trauma psicologico (caratteristica del romanzo nero
ottocentesco)
FAVOLA Breve composizione in prosa e in versi. I personaggi sono animali antropomorfi
o oggetti inanimati. È presente una morale o un insegnamento.
VLADIMIR PROPP compie un lavoro strutturalistico ed individua 31 funzioni, tra cui:
-Allontanamento L’eroe si allontana dal suo luogo d’origine per un particolare motivo.
-Divieto All’eroe gli viene proibito di fare qualcosa
-Infrazione L’eroe non rispetta la proibizione, trasgredisce il divieto
-Investigazione L’antagonista cerca elementi utili per combattere l’eroe
-Delazione L’antagonista riceve informazioni utili per danneggiare l’eroe
-Tranello L’antagonista cerca di ingannare la vittima
Propp scrisse due libri:
- “RADICI STORICHE DEI RACCONTI DI FATE”
- “MORFOLOGIA DELLA FIABA”
Il suo secondo libro viene tradotto in Italia prima del primo. Qui cerca di analizzare il
perché, in culture molto diverse, si hanno delle costanti narrative. Non è strutturalistico.
Individua 7 tipi di personaggi sempre presenti nelle fiabe:
-Eroe Protagonista della storia
-Antagonista Nemico del protagonista
-Donatore Dona all’eroe un mezzo magico che lo aiuterà nell’impresa
-Aiutante magico Aiuta il protagonista nell’impresa
-Re e principessa
-Mandante Colui che assegna la missione all’eroe
-Falso eroe Colui che con l’inganno si sostituisce all’eroe, ma viene infine scoperto
Questi 7 personaggi sono presenti anche in fiabe e miti. Succede spesso che all’eroe venga
offerto del cibo in situazioni incongrue (per esempio subito dopo un inseguimento).
Questo elemento di tipo rituale rappresenta un passaggio di soglia: l’eroe passa da una
dimensione di tipo mondano (umano) ad una ultramondana. Altri elementi spesso
ricorrenti in tutte le tradizioni sono:
-Le cerimonie di iniziazione dei giovani maschi
-Il tema della fanciulla perseguitata
FIABA DELLA FANCIULLA SENZA MANI
Una giovane regina muore e fa promettere al marito di non risposarsi finché non avrebbe
trovato una donna bella quanto lei. Il re, dopo diversi anni, mette gli occhi sulla figlia, la
quale scappa per sfuggire all’incesto. Una volta scappata, si taglia le mani e le invia al
padre. Più avanti, immergerà le braccia in una fonte magica, grazie alla quale le
ricresceranno le mani. Vi è un legame con il cambio delle stagioni: la regina rappresenta
estate, il re inverno, la principessa primavera. La caduta/ricrescita delle mani rappresenta
invece il ciclo delle foglie nel passaggio tra l’autunno e la primavera. È un racconto di tipo
cosmogonico.
MITO Racconto di carattere sacrale, è ritenuto veritiero.
Il mito molto spesso si trasforma in fiaba, nel momento in cui perde la sua caratteristica
sacrale.
LEVI-STRAUSS ritiene che mito e fiaba sfruttino sostanze comuni.
Propp non riesce ad immaginare un passaggio diretto tra i due e considera la leggenda una
fase intermedia.
LEGGENDA Al contrario del mito, non ha carattere sacrale, ma fa parte del folklore.
ANDRÉ JOLLES tratta i temi folkloristici ed individua delle forme narrative semplici presenti
in tutte le tradizioni:
-Leggenda sacra o profana
-Mito
-Enigma
-Sentenza
-Caso memorabile
-Fiaba
Queste forme semplici sono autoreferenziali e non metatestuali. Ciò significa che
all’interno del racconto sono presenti tutte le informazioni necessarie per comprendere
cosa l’autore sta dicendo. Spesso la narrazione si interrompe per spiegare fatti e
avvenimenti (possono anche essere inseriti nei dialoghi). Nel meta-referenziale sono
invece necessarie delle preconoscenze.
BRUNO BETTELHEIM è uno dei maggiori studiosi di significato psicoanalitico delle fiabe.
Egli definisce la figura dello “sposo animale” come la riscrittura del mito di Amore e Psiche.
BENOIST lavora attorno al concetto della nascita del simbolo. Esso è una categoria
indipendente dalla realtà che veicola (per esempio la svastica). Se una narrazione arriva a
coprire il ruolo di simbolo, può essere svuotata e riempita di nuovi significati, senza che
perda la sua funzione simbolica.
Bianco-nero-rosso Sono i tre colori simbolo principali della narrazione europea. Sono
presenti soprattutto nella fiaba “Biancaneve”.
GREIMAS stabilisce un modello che rappresenta le fiabe ma, di fatto, non dice nulla su di
esse. Non permette di individuare una “parentela” ma solo delle linee direttive. Non ci si
sofferma sulla valenza simbolica. Egli individua 4 fasi del racconto:
-Manipolazione Manipolato/manipolatore
-Performanza Il soggetto compie un’azione e, secondo tale, si merita un premio
-Sanzione Il destinante giudica se l’azione del soggetto è conforme al contratto iniziale
Esempio Il re dà in sposa la figlia come premio per aver eseguito gli ordini.
Il manipolatore convince il soggetto in 4 modi:
-Promessa
-Minaccia
-Seduzione
-Provocazione
Il manipolato è dotato di 4 qualità:
-Volere
-Sapere
-Potere
-Dovere
AARNE e THOMPSON creano un catalogo di trame, usato come metodo di classificazione
di fiabe e racconti del folklore.

 Storie di animali (tipi 1-299)


 Storie ordinarie (tipi 300-1199)
 Storie di magia
 Storie religiose
 Storie eziologiche
 Storie romantiche
 Storie dell'orco stupido
 Facezie e aneddoti (tipi 1200-1999)
 Storie su stupidi
 Storie su coppie di coniugi
 Storie su donne (ragazze)
 Storie su un uomo (ragazzo) in gamba/stupido fortunato/sfortunato
 Storie su chierici e ordini religiosi
 Storie di menzogne
 Storie basate su una formula (tipi 2000-2399)
 Storie cumulative
 Storie di cattura
 Storie non classificate (Narrationes Lubricae) (tipi 2400-2499)
GIOVAN BATTISTA BASILE GIULIANO
LO CUNTO DE LI CUNTI

È un’opera costruita in rapporto al DECAMERON di GIOVANNI BOCCACCIO. L’autore è un


funzionario, produce molte opere in dialetto napoletano nel corso della sua carriera.
Questa sua opera resterà inedita: non la pubblicherà prima di morire. Gli scritti, non rivisti
e quindi con molte sviste, verranno trovati e pubblicati dalla sorella.
1634-1636 Prima edizione in 5 volumetti (edizione scorretta)
1674 Il vescovo POMPEO SARNELLI produce la prima edizione curata dell’opera,
correggendo le sviste. Egli attua una serie di operazioni: cambia il titolo in “IL
PENTAMERONE” per evidenziare il rapporto con il Decameron. Viene pubblicato con il vero
nome di Basile (non uno pseudonimo) e introduce 3 versi che si riferiscono alla famiglia di
Sarnelli. Da quel momento Lo cunto viene tradotto in molte lingue, ma in Italia solo alla
fine dell’800 grazie a Benedetto Croce).
1648 Sarnelli pubblica “POSILECHEATA”, una raccolta di 5 fiabe che non avrà molto
successo
Il titolo originario (Lo cunto de li cunti) è dovuto al racconto cornice, ovvero la 50° ed
ultima fiaba (sono quindi 49+1). Questo racconto genera tutte le fiabe, declinate nel corso
di 5 giornate. Tra una giornata e l’altra ci sono 4 egloghe realistiche, in cui non vi è magia e
che dialogano una con l’altra:
-COPPELLA La coppella è una tazza in cui gli orafi fondevano l’oro per stabilire se era una
lega autentica -> riflessione sulla natura delle persone
-TINTURA È il suo reciproco -> la tintura fa credere che le persone siano migliori, ma in
verità è solo una copertura
-STUFA Sarebbe la noia -> nulla alla lunga non stufa
-UNCINO L’uncino serve a sollevare il secchio dal pozzo -> tutti hanno un prezzo, ognuno
ha un punto debole e può essere “agganciato”
Basile in un’egloga si cita e si vanta di essere uno dei pochi funzionari partenopei che non
ha mai accettato denaro in cambio di favori.
IL RACCONTO CORNICE
Il racconto cornice narra la vicenda della principessa Zoza (il nome è quello della fondiglia
che si accumula nelle botti di olio e vino). Ella non ha mai riso in vita sua, ciò significa che vi
è assenza di stimolo sessuale (fase preadolescente). Il padre, dopo vari tentativi per far
ridere la figlia, costruisce un’immensa fontana ad olio e la sistema in modo che il liquido
schizzi fuori, facendo macchiare o scivolare i cortigiani. La figlia osserva la scena da una
finestra, ma non riesce comunque a ridere. Un giorno compare una vecchia povera, che
decide di raccogliere l’olio da terra e metterlo in un orciolo per non sprecarlo. Passa un
paggio, il quale decide di prendere un sasso e rompere l’orciolo della vecchia. Ella allora
inizia ad insultarlo pesantemente, augurandogli persino la morte. Il paggio la insulta a sua
volta, e la vecchia decide quindi di mostrargli i genitali. Quest’ultimo gesto scatena la risata
incontrollata della principessa: Zoza esce dal limbo asessuato in cui si trovava. La vecchia la
maledice, dicendole che si sarebbe innamorata di un uomo che, vittima di un incantesimo,
dorme sempre. Costui è il principe Tadeo, egli poteva essere svegliato solo dopo aver
riempito, in 3 giorni, una brocca di lacrime. Zoza inizia quindi la ricerca di Tadeo, che
durerà 7 anni. Nel suo cammino incontra 3 fate che le regalano 3 automi. Quando Zoza
trova Tadeo inizia a piangere e riempie quasi del tutto la broccia, ma si addormenta
quando mancano poche gocce. Passa di lì una schiava nera di nome Lucia, la quale capisce
cosa sta succedendo e piange le ultime lacrime, svegliando Tadeo e facendosi sposare.
Zoza affitta un palazzo di fronte agli sposi, in questo modo può spiarli dalla finestra.
Quando Lucia rimane incinta, Zoza posiziona sul davanzale della finestra il primo automa
regalatogli dalle fate. La schiava lo desidera ardentemente e per farselo comprare dal
marito, usa come arma di ricatto l’aborto del loro bambino Giorgiatiello. Tadeo va da Zoza
per farsi dare l’automa e lei glielo regala. La stessa scena si verifica con i restanti due
automi. Con il terzo, che è una bambola che fila, Zoza insinua nell’anima di Lucia un
desiderio disperato di sentire racconti. Tadeo seleziona quindi 10 donne del popolo (-> 10
come del Decameron), le quali sono narratrici contraddistinte da vistosi difetti fisici che
alludono all’impossibilità di nascondere la verità. Dovrebbero raccontare una fiaba a testa
al giorno a Lucia finché non partorisce, ma in realtà le donne sono streghe e stanno
portando il bambino a morire in grembo. L’ultimo giorno Iacova Squacquarata si sente
male, manca quindi una narratrice. Al suo posto va Zoza. Ciommetella Tignosa aveva
appena raccontato una fiaba con allusioni alla vicenda di Zoza e Lucia. La principessa narra
la sua vicenda e Tadeo capisce tutta la vicenda, decide quindi di far seppellire viva la
moglie Lucia e di sposare Zoza.

Ciommetella Tignosa ha un ruolo centrale, racconta sempre la nona fiaba e i suoi racconti
sono più rilevanti. In tutto sono 5:
-LA CERVA FATATA Dà la chiave sulla gravidanza di Lucia e sul cunto in generale
-LO CATENACCIO È la variante popolare della fiaba Amore e Psiche
-ROSELLA Rappresenta la tricromia rosso-bianco-nero
-IL CORVO Compare la regola “una vita per una vita” e il concetto della parola
salvifica/che condanna.
-I TRE CEDRI Rappresenta la tricromia rosso-bianco-nero
Nelle ultime due fiabe compare il tema dell’uomo che non vuole sposarsi, preso dalla
decima novelle del Decameron, che racconta di Griselda. Il narratore di quest’ultima è
Dioneo, il più giovane del gruppo.

I TRE CEDRI
Il re di Torrelunga non desidera altro se non che suo figlio Ciommetiello prenda moglie e gli
doni dei nipoti, ma il principe è restio all’amore e non intende per alcun motivo sposarsi.
Un giorno, mentre sono seduti a tavola guardando il volo delle cornacchie, il principe,
tagliando la ricotta si ferisce il dito. Due gocce di sangue cadono sulla ricotta, formando un
miscuglio di colori tanto bello, che il principe afferma di volere una fanciulla bianca e rossa.
Decide così di partire in questa disperata ricerca, lasciando il vecchio e sofferente padre a
casa. Ciommetiello gira in lungo e in largo, passa lo stretto di Gibilterra, va nelle Indie, e
giunge nell’isola delle Orche. Qui trova una vecchia molto brutta, che lo rassicura che
avrebbe trovato quello che cerca poco più avanti. La stessa situazione capita altre due
volte, e il principe si sente dire sempre la stessa frase. La terza orchessa, però, gli dona tre
cedri, da cui sarebbero uscite due fate che avrebbero esaudito il suo desiderio. Nel
momento in cui Ciommetiello apre il cedro, esce la prima fata, ma poiché non ha prontezza
nel darle da bere, ella scompare. Anche la seconda fata si dissolve poco dopo essere
apparsa. Con la terza, però, riesce a svolgere il suo compito e le appare una fanciulla
bianca e rossa, dalla bellezza indescrivibile. Il principe dice alla fata di aspettarlo vicino alla
fonte d’acqua mentre lui va a prendere dei vestiti adeguati. Nel mentre, in quel posto,
passa una schiava nera che è stata mandata a riempire una brocca d’acqua. Sporgendosi,
scambia il riflesso della fata per il suo e, ritenendosi troppo bella per essere una schiava,
rompe la brocca e se ne va. La sua padrona si infuria e la rimanda alla fonte, ma la stessa
situazione si ripete altre due volte, finché la schiava Lucia si accorge della presenza della
fata. Con l’inganno la colpisce e, dopo che la fata fugge sotto le sembianze di una colomba,
si sostituisce a lei. Quando Ciommetiello torna, rimane sbigottito e amareggiato ma,
credendo che quella fosse la sua fata, la porta comunque nel suo castello. Durante i
preparativi del matrimonio, la colomba va a corte, ma viene catturata e spennata. Dalle
sue piume nasce una pianta con tre cedri e, quando il principe li taglia, esce la fata sua
amata che le racconta tutto l’accaduto. Ciommetiello, felice, fa bruciare la regina nera e
sposa la fata.
GRISELDA
Gualtieri, marchese di Saluzzo, viene spinto dai suoi sudditi a prender moglie.
Tra le tante, la sua scelta cade sulla giovane Griselda, umile guardiana di pecore alquanto
bella, la quale accetta la proposta di matrimonio del signore.
Ella si rivela assai dolce e gentile, al punto che tutti imparano a volerle bene. Tempo dopo
nasce la loro prima figlia. Entrambi sono felici ma Gualtieri, "con matta bestialità", decide
di mettere alla prova Griselda per vedere se ella è davvero obbediente e sottomessa al suo
volere. Dapprima cerca di turbarla dicendole che il suo popolo non è soddisfatto di lei in
quanto è di origine plebea. Neanche la bambina è vista di buon occhio, tanto che è a
rischio il trono del marchese. Un giorno Gualtieri manda dalla moglie un "famigliare", il
quale chiede alla donna di consegnargli la figlia poiché il marito la vuole morta. A ciò ella
obbedisce senza ribellarsi, pur soffrendo molto. Ha solo una richiesta, che la sua bambina
abbia degna sepoltura. La medesima situazione si ripeterà con il secondogenito. In realtà
Gualtieri, criticato aspramente anche dai suoi sudditi per tali crudeltà, all'insaputa di tutti,
ha inviato i figli da alcuni parenti a Bologna. Dopo tredici anni il marchese sottopone
Griselda ad un'ultima prova: ella viene convocata dinanzi tutta la corte, dove l'uomo le dice
di aver ottenuto il permesso dal papa per sposare una nobil donna, in quanto lei è di
un'estrazione sociale troppo inferiore rispetto a lui. Questa deve lasciare immediatamente
il palazzo così come vi era entrata. Griselda, che il giorno delle nozze Gualtieri aveva fatto
rivestire da capo a piedi prima di portarla via dalla sua misera casetta, chiede solo di
potersene andare in camicia e non nuda. Gualtieri glielo concede.
Qualche tempo dopo il marchese fa rientrare di nascosto i suoi figli da Bologna facendo
credere ai suoi sudditi che la giovane fanciulla sarà la sua sposa. Egli fa quindi richiamare a
palazzo Griselda dicendole di dover sistemare la residenza per le nozze. Questa ancora una
volta sottostà al volere del marchese. Il giorno del banchetto tutti gli invitati ammirano la
beltà della nuova sposa di Gualtieri, anche la stessa Griselda, la quale lo prega di
risparmiarle le "punture" che ha dato a lei, perché la fanciulla è stata allevata "nelle
delicatezze" e non in "continue fatiche" e non ce la farebbe a sopportarle. Con ciò Gualtieri
considera concluso il travaglio della donna e rivela le ragioni della sua crudeltà. Griselda e
suo marito continueranno la loro vita a corte, con a fianco i due figli.
MATTEO GARRONE, un regista contemporaneo, ha selezionato 3 fiabe della prima giornata
e le ha reinterpretate nel suo film “IL RACCONTO DEI RACCONTI”. Esse presentano
elementi barocchi e Garrone le fa interagire tra di loro.

LA PULCE
Narra la vicenda di un re con una sola figlia, di nome Porziella. Un giorno il sovrano viene
morso da una pulce, ma intenerito, non ha il coraggio di ucciderla. La mette così in una
caraffa, nutrendola ogni giorno con il suo sangue. La pulce inizia a crescere a dismisura,
fino a divenire “come un castrato”. Il re decidere di uccidere la pulce e scuoiarla, esibisce le
cuoia e mette in palio la mano della figlia per chiunque riuscirà ad indovinare di che
animale si tratta. L’unico che riesce ad indovinare è un orco, che quindi ha diritto alla mano
della principessa. In questo punto la versione cinematografica e quella originale si
differenziano. Nella fiaba l’orco ha usi di tipo borghese e, pur nutrendosi di carne umana, si
preoccupa per la moglie e non vuole farle mancare nulla. Un giorno passa di lì per caso una
vecchia signora, la quale chiede a Porziella del cibo. Ella le racconta tutta la vicenda e la
vecchia le promette che sarebbe tornata per uccidere l’orco e liberarla, con l’aiuto dei suoi
7 figli magici. La principessa torna così a casa e il padre, pentito, le trova un nuovo marito e
rende ricchi la vecchia e i suoi figli. Nella versione cinematografica, Porziella uccide da sola
l’orco e, alla fine del film, verrà incoronata da sola, senza marito.

LA VECCHIA SCORTICATA
Narra la storia del re di Roccaforte, donnaiolo ossessionato dalla morte, si innamora della
voce di una signora che abita sotto di lui. Questa donna ha una sorella ed entrambe,
all’insaputa del re, sono vecchie e rugose. La donna non si fa vedere dal re: mostra
solamente il suo dito indice attraverso il buco della serratura, dopo averlo succhiato per
renderlo liscio. Il re si convince che sia una bellissima donna e vuole giacere una notte con
lei. Quando la vecchia entra nel letto, al buio, il sovrano si rende conto al tatto che non è
una donna giovane, ma non dà importanza alla cosa. Mentre la vecchia sta dormendo, il re
accende un acciarino e, vedendo il suo brutto corpo, si infuria. La fa buttare dalla finestra
ma, per sua fortuna, ella rimane impigliata in un ramo e non muore. Proprio lì sotto
stavano passando 3 fate, che mai prima d’ora avevano riso, e, vista la scena, non riescono
a contenere le risate. Decidono così di colmare la vecchia di doni, per ripagarla del
divertimento donato loro. La signora diviene giovane, bella, ricca e nobile. Il re, affacciato
alla finestra, vedendo la bellissima ragazza, decide di prenderla in moglie. Nella fiaba l’altra
sorella è invidiosa della sua fortuna e, per farsi bella, si fa scorticare viva e muore. Nel film,
invece, è malinconica perché la sorella se n’è andata e lei non vuole rimanere da sola.
Decide così di farsi scorticare. In questa fiaba è presente una riscrittura
dell’innamoramento da lontano, viene celebrata la malinconia amorosa.
LA CERVA FATATA
Il re Iannone di Lungapergola desidera molto avere figli dalla moglie, ma in nessun modo
riesce a far avvenire ciò che vuole. Dopo vari tentativi e numerose richieste d’aiuto, decide
di sbarrare il castello. Un giorno, però, giunge alla porte un vecchio signore, il quale dice al
re che per far rimanere incinta la moglie avrebbe dovuto prendere il cuore di un drago
marino, farlo cucinare da una zitella vergine e poi darlo da mangiare alla regina. Iannone
esegue gli ordini alla perfezione e diede il cuore ad una damigella per cucinarlo. Il solo
fumo, però, fa rimanere incinta non solo la damigella, ma tutti i mobili della stanza in cui si
trovava. Così il letto fece un lettino, la sedia delle sedioline, la damigella e la regina due
maschietti molto somiglianti tra loro: Candeloro e Fonzo. I due bambini erano molto legati
tra di loro e la regina divenne invidiosa del figlio della sua damigella. Un giorno, durante
una battuta di caccia, la regina aggredisce Candeloro rimasto solo, versandogli una
pallottoliera rovente sul volto. Egli rimane solo ferito, ma decide comunque di lasciare il
paese. Lungo il suo cammino si imbatte in un torneo, il cui premio era la mano della
principessa Fenizia, figlia del re. Candeloro combatte valorosamente e vince la sfida. Subito
dopo i festeggiamenti per le nozze, tuttavia, gli viene voglia di andare a caccia e, non
ascoltando gli avvertimenti del suocero sulla presenza di un orco mutaforme, si addentra
nel bosco. L’orco si tramuta in una cerva e abilmente, rinchiude e disarma Caldeloro nella
sua caverna. Fonzo, intuisce che l’amico si trova in pericolo e parte per andare a salvarlo.
Dopo tanti giri giunge al regno del padre di Fenizia e dopo essere stato scambiato per
Caldeloro, si fa raccontare la vicenda. Il giorno dopo parte in cerca dell’amico, uccide la
cerva e trova lui e altri uomini intrappolati in un fosso, messi lì ad ingrassare. Felici di
essersi riabbracciati, lo riporta a casa sua, dove verrà raggiunto dalla damigella, sua madre.

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1. IL MOTIVO DELL’ORCO CIVILE:
-IL RACCONTO DELL’ORCO
-VIOLA
-VERDEPRATO
-CORVETTO
-LA PULCE

IL RACCONTO DELL’ORCO
Basile apre la sua raccolta con questa fiaba. Narra la storia di un ragazzo molto stupido e
buono a nulla, di nome Antonio. Egli è cacciato di casa dalla madre, per essere un gran
buono a nulla, e finisce a servizio presso un orco, il quale, molto generosamente, gli fa
grandi regali ogni volta che Antonio vuol tornare per un po' a casa sua. Il ragazzo, però, si
fa raggirare ogni volta da un oste, che gli ruba i doni. Alla fine l'orco gli fa dono di un
bastone magico, con il quale, a causa delle percosse insostenibili, si fa ridare tutti i doni
precedentemente rubati. Ritornò così dalla mamma, rendendo ricca la sua famiglia.
In questa fiaba l’orco educa il ragazzo a difendersi dal mondo crudele che, altrimenti, lo
travolgerebbe. Antonio è descritto come “uno spirito maligno”, “un poraccio”, che non sa
giudicare cosa gli capita. L’orco decide quindi di infondergli la sua sapienza, non chiedendo
in cambio denaro, ma servigi.

VIOLA
Narra la storia di tre sorelle: Rosa, Garofano e Viola. Quest’ultima, la più piccola, è ligia al
dovere, bella e amata, tanto da suscitare l’invidia delle sorelle. Decidono così di liberarsi di
lei, in quanto rappresenta tutto ciò che loro non saranno mai. Con la scusa di aver perso
qualcosa e che Viola è la più piccola e leggera, la calano con una corda nel giardino di
un orco e poi la lasciano lì. L'orco trova Viola, ma a causa di alcune dicerie sul vento crede
che sia sua figlia, nata da un suo peto e da qualche albero. L'orco ama subito Viola come
una figlia e la affida a tre fate che la educhino.

VERDEPRATO
Nella è amata da un principe, che attraverso una galleria di cristallo si reca spesso da lei
per spassarsela; se nonché, avendo le sorelle di lei fatto a pezzi il cristallo per invidia, egli si
riempì di ferite e resta in fin di vita. Nella viene a conoscenza, per uno strano caso, del
rimedio appropriato. Avrebbe dovuto uccidere un orco e prelevarne il grasso, per
cospargere il corpo dell’amato. Così uccide una coppia di orchi e, guarito il principe, lo
sposa.

CORVETTO
È una fiaba disturbante: Basile riprende il tema della “facilità della gravidanza”, in questo
caso dei cervelli, che però partoriscono idee malsane. Corvetto non si fa problemi ad agire
in modo immorale (tema presente nelle egloghe: non vi è un atteggiamento di attenzione
verso i valori morali e non è mai presente la religione). È presente il tema della corte.
La fiaba narra la storia di Corvetto, un giovane al servizio di Fiumelargo (all’inizio della fiaba
sembra un personaggio virtuoso, ma si rivela poi un opportunista). Il re lo stima e apprezza,
per questo gli altri cortigiani lo invidiano e odiano. Decidono così di liberarsi di lui.
Suggeriscono al re che Corvetto sarebbe potuto andare a rubare il cavallo fatato di un orco,
che era stato cacciato dal regno. Corvetto capisce l’inganno ma fa lo stesso ciò che gli è
stato ordinato. (Da questo momento inizia la sua metamorfosi). Successivamente, i
cortigiani dicono al re che sarebbe una gran cosa avere anche il bellissimo corredo
dell'orco, così egli manda Corvetto a rubarlo. Dopo quest’altro successo, i cortigiani dicono
che Corvetto potrebbe anche conquistare il castello dell'orco per darlo al re, e il sovrano lo
manda di nuovo. Arrivato, trova l’orco e l’orchessa intenti a preparare una festa con i
parenti per la nascita di loro figlio. L’orchessa sta cucinando, mentre suo marito è andato a
chiamare tutti a raccolta. (Qui cambia il modo di descrivere Corvetto). Corvetto si propone
di aiutare l’orchessa, ma con l’inganno le taglia la testa. Scava una fossa e attira tutti gli
altri orchi in modo tale da farli cadere, per poterli intrappolare ed uccidere. Porta così le
chiavi del palazzo al re, che decide di dargli in moglie la figlia per premiarlo.

Basile stravolge la figura della fiaba tradizionale. Nelle sue fiabe gli orchi hanno
caratteristiche simili agli esseri umani ciò avverrà anche successivamente nel fantasy.
Tutte le sue fiabe sono barocche, ma questi elementi finiranno per perdersi con il tempo.
Le descrizioni sono infatti cariche ed eccessive (tipica caratteristica barocca), ed a volte
toccano persino il macabro. Un tema spesso presente nelle fiabe di Basile è la
povertà/fame.
Gli orchi e le fate hanno un rapporto molto stretto con il mondo vegetale, infatti in Viola
“l’orco aveva preso molto umido dalla terra”. Queste due figure fiabesche hanno una
grande familiarità, dovuta appunto alla vicinanza con il mondo vegetale.
Le fate in Basile sono anche streghe, sia se molto belle, sia se molto brutte. Non sanno
trasformarsi, ma si travestono con pelli, mantelli ecc. Vi è una forte contiguità con il mondo
dei morti: le fate regolano il passaggio da un mondo all’altro con l’offerta di cibo. Il
personaggio della fata che regola il passaggio di soglia è presente in tutte le fiabe, anche
quelle antiche.
2. NOVELLE CHE NON SONO FIABE:
-VARDIELLO
-IL COMPARE
-VISO
-LA FORESTA DI AGLI
Queste novelle non presentano alcun elemento magico, per questo non sono classificate
come fiabe.

VARDIELLO
Vardiello è un ragazzo sciocco e buono a nulla, che vive con la madre. Un giorno ella affida
una pezza al figlio per venderla al mercato e gli dà due raccomandazioni. La prima, è di
stare lontano dalle persone che parlano troppo, la seconda di non dare nulla a credito.
Lungo la strada Vardiello si stanca e si siede nel cortile di un casale abbandonato, dove c'è
solo la statua di un uomo. La scambia per una persona vera e comincia a farle domande.
Vedendola di poche parole, le lascia la tela per fargliela esaminare, così se sarà interessata
il giorno dopo gli darà i soldi. Ovviamente il giorno dopo la pezza è scomparsa. Vardiello,
non trovando nessuna moneta, prende un sasso e lo scaglia contro il petto della statua.
All’interno del foro trova un sacco di monete e gioielli. Torna felice dalla madre con quel
tesoro, ma ella sa che il figlio è poco accorto e lo racconterà in giro. Gli chiede allora di
mettersi alla porta e aspettare che passi il venditore del latte, mentre dal piano di sopra fa
cadere dalla finestra un'enorme quantità di uva passa e fichi secchi. Vardiello è convinto
che quel cibo piova davvero dal cielo. Tempo dopo, il ragazzo vede due operai della corte
che litigano per una moneta d'oro, e si vanta di aver trovato tanti di quei soldi da non
curarsi di una sola moneta. La gente della corte è incuriosita, ma quando Vardiello dice di
aver trovato un tesoro in un uomo cavo il giorno che c'è stata la pioggia di uva passa e fichi
secchi, il giudice decide di farlo internare in un manicomio. La madre, grazie alla propria
accortezza, può così vivere ricca e senza Vardiello che combina disastri.

IL COMPARE
Narra la storia di uno scroccone che si autoinvita sempre a casa di una coppia di sposi. Ogni
volta finisce tutto il cibo che è a tavola, lasciandoli affamati. Un giorno però, il marito si
stufa del suo comportamento e gliene dice di tutti i colori. Il compare se ne va quindi a
testa bassa, provando molta vergogna.
VISO
Renza viene chiusa dal padre in una torre perché le era stato predetto che un osso
l’avrebbe uccisa. Guardando dalla finestra, si innamora di un principe di nome Cecio e
decide di scappare. Con un ossicino portato da un cane, crea un foro nel muro e si cala giù
dalla torre. La madre di Cecio lo porta però a sposare un’altra donna e Renza viene così
abbandonata. Lei parte per seguire le sue tracce e, dopo essersi travestita da frate, si
presenta a Cecio. I due fraternizzano e Renza, sotto le sembianze di un frate, viene ospitata
nella dimora del principe. Viene così sistemata nella stessa stanza di Cecio e sua moglie, in
modo tale da poter canticchiare un motivetto e allietarli. Nel buio della notte, però, Renza
sente lo schiocco di un bacio scambiato tra i due amanti e, avendo un colpo al cuore,
muore. Non sentendo più il frate cantare, Cecio lo scuote e, scoprendo il corpo morto di
Renza, si pugnala al cuore.

LA FORESTA DI AGLI
Racconta di due amici, uno molto povero con 7 figlie femmine, uno molto ricco con 7 figli
maschi. Ambrouso è un contadino e ha solo una foresta d'agli per sfamare le sue figlie. Egli
vive malamente la disparità di fortuna con l’amico, anche nell’ambito della prole. Così,
quando va a trovarlo, gli dice di avere 4 figli maschi e 3 figlie femmine. Dato che Narduccio,
il primogenito di Biasillo, è molto malato, il padre chiede ad Ambrouso di mandare un suo
figlio a tenergli compagnia durante la guarigione. Visto il padre nei guai, Belluccia accetta
di vestirsi da maschio per non fargli fare brutta figura. Quando Narduccio vede il suo nuovo
amico arrivare, rimane folgorato dal suo aspetto e se ne innamora, convinto che sia una
ragazza. Inizia a soffrire di malinconia d’amore e la febbre si alza, peggiorando la sua
situazione. Vuole a tutti i costi sposare la figlia di Ambrouso, sia se maschio, sia se
femmina. Narduccio confessa i suoi sentimenti alla madre, che gli suggerisce di mettere
alla prova l’amico mettendolo in situazione che una ragazza non saprebbe affrontare
perché non educata a farlo. Dopo una serie di prove si scopre la verità: Biasillo capisce che
Ambrouso ha 7 femmine, e i due si accordano per far sposare tra di loro i figli. Narduccio
finalmente prende in sposa Belluccia.
3. MOTIVO DELLA FANCIULLA PERSEGUITATA:
-L’ORSA
-LA PENTA-MANO MOZZA

L’ORSA
Il re di Roccaspra vuole prendersi la figlia come moglie; lei, con il trucco di una vecchia si
trasforma in un'orsa e fugge nelle foresta. Incontra un principe, che la vede nel suo vero
aspetto in un giardino, dove stava a pettinarsi, e se ne innamora. Ella però continua ad
avere le sembianze di un’orsa per la maggior parte del tempo (diviene umana solo quando
tiene un bastoncino magico in bocca). Dopo varie vicende si scopre che è una ragazza e
diventa così la moglie del principe. In questa fiaba ricompare il motivo dello “sposo
animale”.

LA PENTA-MANO MOZZA
Il re di Piterasecca vuole sposare sua sorella Penta, e dice che, tra tutto, ami le sue mani.
Lei allora chiede a uno schiavo di tagliarle le mani e le manda al fratello su un vassoio. Il re
è risentito e fa gettare Penta in mare in una cassa.

4. MOTIVO DEL LEGNO RIGENERATORE:


-PERUONTO
-LA PENTA-MANO MOZZA
Questo tema non fa parte della tradizione partenopea. In queste due novelle la cassa e la
botte diventano come delle navi, motivo della salvezza.

PERUONTO
Peruonto, che è un ragazzo disgraziato, va nel bosco per prendere della legna da ardere.
Incontra tre fate, travestite da ragazzi comuni, che dormono al sole. Mostratosi gentile con
loro, riceve in ringraziamento la possibilità di avverare un desiderio. Essendo regolarmente
preso in giro dalla figlia del re, Peruonto chiede che ella resti magicamente incinta di lui, e
così avviene. Quando re scopre che è lui il padre, fa gettare in mare Peruonto, la
principessa e loro figlio, chiudendoli dentro una botte. Peruonto però, grazie alle fate,
riesce a salvare tutti.
5. MOTIVO DELLO SCIOCCO PREMIATO:
-RACCONTO DELL’ORCO
-VARDIELLO
-CAGLIUSO
-L’IGNORANTE

CAGLIUSO
Narra la storia di un padre molto povero che, alla sua morte, lascia ai suoi due figli un
setaccio e una gatta. La gatta sarebbe riuscita a rendere ricco Cagliuso. Inizia così a pescare
un pesce ogni giorno, per donarlo poi al sovrano di quel regno, da parte del suo padrone. Il
re, lusingato dalle attenzioni che Cagliuso sembra mostrare, desidera conoscerlo. Egli però
non può presentarsi vestito di stracci, allora la gatta dice al re che per colpa di alcune
cameriere disoneste, il suo padrone è rimasto solo in camicia. Cagliuso non si lascia
convincere facilmente a lasciare i suoi quattro stracci e si raccomanda che non vengano
perduti. Vestito con gli abiti donati dal re, Cagliuso si presenta a corte e partecipa al
banchetto del re. La gatta, terminato il pasto, inizia a vantare le immense ricchezze del suo
padrone e il re, incuriosito, manda dei suoi fidati a vedere i possedimenti. La gatta durante
la strada semina continuamente i cortigiani e, anticipandoli sul percorso, avverte tutte le
persone che incontra di dire che quelle terre sono di Cagliuso, per aver salva la vita. Così
avviene e il re, convinto della ricchezza del giovane, gli dà in sposa la figlia. Cagliuso non
mostra però riconoscimento alla sua gatta per tutto quello che ha fatto per lui, quindi lei,
amareggiata, decide di andarsene.
6. FIABE DIVERSE DA COME LE CONOSCIAMO:
-LA GATTA CENERENTOLA (Cenerentola)
-CAGLIUSO (Il gatto con gli stivali)
-LA COLOMBA (Raperonzolo)
-SOLE, LUNA E TALIA (La bella addormentata nel bosco)

LA GATTA CENERENTOLA
Narra la storia di un principe vedovo, che ha una figlia a lui molto cara, alla quale affianca
una maestra le la istruisca. Egli si risposa con una donna indiavolata, che odia Zezolla. La
maestra, consiglia alla ragazza un metodo per liberarsi della matrigna e le spiega cosa
avrebbe dovuto fare. Zezolla avrebbe dovuto dire alla matrigna che desiderava indossare
un vecchio vestito ritirato in un baule e, nel momento in cui la signora si fosse sporta,
chiudere il coperchio per spezzarle l’osso del collo. Così avviene e la maestra chiede a
Zezolla di convincere suo padre a prenderla in sposa. Duranti i primi anni di matrimonio la
nuova matrigna la tratta con cura ma, poco tempo dopo, la principessa viene messa in
disparte e fatta vivere in misere condizioni, tanto che persino il suo nome viene cambiato
in Gatta Cenerentola. Un giorno il padre deve partire per andare in Sardegna e Zezolla gli
chiede di raccomandarla alla colomba delle fate, ricordandosi di una promessa fattale
tempo addietro. Egli riceve dalle fate un dattero, una zappa, un secchiello d’oro e una
tovaglia di seta, che verranno consegnati alla figlia. Grazie alla piantina cresciuta, Zezolla
può vestirsi da regina tutte le volte che vuole, recitando una formula magica. Un giorno
decide di seguire le sorellastre alla corte del re e, divenuta bellissima, viene adocchiata dal
re, che se ne innamora. Zezolla riesce a scappare ma la volta successiva, nella fuga, perde
una pianella, che viene recuperata dal servitore del re. Il re fa provare la pianella a tutte le
ragazze del reame, ma non trova nessuna a cui calzi. Alla fine la prova Zezolla e la calzatura
entra perfettamente ed il re, felice, la incorona e fa inchinare tutti al suo cospetto.
Matrigna È una figura particolare e molto usata all’interno della fiaba. Non è altro che la
figura alterata di una madre che si accorge che la figlia sta crescendo e che quindi lei sta
invecchiando. Per questo motivo prova invidia nei confronti della figlia e vuole eliminarla.
La fiaba codifica questo sentimento di rabbia e rivalsa, nella figura della matrigna in quanto
in quella della madre sarebbe inaccettabile. Il nucleo di prevaricazione in questo caso si
trova all’interno della famiglia, mentre nelle fiabe francesi la prevaricazione avviene nella
corte.
LA COLOMBA
Racconta la vicenda di una fanciulla dai lunghi capelli, che vengono calati giù dalla torre per
permettere alla madre di salire e scendere. Un giorno un principe e Filadoro si incontrano
e, rimasti incantati, si innamorano l’uno dell’altra. La mamma della ragazza è però
un’orchessa orribile, che aggredisce il principe e lo costringe a fare una serie di lavori.
Filadoro rassicura il principe, dicendole che è una creatura fatata e che avrebbe risolto lei
la situazione. L’orchessa al suo ritorno trova tutti i lavori svolti, con grande meraviglia, e
decide così di continuare a tenere prigioniero il principe. Un giorno i due innamorati
decidono di scappare verso Napoli. Lungo il cammino Filadoro si ferma in un’osteria ed il
principe continua il cammino verso il suo regno, per poter prendere dei vestiti puliti e
presentare al meglio la sua amata. Intanto l’orchessa, rientrata, non trova la figlia e,
infuriata, augura al principe di scordarsi di Filadoro non appena avrebbe ricevuto un bacio.
Il giovane, giunto al suo palazzo, viene accolto dalla madre, che lo bacia su una guancia e,
come per magia, egli si scorda tutto l’accaduto. La mamma decide di far sposare il figlio e
organizza un ricevimento con la futura fidanzata. Filadoro, nel mentre, non vedendo il
principe tornare, decide di travestirsi da uomo e intrufolarsi al ricevimento sotto le
sembianze di uno sguattero. Visto il principe, si getta piangente ai suoi piedi, facendogli
ricordare tutto ciò che era avvenuto. I due si sposano e viene organizzata una grande festa.

SOLE, LUNA E TALIA


Un re diventa padre di una bambina e chiama a sé tutti gli indovini del regno perché
predicano il futuro della piccola. Questi gli annunciano che su di lei grava una maledizione:
ella corre un pericolo mortale, simbolizzato da una lisca di lino. Il padre, allora, bandisce
ogni strumento suscettibile di ferire la bambina. La piccola Talia, tuttavia, una volta
cresciuta scorge una vecchia con un fuso passare davanti al castello e, incuriosita
dall'oggetto, si punge il dito e muore. Il padre, sconsolato, la adagia in una stanza del
castello, serra tutte le porte e se ne va per sempre. Dopo qualche tempo sopraggiunge un
altro re, intento a cacciare nel bosco. Incuriosito dal castello sprangato, forza le porte e
penetra nel castello, dove trova la principessa addormentata. La porta su un letto, la stupra
e torna nel suo regno. Nove mesi più tardi la giovane dà alla luce due gemelli, di cui si
occupano due fate. Un giorno, però, i bambini cercano il seno della madre e, non
trovandolo, le succhiano il dito, estraendo così la lisca fatale. La principessa si sveglia e
comincia una nuova vita con i suoi figli. Un giorno, il re stupratore torna nel castello e la
trova viva; i due fanno amicizia e quando il re se ne va, promette a Talia che sarebbe
tornato a prenderla. Tornato nel suo castello, il re non fa che parlare di Talia e dei gemelli,
a cui ha dato il nome di Sole e Luna, attirando su di sé le ire della regina sua moglie. La
donna chiede a un servo di portarle i bambini, e incarica il cuoco di ucciderli e darli in pasto
al marito. Il cuoco, però, impietosito dai bambini, serve al re della selvaggina, facendo
credere alla regina che si tratti dei neonati.  La regina, piena di rabbia, fa venire Talia al
castello e ordina che sia gettata nel fuoco. La giovane si butta ai piedi della regina
implorando pietà. Nel mentre, sopraggiunge il re. Ordina che la moglie sia gettata nelle
fiamme, ricompensa il cuoco per aver risparmiato i bambini nominandolo primo
gentiluomo di corte e sposa Talia, che diventa regina.

7. RIMOZIONE DEL TRAUMA:


-IL DRAGONE “Il gruppetto di sposi prese gioia a volontà”
-LA PULCE “Dopo pochi giorni le trovò un bel marito”

ITALO CALVINO scrive prefazioni in tutte le opere che compone. Egli afferma di essere
arrivato alla conclusione che le fiabe restituiscano quello che è il patrimonio di una vita
piena di insidie. Esse donano orientamento alla cultura popolare.
CHARLES PERRAULT
I RACCONTI DI MAMMA L’OCA

Raccolta pubblicata nel 1695, sotto la firma del suo pseudonimo. L’autore vuole farsi
piacere dalla corte di Versailles, dalla quale non era ben visto. Le sue opere più famose
sono:
-CAPPUCCETTO ROSSO (Le petit chaperon rouge)
-BARBABLU (Barbe bleue)
-IL GATTO CON GLI STIVALI (Le chat botté)
-CENERENTOLA (Cendrillon)
-LE FATE (Les fèes)
-LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO (La belle au bois dormant)
-POLLICINO/PUCCETTINO (Le petit poucet)
-ENRICHETTO DAL CIUFFO (Riquet à la houppe)
-PELLE D’ASINO (Peau d’ane)
Dopo la sua morte vengono pubblicate due opere scritte in versi:
-LA PAZIENZA DI GRISELDA
-I DESIDERI INUTILI

BARBABLU
Narra la storia di Barbablu, un uomo molto ricco e colmo di possedimenti, ma che, a causa
della sua barba turchina, spaventa ogni fanciulla che gli si avvicini. Egli nella sua vita ha
sposato molte donne, ma sono sparite e non si è più saputo nulla di loro. Un giorno
Barbablu riesce a convincere la figlia minore di una delle sue vicinanti a diventare sua
moglie, e i due si sposano. Un mese dopo l’uomo deve partire, così dà alla moglie le chiavi
di ogni porta del palazzo e l’autorizzazione a far uso di tutti i suoi beni. Le proibisce però, in
modo categorico, di entrare in una stanzina. La ragazza invita tutte le sue amiche, ma non
riuscendo a divertirsi per la forte curiosità, decide di disubbidire al marito ed aprire la
stanzina. Aperta la porta e nota per terra del sangue raffermo ed una serie di cadaveri
appesi alle pareti, quelli delle mogli di Barbablu. Dallo spavento, la chiave della stanza le
cade per terra e si macchia di sangue, ma essendo fatata non riesce a pulirla. Appena il
marito torna, si accorge della chiave macchiata e, infuriatosi, decide di uccidere la ragazza.
Per sua fortuna, appena un attimo prima che le tagli la testa, arrivano i suoi due fratelli, i
quali si scagliano su Barbablu e lo uccidono. Poiché Barbablu non ha eredi, la moglie
diventa padrona di tutti i suoi averi, con i quali sistema la sua famiglia e se stessa.
La barba blu indica una vicinanza agli inferi, in questo caso il turchese non è un colore
positivo, “fatato”. Propp riconduce questa fiaba al tema delle case per uomini, dove
venivano rinchiusi i ragazzi per la loro iniziazione. Bettelheim, invece, riconduce Barbablu al
tema dell’orco (quello tradizionale, non quello creato da Basile).

ENRICHETTO DAL CIUFFO


Narra la storia di una regina, la quale partorisce un bambino molto brutto, con un ciuffo di
capelli sul capo. Ella è disperata, ma una fata presente al momento della nascita, la
rassicura dicendole che il piccolo sarebbe cresciuto pieno di spirito ed intelligenza. La fata
inoltre gli fece un dono: Enrichetto avrebbe potuto trasmettere il suo spirito alla persona
che più avrebbe amato. Qualche anno dopo, la regina di uno stato vicino partorisce due
bambine, la prima molto bella, la seconda molto brutta. La prima sarebbe cresciuta priva di
spirito, ma con il dono di trasmettere la sua bellezza alla persona che avrebbe amato di
più. La seconda, al contrario, sarebbe diventata una donna molto intelligente. Cresciute, la
maggiore inizia a patire la sua condizione, in quanto tutte le persone la snobbano
preferendo la compagnia della minore. Un giorno va nel bosco a piangere e incontra
Enrichetto, che le si avvicina per parlarle. Vedendola afflitta, decide di consolarla e,
svelatole il suo dono, le chiede la mano. La principessa che non desidera altro che un po’ di
spirito, acconsente di sposarlo entro un anno. Da subito si sente cambiata e inizia a fare
discorsi intelligenti, tanto che tutti rimangono ammaliati e la vogliono prendere in moglie.
Un giorno torna nel bosco per riflettere sul da farsi e trova un gran numero di cuochi e
servi, intenti a preparare il matrimonio di Enrichetto. Dopo avergli parlato, gli confessa di
non aver ancora deciso di sposarlo, in quanto sebbene pieno di spirito, non è abbastanza
bello. Enrichetto le spiega allora che se lei lo avesse amato tanto, egli sarebbe diventato un
principe bellissimo, poiché questo le era stato dato come dono appena nata. Da quel
momento Enrichetto le pare l’uomo più bello sulla faccia della terra, non per effetto
dell’incantesimo, ma per effetto dell’amore. Così i due si sposano.

IL GATTO CON GLI STIVALI


Un vecchio mugnaio lascia in eredità ai figli un mulino, un asino e, al più piccolo, un gatto.
Quest'ultimo è triste non sapendo che farsene, essendo molto povero, ma il gatto gli dice
di fidarsi di lui, di portargli un cappello, un paio di stivali e un sacco, così lo avrebbe reso un
uomo ricco. Il giovane che tanto non ha nulla da perdere, si procura il necessario. Il gatto
indossati stivali e cappello, va nel bosco, cattura della selvaggina e la porta al re, dicendo
che era un dono del suo padrone, il marchese di Carabas. Il gatto continua a portare doni al
re finché, un giorno, sente la notizia di una passeggiata del re con la figlia. Così corre dal
suo padrone e gli dice di spogliarsi e buttarsi nel lago; quando la carrozza del re passa di lì,
il gatto inizia a gridare dicendo che il marchese di Carabas è stato derubato e ha bisogno
d'aiuto. Il re, ricordandosi di tutti i doni ricevuti, fa fermare la carrozza per aiutare il
marchese. Nel frattempo il gatto con gli stivali corre nel palazzo di un famoso orco, che si
dice sia in grado di trasformarsi in qualsiasi animale. Traendolo in inganno lo convince a
trasformarsi in un topo e lo divora. Così si impossessa delle sue ricchezze e le dona al suo
padrone, che diviene ricco e sposa la figlia del re.

CENERENTOLA
La fiaba è molto diversa dalla versione di Basile. La Cenerentola di Perrault è dotata delle
qualità di una regina: è mite, buona, affronta con grande dignità le difficoltà che la sorte le
riserva e adempie i propri doveri umilmente, ma senza servilismi. È intelligente, altruista
anche con le stesse sorellastre che la maltrattano, ha buon gusto e non si atteggia a
martire. Anche dopo il suo matrimonio con il principe, Cenerentola dona alle sorellastre
due appartamenti nel palazzo reale e le fa sposare a due gentiluomini della corte. Accurata
la descrizione dei vestiti di Cenerentola, regali e maestosi secondo il gusto di corte, così
come la fatale scarpetta di vetro, che sembra un'invenzione di Perrault, non avendo
riscontri in altre versioni. Alla descrizione delle ingiustizie patite fa da contrappunto
l'immagine di lusso e splendore della corte, descritta con abbondanza di particolari, sfoggio
di ricchezze e fasto: è una Cenerentola che si muove in un mondo stilizzato, abitato da
aristocratici e contadini, villani e principi.

PELLE D’ASINO
Un re ed una regina conducono una vita straordinariamente felice, insieme alla loro unica
figlia ed il loro asino fatato che ogni mattina fa trovare il proprio giaciglio di paglia ricco di
monete d’oro. La regina però si ammala e, prima di morire, fa promettere al re suo marito
che egli si sposerà solo nel caso in cui trovi una donna più bella di lei. Il re non trova
nessuna all’altezza della moglie defunta, l’unica in grado di rivaleggiare con la madre in
fatto di bellezza è sua figlia. La fanciulla, consigliata dalla sua fata madrina, pone al padre,
come condizioni per le nozze, una serie di prove apparentemente impossibili sa superare:
la confezione di tre abiti rispettivamente del colore dell’aria, della luna e del sole.
Contrariamente alla aspettative, però, il re riesce ad ottenere dai suoi artigiani gli abiti
richiesti. Come ultima risorsa, allora, la fanciulla chiede al padre di sacrificare per lei il suo
asino fatato, e di concederle in dono la sua pelle. Il re esaudisce anche questo suo
desiderio. La principessa decide allora di fuggire, nascondendosi sotto la pelle dell’asino, e
si rifugia in una fattoria, in cui si occupa degli animali. Per un incantesimo della madrina,
tuttavia, la fanciulla può disporre, quando vuole, della cassetta contenente i propri trucchi,
i gioielli e gli abiti da principessa. Così in occasione delle feste, la fanciulla veste i suoi panni
reali. In quell’occasione viene vista dal figlio del re del luogo, il quale si innamora di lei
tanto intensamente da ammalarsi. Incalzato dalla madre perché riveli l’origini della sua
malattia, il principe chiede un dolce fatto da Pelle d’Asino. La fanciulla esegue così l’ordine
ma, durante la preparazione, un anello le cade e si perde nell’impasto. Trovato dal
principe, esso rafforza in lui l’amore per la fanciulla, così, dichiara di voler sposare la
ragazza a cui calzi quell’anello. Dopo averlo fatto provare a tutte le fanciulle del regno,
viene convocata anche Pelle d’Asino, che viene riconosciuta come una principessa e data in
sposa al principe. Al matrimonio partecipa anche il padre di lei, che approva lieto le nozze.
MADAME D’AULNOY
LE FATE ALLA MODA

Visse tra il 1650 ed il 1707. Fu una donna appartenente all’antica nobiltà, che da ragazza
sposò un uomo più vecchio di 46 anni. Cercò di uccidere il marito per decapitazione, ma
non riuscì nell’intento. In ogni caso rimase presto vedova, data la grossa differenza d’età.
Mentre Perrault “purifica” le fiabe tradizionali, Madame d’Aulnoy crea delle fiabe di pura
fantasia e spesso scrive delle allegorie. La sua fiaba più famosa è “IL PRINCIPE ED IL
CINGHIALE”, la quale è una trasposizione di uno stupro avvenuto a corte. Perrault lavora
per rendere la fiaba un simbolo pulito, privo di elementi che avrebbero potuto infastidire.
Le fiabe di Madame sono invece prive di simboli, rappresentano delle riscritture
polemiche (per esempio contro i matrimoni combinati).

IL NANO GIALLO
Narra la storia di una regina con un’unica figlia, a cui tiene molto. Ella è di una bellezza
indescrivibile, infatti si chiama Tuttabella, ma la sua bellezza è pari alla sua superbia e
arroganza. Per questo motivo non si vuole sposare, crede che nessuno la meriti e vede tutti
come inferiori. La regina, afflitta, si reca dalla fata del deserto, la quale è sorvegliata da dei
leoni che si sarebbero placati solo dopo aver mangiato una torta. Lungo il cammino la
regina si addormenta e la torta viene rubata. Al suo risveglio si accorge dell’accaduto e
iniziò a piangere la sua sorte. Proprio in quel momento incontra il Nano Giallo, che le
promette di salvarle la vita in cambio della mano di Tuttabella. Così accade, ma la regina
cade in una malinconia tanto profonda che la principessa decide di andare lei stessa dalla
fata del deserto. Si ripresenta la stessa situazione che aveva vissuto la regina e il Nano
Giallo svela a Tuttabella di essere il suo promesso sposo. La salva, ma anche la principessa
cade in depressione, così decide che l’unico rimedio per sfuggire alla sua sorte sarebbe
stato sposare il potente re delle miniere d’oro. Il giorno delle nozze, quando tutti sono
felici, arriva la fata del deserto, che è una vecchia orribile, a ricordare alla regina e
Tuttabella che hanno una promessa da rispettare. Il re delle miniere d’oro e il Nano Giallo
si sfidano a duello, ma il re perde e viene rapito dalla fata del deserto, mentre il nano
rapisce la principessa. La fata del deserto, nascosta sotto le sembianze di una bellissima
ninfa, vuole convincere il monarca a sposarla. Il re capisce che si tratta della fata ma non si
ribella a lei e finge di esserne innamorato: vuole trovare un modo per salvare Tuttabella.
Mano a mano acquista la fiducia della fata, che lo lascia girare da solo intorno al suo
nascondiglio. Proprio lì, sulla sponda del mare, incontra una sirena che gli offre il suo aiuto
per aiutarlo a fuggire e riprendersi la principessa, rinchiusa nel castello d’acciaio. Ella gli
dona una spada di diamante, con la quale il principe riesce ad uccidere coloro che si
contrappongono tra lui e la principessa. Giunto nel castello d’acciaio, tuttavia, il Nano
Giallo affligge al re un colpo mortale e, dal dolore, anche la principessa si lascia morire
accanto a lui. I due amanti defunti vengono trasformati dalla sirena in due palme.

IL PRINCIPE CINGHIALE
Un Re e una Regina vivono in grande tristezza perché non hanno figli, per questo pregano
ogni giorno dei e fate perché li aiutino. Un dì, mentre la regina cammina per un boschetto,
cade in un sonno profondo. Sogna di veder passare tre Fate: la prima le concede di avere
un figlio, che sarebbe stato il principe più bello, più simpatico e più amato sulla terra. La
seconda aggiunge che sarebbe stato anche potente, intelligente e giusto; la terza fata
scoppia a ridere e mormora alcune parole che la Regina non capisce. Dopo qualche mese la
Regina si accorge di aspettare un bambino; tutto il reame è in fermento, ma la loro gioia si
tramuta in tristezza quando, invece di un bel principe, viene alla luce un cinghialetto. Al
principe viene dato il nome Marcassino. In un primo momento il Re propone di liberarsi del
cinghialetto, ma la regina si oppone. Le dame insegnano a Marcassino le buone maniere e
lui comincia anche a parlare, così il re sceglie dei buoni maestri per istruirlo. Un giorno
Marcassino, ormai cresciuto, vede entrare a corte una dama seguita da tre fanciulle; la
donna supplica la Regina di accoglierla e lei, impietosita, acconsente. La bellezza della
maggiore delle figlie, Ismene, colpisce un giovane cavaliere, Coridone. Anche il principe
Marcassino però è stato colpito dal fascino di Ismene e riesce a convincere la Regina a fare
in modo che la ragazza sposi lui, anche senza amarlo. Ismene, minacciata dalla madre
affamata di potere, non può rifiutarsi di sposare il principe, ma quando vede Coridone
togliersi la vita con un pugnale, si uccide anche lei. Dopo qualche tempo il principe si
invaghisce di Zelonide, la sorella di Ismene, e si ripete esattamente la stessa cosa. A
differenza della sorella però, Zelonide programma l’uccisione di Marcassino, ma il piano fu
scoperto dal principe, che, azzannandola alla gola, la uccide. Il principe è preso dallo
sconforto, decide così di abbandonare la corte e andare a vivere nella foresta. La donna
decide invece di ritirarsi in campagna con l’unica figlia che le rimane, Martesia.
Quest’ultima, un giorno, passeggiando per la foresta, si imbatte in un enorme cinghiale,
che le rivela di essere Marcassino. Egli propone a Martesia di passare il resto della sua vita
con lui in fondo a una caverna, la ragazza acconsente a sposarlo e gli promette affetto e
amore. Finalmente Marcassino aveva trovato quello che cercava: essere amato da colei
che ama! Durante la notte Martesia si sveglia e le sembra, toccando il marito, di sentire il
suo capo come quello di un uomo: il principe stava diventando umano grazie all’amore
sincero della ragazza. Appaiono le tre Fate insieme a Ismene, Zelonide e Coridone. Tutti
tornano a corte e dopo pochi mesi nasce un bel principino.

ITALO CALVINO elabora due introduzioni:


-Una per le fiabe di Basile, giocata sugli elementi di tipo barocco
-Una per la sua raccolta di fiabe italiane
Calvino trascrive le fiabe esattamente come sono, a differenza di tanti altri autori che le
avevano riformulate. Egli deve spiegare perché questo materiale è così importante, e lo fa
parlando della sua esperienza. Afferma che la fiaba ha ancora un senso, una legittimità,
non solo come materiale di repertorio, destinato ad un pubblico colto. Questo perché la
fiaba ha avuto la stessa funzione del fantasy moderno: è servita a veicolare la realtà ed
elementi che altrimenti non sarebbero stati trasmessi. I due generi sono quindi legati tra di
loro, hanno la stessa funzione. La fiaba è vera nella misura in cui essa racconta qualcosa
che altrimenti non sarebbe potuto essere raccontato. Calvino afferma che le fiabe non
possono più svolgere il ruolo che avevano svolto fino a quel momento, in quanto il
testimone era stato passato di mano. Questo ruolo, non educativo ma di trasmissione di
verità, passa ad altri generi letterari. Egli ritiene che il tempo della fiabe sia finito.
LETTERATURA PER RAGAZZI
MODULO 1 – SEZIONE 2

DA ARIOSTO A CALVINO

FIGURA DEL CAVALIERE


ITALO CALVINO fa un’operazione di recupero di LUDOVICO ARIOSTO, che lo porta a
produrre una serie di testi ispirati al mondo dell’ORLANDO FURIOSO. Traccia una sorta di
genealogia di queste figure, che troviamo in tutta la tradizione della letteratura per ragazzi.

L’ORLANDO FURIOSO RACCONTATO DA ITALO CALVINO


È un testo che all’inizio non sembra avere un’importanza centrale. Vengono parafrasati e
resi più accessibili i poemi cavallereschi, ma l’edizione è priva di illustrazioni e dal tratto
molto severo. Questo testo è una riflessione in chiave moderna dei personaggi
dell’Orlando furioso. Calvino fa qualcosa di totalmente diverso da ciò che gli era stato
richiesto: riflette sull’aspetto di decadenza, di svuotamento, della figura del cavaliere.
Traccia una teoria che in qualche modo collega i cavalieri dell’Orlando furioso agli eroi
della narrativa moderna d’avventura, evidenziando come questa figura si sia evoluta.
Immagina anche la figura di un cavaliere tenuto in piedi dalla sola armatura (IL
CAVALIERE INESISTENTE). Questo testo diventa così un classico della letteratura e si
allontana dalla funzionalità di manuale. Una illustratrice per ragazzi crea dei disegni da
inserire all’interno del volume e, tra tutti, rappresenta anche Calvino stesso seduto su un
albero mentre legge l’Orlando furioso (IL BARONE RAMPANTE).
Noi ci occupiamo di Ariosto grazie alla mediazione di Calvino, sebbene non sia l’unica.
L’altra è una rappresentazione teatrale creata da Luca Ronconi e Edoardo Sanguineti. È
particolare in quanto, durante lo spettacolo, il pubblico non stava seduto ma poteva girare
attorno agli attori. Lo scopo era quello di farsi un’idea dello sviluppo della vicenda. In una
messa in scena teatrale si possono fare una serie di scelte che possono aiutare lo
spettatore a comprendere l’idea dell’autore.
Molti autori si sono accorti nel tempo che parecchi modelli di personaggi dell’Orlando
furioso potevano essere utili, sotto forma di riscrittura, nella stesura dei romanzi
d’avventura.
-DON CHISCIOTTE (Miguel de Cervantes) il cavaliere è una caricatura di se stesso
-I TRE MOSCHETTIERI (Alezandre Dumas) ognuno rappresenta un elemento della figura
completa del cavaliere, essi scandiscono la decadenza del cavaliere
-I PROMESSI SPOSI (Alessandro Manzoni) rielaborazione della figura del cavaliere
Calvino porta a leggere il poema come se fosse un romanzo.
Egli scrive due romanzi ispirati all’Orlando furioso:
-IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI
-LA TAVERNA DEI DESTINI INCROCIATI
Nel primo volume i personaggi e il narratore, dopo aver attraversato una selva, arrivano in
un castello, dove ci sono una serie di ospiti seduti attorno al tavolo. Essi sono in una
condizione di incapacità di parlare, si esprimono utilizzando le carte di un mazzo di tarocchi
e candele, in questo modo riescono a raccontare la loro storia. Tra i personaggi della
vicenda vi è Orlando che impazzisce, il quale viene descritto con le stesse caratteristiche
esteriori del cavaliere inesistente.
Nell’Orlando furioso di Ariosto, egli rinsavisce.
Nella versione teatrale di Ronconi, il poema si conclude quando Astolfo va sulla luna.
La follia non è considerata una punizione, ma una benedizione, in quanto permette di
vedere ciò che e il cavaliere.
ASTOLFO SULLA LUNA
Il personaggio di Astolfo, figlio del re d’Inghilterra e cugino di Orlando, non segue molto le
regole dell’eroe cavalleresco nell’opera di Calvino. Egli è capace di smascherare gli inganni
degli allestitori di inganni. Nell’Orlando furioso gli viene affidato il compito di andare a
recuperare il senno di Orlando sulla luna. Nel poema di Ariosto, Astolfo trova sulla luna
tutte le cose che erano state perdute sulla Terra. Nel romanzo di Calvino, Astolfo sulla luna
incontra Ariosto, che gli dice che lì non avrebbe trovato nulla, neppure il senno di Orlando.
L’unico significato che viene attribuito alla luna è quello di praticare la poesia, la capacità
creatrice delle parole. Nella rilettura di Calvino, Ariosto non crede si valori che lui stesso
descrive.
ORLANDO FURIOSO
Esso ha 3 edizioni:
1516 Prima edizione di 40 canti
1521 Seconda edizione di 40 canti
1532 Terza edizione di 46 canti
In tutte il metro utilizzato è di ottave in endecasillabi. Nel passaggio dalla seconda alla
terza, tramite l’aggiunta di 6 canti, Ariosto rende comprensibile gli ingranaggi che si celano
sotto la “pelle” del poema. Essi non vengono aggiunti alla fine dell’opera, ma “gonfia” gli
episodi al suo interno, in modo tale da esplicare meglio la struttura narrativa, anche grazie
ad un rifacimento linguistico. Grazie a ciò, Calvino afferma che l’Orlando furioso è il poema
più comprensibile di tutta la letteratura italiana. Il linguaggio di Ariosto è nazionale, con
l’obiettivo di creare un’opera di intrattenimento, con la presenza del poeta, che è colui che
legge o racconta quello che ha scritto (poeta-performer). Nella riscrittura di Calvino,
quando Astolfo incontra il poeta, si verifica una specie di corto circuito tra l’idea critica di
Calvino e la sua modalità di interpretare i personaggi del Furioso. Egli si sostituisce ad
Ariosto come narratore, in modo tale da poter riscrivere la natura dei personaggi. La
versione di Ariosto si basa sulla tradizione epica, quella di Calvino sul Novecento. Poiché
Ariosto leggeva e recitava ad una corte alla quale non poteva richiedere un’attenzione
assoluta (migrava infatti dalla piazza alla corte), egli crea una strategia narrativa. Ogni
episodio viene interrotto nel momento di massima tensione, la narrazione passa ad un
altro argomento e lo stesso episodio viene ripreso più avanti. In questo modo è complicato
per l’ascoltatore distrarsi. Calvino fa invece l’opposto: concentra lo sviluppo di ogni vicenda
narrativa in un unico capitolo, poiché deve portare il lettore all’interno della vicenda e
mostrargli gli elementi di modernità. L’Orlando furioso è un universo chiuso, in cui nulla va
perduto, ma in questo modo Ariosto non permette mai ai suoi personaggi di trovare quello
che cercano e li induce a qualcosa che non stavano cercando. Questo ritrovamento
inatteso determina lo sviluppo della narrazione.
Esso ha 3 motivi principali:
-La ricerca amorosa di Orlando per Angelica e di Ruggiero per Bradamante
-L’avventura e l’inganno
-La vicenda bellica
Questi 3 elementi vengono ricostruiti da Calvino in modo diverso dal punto di vista critico e
narrativo.
1. Ricerca amorosa Dietro di essa si celano due terribili destini: la follia di Orlando e
la morte di Ruggiero. Ruggiero sa che quando si sposerà sarà destinato a morire,
quindi sia lui che Orlando sono due personaggi legati ad un destino tragico. La
vicenda amorosa è una vicenda di incomprensioni: i personaggi spinti da pulsioni e
speranze sono destinati a fallire. Il Furioso in realtà non è il romanzo della ricerca
amorosa, ma dell’incomprensione amorosa. Per spiegare ciò Calvino ricorre ad un
esempio:
Vicenda di Isabella e Rodomonte Zerbino è un cavaliere di pasta-umana fedele ad
Orlando, poiché egli aveva salvato la sua amata. Durante una battaglia Zerbino muore per
salvare Orlando. Isabella, la sua donna, mentre trasporta il corpo del defunto viene
fermata da Rodomonte, un pagano che vuole farla sua. Lei vuole ingannarlo, dicendogli
che è in grado di preparare un unguento che rende invincibili, ma solo se rimane vergine.
Finge di preparare l’intruglio ma nel momento in cui propone a Rodomonte di provarlo su
di lei, lui la decapita con la spada.
I personaggi:
-Rodomonte per Calvino è un personaggio di pasta-fatata, vulnerabile di fronte alla sua
incapacità di comprendere una modalità di vita diversa dalla loro.
-Orlando (nipote di Carlo Magno) finale chiuso: si è esaurita ogni possibilità alternativa
con il recupero del senno. Orlando impazzisce esattamente a metà del poema (XXIII). È lui a
salvare per due volte l’altra Angelica, Olimpia.
-Angelica (figlia del re del Catai) finale aperto: XXX, XVI, 3-8: “e de l’India a Medor desse
lo scettro/ forse altri canterà con miglior plettro”. Nella versione definitiva, nel corso di
questa ricerca Angelica incrocia il suo destino con quello di Olimpia, che è il suo doppio (IX,
XI: Ariosto gioca con la tipologia della fanciulla perseguitata). È la figura della bellezza che
porta con sé una disgrazia alla quale non si può scampare. La fanciulla perseguitata ha due
tipologie: puella (dal latino “ragazza, bambina”) e mulier (dal latino “donna, moglie”).
Angelica essendo vergine appartiene alla prima categoria, Ariosto crea quindi una
controfigura, quella di Olimpia, che è una donna sposata, tradita e abbandonata dal
marito. In questo modo crea una seconda tipologia di personaggio, la quale finisce nello
stesso posto di Angelica e viene scambiata per lei. In un passo infatti Orlando vede una
donna legata su uno scoglio e, credendo fosse Angelica la porta in salvo, ma in realtà la
vera Angelica verrà salvata da Ruggiero.
-Ruggiero (fratello di Marfisa) finale chiuso: cavaliere perfetto che affronta un percorso
di formazione. Il doppio più giovane e a distanza di Orlando (e infatti sarà lui a salvare
Angelica nell’isola di Ebuda). Supera la seduzione di Alcina, salva Leone (figlio
dell’imperatore d’Oriente), a cui i genitori hanno promesso Bradamante. Tenta di essere
imprigionato da Atlante in due luoghi: nel castello e nel palazzo di Atlante.
-Bradamante (sorella di Rinaldo) finale chiuso: inchiesta giusta e necessaria perché
voluta da Dio. Ma deve fronteggiare le de “botole” del romanzo: i due palazzi del mago
Atlante (III-IV e X-XII). Anche Bradamante ha un suo doppio in Marfisa. Nel procedere del
poema una accentua i lati femminili, l’altra quelli maschili. Nell’ampliamento del poema,
Ariosto dona a Bradamante un fratello gemello indistinguibile da lei: Ricciardetto (XXV). Si
verifica un travestimento tra maschio e femmina, Calvino afferma che Ariosto in qualche
modo voleva che lo spettatore fosse complice di questo gioco. Per far ciò è necessario che
ci siano una serie di segnali che indichino come stanno le cose.
-Allestitori di inganni Alcina, Atlante e in parte Melissa (novella del Nappo XLIII). Essi
cercano di influenzare lo sviluppo della narrazione, senza riuscirci. Esso è legato proprio al
tentativo di superare la resistenza di questi personaggi, che con le loro azioni cercano di
imporre degli ostacoli. Potrebbero in qualche modo avere la stessa funzione
dell’antagonista fiabesco. L’unico personaggio apparentemente positivo è la maga Melissa,
che si propone come aiutante di Bradamante nella sua missione di rintracciare e sposare
Rinaldo. Ad un certo punto, però, Ariosto introduce una novella, in cui Melissa svolge un
ruolo ostile. L’autore non si preoccupa di precisare se questa maga è la stessa che aveva
aiutato Bradamante, ma la descrive solo come una donna molto giovane. Tutti tentano di
ostacolare la missione del poeta, quella di portare i personaggi verso il loro destino.
Calvino afferma che il mondo è come una scacchiera: Ariosto ha le pedine che muove da
una parte all’altra, mentre gli allestitori di inganni tentano di rendere questa scacchiera
confusa, poco agibile, ma vengono sconfitti.
2. Avventura e inganno sono il collante romanzesco del poema, non si tratta più di
un poema cavalleresco ma di un romanzo in versi.
-Astolfo (figlio del re d’Inghilterra e cugino di Orlando) compie un suo itinerario
pienamente avventuroso: Alcina, l’Africa, la Luna. È personaggio risolutivo di molte
vicende: dalla principale alle “femmine omicide” (XIX-XX, 88). Viene convocato per
risolvere la situazione al momento della tentata cattura di Ruggiero. Già in Ariosto è
considerato un alter-ego del poeta: è l’unico in grado di capire il sistema dei personaggi e
di agire rispetto alle botole narrative che il romanzo propone.
3. Vicenda bellica ne fanno parte l’assalto di Parigi e il duello di Lampedusa. Calvino
dice che Ariosto è uno dei primi personaggi a cambiare la parità che c’era tra gli
eroi: i personaggi a cui si spara non muoiono mentre gli altri sì. Da questo momento
tutto il romanzo d’avventura si muove secondo questa regola. Qui Calvino introduce
la distinzione tra i personaggi di pasta-fatata e di pasta-umana, molto evidente
nell’assalto di Parigi.
Ci sono delle novelle interne al poema che sono una rassegna di generi letterari diversi, in
cui un personaggio si ferma e racconta. Ci sono episodi chiusi che servono perché altre
azioni si svolgano al di fuori del poema.
-Novelle eziologica (fiaba): Norandino e l’orco (XVII)
-Femmine omicide (XX)
-Novelle-passatempo: giudice Anselmo e Novelle del nappo (XLIII)
Calvino parla poco di Carlo Magno nel Furioso e, quando ne parla, lo fa sempre con poca
simpatia. Carlo Magno sembra rientrare nella famiglia degli allestitori di inganni, lavora
come lavorano i maghi. Nel Cavaliere inesistente egli è visto come un vecchio sfiduciato,
non una parte effettiva del romanzo, ma un accessorio. Bradamente nel Cavaliere
inesistente diventa una donna alla ricerca di qualcosa che non riesce a trovare: è
innamorata di Agilulfo, ma ricerca una felicità impossibile.
Egli scrive una giustificazione teorica per spiegare la scelta di scrivere il Cavaliere
inesistente. Questo romanzo è l’ultimo dal punto di vista cronologico della trilogia I NOSTRI
ANTENATI, di cui fanno parte:
-IL VISCONTE DIMEZZATO
-IL BARONE RAMPANTE
-IL CAVALIERE INESISTENTE
Calvino esprime una crisi dell’uomo moderno attraverso il modello concluso del cavaliere.
Vi è una corrispondenza con l’Orlando furioso, infatti è presente un contrasto tra la figura
di Orlando sano/Orlando pazzo e tra Agilulfo/Gurdulù. Carlo Magno nel Cavaliere
inesistente è stanco e stufo di continuare la sua vita, i personaggi sono completamente
svuotati. Agilulfo in mezzo alla routine di tutti i cavalieri fa qualcosa di diverso: egli
scompare dissolvendosi dopo aver scoperto una falsa verità sul suo essere cavaliere.
Alla base della narrazione cavalleresca ci sono due cicli:
1. Il ciclo della tavola rotonda (ciclo di re Artù)
2. Il ciclo carolingio (ciclo di Carlo Magno)
Entrambi appartengono alla tradizione profana, con una grossa parte dedicata ad elementi
magici. Il primo ha come fine il raggiungimento del Graal, che può essere trovato solo da
un cavaliere estremamente puro, ovvero Parsifal. Nel secondo non c’è una ricerca così
esplicita ed un fine così immediato, elementi magici e religiosi non si intersecano. Orlando
ha delle caratteristiche di Parsifal, in quanto è estremamente valoroso, ma resta
comunque un cavaliere che non ha come obiettivo la ricerca di una reliquia.
1. Cavalieri del Nord
2. Cavalieri del Sud
Tra di essi ci sono 3 differenze:
-Nel ciclo della tavola rotonda la morte del paladino è una parte fondamentale della
vicenda, nel ciclo carolingio spesso avviene fuori scena (es Orlando).
-Nel ciclo della tavola rotonda la dignità del paladino è fondamentale, in quanto è richiesta
la purezza, i cavalieri infatti non seguono le loro passioni. Essi hanno delle caratteristiche
pagane, come l’individualismo e la volontà di possesso. Nel ciclo carolingio avviene il
contrario e i cavalieri agiscono seguendo i loro istinti e le loro passioni.
-Il ciclo della tavola rotonda è fondato su un obiettivo principale, nel ciclo carolingio vi sono
una pluralità di obiettivi.
Dall’intersezione di questi due modelli nasce Orlando di Ariosto.
1605 Momento in cui Cervantes afferma che il modello cavalleresco diventa spendibile
solo attraverso la parodia. Egli mette in scena la figura di un uomo che abbandona la sua
identità per una inesistente, che si mette in scena. Don Chisciotte attesta che il modello del
cavaliere senza macchia e senza paura non è più spendibile. Viene declinato il binomio
cavaliere-follia.

ALEXANDRE DUMAS è un autore seriale che si accorge di questo passaggio. Egli scrive:
-I TRE MOSCHETTIERI (1844)
-VENT’ANNI DOPO (1845)
-IL VISCONTE DI BRAGELONNE (1850)
Nel primo racconta una storia ambientata nel 600, dopo l’uscita di Don Chisciotte.
Dartagnan, uno dei personaggi principali, cavalca un ronzino con il pelo giallo
(svuotamento della figura del cavaliere). Poiché viene preso in giro per questo fatto, si
batte in duello ma viene sconfitto: questo fatto lo ribalterà al centro della storia. I modelli
narrativi sono inattuali e Dumas ne è consapevole, per questo vuole che il lettore giochi
con lui su questa cosa. Così sdoppia in 4 la figura del cavaliere:
-Dartagnan Il suo modello principale è Don Chisciotte ma ricorda anche Lancillotto, in
quanto soffre di malinconia d’amore per essersi innamorato di una cameriera.
-Porthos Cavaliere combattente: è il più forte dei cavalieri, difficilmente si oppone alla
storia e agisce d’istinto, come un giocatore. Ha una dimensione borghese, ha un’amante
matura che poi sposa.
-Aramis Cavaliere intelletuale: si è fatto cortigiano, ha iniziato a vivere all’interno della
corte. Studia, prepara una tesi, parla latino e vorrebbe anche prendere i voti.
-Athos Cavaliere aristocratico: è il più vecchio e costituisce l’asse portante della storia.
In lui convergono tutti gli elementi dell’eroe classico: non è un personaggio del tutto
positivo. Cerca di far impiccare Milady quando è ancora sua moglie e ne dirigerà anche
l’esecuzione. Si sostituisce ad un prete nel suo letto e quando una donna va per provare a
sedurre il prete, lui ha un rapporto con lei. È un personaggio perennemente malato, sia
fisicamente che sentimentalmente (caratteristica dell’eroe classico).
CONFRONTO I TRE MOSCHETTIERI/ I PROMESSI SPOSI
“I tre moschettieri” e “I promessi sposi” si svolgono negli stessi mesi. Dumas inserisce nella
sua vicenda alcuni errori storici, articola alcune vicende in modo anomalo. Nella prima
pagina, quando c’è l’arrivo di Dartagnan, compie un errore cronologico. Perché Dumas
avrebbe dovuto aver ricevuto questa ispirazione da Manzoni? Egli parte dal capitolo 5 dei
Promessi sposi, dove vi è un pranzo a casa di don Rodrigo. Lo interessa particolarmente il
fatto che il pranzo a casa di Don Rodrigo sia un luogo in cui vanno a convergere tutte le
inquietudini della figura del cavaliere. Esse saranno esplicitate sia all’interno de “I tre
moschettieri” e de “I promessi sposi”.
CAPITOLO 5
[…] Alla base della collina, si trovavano alcune casupole abitate da contadini di don
Rodrigo. Quando c’era una porta aperta, bastava guardare le stanze e piano terra per
capire le abitudini del luogo: attaccati al muro, c’erano zappe, rastrelli, cappelli di paglia,
armi e polvere da sparo. Gli uomini del posto erano rabbiosi; i vecchi, nonostante l’età,
aggressivi; le donne avevano voci maschili e braccia muscolose; anche i bambini avevano
un atteggiamento arrogante. Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì una stradina e, giunto
davanti al palazzo, trovò la porta chiusa. Ovunque regnava un gran silenzio; sul portone
erano inchiodati due grandi avvolto; ai lati dell’ingresso, due bravi facevano la guardia. Uno
di loro, quando lo vide, ricordò ce i cappuccini gli avevano tenuta aperta la porta nei
momenti di difficoltà, lo salutò e bussò al portone. Aprì un vecchio servitore che lo
riconobbe, lo fissò con meraviglia e rispetto e lo accompagnò davanti alla sala del
banchetto. Il frate voleva aspettare la fine del pranzo ma la porta si aprì e il conte Attilio lo
invitò ad entrare, anche se don Rodrigo non era contento di quella visita. Fra Cristoforo
entrò, si inchinò al padrone e rispose ai saluti degli ospiti. Alla destra di don Rodrigo sedeva
il conte Attilio di Milano, suo cugino e amico di prepotenze; a sinistra stava il podestà,
rispettoso e sicuro; di fronte al podestà, umile e ubbidiente, sedeva l’avvocato
Azzeccagarbugli, con il naso più rosso del solito e un mantello nero; di fronte ai due cugini,
altri due invitati continuavano a mangiare, dire di sì, sorridere e approvare. Don Rodrigo
fede portare una sedia a padre Cristoforo, che si scusò per l’ora inopportuna e con voce
sommessa chiede di parlargli in privato, il signore acconsentì e gli offrì del vino; il frate
provò a rifiutare con cortesia, ma alla fine accettò per non offendere don Rodrigo, e
cominciò a bere lentamente. Nella sala del banchetto gli ospiti, a voce molto alta, stavano
discutendo, senza trovare un accordo, di una questione cavalleresca, cioè se fosse
permesso bastonare l’ambasciatore di un nemico. Per interrompere la discussione, do
Rodrigo chiede l’opinione di fra Cristoforo, che provò a non rispondere dicendo che non
erano questione di cui si intendeva. Don Rodrigo però insistette, e cominciò a esporgli i
fatti, continuamente interrotto dai commenti degli altri invitati. La conversazione si fece
sempre più vivace, finché don Rodrigo invitò di nuovo il padre Cristoforo ad esprimere la
sua idea riguardo la questione di cavalleresca. Anche gli altri ospiti insistettero per
conoscere il suo parere e allora padre Cristoforo disse che, secondo lui, sarebbe stato
molto meglio che non esistessero sfide, ambasciatori e bastonate, gli invitati si
meravigliarono della risposta e il conte Attilio accusò il frate di non conoscere il mondo
reale ma son Rodrigo, con toco ironico, ricordò che anche fra Cristoforo aveva fatto le sue
esperienze, riferendosi al suo avventuroso passato (Egli ha in passato ucciso un suo
rivale ed è diventato frate per espiare questo omicidio). Il frate accettò in silenzio questa
maliziosa allusione, pensando che fosse meglio sopportare, piuttosto che mettere a rischio
lo scopo della sua missione. Mentre i convitati cominciavano a discutere dell’affermazione
di padre Cistoforo, con Rodrigo, per chiudere definitivamente la questione, portò il
dibattito su un altro argomento; la guerra combattuta in quell’anno per la successione al
ducato di Mantova, che vedeva lo scontro fra te casate di Francia e di Spagna e che
coinvolgeva anche l’importatore, Ferdinando II. Gli invitati ripresero a parlare
rumorosamente. Il podestà si fece portavoce delle regioni del conte di Olivares, ministro
del re di Spagna, contro il cardinale Richelieu, ministro del re di Francia. A lui si
contrapposero il conte Attilio, riferendo le posizione del papa e quelle dell’imperatore
rispetto alla successione di Mantova. La discussione diventò un battibecco, anche sul nome
del principe di Wallenstein, generale in capo delle truppe imperiali, e sulle storpiature della
sua pronuncia. Don Rodrigo invita con uno sguardo il cugino Attilio a non esasperare il
podestà, questi può così lanciarsi in un lungo e ininterrotto discorso di lode del conte
d’Olivares […]. Chissà fino a quando il podestà avrebbe continuato il suo elogio del conte
duca contro il cardinale Richelieu, se non fosse intervenuto a fermarlo don Rodrigo, in
qualche si voltò all’improvviso, chiese un fiasco di vino a un servitore e fece un brindisi al
conte duca di Olivares a cui tutti parteciparono; anche fra Cristoforo dovete bere, mentre
tutti lodavano il vino. La discussione passò poi alla carestia e il fracasso diventò più grande,
anche se tutti erano d’accorso sull’idea che la carestia non c’era, e che la colpa della
mancanza di pane e del suo rincaro era dei fornai e di tutti quelli che nascondevano il
pane; bisognava impiccarli, senza processo. Ogni tanto don Rodrigo guardava fra
Cristoforo, che rimaneva fermo e zitto e, senza dare segni di impazienza o di fretta,
mostrava di non volere andarsene senza aver parlato con lui. Don Rodrigo avrebbe
volentieri fatto a meno di quel colloquio ma non poteva mandare via il frate, se voleva
rimanere amico dei cappuccini, così decise di affrontare quella seccatura e di liverarsene
subito; si alzò da tavola, chiese il permesso agli ospiti che continuavano a fare chiasso, si
avvicinò a fra Cristoforo e lo condusse in un’altra stanza.
Fra Cristoforo all’inizio era indeciso se andare a parlare con don Rodrigo, per convincerlo a
desistere da questa sua persecuzione di Lucia, o con don Abbondio, per convincerlo a far il
suo dovere di prete e celebrare il matrimonio. Fra Cristoforo è un uomo d’azione, infatti
decide di affrontare direttamente don Rodrigo, perché è uno dei prototipi di cavalieri che
Manzoni inserisce nella storia. Per questo motivo preferisce confrontarsi con un simulacro,
per quanto ormai decaduto e corrotto, di un cavaliere, piuttosto che con un personaggio
che non può che essere un simulacro di uno scudiero. Don Rodrigo appartiene infatti alla
categoria della negazione del cavaliere, è un don Giovani immiserito ed impoverito. Fra
Cristoforo sceglie di trattare con un suo pari, anche se apparentemente si direbbe che sono
solo un frate e un nobile. Don Rodrigo non è contento di questa visita proprio perché la
vede come un confronto cavalleresco tra due che sono sullo stesso livello. Tutti gli invitati
di don Rodrigo sembrano fare riferimento a “la Gerusalemme liberata” di Tasso per quanto
riguarda la disputa cavalleresca. Alla tavola ci sono due cavalieri: don Rodrigo e Attilio, e
due chierici, ovvero due cortigiani: il podestà e Azzeccagarbugli.
1605 Cervantes attesta la fine del modello cavalleresco se non nella veste della parodia.
Di lì in poi il modello cavalleresco viene riscritto e riutilizzato in una versione nera: il
personaggio di don Giovanni. Un personaggio assassino che viene trascinato all’inferno
dall’uomo che lui ha ucciso e sfidato sulla sua stessa tomba. Don Giovanni offre del cibo
allo spettro dell’uomo che ha ucciso, perché può servire a far transitare un morto del
mondo dei vivi e renderlo di nuovo trafiggibile. Egli rifiuta e lo raccomanda di prendere il
cammino della redenzione, ma don Giovanni non ha nessuna intenzione di farlo.
Vi è un collegamento con il fatto che a fra Cristoforo don Rodrigo offre del vino. Nel
capitolo 6, quando si trovano da soli, il frate gli chiede di pentirsi e convertirsi, ma don
Rodrigo reagisce come don Giovanni. Manzoni sdoppia il suo don Giovanni nella figura di
don Rodrigo (che però non riesce a sedurre nessuna) e di Egidio (seduttore di monache).
Egli gioca con l’ambiguità della figura del cavaliere, dando un grosso peso al “don Giovanni
sfigato” e tralasciando il personaggio di Egidio, che potenzialmente sarebbe potuto essere
molto più interessante. All’interno della storia vi è un personaggio che sarebbe
l’incarnazione della negazione del cavaliere, ma persona che però ne mantiene tutte le
caratteristiche. È la tipologia di personaggio che Dumas fa ricoprire a Richelieu.
L’innominato è la negazione della religione, Richelieu pure, ma ne è anche il massimo
rappresentante alla corte di Francia. Manzoni fauna sorta di cronaca del decadimento di
quello che potrebbe potenzialmente essere il migliore dei 3, dal punto di vista della
corrispondenza al modello. Richelieu è un grande interprete di quella politica che lo porta
a rappresentare l’idea religiosa contro cui Manzoni si scaglia più volte. Egli viene nominato
nel pranzo a proposito dell’assedio di La Rochelle (guerra tra i francesi di Luigi XIII e gli
ugonotti, 1627-1628). Ultimo riferimento per far capire al lettore la figura narrativa del
cavaliere è l’elenco che si trova al momento della descrizione della libreria di don Ferrante.
Egli è un po’ più dotto, quindi oltre a “La Gerusalemme liberata”, conosce anche “La
Gerusalemme conquistata” per poter intervenire in caso di una disputa cavalleresca. Don
Ferrante non è però in grado di fare un uso attento della propria cultura, come lo è Aramis.
CAPITOLO 6
Don Rodrigo, in piedi in mezzo alla sala, chiese al frate “In che cosa posso ubbidirla?” Ma si
capiva chiaramente che gli stava dicendo di stare attento e di fare in fretta, fra Cristoforo
sentì il suo tono arrogante e stava per rispondere, poi pensò che rischiava di rovinare tutto
e, con atteggiamento umile, iniziò: “Alcuni uomini malvagi hanno usato il nome si
Vossignoria per spaventare un curato e per compiere una prepotenza nei confronti di due
giovani innocenti. Io la prego di riportare la giustizia: ascolti la sua coscienza, pensi
all’onore!”. Don Rodrigo lo interruppe seccamente e fra Cristoforo capì che l’uomo tentava
di non fargli concludere il discorso. Decise di essere ancora più paziente e riprese: “Se ho
detto qualcosa di sbagliato, mi perdoni, ma mi ascolti: riporti la giustizia a dei poveretti che
Dio ascolta sempre.” La risposta di don Rodrigo fu ancora più violenta, ma fra Cristoforo,
con il volto rosso, gli chiese di togliere un innocente dall’angoscia. A queste parole don
Rodrigo rispose: “Dica a questa innocente di mettersi sotto la mia protezione e non le
succederà nulla!”. La proposta fede indignare fra Cristoforo che fece due passi indietro e
sollevò l’indice della mano sinistra verso don Rodrigo e gli gridò che non lo temeva più.
Padre Cristoforo proseguì dicendo a don Rodrigo che la sua casa era maledetta, mentre
Lucia poteva contare sulla protezione divina. Don Rodrigo rimase senza parole, tra la
rabbia e lo stupore, ma quando sentì l’inizio di una profezia, provò una misteriosa paura,
afferrò la mano del frate, lo fermò e lo cacciò via, insultandolo. Fra Cristoforo ascoltò con
tranquillità insulti e minacce, poi uscì. […]
I due si affrontano come fosse un duello di cavalleria, in questo caso verbale. Quando don
Rodrigo lo provoca, fra Cristoforo reagisce come se fosse un cavaliere, non porge l’altra
guancia, come farebbe un uomo di Chiesa.
Dumas nella sua rilettura di Manzoni afferma che nella figura di fra Cristoforo si compendia
anche il personaggio di don Chisciotte. Perché fra Cristoforo, che è il più autentico tra i
cavalieri dei promessi sposi, è anche il personaggio che è costretto a sancire il fallimento di
questa figura. Lo fa per due volte: dopo l’uccisione di questo avversario e nel momento in
cui con la sua devozione nell’assistere nei malati di peste, finisce per prendere lui stesso la
peste. Vi è un doppio richiamo che attesta l’affinità alla tipologia del cavaliere decaduto
che trova la possibilità di praticare la sua vocazione solo attraverso la follia. Già Ludovico
(ex. Fra Cristoforo) da borghese proteggeva i deboli e, nel momento in cui veste il saio dei
cappuccini, sancisce il suo avvicinamento alla figura di don Chisciotte.
Lo svuotamento della figura del cavaliere passa dal 500 al 900 arrivando ad un’armatura
vuota, ovvero un qualcosa di impraticabile. Nel momento in cui si verifica la totale
inapplicabilità di questa categoria, si assiste ad una sua estrema semplificazione ed un suo
utilizzo sistematico. Nel momento in cui la tipizzazione è conclusa, tutte le volte che viene
richiamata una categoria che fa riferimento a questo modello, si sa che ci si trova davanti
ad una tipologia che può essere spesa con queste caratteristiche. Ci troviamo di fronte ad
un simbolo: un personaggio che può essere svuotato e riempito di contenuti senza che i
suoi elementi costitutivi vengano alterati. Ciò avviene nel passaggio all’unità successiva
quando, intorno alla metà dell’800, si assiste alla costruzione di un personaggio che
risponde alle caratteristiche del patriota. Il cavaliere, con il suo bagaglio di certezze e
privato delle sue inquietudini, diventa il modello del patriota. Egli ama una donna, che è la
sua vocazione, ma il suo amore fondamentale è la patria.
Per quanto riguarda la letteratura per l’infanzia, si ha un’anomalia, perché la figura del
patriota, che avrebbe senso spendere nei racconti destinati ai ragazzi, in romanzi di tipo
avventuroso, non viene applicata. L’Italia non ha una tradizione narrativa d’avventura
come si deve. Si portano romanzi che provengono da altri Paesi, con il procedimento della
riduzione: essendo destinati ad un pubblico adulto vengono riadattati. Vengono eliminate
tutte le scene considerate scabrose (nel romanzo di ambientazione medievale
ottocentesco ce ne sono molte) e viene semplificato il flusso narrativo, in modo tale che il
ragazzo possa seguirlo e riuscire a consumare la lettura in un numero adeguato di ore.
Cuore, per esempio, è strutturato con partimenti stagni, per facilitare la lettura ad un
pubblico giovanile. De Amicis racconta di essere andato a trovare Dumas (figlio) che
racconta che al collegio per farsi piacere dai compagni rubava gli appunti dei romanzi del
padre, per sapere le cose in anteprima. Alcuni di questi li ricopiavano di nascosto e li
mandava in Italia. Noi italiani all’epoca eravamo dipendenti da una narrativa proveniente
da Francia e Inghilterra. Per arrivare ad una narrativa d’avventura, che sarà poi destinata ai
ragazzi, bisogna attendere EMILIO SALGARI.
LETTERATURA PER RAGAZZI
MODULO 1 – SEZIONE 3

DAL ROMANZO STORICO AL ROMANZO D’AVVENTURA

Il pubblico a cui si rivolge questo tipo di letteratura è alto borghese e molto selezionato. La
scelta di cosa leggere viene effettuata dai genitori o dagli educatori ma non dai ragazzi,
infatti molte volte la letteratura per l’infanzia ha un linguaggio da adulti.
Autori:
-WALTER SCOTT (Rob Roy, La donna del lago, 1810)
-THOMAS MAYNE REID (traduzioni in italiano 1876-1878)
-ALEXANDRE DUMAS (I tre moschettieri, Il conte di Montecristo)
-JULES VERNE (Voyages extraordinaires, una serie di 54 scritti pubblicati tra il 1863 e il
1905)
Questi testi vengono molto apprezzati dai ragazzi. Le femmine non erano incluse, infatti
molte volte dovevano prendere i libri di nascosto.
Scott È l’iniziatore del romanzo del romanzo storico, del recupero del Medioevo. È molto
letto in Italia, soprattutto dagli adulti, ma da un certo punto in poi questi libri vengono
addomesticati per l’infanzia.
Mayne Reid È uno scrittore d’avventura, poco conosciuto in Italia.
Dumas È molto famoso. La sua produzione viene venduta come opere singole, non viene
sponsorizzato il ciclo nella sua interezza per motivi economici e commerciali.
Verne È il primo scrittore esplicitamente destinato all’infanzia. De Amicis afferma che in
un primo momento ha amato molto le sue opere, ma che poi si è allontanato perché parla
solo di sogni irrealizzabili. La pedagogia sostiene che questo tipo di produzione, troppo
avventurosa e irreale, fa allontanare il ragazzino da ciò che è la vera realtà delle cose. La
fantascienza viene vista con diffidenza.
EMILIO SALGARI

Salgari muore suicida nel 1911. Egli fa riferimento ad una serie di modelli:
-Odissea, libri IX-XII
-Antonio Diogene, Le meraviglia di là da Thule
-Eliodoro, Etiopiche
-Apuleio, Asino d’oro
Si rifà al modello dell’uomo moderno viaggiatore, scopritore di cose e mondi nuovi.
Osserva quali caratteristiche di Ulisse hanno attraversato tutta la letteratura fino al
romanzo moderno. Queste opere parlano di viaggio in cui vengono scoperti luoghi
straordinari ed inimmaginabili.
Navigatori, reali o presunti:
-San Brandano È un personaggio non reale, che si adegua al divino (al contrario di Ulisse
che si oppone). Egli arriva con le sue navigazioni al monte del purgatorio come Ulisse e
scopre che a Pasqua viene concesso un giorno di riposo ai dannati. Ulisse invece era stato
punito e non aveva scoperto nulla. San Brandano è quindi un anti-Ulisse, che però fa le sue
stesse cose: vive una serie di avventure che lo arricchiscono dal punto di vista umano, ma
non sfida il divino. Entrambi viaggiano per arricchire la propria conoscenza.
-Marco Polo Racconta le sue avventure e i suoi viaggi incredibili.
Novel coloniale:
-DANIEL DEFOE, Robinson Crusoe, 1719 È un’opera di critica sociale e politica, ma non
viene percepita come tale. Ai giovani non viene spiegato che si tratta di testi di satira.
-JONATHAN SWIFT, I viaggi di Gulliver, 1726, 1735 Con esso si conserva anche nelle
riduzioni che si tratta di una variante del romanzo di formazione. Robinson vive la sua vita
e ricostruisce la sua identità sull’isola. Racconta del passaggio tra l’età fanciullesca e l’età
adulta. In quest’opera il messaggio è più controllabile, meno esplicito rispetto ai viaggi di
Gulliver.
JAMES FENIMORE COOPER scrive:
-Lultimo dei Mohicani (1826)
-La prateria (1826)
-Il corsaro rosso (1828)
Cooper ispira Salgari, egli è uno scrittore d’avventura puro.
Cosa succede in Italia?
-VERGA, I malavoglia, 1881
-SVEVO, Una vita, 1892
-DE ROBERTO, I viceré, 1894
-FOGAZZARO, Piccolo mondo antico, 1895
-FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis
-NIEVO, Le confessioni di un italiano
La nostra letteratura ispirata agli adulti elabora testi che entreranno nella modernità, ma
l’attenzione verso il pubblico infantile è minore.
Il primo convegno scientifico in cui si analizza l’opera salgariana viene fatto a Torino nel
1980, ma i suoi atti sono introvabili. In esso 36 studiosi si domandano perché la figura di
Salgari è così centrale. Magris fa un intervento e afferma ch’egli introduce in un mondo di
tipi estremamente consono agli interessi di un ragazzino. Vi è la volontà di collocarsi in un
contesto europeo, non sono italiano. Nel convegno si capisce la necessità di rileggere tutta
l’opera salgariana.
Nel 2012 si ha un altro convegno: “La penna che non si spezza”. In esso 22 studiosi si
confrontano non più solo sul valore letterario, ma anche sull’impatto che ha avuto
sull’immaginario collettivo. Questa influenza avviene perché passano i suoi elementi di
fantasia, che hanno contribuito alla creazione di altre opere come fonte d’ispirazione (es
Indiana Jones). Tra questi 22 studiosi, 7 sono esperti della storia del cinema e del fumetto.
Sempre nel 2012 9 autori di confrontano all’Accademia delle Scienze di Torino, in un
convegno intitolato “La geografia immaginaria di Salgari)
Opere si Salgari:
-Toy-See, 1883, poi La rosa del Dong-Giang è ambientato nel sud-est asiatico.
-“Nuova arena” tigre della Malesia, 1883
-CICLO INDOMALESE
-CICLO ARABICO
-CICLO DEL WEST
LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS
Jacopo Ortis è un ufficiale napoleonico che, dopo la firma del trattato di Campoformio fra
Napoleone e gli Austriaci, lascia la sua patria, Venezia, rifugiandosi sui colli Euganei e
sfogandosi con l’amico Lorenzo, al quale invia delle lettere.
Fatta la conoscenza di Teresa, ragazza di cui l’Ortis subito se ne innamora, scopre che
questa è già promessa ad Odoardo, un giovane di alta estrazione. Dapprima il protagonista
sopporta la situazione, ma dopo aver baciato Teresa, capisce l’insostenibilità di questo
amore.
Parte dunque per un viaggio, convinto di poter superare l’amore per la bella Teresa,
visitando i monumenti italiani e facendo visita ai “Gradi Italiani” del passato, recandosi
presso cimitero di Santa Croce a Firenze, incontrando al contempo illustri personaggi a lui
contemporanei, come Parini. Durante la sua assenza però Teresa si è sposata ed è ciò che
spinge Jacopo Ortis a suicidarsi.

LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO
Giunto all'età di ottant'anni, il nobiluomo Carlo Altoviti, che da ragazzo tutti chiamavano
Carlino, racconta insieme la propria vita e uno spaccato di storia italiana. Carlino è già un
uomo e ha una carica importante a Venezia quando i francesi invadono prima il Friuli, dove
il giovane aveva trascorso l'infanzia, e quindi porgono fine alla millenaria esistenza della
Serenissima.
Orfano di una sorella della contessa di Fratta, Carlo trascorre i suoi primi anni nel castello
della zia. Si innamora di una cugina, la Pisana, che ha un animo generoso e incostante, ama
farsi corteggiare, sa tessere intrighi. Non vuole che nessuno le dica come deve
comportarsi: però sarà lei, nei momenti più difficili, a compiere spontaneamente sacrifici
che nessuno avrebbe osato chiederle.
Fervente patriota, Carlo Altoviti è coinvolto negli eventi più movimentati della vita
nazionale, e corre fra Milano e il Lazio, Genova e Napoli. Nel frattempo l'incostante Pisana
si è sposata con un vecchio gentiluomo che non ama, il Navagero, e ha anche altre
relazioni. E' però lei a salvare Carlino quando, a Napoli, partecipa ai moti rivoluzionari del
1821 e viene condannato a morte. Lo segue nel suo esilio a Londra, lo assiste
amorosamente, per curarlo arriva a chiedere l'elemosina per strada. Ma quando Carlino è
colto da una cataratta agli occhi, e si teme che perda la vista, Pisana non resiste più. Muore
consunta dalle sofferenze, ringraziando Carlino per il suo affetto.
Altoviti, che la stessa Pisana aveva incoraggiato a sposarsi con Aquilina Provedoni, torna in
famiglia, riacquista la vista e riprende casa a Venezia. Là, insieme ai figli, vivrà "nient'altro
che di memorie". 
IL CICLO INDOMALESE
La tigre della Malesia viene fatta pubblicare dopo una grossa pubblicità: Verona era stata
tappezzata di manifesti in cui si diceva che una tigre era scappata dal circo, ma essa non
era reale, ma il personaggio di Salgari. Quest’opera fa partire il ciclo indo-malese, di cui
fanno parte:
-La TIGRE DELLA MALESIA, ne La nuova arena, nn. 10-12, 1883, 1-3, 1884. Poi LE TIGRI DI
MOMPRACEM, Genova, Donath, 1990
-GLI STRANGOLATORI DEL GANGE, ne Il Telefono, 10 gennaio-15 aprile 1887. Poi I MISTERI
DELLA JUNGLA NERA, Genova, Donath, 1895
-I PIRATI DELLA MALESIA, Genova, Donath, 1896
-LE DUE TIGRI, Genova, Donath, 1904
“La tigre della Malesia” cambia nome in “Le tigri di Mompracem”, ma è lo stesso romanzo
scritto sotto forma di rivista. Salgari si rende conto che può essere il primo di un lungo
ciclo, ma perché ciò sia possibile deve eliminare gli elementi di attrito, ovvero i riferimenti
al romanzo nero. Questo anche per poter indirizzare il romanzo ad un pubblico di ragazzi.
Narra la storia di Sandokan, un pirata che si innamora di una ragazza chiamata la Perla di
Labuan (innamoramento con procedimento provenzale, ovvero da lontano, per aver
sentito parlare di lei). Sandokan ha un amico di nome Yanez, che verrà mandato a vedere
se questa ragazza è davvero così bella come dicono. Il romanzo inizia in una notte di
tempesta, durante la quale Sandokan aspetta che Yanez torni e gli racconti com’è
veramente questa ragazza.
Ne “La tigre della Malesia” Sandokan viene descritto con le caratteristiche del vampiro:
succhia il sangue ai moribondi. Salgari vuole far riferimento alla tradizione nera di BYRON,
il vampiro di Polidori. Sandokan è quindi un personaggio feroce e dall’aria negativa. Per
questo motivo Salgari fa un’operazione di riscrittura. Nel titolo “Le tigri di Mompracem” il
plurale si riferisce a Sandokan e Yanez, che non sono più in rapporto padrone-schiavo, ma
vengono posizionati sullo stesso piano e descritti come due amici fraterni. Cambia la figura
di Sandokan, che diventa un gentiluomo, incarnazione dell’eroe romantico. Egli è un
principe spodestato, colto e non violento, che si innamora della nipote del suo peggior
nemico.
1877 Salgari scrive un romanzo che non ha nulla a che fare con questo ciclo: “Gli
strangolatori del Gange”. Esso parla di un indiano di nome Tremal-Naik che cerca di salvare
la principessa, sua amata, da una banda di fanatici religiosi, i Thug.
Ne “I pirati della Malesia” fa confluire i personaggi degli altri due romanzi. Salgari intuisce
che è possibile creare una letteratura destinata ai giovani lettori che permette di utilizzare
le stesse vicende in modo seriale. (La stessa cosa è avvenuta per Harry Potter serialità
strutturale). Sandokan farà poi guerra alla setta dei Thug.
“I misteri della jungla nera” finisce con l’apparente sconfitta di Tremal-Naik e la follia della
ragazza, di nome Ada, dopo che ha visto decapitare suo padre.
In questi romanzi viene trattato il tema dei matrimoni misti: tra Sandokan e Marianna/
Tremal-Naik e Ada. Questo elemento è importante perché non è una costante nel mondo
Salgariano. Ciò che avviene nel ciclo indo-malese, non si verifica nel ciclo del west: Salgari
viene letto come un autore interrazziale e anti coloniale. Egli riproduce i romanzi di
Garibaldi, riscrive i suoi personaggi, che sono animati da sentimento patriottico.

IL CICLO DEL FAR WEST


-SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST, Firenze, Bemporad, 1908
-LA SCOTENNATRICE, Firenze, Bemporad, 1909
-LA SELVE ARDENTI, Firenze, Bemporad, 1910
+ IL RE DELLA PRATERIA, Torino, Speirani, 1896
+ I MINATORI DELL’ALASKA, Genova, Donath, 1900
+ LA SOVRANA DEL CAMPO D’ORO, Genova, Donath, 1905
Tutto ciò che Salgari sa, lo sa attraverso i libri, non ha avuto una vita avventurosa in realtà.
I pellerossa dovrebbero essere le vittime e Salgari dovrebbe stare dalla loro parte. Egli però
a Verona vede un circo con indiani veri e ne resta sconvolto: li descrive come straccioni,
elabora una percezione negativa di queste persone. A differenza di tutti gli altri cicli, in cui
era interraziale, in questo cambia teoria.
Il ciclo del West non è molto strutturato, si compone di 3 volumi che fanno parte di una
vicenda narrativa unica, più altri 3 che non vengono inclusi.
“La sovrana del campo d’oro” parla di una donna costretta da situazioni economiche a
mettere all’asta la propria persona. L’eroe deve salvarla da questa situazione. Egli è un
ingegnere bianco che afferma che madre natura si è stufata degli indiani, visto che essi
sono stati messi in un ambiente prosperoso che non hanno sfruttato. Per questo motivo
decide di affidare l’ambiente all’uomo bianco, che saprà sfruttarlo.
Negli ultimi due romanzi, questa forma di razzismo cede il passo ad una tolleranza. Un
personaggio donna capo tribù fa una serie di ragionamenti sul rapporto tra pellerossa e
bianchi, che assomiglia a quelli dei ciclo della Malesia.
Nel momento in cui arriva il fascismo, si cerca di far diventare Salgari un autore di regime.
Ma questo non può essere fatto perché il grosso della produzione salgariana è
anticolonialista, e perché Salgari considera tutti i personaggi sullo stesso livello,
indipendentemente dalla razza. I cattolici lo criticano perché vedono male il fatto che i suoi
personaggi uomini sposino o si innamorino di ragazzine. Nei cicli salgariani, inoltre, non ci
sono personaggi bambini, ma solo adulti. Zuccarelli diventerà il Salgari fascista, poiché
mette personaggi di colore come ascari (soldati indigeni), collocati in una posizione sociale
un gradino più bassa. Egli elimina l’elemento che non piaceva ai cattolici e l’uguaglianza tra
razze diverse.

CICLO DI CAPITAN TEMPESTA


-CAPITAN TEMPESTA, Genova, Donath, 1905
-IL LEONE DI DAMASCO, Firenze, Bemporad, 1910
Sono due romanzi coniugati, che hanno sotto la lettura dell’Ariosto (Orlando furioso) nella
costruzione dei personaggi, e del Tasso (Gerusalemme liberata) nella costruzione delle
vicende.

CICLO DEI CORSARI DELLE ANTILLE


-IL CORSARO NERO, Genova, Donath, 1898
-LA REGINA DEI CARAIBI, Genova, Donath, 1901
-JOLANDA, LA FIGLIA DEL CORSARO NERO, Genova, Donath, 1905
- IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO, Firenze, Bemporad, 1908
-GLI ULTIMI FILIBUSTIERI, Firenze, Bemporad, 1908
È l’anello che congiunge la produzione salgariana alla produzione di tipo patriottico. Il
Corsaro nero combatte per la causa italiana. Salgari lo scrive nei momenti più felici della
sua vita ed esperisce una costruzione del personaggio diversa. Essa riconduce alla tipologia
dell’esule rinascimentale, esule della patria, esule da se stesso. Il modello del personaggio
è Athos (Olivier de Bragelonne de la Fère), entrambi condannano la propria moglie alla
morte.
Tipologia del patriota
Guglielminetti: “i più famosi pirati salgariani sono patrioti”
Confronto tra I briganti del Riff e Manlio, il romanzo meno noto di Garibaldi
Tutto questo passa nelle letteratura per l’infanzia in due modi diversi: Salgari e De Amicis

IL ROMANZO SCIENTIFICO
“LE MERAVIGLIA DEL DUEMILA” è un romanzo in cui Salgari immagina un mondo del
futuro, in cui viene proposta l’elettrificazione delle linee del trame, che sostituiscano i
cavalli e le carrozze. I due protagonisti vengono ibernati nell’anno 1903 e si risvegliano nel
2003, ben 100 anni dopo. La storia parla di un futuro angosciante, perché vi è un livello
spaventoso di elettricità nell’aria. Molte persone non riescono a tollerarlo e arrivano ad
impazzire. Anche i due protagonisti, che non sono abituati a quel mondo alla fine del
romanzo diventano pazzi, senza capire i benefici che il progresso tecnologico avrebbe
potuto portare all’uomo.
EDMONDO DE AMICIS

CUORE
De Amicis vive a torino negli stessi anni di Salgari, ma ha una dimensione culturale e una
partecipazione politica (aderisce socialismo) al che Salgari non ha. De Amicis è passato alla
storia come l’autore di uno dei libri più diseducativi: “CUORE”.
-“Cuore” esce nel 1886
-Ambientato nell’anno scolastico 1881-82
-Diario di un ragazzino di terza elementare, Enrico Bottini, rivisto dal padre e dal ragazzo
stesso, ormai più grande di quattro anni. Testo diviso in capitoli, ognuno un mese
dell’anno scolastico
-Lettere del padre, della madre e della sorella
-Racconti mensili
“Cuore” è una finzione letteraria, un romanzo con cui si è cercato di educare molte
generazioni con valori discutibili. De Amicis è un ottimo reporter della società
contemporanea, in particolare quella torinese. Scrive un reportage del manicomio in cui la
moglie è ricoverata, qui si coglie la sua capacità di riportare la realtà. È un autore socialista.
“Cuore” ha degli elementi in comune con Pinocchio: 81-82 sono gli anni in cui esce
Pinocchio e l’anno scolastico in cui è ambientato “Cuore”. Entrambi non sono di matrice
cattolica, la religione è totalmente assente.
Vi è una lunga tradizione di autori che si sono accaniti contro questo libro perché ha creato
una serie di modelli, considerati negativi, che sono passati nella sensibilità collettiva.
Durante la stesura di “Cuore”, l’autore aveva creato una serie di scritti in cui esprimeva
preoccupazione sociale.
L’anno dell’uscita di “Cuore” ha 40 edizioni. “SULL’OCEANO”, steso insieme, viene
pubblicato tre anni dopo per ragioni editoriali: non si voleva oscurare il romanzo
principale. Questo è un reportage di una traversata oceanica, in cui vengono evidenziate le
problematiche sociali, sulla nave sono infatti presenti molti soggetti appartenenti a classi
sociali diverse. Senza “Sull’Oceano” probabilmente non ci sarebbe “Novecento” di Baricco,
in quest’ultimo, infatti, vengono fatti degli omaggi espliciti al primo.
“PRIMO MAGGIO” è un altro romanzo di De Amicis, in cui vi è un’impalcatura politica
molto evidente. Se questo libro fosse stato pubblicato negli stessi anni di “Cuore”, avrebbe
creato problemi. Quest’ultimo è infatti un libro potenzialmente molto pericoloso, definito
vicino all’ideologia fascista.
Sia “Cuore” che “Pinocchio” sono testi colmi di messaggi non espliciti. De Amicis è un
autore che pondera molto bene quello che fa, non ci sono quini coincidenze nei suoi
romanzi, ma meccanismi ben studiati. “Cuore” è un libro su commissione, si vuole cercare
di produrre un testo con certe caratteristiche fondamentali: testi brevi, contrasto con il
romanzo d’avventura, celebrazione dell’unità nazione, soppressione di alcuni avvenimenti
traumatici di quegli anni. Il libro è infatti stato scritto 25 anni dopo l’Unità d’Italia, e in quel
periodo vi erano stati i moti a seguito dello spostamento della capitale italiana da Torino a
Firenze. Esso doveva essere un testo di conciliazione sociale, storica e nazionale.
In quegli anni Torino è la città di CESARE LOMBROSO, antropologo e sociologo esponente
del positivismo e fondatore dell’antropologia criminale. Ci sono disordini sociali
significativi, e una componente cattolica che fa parte della famiglia di testi “educazione alla
miseria”. De Amicis deve conciliare tutto, tralasciando la questione religiosa. Per
rispondere a tutte queste richieste, egli struttura il romanzo in un modo innovativo, detto
“a statuto misto”. Si presenta sotto forma di un diario ma in realtà non lo è, poiché rivisto
più volte e con testi esterni. Quindi:
-Tradimento sistematico dello statuto diaristico. Se ne ricorderà ERMENEGILDO PISTELLI
nelle sue “PISTOLE DI OMERO” (1906-1911)
-Un puzzle assolutamente inedito per l’epoca. Romanzo strutturalmente composito in cui
la finzione era chiara già ai lettori dell’epoca
-Non va letto con finalità educativa, ma all’epoca questo era il suo principale obiettivo
La critica di “Cuore”:
GRAMSCI (autore “servile”) “Del De Amicis sono da vedere la raccolta di discorsi
“speranze e glorie” e il volume su “lotte civili”. La sua attività letteraria e di oratore in
questo senso va dal 90 al 900 ed è da vedere per ricorrere all’atteggiamento di certe
correnti intellettuali del tempo in confronto della politica statale. Si può vedere quali erano
i motivi dominanti, e preoccupazioni morali e gli interessi di queste correnti. Del resto non
si tratta di una corrente unica. Sebbene si debba parlare di un social-nazionalismo o social-
patriottismo nel De Amicis, è evidente la sua differenza dal Pascoli, per esempio: il De
Amicis era contro la politica africana, il Pascoli invece era un colonialista di programma.
De Amicis crede che per risolvere l’immigrazione bisogna modificare le politiche dello
stato. Nella lettura di “Cuore” vengono demoliti i presupposti che De Amicis aveva inserito,
per questo viene considerato un testo diseducativo e di propaganda.
ANTONIO FAETI lo descrive peggio di Lombroso, in quanto decivilizza Franti (un
personaggio del romanzo), colui che non vuole essere civilizzato. Egli non condivide l’amor
di patria e l’amor di famiglia.
Nel 2008 emerge un’interpretazione diversa. Per capire fino in fondo l’interpretazione di
De Amicis, bisogna tenere conto del fatto che è un autore che si pone il problema della
lingua. Egli, quasi al termine della stagione del Verismo, cerca la lettura del reale con gli
strumenti dell’oggettività. Come Salgari, è scrittore professionista con grande fiducia nella
“lingua come strumento d’indagine del mondo”. All’epoca molte classi elementari a Torino
non parlavano italiano, ma solo dialetto piemontese. Attualmente la televisione, la radio
ecc sono strumenti di unificazione linguistica, ma in quegli anni non era così. “Cuore” è
scritto in una lingua molto piana perché De Amicis credeva che così si potesse svolgere una
funzione sociale e comunicativa.
Come Salgari, De Amicis guarda alla letteratura straniera:
-Charles Dickens, “Le avventure di Oliver Twist”
-Tutto Zola
Essi vengono inseriti nel tessuto narrativo di “Cuore”. In esso c’è una classe con ragazzi di
età diverse, ciò indica una critica: lo stato non è riuscito a dare ai propri cittadini
un’educazione adeguata alla propria età. I maestri fanno da intermediario tra Stato e
allievi.
ROBERTO FEDI fa un’osservazione: per essere un testo vengono descritte scene cruente
che un bambino borghese non dovrebbe vedere. Ci sono una serie di elementi che
sembrano rendere poco plausibile la coesione sociale. Franti e i suoi compagni sfuggono al
controllo familiare e scolastico. Nel giro di pochi anni tutta la letteratura proporrà la figura
di Franti, che da reietto diventa eroe, portatore di valori.

I RACCONTI MENSILI
-Ottobre Il piccolo patriota padovano; denuncia dell’immigrazione e del lavoro minorile
-Novembre La piccola vedetta lombarda; patrioti e contraddizioni del Risorgimento
-Dicembre Il piccolo scrivano fiorentino
-Gennaio Il tamburino sardo
-Febbraio L’infermiera di Tata
-Marzo Sangue Romagnolo
-Aprile Valor Civile
-Maggio Dagli Appennini alle Ande; tema emigrazione
-Giugno Naufragio
Ne “I racconti mensili” c’è una fortissima dimensione patriottica, sono costruiti con uno
stile attento alla ricerca dell’emozione. Sembrano essere ognuno portatore di un evento da
cui l’infanzia dovrebbe essere preservata.
LE PISTOLE DI OMERO (PISTELLI)
Dal 900 in poi si utilizzano le riviste mensili, in quanto si capisce che è uno strumento per
entrare nelle case e educare i bambini ad una visione politicamente orientata della guerra
mondiale. Non vi è attenzione al fatto che ci si rivolge ad un pubblico infantile, l’importante
è ottenere il consenso. Le riviste hanno molto successo, in Piemonte e in Toscana ci sono
molti abbonati. Vengono pubblicate poche pagine per volta dei romanzi e, a fine anno, si
rilegano per intero. Vi sono 2 riviste principali:
-La domenica dei fanciulli (Torino)
-Il giornalino della domenica (Firenze)
La prima è di matrice cattolica, la seconda nazionalista. A “Il giornalino della domenica”
collaborano Pistelli e VAMBA, autore del fumetto “GIAN BURRASCA).
Vi è una parte destinata ai piccoli lettori, in cui iniziano ad arrivare delle lettere di un
bambino che si firma Omero Redi. Omero è lo pseudonimo di Pistelli, attraverso il quale
egli si immedesima nella mentalità di un bambino. Egli racconta cosa succede nella sua
classe, riscuotendo un grosso successo ed arrivando ad avere una rubrica propria. Dopo un
po’ di tempo di scopre la verità: che Omero in realtà è un uomo di 60 anni redattore della
Crusca. Il cognome Redi non era stato scelto a caso, voleva infatti far trasparire falsità.
Pistelli riflette su una progressiva incapacità della scuola di rispondere alle esigenze degli
studenti e sul problema della lingua. Egli cerca di smontare il personaggio di Franti, in
quanto destabilizzante all’interno dell’equilibrio di Cuore. Le due passioni di Franti sono
infatti il gioco ed il fumo, le stesse di Lucignolo, anche se in realtà è un finto malvagio.
Questa tipologia di ragazzo può creare un nuovo stato nella mentalità fascista: “Cuore”
presenta una serie di germi che producono una cultura ben funzionante nel periodo
fascista. Pistelli si concentra anche sul problema del vocabolario, infatti un giorno Omero
deve portare a lezione un dizionario per scrivere un tema e scopre così la sua utilità. Pistelli
è d’accordo con la condanna della letteratura d’avventura. Egli ha fatto un viaggio in Egitto
e ha scritto le sue avventure di archeologo (simile al romanzo “Marocco” di De Amicis).
Omero celebra i lettori che sono morti in guerra, in quanto portatori di un ideale. Le ultime
edizioni hanno al fondo un’appendice con foto, nome e cognome degli amici di Omero
caduti nella prima Guerra mondiale. Ne “Le pistole di Omero” vi è una borghesia
intellettuale, sparisce la classe disagiata. Questo testo però non occupa il posto principale
per quanto riguarda il fascismo, sarà Gian Burrasca ad esserne il principale messaggero.
Ci si sta avviando verso il romanzo di formazione: il romanzo inizia quando il protagonista è
un bambino e finisce con avvenimenti molto forti, considerati positivi in quanto, se si
sopravvive, fortificano. Si verifica il passaggio dal racconto collettivo al racconto di
formazione del singolo.
PETER PAN È un romanzo molto più devastante di Pinocchio, che è più esplicito. BARRIE
dà per scontato la spiegazione che Pinocchio tenta di affermare in tutto il romanzo: tutti i
bambini crescono tranne uno. Gian Burrasca, come Peter Pan, non vuole crescere, poiché è
bloccato dall’estrema ipocrisia degli adulti. Ha paura di non trovare in quel mondo una
proposta di vita educativa che sia convincente.
LETTERATURA PER RAGAZZI
MODULO 1 – SEZIONE 4

IL VERISMO E L’EDUCAZIONE ALLA MISERIA


CARLO COLLODI

PINOCCHIO
Si mescolano tutte le tradizioni
-1875 “I racconti delle fate”, traduzione dal francese delle fiabe di Perrault. Non è una
traduzione, ma un vero adattamento
-1875 “Giannettino”
-1877 Minuzzolo
Questi romanzi vengono considerati delle prove generali per la scrittura di “Pinocchio” ma
sono in realtà testi con una propria indipendenza. Fanno parte di una cultura educativa,
mentre “Pinocchio” risponde a questo parametro solo per un errore di lettura.
7 luglio 1881 Prima puntata di Pinocchio, dopo le prime 15 la vicenda dovrebbe
terminare con l’impiccagione di Pinocchio alla “quercia grande”
16 febbraio 1882/ 25 gennaio 1883 Vanno avanti fino al 36° capitolo
Febbraio 1883 Prima edizione in volume
Si dice che “Pinocchio” fosse stato concepito per terminare dopo 15 capitoli, al momento
dell’impiccagione, in cui sarebbe dovuto morire. Tutto il romanzo è cosparso di indizi e
analogie con la fiaba che fanno pensare che Collodi avesse in mente un progetto più
complessivo e coerente, rispetto a quello di lasciare Pinocchio impiccato. Viene creato un
doppio registro di lettura per soddisfare le emozioni e paure dei piccoli e l’ironia degli
adulti. “Pinocchio” è un libro che piace moltissimo ai bambini. Lo stesso testo, senza alcun
tipo di modifiche, può essere letto da ragazzi e adulti.
Collodi era un giocatore d’azzardo compulsivo. È vicino agli anarchici ed ha una totale
sfiducia nel governo postunitario. Ma non si tratta di un’ipocrisia generica nei confronti
degli adulti che praticano la menzogna, è una sfiducia nel potere costituito. Tutte le volte
che Pinocchio e Geppetto si rivolgono al potere costituito subiscono danni o vengono
addirittura puniti. Non a caso il giudice in “Pinocchio” è rappresentato da una scimmia. Il
potere costituito non è mai affidabile, si muove attraverso una logica incomprensibile, i
protagonisti infatti non capiscono perché subiscono queste violenze.
“PINOCCHIO È UN LIBRO PARALLELO” è un libro di MANGANELLI, in cui lo scrittore mette a
nudo tutti i riferimenti che ad una lettura superficiale non compaiono.
Il paese dei balocchi, in cui i bambini vengono trasformati in ciuchini e poi venduti per
lavorare, è a pochi chilometri dal paese delle api industriose, in cui tutto è organizzato.
Quest’ultimo funziona anche grazie all’apporto continuo di asinelli, ovvero bambini a cui è
stata negata la cultura tramite l’accesso alla scuola. Essi svolgono lavori pesantissimi fino
ad arrivare alla morte per sfinimento. Grazie a loro il paese delle api industriose può
continuare a funzionare ed essere sempre organizzato.
Caratteristiche del periodo:
1. -Grande conoscenza del genere fiabesco
2. -Totale pessimismo nei confronti della politica italiana post Risorgimentale
Fonti di Pinocchio:
1. “Divina Commedia”, “Orlando Furioso”, “Gerusalemme liberata”, “Morgante”
Tutto il patrimonio italiano è rovesciato in una lettura parodica che richiede competenza
ed il lavoro giornalistico di Collodi. Vi è un costante riferimento a tutto il patrimonio
italiano. Un lettore italiano colto della fine dell’800, poteva essere in grado di individuare
questa serie di riferimenti. Nel caso di “Pinocchio” il passaggio di soglia avviene almeno
una decina di volte (non attraverso l’offerta di cibo).
Molte figure di “Pinocchio” sono ambigue, in molti casi ci sono caratteristiche di
metamorfosi sorella/ madre/ bambina/ fata dai capelli turchini e animali aiutanti/
antagonisti. Vi è una Fluidità del ruolo delle figure in “Pinocchio”. La fata turchina ha
animali magici aiutanti, tra cui una lumaca ed un cane. Si presenta a Pinocchio sotto diversi
aspetti, con l’unica costante dei capelli turchini.
Vi sono anche delle creature misteriose come:
1. Il serpente XX
2. Il pescatore verde XXVIII
3. Il pesce cane/ balena
In certi casi sono funzionali, come il pesce cane/balena, in altri no, come nel caso del
serpente e del pescatore verde. Mentre Pinocchio torna a casa dalla fata incontra un
serpente, ma questo incontro è privo di sviluppi nella storia. È stato ipotizzato che, visto
che Collodi è contrario al progresso meccanico, veda in questo serpente un’immagine
distorta ed alterata di un treno. Infatti descrive spesso i treni come “serpenti di ferro”.
Questa teoria è accreditata dal fatto che nel libro il serpente emette dalla coda un filo di
fumo. Il verde è un colore molto presente in “Pinocchio” ed indica una minaccia, sia di tipo
fisico che emotivo. Un’altra costante è il fatto che Pinocchio ha costantemente una fame
insaziabile, tanto che prova anche a mangiare i trucioli di legno di Geppetto. In una fiaba di
Basile, “Nennillo e Nennella”, uno dei due fratelli finisce nella pancia di un pescecane,
probabilmente la scelta di fare inghiottire Pinocchio da esso deriva da lì. Il pescatore verde
pesca Pinocchio con la sua rete dopo che lui cade in mare e, credendolo un pesce,
vorrebbe mangiarselo.
1877 Inchiesta sulla condizione del mezzogiorno d’Italia
1878 “Rosso Malpelo” in “Fanfulla della domenica”, poi in “Vita dei campi”
Si mette sotto gli occhi di tutti il fatto che l’unità d’Italia sia fallita. “Rosso Melpelo” è un
racconto di denuncia del lavoro minorile, in quanto parla di ragazzini che lavorano nelle
miniere, venendo sfruttati e maltrattati.
1879 Legge Luzzato, Minghetti, Sonnino sullo struttamento minorile. Essa però ebbe
scarsi risultati
Geppetto viene costruito come un personaggio molto vicino al mondo vegetale. Ha una
parrucca creata con i pelucchi della pannocchia (da qui il soprannome “polentina”) e cerca
di nutrirsi quasi esclusivamente di prodotti vegetali. Vi è un grosso equivoco iniziale:
quando si presentava “Pinocchio” ai bambini, veniva descritto come un racconto in cui
viene trattato l’amore paterno. In realtà Pinocchio non viene fatto nascere con un gesto
d’amore, ma con un gesto d’egoismo: Geppetto vuole un burattino per poter girare il
mondo e diventare ricco. Pinocchio finché è marionetta non cresce e non muore. Fin da
subito gli vengono proposte le due scelte, tra rimanere un burattino o diventare un
bambino vero, e quindi invecchiare e morire. La sua scelta è tra l’entrare in una
dimensione in cui il tempo trascorre o rimanere in una dimensione in cui il tempo è
bloccato. Il diventare un bambino vero è subordinato al comportarsi bene, ubbidendo a ciò
che gli dicono gli adulti. La sua scelta non viene esplicata.
J.K. ROWLING per descrivere la morte di Voldermort, dice di essersi ispirata alla figura di
Pinocchio, in quanto passa dalla dimensione senza tempo alla dimensione umana. Ella
insiste sulla descrizione del “guscio vuoto”, come aveva fatto Collodi con Pinocchio.
La morte di Lucignolo è abbastanza impressionante. L’ortolano, ovvero il proprietario di
Lucignolo quando è un asinello, non viene colto dal sospetto che provenga dal paese dei
balocchi. In ogni caso non avrebbe avuto problemi a far lavorare un bambino quanto
avrebbe fatto lavorare un somaro.
1898 LUIGI CAPUANA “SCURPIDDU”
Il Verismo viene destinato ad un testo di letteratura per l’infanzia. Verga e Capuana erano
due rappresentanti del movimento verista, il secondo scrive il Manifesto del Verismo.
Capuana costruisce una parabola dove un bambino orfano, che non ha neppure un nome e
viene soprannominato “Scurpiddu”, vive solo al mondo. Egli viene adottato da un massaro,
un contadino benestante che lo mette a lavorare ed in cambio lo ospita e lo nutre. Si
scopre poi che la madre di Scurpiddu era fuggita con un uomo benestante durante la
carestia, abbandonando figlio e marito. Scurpiddu cresce in questa casa come un lavorante
a cui non viene data nessuna particolare attenzione, non come un bambino. Si adegua alle
richieste che la società gli impone: il suo obiettivo principale è l’omologazione. Un giorno
incontra un reduce che gli descrive la bellezza e l’estrema desiderabilità della vita militare,
e dal quel momento non ha più pace. Diventa un soldato, un meccanismo all’interno di un
ingranaggio che potrebbe anche distruggerlo. Capuana capovolge la concezione di
“Pinocchio”.
Questo è un racconto di formazione, in cui non vi è una componente critica, ma
un’assoluta adesione al pensiero dominante.
Dopo la pubblicazione di “Pinocchio” avvengono le cosiddette “pinocchiate”. Walt Disney
non sceglie di investire così tanto denaro su questo racconto a caso, ma perché negli USA
Pinocchio è già un personaggio molto popolare.
Esempio “Pinocchio tra i selvaggi”, “Pinocchio fascista”, “Pinocchio fra i Balilla”,
“Pinocchio istruttore del Negus”
1902 GABRIELE D’ANNUNZIO “LA MADIA”, in Novelle della Pescara
Le “Novelle delle Pescara” vengono considerate poco. Nella narrativa per l’infanzia dei
primi del 900 ci sono una serie di racconti che parlano di bambini, nei confronti dei quali
c’è un atteggiamento paternalistico ma anche di diffidenza. Ciò accade perché in quel
periodo a Torino vi era un problema di profughi, che molte volte erano bambini senza
genitori. A questi racconti vengono accompagnati una serie di romanzi che educano alla
miseria e alla beneficenza. D’Annunzio decide di far scomparire tutti i presupposti teorici
che giustificano la beneficenza e la miseria della borghesia. Questa novella racconta di due
fratelli, uno malato e uno storpio e muto, che vivono insieme alla madre. Il bambino
storpio è figlio di un altro padre rispetto al secondo e tra i due c’è un odio selvaggio. Il
bambino malato chiede insistentemente alla madre che il fratellastro venga sbattuto fuori
di casa, e la madre, poco ferrea, finisce per mandarlo a chiedere l’elemosina. Avendo molta
fame, lo storpio si intrufola in casa e, credendo che il malato dorma, apre la madia in cui è
contenuto il pane per prenderne un po’. Il fratellastro però si alza e gli chiude la testa
dentro al coperchio della madia, strangolandolo. La situazione dovrebbe portare il lettore a
provare pietà, ma D’Annunzio sostiene che queste sono menzogne e che queste persone
non hanno il diritto di suscitare pena. Dopo “La madia”, i poveri spariscono dalla
letteratura per l’infanzia.
Il giornalino di “Gian Burrasca” porta al termine il percorso di privazione dell’autorevolezza
delle istituzioni. Egli afferma che questa politica e questa società non funzionano, ma che
ce ne sono altre che funzionerebbero molto meglio.
“PINOCCHIO È UN LIBRO PARALLELO” di MANGANELLI è una rilettura puntuale del
“Pinocchio” di Collodi, in termini psicanalitici. Egli afferma che non è un libro leggibile dai
ragazzi, essendo incomprensibile poiché si può capire solo attraverso la conoscenza della
psicanalisi. È considerato, come “Peter Pan” per la letteratura inglese, un buco nero nella
letteratura per ragazzi.
Manganelli non parla di “ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE”, in quanto è una proiezione
dell’ossessione di un singolo. LEWIS CARROLL è un autore che esprime le sue ossessioni
personali; solo con una lettura orientata il suo libro diventerà un classico della letteratura.
“Peter Pan” è un libro che parte da una situazione personale di BARRIE. Vi è un qualcosa di
molto inquietante, in quando nella sua esperienza di vita l’autore fu costretto a sostituire il
fratello per preservare la lucidità mentale della madre. I romanzi di Barrie in generale
raccontano sempre la stessa storia, ovvero quella di una donna che va a vivere in un
mondo parallelo. Nel momento in cui torna si sposa e forma una famiglia, ma in realtà non
arriverà mai a crescere. Viene elaborata l’idea che attraverso la morte può essere
preservata per sempre. Vi è un elemento molto inquietante, che però Barrie riesce a
trasformare in arte.
Manganelli afferma che sia “Peter Pan” che “Pinocchio” sono due testi che esprimono
un’ossessione personale e l’inquietudine di quegli anni. In quel periodo ci si trovava
nell’Italia post-unitaria, un’epoca di scontenti in quanto non si erano mantenute le
promesse che si erano fatte. I due personaggi hanno la stessa caratteristica fondamentale:
non vogliono o non possono scegliere. Nel caso di Pinocchio vi è un tentativo di non scelta.
TOMMASO CATANI ha creato il personaggio di Marchino il ciuchino, ovvero un asinello
volante. Esso ha delle caratteristiche in comune con Pinocchio, è ambientato in un mondo
privo di logica, simile a quello del Paese di Acchiappacitrulli. Non vi è alcuna finalità
educativa, ma è un’opera divertente.
Lo scrittore contemporaneo SANGUINETI negli anni 70 recensisce “LETTERA AL PADRE” di
KAFKA. In questa lettera Kafka ribadisce gli elementi che rendono inconciliabile la sua
visione della vita con quella del padre. Il padre afferma che vorrebbe un figlio diverso,
meno intellettuale e più sportivo. Sanguineti afferma che in realtà non si tratta di una
lettera in cui Kafka regola i conti con il padre, il figlio costruisce la propria fiaba. Si allontana
dalla famiglia di origine costruendo una propria mitologia che lo definisce in tutti i suoi
aspetti. Kafka disconosce il padre, costruisce un nuovo modello. Manganelli compie una
lettura parallela, afferma che non siamo in presenza di un testo educativo, riferendosi a
Pinocchio. In realtà viene esaltato il rifiuto dell'ordine costituito, la volontà di restare fuori
un certo tipo di comportamento.
Pinocchio è un personaggio profondamente solo, circondato da un mondo ostile che gli
chiede di sacrificarsi, morire. Peter Pan invece è già morto all'inizio del romanzo, non può
tornare indietro, ha già perso la memoria degli eventi passati. È una creatura mortifica.
Quando vedrà Wendy adulta, il lettore capirà che tra di loro non vi è più possibilità di
dialogo. Pinocchio quando sceglie di crescere "muore" come burattino. Nel suo caso ci
sono numerosi passaggi di soglia tra mondo dei vivi e mondo dei morti. Pinocchio compie
numerosi salti dal un mondo all'altro prima di rassegnarsi al suo destino. Pinocchio in tutto
il romanzo fugge e corteggia la morte, ma essa avviene quando lui nega la sua essenza di
burattino. Lucignolo come Peter Pan non diventa qualcosa di diverso, rifiuta fino all'ultimo
la costrizione della società e muore per non diventare adulto. È una fuga dall'ipotesi di
crescere. Lucignolo muore sotto metamorfosi, essendo un ciuchino. 
È molto presente l'elemento trinitario in Pinocchio. Esso appare soprattutto nella sua tripla
rinascita: 
-Come tronco da madre natura 
-Come burattino da Geppetto 
-Come bambino dalla fata turchina
 Alla fine del romanzo Geppetto è malato e Pinocchio assume le funzioni paterne, si prende
cura di lui. Nel ventre del pescecane avviene un confronto drammatico tra i due, in cui si
parla del ruolo padre/figlio. Geppetto viene presentato come un uomo anziano e povero. 
Manganelli si sofferma poi su alcuni elementi costitutivi di Pinocchio. È un pezzo di legno
da catasta che ha una vocina infantile, è un bambino. Egli riesce a far litigare mastro
Geppetto e mastro Ciliegia, fa venire a galla il peggio dei due personaggi che ha di fronte.
La voce è infantile ma la competenza da adulto.
La figura di Geppetto è ambigua, non ha età e avrebbe dovuto morire più volte. Il
pescecane lo ingoia ma non lo mangia, in qualche modo lo preserva. Egli sogna un futuro in
cui il figlio sia la sua fonte di reddito, non vuole un figlio ma un burattino che gli permetta
di guadagnare ciò che il suo mestiere da falegname non gli dà. Sotto questo aspetto
diventa fratello di Mangiafuoco, egli infatti si commuove perché sente la storia di uno
simile a lui, un taumaturgo.
La casa di Geppetto è una casa di soglia, in cui il fuoco è un elemento distruttore e quindi
bandito. La casa è magica, "non esiste ma si lascia inventare". Molte volte compaiono
elementi dopo che vengono nominati. 
Manganelli afferma che i taumaturghi difficilmente sottopongono a metamorfosi i
burattini, sebbene scelgano la loro nascita e morte. Lo sviluppo centrale della marionetta
viene affidato alla fata ed ai vari animali aiutanti o antagonisti. Il gatto e la volpe sono due
taumaturghi falliti, dei commedianti, che non hanno la facoltà di uccidere Pinocchio. Essi
vorrebbero entrare nel mondo circense ma non ne hanno la capacità e possibilità. 
Nel momento in cui Pinocchio viene messo al mondo, diventa completo, non crescerà più.
Pinocchio non ha intenzione di rispettare l'ordine precostituito di padre/figlio, disubbidisce
al padre e gli fa i dispetti. Appena impara a camminare scappa, la fuga è una delle forme
del solitario Pinocchio, è un elemento costitutivo. Egli ha poche forme di difesa, tra cui il
riso, che è liberatorio e privo di un elemento che lo scateni, e la fuga. Pinocchio non mente
sempre per alterate la realtà, ma anche perché gli adulti vogliono che menta. Solo in
questo modo lui può essere ammesso alla sua fuga. 
Manganelli afferma che Pinocchio vende l'abecedario per lo spettacolo di burattini perché
capisce che la scuola è il primo passo della negazione di sé. Per questo motivo cerca di
sottrarsi ad essa e si rivolge ad un taumaturgo che sembra più potente di suo padre. Si
rifiuta di essere educato perché la scuola è il primo elemento di integrazione. Lo stesso
fanno Peter Pan e Franti. 
La prima porta del romanzo viene chiusa da pinocchio: lo protegge dai cacciatori ma non
dal Grillo parlante, che confonde burattini e ragazzini. Esso è il primo animale parlante che
compare. Il Grillo chiama a sé la morte, Manganelli afferma che da quel momento essa non
si allontanerà più. Pinocchio caccia il padre e uccide il Grillo, ovvero vorrebbe mettere a
tacere la coscienza, colui che lo spinge a diventare qualcosa di diverso da quello che è. Si
impadronisce poi della casa. La casa contiene degli oggetti privi di senso: una scala che va
verso il nulla, una serie di immagini di cose che non ci sono (es. Il fuoco) ed un gatto. 
Pinocchio è un burattino ma ha le caratteristiche di una creatura viva, per esempio ha
perennemente fame. Parla in modo non lineare, arruffato, i suoi discorsi mancano di
tempo, cause e consequenzialità. Nel momento in cui diventa un bambino buono il suo
linguaggio diventa impastato, cerimonioso e suona falso. Ciò emerge per esempio nel
momento in cui Pinocchio si brucia i piedi sul caldano.  Egli è perseguitato dalla crudeltà
degli adulti, quasi sempre questa crudeltà è finalizzata a spingerlo in comportamenti che
non gli appartengono. Anche il sonno ha un'importanza centrale. Quando Pinocchio si
addormenta all'osteria del Gambero Rosso, cade in pieno nella trappola del Gatto e la
Volpe, finendo impiccato. 
Il teatro è messo in opposizione alla scuola: per entrarci marina la scuola. A teatro però
non accade nulla, sarà la scuola il luogo in cui Pinocchio avrà le peggiori tentazioni. Lì
incontra Lucignolo, che lo distrarrà dal comportarsi bene. 
Mangiafuoco è un orco vegetale, una figura di soglia come Geppetto e la bambina dai
capelli turchini. Collodi conosceva Basile, aveva letto la sua opera in dialetto. Mangiafuoco
offre l'unica ragionevole famiglia a cui Pinocchio può appartenere. I burattini lo accolgono
senza condizioni, ciò manifesta un "ritorno" in famiglia. 
La fuga di Pinocchio è un ritorno a ciò che è il suo mondo. Gli altri burattini di Mangiafuoco
sono felici di vederlo, lo riconoscono come un suo simile. La sua casa è il teatro. Il fuoco
suscita un desiderio di distruzione, è l'unica cosa che può distruggere Pinocchio. Pare che
egli preferisca morire piuttosto che andare incontro alla metamorfosi, per questo molte
volte lo maneggia. Per esempio quando Mangiafuoco chiede di cuocere il montone che
voleva mangiare. Arlecchino si rifiuta, ma Pinocchio si offre. Pinocchio si sottopone in quel
momento ad una prova teatrale, dimostra che potrebbe far parte di quella compagnia. Si
pone di salvare il suo amico, recitando la parte dell'eroe davanti ad un pubblico di attori ed
al capocomico. Pinocchio si immedesima nella parte del primo moroso, colui che si
sacrificherebbe per l'amico. L'elemento metateatrale è fortissimo: Pinocchio recita molte
volte. 
Quando Pinocchio fugge dall'unico mondo che conosce entra in una dimensione
vulnerabile. L'oro che Mangiafuoco dona a Pinocchio finisce in un campo, dove viene
coltivato con acqua e sale. È un'immagine di usura, in quanto dove viene sparso il sale non
cresce più nulla. È un simbolo della volontà di inaridire. Pinocchio non è capace a
maneggiare il denaro, ha un rapporto irrazionale e devastante con esso. 
Il Gatto e la Volpe sono commedianti, ricordano a Pinocchio la sua famiglia di origine, per
questo sceglie di andare con loro. All'osteria essi mangiano in maniera spropositata,
mentre il burattino si nutre solo di pane e una noce. Viene rivelata la natura di predatori
carnivori e di essere vegetale. Quest'ultima condizione salverà Pinocchio al momento
dell'impiccagione. Durante la fuga dagli assassini egli trova una casa bianca, come una
tomba. All'interno trova la bambina dai capelli turchini, che le dice che in quella casa non
c'è nessuno, che sono tutti morti, e gli chiude la porta.
La bambina è la conclusione di un itinerario mortale, ha appena saltato un fosso, ma alla
fine viene catturato e impiccato. 
Manganelli osserva che la bambina dai capelli turchini compare tutte le volte che Pinocchio
sta per morire: quando la vitalità di uno va al minimo, quella dell'altro rinvigorisce e
viceversa. La presunta morte di Pinocchio sancisce il passaggio da una storia all'altra, si
verifica il primo passaggio di soglia. I rapporti con il mondo esterno si intensificano e la
bambina/fata assume il ruolo di mamma. Ella introduce una caratteristica che fino a quel
momento era appartenuta a Pinocchio: mentirà spesso. Le sue menzogne riguardano la
morte, il sonno e la lontananza, ad esempio quando inscena la sua morte. È una menzogna
sadica, non educativa. Tutto quello che tocca è in continua trasformazione: il suo aspetto,
gli animali che la servono, la sua casa. Ella è una parente stretta delle fate della tradizione
francese. 
Il regista COMENCINI, nel suo film, elimina gli elementi riguardanti la bambina dai capelli
turchini e rende indipendenti il Gatto e la Volpe da Mangiafuoco. Nella rappresentazione
teatrale indurre attori subiscono dei danni: uno perde la coda e l'altro diventa cieco, a furia
di fingere di esserlo. Pinocchio diventa un bambino vero ma conserva le caratteristiche di
un burattino, che nella storia sono ridotte. L'ambiente di povertà in cui si svolge la storia
riconduce all'incapacità di procurarsi da mangiare. Comencini gioca molto sulla figura della
casa di Geppetto, in cui, come abbiamo detto, ci sono molti elementi dubbi, è la casa di un
illusionista. La casa è lussuosa ed estremamente illogica, arredata in stile precoloniale. Vi
sono elementi meteorologici che si scontrano tra di loro, per esempio la presenza di erba e
neve. 
I medici che fanno visita a Pinocchio sono attori, è una farsa da teatro, ma il burattino
impara la realtà della malattia. Essendo un burattino non dovrebbe ammalarsi, ma la
sperimenta ugualmente. Dalla malattia si guarisce con la medicina, che Pinocchio
sistematicamente rifiuta di prendere. Collodi fa giungere una bara per Pinocchio, grazie
alla quale si conclude il ciclo mortuario di Pinocchio, dopo l'impiccagione. La bara è uno
degli elementi che permettono la rinascita (motivo del legno rigeneratore). Il bosco in
cui Pinocchio viene impiccato è un posto curioso, "tutto ciò che si perde nel vicino bosco si
ritrova sempre", afferma la fata. (Ariosto). 
In Pinocchio la sfera del sesso è completamente bandita, per questo è bandito il terzo
colore, il rosso. Esso viene sostituito dal turchino, che è il colore funereo per eccellenza.
Pinocchio non deve crescere, passare all'adolescenza. Vi è una contrapposizione tra il
bianco e il nero. Il bianco riconduce al marmo bianco, una pietra tombale; il nero è un
colore demoniaco, fa riferimento a personaggi che si muovono nel buio della notte. 
Pinocchio non è in grado di ricordare, quando rincontra il Gatto e la Volpe dopo
l'impiccagione, non sospetta minimamente che siano i suoi assassini. La stessa cosa accade
a Peter Pan con Capitan Uncino, non si ricorda mai che combatte slealmente. Entrambi i
personaggi sono collocati in una zona neutra dell'infanzia, non riescono a prendere
consapevolezza di una serie di cose. 
Manganelli conserva un capitolo molto importante per il Gatto e la Volpe. Il Gatto è un
animale sinistro, taciturno, malvagio, uccide molte volte altri animali senza remore. La
Volpe è il sadismo che gode della propria capacità di commettere efferatezze e
giustificarle. È un personaggio che costituisce la coppia e probabilmente colui che avrebbe
contrattato con Mangiafuoco. I tre piombano nel Paese di Acchiappacitrulli, che è la
prefigurazione del Paese dei Balocchi. Esso è solo maschile, un luogo in cui si mangiano
schifezze, si gioca d'azzardo e si fuma, in cui non ci sono bambine.
Manganelli dà due interpretazioni sul perché si punta ad avere solo maschi. Primo sono più
robusti, le bambine non fanno lavori pesanti; secondo vi è un totale rifiuto a crescere in cui
l'iniziazione sessuale rappresenterebbe un rischio. È un mondo di maschi che vogliono
rimanere bambini. Anche in Peter Pan i personaggi sono maschili, sia i bimbi sperduti che i
pirati, l'unica femmina è Wendy, che rappresenta la mamma. 
Quando Collodi incontra il male, ovvero lo sfruttamento, inserisce una serie di elementi
vicini al demoniaco per descriverlo. L'omino di burro riconduce alla frode, il suo carro che
non fa rumore, fa riferimento al carro degli appestati. Gli appestati potrebbero ricordare
Manzoni o Sarnelli, ma è più probabile che Collodi faccia riferimento al carro della morte di
Sarnelli. La crudeltà dell'omino di burro traspare subito, nel momento in cui picchia il
ciuchino. 
Quando Pinocchio attraversa la sua ultima trasformazione, quella in somaro, passa dalla
dimensione vegetale a quella sociale. È vittima di un complesso di organizzazione sociale,
che lo ha stregato. Quando parla con Lucignolo durante la trasformazione, si attua una
scena teatrale burattinesca. 
Il costruttore di tamburi cerca di uccidere nuovamente Pinocchio, ma questo è anche un
tentativo di suicidio del burattino. Egli nel momento in cui è un ciuchino e rivede la fata
cerca di farsi del male. Questa volta viene buttato in mare legato ad un sasso, ma
sopravvive. Pinocchio è allegro e ben disposto a raccontare le sue avventure, quello che
emerge dal fondo del mare. In questo racconto fa un discorso corretto al costruttore di
tamburi, fluido e senza errori. 
Manganelli afferma che quello dei ciuchi è un travestimento, non una trasformazione, in
quanto sotto la pelle da somaro rimane il bambino.

RAPPORTO PINOCCHIO – ALICE – PETER PAN


Alice è precedente, parte da presupposti diversi, più moderni. L’organizzazione è lontana
dal romanzo di formazione, il punto d'arrivo non è un passaggio. Il problema di Alice è
legato alla constatazione della irriducibile diversità del mondo infantile rispetto a quello
degli adulti. Sia nel caso di Pinocchio, sia nel caso di Peter Pan c'è un rapporto molto forte
con il passaggio come forma di maturazione. Alice invece non ha alcun tipo di istanza di
contestazione, il personaggio è colmo di buon senso, si muove in un contesto di attenzione
vero le proposte educative degli adulti.
Il rapporto può essere dato dal fatto che gli adulti di Alice sono portatori di un linguaggio
contraffatto. La riflessione dell'autore va a toccare gli elementi di conflitto tra il mondo
dell'infanzia e degli adulti. Sia Alice che Pinocchio possono essere letti come romanzi a
chiave. Ma lei non disubbidisce a ciò che le viene detto, reagisce con educazione e giudizio
alle questioni degli adulti. Parte da una situazione borghese, in un mondo che appare
senza senso.
L'unico punto di contatto tra i due risiede nella modalità illogica che Pinocchio ha di
descrivere le sue avventure. Alice subisce il linguaggio da parte di altri. Nel caso di Peter
Pan l'ambiente è tridimensionale, nel caso di Alice è monodimensionale. Ci si muove come
su un fondale di cartapesta, non vi è profondità. Su questo scenario teatrale i personaggi si
muovono e vengono arricchiti con una serie di particolari che si organizzano in una serie di
descrizioni. La modalità di presentazione mette in crisi, è estremamente poco definita.
Entrambi i romanzi di Alice iniziano con un attraversamento di soglia verso un mondo in cui
non valgono le regole logiche del mondo reale. L'incoerenza del mondo oltre la soglia
mette a nudo le incoerenze del linguaggio del mondo normale. Il problema di Alice sta
nell'incapacità di dare un nome alle cose. Il passaggio da un lessico scientifico ad un lessico
artistico complica notevolmente la possibilità di dare una realtà agli elementi che Alice
incontra. In "Pinocchio" la realtà è invece tangibile.
In Alice vi è un richiamo ai colori della grammatica classica: il bianco è il colore
dell'iniziazione, il blu è il colore dell'immaterialità, segna il passaggio da un qualcosa di
reale ad un qualcosa di irreale. Esso ricompare anche in Peter Pan ma tramite il rapporto
con la malinconia. L'unico colore che Alice incontra ma stravolto nella sua realtà è il rosso,
che non è il colore del sangue ma esprime falsità, non vi alcun elemento sessuale. L'unico
elemento rassicurante è il verde, ad esempio quello del gambo delle rose. Vi è più
grammatica fiabesca in "Pinocchio", la logica fiabesca viene inglobata in un discorso che
mantiene coerenti questi elementi. Il blu del bruco è il turchino della fata di Pinocchio non
sono aspetti compatibili, il primo è un colore dalla connotazione fortemente fisica, il
secondo è mortifico.
Peter Pan chiede a Wendy delle storie, mentre Alice cerca delle risposte alla illogicità della
realtà, vuole trovare delle spiegazioni. C'è una falla nel ragionamento e nel linguaggio degli
adulti. Se gli adulti non sanno comportarsi in modo coerente, significa che la società ha dei
problemi alle fondamenta.  La menzogna si sovrappone al linguaggio nel momento in cui
esso deve gestire il rapporto tra un adulto ed un bambino. Alice incontra e interagisce
personaggi inanimati, ciò potrebbe suggerire il fatto che si tratti di una proiezione di
un'insoddisfazione nel rapporto con gli adulti. Essi non gli forniscono le risposte che lei
vorrebbe.
Se tutto "Pinocchio" fosse ambientato nel paese di Acchiappacitrulli si avrebbe un secondo
personaggio di Alice. Anche se il paese di Acchiappacitrulli ha una sua logica di
ribaltamento, l'insoddisfazione che Pinocchio ricava dal rapporto con gli adulti è simile a
quella che Alice ricava dal suo rapporto con la realtà. "Alice nel paese delle meraviglie" ha
creato numerosi problemi di traduzione, soprattutto nell'ambito del rapporto anomalo con
la lingua. Lei ritiene di poterla governare, non fa mai riferimento alle sue competenze
scolastiche, sa di poter attingere da esse anche se non è un'allieva brillante. In un mondo in
cui saltano i rapporti stretti di fiducia tra adulto e bambino, la prima cosa che manca è il
linguaggio.
In "Gian Burrasca" il linguaggio sfocia nella valutazione politica, mentre qui vi è incoerenza
tra pensiero e azione. Alice verifica che questi adulti si comportano senza seguire le regole
che hanno appena dettato, ma questo fatto mina solo le basi del mondo logico di Alice. Ella
è capace di non farsi sviare, ha una logica di comportamento infantile, che verrà studiata
da Faeti nel 2001. In Italia si arriva a constatare la psicologia infantile in rapporto a quella
adulta parecchio dopo rispetto ai paesi esteri.
Le trasposizioni cinematografiche di “Alice nel paese delle meraviglie” riscrivono una
irriducibilità alle regole sociale, come se lei volesse riscrivere le convenzioni di una classe
sociale. Il personaggio cinematografico scappa dalle regole che dovrebbe seguire. 
Anche "IL PICCOLO PRINCIPE" ribadisce il suo essere altro rispetto al mondo circostante,
che manda messaggi incoerenti. L'ipotetica crescita è al di fuori delle tematiche affrontate
nel testo.
Vi è molta insistenza sul fatto che Carroll è molto attento a non utilizzare elementi della
grammatica fiabesca senza averli svuotati del loro significato originario.
VAMBA
IL GIORNALINO DI GIAN BURRASCA

Gian Burrasca rappresenta la versione nazionalista e politicamente orientata di Pinocchio.


Si tratta di un personaggio che trasgredisce in continuazione le regole impostegli dagli
adulti. Non ci sarà però un riscatto come nel caso di Pinocchio: il finale è abbastanza
aperto. Si propone come sintesi di Enrico Bottini (Cuore) e Omero Redi (Pistelli), infatti
Omero Redi porta in redazione il giornalino di Gian Burrasca. Tra questi due “bambini di
carta” c’è un passaggio di testimone. Sul versante religioso, rispetto a “Cuore” c’è
coerenza, in quanto nelle “Pistole di Omero”, pur avendo Omero Redi un amico prete (il
suo stesso autore), resta un romanzo laico. Anche “Il giornalino di Gian Burrasca” è un
romanzo in cui non subentra la religione, non ci sono le tematiche che si troverebbero
negli altri libri dell’epoca.
Rispetto a “Cuore” cambia il rapporto con la classe subalterna, la classe di Giannino non si
vede mai, si conoscono solo alcuni compagni di scuola appartenenti all’alta borghesia.
Enrico (protagonista di “Cuore”) faceva invece un confronto tra bambini di età ed
estrazioni sociali differenti all’interno di un’unica classe.
Un altro elemento di rottura rispetto a “Cuore” sta nel fatto che, mente Enrico sta
perfettamente in linea con il mondo degli adulti, non fa contestazioni, Giannino mette in
crisi quel mondo. Compie una serie di azioni, considerate da lui logiche, contro il mondo
marcio degli adulti. È assente il rapporto tra la psicologia infantile e adulta, viene descritto
il rapporto tra un bambino che cerca di applicare le indicazioni degli adulti, e gli adulti che
le smentiscono sistematicamente. Il problema è la società in cui l’adulto è inserito, si tratta
di un sistema politico marcio.
Il romanzo è articolato in due parti, la prima a casa dei due cognati del protagonista.
Giannino ha due sorelle, una si sposa con un medico, l’altra con un socialista. La seconda
parte si svolge nel collegio, in essa vengono ripresi una serie di classici stranieri della
letteratura per l’infanzia. Il collegio non è il luogo in cui si passa dall’infanzia
all’adolescenza, ma il luogo in cui si impara a fare le spedizioni punitive. Vengono
organizzate delle spedizioni in cui si vanno a picchiare i proprietari del collegio. La filosofia
in cui questo discorso rientra è molto significativa rispetto al periodo storico.
Gian Burrasca apparentemente non percepisce lo scarto tra quello che gli adulti dicono e
quello che bisogna fare, infatti applica alla lettera ciò che gli viene detto. Nel momento in
cui si accorge che le indicazioni sono sbagliate, tuttavia, si lamenta. “Il vero torto di noi
ragazzi è uno solo: quello di pigliare sul serio le teorie degli uomini”. Giannino deve porre
rimedio alle cose che gli sono state contestate, creando una situazione molto complessa.
Molti esempi di Vamba sono volti all’obiettivo di mettere in luce i problemi del sistema.
Giannino destabilizza la società giolittiana in cui vive, mettendo a nudo la sostanziale
ipocrisia ed incapacità di gestione.
Ciò che non era particolarmente chiaro negli anni in cui è stato scritto, ma che diventa
evidente anni dopo, è che, in realtà, il modello di Vamba è un modello che gli arriva dagli
Usa, dove però il testo ha un significato completamente diverso. Quello degli Usa è un
testo sostanzialmente di impostazione ironico/sarcastica, dove l’elemento politico è
completamente bandito ma ci sono alcune situazioni che vengono riprese tali e quali.
Vamba ricrea completamente il testo, legge/se lo fa leggere in lingua originale perché
all’inizio non esisteva una traduzione. Modifica però l’orientamento che questi episodi e
questi eventi hanno all’interno del testo, in particolare inserendo tutta una serie di
elementi che sono presenti anche in Omero Redi. Essi possono piacere, non tanto ai lettori,
a cui il testo è indirizzato, quanto ai loro genitori. Vi è un atteggiamento fortemente ironico
sulle varie teorie dello spiritismo che giravano in quegli anni, teorie di cui, a livello
romanzesco, si erano fatti in qualche modo portatori sia Capuana sia Fogazzaro. Il
FOGAZZARO di “MALOMBRA” è un autore che indulge a una serie di descrizioni che
potrebbero far pensare che lui stesso pratichi lo spiritismo, cosa effettivamente vera.
Vamba inserisce questi elementi e insieme ad una serie di riflessioni sugli autori “per
ragazzi” precedenti a lui. Il rapporto con Salgari è un rapporto, almeno sulla carta, meno
critico di quello che viene dimostrato da Pistelli, cioè da Omero Redi. Il rapporto con
Salgari si può notare dal fatto che, in una parte del Giornalino, la sorella di Giannino gli
porta da leggere “Il corsaro nero”. Il ragazzino, leggendolo, lo apprezza e afferma che è
molto più interessante de “I promessi sposi”.
De Amicis riesce a far piangere la gente, Salgari a dimostrare che i ragazzi possono fare
qualcosa di grande. Quindi, un ragazzo può diventare un eroe. Omero Redi si rivolge con
una certa attenzione a De Amicis scrittore. Salgari serve per scolpire una potenziale
infanzia eroica, da notare che il mondo di Salgari è un mondo di adulti, non ci sono ragazzi
e non ci sono apprendisti.
Un altro autore che Giannino cita è Dumas, in particolare quando in collegio, per
contrastare l’aberrante situazione che prova, si costruisce una società segreta. Se da un
lato fa il verso alle società segrete patriottiche, dall’altro però “strizza un occhio” a tutto il
romanzo cavalleresco di Dumas.
Il problema fondamentale di questa società è che vive la delusione del governo giolittiano,
che sta constatando una serie di situazioni storiche estremamente complesse. In essa,
inoltre, un bambino non può avere punti di riferimento, neppure nei confronti di
quell’educazione alla miseria che era uno dei punti fondamentali dell’educazione borghese
di qualche anno prima.
Riferimento all’educazione alla miseria Giannino dona 5 lire a due ciechi ed uno zoppo
che chiedono l’elemosina, ma poi si accorge che in realtà erano degli impostori.
C’è la smentita dell’educazione alla miseria, essa ha fatto il suo tempo. Anche coloro che
dovrebbero essere degni della nostra pietà e della nostra elemosina non meritano la
nostra fiducia. Vamba con lo zoppo e il cieco fa riferimento al gatto e alla volpe di
Pinocchio.
Uno dei riferimenti del romanzo a Dumas, serve per dimostrare una condivisione da parte
dei ragazzi che formano in collegio la società segreta ed entrano a farne parte. In realtà
poisi vedrà che di questa società segreta non sono assolutamente degni.
Man mano che il romanzo procede i riferimenti politici si fanno sempre più evidenti, anche
perché l’ultima delle vittime di Gian Burrasca è il cognato che aspira a diventare un
deputato socialista. Gian burrasca ha un amico di nome Gigino Balestra, un ragazzo serio a
cui è molto affezionato. Suo padre è il pasticciere fidato del padre di Giannino e amico di
suo cognato, inoltre è socialista.
In una parte del Giornalino, Giannino parla di un 1° maggio, descritto come il giorno più
bello e più brutto della sua vita. In città c’era un gran casino perché i socialisti avrebbero
voluto che i negozi e le scuole chiudessero, mentre altre persone si opponevano.
Naturalmente tutti i ragazzi in questa circostanza si schierarono con i socialisti, Gianni e
molti altri ragazzi infatti scioperarono ed è per questo che il padre di Gian Burrasca per 3
giorni fece stare il figlio a pane ed acqua. Gigino invece fece sciopero con il consenso del
padre, essendo socialista, invitò persino il figlio ad andare con altri ragazzi in campagna.
Arrivati sul posto, Gigino iniziò a fare discorsi da socialista sul Primo maggio proprio come il
padre, ma ad un tratto un ragazzo della comitiva chiamato Granchio gli rivolse una
domanda inopportuna. Chiese infatti perché lui e il padre non offrissero i loro dolci della
pasticceria, visto che è il giorno del socialismo, ai meno fortunati che non hanno avuto la
possibilità di mangiarli. Il ragionamento convinse tutta la comitiva, e Gigino inizialmente si
sentì a disagio e in un secondo momento si convinse e invitò tutti in pasticceria
sottolineando che avrebbero avuto un solo dolce a testa, offerto da lui e da suo padre.
Tutti entusiasti si avviarono in città seguendo Gigino, quest’ultimo disse agli altri di
aspettarlo perché doveva andare a casa per prendere le chiavi della bottega. Raggiunta la
bottega, si misero a mangiare ed a omaggiare il padrone di casa, ma ad un certo punto la
musica cambiò, entrò infatti il padre di Gigino. I ragazzini iniziarono a correre verso l’uscita
e nel caos generale Gigino sbatté la testa e perse i sensi. Si svegliò a casa accanto
alla mamma piangente, e due giorni dopo, il 3 maggio, il padre lo portò al collegio Pietro
Paoli.
La posizione ironica sulle ideologie politiche viene suggerita dalle azioni di questi ragazzi,
che sembrano credere a queste ideologie, ma che vengono smentiti prima di tutto dagli
adulti.
Il fallimento finale definitivo della possibile candidatura del cognato a deputato Il
cognato per compiacere alla famiglia di Giannino, una famiglia ortodossa, decide di
sposare di nascosto in chiesa la sorella, questo perché essendo lui socialista non dovrebbe
sposarsi in chiesa. Giannino si accorda con Gigino per scrivere una lettera al giornale
dell’Opposizione (che aveva screditato il cognato per la sua miscredenza). Nella lettera si
spiega che i socialisti sono delle gran brave persone e che suo cognato si è sposato in
chiesa andando contro ai suoi ideali.
C’è uno stravolgimento totale, il finale è aperto ma sembra chiuso, la tradizione politica
non permette una conclusione pacificante. Giannino ha preso coscienza della sua
anomalia, perché lui è l’elemento potenzialmente capace di far saltare per aria tutti i
personaggi incapaci di non vivere una realtà ipocrita. L’evoluzione di Giannino sarà quella
fascista di “PICCOLO ALPINO” (1926) di SALVATORE GOTTA. Questo romanzo è ambientato
durante la prima Guerra Mondiale, egli andrà a combattere in una compagnia di alpini
dalla quale viene adottato. È creduto orfano e fugge da una famiglia di contrabbandieri.
Perché evoluzione? Perché Giannino nel suo finale aperto fa intuire che cresciuto si alleerà
ai nazionalisti e poco dopo, con il fascismo nascente, il Piccolo alpino lo fa nella realtà
romanzesca. Dopo aver vissuto questa situazione bellica che lo trasforma e lo fa maturare,
si rende conto di quello che Giannino constata ogni giorno: la società non è più salvabile se
non con un radicale ribaltamento. Il percorso di evoluzione che era partito con Pinocchio
arriva a produrre un personaggio di tutt’altro tipo, che non ha niente a che vedere con le
pinocchiate. Pinocchio non è inutilizzato come simbolo, non vi è nulla del suo personaggio
(spesso usato nelle propagande fasciste).

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