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Cinquanta

sfumature di
Mr Grey

LIBRO PRIMO
Capitolo 1
«Domani» borbotto, e congedo Claude Bastille che è in
piedi sulla soglia del mio ufficio.

«Questa settimana si gioca a golf, Grey?»

Bastille fa un sorrisetto arrogante, ben sapendo che sul


campo da golf ha la vittoria assicurata. Gli lancio
un’occhiataccia mentre si gira e se ne va. Le parole con
cui si è accomiatato sono come sale su una ferita perché,
nonostante i miei eroici tentativi, stamattina in palestra il
mio personal trainer mi ha fatto un culo così. Bastille è
l’unico che riesce a battermi e adesso vuole ciò che gli
spetta sul campo da golf. Io odio il golf, ma si fanno
parecchi affari tra una buca e l’altra e così mi tocca
prendere lezioni da lui anche lì… e, per quanto detesti
ammetterlo, Bastille è riuscito a migliorare un po’ il mio
gioco.

Mentre osservo lo skyline di Seattle, sono preso dalla


solita sensazione di tedio. Il mio umore è spento e grigio
come il cielo là fuori. Le mie giornate si susseguono
uguali e ho bisogno di qualche diversivo. Ho lavorato
tutto il weekend e ora, chiuso nei confini del mio ufficio,
sono irrequieto. Non dovrei sentirmi così, non dopo
parecchi round con Bastille. E invece… M’incupisco. La
verità, e dovrebbe farmi riflettere, è che l’unica cosa che
ha acceso il mio interesse recentemente è stata la
decisione di inviare due navi da carico in Sudan. E questo
mi fa venire in mente che Ros dovrebbe venire da me con
tutti i resoconti dell’operazione. “Che cosa diavolo la
trattiene?” Deciso a capire a che gioco sta giocando, do
un’occhiata alla mia agenda e allungo la mano verso il
telefono. “Oh, no!” Devo sorbirmi l’intervista con
quell’insistente Miss Kavanagh per il giornale studentesco
della Washington State University. “Ma perché cazzo ho
accettato?” Io odio le interviste, una serie di domande
inutili da parte di idioti altrettanto inutili, male informati
e superficiali. Suona il telefono.

«Sì» rispondo seccamente ad Andrea, come se fosse


colpa sua. Perlomeno posso tentare di far sì che sia
un’intervista breve.

«C’è Miss Anastasia Steele per lei, Mr Grey»

«Steele? Io stavo aspettando Katherine Kavanagh.»

«Qui c’è Miss Anastasia Steele, signore»

Detesto gli imprevisti.

«Falla entrare» dico, brontolando. Mi rendo conto che


sembro un adolescente lunatico, ma non me ne frega un
cazzo.

“Bene, bene… Miss Kavanagh non è disponibile”.

Conosco suo padre, il proprietario della Kavanagh


Media. Abbiamo fatto qualche affare insieme, e mi
sembra un professionista accorto e un uomo razionale.
Ho concesso questa intervista per fargli un favore, un
favore che ho intenzione di farmi restituire un giorno o
l’altro. E devo ammettere che ero anche un po’ incuriosito
da sua figlia, m’interessava capire se la mela era caduta
lontano dall’albero oppure no.
Un certo scompiglio vicino alla porta mi fa alzare in
piedi, mentre un vortice di capelli castani, pelle chiara e
stivali marroni si tuffa a capofitto nel mio ufficio. Alzo gli
occhi al cielo e reprimo la naturale reazione di fastidio per
tanta goffaggine, mentre mi precipito verso la ragazza che
è atterrata con mani e ginocchia sul pavimento. La
prendo per le spalle esili e la aiuto a rimettersi in piedi.
Due luminosi e imbarazzati occhi azzurri incontrano i
miei, ed io mi blocco di colpo. Sono di un colore
straordinario – azzurri, ingenui – e per un terribile
istante ho la sensazione che lei possa leggere dentro di
me. Mi sento… esposto. Il pensiero m’innervosisce. Ha un
viso minuto e delicato, e sta arrossendo, un innocente
rosa pallido. Per un secondo mi domando se tutta la sua
pelle sia così – perfetta – e che aspetto potrebbe avere
una volta arrossata e scaldata dal morso di una verga.
“Cazzo”. Caccio i miei pensieri capricciosi, preoccupato
dalla direzione che stanno prendendo. “A che cazzo stai
pensando, Grey? Questa ragazza è troppo giovane”.

Mi sta fissando a bocca aperta, e per poco non alzo di


nuovo gli occhi al cielo. “Sì, sì, piccola. È solo un bel viso,
e la bellezza esteriore è effimera”. Voglio togliere quello
sguardo d’impudente ammirazione da quegli occhioni
azzurri. “Si va in scena, Grey. Divertiamoci un po’”.

«Miss Kavanagh. Sono Christian Grey. Va tutto bene?


Vuole sedersi?»

Di nuovo quel rossore. Sono tornato padrone di me, e


mi metto a studiarla. È molto attraente, con quell’aria
maldestra. È magra, pallida, con una criniera di capelli
color mogano a stento trattenuti da un elastico. Una
bruna. Sì, è decisamente attraente.
Le porgo la mano e lei comincia a balbettare una
mortificata serie di scuse, mettendo la sua piccola mano
nella mia. Ha una pelle fresca e morbida, ma la sua stretta
di mano è sorprendentemente decisa.

«Miss Kavanagh è indisposta, quindi ha mandato me.


Spero che non le dispiaccia, Mr Grey.»

Ha una voce pacata, con una musicalità un po’ esitante.


Continua a sbattere le palpebre e le lunghe ciglia
ondeggiano sui grandi occhi azzurri. Non riesco a
trattenere un sorriso mentre ripenso al suo ingresso non
esattamente elegante nell’ufficio.

«E lei è...?»

«Anastasia Steele. Studio letteratura inglese con Kate,


cioè… Katherine… cioè… Miss Kavanagh, alla Washington
State University di Vancouver».

La classica studiosa timida e nervosa, eh? Ne ha tutta


l’aria: è vestita in modo tremendo, nasconde la sua
corporatura magra sotto un maglioncino informe e una
gonna marrone a trapezio. “Non ha il minimo gusto nel
vestire”. Si guarda intorno con aria nervosa… Noto con
divertita ironia che guarda ovunque ma non verso di me.
Come fa questa ragazza a essere una giornalista? Non ha
un briciolo di assertività. Agitata, mansueta, mite…
sottomessa. In modo affascinante. Scuoto la testa, un po’
perplesso quando mi rendo conto della direzione presa
dai miei pensieri inopportuni.
Mormoro qualche banalità e la invito a sedersi, poi vedo
che osserva con occhio attento i quadri appesi alle pareti.
Prima di riuscire a fermarmi, mi trovo a illustrarglieli.
«Un artista locale. Trouton.»

«Sono belli. Elevano l’ordinario a straordinario» dice


lei con aria sognante, persa nella squisita fattura artistica
dei miei quadri.

Ha un bel profilo, naso all’insù, labbra morbide e


piene, e ha trovato le parole che rispecchiano esattamente
quello che sento io. “Elevano l’ordinario a straordinario”.
Un’osservazione acuta. Miss Steele è sveglia.
Le dico che sono d’accordo e osservo il rossore che si fa
strada sul suo viso ancora una volta. Mi siedo di fronte a
lei e cerco di mettere un freno ai miei pensieri.

Tira fuori un foglio di carta stropicciato e un


registratore digitale da uno zainetto. Un registratore
digitale? “Ma una volta non andavano in giro con i
registratori a cassette?”
Cazzo, è così maldestra, fa cadere due volte quel dannato
aggeggio sul mio tavolino Bauhaus. È ovvio che non ha
mai fatto niente del genere prima, ma per qualche motivo
che non riesco a spiegarmi trovo tutto piuttosto
divertente. Di solito questo tipo di goffaggine mi irrita
profondamente, mentre adesso cerco di nascondere il
sorriso dietro l’indice e resisto alla tentazione di
metterglielo a posto io.
Mentre lei si agita sempre di più, mi viene in mente che
potrei migliorare le sue capacità motorie con l’aiuto di un
frustino da equitazione. Usato come si deve, è in grado di
rimettere in riga anche il soggetto più recalcitrante.
Questo pensiero errante mi fa cambiare posizione sulla
poltrona. Lei mi guarda, e intanto si morde il labbro
inferiore. “Cazzo!” Come ho fatto a non accorgermi prima
di quella bocca?

«M-mi scusi, non sono abituata a usare questo arnese»

“Lo vedo, piccola” penso con ironia “ma in questo


momento non me ne frega un cazzo, perché non riesco a
togliere gli occhi dalla tua bocca”.

«Si prenda tutto il tempo che le occorre, Miss Steele».

Ho bisogno di un altro momento per ordinare i miei


pensieri vagabondi. “Grey, adesso basta. Stop”.

«Le dispiace se registro le sue risposte?» mi chiede,


con un’espressione candida e speranzosa.

Vorrei mettermi a ridere. “Mio Dio!”

«Me lo chiede adesso, dopo aver tanto faticato per far


funzionare il registratore?»

Sbatte le palpebre, e per un attimo ha uno sguardo


smarrito. Mi sento leggermente in colpa, un sentimento
che non mi è familiare. “Piantala di fare lo stronzo, Grey”.

«No, non mi dispiace» mormoro, non volendo essere il


responsabile di quello sguardo.

«Kate, voglio dire, Miss Kavanagh, le aveva spiegato a


cosa è destinata questa intervista?»

«Sì. Apparirà sul prossimo numero del giornale


studentesco, dato che alla cerimonia di quest’anno sarò io
a consegnare i diplomi di laurea.»
Perché cazzo avrò accettato di farlo, non lo so. Sam,
l’addetto alle pubbliche relazioni, sostiene che è un
grande onore e che il dipartimento di Scienze Ambientali
di Vancouver ha bisogno di un po’ di pubblicità per
trovare ulteriori finanziamenti di entità pari alla
donazione fatta da me.

Miss Steele sbatte le palpebre e mi guarda di nuovo


con gli occhioni azzurri spalancati, come se le mie parole
fossero una sorpresa, e, cazzo… sembra che disapprovi!
Ma non si è documentata neanche un po’ prima di venire
qui? Queste cose dovrebbe saperle. Il pensiero mi raggela.
È… spiacevole, non è certo ciò che mi aspetto, né da lei né
da chiunque altro a cui concedo un po’ del mio tempo.

«Bene. Avrei alcune domande da farle, Mr Grey».

S’infila una ciocca ribelle dietro l’orecchio,


distraendomi dalla sensazione di fastidio che ho provato.

«Lo avevo intuito» mormoro seccamente.

“Mettiamola un po’ in imbarazzo”. Compiacente al


punto giusto, comincia ad agitarsi, poi si riprende e
raddrizza le spalle esili. Si china in avanti, preme il
pulsante del registratore e si acciglia mentre abbassa lo
sguardo sui suoi appunti stropicciati.

«Lei è molto giovane per aver creato un simile impero.


A che cosa deve il suo successo?»

Oh, Cristo! Sono sicuro che può fare molto meglio di


così. Che stupida domanda del cazzo. Neanche un briciolo
di originalità. È veramente deludente. Tiro fuori la solita
risposta sul fatto che negli Stati Uniti ci sono persone
eccezionali che lavorano per me, persone in cui ripongo la
mia fiducia, che sono ben pagate, bla bla bla.
Ma, Miss Steele, la verità è semplice: nel mio lavoro
sono un fottuto genio. Per me è come bere un bicchier
d’acqua. Acquisto società in crisi e gestite male e le risano
o, se sono casi disperati, le spoglio di tutto quello che può
valere qualcosa, rivendendolo poi al miglior offerente.
Bisogna solo saper distinguere tra i due casi, ed è sempre
questione di chi si trova al comando. Per avere successo
negli affari c’è bisogno di gente in gamba, e io so
giudicare le persone meglio di chiunque altro.

«Forse ha solo avuto fortuna» osserva lei, con calma.

“Fortuna?” Ho un brivido di fastidio. “Fortuna?” Qui la


fortuna non c’entra un cazzo, Miss Steele. Ha un’aria
tranquilla e senza pretese, e poi se ne esce con queste
osservazioni! Nessuno mi aveva mai fatto notare che
poteva essere una questione di “fortuna”. Lavorare sodo,
portare le persone dalla mia parte, tenerle d’occhio,
magari dar loro una seconda possibilità e, se non sono
all’altezza del compito, farle fuori senza pietà. “È questo
quello che faccio, e lo faccio bene. La fortuna non c’entra
niente! Ma vaffanculo”. Do sfoggio di erudizione tirando
fuori una citazione di uno dei miei industriali americani
preferiti.

«Lei sembra un maniaco del controllo» mi dice, e ha


un’espressione assolutamente seria.

“Ma come cazzo fa?” Forse quegli occhioni innocenti


riescono davvero a leggere dentro di me. “Controllo” è il
mio secondo nome. Le lancio un’occhiataccia.

«Oh, io esercito il controllo su tutto, Miss Steele.»

“E mi piacerebbe molto esercitarlo su di te, qui e


adesso”. Lei spalanca gli occhi. Quel rossore così attraente
le attraversa il viso un’altra volta e si morde di nuovo il
labbro. Comincio a divagare, cercando di distrarre
l’attenzione dalla sua bocca.

«Inoltre, se nelle proprie fantasie segrete ci si convince


di essere nati per dominare, si acquista un potere
immenso»

«Lei pensa di avere un potere immenso?» mi chiede


con una voce sommessa e vellutata, ma al tempo stesso
inarca un sopracciglio, rivelando così la propria
disapprovazione.

Sono sempre più infastidito. Sta cercando


deliberatamente di provocarmi? Non capisco se mi fanno
incazzare di più le sue domande o il suo atteggiamento o
il fatto di trovarla attraente.

«Ho più di quarantamila persone alle mie dipendenze,


Miss Steele. Questo mi dà un certo senso di
responsabilità… di potere, se preferisce. Se io dovessi
decidere che il settore delle telecomunicazioni non mi
interessa più e che voglio vendere, ventimila persone
faticherebbero a pagare il mutuo dopo un mese o poco
più»

A questa risposta, rimane a bocca aperta. Comincia ad


andare meglio. “Prendi e porta a casa, Miss Steele”. Sento
che l’equilibrio sta tornando.

«Non ha un consiglio di amministrazione a cui


rispondere?»

«La società è di mia proprietà. Non devo rispondere a


nessun consiglio» dichiaro seccamente. Ma questo
dovrebbe saperlo. Alzo un sopracciglio con aria
interrogativa.

«E ha qualche interesse, al di fuori del lavoro?»


continua come se niente fosse, interpretando
correttamente la mia reazione. Sa che sono incazzato, e
per qualche inesplicabile motivo questo mi dà un enorme
piacere.

«Ho interessi molto vari, Miss Steele». Sorrido. «Molto


vari».

Nella mia mente si affacciano immagini di lei nelle


posizioni più diverse nella stanza dei giochi: incatenata
alla croce, a gambe e braccia spalancate sul letto, distesa
sulla panca pronta a essere frustata. “Cazzo! Da dove
viene tutto ciò?” Ed ecco… di nuovo quel rossore. È come
un meccanismo di difesa. “Datti una calmata, Grey”.

«Che cosa fa per rilassarsi?»

«Rilassarmi?»

Sorrido. Quelle parole uscite dalla sua bocca


impudente suonano strane. E poi, quando mai ho tempo
per rilassarmi? Ha idea del numero di aziende che
controllo? Ma è lì che mi guarda con quegli ingenui
occhioni azzurri e mi sorprendo a riflettere sulla sua
domanda. Che cosa faccio per rilassarmi? Vado in barca a
vela, volo, scopo… Metto alla prova i limiti delle ragazze
brune come lei, e le rimetto in riga… Il pensiero mi
costringe a cambiare posizione sulla sedia, ma le rispondo
con calma, omettendo i miei due hobby preferiti.

«Lei investe nell’attività industriale. Perché,


esattamente?»

La domanda mi riporta bruscamente al presente.

«Mi piacciono le cose. Mi piace sapere come


funzionano: quali sono i loro ingranaggi, come costruirle
e smontarle. E ho una passione per le navi. Cosa posso
dire?»

Distribuiscono cibo in giro per il mondo, prendono


cose da chi le ha e le portano a chi non ne ha, e poi
tornano e ricominciano daccapo. Che cosa c’è di male?

«Sembra che sia il suo cuore a parlare, più che la logica


o i fatti.»

“Il cuore? Io? Oh, no, piccola”. Il mio cuore è stato


massacrato fino a diventare irriconoscibile tanto tempo
fa.

«È possibile. Anche se certe persone direbbero che io


non ho un cuore.»

«Perché direbbero una cosa del genere?»

«Perché mi conoscono bene.»


Le rivolgo un sorriso sarcastico. In realtà nessuno mi
conosce così bene, eccetto forse Elena. Mi chiedo che cosa
ne penserebbe della piccola Miss Steele. La ragazza è un
groviglio di contraddizioni: timida, ansiosa,
evidentemente molto sveglia e arrapante da morire. “Sì,
d’accordo, lo ammetto, è piuttosto gnocca”. Fa la
domanda successiva senza leggerla.

«I suoi amici direbbero che è facile conoscerla?»

«Sono una persona molto riservata, Miss Steele. Faccio


di tutto per proteggere la mia privacy. Non rilascio molte
interviste…» Per fare le cose che faccio, per vivere la vita
che ho scelto, ho bisogno della mia privacy.

«Perché ha accettato di rilasciare questa?»

«Perché sono uno dei finanziatori dell’università, e a


dispetto dei miei sforzi non sono riuscito a togliermi di
torno Miss Kavanagh. Ha tormentato i miei addetti alle
pubbliche relazioni fino all’esaurimento, e io ammiro
questo genere di tenacia» “Ma sono felice che sia venuta
tu e non lei”.

«Lei investe anche in tecnologie agricole. Perché le


interessa questo settore?»

«I soldi non si mangiano, Miss Steele, e troppe persone


su questo pianeta non hanno abbastanza da mangiare»
La guardo negli occhi, impassibile.

«Sembra molto filantropico. È una cosa che la


appassiona… sfamare i poveri del mondo?»
Mi guarda con un’espressione interrogativa, come se
fossi una specie di enigma da risolvere, ma non ho
assolutamente intenzione di permettere a quei begli
occhioni azzurri di sondare il buio della mia anima. Su
questo argomento non si discute. Né ora né mai.

«È solo senso per gli affari»

Mi stringo nelle spalle, affettando una certa noia, e mi


immagino di scopare quella dolcissima bocca per
distrarmi dai pensieri legati alla fame nel mondo. Sì,
quella bocca ha bisogno di un po’ di addestramento.
Questo sì che è un pensiero affascinante, e mi concedo di
immaginare questa ragazza in ginocchio davanti a me.

«Lei ha una filosofia? Se sì, quale?» Un’altra domanda


fatta senza leggere.

«Non ho una filosofia vera e propria. Forse un


principio guida, quello di Carnegie: “Un uomo che
acquisisce la capacità di prendere pieno possesso della
propria mente è in grado di prendere possesso di
qualsiasi altra cosa a cui abbia diritto”. Sono un tipo
molto particolare, motivato. Mi piace avere il controllo, di
me stesso e di quelli che mi circondano.»

«Quindi vuole possedere le cose?» I suoi occhi si


spalancano. “Oh, sì, piccola. Per esempio, te”.

«Voglio meritarne il possesso, ma sì, alla fine, voglio


possederle»

«Lei sembra il consumatore ideale»


La sua voce è venata di disapprovazione, il che mi fa di
nuovo incazzare. Sembra una ragazzina ricca che ha
sempre avuto quello che voleva, ma dopo un’occhiata più
attenta ai suoi vestiti – roba da grandi magazzini –
capisco che non è così. Non è cresciuta in una famiglia
ricca. “Potrei davvero prendermi cura di te”. “Merda, e
questa idea da dove viene fuori?” Anche se, ora che ci
penso, ho proprio bisogno di una nuova Sottomessa.
Dopo Susannah quanto tempo è passato? Due mesi? Ed
eccomi a sbavare su questa brunetta. Sorrido, in fondo
sono d’accordo con lei. Non c’è nulla di male nel
consumismo: dopotutto è la forza che traina quel che
resta dell’economia americana.

«Lei è stato adottato. In quale misura ritiene che ciò


abbia influenzato il suo modo di essere?»

E questo che cazzo c’entra con il prezzo del petrolio?


La guardo malissimo. Che domanda ridicola. Se fosse
stato per la puttana drogata, probabilmente a quest’ora
sarei morto. La liquido con una non risposta, tentando di
mantenere lo stesso tono di voce, ma lei continua a
pressarmi, vuole sapere quanti anni avevo al momento
dell’adozione. “Tappale la bocca, Grey”.

«È un’informazione di pubblico dominio, Miss Steele»

La mia voce è gelida. Dovrebbe sapere queste cose. Ora


ha un’espressione contrita. Bene.

«Ha dovuto sacrificare la vita familiare al lavoro.»

«Questa non è una domanda» rispondo seccamente.


Arrossisce di nuovo e si morde quel maledetto labbro.
Ma ha il buon gusto di scusarsi.

«Ha dovuto sacrificare la vita familiare al lavoro?»

“Perché dovrei volere una cazzo di famiglia?”

«Io ho già una famiglia. Un fratello, una sorella e due


genitori amorevoli. Non m’interessa allargarla
ulteriormente.»

«Lei è omosessuale, Mr Grey?»

“Ma che cazzo! Non riesco a credere che l’abbia detto


davvero”. Ecco la tacita domanda che neanche la mia
famiglia ha il coraggio di fare, cosa che mi diverte
parecchio. “Ma come osa?” Devo combattere l’impulso di
tirarla su da quel divano, mettermela di traverso sulle
ginocchia e sculacciarla a sangue. E poi scoparmela sulla
scrivania con le mani legate dietro la schiena.
Questo risponderebbe alla sua domanda. Ma quanto è
frustrante questa femmina! Faccio un profondo respiro
per calmarmi. Con mio grande e vendicativo piacere,
sembra decisamente imbarazzata dalla sua stessa
domanda.

«No, Anastasia, non lo sono.» Alzo un sopracciglio, ma


mantengo un’espressione impassibile. Anastasia. È un
nome delizioso. Mi piace il modo in cui la mia lingua ci
gira intorno.

«Le chiedo scusa. È… ecco… è scritto qui.»


Si sistema nervosamente alcune ciocche dietro
l’orecchio. Non conosce neanche le sue domande? Forse
non sono sue. Glielo chiedo, e lei impallidisce. Cazzo, è
davvero molto attraente, di una bellezza sobria, quasi
reticente. Mi spingerei quasi a dire che è stupenda.

«Ehm… no. È stata Kate, Miss Kavanagh, a


prepararle»

«Siete colleghe al giornale studentesco?»

«No, lei è la mia coinquilina». Allora non c’è da


stupirsi che sia così in confusione. Mi gratto il mento,
cercando di decidere se farle passare un brutto quarto
d’ora oppure no.

«Si è offerta lei di farmi questa intervista?» le chiedo, e


sono subito premiato dalla sua espressione sottomessa:
occhi sgranati, nervosa per la mia reazione. Mi piace
l’effetto che ho su di lei.

«Sono stata reclutata all’ultimo. Kate non sta bene»

«Questo spiega molte cose».

Qualcuno bussa alla porta, e compare Andrea.

«Mr Grey, mi scusi se la interrompo, ma il suo


prossimo appuntamento è fra due minuti»

«Non abbiamo ancora finito, Andrea. Per favore,


annulla il prossimo appuntamento»

Andrea esita, mi fissa a bocca aperta. Anch’io la


guardo. “Fuori! Subito! Sono occupato con la piccola Miss
Steele”. Andrea diventa paonazza, ma si riprende subito.

«Certo, Mr Grey» dice, poi gira sui tacchi e ci lascia


soli.

Rivolgo di nuovo la mia attenzione all’intrigante e


frustrante creatura seduta sul mio divano.

«Dove eravamo, Miss Steele?»

«La prego, non voglio distoglierla dai suoi impegni.»

“Oh, no, piccola, adesso tocca a me”. Voglio sapere se


c’è qualche segreto da scoprire dietro quegli occhi
meravigliosi.

«Voglio sapere qualcosa di lei. Mi sembra doveroso.»


Mentre mi appoggio allo schienale e mi porto le dita alle
labbra, i suoi occhi si fermano per un istante sulla mia
bocca e lei deglutisce. “Ah, sì, il solito effetto”. È
gratificante sapere che non è completamente insensibile
al mio fascino.

«Non c’è molto da sapere» dice, arrossendo di nuovo.

La intimidisco. “Ottimo!”

«Che progetti ha dopo la laurea?»

Si stringe nelle spalle. «Non ho fatto progetti, Mr Grey.


Per il momento, mi basta superare gli esami»

«Nella mia azienda abbiamo un ottimo programma di


stage» “Cazzo. Come mi è saltato in testa di dirle una cosa
simile?” Sto per rompere una delle regole fondamentali:
mai, mai scoparsi una dello staff. “Ma, Grey, non ti stai
scopando questa ragazza”. Lei ha l’aria sorpresa, e
affonda di nuovo i denti nel labbro. “Ma perché è così
eccitante?”

«Me lo ricorderò» mormora. Poi, come


soprappensiero, aggiunge: «Anche se non sono certa di
essere adatta a questo posto»

“Perché diavolo non dovresti esserlo? Cosa c’è che non


va nella mia azienda?”

«Perché dice così?» chiedo.

«È ovvio, no?»

«Non per me.» La sua risposta mi confonde. Mentre


prende il registratore è di nuovo in confusione. “Merda,
se ne sta andando”. Ripasso mentalmente i miei impegni
del pomeriggio, non c’è nulla che non possa aspettare.

«Vuole che le faccia fare un giro dell’azienda?»

«Sono certa che lei è molto impegnato, Mr Grey, e io


devo fare un lungo viaggio.»

«Deve tornare a Vancouver?» Lancio un’occhiata alla


finestra. Non è un viaggio da poco, e ha cominciato a
piovere. Non dovrebbe guidare con questo tempo, ma non
posso proibirglielo.

«Be’, è meglio che guidi con prudenza». Il mio tono è


più severo di quanto volessi. Lei armeggia con il
registratore. Vuole andarsene dal mio ufficio e, per
qualche ragione che non mi so spiegare, io non voglio che
se ne vada.

«Ha ottenuto quello che le serviva?» aggiungo,


nell’assai trasparente tentativo di trattenerla.

«Sì, signore» mi risponde con calma.

La sua replica mi manda al tappeto – il suono di quelle


due parole mentre escono da quella bocca impudente – e
per un istante m’immagino di poter avere la sua bocca ai
miei ordini.

«Grazie per l’intervista, Mr Grey»

«È stato un piacere» rispondo, e sono sincero visto che


nessuno da tempo mi affascinava così. La cosa mi turba.
Si alza e le tendo la mano, impaziente di toccarla.

«Alla prossima, Miss Steele». Parlo a voce bassa


mentre lei mette la sua piccola mano nella mia. “Sì, voglio
frustare e scopare questa ragazza nella mia stanza dei
giochi”. La voglio legata… che mi vuole, che ha bisogno di
me, che si fida di me. Deglutisco. “Non succederà, Grey”.

«Mr Grey» Annuisce e ritrae in fretta la mano. Troppo


in fretta.

“Merda, non posso lasciarla andare via così”. È ovvio


che non vede l’ora di andarsene. L’irritazione e
un’illuminazione mi colpiscono simultaneamente mentre
le tengo aperta la porta per farla uscire.
«Solo per assicurarmi che la oltrepassi indenne, Miss
Steele.»

La battuta la fa arrossire, con quella deliziosa tonalità


rosata.

«È molto premuroso da parte sua, Mr Grey!» risponde


piccata.

Miss Steele mostra i denti! Sogghigno dietro di lei


mentre esce, e la seguo. Sia Andrea sia Olivia mi
guardano sbalordite. “Sì, sì, sto solo accompagnando la
ragazza all’uscita”.

«Ha un soprabito?» le domando.

«Una giacca»

Rivolgo uno sguardo corrucciato a Olivia che, con il


suo sorriso affettato, si alza immediatamente per
recuperare una giacca blu marina. La prendo, e le ordino
con lo sguardo di rimettersi a sedere. Cazzo, Olivia è
fastidiosa. Mi guarda per tutto il tempo con quella sua
aria trasognata.

Mmh, come pensavo, la giacca è un capo da grandi


magazzini. Miss Anastasia Steele dovrebbe vestirsi
meglio. Gliela porgo e, mentre la aiuto a indossarla, le
tocco la pelle alla base del collo. Il contatto la fa irrigidire.
Impallidisce. “Sì!” Le ho fatto effetto. La consapevolezza
di ciò è estremamente piacevole. La accompagno
all’ascensore e premo il pulsante, mentre lei rimane al
mio fianco, nervosa. “Saprei io come calmarti, piccola”.
Le porte si aprono; lei entra in fretta e poi si gira.

«Anastasia» le mormoro congedandola.

«Christian» sussurra. Le porte dell’ascensore si


chiudono, lasciando il mio nome sospeso a mezz’aria,
come un suono strano, sconosciuto, eppure sexy da
morire.

“Cazzo, che cos’è stato?” Devo saperne di più su questa


ragazza.

«Andrea» grido, ritornando a grandi passi in ufficio.


«Chiamami Welch, subito»

Seduto alla scrivania mentre attendo la chiamata,


guardo i quadri alle pareti dell’ufficio e le parole di Miss
Steele mi risuonano nella mente: “Elevano l’ordinario a
straordinario”. Potrebbe benissimo aver descritto se
stessa. Sento suonare il telefono.

«Mr Welch in linea»

«Passamelo»

«Sì, signore»

«Welch, ho bisogno di un controllo sul passato di una


persona»
Capitolo 2
Anastasia Rose Steele
Data e luogo di nascita: 10 settembre 1989, Montesano,
Washington

Indirizzo: SW Green Street, 1114, scala 7,


Haven Heights, WA 98888
Vancouver

Telefono cellulare: 360.959.4352

N° di previdenza sociale: 987-65-4320

Coordinate bancarie: Wells Fargo Bank, WA, 98888,


Vancouver

Conto corrente n. 309361, saldo: 683,16 Dollari

Occupazione: Studentessa universitaria non ancora


laureata
Facoltà di Lettere e filosofia,
Washington State University,
Vancouver – Indirizzo di studio:
Letteratura inglese

Media: 4,0

Precedente titolo di studio: Scuola superiore di Montesano

Punteggio: 2150

Impiego attuale: Ferramenta Clayton


NW Vancouver Drive, Portland,
Oregon (part-time)

Padre: Franklin A. Lambert (1° settembre


1969 – 11 settembre 1989)
Madre: Carla May Wilks Adams (18 luglio
1970)
Sposata con:
– Frank Lambert (data
matrimonio:1° marzo 1989, data
vedovanza: 11 settembre 1989)
– Raymond Steele (data
matrimonio: 6 giugno 1990,
data divorzio: 12 luglio 2006)
– Stephen M. Morton (data
matrimonio: 16 agosto 2006,
data divorzio: 31 gennaio 2007)
– Robbin (Bob) Adams (data
matrimonio: 6 aprile 2009)

Orientamento politico: Sconosciuto

Orientamento religioso: Sconosciuto

Orientamento sessuale: Sconosciuto

Relazioni sentimentali: Nessuna al Momento

Sto leggendo il curriculum per la centesima volta da


quando l’ho ricevuto due giorni fa, cercando di scoprire
qualcosa di più dell’enigmatica Anastasia Rose Steele.
Dannazione, non riesco a togliermela dalla testa, e sto
seriamente iniziando a incazzarmi. Durante la settimana
appena trascorsa, nel corso di qualche riunione
particolarmente noiosa, mi sono sorpreso a rivivere
l’intervista nella mente. Le sue dita che armeggiano con il
registratore, il modo in cui si sistemava i capelli dietro
l’orecchio, l’abitudine di mordersi il labbro. “Sì”. Quella
dannata abitudine mi dà ai nervi ogni volta.

E ora, eccomi qui, in macchina fuori da Clayton, il


modesto negozio di ferramenta alla periferia di Portland
in cui lei lavora. “Sei un cretino, Grey. Perché sei venuto
qui?” Sapevo che sarei arrivato a questo. Durante tutta la
settimana… sapevo che avrei dovuto rivederla. Lo sapevo
da quando ha pronunciato il mio nome sull’ascensore ed
è scomparsa nelle profondità dell’edificio in cui ha sede la
mia società. Ho provato a resistere. Ho provato ad
aspettare cinque giorni, cinque fottuti giorni, per vedere
se l’avrei dimenticata. “Non sono abituato ad aspettare.
Odio aspettare… in qualunque cosa”.
Non ho mai inseguito una donna prima d’ora. Le donne
che ho avuto sapevano perfettamente che cosa volevo da
loro. Adesso temo che Miss Steele sia semplicemente
troppo giovane e che non sarà interessata a ciò che posso
offrirle… no? Diventerà mai una buona Sottomessa?
Scuoto la testa. C’è un solo modo per scoprirlo… quindi
eccomi qui, come un coglione, in un parcheggio di
periferia nella zona più desolata di Portland.

Dalle indagini che ho fatto fare su di lei non è emerso


nulla di significativo, tranne l’ultima informazione, che è
balzata in cima ai miei pensieri. È per questo che sono
qui. “Perché non sei fidanzata, Miss Steele?”
Orientamento sessuale sconosciuto. Forse è lesbica.
Sbuffo, pensando che sia improbabile. Mi ricordo la
domanda sull’omosessualità che mi ha rivolto durante
l’intervista, il suo profondo imbarazzo, e il modo in cui è
arrossita, con la pelle che le diventava di un color rosa
pallido… Sono ossessionato da questi pensieri ridicoli da
quando l’ho incontrata. “Ecco perché sei qui”. Non vedo
l’ora di rivederla: i suoi occhi azzurri mi perseguitano,
persino nei sogni.

Non ho parlato di lei a Flynn e sono contento di non


averlo fatto perché ora mi sto comportando come uno
stalker. “Forse dovrei parlargliene”. Alzo gli occhi al cielo:
non voglio che lui mi perseguiti con l’ennesima cazzata
“orientata alla soluzione”. Voglio solo distrarmi… e, ora
come ora, l’unica distrazione che vorrei è lavorare come
commesso in un negozio di ferramenta.

“Sei arrivato fin qui. Vediamo se Miss Steele è


affascinante come te la ricordi. Inizia lo spettacolo, Grey”.
Scendo dalla macchina e attraverso il parcheggio, diretto
all’ingresso. Un campanello emette una nota elettronica
monocorde quando entro. Il negozio è molto più grande
di quanto sembra da fuori e anche se è quasi l’ora di
pranzo è tranquillo, per essere sabato. Ci sono corsie su
corsie della solita roba che ci si aspetta di trovare in un
posto del genere. Ho dimenticato le possibilità che un
negozio di ferramenta può offrire a uno come me.
Compro quasi sempre online, ma, già che sono qui, forse
posso fare scorta di alcune cose. Velcro, anelli
portachiavi… sì! Troverò quella deliziosa Miss Steele e mi
divertirò un po’.

Ci vogliono tre secondi per individuarla. È seduta


dietro la cassa, osserva lo schermo del computer e sta
mangiando qualcosa: un bagel. Soprappensiero, si toglie
con le dita una briciola dall’angolo delle labbra, se la
mette in bocca e si succhia il dito. Il mio uccello ha un
fremito. “Merda! Non sono mica un ragazzino, no?” È
dannatamente irritante. Forse questa reazione da
adolescente smetterà se la lego, la scopo e la frusto… e
non necessariamente in quest’ordine. Sì. Devo proprio
fare così. È totalmente assorbita nel suo lavoro e così ho
l’opportunità di studiarla bene. Pensieri lascivi a parte, è
attraente, molto attraente. Me la ricordavo bene.
Alza lo guardo e si blocca, inchiodandomi con quei suoi
occhi intelligenti e acuti, di quel meraviglioso azzurro che
sembra scavarmi dentro. È sconcertante come la prima
volta che l’ho incontrata. Rimane a fissarmi, piuttosto
sbalordita, e non so se la reazione sia buona o cattiva.

«Miss Steele. Che piacevole sorpresa»

«Mr Grey» mormora, ansimante e confusa. “Ah… la


reazione è buona”.

«Passavo di qua. Ho bisogno di fare qualche acquisto.


È un piacere rivederla, Miss Steele»

“Un vero piacere”. Indossa una T-shirt attillata e i


jeans, non quegli abiti informi che aveva la prima volta.
Ha le gambe lunghe, la vita sottile, e due tette perfette.

Continua a fissarmi a bocca aperta e devo combattere


contro il pressante desiderio di avvicinarmi e metterle un
dito sotto al mento per farle chiudere la bocca. “Sono
venuto in elicottero da Seattle solo per vederti e, per il
modo in cui mi stai guardando, direi che ne è valsa la
pena”.

«Ana. Mi chiamo Ana. Come posso aiutarla, Mr Grey?»

Fa un respiro profondo, raddrizza le spalle come ha


fatto durante l’intervista e mi rivolge un sorriso di
cortesia, di quelli che, ne sono certo, riserva ai clienti.
“Inizia il gioco, Miss Steele”.

«Mi servono un paio di cose. Tanto per cominciare,


vorrei delle fascette stringi cavo»
Lei schiude le labbra e inspira bruscamente.

“Ti stupiresti vedendo quello che sono in grado di fare


con qualche fascetta, Miss Steele”.

«Ne abbiamo di diverse lunghezze. Vuole che gliele


faccia vedere?»

«Grazie, Miss Steele, la seguo»

Esce da dietro il bancone e indica con la mano una


delle corsie. Indossa scarpe da ginnastica Converse. Mi
chiedo oziosamente come starebbe con un paio di scarpe
con i tacchi vertiginosi. Louboutin, ovviamente.

«Si trovano nel reparto materiale elettrico, scaffale


otto» dice, esitante, mentre arrossisce di nuovo.

“Le faccio effetto”. E nel cuore nasce un po’ di


speranza. “Non è lesbica, allora” penso con un sorrisetto
malizioso.

«Dopo di lei» mormoro, e con la mano le indico di


farmi strada.

Facendola camminare davanti, ho il tempo e lo spazio


per ammirare il suo culo fantastico. Ha davvero tutto: è
dolce, educata e attraente, con tutte le caratteristiche
fisiche che apprezzo in una Sottomessa. Ma la domanda
da un milione di dollari è: può diventare una Sottomessa?
Probabilmente non sa nulla di questo stile di vita, del mio
stile di vita, ma non vedo l’ora di farglielo conoscere. “Stai
correndo decisamente troppo, Grey”.
«È a Portland per affari?» chiede, interrompendo i
miei pensieri.

Parla a voce alta e sta cercando di mostrarsi


noncurante. Mi fa venir voglia di sorridere, il che è
tonificante. Raramente le donne mi fanno sorridere.

«Ero in visita al dipartimento di agraria della


Washington State University. Ha sede a Vancouver»
mento. “In realtà sono qui per vederti, Miss Steele”.

Arrossisce e mi sento una merda.

«Sto finanziando alcune ricerche sulla rotazione delle


colture e sulla micro morfologia del suolo» Questo,
almeno, è vero.

«Fa tutto parte del suo piano per sfamare il mondo?»


Le sue labbra si piegano in un mezzo sorriso.

«Qualcosa del genere» mormoro. “Sta ridendo di me?”


Se è così, mi piacerebbe tanto farla smettere. Ma come
cominciare?

Forse con una cena, invece che con il solito colloquio…


Sarebbe davvero una novità portare una candidata
Sottomessa fuori a cena.

Arriviamo allo scaffale delle fascette, disposte per


lunghezza e per colore. Soprappensiero, faccio scorrere le
dita sulle varie confezioni. “Potrei semplicemente
chiederle se viene a cena con me”. Come se fosse un
appuntamento? Ci verrebbe? La sbircio, e vedo che si sta
fissando le dita intrecciate. Non riesce a guardarmi negli
occhi… “Promette bene”. Scelgo le fascette più lunghe.
Dopotutto sono le più flessibili: possono contenere due
caviglie e due polsi in un colpo solo.

«Queste dovrebbero andare» mormoro, e lei


arrossisce.

«Le serve altro?» chiede prontamente: o è molto


professionale o vuole farmi uscire in fretta dal negozio.
Non saprei.

«Vorrei del nastro adesivo di carta»

«Deve imbiancare?»

Mi viene da sbuffare, ma mi contengo.

«No, niente del genere». Non prendo in mano un


pennello da un sacco di tempo. Al pensiero mi viene da
sorridere; ho a chi delegare tutti questi lavoretti.

«Da questa parte» mormora, e pare imbarazzata. «Il


nastro adesivo di carta è nel reparto vernici»

“Dai, Grey. Non hai molto tempo. Falla parlare un po’”.

«È da molto che lavora qui?»

Ovviamente conosco già la risposta. A differenza di


altri, faccio tutte le ricerche del caso. Lei arrossisce di
nuovo: accidenti, com’è timida! “Non ho la benché
minima speranza”. Si gira velocemente e percorre la
corsia verso il reparto con il cartello vernici. La seguo con
impazienza. “Che cosa sono diventato? Un fottuto
cagnolino?”

«Quattro anni» mormora, mentre arriviamo al nastro


adesivo. Si china e ne prende due rotoli, di formato
diverso.

«Va bene questo» dico. Il nastro più grande è molto


più efficace per tappare la bocca. Mentre me lo passa, le
punte delle nostre dita si toccano per un attimo. L’eco di
quel contatto mi si riverbera nell’inguine.

Impallidisce. «Qualcos’altro?» mi chiede con voce roca


e affannosa.

Cazzo, le faccio lo stesso effetto che lei fa a me.


“Forse…”

«Un po’ di corda, direi.»

«Di qua.» Percorre la corsia a passo veloce, dandomi


un’altra possibilità di apprezzare il suo bel culo.

«Che tipo di corda le serve? Abbiamo quella sintetica e


quella in fibre naturali… lo spago… il fil di ferro…»

“Merda…piantala!” Gemo silenziosamente, cercando di


scacciare l’immagine di Ana sospesa al soffitto della mia
stanza dei giochi.

«Prendo cinque metri di quella in fibra naturale.»

È più ruvida e fa più attrito sulla pelle quando una


cerca di liberarsi… è il tipo di corda che preferisco.
Le tremano leggermente le mani, ma riesce a
misurarne cinque metri con molta professionalità. Tira
fuori un coltellino dalla tasca posteriore dei jeans, taglia
la corda con un gesto rapido, la arrotola con precisione e
la lega con un nodo scorsoio. “Notevole”.

«Era negli scout?»

«Le attività di gruppo organizzate non sono la mia


passione, Mr Grey»

«Qual è la sua passione, Anastasia?» La guardo negli


occhi e, mentre la fisso, le si restringono le pupille. “Sì!”

«I libri» sussurra.

«Che genere di libri?»

«Oh, le solite cose. I classici. Soprattutto letteratura


inglese»

“Classici inglesi? Brontë e Austen, scommetto. Tutte


quelle romanticherie sdolcinate”. Cazzo, così non va.

«Le serve altro?»

«Non so. Cosa mi consiglia?» Voglio vedere come


reagisce.

«Per il bricolage?» mi chiede sorpresa.

Mi viene da ridere. “Tesoro, il bricolage non è la mia


passione”. Annuisco, soffocando l’ilarità. I suoi occhi
guizzano sul mio corpo, e mi irrigidisco. Mi sta
osservando attentamente!

«Tute da lavoro» spara.

È la cosa più inattesa che sia sfuggita da quella bocca


dolce e intelligente, da quando mi ha chiesto se sono
omosessuale.

«Non vorrà rovinarsi i vestiti» e indica i jeans, di


nuovo imbarazzata.

Non ce la faccio a trattenermi. «Posso sempre


togliermeli»

«Ah». Diventa rossa come un peperone e fissa il


pavimento.

«Prenderò qualche tuta. Dio non voglia che rovini i


miei vestiti» mormoro, per toglierla dall’imbarazzo.
Senza dire una parola, si gira e percorre a grandi passi la
corsia, e ancora una volta seguo la sua scia eccitante.

«A posto così?» dice, senza fiato, passandomi un paio


di tute blu. È mortificata, tiene gli occhi ancora piantati a
terra, e le guance sono sempre rosse. Cristo, che effetto
mi fa!

«Come sta venendo l’articolo?» le chiedo, sperando


che si rilassi un po’.

Alza lo sguardo, e mi fa un breve sorriso sollevato. “Era


ora!”
«Non lo sto scrivendo io, ma Katherine. Miss
Kavanagh. La mia coinquilina, è lei la giornalista. È
soddisfatta di come sta venendo. È il direttore del
giornale, ed era molto avvilita di non averla potuta
intervistare personalmente.»

È la frase più lunga che ha pronunciato da quando ci


conosciamo, e sta parlando di qualcun altro, non di se
stessa. “Interessante”. Prima che io possa intervenire,
aggiunge:

«Le dispiace solo di non avere sue foto»

La tenace Miss Kavanagh vuole le fotografie. Le solite


foto posate a scopo pubblicitario, eh? Gliele posso
concedere. Mi permetteranno di trascorrere un po’ di
tempo in più con la deliziosa Miss Steele.

«Che genere di foto vorrebbe?»

Mi guarda per un attimo, poi scuote la testa.

«Be’, io sono in zona. Domani, magari…»

Posso rimanere a Portland. Lavorare dall’albergo,


magari da una camera all’Heathman. Dovrò farmi
raggiungere da Taylor, per farmi portare il computer e
qualcosa da mettermi. Oppure da Elliot, a meno che non
sia in giro a cazzeggiare, che è il suo passatempo abituale
nei fine settimana.

«Sarebbe disponibile a posare per un servizio


fotografico?» Non riesce a nascondere la sorpresa.
Annuisco brevemente. “Saresti stupita da quello che
potrei fare per trascorrere più tempo con te, Miss Steele.
In realtà, sono stupito anch’io”.

«Kate ne sarebbe entusiasta… sempre che riusciamo a


trovare un fotografo.» Sorride e il suo volto si illumina
come un’alba estiva. Mi lascia senza fiato.

«Mi faccia sapere per domani» Tiro fuori il portafoglio.

«Ecco il mio biglietto da visita. C’è anche il mio


numero di cellulare. Mi chiami prima delle dieci del
mattino»

Se non lo farà, ritornerò a Seattle e mi dimenticherò di


questa rischiosa, stupida avventura. Al solo pensiero mi
deprimo.

«Okay» e continua a sorridere.

«Ana!» Ci giriamo entrambi mentre un giovane, vestito


con abiti casual ma costosi, si materializza in fondo alla
corsia. È tutto un fottuto sorriso per Miss Anastasia
Steele. “Chi cazzo è questo coglione?”

«Ehm, mi scusi un secondo, Mr Grey.»

Lo raggiunge e il coglione la abbraccia con una mossa


scimmiesca. Mi si gela il sangue: è una reazione istintiva.
“Tira giù quelle zampacce da lei”. Stringo i pugni e mi
calmo un po’ quando vedo che lei non fa cenno di
restituirgli l’abbraccio. Iniziano a conversare. “Merda,
forse le informazioni di Welch erano sbagliate”. Forse
questo tipo è il suo fidanzato. Sembra dell’età giusta, e
non riesce a toglierle di dosso i suoi piccoli occhi bramosi.
La scosta da sé per un attimo, esaminandola, ma le tiene
un braccio sulla spalla. È una mossa apparentemente
casuale, ma io so che così sta rivendicando il possesso e
mi sta dicendo di fare marcia indietro. Lei sembra
imbarazzata, e sposta il peso da una gamba all’altra.
“Merda. Dovrei andarmene”. Poi gli dice qualcos’altro e si
muove con lui verso di me, tenendolo per un braccio, non
per mano. È chiaro che non stanno insieme. “Meno
male”.

«Ehm, Paul, ti presento Christian Grey. Mr Grey, Paul


Clayton. Suo fratello è il proprietario del negozio». Mi
guarda in un modo strano, che non riesco a decifrare, e
continua: «Conosco Paul da quando lavoro qui, anche se
non ci vediamo spesso. È appena tornato da Princeton,
dove studia gestione aziendale».

È il fratello del capo, non il fidanzato. Il sollievo che


provo, molto superiore al previsto, mi fa aggrottare le
sopracciglia. “Questa donna ha proprio fatto colpo su di
me”.

«Mr Clayton» dico con tono volutamente freddo.

«Mr Grey». La sua stretta di mano è molle. “Coglione


untuoso”.

«Aspetti un attimo…quel Christian Grey? Della Grey


Enterprises Holdings?»

In men che non si dica assisto alla sua trasformazione:


da padrone di casa è diventato uno zerbino. “Sì, sono io,
cretino”.
«Wow… Posso fare qualcosa per lei?»

«Ha già provveduto Anastasia, Mr Clayton. È stata


molto premurosa». “E ora togliti dalle palle”.

«Ottimo» mi dice con esagerato entusiasmo,


spalancando gli occhi con deferenza.

«Ci vediamo dopo, Ana»

«Certo, Paul» dice. E lui si allontana con flemma,


grazie al cielo. Lo vedo scomparire nel retro.

«Le serve altro, Mr Grey?»

«Solo queste cose» mormoro.

“Merda, ho perso tempo e non so ancora se la rivedrò.


Devo sapere se c’è una minima speranza che possa
interessarle quello che ho in mente. Come faccio a
chiederglielo? Sono pronto ad affrontare una nuova
Sottomessa, totalmente inesperta? Dovrò addestrarla per
bene”. Gemo silenziosamente, pensando a tutte le
possibilità interessanti che la situazione comporterebbe…
“Cazzo, sarebbe metà del divertimento. Le interesserà?
Oppure ho frainteso tutto?”

Ritorna alla cassa e batte i miei acquisti, tenendo gli


occhi bassi per tutto il tempo. “Guardami, dannazione!”
Voglio rivedere i suoi meravigliosi occhi azzurri e sondare
i suoi pensieri. Finalmente alza lo sguardo.

«Sono quarantatré dollari.»


“Tutto qui?”

«Vuole un sacchetto?» mi chiede, ritornando in


modalità commessa mentre le passo la carta di credito.

«Sì, grazie, Anastasia». Accarezzo il suo nome – un


nome bellissimo per una fanciulla bellissima –
assaporandolo sulla lingua.

Veloce ed efficiente, mette i miei acquisti nel sacchetto.


È tutto. Devo andare.

«Mi chiamerà se vorrà fare il servizio fotografico?»

Annuisce e mi restituisce la carta.

«Bene. A domani, forse». “Non posso andarmene via


così. Devo farle capire che mi interessa”.

«Ah… e… Anastasia, sono felice che Miss Kavanagh


non abbia potuto fare l’intervista». Deliziato dalla sua
espressione stupita, mi metto il sacchetto in spalla ed
esco lentamente dal negozio. Sì, contro ogni buonsenso,
la voglio. Ora devo aspettare. Una fottuta attesa. Di
nuovo.
Capitolo 3
Fisso da qualche minuto i dati dell’ultima spedizione,
sullo schermo del mio computer. Sono costretto a
rileggerli più volte prima di riuscire ad afferrarli
completamente. Sono al buio, seduto alla scrivania della
mia suite, all’Heathman Hotel di Portland.
Invano cerco di concentrarmi sulla marea di cifre che ho
davanti e sulle quali dovrei redigere un accurato rapporto
costi/guadagni. Tuttavia il mio cervello si ostina a
ripropormi sempre la stessa immagine. La dolce Miss
Steele e il nostro breve incontro di oggi. ‘Ti stai fottendo il
cervello, Grey’. Scuoto la testa e sospiro pesantemente.
Preferirei fottermi lei piuttosto. Solo per provare il
piacere di entrarle dentro o di vederla contorcersi sotto i
colpi della mia frusta. Chiudo gli occhi, perdendomi
nell’immagine di lei in ginocchio davanti a me, con le
mani legate saldamente dietro la sua candida schiena,
intenta a succhiare il mio uccello come oggi succhiava
quel dito. Il ricordo delle sue labbra è un’ossessione. Cosa
non farei a quella dolcissima bocca. Per fortuna lo squillo
del telefono mi riporta alla realtà, nell’oscurità della suite
in cui alloggio, perché oggi non ho saputo resistere alla
tentazione di vedere la brunetta che da cinque giorni dà il
tormento alla mia mente. ‘Sei un fottuto stalker, Grey’.
“Si, lo so. Al diavolo!”. Guardo velocemente il numero e
non lo riconosco. Rispondo seccamente, infastidito da
quell’interruzione al mio piacevole flusso di pensieri.

«Pronto?»

«Ehm…Mr Grey? Sono Anastasia Steele»


Mi alzo dalla sedia, di scatto. Cazzo, è lei! Sembra
assurdo, ma il cuore smette di battere per qualche
secondo. Poi riprende il suo ritmo a velocità folle. Che
cazzo mi sta succedendo? Mi riprendo quasi subito, per
fortuna.

«Miss Steele, che piacere sentirla!»

Mi rendo conto da solo che la mia voce si è


trasformata. Sono davvero felice di sentirla e non riesco a
nasconderlo. Sinceramente non ero sicuro che mi
chiamasse, anche se speravo che quell’insistente di Miss
Kavanagh non si lasciasse sfuggire la ghiotta opportunità
che le ho praticamente offerto su un piatto d’argento.
Miss Steele sembra molto imbarazzata, a stento
percepisco il suo respiro al telefono.

«Dunque… vorremmo procedere con il servizio


fotografico per l’articolo »

Si ferma per un attimo e sento un sonoro sospiro.


Sembra stia rilasciando tutto il fiato che tratteneva,
evidentemente, da qualche minuto. L’effetto che ho su di
lei mi gratifica. Sorrido a me stesso, compiaciuto,
rimanendo in silenzio ad ascoltarla.

«Domani, se per lei va bene. Dove le farebbe comodo?»

Lascio passare giusto qualche secondo prima di


rispondere. Mi diverte sentirla così imbarazzata, con la
voce tremante. Per me.

«Alloggio all’Heathman di Portland» le dico poi,


cercando di frenare la sua ansia per l’attesa, percepibile
anche a distanza. «Facciamo domattina qui alle nove e
mezzo?»

Odio i servizi fotografici, ma per te, Miss Steele, questo


e altro. ‘Hai davvero pensato questo, Grey?’. “Si, l’ho
fatto”. Scaccio velocemente via il pensiero che sarei in
grado di fare davvero questo e altro per quella minuta
ragazzina all’altro capo del telefono.

«Perfetto, ci vediamo lì»

La sua voce tradisce tutta la tensione e l’agitazione che


in questo momento la divorano. Questa donna mi vuole.
Lo sento, lo percepisco. E io voglio lei. Legata,
ammanettata, in ginocchio, appesa alla mia croce di
legno, completamente esposta ai miei più reconditi ed
oscuri desideri. “Non puoi nemmeno immaginare in
quanti e quali modi riuscirei a farti ansimare ancora di
più, Miss Steele”. Mi rendo conto che sono agitato
anch’io. Sto nervosamente passeggiando avanti e indietro
per la stanza, senza trovare pace. In realtà non so cosa
riesca a trattenermi, fortunatamente, dal mettermi in
macchina e presentarmi da lei per far passare ad
entrambi questa agitazione. “Non perdere il controllo,
Grey. Non è ancora il momento”. Sorrido.

«Non vedo l’ora, Miss Steele»

E non mi riferisco di certo al servizio fotografico. Sento


dal suo respiro, quasi spezzato, che riesce a percepire la
malizia nelle mie parole. Riattacca e mi lascia stranito.
Poggio distrattamente il Blackberry sulla scrivania,
accanto al computer acceso, e mi dirigo in camera da
letto. “Domani la rivedrò”. Ok, ho bisogno di una doccia.
Possibilmente fredda. É assurdo come una semplice
telefonata scateni in me un tumulto di sensazioni strane.
Nuove direi. Non sono mai stato così prima. Mai. Mi
sento eccitato, quasi felice. Solo per il fatto di aver
ricevuto una sua telefonata. E la desidero, la voglio. “Dio,
non ho mai voluto niente con tanta forza!”. Questo
pensiero mi colpisce e mi spaventa, mentre mi spoglio. Lo
specchio dinnanzi a me mi restituisce un immagine che
vorrei non vedere. Osservo il mio corpo devastato.
Riflette quello che sono. Esattamente quello che sono. Un
pensiero lancinante mi attraversa la testa come un lampo.
Lei potrebbe volere tutto questo? Potrebbe essere una
Sottomessa pronta a darmi quello che voglio? É così
ingenua, dolce, bella, sexy da morire. E maledettamente
irritante a volte. Sospiro, sorridendo amaro. Forse sono io
a non meritarla. Forse l’oscurità della mia anima non fa
per lei. ‘Avresti dovuto lasciarla in pace, Grey’. Scuoto la
testa, come se questo servisse a scacciare via tutti i miei
pensieri, e mi infilo sotto la doccia. L’acqua tiepida mi
scivola sul corpo. É una sensazione davvero piacevole.
Vorrei che potesse lavare via anche le tenebre che mi
trascino dietro da una vita. Tutto il dolore, tutta la paura,
la sofferenza, la fame. Tutta la devastazione e la
sensazione brutale della morte che ho incisa nella mia
mente. Come un marchio a fuoco. Mi tiro indietro i
capelli bagnati con una mano. Ho bisogno di distrarmi. Il
pensiero della splendida Miss Steele si insinua di nuovo
nella mia mente, irriverente come lei. Ricordo le sue
parole durante l’intervista. “Sembra un maniaco del
controllo, ha avuto solo fortuna…Lei è omosessuale, Mr
Grey?”. Nessuna donna ha mai osato sfidarmi tanto.
Faccio un sorriso sbilenco, sbirciando il mio uccello che si
è appena rianimato al solo pensiero di Anastasia Steele.
Lei mi eccita. La sua sfida nei mie confronti mi eccita. La
mano destra scivola sul mio membro eretto, stringendolo.
Chiudo gli occhi ed inizio ad accarezzarmi piano,
pensando che potrebbe essere lei a farlo. O, meglio
ancora, la sua bocca. Sono fottutamente perso di quelle
bellissime labbra. La voglio. Voglio zittire quella sua
particolare impertinenza scopando le sua dolcissima
bocca rosea. Lo voglio ossessivamente da quando mi ha
chiesto se fossi gay. O forse ancora prima. ‘Da quando è
inciampata nel tuo ufficio’. Il pensiero di averla in
ginocchio davanti a me, con il mio uccello tra le labbra,
mentre le stringo forte quei meravigliosi capelli castani,
mi basta per oltrepassare il limite.

«Cazzo!».

Raggiungo un poderoso orgasmo che mi svuota


completamente. Appoggio le mani alle piastrelle fredde,
mentre lentamente scivolo in ginocchio nella doccia.
Sento il mio respiro calmarsi a poco a poco. Percepisco
solo il rumore dell’acqua, che continua a scendere su di
me. Cosa diavolo avrà di speciale questa Miss Steele, da
ridurmi in questo stato? Sarà il fatto che non scopo da un
po’, ma non mi era mai successa una cosa del genere. Mai.
Nessuna donna mi ha mai eccitato in questo modo folle.
Aggrotto la fronte a quel pensiero e lentamente recupero
le mie forze ed esco dalla doccia. Prendo un asciugamano
e me lo avvolgo intorno alla vita, tornando in camera. Mi
asciugo velocemente i capelli e mi infilo i pantaloni del
pigiama. Prima di mettermi a letto spengo il portatile e
prendo il Blackberry. Invio un messaggio a mio fratello,
chiedendogli di raggiungermi a Portland, domani
pomeriggio, per portarmi tutto quello che mi serve per
lavorare. Trenta secondi più tardi lo schermo del mio
telefono s’illumina. Il laconico

“Ok, fratello!”

mi fa sorridere. Scuoto la testa e mi metto a letto.


Rimango per un po’ ad osservare il soffitto. Il pensiero di
posare plasticamente e sorridere a comando, domattina,
non mi entusiasma per niente, devo ammetterlo. Odio
queste cose. Ma è l’unica opportunità che ho per
rivederla. In fondo sono stato io a proporglielo. Mi giro e
mi rigiro nel letto, fino a che, lentamente e con molta
fatica, riesco finalmente ad addormentarmi. Ma un paio
di occhi azzurri, intensi, e il ricordo di quelle dolci labbra
tornano insistentemente a farmi visita durante le poche
ore di sonno che mi concedo.

La sveglia si accende all’improvviso, ricordandomi che


sono le 7.30 e devo alzarmi se voglio essere pronto in
tempo per il servizio fotografico. In realtà sono sveglio da
quasi tre ore, con un’agitazione che mi divora lo stomaco.
‘Christian Grey dilaniato dall’ansia?’. Anche il mio
cervello mi prende in giro. Andiamo bene. Mentre mi
alzo, ripenso a stanotte. Era da un po’ che i miei incubi
non mi lasciavano in pace. E ora, il pensiero di Anastasia
ha fatto il miracolo. Niente cinghia, niente dolore, niente
fame stanotte. Nessuno ha scovato il mio nascondiglio
sotto al tavolo, nessuno mi ha torturato. Nessun odore
nauseante di bourbon e sigarette. Nessuna mamma
indifferente che lascia il proprio figlio nelle mani di un
mostro. Solo occhi azzurri, labbra rosee e pelle candida,
perfetta. Solo Anastasia. Scuoto la testa e sorrido, anzi
rido di me stesso. Non sono abituato a provare queste
cose. “Cazzo, Grey, devi scoparti quella ragazza e farti
passare alla svelta questa sensazione”. Sì, ecco quello che
devo fare. Prima di andare a farmi la doccia, ordino la
mia colazione. Quaranta minuti più tardi mi siedo a
tavola per gustare la mia omelette di albumi e il mio
succo d’arancia. Ho optato per un look non troppo
elegante. Camicia bianca di lino e pantaloni grigi di
flanella. Mi sento stranamente riposato, nonostante abbia
dormito per un numero esiguo di ore. La mancanza di
incubi mi ha completamente rigenerato. ‘Anastasia Steele
ti ha rigenerato’. Ed ecco che l’ansia torna a farsi sentire.
Cerco di metterla da parte. Apro il giornale e mi dedico
alla mia colazione. Sono le nove e quindici minuti quando
Taylor mi avvisa che sono atteso in una delle altre suite
dell’albergo. “Ci siamo”. Chiudo con cura il giornale,
prendo il mio Blackberry e mi avvio verso colei che, da
giorni, tiene vivo me e costante la mia erezione.

In perfetto orario, come d’abitudine, faccio il mio


trionfale ingresso nella suite allestita per il servizio
fotografico, accompagnato da Taylor, il mio fedele
collaboratore, colui che da quattro anni è diventato
praticamente la mia ombra. A volte non so cosa farei
senza di lui. Incrocio quasi subito lo sguardo ammirato di
Miss Steele, mentre Taylor si ferma in un angolo, discreto
come sempre. Mi osserva a bocca aperta, come se volesse
bere la mia immagine.

«Miss Steele, ci incontriamo di nuovo»

Le tendo la mano, con un sorriso compiaciuto, mentre


lei la stringe prontamente. Il desiderio di entrambi si
riverbera completamente in quel tocco. É la stessa
sensazione che ho provato quel giorno nel mio ufficio,
prima ancora di conoscerla. I suoi occhi mi avevano già
stregato. Lei continua a fissarmi, mentre il suo respiro
cambia, diventando più affannoso, eccitato e sexy da
morire. “Merda!”. Per fortuna che i pantaloni di flanella
nascondono la consueta erezione che accompagna la sola
vista di questa ragazza. Le dò una rapida occhiata. Ancora
blue jeans. “Cos’hai contro le gonne, Miss Steele?”.
Metterebbero in risalto le sue splendide gambe. Sarei
davvero curioso di vederla con qualcosa di diverso, di più
sexy. Magari con addosso solo della preziosa biancheria
di ottima fattura. O, magari, assolutamente niente.
All’improvviso Anastasia sembra risvegliarsi e ricordarsi
degli altri presenti in camera, riportandomi indietro con
lei da quel magico torpore in cui c’eravamo persi.

«Mr Grey, le presento Katherine Kavanagh».

Il suo imbarazzo tradisce i suoi pensieri,


evidentemente non molto differenti dai miei, mentre mi
indica la sua amica. Dalla sua destra si fa avanti una
ragazza alta, con i capelli di uno strano colore rossastro. É
bella, ma è nulla in confronto ad Anastasia. Avanza con
passo deciso, spavalda, trasudando sicurezza da tutti i
pori. Le due ragazze che ho di fronte sono talmente
diverse che anche un cieco lo noterebbe. E in questo
momento ringrazio Dio che sia stata Anastasia ad entrare
nel mio ufficio e non la sua amica.

«La tenace Miss Kavanagh. È un piacere». Le stringo la


mano, sorridendole educatamente, mentre lei ricambia
con forza. «Spero che si sia ripresa. Anastasia mi ha detto
che la scorsa settimana è stata male»

«Sto bene, grazie, Mr Grey»

Miss Kavanagh mi scruta con attenzione, ma non si


scompone. Una delle poche donne che non mi sbava
addosso. Ne sono decisamente sollevato.

«La ringrazio per aver trovato il tempo di fare questo


servizio fotografico» dice, con un sorriso cortese e
professionale.

«É un piacere»

Rispondo a lei, ma guardo Anastasia che arrossisce


fino al midollo. Accendendo di nuovo la mia eccitazione.
Voglio che si renda davvero conto che se sono qui, ad
aspettare di farmi fotografare in pose ridicole, è solo per
lei. Il mio uccello freme di nuovo. “Cazzo, Grey! Datti una
bella calmata”. Anastasia continua le presentazioni.

«Questo è José Rodriguez, il nostro fotografo»

Mi indica un giovane ragazzone, dai tratti latini, che,


dietro di lei, armeggia con una macchina fotografica. Gli
sorride teneramente e lui contraccambia in modo
affettuoso. Troppo affettuoso per essere solo un amico. Li
scruto attentamente. “Ti prego Miss Steele. Non dirmi
che questo figlio di puttana è il tuo fidanzato!”.
Istintivamente vorrei spaccargli la faccia. Purtroppo
posso solo limitarmi a guardarlo con gelido disprezzo
mentre, rispondo al suo saluto. “Fidanzato o meno, ti
conviene staccare i tuoi artigli dalla piccola brunetta, José
Rodriguez o come cazzo ti chiami. Lei è mia. O meglio, lo
sarà presto”.

«Dove vuole che mi metta?» gli chiedo, senza


preoccuparmi di nascondere la mia stizza.
Non me ne fotte un cazzo dell’educazione, in questo
momento. Sono furioso. Voglio marcare sin da ora il mio
territorio. Ed è meglio che lui ne stia alla larga. Miss
Kavanagh interviene prontamente, senza lasciargli spazio
di manovra. Ecco un’altra che non si lascia mettere i piedi
in testa da nessuno.

«Mr Grey, potrebbe sedersi qui, per favore? Faccia


attenzione ai cavi delle luci. Poi faremo qualche scatto in
piedi»

Mi indica una poltrona, dove mi accomodo attendendo


le sue istruzioni. Ho capito che sarà lei ad avere la
gestione completa di tutto il servizio. L’assistente mi
spara le luci in faccia, abbagliandomi, e per poco non mi
lascio sfuggire un’imprecazione. Farfuglia delle scuse,
evidentemente imbarazzato, prima di allontanarsi,
insieme ad Anastasia, verso la porta. Il figlio di puttana
inizia a scattare, facendomi cambiare posa diverse volte.
Armeggia con il cavalletto, e cerca l’angolazione migliore.
Devo riconoscere che almeno non ho a che fare con uno
sprovveduto. Sembra davvero sapere quello che fa. Per
tutto il tempo sento lo sguardo di Anastasia addosso.
Cerco di incrociare i suoi occhi e riesco a guardarla un
paio di volte. É li, in un angolo a divorarsi quel labbro.
“Cazzo!”. Faccio fatica a concentrarmi a causa
dell’eccitazione. Mr Rodriguez mi si sposta davanti,
occupandomi la visuale. Devo sapere se è il suo ragazzo.
Si sposta e riesco a guardarla ancora una volta. La fisso
intensamente e lei abbassa lo sguardo imbarazzata. Mi
piace l’effetto che ho su di lei.

«Direi che può bastare per le foto da seduto»


Katherine Kavanagh mi distoglie bruscamente dai miei
pensieri. Mi alzo, sorridendo educatamente e lasciando
che l’assistente sposti la poltrona. Altri cinque minuti di
tortura e poi, finalmente, riesco a tornare libero.

«Grazie di nuovo Mr Grey»

La Kavanagh mi stringe la mano, congedandomi,


seguita dal fotografo. “Merda!” Non posso andarmene
così. Devo trovare un modo per restare da solo con Miss
Steele. Voglio tentare di capire quello che prova, se posso
continuare fino in fondo questa follia. E soprattutto
voglio tentare di capire quello che provo io.

«Non vedo l’ora di leggere il suo articolo, Miss


Kavanagh»

Saluto cordialmente la mia interlocutrice e mi giro


verso Anastasia. Intanto trasciniamola fuori di qui,
lontano dallo sguardo insistente di quel figlio di puttana.

«Le andrebbe di accompagnarmi, Miss Steele?» le


chiedo sorridendole.

“Bene. Prendi tempo Grey”. Colta alla sprovvista non


riesce a dire di no.

«Certo»

Guarda nervosamente la sua amica, sorpresa quanto


lei, e quel figlio di puttana, che ci osserva preoccupato. La
sua espressione soddisfa il mio animo vendicativo.
«Buona giornata a tutti» saluto, con una gioia che di
solito non mi appartiene.

Apro la porta e mi sposto per lasciare passare


Anastasia. Il suo sedere, fasciato dai jeans, rianima il mio
uccello. Taylor si muove dall’angolo in cui era rimasto per
tutto il tempo, seguendomi. Noto vagamente
un’espressione corrucciata passargli in viso per qualche
secondo. Si starà chiedendo cos’ho in mente per la povera
Miss Steele. Gli lancio un’occhiata fredda, mentre seguo
Anastasia. Non lo pago per preoccuparsi di chi mi porto a
letto. Appena fuori dalla porta, lo congedo e mi giro a
guardare la mia accompagnatrice. “Ora o mai più”.

Rimane lì, di fronte a me, contrita, divorata


dall’agitazione, così remissiva e… si, sottomessa. Vorrei
prenderla qui, in corridoio, e farla mia subito. “Non sai
quanto mi renderebbe felice invadere quella bocca
impudente, sculacciare a sangue il tuo sedere così
perfetto o torturare i tuoi piccoli, meravigliosi seni”. Ma
devo accontentarmi di guardare per il momento.
Guardare e sperare.

«Mi chiedevo se ha voglia di prendere un caffè con


me»

Mi gioco la carta dell’appuntamento informale. Mi


guarda stralunata, come se non capisse fino in fondo le
mie parole. Dopo un lasso di tempo che sembra
interminabile, si schiarisce la voce e sembra riaversi.

«In realtà, dovrei accompagnare gli altri a casa»


Ma che cazzo...? Rimango interdetto dalla sua risposta.
Mi sta dicendo di no, per caso? “No, non puoi rifiutare
Miss Steele. Non esiste. Io e te andremo via da questo
albergo, ci siederemo al tavolino di un bar e berremo un
fottutissimo caffè mentre cerco di capire chi sei e cosa mi
stai facendo. In fondo so che lo vuoi”. ‘Forse sei solo tu a
volerlo, Grey’. Per un istante temo che il mio cervello
abbia ragione. No. Non può essere. Ho visto come
reagisce alle mie parole, ai miei sguardi. A me. É ferma
davanti a me a tormentarsi le mani.

«Taylor!» urlo, spaventandola.

Taylor fa dietrofront lungo il corridoio e torna, con


calma, verso di noi.

«Alloggiano all’università?» le chiedo, fissandola


intensamente.

Annuisce, senza riuscire a spiccicare parola.

«Può accompagnarli Taylor. È il mio autista» la


rassicuro. «Abbiamo un grosso SUV, sul quale riuscirà a
caricare anche l’attrezzatura»

Taylor, nel frattempo, ci ha raggiunti.

«Mr Grey?» chiede.

«Potrebbe accompagnare a casa il fotografo, il suo


assistente e Miss Kavanagh?»
«Certo, signore»

Guardo Anastasia, con un sorrisetto soddisfatto.

«Ecco fatto. Ora può venire a prendere un caffè con


me?» torno a chiederle.

Lei continua ad esitare, giocherellando con le dita.


“Cazzo Grey! Se ti dice ancora di no piantala in asso e
scordatela. Chi cazzo si crede di essere?”

«Mr Grey, ecco…». Sembra imbarazzata e combattuta.


«Mi sembra davvero… Senta, non è necessario che Taylor
li accompagni a casa». Lo fissa contrita, come per
scusarsi. «Se mi dà un attimo scambio la mia macchina
con quella di Kate»

Il sollievo mi illumina il volto. Sorrido, davvero felice


per la sua risposta. Congedo nuovamente Taylor e le apro
la porta della suite, lasciandola entrare. Rimango ad
aspettarla fuori, socchiudendo leggermente la porta.
Riesco a sentire distintamente Miss Kavanagh che la
travolge con un fiume di parole.

«Ana, penso proprio che tu gli piaccia!» le dice.

Perspicace!

«Però io non mi fido di quel tipo» aggiunge poi.

Che cazzo…? Con la coda dell’occhio scorgo Anastasia


che cerca di zittire l’amica, imbarazzata. “Non ascoltarla,
non cambiare idea”. Le voci si abbassano. “Merda!”.
Riesco solo a scorgere lo stupore che si dipinge sul volto
della Kavanagh e la rabbia su quello del fotografo. Di
colpo la sua amica le afferra un braccio e la trascina
nell’altra stanza. “Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo!” Cosa cazzo
le starà dicendo? Potrebbe riuscire a convincerla a
rinunciare al nostro caffè. “Cazzo!” Mi appoggio al muro
del corridoio, trattenendo a stento la rabbia mentre
aspetto. Sembra passare un’eternità prima che lei
riemerga da quella cazzo di stanza. La guardo
preoccupato. É molto agitata.

«Okay, andiamo a prendere questo caffè» mormora


arrossendo, quasi come se si stesse liberando di un peso.

Le sorrido senza trattenere il sollievo.

«Dopo di lei, Miss Steele»

Ogni occasione, in fondo, è buona per ammirare il tuo


splendido culo. Si avvia davanti a me, con un’andatura
leggermente incerta. La guardo in silenzio. Deve essere
mia. Ad ogni costo. Mentre aspettiamo l’ascensore le
rivolgo qualche domanda sulla sua amica. Voglio capire
fino a che punto potrebbe farsi influenzare da lei.

«Da quanto tempo conosce Katherine Kavanagh?»

«Dal nostro primo anno all’università. È una buona


amica»

Non riesco a trattenere un verso sarcastico. Una buona


amica che per poco non ha mandato a monte i miei sforzi
di restare da solo con te. Una buona amica che potrebbe
influenzarti al punto di farti cambiare idea su di me. O
credi che non mi sia accorto di come manipola chiunque
gli sia accanto. Te compresa, Miss Steele. E tu non riesci a
dirle di no. Altrimenti non ti saresti mai fatta convincere
a fare quella stupida intervista nel mio ufficio. “Ma per
questo non posso fare altro che ringraziarla”.

Premo il pulsante di chiamata dell’ascensore, che


arriva quasi subito. La guardo di nascosto. A cosa pensi
Miss Steele? Le porte dell’ascensore si spalancano,
sorprendendo, e mettendo in imbarazzo, una giovane
coppia di innamorati, che si separano di scatto. Mi scappa
un sorriso, mentre Anastasia fissa insistentemente il
pavimento, per tutto il tempo, imbarazzata più dei due
giovani amanti. É così dolce, probabilmente molto
inesperta, considerata anche la sua giovane età. ‘É troppo
giovane, forse. Il mio cervello ha ragione, ma resta il fatto
che in lei c’è qualcosa che mia attrae. Peggio di una
calamita. É così bella, così pura. Vorrei sfiorare la sua
pelle per sentire quella dolce sensazione che si irradia
dentro di me ogni volta. Finalmente le porte si aprono
davanti a noi. Non riesco a resistere. Le prendo la mano e
la conduco fuori, lasciando dietro di noi le risatine
soffocate della coppietta colta in fallo. Ed eccola,
finalmente. La sensazione che ho bramato per tutta la
mattina. Di nuovo quella tensione erotica al solo sfiorarsi
delle nostre dita. La sento che mi attraversa tutto, che mi
eccita oltremodo. Le sorrido. So che anche lei la
percepisce. Attraverso la hall tenendola per mano ed evito
le porte girevoli. Ora che è mia non voglio dover
interrompere questo contatto. Il suo tocco mi rende felice
come un bambino. Certo, non potrei sopportarlo se mi
toccasse altrove. Ma sfiorarle la mano mi piace, mi eccita.
Ecco, a pensarci bene, magari qualche altro posto che
reclama il suo tocco in questo momento c’è… Pochi
secondi e ci ritroviamo in strada. La guardo di sfuggita,
senza lasciare la stretta. Sembra alquanto scossa, ma non
in modo negativo. Più che altro incredula, direi. Continua
a fissare la sua mano stretta nella mia. Fatico a reprimere
un sorriso. “Oh, Miss Steele! Non sarà di certo la prima
volta che un uomo ti tiene per mano!”. Devo avere
proprio un effetto straordinario su di lei. Questo mi
appaga i sensi. Continua a rimanere in silenzio durante il
tragitto, offrendomi un’occasione unica per osservarla
meglio. Non è molto alta, ma snella, slanciata. Forse un
po’ troppo magra. I capelli castani le incorniciano il viso
pallido, etereo. I suoi occhi sono di un azzurro intenso,
profondi. E le sue labbra… Ho notato che spesso le
mordicchia quando è nervosa. Quel gesto mi manda
letteralmente in estasi. Mi fa venire voglia di scoparmela
dovunque mi trovi. Bè… è proprio sexy! Continuo a
trascinarmela dietro, con aria decisamente compiaciuta,
per quattro isolati, prima di raggiungere il Portland Coffe
House. A malincuore, le lascio la mano, davanti alla
porta, per permetterle di entrare. All’interno ci accoglie il
brusio sommesso, tipico di una caffetteria. Mi guardo
intorno. Sono diversi i tavoli ancora vuoti, mentre la fila è
già abbastanza lunga per i miei gusti.

«Perché non sceglie un tavolo, mentre faccio le


ordinazioni? Che cosa prende?» le chiedo gentilmente.

Arrossisce.

«Prendo… ehm… un tè English Breakfast, con la


bustina a parte»

Cosa? Un tè?
«Niente caffè?» le chiedo, evidentemente sorpreso.

«Non sono un’amante del caffè»

Le sorrido compiaciuto.

«D’accordo, tè con bustina a parte. Dolce?».

Lei mi guarda per un attimo spiazzata, sbattendo


quegli occhi da cerbiatta pieni di stupore. La guardo
senza capire. Poi sembra riprendersi, anche se
l’imbarazzo non la molla.

«No, grazie.»

«Qualcosa da mangiare?»

«No, grazie.» vorrei ribattere a quest’ultima cosa,


dicendole che nutrirsi non è un crimine contro l’umanità
e che dovrebbe iniziare a farlo sul serio, ma mi trattengo.

Meglio non contraddirla troppo per oggi. Mentre mi


dirigo alla cassa mi ritrovo a pensare che avrebbe potuto
facilmente declinare l’invito con una scusa semplice e
banale. E invece e qui. Nonostante io l’abbia invitata a
bere caffè, che lei detesta. Il mio sorriso si amplia.
Promette bene. Sorrido spavaldo e una serena gioia mi
invade. Non mi giro a guardarla, ma so che mi sta
osservando. Lo sento. Per tutta la mattina non ha fatto
altro. Ma il mio bell’aspetto potrebbe ingannarti Miss
Steele. Non so quanto ti piacerei ancora se tu sapessi di
che pasta sono fatto. Il pensiero mi incupisce di colpo. Mi
passo una mano tra i capelli. Probabilmente lei non è una
Sottomessa. Dovrò spiegale, farle capire tante cose… e
tenerla all’oscuro di tante altre. E se non mi volesse?
Vengo distratto dalla commessa che mi chiede
gentilmente, con un’espressione estatica sul viso, cosa
desidero ordinare.

«Un tè English Breakfast con bustina a parte, un caffè


macchiato e un muffin ai mirtilli, per favore».

Efficiente e adorante la ragazza mi serve in pochissimo


tempo. Addirittura il mio caffè è simpaticamente decorato
con un motivo floreale. Le faccio il mio classico sorriso
abbagliante e lei sembra quasi sciogliersi mentre pago e le
lascio una consistente mancia. Mentre torno al tavolo con
le nostre ordinazioni osservo Anastasia. Ha gli occhi
bassi, persa nei suoi pensieri, e sembra imbarazzata. E si
sta mordendo il labbro. Il mio uccello ha un ulteriore
fremito e per poco non lascio cadere a terra il vassoio.
Vorrei morderlo io quel labbro. Quell’innocente gesto di
inquietudine mi fa venire un’insana voglia di scopamela
qui, davanti a tutti.

«A cosa sta pensando?» le chiedo quando arrivo


accanto a lei.

Diventa rossa di colpo, poi scuote la testa rimanendo in


silenzio. “I tuoi pensieri non devono essere molto diversi
dai miei Anastasia”. Le porgo una tazza sul piattino, una
piccola teiera e un secondo piattino con una bustina di tè.
Davanti a me poso la tazza con il caffè macchiato e il
dolce. Mi siedo tranquillamente di fronte a lei.

«A cosa sta pensando?» le chiedo di nuovo.


Lei guarda la bustina d’infuso.

«Questo è il mio tè preferito»

Guardo anch’io. Twinings English Breakfast. Da tenere


a mente, non si sa mai. “Ma comunque non barare Miss
Steele. Mi stai nascondendo qualcosa”. Anastasia
immerge la bustina nella teiera, arrossendo, di nuovo
imbarazzata, e quasi subito la toglie, poggiandola sul
piattino. Le piace davvero leggero il tè! La guardo
interrogativamente, chinando la testa di lato, divertito.

«Mi piace che il tè sia leggero» mormora.

Oddio, sente il bisogno di giustificarsi anche per come


prende il tè. Ha un’aria così contrita. Sembra una
ragazzina colta in fallo, sempre a scusarsi, sempre in
attesa di un rimprovero. E io voglio sempre più che sia la
mia nuova Sottomessa.

«Capisco» le rispondo sorridendo.

Poi mi torna in mente il fotografo. Non riesco a frenare


la mia curiosità. Devo saperlo.

«Lui è il suo fidanzato?»

«Chi?» mi chiede sorpresa.

‘Non ti legge la mente, idiota’. Già. Anche se quegli


occhi azzurri sembrano penetrarmi a fondo. Mi sento così
esposto davanti a lei.
«Il fotografo. José Rodriguez» completo la frase.

Per tutta risposta lei scoppia a ridere, divertita e allo


stesso tempo imbarazzata. Bene, questa reazione mi
rassicura. Non è il suo ragazzo.

«No. José è un mio caro amico, ma niente di più.


Perché ha pensato che fosse il mio fidanzato?» mi chiede
curiosa.

«Il modo in cui lei gli ha sorriso, e in cui lui ha


contraccambiato il suo sorriso»

La fisso dritto negli occhi e lei non riesce a staccarli dai


miei.

«È più che altro una specie di fratello» continua a


spiegare.

Annuisco e decido di darle qualche secondo di respiro.


Mi dedico al mio muffin, lasciandole un po’ di tempo per
riprendersi. Mi guarda estasiata mentre lo scarto. Mi fa
sorridere. Mi diverte.

«Ne vuole un pezzetto?» le chiedo.

Ovviamente non mi riferisco al muffin. Ma la sua


ingenuità non afferra il doppio senso.

«No, grazie»

La guardo, decidendo che la sua tregua è durata


abbastanza. Sono avido di sapere. Se ha un ragazzo o
perché non ce l’ha. Se è libera, disponibile. Se ho una
speranza. Voglio essere sicuro fino in fondo. ‘Da quando
sua maestà deve sperare per potersi scopare qualcuna?’.
Il mio cervello si diverte a mandarmi qualche frecciatina
che decido di ignorare.

«E il ragazzo che mi ha presentato ieri al negozio?


Nemmeno lui è il suo fidanzato?»

Mi guarda un po’ male.

«No. Paul è solo un amico. Gliel’ho detto ieri. Perché


me lo chiede?»

É scocciata. Oh, Miss Steele caccia gli artigli!


“Tranquilla, tesoro. Sono solo curioso. E ansioso di sapere
se ho il campo completamente libero”.

«Sembra nervosa con gli uomini». La punzecchio un


po’.

«Lei mi intimidisce»

La sua risposta sincera, mentre arrossisce, mi colpisce


e gratifica allo stesso tempo. Le faccio effetto, questo è
certo. Ma voglio sapere di più.

«Capisco. Lei è molto schietta. La prego, non abbassi lo


sguardo» le dico prima che possa spostare la direzione di
quei bellissimi occhi. «Mi piace guardarla negli occhi. Mi
dà un’idea di quali possano essere i suoi pensieri » le dico
piano. «Lei è un mistero Miss Steele».
“Un bellissimo mistero che mi ha stravolto la vita”. Lei
mi guarda amaramente.

«Non c’è niente di misterioso in me».

«Penso che sia molto riservata», osservo.

Ora il suo sguardo è spiazzato. Continuo ad incalzarla.

«A parte quando arrossisce, il che accade spesso.


Vorrei solo sapere cosa la fa arrossire».

Mastico un pezzetto di muffin e la guardo. Tre, due,


uno. E arrossisce. Oh, Miss Steele. Ti conosco da un’ora e
già riesco a prevedere il tuo comportamento. Immagina
cosa potrei farti se ti lasciassi convincere a seguire il mio
sentiero oscuro.

«Lei fa sempre commenti così personali?».

La sua domanda mi coglie di sorpresa e abbandono di


colpo i miei pensieri lascivi su di lei. Uno strano senso di
colpa mi invade.

«Non me n’ero reso conto. L’ho offesa?» le chiedo


preoccupato.

Non vorrei aver rovinato tutto per la mia mania di


controllo esagerata.

«No» risponde calma.


«Bene»

«Ma devo dire che non ha molto tatto».

Mi spiazza completamente. Non volevo offenderla, non


era mia intenzione. Mi sento davvero in colpa. Forse ho
tirato troppo la corda. E, quasi senza accorgermene, mi
ritrovo a vergognarmi di me stesso. Mi rendo conto di
essere appena arrossito come lei. Cerco di riprendermi
subito. ‘Che cazzo ti succede Grey?’ Questa donna è
davvero un enigma. Ed è frustrante. Nessuno mi aveva
mai messo in imbarazzo. Mai. E ora arriva questa Miss
Steele da chissà dove. E mi sento come un quindicenne
colto in fallo. Ora avrei davvero voglia di farle passare la
volontà di fare l’impertinente con una sonora sculacciata.
Magari seguita da una bella scopata. “Già, niente male
come idea”.

«Sono abituato a fare a modo mio, Anastasia. In tutte


le cose» le rispondo fingendo una calma che in realtà non
sento affatto.

«Non ne dubito. Perché non mi ha chiesto di chiamarla


per nome?».

Audace e polemica la giovane Miss Steele. Mi


innervosisce il suo modo di sfidarmi. Lo ha fatto anche
durante l’intervista e ora lo sta rifacendo. Nessuno mi
sfida mai. Soprattutto le mie Sottomesse o aspiranti tali.
Mi viene naturale mettere le distanze tra di noi. Non mi
va di farmi mettere i piedi in testa da una ragazzina.

«Le uniche persone che mi chiamano per nome sono i


miei familiari e pochi amici intimi. Preferisco così»

Mi guarda e so che sta pensando che io sia un maniaco


del controllo. Ma i fatti sono questi. Nessuna delle mie
Sottomesse ha il permesso di chiamarmi per nome. ‘Ma
lei non è una tua Sottomessa’, mi ricorda gentilmente il
mio cervello. I suoi occhi mi scrutano a fondo. Distolgo lo
sguardo da lei e ritrovo la mia compostezza. Addento un
altro pezzo del mio muffin ai mirtilli.

«Lei è figlia unica?»

Voglio farla parlare di sé. In realtà conosco il suo


dossier a memoria, ma sono curioso di sapere fin dove si
spinge a parlare di sé.

«Sì » risponde laconicamente.

Ricordo che nemmeno le altre due volte che ci siamo


incontrati è stata molto loquace. Di questo passo dovrò
cavargli le parole di bocca. Da quella dolcissima bocca che
volentieri userei per altro. Ma meglio non distrarmi ora.
Già mi ha colto di sorpresa una volta.

«Mi racconti dei suoi genitori»

Rimango su un territorio neutrale. E poi ho notato che


si sente più a suo agio a parlare di altre persone piuttosto
che di lei.

«Mia madre vive in Georgia con il suo nuovo marito,


Bob. Il mio patrigno vive a Montesano»
«E suo padre?», la incalzo.

«È morto quand’ero appena nata»

Forse non avrei dovuto farle questa domanda. Ma


probabilmente avrebbe potuto insospettirsi se non le
avessi chiesto nulla. Di certo non posso dirle che ho un
intero dossier che parla di lei nello schedario del mio
studio.

«Mi dispiace» le mormoro.

In fondo anche mia madre è morta. Ma a me non


dispiace.

«Non ho nessun ricordo di lui»

“Vorrei essere fortunato come te, piccola”.

«E sua madre si è risposata?»

Sbuffa. Le leggo negli occhi una traccia di ironia, mista


ad esasperazione.

«Può ben dirlo»

Già, quattro volte. L’ho letto nel dossier di Welch.


Tuttavia lei non me lo ha detto.

«Non lascia trapelare molto, eh?» le dico quasi seccato.

«Neanche lei» mi risponde sullo stesso tono.


Piccola, non irritarmi troppo. Non farmi fare di nuovo
lo stronzo.

«Mi ha già intervistato una volta e ricordo qualche


domanda pungente»

“Chiedermi se fossi gay non ti è bastato, Miss Steele?”.


So di averla punta sul vivo. Le strizzo l’occhio divertito e
soddisfatto e lei abbassa lo sguardo, mortificata.
Finalmente inizia a farfugliare qualcosa.

«Mia madre è incredibile. È un’inguaribile romantica.


Al momento è al quarto marito. Mi manca. Adesso ha
Bob. Spero solo che lui riesca ad aver cura di lei e a
raccogliere i cocci quando i suoi progetti sventati non
vanno come previsto»

La guardo sorpreso. Non per il numero di mariti, ma


perché basta davvero poco per farla sbottonare. Anche se
preferire farlo nel senso letterale del termine. Sorride
affettuosamente parlando di sua madre. Sorseggio il mio
caffè e il movimento delle mie labbra cattura la sua
attenzione. Pensa che non me ne accorga? Sembra
incantata. Potrei dirle qualcosa, ma non voglio metterla
in imbarazzo ora. Voglio solo conoscerla meglio e tentare
di capire se posso coinvolgerla nella mia vita.

«Va d’accordo con il suo patrigno?»

«Molto. Mi ha cresciuto. È l’unico padre che conosco»

Come Carrick per me.


«E che tipo è?»

«Ray? È… taciturno»

La guardo sorpreso.

«Tutto qui?»

Lei per tutta risposta si stringe nelle spalle.

«Taciturno come la figliastra», osservo.

Sembra seccata dalla mia battuta.

«Ama il calcio, soprattutto quello europeo, il bowling,


la pesca con la mosca, e costruire mobili. È un falegname.
Ex militare»

«Ha vissuto con lui?»

«Sì. Mia madre ha incontrato il Marito Numero Tre


quando avevo quindici anni. Io sono rimasta con Ray»

Il fatto che non abbia seguito la madre mi incuriosisce.


Da come mi ha parlato di lei, prima, sembra abbiano un
buon rapporto.

«Non ha voluto vivere con sua madre?».

Miss Steele assume un’espressione davvero irritata. Ho


forse calcato troppo la mano?

«Il Marito Numero Tre viveva in Texas. Casa mia era a


Montesano. E… sa, mia madre era appena sposata»

Si interrompe bruscamente, cambiando espressione.


Poi passa al contrattacco.

«Mi dica dei suoi genitori»

Oh, no. No Miss Steele. Non sono io quello sotto


interrogatorio oggi. Alzo le spalle imitando il suo
comportamento di poco fa.

«Mio padre fa l’avvocato, mia madre la pediatra.


Vivono a Seattle»

«Cosa fanno i suoi fratelli?»

Non demorde. Vinco la reticenza e l’accontento ancora


una volta.

«Elliot lavora nell’edilizia e mia sorella minore vive a


Parigi, dove studia cucina con qualche rinomato chef
francese»

«Dicono che Parigi è bellissima»

«È vero. C’è mai stata?»

Approfitto di questa divagazione per spostare la


conversazione su un argomento che non sia io.

«Non ho mai lasciato gli Stati Uniti»

«Le piacerebbe andarci?»


«A Parigi? Certo! Ma il posto che vorrei visitare più di
tutti è l’Inghilterra»

Chino la testa di lato, genuinamente affascinato, e mi


sfioro la bocca con l’indice. La giovane Miss Steele
sembra in estasi. A stento riesco a non sorridere a causa
della sua aria beata.

«Come mai?» le chiedo piano.

Esita per un attimo nel rispondere. Sembra a disagio,


improvvisamente accaldata. Si sta eccitando. Poi
all’improvviso ritorna padrona di sé.

«È la patria di Shakespeare, della Austen, delle sorelle


Brontë, di Thomas Hardy. Mi piacerebbe tanto vedere i
luoghi che hanno ispirato quelle opere meravigliose».

La guardo intensamente. “Lascia perdere queste


stronzate romantiche Anastasia. Non fanno per me.
Mentre tu… bè penso che potresti essere davvero la mia
nuova Sottomessa”. Mi sto convincendo che potrebbe
davvero funzionare. Certo mi sembra ovvio che lei non
sappia molto di queste cose. Ma, in fondo, quello che
serve è un po’ d’impegno e un cambiamento delle sue
abitudini sessuali. Lei guarda nervosa l’orologio.

«È meglio che vada. Devo studiare» dice


frettolosamente. All’improvviso sembra ansiosa di
tornarsene a casa.

«Per gli esami?»


«Sì. Iniziano martedì»

«Dov’è l’auto di Miss Kavanagh?», le chiedo mentre ci


alziamo dal tavolino.

«Nel parcheggio dell’albergo»

«La accompagno»

Per qualche istante mi scruta a fondo, in silenzio.

«Grazie per il tè, Mr Grey»

«Di niente, Anastasia. É stato un vero piacere».

“Non ringraziarmi. Non lo merito. Non per tutto quello


che mi piacerebbe farti”.

«Venga» le ordino, porgendole la mano.

Torniamo verso l’hotel in rigoroso silenzio. In realtà


continuo a pensare a come sarebbe vederla nuda. Osservo
il suo corpo esile, i suoi capelli bruni. Ha un seno perfetto
e un sedere da paura.

«Indossa sempre i jeans?»

La domanda inopportuna partorita dalla mia mente,


mi sfugge prima che possa fermarla.

«Quasi sempre»
É ovviamente sorpresa. Tanto quanto me che gliel’ho
chiesto. E poi, ad un tratto è lei a sorprendere me.

«Ha una fidanzata?» mi chiede di getto.

A quanto pare non sono l’unico che ha perso il contatto


bocca-cervello. Le sorrido amaro.

«No, Anastasia. Non sono un tipo da fidanzate»

Sono un tipo da fruste, manette, verghe. Un tipo


violento, duro. Sono un Dominatore che ama
sottomettere ragazze come te. Tutto, ma non un tipo da
fidanzate. Mi rendo conto solo in questo momento che è
stato un errore vederla. Uno stupido errore. Lei è dolce,
ingenua, una tipa romantica. Vuole un fidanzato, un
impegno serio. Io, invece, tutto quello che voglio è una
firma su un pezzo di carta che mi autorizzi a fare di lei ciò
che più mi piace. Come legarla, frustarla, scoparla fino a
farle perdere i sensi. Sono solo uno stronzo che deve
lasciarla perdere. Eppure il solo pensiero di lasciarla
andare è lancinante. Lei mi fissa, evidentemente a disagio
per la domanda che mi ha appena fatto. E, forse, delusa
dalla mia risposta. Il suo sguardo, all’improvviso, inizia a
vagare in cerca di una via di fuga. “Perché sei così ansiosa
di fuggire via da me, Miss Steele?”. Fa qualche passo
incerto e inciampa in mezzo alla strada. Di sfuggita mi
accorgo di un ciclista in contromano, sparato a tutta
velocità sulla carreggiata.

«Maledizione, Ana!» urlo.

Faccio appena in tempo ad afferrarla e a tirarmela


addosso. Il ciclista la manca davvero per un soffio. Il
pensiero di cosa le sarebbe potuto accadere mi fa
aumentare i battiti del cuore. Non oso nemmeno
pensarci. La stringo forte a me. É qui. Sta bene. La sento
rilassarsi e inalare il mio profumo. Mi calmo anch’io.

«Tutto bene?» le chiedo preoccupato.

Siamo vicinissimi. Questa sensazione mi eccita e mi fa


paura allo stesso tempo. E non riesco a trattenermi. Le
accarezzo il viso, piano, assicurandomi che sia intatta. É
un attimo e sono follemente perso di lei. Mai, prima d’ora
mi era capitato qualcosa di simile. Mi ritrovo a sfiorarle
piano con il pollice il labbro inferiore, quello che adora
tanto mordersi. Il respiro mi resta a mezz’aria. Sono
stravolto dall’eccitazione, dal desiderio di possedere
quelle labbra. La guardo e lei m’inchioda con il suo
sguardo adorante. Poi lascia cadere gli occhi sulla mia
bocca. Il suo sguardo implora un contatto. Il suo
desiderio di essere baciata è percepibile. Sono tentato. Lo
voglio. Voglio farla mia ora. Poi un pensiero mi attraversa
la testa come un fulmine. Non posso. Non devo. La sua
adorazione è troppo per me. Non la merito. Io non sono
l’uomo giusto per lei e di sicuro non voglio essere l’uomo
che la ferirà.
Capitolo 4
Anastasia continua a fissarmi, come se fosse
ipnotizzata. É immobile, in silenzio, lo sguardo fisso sulle
mie labbra. Vuole essere baciata, vuole essere mia. E Dio
solo sa quanto lo voglia io! La osservo, perdendomi in
tutto quell’azzurro, in silenzio come lei. E sento
aumentare il desiderio, mentre il mio respiro accelera.
Eppure so che tutto questo è sbagliato. Sbagliato per lei.
Non so il perché, ma sento che è così. Per la prima volta
nella mia vita mi sto facendo degli scrupoli. Ed è
frustrante. So che sarebbe molto semplice per me, in
questo momento, schioccare le dita e farla cadere ai miei
piedi. Portarmela a letto, scoparla e fustigarla nella mia
Stanza dei Giochi fino a che questa assurda sensazione
che mi pervade non sia del tutto esaurita. Ma non posso.
“Cazzo!”. Con uno sforzo immane, stacco i miei occhi dai
suoi. Li chiudo lentamente ed il distacco visivo mi
permette di prendere la decisione giusta. “Io non posso
baciarla. Non ora”. Scuoto la testa per auto convincermi
che, nonostante la strana morsa allo stomaco che mi sta
divorando, è questa la decisione giusta. Quando riapro gli
occhi lei è ancora lì, in attesa, adorante. “Merda!”. Non
riuscirò a resistere per molto se continua a guardarmi
così. Devo allontanarmi da lei.

«Anastasia, devi stare alla larga da me. Non sono


l’uomo per te».

Le mormoro piano il mio avvertimento, cosciente


dell’effetto che avrà su di lei. E all’improvviso è come se le
avessi dato uno schiaffo. La sua espressione passa dallo
stupore, alla confusione, alla rabbia in meno di tre
secondi.

«Respira, Anastasia, respira». Cerco di tranquillizzarla.


«Adesso ti aiuto a rimetterti in sesto e ti lascio andare»

Mi rendo conto che sono io il primo a non volerlo. Ma


se non metto ora le distanze non ci riuscirò più. Mi
allontano leggermente da lei, senza però staccargli le
mani dalle spalle. La sento fremere, le ginocchia quasi le
cedono. Ho paura che mi svenga tra le mani, ma poi
sembra riaversi. Un moto di rabbia e delusione le accende
gli occhi. Sembra mortificata, umiliata. Odio essere io
l’artefice di quelle sensazioni. Abbassa lo sguardo, in
silenzio, cercando probabilmente una spiegazione
plausibile al mio rifiuto.

«Ho capito» mormora alla fine.

Ha la voce spezzata, piena di vergogna. “No, Anastasia.


Non hai capito niente. Sono io quello che dovrebbe
vergognarsi per averti trascinata fino a questo punto. Ora
potresti essere tranquillamente immersa nella tua vita se
io fossi riuscito a resistere ad una cazzo di tentazione”.

«Grazie» aggiunge poco dopo, spiazzandomi


completamente.

«Per cosa?» le chiedo sbalordito, tenendola ancora


salda tra le mani.

Non ci posso credere. L’ho appena rifiutata e lei mi sta


ringraziando. La sua dolcezza, anche ora che la sua
espressione trasuda rabbia e delusione, mi tocca il
profondo dell’anima. É un angelo. E io non merito tutto
questo. “Io sono solo un reietto. Non posso averla”.

«Per avermi salvata» mormora a voce bassa.

Già, il ciclista. Per un attimo l’avevo scordato. Un


brivido mi attraversa la schiena al solo pensiero di quello
che poteva accaderle.

«Quell’idiota stava andando contromano» sbotto.


«Meno male che c’ero io. Mi vengono i brividi se penso a
cosa poteva succederti. Vuoi entrare un attimo nell’hotel e
sederti?»

Mi rendo a malapena conto che sono passato a darle


del tu. Devo allontanarmi da lei. La lascio andare
completamente, abbassando le braccia sui fianchi. Mi
guarda con aria delusa e scuote la testa. Sicuramente si
starà dando la colpa per tutto questo. “La colpa è mia
Anastasia, solo mia”. Non avrei dovuto tirarla in tutto
questo. Avrei dovuto lasciarla perdere quel giorno nel mio
ufficio. É solo che tutta quella sua impertinenza, quel suo
sfidarmi, quel sentirla pronunciare il mio nome con le sue
bellissime labbra, mi ha acceso dentro qualcosa. Non so
nemmeno io bene cosa. Ma ora, a vederla così, credo che
dovrei solo spegnere tutto e tornarmene nel mio oblio,
senza trascinarmela dietro in qualcosa che sono sicuro
non vorrebbe. O, comunque, non meriterebbe.

All’improvviso si sposta, sembra avere fretta di


andarsene. Si porta le braccia intorno al corpo,
abbracciandosi. Vorrei farlo io, ma non ne ho il coraggio.
‘Christian Grey ha perso la sua spavalderia’. Già. Che
coglione sono stato. Anastasia si volta a guardare il
semaforo, in silenzio. Allo scatto del verde attraversa
velocemente. La seguo, senza riuscire a trovare qualcosa
di intelligente da dirle. Cammina a testa bassa, con la
schiena dritta, in una dignitosa quanto rassegnata marcia.
Giunti davanti all’Heathman si gira per un momento,
senza riuscire a trovare la forza di alzare gli occhi ed
incrociare i miei.

«Grazie per il tè e per le foto» mormora


sommessamente.

Sta per andarsene. “Alza gli occhi, ti prego. Alzali.


Guardami e renditi conto che non voglio che tu te ne
vada. Guardami, cazzo!”. Vorrei urlarle contro, ma le
parole non mi escono. É come quando ero piccolo. É di
nuovo quel dolore. Di nuovo quella sensazione di vuoto.
Non capisco come possa essere possibile una cosa del
genere. Ma ora non sono un bambino. Qualsiasi cosa lo
abbia scatenato io posso gestirlo, posso affrontarlo.
“Voglio solo che mi guardi, solo che tu capisca che non è
come pensi, che non sei sbagliata. Quello sbagliato sono
io. E questa mattina ti sto salvando per la seconda volta”.
Rimango davanti a lei, fermo. “Guardami. Guardami.
Guardami. Guardami. Guardami”. Mi passo velocemente
una mano nei capelli in un moto di frustrazione e di
disperazione.

«Anastasia…io…» quasi balbetto, nel vano tentativo di


trattenerla. Il mio tono angosciato la impietosisce forse.

Lentamente alza lo sguardo e mi rendo conto di essere


totalmente esposto a lei.

«Cosa c’è Christian?» sbotta, al culmine della


sopportazione.

No, no. Non è giusto. Vedo la sua voglia di fuggire. Le


lacrime le velano gli occhi, ma le reprime fino a farle
sparire del tutto. É meglio assecondarla. É meglio così. O
forse no. Non lo so. “Se fosse legata e imbavagliata
sarebbe tutto più semplice, Cristo!”. Saprei come calmare
la sua ansia, come farla stare meglio. E come stare meglio
io. Ma ora non so come soffocare questo senso di vuoto
che sento dentro. So solo che devo allontanarmi da lei.
Trovo in fretta qualcosa da dirle.

«In bocca al lupo per gli esami»

Il suo viso mi restituisce un’espressione di sorpresa


mista a sarcasmo. “Già, Miss Steele. Non è una grande
frase d’addio, lo so da me. Ma se ti avessi detto quello che
volevo dirti non sarebbe di certo stato un addio il nostro”.

«Grazie». Il suo tono è sarcastico. Me lo aspettavo.


«Addio Mr Grey» aggiunge dopo qualche attimo, prima di
girarsi nuovamente e scomparire a passo spedito nel
parcheggio sotterraneo dell’albergo.

La guardo finché è possibile, finché non sparisce dal


mio orizzonte. Le sue parole mi rimbombano in testa.
“Addio Mr Grey”. Un addio. Non può essere. Non può
dirmi addio. Io non voglio che sia un addio. Rimango a
fissare il marciapiede vuoto davanti a me. Devo lottare
contro me stesso con tutte le mie forze per reprimere
l’istinto di correrle dietro e fermarla, calmarla e dirle di
darmi una possibilità. Il pensiero mi colpisce
all’improvviso e mi sconvolge. Io non ho mai implorato
per avere una possibilità. Ho costruito il mio mondo su
questo principio. Non sarà di certo Anastasia Steele a
buttarlo all’aria in due secondi. Faccio un profondo
respiro, cercando di domare la tensione e, molto
lentamente, ritrovo un briciolo della mia forza interiore.
“Io sono il padrone del mio universo”. Mi giro e prendo la
mia decisione, avviandomi verso l’interno dell’hotel. Il
capitolo Anastasia Steele finisce in questo preciso istante.

«Bentornato, Mr Grey»

Passo davanti a Taylor senza nemmeno avvertire la sua


presenza e vado dritto in camera da letto, mentre inizio a
sbottonare la mia camicia, furioso. Mi sento oppresso. Il
mio malumore mi segue, come un’oscura aura che mi
circonda. Sbatto forte la porta e do un pugno contro il
muro. “Cazzo!”. Voglio solo non pensare.

Cammino avanti e indietro nella mia lussuosa suite,


rimuginando su quanto è accaduto questa mattina. Due
ore di palestra non sono servite a domare del tutto la mia
rabbia. Ma, dopo la sfuriata iniziale, dopo le
imprecazioni, dopo lo sforzo fisico e soprattutto quello
mentale, il pensiero di Anastasia è più vivo che mai.
Prendo il mio telefono e cerco il suo numero tra le
chiamate ricevute. Poi lo poggio sul tavolo di legno che
poco fa ha accolto la mia cena solitaria. “Datti una
calmata Grey! Stai letteralmente correndo dietro a una
ragazza”. Ma dentro di me, non so per quale motivo, si sta
facendo strada la consapevolezza inopportuna che lei non
sia una ragazza qualsiasi. Ma, in ogni caso, a cosa
potrebbe servire tutto questo? Probabilmente lei non
cederebbe mai alle mie richieste, non firmerebbe mai il
mio dannato contratto e non accetterebbe mai di
diventare la mia Sottomessa. E io non ho nient’altro da
offrirle. Questo pensiero fa male. Sapere che in ogni caso
lei non potrà mai essere mia. E io invece voglio che lo sia.
Voglio che lei desideri di esserlo. Ne ho un bisogno
disperato, quasi folle. Ho bisogno di essere certo che
d’ora in avanti sarò l’unico a toccarla, a baciarla, ad
eccitarla. A scoparla. Voglio essere l’unico per lei. Voglio
possedere il suo corpo e la sua anima in un modo che
oserei definire quasi ossessivo. Il solo pensiero di lei
accanto ad un altro uomo mi fa saltare i nervi. Quel José
Rodriguez, ad esempio. Potrebbe essere già con lei in
questo momento, a consolarla per la delusione che io le
ho dato oggi. Faccio un respiro profondo e cerco di
calmarmi. “Stai davvero esagerando, Christian”. Sono
letteralmente distrutto. Decido da fare una doccia veloce
e di filare a letto, nella speranza di non pensare più alla
disastrosa giornata appena terminata. Credo sia la prima
volta in tutta la mia vita in cui mi sento perso. Mi manca
qualcosa. ‘Già, Grey. Ti manca un mix di occhi azzurri ed
impertinenza’. Sorrido amaramente a quella veritiera
quanto assurda precisazione della mia testa malata. É
solo che… quella ragazza mi fa sentire così vivo, come non
mi capitava da tempo. É una sensazione nuova. Un po’
come i primi tempi con Elena. Solo... migliore. Anastasia
non è di certo Elena. Non ha un briciolo della sua
esperienza, della sua sicurezza, del suo savoir faire.
Eppure… è proprio questo a renderla sexy da morire.
“Devo assolutamente scusarmi con lei”. Ho appena preso
la mia decisione. La seconda della giornata. Ma so che
questa è quella giusta. Non lascerò Portland fino a
quando non avrò trovato il modo di farla sorridere di
nuovo. Quel suo bellissimo viso merita più di ogni altro al
mondo di tornare ad essere sereno.

Dopo quattro notti insonni, piene dei peggiori incubi e


rese ancora più angoscianti da quella che potrei definire
“la sua mancanza”, credo di aver finalmente trovato un
modo per farmi perdonare. Guardo soddisfatto il
pacchetto di carta semplice, marrone, che ho tra le mani.
Voglio scusarmi con lei e farle capire che la colpa non è
assolutamente sua. E quale cosa migliore di un regalo per
la fine dei corsi accademici? Oggi dovrebbe essere
impegnata con il suo ultimo esame. Devo fare in fretta se
voglio che al suo ritorno il pacco sia li ad attenderla. Fisso
l’involucro marrone. Chissà se le piacerà. Contiene una
prima edizione in tre volumi di “Tess dei D’Uberville”, di
Thomas Hardy, tra cui una del 1891. Hardy è uno dei suoi
autori preferiti, me lo ha detto lei. E il suo esame è
interamente incentrato sulla sua opera. Ho smosso mezzo
mondo per riuscire a saperlo. ‘Perché sei un fottutissimo
stalker, Grey’.

«Mr Grey, il fattorino sta attendendo». Taylor mi


riporta alla realtà.

«Grazie, Taylor. Arrivo immediatamente». Prendo il


biglietto bianco che prima avevo appoggiato sul tavolo e
lo rileggo un’ultima volta.

“Perché non mi hai detto che gli uomini sono pericolosi? Perché non
mi hai messo in guardia? Le gran dame sanno come difendersi
perché leggono romanzi che parlano di questi artifizi…”

In quale altro modo avrei potuto farle capire quello che


sento? “É un avvertimento, Anastasia. Ascoltalo.
Oppure… bè, oppure torna da me. Ma stavolta saprai cosa
ti aspetta. E io non dovrò sentirmi più in colpa”. Scrivo
velocemente nome ed indirizzo sul pacco e lo consegno a
Taylor, fornendogli tutti i dettagli necessari. Ora non mi
resta che aspettare. Per l’ennesima volta.

É tardi quando il mio telefono squilla. Sono seduto


nello studio della suite. Ho passato il pomeriggio in giro
con Elliot, attualmente sul divano della stanza accanto a
guardare la tv, e ora ho deciso di impiegare il mio tempo
in modo molto più produttivo. Sto controllando il
resoconto dell’ultima acquisizione. Almeno evito di
lottare contro il mio unico pensiero fisso. Anastasia
Steele. “Chissà se ha ricevuto il mio regalo”. Il suo nome
che lampeggia sul display del mio Blackberry mi fa
fermare il battito cardiaco per qualche istante. Rispondo
immediatamente, come se avessi paura che fosse solo un
sogno e potessi perdere la mia occasione.

«Anastasia?». Qualche secondo di silenzio. Poi la


sento. La sua voce è confusa, quasi biascica le parole.

«Perché mi hai mandato quei libri?»

«Anastasia, ti senti bene? Sembri strana». Sono


preoccupato. Sembra diversa.

«Non sono io quella strana, sei tu». Il suo tono è


inquisitorio. Non è da lei. Sembra ubriaca. Probabilmente
è fuori chissà dove a festeggiare la fine degli esami. La
mia ansia cresce.

«Anastasia, hai bevuto?» le chiedo cercando di


rimanere calmo. Mi passo una mano nei capelli.

«E a te cosa importa?». “Cosa m’importa? Bè, cazzo,


mi importa eccome!”.
«Sono… curioso. Dove sei?»

«In un bar». É molto vaga e questo, misto alla sua


impertinente audacia dovuta all’alcool, mi esaspera e mi
rende nervoso.

«Quale bar?». Voglio solo riportarla a casa.

«Un bar di Portland»

«Come farai a tornare a casa?». Cerco di rimanere


calmo. Prima di sbottare devo almeno scoprire in quale
cazzo di locale si sta allegramente ubriacando senza
considerazione alcuna per quello che potrebbe accaderle.

«Troverò un modo» farfuglia.

«In quale bar ti trovi?». La mia impazienza cresce,


come il tono della mia voce. Elliot spunta fuori dal
salotto. Devo aver urlato un po’ troppo. Mi guarda con
aria interrogativa, mentre gli rispondo semplicemente
con un gesto vago della mano. Resta in piedi a ficcare il
naso nella mia vita. “Merda! Ci mancava solo Elliot!”.

«Perché mi hai mandato i libri, Christian?». “Cazzo,


Anastasia! Non cambiare argomento e dimmi dove cazzo
ti trovi!”. Respiro a fondo, tentando invano di calmarmi e
mi giro, dando le spalle a mio fratello.

«Anastasia, dove sei? Dimmelo, subito»

Sono davvero arrabbiato. In questo momento passerei


su tutti i miei sensi di colpa e la legherei volentieri,
sculacciandola fino a farle imparare che si risponde
quando le viene chiesto qualcosa. Dall’altro lato solo
silenzio. Poi, ad un tratto, scoppia in una sonora risata.
Un suono argenteo, genuinamente divertito. Mi coglie di
sorpresa.

«Sei così dispotico!».

“Dispotico è dir poco, mia cara Miss Steele”. Non


immagini nemmeno quanto io possa essere dispotico.
“Sto impazzendo per trovarti e tu mi trovi dispotico!”.
Faccio un profondo respiro, per calmarmi. Non ci riesco.

«Ana, dammi una mano, dove cazzo sei?». Per tutta


risposta ride di nuovo.

«Sono a Portland…è un bel viaggio da Seattle». Certo,


ovviamente crede che io sia tornato a Seattle.

«A Portland dove?» la incalzo, cercando di cavarle di


bocca quante più informazioni possibili.

«Buonanotte, Christian»

Cosa?!

«Ana!»

Faccio appena in tempo ad urlare il suo nome che lei


mi chiude in faccia il telefono. “Maledizione!”. É ubriaca,
in un bar di Portland. Non si rende conto di quello che
potrebbe capitarle? Ha davvero così poco rispetto per la
sua incolumità? “Cazzo!”. Compongo in fretta il numero
del mio consulente per la sicurezza.

«Welch. Grey. Ho bisogno che rintracci l’ultima


chiamata ricevuta dal mio cellulare. Immediatamente!»

Dieci minuti più tardi sono già in macchina, diretto


verso di lei.

«Almeno è carina?»

Mio fratello mi sorride come un ebete. Lo guardo di


sfuggita. Non sono dell’umore adatto per scherzare.
Oltretutto avrei preferito che evitasse di accompagnarmi.
Ma Elliot, da ficcanaso quale è, ha ascoltato tutta la mia
conversazione e quando ha capito dove ero diretto si è
fiondato in macchina. Avvio la chiamata dalla pulsantiera
che ho di fronte, sul volante dell’Audi.

«Pronto». La voce sorpresa di Anastasia riecheggia


nell’auto.

«Sto venendo a prenderti». Chiudo prima che possa


aggiungere altro. Probabilmente non mi avrà nemmeno
creduto, dal momento che pensa che io sia a Seattle.

«Lasciatelo dire fratellino. Sei davvero ossessivo con le


tue ragazze!». Elliot ride sguaiatamente, mentre lo
trucido non lo sguardo. Non sono assolutamente
dell’umore adatto per scherzare. Non su Anastasia.

«Vaffanculo!» gli sibilo contro. Resta per qualche


attimo in silenzio, divertito. Poi mi guarda, curioso.
« Deve piacerti davvero questa Ana, o come diavolo si
chiama»

La sorpresa nella sua voce è evidente. Non mi ha mai


visto insieme ad una ragazza. Non immagina neanche
lontanamente i mie gusti sessuali. Probabilmente anche
lui, come il resto della mia famiglia, pensava fossi gay.
D’altronde il playboy di casa Grey è sempre stato lui.
Praticamente si è scopato mezza Seattle! Lo guardo
esasperato, scuotendo la testa.

«Ok, ok. Come non detto». Mi fa un ampio sorriso e


alza le mani in segno di resa.

Ci metto circa quindici minuti per arrivare al locale. Io


ed Elliot non fatichiamo certo ad entrare. Mi ritrovo
immerso in una folla di ragazzini ubriachi, che si
muovono più o meno a ritmo della musica e delle luci
stroboscopiche. Odio i locali troppo affollati. Mi giro
intorno, in cerca della chioma bruna di Miss Steele. E
invece trovo quella rossiccia di Katherine Kavanagh,
scatenata in pista. Accanto a lei un povero ragazzo
ammaliato, ne subisce incantato il fascino. Mi faccio
spazio tra la folla, seguito da Elliot. Continuo a guardarmi
intorno, ma di Anastasia nemmeno l’ombra. Miss
Kavanagh rimane interdetta per qualche secondo quando
mi piazzo davanti a lei, chiedendole di Ana. Poi la sua
attenzione cade su Elliot. Distrattamente, a gesti, mi
indica l’unica uscita che affaccia sul parcheggio sul retro.
Mi allontano in fretta, lasciando mio fratello nelle grinfie
di Miss Kavanagh. Se lo sta letteralmente mangiando con
gli occhi. Noto con rassegnazione che lui sta facendo
altrettanto. Scuoto la testa e mi affretto ad uscire dal
locale, evitando con cura ogni contatto con la folla. Apro
la porta e la individuo quasi subito. Il mondo mi cade
addosso. É come se una voragine si fosse aperta sotto i
miei piedi e mi stesse inghiottendo senza lasciarmi
respirare. Anastasia è stretta tra le braccia del fotografo.
Impallidisco dalla rabbia. Tutta quella preoccupazione,
quell’agitazione. Tutto questo gran casino per trovarla e
lei è qui ad amoreggiare con quel bellimbusto del suo
amico! “Vaffanculo Anastasia! Vaffanculo!”. Senza
rendermene conto mi avvicino, furioso. Ed è così che la
sento.

«No, José, smettila… no».

La sua voce è debole, fioca, come i suoi vani tentativi di


scrollarsi di dosso quel bestione. Ma… cosa cazzo sta
succedendo? Cosa le sta facendo quello stronzo? Mi
avvicino sempre di più mentre lui, continua a starle
addosso, mormorandole qualcosa di incomprensibile.
Tenta di baciarla, mentre lei non riesce a reagire.

«José, no». Lo supplica, ma lui non la molla.

«Mi sembra che la signora abbia detto no»

La mia voce risuona nel buio, calma e decisa,


nascondendo a stento tutta la rabbia che ho dentro. “Ora
gli spacco la faccia a quel figlio di puttana!”. Entrambi mi
guardano sorpresi e questa tregua permette ad Ana di
sciogliersi dalla stretta, anche se lui non la lascia del
tutto. Fulmino quel coglione con lo sguardo e stringo il
pugno, preparandomi a lasciarlo a terra morto. “Non
toccare la mia Ana. Non toccarla mai più. Lasciala.
Lasciala stare brutto pezzo di merda!”. Lo stronzo sembra
leggermi il pensiero e allenta la sua presa, lasciandola
andare completamente.

«Grey» si limita a dire, fissandomi.

Lo inchiodo con lo sguardo. La sua arroganza è senza


limiti. “Sto davvero per spaccarti la faccia ora, stronzo”. Il
mio impeto viene frenato giusto in tempo da Anastasia,
che, presa dall’agitazione, in preda alla sua sbronza, si
china in avanti, tra noi due, e prende a vomitare
sull’asfalto. José si sposta di colpo, disgustato. Mi
protendo immediatamente in avanti, raccogliendola dalla
strada. Le scosto delicatamente i capelli dal viso e la
trascino verso un’aiuola sopraelevata, in un angolo del
parcheggio, lontano da occhi indiscreti.

«Se vuoi vomitare di nuovo, fallo qui. Ti aiuto»

La tengo per le spalle, stringendole con una mano i


capelli in una coda di cavallo. Lei si vergogna, cerca di
spingermi via, ma i conati di vomito hanno la meglio ed è
costretta a svuotare il suo piccolo stomaco lì sull’erba. Si
ferma solo dopo qualche minuto, tenendosi salda con le
mani appoggiate al bordo dell’aiuola, stremata. Estraggo
il mio fazzoletto di stoffa dal taschino e glielo porgo
gentilmente. Lo guarda stranita per un attimo, poi si
asciuga in silenzio la bocca, mentre un moto di vergogna
le segna il viso. Sospira, alzandosi, e si prende la testa tra
le mani, chiudendo gli occhi per il dolore. Poi alza lo
sguardo e mi fissa brevemente. La mia espressione è
impassibile. In effetti davvero non so cosa pensare. La
dolce ragazza per la quale sembro aver perso la testa
passa i fine settimana ubriaca, a vomitare nei parcheggi
dei locali di Portland? No. Dal modo in cui sta male ora,
non si direbbe. Seguo i suoi occhi che si girano ad
osservare quello stronzo del fotografo, rimasto sulla
soglia della porta. Ci osserva mortificato. Poi si congeda
come un vigliacco, lasciandoci finalmente soli. La guardo
mentre tormenta il mio povero fazzoletto. É ansiosa,
nervosa, imbarazzata. So bene cosa le ci vorrebbe per
rimetterla sulla retta via. Sono in piedi, accanto a lei, con
la schiena dritta e gli occhi fiammeggianti di rabbia. E
desiderio.

«Mi dispiace così tanto» mormora piano.

«Per cosa, Anastasia?»

Riconosco il mio tono di voce preferito. Quello che


riservo alle mie Sottomesse prima di una punizione. Il
mio tono da Dominatore. Che tradisce quello che le sto
facendo nella mia testa. E anche lei sembra in qualche
modo accorgersene. É sempre più contrita. E accende il
mio desiderio ancora di più. La guardo gelido,
intimandole di rispondere.

«Per la telefonata, soprattutto. Per aver vomitato. Oh,


l’elenco è infinito»

“Quanto vorrei sculacciarla proprio ora!”. Sospiro e


lentamente mi calmo. In fondo è una ragazzina. E non mi
deve delle spiegazioni. “Non ancora, almeno”.

«Ci siamo passati tutti, magari non in modo così


spettacolare» le dico seccamente. «Si tratta solo di
conoscere i propri limiti. O meglio, io sono per spingere i
limiti sempre più in là, ma in questo caso è davvero
troppo. Ti comporti così di solito?»
Anastasia mi guarda con un’espressione irritata, la
fronte corrucciata. É furiosa per la mia insinuazione, ma
scommetto che non oserà rispondere niente di
impertinente. Non dopo avermi quasi vomitato addosso.

«No, non mi sono mai ubriacata in vita mia, e per ora


non ho nessuna voglia di ripetere l’esperienza»

All’improvviso impallidisce e le gambe le cedono


leggermente. L’afferro prontamente, stringendomela al
petto. Il suo profumo mi colpisce e mi inebria. Sospiro
leggermente e decido di smetterla di fare lo stronzo per
stasera. Ha bisogno di una buona dormita e di rimettersi
in sesto.

«Vieni, ti porto a casa» le dico piano. Mi guarda come


se fossi il principe azzurro venuto sul cavallo bianco per
salvarla.

«Devo avvertire Kate» mormora.

«Glielo dirà mio fratello». Si agita confusa.

«Cosa?»

«Mio fratello Elliot sta parlando con Miss Kavanagh»

«Eh?». L’alcool le annebbia il cervello.

Fatica a comprendere anche due parole messe in fila.


‘Andiamo bene, Grey. Magari in questo stato potrebbe
addirittura firmare il tuo contratto’. Il mio cervello mi
schernisce. Scuoto la testa e tento di farle capire la
situazione.

«Era con me quando hai telefonato»

«A Seattle?». Trattengo un moto di esasperazione.

«No, alloggio all’Heathman». Mi guarda stupita, poi


aggrotta la fronte.

«Come hai fatto a trovarmi?»

«Ho rintracciato la chiamata, Anastasia»

“Si, Miss Steele. Sono un fottuto stalker. Ora


piantiamola però”. Mi guarda strano, ma non mi sembra
di scorgere in lei della rabbia per il mio comportamento.
Comunque è meglio cambiare argomento e soprattutto
andare via da questo posto.

«Hai una giacca o una borsetta?»

«Ehm…si, tutte e due». Si ferma per qualche secondo.


Poi riprende decisa.

«Christian, per favore, devo avvertire Kate. Si


preoccuperà»

Stavolta non riesco a trattenere la mia esasperazione.

«Se proprio devi» sbotto, prendendola per mano e


scortandola verso l’interno.
Apro la porta e la lascio passare per prima. “Anche
barcollante e mezza sbronza sei sempre una gran gnocca,
Miss Steele”. Le prendo di nuovo la mano e mi faccio
strada tra la folla. Raggiungiamo il tavolo al quale è
seduto il ragazzo che prima ballava con la Kavanagh.
Nessuna traccia del fotografo. Con lui ho ancora un conto
in sospeso. Ana recupera le sue cose e poi urla qualcosa al
suo amico, che le indica la pista, guardandomi male.
Seguo la direzione della sua mano e non fatico a capire il
perché di quella ostilità. Elliot è avvinghiato alla focosa
rossa che gli balla accanto. O forse dovrei dire addosso.
Stanno praticamente scopando più che ballando.
Anastasia mi tocca il braccio, per richiamare la mia
attenzione. Trasalisco. Ho paura che si spinga troppo
oltre. Si alza sulle punte dei piedi, avvicinandosi al mio
orecchio.

«Lei è in pista» urla.

Mi sfiora leggermente i capelli con il naso e inspirando


piano. La guardo di nascosto, scoprendola ad inebriarsi
del mio profumo. Il mio uccello diventa duro di colpo. La
vista di lei, così persa ad assaporare quel momento, mi fa
venire voglia di prenderla qui, sul tavolo del locale,
davanti a tutti. E invece ora dobbiamo andare a parlare
con la sua amica, che potrebbe facilmente allontanarla da
me un’altra volta. Alzo istintivamente gli occhi al cielo.
Meglio che si schiarisca un po’ le idee comunque. Le
prendo la mano e mi dirigo verso il bancone. Un breve
cenno al barista, che subito mi lascia ordinare un
bicchiere di acqua ghiacciata. La farà sentire meglio.
Almeno per un po’.

«Bevi!» le ordino, urlando per farmi sentire. La guardo


con insistenza finché non si decide a trangugiare un po’
d’acqua. «Tutta!»

Mi manda davvero in bestie quando si ostina a non


fare ciò che le viene chiesto. Mi fa venire voglia di
mettermela sulle ginocchia e farle passare l’impulso di
disobbedire. Sono davvero frustrato. Mi passo una mano
tra i capelli, mentre Ana mi osserva preoccupata. Poi
vacilla, perde l’equilibrio e mi ritrovo a doverla sostenere
di nuovo. Finalmente si decide a bere tutta l’acqua, con
aria disgustata. Le prendo il bicchiere dalle mani e lo
deposito sul bancone. Mi scruta dalla testa ai piedi,
ritrovando la sua aria trasognata. E in tutta questa
assurda situazione, mi viene da ridere. Bè magari potrei
giocare un po’ anch’io. Sono curioso di vedere fino in
fondo l’effetto che ho su questa ragazza. La trascino sulla
pista da ballo, vincendo la sua riluttanza. La attiro a me
ed inizio a muovermi. La tengo stretta, i nostri corpi
aderiscono alla perfezione. Si lascia andare al mio ritmo,
confusa ed eccitata. E anch’io riesco a contenermi a
stento. Continuando a muovermi la trascino fino al lato
opposto della pista, raggiungendo Elliot e Miss Kavanagh
impegnati in un corpo a corpo estremamente erotico. Ana
rimane ad osservarli sconvolta. In effetti quei due si
stanno dando veramente da fare.

«Elliot!» urlo. Mio fratello si gira a guardarmi


riluttante, avvicinandosi. «Anastasia viene via con me!»

Lui fa un cenno d’assenso con la testa e poi si avvicina


a Katherine, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Lei
annuisce maliziosamente e Elliot torna da me.

«Tutto ok, fratellino! Io non credo di tornare in albergo


per stanotte!»

Mi congeda con un ampio sorriso. Sono sempre


divertito dalla facilità delle conquiste di Elliot. Afferro la
mano di Anastasia e, mentre non riesce a smettere di
guardare a bocca aperta la sua amica, la trascino via con
passo deciso. Ho davvero bisogno di uscire da questo
posto. Mi giro a guardarla per un istante. Sul suo viso si
sta facendo spazio un’espressione di atroce sofferenza. É
completamente stordita dalle luci, dall’alcool e dalla
musica sparata a palla. E ad un tratto la sento scivolarmi
dalle mani ed accasciarsi pesantemente verso terra,
perdendo i sensi. Faccio appena in tempo a prenderla tra
le braccia.

«Cazzo!»

La porto velocemente fuori, raggiungendo


immediatamente la mia auto. A fatica apro lo sportello
posteriore del Suv e la adagio cauto sui sedili in cuoio. Mi
fermo per un attimo a guardarla. “Cavolo se è bella”. Con
riluttanza mi allontano da lei, chiudo lo sportello e salgo
in macchina, al mio posto. Accendo il Suv e parto in
direzione del mio albergo. Lo so, dovrei portarla a casa
sua. Ma la verità è che non voglio lasciarla. Non in questo
stato. Non ha la minima considerazione per se stessa e,
ubriaca com’è, potrebbe cacciarsi in qualche altro
pasticcio. ‘Ammetti che vuoi solamente tenerla con te
stanotte, Grey’. Già, forse è vero. E poi nessuno mi
assicura che il suo cosiddetto amico non la raggiunga a
casa. Chissà cosa le avrebbe fatto quel figlio di puttana se
io non fossi arrivato in tempo! Povera piccola, ingenua
Anastasia. Accendo lo stereo e mi rilasso ascoltando un
brano di musica classica, a volume basso, per non
svegliarla. Lentamente tutta la tensione accumulata
questa sera, ma anche quella dell’ultima settimana, inizia
ad abbandonarmi. Lei è qui con me. É mia ora. Non so
tutto questo dove ci porterà. Non so se sono destinato a
salvarla o a condurla sulla via della perdizione. So solo
che la desidero con ogni fibra del mio essere. E sono
calmo solo quando lei è con me. La osservo dallo
specchietto retrovisore. Dorme. Ogni tanto emette
qualche lamento sommesso ed è scossa dai conati.
Accelero. Non voglio che vomiti di nuovo. “Soprattutto
nella mia Audi”. Cinque minuti dopo spengo il motore del
Suv, all’interno del parcheggio sotterraneo
dell’Heathman. Scendo e apro lo sportello posteriore. La
tiro fuori dall’auto delicatamente, prendendola tra le
braccia. La porto su in ascensore, senza metterla a terra,
senza svegliarla. Apro a fatica la porta della mia suite e
me la richiudo dietro con un calcio una volta entrato. Mi
dirigo spedito in camera da letto. La poggio delicatamente
sul materasso, stando bene attento a non sballottarla
troppo. Accendo l’abat-jour e rimango a fissarla per
qualche attimo, seduto sul letto accanto a lei. É così bella.
Se fosse cosciente, ora, credo che non potrei resistere a
lungo. Ma meglio metterla a letto e lasciarla riposare in
pace per stanotte. Mi inginocchio davanti a lei e le sfilo
dolcemente le Converse bianche, macchiate di vomito, e
le calze. Accarezzo per un attimo la pelle delicata dei suoi
piedi, risalendo sino alle caviglie. Mi alzo e torno a
sedermi sul letto. Le sbottono piano i jeans sporchi e
guardo il suo ventre semi scoperto, senza resistere
all’impulso di avvicinarmi. Le sfioro delicatamente la
pelle candida con il naso, perdendomi nel suo profumo.
Non so nemmeno io come, ma riesco a resistere
all’impulso di baciarla. ‘Ti stai comportando da maniaco,
Grey’. Mi allontano stravolto. Ho il cuore che mi pulsa a
mille e l’uccello che freme di desiderio. “Cazzo!”. Faccio
un sospiro profondo e le sfilo via i jeans. Mi affretto a
coprirla con la trapunta. Mi giro, dandole le spalle.
Appoggio entrambi i gomiti sulle gambe, mettendo le
mani nei capelli. Non capisco cosa diavolo mi stia
succedendo. Fino ad una settimana fa ero il padrone
assoluto del mio mondo. Avevo tutte le certezze. Nessun
dubbio. Nessuna fragilità. Oggi stento a riconoscermi.
Tutta quest’ansia, questa preoccupazione. Tutto questo
affanno. Ed è solo per lei, solo per questa ragazzina
impudente che ora dorme nel mio letto. Mi scappa da
ridere. Si è presa la mia sicurezza e ora anche il mio letto.
Mi giro a darle un’ultima occhiata. Mi alzo e vado in
bagno. Ho davvero bisogno di una doccia ora. L’acqua
tenta invano di lavare via i miei pensieri e le mie
preoccupazioni. Rimango immobile sotto il getto caldo
per molto tempo. Sto tentando invano di analizzare
quello che provo, di capire, dare un senso a quella
sensazione di completezza che provo quando sto con lei.
E allo stesso modo a quella di vuoto incolmabile quando
non mi sta davanti. Prima d’ora, prima di lei, non mi era
mai capitato nulla del genere. Non so come gestire bene
tutto questo. Non so per niente come gestirlo, anzi. Ci
metto un bel po’ prima di decidermi ad uscire dalla doccia
e mettermi a letto. Entro in camera e la trovo ancora lì,
nella stessa posizione in cui l’ho lasciata. Dorme
profondamente. Potrei andare a stendermi di là, sul
divano. Ma qualcosa mi attira a lei come una calamita. In
fondo l’intrusa è lei. Sposto le coperte e mi infilo a letto.
Mi ritrovo ameno di due centimetri da Anastasia. Meglio
darle le spalle, per evitare tentazioni. Ma non resisto a
lungo. Mi giro di nuovo e la guardo. É bellissima. I capelli
castani arruffati, scompigliati. La pelle candida, liscia. Le
labbra di un leggero colore rosato. É perfetta. Non ho mai
visto niente di più bello. Ha la fronte leggermente
aggrottata. Chissà cosa sta sognando. Il movimento
involontario le forma una deliziosa piccola v in mezzo agli
occhi. Mi avvicino e gliela bacio. É morbida. Si muove
leggermente al tocco delle mie labbra, lamentandosi
piano e spostandosi di qualche millimetro. Rimango a
fissare quei lineamenti perfetti, delicati, senza riuscire a
staccarmi da lei. Ogni tanto le accarezzo piano il viso, le
sposto qualche ciocca ribelle dietro le orecchie. Più volte
mi ritrovo a sorridere come un bambino. E prima che me
ne possa accorgere, è già arrivata l’alba.
Capitolo 5
Rientro in camera dopo aver cercato di scaricare lo
stress e la tensione giù in palestra. Dopo una notte
insonne come quella appena trascorsa, non c’è niente di
meglio che un po’ di movimento fisico per lasciarsi
andare. Porto di la un bicchiere di succo d’arancia e le due
pastiglie di analgesico che mi sono fatto portare su per
Anastasia. Ho con me anche degli abiti puliti che le ho
fatto prendere da Taylor in un negozio del centro. Un
nuovo paio di jeans, una camicetta azzurra ed un nuovo
paio di Converse, bianche, come quelle che le ho sfilato
ieri sera. Qualcosa di semplice, pratico. Oh, e biancheria
pulita, ovviamente. Su quella ho seguito più i miei gusti
che quelli della ragazzina bruna che dorme di là. Le ho
ordinato un costoso capo di biancheria francese,
interamente di pizzo e merletti. Anche questo di un
intenso azzurro cielo. Trovo che questo colore si abbini
perfettamente a quello dei suoi occhi, mettendoli in
risalto. E poi credo che sarà fantastica con quello
addosso. ‘Se mai avrai l’occasione di vederla con quello
addosso, Grey’.

Busso piano alla porta della camera da letto. Niente.


Entro e lei è ancora lì che dorme beata. Poggio il bicchiere
e le pasticche sul comodino e lascio la busta con gli abiti
su una sedia, di fronte al letto. Mi fermo per un attimo ad
osservarla. “Mio Dio, sembra un angelo”. Ho passato tutta
la notte a guardarla, a scrutare ogni minimo dettaglio del
suo viso. E anche ora fatico a smettere. Ma meglio
andarmene di qui. Non vorrei che si svegliasse e pensasse
che io sia un maniaco. ‘Anche se ti comporti da tale,
Grey’. A malincuore torno in salotto, dove Taylor mi
attende.

«Taylor, occupati della colazione. Tra un’ora in


camera. Tutto quello che hanno sul menù, non so cosa
faccia piacere mangiare a Miss Steele. Io prenderò
un’omelette di albumi. Assicurati che ci sia una bustina di
tè per Anastasia. Twinings English Breakfast»

«Certo, signore»

Taylor si congeda con un cenno della testa. Sono


contento di poter sempre contare sulla sua efficienza.
Prendo il BlackBerry e avvio la chiamata.

«Welch. Grey. Ho bisogno che tu faccia un controllo su


una persona... José Rodriguez. É un fotografo.
Probabilmente studia all’Università di Vancouver… Tutto
quello che riesci a scoprire. Al più presto… Si, bene».

Chiudo il telefono soddisfatto. “Non scherzavo quando


ho detto che io e te avevamo ancora un conto in sospeso,
figlio di puttana”. Chiudo gli occhi per qualche secondo e
la scena di Anastasia stretta tra le sue braccia si
ripresenta nella mia mente vivida come non mai. La furia
torna a scorrere nelle mie vene come un fiume. Mi passo
una mano nei capelli e sospiro, lasciando che il mio corpo
assorba, lentamente, tutte queste nuove sensazioni. Mi
piacerebbe sapere cosa cazzo mi sta succedendo, ma più
ci penso e più non riesco ad afferrare il senso di tutto
questo. Come se non bastasse il mio analista è immerso in
un tranquillo viaggio di piacere in Europa e non accenna
a tornare a casa. “Maledetto Flynn! Ma guarda se tra i
mille strizzacervelli di Seattle dovevo pescarmi l’unico
con una famiglia a Londra”.

Sarà meglio farsi una bella doccia rigenerante ora.


Voglio rimettermi in sesto e farmi trovare pronto per
quando Anastasia deciderà di svegliarsi. Raccolgo la
borsa della palestra dal pavimento e torno di nuovo a
bussare piano alla porta della camera da letto. Non vorrei
coglierla troppo di sorpresa nel caso si fosse già svegliata.
Immagino la sua confusione e l’agitazione nel ritrovarsi in
una camera d’albergo piuttosto che a casa sua. La mia
camera, oltretutto. Tendo l’orecchio per un istante, ma
niente. Nessun rumore dall’altro lato. Apro la porta ed
entro piano per non disturbare il suo sonno. Ed invece
eccola lì. É sveglia, seduta in mezzo al letto. Tutta in
disordine, spettinata e ancora assonnata. Sexy come
sempre. Mi guarda sorpresa, senza proferire parola. In
realtà mi sta letteralmente mangiando con gli occhi,
soffermandosi sul mio torace e sui miei bicipiti. Mi
scappa da ridere e per fortuna, proprio in quel momento,
lei chiude gli occhi, stringendoli forte e facendo un
respiro profondo. Mi ricompongo in fretta, cercando di
recuperare la mia serietà. Rimaniamo entrambi in
silenzio per un bel po’. Ok, meglio rompere il ghiaccio.
Anche se credo che sarebbe divertente stare qui a fissarla
e ad aspettare che si decida ad aprire bocca.

«Buongiorno, Anastasia. Come stai?»

Apre gli occhi titubante e mi guarda con aria contrita.


Un leggero rossore le colora le guance.

«Meglio di quanto mi merito» sospira amara.

Poggio con noncuranza la mia borsa sulla sedia lì


accanto e torno ad osservarla, calmo ed impassibile,
anche se in realtà la situazione mi diverte da matti.
Anastasia torna ad imperversare nel suo mutismo, con
l’espressione di una scolaretta in attesa di una bella
punizione. “Oh, non immagini nemmeno quanto mi
renderebbe felice punirti sul serio, Miss Steele”. La
guardo e so che in questo momento ho dipinta sul volto la
mia espressione autoritaria. “Ora tocca a te parlare
tesoro”. Mi guarda e quasi mi sembra di scorgere nei suoi
occhi la voglia insistente di ficcare la testa sotto le coperte
e non uscirne mai più.

«Come sono arrivata qui?» chiede flebilmente dopo


un’eternità.

Mi avvicino a lei, fissando i miei occhi nei suoi che mi


seguono ovunque, e vado a sedermi sul bordo del letto.
Siamo molto vicini e sento il suo respiro accelerare,
diventare quasi frenetico. “Si, Miss Steele. Decisamente,
eccitata mi piaci di più”.

«Dopo che sei svenuta non ho voluto mettere in


pericolo il rivestimento di cuoio dei sedili della mia auto
riaccompagnandoti a casa». La prendo in giro, ma se lo
merita. In fondo, appena sei giorni fa mi ha chiesto se
fossi gay. Posso permettermi un po’ d’ironia. «E così ti ho
portata qui»

Mi guarda infastidita, mentre un moto di stizza le


attraversa il volto, ma decide saggiamente di ignorare la
mia arroganza mattutina. Più che altro sembra farsi
distrarre da qualche altro pensiero.
«Sei stato tu a mettermi a letto?» mi incalza.

«Si»

Rispondo fingendo tutta l’innocenza di questo mondo e


lei si acciglia ancora di più. “Ecco qual è il punto”. Vuole
sapere se abbiamo scopato. Potrei toglierle l’atroce
dubbio, certo, ma in realtà mi secca che lei pensi a me
come uno stupratore che approfitta di giovani ragazze
ubriache. Vederla in difficoltà, ora, è la mia punizione
segreta.

«Ho vomitato di nuovo?»

«No»

Abbassa lo sguardo mortificata.

«Mi hai tolto tu i vestiti?» mormora piano, con un filo


di voce.

«Si» rispondo sarcastico, alzando un sopracciglio.

“Chi altro avrebbe potuto farlo, Miss Steele, dato che


eri praticamente in coma?”. Arrossisce con violenza,
senza avere il coraggio di alzare lo sguardo dalle sue
mani, che sta praticamente torturando.

«Non abbiamo…?»

Lascia la frase a metà, senza avere il coraggio di finirla.


“Ma con che razza di uomini sei uscita fino ad ora, Miss
Steele?”. L’inopportuno pensiero di lei in balia di
approfittatori e maniaci mi disturba. Cosa le ha fatto
pensare che io appartenessi alla specie? ‘Magari le tue
manie da stalker seriale, Grey’. Sbuffo mentalmente in
direzione del mio cervello.

«Anastasia, eri praticamente in coma» le rispondo


deciso. «La necrofilia non fa per me. Mi piacciono le
donne coscienti e ricettive»

Lei si scusa, ancora più imbarazzata.

«É stata una serata molto movimentata. Non la


dimenticherò tanto presto» la prendo maliziosamente in
giro, sorridendole, di nuovo in modalità bastardo
arrogante.

«Non eri tenuto a rintracciarmi con le diavolerie alla


James Bond che produci per i tuoi clienti» sbotta
infastidita.

Rimango a dir poco sorpreso dalla sua uscita.


Dopotutto se non l’avessi rintracciata a quest’ora si
sarebbe risvegliata del letto di quel figlio di puttana. E
probabilmente lui non si sarebbe fatto molti scrupoli ad
abusare di lei nonostante la sua incoscienza. La guardo
severamente di traverso, cercando di dominare la rabbia
crescente. “Ora si che vorrei mettermela sulle ginocchia e
sculacciarla di santa ragione!”.

«Primo, la tecnologia che serve a rintracciare i cellulari


è disponibile su Internet. Secondo, la mia società non
investe in nessun tipo di sorveglianza né lo produce.
Terzo, se non fossi venuto a prenderti, probabilmente ti
saresti svegliata nel letto di quel fotografo del cui
corteggiamento, se ben ricordo, non eri troppo
entusiasta».

“E che cazzo! Prendi e porta a casa, Miss Steele!”.


Questa donna è una continua sfida. Sono furioso in
questo momento e devo fare uno sforzo disumano per
contenere la mia rabbia. Invece di ringraziarmi se ne sta
qui, nel mio letto, ad accusarmi di aver avuto l’ardire di
recuperarla totalmente ubriaca dal bordo di un
marciapiede, mentre stava per essere molestata.
Finalmente alza gli occhi e mi guarda. Poi, all’improvviso,
scoppia a ridere. Un suono piacevole, fresco e argenteo.
Meraviglioso come lei.

«Da quale cronaca medievale sei fuggito? Sembri un


cavalier cortese»

La guardo stupito. La sua impertinenza mi fa sorridere


e ammorbidisce il mio umore. Cerco di contenere l’ilarità
e ci riesco a stento.

«Non penso proprio. Un cavaliere nero, forse»

Scuoto leggermente la testa. Il pensiero è a dir poco


ridicolo. “Un cavalier cortese io? Non lo direi se fossi in
te, Anastasia”. Lei mi guarda adorante. E dentro di me il
desiderio esplode prepotente. Ho davvero bisogno di
quella doccia. E lei di mangiare. Aggrotto leggermente la
fronte.

«Hai mangiato ieri sera?»


Fa cenno di no con la testa. Deve mangiare. “Si lo so,
sono dannatamente fissato con il cibo. Ma se tutti
avessero passato quello che ha passato quel bambino di
quattro anni che la mia mente cerca in ogni modo di
dimenticare, allora lo sarebbero tutti”.

«Devi mangiare. Per questo sei stata così male.


Davvero, Anastasia, è la regola numero uno di chi beve»

“E anche questo lo so per esperienza”. Mi passo una


mano tra i capelli, cercando di allontanare tutti questi
ricordi indesiderati che stamattina hanno deciso di
bussare contemporaneamente alla porta del mio cervello.
Lei mi guarda, stupita dal mio tono severo. “É inutile,
Miss Steele. Se ti dico qualcosa la devi fare. É meglio che
ti ci abitui in fretta”.

«Intendi continuare a sgridarmi?»

La guardo sorpreso. E infastidito. Nessuna donna mi


ha mai parlato in questo modo. La sua impertinenza
davvero non ha limiti.

«É questo che sto facendo?» le chiedo stizzito.

«Mi pare di si»

Mi sfida ad ogni parola, ad ogni sguardo. “Che donna


frustrante!”.

«Sei fortunata che mi limito a sgridarti»

«Che vuoi dire?»


«Bè, se fossi mia, non potresti sederti per una
settimana dopo la bravata di ieri sera»

Sul viso le si dipinge un’espressione di sconcerto.

«Non hai mangiato, ti sei ubriacata, ti sei messa in


pericolo»

“Si, Miss Steele. Ti avrei sculacciata fino a farti


implorare in ginocchio di smettere. Ti avrei frustrata fino
a farti capire che non ci si mette in pericolo in quel modo.
E poi ti avrei presa in mille modi, facendoti godere come
nessun uomo ha mai fatto”. Il solo pensiero di lei tra le
braccia di quel figlio di puttana mi manda in bestie. Uno
strano brivido mi attraversa. ‘Sei geloso, forse, Grey?’.
Chiudo gli occhi per scacciare via l’infausto pensiero.
Quando li riapro le lancio un’occhiataccia.

«Odio pensare a cosa ti sarebbe potuto succedere»

Anastasia mi lancia uno sguardo acido.

«Non mi sarebbe successo niente. Ero con Kate»

“Oh, dimenticavo la cara Miss Scopami-Elliot-Scopami


Kavanagh. Davvero un ottimo esempio”.

«E il fotografo?» sbotto incazzato.

E, contro ogni aspettativa, lei azzarda anche una


giustificazione!
«José ha solo perso il controllo»

«Bè, la prossima volta che perde il controllo, forse


qualcuno dovrebbe insegnargli le buone maniere»

Mi guarda come se avessi appena detto la cazzata del


secolo.

«Sei molto severo in fatto di disciplina»

«Oh, Anastasia, non ne hai idea»

Un sorrisetto lascivo accompagna lo sguardo carico di


intenzioni che le rivolgo, mentre lei resta a fissarmi
inebetita, con i capelli arruffati e quell’espressione
impertinente sul viso. “Saprei io come rimetterti in riga,
Miss Steele”. Ed il pensiero di quale sarebbe il modo
migliore per farlo torna a rianimarmi l’uccello. “Cazzo!”.
Meglio andarmene di qui prima che questi discorsi ci
portino ad altro. Con lei vicino non mi sento mai troppo
sicuro.

«Vado a farmi una doccia. A meno che non voglia farla


prima tu»

Le lancio un altro sguardo di fuoco e sento il suo


respiro spezzarsi e il suo corpo agitarsi. “Oh, si!”. Riesco a
stento a trattenere la profonda gioia che si diffonde
lentamente dentro di me. Si, gioia. Perché sono io a farle
quello strano effetto. Sono io a mandarla fuori di testa. Ad
eccitarla. Lei mi vuole, mi desidera. E io voglio lei. Con
tutto me stesso. Lentamente scivolo sul letto,
avvicinandomi e chinandomi su di lei. Con il pollice le
sfioro il labbro inferiore, quello che ama tanto mordere.

«Respira, Anastasia» mormoro divertito.

Quel breve contatto è la mia rovina. Voglio queste


labbra, voglio questa donna. La voglio più di ogni altra
cosa al mondo. Più di quanto io abbia mai voluto tutto il
resto. “Ma cosa cazzo mi succede?”. Di scatto mi alzo,
lasciandola evidentemente insoddisfatta. I suoi occhi mi
fissano ipnotizzati, mentre rimane ferma, incapace di
muoversi. “Cazzo, devo assolutamente allontanarmi da
quegli occhi azzurri”.

«La colazione sarà in camera fra un quarto d’ora. Avrai


una fame da lupo» esclamo un po’ troppo affrettato.

Poi, in silenzio, mi dirigo in bagno, chiudendomi dietro


la porta. “Cazzo!”. Mi appoggio all’uscio, sospirando forte.
La donna che desidero è al di là di questa maledetta porta
e io mi sono rintanato in bagno per paura di portarmela a
letto. Devo trovare una soluzione. É troppo giovane e
probabilmente altrettanto inesperta. Di certo non posso
andare da lei ora e dirle “Sai, voglio che tu sia la mia
nuova Sottomessa. Firma questo fottuto contratto e
lasciati fustigare da me”. Anche se credo che sarebbe
relativamente facile convincerla ora che ha dipinta sul
viso quell’assurda aria di beatitudine. Ma io voglio che sia
pienamente cosciente di ciò che voglio da lei. Ora non
sarebbe leale.

Mi infilo in fretta sotto la doccia, per allontanare quei


pensieri. La sensazione dell’acqua sulla pelle è piacevole,
e lenisce il mio bisogno. Mi lascio andare, rilassandomi e
cercando di non pensare alla ragazza seminuda che ho
appena lasciato nel mio letto. Resto sotto la cascata
tiepida per un bel po’ prima di decidermi ad uscire,
tentando di recuperare pienamente le mie facoltà
intellettive. Mi avvolgo un asciugamano attorno ai fianchi
e faccio un lungo e profondo sospiro. Finalmente sembro
tornato in me. “Forza Christian, ce la puoi fare”. Apro la
porta del bagno con rinnovata determinazione e…
“Merda!”. Il mio uccello risponde automaticamente alla
vista di Anastasia seminuda, in piedi davanti a me, che mi
guarda con aria colpevole, cercando di coprirsi con le
mani. Il suo splendido corpo è coperto solo dalla t-shirt e
dalle mutandine. “Cristo!”. Il respiro mi si mozza in gola,
mentre non riesco a toglierle gli occhi di dosso. La pelle
diafana, morbida, le sue mutandine striminzite che
lasciano ben poco spazio all’immaginazione, la
protuberanza dei suoi seni nascosti dalla maglietta. E lei,
con quei suoi capelli in disordine, le labbra morbide,
strette per l’imbarazzo e gli occhi grandi e azzurri, che mi
penetrano come pugnali. É davvero strepitosa vista da
vicino. Sono eccitato, bramoso di possederla. Faccio una
fatica disumana per distogliere lo sguardo da lei e tentare
di domare i miei istinti animaleschi. Mi accorgo che è in
cerca dei suoi pantaloni.

«Se stai cercando i tuoi jeans, li ho mandati in


lavanderia. Erano macchiati di vomito»

La mia voce è bassa, roca, e tradisce l’oscuro desiderio


che mi sta dilaniando l’anima in questo preciso istante.
Quanto mi piacerebbe arrossare quella pelle candida con
un flagellatore. Portare a galla il rossore e lasciarle i segni
del mio desiderio addosso. “Cazzo, cazzo, cazzo! Meglio
sparire di qui”.
«Ho mandato Taylor a comprare un altro paio di
pantaloni e di scarpe. Sono nella borsa sulla sedia»

Mi guarda sorpresa, arrossendo di nuovo e tirando la


maglietta con le mani, nel vano tentativo di coprirsi il
ventre. Mi eccita ancora di più. “Cristo santo, Anastasia!
Ora se non esci da questa stanza ti fotto”. Per fortuna è lei
a decidere e non io.

«Mmh… credo che farò una doccia. Grazie»

Imbarazzata ed impacciata, prende la borsa e scappa in


bagno, chiudendo la porta dietro di sé. Mi appoggio al
muro, passandomi una mano nei capelli, mentre il mio
corpo cerca di calmarsi. Vederla in quello stato mi ha
acceso dentro un fuoco che non avevo mai sperimentato
prima. “Anastasia Steele devi essere mia. Mia, mia, mia”.
Sospiro pesantemente. É meglio che mi vesta prima che
esca dal bagno. Non credo che riuscirei a resistere questa
volta se per caso me la trovassi davanti nuda e
completamente bagnata. Il solo pensiero rianima il mio
membro appena assopito. Grazie a lei, ormai convivo con
una costante erezione. Velocemente mi asciugo e mi
vesto. Quando ho finito busso alla porta del bagno, per
avvertirla che ha campo libero in camera.

«La colazione è pronta»

«B-bene...»

“Oh, Miss Steele, conosco quel tono. Cosa stavi facendo


sotto la doccia?”. Mi sento compiaciuto ed appagato dal
fatto che, con tutta probabilità, la dolce Anastasia si stava
accarezzando sotto lo scroscio d’acqua. Il pensiero di lei
che si masturba pensando a me mi manda letteralmente
in estasi. A malincuore mi allontano dalla camera da
letto, dirigendomi in salotto, mentre mi abbandono
ancora per un po’ alle mie fantasie perverse sulla piccola
Miss Steele.

«Merda, Kate!»

Il suo ingresso poco ortodosso, nella sala da pranzo, mi


riporta alla realtà. Alzo lo sguardo dalla pagina
economica del quotidiano, posandolo su di lei. Indossa gli
abiti che ha comprato Taylor. E so anche cosa indossa
sotto quegli abiti. Di certo sarà fantastica. E,
onestamente, spero di riuscire presto ad ammirarla in
quella mise.

«Sa che sei qui e che sei ancora viva. Ho mandato un


messaggio a Elliot»

“E, a quanto pare, Lelliot ha tenuto viva anche lei


stanotte”. Le sorrido, rassicurandola. Anastasia rimane in
piedi, senza avvicinarsi al tavolo da pranzo.

«Siediti» le ordino.

Sembra intimorita, ma obbedisce senza proferire


parola, sistemandosi di fronte a me. Piego con cura il
giornale, riponendolo al fianco del mio piatto, mentre
Anastasia ammira sorpresa il vero e proprio banchetto
che Taylor ha ordinato.

«Non sapevo cosa ti piace» le dico a mo’ di


spiegazione. «Quindi ho ordinato un po’ di tutto dal
menu della colazione»

«Non hai badato a spese»

«No, infatti» le rispondo un po’ seccato.

Odio sprecare il cibo, non mi fa sentire bene con me


stesso, e Taylor ha davvero esagerato. Tuttavia noto con
soddisfazione che lei sembra apprezzarlo, soprattutto
mentre si appropria di pancake, sciroppo d’acero, uova
strapazzate e bacon in abbondanza. “É davvero
affamata!”. Sorrido e mi dedico alla mia omelette.

«Tè?» le chiedo gentilmente.

«Si, grazie»

Le passo la piccola teiera con l’acqua calda e un


piattino con la bustina di Twinings. Alza lo sguardo di
scatto, sorpresa e… felice. Almeno credo. “Si, Miss Steele.
Sono un fottuto stalker e mi ricordo di come prendi il tè.
Ora non guardarmi come se fossi un santo”. La scruto a
fondo per qualche secondo.

«Hai i capelli bagnati»

L’espressione beata le sparisce dal volto, lasciando


spazio all’imbarazzo.

«Non sono riuscita a trovare il phon» mente


spudoratamente, mentre arrossisce leggermente.
Le faccio una smorfia sarcastica di disapprovazione,
ma evito di tornare sull’argomento. Almeno per il
momento.

«Grazie per i vestiti» mormora.

«É un piacere, quel colore ti sta benissimo»

Arrossisce di nuovo. “Prevedibile”.

«Sai, dovresti davvero imparare a ricevere un


complimento»

“Anche perché presto sarai mia, Miss Steele. E se mi va


di farti un fottuto complimento tu devi accettarlo e non
vergognartene”.

«Dovrei restituirti i soldi dei vestiti»

Alzo lo sguardo su di lei, guardandola torvo, ma la mia


espressione non la ferma.

«Mi hai già regalato i libri che, naturalmente, non


posso accettare. Ma questi vestiti… lascia che te li
rimborsi»

Mi sorride gentilmente, cercando di indorarmi la


pillola, ma non attacca con me.

«Fidati, Anastasia, posso permettermelo» le rispondo


secco, vagamente offeso dalla sua assurda proposta.

“Ma cazzo, accettala qualcosa. Voglio davvero


prendermi cura di te”.

«Non è questo il punto. Perché dovresti comprare tutte


queste cose per me?»

“Perché voglio che tu stia bene. Perché voglio darti


tutto quello di cui hai bisogno”.

«Perché ne ho la possibilità»

Lei mi guarda contrariata.

«Il fatto che tu ne abbia la possibilità non significa che


devi farlo»

“É ostinata la ragazzina!”. La guardo ancora una volta,


con gli occhi pieni di desiderio. É una sensazione strana.
Più mi sfida, più rifiuta le mie attenzioni e più mi irrita. E
più la desidero. Non mi è mai capitato prima. Ma è
letteralmente sublime. Ho solo il dubbio che potrebbe
faticare ad accettare il ruolo di Sottomessa. Dovrei
addestrarla a dovere. E credo che sarebbe immensamente
divertente. Questa sfida, la sua impertinenza, aggiungono
decisamente un tocco di eccitazione in più a tutta questa
strana situazione che ci lega.

«Perché mi hai mandato quei libri, Christian?»

Il cambio di direzione è diretto, anche se lei per prima


sembra essere spaventata dalla risposta. Me lo sta
chiedendo con un filo di voce, sussurrando. Poggio le
posate sul tavolo e la guardo intensamente per un attimo.
“Ora o mai più”.
«Bè, quando hai rischiato di farti investire dal
ciclista…e io ti tenevo tra le braccia e tu mi guardavi con
quello sguardo, come per dire “Baciami, baciami
Christian”, ho sentito che ti dovevo delle scuse e un
avvertimento»

Glielo dico tutto d’un fiato, in un impeto di sincerità. E


di risoluto coraggio.

«Anastasia, io non sono un tipo da cuori e fiori, non ho


niente di romantico, ho gusti molto particolari. Dovresti
stare alla larga da me»

“Ecco, l’ho detto”. Mi sento male al solo pensiero che


sto allontanandola da me. Ma dovrebbe ascoltare il mio
avvertimento. Eppure… eppure voglio che sappia lo stesso
quanto la desidero. So che non dovrei dirle nient’altro,
che non dovrebbe neppure essere qui ora, a guardarmi in
quel modo, ma…

«Ma in te c’è qualcosa, per cui non riesco a starti


lontano. Immagino che tu ormai l’abbia capito»

«E allora non farlo»

Queste quattro parole mormorate dalle sue labbra, mi


colgono alla sprovvista, lasciandomi sorpreso, confuso e
stordito. “Che cazzo ti succede, Grey?”.

«Non sai quello che dici» le dico, improvvisamente


agitato.
«Spiegamelo»

“No, tu neppure te lo immagini di cosa sto parlando


Anastasia”. Mi fissa spavalda e non riesco a staccare i
miei occhi da quell’azzurro intenso che mi penetra
l’anima. Mi sento totalmente esposto a lei, mentre
rimaniamo entrambi in silenzio. Per minuti, forse.

«E così non sei asessuato?»

La sua stravagante domanda rompe all’improvviso


l’assordante quiete che ci avvolge. Le mie labbra si
piegano in un sorriso divertito, mentre, imbarazzata,
prende coscienza di quello che mi ha appena chiesto.

«No, Anastasia, non lo sono»

Diventa nuovamente paonazza, ma sono distratto dal


tumulto di pensieri che ho dentro la testa in questo
momento. E all’improvviso la decisione da prendere mi
sembra più chiara che mai. Mi vuole. E io voglio lei
ovviamente. Probabilmente questo idillio durerà fino a
quando non scoprirà che sono un sadico pervertito, che
prova piacere a fustigare ragazze brune come lei, ma il
gioco vale la candela. Non potrei mai perdonarmi di non
aver almeno tentato.

«Quali sono i tuoi piani per i prossimi giorni?» le


chiedo a voce bassa, quasi timoroso.

«Oggi lavoro, da mezzogiorno. Che ore sono?» mi


chiede improvvisamente presa dal panico.
«Le dieci appena passate. C’è tutto il tempo. E
domani?»

«Kate e io inizieremo a fare le valigie. Il prossimo


weekend traslochiamo a Seattle, e tutta la prossima
settimana lavorerò al negozio»

«Avete già un posto dove stare a Seattle?»

«Sì»

«Dove?»

«Non ricordo l’indirizzo. È nella zona del Pike Place


Market»

«Non lontano da dove abito io. Che lavoro farai a


Seattle?»

All’improvviso sembra stranamente a disagio e


insofferente alle mie domande. É evidente che non ama
rivelare molto di sé stessa.

«Ho presentato domanda per alcuni stage. Sto


aspettando la risposta»

«L’hai presentata anche alla mia azienda, come ti


avevo suggerito?»

«Mmh… no»

“Cosa cazzo c’è che non va nella mia azienda?”. Potrei


avere il piacere di averla tutta per me per la maggior parte
della giornata. E Dio solo sa quanto sarebbe eccitante.
Decido di chiederglielo.

«Nella tua azienda o nel capo della tua azienda?»


risponde sarcastica

Piego la testa di lato e le sorrido, divertito ancora una


volta dalla sua adorabile impertinenza. “Si, adorabile
come lei”.

«Mi prendi in giro, Miss Steele?»

Lei abbassa gli occhi imbarazzata, mordendosi il


labbro inferiore. “Merda, di nuovo!”. Quel gesto mi fa
venire l’insana voglia di scoparmela ovunque ci troviamo.
Il mio cazzo freme nei pantaloni, bramando qualcosa di
più di un fottuto contatto visivo.

«Vorrei essere io a mordere quel labbro» mormoro


piano, con la voce bassa e piena di desiderio.

Il respiro le si mozza di colpo, per poi riprendere


affannoso. L’eccitazione si ripercuote in tutto il suo corpo,
scosso da fremiti. “E non ti ho nemmeno toccata Miss
Steele. Pensa solo a cosa potrei farti se ti abbandonassi a
me”.

«Perché non lo fai?» mi sfida, con una presa


improvvisa di coraggio.

Ma in realtà la sua sembra quasi una supplica. Riesco a


leggere il suo bisogno di me nelle sue parole, nei suoi
occhi, nel suo corpo teso. Mi vuole, decisamente. Le
faccio un sorrisetto compiaciuto.

«Perché non ho intenzione di toccarti, Anastasia…non


prima di aver avuto il tuo consenso scritto»

«Che intendi dire?»

Rimango qualche attimo in silenzio, mentre la


curiosità la divora.

«Esattamente quello che ho detto»

Scuoto la testa, mentre sorrido divertito, senza svelarle


altro per il momento. Questa donna è davvero
esasperante. Torno a guardarla per qualche secondo e
prendo coraggio definitivamente.

«A che ora finisci di lavorare stasera?»

«Verso le otto»

«Bene, potremmo andare a Seattle stasera o sabato


prossimo e cenare a casa mia, così potrei metterti al
corrente. A te la scelta»

“Ora sta a te Miss Steele. Prendere o lasciare”. Si agita


sulla sedia, sempre più curiosa.

«Perché non puoi dirmelo ora?» mi incalza.

Mi acciglio. “Perché sono un pervertito figlio di


puttana, Anastasia. Perché ti voglio solo per il piacere di
picchiarti selvaggiamente e scoparti fino allo stremo.
Perché sono solo un bastardo e tu non ti meriti uno come
me. Perché voglio avere la possibilità di rivederti almeno
un’altra volta nella mia vita, prima di dirti addio”.

«Perché mi sto godendo la colazione e la tua


compagnia. Quando saprai come stanno le cose
probabilmente non vorrai rivedermi mai più»

“Sicuramente andrà a finire in questo modo, Anastasia.


Scapperai da me e io mi sentirò un coglione perché ti
desidero e non posso darti quello di cui tu hai bisogno”.
Sono più che sicuro di questo. Ma so anche che questa è
l’unica opportunità che ho. Si fosse trattato di un’altra,
probabilmente avrei già lasciato perdere. Ma si tratta di
lei. E io proprio non posso lasciar perdere. Il suo sguardo
corrucciato mi scruta a fondo, cercando di dare un senso
a quello che le ho appena detto.

«Stasera»

Sorrido. Ero quasi sicuro della sua risposta.

«Come Eva, hai troppa fretta di mangiare dall’albero


della conoscenza» la prendo bonariamente in giro.

Ma in realtà il mio è anche un avvertimento.

«Mi prendi in giro, Mr Grey?»

Fa la carina, rifacendomi il verso, ma le si legge


stampato in faccia che vorrebbe insultarmi. Estraggo il
Blackberry dalla tasca e premo il pulsante di chiamata.
«Taylor. Mi serve Charlie Tango»

Anastasia aggrotta le sopracciglia, senza riuscire a


capire, mentre dispongo i dettagli per il viaggio con il mio
elicottero. “Oh, Miss Steele. Spero di passare l’intera
notte in tua compagnia. Anche se probabilmente non sarà
così”. Il pensiero mi distrae a tal punto che a malapena
riesco a sentire Taylor dall’altro lato.

«Le persone fanno sempre quello che dici?» mi chiede


con un pizzico di irritazione quando riattacco.

«In genere sì, se vogliono tenersi il posto» riconosco,


molto schiettamente.

«E se non lavorano per te?»

Le sorrido malizioso, fissandola ardentemente.

«Oh, so essere molto convincente, Anastasia»

“Non immagini nemmeno quanto”

«Dovresti finire la colazione» le intimo, accorgendomi


che ha ancora nel piatto buona parte del cibo che ha
scelto. «Poi ti porto a casa. Vengo a prenderti al negozio
stasera alle otto, quando stacchi. Voleremo a Seattle»

L’espressione di stupore che le si dipinge sul volto


sarebbe quasi da immortalare in un ritratto.

«Voleremo?» mi chiede scioccata.


«Sì. Ho un elicottero» le dico come se fosse la cosa più
normale di questo mondo.

Spalanca la bocca, fissandomi scioccata. ‘D’altronde


chi non ha un proprio elicottero personale a sua
disposizione, Grey?’. “Oh, bene. Il mio cervellino
sconclusionato è tornato dalle sue fottutissime vacanze.
Dove cazzo eri tre minuti fa quando mi servivi
realmente?”.

«Andremo a Seattle in elicottero?»

«Sì» rispondo con soddisfazione.

«Perché?»

Sfodero un sorriso perverso da perfetto bastardo


arrogante quale sono. “Perché lo voglio, perché voglio
stupirti”.

«Perché posso permettermelo» le dico semplicemente.


«Finisci la colazione» aggiungo poi, severo.

Il suo interrogatorio deve concludersi qui. Odio le


domande. Anastasia continua a guardarmi, senza
muoversi. É irritante.

«Mangia» le ordino deciso.

Non si muove.

«Anastasia, non sopporto lo spreco di cibo… mangia»


Finalmente sposta lo sguardo sul tavolo imbandito,
ancora turbata.

«Non posso mangiare tutta questa roba»

«Mangia quello che hai nel piatto. Se avessi mangiato a


sufficienza ieri, non saresti qui, e io non avrei dovuto
scoprire così presto le mie carte» sbotto irritato.

Forse quest’ultimo pensiero avrei potuto tenermelo per


me. Lei aggrotta la fronte alle mie parole, ma resta in
silenzio e, finalmente, torna a mangiare. Poi mi guarda.
Un sorriso le aleggia sulle labbra.

«Cosa c’è di così divertente?» le chiedo.

Scuote la testa, tornando a fissare la sua colazione. Poi,


scherzosamente, infilando la forchetta quasi come se
fosse una bambina, mangia tutto il cibo nel suo piatto,
seguita boccone per boccone dal mio sguardo attento e
soddisfatto. Mi concedo di pensare a come sarebbe
poterla avere sempre ai miei ordini, pronta a
compiacermi giorno e notte.

«Brava bambina» le dico con un mezzo sorriso quando


termina la colazione. «Ti porterò a casa quando ti sarai
asciugata i capelli. Non voglio che ti ammali».

Mi guarda leggermente imbronciata. Riluttante si alza


e resta qualche secondo come in attesa… del mio
permesso? La guardo e lei si avvia imbarazzata verso
l’altra camera. A metà strada, però, si ferma
all’improvviso, tornando a guardarmi.

«Tu dove hai dormito stanotte?» mi chiede allarmata.

«Nel mio letto»

«Ah»

Sfodero uno dei miei sorrisi sfacciati, mentre la sento


smettere di respirare.

«Già, è stata una novità anche per me»

«Non fare… sesso?» chiede, arrossendo.

«No. Dormire con qualcuno» le rispondo amaro,


mentre ricordi spiacevoli si affacciano alla mia mente.

Prima che possa continuare con le sue domande,


riprendo a leggere il mio giornale. Sento il suo sguardo
addosso ancora per un po’, prima di udire i suoi passi
condurla nella stanza affianco. Rimasto completamente
solo, abbasso il quotidiano e mi ritrovo, a malincuore, a
riflettere su quanto le ho appena detto. É la prima volta
che dormo un’intera notte con qualcuno accanto. La
prima volta da quella volta. Solo da piccolo, con Grace ho
fatto qualche eccezione. Lei era la mia mamma. La mia
nuova mamma. Grace mi ha salvato. E quando stavo con
lei non avevo incubi. E ora è successo lo stesso con
Anastasia. Certo, mi ha aiutato il fatto che lei fosse
totalmente andata. ‘Probabilmente se fosse stata
cosciente avresti fatto lo stesso, Grey’. Metto
mentalmente il broncio alla vocina nella mia testa, ma
dentro di me so che probabilmente ha ragione. Non riesco
a starle lontano. E non ne capisco il motivo. In lei c’è
qualcosa che mi fa stare bene, che mi fa dimenticare tutte
le mie preoccupazioni, le mie ansie. Anche se metto le
distanze, non riesco mai di allontanarmi del tutto. Per la
prima volta nella mia vita ho desiderato quasi di essere
toccato, anche se so che probabilmente non riuscirò mai a
superare questo mio limite assoluto. La mia vita è fatta di
limiti assoluti. E lei li sfida ad ogni parola, ad ogni gesto.
Mi ammalia, rendendomi impossibile pensare ad altro.
Prendo il mio BlackBerry e chiamo l’ufficio.

«Andrea. Grey. Inviami una copia dell’accordo di


riservatezza»

«Come desidera, signore. Ah, Mr Grey, ci sono state


delle complicazioni per la spedizione in Darfur»

«Passami Ros» ringhio contro la mia assistente.

Mentre la mia vice mi snocciola i punti salienti


dell’ultima spedizione in Darfur, Anastasia fa
silenziosamente ritorno in salotto. La osservo aprire la
borsetta e frugarci dentro freneticamente. Dopo qualche
secondo ne tira fuori, trionfante, un elastico per capelli,
raccogliendo la sua chioma bruna in una coda di cavallo.
É così dannatamente sexy. Non riesco a smettere di
guardarla, mentre si accomoda sul bracciolo del divano,
aspettando che io concluda la mia telefonata, perdendosi
nei suoi pensieri. Cerco di liquidare Ros il più presto
possibile e, dopo aver concordato il modus operandi da
adottare per la spedizione, finalmente metto giù.
«Sei pronta?» le chiedo, riponendo il mio cellulare
nella tasca dei pantaloni.

Prendo la giacca e le chiavi della macchina, mentre lei


annuisce seguendomi verso la porta.

«Dopo di te, Miss Steele» le mormoro.

Anastasia si ferma a guardarmi. Mi scruta


attentamente, nei minimi dettagli. Mi sento come se
dovessi superare un test. Poi finalmente si decide ad
uscire, offrendomi come al solito un’ottima visuale del
suo splendido culo. Camminiamo in silenzio lungo il
corridoio, verso l’ascensore, scrutandoci a vicenda con la
coda dell’occhio. “É dannatamente sexy!”. Sento l’uccello
diventarmi di nuovo di marmo. Non vorrei altro, in
questo momento, che sbatterla al muro e farla godere fino
allo svenimento. All’improvviso lei si gira a guardarmi.
Diretta. E mi sorride. In un modo meraviglioso. Tutto il
desiderio che provo nei suoi confronti mi si scarica
addosso all’improvviso. Entriamo in ascensore e siamo
completamente soli. L’atmosfera cambia, si carica di
sensualità, erotismo, voglie reciproche. É palpabile
nell’aria. Siamo così vicini, in uno spazio così ristretto.
Sento il suo respiro accelerare. Mi giro a guardarla e… lei
è lì, a dilaniarsi quel maledetto labbro, consumata
dall’agitazione. “Cristo!”. Non qui dentro, per favore.
Chiudo gli occhi cercando di trattenere il mio impeto.
“Non ha ancora firmato il contratto. Non ha ancora
firmato il contratto. Non ha ancora firmato quel
fottutissimo contratto!”. Ma non riesco a resistere oltre.

«Oh, al diavolo le scartoffie!»


Mi fiondo letteralmente su di lei, sbattendola con forza
contro la parete dell’ascensore. I nostri corpi aderiscono
perfettamente. Le afferro entrambe le mani con le mie,
portandogliele al di sopra della testa, per impedirle di
toccarmi. Con i fianchi la inchiodo alla parete. La mia
mano destra scende, afferrandole i capelli e
costringendola ad alzare il viso. Sento i suoi gemiti contro
le mie labbra, mentre socchiude le sue, lasciandomi
spazio. E finalmente sono dentro la sua bocca. La esploro,
la assaggio. Le nostre lingue si sfiorano, si uniscono in
una danza dolce e impietosa al tempo stesso. É
straordinario. Non ho mai provato nulla del genere.
Sposto la mano dai capelli al mento, per tenerla ferma.
“Sei mia, Miss Steele”. La sua lingua esita e infine si
unisce completamente alla mia, in un modo
straordinariamente lento ed erotico. Sa di fresco, di
buono. Sa di Ana. Il mio corpo la sovrasta, impedendole
di muoversi. É letteralmente imprigionata. Il solo
guardarla in questo stato mi eccita al di là di ogni umana
immaginazione. Il mio cazzo sta per esplodermi nei
pantaloni. Le sfiora deciso il ventre, tendendosi sotto la
stoffa. E lei se ne accorge. Lo sente. Mi guarda incredula.
“Si, Anastasia Steele. Ti voglio. Ti voglio davvero”.

«Tu. Sei. Così. Dolce» le mormoro piano, scandendo


ogni parola.

Fortunatamente siamo in ascensore. Probabilmente se


fossimo ancora in camera la starei già scopando di santa
ragione. All’improvviso le porte dell’ascensore si aprono,
lasciando entrare altri tre passeggeri. Faccio appena in
tempo a staccarmi da lei e a ricompormi velocemente,
come se nulla fosse accaduto. Anastasia mi guarda di
sottecchi, mentre, imbarazzata, cerca di darsi un
contegno. É affannata, tremante. Mi studia, mentre mi
soffermo a pensare su quello che è appena successo,
lasciando i tre uomini in giacca e cravatta, dietro di noi, a
sghignazzare maliziosamente. Vederla così impotente tra
le mie braccia, baciarla, farla mia in qualche modo per la
prima volta. Mi sfugge un breve sospiro roco. Sono
fottutamente eccitato. ‘Datti una calmata, Grey’. Come se
fosse semplice. La guardo, mentre sembra quasi gioire
per la mia debolezza. “Cazzo!”. Non mi era mai successo
di perdere il controllo prima. Mai. I tre passeggeri ci
lasciano di nuovo soli. Manca un solo piano.

«Ti sei lavata i denti» le mormoro curioso,


ricordandomi solo ora di non averle procurato uno
spazzolino da denti.

«Ho usato il tuo spazzolino» mi dice di rimando.

Mi viene da sorridere, anche se cerco di trattenermi il


più possibile.

«Oh, Anastasia Steele, cosa devo fare con te?»

A rompere quell’idillio, appena ritrovato, ci pensa


l’ascensore. Le porte si spalancano al piano terra.
Uscendo le prendo la mano, bramando un contatto.

«Perché gli ascensori sono così imbarazzanti?» mi


chiedo distrattamente, mentre devo letteralmente
trascinarmela dietro dal momento che non sembra essersi
ancora del tutto ripresa dal nostro incontro ravvicinato.
Capitolo 6
Le apro gentilmente la portiera dell’Audi, in silenzio,
lasciandola accomodarsi. Mentre salgo al suo fianco, mi
ritrovo ad osservarla di nascosto. Si sta letteralmente
consumando dalla voglia di parlare di quello che è appena
successo in ascensore. Ma è troppo imbarazzata.
Incredula si sfiora le labbra con le dita, tastandone il
leggero gonfiore post-bacio, dovuto alla foga con cui mi
sono scaraventato su di lei. L’episodio mi ha leggermente
irritato. Per la prima volta nella mia vita non sono
riuscito a resistere, a controllarmi. Nessuna mi ha mai
intrigato in questo modo assurdo. Non ho mai
sperimentato un’attrazione di questo genere. Non saprei
neppure come classificarla. Distolgo lo sguardo dalle sue
labbra e tento di reprimere la prepotente voglia di
scopargliele sul sedile passeggero della mia Audi. Metto
in moto, con il suo sguardo pressante che mi brucia
addosso, e parto accendendo lo stereo, per dare
finalmente un taglio ai miei pensieri. Una soave melodia
copre adagio il nostro silenzio incessante, mentre
imbocco Southwest Park Avenue.

«Cosa stiamo ascoltando?» mi chiede dopo un po’,


sinceramente interessata.

Sembra ammaliata dalle angeliche voci che avvolgono


l’abitacolo. I suoi occhi sono spalancati per la meraviglia.

«È il Duetto dei fiori di Delibes, dall’opera Lakmé. Ti


piace?»

«Christian, è meraviglioso»
«Vero?»

La guardo radioso, sinceramente colpito dal fatto che


le piaccia quel brano. É uno dei miei preferiti. Lei
annuisce con convinzione, chiedendomi il permesso di
riascoltarlo.

«Certo»

Premo il pulsante e la melodia celestiale ci investe di


nuovo, fuoriuscendo dalle casse dell’autoradio al quale
sono collegati sia il mio Mp3 che il mio Blackberry.
Anastasia guarda fuori dal finestrino, perdendosi
estasiata in quelle magnifiche note.

«Ti piace la musica classica?» mi chiede di colpo,


curiosa.

«Ho gusti eclettici, Anastasia, da Thomas Tallis ai


Kings of Leon. Dipende dall’umore. E tu?»

«Anch’io. Però non so chi sia Thomas Tallis»

«Un giorno te lo farò ascoltare» le dico con un sorriso,


guardandola brevemente. «È un compositore inglese del
Sedicesimo secolo. Epoca Tudor, musica corale religiosa»

Mi restituisce uno sguardo perplesso.

«Suona molto esoterico, lo so, ma ha qualcosa di


magico, Anastasia»
Mentre le spiego questo me la immagino nella mia
Stanza dei giochi, nuda, legata alla croce ed imbavagliata.
Nessun altro rumore se non le melodie di Tallis in
sottofondo. E i suoi gemiti di piacere. “Ok. Meglio
cambiare genere”. Premo il pulsante sul volante e partono
proprio i Kings of Leon con Sex on fire. Ana sorride, ma
ad interrompere l’idillio ci pensa la suoneria del mio
cellulare che risuona negli altoparlanti. Premo il pulsante
di risposta, abbastanza infastidito.

«Grey»

«Mr Grey, sono Welch. Ho l’informazione che le serve»

«Ottimo. Mi mandi una mail. Altro da aggiungere?»

«No, signore»

Termino la chiamata senza convenevoli e la musica


riprende. “Ora ti ho in pugno figlio di puttana di un José
Rodriguez”. Anastasia mi guarda, aggrottando
leggermente la fronte. Il Blackberry torna a squillare.

«Grey»

«Le ho mandato l’accordo di riservatezza via mail, Mr


Grey»

«Bene. È tutto, Andrea»

«Buona giornata, signore»

Pochi secondi più tardi un’altra chiamata.


«Grey»

«Pronto, Christian, ci hai dato dentro?»

La mancanza di tatto di mio fratello non ha limiti.

«Ciao, Elliot… sono con il vivavoce, e c’è qualcuno in


macchina con me» sospiro rassegnato.

“Non cambierà mai quella testa di cazzo”

«Chi è?»

Alzo gli occhi al cielo, esasperato dalla sua invadenza.


Ana, invece, sembra piuttosto divertita dal nostro
siparietto familiare.

«Anastasia Steele»

«Ciao, Ana!»

“Ana? Ma se nemmeno la conosce!” Sempre il solito


Dongiovanni da strapazzo, mio fratello. Lei sorride,
contraccambiando il saluto.

«Ciao, Elliot»

«Ho sentito molto parlare di te» le mormora lui di


rimando, abbassando la voce.

Aggrotto la fronte infastidito. Certo, so che scherza, ma


mi da fastidio che Elliot si metta a flirtare con la mia Ana.
‘Non è di tua proprietà, Grey’. Lei, sembra assecondare la
messa in scena di Elliot.

«Non credere a una parola di quello che dice Kate»

La risata divertita di mio fratello investe l’abitacolo.


“Ok. É arrivato il momento di darci un taglio”.

«Sto per riportare a casa Anastasia» annuncio,


calcando volutamente sul suo nome. «Vuoi che ti dia un
passaggio?» gli chiedo.

«Magari!»

«A fra poco»

Attacco e i Kings of Leon ripartono, anche se abbasso


leggermente il volume.

«Perché insisti a chiamarmi Anastasia?»

La sua domanda mi fa sorridere. Non le è sfuggita


l’enfasi che ho utilizzato nel pronunciare il suo nome per
intero.

«Perché è il tuo nome» le rispondo indifferente.

«Io preferisco Ana»

«Ah, sì?» mi limito a mormorarle di rimando, con poca


convinzione.

“Il fatto è, mia cara Anastasia, che tu puoi preferire


tutto ciò che vuoi, ma io ti chiamerò come meglio credo. E
in questo momento Sottomessa sarebbe l’ideale”. Arrivati
davanti casa sua spengo l’auto e mi giro per un attimo a
fissarla.

«Anastasia» le dico mentre lei mi fissa con aria truce.


«Quello che è successo in ascensore… non succederà più,
a meno che non sia stabilito prima»

Rimane molto sorpresa, ma non dice una parola. Credo


che stia riflettendo su quanto le ho appena detto,
cercando di dare un senso alle mie parole. É bellissima
anche adesso, con la fronte corrucciata e lo sguardo
indagatore che cerca di penetrarmi. Approfitto di questo
suo momento di confusione per scendere dall’auto e
aprirle la portiera. Arrossisce leggermente mentre salta
fuori dall’Audi. Vorrei sapere cosa pensa. Sembra
frustrata, o qualcosa del genere. Sicuramente delusa dalle
mie parole. Questo glielo si legge in viso.

«A me è piaciuto quello che è successo in ascensore»


mormora piano.

Le sue parole mi colpiscono forte dentro, come un


pugno. Lo stomaco mi si contrae e il desiderio di averla
aumenta in modo esponenziale, acuito dalla nostra
vicinanza. Mi oltrepassa, decisa, evitando però di
guardarmi, e si dirige verso l’interno del suo
appartamento. La seguo in silenzio attraverso la veranda,
aspettando che apra la porta. Entriamo e mi trovo davanti
un piccolo appartamentino tranquillo, molto adatto a
delle studentesse. Non mi soffermo molto a guardarmi
intorno, ma seguo Anastasia nel salottino, dove troviamo
Elliot e Katherine Kavanagh. Sono seduti al tavolo da
pranzo, entrambi sorridono come due idioti. Si vede da
lontano un miglio che hanno scopato. E quanto hanno
scopato. Con la coda dell’occhio scorgo Miss Kavanagh
guardarmi con sospetto mentre si alza di scatto e
praticamente salta addosso alla sua amica. “Mio Dio,
quant’è irritante questa donna!”.

«Ciao, Ana!»

La abbraccia come se non la vedesse da dieci anni, poi


aggrotta la fronte, guardandola negli occhi. Si gira a
scrutarmi da capo a piedi.

«Buongiorno, Christian» mi saluta alla fine, con tono


freddo e quasi infastidito.

“Oh. Bene. Si è accorta anche di me”.

«Miss Kavanagh» le rispondo con lo stesso identico


tono di voce.

«Christian, si chiama Kate»

Elliot mi borbotta contro, ammonendomi. Gli rivolgo


uno sguardo ostile, poi senza dissimulare il sarcasmo, ma,
comunque, in modo educato, saluto nuovamente Miss
Irritazione Dai Capelli Rossi di fronte a me.

«Kate»

Elliot mi sorride compiaciuto. Poi si alza e si fionda su


Anastasia.
«Ciao, Ana» le sorride, riservandole uno sguardo
carico di intenzione.

Il suo tipico sguardo alla Elliot Grey Il Puttaniere.


Quanto mi da sui nervi in questo momento! Ana gli
risponde in modo educato, ma divertito. Guardandola mi
accorgo che si sta mordendo il labbro inferiore. Lo fa
sempre quando è imbarazzata. O eccitata. Dentro di me
rabbia e desiderio si fondono, rischiando di esplodere.
Non capisco nemmeno io perché sono tanto furioso. ‘Non
sei furioso, Grey. Sei solo geloso’. La sarcastica analisi
della situazione gentilmente offertami dal mio cervello
bacato non tarda ad arrivare, come al solito. Fatico ad
ammetterlo con me stesso, ma in realtà so che ha ragione.
“Io, Christian Grey, amministratore delegato di
un’immensa società, signore assoluto della mia vita, mi
ritrovo ad essere geloso di una ragazzina impertinente
che conosco da meno di tre secondi”. Mentre la guardo,
però, mi accorgo che è come se la conoscessi da una vita.
É mia. Le sue labbra sono mie. Il suo corpo è mio. O
meglio, lo sarà. Presto. Ho un fremito d’eccitazione
mentre ripenso alla splendida visione di lei mezza nuda
che mi ha offerto stamattina. Devo andare via di qua,
allontanarmi da lei. Ora.

«Elliot, dovremmo andare» annuncio a mio fratello.

Il mio tono non ammette repliche. Ed Elliot mi conosce


fin troppo bene.

«Certo»

Si gira verso Katherine e, prendendola tra le braccia, la


bacia platealmente. Una patetica scena degna di un
filmetto sdolcinato da quattro soldi. Distolgo lo sguardo
vagamente disgustato da loro due e mi soffermo su
Anastasia, che, imbarazzata, ha gli occhi fissi a terra.
Lentamente si gira a guardarmi. Mi fa una leggera
smorfia, divertita ma al tempo stesso come per farmi
capire che non le dispiacerebbe tutta quella teatralità.
“Non sono fatto per queste stronzate, Anastasia”. Elliot
continua ad esibirsi in imbarazzanti ed inopportune
acrobazie, sollevando Kate in aria e facendole inarcare la
schiena, senza smettere di baciarla. Io, invece, non smetto
di guardare lei. “No, Ana. Io non sono un tipo da scene
d’amore plateali. Io non sono quello che pensi. Forse
nemmeno quello che cerchi. Ma tu sei esattamente quello
che voglio”.

«A più tardi, piccola» sta sussurrando Elliot, mentre


Kate si scioglie tra le sue braccia.

Anastasia torna a guardarli, con invidia malcelata. Alzo


gli occhi al cielo, esasperato, ma divertito, incrociando i
suoi, carichi di richieste inespresse. ‘Cosa ti aspettavi? É
solo una ragazzina, Grey’. Le sorrido, infilandole una
ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio. La sua reazione
al mio tocco è straordinariamente immediata. Trattiene il
respiro e lentamente si sposta di lato, appoggiando
delicatamente la sua testa alle mie dita. É così dolce. Non
riesco a trattenermi e, quasi senza rendermene conto, mi
ritrovo a sfiorargli il labbro inferiore con il pollice,
delicatamente. La sua eccitazione cresce, così come la
mia. Ritraggo in fretta la mano.

«A più tardi, piccola» mormoro piano, prendendola un


po’ in giro. «Passo a prenderti alle otto»
La guardo sciogliersi alle mie parole e questo mi
inebria, facendomi sentire potente oltre misura. Voglio
che sia mia. In questo momento più che mai. E stasera, se
Dio vorrà, lo sarà per davvero. Ho giù un’idea di cosa le
farò. Sorrido tra me e me, mentre mi allontano da lei,
dirigendomi fuori casa. Elliot mi segue. Prima di salire in
macchina si gira verso Katherine, in attesa sulla veranda,
accanto ad Anastasia, e le manda un ultimo bacio.
Aspetto impazientemente che si decida a smettere di fare
l’idiota e a salire. Ancora qualche ultimo istante in cui mi
concentro a guardare la piccola Miss Steele. Osserva
leggermente imbronciata la patetica scena di Elliot e
sembra triste, come se le fosse stato appena negato
qualcosa. “Ma non è così, Ana. Ho appena messo il
mondo ai tuoi piedi, anche se in un modo che tu fatichi a
comprendere. Voglio prendermi cura di te. Non sono un
tipo da cuori e fiori”. La osservo rientrare in casa, dallo
specchietto retrovisore, cercando di capire cosa cazzo mi
stia succedendo.

«Allora lo avete fatto? »

La solita discrezione di Elliot mi riporta alla realtà. Lo


guardo torvo, evitando di rispondere, anche se dentro di
me sono abbastanza divertito. Lui approfitta del mio
silenzio per dare libero sfogo alle sue congetture da
cazzaro quale è.

«É carina la ragazza! Ci sa fare? É stata all’altezza del


mio schizzinoso fratellino?»

Continuo ad imperversare nel mio mutismo, ma


l’ombra di un sorriso aleggia sulle mie labbra.

«Dai, Christian! Dettagli, dettagli, dettagli. Credo che


questa sia la prima ragazza che ti porti in camera»

Rimango sempre sorpreso dalla capacità di mio fratello


di continuare a sparare cazzate anche quando nessuno gli
da corda.

«Ho capito. Non ti va di parlare. Avrai fatto cilecca. Bè,


la ragazza ha decisamente sbagliato Grey!»

Mi giro di scatto a guardarlo. So che scherza ma le sue


stronzate iniziano ad irritarmi sul serio. ‘O forse è il
pensiero di Elliot e Ana insieme ad irritarti sul serio’.

«Vaffanculo!» sbotto, sia contro mio fratello che


contro il mio cervello.

Per tutta risposta Elliot scoppia in una fragorosa risata.

«Tranquillo, fratellino, tranquillo! Nessuno qui ha


intenzione di toccare la tua Ana»

Mi limito a fissarlo di sottecchi, ancora infastidito.

«Credo di avere appena trovato una ragazza


meravigliosa con la quale passare la stragrande
maggioranza delle mie giornate. O delle mie nottate, se
preferisci!»

Fa un profondo sospiro.
«Stasera la rivedo»

Sta sorridendo e gli occhi hanno uno strano luccichio.


Lelliot e Miss Irritazione. Ma dai! Non riesco ad
immaginare coppia peggiore al mondo. Il pensiero di quei
due insieme mi diverte sinceramente. Il suo slancio di
sincerità, tuttavia, ha ammorbidito il mio umore. E credo
mi contagi.

«Stasera porterò Anastasia a Seattle» mi ritrovo a


dirgli.

Elliot mi sorride. Un sorriso sincero, spontaneo. E so


che è felice per suo fratello.

«E Elliot, non siamo andati a letto insieme. Non


ancora, almeno»

Non so perché mi ritrovo a confessargli questo. Lui mi


guarda, senza smettere di sorridere.

«Ti ha proprio preso di brutto questa Ana Steele,


Christian»

Non rispondo e mi concentro, corrucciato, a guardare


la strada. “Già, mi ha proprio preso di brutto questa Ana
Steele”.

Taylor parcheggia davanti all’ingresso della ferramenta


Clayton. Mancano circa cinque minuti alla fine del suo
turno di lavoro. Mentre aspetto, mi rilasso per la prima
volta dopo aver passato un’intera giornata con Elliot.
Sono stato nervoso e inquieto tutto il giorno, senza capire
perché. E ora, mentre la vedo uscire dal negozio, capisco
che è solo perché mi è mancata. É come se si fosse presa
un pezzo di me, quel giorno nel mio ufficio, e io sto
rincorrendola ovunque nel vano tentativo di farmelo
restituire. Salto fuori dal retro del Suv, per aprirle la
portiera, sorridendole calorosamente.

«Buonasera, Miss Steele» le dico, ammirandola da


capo a piedi.

Indossa un paio di onnipresenti jeans, neri stavolta,


una camicia di una particolare tonalità di verde e una
giacca nera. Semplice, discretamente elegante. Bella da
morire.

«Mr Grey»

La sua voce ha un fremito, mentre si accomoda sul


sedile posteriore, salutando Taylor. Chiudo la portiera e
raggiungo l’altro lato dell’auto, salendole accanto. Mi
accomodo sul sedile e non resisto all’impulso di stringerle
la mano, mentre Taylor parte. La sento fremere al mio
tocco. “Oh, Ana. Non vedo l’ora di farti fremere sul serio”.

«Com’è stata la giornata?» le chiedo, mentre l’ansia e


l’attesa si fondono in me, portandomi ad uno stato di
inusuale agitazione.

«Interminabile» mi risponde, con la voce bassa, roca,


piena di desiderio.

“Allora anch’io ti sono mancato, Miss Steele”.


«Anche per me è stata una giornata lunga»

Le sorrido, nel buio del retro dell’Audi.

«Cos’hai fatto?»

“Mi sono solo arrovellato il cervello cercando di capire


come prenderai il fatto che voglio fare di te la mia
Sottomessa”. La guardo nella penombra della macchina.
Probabilmente scapperà e non vorrà saperne nulla di me.
E io l’avrò persa. Il solo pensiero è così doloroso che lo
scaccio via immediatamente.

«Sono stato in giro con Elliot»

Le accarezzo piano con le dita il dorso della mano.


Riesco perfettamente a percepire l’eccitazione nel suo
respiro. “Forse…bè, forse, se è questo l’effetto che le
faccio, potrebbe prendere in considerazione quello che le
offro”. Continuo a toccarle la mano, accarezzandole le
nocche avanti e indietro. A tratti ho l’impressione che stia
per raggiungere l’orgasmo solo per questo. É incredibile
quanto riesca ad eccitarmi il fatto di vederla in estasi per
me. “Anastasia Rose Steele, devi essere mia ad ogni
costo”. Dopo pochi minuti raggiungiamo l’edificio con
l’elisuperficie, sul quale sosta Charlie Tango in attesa di
spiccare il volo. Taylor parcheggia, scende dall’auto e apre
la portiera ad Anastasia. Scendo anch’io e la raggiungo,
prendendole nuovamente la mano nella mia. Mi piace
avere un contatto fisico con lei.

«Sei pronta?»
Annuisce, senza proferire parola. Sembra molto
nervosa, agitata in un modo fuori dal normale. Ho
l’impressione che ci sia qualcosa che non mi sta dicendo.
Congedo in fretta Taylor e la conduco all’interno
dell’edificio, dentro uno degli ascensori. La guardo
mentre entriamo. É distratta da qualcosa. Il suo respiro
diventa affannato non appena le porte si chiudono
davanti a noi. É evidente che sta ripensando alla nostra
recente esperienza in ascensore. Io nemmeno ho smesso
di pensarci per tutto il giorno. Il ricordo di quelle dolci
labbra a contatto con le mie mi ha perseguitato. Il suo
corpo attaccato al mio, in simbiosi. Il suo dolce profumo.
É stato incredibile. Sexy. Eccitante da morire. Incrocio il
suo sguardo e le sorrido. “Si, piccola, ci penso anch’io”.

«Sono solo tre piani» le dico divertito.

Rimane basita, cercando di dissimulare l’agitazione e


l’imbarazzo. E poi eccola. La solita carica magnetica tra di
noi. Sembriamo due calamite che si attraggono l’un
l’altra. La guardo intensamente, mentre chiude gli occhi
cercando di non farsi sopraffare dal desiderio. Io stesso
faccio fatica. Le stringo forte la mano, nel tentativo di
alleviare la sofferenza di non poterla avere qui. Ora.
Subito. Fortunatamente il viaggio è davvero breve. Le
porte dell’ascensore si aprono sul tetto dell’edificio. Il mio
elicottero è lì ad aspettarci. É uno spettacolo anche solo
guardarlo. Sulla fiancata blu torreggiano il nome e il logo
della mia società. Conduco Anastasia nell’ufficio presente
sull’elisuperficie, dove Joe ci attende, seduto alla sua
scrivania.

«Ecco il suo piano di volo, Mr Grey. Tutti i controlli


esterni sono stati già fatti. Il velivolo è pronto a partire,
signore. Potete andare»

«Grazie, Joe»

Gli rivolgo un sorriso sincero, prima di condurre via


Anastasia, che lo guarda incuriosita, probabilmente
chiedendosi perché sono stato così gentile con un
membro del mio staff. La verità è che Joe è molto più di
un mio dipendente. Mi ha insegnato una delle cose più
belle che so fare. Pilotare. Mi ha insegnato a sentirmi il
padrone del mondo dall’alto del mio trabiccolo, come lo
chiama Elliot. Ed è qualcosa di veramente straordinario.
Conduco Ana all’elicottero, mentre lei osserva ammirata
ed incuriosita ogni mio movimento. Apro la portiera e le
indico uno dei sedili anteriori.

«Accomodati, e non toccare niente» le ordino.

La aiuto a salire e poi la seguo. Mentre richiudo il


portellone, lei si siede obbediente nel posto che le è stato
indicato. Mi avvicino per allacciarle la cintura di
sicurezza. E in quel momento è come se stessi facendo
qualcos’altro. Stringo forte le cinghie, lasciandomi andare
a pensieri più lascivi sulla splendida ragazza che ora si
trova a due millimetri dal mio naso. Me la immagino
legata stretta in questo modo al letto della mia Stanza dei
giochi, del tutto incapace di muoversi mentre, dominando
il suo corpo dall’alto, le affondo dentro ripetutamente,
inchiodandola al letto. La fisso, sorridendo sardonico. “Ti
farò proprio questo, Miss Steele”. ‘Se, per miracolo,
deciderà di firmare il tuo contratto, Mr Grey’.

«Sei al sicuro, non c’è modo di scappare» le sussurro


avvicinandomi al suo orecchio.

Lei sussulta, il suo respiro resta sospeso. Il suo corpo si


infiamma mentre le accarezzo piano una guancia con le
dita, arrivando fino al mento, che stringo delicatamente
tra le dita.

«Respira, Anastasia»

La voglia di baciarla è improvvisa, ma devo


trattenermi. Rischio di scoparmela qui, sul mio elicottero,
stretta dalle cinture di sicurezza. “A dire il vero, non
sarebbe una cattiva idea”. La guardo e non ce la faccio a
resistere. Mi sporgo in avanti e la bacio rapidamente sulle
labbra. Un tocco leggero, ma ardente al tempo stesso, che
mi lascia stordito e confuso. Anastasia è palesemente
eccitata, del tutto incapace di muoversi. Vederla in questo
stato mi riempie di una frenesia assurda.

«Mi piace questa cintura di sicurezza» le mormoro,


mentre ne seguo la linea con le dita.

Rimane interdetta, mentre mi allontano da lei,


lasciandola di nuovo in trepidazione. Mi siedo al mio
posto, preparandomi a decollare, mentre Anastasia si
abbandona ai suoi muti interrogativi sulle mie parole,
apparentemente prive di senso.

«Infilati quelle» le dico, indicandole un paio di cuffie.

Faccio lo stesso mentre avvio Charlie Tango.

«Sto solo eseguendo i controlli preliminari» le dico con


un sorriso, notando il suo sguardo curioso.

«Sai cosa stai facendo?»

«Ho il brevetto di pilota da quattro anni, Anastasia.


Con me sei al sicuro». Le faccio un altro sorriso, più
spavaldo stavolta. «Almeno finché siamo in volo»
aggiungo, facendole l’occhiolino. «Sei pronta?»

Annuisce, anche se il terrore le si legge negli occhi. E


non riesco a capire se è la paura di volare o la paura di
quello che succederà dopo. ‘E cosa vorresti che
succedesse dopo, Grey?’. Cerco di concentrarmi il più
possibile, comunicando alla torre di controllo
l’imminente partenza. Poi mi giro a guardarla.

«Si parte» le annuncio deciso, mentre il velivolo si


stacca dal suolo.

Durante i primi minuti di viaggio la osservo


segretamente, mantenendo il silenzio e dandole
l’opportunità di raccogliere i suoi pensieri. Credo ne abbia
bisogno. La sua agitazione è palpabile nell’aria. E sono
sempre più convinto che non sia solo per il volo. Il suo
sguardo vaga fuori dal finestrino, abbagliato dalle luci
della città sottostante. Siamo persi nel buio della notte. “E
io ti sto conducendo in un buio ancora più oscuro, dolce
Anastasia”.

«Inquietante, vero?»

Mi decido ad interrompere le sue fantasticherie.


“Andiamo, Ana. Comunica”.
«Come fai a sapere qual è la direzione giusta?» mi
chiede curiosa.

«Guarda qui»

Le mostro la bussola elettronica sul quadrante.

«Questo è un Eurocopter EC135. Uno dei più sicuri


della sua categoria. È attrezzato per il volo notturno»

Mi fermo qualche secondo, lasciandole assorbire le


informazioni che le ho appena snocciolato. La verità è che
sono dannatamente fiero del mio elicottero. É parte di
me. In effetti porta il mio nome. O meglio, le mie iniziali.
La C, di Christian, e la T, di Trevelyan, il cognome di mia
madre. Che nell’alfabeto fonetico NATO corrispondono
esattamente a Charlie e Tango.

«C’è un’elisuperficie sul tetto della casa in cui vivo. È lì


che siamo diretti» le spiego poi.

Torno a fissare il pannello di controllo, ma sento il suo


sguardo costantemente addosso. “Cazzo, sta agitando
anche me. E questo silenzio non aiuta”. Decido di
continuare a parlarle del volo.

«Quando si vola di notte lo si fa alla cieca. Bisogna


affidarsi alla strumentazione»

La sua voce, in risposta alla mia, è stranamente debole


e fioca.
«Quanto dura il volo?»

“Beccata di nuovo, Miss Steele. A cosa stavi


pensando?”. Sorrido segretamente e sento l’eccitazione
crescere sempre di più.

«Meno di un’ora, il vento è a favore»

Rispondo ad entrambe le sue domande. Quella che mi


ha appena fatto e quella che si è tenuta dentro. “Meno di
un’ora e sarai mia. Almeno spero”. La sua tensione
aumenta, si agita sempre di più.

«Tutto bene, Anastasia?» le chiedo gentilmente.

«Sì» risponde in modo conciso e deciso.

Forse un po’ troppo affrettato, però. Sorrido nel buio


della cabina. “Non sai quanta voglia di fotterti ho ora,
Miss Steele”. Contatto nuovamente i controllori di volo,
mentre passiamo dallo spazio aereo di Portland a quello
di Seattle. Manca davvero poco per raggiungere l’Escala e
sento la mia agitazione crescere di pari passo alla sua.
“Che cazzo mi sta succedendo?”. Cerco di calmarmi con
un profondo, ma silenzioso, respiro.

«Guarda laggiù»

Le indico un puntino luminoso all’orizzonte. «Quella è


Seattle»

«Usi sempre questo sistema per far colpo sulle donne?


“Vieni a fare un giro sul mio elicottero?”»
La sua domanda impertinente, in perfetto stile
Anastasia Steele, mi coglie di sorpresa. La guardo, ma
sembra davvero interessata alla risposta.

«Non ho mai portato una ragazza quassù, Anastasia»,


le rispondo pacatamente. «È un’altra prima volta per me»

Resta in silenzio, a guardare, fuori dal finestrino,


Seattle che si avvicina. E anch’io torno a chiudermi nel
mio mutismo, pensando a quello che le ho appena detto.
“Tu, Anastasia, mi fai fare cose che non credevo di potere
o dovere fare”. É inutile che ci giri intorno. Per quanto
voglia negarlo, credo che Elliot ci abbia preso in pieno
stavolta. “Questa ragazza mi ha proprio preso di brutto”.
O forse devo solo scoparmela per togliermi questo
assurdo pallino dalla testa. Non ne posso più di sentirmi
come un liceale al suo primo appuntamento. “É tutta una
fottuta tensione quando c’è lei di mezzo”. I suoi occhi
vagano persi e affascinati, al di sotto del cielo scuro che ci
circonda.

«Sei colpita?» le chiedo.

«Sono tramortita, Christian»

Ancora il mio nome tra le sue labbra. É una sensazione


piacevolmente inquietante.

«Tramortita?»

Annuisce piano. Sorrido. “É come mi sento io quando


ti guardo piccola”.
«È che sei così… esperto»

«Oh, grazie, Miss Steele» le rispondo compiaciuto.

“E non solo in questo”. Il silenzio cala nuovamente tra


di noi, interrotto solamente dalle comunicazioni di volo
tra me e la torre di controllo.

«È evidente che ti diverte molto» esordisce ad un


tratto.

La guardo con un’espressione curiosa, senza riuscire a


capire a cosa si stia riferendo di preciso.

«Cosa?»

«Volare» dice piano.

Le sorrido, compiaciuto.

«Richiede controllo e concentrazione… Come potrebbe


non piacermi? Anche se preferisco planare»

«Planare?»

«Sì. Andare in aliante. Alianti ed elicotteri, li guido


entrambi»

«Oh»

Torna ad immergersi nel suo mutismo, rimuginando


sulla mia risposta. Sembra quasi amareggiata. Chissà
perché, poi.

«Charlie Tango, rispondi, passo»

La voce incorporea del controllore di volo ci distrae


entrambi. Scambio altri dati del volo con la torre di
controllo mentre Seattle si avvicina sempre di più. La
guardo ammirare estasiata il panorama.

«Bella, vero?» le chiedo piano.

Quasi mi vergogno ad interrompere il flusso dei suoi


pensieri. Annuisce con un entusiasmo davvero genuino,
strappandomi un sorriso.

«Arriviamo fra cinque minuti» la avverto.

Il suo respiro diventa di colpo più affannoso. Il


controllore di volo mi distrae nuovamente, ma sento che
lei mi nasconde qualcosa. La sua agitazione è eccessiva e
si ripercuote sul mio stato d’animo, rendendomi nervoso
a mia volta. Pochi minuti dopo stiamo atterrando in cima
all’Escala. Anastasia, sul sedile accanto a me, prende ad
agitarsi convulsamente. Rallento piano e atterro con una
manovra precisa. Spengo il motore e le pale del rotore
diminuiscono la loro velocità, fino a fermarsi del tutto.
“Cazzo, se sono nervoso”. La ragazzina bruna al mio
fianco lo è molto di più comunque. Respira in modo
spasmodico. Probabilmente sarà stato l’atterraggio.
Ricordo che al decollo era agitata allo stesso modo, anche
se poi si era calmata durante il volo. Oppure mi nasconde
qualcosa. “Ma cosa?”. Mi tolgo le cuffie e lentamente mi
avvicino a lei per fare lo stesso.
«Siamo arrivati» le mormoro, mentre il suo sguardo
stranito mi inchioda a lei per qualche attimo.

Cerco di mascherare l’agitazione con il distacco. Ma è


difficile rimanere distaccati da lei. Mi slaccio la cintura di
sicurezza e poi faccio lo stesso con la sua. Il mio viso è a
pochi centimetri dal suo.

«Non devi fare niente che non vuoi fare. Lo sai, vero?»

Le sussurro queste parole per rassicurarla, ma in realtà


è me stesso che sto rassicurando. “Anastasia, non farti
incantare dal mio bel faccino”. Non so perché, ma vorrei
quasi confessare anche a lei quest’ultimo pensiero. ‘Si,
Grey, così ci perdiamo l’unica occasione che abbiamo di
scoparcela’. “Bene, anche il mio cervello ha subìto il
fascino di Miss Steele”.

«Non farei niente che non voglia fare, Christian»

Le sue parole mi riportano alla realtà e mi


tranquillizzano. Non voglio spaventarla o metterla a
disagio. Voglio solo che sia consapevole di quello che le
posso offrire. E voglio che accetti. Lo voglio con tutto me
stesso. Apro agilmente il portellone dell’elicottero e salto
giù. “Ci siamo”. La aiuto a scendere. Anastasia continua
ad essere tesa, nervosa. Si gira intorno smarrita,
lanciando uno sguardo atterrito attorno a sé. La avvolgo
con un braccio, attirandola a me, per rassicurarla e
ripararla dal forte vento.

«Vieni!» le urlo, trascinandola verso l’ascensore.


Digito in fretta il codice ed entriamo. All’interno, una
deliziosa atmosfera calda ci avvolge. L’ascensore è pieno
di specchi, che riflettono l’immagine di me e Anastasia
abbracciati. É bellissima e per niente al mondo mi
staccherei da lei in questo momento. Digito un altro
codice e iniziamo a scendere. Il tragitto dal tetto all’attico
è breve, pertanto non ho molto tempo per osservarla. La
sua agitazione torna a farsi sentire. Si contorce le dita.
Pochi istanti e siamo già nell’atrio del mio appartamento.

Anastasia resta per un attimo interdetta,


contemplando a bocca aperta tutto quel bianco che ci
circonda, spezzato solo dal tavolo di legno scuro sul quale
è poggiato un vaso contenente dei fiori. Bianchi anch’essi.
Il bianco è uno dei mie colori preferiti. É come se la sua
accecante luminosità facesse da contrasto con il mio
animo oscuro, spazzando via le tenebre che mi porto
dietro da una vita. ‘Ma è solo un’illusione, Grey’. Miss
Steele, intanto, sta rapidamente dando un’occhiata ai
quadri alle pareti. Sono tutte Madonne col Bambino. Non
che io sia un tipo religioso, ma quell’immagine di un
piccolo bambino stretto a sua madre che lo culla in modo
amorevole è qualcosa di affascinante e crudele al tempo
stesso. Rappresenta tutto quello che da piccolo mi è stato
negato e, allo stesso tempo, quello che solo Grace, quando
forse era troppo tardi, ha saputo darmi. Abbasso gli occhi
scacciando via pensieri inopportuni. “Non è questo il
momento, Christian”. ‘Non è mai il momento, Grey. Solo
in quella stanza sai come affrontare tutto questo’. Apro la
porta a doppio battente, e conduco Anastasia attraverso
l’ampio corridoio bianco che si affaccia nel salone. Il
familiare odore di casa mi avvolge e mi sento a mio agio
dopo ore. Osservo brevemente la mia ospite, che si
guarda intorno smarrita. Sta ammirando la parete di
vetro che affaccia sull’ampio terrazzo, dal quale è
possibile osservare tutta Seattle. Il suo sguardo vaga
all’interno dell’enorme sala, passando dal grande divano
in pelle, a forma di U, al caminetto in stile moderno, nel
quale Mrs Jones, la mia domestica, ha provveduto ad
accendere un piacevole fuoco. Si gira lentamente verso
sinistra, rimanendo ad osservare la cucina, bianca
anch’essa, con gli ampi piani in legno scuro e un pratico
bancone per la colazione, circondato da sei sgabelli. Più in
là, l’ambiente è dominato da un ampio tavolo da pranzo,
accanto al quale sono disposte sedici sedie. La sua
attenzione viene catturata per qualche minuto dal mio
pianoforte a coda nero, per poi spostarsi sui quadri di
vario genere appesi alle pareti. Sembra molto
disorientata.

«Vuoi darmi la giacca?»

Scuote la testa, in muta risposta alla mia domanda.


“Andiamo bene”.

«Gradisci qualcosa da bere?»

Anastasia si gira a guardarmi strano. Probabilmente


pensa che voglia prenderla in giro dopo quanto successo
la notte scorsa. Mi affretto a fargli capire che non è così.

«Io prendo un bicchiere di vino bianco. Ne vuoi uno


anche tu?»

«Sì, grazie»

Finalmente mormora qualcosa. Mi tolgo la giacca,


poggiandola sul divano e mi avvicino alla cucina per
prendere una bottiglia di vino. Lei, intanto, si avvicina,
smarrita, alla parete di vetro, osservando fuori. Poi torna
indietro, e mi raggiunge, avvicinandosi al bancone.

«Ti va bene un Pouilly-Fumé?» le chiedo.

«Non capisco niente di vini, Christian. Sono sicura che


andrà benissimo»

La sua voce tremante tradisce tutta la sua ansia, e allo


stesso tempo tutto il suo desiderio. L’effetto che ho su di
lei è davvero appagante.

«Ecco» le dico porgendole il calice di vino.

Ne beve un sorso, senza dire nulla.

«Sei molto silenziosa, e non arrossisci nemmeno. Anzi,


penso di non averti mai visto così pallida, Anastasia» le
dico piano, anche se il mio tono è leggermente
inquisitorio.

Voglio sapere cosa mi nasconde.

«Hai fame?»

Scuote la testa. Sembra voler aggiungere qualcosa, ma


si ferma.

«Hai un appartamento molto grande» riprende dopo


qualche attimo.
La guardo stupito. Probabilmente è tutto questo lusso
a spiazzarla. Forse è solo questo il motivo della sua
angoscia. La suite, l’elicottero, l’attico.

«Grande?»

«Sì»

«Sì, è grande» ammetto divertito, cercando di metterla


di più a suo agio.

Anastasia manda giù un altro sorso di vino, quasi per


farsi coraggio.

«Sai suonare?» chiede, indicandomi il pianoforte con il


mento.

«Sì»

«Bene?»

«Sì»

‘Modesto come sempre, Grey. E ti chiedi perché sia


così intimorita?’

«Ovvio. C’è qualcosa che non sai fare bene?»

Il vino la rende davvero audace.

«Sì… alcune cose»

“Non so amare, Miss Steele”. Sorseggio un po’ di vino


dal mio calice, mentre la scruto a fondo. Gironzola per la
stanza, ammirando distrattamente tutto quello che in
esso vi è contenuto.

«Vuoi sederti?» le chiedo.

Annuisce mentre mi avvicino a lei e le prendo la mano,


conducendola sull’ampio divano. Si siede e un sorriso
dovuto ad un pensiero segreto le anima il volto pallido.

«Cosa c’è di così divertente?»

Mi siedo accanto a lei, girandomi a guardarla.

«Perché mi hai regalato proprio Tess dei


d’Urberville?» mi chiede diretta.

Rimango sorpreso dalla sua domanda. Resto qualche


secondo in silenzio, soppesando la mia risposta.

«Bè, avevi detto che ti piaceva Thomas Hardy»

«È l’unico motivo?»

Non riesce a nascondere la delusione e io mi sento una


merda. “No, Ana. Non è affatto l’unico motivo. Ho smosso
mari e monti per sapere l’argomento del tuo esame finale.
Perché volevo far tornare quel tuo bellissimo sorriso dal
posto in cui la mia stupidità e la mia poca considerazione
lo avevano spedito. E mi sono letteralmente scervellato
per trovare una citazione adatta che ti mettesse in guardia
da me e da quello che sono in realtà”. Solo ora mi sto
rendendo conto che, invece di allontanarla come avevo
progettato, ho fatto di tutto per evitare che se ne andasse
via da me. Stringo le labbra cercando di placare quel
misto di rabbia e frustrazione che provo nei miei
confronti in questo momento.

«Mi sembrava appropriato. Sarei capace di innalzarti a


qualche ideale impossibilmente alto come Angel Clare o
degradarti completamente come Alec d’Urberville»
mormoro alla fine, mentre quest’ultimo pensiero mi
spinge verso scenari particolarmente interessanti.

«Se le scelte sono solo queste due, opto per la


seconda»

Queste poche parole, sussurrate da quelle labbra pure


e rosee mi mandano letteralmente in estasi. La
sensazione che scatenano mi colpisce dritta allo stomaco.
E anche più giù. Il mio uccello freme nei pantaloni.
Rimango a fissarla, a bocca aperta, stupito dalla sua
temerarietà. Lei è nervosa, si morde il labbro. Quel gesto,
apparentemente innocente, mi da il colpo di grazia
definitivo. “Se non la smette me la scopo ora, contratto o
non contratto”.

«Anastasia, smettila di morderti il labbro, per favore.


Mi distrae. Non sai cosa stai dicendo»

«È per questo che sono qui»

Mi sfida apertamente, resa probabilmente molto più


audace del solito dal vino. Meglio arrivare in fretta al
sodo o potrei non rispondere più delle mie azioni.
«Già. Vuoi scusarmi un attimo?»

Mi alzo, lasciandola da sola sul divano, e mi reco nel


mio studio. Mi concedo un attimo di tregua, per calmarmi
e riprendere il mio abituale autocontrollo, che
stranamente ha deciso di dileguarsi dinnanzi alla piccola
ospite impertinente. Avvio il computer e stampo l’accordo
di riservatezza inviatomi da Andrea. So che tra pochi
minuti la dolce Miss Steele sarà sparita per sempre dalla
mia vita. Non appena le avrò detto tutto se ne andrà,
lasciandomi di nuovo vuoto e solo. Il solo pensiero mi
incupisce all’istante. Meglio fare in fretta. Torno di là in
salotto, concedendomi un briciolo di speranza, e le porgo
i fogli che ho in mano.

«Questo è un accordo di riservatezza»

Sono un po’ imbarazzato dal suo sguardo. Mi guarda


sgomenta. Il fatto è che di solito a questo punto della
storia chi mi sta di fronte è consapevole del ruolo che
intendo affidargli. Ma in tutto questo casino sono io il
primo a non capirci niente. Tento di scusarmi in qualche
modo.

«Il mio avvocato ha insistito» mento.

Ho imparato da Elena che è meglio mettersi al riparo


da qualsiasi tipo di rivendicazioni. Con questo accordo,
con il contratto e con le foto. Meglio evitare di farsi
trovare impreparati.

«Se scegli la seconda opzione, la degradazione, dovrai


firmarlo» mormoro.
«E se non voglio firmare niente?»

Mi guarda con aria di sfida quasi, e nella mia testa


passano mille immagini diverse. “Non sai in quanti modi
potrei convincerti, Miss Steele. Ma credo che basti negarti
quello che vuoi. Me”.

«Allora opteremo per gli alti ideali di Angel Clare,


almeno per buona parte del libro» le dico, senza riuscire a
nascondere, comunque, un pizzico di amarezza.

«Cosa significa questo accordo?»

«Significa che non puoi rivelare niente di noi due.


Niente, a nessuno»

Mi guarda incredula, ma anche ansiosa. Ansiosa di


sapere.

«Va bene. Firmo». Mi tende la mano e senza pensarci


le allungo la stilografica che ho in mano.

«Non lo leggi neanche?» le chiedo sbalordito anch’io.

«No»

La guardo corrucciato.

«Anastasia, dovresti sempre leggere qualsiasi cosa


prima di firmare» la ammonisco.

«Christian, quello che non riesci a capire è che non


parlerei comunque a nessuno di noi due. Nemmeno a
Kate. Quindi è irrilevante che io firmi questo accordo o
no. Se per te significa tanto, o per il tuo avvocato… al
quale, a quanto pare, hai raccontato tutto, per me va
bene. Firmerò»

Annuisco, sentendomi di nuovo un verme per averle


mentito. Ma sono tuttavia colpito dalle sue parole.

«Un punto per te, Miss Steele»

Non posso fare altro che rimanere a fissarla mentre,


con un leggero tratto, firma entrambe le copie che le ho
dato, restituendomene una e mettendo in borsa l’altra.
Prende il bicchiere e manda giù un altro abbondante
sorso di vino. Sospira, come se avesse acquistato nuova
linfa vitale.

«Questo significa che stanotte farai l’amore con me,


Christian?»

Rimango scioccato dalla sua frase e lei stessa sembra


ripensare incredula a quello che le è appena uscito di
bocca. Fortunatamente mi riprendo quasi subito. Ora che
ha firmato l’accordo di riservatezza, in effetti, sono più
rilassato. Tutto quello che le dirò rimarrà tra me e lei.
Faccio un respiro profondo. Devo mettere bene in chiaro
le cose come stanno sin da subito.

«No, Anastasia. Primo: io non faccio l’amore; io fotto…


senza pietà. Secondo: ci sono molte altre scartoffie da
firmare. Terzo: non sai cosa ti aspetta. Sei ancora in
tempo per dartela a gambe. Vieni, voglio mostrarti la mia
stanza dei giochi»

Ho riacquistato gran parte della sicurezza che avevo


perso nelle ultime ore. Lei mi guarda a bocca aperta,
scossa e confusa dalle mie parole.

«Vuoi giocare con la Xbox?» mi chiede.

Non riesco a trattenere una risata divertita. La sua


ingenuità è davvero disarmante.

«No, Anastasia, niente Xbox, niente Playstation.


Vieni».

Le tendo la mano, alzandomi dal divano, e lei la afferra


con una leggera esitazione. Attraversiamo il corridoio e la
conduco su per le scale, al piano superiore. In cima alla
rampa giro a destra, aprendo la porta che mi sta di fronte.
Dalla tasca dei pantaloni tiro fuori una chiave e,
infilandola nella serratura, apro la seconda porta che mi
trovo davanti. Rimango immobile, senza spalancare
l’uscio. Faccio un respiro profondo, sentendo risalire tutta
l’agitazione che ho provato questa sera. “Ho paura. Si.
Christian Grey ha paura”. Paura di perderla.

«Puoi andartene in qualsiasi momento. L’elicottero è


in attesa, pronto a portarti ovunque tu voglia; oppure,
puoi passare qui la notte e tornare a casa domani mattina.
Qualsiasi cosa tu decida per me va bene»

Le rammento tutte le possibili vie di fuga, anche se


spero che lei non debba usarle.
«Apri questa dannata porta, Christian» sbotta
esasperata.

La sua curiosità pressante aleggia nell’aria. Obbedisco


e, facendo un passo indietro, le lascio via libera. Il suo
sguardo mi inchioda ancora per qualche attimo. Poi, dopo
un lungo e profondo respiro, entra nella camera. Resto
dietro di lei e questo non mi permette di vedere la sua
espressione. Tuttavia il suo stupore è percepibile a
distanza. Si blocca all’improvviso e d’istinto chiudo gli
occhi, aspettando che mi vomiti addosso ogni genere di
insulto.
Capitolo 7
L’assordante silenzio, che dura da qualche minuto
forse, mi costringe a riaprire gli occhi. Anastasia si erge
dritta, al centro della mia Stanza dei giochi, illuminata dal
familiare bagliore soffuso delle lampade alle pareti. É di
spalle, e questo non mi permette di vedere la sua
espressione. Ma, al momento, non oso avvicinarmi a lei.
Rimane in silenzio per non so quanto tempo ancora. Si
guarda intorno sorpresa, ma in un certo senso curiosa
oserei dire. É ovvio che le ho spalancato davanti un
mondo totalmente nuovo, che non ha niente a che vedere
con quello che ha conosciuto fino ad ora. Respiro a fondo
l’odore acre di cuoio, legno e cera. “Un odore perfetto per
scopare”. E il solo pensiero fa placare la mia ansia.
Inspiro profondamente, come se insieme all’aria potessi
farmi entrare dentro anche una buona dose di
determinazione. Continuo a guardarla con attenzione,
come se fosse una gatta selvatica pronta a scattare da un
momento all’altro. Da parte sua, invece, Anastasia
continua a squadrare attenta l’ambiente che la circonda,
così diverso dal resto dell’appartamento. Le pareti della
mia Stanza dei giochi sono di un rosso porpora, quasi a
sottolineare come è qui, in questa stanza, che la luce non
può nulla contro le tenebre. É qui dove i demoni del mio
passato si impossessano di me, del mio corpo, della mia
anima, per liberarsi tutti in contemporanea e lasciarmi
soddisfare. ‘A danno della Sottomessa di turno, Grey’.
Chiudo brevemente gli occhi, solo per ritrovare la mia
fermezza. La mia forza interiore. Il Christian Dominatore.
Seguo i movimenti della sua testa, per indovinare cosa
accarezzerà il suo sguardo penetrante. La croce di legno
alla parete, corde, catene, manette, verghe, frustini. “Si,
Anastasia. Osserva. Osserva tutto quello che sono”.
Sposta la sua attenzione ora su una cosa, ora su un’altra.
Guarda, studia, scruta in rigoroso silenzio. La panca di
cuoio imbottita, il tavolo sul lato opposto della stanza,
l’enorme letto a baldacchino con il materasso in pelle
rossa e i cuscini di raso dello stesso colore, il divano rosso
scuro. I suoi occhi si alzano al soffitto, dal quale pendono
diversi moschettoni. Finalmente, dopo quella che sembra
un’eternità, si gira a guardarmi. Ha un’aria ovviamente
stupita, eppure non mi sembra di scorgere in lei alcuna
traccia di terrore, come invece mi sarei aspettato. “Forse
c’è ancora spazio per le mie speranze”. Il cuore accelera i
battiti e mi ritrovo quasi a pregare di avere ragione.
Anastasia imperversa nel suo silenzio, ma inizia a
muoversi all’interno della stanza, avvicinandosi ad un
flagellatore che ha catturato la sua attenzione. Curiosa, lo
osserva, lo tocca esitante, seguendone la linea con le dita,
sino alle perline di plastica alle estremità.

«Si chiama flagellatore» le spiego calmo, con una finta


dolcezza che maschera l’agitazione che spinge prepotente
dentro me.

Non risponde, ma i suoi occhi implorano avidamente


altre informazioni. Una miriade di espressioni diverse le
animano il volto. Esitante, fa ancora qualche passo
incerto all’interno del perimetro della Stanza dei giochi,
avvicinandosi al letto. Alza la mano destra titubante e,
con delicatezza, la avvicina ad una delle colonnine
intagliate posizionate ai quattro angoli, facendoci scorrere
sopra le dita in modo delicato. Cazzo se è eccitante
vederla aggirarsi in questa stanza. Dentro di me tento di
reprimere l’impulso di avvicinarmi a lei e baciarla di
nuovo, per poi spingerla su quel letto che sta tanto
ammirando, e farla mia ripetutamente. “Cazzo, parlami!”.
Sto bruciando dalla curiosità di sapere cosa le passa per la
mente.

«Di’ qualcosa» le ordino, tentando di mascherare il


mio tono troppo severo. Non sono abituato a lasciarlo
fuori da questa stanza.

Lentamente, dopo ancora qualche minuto di silenzio,


la sua voce angelica torna a farsi sentire.

«Sei tu a fare questo agli altri o sono gli altri a farlo a


te?»

Tutta la tensione che ho accumulato negli ultimi dieci


minuti si scioglie in un mezzo sorriso. Finalmente! “Non
mi ha detto che vuole andarsene. Non ancora, almeno.
Ma è già un inizio”.

«Agli altri?»

Sbatto le palpebre un paio di volte, riflettendo su come


rispondere esattamente alla sua domanda, non del tutto
priva di fondamento. Certo, c’è stato un tempo in cui era
Elena a fare tutto questo a me. Un tempo in cui un’altra
persona ha usato tutto questo per darmi quello di cui
avevo bisogno. “Ma ora ho tutto quello che mi serve. Io
sono tutto quello di cui ho bisogno. E quel tempo è morto
e sepolto ormai”. Faccio un piccolo sospiro, cercando di
riordinare le idee in modo da spiegarmi nel modo più
chiaro possibile.

«Lo faccio alle donne che lo desiderano»


Anastasia mi guarda come se non afferrasse le mie
parole.

«Se hai già delle volontarie, cosa ci faccio io qui?»

Opto per la sincerità.

«Perché vorrei farlo con te, lo vorrei tanto»

É tutto quello che posso dire, è la mia spiegazione


razionale, o semi razionale, a questo sentirmi così preso
da lei. Lo voglio davvero tanto.

«Ah» sussulta.

Sento la sua eccitazione crescere, come anche la sua


ansia. Si guarda di nuovo intorno, più timorosa stavolta.
Lentamente si sposta ancora, arrivando fino all’angolo in
fondo della stanza, accanto alla panca di cuoio imbottita.
É davvero eccitante vederla toccare, esplorare e ammirare
tutti questi oggetti del peccato. Sembra un angelo in visita
all’inferno. “Ed è dannatamente sexy!”. In questo
momento vorrei solo strapparle quei vestiti di dosso e
farla gemere di piacere. Mi piacerebbe sentirla implorare
il mio nome tra gli spasmi di un orgasmo, vederla
impazzire di goduria e lasciarla su quel letto rosso,
spossata dalla lussuria. A riportarmi alla realtà è la sua
espressione, che muta tutta all’improvviso. É come se un
pensiero spiacevole le avesse attraversato la mente.

«Sei un sadico?» mi chiede, in apprensione.

“Cazzo!”. Se le dico di si, ora, se le dico la verità, so che


scapperà via. Ne sono certo. Magari, però, potrei
continuare a spiegarle, a farle capire. Non so perché mi
sto perdendo in tutto questo groviglio di pensieri. É solo
che mi sento una merda al pensiero di mentirle in
qualche modo. ‘Andiamo, Grey. L’hai già fatto con la
cazzata dell’avvocato’. Bè, so solo che non voglio perderla.
In fondo per Flynn non è una patologia. Potrei dirle
questo. Oppure ometterlo del tutto. Che differenza
potrebbe mai fare, a parte riuscire a non farla scappare?
Di certo non le serve sapere perché lo faccio. A nessuna
delle mie Sottomesse ho mai dovuto spiegare perché mi
piace tanto fustigare le ragazze brune. Nessuna di loro ha
mai saputo di espiare le pene della puttana drogata che
mi ha generato. Perché dovrei fare un’eccezione proprio
ora? E poi voglio davvero che rimanga e non scappi.

«Sono un Dominatore» le dico alla fine, sperando che


lei si concentri su questa nuova informazione e non sulla
mancata risposta alla sua domanda.

Per un attimo penso che la mia espressione tradisca la


mia omissione. Lei aggrotta leggermente le sopracciglia.

«Cosa significa?» mormora piano.

La guardo intensamente. É così ingenua, povera


piccola. Non so se è giusto trascinarla in tutto questo. So
solo che la voglio.

«Significa che voglio che accetti di abbandonarti


spontaneamente a me, in tutto»

Ha un’espressione corrucciata, mentre riflette sulle


mie parole.
«Perché dovrei fare una cosa del genere?»

«Per compiacermi» mormoro, inclinando la testa di


lato.

Le sorrido, come per calmare il flusso dei suoi pensieri.


La sua bocca si apre in un moto di stupore, come se le
avessi appena rivelato qualcosa di ovvio, che prima le
sfuggiva. Mi guarda, ma il desiderio non abbandona i suoi
occhi. E ora lo so. So che non vuole andare via, che mi
vuole. Tanto quanto io voglio lei. Ma so anche che sarà
comunque difficile farglielo accettare.

«In parole povere voglio che tu desideri compiacermi»

Le parlo piano, come se fosse una bambina piccola.

«E come dovrei fare?»

La sua voce è spezzata, mentre rivolge un breve


sguardo, quasi di paura, a tutto ciò che ci circonda in
questo momento.

«Ho delle regole e voglio che tu le rispetti. Sono per il


tuo bene, e per il mio piacere. Se le segui in modo
soddisfacente, ti ricompenso. Se non lo fai, ti punisco,
così imparerai»

La mia voce è bassa, suadente, mentre parlo di quello


che mi piace fare, di quello che desidero, di quello che
sono. Seguo il suo sguardo, che si posa con terrore sulla
rastrelliera appesa al muro, che sorregge verghe di varie
dimensioni. “Brava Anastasia, hai centrato in pieno cosa
intendo per punizione”.
«E tutto questo armamentario quando entra in gioco?»
mi chiede, indicando con un cenno vago della mano gli
oggetti che la circondano.

«Rientra tutto nel pacchetto degli incentivi. Premi e


punizioni» le spiego paziente.

«Quindi tu ti ecciti esercitando la tua volontà su di


me»

“Non sai quanto, Miss Steele”.

«Si tratta di conquistare la tua fiducia e il tuo rispetto,


in modo che tu mi consenta di esercitare la mia volontà
su di te. Io traggo un grande piacere, addirittura gioia,
direi, dalla tua sottomissione. Più tu ti sottometti, più la
mia gioia aumenta: è un’equazione molto semplice»

Concludo il mio discorso con un piccolo sorriso


rassicurante. Ma la sento titubante. ‘Andiamo. Chi vuoi
prendere in giro, Grey? Tu vuoi sottometterla per punire
tua madre. E questo ti eccita, perché è la violenza ad
eccitarti. Ma non ti rende felice’. Contraggo
impercettibilmente la mascella, sapendo che il mio
cervello ha ragione. La violenza è l’unico modo che
conosco. L’unico tipo di contatto umano che ho. Ma non
sono mai soddisfatto.

«D’accordo, e io cosa ci guadagno?» mi chiede dopo


qualche istante, distogliendomi dai mie pensieri.

Mi stringo nelle spalle, assumendo un’aria leggermente


contrita.
«Me» le rispondo semplicemente.

Mi fissa in silenzio, senza replicare. “Già, non è molto,


Anastasia. Ma so che mi vuoi”. Il pensiero di averla mi fa
eccitare in un modo che non mi era mai capitato prima.
Mi passo una mano nei capelli, esasperato da quella
situazione, dal fatto di vederla in questa stanza e non
poterla toccare. “Deve firmare quel fottuto contratto!”.

«Non rivelerai niente, Anastasia» le dico piano.


«Torniamo al piano di sotto, dove riesco a concentrarmi
meglio. Mi distrae molto averti qui dentro»

Le tendo la mano, ma lei la guarda esitante, senza


prenderla.

«Non ti farò male, Anastasia» la rassicuro.

Finalmente si lascia condurre fuori dalla stanza. Invece


di scendere al piano di sotto, però, giro a destra e imbocco
il corridoio.

«Se accetti, ti faccio vedere cosa ti aspetta»

Voglio darle un quadro completo di quello che posso


offrirle, anche se, ho il dubbio che quello che sto per
mostrarle non avrà il potere di convincerla. Se ho ben
capito il suo carattere, in effetti, questa è la parte che le
interesserà di meno. Passiamo davanti a diverse porte
prima di arrivare a quella in fondo al corridoio. Al di là di
essa c’è una stanza completamente bianca, con un
enorme letto matrimoniale. Mobili, pareti. Tutto bianco.
Su un lato della stanza c’è un’immensa vetrata che
affaccia sullo skyline di Seattle. É la stanza delle
Sottomesse. Un angolo della mia casa riservato alla mia
partner sessuale di turno. É una sorta di rifugio, per
lasciarle allontanare da me e da quello che faccio loro. Ma
è anche, per me, un modo per tenerle a distanza. Non
lascio mai che invadano i miei spazi, la mia vita. Ho
bisogno che dormano da sole, che vivano da sole. Mi
limito semplicemente a procurare loro quello di cui
hanno bisogno. Una stanza, dei vestiti, una macchina,
protezione. Sesso estremo e punizioni. Le uso, le fustigo,
le provoco fisicamente ed emotivamente. Ma in fondo
anche loro sfruttano me. Vogliono il mio denaro, le belle
cose che compro per loro. Non mi sento mai in colpa
proprio per questo, in effetti. Compro la loro lealtà, la
loro devozione. É una sorta di tacito scambio. Io voglio il
loro corpo e loro i miei soldi. Forse è per questo che con
Anastasia mi sento così strano. Ho visto la sua ritrosia
nell’accettare anche un paio di pantaloni. Sento di non
poterla ammaliare con il denaro. E questo mi mette in
crisi. E non mi permette di espiare le mie di colpe.

«Questa sarà la tua stanza. Puoi arredarla come vuoi,


farci mettere quello che vuoi»

«La mia stanza? Ti aspetti che mi trasferisca da te?»

Il terrore le si legge stampato in faccia.

«Non a tempo pieno. Diciamo, dal venerdì sera alla


domenica. Dobbiamo discutere di tutti questi dettagli,
trattare. Sempre che tu accetti» le spiego, esitante.

La mia già poca sicurezza di averla in pugno inizia a


vacillare pesantemente. “Dì di si, ti prego”.
«Io dormirò qui?»

“Dormirò? Allora, forse è fatta!”. Contengo a stento


l’euforia.

«Sì»

«Non con te» constata amareggiata.

«No. Te l’ho detto, non dormo con nessuno, a parte


quando sei rintronata dall’alcool» la rimprovero quasi
senza rendermene conto.

Ma, allo stesso tempo, l’idea di dormire accanto a lei,


sentire il suo profumo, abbracciarla e stringermela al
petto, si fa strada dentro di me. É questo che lei vorrebbe.
E, anche se è davvero difficile ammetterlo, so che in fondo
lo vorrei anch’io. ‘Ma cosa cazzo pensi, Grey?’. Già, per
una volta la mia testa ha ragione. “Come cazzo mi
vengono in mente determinate cose?” Anastasia mi
guarda, intanto, divorata dal dubbio.

«Tu dove dormi?»

«La mia stanza è al piano di sotto. Vieni, devi essere


affamata»

Meglio trascinarla via da questa stanza. Forse non è


neppure stata una buona idea quella di mostrargliela. E
comunque di sotto potremmo discuterne meglio.
Ovunque, basta che non sia una stanza con un letto.
Perché in questo momento il mio unico pensiero è quello
di ficcargli dentro il mio uccello e scoparla ad oltranza. ‘E
la mancanza di un letto ti ha mai fermato, Grey?’.

«Strano, mi sembra di aver perso l’appetito» mi


mormora di rimando, stizzita, mentre la trascino per le
scale. “La solita impertinente!”.

«Devi mangiare, Anastasia» la ammonisco.

Percepisco distintamente l’ansia emanata dal suo


corpo, in costante aumento da quando siamo usciti dalla
Stanza dei giochi. Devo trovare in fretta un modo per
calmarla, altrimenti la perderò.

«Sono consapevole che è un sentiero oscuro quello in


cui ti voglio condurre, Anastasia, ed è per questo che
voglio che tu rifletta bene. Avrai delle domande da farmi»
le dico, quando raggiungiamo il salone.

A malincuore, lascio la sua mano e mi dirigo in cucina.


Mi segue esitante. Ho capito perfettamente che non è mai
stata coinvolta in nulla del genere. Ed è ovvio che ora
bruci dalla curiosità di sapere a cosa potrebbe andare in
conto.

«Hai firmato l’accordo, puoi chiedermi quello che vuoi


e ti risponderò» le dico in tono conciliante.

“In fondo mi vuole. Lo so. Parlarne potrebbe farla


eccitare e… capitolare”. ‘Ottimo piano, Grey. Ti sei
appena guadagnato il titolo di maestro nell’arte di
circuire le ragazzine’.

Anastasia si ferma accanto al bancone, osservandomi


mentre traffico con il vassoio di formaggi assortiti e due
ciotole di uva rossa e verde, riposti in frigo da Mrs Jones.
Poggio il vassoio sul piano di lavoro e inizio a tagliare una
baguette. Mrs Jones me ne lascia sempre qualcuna nei
fine settimana. Sa benissimo che le adoro.

«Siediti» le ordino, indicandole uno sgabello accanto a


lei.

Mi obbedisce all’istante, ma sembra riflettere


attentamente su quello che ha appena fatto. “Si, Miss
Steele, visto come ti viene naturale obbedire a quello che
ti dico di fare?”

«Hai parlato di scartoffie» mi chiede


improvvisamente.

«Sì»

«Che genere di scartoffie?»

«Bè, a parte l’accordo di riservatezza, un contratto che


dice quello che faremo e quello che non faremo. Ho
bisogno di conoscere i tuoi limiti, e tu devi conoscere i
miei. È un atto consensuale, Anastasia» le spiego
premurosamente, cercando di rassicurarla
maggiormente.

«E se non voglio farlo?»

«Va bene lo stesso» le rispondo con cautela.

E con un po’ di paura, che mi provoca un dolore


assurdo in una parte poco conosciuta del mio petto.
“Accetta, Ana. Fallo!”. Deve accettare, non può essere
altrimenti.

«Ma non avremo nessuna relazione?» continua lei.

«No»

E mentre le rispondo percepisco una nota strana nella


mia voce. ‘Vorresti altri tipi di relazione, Grey?’

«Perché?»

«Perché questo è l’unico genere di relazione che mi


interessa» le dico deciso, rispondendo a lei e alla mia
testa.

Ho realizzato che lei vorrebbe tutt’altra storia con me.


Qualcosa di completamente diverso da quello che voglio
io. Ma sento che, nonostante l’oscurità che mi avvolge, è
sempre attratta da me. E credo che sarà proprio questo a
spingerla ad accettare alla fine. In fondo le sue paure sono
legate solo al fatto di non conoscere il mio mondo. “Ma io
sono qui apposta per mostrartelo, Anastasia”.

«Perché?» mi incalza, distogliendomi dai mie pensieri.

La guardo negli occhi, stringendomi nelle spalle.

«Sono fatto così» le rispondo con molta onestà.

«Come sei diventato così?»

Ora sono io quello nervoso ed agitato dalla sua


curiosità crescente. “Non posso dirtelo, Ana”.
«Perché le persone sono come sono? È difficile
rispondere. Perché ad alcuni piace il formaggio mentre
altri lo odiano? A te piace il formaggio? Mrs Jones, la mia
domestica, lo ha lasciato per cena» le rispondo con aria
vaga, tentando di cambiare argomento.

Almeno per qualche attimo. Mi giro, dandole le spalle,


ed estraggo dalla credenza alcuni piatti. Ne poggio uno
sul bancone, di fronte a lei, fingendo una calma e
un’indifferenza che in realtà sono ben lontane da ciò che
provo.

«Quali sono le regole che dovrei seguire?» torna a


chiedere dopo un attimo di pausa.

«Ne ho un elenco scritto. Le guarderemo, ma solo dopo


aver mangiato»

Tenerla sulle spine. É l’unico modo che ho per farle


ingerire del cibo suppongo.

«Non ho molta fame» sussurra, guardando di traverso


il piatto davanti a sé.

«Mangerai lo stesso» le dico semplicemente.

Mi guarda tentando di leggermi l’anima. Senza sapere


che io un’anima non ce l’ho. Ed è come se avesse avuto
una visione completa di tutta quella che sarà la sua vita
da oggi in avanti. “Sei mia, Miss Steele. E presto potrò
fare di te quello che più mi piace”.

«Gradisci un altro bicchiere di vino?» le chiedo


gentilmente.
«Sì, grazie»

Le riempio il bicchiere, sedendomi sullo sgabello


accanto a lei. Prende il calice e ne beve subito un sorso.
Forse questo la farà sentire più sicura, come prima.

«Serviti pure, Anastasia»

Con uno sforzo immenso allunga la mano e prende un


piccolo grappolo d’uva da una delle ciotole. Quando alza
gli occhi trova, ad attenderla, uno dei miei sguardi severi.
Ma non sembra importarle poi più di tanto. É concentrata
su altro.

«È da molto che fai queste cose?» mi chiede.

«Sì»

“Da quando, a 15 anni, una delle migliori amiche di


Grace mi ha preso per mano e mi ha trascinato in questo
mondo che non conoscevo. Da quando ho scoperto che
non c’era altro modo per me, oltre alla violenza fisica, per
essere appagato. Da quando ho capito che avevo bisogno
di far ricadere su altre persone le colpe di quella drogata
di mia madre, per poterle affrontare e sconfiggere”. ‘E
pensi di esserci riuscito, Grey?’. Cazzo, quanto odio il mio
cervello e le sue stupide domande inopportune!

«È facile trovare donne disponibili?»

Alzo un sopracciglio. Non è la domanda che mi


aspettavo.
«Ti sorprenderebbe sapere quante ce ne sono»
rispondo seccamente.

Non mi va di parlare di questo. Puoi trovare


sottomesse ad ogni angolo della strada, praticamente.
Basta avere un portafogli ben fornito. Ma non vado di
certo fiero del fatto che ho pagato per fare sesso. E non
voglio che Anastasia mi giudichi per questo. Oltretutto
non stasera.

«E allora perché proprio io? Davvero non capisco»

É realmente confusa, lo sento dalla voce. Ma la sua


domanda è fondata. ‘Perché lei, Grey?’. Faccio un leggero
sospiro. “Oh, Anastasia. Davvero non vedi quanto sei
bella, sexy, attraente. Quanto sei dolce”.

«Anastasia, te l’ho detto. In te c’è qualcosa. Non riesco


a starti lontano» le sorrido ironico, un po’ amaro. «Sono
come una falena attratta dalla fiamma»

Lei si morde il labbro, inconsapevolmente. Il mio


desiderio cresce all’improvviso. La voglio, ora. Sono
eccitato da morire. E il mio pene si tende
immediatamente sotto la stoffa dei pantaloni. Non riesco
a concentrarmi su nient’altro.

«Ti voglio da impazzire, soprattutto adesso, che ti


mordi di nuovo il labbro»

La mia confessione mi esce dalle labbra all’improvviso,


sorprendendomi. Ma, ora come ora, vorrei soltanto fare
spazio su questo bancone, mettercela sopra riversa,
spalancarle le gambe e fotterla fino a farla svenire.
Quanto mi piacerebbe guardare i suoi occhi mentre gode,
mentre si agita convulsamente animata dagli spasmi di
un potente orgasmo. Faccio un respiro profondo, nel
tentativo di placare la mia sete di sesso. Anastasia allenta
lentamente la morsa dei denti, sorpresa dalle mie parole,
come se faticasse a credere all’effetto che ha su di me.

«Penso che tu abbia usato l’immagine al contrario» mi


dice alla fine, con uno sguardo adorante.

La guardo amareggiato. “Non lo merito quello sguardo,


Ana. Non per quello che ti sto facendo. Ma ti voglio, e ora
non riesco a pensare ad altro”. Sono irritato da tutto
questo sconvolgimento che provo. Ho bisogno di mettere
le distanze.

«Mangia!» le ordino seccamente.

«No. Non ho ancora firmato niente, quindi credo che


mi terrò il mio libero arbitrio ancora per un po’, se per te
va bene»

La guardo divertito, con l’accenno di un sorriso sulle


labbra. La sua impertinenza la rende estremamente
interessante ed ancora più eccitante.

«Come desideri, Miss Steele» le dico


accondiscendente, continuando a mangiare.

«Quante donne?» mi domanda d’impulso.

Non capisco subito, ma credo si riferisca a quelle che


ho portato nella mia Stanza dei giochi. Conosco
perfettamente il numero preciso. ‘Maniaco del controllo
fino alla fine, eh Grey?’

«Quindici»

«Per lunghi periodi?»

Curiosa, la ragazza.

«Con alcune, sì»

«Hai mai fatto male a una di loro?» mi chiede poi, con


un leggero timore.

Sincerità. Anche se il ricordo dell’episodio è spiacevole


per me.

«Sì»

«In modo grave?»

La leggera traccia di paura e terrore nella sua voce mi


fa trasalire.

«No»

Si ferma per un attimo, come se un dubbio atroce le


scuotesse il corpo e la mente. Poi riprende esitante il suo
interrogatorio.

«A me farai male?»

“No, no, no Ana. Io voglio solo farti star bene”. La


guardo a fondo e credo che forse non si stia riferendo al
solo male fisico. Mi si stringe il cuore.
«In che senso?» le chiedo cauto.

Esita.

«Fisicamente, mi farai male?»

Sincerità anche questa volta. In fondo voglio che sia


pienamente consapevole di quello che l’aspetta.

«Ti punirò quando serve, e sarà doloroso»

“Non voglio mentirti, Miss Steele”. La vedo sbiancare


letteralmente. Afferra il suo bicchiere ed ingurgita un
altro abbondante sorso di vino. Sembra quasi ritrovare
l’equilibrio appena perduto.

«Sei mai stato picchiato?»

Vorrei urlarle che questi non sono davvero affari suoi.


Nonostante l’accordo di riservatezza, non mi va di
rivelare particolari del mio passato. Soprattutto alle mie
sottomesse. Ma poi alzo lo sguardo, incrocio i suoi occhi
azzurri. Ed è come se lei mi strappasse da dentro tutto
quello che non vorrei mai dirle.

«Sì»

In fondo, forse, darle qualche rassicurazione non mi


farà male. ‘Ma ti senti, Grey?’. Lo sgomento le si dipinge
sul suo bellissimo viso. Ok, non mi sento davvero pronto
a parlare di queste cose con lei. Prima che possa
travolgermi con altre mille domande la interrompo.
«Andiamo a parlarne nel mio studio. Voglio mostrarti
una cosa»

Mi alzo dallo sgabello e lei mi imita, seguendomi


titubante e con il passo incerto. Devo mostrarle il
contratto. Solo dopo averlo letto potrà avere un quadro
completo di ciò che voglio da lei. Soltanto in questo modo
potrà decidere se accettare o rifiutare definitivamente
quello che ho da offrirle. ‘Ovvero, Grey? Violenze,
punizioni, male fisico ed emotivo?’. So che la mia testa ha
ragione, ma in fondo è questo quello che sono. Lei è libera
di prendere la decisione giusta. O quella sbagliata. Entro
nel mio studio con rinnovata decisione. Oltrepasso la
scrivania e mi siedo al mio posto. Il mio computer è
ancora acceso e ne approfitto per scaricare il dossier di
Welch su quel figlio di puttana. “Ecco, Miss Steele. Se
puoi farti molestare da pseudo amici ubriachi nei locali di
Portland, perché non potresti decidere di abbandonarti
spontaneamente e coscientemente a me?”. Il ricordo
dell’episodio mi fa infuriare. E mi aiuta ad assumere il
giusto atteggiamento da tenere per un colloquio del
genere. Le indico la sedia di cuoio di fronte a me e lei vi si
accomoda, preoccupata. L’ansia sta divorando quel corpo
minuto e meravigliosamente affascinante. É imbarazzata.
E io sono in piena modalità Dominatore. Le porgo uno
dei fogli che ho davanti a me. Sono le regole. Le mie
regole. Quelle a cui, una volta concordato il tutto, dovrà
sottostare senza obiezioni di alcuna sorta. Anche se,
dentro di me, vorrei che non lo facesse. Spero che non lo
faccia. La prospettiva del suo corpo in balìa delle mie
punizioni, dei miei più oscuri e reconditi desideri, mi
infiamma l’uccello, che svetta puntando sfacciatamente
all’insù sotto la stoffa dei jeans.
«Queste sono le regole. Possono essere soggette a
cambiamenti. Costituiscono una parte del contratto, che
ti darò. Leggile e discutiamone»

Sulla carta campeggiano a caratteri scuri parole scritte


da me, che oramai conosco a memoria e nei minimi
dettagli. Anastasia prende il foglio che le porgo e, senza
proferire parola, inizia a scorrerlo. Sussulta e sbianca ad
ogni rigo, mentre lo stupore non la abbandona.

REGOLE

Obbedienza
La Sottomessa obbedirà a qualsiasi istruzione impartita dal
Dominatore, immediatamente, senza riserve e con sollecitudine. La
Sottomessa accetterà qualsiasi attività sessuale considerata
appropriata e piacevole dal Dominatore, fatta eccezione per le attività
considerate limiti assoluti (Appendice 2). Lo farà con zelo e senza
esitazioni.

Sonno
La Sottomessa garantirà di dormire almeno sette ore per notte
quando non è insieme al Dominatore.

Alimentazione
La Sottomessa mangerà regolarmente per mantenersi in forma e in
salute, scegliendo da una lista prescritta di cibi (Appendice 4). La
Sottomessa eviterà gli spuntini fuori pasto, a eccezione della frutta.

Abbigliamento
Per tutta la durata del contratto, la Sottomessa indosserà
esclusivamente abiti approvati dal Dominatore. Il Dominatore
fornirà un budget per l’abbigliamento della Sottomessa, che lei
utilizzerà. Il Dominatore, quando lo riterrà opportuno,
accompagnerà la Sottomessa ad acquistare i vestiti. Se il Dominatore
lo desidera, la Sottomessa indosserà qualsiasi ornamento il
Dominatore richieda, in presenza del Dominatore e in qualsiasi altra
occasione il Dominatore ritenga opportuno.
Esercizio fisico
Il Dominatore fornirà alla Sottomessa un personal trainer quattro
volte alla settimana in sessioni di un’ora da concordare tra il personal
trainer e la Sottomessa. Il personal trainer riferirà al Dominatore i
progressi della Sottomessa.

Igiene personale/Bellezza
La Sottomessa si terrà pulita e depilata con rasoio e/o ceretta in
qualsiasi momento. La Sottomessa si recherà in un salone di bellezza
a scelta del Dominatore nelle occasioni prescritte dal Dominatore, e
si sottoporrà a qualsiasi trattamento il Dominatore ritenga
opportuno.

Sicurezza personale
La Sottomessa eviterà di bere in eccesso, fumare, assumere droghe, o
mettersi in pericolo senza motivo.

Qualità personali
La Sottomessa eviterà rapporti sessuali con persone che non siano il
Dominatore. La Sottomessa si comporterà sempre in modo rispettoso
e modesto. Deve riconoscere che il suo comportamento ha un riflesso
diretto sul Dominatore. Sarà ritenuta responsabile di qualsiasi
misfatto, trasgressione e comportamento scorretto commesso in
assenza del Dominatore.

La trasgressione di una qualsiasi delle regole precedenti


provocherà un’immediata punizione, la cui natura sarà
determinata dal Dominatore.

La osservo leggere sgomenta e in silenzio, fino in


fondo, il foglio che le ho consegnato.

«Limiti assoluti?» mi chiede poi, senza capire.

«Sì. Quello che tu non farai e quello che io non farò va


specificato nel nostro accordo» le spiego.

«Non mi piace molto l’idea di accettare denaro per i


vestiti. Non mi sembra bello»

“L’avevo immaginato in verità, Miss Steele”. Non


sembra essere minimamente attratta dal lusso e dallo
sfarzo che posso offrirle. Questo, di solito, rappresenta il
punto debole delle donne che frequento. Ma con lei non
basta mettere il mondo ai suoi piedi per avere il suo
consenso scritto. Per essere legalmente autorizzato a fare
di lei ciò che più mi aggrada. “Allora cosa devo fare con
te, Miss Steele?”. Devo dire che, difficoltà a parte, questo
aspetto di lei non mi dispiace. É qui perché vuole me, non
i miei soldi. E questo pensiero mi rende…felice.

«Voglio riempirti di soldi. Lascia che ti compri qualche


vestito. Potrei avere bisogno che tu mi accompagni in
occasioni ufficiali, e voglio che tu sia vestita bene. Sono
certo che il tuo stipendio, quando troverai un lavoro, non
ti permetterà di acquistare il tipo di vestiti che voglio
vederti addosso» insisto dolcemente, evitando di
offendere il suo orgoglio o la sua sensibilità.

Cerco di rabbonirla, affinché mi lasci fare a modo mio.


“Voglio davvero prendermi cura di te, Ana”.

«Non dovrò indossarli quando non sono con te?»

«No»le concedo.

«Okay» mi risponde rassegnata. «Non mi va di fare


ginnastica quattro volte alla settimana» aggiunge poi,
riprendendo a scorrere il foglio.

«Anastasia, ho bisogno che tu sia snodata, forte, e


resistente. Fidati, hai bisogno di allenarti» le intimo.
“Voglio che tu sia pronta a provare tutto quello che ho
in mente, Miss Steele”. E già mi concedo di
immaginarmela sul letto della mia stanza segreta, con le
gambe completamente spalancate, tenute ferme da una
barra divaricatrice, mentre piano, con lentezza, il mio
uccello la penetra a fondo. “Cristo santo, se è eccitante!”.

«Ma quattro volte alla settimana mi sembra troppo.


Che ne dici di tre?»

«Voglio che siano quattro» le rispondo risoluto,


abbandonando a malincuore i miei pensieri lascivi su di
lei.

«Pensavo che stessimo negoziando» mi rimbrotta


contro, leggermente stizzita.

La guardo severamente. Ma neppure il Christian


Dominatore può nulla contro il suo dolce broncio.
“Almeno fuori dalla Stanza dei giochi”. Cerco di andarle
incontro, non so nemmeno io perché. Forse è
semplicemente che non voglio che si impunti su queste
cose. In fondo le regole sono soltanto un modo per
definire la mia autorità su di lei. Se le definiamo insieme
magari le rispetterà più facilmente. A beneficio della mia
pace mentale soprattutto.

«Va bene, Miss Steele, un altro punto per te. Che ne


dici di tre giorni da un’ora e uno da mezz’ora?»

«Tre giorni, tre ore. Ho l’impressione che tu mi terrai


in allenamento quando sono qui»
“Cocciuta la ragazzina!”. Le sorrido perfidamente,
perché mi ha letto nel pensiero. E perché capisco dalle
sue parole che ormai il suo “si” è solo una formalità. “É
mia. Anastasia Steele è mia”. La dolce e impertinente
Miss Steele, che mi eccita e mi rende nervoso e frustrato e
insicuro allo stesso tempo ha appena acconsentito ad
essere mia. Implicitamente. Ma è già un passo avanti.

«È vero. D’accordo, siamo intesi. Sei sicura di non


volere uno stage nella mia azienda? Sei una brava
negoziatrice» le dico sorridendo.

«No, non mi sembra una buona idea» mi risponde


sarcastica.

Il suo sguardo torna a fissare il foglio che ha in mano.


Qualcosa la turba, in modo evidente, ma non dice cosa.
Decido di non chiederle nulla, per il momento, e passare
oltre.

«Dunque, veniamo ai limiti. Questi sono i miei» le dico


porgendole un altro foglio.

LIMITI ASSOLUTI

No ad atti che implichino giochi con il fuoco.


No ad atti che implichino di urinare o defecare.
No ad atti che implichino aghi, coltelli, piercing o sangue.
No ad atti che implichino strumenti medici ginecologici.
No ad atti che implichino bambini o animali.
No ad atti che lascino segni permanenti sulla pelle.
No ad atti che implichino il controllo del respiro.
No ad atti che richiedano il contatto diretto del corpo con la corrente
elettrica (alternata o diretta che sia) o con le fiamme.
Guarda il foglio esterrefatta, senza capire, forse, il
perché c’è bisogno di sottoscrivere quel documento. É
assurdo invece a quanta gente piacciano queste stronzate.
‘A te piace scoparti ragazze che ti ricordano quella
puttana di tua madre, Grey. I problemi forse li hai tu’.
“Già. Il problematico qui sono io”. Anastasia mi guarda
agitata.

«C’è qualcosa che vorresti aggiungere?» le chiedo


gentilmente, in tono rassicurante.

Se c’è una cosa che ho imparato durante il mio


addestramento è saper riconoscere i segnali del corpo di
chi ti sta di fronte. E in questo momento Anastasia è
molto, molto agitata. Oserei dire sconvolta, così
all’improvviso, senza un reale perché. Aggrotto la fronte
percependo di nuovo la strana sensazione che lei mi stia
nascondendo qualcosa. “Ma cosa?”.

«C’è qualcosa che non farai?» le chiedo.

«Non lo so»

«Cosa significa che non lo sai?»

La vedo agitarsi sulla sedia, mordendosi il labbro per


l’inquietudine. “Non farlo Anastasia, altrimenti contratto
o non contratto ti tiro fuori da quei vestiti e ti scopo qui,
sulla mia scrivania”. Fortunatamente la mia curiosità ha
la meglio. “Cosa cazzo non mi sta dicendo?” La guardo
con aria interrogativa. E il mio sguardo esige una
risposta, anche se io resto muto. Anastasia fa un profondo
sospiro, rimanendo in silenzio.
«Non ho mai fatto niente del genere» ammette dopo
un’eternità.

La sua risposta mi spiazza un po’. A cosa si riferisce in


particolare? Forse ha avuto solo relazioni vaniglia fino ad
oggi. Rapporti standard e monotoni. Quello che io non ho
mai avuto invece.

«Bè, quando hai fatto sesso, non c’è stato qualcosa che
non ti è piaciuto fare?»

La graziosa ragazzina bruna che mi siede di fronte si


immobilizza, passando in un nanosecondo dal bianco
cadaverico al rosso porpora. “Ma cosa cazzo le prende?”.
Forse è solo imbarazzata. In fondo nemmeno la conosco e
sto indagando sulla sua vita sessuale. Forse mi sono
spinto troppo oltre per lei. Magari avrei dovuto procedere
con più calma. Cerco in tutti i modi di metterla di nuovo a
suo agio.

«A me puoi dirlo, Anastasia. Dobbiamo essere sinceri


l’uno con l’altra se vogliamo che tra noi funzioni»

Si agita nuovamente sulla sedia. Stringe forte i pugni in


grembo. A momenti credo che stia per farsi male. “Cazzo,
Anastasia! Sto davvero perdendo la pazienza”.

«Dimmelo» le ordino, tornando ad assumere la mia


espressione severa.

“Me ne fotto della sua timidezza. Deve fidarsi di me se


vuole che funzioni”. Miss Steele sembra prendere un
briciolo di coraggio. Si raddrizza leggermente e la sua
espressione è quella di bambino che sta per confessare di
aver rubato la marmellata dal barattolo. Dopo qualche
secondo prende a parlare con voce bassa, tremante, piena
di ansia e di paura, tenendo gli occhi fissi sulle sue mani.

«Ecco, io… non ho mai fatto sesso, quindi non lo so»

Il mondo mi cade letteralmente addosso. É come se


tutto intorno a me si sgretolasse e il silenzio assordante
che cala tra di noi mi attanaglia il cervello. “Cosa…? Cosa
cazzo vuol dire? Non…”. Rimango interdetto, senza
riuscire neppure a formulare un qualcosa che abbia
parvenza di pensiero. Riesco solo a fissarla sconvolto, a
bocca aperta, pallido come un cencio. Finalmente, dopo
svariati minuti, sembro ritrovare la facoltà di parola.

«Mai?» le mormoro piano, sentendo il sangue


defluirmi completamente dal volto.

Lei scuote la testa, in silenzio. “No, no, no! Non può


essere!”. Come ho fatto ad essere così cieco, così stupido.
Certo, avevo capito che fosse inesperta, ma non pensavo
fino a questo punto. “Cazzo, cazzo, cazzo!!”.

«Quindi, sei vergine?» sussurro, ancora in preda al


panico.

Mi manca il fiato. Anastasia annuisce, avvampando.


“Ma come cazzo ha fatto? É… vergine… Una cazzo di
vergine, Cristo santo!”. Chiudo forte gli occhi. Sento la
rabbia montarmi dentro come un fiume in piena. Mi
ritornano in mente tutti i segnali che avrei dovuto
cogliere. Il suo modo di guardarmi quando le ho stretto la
mano all’Heathman, il suo essere così sorpresa per quel
bacio, il suo imbarazzo nello svegliarsi nel mio letto.
Tutto. “Tutto, tutto, tutto, Cristo!! É stato sempre tutto
sotto i miei occhi! E io sono stato così stupido, così
coglione da non capirlo. E lei, lei avrebbe dovuto dirmelo,
cazzo! Avrebbe dovuto dirmelo! Le ho appena mostrato
l’inferno a cui la sottoporrò e lei probabilmente non ha
mai nemmeno baciato un ragazzo. Una vergine, una cazzo
di vergine!”. Nonostante tutti gli sforzi disumani per
domarmi, sono accecato dalla rabbia. Quando riapro gli
occhi, nulla è cambiato. Sono letteralmente infuriato.

«Perché cazzo non me l’hai detto?» le sbraito contro,


senza riuscire a contenermi oltre. Riesco a malapena a
vederla sussultare e stringere forte gli occhi per la paura.
“Fai bene ad avere paura, Miss Steele. Ora si che sono
fottutamente incazzato!”.
Capitolo 8
Cammino avanti e indietro nel mio studio, frustrato.
Non riesco a tenere a bada la rabbia e lo sconvolgimento
per la sua rivelazione. “É vergine, cazzo!”. Non sa niente
del mio mondo. Non sa niente del sesso in generale.
Penso alla sua agitazione durante il viaggio. Mi passo
entrambe le mani nei capelli, tirandoli leggermente come
per portare via da me tutti questi… sentimenti. “Ecco, l’ho
detto. Sentimenti”. Almeno credo sia la parola adatta a
descrivere tutto quello che mi si sta velocemente
rivoltando nello stomaco. E ora non mi importa
nemmeno di come possa essersi sentita lei. Ora sono io a
sentirmi un pezzo di merda per averle mostrato la mia
stanza segreta e averle chiesto di firmare quel
fottutissimo contratto! “Devi lasciarla perdere Grey!
Ora!”. Eppure… eppure non ci riesco.

«Non capisco perché tu non me l’abbia detto» la


sgrido, senza riuscire a frenare la rabbia.

“Dio quanto vorrei mettermela sulle ginocchia e


sculacciarla di santa ragione!”. Mi guarda con
un’espressione di terrore sul viso, poi abbassa di nuovo
gli occhi, contrita.

«Non ce n’è stata occasione. Non sono abituata a


rivelare i miei trascorsi sessuali al primo che incontro. In
fin dei conti, ci conosciamo appena»

Torna a guardarmi, leggermente corrucciata. In fondo


ha ragione. Lo so. Anastasia non poteva immaginare che
io volessi coinvolgerla in una relazione sadomaso quando
l’ho trascinata a forza nella mia vita. “Questo vuol dire
che farai l’amore con me, Christian?”. La sua inopportuna
frase di qualche minuto fa ora non mi sembra poi così
inopportuna. Era questo che lei voleva, che si aspettava
da me. E io le ho messo davanti tutta questa merda.
Prendere coscienza della sua purezza mi sconvolge. Avrei
voluto saperlo prima. “Avrei dovuto saperlo prima,
cazzo!”.

«Ma tu adesso sai molte cose di me» sbotto contro quel


viso angelico. «Che fossi poco esperta lo avevo capito, ma
addirittura vergine!»

Io stesso riesco a percepire qualcosa di molto simile al


disgusto nella mia voce.

«Cazzo, Ana, e pensare che ti ho appena mostrato


quella roba» continuo a ringhiarle contro.

Ma mi rendo conto che la mia rabbia sta lentamente


scemando. Non è colpa sua. E io lo so. E in meno di tre
secondi sono passato dalla versione di me Dominatore, a
quella di me incazzato, a quella di me che ancora non
conoscevo. Christian Grey, amministratore delegato, che
prova quasi tenerezza di fronte ad una verginella
impaurita. Faccio un profondo sospiro.

«Che Dio mi perdoni. Hai mai baciato qualcuno, a


parte me?» le chiedo premuroso.

«Ma certo»

Mi risponde piccata, anche se sembra dubitare lei per


prima delle sue parole.
«E non c’è stato un bel ragazzo che ti abbia fatto
perdere la testa? Proprio non capisco. Hai ventun anni,
quasi ventidue. Sei una bella ragazza»

La guardo mentre gioca con le sue dita. Sorride,


sorpresa del complimento che le ho appena fatto. “Sì,
Ana. Sei bella, sei davvero bella. Come puoi essere ancora
vergine?”. Il suo silenzio è esasperante.

«Stiamo discutendo seriamente di quello che ho


intenzione di fare, e tu non hai la minima esperienza»
continuo, aggrottando la fronte. «Come hai fatto a evitare
di fare sesso? Dimmelo, ti prego»

Anastasia si stringe nelle spalle, imbarazzata.

«Nessuno è mai… capisci…»

Non termina la frase e mi guarda, come se dovessi aver


afferrato un oscuro mistero. Chissà quale poi! “Nessuno è
mai cosa, Anastasia?”. Nessuno ci ha mai provato? Non
credo. Il tuo amico figlio di puttana lo stava facendo ieri
sera. Nessuno si è mai spinto troppo oltre? Sei lesbica e
hai deciso di provare a tornare sulla retta via con me?
“NESSUNO COSA, ANASTASIA??? Dimmelo, cazzo!!”.
Vorrei urlarle contro tutte queste cose, ma l’espressione
del suo viso mi blocca.

«Perché sei tanto arrabbiato con me?» mormora


mortificata, mentre scruta a fondo i miei occhi grigi.

La fisso, senza risponderle. Anche ora, anche dopo


quello che mi ha appena detto, non riesco a non trovarla
estremamente desiderabile ed eccitante. “Cosa cavolo mi
sta succedendo?”.

«Non sono arrabbiato con te, sono arrabbiato con me


stesso. Avevo dato per scontato che…» sospiro.

“Avevo dato per scontato che qualcuno ti avesse messo


le mani addosso. Qualcuno che, come me, non fosse
riuscito a resistere al tuo fascino e alla tua bellezza”.

«Vuoi andartene?» le chiedo infine con gentilezza,


reprimendo le mie riserve.

Dopo tutto questo ho comunque la forza di sperare che


dica di no. Che rimanga. Io voglio che rimanga. Anche se
è vergine. Anche se non sa niente di queste cose e della
merda che mi porto dietro. Voglio che rimanga e basta. E
lei sembra leggermi nel pensiero.

«No, se non lo vuoi tu» mormora.

«Certo che non lo voglio. Mi piace averti qui»

Le parole mi escono quasi di getto, mentre mi acciglio.


“Non so nemmeno io perché mi piace averti qui Ana. E
oltretutto il mio problema è che mi piace troppo averti
qui. Vorrei che tu non te ne andassi mai da questo
appartamento”. Guardo l’orologio.

«È tardi»

Quando alzo di nuovo gli occhi lei è li. E si sta di nuovo


mordendo quel labbro. Quel gesto mi fa ribollire il sangue
nelle vene. Vederla affondare con i denti sulla pelle
morbida delle sue labbra favolose mi fa uscire di senno.
Quel gesto così carnale, che vorrei essere io a compiere.

«Ti stai mordendo il labbro» le dico con la voce piena


di desiderio.

“Vaffanculo!”. La voglio. Ora.

«Scusa» sussurra lei.

«Non chiedermi scusa. È solo che ho voglia di


morderlo anch’io, di morderlo forte»

Sento il suo corpo tendersi ed eccitarsi subitaneamente


in risposta alle mie parole. “Basta. Ho appena preso la
mia decisione”.

«Vieni» le mormoro.

«Dove?»

«Dobbiamo sistemare questa faccenda, subito»

«In che senso? Quale faccenda?» chiede allarmata.

La guardo dritto negli occhi, risoluto.

«La tua. Ana, intendo fare l’amore con te adesso»

«Oh»

Sembra sul punto di svenire. Le manca il respiro. “Ora


non dire di no, Anastasia. Ti prego”. Anche se non posso
pensare solo a quello che voglio io in questo momento. Lo
so. É la sua prima volta, dopotutto.

«Se tu lo vuoi, beninteso. Non voglio sfidare la sorte»

Mi guarda a stento, con i suoi occhi azzurri come il


cielo.

«Pensavo che tu non facessi l’amore. Pensavo che


fottessi senza pietà»

Deglutisce a fatica mentre pronuncia le ultime parole.


La sua risposta mi diverte e mi rilassa al tempo stesso. Mi
sfugge un sorriso perverso, che lei regge a fatica.

«Posso fare un’eccezione, o forse combinare le due


cose. Vedremo. Desidero davvero fare l’amore con te. Ti
prego, vieni a letto con me. Voglio che il nostro accordo
funzioni, ma tu devi farti almeno un’idea di quello che ti
aspetta. Possiamo iniziare l’addestramento stanotte… con
le nozioni di base. Questo non significa che io sia
diventato un sentimentale; è un mezzo per ottenere un
fine, ma è una cosa che desidero fare, e spero che per te
sia lo stesso»

Il mio sguardo arde su di lei. Ecco. Le ho riversato


addosso tutto quello che avevo dentro. Spero solo che
capisca. Spero che si abbandoni a me e si lasci trasportare
alla scoperta di questo nuovo mondo. Spero voglia essere
mia. E in un istante un pensiero distinto mi colpisce
dritto al petto. “Mia!”. Se mi dice di sì sarà davvero mia.
Non dovrò pensare di averla condivisa con un altro. Non
avrà avuto nessuno al di fuori di me. Io potrò essere
davvero il suo Dominatore, il signore assoluto del suo
corpo, l’unico che l’abbia mai posseduta, sia stato dentro
di lei, l’abbia mai fatta godere fino allo svenimento. “É
proprio questo che voglio fare”. Ed è come se mi scorresse
nuova linfa vitale nelle vene. Ora voglio più che mai che
sia la mia Sottomessa. Voglio che sia mia. “Mia, mia, solo
mia”.

«Ma non ho ancora fatto tutte le cose richieste dalla


tua lista di regole»

La sua voce ansimante, tremante, mi riporta con i piedi


per terra.

«Lasciamo perdere le regole e i dettagli, per stanotte.


Ti voglio. Ti voglio da quando sei inciampata dentro il
mio ufficio, e so che tu mi vuoi. Altrimenti non saresti qui
a discutere di punizioni e limiti assoluti come se niente
fosse. Per favore, Ana, passa la notte con me»

Le porgo una mano e mi rendo conto che la sto


fissando intensamente, come per imporre su di lei la mia
volontà solo con la forza del pensiero. Lentamente mi
tende la mano e io la attiro piano tra le mie braccia. É
stupenda. La stringo forte, inalando a fondo il suo
profumo inebriante. I nostri corpi aderiscono
perfettamente. Piano, come fosse di cristallo, le sfioro
delicatamente la testa, i capelli, avvolgendo la sua coda
attorno al mio polso. Le do un piccolo strattone,
costringendola ad alzare gli occhi e guardare i miei.

«Sei una ragazza molto coraggiosa. Ti ammiro»

Anastasia mi guarda a bocca aperta, con il respiro


trattenuto. Non resisto all’impulso di fare mie quelle
morbide labbra. Mi chino su di lei e la bacio dolcemente,
succhiandole il labbro inferiore, quello che ama tanto
torturarsi.

«Voglio mordere questo labbro» le sussurro,


sfiorandoglielo piano con i denti.

La sento mugolare contro le mie labbra. Sorrido.


Siamo entrambi eccitati da morire. Non resisto più.

«Per favore, Ana, facciamo l’amore»

E si. Non le dico scopiamo, fottiamo, facciamo sesso.


Non le ordino di inginocchiarsi ed obbedirmi. Le dico
facciamo l’amore. Non le sto proponendo quello che
faccio di solito. In realtà non so nemmeno io cosa le sto
proponendo. Non so cosa ci aspetta, come comportarmi.
Ma è la sua prima volta. E nonostante non sia molto
esperto di queste cose, lo splendido angelo che mi sta di
fronte merita di ricordarsi di questo momento come
qualcosa di positivo. ‘Bene. Buona fortuna, Grey!’. Me lo
immagino già il mio cervellino che si predispone a
gustarsi la scena di me e Ana a letto insieme. Ho l’ansia
come un ragazzino. Non voglio sbagliare. La guardo
ancora, implorando il suo consenso.

«Sì» mormora finalmente.

Allento la stretta, sorridendole soddisfatto. Le prendo


la mano e la conduco nella mia camera da letto,
trattenendo a stento la fretta. La stanza enorme in cui la
faccio entrare torreggia sui grattacieli di Seattle. Ana si
guarda attorno agitata, posando gli occhi sulle pareti
bianche, i mobili azzurri, il letto moderno in legno grigio
con le colonnine, ma privo del baldacchino. Osserva
stupefatta per qualche secondo il dipinto sulla parete del
letto. Il mare. Un’altra delle mie passioni. Osservandola
mi accorgo che trema ed il suo respiro è sempre più
affannato. Mi fissa rimanendo immobile nella sua
posizione. Con tutta la disinvoltura che sono riuscito a
recuperare dopo le ultime ore in sua compagnia, mi
slaccio l’orologio e lo appoggio sul cassettone di legno li
accanto. Poi mi sfilo via la giacca, appendendola all’unica
sedia della camera, poco lontana dal letto. Il suo sguardo
si posa sulla mia camicia di lino bianco e i miei jeans. Il
desiderio si fa più pressante. “Dio quanto ti voglio!”. Pur
sentendo il suo sguardo fisso su di me, proseguo con lo
svestirmi, togliendo le Converse scure e i calzini. Quando
rialzo lo sguardo lei è ancora li, immobile, a fissare i mie
piedi nudi. La guardo dolcemente. Ancora una volta tocca
a me rompere il ghiaccio.

«Immagino che tu non prenda la pillola»

La sua espressione sembra quella di chi ha appena


involontariamente mandato all’aria l’affare del secolo.

«Lo sapevo» la rassicuro.

Apro un cassetto del comodino e tiro fuori una scatola


di preservativi.

«Bisogna sempre essere pronti» mormoro in risposta


al suo sguardo interrogativo e stupito al tempo stesso.
«Vuoi che chiuda le tende?» le chiedo gentilmente.

«Non importa» sussurra.

Sbircia il letto incuriosita.


«Pensavo che non permettessi a nessuno di dormire
nel tuo letto»

«Chi ha detto che dormiremo?»

«Ah»

“Miss Steele, tra le mille cose che voglio fare con te,
dormire non l’ho neppure preso in considerazione”. Mi
avvicino piano a lei, con un sorriso malizioso sulle labbra.
La sua vicinanza è un afrodisiaco naturale per me. Sono
eccitato come non lo sono mai stato prima. Nel silenzio
della camera sento il suo cuore battere forte. Il suo corpo
emana un calore avvolgente. E desiderio. Desiderio di me.
Mi fermo a pochi millimetri da lei, fissandola dritto negli
occhi.

«Togliamo la giacca, magari?» le chiedo piano.

Delicatamente, gliela faccio scivolare dalle spalle e la


poggio sulla sedia, accanto alla mia. Non riesco a toglierle
gli occhi di dosso.

«Hai idea di quanto ti desidero, Ana Steele?» le


sussurro, lasciandola di nuovo senza fiato.

Le sfioro piano la guancia, arrossata per l’imbarazzo, e


continuo con le dita sino al mento.

«Immagini quello che sto per farti?» aggiungo,


stuzzicando la sua libido mentre continuo ad
accarezzarla.
Voglio che si rilassi e si lasci trasportare dal desiderio,
non dall’ansia. Voglio rendere indimenticabile la sua
prima volta. Il mio tocco la fa fremere leggermente. E
questo segna il mio punto d’arrivo. Non riesco più a
resistere. Mi chino su di lei e la bacio avido, deciso, ma
con movimenti lenti, trascinando le sue labbra al mio
ritmo. Le mie mani scendono sulla sua camicia,
sbottonandola senza fretta, bottone per bottone. Torno ad
accarezzarle il viso con la bocca, tracciando scie di baci
dallo zigomo al mento e agli angoli delle labbra. Le sfilo
via la camicetta, lasciandola cadere a terra. Faccio un
passo indietro e la guardo, ammirato ed estasiato. É una
dea. Semplicemente stupenda. Indossa un reggiseno di
merletto azzurro, che riprende il colore dei suoi bellissimi
occhi. Ed è perfetta. Mi toglie il fiato.

«Oh, Ana» le sussurro eccitato. «Hai una pelle


bellissima, candida e perfetta. Voglio baciarne ogni
centimetro»

Lei si scioglie in uno sguardo adorante. Il suo respiro


diventa frenetico. Sposto gli occhi sul suo seno, che si
muove al ritmo dettato dai suoi polmoni. Un seno piccolo,
delicato, magnifico. Mi sento travolgere dal desiderio di
possederla. Non ho mai provato nulla del genere. Mai. Le
afferro la coda e gliela sciolgo, lasciando i suoi capelli
ricaderle sulle spalle. “Ecco. Ora si. Ora si che è davvero
perfetta”.

«Adoro le brune» mormoro piano, infilandole le mani


nei capelli e stringendole i lati della testa.

La guardo ancora. É qui per me. Bruna, candida,


perfetta, pronta a fare tutto quello che le chiederò.
Eppure… è diverso. Non riesco a spiegarmi questa
sensazione. É solo diverso. Non riesco a pensare di
punirla perché assomiglia alla puttana drogata. Voglio
scoparla, voglio frustarla, sculacciarla fino a farla gemere
forte, fino a farla svenire di piacere. Ma solo perché è lei.
Solo perché mi vuole, vuole me. Solo perché la desidero
da impazzire. Il pensiero mi colpisce come un sonoro
ceffone. Per allontanare la strana sensazione che mi sta
assalendo, mi fiondo su di lei. La bacio con forza,
aprendole le labbra con le mie. La sento gemere piano
nella mia bocca e la stringo di più al mio corpo. Il suo
calore mi avvolge. Non ho mai provato una sensazione del
genere. Mai ho permesso ad una Sottomessa di starmi
così vicino. Lascio scivolare una mano dai suoi capelli
lungo la schiena. Le accarezzo piano la spina dorsale,
sfiorando ogni vertebra. Scendo lungo la vita e i fianchi,
fino al sedere. La attiro ancora di più, facendole sentire la
mia erezione contro il ventre. Lei mi ansima in bocca.
“Cazzo!”. Sto per scoppiare solo per questo. Mi stringe le
braccia, per sostenersi, e per quanto vorrei fermarla non
ci riesco. Spero solo non vada oltre. Fortunatamente le
sue mani si spostano sul mio viso e, ancora, tra i miei
capelli. Li tira con delicatezza e questo suo piccolo assalto
mi sorprende e mi fa eccitare di più. Nessuna ha mai
preso l’iniziativa con me. Non posso permetterlo. “Ma…
è… eccitante”. O forse è solo perché sta succedendo con
lei. Spingo Anastasia verso il letto, allontanandomi dal
suo corpo e inginocchiandomi. Afferro con le mani i
fianchi di questa bellissima dea, in piedi di fronte a me, e,
poggiandole la bocca sulla pancia, le passo la lingua
sull’ombelico. “Mmm, il suo sapore…”. É da ieri notte che
desideravo farlo. Mi sposto delicatamente da una gamba
all’altra, sfiorandole la sommità del pube. La sento
gemere di nuovo. La sensazione di essere l’artefice del suo
piacere è meravigliosa. Le sue mani mi stringono i capelli
con maggiore forza, il suo respiro è affannato, rotto dal
desiderio. La spio con occhi ardenti, mentre le mie mani
vanno in esplorazione sul suo corpo. Le sposto sotto la
sua cintura, sfiorandole il sedere. Le lascio vagare un po’,
portandole fin sulle cosce. Mi fermo un attimo e la guardo
mentre mi passo la lingua sulle labbra. Mi restituisce uno
sguardo di pura estasi. “E non ho neppure iniziato con te,
Miss Steele”. Con il naso le sfioro la sommità del ventre,
inalando il suo magnifico profumo.

«Hai un odore così buono» mormoro ad occhi chiusi.

Allungo una mano e sposto la trapunta del letto.


Lentamente faccio distendere Anastasia sul materasso,
con dolcezza, rimanendo in ginocchio. Voglio stuzzicarla
a dovere. Voglio che sia del tutto pronta ad accogliermi e
per farlo dev’essere eccitata oltre ogni limite. Le afferro
un piede, slaccio la scarpa e gliela sfilo, insieme alla calza.
Lei si alza su un gomito, allarmata ed incuriosita dai miei
movimenti. Ansima. Ed è eccitata. Il mio cazzo sta per
esplodere nei miei jeans. Le sollevo il tallone e passo il
pollice sul collo del suo bellissimo piede. Poi, senza
smettere di guardarla, le passo la lingua lungo il tracciato
lasciato dal mio dito, e infine i denti, mordendo piano.
Geme e si lascia ricadere sul letto, ansimando. Mi fa
sorridere il fatto che riesca a provocarle determinate
sensazioni solo sfiorandola. Ma cerco di trattenermi. Non
vorrei pensasse che sto ridendo di lei.

«Oh, Ana, cosa ti farei» le sussurro, mentre nella mia


testa si fanno spazio mille idee diverse per farla godere.

“In fondo, la Stanza dei giochi è a due passi da qui”.


Ripeto tutto il rituale che ho appena compiuto con l’altro
piede, poi mi alzo e le sfilo i jeans. E la vedo per la prima
volta in tutto il suo splendore. É li, ferma, immobile sul
mio letto, coperta solo da pochi centimetri di stoffa
azzurra.

«Sei bellissima, Anastasia Steele. Non vedo l’ora di


essere dentro di te»

Rimane senza fiato, colpita dal pensiero che ho appena


espresso ad alta voce. E sono colpito anch’io. Mi rendo
conto che non è come le altre volte. Non sto facendo
questo per soddisfare qualche oscuro bisogno, o per
placare una mera esigenza fisica. Lo sto facendo perché lo
voglio, lo desidero. Voglio perdermi dentro di lei. E mi
viene da chiedermi come ho potuto vivere fino ad oggi
senza mai provare un desiderio di questo tipo. E allo
stesso modo sento che lei mi vuole. La sua eccitazione si
percepisce anche a distanza. Lei è qui perché mi vuole,
non perché le è stato ordinato di sdraiarsi su questo letto.
Si è abbandonata a me completamente senza che la
obbligassi. La sensazione di potere che provo in questo
momento è sublime. É un potere diverso, certo, ma
paradossalmente più importante di quello che ho
sperimentato fino ad oggi. La pressante voglia di vederla
perdersi nel piacere, contorcersi davanti a me, mi anima.
Voglio osservarla godere e gemere, nel mio letto, dove
non ho mai portato nessuna. “Solo lei. Solo Ana”.

«Fammi vedere come ti tocchi»

Mi guarda stralunata, con la fronte aggrottata.

«Non essere timida, Ana, fammi vedere» mormoro,


con la voce piena di puro desiderio.

Lei continua a fissarmi con aria strana. Infine scuote


lentamente la testa.

«Non so che cosa vuoi dire »

«Come fai a raggiungere l’orgasmo? Voglio vedere»

Di nuovo scuote la testa, con maggiore decisione,


arrossendo.

«Non lo faccio»

Alzo un sopracciglio, sinceramente sorpreso. “Ventuno


anni. Niente sesso, niente masturbazione, niente orgasmi.
Il primo sarà quello che le farò raggiungere io questa
sera”. Il desiderio di possederla cresce all’improvviso.
Insieme ad una gioia quasi infantile. La guardo
bramando, ora più che mai, di possedere quel
meraviglioso corpo. Sono invaso da mille sensazioni
nuove, diverse, fortissime. Scuoto la testa incredulo, sia
per la sua affermazione che per il tumulto che ho dentro.

«Bene, vedremo che cosa possiamo fare al riguardo» la


provoco con un sorriso dolcemente perverso.

Mi slaccio i jeans e li abbasso piano, continuando a


fissarla. Mi chino su di lei, le afferro le caviglie
divaricandole in fretta le gambe ed infilandomi in mezzo
a quel dolce paradiso. É molto eccitata e il contatto con la
mia erezione, con il mio corpo, le fa aumentare la voglia.
Inizia a dimenarsi, sfiorandomi ripetutamente. “Cristo!”.
Quel movimento mi fa sussultare. Devo fermarla o rischio
di venirmi nelle mutande.

«Stai ferma» le mormoro piano, chinandomi fino a


raggiungere l’interno delle sue cosce con la bocca.

La bacio risalendo fino al bordo degli slip. Continua a


contorcersi, il corpo percorso da spasmi di desiderio.

«Dovremo trovare il modo di tenerti ferma, piccola» le


dico divertito.

Ho voglia di legarla stretta e farla mia in ogni modo,


ripetutamente, per giorni. Le bacio il ventre candido,
affondando la lingua nel suo ombelico. E continuo a
salire, senza fermarmi. Sento la sua pelle rovente
accaldarsi ancora di più, mentre si aggrappa al lenzuolo,
stringendolo forte. “Se resto in questa posizione me la
scopo all’istante”. Ma voglio che sia preparata all’idea di
quello che le aspetta. Mi sdraio piano accanto a lei,
sfiorandole le gambe, la vita e raggiungendo il suo
meraviglioso seno.

«Le tue misure si adattano perfettamente alle mie


mani, Anastasia» mormoro, infilandole l’indice nella
coppa del reggiseno, scostandola piano.

Le libero un seno, in modo che il ferretto e la stoffa lo


spingano in su, e faccio lo stesso con l’altro. Finalmente
posso ammirarla in tutto il suo splendore. I piccoli seni
candidi, i capezzoli turgidi.

«Non male» mormoro, guardandola con divertita


approvazione, mentre lei si eccita di più, stringendo piano
le cosce.
Mi avvicino e soffio piano su un seno, mentre la mano
va a cercare l’altro. Con il pollice sfioro il capezzolo e poi
lo pizzico dolcemente. Geme, fremendo, mentre le mani
stringono il lenzuolo ancora più forte. Stringo le labbra
sull’altro capezzolo e lo succhio piano. É quasi al limite, lo
sento. “Bene”.

«Vediamo se riesco a farti venire così» le sussurro,


senza smettere di toccarla.

Labbra, dita, in un susseguirsi di movimenti che la


stimolano e la trasportano attraverso il desiderio.
Continuo nonostante lei si contorca sino a perdere il
controllo del suo corpo.

«Oh… ti prego» mi supplica, rovesciando indietro la


testa, con la bocca aperta e le gambe irrigidite.

Sta per avere il primo orgasmo della sua vita. Ed è


stupenda.

«Lasciati andare, piccola» le mormoro, stringendole i


denti su un capezzolo, mentre tormento l’altro tra le dita.

Il suo corpo è scosso dai brividi e il respiro le si spezza.


Mi fiondo sulla sua bocca, mentre lei urla ed esplode,
tremando dalla testa ai piedi, all’acme del piacere. La
bacio a fondo, mentre mi urla in gola. É splendido.
Meraviglioso. Assorbo le sue sensazioni facendole mie. Mi
rendo a malapena conto che sto quasi per venire anch’io.
Tento di calmarmi, allontanandomi di poco dal suo corpo
e, soprattutto, lascio calmare lei. In questo momento so di
avere stampato in faccia un sorriso assurdamente
soddisfatto. “Il tuo primo orgasmo è mio, Miss Steele”.
‘Ma tu vuoi anche tutti i prossimi, vero Grey?’. Non mi
soffermo molto a pensare a quello strano pensiero appena
partorito dal mio cervello. La guardo riprendersi a fatica
dal torpore post godimento, sbattendo piano le palpebre.
Mi fissa con un’espressione strana, che non ho mai visto
in faccia a nessuna delle mie partner precedenti.

«Sei molto sensibile» le mormoro. «Dovrai imparare a


controllarti, e insegnartelo sarà molto divertente»

La bacio rapidamente, incontrando il suo respiro


ancora stremato. E, come se fosse una calamita per me, le
mie mani sono attratte di nuovo dal suo corpo. Ho voglia
di sentire la sua eccitazione. Scendo lungo la vita e i
fianchi, arrivando al suo ventre. La stringo piano,
possessivamente, avvolgendole il sesso con la mano. Un
leggero rossore le colora il viso. Le mie dita si fanno
intrepidamente strada sotto il merletto degli slip. Le
muovo in cerchio, delicatamente. E la sento. É
completamente bagnata. É spettacolare la sensazione che
mi provoca questa constatazione. Chiudo gli occhi,
godendomela fino in fondo. Sono vagamente cosciente
che il mio respiro fatica ad uscire. La voglio. Ora più che
mai. Ho il cazzo letteralmente in fiamme. Mi piace da
matti sapere che è così pronta e vogliosa di accogliermi.

«Sei così deliziosamente bagnata. Dio, quanto ti


voglio»

Di colpo, senza preavviso, le infilo dentro un dito.


Anastasia urla, presa alla sprovvista. Le avvolgo il
clitoride e lei delizia il mio ego con un altro urlo di
piacere. Continuo a spingere dentro, sempre più forte,
mentre lei geme ad oltranza, di nuovo senza controllo. É
stupenda. E io non riesco più a resistere. “Voglio fotterti
ora, Miss Steele”. Mi siedo sul letto e le strappo con foga
le mutandine, gettandole a terra. Mi tolgo i boxer, dando
finalmente respiro al mio uccello che freme e pulsa come
non mai. Allungo la mano sul comodino, prendendo un
preservativo e poi mi fiondo tra le sue gambe,
divaricandole. Mi inginocchio e mi infilo il preservativo.
Guardo i suoi occhi osservare spaventati le dimensioni
del mio uccello. “Sì, Miss Steele. Madre natura è stata
molto più generosa della mia madre biologica con me”.

«Non preoccuparti» la tranquillizzo. «Anche tu stai


diventando più larga»

Mi chino su di lei, prendendole la testa tra le mani. E


all’improvviso sono molto più agitato di lei. Sto per
regalarle la sua prima volta. E voglio che sa
indimenticabile. Voglio essere alla sua altezza. ‘Ma ti
senti, Grey? Alla sua altezza?’. Il suo sguardo stralunato
accarezza il mio corpo, fissandosi sulla camicia di lino
bianca, che non ho tolto. “Non posso”. Non voglio
rischiare. “Ti voglio, Ana Steele”. ‘E lei, Grey? Sei sicuro
che lei ti voglia davvero?’. Il pensiero mi fulmina. E mi
blocca. Devo saperlo.

«Sei sicura di volerlo fare?» le chiedo dolcemente.

«Ti prego»

É una supplica. E mi da l’ok definitivo per liberare il


mio desiderio.

«Alza le ginocchia» le ordino.


Obbedisce prontamente. Mi rendo distrattamente
conto che il mio tono autoritario si è impossessato di me.
É un’abitudine di quando mi trovo in queste circostanze.
Ma devo cercare di ammorbidirlo un po’ per questa volta.

«Sto per fotterti, Miss Steele» sussurro piano,


posizionando la punta del mio uccello all’ingresso della
sua vagina. «Senza pietà» aggiungo fissando i miei occhi
nei suoi.

Mi sento come un bambino che scarta il suo regalo di


Natale. E di colpo sono dentro di lei. “Oh, cazzo!”.
Anastasia urla forte. Di piacere, di dolore. Guardarla
percorsa dagli spasmi, sotto di me, è meraviglioso. Il mio
uccello è avvolto, assorbito da lei. Pulsa nel suo ventre,
ansioso di liberarsi. É una sensazione al limite tra piacere
e dolore. E all’improvviso è quasi come se fosse la prima
volta anche per me. “Si sta da Dio, qui dentro, Miss
Steele”. Non ricordo di aver mai provato nulla del genere.
Realizzo che mi sono appena preso la sua verginità. Il
pensiero di quanto questo sia importante mi avviluppa il
cervello. La osservo trionfante. “Sei mia. Mia per
sempre”. Schiudo la bocca e respiro a stento, sopraffatto
dall’importanza di quello che stiamo facendo.

«Sei così stretta. Stai bene?»

Annuisce senza parlare, con gli occhi sbarrati,


stringendomi forte gli avambracci. Resto immobile per un
po’, dentro di lei, lasciandola abituarsi alla sensazione di
avermi dentro. E anche per calmare me stesso. Rischio di
esplodere subito se non mi prendo qualche attimo.
«Ora inizierò a muovermi, piccola» le dico in tono
deciso.

Indietreggio piano, facendole godere ogni sensazione.


Mi sfugge un gemito di puro piacere, mentre chiudo gli
occhi. É talmente stretta che mi avvolge completamente.
Il mio uccello fatica ad uscire fuori dal suo sesso caldo e
bagnato. E in un attimo le affondo di nuovo dentro.
Lancia un altro eccitante urlo, mentre mi fermo. “Oh, sì
piccola. Urla per me”.

«Ancora?» le chiedo.

Stento a riconoscere la mia stessa voce, percorsa dal


desiderio.

«Sì» geme.

Torno a riempirla, facendomi spazio in profondità


dentro di lei, mentre ansima e gode.

«Ancora?»

«Sì»

Mi supplica di scoparla con la voce, con gli occhi, con il


corpo. E questa volta continuo imperterrito a prenderla,
appoggiandomi sui gomiti in modo da renderle
impossibile ogni movimento. “É mia. Tutta mia”. Inizio
con un movimento continuo e lento, mentre lei muove
piano i fianchi verso di me, abituandosi a tutta questa
serie di sensazioni nuove. Quando la sento più sicura
accelero, colpendola forte e deciso. “Ora ti fotto, Miss
Steele”. Spingo il mio uccello dentro di lei velocemente,
senza riuscire a frenarmi. Sto per arrivare al culmine del
mio piacere. E sotto di me ho colei che ha animato le mie
fantasie, sessuali e non, nelle ultime due settimane. Non
riesco a smettere di guardarla mentre la scopo. É
bellissima, sexy da morire così, tutta eccitata e
scarmigliata sotto di me. Si contorce, percorsa da brividi
di piacere, e questo mi basta per arrivare al limite. Le
afferro la testa, baciandola con violenza. “Sei solo mia,
Miss Steele”. Le mordo forte il labbro inferiore. “Dio,
quanto desideravo farlo da giorni!”. I miei denti
affondano nella rosea carne delle sue labbra. La assaggio,
la gusto. E quando mi sposto per osservarla, lei è giunta al
limite, come me. Si irrigidisce mentre io continuo ad
affondare dentro di lei con forza, senza riuscire più a
fermarmi. Freme e si inarca sotto le mie spinte decise. Si
tende sempre di più. É splendida. E io non resisto oltre.

«Vieni per me, Ana» mormoro con il fiato corto.

E lei esplode, mentre vengo anch’io, urlando il suo


nome e spingendomi fino in fondo dentro di lei. É un
momento da immortalare. I nostri corpi sono spossati,
svuotati. Ansimiamo entrambi, mentre cerchiamo di
calmarci. “Cosa diavolo mi ha fatto questa ragazza?”. Non
ho mai provato nulla di simile. Non ho mai perso il
controllo fino a questo punto. E invece, mentre la
guardavo, non ho potuto fare altro che lasciarmi
trasportare. Ho avuto, per un attimo, la sensazione che
fosse lei a dominare me e non il contrario. Non ho potuto
fare altro che riversare il mio desiderio ed il mio seme in
lei. Sento i suoi occhi aprirsi lentamente e osservarmi,
mentre continuo a tenere la fronte premuta alla sua,
ansimando. Apro i miei di scatto, guardandola a metà tra
il desiderio e la dolcezza. “Chi sei, Ana Steele, e cosa mi
stai facendo?”. Delicatamente, le deposito un bacio sulla
fronte e poi scivolo piano fuori dal suo corpo.

«Ooh» trasalisce.

«Ti ho fatto male?» le chiedo ansioso, sdraiandomi


accanto a lei, poggiandomi su un gomito per osservarla.

Una ribelle ciocca di capelli castani le scende sul viso.


La sposto con le dita e gliela infilo dietro l’orecchio. Mi
rivolge un sorriso estatico.

«Tu mi chiedi se mi hai fatto male?»

“Spiritosa, Miss Steele”.

«L’ironia della situazione non mi sfugge» osservo


sardonico. «Sul serio, va tutto bene?»

“Voglio sapere assolutamente come si sente”. Si


stiracchia accanto a me, con aria rilassata. Mi sorride e
non smette. Senza spiccicare parola. “Perché non mi dice
come si sente?”. La osservo mentre fa scorrere i denti sul
suo labbro inferiore. E in meno di tre secondi sono di
nuovo fottutamente eccitato.

«Ti stai mordendo il labbro, e non mi hai risposto»

La dolce brunetta al mio fianco mi sorride


maliziosamente, e mi osserva con occhi bramosi. Mi
accorgo a malapena di essere imbronciato come un
ragazzino. “Cavolo, mi aspettavo almeno un commento
alla sua prima scopata!”.
«Mi piacerebbe farlo di nuovo» sussurra finalmente,
dopo quella che mi sembra un’eternità.

“Finalmente!”. Sono decisamente sollevato. Per


qualche istante ho anche creduto di averla delusa.
Socchiudo un po’ gli occhi, spiandola.

«Adesso, Miss Steele?» mormoro in tono malizioso ed


arrogante.

Mi chino e le bacio l’angolo della bocca. “Ora, però, ti


fotto sul serio, piccola”.

«Sei una bambina esigente, sai? Girati dall’altra parte»

Mi guarda stranita per qualche attimo, poi obbedisce.


Le slaccio il reggiseno e le accarezzo piano la schiena,
scendendo fino alle natiche. Resto ammaliato dal suo
candore.

«Hai una pelle davvero stupenda» le dico piano.

Mi sposto, in modo da infilare le gambe tra le sue,


attaccandomi a lei. Mi chino sulla sua schiena,
scostandole i capelli dal viso e baciandole le spalle nude.
É un vero spettacolo vederla in questa posizione.

«Perché porti ancora la camicia?» mi chiede


all’improvviso.

Mi fermo un istante, preso alla sprovvista. Ora non può


muoversi, quindi non c’è pericolo che mi tocchi. E poi ho
una fottuta voglia di sentirmela addosso davvero. Mi sfilo
velocemente la camicia e sono di nuovo su di lei. La
sensazione dei nostri corpi nudi, sudati, che si incontrano
finalmente è davvero divina. “Ora, però, ho bisogno di
dominarti, Miss Steele”. E non guardarla negli occhi mi
aiuta a recuperare un po’ del mio abituale controllo.

«Dunque vuoi che ti fotta di nuovo?» le sussurro


all’orecchio, baciandola delicatamente fin sul collo.

Lascio scivolare una mano sul suo corpo, sfiorandole i


fianchi e arrivando al ginocchio, che sollevo. Mi sistemo
meglio tra le sue gambe e la mia mano risale fino al
sedere. La accarezzo piano, prima di infilarle le dita tra le
gambe.

«Sto per prenderti da dietro, Anastasia» le sussurro,


mentre le stringo i capelli, tirandoli piano per tenerla
ferma.

É completamente bloccata. La testa tirata all’indietro e


io alle sue spalle, pronto a prenderla di nuovo. Il
desiderio e la consapevolezza di averla posseduta io
soltanto tornano a farsi sentire.

«Sei mia» mormoro. «Solo mia. Non dimenticarlo»

Il mio uccello le sfiora deciso la gamba. Piano, con le


dita, trovo il clitoride e inizio ad accarezzarlo
delicatamente, descrivendo piccoli cerchi. Il mio corpo la
sovrasta. Con la bocca le mordicchio gli zigomi, inalando
il profumo dei suoi capelli.

«Hai un profumo divino» le sussurro all’orecchio.

Anastasia, eccitata da morire, inizia a rispondere a tutti


i miei stimoli. Rotea piano i fianchi, assecondando i miei
movimenti. Il suo sedere sfiora diverse volte il mio cazzo,
bramoso di possederlo.

«Stai ferma» le ordino piano.

Sposto piano le dita, fino all’entrata del suo sesso, ed


infilo dentro il pollice, roteandolo ed accarezzando la
parte anteriore della vagina. É completamente bagnata.
Ana geme, contraendosi ed avvolgendo dentro di sé il mio
dito.

«Ti piace?» le chiedo, tormentandole con i denti


l’orecchio mentre fletto leggermente il pollice dentro e
fuori la vagina, continuando a girare in tondo le dita.

Chiude gli occhi, senza respiro, lasciandosi trasportare


dalla deliziosa tortura che le sto infliggendo. E poi geme,
infuocando il mio desiderio.

«Sei così bagnata, così impaziente, così sensibile. Oh,


Anastasia, questo mi piace. Mi piace da morire»

Sono perso nel suo inebriante profumo e dalle reazioni


del suo corpo sinuoso. Tende inutilmente le gambe,
immobilizzate dalle mie. Sta per raggiungere nuovamente
il limite. Cerco di tenerla buona, senza smettere lo
spietato attacco, dolorosamente lento, delle mie dita.
“Sì!”. Voglio vederla contorcersi sotto di me. E il desiderio
di scoparle la bocca mi assale. Non so cosa darei pur di
metterla in ginocchio, ora, e affondarle l’uccello tra le
labbra morbide. Sentire la sua lingua accarezzare
languidamente il mio cazzo. Ma non stasera. Dopotutto, è
la sua prima volta. I suoi gemiti mi distraggono. Mi
muovo all’improvviso, cogliendola di sorpresa. Estraggo il
pollice e glielo infilo in bocca.

«Apri la bocca. Assaggia il tuo sapore» le mormoro


seducente all’orecchio.

Sbarra gli occhi, mentre accoglie il mio dito tra le


labbra. É straordinariamente eccitante vederla in
ginocchio, la testa tirata all’indietro, il mio dito in bocca.
Il suo delizioso sedere che ondeggia, sfiorandomi e
procurandomi piacere.

«Succhia, piccola»

Le premo il pollice sulla lingua e lei, senza obiettare,


inizia a succhiarlo forte. Il mio cazzo si tende oltremodo.
É a dir poco favoloso.

«Voglio scoparti in bocca, Anastasia, e presto lo farò»

Glielo preannuncio, con la voce rotta dal desiderio,


eccitato come non mai. Nella foga mi da un morso.
Sussulto, colto di sorpresa e le stringo forte i capelli, fino
ad indurla a lasciarmi andare. “Oh, Miss Steele sfodera i
denti”. La sua sfida mi ha eccitato ancora di più, se
possibile.

«Bambina cattiva e adorabile» le mormoro con un


sorriso perfido.

“Ora ti faccio vedere io chi comanda, Anastasia”. Mi


sposto prendendo un altro preservativo dal comodino.

«Stai ferma, non muoverti» le dico severo.


Le lascio i capelli e strappo deciso la bustina, mentre la
sento ansimare forte. Infilo il profilattico e mi chino di
nuovo su di lei, afferrandole i capelli per tenerla ferma.
“Sono pronto a prenderti di nuovo, Miss Steele. Come
piace a me”.

«Stavolta faremo pianissimo, Anastasia»

Lentamente scivolo dentro di lei, fino in fondo.


Mugola, scossa dal desiderio. Ruoto i fianchi e mi tiro
indietro, fermandomi qualche istante. E poi affondo di
nuovo nella sua vagina, pianissimo, fino in fondo. Ripeto
il movimento più e più volte, sentendola ansimare di
piacere sotto di me.

«Si sta così bene dentro di te» le dico, riuscendo a


stento a frenare l’affanno.

Sta per venire, la sento tremare. Mi fermo di proposito.

«Oh, no, piccola, non ancora» mormoro.

“Mi hai morso. E poi io non sono ancora pronto a


lasciarti venire”. Aspetto che si calmi del tutto. Poi
riprendo da capo. Affondo, affondo, e affondo ancora in
quel delizioso lago dal profumo inebriante.

«Oh, ti prego!» urla, supplicandomi.

“Sì, Miss Steele. Supplica, pregami, implorami.


Implorami di farti male. E di darti piacere”.

«Voglio farti male, piccola» le mormoro mentre


continuo la lenta tortura. «Voglio che domani, ogni volta
che ti muoverai, ti ricordi che sono stato qui. Solo io. Sei
mia»

Geme in risposta alle mie parole.

«Ti prego, Christian» piagnucola.

Sentirle pronunciare il mio nome mi inebria.

«Cosa vuoi, Anastasia? Dimmelo»

Geme di nuovo mentre esco da lei e rientro subito,


ruotando i fianchi e affondando di nuovo. Sta
impazzendo. E io con lei. Ma voglio sentirlo. Voglio
sentirle dire che mi vuole.

«Dimmelo» le ordino.

«Ti voglio»

Le sue parole mi lasciano senza fiato. E il mio desiderio


esplode con una forza inaudita. Inizio a spingere
freneticamente, senza fermarmi. Lei mi vuole. Vuole
davvero me. Vuole che io la faccia godere. Mi vuole. ‘E tu
vuoi lei. Allo stesso identico modo’. Questo pensiero
squarcia via tutte le certezze che ho avuto fino ad oggi
nella mia vita. Ed il piacere sale incontrollabile. Sento che
a lei sta accadendo lo stesso.

«Sei. Così. Dolce» le mormoro a denti stretti, al ritmo


delle mie spinte. «Ti. Voglio. Da. Morire».

Anastasia ansima ormai senza controllo.


«Tu. Sei. Mia. Vieni per me, piccola» le ordino mentre
esplode, tremando ed urlando il mio nome contro il
materasso.

E a quella vista vengo anch’io, senza riuscire a


contenermi, crollandole sulla schiena, con il viso tra i suoi
capelli.

«Cristo, Ana»

Scivolo subito fuori da lei, ancora stordito e rotolo


nella mia parte di letto, esausto. Ana si rannicchia di lato,
con le ginocchia al petto e perde i sensi, cadendo in un
sonno profondo. Resto per un po’ a fissare il soffitto,
ansimando, cercando di calmarmi. Ma quello che davvero
non riesco a calmare è tutto il cumulo di emozioni che mi
sta attraversando. Da quando l’ho conosciuta non ho fatto
altro che pensare a lei, a come sarebbe stato scoparla. E
mi ero convinto che una volta soddisfatto questo mio
bisogno tutto sarebbe tornato alla normalità. Mi sarei
sbarazzato di quegli occhioni azzurri che non mi
lasciavano dormire di notte. Avrei appagato il mio
bisogno di lei dominandola e facendo in modo che si
comportasse da buona Sottomessa. Ma ora mi rendo
conto che non è così. Mi giro a guardarla, senza
avvicinarmi per non svegliarla. Lei è qui, accanto a me. E
abbiamo appena fatto l’amore. ‘Sì, Grey. Hai fatto l’amore
con lei. Non l’hai semplicemente scopata o dominata.
L’hai amata’. Guardo di nuovo il soffitto, cercando di
assorbire quel pensiero che mi squarcia l’anima. É vero.
Non ho mai fatto sesso vaniglia con nessuna. Sono stato
attento a farla stare bene, a capire come darle piacere.
Non è stato per il mio godimento. Ma per quello di
entrambi. O forse… forse mi sarebbe bastato anche solo
far godere lei per essere appagato. Mi giro su di un fianco
e la osservo. É così bella, nuda, persa nei suoi sogni.
Questa splendida ragazza che mi ha donato la cosa più
preziosa che aveva. Ed ora è mia. É tutta mia. E questo
appaga totalmente il mio bisogno di controllo assoluto.
Nessun altro l’ha avuta. Finalmente ho qualcosa di mio,
solo mio. E posso prendermene cura, fare in modo che
non le accada nulla. “E si tratta di Anastasia”. Resto a
guardarla per non so quanto tempo. Probabilmente ore.
Non riesco a dormire. Non sono abituato ad avere
qualcuno nella mia stanza, nel mio letto. Ma stranamente
non provo fastidio. O paura. In ogni caso, meglio alzarmi
e allontanarmi per un po’ dal quel groviglio di emozioni
con i capelli castani che dorme beata ed appagata sul
cuscino accanto al mio. Scendo dal letto, nudo, e mi
avvicino al cassettone. Prendo un paio di pantaloni del
pigiama, li infilo ed esco dalla mia camera da letto.

Mi trovo a guardare la mia immagine nel vetro della


portafinestra in salotto. Il mio sguardo riflesso domina i
grattacieli di Seattle. Sembro il padrone del mondo da
quassù. E, fino a ieri, era così che mi sentivo. Ma ora non
ne sono poi così sicuro. La serata appena passata mi sta
facendo dubitare della mia capacità di autocontrollo. Per
la prima volta nella mia vita non ho saputo resistere.
Sono stato con una ragazza per il puro piacere di farlo,
mettendola al mio livello. Avrebbe potuto dire no. E io
l’avrei ascoltata. Non c’è stato nessun bisogno di vendetta
da soddisfare, nessuno sfogo, nessuna rabbia repressa.
Non so come prendere queste cose. Non sono in grado di
gestirle. Devo assolutamente fissare un appuntamento
con Flynn. Lui saprà analizzare il tutto meglio di me. In
fondo lo pago per questo. Mi allontano dalla vetrata e mi
sposto verso il pianoforte. Quasi senza accorgermene, mi
ritrovo a sfiorare piano i tasti con le dita. Mi sentivo
esattamente in questo modo quando ho iniziato a suonare
da piccolo. Perso, senza certezze. Mi siedo sullo sgabello e
intono le note di uno dei miei brani preferiti. Una
melodia triste, melanconica, che riflette il mio umore
attuale. Non capisco. Non capisco nulla in questo
momento. Per la prima volta, dopo tanto tempo, il mio
proverbiale autocontrollo è andato beatamente a farsi
fottere. Mi sento perso, vulnerabile. Dentro di me so che
sono sempre io, sono il signore del mio universo. Ma so
anche che quello che ho avuto stasera con Anastasia, nella
mia camera da letto, è tutto quello che cerco da una vita.
Fatico ad accettare la crudele realtà che io da solo non mi
basto più. Che voglio che sia mia in tutto, che abbia
bisogno di me soltanto. Voglio che da oggi in poi sia mia.
Sempre. Non voglio perderla di vista nemmeno per un
attimo. Voglio mettere il mondo ai suoi piedi e darle
l’impossibile. Voglio proteggerla, in modo che mai al
mondo possa accaderle qualcosa. Voglio stare con lei,
passare la vita a farla star bene. Immerso nei miei tristi
pensieri, non mi accorgo subito della sua presenza.
Quando alzo gli occhi, Anastasia mi sta osservando
incantata, avvolta solo dalla trapunta presa dal mio letto.
Faccio quasi fatica a rendermi conto che non sto
sognando, che lei è li per davvero.

«Scusa» sussurra piano, mortificata. «Non volevo


disturbarti»

La guardo per qualche secondo, rimanendo in silenzio.


Non sono abituato a questo. Le mie Sottomesse non se ne
vanno in giro per casa mia di solito. Il pensiero mi fa
accigliare. Ma, in fondo, lei non è ancora una mia
Sottomessa. E io le ho appena rubato la verginità. Penso
che, dopotutto, abbia un po’ il diritto di girarmi per casa.
Almeno stanotte.

«Forse dovrei dirlo io a te» le dico dolcemente.

Smetto di suonare e appoggio le mani sulle ginocchia.


La guardo e tutti i pensieri che ho cercato di reprimere
riaffiorano alla mente. Mi ravvio i capelli con una mano,
cercando di allontanarli e mi alzo in piedi. Le vado vicino,
mentre i suoi occhi chiari mi scrutano.

«Dovresti essere a letto» la rimprovero.

Abbassa lo sguardo, contrita. “Oddio, è bellissima”.


Rischio di scoparmela di nuovo, qui, sul pianoforte.

«Era un brano magnifico. Bach?» mi chiede


genuinamente interessata.

«La trascrizione è di Bach, ma in origine era un


concerto per oboe di Alessandro Marcello» le dico, colpito
dalla sua conoscenza in campo musicale.

«Era meraviglioso, ma molto triste, una melodia così


piena di malinconia»

Le rivolgo un sorriso mesto. “Piccola, non immagini


nemmeno quanta malinconia c’è in me”.

«A letto» le ordino. «Domani sarai sfinita»

«Mi sono svegliata e non c’eri»


«Faccio fatica a prendere sonno, e non sono abituato a
dormire con un’altra persona»

Mi scruta, con la fronte aggrottata. Mi avvicino e le


circondo i fianchi con un braccio, portandola di nuovo in
camera.

«Da quanto tempo suoni? Sei bravissimo»

«Da quando avevo sei anni»

«Oh»

La osservo riflettere sulle mie parole. “Odio le


domande, Miss Steele”.

«Come ti senti?» le chiedo, accendendo l’abat-jour sul


comodino.

«Bene»

Ci ritroviamo entrambi a guardare il letto spoglio. Sul


lenzuolo c’è una piccola chiazza di sangue. La sua
verginità oramai mi appartiene. Arrossisce, stringendosi
addosso la coperta.

«Bè, così Mrs Jones avrà qualcosa su cui fantasticare»


le mormoro divertito.

Le metto la mano sotto al mento e la costringo a


guardarmi. La scruto per bene. ‘Ma ti guardi, Grey? Sei
preoccupato che stia bene?’. Lei mi fissa di rimando, ma
la sua attenzione è catturata dal mio torace nudo.
D’istinto allunga un dito per toccarmi. Indietreggio
d’impulso.

«Vai a letto» le ordino severamente.

Abbassa lo sguardo mortificata. E mi fa sentire una


merda.

«Verrò a stendermi accanto a te» aggiungo un po’ più


dolcemente.

“Mi dispiace Ana, ma questo proprio non lo


sopporterei. Questa sera ti ho già dato abbastanza. Anche
se tu non lo sai. Ma io sì. Un solo incontro con te ha fatto
crollare in mille pezzi le mie sicurezze. Mi sento già
troppo esposto”. Apro un cassetto e tiro fuori una t-shirt,
infilandomela in fretta.

«A letto» le ripeto, osservandola ancora li impalata.

Si stende, finalmente, un po’ a disagio. Mi metto al suo


fianco, deciso a mantenere le distanze. Ma non resisto. In
fondo ho la t-shirt. La attiro a me e la stringo forte da
dietro, inalando il profumo dei suoi capelli.

«Dormi, dolce Anastasia» sussurro piano al suo


orecchio, mentre lei chiude gli occhi.

E, stranamente, riesco ad addormentarmi anch’io.


Capitolo 9
Mi sveglio all’improvviso come se mi mancasse il
respiro. Sono stordito, confuso. Fisso il cuscino vuoto
accanto a me e le lenzuola stropicciate. E lentamente
realizzo. Lei non c’è, non è qui. Mi metto a sedere di
scatto nel letto, guardandomi intorno, di colpo nel panico.
Fuori il sole splende. Forse è andata in bagno. I suoi
vestiti sono ancora qui a terra in effetti. Faccio un
profondo sospiro, realizzando che, per la prima volta in
vita mia, ho dormito con qualcuno. Ho lasciato che una
ragazza entrasse nel mio letto e dormisse con me. E non
ho sonnecchiato o vegliato. No. Ho dormito. Con il
pericolo che lei mi toccasse durante la notte, mi sfiorasse,
violasse il mio io troppo martoriato dal passato per
lasciarla entrare. Eppure l’ho fatto. “Ho dormito con
Anastasia Steele”. Scuoto la testa a metà tra l’incredulo e
il divertito. “Dove si sarà ficcata quella ragazzina?”. Mi
alzo pesantemente, stiracchiandomi, e mi dirigo in bagno.
La porta è socchiusa e dentro lei non c’è. Cosa starà
architettando? Mi soffermo per un po’ davanti allo
specchio del bagno. I capelli aggrovigliati come una
matassa, la barba che inizia a crescere e l’espressione
serena di chi ha appena avuto una nottata di ottimo sesso
seguita da un confortante riposo. Era da tempo che non
mi sentivo così. ‘Non ti sei mai sentito così, Grey’, mi
rammenta la mia testa. E forse ha ragione. Così bene, in
fondo, non mi sono mai sentito. Ma non voglio
soffermarmi a pensarci ora.

Esco dalla stanza e imbocco il corridoio. Sento un po’


di frastuono provenire dalla cucina. E quando la vedo non
posso trattenermi dal sorridere. É ai fornelli, di spalle.
Indossa la mia camicia bianca, che cade larga sul suo
splendido corpo nudo, che ho avuto il piacere di
ammirare la scorsa notte. I capelli castani, spettinati,
sono legati alla meglio in due buffi codini, che la fanno
sembrare ancora più giovane di quanto non sia. Ha un
paio di cuffie conficcate nelle orecchie e balla al ritmo di
chissà cosa. Mi siedo senza fare rumore su uno degli
sgabelli, poggiandomi al bancone, con il viso tra le mani.
Ogni tanto si ferma, come se un pensiero la attraversasse.
Scuote la testa, sorride e riprende allegramente a
cucinare. Si, sta cucinando per me. Nella mia cucina. Con
addosso i miei vestiti. E senza che io gli abbia dato il
permesso. Ci mette un bel po’ prima di accorgersi della
mia presenza. Quando si gira si immobilizza di scatto,
imbarazzata, arrossendo di colpo. Le lancio uno sguardo
divertito, con le sopracciglia alzate. Dopo qualche attimo
di incertezza si ricompone, cercando di darsi un
contegno, e si toglie le cuffie dell’iPod.

«Buongiorno, Miss Steele. Ti vedo arzilla, stamattina»


la saluto bonariamente, tentando di rimanere serio.
Stamattina sono di nuovo in modalità bastardo-
arrogante-che-cerca-di-metterti-in-difficoltà-in-ogni-
modo. Tutte le incertezze di stanotte sono dimenticate. O
almeno assopite. “Attenta, Miss Steele”.

«H-ho dormito bene» farfuglia.

«Chissà perché» le dico con un mezzo sorriso.


«Anch’io, da quando sono tornato a letto» ammetto poi
riluttante. Ed è la verità.

«Hai fame?» mi chiede, ansiosa di evitare un silenzio


imbarazzante.
«Parecchia» le dico, guardandola maliziosamente.

Di certo non mi riferisco al cibo. “Ho fame di te,


Anastasia. Ho voglia di prenderti qui, in cucina, e di farti
nuovamente mia”. Non mi stancherei mai di questo
suppongo. Mi guarda imbarazzata, cogliendo l’allusione.
Ma decide di ignorarmi.

«Pancake, bacon e uova?»

«Sembra squisito» le rispondo con un sorriso.

«Non so dove tieni le tovagliette»

Maschera poco bene l’agitazione che la sta dilaniando.

«Ci penso io. Tu cucina. Vuoi che metta un po’ di


musica così puoi continuare… ehm… a ballare?»

Si guarda le mani, imbarazzata e arrossisce di nuovo.

«Per favore, non smettere per colpa mia. È molto


divertente da guardare» le dico in tono ironico.

Miss Steele mi rimanda indietro una smorfia,


voltandosi e continuando a sbattere le uova. “Mi ignori e
ora mi fai le smorfie, Miss Steele? Ti stai pericolosamente
avvicinando ad una punizione epica”. Con tre passi sono
dietro di lei. Il mio corpo la sfiora appena. Le tiro piano
uno dei codini.

«Sono carini» mormoro. «Ma non ti proteggeranno»


Mi guarda di sottecchi, divertita.

«Come ti piacciono le uova?»

«Molto, molto strapazzate»

La sento sorridere, mentre mi allontano. E sorrido


anch’io. É esasperante il fatto che continui a sfidarmi ad
ogni parola, ad ogni gesto. Ma, allo stesso tempo, è
eccitante da morire. Prendo due tovagliette da un
cassetto, mentre lei finisce di preparare la colazione. Dal
frigo tiro fuori del succo d’arancia e in silenzio mi metto a
preparare il caffè. Poi mi ricordo che lei non ama il caffè.

«Vuoi una tazza di tè?» le chiedo.

«Sì, grazie. Se ce l’hai»

Frugo nella credenza, mentre Ana armeggia con i


piatti. É stranamente rilassante stare qui a cucinare
insieme. Non credo di aver mai fatto qualcosa del genere.
Tiro fuori alcune bustine di Twinings English Breakfast.
Le avevo fatte mettere da parte a Mrs Jones proprio per
questa occasione. Lei mi guarda divertita.

«La conclusione era scontata, eh?»

Per un istante, la visione di quella fantastica brunetta


impertinente, vestita solo della mia camicia che lascia
vedere tutto, o quasi, mi fa infiammare di desiderio. “Eh
sì, Miss Steele. Finalmente posso confermarlo sul serio. Si
proprio una gran gnocca”. Nella mia testa si susseguono
immagini di lei in ogni posizione, nella mia Stanza dei
giochi. Devo ricordare a me stesso che non ha ancora
firmato il contratto. E che è ancora dolorante.

«Ah, sì? Non sono sicuro che abbiamo ancora concluso


alcunché, Miss Steele» le mormoro.

Senza replicare dispone il cibo nei piatti preriscaldati e


li poggia sulle tovagliette. Apre il frigo e tira fuori lo
sciroppo d’acero. “Ma guardala! Stai qui da quanto? Tre
fottuti secondi? E già sa dove trovare la roba. Io non
sapevo nemmeno di averlo lo sciroppo d’acero!”. La
guardo, aspettando educatamente che sia lei a sedersi per
prima.

«Miss Steele», le dico, indicandole uno degli sgabelli.

«Mr Grey» risponde, con un cenno del capo.

Nel sedersi sussulta leggermente.

«Quanto ti fa male, di preciso?» le chiedo senza troppe


cerimonie.

«Bè, a essere sincera, non ho termini di confronto»


sbotta, piccata. «Vuoi offrirmi la tua compassione?» mi
chiede poi, con uno sguardo dolce.

Cerco di trattenere un sorriso. “Che impertinente!”.


Meglio non fare la carina con me, Miss Steele. Potrei
approfittarne.

«No. Mi chiedevo se potevamo continuare il tuo


addestramento di base» le dico con tutta la noncuranza di
questo mondo.
«Oh» sussulta.

Guardo soddisfatto il suo viso incredulo. E la sua


eccitazione cresce all’improvviso. Il suo corpo si contrae
impercettibilmente e quasi la sento gemere. Ma non ci
giurerei troppo. “Non farlo, Ana. Non voglio prenderti
ora. Ho bisogno di avere la situazione sotto controllo”.

«Mangia, Anastasia» le ordino.

Mi guarda, implorandomi con gli occhi di essere


scopata. Interrompo quel gradevole contatto visivo e mi
concentro sulla colazione.

«Per la cronaca, è delizioso» le dico sorridendole.

Prende una forchettata di cibo dal piatto, delusa,


perdendosi quasi subito nei suoi pensieri. Osservo
voglioso le sue deliziose labbra strette nuovamente nella
morsa dei suoi denti. “Cristo!”. Lo fa sempre. E mi eccita
sempre.

«Smetti di morderti il labbro. Mi distrae parecchio, e


poi so che non porti niente sotto la mia camicia, e questo
mi distrae ancora di più» le dico in un sibilo.

Resta attonita, liberando di colpo il suo labbro


inferiore. In silenzio torna ad occuparsi del suo tè.
Scommetto che muore dalla voglia di saperne di più.

«Che genere di addestramento di base hai in mente?»


mi chiede dopo qualche attimo.

“Ecco, lo sapevo!”. La voce stridula tradisce i suoi


pensieri, anche se fa di tutto per sembrare indifferente.

«Bè, dato che sei dolorante, penso che potremmo


limitarci alle attività orali»

La guardo con tutta la calma di questo mondo,


osservando con divertita arroganza l’effetto delle mie
parole su di lei. Il tè le va di traverso, mentre mi fissa
sbalordita, a bocca aperta. Sono costretto a darle una
pacca sulla schiena per farla riprendere. Le passo del
succo d’arancia.

«Sempre che tu abbia voglia di restare» aggiungo.

In realtà sarei molto contrariato se lei volesse


andarsene. Ho voglia di tenerla qui con me.

«Per oggi vorrei restare. Se per te va bene. Domani


devo lavorare» aggiunge finalmente, dopo essersi ripresa.

«A che ora devi essere al lavoro?»

«Alle nove»

Ottimo. Potrebbe passare qui un’altra notte. “Magari


potremmo divertirci sul serio stavolta”. Il solo pensiero
mi rianima l’uccello assopito. ‘Mi sembra che tu ti sia
divertito abbastanza anche la scorsa notte, Grey’ mi fa
notare il mio cervellino sempre attento. E so che è così,
anche se non mi va di ammetterlo.

«Alle nove sarai al lavoro»

Anastasia aggrotta la fronte, leggermente contrariata o


forse preoccupata.

«Stanotte dovrei tornare a casa. Ho bisogno di vestiti


puliti»

«Puoi prenderli qui» le rispondo semplicemente.

Si morde di nuovo la bocca. “Cazzo! Ma allora lo fa


apposta!”. Alzo la mano e le afferro il mento, tirandogli il
labbro fino a liberarlo dalla morsa dei denti. É nervosa.
Lo sento.

«Che cosa c’è?» le chiedo.

«Stasera devo essere a casa»

Stringo le labbra, indispettito. Ma so che non posso


costringerla a rimanere. Non ancora, purtroppo. Devo
ricordarmi di darle il contratto più tardi. Voglio che lo
legga e ci pensi bene.

«Va bene, stasera. Adesso fai colazione»

China gli occhi, fissando il piatto, ma non tocca cibo.


Deve mangiare.

«Mangia, Anastasia. Ieri sera non hai cenato»

«Non mi va» mormora di rimando.

La guardo severamente, socchiudendo gli occhi. “Credo


sia giunto il momento di farti conoscere il mio alter ego,
Miss Steele. E di farti vedere cosa fa alle bimbe
capricciose come te”.
«Vorrei che finissi la colazione» le dico severo.

«Perché hai questa fissa con il cibo?» sbotta.

Ora la guardo veramente male.

«Te l’ho detto, non mi piace vedere il cibo sprecato.


Mangia!»

“Anch’io vorrei portarti subito di là e scoparti. Anzi


magari prenderti qui, sul bancone della cucina. Ma devi
metterti in forze. E poi sei ancora dolorante, Miss Steele”.
Prende piano la forchetta e mangia con lentezza,
rimuginando sui suoi pensieri. Le rivolgo uno sguardo più
dolce, mentre mi alzo e pulisco il mio piatto.
Pazientemente aspetto fino a che non ha inghiottito
l’ultima forchettata. La osservo di nascosto. “Dio quanto
desidero quelle meravigliose labbra sul mio uccello”. E
nella mia testa si forma lentamente un piano crudele.
Alza gli occhi, dopo aver finito la colazione e poggia la
forchetta nel piatto vuoto. Li prendo entrambi e li ripongo
in lavastoviglie. Mi guarda curiosa.

«Tu hai cucinato, io sparecchio» le dico in tono


asciutto.

«È molto democratico»

«Già»

Aggrotto la fronte. La democrazia di solito non è


contemplata nei miei rapporti.
«Non è il mio stile. Quando ho finito qui, ci faremo un
bagno»

«Ah, va bene»

Il suo cellulare squilla, interrompendoci. Risponde e si


allontana verso la vetrata della terrazza. Mentre traffico
nella mia cucina, riesco comunque ad afferrare la sua
conversazione.

«Mi dispiace, sono stata sopraffatta dagli eventi…...Si,


sto bene…...Kate, non mi va di parlarne al telefono…»

É quella ficcanaso della sua amica. Le lancio


un’occhiata eloquente. Non deve parlare con nessuno di
quello che è successo. E di tutto il resto. Tanto meno a
Miss Kavanagh.

«Kate, per favore….Ti ho detto che sto bene…...Kate, ti


prego!» sbotta esasperata.

Ascolta ancora per qualche secondo la sua amica al


telefono, poi stacca la chiamata indispettita. Torna in
cucina mentre io sto finendo di riordinare. “Ma perché
diavolo lo sto facendo, poi?”.

«L’accordo di riservatezza copre ogni cosa?» mi chiede


timorosa, mentre metto via il tè.

Mi giro di scatto, allarmato.

«Perché me lo chiedi?»

Arrossisce.
«Ecco, avrei qualche domanda, sai, sul sesso». Abbassa
lo sguardo, imbarazzata. «E vorrei chiedere a Kate»

«Puoi chiedere a me»

«Christian, con il dovuto rispetto… È solo una


questione pratica. Non accennerò alla Stanza Rossa delle
Torture»

Alzo un sopracciglio, stupito dall’epiteto che ha appena


utilizzato per descrivere la mia Stanza dei giochi.

«Stanza Rossa delle Torture? Si tratta solo di piacere,


Anastasia. Credimi. E poi la tua coinquilina ci sta dando
dentro con mio fratello. Preferirei che con lei non
parlassi» aggiungo severo.

“Stanza Rossa delle Torture?… Ma dai!”. Ripenso a


tutti gli arnesi contenuti nella mia Stanza dei giochi. ‘In
effetti, Grey, il piacere, lì dentro, è solo tuo di solito’.

«I tuoi sanno della tua… ehm… predilezione?» spara,


interrompendo il flusso dei miei pensieri.

«No. Non sono affari loro»

“Come cazzo le viene in mente che potrei dire a Grace e


Carrick che amo fustigare le ragazze? E soprattutto per
quale motivo, poi!”. Mi avvicino cautamente a lei. É
evidente che ha solo bisogno di essere tranquillizzata. Per
lei è tutto nuovo. Ricordo com’è stato per me, quando
Elena mi mostrò tutti i suoi attrezzi. Ero spaventato, ma
eccitato. ‘Ma tu volevi essere picchiato, Grey. Lei no’.
«Cosa vuoi sapere?» le chiedo, sfiorandole la guancia e
il mento con le dita, costringendola a guardarmi.

«Niente di specifico, per ora» mormora.

Il suo corpo è attraversato da un brivido non appena le


mie dita la sfiorano.

«Possiamo cominciare così: com’è stato per te la notte


scorsa?»

In fondo non ne abbiamo parlato. E io…sono curioso di


saperlo. Anche se mi è sembrata molto soddisfatta.

«Bello» sussurra.

Le sue parole mi rilassano.

«Anche per me. Non avevo mai fatto sesso alla


vaniglia. Devo dire che ha il suo interesse. Ma forse è
stato solo perché eri tu»

Non so da dove viene l’impeto che mi spinge a farle


questa confessione. Ma in fondo è vero. Non ho mai
desiderato niente del genere con nessun’altra. E ora ho
voglia di averla di nuovo. Le sfioro le labbra con il pollice.
Anastasia trattiene il fiato e so che l’ansia ha finalmente
lasciato il posto all’eccitazione.

«Vieni. Facciamoci un bagno» le dico.

Poi la bacio, delicatamente, prima di condurla


nell’altra stanza. Riempio la vasca di pietra bianca, a
forma di uovo, con acqua calda, versandoci dentro un po’
di bagnoschiuma. “Ora, Miss Steele, faremo un po’ di
conoscenza approfondita dei nostri corpi. E se Dio vorrà
riuscirò a scoparti quelle dolci labbra, sradicando
finalmente quella lancinante ossessione che mi
accompagna da quando ti ho vista la prima volta”. Ma
devo essere cauto con lei. Non mi va di perderla proprio
ora con mosse azzardate. Senza distogliere lo sguardo da
lei, mi sfilo la t-shirt bianca e la getto sul pavimento, poco
distante da me.

«Miss Steele» le dico, tendendole la mano. É in piedi


sulla soglia, con le braccia conserte ed un’aria sospettosa.
Fa un passo in avanti, guardandomi, e afferra la mia
mano. La faccio entrare nella vasca da bagno con addosso
ancora la mia camicia. Lei non replica. Obbedisce
soltanto. “Questo mi piace. Mi piace davvero tanto”. La
guardo. E le sue labbra catturano di nuovo la mia
attenzione.

«So che quel labbro è delizioso, posso confermarlo, ma


potresti smettere di mordertelo?» le dico trattenendo a
stento la mia eccitazione. «Se te lo mordi, mi viene voglia
di scoparti, e tu sei ancora dolorante, hai capito?»

Sussulta, spalancando la bocca.

«Ecco» la provoco «Non so se ho reso l’idea»

Annuisce a stento, mentre le lancio un’occhiata severa.


Potrei davvero non resistere se lei continuasse a mordersi
quelle labbra meravigliose.

«Bene»
Tiro fuori l’iPod dal taschino della camicia che indossa,
appoggiandolo sul lavandino li vicino.

«Acqua e iPod… Non è una combinazione intelligente»

Afferro i lembi della camicia e gliela sollevo sulla testa,


sfilandola e gettandola accanto alla mia maglietta. Arretro
per guardarla meglio. É una visione sublime. Potrei
rimanere qui, in piedi, a guardarla per tutto il giorno.
Piego la testa di lato per ammirarla da ogni angolatura.
Lei arrossisce e si copre leggermente l’inguine con le
mani.

«Ehi» la chiamo, facendole alzare lo sguardo.

«Anastasia, sei una donna splendida, dalla testa ai


piedi. Non abbassare lo sguardo come se ti vergognassi.
Non devi vergognarti di niente, è una gioia guardarti»

Le prendo il mento e le alzo la testa, guardandola dritto


negli occhi. Brama la mia pelle sotto le sue mani, lo sento.

«Ora puoi sederti» dico, allontanandola dai suoi


pensieri e da quello a cui potrebbero portarla.

Si immerge completamente nell’acqua calda. Forse un


po’ troppo calda, a giudicare da come sussulta. Poi
sembra abituarsi. Si lascia andare chiudendo gli occhi.
Non riesco a smettere di guardarla. Quando li riapre il
desiderio che leggo in tutto quell’azzurro mi eccita
oltremodo.

«Perché non vieni anche tu?» chiede, con voce roca.


«Credo proprio che lo farò. Fammi posto» le ordino,
sfilandomi in fretta i pantaloni del pigiama ed entrando
nella vasca.

Mi posiziono dietro di lei, stringendomela al petto.


Stendo le gambe sulle sue e gliele apro spostandole i piedi
con i miei. “Ora inizia il mio gioco perverso, Miss Steele.
Voglio la tua bocca. E con calma me la prenderò”. Siamo
perfettamente incastrati, e lei non ha possibilità di
movimento. Affondo il naso nei suoi lunghi capelli e inalo
il suo profumo inebriante, che si mischia a quello di
gelsomino del bagnoschiuma.

«Hai un profumo così buono, Anastasia»

La sento tremare tutta. Il mio cazzo, già duro come il


marmo, le sfiora piano una natica. ‘Cerca di stare calmo,
Grey’. Prendo il flacone di bagnoschiuma e me ne verso
un po’ in una mano. La strofino contro l’altra e inizio a
massaggiarle il collo. Il suo corpo diventa di fuoco. Ana
inizia ad ansimare.

«Ti piace?» le chiedo sorridendo.

Riesce solo a mugolare il suo assenso. Scendo piano


dal collo, lavandola, accarezzandola, fino a giungere al
seno. Sospira più forte. Glielo circondo con le mani,
palpandola. Anastasia spinge il suo corpo, inarcandosi e
cercando vogliosa le mie mani. Abbandono quella dolce
tortura per iniziarne un’altra, un po’ più giù. Le mie mani
scivolano sul suo ventre, mentre sento distintamente le
pulsazioni del suo cuore aumentare. Vanno di pari passo
con quelle del mio uccello, che preme bramoso contro il
suo magnifico culo. “Un giorno o l’altro mi prenderò
anche questo, Miss Steele”. Sono costretto a fermarmi di
nuovo, per alleviare il dolore. “Cazzo! Se continuo così,
sarò io a non resistere”. Mi fermo e, mentre lei non
smette di ansimare, afferro un guanto di spugna. Verso
un po’ di bagnoschiuma sul guanto, lo infilo e torno sul
suo ventre. Le sue mani si poggiano sulle mie cosce,
stringendo piano, mentre si abbandona totalmente al mio
tocco esperto. “Arriva al limite, Miss Steele”. Inizio a
strofinarle la spugna ruvida sull’inguine, sempre più
veloce, mentre lei prende ad essere scossa dagli spasmi,
anelando l’orgasmo. Getta la testa all’indietro, sul mio
collo, rovescia gli occhi e apre la bocca, gemendo forte.
“Cazzo, se è eccitante vederla godere”. La sento sempre
più prossima al piacere, mentre il mio cazzo sta
letteralmente per esplodere.

«Godi, piccola» la stimolo, mordicchiandole piano il


lobo dell’orecchio. Ma non ho nessuna intenzione di
permetterlo. Voglio solo portarla al limite.

«Oh… ti prego» mi sussurra, cercando di tendere al


massimo il suo corpo irrigidito.

Di colpo mi fermo.

«Penso che adesso tu sia abbastanza pulita»

Rimane di stucco, del tutto insoddisfatta.

«Perché ti fermi?» ansima, confusa.

«Perché ho altri progetti per te, Anastasia» le annuncio


con tutta la semplicità di questo mondo. «Girati. Anch’io
ho bisogno di essere lavato» le mormoro in un tono che
non ammette repliche.

Ho bisogno di un po’ di sollievo. Vederla in quello stato


mi ha letteralmente scombussolato. Quando si gira,
guarda scioccata il mio uccello stretto nella mia mano. É
duro come il marmo e affiora dall’acqua con strafottenza.

«Voglio che tu faccia conoscenza, se possibile amicizia,


con la parte del mio corpo che preferisco. Sono molto
legato a lui» le dico sorridendole in modo perverso,
divertito dalla sua espressione di stupore e dal fatto che
non riesce a smettere di fissarmelo.

“So che ti piace, Miss Steele”. D’un tratto sembra


riprendersi. Mi sorride timidamente, prende il
bagnoschiuma e ne lascia cadere qualche goccia sul
palmo della mano, imitando i miei gesti di poco fa.
Strofina le mani fino a creare una leggera schiuma, senza
distogliere gli occhi da me. E poi parte all’attacco. Si
morde di proposito il labbro e passa la lingua sul segno
lasciato dai denti. Sono sorpreso dalla sua audacia e la
guardo, eccitato più che mai. Piano, si china stringendo
una mano intorno al mio uccello. Chiudo brevemente gli
occhi, godendomi quel tocco. “Oh, cazzo! Finalmente!”.
La sento stringere e poggio una mano sulla sua,
guardandola.

«Così» mormoro, mostrandole i movimenti giusti.


Chiudo di nuovo gli occhi, mentre inizia ad andare su e
giù. Mi si accorcia il fiato. «Molto bene, piccola» le dico
guardandola nuovamente.

La lascio continuare da sola, rilassandomi ad occhi


chiusi. La sua inesperienza potrebbe eccitarmi ancora di
più. Fletto leggermente i fianchi, per assecondare i suoi
movimenti, mentre lei stringe forte. Gemo e le sue mani
mi conducono verso il piacere. Il mio respiro si fa sempre
più pesante. Sento la mano di Anastasia andare su e giù,
ancora, ancora e ancora. “Si, piccola. Vai così”. Il mio
respiro accelera e così la voglia di ficcarglielo in gola. Ad
un tratto la sento fermarsi e due secondi dopo una
sensazione sublime mi percuote dalla testa ai piedi. Sento
un enorme calore invadermi la punta del pene e apro gli
occhi di scatto. Nello stesso istante lei succhia piano il
mio uccello. “Cristo santo, Ana!”. La visione è celestiale.

«Oh… Ana»

É l’unica cosa che il mio cervello riesce ad articolare. E


sembra quasi una supplica. ‘Christian Grey sta
supplicando di godere?’. Anastasia succhia più forte.
“Oh…si!”. É una sensazione indescrivibile, meravigliosa.
La sua bocca calda e vogliosa accoglie il mio cazzo che
pulsa, freme ed è sul punto di esplodere. É la
realizzazione di tutte le mie fantasie delle ultime due
settimane.

«Cristo!» gemo.

Chiudo gli occhi, ormai fuori controllo. “Cosa cazzo mi


succede? Cosa cazzo mi stai facendo, Anastasia Steele?”.
Vorrei fermarla, ma… ma sto godendo troppo. Apro gli
occhi e mi gusto la scena. Anastasia, con gli occhi
socchiusi, si abbassa di più sul mio membro eretto,
facendolo scomparire tra le sue labbra. Lentamente
avvolge la sua lingua intorno alla cappella. Fletto le anche
per assecondare i suoi movimenti. “Voglio scoparti la
bocca, Miss Steele”. Sto godendo come non ho mai fatto
in vita mia. E la cosa assurda è che non riesco a
controllarmi. La mia mente è annebbiata dal piacere. É
sconvolgente. Riesco solo a guardare con gli occhi
sbarrati la deliziosa brunetta che si sta dando da fare con
il mio uccello in bocca. Mi sento impotente. Ma allo
stesso tempo, è quello che voglio ora. Tutto pur di non
interrompere questa goduria. Stringo i denti e mi inarco,
verso di lei, che lo prende ancora più a fondo, senza
battere ciglio, sostenendosi con le mani sulle mie cosce.
Vederla così mi fa perdere ogni freno. Le afferro con forza
i codini e inizio sul serio a scoparle la bocca. Mille
pensieri mi affollano la testa. Ma uno su tutti domina.
“Lei è omosessuale, Mr Grey?”. Ho voluto questo da
quando la sua bocca impertinente ha partorito quella
assurda domanda. La bocca impertinente che ora sto
scopando a fondo. “Ora potrai rispondere tu stessa a
questa domanda, Anastasia. Non sono gay. É sono
fottutamente preso da te”. Ana continua ad accogliermi,
senza fermarsi.

«Oh… piccola… è fantastico» mormoro, in estasi,


mentre sento la sua lingua guizzare sulla punta del mio
uccello.

Le sue labbra si serrano in una dolce morsa, sempre


più stretta. “Cristo!”. Emetto un sibilo di puro piacere.
Voglio arrivare più a fondo. Voglio arrivarle in gola.

«Oddio… Fin dove riesci ad arrivare?» le sussurro.

Senza smettere di fare quello che sta facendo lo prende


ancora più dentro. Sono tutto dentro di lei. “Oddio, è
favolosa”. La sua lingua torna a guizzare intorno alla
punta. Noto che sembra davvero piacerle quello che mi
sta facendo. Gode quasi nel vedermi inerme alla sua
mercé. E godo anch’io a questo pensiero. Questo mi
spaventa, ma non riesce a fermarmi. Sento che sto per
venire.

«Anastasia, sto per venirti in bocca» la avverto a denti


stretti. «Se non vuoi, fermati adesso»

E lei, ancora più favolosa, invece di ritrarsi, spinge di


più. E ancora. “Ohhhh…...cazzo, cazzo, cazzo!”. La guardo
con gli occhi sbarrati, mentre è impegnata a darmi il
maggiore piacere possibile, e non mi trattengo oltre. Urlo,
in un potente orgasmo, esplodendo nella sua bocca e Ana
mi da un ulteriore colpo di grazia, ingoiando tutto il mio
sperma. Mi accascio inerme nella vasca, completamente
appagato. Come non mi succedeva da tempo. ‘Forse non
ti è mai successo, Grey’. Apro gli occhi e la guardo
esterrefatto, con il respiro spezzato dallo sforzo al quale
mi ha sottoposto. Mi rivolge uno sorriso trionfante.

«Ma non ti vengono i conati?» le chiedo sorpreso.


«Ana… è stato… fantastico, davvero fantastico, e non me
l’aspettavo»

Aggrotto la fronte a quel pensiero. Ha preso l’iniziativa.


Di nuovo. Non sono abituato a questo.

«Sai, non smetti mai di sorprendermi»

Lei sorride e si morde il labbro imbarazzata. La guardo


sospettoso e un pensiero sgradevole mi attraversa la testa.

«L’avevi già fatto prima?»


«No» risponde, quasi orgogliosa.

Mi fa sorridere la sua ingenuità. E non posso


nascondere di essere sollevato alla notizia.

«Bene» le dico, soddisfatto. «Un’altra prima volta,


Miss Steele. Bene, nell’esame orale ti meriti un 10. Vieni,
andiamo a letto, ti devo un orgasmo»

Lo sguardo di Anastasia è sconvolto mentre guizzo fiori


dalla vasca da bagno. ‘Glielo devi, Grey? Da quando devi
qualcosa alle tue Sottomesse? É il loro compito farti
godere’. Ignoro il cinismo del mio cervello. Anastasia mi
ha reso felice, appagato. E io voglio che per lei sia lo
stesso. Sento i suoi occhi pieni di voglia addosso. Mi
guarda dalla testa ai piedi, bramosa, mentre, con calma,
mi avvolgo un piccolo asciugamani intorno alla vita. Ne
prendo un altro, più grande e morbido, e tendendole la
mano la aiuto ad uscire dalla vasca e la avvolgo nella
spugna. La stringo tra le braccia, baciandola con
passione, in modo carnale. Ne ho bisogno. Le afferro la
testa e spingo la mia lingua nella sua bocca. Mi ha appena
regalato il più bel pompino della mia vita e ho di nuovo
bisogno di lei. Indietreggio leggermente e, sempre
tenendole il viso con le mani, la osservo. Non riesco più a
fare a meno di lei. Non voglio perderla per niente al
mondo. Devo fare in modo di legarla a me. “Per sempre”.
Mi sento sconvolto e smarrito di fronte a questo pensiero.

«Accetta» mormoro con passione.

«Cosa?»
Aggrotta la fronte, senza capire a cosa mi riferisco.

«Il nostro accordo. Accetta di essere mia. Ti prego,


Ana»

Mi scopro quasi ad implorarla. La bacio di nuovo, con


dolcezza, poi torno ad osservarla. Spero capisca che sono
sincero quando dico di volerlo davvero. Potrei farglielo
capire meglio magari. “Nell’unico modo che conosco”.
Prendendole la mano la conduco in camera da letto. Mi
segue silenziosa, un po’ stordita.

«Ti fidi di me?» le chiedo cogliendola di sorpresa.

Annuisce e sembra davvero convinta, anche se un


brivido la percorre.

«Brava bambina» le sussurro, accarezzandole il labbro


inferiore con il pollice.

La lascio lì, a crogiolarsi nelle sue sensazioni, ed entro


nella mia cabina armadio, uscendone dopo pochi secondi
con in mano una delle mie cravatte, quella di seta
argento.

«Unisci le mani davanti a te» le ordino, togliendole


l’asciugamano e lasciandola nuda.

É davvero stupenda. Poi le lego velocemente i polsi con


la cravatta, stando attento a fare un nodo ben saldo.
Quella visione sublime mi eccita da morire. Anastasia
sembra agitata ed eccitata al tempo stesso. Le sfioro i
capelli, raccolti nelle due piccole code ai lati.
«Sembri così giovane con questi»

Mi avvicino e lei istintivamente si ritrae, toccando il


bordo del letto. Lascio cadere il mio asciugamano, mentre
i nostri occhi sembrano incollati.

«Oh, Anastasia, cosa dovrei farti?» le sussurro


facendola sdraiare sul letto.

Mi stendo accanto a lei le sollevo le mani sopra la testa.


“É arrivato il momento di giocare, Miss Steele”.

«Tieni le mani così, non muoverle, capito?»

La fulmino con lo sguardo e lei smette di respirare.

«Rispondi» le ordino piano.

«Ho capito. Non le muoverò»

Fatico quasi a sentire la sua voce.

«Brava bambina» mormoro, leccandomi le labbra.

L’effetto che ho su di lei mi appaga. Mi chino


velocemente e la bacio.

«Ora ti bacerò dappertutto, Miss Steele» le annuncio,


sollevandole il mento per accedere alla sua gola.

Lentamente accarezzo il suo collo con le labbra,


succhio, mordo piano la sua pelle, eccitandola ed
eccitandomi. Il suo corpo è così sensibile. Geme
sommessamente. Anastasia muove le mani, cercandomi.
Mi sfiora i capelli. Smetto di baciarla all’istante e la
guardo di traverso, scuotendo la testa e sbuffando. “Non
farmi incazzare, Miss Steele. Arrabbiato non ti piacerei”.
Le riporto le mani sulla testa.

«Non muoverti, altrimenti dovremo ricominciare


daccapo» la rimprovero.

Ma il mio tono non riesce ad essere severo. Non posso


certo condannarla. In fondo anch’io fatico a starle
lontano. E mi piace che per lei sia lo stesso. ‘Ti stai
rammollendo, Grey?’.

«Voglio toccarti»

La sua voce è colma di desiderio.

«Lo so» le mormoro consapevole. “Ma proprio non


posso accontentarti Anastasia”.

«Tieni le mani sopra la testa» le ordino di nuovo,


alzando la voce.

Riprendo da capo la dolce tortura. Le mie mani


scendono ad accarezzarle il corpo, raggiungendo i seni.
Mano a mano che scendo le sfioro la pelle con la punta
del naso, senza fretta, descrivendo piccoli cerchi e
seguendo la scia lasciata dalle mie mani. Bacio entrambi
seni, mordicchiando e succhiando dolcemente i suoi
capezzoli. I suoi fianchi iniziano a rispondere agli stimoli,
seguendo il ritmo imposto dalle mie labbra. Muove piano
le mani, poi si blocca, ricordandosi della mia minaccia.

«Stai buona» la ammonisco. Raggiungo l’ombelico e ci


affondo dentro la lingua, sfiorandole la pancia con i denti.

«Mmh. Sei così dolce, Miss Steele»

La punta del mio naso scende sino al ventre.


Mordicchio piano la sua pelle, stuzzicandola con la
lingua. Mi inginocchio ai suoi piedi, afferrandole di colpo
le caviglie e divaricandole le gambe. Sento l’agitazione
riverberarsi in tutto il suo corpo. Le prendo il piede
sinistro. Bacio ognuna di quelle piccole dita e poi
riprendo da capo, stavolta succhiandole, scrutando
attentamente le sue reazioni. Arrivo al mignolo e serro
più forte i denti. Mugola forte e il corpo le trema tutto.
“Bene”. Continuo a baciarle la caviglia, il polpaccio,
arrivando appena sopra al ginocchio. Poi mi fermo e
ripeto tutto con l’altro piede.

«Oh, ti prego» implora quando le mordo il mignolo.

«Bisogna essere pazienti, Miss Steele» le rispondo


arrogante.

“Mi hai fatto godere, è vero. E voglio far godere te, ora.
Ma sono comunque io a decidere esattamente quando,
Anastasia”. Stavolta non mi fermo al ginocchio, ma mi
spingo all’interno della coscia, allargandole di più le
gambe. Il suo sesso è così esposto. Freme, mentre cresce
la sua eccitazione. Ripeto l’operazione partendo dall’altro
ginocchio e arrivo finalmente li dove voglio essere, nel
mio piccolo paradiso privato. La sfioro piano con il naso e
sento il suo lamento diventare carnale. Mi fermo qualche
secondo, aspettando che il suo corpo si calmi. Alza la
testa per guardarmi, in attesa della mia prossima mossa.
«Lo sai che hai un profumo inebriante, Miss Steele?»
le dico guardandola dritto negli occhi.

Poi mi tuffo in mezzo alle sue gambe, inalando il suo


dolce profumo. Arrossisce di colpo, chiudendo gli occhi
piena di vergogna. La accarezzo piano con la lingua, per
tutta la lunghezza.

«Mi piace» dico, tirandole leggermente i peli pubici.


«Forse questi potremmo anche tenerli»

«Oh… per favore» mi implora.

«Mmh, mi piace sentirti supplicare, Anastasia.


Rendere pan per focaccia non è il mio stile abituale, Miss
Steele» mormoro, continuando a leccare. «Ma oggi mi hai
fatto godere, e meriti una ricompensa»

La sento gemere e quasi penso che possa svenire.


Continuo ad usare la lingua, circondandole piano il
clitoride mentre le mie mani si aggrappano ai suoi
fianchi. Geme ancora, spingendo il corpo all’insù. Senza
badare ai suoi movimenti frenetici continuo la dolce
tortura che le sto infliggendo. La sento irrigidire
completamente le gambe. Bene, è quasi vicina
all’orgasmo. Le infilo un dito dentro, ansimando. Sono
eccitato quasi più di lei. Il mio uccello è tornato a guizzare
verso l’alto. In realtà non ha mai smesso di farlo. E ho
una maledetta voglia di scoparmela di nuovo. “Cazzo, è
letteralmente fradicia”.

«Oh, piccola. Mi piace che ti bagni tanto per me»

Muovo le dita in cerchio, mentre la mia lingua


ripercorre lo stesso giro. E finalmente viene, nella mia
bocca, urlando sconnessamente. La visione è celestiale.
Mentre cerca di calmarsi mi alzo, infilo velocemente un
preservativo, preso dal comodino, e mi immergo dentro
di lei. La penetro con lentezza straziante e inizio a
muovermi mentre lei è ancora scossa dai postumi
dell’orgasmo appena consumato.

«Come ti senti?» le chiedo piano.

«Bene, mi sento bene»

“Anch’io piccola. Dentro di te si sta divinamente bene”.


Mi muovo più in fretta, eccitato, affondando dentro di lei
implacabilmente. La sento irrigidirsi di nuovo. E anch’io
sto per crollare.

«Vieni per me, piccola»

La mia voce è roca, colma di desiderio e di lussuria.


Ancora poche spinte e viene di nuovo, urlando, sotto di
me. É così stretta, così bagnata.

«È fantastico» mi lascio sfuggire ad alta voce.

Spingo un’ultima volta e la stringo forte, svuotandomi


completamente in lei. Crollo esanime sul suo corpo,
sfinito. Anastasia mi stringe le braccia al collo, litigando
con l’impedimento della cravatta che le lega i polsi.
Lentamente mi alzo sui gomiti e la guardo. Siamo
vicinissimi.

«Hai visto come stiamo bene insieme? Se ti dai a me,


sarà ancora meglio. Fidati, Anastasia, posso portarti in
luoghi di cui nemmeno sospetti l’esistenza»

‘E forse nemmeno tu, Grey’. Strofino il naso contro il


suo, appagato da tutto questo sesso mattutino, mentre i
suoi occhi mi guardano con ammirazione e smarrimento
allo stesso tempo. Vorrei aggiungere qualcosa, per
rassicurarla, ma le voci nel corridoio ci interrompono.

«Ma se è ancora a letto, sarà malato. Non dorme mai


fino a quest’ora. Christian è un tipo mattiniero»

“Merda”. So bene a chi appartiene l’autoritaria voce


che si avvicina sempre di più alla mia camera da letto.
“Cosa cazzo ci fa qui?”.

«Mrs Grey, per cortesia»

Povero Taylor! In questo momento non lo invidio. Non


è per niente facile convincere la dottoressa Grace di
qualcosa se non la vede con i propri occhi.

«Taylor, non puoi impedirmi di vedere mio figlio»

«Mrs Grey, non è da solo»

Sento l’esasperazione nella voce di quel pover’uomo.

«In che senso non è da solo?»

La voce di mia madre è colma di incredulità.

«C’è una persona con lui»

«Oh…»
Anastasia sgrana i suoi occhioni azzurri da cerbiatta.
Sorrido tra me e me, divertito. Stranamente non mi
dispiace che mia madre ci abbia colti in fallo. Almeno da
oggi la mia famiglia smetterà di credere che io sia gay. Le
restituisco uno sguardo ironico di finto spavento.

«Merda! È mia madre»


Capitolo 10
«Forza, dobbiamo vestirci… sempre che tu voglia
conoscere mia madre» le dico divertito, scivolando in
fretta fuori dal suo corpo e sedendomi sul bordo del letto.

Sfilo il preservativo e lo butto a terra con noncuranza.


Le lancio un gran sorriso e in tre secondi sono già in piedi
e mi sto infilando i jeans, senza le mutande.

«Christian, non posso muovermi»

Anastasia sta cercando in ogni modo di districare il


nodo della cravatta che le stringe i polsi. Mi chino su di lei
sciogliendolo, mentre la guardo. Tutta questa assurda
situazione mi intriga in modo pazzesco. Le bacio leggero
la fronte e le sorrido di nuovo. “Miss Steele stai per
conoscere la dottoressa Grace”. Il pensiero di mia madre,
di là in salotto, a chiedersi se uscirò di qui con un uomo o
con una donna, mi diverte da morire. Ana le piacerà, ne
sono certo. Già solo per il fatto di essere colei che le ha
fugato ogni dubbio sulla mia presunta omosessualità. ‘E
così, Grey, stai per presentare una ragazza a tua madre’.
Già. ‘E perché quel sorriso ebete stampato in faccia?’

«Un’altra prima volta» osservo a voce alta, mentre Ana


mi restituisce uno sguardo incredulo, ovviamente non
capendo a cosa mi riferisco.

«Non ho vestiti puliti qui» replica nel panico. «Forse è


meglio se rimango qui»

«Niente affatto» la minaccio. «Puoi metterti qualcosa


di mio»

Mi infilo la t-shirt bianca e mi ravvio alla meglio i


capelli totalmente scarmigliati, cercando di farli stare al
loro posto. Ci rinuncio. Poi mi volto a guardarla, serio.

«Anastasia, saresti bella anche con un sacco della


spazzatura addosso. Non preoccuparti, davvero. Mi fa
piacere presentarti a mia madre. Vestiti. Intanto vado a
calmarla»

“Il che non sarà affatto un’impresa semplice, Miss


Steele”. So che dovrò combattere contro le affinate
tecniche di indagine di mia madre. Lei e Mia sono peggio
di Holmes e Watson. Anastasia rimane immobile, con
un’espressione angosciata dipinta sul viso. La fisso
severamente. “Ma non riesci proprio a fare quello che ti si
dice, Miss Steele?”.

«Ti aspetto di là fra cinque minuti, altrimenti vengo a


tirarti fuori da qui con le mie mani, qualunque cosa tu
abbia addosso. Le mie T-shirt sono in questo cassetto. Le
camicie nella cabina armadio. Serviti pure»

‘Stai davvero mettendo il mondo ai piedi di questa


ragazzina, Grey?’. So perfettamente che se fosse stata
un’altra non mi sarei fatto scrupoli a lasciarla sul letto,
legata, mentre chiacchieravo allegramente con mia
madre. E invece sono qui, ora, a guardarla ammirato e a
metterle a disposizione tutto quello che ho. E voglio
presentarla a Grace. Lo voglio davvero. Lentamente mi
avvio lungo il corridoio, lasciandola da sola e in crisi a
prepararsi. Faccio un sospiro profondo prima di mettere
piede in salotto, incrociando lo sguardo esasperato di
Taylor, in piedi nella stanza. So bene cosa mi aspetta.

«Mamma»

Saluto con un sorriso la donna elegante e distinta,


seduta sul mio divano. Il suo viso si illumina non appena
mi vede. É raggiante più del solito, anche se scorgo un
briciolo di preoccupazione.

«Christian, tesoro!»

I suoi occhi mi scrutano e mi oltrepassano in fretta,


aspettando che qualcuno mi segua. Quando si rende
conto che sono solo non riesce a nascondere la delusione
totale. La guardo divertito, scoccandole un gran sorriso
mentre mi siedo accanto e lei e le bacio la guancia. Voglio
davvero bene a questa donna dai capelli di un biondo
rossiccio, che indossa magnificamente il suo abito di
maglina color cammello con scarpe rigorosamente in
tinta. Le devo tutto. Vorrei solo riuscire a dimostrarglielo
meglio. Anche se in fondo so che lei lo sa.

«Come mai sei qui, mamma?»

Lei non viene mai nel mio appartamento.

«Bè, ero preoccupata a dire il vero, Christian. Ho


addirittura chiamato in ufficio ieri, ma la tua assistente
mi ha informata che eri a Portland da una settimana.
Credevo dovessi andarci questo giovedì»

«Infatti è così. Dovrò tornarci questa settimana. Ma


dovevo incontrare una persona. Tra poco la conoscerai»
le dico sorridendole.
La sua curiosità si rianima all’improvviso. Mi sorride
con calore.

«In effetti Taylor mi ha avvisata che c’era qualcuno di


là in camera con te» mi incalza maliziosamente dopo
appena qualche attimo di silenzio.

Eccola che parte. Grace Trevelyan-Grey alla riscossa.


Le sorrido di nuovo, senza rispondere, lasciandola in
sospeso. E quando alzo gli occhi la vedo arrivare. “I miei
complimenti, Miss Steele”. É vestita di tutto punto, con i
suoi abiti di ieri. I capelli legati in una coda, dalla quale
fuoriesce qualche ciocca troppo ribelle, ancora provata
dallo splendido amplesso che abbiamo appena avuto di là
in camera.

«Eccola qui» dico con un sorriso.

Mi alzo dal divano e le vado incontro. Sono… felice. E


ammirato. E orgoglioso di lei.

«Mamma, ti presento Anastasia Steele. Anastasia, lei è


Grace Trevelyan-Grey»

Il volto di mia madre si illumina come un’alba. Si alza


dal divano e le si avvicina, tendendole la mano,
guardandola estasiata. É sorpresa. E sollevata. Tanto
sollevata. “Già mamma, non sono gay”.

«Piacere di conoscerla» le dice poi, con uno sguardo


molto, molto compiaciuto.

Ana le stringe con decisione la mano, rispondendo al


suo sorriso con lo stesso calore, probabilmente contagiata
da Grace.

«Dottoressa Trevelyan-Grey» mormora.

«Chiamami Grace» le dice mia madre, con enfasi.

La guardo con un po’ di traverso, contrariato da tutta


questa familiarità. Mi chiedo vagamente se non sia stata
una mossa avventata. Grace mi ignora stoicamente e
continua a familiarizzare con la sconosciuta brunetta che
le sta di fronte.

«Per tutti sono la dottoressa Trevelyan, mentre Mrs


Grey è mia suocera» le sta dicendo, facendole
l’occhiolino.

Oddio, mia madre che strizza l’occhio ad una mia


potenziale Sottomessa! Ora si che le ho viste tutte.

«Allora, come vi siete conosciuti voi due?»

La domanda è rivolta direttamente a me. Non si può


tenere a bada la sua curiosità nemmeno chiudendola in
un cassetto e buttando via la chiave. In questo la batte
solo Mia.

«Anastasia mi ha intervistato per il giornale


studentesco della Washington State University, perché
questa settimana devo consegnare i diplomi di laurea»

«Dunque ti laurei questa settimana?» dice,


rivolgendosi ad Ana questa volta.
«Sì»

Fortunatamente il suo cellulare si mette a squillare e


questo la salva da un lungo interrogatorio da parte di mia
madre, alla evidente ricerca di dettagli sulla nostra storia.
‘Non è una storia, Grey. É stata una notte di sesso e basta.
Seguita da un magnifico pompino. Ah, e da un’altra
magnifica scopata’. Lascio perdere i miei pensieri, mentre
Ana si allontana verso la cucina, scusandosi.

«É molto carina, Christian. Davvero molto carina» mi


sussurra Grace, facendomi l’occhiolino.

Torna lentamente a sedersi sul divano, accanto a me,


senza smettere di ammirare Anastasia. Meglio togliersi da
questa situazione imbarazzante.

«Sono d’accordo con te» le dico sorridendo.

Poi, prima che possa aggiungere altro, le chiedo come


ha fatto a rintracciarmi. Mentre si dilunga a riferirmi di
come abbia tentato di rintracciare mio fratello per avere
mie notizie, qualcosa mi distrae.

«Senti, José, non è un buon momento»

Percepisco distintamente le parole di Anastasia,


mentre lei, come se mi leggesse nel pensiero, si gira a
lanciarmi un’occhiata furtiva. “Sì, Miss Steele. Ho
sentito”. La guardo impassibile, anche se dentro di me
sono furioso. “É al telefono con quel coglione!”. Mia
madre mi costringe a tornare ad ascoltarla, così non
afferro altro della conversazione telefonica.
«...allora ho provato a richiamarlo diverse volte, ma
sembrava sparito dalla faccia della terra!»

«Era semplicemente a Portland con me, mamma» la


rassicuro su Elliot.

Nel frattempo Anastasia, leggermente stizzita, riattacca


e torna da noi. Sono incazzato nero con lei. Avrei davvero
voglia di legarla stretta, mettermela di traverso sulle
ginocchia e sculacciarla forte, senza pietà.

«…Così Elliot ha chiamato per dire che eri da queste


parti… sono due settimane che non ti vedo, tesoro»

Mi rendo a malapena conto che mia madre sembra


aver finalmente finito il suo estenuante racconto sulla
disperata ricerca di me e mio fratello maggiore.

«Ah, davvero?» mormoro.

Per quanto cerchi di riportarla su di lei, la mia


attenzione, in questo momento, è concentrata tutta su
Anastasia. E la dottoressa Grace se ne sta rendendo
perfettamente conto. Anzi, sembra esserne addirittura
contenta.

«Pensavo che potessimo pranzare insieme, ma vedo


che hai altri piani, e non voglio guastarti la giornata»

Si alza con un gran sorriso, prendendo il suo soprabito


color crema, appoggiato lì di fianco. “Sì, mamma. Ti
voglio davvero bene, ma preferisco che ora mi lasci da
solo con la mia ospite”. La imito, alzandomi, e le deposito
un rapido bacio, sinceramente affettuoso, sulla guancia
che è felice di offrirmi.

«Devo riaccompagnare Anastasia a Portland» le dico a


mo’ di giustificazione.

«Certo, tesoro. Anastasia, è stato un vero piacere.


Spero proprio di rivederti presto»

“Non contarci troppo, mamma”. Le tende la mano


entusiasta. Taylor esce dal suo ufficio e accompagna
all’ascensore Grace, che sembra camminare a mezzo
metro da terra per la felicità. Umore che condividevo
anch’io fino a tre minuti fa. Ma ora sono incazzato.
Incazzato nero. La fisso, mentre rimaniamo soli nella
stanza.

«Allora, ha chiamato il fotografo?»

«Sì» mi risponde con aria di scuse.

«Cosa voleva?»

«Solo chiedere scusa, sai… per venerdì»

Stringo gli occhi e la fisso. Sono accecato dalla rabbia.

«Capisco» le dico seccamente.

Taylor ci interrompe, rientrando nel salone.

«Mr Grey, c’è un problema con la spedizione in


Darfur»

Annuisco, seccato. “Questa spedizione si sta rivelando


più difficoltosa del previsto”.

«Charlie Tango è stato riportato a Boeing Field?»

«Sissignore»

Educatamente fa un cenno di saluto ad Anastasia.

«Miss Steele»

Lei sorride di rimando, esitante, mentre lui si congeda.

«Ma Taylor vive qui?»

«Sì» sbotto.

Le rispondo in modo brusco, lo so. Ma il fotografo e


ora il lavoro. “Cazzo!”. Prendo il Blackberry e chiamo in
ufficio.

«Ros, cos’è successo?» sbotto.

Cammino per la stanza, ascoltando la mia vice e


guardando si sottecchi Anastasia. Non posso farne a
meno. Resta immobile, accanto al divano a tormentarsi le
mani, guardandomi di nascosto. Pensa davvero che non
me ne accorga? Tuttavia Ros cattura la mia attenzione,
dilungandosi sui particolari della spedizione di
rifornimenti in Darfur.

«Non intendo mettere a rischio l’equipaggio. No,


annulla… Faremo un lancio del carico con il paracadute…
Bene»
Riattacco, seccato. Il mio sguardo si poggia su di lei,
freddo, gelido. Non riesco a togliermi dalla testa quel
cazzo di fotografo da strapazzo e quello che ha tentato di
farle. La lascio per qualche attimo da sola, nel salone,
mentre, senza fiatare, vado nello studio a prendere il
contratto. Lo infilo in una anonima busta per documenti
marrone. “Prima sarà mia, meglio sarà. Per tutti e due”.
Ci metto meno di un minuto a tornare.

«Questo è il contratto. Leggilo, ne discuteremo il


prossimo weekend. Ti consiglierei di fare qualche ricerca,
per capire di cosa si tratta»

La guardo per qualche secondo e non riesco più ad


avercela con lei.

«Mi auguro che accetti, con tutto il cuore» aggiungo


più calmo, senza riuscire a nascondere l’ansia. Ansia per
un suo possibile rifiuto.

«Ricerca?» mi chiede lei, stupita.

«Non hai idea di cosa si trovi su Internet»

Per un attimo sembra smarrita, come se si vergognasse


di qualcosa. Chino la testa di lato e la guardo incuriosito.

«Qualche problema?»

«Non ho un computer. Di solito uso quello


dell’università. Vedrò se riesco a farmi prestare quello di
Kate»

“Tutto qui, Miss Steele?”. Trattengo un piccolo sorriso.


Potrebbe offendersi magari. Le porgo la busta con il
contratto.

«Sicuramente posso… ehm, prestartene uno. Prendi le


tue cose, partiamo subito per Portland e mangeremo
qualcosa per strada. Vado a vestirmi»

«Devo fare una chiamata» mi mormora di rimando.

Aggrotto la fronte, mentre la rabbia mi acceca di


nuovo. ‘É gelosia, Grey’, mi ricorda seccamente il mio
cervello. “Ma dove cazzo sta quando ho davvero bisogno
di lui?”.

«Il fotografo?» le sibilo a denti stretti. «A me non piace


condividere, Miss Steele. Tienilo bene a mente»

La guardo freddamente, a lungo, mentre rimane muta.


Il viso attraversato da un leggero moto di stizza. É come
se mi sfidasse silenziosamente. Mi volto, accigliato, ed
esco dalla stanza, lasciandola da sola. Brucio dalla
curiosità di sapere se è lui che si sta affrettando a
richiamare. ‘Potresti sempre origliare, Grey’. Scaccio via il
pensiero prima che sia davvero tentato di metterlo in
pratica.

Venti minuti più tardi sono di nuovo da lei, in piedi


davanti alla porta, vestito di tutto punto. Mi sono rasato e
ho optato per un look molto casual rispetto al solito. La
mia giacca di pelle nera si adatta perfettamente all’auto
che ho intenzione di guidare. Prendo la mia cartella di
cuoio, contenente alcuni documenti importanti, e il mio
pc. Taylor si occuperà del resto. Dovrò fermarmi a
Portland almeno fino a giovedì, per la consegna delle
lauree. E poi devo ammettere che non mi va di starle
troppo lontano. La guardo, mentre lei fa lo stesso con me.

«Pronta?»

Annuisce poco convinta, con la fronte aggrottata. Mi


giro verso Taylor, fermo più distante.

«Allora a domani»

«Certo. Che automobile prende, signore?»

Guardo Ana per qualche secondo. “Quella che


preferisco. Come la ragazza che mi sta di fronte”.

«La R8»

«Buon viaggio, Mr Grey. Miss Steele»

Ci tiene aperta la porta mentre chiamo l’ascensore.


Approfitto del tempo che ci mette ad arrivare l’ascensore
per osservarla di sottecchi. La scopro li a tormentarsi per
chissà cosa, con la fronte aggrottata, immersa nei suoi
pensieri. “Piccola, non pensare. Firma quel maledetto
contratto e lascia pensare me. Lasciati andare”.

«C’è qualcosa che non va, Anastasia?»

Colta alla sprovvista dalla mia domanda, si afferra


d’impulso le labbra tra i denti. Con le dita le prendo il
mento, guardandola dritto negli occhi.

«Smetti di morderti il labbro, o ti scopo qui


nell’ascensore, e non mi importa se sale qualcuno»
Arrossisce violentemente, mentre mi scappa un
sorriso. Sospira e mi guarda decisa.

«Christian, ho un problema»

La guardo serio. “Ora hai davvero tutta la mia


attenzione, piccola”.

«Dimmi»

Entriamo nell’ascensore appena arrivato. Un diffuso


rossore le colora il viso.

«Ecco… Ho bisogno di parlare con Kate. Ho un sacco


di domande sul sesso, e tu sei parte in causa. Se vuoi che
io faccia tutte queste cose, come faccio a sapere…?». Esita
per qualche istante. «Il fatto è che non ho termini di
paragone»

Alzo gli occhi al cielo, esasperato. Non la smetterà mai


con questa storia. Ma se serve a farle dire di sì, che parli
pure con quella impicciona della sua amica.

«Parlale pure, se proprio devi. Ma assicurati che lei


non dica niente a Elliot»

Anche se non ci vorrà molto prima che mia madre


divulghi la notizia della scopata dell’anno e che Elliot
venga a saperlo comunque.

«Non lo farebbe mai». Risponde stizzita, quasi offesa


dalla mia insinuazione sulla sua amica. «Così come io non
direi nulla a te, se lei mi raccontasse qualcosa su Elliot»
La sua ingenuità mi sorprende sempre.

«Vedi, la differenza è che io non voglio sapere niente


della vita sessuale di mio fratello» le mormoro. «Elliot
invece è un ficcanaso. Comunque, puoi raccontarle solo
quello che abbiamo fatto finora» la avverto serio.
«Probabilmente mi strapperebbe le palle se sapesse cosa
ho intenzione di farti» aggiungo quasi senza volerlo.

É un avvertimento più a me che a lei, questo.

«D’accordo»

La sua ansia lascia il posto ad uno splendido sorriso. É


ferma di fronte a me, la desidero da impazzire. E lei mi ha
appena strappato un’altra concessione. E ora mi sorride,
come se avesse vinto una competizione. Contro di me. Le
mie labbra fremono di rabbia, di desiderio, di mille
sentimenti contrastanti.

«Prima avrò la tua sottomissione, meglio sarà, così


potremo smetterla con tutto questo» le mormoro.

«A che cosa ti riferisci?»

«Alla tua sfida nei miei confronti»

Prima che possa replicare le afferro il mento e la bacio


dolcemente sulle labbra, mentre l’ascensore raggiunge il
garage. Le prendo la mano e la porto fuori.

«Bella macchina» commenta quando il mio


telecomandino disattiva l’antifurto della mia Audi R8.
La guardo sorridendo, orgoglioso del mio bolide
sportivo.

«Lo so» le dico, con una strana eccitazione addosso.

Le apro la portiera e la lascio salire. Poi giro intorno


all’auto, con una certa dose di spavalderia, e mi accomodo
agilmente ed elegantemente al posto di guida. Il mio
atteggiamento le fa spuntare un sorriso divertito sul viso.

«Che modello è?»

«Un’Audi R8 spider. È una bella giornata, possiamo


abbassare la capote. Lì c’è un berretto da baseball. Anzi,
dovrebbero essercene due»

Le indico il vano portaoggetti, di fronte a lei.

«E un paio di occhiali da sole, se ti servono»

Giro la chiave e faccio rombare il motore della R8.


“Che meraviglia il mio gioiellino. Non delude mai.
Proprio come te, Ana”. Mi giro per depositare la cartella
di cuoio marrone nello spazio dietro i sedili. Premo il
pulsante del tettuccio, lasciandolo abbassare
completamente. Accendo lo stereo e parte I’m on fire di
Springsteen.

«Ci vuole proprio Bruce» le dico sorridendo, mentre


imbocco la rampa d’uscita dal garage e attendo che la
sbarra si alzi per lasciarci passare.

Anastasia fruga nel vano portaoggetti, mentre la luce


del sole mattutino e la piacevole aria di maggio ci
avvolgono. Tira fuori due berretti dei Seattle Mariners, la
squadra di baseball della quale io e la mia famiglia,
compresa l’impeccabile dottoressa Trevelyan, siamo
tifosi. Mi passa uno dei berretti e io lo indosso, insieme ad
un paio di Ray-Ban scuri, mentre lei fa lo stesso con il suo
berretto, calcandolo per bene sul suo splendido viso.
Partiamo a tutta velocità, con la gente che ci guarda
sfrecciare, o meglio guarda il mio bolide nero. Sono
abituato alle folle incuriosite, a differenza sua che guarda
a bocca aperta tutto quello che ci circonda. La lascio in
pace per un po’ e mi concentro su me stesso. Mi sto
rilassando. Guidare questa splendida auto mi fa scaricare
la tensione accumulata negli ultimi giorni. ‘Facciamo il
punto della situazione, Grey’. Il mio cervello non mi lascia
mai in pace, dannazione! Bene. Accontentiamo, allora.
“Ho incontrato per caso una giovane, anzi giovanissima,
brunetta. Intelligente, sexy, arguta e maledettamente
irritante. Eccitante da morire. Ho incaricato il mio
consulente per la sicurezza di compilare un dossier su di
lei, sono andato a trovarla al lavoro come un fottuto
stalker, tentando di convincerla che fossi lì per caso. Ho
combinato un servizio fotografico pur di rivederla, l’ho
invitata fuori a prendere un caffè. L’ho rifiutata, cercando
di convincermi che non la volessi. Poi le ho mandato oltre
15mila dollari di prime edizioni del suo autore preferito,
solo per chiederle scusa, e quando ha provato a chiedermi
spiegazioni mi sono ritrovato a raccoglierla mezza ubriaca
dal ciglio di una strada, in un parcheggio di Portland,
mentre un fottuto pervertito figlio di puttana stava
cercando di infilarle la lingua in bocca, con la speranza di
infilarle dentro anche l’uccello. E sono ancora incazzato
per questo. Ho dormito con lei per un’intera notte, o
meglio l’ho guardata per un’intera notte. L’ho portata nel
mio appartamento con il mio elicottero privato, dove non
è mai salita una donna prima d’ora. Le ho mostrato il mio
mondo, le mie regole, tutta la merda che mi trascino
dietro da una vita. Ho scoperto che era vergine e questo
non mi ha fermato dal mio insano desiderio di averla. E
l’ho avuta, ripetutamente. Oh, e come dimenticare quel
pompino gratificante che mi ha fatto nella vasca. E il fatto
che l’ho legata e scopata di nuovo. E poi l’ho presentata a
mia madre, mentre lei chiacchierava con quel figlio di
puttana del suo amico. E ora sono ancora qui, ad
arrovellarmi il cervello sul perché tutto questo mi fa
sentire arrabbiato, incazzato. Ma anche eccitato. E vivo
come non mai”. Sento che il controllo mi sta scivolando
dalle mani, ma la sensazione è stranamente piacevole. Le
lancio una fugace occhiata, mentre imbocco la I-5. La
voce di Springsteen ci fa ancora da colonna sonora. É
davvero bellissima con i capelli ribelli, che fuoriescono
dal berretto, e gli occhi socchiusi per il vento. Sospiro
leggermente, di nuovo eccitato. Allungo la mano destra,
poggiandola delicatamente sul suo ginocchio, dandogli
una leggera strizzata. Il suo respiro sembra fermarsi.
Forse è meglio rimandare a dopo i miei pensieri. Magari
potrei andare a trovare Elena, o chiamarla. Lei potrebbe
aiutarmi a decifrare tutto questo.

«Hai fame?» le chiedo, ansioso di pensare ad altro.

«Non tanta»

«Devi mangiare, Anastasia» brontolo piano. «Conosco


un posto fantastico vicino a Olympia. Ci fermeremo lì»

Le stringo di nuovo il ginocchio con la mano, prima di


poggiarla di nuovo sul volante. Accelero, cogliendola di
sorpresa e inchiodando entrambi allo schienale.

Il “Cuisine Sauvage” è uno dei miei posti preferiti. Un


piccolo ed intimo ristorantino all’interno di uno chalet di
legno immerso nel verde. Arredamento rustico, con i
tavoli ricoperti con tovaglie a quadretti e fiori selvatici
raccolti in piccoli vasi.

«È tanto che non vengo qui. Non c’è un menu:


cucinano quello che hanno raccolto o cacciato»

Alzo un sopracciglio, fingendo un’espressione di orrore


e Anastasia ride divertita. Una cameriera con una fluente
chioma bionda si avvicina e arrossisce, mentre ci
sediamo. Il solito effetto. Ignoro la sua reazione. La mia
attenzione è tutta per Anastasia.

«Due bicchieri di pinot grigio» ordino.

Ana mi fa una smorfia, storcendo la bocca.

«Che cosa c’è?» sbotto.

«Volevo una Diet Coke» mormora.

La guardo male, scuotendo la testa deciso.

«Qui hanno un ottimo pinot grigio. Andrà bene per


accompagnare il pranzo, qualsiasi cosa ci diano» le spiego
pazientemente.

«Qualsiasi cosa ci diano?» mi risponde sbalordita.

«Già»
Le faccio uno dei miei sorriso alla Christian, piegando
la testa di lato. Di solito lascia le donne senza fiato,
imbambolate. E incapaci di replicare ai miei ordini. Lei,
invece, mi sorride di rimando. Ed è bellissima. Come non
rimanere affascinati da lei? ‘Il tuo stesso gioco ti si ritorce
contro, Grey’.

«A mia madre sei piaciuta»

«Davvero?» chiede arrossendo, anche se sembra felice.

«Eh, sì. Ha sempre pensato che fossi gay»

La frecciatina che le lancio non le sfugge. Non ha di


certo dimenticato la sua intervista. “Eh, sì, Miss Steele.
Prendi e porta a casa”. Rimane a fissarmi a bocca aperta.

«Perché pensava che fossi gay?» sussurra con voce


flebile.

«Perché non mi ha mai visto con una ragazza»

«Ah… nemmeno con una delle quindici?»

Sorrido, ricordando la sua domanda di ieri sera.


Sembra passata già un’eternità.

«Hai una buona memoria. No, nemmeno con quelle»

«Ah»

«Sai, Anastasia, anche per me è stato un weekend di


prime volte»
Mi sorprendo della tranquillità che provo a parlare con
lei.

«Davvero?»

Sembra davvero sorpresa.

«Non avevo mai dormito con una donna, mai fatto


sesso nel mio letto, mai portato nessuna su Charlie
Tango, mai presentato nessuna a mia madre. Cosa mi stai
facendo?»

Lascio che i miei pensieri più reconditi prendano vita.


Glieli riverso addosso come un fiume di parole. Forse
spero che dopo aver causato il problema, mi offra anche
una soluzione. La cameriera ci interrompe, portando i
bicchieri di vino. Afferra il suo calice e beve un
abbondante sorso di vino.

«Io mi sono molto divertita» mormora, poi,


mordendosi il labbro inferiore. “Merda!”.

«Smettila di morderti il labbro». Sto ansimando, me ne


rendo appena conto. «Anch’io» aggiungo poi,
rassicurandola.

«Cosa si intende per sesso alla vaniglia?» chiede


all’improvviso.

Scoppio a ridere, sinceramente divertito. Non sa


proprio niente di sesso!

«Quello tradizionale Anastasia. Senza giochetti, senza


accessori strani». Mi stringo nelle spalle, senza sapere
come continuare. «Sai, no?… Bè, è ovvio che non lo sai,
comunque significa questo»

«Ah»

Riflette sulle mie parole, rimanendo per un attimo


interdetta. La cameriera bionda torna di nuovo a rompere
le palle, mettendoci davanti due zuppe. Entrambi la
guardiamo con sospetto.

«Zuppa di ortiche» ci informa, prima di tornarsene


rapidamente in cucina.

Ne assaggio un po’, senza sapere cosa aspettarmi. Non


ho mai mangiato zuppa di ortiche in vita mia. “É ottima!”.
Quando alzo gli occhi lei fa lo stesso. Piego la testa di lato,
mentre le scappa una risatina argentea, fresca e giovane
come lei.

«È un suono adorabile» dico.

Lei prende di nuovo coraggio e continua il suo


interrogatorio.

«Perché non hai mai fatto sesso alla vaniglia, prima?


Hai sempre fatto… ehm, quello che fai?» chiede, curiosa.

Annuisco lentamente, cercando di ponderare bene la


mia risposta.

«Più o meno»

Aggrotto un attimo la fronte, pensando a cosa posso


rivelarle del mio passato. E i suoi occhi azzurri non mi
lasciano scampo. La guardo deciso. Deciso ad aprirle un
piccolo spiraglio dal quale sbirciare uno scorcio della mia
vita.

«Una delle amiche di mia madre mi ha sedotto quando


avevo quindici anni»

«Oh»

“Ma che cazzo sto facendo? Come cazzo mi viene in


mente di parlarle di Elena?”. Senza rendermene conto
continuo.

«Aveva gusti molto particolari. Sono stato il suo


schiavo per sei anni» aggiungo stringendomi nelle spalle.

«Oh»

Mi guarda a bocca aperta, tramortita. “Come vedi,


Anastasia, il giovane milionario sicuro di sé che ti sta
davanti una volta si trovava nella tua identica situazione”.

«Quindi so cosa si prova, Anastasia»

La guardo con comprensione, mentre lei rimane muta.


É comprensibilmente scioccata dalla mia ammissione.

«In realtà, non ho avuto un’introduzione molto


normale al sesso»

Ora ho acceso la sua curiosità. Lo vedo da come si


raddrizza sulla sedia, nuovamente interessata a quello che
le dico.
«Quindi al college non sei mai uscito con nessuna?»

«No»

Scuoto la testa, con decisione. La cameriera torna a


riprendere i piatti vuoti, lasciando il nostro discorso in
sospeso.

«Perché?» torna a chiedermi Ana quando siamo di


nuovo soli.

Le faccio un ghigno beffardo.

«Sei certa di volerlo sapere?»

«Sì»

“Ce la puoi fare, Christian”.

«Non ne avevo voglia. Lei era tutto ciò che volevo, e di


cui avevo bisogno. Senza contare che mi avrebbe
ammazzato di botte»

Sorrido al ricordo di quegli anni passati alla mercé di


Elena. “Sì, lei mi dava tutto quello di cui avevo bisogno
all’epoca. Nessun’altra mi ha mai dato tanto”. É la prima
volta che parlo di questo ad alta voce con qualcuno che
non sia Flynn. Faccio un respiro un po’ più profondo. ‘Ma
nessuna ti ha mai dato quello che ti ha dato la dolce Miss
Steele, Grey. Neppure Elena’.

«Se era un’amica di tua madre, quanti anni aveva?»


Interrompe bruscamente il flusso dei mie pensieri.

«Abbastanza da saperci molto fare» le rispondo


compiaciuto e in un certo senso divertito.

«La vedi ancora?»

«Sì»

«Ma ci fai ancora… ehm…?»

Arrossisce, senza riuscire a completare la domanda.

«No». Scuoto la testa sorridendole. «Siamo buoni


amici» le spiego.

«Ah. E tua madre lo sa?»

“Ma come cazzo le viene in mente una cosa del genere?


E perché continua ad insistere su questo punto?”. La
guardo sbalordito.

«Certo che no»

Ci interrompiamo mentre ci viene servita della carne di


cervo. Anastasia ne approfitta per bere un altro sorso di
vino. “So che cerca di farsi coraggio. Cos’altro avrà in
mente di chiedermi, ora?”. Aggrotta la fronte con quel
modo delizioso che ha di fare, cercando di assorbire il
carico di notizie che le ho appena consegnato. Ma non
sembra soddisfatta.

«Ma non sarà stato a tempo pieno?»


Miss Steele torna all’attacco.

«In realtà, sì, anche se non la vedevo tutto il giorno.


Era… complicato. Dopotutto, andavo ancora a scuola, e
poi al college. Mangia, Anastasia»

Cerco di sviarla dai suoi pensieri. Forse avrei fatto


meglio a tacere.

«Davvero, Christian, non ho fame»

La guardo in modo severo. Non sono ancora abituato


al fatto che una donna mi chiami per nome. E che
disobbedisca a un ordine.

«Mangia» le ripeto tranquillo, ma deciso.

«Dammi un attimo» mormora.

Alzo gli occhi, sorpreso. Non sono abituato ad avere


Sottomesse che mi chiedono tempo, attimi e tutto il resto.
‘Non ha ancora firmato, Grey. Per il momento è una
ragazzina confusa che ti sei scopato’.

«Va bene» le concedo, senza però darle l’opportunità


di farmi altre domande.

Mi concentro sul cibo che ho nel piatto. Dopo qualche


attimo, sento le sue posate fare rumore. Taglia un piccolo
boccone di carne di cervo e lo assaggia. La osservo
accuratamente. So che sta ancora rimuginando su tutto
quello che le ho detto.

«Sarà così la nostra… ehm, relazione?» sussurra. «Tu


che mi comandi?»

Non mi guarda negli occhi, ma continua a tagliare la


carne.

«Sì»

«Capisco»

«E c’è di più: sarai tu a volerlo» aggiungo a bassa voce.

Sul viso le si dipinge un’espressione fortemente


dubbiosa.

«È un passo importante» mormora poi, mettendo in


bocca un altro piccolo pezzo di carne.

«Sì»

Chiudo gli occhi, staccandomi per un momento dalla


visione dello splendido angelo dai capelli castani che mi
siede di fronte. “Così non va. Ho bisogno che decida in
fretta. Nessuno mi ha mai tenuto in sospeso”. Quando
torno a guardarla sono serio.

«Anastasia, devi seguire l’istinto. Leggi il contratto, fai


le ricerche… Sarò felice di discutere con te ogni dettaglio.
Resterò a Portland fino a venerdì, se desidererai parlarne
prima»

So che le sto mettendo davanti troppe cose, ma devo


farlo. Voglio che sia mia. Lo voglio più di quanto avrei
mai potuto immaginare. Mi viene in mente che potrei
invitarla a cena. Potremmo chiacchierare mentre
sorseggiamo dell’ottimo vino. Diventa più audace con il
vino. E più sincera. ‘E meno lucida’, aggiunge il mio
cervello ingrato.

«Chiamami… Magari possiamo uscire a cena, diciamo,


mercoledì? Voglio davvero che tra noi funzioni. A dir la
verità, non ho mai voluto niente così tanto»

Non so perché, ma non riesco a non essere sincero


davanti a quegli occhioni azzurri che mi guardano con
ammirazione e paura. E i miei la scrutano con evidente
desiderio, invece, bramando nuovamente il suo corpo e le
sue dolci labbra.

«Perché è finita con la numero quindici?» chiede


d’impulso.

La guardo sorpreso, scuotendo la testa e sospirando


rassegnato. “Non ti riesce proprio di frenare la lingua,
Miss Steele”.

«Per varie ragioni, ma in definitiva era solo una


questione di…»

Mi fermo senza sapere bene quale termine usare per


descrivere il fatto che Susannah, la mia ultima
Sottomessa, non brillasse certo per intelligenza e
discrezione.

«…incompatibilità» concludo, stringendomi nelle


spalle.

«E pensi che noi due saremo compatibili?»


«Sì»

“Perché io lo voglio. E non sai quanto”

«Quindi non vedi più nessuna di loro?»

«No, Anastasia. Sono un tipo monogamo»

Sembra sorpresa da quest’ultima affermazione.

«Capisco»

«Fai le tue ricerche, Anastasia» le dico semplicemente.

Capirà molto di più del mio mondo se si documenta.


Sospira profondamente, posando forchetta e coltello sul
tavolo, accanto al piatto ancora pieno per metà.

«Tutto qui? Non intendi mangiare altro?»

Annuisce. La sua espressione è triste, confusa. Le


faccio il broncio, ma preferisco non rimproverarla o
obbligarla a mangiare. Dal canto mio ho una fame
tremenda. Mi fiondo sul cibo contenuto nel mio piatto,
mangiando con gusto. Anastasia mi osserva, perdendosi
in chissà quale fantasia. Quando si accorge dei miei occhi
su di lei, arrossisce violentemente, rivelandomi
implicitamente la natura dei suoi pensieri.

«Darei qualsiasi cosa per sapere a cosa stai pensando


in questo momento» mormoro.

Diventa ancora più rossa, se possibile. Le sorrido in


modo perverso.
«Posso indovinare» le dico maliziosamente.

«Sono contenta che tu non possa leggere nel pensiero»

«Nel pensiero, no, Anastasia, ma nel tuo corpo, sì…


Ieri ho imparato a conoscerlo piuttosto bene»

Sono eccitato di nuovo, soprattutto dopo aver scoperto


che fantastica su di me. Mi vuole. E io voglio lei. Ma
adesso è arrivato il momento di andare. Faccio un cenno
alla cameriera e chiedo il conto.

«Vieni» le dico alzandomi, dopo aver pagato.

Le prendo la mano e ci dirigiamo verso la macchina. Il


viaggio sino a Vancouver continua silenzioso, interrotto
solo dalla musica che fuoriesce dagli altoparlanti. Ripenso
a tutto quello che le ho detto di me oggi. Voglio che si fidi
di me. Completamente. Non mi va di perderla. Non posso
perderla. Quando arriviamo davanti casa sua, parcheggio.
Noto con disappunto che le luci sono accese. “Oh, Miss
Ficcanaso Kavanagh dev’essere in casa”. Meglio andar via
subito. Spengo il motore e mi giro a guardarla.

«Ti va di entrare?» mi chiede piano.

«No, ho del lavoro da fare»

Abbassa lo sguardo mortificata e dispiaciuta. “No, Miss


Steele. Abbiamo bisogno di prendere le distanze l’uno
dall’altra”. Le prendo la mano sinistra e la porto
lentamente alla bocca, baciandole piano il dorso.
«Grazie per questo weekend, Anastasia. È stato…
fantastico. A mercoledì? Ti vengo a prendere al lavoro, o
dove preferisci» le dico dolcemente.

Dio solo sa quanto non vorrei dovermi separare da lei


ora.

«A mercoledì» mormora lei, sommessamente.

Le bacio di nuovo la mano e poi, con delicatezza


estrema, come se fosse di cristallo, gliela poggio
nuovamente in grembo. Esco dall’auto e vado ad aprirle la
portiera. Ha lo sguardo basso, spento, malinconico. Come
mi sento io dentro al solo pensiero di lasciarla. Ma
dobbiamo. Quando scende dall’auto sembra più risoluta.
Mi sorride e si allontana, dirigendosi verso la porta. A
metà strada ferma la sua andatura incerta e dubbiosa e si
gira a guardarmi. La fisso curioso. Alza la testa, con
divertita decisione.

«Ah… per la cronaca, indosso i tuoi boxer»

Con un sorrisetto compiaciuto, solleva l’elastico delle


mie mutande dai suoi pantaloni. Rimango a bocca aperta,
sconvolto dalla sua audacia. Si gira sui tacchi ed entra in
casa più disinvolta e sicura di sé. Scuoto la testa divertito
ed ammaliato da quella splendida creatura che è
Anastasia Steele. Metto in moto e mi dirigo verso
Portland. Ho bisogno di mettere un po’ di ordine nella
mia vita ora e di ripensare con calma alle ultime due
settimane. E credo di sapere a chi rivolgermi per questo.
Capitolo 11
Faccio ingresso nella mia camera all’Heathman. La
stessa suite in cui ho passato la notte con Anastasia. Mi
sembra quasi di sentire ancora il suo odore. Ma forse è
solo che me lo porto addosso dopo esserle stato così
vicino. Ho lasciato quella ragazzina impertinente circa
otto chilometri fa, nel suo appartamento. E già mi manca.
Estraggo il BlackBerry dalla tasca dei pantaloni e
compongo il numero del mio consulente informatico.

«Barney. Grey. Ho bisogno di un nuovo account


informatico. Ti invio tutti i dettagli tra cinque minuti»

«Certo, Mr Grey»

Chiudo la telefonata ed entro nello studio. Poggio il


mio portatile sulla scrivania, avviandolo, e la cartella di
cuoio lì affianco. Dieci minuti più tardi Miss Anastasia
Rose Steele possiede il suo nuovo account personale.
“Bene. Almeno non è qui a dirmi che non può accettare
neppure un fottuto indirizzo mail”. Sorrido tra me e me,
tra l’ironico e il soddisfatto. Ordino la cena in camera e ne
approfitto per fare una bella doccia rinfrancante. L’acqua
lenisce piano le mie ferite, che per una volta sono di altro
genere. É come se avessi passato gli ultimi due giorni in
una realtà parallela, completamente estraniato dal mondo
e dalla mia vita precedente. Nessun incubo con lei
accanto. Nessuna puttana drogata morta o lurido porco
ubriaco che mi scova negli angoli più bui di una
catapecchia fatiscente per riempirmi di calci. Niente di
niente. É come se avessi preso una pillola magica e avessi
resettato tutto. É bastata lei. E ora ho quasi paura a
rimanere da solo. Riluttante, esco dalla doccia e mi
avvolgo un asciugamani attorno alla vita. Prendo il
BlackBerry sul comodino accanto al letto e chiamo
Taylor.

«Ho bisogno che ti occupi di un’altra consegna per


Miss Steele»

«Certo, Mr Grey. Dica pure »

Snocciolo a Taylor tutti i dettagli del nuovo portatile


che ho intenzione di regalare ad Anastasia. Un MacBook
Pro, sistema operativo avanzato, tutti i programmi di base
installati, hard disk di 1,5 terabyte e 32 giga di RAM. Il
meglio del meglio. Un gioiellino a malapena messo in
commercio.

«Ti mando una mail con i dettagli dell’account


personale e l’indirizzo dell’appartamento di Anastasia. In
consegna domattina presto»

«Certo, Mr Grey»

Chiudo la conversazione e inoltro a Taylor l’mail


inviatami poco fa dal mio consulente informatico. Poi,
mezzo nudo come sono, vado nell’altra stanza ad
occuparmi della mia cena.

Quando guardo l’orologio di nuovo, è tardi. Ma voglio


inaugurare la sua casella di posta elettronica. Le scrivo
velocemente una mail dal mio Blackberry.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 22 maggio 2011 23.15
Oggetto: Il tuo nuovo computer

Cara Miss Steele,

spero che tu abbia dormito bene. Mi auguro che farai buon uso di
questo computer, come d’accordo. Aspetto con ansia la nostra cena di
mercoledì. Sarò lieto di rispondere a qualsiasi tua domanda anche
prima, via mail, se lo desideri.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Sorrido mentre mi infilo il pigiama e mi metto a letto.


Devo davvero ricordarmi di prendere appuntamento con
il mio strizzacervelli. Flynn sarà lieto di avere qualcosa di
nuovo su cui discutere approfonditamente. Anche se
continuerà a darci dentro con le sue stronzate orientate
alla soluzione. Prima, comunque, voglio vedere Elena e
sapere la sua opinione su tutto questo. In fondo lei se ne
intende di più di Sottomesse e relazioni sessuali. Sospiro
un po’ amaro, aggrottando la fronte. Da quando ho
iniziato questa vita non ho mai avuto problemi di questo
genere. Ho avuto a che fare sempre e solo con sottomesse
convinte e coscienti di quello che volevo da loro. Ripenso
al contratto che ho dato ad Anastasia. Già la immagino
tutta concentrata a sputare sentenze impudenti sui vari
punti, arrossendo di tanto in tanto e lanciando qualche
gemito di sorpresa qua e là. Mi scappa una risatina al solo
pensiero di lei, così giovane e inesperta, che tenta di dare
un senso al mio essere in questo modo. Mentalmente
ripercorro il documento. Lo conosco a memoria, ormai. É
molto simile a quello che ho ricevuto io stesso, qualche
anno fa, da Elena. Certo, rispetto a quello è stato
cambiato, modificato in base alle mie esigenze, ma il
succo non cambia.

“Lo scopo fondamentale di questo contratto è consentire alla


Sottomessa di esplorare in sicurezza la propria sensualità e i propri
limiti, con il dovuto rispetto e la dovuta considerazione per i suoi
bisogni e il suo benessere”.

É proprio quello che ho fatto lo scorso sabato.


Permetterle di scoprire la propria sensualità e i propri
limiti, rispettandola, venerandola e dandole quello di cui
aveva bisogno. Ma è un altro il modo in cui intendo
esplorare la sua sensualità da oggi in poi. Chiudo
brevemente gli occhi, rivedendola sotto di me, mentre
urla il mio nome percorsa dagli spasmi. Ho intenzione di
darle molto di più. E da domenica potremmo iniziare a
giocare sul serio. ‘Se per miracolo firmasse il tuo
contratto, Grey’. Il pensiero che lei possa rifiutare la mia
offerta è doloroso, francamente. E non mi sono mai
trovato, in tutta la mia vita, a fronteggiare un’emozione
simile. Ma sono quasi certo che lei voglia scoprire tutto
quello che posso ancora darle. Lo percepisco da come si
muove accanto a me, da come cerca il mio corpo, da come
lo accarezza con gli occhi. Sono certo che tutto quello che
ha scoperto fino ad ora le sia piaciuto.
“E hai ancora tanto da scoprire su questo argomento,
Miss Steele”.

“Il Dominatore e la Sottomessa convengono e concordano che tutto


ciò che avverrà nei termini di questo contratto sarà consensuale,
confidenziale e soggetto ai limiti concordati e alle procedure di
sicurezza in esso stabilite. Limiti e procedure di sicurezza aggiuntivi
possono essere concordati per iscritto”.

Bè, non credo che avrà da ridire sulla propria


sicurezza. Anzi, immagino che mi tormenterà di domande
in merito. Ho notato che tende a farsi sopraffare dalla
paura di ciò che non conosce. Ma credo sia normale
considerata la sua inesperienza. Ricordo quando anch’io
ero un giovane ragazzino inesperto. La prima volta che
Elena mi portò nella sua camera da letto, gli strumenti
che possedeva, rinchiusi tutti in un enorme baule. Anch’io
avevo paura. Ma volevo Elena. Lei era così bella, così
ammaliatrice. E io avevo un disperato bisogno di liberare
i miei ormoni impazziti. Non potevo tollerare nessun tipo
di contatto fisico. Scopare con qualcuna era totalmente
fuori questione. Sapevo che non avrei potuto reggere alla
pressione ed al dolore. Ma lei mi stava offrendo tutto
quello che volevo. E, arrivato a quel punto, io avrei
sopportato angherie su angherie pur di scoparmela.
Tanto, comunque, nessun dolore avrebbe potuto superare
quello già provato. Era l’unico modo in cui potevo
tollerare di essere toccato. E lei stranamente lo sapeva.
Aveva capito tutto. Probabilmente la stessa Grace le aveva
rivelato il mio passato e le mie fobie. Elena aveva
semplicemente iniziato a sfruttare questa informazione a
suo vantaggio. E per il mio piacere.

Richiudo gli occhi al ricordo della prima volta in cui


usò la cinghia su di me. Era così carnale, così necessario.
Dovevo subire tutto quello, per arrivare ad avere la mia
ricompensa. Elena mi puniva perché meritavo di essere
punito. Perché non ero nient’altro che un reietto. Non ero
all’altezza della mia famiglia. Non ero perfetto come
Grace, Carrick ed Elliot. E la piccola Mia, così pura e
bisognosa di affetto. Prima o poi si sarebbero accorti tutti
del marciume che mi portavo dentro. E mi avrebbero
cacciato via. Avrebbero smesso di desiderarmi e
considerarmi loro figlio e parte della loro famiglia. In
fondo, non era per questo che quel lurido porco del
magnaccia di Ella mi picchiava selvaggiamente e di
continuo? Perché non ero desiderato. Non era per questo,
forse, che si divertiva a spegnermi addosso il fuoco delle
sue sigarette, mentre mi contorcevo e urlavo di dolore,
implorando mia madre di prendersi cura di suo figlio per
una volta. Di amarlo per una sola volta. Il tempo
necessario a farlo smettere, ad impedirmi di provare così
tanto dolore. Ma io non ero nessuno. E nessuno mi
voleva. Solo Elena. Nonostante il mio bagaglio. E sapeva
in che modo darmi quello di cui avevo bisogno. Sapeva
cosa era meglio per me. Sempre. Ma dovevo meritarmelo
quel meglio.

Riapro gli occhi, aggrottando la fronte. “Ho lo stesso


diritto su Anastasia? É davvero questo che è meglio per
lei?”.

“Sia il Dominatore sia la Sottomessa garantiscono di non soffrire di


malattie sessuali, gravi, infettive o letali, tra cui HIV, herpes ed
epatite. Se nel corso della durata del contratto o di qualsivoglia sua
estensione, a una delle due parti dovesse essere diagnosticata una di
tali malattie, questa è tenuta a informare l’altra immediatamente, e in
ogni caso prima di qualsiasi forma di contatto fisico tra le parti”.

Non dovrebbe avere da ridire nemmeno su questo.


Oltretutto, essendo io il suo unico partner sessuale il
rischio di malattie gravi trasmissibili è drasticamente
ridotto. Bene, questo è un vantaggio anche per me. I
problemi potrebbero arrivare andando avanti nel
contratto, suppongo. A partire dalla definizione dei ruoli.

“Il Dominatore si assumerà la responsabilità del benessere e del


corretto addestramento, guida e disciplina della Sottomessa.
Deciderà la natura di tali addestramento, guida e disciplina e il
tempo e il luogo in cui verranno dispensati, nel rispetto dei termini,
limiti e procedure di sicurezza definiti in questo contratto o
concordati a posteriori”.

Sui tempi sono stato già chiaro. Ci vedremo nei fine


settimana, così potrò concentrarmi sul mio lavoro negli
altri giorni. Anche perché averla accanto è una
distrazione continua. Per quanto riguarda il suo
addestramento, credo di aver iniziato piuttosto bene e di
essere a buon punto.
La mia mente ritorna al nostro incontro ravvicinato di
stamattina. Il solo pensiero della sua bocca sul mio cazzo
mi lascia senza fiato. Non avrei mai creduto di riuscire a
provare simili sensazioni. Mai nessuna nella mia vita mi
ha fatto godere come oggi Anastasia. Nemmeno Elena,
per quanto sia strano ammetterlo. É stato così
inaspettato, desiderato. Fuori dal normale. E vedere il suo
sguardo voglioso, il suo atteggiamento da piccola
ragazzina impertinente… mi manda fuori di testa. Anche
ora. Sento il mio uccello pulsare violentemente e tendersi
sotto la morbida stoffa dei pantaloni del pigiama. Odio
sentirmi così. Non mi sono mai sentito così. Prima di
conoscerla avevo tutto sotto controllo, anche le mie
esigenze fisiche. Ma da quando è entrata nella mia vita è
tutto un caos indefinito.

‘Christian Grey. Un uomo, un’erezione’.

“Oh, vaffanculo, cervello del cazzo!”.

“Se il Dominatore dovesse mancare di rispettare i termini, limiti e


procedure di sicurezza definiti in questo contratto o concordati a
posteriori, la Sottomessa avrà il diritto di rescindere il contratto
seduta stante e lasciare il servizio del Dominatore senza preavviso”.
Questo non è mai accaduto fino ad ora e non accadrà di
certo con lei. Sono sempre io a rescindere i contratti. Di
qualsiasi genere essi siano. E, oltretutto, l’ultima cosa che
voglio è che Ana decida di andarsene. Ho quasi paura ad
ammetterlo, ma al momento credo di non volere
rescindere assolutamente nulla.
‘Il tuo ultimo contratto, Grey? E poi che farai? Le
chiederai di sposarti e diventerai un marito perfetto, che
si occupa della spesa e dei figli?’. Aggrotto la fronte,
disgustato al pensiero. Il mio cervello è irritante, ma ha
ragione. Cosa mi sto mettendo in testa? Devo stare ben
attento a definire i ruoli sin da subito. Conosco bene il
rischio di un coinvolgimento da parte di una Sottomessa.
Ti rovina tutto il piacere. E sei costretto a mollarla. É già
successo in passato. L’ultima a mettermi nei casini in
questo modo è stata Leila. Per fortuna ha quasi subito
trovato quello che voleva dopo essersene andata da me.
Un marito che si prendesse cura di lei. Il giorno in cui è
andata via dal mio appartamento aveva uno sguardo
triste, strano. Io ho dato disposizione a Taylor che avesse
tutto quello di cui poteva aver bisogno e mi sono
semplicemente girato dall’altro lato. Non sopportavo
quello sguardo implorante pietà. Io non sono un uomo da
amare. Non sono capace di provare amore. Con Anastasia
dovrò stare attento il doppio. Non è una Sottomessa, non
sa niente di tutto questo. Il rischio che possa provare
qualcosa di più è già dietro l’angolo. E io non voglio in
nessun modo farla soffrire. Tuttavia, non riesco a
spiegarmi perché, in fondo, il pensiero che lei possa
provare di più non mi risulta poi così sgradito. Anzi.
Pensare che lei possa volere me soltanto, per sempre, per
tutta la vita, mi calma, mi appaga e mi eccita al tempo
stesso.
Mi passo una mano nei capelli, sospirando. Sono
fottutamente eccitato in questo momento. Se fosse qui le
salterei addosso e la scoperei di santa ragione fino a
domattina.

“La Sottomessa è tenuta a servire e obbedire al Dominatore in tutto.


In base ai termini, limiti e procedure di sicurezza definiti in questo
contratto o concordati a posteriori, offrirà al Dominatore senza
domande o esitazioni qualunque piacere da lui richiesto, e accetterà
senza domande o esitazioni l’addestramento, la guida e la disciplina
in qualunque forma essi si presentino”.

Suppongo che su questo punto avrà da dire e da ridire.


Il fatto è che non riesce assolutamente ad obbedire a
quello che le si dice senza domande o esitazioni. Le riesce
difficile accettare di volere compiacermi, anche se è
quello che vuole. E lo sappiamo entrambi. Ma no. Lei ha
sempre da chiedere, precisare, curiosare nella mia vita e
spingermi a farle confidenze inopportune. ‘Lei non ti ha
spinto a niente, Grey. Hai parlato di tua spontanea
volontà’.

Sbuffo, ripensando a quello che le ho detto. Confidarmi


con lei, oggi, mi ha fatto sentire strano. Le ho raccontato
di Elena solo perché volevo che capisse che so benissimo
come ci si sente a stare dall’altro lato. E io ricordo bene il
giorno in cui tutto questo è iniziato. Ero un ragazzino di
15 anni, difficile, irascibile e perennemente incazzato. E
lei era dannatamente sexy con quell’abito nero e i suoi
meravigliosi capelli biondi. Lavoravo a casa sua tutto il
giorno, per poter raggranellare qualche soldo da spendere
in alcolici, nella speranza di lenire in qualche modo il mio
malessere. Quando, quel pomeriggio di giugno, mi ha
diede quello schiaffo e poi, subito dopo, quel bacio, provai
qualcosa di indescrivibile. Finalmente mi stavo liberando
di un peso. Finalmente i miei ormoni impazziti da anni,
davano libero sfogo ai loro desideri repressi. Era il mio
primo bacio, il primo contatto con un essere umano
femminile che non fosse Grace o Mia. O la puttana
drogata. E quando tutta quella storia è iniziata sul serio,
sapevo di meritare le frustate, i ceffoni. Desideravo essere
punito e compiacere quella donna grande, bella e sexy.
Sapevo di meritare di essere sodomizzato da lei,
trascinato in giro come un cane, costretto a subire ogni
cosa le venisse in mente e a soddisfare ognuno dei suoi
capricci sessuali. Dovevo espiare la mia colpa, prima di
essere pronto a far espiare ad altre le colpe di mia madre.
Era l’unico modo per avere quello che volevo. E tutto quel
controllo mi affascinava. Elena era perfetta, in tutto.
Bramavo segretamente di riuscire, un giorno, ad essere
perfetto come lei. Capace di avere tutto quel controllo su
me stesso e su un’altra persona. Proprio come lei faceva
con me. Forse era questo che più di ogni cosa mi
affascinava di lei. La sua sicurezza. La guardavo e
desideravo essere come lei. Freddo, calmo, sicuro di me
di fronte ad ogni cosa. Di fronte al dolore soprattutto.
Riuscire a domare la mia rabbia. Ma l’unico modo era
lasciarle fare di me quello che voleva, lasciare che mi
conducesse dove dovevo essere condotto.

Sospiro pesantemente. Flynn, come al solito, non


sarebbe affatto d’accordo su questo punto. Spesso
abbiamo discusso in modo acceso di questa cosa. Mi
chiedo vagamente se tornerà mai dalle sue fottute
vacanze.

“La Sottomessa si renderà disponibile al Dominatore da venerdì sera


fino a domenica pomeriggio, ogni settimana per tutta la durata del
contratto, alle ore che saranno specificate dal Dominatore. Eventuali
ore aggiuntive potranno essere concordate di volta in volta”.

“Già. Probabilmente avrò bisogno di qualche ora


aggiuntiva”. Il pensiero mi fa sorridere lascivamente. Non
è mai capitato con le precedenti Sottomesse. Per me la
definizione di ruoli e regole è fondamentale in ogni
rapporto. Ma con Anastasia tutto questo rischia di andare
a puttane, a causa della sua inesperienza e di quanto
questa sia fottutamente eccitante. E poi… non posso
mentire a me stesso. Ho perennemente voglia di
scoparmela. E non so se riuscirò ad accontentarmi del
solo weekend avendola praticamente a due passi da casa
mia. La voglio, la desidero più di ogni altra cosa al
mondo. Vorrei poterla avere a mia disposizione ad ogni
ora del giorno e della notte. Sempre pronta, sempre così
bagnata e vogliosa di accogliermi dentro di lei. Vorrei
ammirare il suo bellissimo candido corpo per giorni.
Guardarla ridere, arrossire, dormire, mettere il broncio. É
così bella. Il mio uccello svetta decisamente all’insù. “Oh,
Miss Steele. Se solo fossi qui ora”.
Vorrei mettermela a cavalcioni e affondarle dentro in
modo lento e delizioso. Dedicarmi con le mani e la bocca
a quel suo bellissimo seno. Farla contorcere, gemere di
piacere con la bocca spalancata e gli occhi fissi nei miei.
Guardarla perdere il controllo e godere, mentre
lentamente assaporo la sensazione di perdermi dentro di
lei. Dentro quello stretto lago di piacere che è il suo sesso.
Sentire il mio nome tra le sue labbra, pronunciato come
una supplica, una preghiera. É strano quanto mi piaccia
sentire quel suono articolato a stento, tra un gemito e
l’altro. Nessuna ha mai azzardato tanto. Non ho mai
permesso a nessuna di osare con me. Ho bisogno dei miei
limiti e lei, quasi senza che io me ne accorgessi, ne ha già
superati parecchi. E la realizzazione di questo mi
sconvolge. “Cosa diavolo mi prende?”.

“Il Dominatore si riserva il diritto di congedare la Sottomessa in


qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. La Sottomessa ha facoltà
di chiedere di essere congedata in qualsiasi momento, ma la sua
richiesta sarà esaudita a discrezione del Dominatore, in
considerazione dei diritti della Sottomessa”.

Non potrei mai chiederle di andare via. D’altro canto


lei potrebbe stancarsi di me, non volere quello che le offro
e scappare. Non glielo potrei mai permettere. ‘Il tuo
contratto non è legalmente vincolante, Grey’, mi ricorda
gentilmente il mio cervello. Ed è vero. Non ho il potere di
trattenerla. Né io, né il mio stupido pezzo di carta.

“La Sottomessa si renderà disponibile durante gli Orari Stabiliti e


negli orari aggiuntivi concordati in luoghi decisi dal Dominatore. Il
Dominatore si assicurerà di coprire tutte le spese di viaggio sostenute
a tal fine dalla Sottomessa. Le seguenti forniture di servizi sono state
discusse e concordate e saranno rispettate da entrambe le parti nel
corso della Durata del contratto. Entrambe le parti accettano che
possano sorgere questioni non coperte dai termini di questo
contratto o dalle forniture di servizi, o che certe questioni possano
essere rinegoziate. In tal caso, potranno essere proposte ulteriori
clausole in forma di emendamento. Qualsiasi clausola o
emendamento aggiuntivo dovrà essere concordato, documentato e
sottoscritto da entrambe le parti e sarà soggetto ai termini
fondamentali definiti”.

Di solito le mie Sottomesse non fanno storie su questo.


‘Le tue Sottomesse non parlano, Grey. Non fanno storie
su nulla’. Sospiro irritato. Sento già il mio prezioso
controllo fuggire via. So già che dovrò esasperarmi e
faticare per farle accettare che voglio prendermi cura e
provvedere a lei in ogni modo. So che sarà sfiancante. Ed
ho il vago presentimento che noi due avremo molte
questioni da rinegoziare. Mi sfugge un sorriso al solo
pensiero della dolce e impertinente Miss Steele, che
scuote la testa scioccata e contrariata alla lettura delle
mie regole e spara “Oh” di meraviglia a destra e sinistra.
Mi tiro su a sedere, appoggiando la schiena alla testiera
del letto. Non so come farò ad affrontare questi due giorni
senza vederla. Ho bisogno di lei. Magari… magari posso
andare a trovarla prima di mercoledì. ‘Cosa è successo al
dobbiamo prendere le distanza l’uno dall’altra, Grey??’.
“Già, non lo so. Forse dovresti chiederlo al mio uccello
ancora duro cosa è successo”.

“Il Dominatore considererà in qualsiasi momento sua priorità la


salute e la sicurezza della Sottomessa. Il Dominatore non dovrà in
nessun caso richiedere, esigere o consentire alla Sottomessa di
partecipare, per mano del Dominatore, alle attività definite come
Limiti assoluti o a qualsiasi azione considerata rischiosa da una delle
due parti. Il Dominatore non intraprenderà né consentirà che siano
intraprese azioni che possano causare danni gravi o mettere in
pericolo la vita della Sottomessa”.

Il fatto di non potermi toccare non le andrà giù tanto


facilmente. So che lo vuole, che lo desidera. E dentro di
me so che vorrei che lo facesse. Ma non posso. É un limite
assoluto per me. Anzi molto più di un limite assoluto. La
violenza è l’unica cosa che mi abbia mai toccato. Ho
ancora un nitido ricordo della mia infanzia. Purtroppo. E
mi tocca rivivere nei miei sogni tutte le atrocità che ho
vissuto sulla mia pelle. Letteralmente. Tutto quel
lancinante dolore della mia pelle che brucia. Del mio
copro che viene percosso, spossato, ricoperto di lividi. Io
lo ricordo. Ricordo tutto. E ora è troppo tardi per aprirmi
a qualcuno.
Sospiro pesantemente, cercando di allontanare da me
tutti quei pensieri sgradevoli. Sono davvero curioso,
comunque, di conoscere i suoi di limiti, assoluti e relativi.
Se potesse sono certo inserirebbe qualsiasi cosa che si
discosti un po’ dalla vaniglia in quel cazzo di contratto.

“Il Dominatore accetta la Sottomessa come sua e potrà possederla,


controllarla, dominarla e disciplinarla per tutta la Durata del
contratto. Il Dominatore ha facoltà di usare il corpo della Sottomessa
in qualsiasi momento durante gli Orari Stabiliti o gli orari aggiuntivi
concordati, in qualunque modo riterrà opportuno, a scopi sessuali e
non”.

Questo è il punto cruciale. Ho paura che non accetterà


mai di essere definita mia. Il concetto di possesso non le è
ancora chiaro del tutto. Tende a fare di testa sua in tutte
le cose. Temo sarà un’ardua sfida convincerla a lasciarsi
possedere da me. Almeno per quanto riguarda il senso
inteso da questo contratto. Perché, ad essere sincero, fino
ad ora non mi è sembrata molto contrariata al fatto di
lasciarsi possedere da me in senso biblico. In camera da
letto o nelle vasche da bagno per quel che vale.
Un sorriso sbilenco si affaccia sul mio viso. “Oh, Miss
Steele, cosa non ti farei”.

“Il Dominatore dovrà fornire alla Sottomessa l’addestramento e la


guida necessari al fine di servire il Dominatore nel modo
appropriato”.

Su questo sono un vero maestro. Sorrido


maliziosamente. Plasmare Anastasia, farla diventare una
buona Sottomessa, sarà una sfida che intendo onorare
fino alla fine.

“Il Dominatore manterrà un ambiente stabile e sicuro in cui la


Sottomessa possa adempiere ai suoi doveri al servizio del
Dominatore”.

Farei di tutto per tenerla al sicuro. Mi rendo conto solo


ora di quanto sia preziosa per me, nonostante la conosca
da tre cazzo di secondi. É giovane, indifesa, inesperta.
Tende a cacciarsi nei guai di continuo e non ha il minimo
riguardo per la sua incolumità. Ha bisogno di qualcuno
che si prenda cura di lei. Ha bisogno di me. Io voglio che
ne abbia bisogno, che non voglia nessun altro al di fuori
di me. “E se firmerà questo fottuto contratto, tutto sarà
notevolmente più semplice”.

“Il Dominatore può punire la Sottomessa quando necessario ad


assicurare che la Sottomessa comprenda appieno il proprio ruolo di
subordinazione al Dominatore e a scoraggiare condotte inaccettabili.
Il Dominatore può frustare, sculacciare, fustigare o infliggere altre
punizioni corporali alla Sottomessa, a scopo di disciplina, per il
proprio godimento personale o per qualsiasi altra ragione, che non è
tenuto a esplicitare”.

“Questo sarà un vero piacere per me, Miss Steele”.


Sorrido tra me e me pensando a tutto quello che potrò
farle. Che vorrò farle. Il pensiero di Anastasia riversa sulle
mie ginocchia, mentre la sculaccio forte, percuotendo la
sue pelle candida e arrossandola a dovere, mi tormenta
da quando l’ho conosciuta. Ma non mi fermerò a questo.
La frusterò, la legherò stretta, in modo che non possa
muoversi e la scoperò fino a farle urlare il mio nome a
gran voce. Sarà per la sua disciplina. E per il mio
godimento personale. E per altre ragioni che non le
spiegherò. Ricordo la sua domanda alla vista della mia
Stanza dei giochi. “Sei un sadico?”. Le ho detto solo parte
della verità, per non farla scappare. Non sono abituato a
dovermi giustificare con le mie Sottomesse. E invece lei è
andata dritta al punto. Avrei dovuto dirle perché faccio
quello che faccio.

Sospiro al ricordo degli anni passati alla mercé di


Elena. Dopo essermi sottomesso per sei anni a lei era
arrivato il mio momento. Dopo aver espiato tutte le mie
colpe ero finalmente pronto a fare espiare ad altri le loro.
Elena per prima. La prima volta in cui si è sottomessa a
me, dopo mesi di pratica in addestramento, ero eccitato
ed impaziente. Finalmente avevo io tutto il potere. Potevo
rivalermi su di lei come meglio credevo. Elena continuava
a ripetermi da anni, ormai, che dovevo incanalare la mia
rabbia dentro di me, per averne il controllo, per domarla
e soggiogarla, tirandola fuori solo quando fossi stato io a
volerlo. E quando la situazione si faceva più difficile, mi
bastava chiudere gli occhi e interrompere il contatto
visivo. E ora, dopo aver imparato tutte le tecniche, tutto
ciò che andava fatto, ora ero pronto a mettere tutto in
atto. Era da tempo che ci pensavo. E lei lo aveva capito.
Durante il mio addestramento, in uno dei centri di
Seattle, avevo già sperimentato l’inebriante sensazione di
avere il controllo sulla mia partner sessuale. Ma era lei
che volevo sottomettere davvero. Era attraente, sexy e più
grande. Tanto grande che avrebbe potuto essere mia
madre. Avrebbe potuto essere la puttana drogata che mi
aveva messo inutilmente al mondo. Colei che mi lasciava
torturare fisicamente e psicologicamente da quell’orrido
mostro. Colei che non aveva compassione nemmeno per il
suo stesso sangue. Ricordo che quel giorno, con Elena, fui
implacabile nelle mie punizioni corporali. La scopai in
ogni modo, godendo come mai prima di allora e
negandole inesorabilmente l’orgasmo fino alla fine.
Quando finimmo non ero ancora soddisfatto. Fu di nuovo
lei, a quel punto, a darmi la chiave di volta.

«Christian, tesoro, sottomettermi non placherà di certo


la tua sete di vendetta nei confronti di tua madre.
Sottomettere tua madre la placherebbe »
Guardava il mio corpo mentre parlava, bramandolo
ancora. A dire la verità era raro che Elena mi guardasse
negli occhi. Tende a non farlo neppure oggi. Non ho mai
capito questo suo comportamento.

«Quella puttana è morta, Elena» le risposi con rabbia,


ancora provato dallo sforzo fisico del rapporto appena
consumato.

«Ma puoi sottomettere qualcuno che le somigli


abbastanza da sembrare lei» mi disse semplicemente, con
un sorriso perfido e sexy allo stesso tempo, mentre,
alzandosi dal letto, nuda com’era, veniva verso di me.

Girò alle mie spalle, accarezzandomi i capelli. Ad un


tratto li tirò forte all’indietro. Era arrivato il suo turno. Il
suo momento di essere l’ape regina e di farmela pagare. Il
pensiero di poter trovare qualcuno a cui far espiare le
colpe di quella donna mi aveva aperto tutto un mondo
davanti. Quello che non sapevo ancora era che purtroppo
la mia rabbia non sarebbe mai svanita. Tutto quel nuovo
mondo mi stava solo aiutando ad accumulare dentro di
me cinquanta sfumature diverse di tenebra. Cinquanta
sfumature diverse di stronzate, di merda, di orrore.

Scuoto la testa, sospirando, risvegliandomi dai miei


ricordi. Eppure, con Anastasia è stato diverso. Per la
prima volta nella mia vita ho fatto quello che ho fatto
semplicemente per la persona che mi stava di fronte. Non
ho sentito il bisogno di scoparla o punirla perché è bruna,
magra e con la pelle diafana. Volevo scoparla e punirla
perché era lei, perché è indisponente, per la sua lingua
biforcuta e la sua bruciante curiosità. Perché ha mandato
in pezzi le mie certezze con un sorriso e un paio di occhi
azzurri. “Merda!”. Maledetto John Flynn e le sue vacanze!
Vorrei riuscire a pensare ad altro che non sia Anastasia.
Ma credo sia impossibile al momento.

“Nell’addestramento e nell’amministrazione della disciplina il


Dominatore si assicurerà che sul corpo della Sottomessa non restino
segni permanenti né che si producano ferite che richiedano un
intervento medico. Nell’addestramento e nell’amministrazione della
disciplina il Dominatore si assicurerà che la disciplina e gli strumenti
usati per impartirla siano sicuri, non vengano usati in modo da
provocare danni gravi e non eccedano in nessun caso i limiti definiti e
dettagliati in questo contratto. In caso di malattia o infortunio il
Dominatore si prenderà cura della Sottomessa, facendosi carico della
sua salute e sicurezza, offrendole sostegno morale e ordinando cure
mediche, quando giudicato necessario dal Dominatore. Il
Dominatore si manterrà in forma e ricorrerà a cure mediche, quando
necessario, al fine di mantenere un ambiente sicuro”.

É successo solo una volta. Ma è stato un incidente


involontario. E per fortuna senza conseguenze gravi. Era
una delle mie primissime esperienze da Dominatore. La
mia Sottomessa si chiamava Jennipher. L’avevo legata al
soffitto della mia Stanza dei giochi, sospesa e stavo
torturando il suo corpo con un vibratore. Gli spasmi la
scuotevano da parecchi minuti ormai, era quasi sul punto
di venire, anche se le avevo ordinato di non farlo.
Altrimenti l’avrei punita. Ed era questo che volevo in
realtà. Punirla, frustarla. Ad ogni colpo che avessi sferzato
sulla sua pelle pallida un po’ del mio male sarebbe stato
sradicato. Un crescendo di euforia mi attraversava il
corpo, in attesa che questo accadesse. Ma, ad un tratto, lo
strazio nella sua voce mi fece rabbrividire.

«Rosso...»
I suoi occhi verdi mi guardavano spalancati, ricolmi di
lacrime. Mi affrettai a slegarla, ma ci misi un bel po’.
Quando finalmente riuscii a liberarla del tutto, mi accorsi
delle escoriazioni sulla schiena, provocate da una delle
corde con cui era legata. Era troppo stretta. Il segno della
bruciatura provocata dallo sfregamento della fibra
naturale sulla sua candida schiena era di un rosso acceso.
Sanguinava appena. Per fortuna non era ferita in modo
grave. Stava con gli occhi bassi, aspettando cosa avrei
deciso di fare di lei. L’episodio mi turbò non poco. Non
aveva urlato neppure nel pronunciare la safeword.
Probabilmente se avessi deciso di continuare a fustigarla
lei sarebbe rimasta in quella stanza senza la minima
esitazione. Non era questo che io volevo, però. Volevo fare
male alle mie Sottomesse, ma non in quel modo. Non
quel tipo di male fisico. Troppe volte l’avevo visto subire
alla puttana drogata. Avevo avuto a che fare con troppo
sangue nei primi quattro anni della mia vita. Non era
questo quello che intendevo fare. Quella fu l’ultima volta
che vidi Jennipher. Mi assicurai che venisse medicata e
curata nel migliore dei modi. Ma non riuscii più a volere
che rientrasse nella mia stanza segreta. Avevo finalmente
preso coscienza del mostro che ero. E questo non mi
piaceva. Il fatto di non capire come avessi fatto a
trasformarmi nell’essere ripugnante che si rifletteva nello
specchio di fronte a me mi tormentava. Fu allora che
decisi di riprendere la terapia con uno psicologo. Non un
coglione, come l’ultimo dal quale i miei mi avevano
portato per cinque anni. Avevo bisogno di capire a fondo.
E fu allora che trovai Flynn. Ne avevo sentito parlare
come uno dei migliori psicologi di Seattle, anche se la sua
eccentricità era abbastanza criticata. Il fatto che non
piacesse a tutti mi aveva spinto a prendere un
appuntamento preliminare e recarmi nel suo studio.
Ricordo che era un sabato mattina. Arrivai nella sala
d’aspetto arredata in verde senza sapere cosa aspettarmi,
preoccupato di cosa avrebbe pensato un uomo di mezza
età di un ragazzo di 21 anni che si era trasformato nel
mostro che ero. Cynthia, la segretaria, con il suo sorriso
gentile, mi spedì direttamente nello studio. Temetti di
aver sbagliato stanza quando di fronte a me si presentò
un giovane uomo, biondo e sorridente. Mi strinse la mano
e si presentò, mentre facevo lo stesso. Io e John ci
capimmo sin da subito. Aveva solo tredici anni più di me,
una piacevole sottile ironia, anche se a volte faticavo a
star dietro al suo humor britannico, e mi piaceva il fatto
che avesse accettato la flessibilità di orari di cui avevo
bisogno. Dietro lauto compenso, ovviamente. Fu con lui,
che per la prima volta, mi sentii di affrontare i miei
demoni, come in seguito li definì Flynn stesso. Dopo
avergli raccontato la mia infanzia, la morte di mia madre,
le violenze subite, l’adozione, la mia relazione con Elena e
quello che ne era venuto fuori, John mi sorprese un
giorno, mettendo tutto in una prospettiva nuova.

«Christian, tutto questo spiega molto di te, di quello


che sei diventato. Ma, francamente, a noi tutto questo
non serve. Non trovi?»

Lo guardai senza capire e, dopo un ampio sorriso, lui


continuò il suo strano discorso.

«A noi interessa quello che sei oggi. Come sei arrivato


ad essere in questo modo tu lo sai. E ora lo so anch’io. Ma
se sei qui, ora, è perché non vuoi essere in questo modo.
Quindi è da questo che partiremo, ed è questo che
cercheremo di capire davvero»
Mi parlò del metodo della terapia breve orientata alla
soluzione. La TBOS. Flynn è abbastanza fissato con gli
acronimi e le sigle.

«Devi semplicemente concentrarti su dove vuoi essere


ora e come vuoi esserci. Pensa a quello che ti rende felice,
ti fa star bene. E fai quello che credi giusto per
raggiungere il tuo obiettivo»

Riuscivo solo a guardarlo senza capire. Scossi la testa,


negando quello che aveva appena detto.

«Non soffermarti nel passato, non sognare il futuro.


Concentra la mente sull’istante presente» rispose con un
ampio sorriso al mio muto interrogativo. «Lo diceva
Buddha» aggiunse poi strizzandomi l’occhio.

Sospirai pesantemente.

«John… io sono un sadico. Un pervertito. E faccio


quello che faccio perché ho vissuto tutto quello schifo.
Come posso non pensare a questo e fare di colpo finta che
non sia mai accaduto?»

«Le etichette si mettono sui prodotti in scatola,


Christian, non sulle persone»

«E io dovrei crederci perché lo dici tu, John?»

«In realtà è stato Anthony Rapp a dirlo»

Già, Flynn è fissato anche con le citazioni. Sorrido


mestamente. A distanza di tempo mi rendo conto che, sì,
ho davvero affidato la mia psiche piena di stronzate ad
uno che cita degli attori. Ma se volessi seguire davvero il
suo consiglio alla lettera e rendere giustizia alla terapia
che sto seguendo da anni, ora dovrei prendere e correre
da lei a scoparmela.

“Il Dominatore non presterà la propria Sottomessa a un altro


Dominatore”.

Il solo pensiero di lei a letto con un altro mi rende


inquieto. Mi giro su un fianco, con un braccio piegato
sotto la testa e l’altro lasciato a ciondolare sul letto. Non
ho mai provato tutte queste cose e non so come
affrontarle. Non potrei mai accettare di saperla in balìa di
un altro uomo. E non solo come Sottomessa. Non voglio
che lei veda nessun altro, senta nessun altro, provi anche
un semplice senso di ammirazione per nessun altro. Non
dev’esserci nessun altro uomo nella sua vita. “É mia. Solo
mia”. Un moto di esasperazione mi fa tornare nella
posizione che avevo appena lasciato. Torno a guardare il
soffitto della mia suite. “Cristo santo, Anastasia!”.

“Il Dominatore può legare, ammanettare o imprigionare la


Sottomessa in qualsiasi momento durante gli Orari Stabiliti o gli
orari aggiuntivi concordati per qualsiasi motivo e per periodi
prolungati di tempo, con il dovuto riguardo per la salute e la
sicurezza della Sottomessa”.

Sorrido sardonico. “Ecco, posso sempre rinchiuderla


da qualche parte. Così non scapperà via da me”. Il
pensiero mi eccita da morire. “Voglio legarti, Miss Steele.
E poi entrarti dentro, fottendoti senza pietà. Mentre tu
cerchi inutilmente di divincolarti, gemendo di puro
piacere. E voglio riempirti ancora. E ancora. Fino ad
esploderti dentro”.
Mi passo una mano nei capelli, tirandoli, esasperato da
tutta questa eccitazione che non posso sfogare.

“Il Dominatore si assicurerà che tutta l’attrezzatura utilizzata a scopo


di addestramento e disciplina sia costantemente mantenuta in
condizioni di pulizia, igiene e sicurezza”.

Di solito sono le stesse sottomesse ad occuparsi della


pulizia di tutti gli strumenti. Ma io ne compro di nuovi
per ognuna di loro, rinnovando l’attrezzatura non appena
rescindo un contratto e arricchendola a mano a mano con
oggetti nuovi e adatti alla mia partner. Ora che ci penso
dovrei comprare qualcosa per lei. “Ma cosa?”.
Il mio uccello ha un nuovo fremito al solo pensiero di quel
suo delizioso culo che ondeggia davanti a me e mi manda
in estasi. Ma dovrò essere paziente. Comprerò uno di quei
minuscoli, ma molto efficaci, dilatatori anali. Un giorno o
l’altro ci sarà occasione di usarlo. E delle sfere vaginali.
Serviranno a metterle addosso una gran voglia di scopare.
E voglio che lei sia sempre pronta ad accogliermi. Voglio
poterla prendere a mio piacimento, magari soltanto
alzandole la gonna e strappandole le mutandine di dosso.
‘Bel tentativo, Grey. Dimentichi che Miss Steele è la
promotrice della Campagna-anti-vestiti-gonne-e-roba-
simile’. Mi viene da sorridere, mentre la mia mente scorre
a memoria altre pagine del contratto.

“La Sottomessa accetta il Dominatore come suo padrone, con la


consapevolezza di essere adesso proprietà del Dominatore, che può
disporne a suo piacimento per tutta la durata del contratto, ma in
particolare durante gli Orari Stabiliti o gli orari aggiuntivi
concordati”.

Questo non le piacerà. Sono sicuro che la sua bocca


partorirà obiezioni a raffica sul fatto di essere considerata
di mia proprietà. Ma è questo il punto. Lei è mia. Solo io
sono stato dentro di lei. Solo io ho assaggiato il suo
piacere e l’ho portata oltre i suoi limiti. Solo io ho
imparato a riconoscere i segnali del suo corpo, ad
apprezzarlo in modo carnale e necessario. “Sei mia, Miss
Steele. Solo ed esclusivamente mia”.

“La Sottomessa obbedirà alle regole elencate nell’Appendice 1 di


questo contratto. La Sottomessa servirà il Dominatore in qualsiasi
modo egli ritenga opportuno, e dovrà sforzarsi di compiacere il
Dominatore in qualsiasi momento e al meglio delle proprie capacità”.

Compiacere il Dominatore. Lo ha fatto senza


rendersene conto. Lo ha fatto senza nemmeno volerlo. Lo
ha fatto fin da quando è caduta nel mio ufficio, in quel
groviglio di capelli castani e pelle bianca. Fin da quando
mi ha guardato per la prima volta con quegli occhi
azzurro cielo. Nei quali mi sono perso. Lo ha fatto
acconsentendo ad essere mia, donandomi la sua prima
volta, facendomi assaporare per primo il suo dolce
nettare. Lo ha fatto sorridendomi in quel modo tutto suo,
rispondendomi in modo impertinente, guardandomi con
quella voglia e quel desiderio misti a quel candore che
solo lei, solo Anastasia, è in grado di portare con tanta
eleganza. E sì, si è sforzata anche di darmi quello che
volevo, comportandosi esattamente come volevo che si
comportasse. E dandomi anche quello che non le avevo
chiesto. É strabiliante l’effetto che ha su di me.

“La Sottomessa prenderà tutte le misure necessarie a mantenersi in


buona salute, e dovrà chiedere o cercare cure mediche ogni volta che
sarà necessario, tenendo il Dominatore informato in ogni momento
di qualsiasi problema di salute che possa insorgere. La Sottomessa
assicurerà di far uso di contraccettivi orali e di assumerli nei tempi e
nei modi prescritti al fine di prevenire una gravidanza”.

La sua capacità di tenersi al sicuro e in buona salute è


scarsa. Non mangia, non si asciuga i capelli ed è incurante
di quello che potrebbe capitarle. Lo spiacevole ricordo del
fotografo che cercava di approfittarsi di lei, mi fa
infuriare. Ho chiesto a Welch di indagare su di lui. Poca
roba il suo dossier. Studia ingegneria e fa il fotografo a
tempo perso. “Anche se devo ammettere che ha talento.
Ho visto le foto che mi ha scattato”. Ma almeno ora so
dove abita quel figlio di puttana. E se dovesse ancora
provare a toccarla con un solo fottuto dito, giuro che lo
ammazzo con le mie mani.
“Come cazzo fa ad essere così ingenua? Davvero non vede
come gli uomini la squadrano? Il fotografo, il fratello del
suo datore di lavoro”. ‘Tu, Grey’. Scuoto la testa con un
sorriso sulle labbra. “Sì, io. Oh, Miss Steele. Cosa dovrò
fare con te?”. Di certo dovrò ricordarmi di dirle che dovrà
prendere un contraccettivo. Odio i preservativi. E,
soprattutto, voglio che sia mia in tutti i sensi. Voglio avere
il piacere di venirle dentro. Riversare il mio seme, parte di
me stesso, dentro di lei.

“La Sottomessa accetterà senza fare domande qualsiasi azione


disciplinare considerata necessaria dal Dominatore, e ricorderà in
ogni momento la propria condizione e il proprio ruolo rispetto al
Dominatore”.

Non ho dubbi che invece ci saranno fiumi di domande


impertinenti e dimenticanze del proprio ruolo di
subordinazione. Ma questo potrebbe essere divertente
considerata la voglia che ho di sculacciarla e punirla. Per
il semplice gusto di vederla contorcersi di piacere sotto di
me. Di vedere il suo splendido culo arrossarsi sotto i miei
colpi. “Sono nuovamente eccitato, dannazione!”.

“La Sottomessa non si toccherà né si darà piacere sessuale senza il


permesso del Dominatore. La Sottomessa si sottoporrà a qualsiasi
attività sessuale pretesa dal Dominatore senza esitazioni né
discussioni. La Sottomessa accetterà frustate, fustigazioni,
sculacciate e qualsiasi altra disciplina il Dominatore decida di
infliggerle, senza esitazioni, domande o lamentele”.

Non si è masturbata sino ad oggi e non dovrà farlo da


oggi in poi. Il suo piacere dev’essere solo mio. Sempre e
solo mio. Per quanto riguarda le punizioni, sono più che
sicuro che sarà in grado di meritarsele tutte.

“La Sottomessa non guarderà il Dominatore negli occhi, a meno che


non le venga espressamente richiesto. La Sottomessa è tenuta a
tenere gli occhi bassi e a mantenere un contegno modesto e
rispettoso in presenza del Dominatore. La Sottomessa dovrà sempre
comportarsi in modo rispettoso nei confronti del Dominatore e
rivolgersi a lui chiamandolo solo “signor”, “Mr Grey” o con altri titoli
ordinati dal Dominatore”.

Tutta questa distanza è necessaria. Per mantenere in


vita questo gioco di ruoli delineando i confini da non
oltrepassare e sancendo tutto il controllo che intendo
esercitare sull’altra persona. Ed è inebriante il potere che
queste semplici parole ti danno. Quando mi ha chiamato
signore, nel mio ufficio, mi sono eccitato da morire.
‘Anche quando ti ha chiamato Christian’. Già. Anche
quando mi ha chiamato Christian. Il mio nome sulle sue
labbra ha un effetto estremamente eccitante su di me.
Nessuna donna mi chiama Christian dai tempi di Elena. E
anche lei, in fondo, usava raramente il mio nome di
battesimo. Ma Anastasia, invece, non è abituata al ruolo
di Sottomessa. Mi chiama per nome. Eppure è
dannatamente speciale. Non appartiene al Dominatore, al
Padrone. Appartiene a me. Appartiene a Christian.
Semplicemente perché vuole appartenere a me. Mi tiro
indietro i capelli con entrambe le mani, premendole ai lati
della testa. Mi sento bene e male allo stesso tempo. É
stata mia. Ieri notte, questa mattina. Ma lo sarà in futuro?
Prenderà la decisione giusta? Io non sono preparato
all’idea di lasciarla andare. Ho bisogno del suo consenso
scritto.

“La Sottomessa non toccherà il Dominatore senza il suo esplicito


permesso”.

Stringo forte gli occhi e sospiro forte. Nessuno può


toccarmi. Nessuno mi ha mai toccato negli ultimi 23 anni.
Anche da bambino, a casa dei Grey, dopo l’adozione,
Grace e Carrick hanno sempre rispettato i miei limiti.
Quelli che nemmeno io sapevo di avere. L’unico modo di
toccare che conosco è violento. Ho sentito sulla mia pelle
il dolore, la cattiveria, la perversione. Non sono capace di
donare nient’altro che questo a chi mi sta di fronte. Anche
se la notte passata con Anastasia ha notevolmente
cambiato la prospettiva su tutto questo. Per la prima volta
nella mia vita avrei voluto che lei potesse toccarmi.
Potesse far volare via tutta quella merda che mi porto
dietro, con il solo tocco delle sue dita. Vorrei che fosse
così, che fosse semplice e indolore. Ma non lo è. Poggio
lentamente la mano destra sul mio cuore. Lo ascolto
battere leggero. Poggio l’indice su una delle cicatrici che
mi deturpano il corpo. Fa male. Ogni singolo segno,
inciso a fuoco sul mio corpo, fa male. Non potrà mai
essere altrimenti.

“La Sottomessa non parteciperà ad attività o atti sessuali considerati


rischiosi da una delle due parti, o alle attività elencate nell’Appendice
2. Il Dominatore e la Sottomessa ammettono che il Dominatore possa
avanzare alla Sottomessa richieste che non possono essere esaudite
senza incorrere in danni fisici, mentali, emotivi, spirituali o di altro
tipo nel momento in cui le richieste sono fatte alla Sottomessa. In tali
circostanze la Sottomessa ha facoltà di usare una parola di sicurezza,
o safeword. Saranno utilizzate due safeword, a seconda della durezza
delle pretese. La safeword “Giallo” servirà ad avvertire il Dominatore
che la Sottomessa è vicina al limite di sopportazione. La safeword
“Rosso” servirà ad avvertire il Dominatore che la Sottomessa non è in
grado di tollerare ulteriori richieste. Quando questa parola verrà
pronunciata, l’azione del Dominatore cesserà completamente con
effetto immediato”.

Utilizzo da sempre queste due safeword. Anche se non


ce ne sarebbe quasi bisogno. Sono un maestro ormai nel
capire le sensazioni, i sentimenti e i bisogni delle mie
partner. In tutti questi anni solo una volta ho sentito
pronunciare una di queste parole, a causa di un mio
errore di valutazione, e fortunatamente in tempo per
evitare conseguenze. É tutta una questione di fiducia. Per
questo ho così bisogno di tutte queste regole. Voglio
potermi fidare di chi mi sta di fronte. E allo stesso modo
loro devono fidarsi di me. Solo così possono lasciarsi
completamente andare e conferirmi potere e controllo.
Già. Le regole. Le mie regole. Tutta una serie di
disposizioni scritte che mi aiutano a mettere dei paletti
per i comportamenti scorretti delle mie Sottomesse. Sono
certo che avremo molto da discutere su queste regole. Di
solito non sono negoziabili, ma Anastasia avrà da ridire
sul sonno, sull’alimentazione, anche se la lista di cibi che
ho stilato è ragionevole e prevede una dieta corretta ed
equilibrata senza eccessi. E non dimentichiamoci
dell’abbigliamento. Sono sicuro che anche per il fatto di
metterle a disposizione un armadio pieno di vestiti ed
accessori sarò deliziato dalla sua fronte aggrottata e il suo
sguardo inquisitorio. Sospiro di nuovo. “Mi sta
sfiancando anche a distanza”.
Restano i limiti assoluti. E su quelli non discuterò in
alcun modo. Anche se, data la sua poca esperienza, non
credo affatto sia interessata a provare determinate cose.
Sarà più divertente, invece, discutere dei limiti relativi.
Ovvero tutto quello che lei vuole o non vuole fare. Spunto
mentalmente la lista. Masturbazione, penetrazione
vaginale, cunnilingus, fisting vaginale, fellatio,
penetrazione anale, ingoiare lo sperma, fisting anale.
Sorrido. Abbiamo fatto buona parte di queste cose. E
vederla succhiarmi l’uccello e ingoiare il mio sperma è
stato fantastico. Mi agito sotto le lenzuola. “Quanto vorrei
averla qui ora”. Dovremo concordare anche quali
giocattoli erotici usare e quali strumenti di contenimento.
Di questi ultimi ce n’è per ogni gusto. Corda, nastro
adesivo, che per ironia della sorte mi ha venduto lei
stessa, cinghie di pelle, manette. E poi bisogna definire
anche in che modo posso punirla. Sculacciate, frustate,
bacchettate, morsi, pinze, ghiaccio, cera bollente.
“Possiamo sbizzarrirci come più ci piace, Miss Steele. E io
non vedo l’ora”. Il pensiero di lei in mille posizioni
diverse nella mia Stanza segreta mi culla fino a farmi
cadere, finalmente, in un sonno profondo, animato da
vivaci occhi azzurri e morbide labbra sensuali.
Capitolo 12
«No. No, no, no!»

Mi sveglio di soprassalto gridando la mia supplica. Mi


guardo attorno stranito, senza riuscire a mettere bene a
fuoco dove mi trovo. Riconosco lentamente la mia suite
all’Heathman. Fuori, è a malapena l’alba. Lascio ricadere
pesantemente il mio corpo sul materasso, affondando sul
morbido cuscino bianco. Erano giorni che non mi
succedeva. Giorni che la puttana drogata e il suo
magnaccia non mi assalivano di notte, mentre sono
incapace di scacciare il loro crudele ricordo. Guardo fuori
dalla finestra. Il sole sta sorgendo proprio in questo
momento. Mi sento così solo, come se mi mancasse un
pezzo. E quel pezzo, malgrado io non voglia ammetterlo
con me stesso, è Anastasia. Non capisco come possa
sentirmi così legato ad una sconosciuta. Perché è così. In
fondo io non la conosco. Ci siamo visti quante volte? Tre?
Eppure è così sconvolgente sentire quanto mi manca.
Scuoto la testa, ancora turbato dall’incubo che mi ha
svegliato. Come sempre, rivivere momenti della mia
infanzia mi lascia spossato. Vorrei non ricordare. Vorrei
poter cancellare con un solo colpo tutta quella violenza,
quella crudeltà, quell’odio che ho sentito e che ora provo.
Vorrei non essere così, non sentire il bisogno di farla
pagare a mia madre. Ancora oggi. Ma è così che sono.

Quasi due ore più tardi sono comodamente seduto al


tavolo da pranzo a fare colazione. Mi sono allenato nella
palestra dell’hotel, rimuginando sui miei pensieri, e ora
sono fresco di doccia e molto più rilassato di quando mi
sono svegliato.
«Mr Grey. La consegna per Miss Steele è stata appena
effettuata, signore. Ho ricevuto conferma dal corriere»

Taylor è davanti a me, mi osserva impassibile. Mi piace


la sua efficienza. Sono contento di aver trovato un così
valido e fidato collaboratore.

«Grazie, Taylor»

Si congeda con un cenno, lasciandomi alla mia


omelette di albumi e all’ottimo succo d’arancia. Sorrido
tra me e me, pensando alla reazione di Anastasia al mio
nuovo regalo. La vibrazione del mio BlackBerry mi
distrae. É una mail. Sua.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 08.20
Oggetto: Il tuo nuovo computer (in prestito)

Ho dormito benissimo, grazie – per qualche strano motivo –


“signore”. Pensavo che questo computer fosse in prestito, dunque
non mio.

Ana

Il suo tono mi strappa un sorriso. É evidente che ha


letto il contratto. Chissà cosa ne pensa. Magari ha qualche
domanda. Clicco su “rispondi”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 08.22
Oggetto: Il tuo nuovo computer (in prestito)

Il computer è in prestito, sì. A tempo indeterminato, Miss Steele.


Noto dal tuo tono che hai letto la documentazione che ti ho dato. Hai
domande?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La sua risposta è immediata.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 08.25
Oggetto: Menti curiose

Ho molte domande, ma non sono adatte a una mail, e alcuni di noi


devono lavorare per vivere. Non voglio e non mi serve un computer a
tempo indeterminato. A più tardi, buona giornata, “signore”.

Ana

Sorrido di nuovo allo schermo del mio telefono.


Impertinente come al solito.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 08.26
Oggetto: Il tuo nuovo computer (ancora in prestito)

A più tardi, piccola.


PS: Anch’io devo lavorare per vivere.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Lo scambio di mail con la dolce Miss Steele, ha
migliorato significativamente il mio umore. Mi alzo e mi
dirigo nello studio, accendendo il mio notebook sulla
scrivania. Mi concentro sul lavoro, che ho trascurato negli
ultimi due giorni. ‘Non è da te, Grey’. Quando finalmente
stacco gli occhi dal monitor è già ora di pranzo. Non mi va
di mangiare in camera. Scendo giù, nella sala da pranzo
dell’hotel e ordino lo spettacolare merluzzo che fanno
solo in questo albergo, accompagnato da un ottimo
Sancerre. Quando torno di sopra mi attacco al
BlackBerry. Ho alcune chiamate di lavoro urgenti che ho
rimandato. É impressionante quanto lavoro si accumuli
se poco poco abbasso la guardia. Per ultima contatto Ros,
per assicurarmi che in ufficio la giornata si sia conclusa
senza problemi. Quando stacco, do un’occhiata
all’orologio. Sono da poco passate le 17.00. Anastasia
dovrebbe essere di ritorno da lavoro. Apro il programma
delle mail sul BlackBerry e trovo il suo ultimo messaggio.
Ho voglia di scriverle, ma per la prima volta in vita mia
mi mancano le parole. Cosa posso dirle? In effetti non
avrei niente da dirle. Ma voglio. Magari un saluto veloce.
Clicco su “rispondi”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 17.24
Oggetto: Lavorare per vivere

Cara Miss Steele,


spero che tu abbia avuto una buona giornata al lavoro.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Aspetto la sua risposta immediata, che però non arriva.


Sono le cinque e mezzo del pomeriggio. Dove diavolo si
sarà ficcata? So che oggi staccava alle cinque dalla
ferramenta, che oltretutto non è eccessivamente distante
da dove abita. L’impazienza mi rende nervoso. Mi ritrovo
a percorrere tutto il perimetro della suite, stanza dopo
stanza, guardando lo schermo del BlackBerry e
passandomi le mani nei capelli. “Cristo, Grey! Datti una
calmata!”. Finalmente un trillo. Una nuova mail.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 17.48
Oggetto: Lavorare per vivere

“Signore”… Ho avuto un’ottima giornata al lavoro.


Grazie.

Ana

Sospiro di sollievo. “Bene”. Per qualche strana ragione


temevo che non l’avrei più sentita. Ora, però, deve fare le
ricerche che le ho consigliato. Voglio che sappia
esattamente a cosa sta andando incontro. Prima
conoscerà il mio mondo, prima potrà abbandonarvisi.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 17.50
Oggetto: Fai i compiti!

Miss Steele,

mi fa piacere che tu abbia avuto una buona giornata. Finché mi scrivi,


non ti dedichi alle ricerche.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Il mio tono è più severo di quello che avrei voluto.
L’abitudine a comandare è innata. La sua risposta arriva
istantaneamente.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 17.53
Oggetto: Tormento

Mr Grey,

smettila di scrivermi, così posso iniziare i miei compiti. Vorrei


prendere un altro 10.

Ana

La sua risposta mi diverte e mi eccita al tempo stesso.


Ricordo le sue labbra avvolte al mio uccello. “Anch’io
vorrei darti un altro bel voto nelle materie orali, cara Miss
Steele”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 17.55
Oggetto: Impaziente

Miss Steele,

smettila di rispondere, e fai i compiti. Anche a me piacerebbe darti


un altro 10. Il primo era davvero meritato. ;)

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Questo scambio di battute mi diverte. Ma spero che si


concentri su quello che le ho detto di fare. Anche se io per
primo fatico a concentrarmi. Il ricordo di noi due nel mio
appartamento mi accende un desiderio incontrollabile.
Sento il mio pene diventare di marmo e tendersi sotto la
stoffa dei miei pantaloni.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 17.59
Oggetto: Ricerche sul web

Mr Grey,

cosa suggerisci di inserire nel motore di ricerca?

Ana

La sua inesperienza totale mi fa sorridere di nuovo. Ma


deve darci un taglio. Altrimenti staremo qui in eterno. E
io ho bisogno di sapere cosa ne pensa, invece.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 18.02
Oggetto: Ricerche sul web

Miss Steele,

comincia sempre da Wikipedia. Basta con le mail, a meno che tu non


abbia domande. Intesi?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 18.04
Oggetto: Prepotente!

Sì, “signore”. Sei un vero prepotente.


Ana
Scoppio a ridere di gusto leggendo la sua risposta.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 18.06
Oggetto: Controllo

Anastasia, non sai quanto. Bè, forse cominci ad averne un’idea. Fai il
tuo dovere.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Finalmente sembra applicarsi nelle sue ricerche da


internauta. Sono davvero curioso di sapere quale sarà il
suo parere su tutto quello che riuscirà a scoprire. Mi resta
ancora un’ora prima della cena che ho appena ordinato.
Infilo l’indice e il medio tra la camicia e la cravatta,
allentando quest’ultima. La sfilo e mi dirigo in camera da
letto, poggiandola sulla sedia di fronte al letto. Tolgo la
giacca, che va a raggiungere la cravatta blu intenso, ed
entro in bagno. Pigramente mi tolgo i pantaloni del
completo blu gessato, la camicia grigio perla e i boxer
neri. Ho bisogno di una doccia, ma vorrei non essere solo.
Apro l’acqua, che scroscia calda e lenitiva sul mio corpo
nudo. Cosa non farei a quella meraviglia umana se solo
l’avessi qui, a mia completa disposizione. Penso a come
potrebbe essere la nostra relazione se finalmente
accettasse di darsi totalmente a me. A volte la vedo
esitare, e non ne capisco il motivo. Non riesco ad afferrare
completamente cosa pensa, cosa prova. Ed è assurdo che
proprio io, dopo anni passati ad allenarmi ad intercettare
ogni minimo accenno di movimento del corpo altrui, non
riesca a capire cosa pensa. A letto è una passeggiata,
soprattutto perché è così inesperta. E sensibile. Ma
quando siamo l’uno di fronte all’altra mi trovo in
difficoltà. Chiudo l’acqua ed esco dalla doccia,
avvolgendomi un piccolo asciugamani intorno alla vita.
Prendo i vestiti che ho lasciato a terra e li riporto con me
nella camera da letto. Mi asciugo, tamponandomi il corpo
con la morbida spugna e prendo dall’armadio una camicia
bianca di lino e i pantaloni grigi di flanella, indossandoli.
Mi dirigo nell’altra stanza, stranamente di buonumore,
nonostante i mille pensieri contrastanti che mi
attanagliano il cervello. ‘La graziosa Miss Steele ti
attanaglia il cervello, Grey’. Come dare torto alla mia
testa? Sospiro. “Meglio occuparsi della cena ora”.

Sto completando una relazione, da presentare al


meeting di lavoro di domani mattina, quando il mio
BlackBerry ronza di nuovo. Dovrò tornare a Seattle per
almeno metà della mia giornata, domani. Ma credo di
sapere chi sia. E non ce la faccio ad aspettare di terminare
la mia fottuta relazione. Apro impaziente la mail di
Anastasia.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 23 maggio 2011 20.33
Oggetto: Studentessa sconvolta

Okay, ho visto abbastanza. È stato bello conoscerti.

Ana

Il mio cuore smette di battere. “É stato bello


conoscerti. Cosa…? Che cazzo vuol dire? Che non intende
continuare? Cosa cazzo le è successo nelle ultime due
ore?”. Mi alzo in piedi, senza riuscire a placare l’ansia. Mi
passo una mano nei capelli, esasperato. “Merda!”. Non
posso perderla. Non posso, non posso, non posso. “Pensa,
Grey. Pensa a qualcosa, cazzo!”. Il mio cervello si rifiuta
di collaborare e mi lascia in un vuoto assordante. Rileggo
la sua mail, cercando qualche traccia di ilarità. Niente.
Nulla che faccia pensare che stia scherzando. “Ma cazzo,
Anastasia! Vaffanculo!”. Sbatto il BlackBerry sul tavolo,
accanto al pc. Poi prendo la mia decisione. Sono furioso.
Avrei voglia di legarla, sculacciarla a sangue e scoparla
fino a domattina. “É stato bello, Miss Steele? Ora ti
mostrerò quanto può essere bello. Poi vedremo se avrai
ancora voglia di scappare via da me”. Vado in camera e
apro il comodino, estraendo il pacco di preservativi. Infilo
una bustina in tasca. Apro l’armadio e afferro la cravatta
di seta argento, quella che ho usato per legarla nel mio
appartamento. Torno in fretta nello studio e, mentre
salvo il documento al quale stavo lavorando, chiamo
Taylor.

«Prepara la R8»

Chiudo bruscamente la conversazione ed esco,


sbattendomi dietro la porta della suite. Un minuto più
tardi sto salendo in auto. Sfreccio attraverso il traffico.
Sono appena le nove quando parcheggio davanti casa sua.
Non so cosa mi dovrò aspettare. Se sarà una visita breve
o, come spero, lunga e soddisfacente. Scendo sbattendo lo
sportello. Sono incazzato nero. Voglio affrontarla. Mi
avvio a grandi passi, raggiungendo la veranda. Busso, un
po’ più forte del dovuto. Trovarmi Miss Kavanagh
davanti, e non lei, mi spiazza leggermente. “Cazzo!”. Per
fortuna mi ricompongo alla svelta.

«Christian, cosa ci fai qui? Ana non ha detto che saresti


passato»
Ha uno sguardo inquisitorio. “Ci mancava solo la copia
mal riuscita di Christiane Amanpour!”.

«Buonasera, Katherine. Ho deciso di farle una


sorpresa. Anastasia è in casa?»

Faccio del mio meglio per risultare cortese. Ma il mio


sguardo gelido si fissa nel suo. Fortunatamente lo squillo
del telefono ci interrompe.

«Entra pure. É in camera sua» si arrende.

Si avvicina all’apparecchio e risponde. Chiudo la porta


dietro di me, mentre sento la sua voce addolcirsi. Si
rifugia nell’altra stanza, indicandomi la porta della
camera di Anastasia con una mano. Dev’essere Elliot al
telefono. Per una volta, quella testa di cazzo si è
dimostrato utile facendomi sfuggire ad un’intervista
indesiderata a tu per tu con Miss Irritazione. Busso alla
porta. Nessuna risposta. Abbasso la maniglia con cautela
ed entro. Anastasia è seduta alla scrivania, intenta a
scribacchiare qualcosa. Ha le cuffie dell’iPod infilate e la
musica a tutto volume. Ha i capelli raccolti in due codini,
che mi evocano ricordi estremamente piacevoli. Indossa
una tuta e scarpe da ginnastica. É evidentemente andata a
correre. Forse aveva bisogno di schiarirsi le idee. “Peccato
che tu abbia preso la decisione sbagliata, Miss Steele”.
Legge attentamente il foglio che ha in mano e annota con
cura ai margini. Da quello che riesco a sbirciare, sembra
proprio il contratto che le ho dato ieri. “Ma allora...?”.
Aggrotto la fronte. Non si è neppure accorta che sono
entrato. Faccio ruotare piano le chiavi della macchina
attorno al mio dito, stampandomi in faccia
un’espressione arrogante. Chissà quando si renderà conto
di non essere da sola. Quasi in risposta alla mia domanda
segreta, i suoi meravigliosi occhi azzurri si alzano,
poggiandosi increduli su di me. Si toglie le cuffie,
rimanendo paralizzata. La guardo impassibile.

«Buonasera, Anastasia»

Il mio tono è freddo, inquisitorio. So di sembrare


calmo, ma dentro di me ribollo di rabbia. Continua a
guardarmi inerme, senza riuscire a spiccicare parola.

«Ho pensato che la tua mail esigesse una risposta di


persona» spiego, rispondendo alla sua domanda
inespressa.

Apre e richiude la bocca due volte, ma la facoltà di


parola l’ha letteralmente abbandonata.

«Posso sedermi?» le chiedo, divertito dalla sua


reazione.

Annuisce, mentre io mi guardo intorno, andando a


poggiarmi su una sedia, vicinissimo a lei.

«Mi chiedevo come fosse la tua camera» osservo.

Si tratta di una piccola camera da letto, piuttosto


scarna nell’arredamento. I pochi mobili sono in vimini,
laccati di bianco. Al centro, l’ampio letto matrimoniale di
ferro bianco coperto da un curioso copriletto patchwork
azzurro e crema. Sulla parete di fronte alla porta c’è una
finestra.
«È un posto molto tranquillo e sereno» mormoro.

Anastasia fa un profondo respiro.

«Come…?»

Le sorrido, interrompendola.

«Sto ancora all’Heathman»

Questo breve accenno di conversazione sembra ridarle


il colore che le era defluito dal volto non appena mi aveva
scorto sulla soglia.

«Vuoi bere qualcosa?» chiede educatamente,


riprendendosi.

«No, grazie, Anastasia»

La guardo incuriosito, piegando la testa di lato. “Come


è possibile che voglia smettere di vedermi se ancora le
faccio questo effetto?”.

«E così, è stato bello conoscermi?»

Per tutta risposta, lei abbassa lo sguardo, pentita.

«Pensavo che mi rispondessi con una mail»

É nervosa e si morde la bocca. Mi fa infuriare il suo


comportamento. La mia rabbia, repressa per pochi
minuti, torna a spingere nel mio petto.

«Fai apposta a morderti il labbro?» le chiedo


severamente.

Mi guarda, sussultando alle mie parole e liberandosi


dalla sua stessa morsa.

«Non me n’ero accorta» mormora.

Il silenzio mi restituisce il forte battito del suo cuore.


Non capisco perché mi abbia scritto quella mail. Si
comporta come sempre. É intimidita da me e mi desidera,
lo percepisco chiaramente. La speranza inizia a farsi
sempre più spazio dentro di me. Forse ha cambiato
nuovamente idea. Mi sposto leggermente in avanti,
slegandole uno dei codini. Le libero i capelli con le dita,
mentre lei ansima, eccitata. Lentamente ripeto
l’operazione con l’altro codino. Ana mi osserva immobile.

«Così, hai deciso di fare un po’ di movimento» le


mormoro, infilandole i capelli dietro le orecchie. «Perché,
Anastasia?»

Le sfioro un orecchio e, dolcemente, le pizzico il lobo


diverse volte. Il suo corpo si tende, eccitato.

«Avevo bisogno di pensare» sussurra incantata.

«Pensare a cosa, Anastasia?» le dico in tono


ingannevolmente dolce.

«A te»

«E hai deciso che è stato piacevole conoscermi?


Intendevi in senso biblico?»
Il viso le si infiamma in un batter d’occhio.

«Non pensavo che avessi familiarità con la Bibbia»

«Ho frequentato il catechismo, Anastasia. Mi ha


insegnato parecchio»

“Che ognuno ha dei peccati da farsi perdonare, ad


esempio”.

«Non ricordo di aver letto di pinze per capezzoli nella


Bibbia. Forse tu hai studiato su una traduzione moderna»

Ecco la sua lingua biforcuta che torna a farsi sentire.


Cerco di reprimere un sorriso. “Oh, Miss Steele. Fossi in
te non provocherei ulteriormente un uomo incazzato”.

«Bene, ho pensato di venire a ricordarti quanto sia


stato bello conoscermi»

Mi fissa a bocca aperta, mentre le mie dita vagano


dall’orecchio al suo mento.

«Cos’hai da dire a riguardo, Miss Steele?»

La sfido. Le mie labbra si schiudono


involontariamente. Ho voglia di baciarla. E poi di
scoparla fino allo svenimento. Attendo impaziente la sua
prossima risposta impertinente per scatenare il mio
desiderio. A sorpresa, invece, si alza, protendendosi verso
di me. Percependo il suo movimento, gioco d’anticipo,
afferrandola e gettandola sul suo letto. Mi fiondo
immediatamente su di lei, incastrandola con il mio corpo.
Le tendo entrambe le braccia sulla testa, fermandole con
la mia mano sinistra, mentre con la destra le afferro il
viso e la bacio con violenza. La mia lingua la esplora,
forzandole le labbra. Di colpo mi fermo, fissandola con
desiderio e ardore. Voglio averla. Qui. Ora. Quando apre
gli occhi mi fissa di rimando. Siamo vicinissimi.

«Ti fidi di me?» mormoro.

Annuisce, con gli occhi sbarrati per l’agitazione e il


desiderio. Tiro fuori dalla tasca destra la mia cravatta. Mi
muovo su di lei, mettendomi a cavalcioni sulle sue gambe
e protendendomi per legarle i polsi. Lego anche la
seconda estremità della cravatta ad una delle sbarre del
letto, controllando per bene il nodo in modo da
assicurarmi che non possa muoversi per davvero. Scivolo
giù dal letto, e la guardo. In questo momento, legata,
impossibilitata a muoversi, impaurita ed eccitata è
davvero bellissima. É in febbricitante attesa per quello
che le farò. Mi rilasso.

«Così va meglio», mormoro dispettoso.

Posso farle quello che voglio e sono sicuro che non mi


toccherà. Ora le mostrerò quanto può essere bello quello
che posso farle. E la costringerò a cambiare idea. Dovessi
rimanere qui a scoparla per tre giorni consecutivi. Mi
chino e inizio a slacciarle una scarpa.

«No» protesta, scalciando contro di me.

Mi fermo. Un lampo di sfida mi luccica negli occhi.

«Se ti ribelli, ti lego anche i piedi. Se fai rumore,


Anastasia, ti imbavaglio. Stai buona. Probabilmente
Katherine sarà qui fuori ad ascoltare».

La mia minaccia ha effetto immediato. Rimane muta e


io riprendo a slacciarle le scarpe, sfilandole insieme alle
calze. Tiro giù anche i pantaloni della tuta, lasciandoli
cadere sul pavimento. La sollevo leggermente dal letto,
spostando le coperte e rimettendola giù sul lenzuolo. Mi
guarda in attesa e, inavvertitamente si morde il labbro. Il
desiderio di possederla istantaneamente torna a pulsare
nelle mie vene e nel mio cazzo.

«Allora». Mi passo la lingua sul labbro inferiore,


eccitato come non mai. «Ti stai mordendo il labbro,
Anastasia. Sai che effetto mi fa»

Lentamente, come per avvertirla, le poggio


delicatamente l’indice destro sulla bocca. Mi sposto,
discostandomi dal letto e spogliandomi con noncuranza.
Tolgo le scarpe, le calze, slaccio i pantaloni e anche la
camicia di lino.

«Penso che tu abbia visto troppo» ridacchio alla fine,


salendo a cavalcioni su di lei e sollevandole la maglietta
fino a coprirle gli occhi.

Lascio liberi bocca e naso. Voglio giocare con il suo


desiderio ora.

«Mmh» mormoro, godendomi lo spettacolo. «Sempre


meglio. Ora vado a prendermi un drink»

Mi chino a baciarla delicatamente prima di scendere


dal letto. So benissimo cosa voglio farle. Apro la porta,
facendo apposta rumore. Lei si accorge di quello che sto
facendo. “Bene. L’ansia la divorerà”. Esco, dirigendomi in
cucina, dove trovo Katherine Kavanagh ancora incollata
al telefono. Si gira e alza le sopracciglia, guardandomi
sorpresa. Con noncuranza assoluta, come se invece che
seminudo fossi vestito di tutto punto, le chiedo del vino e
del ghiaccio. Fa una smorfia di disgusto, stupita
dall’improbabile accostamento. Poi apre il frigo e tira
fuori una bottiglia di vino bianco. Mi indica il mobile dei
bicchieri, dal quale ne prendo uno.

«Ecco» mi dice lei, quando mi volto, porgendomi il


ghiaccio.

Ne metto tre cubetti nel bicchiere, riempiendolo di


vino e le scocco un sorriso soddisfatto, mentre lei fa un
sorrisetto ironico di rimando. La lascio sola a ridacchiare
e raccontare i dettagli ad Elliot. “Dovrò iniziare a farci
l’abitudine”. Torno finalmente in camera, rimanendo in
silenzio, ma accentuando i miei movimenti in modo che
Anastasia possa sapere sempre cosa sto facendo. Chiudo
la porta e cammino, lasciando che il ghiaccio cozzi contro
il vetro. Appoggio il bicchiere sulla scrivania e tolgo il
preservativo dalla tasca dei pantaloni, poggiandolo sul
comodino. Accendo l’abat-jour e spengo la luce. Finisco di
slacciarmi i pantaloni, sfilandoli e lasciandoli cadere
pesantemente sul pavimento, insieme ai boxer. Riprendo
il bicchiere e salgo di nuovo su di lei, mettendomi a
cavalcioni.

«Hai sete, Anastasia?» le chiedo maliziosamente.

«Sì» mormora flebilmente.

Bevo un sorso di vino bianco, mentre il ghiaccio


tintinna nel bicchiere. Mi chino su di lei e la bacio,
versandole in bocca il vino freddo. Ingoia, sorpresa,
mentre il suo corpo si tende, eccitato.

«Ancora?»

Annuisce e io ripeto il mio rituale. Ingoia di nuovo,


ansiosa di ricevere altro vino. E un altro bacio.

«Non esageriamo, sappiamo che hai una tolleranza


limitata dell’alcol, Anastasia» le dico, prendendola in
giro.

Sorride, mentre mi chino su di lei, ripetendo il mio


dolce tormento. Mi sdraio accanto a lei. Mi premo contro
il suo fianco scoperto, facendole sentire quanto sono
eccitato.

«È bello, questo?» le chiedo acidamente.

Il suo corpo si tende, mentre la mia erezione le sfiora il


fianco. Bevo ancora. Mi chino su di lei, depositandole in
bocca un po’ di vino insieme con una piccola scheggia di
ghiaccio. Lentamente continuo il mio assalto, baciandola
ripetutamente dalla base della gola fino alla pancia.
Arrivo all’ombelico e vi deposito all’interno il ghiaccio
freddo che ho in bocca e il vino, creando un piccolissimo
lago.

«Ora devi stare ferma» le mormoro prima che possa


agitarsi troppo.

“É arrivato il momento di punirti, Miss Steele”.


«Se ti muovi, Anastasia, verserai tutto il vino sul letto»

I suoi fianchi si inarcano.

«Oh, no. Se versi il vino, ti punirò, Miss Steele»

Geme, tentando di controllare il suo corpo che anela il


godimento. Con l’indice le abbasso entrambe le coppe del
reggiseno, tirando fuori i suoi meravigliosi seni. Mi chino
su di lei, incapace di resistere e le bacio i capezzoli,
succhiandoli forte uno per volta. La sua pelle è bollente
sotto le mie labbra fredde. Si sposta, domando l’impulso
di inarcarsi. La pozza di vino si agita nel suo ombelico,
mentre il ghiaccio si scioglie.

«È bello, questo?» mormoro, soffiando delicatamente


su ogni capezzolo.

Prendo un pezzo di ghiaccio dal bicchiere e le stuzzico


il capezzolo destro, mentre succhio avidamente l’altro.
Geme, spossata, cercando di rimanere ferma.
“Aumentiamo la posta in gioco, Miss Steele”.

«Se versi il vino, non ti lascerò venire»

«Oh… ti prego… Christian… Signore… Ti prego»

Sorrido a quelle parole. Sentirle da lei mi manda in


estasi. Sto godendo e voglio averla. Il mio uccello punta
dritto in alto, fremendo. Poggio le dita gelate sulla sua
pelle, accarezzandole la pancia. Inarca i fianchi e versa il
vino nel suo ombelico. “Finalmente!”. Sorrido di nuovo.
Mi abbasso velocemente e lo lecco via, baciandola e
mordicchiandole la pelle percorsa dal liquido.
«Oh, Anastasia, ti sei mossa. Cosa devo fare con te?»

Il mio respiro è cambiato, più pesante. Mi attrae. Non


desidero altro che lei. Ora. Sempre. Infilo le dita sotto le
sue mutandine, sospirando e fremendo. Sto perdendo di
nuovo il controllo. ‘Ti capita spesso ultimamente, Grey’.

«Oh, piccola» mormoro, infilandole di colpo due dita


dentro.

Smette di respirare. Poi riprende a farlo, più


velocemente. É completamente bagnata.

«Sei già pronta per me»

Muovo le dita lentamente, dentro e fuori, mentre


Anastasia inarca i fianchi e solleva le anche, venendomi
incontro.

«Sei una bambina avida» la rimprovero a bassa voce,


eccitato da lei, dal suo corpo, dal suo volere me.

Con il pollice le circondo il clitoride e premo,


sfregandolo. Geme sonoramente, perdendosi sotto le mie
carezze. Con la mano sinistra le sfilo la maglietta dalla
testa, in modo che possa guardarmi mentre la faccio mia.
Sbatte le palpebre, mentre si riabitua alla luce dell’abat-
jour.

«Voglio toccarti» sussurra all’improvviso.

«Lo so» le rispondo semplicemente.


“Ma non puoi, Anastasia”. Mi piego su di lei,
continuando ad esplorarla e stuzzicarla con le dita. Con
l’altra mano le afferro i capelli , immobilizzandole la testa.
La bacio, seguendo il ritmo dettato, più giù, dalle mia dita
dentro di lei. Inizia ad irrigidirsi. Sta per venire. “Oh, no,
Miss Steele”. Rallento, fino a fermarmi. La lascio calmare
e poi ricomincio a torturarla mentre geme.

«Questo è il tuo castigo, così vicino eppure così


lontano. È bello?» le sussurro all’orecchio.

Continua ad emettere suoni incontrollati,


completamente persa sotto di me, arrendendosi al mio
tormento impietoso.

«Ti prego» mi supplica alla fine.

Non resisto. D’altronde ho voglia di scoparla e di


vederla perdere il controllo sotto di me.

«Come devo scoparti, Anastasia?»

Brividi la scuotono nuovamente, mentre fermo di


nuovo il mio supplizio, lasciandola calmare.

«Ti prego» implora nuovamente.

«Cosa vuoi, Anastasia?»

«Te… adesso» urla, in preda al desiderio.

«Devo scoparti in questo modo o in quest’altro? O in


quest’altro ancora? Le possibilità sono infinite» le
mormoro contro la bocca.
Allungo una mano, prendendo il preservativo dal
comodino. Mi inginocchio tra le sue gambe, sfilandole
molto lentamente gli slip. La sua nudità mi fa impazzire.
Mi rialzo e infilo il preservativo, sotto il suo sguardo
incantato.

«È bello, questo?» la provoco, accarezzandomi


l’uccello, duro come il marmo.

«Era uno scherzo» piagnucola, contorcendosi.

Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo. “Uno


scherzo? Un cazzo di scherzo!?”. La furia mi acceca, ma
stranamente l’eccitazione cresce a dismisura. Continua a
sfidarmi, a disobbedire, a non prendersi cura di sé. E io
sono sempre più eccitato, arrabbiato e confuso. Alzo un
sopracciglio, domando la mia rabbia all’esterno.

«Uno scherzo?»

Il mio tono è minaccioso, mentre continuo lentamente


a masturbarmi di fronte a lei.

«Sì. Per favore, Christian» mi implora.

Il suo sguardo voglioso mi tiene incollato a lei.


“Guardami, Miss Steele. Guarda cosa mi fai”.

«Stai ridendo, adesso?» le chiedo severo.

«No»

La sua voce debole è ricolma di desiderio. La squadro


per un istante, dalla testa ai piedi. Voglio scoparla, ma
non come vorrebbe lei. Non le darò la soddisfazione di
fare a modo suo anche stavolta. La afferro, girandola di
colpo. “Ora ci divertiamo, Miss Steele”. La spingo sul
letto, mettendola in ginocchio. Il suo meraviglioso sedere
è completamente esposto. Non resisto. Sono incazzato,
eccitato, e ancora incazzato. La sensazione che provo ora
è qualcosa di molto simile alla frenesia. La sculaccio forte
e, prima che possa anche solo aprire bocca, la penetro a
fondo, con un solo colpo. Viene all’istante, urlando e
crollando sotto di me. Non mi fermo. Continuo ad
affondarle dentro ripetutamente e furiosamente. Sono
arrabbiato, si è presa gioco di me e io la desidero ancora.
“La desiderio sempre”. E questo pensiero mi colpisce
all’improvviso, accendendo il mio desiderio fino al limite.
La sento tendersi di nuovo sotto di me. Geme, incredula.

«Vieni, Anastasia, di nuovo» sibilo a denti stretti.

Il suo corpo reagisce all’istante, tremando e lasciandosi


andare in un nuovo e potente orgasmo.

«Christian!» grida forte il mio nome, mentre mi fermo.

Sentirla gridare a gran voce il mio nome mi dà l’ultimo,


decisivo colpo di grazia. Nessuna lo ha mai fatto. É un
suono straziante ed eccitante al tempo stesso. Il mio
desiderio esplode dentro di lei, mentre le crollo sfinito
addosso, ansimando.

«È stato bello, questo?» le chiedo, mentre ancora


entrambi stiamo respirando rumorosamente.

Mi sfilo da lei, rialzandomi immediatamente. Nella mia


testa si affacciano tutta una serie di pensieri che non
voglio analizzare troppo. Mi affretto a rivestirmi prima di
slegarla. Sono ancora turbato da quello che è appena
accaduto. La guardo mentre finisco di abbottonarmi la
camicia. É completamente nuda, a parte il reggiseno fuori
posto e la maglietta incastrata alle sue braccia, poco sopra
la testa. Il suo meraviglioso corpo candido si muove
ritmicamente, seguendo il suo respiro che ancora non si è
placato. É bellissima. Non smette mai di accendere il mio
desiderio. La prenderei di nuovo, ma non ho più
preservativi, è tardi e ancora non ho terminato di lavorare
alla mia relazione. Finisco di allacciare i bottoni e risalgo
sul letto, slegandole i polsi delicatamente. Infilo la
cravatta nella tasca dalla quale l’ho estratta prima,
mentre la guardo strofinarsi i polsi e sgranchirsi le dita.
Sembra quasi contenta dei leggeri segni lasciati dalla
stoffa sulla sua pelle. Si sistema il reggiseno, mentre mi
chino a coprirla con le coperte, sorridendole.

«È stato davvero bello» dice sorridendomi


timidamente di rimando.

«Di nuovo quella parola» rispondo contrariato.

«Non ti piace?»

«No. Non fa per me»

“Non sono un tipo romantico, Miss Steele. Non voglio


che sia bello. Voglio che sia intenso, forte, duro. Ma non
bello”.

«Mah, non saprei… Sembra averti fatto un effetto


benefico»
“Piccola impertinente!”.

«Un effetto benefico, eh? Continua pure a ferire il mio


ego, Miss Steele» le dico divertito.

«Non penso che il tuo ego abbia problemi»

«Dici?»

Corruga la fronte alla sua affermazione, mentre la


guardo curioso. Mi sdraio al suo fianco, tenendo la testa
rialzata, appoggiata su un gomito.

«Perché non ti piace essere toccato?» esordisce


all’improvviso.

“No, Miss Steele. Non è il momento dei discorsi troppo


complicati”.

«Perché no» taglio corto, avvicinandomi a lei e


baciandola piano sulla fronte. «Dunque, quella mail era il
tuo concetto di scherzo»

Annuisce. Sembra pentita. Ancora non riesco a credere


di esserci caduto come un coglione. Ma quello che mi
spaventa è il cumulo di sensazioni che ho provato quando
ho pensato che non mi volesse. É stato fuori dal comune.
Sembrava che mi stessero togliendo il terreno da sotto i
piedi. Non mi ero mai sentito così prima.

«Capisco. Dunque stai ancora considerando la mia


proposta?»
«La tua proposta indecente… Sì, la sto considerando.
Ma vorrei discutere di alcune cose»

Sorrido, divertito e soprattutto sollevato.

«Ci resterei male se non fosse così»

«Volevo scriverti, ma diciamo che mi hai interrotto»

«Coito interrotto»

«Vedi, sapevo che avevi un senso dell’umorismo


nascosto da qualche parte»

Mi sorride, sinceramente divertita, come del resto lo


sono io. Ma non deve rifarlo. Credere di averla persa è
stato terribile.

«Solo alcune cose sono divertenti, Anastasia. Pensavo


che volessi dirmi di no, senza discutere»

A malapena sono consapevole che il mio tono di voce


riflette tutta l’angoscia che ho provato prima. Anastasia si
fa seria.

«Non lo so ancora. Non ho preso una decisione. Mi


metterai un collare?»

Alzo le sopracciglia stupito. “Ha fatto i compiti, la


ragazzina”.

«Dunque, hai fatto le tue ricerche. Non lo so,


Anastasia. Non l’ho mai messo a nessuna»
«A te l’hanno messo?» mormora, arrossendo
leggermente.

«Sì» rispondo pacato.

«Mrs Robinson?»

«Già, Mrs Robinson!»

Scoppio a ridere fragorosamente. Paragonare Elena


alla co-protagonista de ‘Il Laureato’ mi sembra eccessivo,
ma in un certo senso calzante. Non riesco a smettere di
ridere. Sono sul suo letto, con la testa rovesciata
all’indietro e per la prima volta mi sento davvero felice,
rilassato. Ana ridacchia insieme a me.

«Le dirò che l’hai chiamata così. Le piacerà molto»

«La senti ancora?»

Sembra esterrefatta. Una strana espressione di stupore


le si dipinge sul viso.

«Sì» rispondo, improvvisamente serio.

Il suo umore cola notevolmente a picco. Mi guarda


accigliata.

«Ho capito» dice infine, in modo acido. «Dunque tu


hai qualcuno con cui parlare del tuo stile di vita
alternativo, mentre a me non è concesso»

Aggrotto la fronte, pensando alle sue parole.


«Non credo di aver mai pensato al nostro rapporto in
questi termini. Mrs Robinson faceva parte di quello stile
di vita. Te l’ho detto, ora siamo buoni amici. Se vuoi,
posso presentarti a qualcuna delle mie sottomesse
precedenti. Potresti parlare con loro»

Si gira di scatto, lanciandomi un’occhiataccia. Credo


stia tentando di uccidermi con lo sguardo.

«Questa sarebbe la tua idea di scherzo?»

«No, Anastasia»

Scuoto la testa, stupito dal suo tono. In effetti potrebbe


esserle d’aiuto parlare con qualcuna di loro. Magari
Susannah, la mia ultima sottomessa. Di certo non Leila,
ora che è sposata. Forse Elena stessa potrebbe fare al caso
nostro.

«Me la cavo da sola, grazie tante» sbotta,


interrompendo i miei pensieri e tirando su la trapunta
sino al mento.

«Anastasia, io…». Non so cosa dirle. Sembra


arrabbiata e io non so cosa dirle. Sono confuso dalla sua
reazione. «Non avevo intenzione di offenderti»

«Non sono offesa. Sono sgomenta»

«Sgomenta?»

La guardo senza capire.

«Non voglio parlare con una delle tue ex ragazze…


schiave… sottomesse… o come vuoi chiamarle»

Ma cosa cazzo le succede? Non sarà che…. “Merda”.

«Anastasia Steele, sei gelosa?»

Arrossisce violentemente, confermando il mio


pensiero. Non so se essere divertito dal suo
comportamento o preoccupato. Di certo sono eccitato. Il
pensiero che lei mi voglia al punto di non volere che
nessun’altra abbia a che fare con me riflette i mie
sentimenti nei suoi confronti. É così sbagliato, ma così
tremendamente eccitante.

«Ti fermi a dormire?» chiede, cambiando argomento.

«Ho una colazione di lavoro domani all’Heathman. E


poi te l’ho detto: non dormo con ragazze, schiave,
sottomesse, né con chiunque altro. La volta scorsa è stata
un’eccezione. Non ricapiterà più»

Sono determinato, ma la mia voce roca tradisce il


desiderio che questo, invece, accada di nuovo. Anastasia
mi restituisce una smorfia indispettita.

«Bè, adesso sono stanca»

«Mi stai cacciando?» le dico divertito, ma con una


punta di amarezza.

“Non voglio andarmene. Anche se devo”. La guardo


con le sopracciglia alzate, mentre lei si imbroncia,
dispettosa.
«Sì»

«Un’altra prima volta per me» osservo pensieroso.

Sono state tante le prime volte per me nell’ultima


settimana. E tutte con la dolce, impertinente ed
esasperante Miss Anastasia Rose Steele.

«Dunque, per il momento non vuoi discutere del


contratto?» aggiungo, sperando che dica di si, dandomi
un pretesto per rimanere.

«No» risponde lei stizzita.

Il suo tono mi indispettisce e mi fa venire voglia di


prenderla di nuovo. A modo mio.

«Dio, avrei voglia di dartele di santa ragione. Ti


sentiresti molto meglio dopo, e io pure» le dico d’un fiato.

«Non puoi dire queste cose… Non ho ancora firmato


niente» risponde sorpresa dalla mia uscita.

«Un uomo ha il diritto di sognare, Anastasia»

Mi chino su di lei, prendendole il mento con le dita.

«A mercoledì?» mormoro, baciando leggero le sue


labbra prima della sua risposta.

«A mercoledì. Ti accompagno alla porta, se mi dai un


minuto»

Si mette a sedere sul letto, prendendo la t-shirt e


spingendomi via da lei. Mi alzo, divertito, ma con poca
convinzione. La voglio di nuovo. Ma devo tornare in
albergo. E non ho preservativi con me.

«Per favore, passami i pantaloni della tuta» ordina


autoritaria.

Mi chino a prenderli da pavimento, con un sorrisetto


divertito sulle labbra.

«Sì, signora» la prendo in giro.

Mi guarda in cagnesco, mentre se li infila. É bellissima,


tutta in disordine. Si alza, prende un elastico da chissà
dove e si lega i capelli arruffati. Socchiude la porta e spia
fuori per controllare se Miss Kavanagh è nei paraggi. La
seguo fuori, in rigoroso silenzio, mentre lei rimugina, con
lo sguardo basso, su chissà cosa. “Perché devi pensare
così tanto, Anastasia”?. Mi guarda di sottecchi e noto che
la spavalderia di poco fa l’ha abbandonata del tutto.
Sembra triste, come se qualcosa di tremendamente
angusto le appesantisca il cuore. ‘Sei tu, Grey, che le
appesantisci il cuore’. Mi apre la porta, staccandomi dai
miei pensieri. Tiene gli occhi bassi, senza avere il coraggio
di guardarmi. Mi fermo sulla soglia, afferrandole il
mento, in modo da guardarla negli occhi. Aggrotto la
fronte davanti alla sua espressione tormentata.

«Tutto bene?» le chiedo preoccupato.

Lascio scorrere il pollice lungo il suo labbro inferiore.

«Sì» risponde poco convinta.


So che sta pensando a qualcosa, ma non riesco ad
afferrare cosa. Mi sembrava fosse andato tutto bene,
onestamente. Mi sembrava di averla lasciata soddisfatta.
E invece ora me la ritrovo qui davanti, con un’espressione
strana, sofferente per chissà quale motivo.

«A mercoledì» le dico poi, senza riuscire ad articolare


altro.

Mi chino per posarle un bacio leggero sulle labbra, ma


il bisogno di lei sceglie questo momento per riaffiorare.
Le mie labbra si fanno avidamente spazio sulle sue. La
tiro a me, afferrandole la testa con entrambe le mani,
mentre il mio respiro è di nuovo rotto dall’eccitazione e
dal bisogno. Di lei, di farla star bene e di stare bene
insieme a lei. Anastasia appoggia le mani sulle mie
braccia, rimanendo in equilibrio. Quel contatto mi ferma.
Poggio la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi,
spossato.

«Anastasia, cosa mi stai facendo?» mormoro, turbato


da tutto quello che mi sta succedendo dentro.

«Potrei chiederti la stessa cosa» risponde lei, quasi


rassegnata.

Sospiro pesantemente, chiudendo gli occhi e sapendo


che ora devo andarmene. Le do un ultimo bacio sulla
fronte e mi giro, allontanandomi deciso. Devo lottare
contro l’impulso di tornare indietro. “Cosa cazzo mi
succede?”. Mi passo una mano tra i capelli, aprendo i
polmoni a quanta più aria possibile e ritrovando un
briciolo di stabilità. Quando apro la portiera e mi giro a
guardarla lei è ancora lì, con lo sguardo perso nel mio. Le
sorrido calorosamente, mentre salgo in auto. Sorride
piano, mentre rientra chiudendosi dietro la porta.

Quindici minuti più tardi faccio ingresso nella mia


suite. Sospiro pesantemente, mentre mi dirigo in fretta
nello studio. Devo terminare la mia relazione, anche se so
che non sarà facile. Durante tutto il tragitto non ho fatto
altro che pensare a lei. Non so cosa aspettarmi da tutto
questo. Non mi è mai capitato qualcosa del genere. Non
sono mai stato attratto in questo modo da una donna.
Nemmeno da Elena. É qualcosa di nuovo, sconvolgente,
destabilizzante. Davanti ad Anastasia perdo tutte le mie
certezze di una vita. Non sono mai sicuro, non so mai se
sto facendo o meno la cosa giusta. E poi tutta questa
attesa per il contratto mi sta snervando. É la prima donna
a tenermi in sospeso. La prima a cui ho concesso questo
privilegio. Credo che farei di tutto pur di guardarla
perdersi dentro di me. Mi incanta, mi ammalia. É come se
mi avesse fatto un incantesimo quel giorno che è cascata
nel mio ufficio. Sorrido teneramente al ricordo della goffa
ragazzina bruna che arrossiva in continuazione. Chi
avrebbe mai immaginato che si rivelasse una così ardua
sfida? Ma forse è proprio questo che mi affascina più di
tutto. La sua impertinenza ed il suo carattere mi fanno
letteralmente impazzire. E allo stesso tempo mi eccitano.
É tutto nuovo. E l’insieme di tutto quello che è mi
confonde, fino a farmi perdere le mie certezze. Sospiro
mentre accendo il mio pc. “Devo lavorare”. Sbrigo in
fretta, anche se non senza difficoltà, la mia relazione,
preparando i dettagli per la riunione di domani. Mando
un messaggio a Taylor, che alloggia in una delle suite più
piccole, avvertendolo che domattina partiremo molto
presto per Seattle. Quando finisco, decido di inviare una
mail ad Anastasia.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 23 maggio 2011 23.16
Oggetto: Stasera

Miss Steele,
Non vedo l’ora di ricevere i tuoi commenti sul contratto. Per il
momento, dormi bene, piccola.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Chiudo il pc e faccio una doccia veloce prima di


mettermi a letto. Metto il BlackBerry sul comodino e fisso
il soffitto. Ho quasi paura ad addormentarmi. Rifletto sul
fatto che ho dormito veramente bene, come non mi
succedeva da tempo, solo con lei accanto. Scuoto la testa,
sorridendo. “Mi basta una piccola impertinente brunetta
per guarire da tutti i miei mali?”. Sento il telefono vibrare.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 00.02
Oggetto: Problemi

Caro Mr Grey,

ecco la mia lista di obiezioni. Non vedo l’ora di discuterle più


estesamente alla cena di mercoledì. I numeri si riferiscono alle
clausole.

2. Non sono certa che sia solo per il MIO beneficio, cioè per esplorare
la MIA sensualità e i MIEI limiti. Sono certa che per questo non mi
servirebbe un contratto di dieci pagine! Di certo il beneficio è anche
TUO.

4. Come sai, sei il mio unico partner sessuale. Non prendo droghe e
non ho mai fatto una trasfusione di sangue. Con ogni probabilità
sono al riparo da rischi. Cosa mi dici di te?

8. Posso rescindere il contratto in qualsiasi momento se mi sembra


che tu non ti attenga ai limiti concordati. Bene, questa mi piace.

9. Obbedirti in tutto? Accettare senza esitazioni la tua disciplina? Di


questo dobbiamo parlare.

11. Un periodo di prova di un mese. Non tre.

12. Non posso impegnarmi per tutti i weekend. Ho anch’io una vita, o
comunque l’avrò. Perché non tre su quattro?

15.2. Usare il mio corpo come ti sembra opportuno, a scopi sessuali e


non. Per favore, definisci “e non”.

15.5. Tutta questa clausola sulla disciplina. Non sono certa di voler
essere frustata, fustigata o sottoposta a punizioni corporali. Sono
sicura che questa sia una violazione delle clausole 2-5. E anche “per
qualsiasi altra ragione”. Questa è pura crudeltà, e mi avevi detto di
non essere un sadico.

15.10. Come se prestarmi a qualcun altro fosse un’ipotesi


contemplabile. Sono felice che sia nero su bianco.

15.14. Le Regole. Di questo discutiamo più avanti.

15.19. Toccarmi senza il tuo permesso. Che problema c’è? Tanto sai
che non lo faccio comunque.

15.21. Disciplina, vedi la sopracitata clausola 15.5.

15.22. Non posso guardarti negli occhi? Perché?

15.24. Perché non posso toccarti?

Regole
Sonno: accetterò 6 ore.
Alimentazione: non intendo mangiare cibi scelti da una lista. O la
lista, o me. Su questo non transigo.
Abbigliamento: finché si tratta di indossare i tuoi vestiti solo quando
sono con te, ci sto.
Esercizio fisico: avevamo concordato tre ore, questo contratto dice
quattro.

Limiti relativi
Possiamo rivederli insieme?
Niente fisting di nessun genere.
Cos’è la sospensione?
Pinze per genitali… vorrai scherzare.

Puoi farmi sapere l’orario per mercoledì? Quel giorno stacco alle
cinque del pomeriggio.

Buonanotte.

Ana

Leggo in fretta la sua mail, preoccupato dall’oggetto,


scorrendola fino alla fine. Mi fa sorridere il suo tono
autoritario. “Vuoi essere tu la mia Dominatrice, Miss
Steele?”. Clicco su “rispondi”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 00.07
Oggetto: Problemi

Miss Steele,
è una lunga lista. Perché sei ancora sveglia?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Risponde immediatamente.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 00.10
Oggetto: Ore piccole

Signore,

se ti ricordi, stavo scrivendo la lista quando sono stata distratta e


scopata dal maniaco del controllo che passava di qua.

Buonanotte.

Ana

Sorrido divertito, ma comunque contrariato dal fatto


che sia ancora sveglia quando domattina dovrà alzarsi
presto per il lavoro.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 00.12
Oggetto: In branda!

VAI A LETTO, ANASTASIA.

Christian Grey
Amministratore delegato e Maniaco del Controllo, Grey Enterprises
Holdings Inc.

Invio, soddisfatto per la piccola aggiunta alla mia


firma. Smette di rispondermi, probabilmente arrabbiata a
causa del mio tono. Ma non mi importa. Deve dormire.
Devo anch’io, oltretutto. Scorro le ultime mail, aprendo
quella con le sue obiezioni. La rileggo attentamente.
Quando ho finito, la rileggo di nuovo. Dal suo tono si
capisce perfettamente che non ha intuito per niente il suo
ruolo, in tutto questo, qual è. Non sa minimamente cosa
vuol dire essere una vera Sottomessa. Anzi, non ha
neppure un’idea aleatoria del concetto. Mi soffermo sul
sollievo espresso nei confronti della possibilità di
rescindere il contratto. Il suo spavento è evidente. “Ma io
non voglio spaventarla”. La sua reticenza ad obbedire, mi
fa sorridere. Non credo che la sua obbedienza possa
durare per lunghi periodi. Avrà sempre qualcosa da
ridire. E questo vorrà dire che avrò sempre un motivo per
punirla. E questa consapevolezza mi eccita da morire. Se
solo penso a quello che potrò farle, a quanto potremo
sperimentare insieme. Sono contrariato dal suo limite di
un mese alla nostra relazione, con un weekend libero. Io
sarei pronto ad estenderlo anche ad un anno. Voglio lei.
Dubito che questo possa stancarmi presto. “Tutta questa
clausola sulla disciplina. Non sono certa di voler essere
frustata, fustigata o sottoposta a punizioni corporali.
Sono sicura che questa sia una violazione delle clausole 2-
5. E anche ‘per qualsiasi altra ragione’. Questa è pura
crudeltà, e mi avevi detto di non essere un sadico”. Mi
soffermo su questa sua obiezione. “Dritta al punto come
sempre, Miss Steele”. Non posso dirle che sono un sadico.
Si spaventerebbe ancora di più e scapperebbe subito,
senza darmi neppure una possibilità. Dovrò decidere
come affrontare questo ostacolo senza rivelarle l’oscuro
segreto che mi trascino dietro. E ancora, toccarmi. So che
lo vuole. Ma so anche di non poterlo fare. Le sue obiezioni
alle regole e ai limiti assoluti e relativi, invece, mi fanno
sorridere abbastanza. É possibile trovare qualcosa su cui
non abbia da ridire? É tardi, ma decido comunque di
rispondere alla sua mail. Avvio Google, cercando la
definizione di Sottomessa e copiandola.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 01.27
Oggetto: Le tue obiezioni

Cara Miss Steele,

dopo un più attento esame delle tue osservazioni, posso permettermi


di attirare la tua attenzione sulla definizione di “Sottomessa”?

sottomesso – part. pass. di sottomettere, anche agg.


1. incline o pronto a sottomettersi; persona che obbedisce umilmente
e senza resistenze: “un servo sottomesso”.
2. caratterizzato da o indicante sottomissione: “un comportamento
sottomesso”.
Dal latino submittere, mettere sotto.
Sinonimi: 1. arrendevole, compiacente, adattabile, condiscendente. 2.
passivo, rassegnato, paziente, docile, domato, soggiogato.
Contrari: 1. ribelle, disobbediente.

Per favore, tienilo a mente durante il nostro incontro di mercoledì.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Poggio soddisfatto il BlackBerry sul comodino. “Rifletti


su questo, Miss Steele”.
Capitolo 13
Ho appena concluso la mia riunione di lavoro a
Portland e sto tornando all’Escala per recuperare delle
cose a casa e pranzare con Elena. Forse lei potrà aiutarmi
a fare chiarezza su quel tornado dagli occhi azzurri di
nome Anastasia Steele. Quando entro nel mio
appartamento, inizio lentamente a scaricare tutta la
tensione accumulata. Poggio la mia cartella di cuoio
marrone sul divano e mi dirigo verso il bagno. Apro
l’acqua calda, che inizia a scorrere, e torno in camera da
letto, dove mi spoglio del tutto. Mi infilo sotto la cascata
calda e, in fretta, faccio una doccia purificatrice. Dieci
minuti più tardi sono già vestito con un paio di pantaloni
scuri e una camicia di lino bianca e sto facendo ingresso
in sala da pranzo, dove un’efficiente Mrs Jones è al lavoro
dietro i fornelli. Mi fa un ampio sorriso, mentre mi dirigo
nel mio studio. Sono stato davvero fortunato, quattro
anni fa, a trovare sia lei che Taylor. Discreti, efficienti,
infaticabili. A differenza di quello che si può pensare dai
miei modi bruschi, sono davvero affezionato a Gail e
Jason. Non a caso ho destinato un’intera ala del mio
appartamento alla loro convivenza. Professionale e, da
qualche tempo, sentimentale. Mi siedo alla mia scrivania,
cercando di lavorare, ma i miei pensieri sono altrove. Mi
ritrovo a giocherellare con la mia stilografica, con lo
sguardo perso nel vuoto. So che dovrei mettere le cose in
chiaro con Anastasia. Quest’attesa mi logora, mi
distrugge e mi rende emotivamente instabile. Cosa che
non mi succedeva da anni. “Meglio parlare prima con
Elena”. ‘Magari parlare anche con Flynn non sarebbe una
cattiva idea, Grey’. Annoiato, controllo le mail sul
BlackBerry. Anastasia non ha ancora risposto all’ultima
che le ho inviato. Sorrido tristemente tra me e me. Starà
pensando a qualcosa di arguto e pungente da dirmi. O
probabilmente non ha ancora controllato la posta
elettronica. E io sono qui, come un fottuto cagnolino, ad
aspettare che lei mi sorrida per scodinzolare. “Dovrei
regalarle un BlackBerry”. Taylor mi strappa bruscamente
dai miei pensieri, bussando alla porta dello studio.

«Mrs Lincoln sta salendo, signore»

A Taylor non piace Elena, ma è molto discreto nel


darlo a vedere. Sorrido tra me e me, mente rientro nel
salone. Elena è appoggiata al bancone della cucina.
Indossa un pantalone nero, dal taglio classico ed elegante,
ed una camicetta semitrasparente di un blu intenso. I
suoi corti capelli biondi scintillano alla luce del sole che
entra dalla vetrata che affaccia sul terrazzo. Il suo viso si
illumina con un grande sorriso non appena mi scorge.
Smette di giocherellare con i due grossi anelli che indossa
e si rialza. É alta quasi quanto me sui suoi tacchi
vertiginosi. É appariscente, bella, sensuale. Come sempre.
E una volta ero pazzo di lei. Ma ora quello che ci lega sono
solo gli affari.

«Christian!»

Mi bacia su entrambe la guance quando mi avvicino,


sorridendo calorosamente. Il contatto non mi crea nessun
problema. Con Elena posso stare tranquillo.

«Benvenuta, Elena. Accomodati»

Le sorrido mentre le indico con la mano lo sgabello


dietro le sue spalle. Mi siedo accanto a lei, in modo che
possa guardarla in faccia. Mrs Jones poggia sul bancone,
completamente imbandito, i piatti con il pollo alla
cacciatora, per poi dileguarsi discretamente, lasciandoci
da soli. Elena deposita la sua enorme borsa blu sullo
sgabello accanto al suo e si siede, pronta ad ascoltarmi.

«Mi hai detto che era urgente, Christian. Cos’è


successo?»

Fisso il cibo nel mio piatto. Mi sento come se dovessi


confessare una marachella a mia madre. Quando alzo lo
sguardo lei mi sta guardando, in attesa.

«Dovremmo cominciare a mangiare, Elena. Come sta


Isaac?»

Isaac è il suo nuovo schiavo. Ha pressappoco la mia età


e lei si dilunga nei particolari della loro relazione mentre
le verso del vino nel bicchiere. Ascolto la mia
interlocutrice senza prestarle davvero attenzione. A
riportarmi alla realtà è Elena stessa, che mi schiocca le
dita davanti agli occhi.

«Mi dici cosa c’è che non va, Christian?»

Alza le sopracciglia, guardandomi con aria


preoccupata. Sospiro pesantemente.

«Si tratta di una nuova Sottomessa»

Elena sorride, visibilmente rilassata, tornando ad


occuparsi della sua porzione di pollo.
«Non sapevo che ne stessi cercando una nuova.
Dimmi, come è andato il colloquio preliminare?»

«Non c’è stato nessun colloquio preliminare. Diciamo


che mi è caduta tra le braccia. Nel senso letterale della
frase»

Le racconto brevemente di come ho conosciuto


Anastasia e del nostro strano accordo-non accordo. Mi
guarda scioccata.

«Una vergine, Christian? Non sarà forse troppo


inesperta?»

«Forse. Ho il dubbio che non possa essere davvero una


buona Sottomessa. É così indisponente, cazzo!»

Elena ridacchia, guardandomi con affetto.

«Le ho raccontato di noi. Senza scendere nei dettagli,


ovvio»

Mentre pronuncio questa frase mi rendo conto che il


nodo della questione è questo. Perché ho sentito il
bisogno di raccontarle così tanto di me?

«Come mai ne hai sentito il bisogno?»

La domanda di Elena riecheggia i miei pensieri. La


guardo, cercando di interpretare la sua espressione. Mi
sembra sia leggermente sbiancata all’improvviso.
Probabilmente teme mi sia fatto sfuggire il suo nome.
«Tranquilla, Elena. Non le ho rivelato niente di
particolare. Forse volevo solo che si fidasse di me, che
sapesse che conosco bene la sensazione»

Sospira, senza aggiungere nulla. Gioca con la forchetta


e il cibo, pensierosa. Mi sento quasi obbligato a darle
qualche altra spiegazione. Non so nemmeno io perché.

«Volevo che si fidasse di me. Non ho mai desiderato


nessuna in questo modo. Volevo fosse mia e credevo che
una volta che l’avessi scopata la sensazione di vuoto che
provo quando non c’è sarebbe passata. E invece….»

Mi fermo, agitando in aria la mano e scuotendo la


testa, senza riuscire a trovare le parole giuste. Elena mi
fissa. Ancora una volta non so cosa le passa per la mente.
“Dimmi qualcosa, cazzo”. Il silenzio è assordante, non
riesco a non riempirlo di banali scuse al mio
comportamento. Mi sento come se avessi tradito Elena e
tutto il mondo in cui lei stessa mi ha introdotto per
buttarmi a capofitto in qualcosa di proibito.

«É solo… è solo che non riesco a starle lontano. Mi


attrae ad un livello profondo. E il fatto di averla
posseduta io soltanto mi fa sentire… potente. Per la prima
volta ho trovato una persona che può essere
completamente mia. In tutto. E poi… poi la desidero.
Sempre. Voglio possederla costantemente, non sono mai
sazio di lei, mai appagato fino in fondo. Ho bisogno di
sentirla, vederla, saperla al sicuro. Anche se mi sfida, mi
provoca, mi risponde in modo impertinente o non fa mai
quello che le dico di fare. La sua sfida nei miei confronti
mi confonde. Mi fa infuriare. Ma allo stesso tempo mi
eccita da morire»
Elena sposta il suo braccio, poggiando la mano sul mio.
Mi accarezza, senza guardarmi. Dopo qualche attimo di
silenzio, torna a fissare il suo piatto. “Perché si comporta
in questo modo? É così sbagliato quello che ho fatto?”.

«Ti ha chiamata Mrs Robinson» le mormoro, cercando


di farla sorridere.

Scoppia a ridere, ma in qualche modo quel suono è


strano. Una risata vuota. Solo rumore, senza nessuna
emozione sincera.

«Perdonami, Christian. Ma credo che questo tipo di


rapporto in cui sei andato ad infilarti non faccia per
niente al caso tuo. Mi sembra evidente, da quello che mi
hai raccontato, che tu e questa ragazzina vi trovate su
piani completamente differenti. Non fa parte del nostro
mondo e, inesperta com’è, non credo possa arrivare a
comprenderlo del tutto. Suppongo che prima o poi
inizierà a volere molto di più da questa relazione. Perché
la realtà è questa, volete cose diverse. Non credo affatto
che lei possa essere una buona Sottomessa. E avere lei
vorrebbe dire rinunciare completamente al tuo mondo.
Sei pronto a farlo e a tornare a tutto il caos di prima?»

La fisso sconcertato, a bocca aperta, senza rispondere.

«Scusa la franchezza, Christian. Ma volevi la mia


opinione»

Torna ad occuparsi del suo cibo, con aria


apparentemente indifferente, lasciandomi a riflettere
sulle sue parole. Ha ragione. Ricordo perfettamente
com’era prima. Com’era il mio mondo prima di riuscire a
definirne i contorni. Forse è davvero impossibile che tra
me e Anastasia funzioni. Di nuovo, Elena interrompe i
miei pensieri.

«Ora devo lasciarti Christian. Devo passare al salone di


bellezza. Grazie per il pranzo»

Mi sorride, mentre mi alzo insieme a lei,


accompagnandola alla porta. Chiamo l’ascensore, assorto
nei miei pensieri. Elena si avvicina, accarezzandomi
teneramente il viso.

«Non lasciarti sopraffare, Christian. Tu sei il signore


del tuo universo. Hai bisogno di quel controllo. Nessuno
può togliertelo»

Le porte dell’ascensore si aprono e lei mi deposita


velocemente un casto bacio all’angolo della bocca prima
di sparirvi all’interno. Torno dentro, rimuginando su
quanto mi ha appena detto. So perfettamente che Elena
ha ragione. Ho faticato tanto per arrivare ad essere quello
di oggi. Ho bisogno delle mie regole, del controllo e di
contorni definiti, che tengano soprattutto fuori le mie
fragilità. Ma dentro di me so anche di aver bisogno di
Anastasia. Sospiro, mentre torno in camera a prepararmi
per ripartire. Il mio umore sta decisamente colando a
picco.
Dopo essere passato in ufficio a discutere con Ros
dell’esito della riunione di questa mattina, sono di nuovo
in viaggio verso Portland. L’incontro con Elena non ha
chiarito nulla, anzi. Mi sento ancora più combattuto, se
possibile. Ho l’umore a terra. Il mio BlackBerry suona.
Apro l’mail appena arrivata.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 18.29
Oggetto: Le mie obiezioni… E le tue?

Signore,

ti prego di notare la lontana origine del termine. Vorrei


rispettosamente ricordare a vossignoria che l’anno in corso è il 2011.
Dall’epoca romana sono stati fatti molti passi avanti. Mi permetto di
offrirti anch’io una definizione su cui riflettere in vista del nostro
incontro:

compromesso – sostantivo maschile


1. appianamento delle differenze per mezzo di reciproche
concessioni; accordo raggiunto trattando su rivendicazioni e principi
conflittuali o contrastanti, tramite la vicendevole modifica delle
rispettive esigenze.
2. il risultato di tale accordo.
3. via di mezzo tra cose diverse: “La villetta a schiera è un
compromesso tra un condominio e un’abitazione isolata”.
4. agg. danneggiato, spec. di reputazione; esposizione al rischio, al
sospetto ecc.: “la sua integrità è compromessa”.

Ana

Sorrido amaramente. Elena aveva ragione più di


quanto io credessi. Forse non riuscirà mai a darmi quello
che voglio. Eppure non posso fare a meno di notare come,
nonostante l’impertinenza, non abbia tutti i torti. Le ho
proposto io di trovare un punto d’incontro. “Attenta e
puntigliosa come sempre, Miss Steele”. Forse riusciremo
a trovare un accordo domani sera. Il pensiero mi dà una
piccola speranza.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 18.32
Oggetto: E le mie obiezioni?

Un punto per te, come al solito, Miss Steele. Vengo a prenderti


domani alle 19.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 18.40
Oggetto: 2011 – Le donne possono guidare

Signore,

io possiedo un’automobile. Ho la patente. Preferirei incontrarti da


qualche parte. Dove ci vediamo? Al tuo hotel alle 19?

Ana

É irritante ed esasperante persino via mail.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 18.43
Oggetto: Giovani donne caparbie

Cara Miss Steele

faccio riferimento alla mia mail inviata il 24 maggio 2011 all’1.27 e


alla definizione lì contenuta. Pensi che sarai mai in grado di fare
quello che ti viene detto?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 18:49
Oggetto: Uomini intrattabili

Mr Grey,

ho voglia di guidare.
Per favore.

Ana

Avrei voglia di sculacciarla quando non riesce a fare


quello che le dico. Ma decido che è meglio acconsentire.
Magari riesco ad ammorbidirla prima di domani. E si
sentirà più tranquilla, forse, sapendo di poter andare via
quando vorrà. Tuttavia non riesco a nascondere di essere
irritato.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 18:52
Oggetto: Uomini esasperati

D’accordo. Al mio hotel alle 19. Ci vediamo al bar al pianterreno.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 24 maggio 2011 18.55
Oggetto: Uomini non così intrattabili

Grazie.

Ana X
Il suo bacio, alla fine della mail, mi fa sorridere.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 24 maggio 2011 18.59
Oggetto: Donne esasperanti

Prego.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Quando arrivo all’Heathman, mi cambio, indossando


la tuta. Ho bisogno di andare a correre. Sorrido,
pensando che appena ieri sera ho preso in giro Anastasia
per questo. Riesco a fare un bel po’ di chilometri prima di
decidermi a tornare nella mia suite e buttarmi sotto la
doccia. Il getto d’acqua calda mi rilassa, mentre la
tensione della giornata appena trascorsa mi scivola
lentamente di dosso. Infilo in fretta i pantaloni del
pigiama, dopo essermi asciugato, e torno in sala da
pranzo per la cena. Mentre consumo il mio pasto solitario
ripenso all’incontro con Elena. Mi è sembrata molto
contrariata dal mio racconto. Non è da lei. Di solito mi
pressa per conoscere le mie Sottomesse e mi chiede di
portarle al salone di bellezza che gestisce, per darmi la
sua opinione. In effetti non ha minimamente contemplato
la possibilità per Anastasia. Probabilmente è davvero
convinta che lei non sia una buona partner per me.
Tuttavia la risolutezza di giudizio di Elena non cambia, di
fatto, quello che provo. Voglio dare a Miss Steele una
possibilità. E voglio darla a me stesso. Voglio davvero
provare a far funzionare le cose. Non mi va di perderla.
Mi alzo dal tavolo e vado nello studio. Accendo il pc e mi
rimetto a lavoro. É quasi mezzanotte quando finalmente
finisco di redigere il progetto di acquisizione per la nuova
società a Portland. Mi alzo e vado in camera da letto.
Lentamente, e controvoglia, scivolo in un sonno profondo
dettato dalla stanchezza, animato da tristi occhi azzurri
che mi implorano di fare qualcosa. Anche se non afferro
bene cosa.

L’indomani mattina mi sveglio presto. Ho un po’ di


lavoro arretrato da completare prima della
videoconferenza di questo pomeriggio. La giornata
sembra interminabile e neppure l’allenamento riesce a
farmi scaricare tutta la tensione accumulata. Non vedo
l’ora di vedere Anastasia. “Questa potrebbe essere la volta
buona”. Mi preparo trattenendo a stento l’agitazione. E la
mia erezione. Manca un quarto d’ora alle sette quando
faccio il mio ingresso trionfale nel bar dell’Heathman. Mi
avvicino al bancone ed ordino un bicchiere di Sancerre,
uno dei miei vini preferiti. Ho fatto preparare anche una
saletta privata per la cena e ho già ordinato tutto. Ma
quello che realmente mi interessa è il dopocena. In realtà
ho già in mente qualcosa. Nella tasca interna della giacca
ho uno di quei graziosi ed efficaci ovetti vibranti che si
azionano a distanza. Arriva direttamente dalla Stanza dei
giochi. Potrebbe essere davvero interessante scoprire
l’effetto che hanno su Miss Steele. Controllo il mio
abbigliamento. Ho indossato una camicia bianca, di lino, i
jeans neri e giacca e cravatta sempre nere. I miei capelli
hanno preso ognuno una direzione diversa, ma non ci
faccio mai caso onestamente. ‘Ti stai davvero
preoccupando del fatto che ti trovi carino, Grey?’.
Sorseggio l’ottimo vino bianco, guardandomi
nervosamente intorno. Dovrebbe arrivare a momenti.
Spero sia puntuale. Odio i ritardatari. Bevo un altro sorso
di vino e sospiro pesantemente. “Sono così agitato,
cazzo!”. Il mio cuore manca un battito quando la scorgo
all’ingresso. Poi riprende la sua corsa, impazzito. “Wow!”.
Sono letteralmente senza fiato. Ha i capelli castani sciolti,
che le ricadono morbidamente sulle spalle. É avvolta in
un meraviglioso tubino color prugna e indossa un paio di
tacchi a spillo dello stesso colore, abbinati ad una piccola
borsetta. Le sue magnifiche gambe scoperte mi rievocano
dolci ricordi. É dannatamente sexy. Rimango interdetto
per qualche secondo, sbattendo le palpebre dinnanzi a
quella visione celestiale. Il mio uccello si produce in una
poderosa erezione, che dubito di riuscire a nascondere al
pubblico. Le rivolgo un sorrisetto provocante, mentre mi
avvicino.

«Sei splendida» mormoro quando la raggiungo,


chinandomi a baciarle la guancia. «Un vestito, Miss
Steele. Hai tutta la mia approvazione»

Le prendo un braccio, accompagnandola verso un


separé. Con un cenno chiamo il cameriere.

«Cosa bevi?»

Lei mi fa un sorriso furbo.

«Quello che stai bevendo tu, grazie» dice, con tutta la


grazia di questo mondo.

Sorrido, divertito dalla sua insolita spavalderia. Ordino


un altro bicchiere di Sancerre e mi siedo di fronte a lei.

«Qui hanno un’ottima cantina»


Vengo subito distratto dai suoi occhi ricolmi d’ansia. Il
desiderio mi attanaglia le viscere e mi sento attratto verso
di lei da una misteriosa carica elettrica che ho già
sperimentato nell’ascensore dell’Heathman la scorsa
settimana. Appoggio i gomiti sul tavolo, unendo le dita
dinnanzi alla bocca, in piena contemplazione della
magnifica opera d’arte umana che mi siede di fronte. Mi
guarda, agitandosi e riabbassando subito lo sguardo. Il
suo respiro accelera, animandole il petto.

«Sei nervosa?»

«Sì»

Mi chino verso di lei, con fare cospiratorio.

«Anch’io» sussurro.

Alza lo sguardo di scatto, incredula, come se facesse


fatica ad accettare le mie parole come vere. E invece è
così. Per la prima volta nella mia vita sento, anzi so, di
non avere il completo controllo della situazione. Sono in
attesa di una sua decisione. Potrebbe accettare o rifiutare.
Forse avrei dovuto ascoltare Elena, ma desidero
Anastasia in un modo così intenso, così sconosciuto e
primordiale. Ho il dovere di non lasciare nulla di
intentato per averla. Deve essere mia. Un modo lo
troveremo. Il cameriere interrompe il nostro silenzio,
portando un calice di vino per Anastasia, noci ed olive.

«Dunque, come procediamo?» mi chiede


all’improvviso. «Esaminiamo i punti che ho sottolineato
uno per uno?»
Sorrido.

«Impaziente come sempre, Miss Steele»

«Se vuoi, allora, possiamo parlare del tempo»

«Non mi è sembrato che il tempo avesse niente di


eccezionale, oggi»

Prendo un’oliva dal piattino e osservo i suoi occhi


fissarmi avidamente le labbra, arrossendo. Mi eccito
immediatamente.

«Mi prendi in giro, Mr Grey?»

«Sì, Miss Steele»

«Tu sai che questo contratto non ha valore legale»

«Lo so perfettamente, Miss Steele»

«Avevi intenzione di dirmelo, prima o poi?»

Aggrotto la fronte. “Hai una bella opinione di me, Miss


Steele!”. ‘Non che tu faccia molto per farti apprezzare da
lei, Grey’.

«Pensavi che ti costringessi a fare qualcosa che non


vuoi fare e poi fingessi di avere qualche diritto legale su di
te?»

«Ecco… sì»
«Non hai un’opinione molto alta di me, vero?»

«Non hai risposto alla mia domanda»

Mi rende nervoso il suo atteggiamento. Ripenso alle


parole di Elena. “Dovresti lasciar perdere. É evidente che
siete su due piani diversi”.

«Anastasia, non importa se è legale o no. Rappresenta


un accordo che vorrei stringere con te: quello che vorrei
da te e quello che tu puoi aspettarti da me. Se non ti
piace, allora non firmarlo. Se lo firmi e poi decidi che non
ti piace, ci sono clausole che ti permettono di uscirne.
Anche se fosse legalmente vincolante, pensi che ti
trascinerei in tribunale se tu decidessi di filartela?»

Si agita di nuovo, bevendo un abbondante sorso di


vino. Ho notato che lo fa quando si sente insicura. E
diventa molto più sciolta. Continuo ad incalzarla,
cercando di spiegarle chiaramente quello che voglio da
lei.

«Questo tipo di relazioni si basa sull’onestà e sulla


fiducia. Se non ti fidi di me, se credi che io non conosca
l’effetto che ho su di te, che non sappia fin dove posso
spingermi, fin dove posso portarti, se non sei in grado di
essere onesta con me, allora è meglio che lasciamo
perdere»

So bene di suonare duro con le mie parole. Le sto


sbattendo in faccia la realtà. Ma forse è meglio così.
«Dunque, Anastasia, il discorso è semplice. Ti fidi di
me o no?»

La guardo fisso, ardendo di desiderio.

«Hai avuto discussioni simili con… ehm… le altre


quindici?»

La sua domanda mi spiazza un po’.

«No» rispondo dopo un attimo.

«Perché?»

«Perché erano tutte sottomesse convinte. Sapevano


cosa volevano da una relazione con me e, a grandi linee,
che cosa mi aspettavo. Con loro era solo una questione di
mettere a punto i limiti relativi, e dettagli del genere»

«C’è un negozio in cui ci si rifornisce? Tipo


“Schiave&Co.”?»

Scoppio a ridere di gusto.

«Non proprio» le rispondo, guardandola con affetto.

«E allora come si fa?»

«È di questo che vuoi parlare? O vogliamo venire al


dunque? Alle tue obiezioni, come dici tu»

L’atmosfera si fa di nuovo seria. Deglutisce a fatica,


sospirando piano. Cerco di metterla più a suo agio.
«Hai fame?»

«No»

«Hai mangiato oggi?»

Mi guarda, improvvisamente in ansia. E so che non ha


mangiato.

«No» risponde alla fine, la voce a malapena udibile.

La guardo di traverso.

«Devi mangiare, Anastasia. Possiamo cenare qui o


nella mia suite. Come preferisci»

«Penso che dovremmo stare in pubblico, su un terreno


neutrale»

Sorrido perfidamente alla sua affermazione.

«Pensi che questo mi fermerà?» le chiedo piano.

Anastasia spalanca gli occhi per lo stupore.

«Lo spero!» esclama.

Ma neppure lei ne sembra convinta del tutto.

«Vieni, ho prenotato una saletta privata. Niente


pubblico»
Le faccio un sorriso carico di promesse, alzandomi ed
uscendo dal séparé, tendendole la mano.

«Portati il vino» mormoro mentre mi afferra la mano,


seguendomi sullo scalone, fino al mezzanino.

Un cameriere in livrea si avvicina.

«Mr Grey, da questa parte, prego»

Ci fa strada attraverso un magnifico soggiorno, fino ad


arrivare alla sala da pranzo privata che ho prenotato.
L’atmosfera è intima, grazie al legno del rivestimento
delle pareti. Il tavolo è perfettamente apparecchiato con
bicchieri di cristallo, posate d’argento. Al centro, un
bellissimo mazzo di rose bianche, al di sopra del quale
brilla sontuoso lampadario scintillante. Il cameriere
scosta gentilmente la sedia di Anastasia, stendendole il
tovagliolo in grembo una volta accomodata. L’ansia la sta
divorando. Si morde il labbro, stringendo forte con i
denti. “Quanto vorrei essere io a farlo, Anastasia”. Mi
siedo di fronte a lei, senza smettere di guardarla.

«Non morderti il labbro» sussurro.

Aggrotta la fronte, rendendosi conto del suo gesto.

«Ho già ordinato. Spero che non ti dispiaccia»

«Per me va bene» mi dice, quasi sollevata.

«È bello sapere che riesci a essere malleabile. Dunque,


dove eravamo?»
«Dovevamo venire al dunque»

Beve ancora dal calice di vino. Qualcosa le attraversa la


mente ed arrossisce di colpo. Non voglio metterla a
disagio ulteriormente, quindi ignoro le sue reazioni e tiro
fuori dalla tasca la sua mail.

«Già, le tue obiezioni»

La apro, scorrendola con gli occhi. “A noi due, Miss


Steele”.

«Clausola 2. Concessa. Il beneficio è di entrambi. Devo


riformulare»

Non alzo gli occhi dal foglio, ma posso sentire la sua


ansia crescere. Di sfuggita, noto che sta bevendo di
nuovo.

«La mia salute sessuale. Dunque, tutte le mie partner


precedenti avevano fatto il test, io mi sottopongo ogni sei
mesi agli esami per le malattie citate. Gli ultimi sono
negativi. Non ho mai fatto uso di droghe. Per dirla tutta,
sono assolutamente contrario alla droga. In azienda
conduco una politica di tolleranza zero, e faccio test a
campione sui dipendenti»

Alzo gli occhi mentre parlo e la scruto attento e serio.


Mi guarda sbalordita. Dopo quello che ho passato non c’è
da stupirsi della mia fissazione con la droga.

«Non ho mai fatto trasfusioni di sangue. È una risposta


soddisfacente alla tua domanda?»
Annuisce semplicemente, senza parlare. So di essere
molto secco e diretto. La verità è che non voglio
permettere a questi nuovi e sconosciuti sentimenti, che
mi animano quando sono con lei, di prendere il
sopravvento.

«Al punto successivo ho accennato prima. Puoi


andartene quando vuoi, Anastasia. Io non ti fermerò. Se
te ne vai, però, è finita. Mi sembra giusto che tu lo
sappia»

«D’accordo»

Il suo è un mormorio basso, senza convinzione.


Sembra afflitta da quella prospettiva. ‘Anche tu lo sei,
Grey’. Il cameriere porta il primo piatto del menù.
Ostriche su ghiaccio.

«Spero che le ostriche ti piacciano» mormoro,


osservando il suo stupore.

«Non le ho mai mangiate»

«Davvero? Bene»

Ne prendo una, facendole vedere come si fa.

«Non devi far altro che infilartele in bocca e deglutire.


Penso che tu possa farcela»

La guardo malizioso e il doppio senso non le sfugge.


Arrossisce violentemente. Le sorrido divertito, mentre
spruzzo del limone sulla mia ostrica e la mando giù,
ingoiando.

«Mmh, deliziosa. Sa di mare. Coraggio!» la esorto


sorridendo.

«Quindi, non devo masticarla?» dice esitante.

«No, Anastasia»le rispondo divertito.

Si morde il labbro, agitata. La mia eccitazione cresce


nei miei pantaloni e la guardo severamente. “Smettila.
Smettila subito, cazzo!”. Anastasia prende un’ostrica,
spruzza sopra del limone, imitandomi, e se la infila in
bocca. Socchiudo gli occhi, mentre la lascia scivolare
lentamente giù per la gola. É davvero eccitante
vederglielo fare.

«Allora?» le chiedo curioso.

«Ne prendo un’altra»

«Brava bambina»

Le sorrido soddisfatto.

«Le hai scelte apposta? Non sono note per le loro


proprietà afrodisiache?»

«No, sono il primo piatto del menu. Quando sono con


te non ho bisogno di afrodisiaci. Penso che tu lo sappia, e
che valga la stessa cosa per te nei miei confronti» dico
semplicemente, prima di riprendere a guardare il foglio
che ho in mano, mentre lei prende una seconda ostrica,
leggermente soddisfatta.
«Bene, dove eravamo? Obbedirmi in tutto. Sì, è questo
che voglio da te. È quello di cui ho bisogno. Consideralo
un gioco di ruolo, Anastasia»

«Ma ho paura che tu mi faccia male»

La fisso, senza riuscire a capire fino in fondo a cosa si


riferisca.

«Che tipo di male?»

«Male fisico» risponde esitante.

Ho il sospetto che non sia davvero quello che avrebbe


voluto dirmi.

«Pensi davvero che lo farei? Pensi che oltrepasserei i


limiti che hai fissato?»

«Hai detto di aver fatto male a qualcuna prima di me»

Aggrotto leggermente la fronte. “É questo che la


preoccupa davvero?”

«Sì. È stato molto tempo fa»

«Com’è successo?»

“Cazzo”. Non mi va di rievocare la storia di Jennipher.

«Ho appeso una donna al soffitto della stanza dei


giochi. A proposito, questa è una delle tue domande. La
sospensione… È a quello che servono i moschettoni. Una
delle corde era legata troppo stretta»

Mi ferma immediatamente, alzando una mano.

«Non ho bisogno di sapere di più. Dunque, non mi


sospenderai»

«No, se non vuoi. Puoi indicarlo come limite assoluto»

«Va bene»

«Per quanto riguarda l’obbedienza, pensi di potercela


fare?». Alzo la testa e la fisso risoluto. Il silenzio tra di noi
diventa assordante.

«Potrei provarci» sussurra piano, dopo un’eternità.

Sorrido rilassato.

«Bene. Per quanto riguarda la durata. Un mese invece


di tre è troppo poco, soprattutto se vuoi un weekend
libero al mese. Non penso che potrò starti lontano per
tanto tempo. Faccio fatica anche adesso». Mi interrompo
di colpo. Mi sto svelando un po’ troppo. Sospiro
brevemente. «Che ne dici di prenderti un giorno di un
weekend al mese, ma in cambio io mi prendo una notte
infrasettimanale di quella settimana?»

«Va bene» acconsente.

«E per favore, proviamo per tre mesi. Se la cosa non fa


per te, puoi andartene quando vuoi»

«Tre mesi?»
Ha lo sguardo terrorizzato. Prende il bicchiere del vino
e beve un sorso abbondante. Afferra una terza ostrica,
facendola scivolare giù per la gola. Sembra distratta.
Scorro ancora la lista. Devo convincerla che è la scelta
giusta. Che io sono la scelta giusta per lei.

«La storia del possesso è solo una questione di


terminologia, e si riconduce sempre al principio
dell’obbedienza. Serve a metterti nel giusto stato mentale,
a farti capire quello che desidero. Devi sapere che non
appena varchi la mia soglia per essere la mia Sottomessa,
io farò di te quello che voglio. Devi accettarlo, e
desiderarlo. Per questo devi fidarti di me. Ti scoperò in
qualsiasi momento, in qualsiasi modo, in qualsiasi luogo
ne avrò voglia. Ti punirò quando mi ostacolerai. Ti
addestrerò a compiacermi» Le riverso addosso un fiume
di parole, cercando di mettere tutto nella prospettiva
giusta. «So, comunque, che non hai mai avuto esperienze
del genere. All’inizio faremo le cose con calma, e ti
aiuterò. Creeremo varie situazioni. Voglio che tu mi dia la
tua fiducia, ma so di dovermela guadagnare, e ho
intenzione di farlo. Quel “e non” serve, ancora una volta,
ad aiutarti a entrare nella mentalità; significa che non ci
sono tabù»

Mi guarda, ma sembra persa nei suoi pensieri, a


rimuginare su chissà cosa. La fisso, alzando le
sopracciglia.

«Mi stai ascoltando?» le chiedo, abbassando la voce.

Bevo anch’io un delizioso sorso di vino bianco. Sulla


soglia compare il cameriere e gli faccio un cenno. Si
avvicina al tavolo e sparecchia.

«Vuoi altro vino?» le chiedo gentilmente.

«Devo guidare»

“Non credo proprio, Miss Steele. Ho altri piani per te”.

«Un po’ d’acqua, allora?» le do corda.

Annuisce.

«Naturale o frizzante?»

«Frizzante, per favore»

Il cameriere si allontana, lasciandoci di nuovo soli. La


guardo, mentre lei osserva la sala, in imbarazzo.

«Sei molto silenziosa»

«Tu sei molto loquace» mi dice di rimando.

Le sorrido brevemente, continuando con le sue


osservazioni.

«Disciplina. C’è una linea molto sottile tra piacere e


dolore, Anastasia. Sono due facce della stessa medaglia, e
uno non può esistere senza l’altro. Posso mostrarti quanto
può essere piacevole il dolore. Ora non mi credi, ma è
questo che intendo per fiducia. Ti farai male, ma niente
che tu non riesca a sopportare. Ancora una volta, è una
questione di fiducia. Ti fidi di me, Ana?»
Mi meraviglio di me stesso per il fiume di parole che
sgorga dalla mia bocca. La sua risposta è immediata,
spontanea.

«Sì» mi dice, ed è sinceramente colpita da questa


rivelazione.

Sospiro, sollevato.

«Bene, allora. Il resto sono soltanto dettagli»

«Dettagli importanti»

Dio, se è fastidiosa quando insiste. Sorrido tra me e


me.

«Okay, discutiamone» acconsento, poi.

Il cameriere torna a fare il suo ingresso nella sala,


portando il mio piatto preferito: merluzzo nero, servito
con asparagi e purè di patate con salsa olandese.

«Spero che il pesce ti piaccia» le dico, notando la sua


espressione preoccupata.

Assaggia il merluzzo in silenzio e beve un lungo sorso


di acqua frizzante. Continuo ad elencarle le sue obiezioni.

«Le regole. Parliamone. Il cibo non è negoziabile?»

«No» risponde decisa.

«Posso pretendere che tu consumi almeno tre pasti al


giorno?»
«No»

So che non l’avrò vinta su questo. Storco il naso.

«Devo essere certo che tu non abbia fame»

Anastasia mi guarda, aggrottando la fronte.

«Dovrai fidarti anche tu di me» mi dice provocatoria.

La guardo per un attimo, con la voglia di prenderla a


sculacciate. Poi sospiro, rilassandomi. “Se è questo che
vuoi, Anastasia”.

«Touché, Miss Steele. Sul cibo e sul sonno te la darò


vinta»

«Perché non posso guardarti negli occhi?» mi incalza.

«È una regola del rapporto di dominazione


sottomissione. Ti ci abituerai»

Rimane perplessa.

«Perché non posso toccarti?»

«Perché no» le dico semplicemente, serrando le


labbra. “Non ho voglia di parlare di questo, Miss Steele”.

«È per via di Mrs Robinson?»

Aggrotto la fronte, confuso.


«Cosa te lo fa pensare?». Poi, di colpo, realizzo. «Pensi
che quella donna mi abbia traumatizzato?»

Annuisce, rimanendo in un silenzio imbarazzato.

«No, Anastasia. Non è lei il motivo. E poi, Mrs


Robinson non avrebbe sentito ragioni»

Mi guarda male.

«Quindi non ha niente a che fare con lei?» dice.

«No. E non voglio nemmeno che ti tocchi da sola»

Vado avanti. So benissimo che Elena rappresenta un


argomento poco gradito per Anastasia.

«Per curiosità… mi diresti il motivo?»

«Perché voglio per me tutto il tuo piacere»

Il mio tono di voce subisce una mutazione. Il solo


pensiero di Anastasia che si tocca davanti a me mi fa
perdere la ragione. É così meraviglioso guardarla godere,
sapere che io sono la causa di tutto il suo godimento. Lei
rimane a bocca aperta, poi si concentra sul cibo. Aggrotta
la fronte mentre mangia un altro boccone di merluzzo,
soprappensiero. Mi rendo conto che il carico di pensieri è
immenso per lei.

«Ti ho dato molte cose a cui pensare, no?»

«Sì»
«Vuoi parlare adesso anche dei limiti relativi?»

«Non durante la cena»

Il suo tono mi fa sorridere.

«Schizzinosa?»

«Qualcosa del genere»

«Non hai mangiato molto»

«Ho mangiato abbastanza»

«Tre ostriche, quattro pezzi di merluzzo, e un


asparago, niente patate, niente noci, niente olive, e non
hai mangiato altro per tutto il giorno. Hai detto che posso
fidarmi di te»

Mi guarda con un’espressione indecifrabile sul volto.


“Sì, Ana, sono un fottuto maniaco del controllo”.

«Christian, per favore, non affronto ogni giorno


conversazioni di questo tipo»

«Ti voglio sana e in forma, Anastasia»

«Lo so»

«E adesso voglio tirarti fuori da quel vestito» le dico in


un sibilo lussurioso.

Fa fatica a deglutire e rimane scioccata dalle mie


parole. Sento la tovaglia tendersi e capisco che sta
stringendo le cosce l’una contro l’altra, eccitata. E sono
eccitato anch’io. La desidero. Qui. Ora. Nella sala da
pranzo privata dell’Heathman. Mi guarda in preda al
panico per un attimo. Poi, ristabilisce il suo equilibrio con
un breve sospiro.

«Non mi sembra una buona idea. Non abbiamo ancora


mangiato il dessert»

Alzo le sopracciglia, incredulo.

«Vuoi il dessert?»

«Sì»

«Potresti essere tu il dessert» le dico malizioso.

É ovvio che cerca un pretesto e non gliene importa un


cazzo del fottuto dessert.

«Non sono certa di essere abbastanza dolce»

«Anastasia, sei dolcissima. Lo so» le dico allusivo.

“Hai un sapore dolce e meraviglioso, Miss Steele”.

«Christian. Tu usi il sesso come un’arma. Non è


corretto, davvero»

Si guarda le mani, imbarazzata. Poi alza gli occhi


azzurro cielo, fissandoli nei miei. La guardo sorpreso
dalle sue parole. In fondo ha ragione, è vero. Sto usando il
sesso come un’arma. Ma è l’unica arma che possiedo. E
che non ho paura di usare. Mi accarezzo il mento con la
mano destra.

«Hai ragione. Nella vita si usa quello che si conosce,


Anastasia. Ma questo non cambia il fatto che ti voglio.
Qui. Adesso»

Apre la bocca, ansimando. La sento fremere anche


dall’altro lato del tavolo. “Dio, Miss Steele. Quanto ti
voglio!”. Il mio uccello si tende contro la stoffa dei mie
jeans. Quanto vorrei che la sua bocca calda e inesperta si
schiudesse sul mio cazzo proprio ora. “Magari possiamo
divertirci un po’, Miss Steele”.

«Vorrei provare qualcosa di nuovo» le sussurro.

Penso all’ovetto vibrante che ho in tasca. So bene


l’effetto che ho su di lei. Forse posso convincerla.
Anastasia continua a fissarmi, aggrottando la fronte.
Devo continuare il mio assalto. Sento che sta per cedere.

«Se fossi la mia Sottomessa, non dovresti pensarci.


Sarebbe facile». La mia voce è volutamente calda, bassa e
sensuale. «Tutte quelle decisioni… tutto lo sfiancante
processo mentale che ci sta dietro. Tutte quelle domande:
“È la cosa giusta da fare? È bene che succeda qui? È bene
che succeda adesso?”. Non dovresti preoccuparti di
nessun dettaglio. Spetterebbe tutto quanto a me, come
tuo Dominatore. E in questo preciso momento, so che mi
vuoi, Anastasia»

Si acciglia, sorpresa dalle mie parole.

«Lo capisco perché il tuo corpo ti tradisce. Stai


premendo le cosce una contro l’altra, sei arrossita, e il tuo
respiro è cambiato»

É visibilmente scioccata.

«Come fai a sapere delle mie cosce?» sussurra. Quasi


balbetta per lo shock.

«Sento la tovaglia che si muove, ed è un’ipotesi basata


su anni di esperienza. Ho ragione o no?»

Arrossisce di colpo, abbassando lo sguardo. Sembra


irritata dal fatto che io abbia svelato il suo gioco.

«Non ho finito il merluzzo» spara ad un tratto.

«Preferisci il merluzzo freddo a me?» dico divertito.

Alza di scatto la testa e mi lancia un’occhiataccia. Quel


lampo di sfida che le attraversa gli occhi mi accende un
desiderio bruciante nelle vene. “Voglio scoparti, Miss
Steele. Senza pietà”.

«Pensavo che ti piacesse che io finisca tutto quel che


ho nel piatto»

«In questo preciso momento, Miss Steele, non mi


potrebbe importare meno della cena»

«Christian, non sei corretto»

«Lo so. Non lo sono mai stato»

Non replica alle mie parole, ma torna a guardare il suo


piatto. Sembra in cerca di ispirazione. D’un tratto prende
un asparago e mi fissa. Si morde il labbro inferiore, di
proposito. Schiudo le labbra leggermente, inspirando
piano. Con una lentezza straziante infila la punta
dell’asparago in bocca, succhiando. Il mio cazzo si tende a
dismisura a quella vista. Sono eccitato oltre il limite, mi
sento scoppiare nei pantaloni.

«Anastasia, cosa stai facendo?»

La mia voce è carica di bisogno. Spezza con i denti la


punta dell’asparago.

«Sto mangiando l’asparago»

Mi sposto sulla sedia, cercando di alleviare la tensione


ed il dolore pulsante al basso ventre.

«Penso che tu mi stia provocando, Miss Steele»

Mi guarda con occhi innocenti.

«Sto solo finendo la cena, Mr Grey»

Il gioco di seduzione, che si è appena capovolto a


quanto pare, viene interrotto dal cameriere che bussa
piano alla porta ed entra, senza che nessuno lo abbia
invitato a farlo. Mi guarda brevemente e io annuisco dopo
un breve sguardo di rimprovero. Lo lascio sparecchiare.
Sospiro, cercando di recuperare l’equilibrio. Anastasia, di
fronte a me, sembra riprendere aria e recuperare del tutto
le sue facoltà intellettive. L’incantesimo tra di noi è ormai
spezzato. Posso solo sperare di trattenerla. E che ceda.

«Allora, ti va il dessert?» le chiedo gentile.


Ma dentro di me brucio ancora di desiderio.

«No, grazie. Penso che dovrei andare»

Abbassa lo sguardo sulle sue dita, imbarazzata.

«Andare?»

Sono evidentemente sorpreso. “Non voglio che tu te ne


vada, Miss Steele”. Il cameriere ci lascia di nuovo soli,
allontanandosi in fretta.

«Sì» dice con rinnovata decisione.

Si alza, pronta ad andarsene.

«Abbiamo entrambi la cerimonia delle lauree domani»

Mi alzo automaticamente, seguendo il suo esempio.

«Non voglio che tu te ne vada» riesco a dirle.

«Per favore… Devo»

«Perché?» chiedo insistente.

«Perché mi hai dato molte cose su cui riflettere… e ho


bisogno di prendere le distanze»

«Potrei farti restare»

Le mie parole suonano vagamente come una minaccia.


Sono esasperato.
«Sì, e senza sforzo, ma non voglio che tu lo faccia»

Mi passo entrambe le mani nei capelli, fissandola. Mi


tornano in mente di nuovo le parole di Elena.

«Sai, quando sei entrata nel mio ufficio per


intervistarmi, eri tutta un “sissignore”, “nossignore”.
Pensavo che fossi una Sottomessa nata. Ma a dire il vero,
Anastasia, non sono certo che il tuo corpo meraviglioso
abbia il nerbo della Sottomessa»

Mi avvicino lentamente a lei. La mia voce tradisce tutta


la tensione sessuale che ho accumulato durante la cena. E
anche prima.

«Forse hai ragione» mormora lei.

«Voglio avere la possibilità di esplorare questa ipotesi»


sussurro, senza smettere di guardarla.

Siamo l’uno di fronte all’altra, a meno di tre centimetri


di distanza. Le accarezzo dolcemente il viso, sfiorando il
labbro che prima ha stretto tra i denti.

«Non conosco altro modo, Anastasia. Sono fatto così»

«Lo so»

La sincerità di entrambi ci unisce ancora di più. Mi


chino su di lei, fermandomi appena prima di toccare le
sue labbra. La guardo negli occhi, cercando il suo
consenso. ‘Christian Grey chiede il permesso ora?’. Ana
mi distrae dal mio pensiero spiacevole, tendendo le sue
labbra verso le mie. Il contatto tra le nostre bocche è
fuoco allo stato puro. Anastasia mi travolge, afferrandomi
i capelli con le mani, scompigliandoli, e tirandomi verso
di lei. La sua lingua incalza la mia. Questo suo modo di
fare, il suo prendere l’iniziativa, mi sconvolge i sensi. Le
afferro la testa con una mano, baciandola con forza,
mentre con l’altra scendo lungo la schiena, fino alla base
della spina dorsale. La spingo contro il mio corpo, contro
la mia prepotente erezione che la vuole, la desidera più di
ogni altra cosa al mondo.

«Non posso convincerti a restare?» le chiedo,


ansimando, mentre continuo a baciarla.

«No»

Sembra davvero decisa ad andarsene.

«Passa la notte con me»

«Senza toccarti? No»

Un gemito di dolore mi sfugge dalle labbra. “Non


posso”. Mi allontano da lei, spaventato, guardandola
attentamente. Un pensiero doloroso mi attraversa la
mente. “E se non volesse più rivedermi?”.

«Perché ho l’impressione che tu mi stia dicendo


addio?»

Anastasia risponde d’impeto, con il suo solito


sarcasmo.

«Perché me ne sto andando»


«Non intendevo questo, e lo sai»

«Christian, devo pensarci. Non so se posso sopportare


il tipo di relazione che tu desideri»

Chiudo d’istinto gli occhi, appoggiando la mia fronte


alla sua. Non riesco ad accettare che potrebbe finire tutto
in questo stesso attimo. Forse avrei dovuto lasciarla
perdere, ascoltare il consiglio di Elena. Ma dentro di me
so che c’è qualcosa che non riesco ad afferrare e che mi
tiene legato ad Anastasia più di quanto io voglia. Resto
qualche attimo in quella posizione, poi mi ricompongo.
Le bacio la fronte, inspirando a fondo il suo meraviglioso
profumo, e la lascio andare.

«Come desideri, Miss Steele. Ti accompagno nella


hall»

Le tendo la mano, mentre lei afferra la sua borsetta e


mi segue, in silenzio, giù per lo scalone. La tensione tra di
noi è palpabile nell’aria.

«Hai il tagliando del parcheggio?» le chiedo una volta


arrivati nella hall.

Lei fruga nella borsa e infine me lo porge. Lo consegno


al portiere e rimaniamo in attesa della sua auto. Guardo
fisso dinnanzi a me, ma sento il suo sguardo addosso.
Spero solo che prenda la decisione giusta, che questa non
sia l’ultima sera in cui avrò il piacere di godermi la sua
compagnia. E lei. E il suo corpo. Questo sabato si
trasferisce a Seattle. Magari potremmo vederci,
riparlarne, trovare una soluzione. Non voglio perderla.
«Grazie per la cena» mormora piano, distraendomi.

«È stato un piacere come sempre, Miss Steele» le


rispondo cortese, ancora perso nelle mie congetture.

“Devo provarci. Devo strapparle la promessa di


rivederci almeno un’altra volta”. Mi giro all’improvviso,
risoluto e la scopro a fissarmi attentamente, come se
dovesse farmi un ritratto.

«Questo weekend vi trasferite a Seattle. Se prendi la


decisione giusta, possiamo vederci domenica?»

Esito quasi nel chiederglielo. Non voglio sembrarle


troppo pressante. ‘Ma tu sei troppo pressante, Grey’.

«Forse» mormora.

Il sollievo mi travolge per qualche istante, ma lo tengo


a bada, cercando di rimanere impassibile. Non voglio
tradire ancora una volta le mie emozioni davanti a lei. La
guardo, accorgendomi solo ora che non indossa niente
sopra al suo bellissimo vestito color prugna.

«Adesso fa più fresco, non hai una giacca?»

«No»

Scuoto la testa irritato dalla sua noncuranza verso sé


stessa. Mi tolgo la giacca e gliela appoggio sulle spalle, per
ripararla dal vento. “Quando imparerai, Miss Steele?”.

«Tieni. Non voglio che tu prenda il raffreddore»


Anastasia mi guarda per qualche secondo, prima di
infilarsi nella mia giacca, troppo grande per lei. Il valletto,
alla guida di un catorcio, accosta davanti a noi. Rimango a
bocca aperta.

«Tu guidi quest’affare?»

Davanti a me si erge un maggiolino azzurro, vecchio e


decrepito, che dubito sia in grado di percorrere più di un
metro senza fermarsi. Prendo la mano di Anastasia e
insieme usciamo fuori. Il parcheggiatore le consegna le
chiavi, mentre tiro fuori del denaro dal portafogli,
lasciandoglielo cadere in mano.

«È in grado di viaggiare?» le chiedo, con


un’espressione furiosa sul volto.

«Sì»

«Ce la farà ad arrivare a Seattle?»

«Sì»

«È sicura?»

«Sì!». Anastasia sbotta esasperata dal mio


interrogatorio. «D’accordo, è vecchia. Ma è mia, ed è
perfettamente in grado di viaggiare. Me l’ha comprata il
mio patrigno»

«Oh, Anastasia, penso che possiamo fare di meglio» le


rispondo risoluto.
Compro un’auto a tutte le mie Sottomesse. Di solito
un’Audi A3. Anche se Anastasia non è ancora la mia
Sottomessa, posso fare un’eccezione. Magari un regalo
per la sua laurea di domani.

«Cosa vuoi dire? Non vorrai comprarmi un’auto»

Sembra irritata. E furiosa. La guardo, in silenzio per


qualche attimo.

«Vedremo» le dico alla fine, con una smorfia,


lasciando cadere il discorso per il momento.

Le apro la portiera e la aiuto ad entrare. Anastasia la


richiude, si toglie le scarpe e abbassa il finestrino,
guardandomi. Rimango lì, in piedi, senza sapere cosa
pensare. “Davvero non hai considerazione per la tua
incolumità, Miss Steele”.

«Vai piano» la raccomando, in ansia.

«Ciao, Christian»

Ha la voce roca. Credo che stia per scoppiare in


lacrime. Risponde al mio sguardo severo, preoccupato,
con un sorriso tirato. Mette in moto e io resto impotente,
davanti all’ingresso principale dell’Heathman Hotel di
Portland, a guardarla allontanarsi. Forse per sempre.
Sospiro pesantemente prima di ritornare dentro. Salgo in
camera e mi siedo sull’ampio sofà nel salotto. So di aver
agito nel migliore dei modi. Le ho spiegato per filo e per
segno tutto quello che mi aspetto da lei, tutto quello che
cerco in una relazione. Ho l’impressione che lei voglia
tutt’altro. L’ho capito l’altra sera, quando ha quasi
ammesso di essere gelosa. Ma io non conosco nulla di
quelle cose. Vorrei darle il mondo, ma l’unico mondo che
conosco è il mio. E spero che le basti. Mi passo le mani
nei capelli, esasperato, frustrato. Oltretutto sono anche
abbastanza preoccupato per via di quel macinino sul
quale si è allontanata. E poi, perché è scappata via? Mi
alzo dal divano sul quale sono seduto e vado in camera da
letto. Mi spoglio completamente e mi butto sotto la
doccia, cercando di lavare via tutta la tensione e quel
carico di sentimenti sconosciuti che mi porto dentro da
quando la conosco. Quando esco dal bagno, mi butto di
peso sul letto, con addosso solo un morbido asciugamani
di tela bianco, avvolto attorno alla vita. Controllo il
BlackBerry. Nessuna mail. Né chiamate o sms. In effetti è
ancora troppo presto. Dev’essere ancora per strada.
Decido di scriverle comunque una mail. Devo farle capire
che quello che voglio è lei.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 25 maggio 2011 22.01
Oggetto: Stasera

Non capisco perché sei scappata questa sera. Spero sinceramente di


aver risposto a tutte le tue domande in modo soddisfacente. So di
averti dato molte cose su cui riflettere e mi auguro di tutto cuore che
considererai seriamente la mia proposta. Voglio davvero che tra noi
funzioni. Faremo le cose con calma.
Fidati.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Finisco di asciugarmi e infilo i pantaloni grigi del


pigiama e una t-shirt bianca. Torno nel salone e mi siedo
sul divano, in attesa. Per ingannare il tempo, riprendo in
mano un libro che stavo leggendo ieri, sulle energie
ecosostenibili. Riesco a scorrere qualche pagina prima di
tornare a guardare ossessivamente l’orologio. Chissà se
Anastasia è già arrivata a casa. Vorrei chiamarla, ma non
mi va di correre il rischio che risponda al telefono mentre
è ancora alla guida. Opto per un sms.

“Sei arrivata a casa?’

Dopo dieci minuti buoni passati ad aspettare risposta,


decido di chiamarla. L’ansia che possa esserle accaduto
qualcosa cresce. Mi alzo, incapace di rimanere immobile
sul divano. Cerco il suo numero in rubrica e avvio la
chiamata. Il telefono squilla a vuoto per un bel po’, prima
di avviare in automatico la segreteria. Stacco, veramente
incazzato. ‘Magari ha seguito il tuo consiglio, per una
volta, Grey’ mi suggerisce la vocina nella mia testa. Già,
magari ha deciso di andare piano con quell’affare e non è
ancora arrivata a casa. “Sì, dev’essere così di sicuro”. Il
mio cervello si rifiuta di partorire idee diverse da questa.
Aspetto qualche altra manciata di minuti prima di
provare a richiamarla di nuovo. Niente. Ancora squilli a
vuoto e segreteria. Guardo di nuovo l’orologio. “A
quest’ora, Miss Steele, saresti arrivata persino a piedi!”.
Spingo forte una delle sedie di legno, della sala da pranzo,
contro il tavolo. Sono infuriato. O le è successo qualcosa,
o ha deciso di ignorarmi. Non saprei scegliere quale delle
due opzioni sia la più dolorosa. Riprovo a chiamarla, ma
ancora squilli a vuoto. Le scrivo veloce un sms.

“Chiamami”

É quasi mezzanotte. “Dove cazzo ti sei ficcata, Miss


Steele?”. Decido di fare un ultimo tentativo, inviandole
una mail.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 25 maggio 2011 23.58
Oggetto: Stasera

Spero che tu sia arrivata a casa con quella specie di macinino. Fammi
sapere se sei sana e salva.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Aspetto. E aspetto. E aspetto ancora. Sono le due di


notte quando mi metto a letto. Sono distrutto. L’ansia mi
sta divorando. L’ultima immagine che ho di Anastasia è
quella di lei che si allontana su quel catorcio. Spero che
non le sia accaduto niente. Guardo il soffitto, in preda ad
un’isteria strana, sconosciuta. “Cosa cazzo mi sta facendo
questa ragazzina?”. Mi sento diverso. All’improvviso non
è rimasto più nulla dell’uomo controllato, padrone di sé e
delle sue certezze, padrone del suo mondo, della sua vita,
privo di dubbi, con la cosa giusta da fare sempre a portata
di mano. Al suo posto mi ritrovo un ragazzino furioso, in
ansia, preoccupato e bramoso di possedere lei. Sempre.
“Come si può cambiare così tanto da un giorno all’altro?”.
Oltretutto non so cosa siano tutte queste cose che si
agitano dentro di me. Non mi è mai capitato nulla del
genere prima d’ora. Mi rigiro nel sontuoso letto
dell’Heathman, senza riuscire a chiudere occhio. Ho
paura che quest’angoscia si rifletta anche nei miei sogni.
Spero solo che non le sia accaduto nulla. Non voglio
perderla. Rimuginando su questo pensiero, cado in uno
stato di dormiveglia, tormentato e doloroso. Ma non
resisto a lungo in questo stato. Mi metto a sedere sul letto
e chiamo Welch, chiedendogli di rintracciare il telefono di
Anastasia. Una rabbia profonda mi esplode dentro
quando sento l’indirizzo. É quello di casa sua. Quindi è
arrivata. E mi sta deliberatamente ignorando? Non vuole
più avere nulla a che fare con me? ‘Calmati, Grey’. Sì,
giusto. Magari c’è una spiegazione. Magari ha fatto tardi,
le si è fermata l’auto, magari è appena arrivata a casa e
non vuole disturbarmi a quest’ora. O si è addormentata.
Quest’ultimo pensiero è l’unico che mi permette di
desistere dal chiamarla di nuovo. “Ok, sei a casa. Domani
faremo i conti, Miss Steele”.
Capitolo 14
Quando apro di nuovo gli occhi non è neppure l’alba.
Balzo giù dal letto, portando con me il BlackBerry che
stringo ancora nella mano sinistra. Lo controllo. Ma
niente. Nessuna mail, chiamata o sms. “Cazzo,
Anastasia!”. Sospiro, passandomi una mano nei capelli e
guardando il soffitto per qualche istante. “Ho appena
messo i piedi giù dal letto e già mi sento frustrato”. Butto
il telefono sul materasso e mi sfilo il pigiama.
Dall’armadio tiro fuori una tuta, indossandola e mi infilo
le scarpe da ginnastica. Mentre esco dall’Heathman, con
l’iPod nelle orecchie, il sole sta facendo timidamente
capolino all’orizzonte. Metto il cappuccio della felpa in
testa e inizio la mia corsa solitaria. Non so neppure io per
quanto corro. Sono esasperato, arrabbiato e…
preoccupato. Almeno credo. Non conosco tutte queste
sensazioni nuove che mi attanagliano lo stomaco da
quando frequento Anastasia. “Oh, se solo riuscisse ad
essere più obbediente!”. Oltretutto non ha un minimo di
riguardo per sé stessa e la sua sicurezza. Mi fa sentire
spaesato e non posso sfogarmi come vorrei. Tutta questa
attesa mi lacera l’anima. Non so fino a quando sarò in
grado di resistere. Quando finalmente mi decido a
tornare in albergo, trovo un impeccabile Taylor pronto a
aspettarmi davanti alla porta della mia suite.

«Mr Grey»

Mi saluta con un diplomatico cenno della testa. Mi


conosce abbastanza bene da sapere che quando vado a
correre prima dell’alba sono di cattivo umore.
«Taylor, ho bisogno che ti occupi di una faccenda» gli
dico in modo sbrigativo, passandogli davanti ed entrando
nella suite.

Lascio la porta aperta e Taylor mi segue all’interno,


senza aggiungere altro. Quando riemergo dalla mia
stanza d’albergo sono vestito di tutto punto, pronto per
prendere parte alla prestigiosa cerimonia delle lauree
presso la Washington State University di Vancouver.
Dentro di me sto ribollendo di rabbia nei confronti di una
piccola brunetta impertinente, anche se da fuori non si
direbbe. E non è solo rabbia. Sono eccitato. Nessuna
donna mi ha mai tenuto in sospeso in questo modo. So
sempre cosa aspettarmi e quando aspettarmelo.
Anastasia, invece, si diverte a prendere il mio mondo,
capovolgerlo e sedervisi sopra con noncuranza. Fa
sempre quello che non deve. Dice sempre quello che non
deve. E io ho un fottuto bisogno di vederla ora. Ed
accertarmi che stia bene, soprattutto. In ascensore mi
aggiusto la cravatta. É quella di seta argento. Quella che
ho usato per legarle i polsi prima di scoparla. Ne seguo la
linea morbida con le dita, immaginando di fare lo stesso
con il suo corpo. L’ho scelta apposta, pregustando il
delizioso rossore che si diffonderà sul suo viso non
appena i suoi occhi azzurri si poseranno su di essa.
Agilmente, con ritrovata determinazione, salgo al posto di
guida della mia R8. Faccio rombare il motore ed esco in
pochi secondi dal garage sotterraneo. Il viaggio è corto,
piacevolmente allietato dalla musica classica in
sottofondo. Fermo la mia Audi nell’ampio parcheggio
riservato al corpo docente e scendo dall’auto,
richiudendola col telecomandino. Mi abbottono la giacca
del completo grigio, dandomi una fugace occhiata nel
finestrino. Poi, a grandi passi, mi avvio verso l’ufficio del
rettore, dove sono atteso.

Passo molti minuti tra strette di mano e sorrisi a gente


di cui già non ricordo il nome. Odio gli eventi pubblici. La
gente è sempre troppo servile nei miei confronti.
‘Andiamo, Grey. Ti piace metterti in mostra’. Mi
imbroncio. “Sì, ok, è vero. Ma mi piace di più starmene
rinchiuso nel mio appartamento. Anzi, meglio. Nella mia
Stanza dei giochi”. Finalmente, il tanto atteso inizio della
cerimonia arriva e, insieme ai professori ed al rettore, mi
avvio verso il padiglione nel quale si svolgerà la consegna
delle pergamene. Il cuore inizia a martellarmi nel petto,
mentre mi giro intorno cercando di scorgerla. “Dove
cazzo sei, Anastasia?”. Il padiglione è affollatissimo, pieno
di studenti vestiti tutti allo stesso modo. Il brusio di
sottofondo è continuo e incessante. Stiamo per salire sul
palco quando mi raggiunge Miss Kavanagh, trafelata,
vestita con tocco e toga. Si mette in coda alla fila, proprio
accanto a me.

«Christian» mi saluta, guardando fissa dinnanzi a sé,


quasi saltellando per l’agitazione.

«Buon pomeriggio, Katherine» le dico gelidamente.

Brucio dalla curiosità di sapere dove si è ficcata


Anastasia. Ma non voglio doverlo chiedere proprio a lei.
Questa donna mi irrita. Come se avesse appena sentito i
miei pensieri, Kate si gira a squadrarmi, stringendo gli
occhi a fessura. Le rivolgo anch’io una breve occhiata
scostante. Non vorrei insistere, ma credo che le sia
appena sfuggita un’esclamazione sarcastica.

«Ana è arrivata poco fa, insieme a suo padre» mi dice,


poi, scuotendo leggermente la testa.

Mi rilasso impercettibilmente, lasciando scorrere via


da me parte della tensione che ho accumulato dentro.
“Sta bene, per fortuna!”. Ma mi ha ignorato. E questo mi
provoca un moto di rabbia.

«Credo che più tardi lo conoscerai» aggiunge Kate, con


un’espressione furba ed arrogante sul viso.

“Cosa cazzo le passa per la testa?”. Tengo lo sguardo


fisso davanti a me, guardandola di sottecchi. Per un
attimo l’idea di conoscere davvero il patrigno di Anastasia
mi attraversa la mente. ‘Ma ti senti, Grey? E dopo cosa
vorrai fare? Chiedergli la sua mano?’. Ad interrompere lo
sgradevole, quanto giusto, discorsetto del mio cervello è
lo scroscio di applausi che accolgono l’entrata in scena del
rettore e dei professori. Poi tocca a me e Miss Kavanagh.
Lascio galantemente passare Katherine avanti e la seguo
sulla scaletta, cercando di smettere di rimuginare.
Cammino deciso, raggiungendo il mio posto, ma continuo
a scrutare la folla sottostante il palco, tutta in piedi. Cerco
Anastasia, ma non riesco a scorgerla. Solo un mare di
toghe nere. Mi siedo, aggrottando la fronte, infastidito.
Sbottono la giacca e mi aggiusto la cravatta. Quando
finalmente anche la folla si accomoda nelle sedute, riesco
a guardare meglio gli studenti in fila di fronte a me. “Dove
cazzo ti sei ficcata, Miss Steele?”. Il rettore si alza, dando
inizio al suo pomposo discorso. Nemmeno faccio a caso a
quello che sta dicendo. Guardo e scruto tutti quei ragazzi
vestiti in modo identico. Passo in rassegna uno per uno
tutti volti della prima fila, ma niente. Dopo qualche
attimo, finalmente, la individuo. “Eccoti, Miss Steele!”. É
seduta in seconda fila, sprofondata nella poltrona, con le
spalle curve, come se volesse nascondersi. Nascondersi da
me. La guardo dritto negli occhi, sfidandola, mentre
accanto a lei, una per ogni lato, due ragazze parlottano tra
di loro. La fisso, legando il suo sguardo al mio, e la vedo
arrossire anche da qui. “Ti punirò per questo, Miss Steele.
E sarà estremamente eccitante”. Passo le dita sulla
cravatta e so benissimo che ha capito che l’ho indossata
apposta. Sorrido perfidamente, soddisfatto della riuscita
del mio piccolo scherzo segreto. Poi mi ricompongo,
fissando il mio sguardo dritto di fronte a me. Ho bisogno
di rimanere concentrato. Anche se, ora come ora, ho il
cazzo in tiro e vorrei solamente scoparmela. É il turno di
Miss Kavanagh di pronunciare il suo encomiabile
discorso. Approfitto della sua distrazione, mentre è
intenta a prestare attenzione alla sua amica, per tornare a
guardarla. Sono davvero sollevato di vederla lì, seduta,
tutta intera. Anche se mi ero parzialmente tranquillizzato
ieri sera dopo aver rintracciato il suo telefono, mi era
comunque rimasto il dubbio che potesse esserle accaduto
qualcosa di spiacevole. ‘Bene, Grey. Quindi sei sollevato
nonostante ti abbia ignorato di proposito?’. “No. Per
quello sono incazzato come una bestia”. Stringo le labbra
in una linea sottile, tornando a fissare l’emblema
dell’università di fronte a me. Sono incazzato, sì, ma
sempre più convinto che anche con la forza dovrà
accettare il mio regalo di laurea. Mi viene da sorridere.
Immagino quante storie farà. Ho spedito Taylor a ritirare
per lei una Audi A3 rossa. Comoda, sicura, compatta.
Certo, forse sarà meglio soprassedere sul fatto che ne
compro una per ogni mia Sottomessa. Sarà il mio regalo e
basta. Non c’è bisogno che sappia. ‘Cosa c’è, Grey? Hai
paura della sua reazione?’. Mi imbroncio, sapendo che il
mio cervello ha ragione. Ma so anche che lei non è una
Sottomessa, non fa parte del mio mondo e devo accettare
un po’ di resistenza in più da parte sua. Soprattutto su
queste cose. Il discorso di Katherine Kavanagh, intanto,
riesce a catturare anche la mia attenzione. La guardo
sorpreso, in senso positivo. É preparata, intelligente,
arguta. Sospetto che farà una brillante carriera nel mondo
del giornalismo. ‘E pensare, Grey, che sarebbe potuta
capitarti lei tra lei braccia, due settimane fa, piuttosto che
Anastasia Steele’. Istintivamente rabbrividisco. Ringrazio
il cielo per la fortuna che ho avuto. Miss Kavanagh
conclude il suo discorso sul futuro dopo il college con un
inchino, mentre la folla è in estasi e scoppia in una
standing ovation. Guardo Anastasia sorridere e gridare,
felice per la sua amica, che torna a sedersi al suo posto
accanto a me, con un ghigno soddisfatto sul viso. “Questa
donna mi fa paura”. Il pubblico è ancora in visibilio per
lei, mentre il rettore si alza e mi presenta. É il mio turno.
Vengo descritto come proprietario e amministratore
delegato di un’azienda di successo, un uomo che si è fatto
da solo. “Può ben dirlo!”. Mi alzo, ridendo alla platea. A
differenza di Kate non mi sono preparato un discorso.
Non lo faccio mai. So bene cosa la gente vuole sentire. É
la solita pappa che rifilo in occasioni del genere. Tuttavia,
mentre stringo la mano che il rettore mi porge, l’ansia mi
assale per un attimo. “Parlerò davanti a lei”. Mi avvicino
al leggio, inalando a fondo una boccata d’aria, ed osservo
la platea. So di apparire sicuro di me e, forse, anche
arrogante. Sono tutti in attesa di quello che dirò. “Bene”.
Chiudo per qualche secondo gli occhi e quando li riapro
ritrovo completamente la mia stabilità.

«Sono profondamente grato e commosso per il grande


onore che mi viene accordato oggi dalle autorità della
Washington State University. Mi si offre una rara
occasione di parlare dell’incredibile lavoro svolto dal
dipartimento di Scienze ambientali dell’ateneo. Il nostro
scopo è sviluppare metodi di coltivazione ecologici e
sostenibili per i paesi del Terzo mondo; il nostro obiettivo
finale è contribuire a sradicare la fame e la povertà dal
pianeta. Più di un miliardo di persone, soprattutto in
Africa subsahariana, Asia meridionale e America Latina,
vivono nella miseria. Il sottosviluppo agricolo dilaga in
queste regioni del mondo e il risultato è un disastro
ecologico e sociale. Io so cosa significa avere fame. Questo
per me è un percorso molto personale…»

Di sfuggita, mentre continuo a parlare, scorgo


Anastasia che mi fissa a bocca aperta. “Già, Miss Steele.
Ero un povero bambino di quattro anni, affamato,
disidratato. Non ero nient’altro che una valvola di sfogo
per il magnaccia di mia madre, che mi picchiava e mi
torturava, mentre lei rimaneva a guardare, impotente ed
indolente. Sono stato marchiato a fuoco da un crudele
bastardo squilibrato. Il mio corpo porta ancora i piccoli
segni di quella che è stata una non piccola violenza. Ero
nulla. E ora cosa sono? Un maniaco del controllo, come
piace dire a te, che sottomette ragazze brune per riuscire
a liberarsi di quel senso di amarezza, sconforto e agonia
che ancora prova. Un guscio di un uomo, senza cuore, che
tenta di vendicarsi di quella lurida puttana che l’ha messo
al mondo senza amore. Che invece di proteggerlo si è
affidata a lui. A lui che, con il suo piccolo corpicino, ha
cercato più volte di farle da scudo, prendendo le cinghiate
destinate a lei e, poi, anche la dose che spettava a lui. Ero
una nullità. E oggi sono ancora una nullità. Dietro i soldi,
le macchine, l’azienda che dirigo come un fottuto genio,
non c’è nulla. Un bel faccino e basta”. Cerco di scacciare
via i miei pensieri importuni, rimanendo concentrato su
quello che sto dicendo. Non vorrei lasciarmi trasportare e
svelare un po’ troppo. Chiudo brevemente gli occhi e li
riapro quasi subito, con rinnovata sicurezza. Concludo
con un sorriso educato, ma breve, mentre la platea si alza
applaudendo fragorosamente. Anche Anastasia, che non
ha perso la sua aria sorpresa e trasognante. “Forse inizi a
capire un po’ più di me, Miss Steele”. Uno dei vicerettori
mi raggiunge per iniziare la consegna dei diplomi.
Pazientemente aspetto oltre due ore prima che arrivi il
turno di Anastasia. Mi tocca sorbirmi lo sguardo estasiato
di tutte le ragazze che mi passano davanti. “Sì,
dannazione. É solo effimera bellezza esteriore. Toglietevi
di mezzo e lasciatela arrivare da me, ora”.

«Miss Anastasia Rose Steele!»

Il suo nome, pronunciato ad alta voce, mi fa quasi


sussultare. La guardo mentre sale sul palco. “Dio quanto è
desiderabile anche in questo momento!”. Il suo splendido
corpo è coperto dalla toga scura, ma la mia attenzione è
catturata dai suoi occhi. Faccio fatica a distogliere i miei
da tutto quell’azzurro penetrante. Ammirato, le consegno
la pergamena e le stringo forte la mano, tenendola serrata
nella mia un po’ più a lungo del dovuto.

«Congratulazioni, Miss Steele»

Il solo contatto con la sua pelle mi fa trasalire. Lei


rimane inebetita, a guardarmi, scossa da un leggero
fremito. É eccitata, come me. Ed è come se fossimo da
soli, noi due a guardarci, a volerci, a desiderarci.
Immagino le deliziose curve del suo corpo sotto la toga, i
suoi seni candidi che si muovo al ritmo del suo respiro
che si sta leggermente affannando. Le sue gambe, lunghe,
sensuali. ‘Ti sei fottuto il cervello, Grey’. “Bè…detto dal
mio cervello, poi!”.

«Il tuo computer ha qualche problema?» le chiedo


all’improvviso, stupendo me per primo.

‘Le stai facendo una scenata, Grey?’.

«No» risponde spaesata, risvegliandosi da quella


magia che ci teneva avvinti.

«Quindi stai ignorando le mie mail?»

«Ho visto solo quella sulle fusioni e acquisizioni»

Risponde di getto, mentre la guardo senza capire,


aggrottando le sopracciglia. Dietro di lei un’altra
studentessa impaziente già scalpita per avere la sua
stretta di mano da Mr Christian Grey. Ci scruta curiosa,
cercando di capire da quale strano legame siamo uniti.

«Poi ne parliamo» sibilo, liquidando Anastasia.

Lascio che si allontani da me e torni a sedersi, mentre


l’impazienza mi divora. Finalmente, dopo un’altra ora di
saluti e sorrisi falsi, riesco a liberarmi di tutto quel
frastuono. Guardo la folla, ma non riesco più a vederla.
“Dove si sarà ficcata?”. Esco dal padiglione e mi ritrovo
nel corridoio. Mi incammino a grandi falcate verso
l’interno dell’edificio. Ad un tratto spunta Miss Kavanagh,
che cammina spedita nella direzione opposta alla mia. Le
afferro un braccio, bloccando la sua camminata veloce.

«Katherine. Vorrei parlare con Anastasia» il mio tono è


freddo, asciutto.
“Cazzo, potevo essere anche un po’ più cortese”.

Lei si ferma, interdetta. Resta in silenzio, guardando


corrucciata prima la mia mano sul suo braccio e poi i miei
occhi di ghiaccio. La fisso freddamente, avendo il garbo
tuttavia di abbassare la mano e rimetterla in tasca.

«Ho bisogno di parlare con Anastasia. Ora» le dico,


prima che possa aggiungere qualcosa.

Alle spalle di Kate si materializza il rettore, che si


ferma per congratularsi con entrambi per i nostri
discorsi. Guardo ancora una volta Miss Kavanagh. Resta
ferma per un attimo, sorridendo al rettore. Poi mi guarda,
stringendo le labbra. Mi fa un breve cenno d’assenso e,
scusandosi, si allontana in fretta. Qualche minuto più
tardi la vedo rientrare nel corridoio, seguita da Anastasia,
ancora vestita con tocco e toga. Al rettore, intanto, si sono
aggiunti due professori che continuano a chiedermi
notizie della mia azienda e dei finanziamenti con i quali
intendo sostenere l’Università. Gentilmente, con un
sorriso che non ammette repliche, mi scuso con tutti e tre
e mi dirigo verso le due ragazze, poco distanti.

«Grazie» dico sorridendo a Kate e, prima che lei possa


replicare, prendo Anastasia per un gomito e la spingo
all’interno della stanza più vicina.

É uno spogliatoio maschile. Controllo che sia


completamente vuoto e chiudo la porta a chiave. Quando
mi giro a guardarla, Anastasia mi rivolge uno sguardo
terrorizzato. Rimane immobile, senza riuscire a spostarsi.
«Perché non mi hai scritto una mail di risposta? O un
sms?» le ringhio contro, fulminandola con lo sguardo.

Mi avvicino a lei. Il suo corpo mi attrae come una


calamita.

«Oggi non ho guardato il computer e neanche il


cellulare» mi dice, corrucciandosi.

Fa una breve pausa, imbarazzata. Forse si sente in


colpa. “E fai bene a sentirti in colpa, Anastasia. Dio solo
sa quanto mi hai fatto preoccupare”.

«Il tuo discorso è stato molto toccante» aggiunge con


un sorriso sincero.

«Grazie» le rispondo in automatico, preso alla


sprovvista.

«Ora capisco perché hai tanti problemi con il cibo»

“Non fare la furba con me, Miss Steele. Non cambierai


argomento”. Mi passo una mano nei capelli, esasperato.

«Anastasia, non voglio parlare di questo adesso»

Chiudo gli occhi per lasciar scorrere da me tutta la


tensione che non sapevo nemmeno di avere accumulato.
Finalmente, dopo più di 12 ore passate a preoccuparmi
per lei, ho la piena certezza che sta bene. Anastasia sta
bene. Il mio corpo espelle tutta l’aria che tratteneva da un
po’. Se fosse davvero mia ora sarebbe inchiodata al muro
dietro di lei e la starei scopando di santa ragione. Ma non
ha firmato. E quindi, per il momento, io e il mio uccello
rimarremo a bocca asciutta. Lentamente tento di tornare
me stesso.

«Mi hai fatto preoccupare» le dico.

E per la prima volta lo ammetto davvero, fino in fondo,


ad alta voce.

«Preoccupare, e perché?»

Mi guarda sbalordita, arrossendo lievemente.

«Perché te ne sei andata su quel catorcio che tu chiami


auto» sibilo con rabbia.

«Cosa? Non è un catorcio. Va alla grande. José la fa


revisionare regolarmente»

I suoi occhi si stringono e si riaprono alla velocità della


luce. Sa bene l’effetto che mi fa anche il solo sentirlo
nominare.

«José, il fotografo?» sbraito, fissandola truce.

“E io dovrei fidarmi di quel maniaco figlio di puttana?


Andiamo bene!”. Anastasia mi guarda con un’espressione
contrita. Poi si riprende. Rialza le spalle, per niente
intimidita. Mi fissa con aria di sfida, accendendo di nuovo
il mio desiderio e animando il mio pene. I miei pantaloni
rischiano di esplodere.

«Sì, il Maggiolino era di sua madre» ammette.

«Già, e probabilmente della madre di lei e della madre


di sua madre» le urlo contro, avvicinandomi di più a lei.

«Lo guido da più di tre anni. Mi dispiace che tu ti sia


preoccupato. Perché non mi hai telefonato?»

É tornata all’attacco. Sospiro profondamente. Mi rendo


a malapena conto che sembro un fidanzato geloso ed
irascibile. Sono fuori di me. É evidente che il nocciolo
della questione è un altro.

«Anastasia, ho bisogno di una tua risposta.


Quest’attesa mi sta facendo impazzire»

Sono esasperato. La desidero con tutte le mie forze.


Non averla potuta prendere a mio piacimento, ieri sera, e
poi tutta quella preoccupazione, quell’attesa, mi hanno
fatto uscire di senno. “Cristo, se la voglio!”. E ora siamo
qui, chiusi in questa stanza, completamente soli. Il mio
corpo brama il suo come non ha mai fatto con
nessun’altra prima d’ora. Vorrei solo lasciar scivolare le
mie mani sotto la sua toga, scoprire cosa indossa. Riesco
a vedere le sue caviglie, quindi dev’essere un vestito.
Potrei riuscire facilmente ad accarezzarle le gambe e
risalire, sempre più su. Fino ad arrivare ai suoi slip. Con
un profondo sospiro cerco di prendere l’aria che in questo
momento mi sta mancando. Ma la voglia di farla mia, di
entrarle nelle profondità del suo ventre, immergermi in
quel delizioso nascondiglio che è solo mio, che solo io ho
violato, è sempre più forte. Purtroppo, o per fortuna, è lei
ad interrompere i miei pensieri poco eleganti.

«Christian, io… Senti, ho lasciato il mio patrigno da


solo»
Fa qualche passo in avanti. Un movimento
impercettibile. Probabilmente vuole solo scappare da una
situazione che si sta evidentemente facendo troppo
pericolosa. Per entrambi.

«Domani. Voglio una risposta domani» la incalzo.

Devo avere il suo consenso scritto. Il più presto


possibile.

«Va bene. Per domani ti faccio sapere» acconsente,


anche se poco convinta.

Faccio un passo indietro, guardandola con sospetto.


Ma mi accorgo che le sue parole hanno effetto immediato
su di me. Tutto il mio corpo si rilassa. Tranne il mio
cazzo, che continua ad issarsi, tendendola stoffa grigia del
mio completo, al solo pensiero di cosa significhi per me il
suo consenso. Devo uscire immediatamente da questa
stanza, altrimenti me la scopo qui.

«Rimani per il cocktail?» le chiedo.

«Non so se Ray ne ha voglia»

«Il tuo patrigno? Mi piacerebbe conoscerlo»

Non so nemmeno io perché le dico questo. L’idea mi


stava frullando in testa prima e non sono riuscito a
frenare la lingua. Guardiamo il lato positivo. Potrebbe
essere più facile farle accettare il mio regalo di laurea con
l’aiuto di suo padre. Devo studiare un piano.

«Non sono sicura che sia una buona idea» afferma


decisa, interrompendo le mie fantasticherie.

Mi giro a guardarla, mentre apro la porta. “Si vergogna


di me?”. Dentro di me so che ne avrebbe tutti i motivi.

«Ti vergogni di me?»

«No!». Mi guarda arrabbiata, sconcertata. «Come


dovrei presentarti a mio padre? “Questo è l’uomo che mi
ha deflorato e vuole che iniziamo una relazione
sadomaso”? Non indossi le scarpe da corsa»

La guardo, trattenendo a stento un sorriso divertito. É


bellissima. Arrabbiata, il viso in fiamme, quello sguardo
di sfida. Il mio sorriso la contagia.

«Per la cronaca, corro abbastanza veloce. Digli solo che


sono un tuo amico, Anastasia»

Le faccio un cenno con la mano, invitandola ad uscire


fuori. Sembra confusa e imbarazzata quando si trova
davanti rettore, professori e Kate che la fissano. Si
allontana in fretta, accennando un saluto. Tiene gli occhi
incollati a terra per tutto il tempo. Vengo trattenuto, così
non posso seguirla. Dopo un altro migliaio di domande e
un altro migliaio di sguardi adoranti da parte di ragazzine
che passano nel corridoio, riesco finalmente a liberarmi
di quei ficcanaso. Appena qualche attimo dopo Miss
Kavanagh. La raggiungo nel corridoio, mentre si dirige
verso il rinfresco. L’euforia la rende più affabile, anche se
ho il presentimento che stia tramando qualcosa.

«Se cerchi Ana sto giusto andando da lei»


Mi sorride, camminando a passo spedito. Le rivolgo un
breve cenno d’assenso ed evitiamo, fortunatamente, di
dirci altro per tutto il tragitto. Kate non ci mette molto ad
individuare Miss Steele e suo padre nel padiglione
stracolmo di gente. Stanno chiacchierando, mentre
sorseggiano del vino. Anastasia è bella da togliere il fiato.
Ha tolto la toga e indossa un graziosissimo abito color
argento, legato alla nuca, che le lascia parte della schiena
scoperta. Il vestito scende morbido sul suo piccolo corpo,
coprendo, con delle graziose pieghe, le sue gambe
mozzafiato sino ad appena sopra il ginocchio. Più su il
suo seno è fasciato dalla stoffa liscia e tesa, che mette in
evidenza le sue deliziose curve e non riesce a nascondere
del tutto i suoi capezzoli. Accanto a lei, un ragazzo alto e
biondo le stringe la vita con un braccio. É vicinissimo ad
Anastasia e il suo sguardo famelico, intervallato da sorrisi
sfrontati, la dice lunga su quanto vorrebbe entrarle nelle
mutandine. Accanto a loro un uomo dall’espressione
burbera li guarda accigliati almeno quanto me. Dev’essere
Mr Steele. Anastasia alza gli occhi proprio mentre ci
avviciniamo, come se avesse percepito la mia presenza.
La fisso con uno sguardo gelido. Mi guarda, intimorita
dalla mia espressione. “Fai bene ad esserlo, Miss Steele.
Sono incazzato nero, ora”. Mi fermo a pochi passi da lei,
mentre Katherine saluta affettuosamente Mr Steele. Lui
arrossisce, proprio come la figliastra.

«Hai già conosciuto il fidanzato di Ana? Christian


Grey» gli dice, poi, con aria furba.

“Cazzo! Ma che stronza!”. Dopo la presentazione


solenne di Miss Kavanagh, non posso certo tirarmi
indietro. Anastasia sbianca di colpo alle parole della sua
amica, guardando prima me e poi suo padre con ansia e
timore. Inghiottisco il boccone amaro, anche se
l’espressione di Ana mi fa sorridere.

«Mr Steele, è un piacere conoscerla» dico prontamente


all’uomo dall’espressione sempre più burbera che mi
guarda con gli occhi colmi di stupore, cercando di capire
se ho scopato o meno con sua figlia. Mi stringe la mano.
Una stretta forte e decisa, quasi un sottile avvertimento.

«Mr Grey» borbotta.

Il suo sguardo, si trasforma in un muto rimprovero,


quando si sposta su Anastasia, che si morde forte il labbro
inferiore, divorata dall’agitazione.

«E questo è mio fratello, Ethan Kavanagh»

Di nuovo Miss Kavanagh ci interrompe,


presentandomi l’adone biondo che continua a stringere
Anastasia, nonostante io sia stato presentato come suo
fidanzato. Lo guardo freddamente, allungando la mano.

«Mr Kavanagh» mormoro.

Lui la stringe e ritrae la sua, mentre io sposto la mia da


lui ad Anastasia.

«Ana, piccola» mormoro.

Lei si scioglie dalla stretta del suo amico e si avvicina a


me, mentre Katherine le sorride maliziosamente.

«Ethan, mamma e papà vorrebbero parlarci» aggiunge


la Kavanagh.
E prendendo per mano il fratello, lo trascina via.

«Allora, da quanto tempo vi conoscete, ragazzi?»

Il patrigno di Ana ci guarda entrambi, con


un’espressione indecifrabile. Anastasia non proferisce
parola, imbarazzata. Ha la testa china e guarda suo padre
e me da sotto le ciglia. Probabilmente sta cercando di
capire quanto sia forte il mio disagio in questo momento.
E quanto suo padre sia incazzato. Cerco di tranquillizzarla
il più possibile. Sciolgo la mano dalla sua stretta e la
abbraccio. Mi soffermo qualche attimo sulla sua schiena
nuda, accarezzandola con il pollice. Mi eccito subito, ma
devo calmare i miei bollenti spiriti. Le stringo una spalla,
in modo apparentemente affettuoso. Anche se percepisco
distintamente tutto quel magnetismo che abbiamo già
sperimentato altre volte.

«Un paio di settimane» rispondo tranquillamente,


divertito in fondo da tutta questa assurda situazione.

‘Sei diventato un vero e proprio fidanzato americano,


Grey?’.

«Ci siamo conosciuti quando Anastasia è venuta a


intervistarmi per il giornale studentesco» continuo con la
mia faccia di bronzo, guardando senza timore Mr Steele
che non smette, a sua volta di scrutarmi.

Mi sembra di stare in uno di quei film western in cui,


ad un certo punto, i due avversari si guardano in attesa di
sapere chi prenderà la pistola e sparerà per primo. “Non
sarò io a distogliere lo sguardo, Mr Steele”.
«Non sapevo che lavorassi per il giornale studentesco,
Ana» dice lui distogliendo lo sguardo da me.

La sua attenzione si catalizza completamente su


Anastasia. “Bene”.

«Kate era ammalata» si giustifica lei.

«È stato bello il suo discorso, Mr Grey»

Mr. Steele torna a concentrarsi su di me. Meglio


trovare un argomento di conversazione. E credo anche di
sapere quale.

«Grazie, signore. Ho sentito che lei è un pescatore


esperto»

L’uomo alto e scontroso che mi sta di fronte mi fa


finalmente un piccolo sorriso, piacevolmente sorpreso.
Iniziamo a discorrere di pesca, gli racconto delle lunghe
imprese con Elliot ad Aspen e ben presto Anastasia si
sente di troppo. Dopo averci scrutato per qualche attimo,
valutando se sia il caso o meno di lasciarci soli, si scusa e
ne approfitta per raggiungere Katherine, non molto
distante da noi, che chiacchiera con la sua famiglia. Più
tardi dovrò ricordarmi di salutare Mr Kavanagh.
Dopotutto abbiamo concluso degli ottimi affari insieme.
“Magari farò un saluto anche a suo figlio. Ma non credo di
riuscire ad essere cordiale allo stesso modo con lui”. Ora,
invece, è arrivato il momento di mettere in atto il mio
diabolico piano.

«Mr Steele, vorrei conoscere la sua opinione su una


questione di vitale importanza per me»

Lui mi guarda sorpreso, alzando un sopracciglio. Con


un cenno del capo mi invita a parlare. Brevemente,
stando attento a non offendere il suo orgoglio, che
suppongo sia pari a quello della figliastra, lo informo del
mio ultimo acquisto per Anastasia. Resta di stucco
quando capisce che sto parlando di un’automobile. Senza
lasciarmi intimorire dalla sua espressione, incentro il
discorso sulla sicurezza di Anastasia. Sicurezza di cui lei
non si preoccupa minimamente. Dopo avergli elencato le
statistiche, la percentuale di riduzione di rischi ed
incidenti, sfodero la mia arma segreta. Il mio sorriso
ammaliatore alla Christian Grey, nella speranza di
convincerlo definitivamente. E, contro ogni prospettiva,
funziona.

«Mia figlia non ha molta considerazione per la sua


incolumità» esclama Mr Steele, girandosi a guardarla.

Lo faccio anch’io, sorridendo.

«Già. L’ho notato»

Anastasia, ignara delle nostre attenzioni, parlotta


animatamente con Miss Kavanagh. All’improvviso si gira
a guardarci e, dopo qualche secondo, si avvia verso di noi,
mentre la sua amica le urla dietro qualcosa.

«Ciao»

Saluta e sorride timidamente ad entrambi quando


arriva da noi. Le sorrido anch’io, divertito dalla riuscita
del mio diabolico piano segreto. Si infurierà come una
matta, ma non potrà farci nulla.

«Ana, dove sono le toilette?» le chiede suo padre.

«Subito fuori dal padiglione, a sinistra»

«Ci vediamo fra un attimo. Voi ragazzi divertitevi»

Rimaniamo in silenzio, mentre Mr Steele si allontana


da noi. Anastasia si gira a guardarmi, nervosa. Uno dei
fotografi presenti all’evento si avvicina, scattando una
foto ad entrambi, mentre rimaniamo fermi in modo
plastico. Dev’essere la mia prima foto in compagnia di
una ragazza. ‘Escludendo quelle della tua Stanza dei
giochi, Grey’.

«Grazie, Mr Grey»

Il fotografo si allontana, visibilmente soddisfatto.


Anastasia resta per un attimo abbagliata dal flash, poi si
gira verso di me.

«E così hai sedotto anche mio padre?» mi dice con un


piccolo sorriso.

«Anche?»

La guardo, bramoso di possederla, con le sopracciglia


inarcate. “E così ti avrei sedotta, Miss Steele? Credo
proprio sia il contrario”. Le sfioro la guancia con le dita,
mentre lei arrossisce. Quel piccolo contatto mi manda in
frantumi il cervello. Inspiro forte, completamente
ammaliato. Lei guarda a terra, pensierosa.
«Ah, cosa darei per sapere cosa pensi, Anastasia»

Un moto di tristezza mi attraversa la voce. “Con te,


Miss Steele, non sono mai certo di nulla”. Non sono certo
neppure di poterla desiderare così tanto. Se mi dicesse di
no, non oso immaginare come mi sentirei. Dopo ieri sera,
non so cosa pensare. Le prendo il mento tra le dita,
costringendola a guardarmi negli occhi. La scruto a fondo
e lei sussulta. É come se ci fossimo noi due soltanto in
questo momento. E Dio solo sa quello che le farei. Lascio
che il mio sguardo si posi beato sulle sue labbra morbide,
sulla pelle delicata del suo collo, sulla scollatura del suo
vestito che lascia libero un prezioso ed intrigante angolo
con vista sul paradiso. Anastasia respira in modo più
frenetico. I seni si muovono al ritmo dei suoi polmoni.
Deglutisco, cercando di trattenermi dal saltarle addosso
qui, ora. Inspiro bruscamente, mentre lei mi fissa negli
occhi, eccitata quanto me.

«Penso che hai una bella cravatta» ansima,


socchiudendo le palpebre e cercando di resistere a quella
frenetica attrazione che ci spinge l’uno verso l’altra.

Rido piano.

«Ultimamente è la mia preferita»

Lei arrossisce violentemente, rimanendo in silenzio e


cercando di sfuggire al mio sguardo indagatore.

«Sei bellissima, Anastasia. Questo vestito ti dona, e


posso accarezzarti la schiena, sentire la tua splendida
pelle»
Quasi senza rendersene conto, come se fosse attirata in
qualche modo dalle mie parole, il suo corpo si fa più
vicino al mio. Ho una fottuta voglia di possederla. E so
che anche lei mi vuole in questo momento.

«Sai che sarà bellissimo, vero, piccola?» le sussurro,


cercando di convincerla.

Abbassa lo sguardo, triste e animata da una strana


espressione. Sembra dilaniata da qualche oscuro pensiero
interiore, che non vuole condividere con me.
All’improvviso mi guarda, trattenendo il fiato.

«Ma io voglio di più»

Il suo mormorio basso mi colpisce forte, come uno


schiaffo. La fisso sconvolto, con un’espressione cupa sul
viso che non riesco a nasconderle. Ecco qual è il punto.
“Ma io non posso darti di più, Anastasia. Non ne sono
capace”. Dentro di me so questo è l’unico modo per
averla. É l’unica condizione che lei mi chiede di accettare
per essere mia. Ma… io sono in grado, voglio darle di più?
No... ma voglio lei. All’improvviso i ruoli sono rovesciati.
É lei che detta le regole ora? “Sei pronto a tornare nel
caos, Christian?”. Le parole di Elena scelgono questo
preciso momento per riaffiorare. Aveva fottutamente
ragione, come al solito. E ora dovrei lasciarla perdere? E
se invece non volessi? Cosa sarebbe questo di più che
dovrei darle?

«Di più?» le chiedo quasi timoroso della sua risposta.

Anastasia deglutisce faticosamente, come se avesse


paura della mia reazione, e annuisce.
«Di più» ripeto a bassa voce, analizzando a fondo
quelle due semplici parole.

“Sono davvero capace di darle di più?”. Forse… forse


potrei provare. Forse per Anastasia potrei provare. Sono
combattuto. Tra quello che sento e quello che invece
dovrei sentire. Le sfioro piano il labbro, con un dito.

«Vuoi una storia romantica» le chiedo, come per


accertarmi di aver capito bene il significato delle sue
enigmatiche parole.

Annuisce di nuovo, senza parlare. Potrei mai darle


quello che vuole? Dentro di me so che la risposta è no.
‘Non ne sei capace affatto, Grey’. Ma so anche che non
voglio perderla, che scalerei montagne pur di averla
ancora una volta. Quindi no, non ne sono capace. Ma se è
quello che devo fare per averla, magari…

«Anastasia» esordisco, senza avere davvero preso una


decisione. «Io non so nulla di queste cose»

«Neanch’io» mi risponde sincera, con quegli occhioni


azzurri che mi rapiscono l’anima.

Sorrido leggermente, ripensando alla sua prima volta.


Alla nostra prima volta.

«Non sai molto, no» mormoro divertito.

«E tu sai tutte le cose sbagliate»

Sgrano leggermente gli occhi per la sorpresa. É ovvio


che per lei sia tutto sbagliato. Ma se solo si lasciasse
andare, magari capirebbe il mio mondo.

«Sbagliate? Non per me» scuoto la testa. Poi piego la


testa di lato, sorridendole. «Fai una prova» sussurro
piano, sfidandola.

La sento trattenere il fiato mentre l’ansia e quella che


decido di interpretare come voglia di cedere le dilaniano
l’anima. Abbassa gli occhi, la fronte corrucciata, le dita
tormentate. Alla fine, dopo un’eternità, alza di nuovo lo
sguardo su di me.

«Va bene» mormora.

Sono talmente stordito che ho paura di non aver capito


bene quello che mi ha appena detto. La guardo con gli
occhi spalancati, che tradiscono un’emozione nuova e
sconosciuta che si fa spazio dentro di me.

«Cosa?» le chiedo, scuotendomi dal mio stordimento.

«Va bene. Ci proverò» sussurra flebilmente.

Le sue parole mi lasciano a bocca aperta, incredulo.


Lentamente una gioia profonda mi invade il corpo,
l’anima, la mente.

«Stai accettando?»

Non riesco a nascondere la mia incredulità in nessun


modo. La guardo con ammirazione, desiderio. Mi sento
scoppiare di quella che potrei definire felicità, se solo
sapessi realmente cos’è la felicità.
«Se vengono rispettati i limiti relativi, sì. Ci proverò»
mi dice, tentennando leggermente.

Chiudo gli occhi, sollevato, e la stringo forte a me,


esalando un profondo e calmante sospiro di sollievo. Il
suo calore mi pervade. E mi sento fottutamente bene. In
pace con me stesso. “Ora come ora potrei darti il mondo,
Miss Steele. Non solo quel fottuto di più che mi chiedi”.

«Accidenti, Ana, mi sorprendi sempre. Mi togli il fiato»

Con la coda dell’occhio scorgo Mr Steele, di ritorno


dalla toilette. Faccio un passo indietro, allontanandomi
da lei, senza riuscire a smettere di sorridere come un
ebete. Anche lei si ricompone leggermente. Mi scruta di
sottecchi, imbarazzata.

«Annie, vuoi che andiamo a pranzo?»

Il suo patrigno la guarda affettuoso e probabilmente


desideroso, come me, di uscire da tutta questa folla.

«Va bene» acconsente lei.

Un leggero rossore le anima il viso. E la rende


decisamente affascinante.

«Vuole venire con noi, Christian?»

L’invito di Mr Steele è gentile ed educato, ma nasconde


la voglia di indagare ancora su di me in quanto fidanzato
di sua figlia. E la cosa non mi mette particolarmente a
mio agio. Prima che possa rispondere, comunque,
intercetto lo sguardo di Anastasia, che mi implora di
rifiutare. Non voglio lasciarla. ‘Dalle respiro, Grey!’. Mi
viene da ridere, ma mi trattengo. “Ora che sei mia, Miss
Steele, forse posso anche aspettare per averti. Magari
stasera”.

«Grazie, Mr Steele, ma ho un impegno. Lieto di averla


conosciuta, signore»

«Ha fatto piacere anche a me» replica lui. «Abbia cura


della mia bambina» aggiunge poi, con un’occhiata
complice.

«Ne ho tutte le intenzioni, Mr Steele»

Mentre ci stringiamo la mano, noto con soddisfazione


che quest’ultima affermazione non è di certo sfuggita ad
Anastasia. Come non le è sfuggito il significato implicito.
É sbiancata di colpo, ansiosa. Vorrei baciarla, ma non
davanti a suo padre. Le prendo gentilmente la mano e,
accostandola alle labbra, le sfioro delicatamente le
nocche, continuando a fissarla. “Sì, Miss Steele. Non vedo
l’ora di scoparti”.

«A più tardi, Miss Steele» mormoro sommessamente.

Rimane inebetita, mentre suo padre la trascina via per


un braccio. Guardo il suo splendido corpo, fasciato
dall’argento del vestito, allontanarsi da me. É davvero
bellissima. Quando sparisce dall’orizzonte cerco di
riprendermi. Estraggo il Blackberry dalla tasca e avvio la
chiamata.

«Taylor, come sta procedendo?»


«Tutto a posto, Mr Grey. La consegna è pronta»

«Bene. Me ne occuperò io stesso»

Chiudo il telefono, sorridendo soddisfatto. Vorrei


riflettere su quanto ha detto Anastasia, ma vengo
risucchiato in un vortice di presentazioni, domande e
curiosità. Tra gli altri, ho il tempo di salutare anche Mr
Kavanagh. Non c’è traccia di quel coglione del figlio, ma
vengo deliziato da uno sguardo di sfida e di vittoria da
parte di Kate. Le rispondo con un sorrisetto arrogante.
“Miss Kavanagh, è stato un colpo basso. Ma alla fine chi
ha vinto sul serio sono io”. Quando finalmente riesco a
liberarmi, mi allontano dal padiglione affollato e salgo a
bordo della mia R8. Provo un senso di sollievo quando
chiudo lo sportello. Tutta questa folla non fa per me.
Sospiro. Metto finalmente in moto e sfreccio via dal
parcheggio sotto gli occhi sbalorditi di un gruppetto di
studenti che mi guardano a bocca aperta. Il tragitto fino
all’Heathman non è eccessivamente lungo. Mi concedo un
attimo di respiro. Il pensiero torna ad Anastasia. Ha
parlato di limiti relativi. Prendo il BlackBerry e apro la
posta elettronica.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 26 maggio 2011 17.22
Oggetto: Limiti relativi

Cosa posso dire che non abbia già detto? Comunque è stato bello
parlarne. Oggi eri stupenda.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Sospiro di nuovo, rilassandomi brevemente, e accendo
lo stereo. In sottofondo si diffonde una melodia lenta.
Nelly Furtado dice di volerci provare. Ascolto
attentamente le sue parole, sorridendo al pensiero di
come, a volte, le canzoni sappiano meglio di te cosa è più
giusto fare. Anche Ana vuole di più. “E tutto ciò che posso
fare è provare”. Entro nell’ascensore numero 3
dell’Heathman Hotel, nel quale, appena qualche mattino
fa ho perso definitivamente il controllo di me stesso. Mi
ero ripromesso di non toccare mai una donna senza
prima aver avuto il suo consenso scritto. Non so mai
come posso reagire. Ma con lei è stato dannatamente
naturale mettere da parte le mie riserve e schiacciarla
contro questa parete. Con le dita, piano, sfioro il punto in
cui l’ho spinta. “Non vedo l’ora di scoparti, Anastasia”.

La malinconia mi assale di nuovo mentre entro nella


doccia. É tutto il pomeriggio che rimugino su cosa diavolo
fare. Non mi sono mai trovato in una situazione del
genere. Non sono mai stato così coinvolto e non ho mai
trovato nessuna che fosse così coinvolta. Anastasia mi
desidera. E, caso strano, mi desidera per quello che sono,
per come sono, non per quello che possiedo. É liberatorio
in un certo senso. Ho sempre pensato che nessuna
potesse mai essere così coinvolta con un uomo come me.
Un uomo senza cuore, sadico e crudele. Ma lei è buona,
gentile. E vuole me. Non è entrata nella mia vita per
soddisfare i miei bisogni perversi. Ci è entrata di sua
spontanea volontà, spinta dal desiderio nei miei
confronti. Questo pensiero mi riempie di gioia e di
tristezza allo stesso tempo. Perché so di non poterle dare
quello che vuole. Non completamente almeno. ‘Provaci,
Grey’. La mia testa, come al solito, mi ricorda
saccentemente che lei sa molto meglio di me quello che è
meglio fare. Finisco di lavarmi, esco e mi appoggio
l’asciugamani attorno alla vita. Dopo aver cenato mi reco
nello studio della suite e accendo il pc. Devo stampare la
lista dei limiti relativi e la mail con tutte le sue obiezioni.
Aprendo la posta elettronica trovo una nuova mail di
Anastasia. Il cuore mi balza in gola mentre la apro.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 26 maggio 2011 19.23
Oggetto: Limiti relativi

Potrei venire stasera a discuterne, se vuoi.

Ana

Sorrido tra me e me. “Cazzo che voglia di scoparti,


Miss Steele”. Ma non voglio che prenda di nuovo quella
trappola mortale che osa definire maggiolino.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 26 maggio 2011 19.27
Oggetto: Limiti relativi

Vengo io da te. Quando ho detto che non mi piace che guidi quella
macchina non scherzavo. Arrivo fra poco.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mi vesto in fretta. Maglietta bianca e jeans. Prendo la


mia giacca di pelle e lascio i capelli umidi. Di là, nello
studio, raccolgo i fogli che ho appena stampato e,
piegandoli con cura, li infilo nella tasca della giacca. Sto
per uscire quando mi ricordo dei preservativi. “Cazzo,
odio questi fottuti aggeggi!”. Torno in camera e apro la
scatola, estraendo una bustina. Poi ci ripenso. L’ultima
volta che sono stato da lei sono quasi dovuto scappare per
sfuggire alla voglia che avevo e che non potevo soddisfare
a causa della mancanza di preservativi. “Meglio
prenderne un altro”. Prendo il BlackBerry nella tasca dei
jeans e chiamo Taylor.

«Prepara l’auto di Miss Steele e procurati una bottiglia


del migliore champagne che hanno all’Heathman»

Non faccio in tempo a chiudere che il telefono mi


squilla tra le mani. “Oh, no. Ecco il mio tormento”. Faccio
un profondo sospiro.

«Mia»

«Quando diavolo pensavi di dirmelo?» la voce stridula


di mia sorella mi perfora un timpano.

«É un piacere anche per me sentirti, sorellina» la


prendo in giro, sapendo benissimo a cosa si sta riferendo.
Grace deve averle spifferato tutto.

«Non fare il finto tonto, fratellone. Allora? Chi è?


Racconta!»

Scoppio a ridere, mentre lei dall’altro capo del mondo


boccheggia per avere notizie sulla mia fantomatica
fidanzata.

«Senti Mia, ora sono di fretta. Ma prometto che prima


o poi ti racconterò tutto quello che credi di dover sapere»
Già la immagino mettere il broncio, ma sa benissimo
che non amo discutere.

«Ok, fratellone. Che ne dici di venire a prendermi


all’aeroporto sabato mattina. Così avremo tutto il tempo
per fare una bella chiacchierata. Ti prego, ti prego, ti
prego!»

Faccio un sospiro indulgente.

«Ok, ma ora devo davvero andare. Avviso Elliot del


cambio di programma»

Saluto mia sorella e, finalmente, esco dalla suite.

Trovo Taylor ad aspettarmi in corridoio.

«Mr Grey»

Mi porge una bottiglia di un ottimo Bollinger del 1999.

«Ci vediamo all’appartamento di Miss Steele. Alle nove


in punto»

Taylor annuisce, e io mi allontano nel corridoio.


Chiamo l’ascensore e quasi non mi riconosco. Una strana
euforia mi pervade. Ho voglia di lei, ho voglia di renderla
felice. Velocemente scrivo un sms ad Elliot, avvisandolo
che Mia lo ha gentilmente liberato dell’onere di andarla a
recuperare all’aeroporto a discapito del suo fratellone
preferito. Elliot mi risponde con un enorme smile,
ringraziandomi per avergli dato la possibilità di aiutare
Kate con il trasloco. E non solo con quello. Il mio passo
accelera fuori dall’Heathman. Individuo subito l’Audi A3,
di un rosso fiammante, pronta ad aspettarmi. Do
velocemente una mancia al giovane valletto che mi tende
le chiavi della vettura. Entro e l’odore di macchina nuova
mi invade le narici. Metto in moto ed esco dal parcheggio
a tutta velocità. L’ansia inizia a crescere. “Cosa le dirò
ora?”. Di certo dovrò lottare per farle accettare il mio
regalo. E farle accettare anche alcune delle mie richieste.
Ma forse… forse potrei cedere anch’io. La stravagante
idea inizia a farsi strada dentro di me. Forse potrei
provare a concederle un po’ di quel di più che chiede.
Magari far convivere i nostri due modi di essere. Ho in
mente qualche soluzione e credo che forse possa essere
un passo avanti nella sua direzione, che permetterà a lei
di farne uno nella mia. ‘Christian Grey va incontro ad una
sua Sottomessa?’. Sì, non è da me, è sbagliato da tutte le
prospettive, ma non voglio soffermarmici troppo. Voglio
provare. Nessuno mi obbliga a continuare se non dovesse
fare per me. Potrei sempre rescindere il contratto. O fare
un passo indietro solo su questo lato della nostra
relazione. Tento deliberatamente di ignorare le acute fitte
al petto, fino ad oggi mai provate. Quando scendo
dall’Audi, nel vialetto davanti al suo appartamento,
l’ansia mi assale. Ma, oramai, ho preso la mia decisione.
Capitolo 15

«Ciao»

Anastasia è sulla soglia, con ancora addosso il vestito a


pieghe, color argento. Le sue lunghe gambe che fanno
capolino mi fanno venire voglia di prenderla qui, sulla
soglia di casa sua. Mi sorride timidamente. La guardo
negli occhi, rispondendole con un sorriso sincero e
caloroso. “Sono davvero felice di essere qui. E lei è
dannatamente sexy!”. La voglia e il desiderio animano
anche i suoi occhi e, per qualche istante, si dimentica
delle buone maniere, lasciandomi sull’uscio mentre il suo
sguardo guizza ammirato sul mio corpo. Finalmente,
sembra riaversi.

«Accomodati» mi dice imbarazzata.

«Se posso» rispondo, divertito dalla sua aria ancora


trasognante.

Una volta dentro le mostro la bottiglia di Bollinger, che


avevo nascosto con il braccio dietro le spalle.

«Ho pensato che dovevamo festeggiare la tua laurea.


Niente di meglio di un buon Bollinger»

«Stiamo attenti a non versarlo, questo» mi dice


maliziosa.

Sorrido, divertito dalla sua ironia, ripercorrendo con la


mente tutti gli attimi della bellissima scopata di qualche
sera fa. “Io, il vino ed Anastasia. Un trio da urlo”.
«Mi piace il tuo senso dell’umorismo, Anastasia» le
dico divertito.

La seguo nel salone. Cammina spedita, concedendomi


ancora una volta la vista del suo bellissimo culo,
accarezzato dalla morbida stoffa argentea del vestito.

«Abbiamo solo tazze. I calici sono negli scatoloni» mi


dice con un pizzico di preoccupazione.

«Andranno benissimo»

Le scocco un sorrisetto, mentre i miei occhi faticano a


lasciarla. Il mio sguardo rovente le accarezza di nuovo il
corpo da capo a piedi. Mi sento esplodere i pantaloni.
“Andrebbe benissimo anche se potessi berlo di nuovo dal
tuo ombelico Anastasia”. China il capo, senza riuscire a
leggere la mia occhiata di fuoco. Si rifugia in cucina,
lasciandomi da solo a scrutarmi intorno. L’appartamento
è piccolo per i miei standard, ma relativamente comodo
per due studentesse. In giro non c’è molto. Probabilmente
è già tutto impacchettato per il trasloco. Sul tavolo da
pranzo un pacchetto in bella vista cattura la mia
attenzione. Sopra torreggia un biglietto. Mi avvicino
curioso.

«Vuoi anche i piattini?» la sento urlare dall’altra


stanza.

«Bastano le tazze, Anastasia» le dico di rimando,


distratto.

“Accetto le condizioni, Angel; perché tu sai meglio di me quale


debba essere il mio castigo; solo… solo… non fare che diventi più
pesante di quanto io sia in grado di sopportare!”.
Dev’essere per me. É una battuta tratta da Tess dei
D’Uberville. Il pacco evidentemente contiene i libri che le
ho regalato.

«È per te» mormora in apprensione, quando mi arriva


accanto. Poggia sul tavolo due tazze da tè.

«Mmh, lo immaginavo. La citazione è molto


pertinente» mormoro.

Rileggo il biglietto, seguendo con l’indice le parole


scritte dalla sua mano.

«Pensavo di essere d’Urberville, non Angel. Tu hai


scelto la degradazione» aggiungo malizioso. «Ero certo
che avresti trovato qualcosa di appropriato»

«È anche una supplica» mi sussurra nervosamente.

Mi giro a guardarla e trovo i suoi grandi occhi azzurri


ricolmi di paura e speranze inespresse.

«Una supplica? Mi chiedi di andarci piano?» le chiedo


guardandola serio.

Annuisce silenziosamente. Dentro di me si va pian


piano formando un pensiero. Mi viene in mente un’idea
per costringerla ad accettare il mio regalo.

«Ho comprato questi libri per te» le dico piano, con


uno sguardo irremovibile. «Ci andrò piano solo se li
accetti»

Faticosamente deglutisce, implorandomi con gli occhi


di accettare la sua richiesta.
«Christian, non posso accettarli, valgono troppi soldi»
mi supplica, sospirando.

«Vedi, è questo che intendevo quando parlavo della tua


sfida nei miei confronti. Voglio che tu li tenga, fine della
discussione. È molto semplice. Non devi pensarci più. In
quanto Sottomessa, dovresti essere riconoscente e basta.
Accetteresti quello che ho comprato per te perché a me fa
piacere» le dico esasperato.

«Non ero una Sottomessa quando me li hai comprati»

“Puntigliosa, come sempre”. La sua voce è bassa, un


leggero mormorio che mi eccita costantemente.

«No… ma adesso hai accettato, Anastasia»

La guardo attentamente, mentre scandisco le mie


parole. Ripeterlo mi eccita, mi riempie di una sensazione
di euforia, follia allo stato puro. “Hai accettato. Sei mia”.
La sua espressione, tuttavia, mi preoccupa e mi costringe
a tornare con i piedi per terra. Aggrotta la fronte e
sospira, probabilmente esasperata e sopraffatta.

«Se sono miei, posso farne quello che voglio» esordisce


dopo qualche attimo.

La guardo con diffidenza. “Dove diamine vuoi andare a


parare, Miss Steele?”.

«Sì» le rispondo cauto alla fine.

«In questo caso, vorrei darli a un ente benefico, uno


che lavora in Darfur, visto che sembra starti tanto a
cuore. Possono metterli all’asta»
La determinazione con cui inizia la frase va via via
scemando prima di arrivare alla fine di fronte alla mia
espressione. Faccio una fatica immensa per trattenermi
dal mettermela ora sulle ginocchia. La rabbia per la sua
aperta sfida nei miei confronti mi fa ribollire il sangue
nelle vene. Ma non posso rischiare di perdere il controllo.
Faccio un profondo sospiro.

«Se è quello che vuoi» acconsento, senza nascondere la


mia aria contrariata.

Anastasia arrossisce di colpo. “Sì, Miss Steele. Mi hai


dato un dispiacere. Ma più tardi posso restituirti il favore.
Ora che sei mia”.

«Ci penserò» mormora alla fine.

La vedo perdersi per un attimo nei suoi pensieri.


“Spegni il cervello e lasciati andare, maledizione”.

«Non pensare, Anastasia» le dico seccamente.

Si agita tra sé, imbarazzata, e fissa il suo sguardo sulle


sue mani. Il capo chino, quel vestito che mette in risalto
tutto il suo corpo, la sua pelle candida. É davvero
splendida. Poggio la bottiglia di Bollinger sul tavolo da
pranzo, accanto alle tazze e ai libri. Mi avvicino,
afferrandole il mento e costringendola a guardarmi.

«Ti comprerò molte cose, Anastasia. Dovrai farci


l’abitudine. Posso permettermelo, sono molto ricco»

E prima che possa rispondere la bacio dolcemente. Le


sue labbra calde che si schiudono sulle mie mi fanno
desiderare molto di più. Le nostre bocche roventi si
incollano per qualche secondo, mentre le lingue si
toccano, in una piccola e armoniosa danza di piacere.

«Per favore» aggiungo quando la lascio andare, per


addolcire la mia imposizione.

Anastasia mi fissa, con la fronte aggrottata.

«Mi fa sentire volgare» mormora poi, abbassando lo


sguardo.

Mi passo una mano nei capelli, irritato. “Tutta questa


situazione è così esasperante, cazzo!”. Prima di adesso
non ho mai dovuto giustificare le mie azioni, i miei ordini,
le mie imposizioni. Tutte le altre erano Sottomesse, felici
di esserlo e grate per quello che potevo offrirgli.
Anastasia, invece, è sempre lì ad analizzare, pensare,
riflettere. Mi sfianca, mi sfinisce del tutto.

«Non dovrebbe. Tu pensi troppo, Anastasia. Non dare


di te stessa un vago giudizio morale basato su quello che
potrebbero pensare gli altri. Non sprecare la tua energia.
È solo perché hai delle riserve sul nostro accordo; è del
tutto normale. Non sai in che cosa ti stai facendo
coinvolgere»

Aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole.


Inavvertitamente si morde le labbra, accendendo il mio
desiderio. Di nuovo. “Non riesce proprio a farne a
meno!”.

«Dai, smettila» le intimo con dolcezza.

Le prendo nuovamente il mento e le tiro il labbro


inferiore, fino a liberarlo dalla morsa dei denti.
«Non c’è niente di volgare in te, Anastasia. Non ti
permetterò di pensare una cosa del genere. Ti ho solo
comprato qualche vecchio libro che pensavo significasse
qualcosa per te, fine della storia. Ora beviamo lo
champagne»

Finalmente mi fa un sorriso. Un bellissimo sorriso,


anche se velato di tristezza. Ma mi rilassa. “Abbiamo
superato almeno questo ostacolo”. ‘La vedo dura fare lo
stesso con l’ostacolo rosso parcheggiato nel vialetto,
Grey!’. Allontano il pensiero per il momento.

«Così va meglio» le dico alla fine.

Mi giro e afferro la bottiglia, stappandola e riempiendo


le tazze a metà. “Questo l’aiuterà a sciogliersi un po’”.

«È rosato» mormora con sorpresa.

«Bollinger La Grande Année Rosé 1999, un’annata


eccellente» le rispondo, atteggiandomi ad esperto.

«In tazze da tè» aggiunge lei, divertita.

«In tazze da tè. Congratulazioni per la laurea,


Anastasia»

Le sorrido mentre le tazze di porcellana si scontrano


leggermente. Lo champagne è ovviamente ottimo.
Anastasia tentenna per qualche secondo prima di
assaggiarlo, come se stesse rimuginando su qualcosa che,
per fortuna, decide saggiamente di ricacciare indietro.

«Grazie» mormora. «Vuoi che parliamo dei limiti


relativi?» mi chiede poi, all’improvviso.
Mi viene da sorridere e lei arrossisce violentemente.

«Sei sempre così impaziente» le mormoro.

Le prendo la mano e la trascino sul divano. Mi siedo e


la faccio accucciare accanto a me. Chiudo gli occhi,
godendomi fino in fondo quel contatto. Il suo corpo, così
vicino, inizia a surriscaldarsi, come il mio.

«Il tuo patrigno è un uomo molto taciturno» le dico,


per alleggerire la tensione erotica che si sta creando tra di
noi.

Mi guarda ansiosa e in un certo senso delusa. “Sei


troppo impaziente, Anastasia”.

«Sei riuscito a conquistarlo» constata.

Scoppio a ridere, ripensando a quel paio di occhi


burberi che hanno tentato di uccidermi per qualche
attimo questo pomeriggio.

«Solo perché so pescare»

«Come facevi a sapere che amava la pesca?» chiede


curiosa.

«Sei stata tu a dirmelo, quando siamo andati a


prendere il caffè»

«Ah… davvero?»

Sembra sorpresa dal fatto che me ne ricordi. “Io


ricordo tutto di te, Anastasia”. Beve un altro sorso di
champagne dalla tazza, che si svuota del tutto.
«Hai assaggiato il vino al ricevimento?» mi chiede.

Faccio una smorfia al ricordo del sapore dolciastro


dello spumante da quattro soldi che ho assaggiato oggi
pomeriggio.

«Sì, era uno schifo» confermo.

«Bevendolo ti ho pensato. Quando sei diventato un


esperto di vini?»

«Non sono un esperto, Anastasia. Conosco solo quelli


che mi piacciono»

“Bene. Si sta lasciando andare lentamente”.

«Ne vuoi ancora?» le chiedo gentile.

«Grazie» dice annuendo.

Mi alzo dal divano, interrompendo di malavoglia il


nostro prezioso contatto, e afferro la bottiglia sul tavolo.
Gli verso altro champagne e poi torno a sedermi accanto a
lei, più vicino stavolta, poggiando la bottiglia a terra,
vicino alle mie gambe. “Meglio tenerla a portata di
mano”. Anastasia mi segue con gli occhi, in silenzio,
catturando ogni mia mossa.

«Questa casa sembra molto spoglia. Siete pronte per il


trasloco?» le chiedo, per fare conversazione.

Sto deliberatamente aumento la sua ansia. Voglio che


scoppi di desiderio. E, in fondo, mi diverto a tenerla sulle
spine proprio come ha fatto lei con me.
«Più o meno» risponde.

«Domani lavori?»

«Sì, è il mio ultimo giorno al negozio»

«Vi aiuterei per il trasloco, ma ho promesso di andare


a prendere mia sorella all’aeroporto»

In realtà Mia mi ha estorto quella promessa. “E per


colpa tua, Miss Steele”. Anastasia mi rivolge uno sguardo
sorpreso. “Ebbene sì. L’amministratore delegato
megalomane e maniaco del controllo, con uno stile di vita
sessuale ben più che alternativo, fa anche da babysitter
all’occorrenza”.

«Mia arriva da Parigi sabato mattina presto. Domani


torno a Seattle, ma ho sentito che Elliot vi darà una
mano»

«Sì, Kate è molto eccitata da questa prospettiva» mi


dice con un sorriso.

Ho il sospetto, a questo punto, che Elliot avesse già


deciso da tempo di rifilare a me l’arduo compito di
recuperare nostra sorella. Aggrotto involontariamente la
fronte al pensiero di Lelliot e Miss Irritazione.

«Già, Kate e Elliot, chi l’avrebbe mai detto?» mormoro.

Tra le mille persone con cui mio fratello poteva


invischiarsi doveva scegliere proprio la coinquilina di
Anastasia. Non vorrei che, per qualsiasi motivo, Elliot
venisse a conoscenza dei miei oscuri segreti.
«Dunque, ci sono novità per il lavoro a Seattle?» le
chiedo all’improvviso, risvegliandomi dai miei pensieri.

Anastasia mi guarda, cercando di capire,


probabilmente, perché continuo a divagare piuttosto che
affrontare l’argomento spinoso.

«Ho un paio di colloqui per posti da stagista» afferma


riluttante.

La guardo, sorpreso, inarcando un sopracciglio.

«Quando pensavi di dirmelo?» le dico autoritario,


rivendicando una sorta di possesso su di lei che esula dal
campo sessuale. ‘Perché avrebbe dovuto dirtelo, Grey?’

«Bè… te lo sto dicendo adesso» afferma sorpresa.

Sembra molto imbarazzata e reticente. La fisso, con


uno sguardo inquisitorio.

«Con chi?» chiedo perentorio.

Mi fissa per qualche secondo, indecisa sulla risposta da


darmi.

«Due case editrici» sputa fuori, poi, rimanendo sul


vago.

«È questo che vuoi fare, lavorare nell’editoria?»

Annuisce, all’improvviso più timida, come se avesse


paura che questo, per me, non sia abbastanza.

«Allora?» la incalzo pazientemente.


«Allora, cosa?»

Distoglie lo sguardo, fissandosi le dita che continua a


torturare.

«Non fare finta di non capire, Anastasia: quali case


editrici?» sbotto esasperato.

«Due piccole» mormora alla fine.

«Perché non me lo vuoi dire?» le chiedo corrucciato.

«Pressioni indebite» sputa fuori all’improvviso.

La guardo, sbalordito dalla sua uscita.

«Adesso sei tu che fai finta di non capire» mi dice di


rimando alla mia espressione.

La mia bocca si piega in un sorriso che non riesco a


trattenere. Scoppio a ridere di gusto.

«Finta? Io? Certo che sei una provocatrice nata. Bevi,


parliamo di questi limiti»

Mi metto comodo sul divano e tiro fuori i fogli che


avevo riposto nella tasca. Anastasia ingoia tutto lo
champagne che le è rimasto nella tazza. I miei occhi si
posano sulla sua gola, mentre deglutisce. La guardo
attento e bramoso, passandomi la lingua sul labbro
inferiore. “Oh, Miss Steele. Vorrei farti ingoiare
qualcos’altro proprio ora”. Ho un fremito di eccitazione
che mi fa vibrare l’uccello, già teso per la sua vicinanza.
La guardo di sottecchi, mentre cerco di concentrarmi sul
foglio che ho in mano, apprezzandola davvero in tutto il
suo splendore.

«Ne vuoi ancora?»

«Grazie»

Le sorrido maliziosamente, afferrando la bottiglia ai


miei piedi. Quando beve diventa molto più disinvolta. ‘E
anche straordinariamente arrendevole’. Il mio cervello mi
riporta alla mente lo spiacevole episodio con il suo amico
figlio di puttana. Resto con la bottiglia a mezz’aria. Non
voglio farla ubriacare in quel modo.

«Hai mangiato qualcosa?» le chiedo brusco.

«Sì, ho fatto un pasto di tre portate con Ray»

Esasperata, alza gli occhi al cielo. Lo fa sempre quando


è irritata da quello che le dico. Le afferro di colpo il
mento, spinto dalla rabbia per la sua continua sfida nei
miei confronti. Fisso il mio sguardo nel suo. La mia
espressione la dice lunga su quello che vorrei farle.

«La prossima volta che alzi gli occhi al cielo con me, ti
prendo a sculacciate» sibilo.

E il pensiero di lei nuda, riversa sulle mie ginocchia, mi


eccita al di là di ogni limite. Il mio uccello pulsa nei
pantaloni come non mai. Le mie labbra quasi sfiorano le
sue, ma mi trattengo dal baciarla. Non credo che riuscirei
a fermarmi se lo facessi.

«Oh» ansima lei, impaurita, ma credo eccitata come


me.
«Oh» la prendo in giro, rifacendole il verso. «Si
comincia così, Anastasia»

Mi guarda, persa nelle mie parole. É palesemente


combattuta tra la ragione e il desiderio di oltrepassare i
suoi limiti. “Non pensare, Anastasia”. ‘E tu invece pensa
un po’ di più, Grey’. Abbasso gli occhi, espirando l’aria
che trattenevo a causa della sua vicinanza, e la lascio
andare, riempiendole la tazza con altro champagne. Mi
viene da ridere.

«Adesso sì che ho la tua attenzione, eh?» le chiedo


sarcastico.

Annuisce, nuovamente in silenzio. “Odio quando le


chiedo qualcosa e non risponde”.

«Rispondimi» le intimo in tono severo. “Devi capire


chi comanda, Miss Steele”.

«Sì… hai tutta la mia attenzione» risponde alla fine,


con un filo di voce.

«Bene» le dico, con un sorriso arrogante stampato sul


viso.

Apro la lista dei limiti relativi e spiego per bene il


foglio, dandole la possibilità di guardarlo insieme a me.

«Dunque, per quanto riguarda gli atti sessuali, ne


abbiamo già fatto la maggior parte»

Si avvicina di più, sbirciando il foglio.


APPENDICE 3

Limiti relativi

Da discutere e concordare tra le due parti.

La Sottomessa consente a…?

• Masturbazione
• Penetrazione vaginale
• Cunnilingus
• Fisting vaginale
• Fellatio
• Penetrazione anale
• Ingoiare lo sperma
• Fisting anale

«Niente fisting, hai detto. Qualche altra obiezione?» le


chiedo con rinnovata dolcezza, capendo perfettamente il
suo imbarazzo nel parlare di queste cose.

Deglutisce, fissando il foglio, senza riuscire a


guardarmi.

«Il rapporto anale non mi ispira molto» sussurra.

Ripenso per un attimo al suo delizioso sedere che


ondeggia davanti ai miei occhi. “Prima o poi devo averlo,
Anastasia. Mi dispiace”.

«Il fisting te lo concedo, ma ci terrei davvero a


esplorare il tuo sedere, Anastasia. Comunque, per questo
possiamo aspettare. E poi, non è una cosa da fare in modo
precipitoso» la rassicuro, strizzandole l’occhio. «Il tuo
sedere ha bisogno di allenamento»
«Allenamento?» mormora intimidita.

«Eh, sì. Ci vuole un’attenta preparazione. La


penetrazione anale può essere molto piacevole, fidati. Ma
se ci proviamo e non ti piace, non siamo obbligati a
rifarlo»

Le sorrido, divertito da quello scambio di battute. É


una situazione del tutto nuova anche per me. Non ho mai
dovuto affrontare discussioni del genere con nessuna
prima d’ora. Anastasia mi restituisce uno sguardo a dir
poco incredulo.

«Tu l’hai provato?» chiede flebilmente.

La mia testa torna per un attimo a giorni in cui non


voglio tornare.

«Sì» le rispondo sincero.

«Con un uomo?»

«No. Non ho mai fatto sesso con un uomo. Non fa per


me»

«Mrs Robinson?» azzarda.

«Sì» rispondo con un piccolo sospiro.

Mi guarda a bocca aperta, scioccata. Ripenso


brevemente alla prima volta in cui Elena mi ha fatto una
cosa simile. É stato brutale, degradante. La sensazione di
avere un corpo estraneo dentro di me. Quasi mortificante.
Prima che un piacere intenso mi avvolgesse. Ricordo che
mi vergognai, quella volta. E tutte le altre volte che è
successo. Ma non ho mai rifiutato quella punizione. La
meritavo. Come tutte le altre. Ad essere sincero,
comunque, sono contento che non mi tocchi rifarlo.
Guardo il foglio, andando avanti, incoraggiato dal suo
silenzio.

«Bene… ingoiare lo sperma. In questa materia, hai già


preso 10»

La guardo con un sorrisetto, alzando un sopracciglio.


Anastasia arrossisce violentemente, anche se nei suoi
occhi scorgo un pizzico di orgoglio e di compiacimento.
Ho il sospetto che le piaccia davvero tanto succhiarmi
l’uccello. “E non immagini quanto piaccia a me, Miss
Steele”. Le sorrido, radioso.

«Dunque ingoiare lo sperma per te va bene?»

Annuisce senza fiatare, bevendo l’ultimo sorso di


champagne. La guardo, malizioso, compiere quel gesto
naturale che sta assumendo un significato altamente
erotico nella mia testa. Lei abbassa lo sguardo. Sembra
una vera Sottomessa in questo momento. Bella, sexy,
muta e docile.

«Ancora?» le chiedo allusivo, eccitato.

«Ancora» mormora a bassa voce, guardandomi da


sotto le lunghe ciglia.

E questa volta doppio senso non le sfugge. “Se non


vado avanti la scopo ora”. Le riempio di nuovo la tazza.

«Giocattoli erotici?» chiedo, poi, con naturalezza.


Si stringe nelle spalle, senza sapere cosa rispondere. Si
allunga, leggendo la lista che ho in mano.
La Sottomessa consente all’uso di…?

• Vibratore
• Dildo
• Dilatatore anale
• Altri giocattoli vaginali/anali

«Dilatatore anale? Fa quello che dice il nome?» chiede,


facendo una smorfia.

«Sì» le rispondo con un sorriso. «E rimanda alla


penetrazione anale di cui sopra. Allenamento»

«Oh… Cosa si intende per “altri giocattoli


vaginali/anali”?» chiede curiosa, con la fronte aggrottata.

«Perline, uova… cose così»

«Uova?»

Mi guarda spaventata.

«Non uova vere» le rispondo, scoppiando a ridere di


gusto. Scuoto la testa, divertito dalla sua uscita. Mi
guarda truce, stringendo gli occhi a fessura.

«Mi fa piacere che mi trovi ridicola» dice, offesa.

Smetto di ridere all’istante, cercando di non farla


incazzare. “Merda”. Ma sono divertito e non riesco a
nasconderlo del tutto.

«Scusami, Miss Steele, mi dispiace»


Faccio uno sforzo immenso per calmare la mia ilarità,
tornando all’argomento di discussione.

«Problemi con i giocattoli erotici?»

«No» sbotta.

‘L’hai fatta grossa, Grey’. Già. La donna che desidero è


qui, pronta ad ascoltarmi e a sforzarsi di accettare il mio
contratto, nonostante la sua inesperienza totale, e io l’ho
appena presa in giro. “Che coglione che sono!”.

«Anastasia» cerco di calmarla e farle tornare il


buonumore. «Mi dispiace, credimi. Non volevo ridere di
te. Non ho mai avuto conversazioni così dettagliate sul
tema. Il fatto è che sei così inesperta. Mi dispiace»

Si rilassa leggermente, anche se non abbandona la sua


aria offesa.

«Dunque… bondage» dico, tornando alla lista. Torna


ad osservarla anche lei.
La Sottomessa consente a…?

• Bondage con corda


• Bondage con nastro adesivo
• Bondage con cinghie di pelle
• Bondage con altro
• Bondage con manette/ceppi di metallo

«Allora?» la incalzo dopo qualche attimo.

«Va bene» sussurra, tornando a guardare il foglio.


La Sottomessa consente a essere costretta con…?

• Mani legate sulla fronte


• Polsi legati alle caviglie
• Caviglie legate
• Legatura a oggetti fissi/mobili ecc.
• Gomiti legati
• Legatura a barra divaricatrice
• Mani legate dietro la schiena
• Sospensione
• Ginocchia legate

La Sottomessa consente a essere bendata sugli occhi?

La Sottomessa consente a essere imbavagliata?

«Della sospensione abbiamo parlato. E se vuoi


inserirla tra i limiti assoluti, per me va bene. Richiede un
sacco di tempo, e io avrò a disposizione solo brevi periodi
in tua compagnia. Qualcos’altro?»

«Non ridere, ma cos’è una barra divaricatrice?»

«Ti prometto di non ridere. Ti ho già chiesto scusa due


volte». Assumo un’aria severa. «Non farmelo fare di
nuovo»

Un brivido la percorre da capo a piedi.

«Una barra divaricatrice è una barra con manette per


le caviglie e/o i polsi. È divertente»

Mi scruta per un attimo, soppesando le mie parole.

«D’accordo… Poi, essere imbavagliata. Sarei


preoccupata di non riuscire a respirare»
«Sarei preoccupato io, se tu non riuscissi a respirare.
Non voglio soffocarti» le dico aggrottando la fronte. “La
necrofilia non fa per me, Miss Steele, te l’ho già detto”.

Storce un attimo la bocca.

«E come faccio a usare le safewords se sono


imbavagliata?»

Rimango per un attimo senza parole. “Certo che pensa


proprio a tutto la ragazzina!”.

«Tanto per cominciare, mi auguro che non dovrai mai


usarle. Ma se sei imbavagliata, ricorreremo a segnali con
le mani»

Mi guarda con un’espressione strana. Aggrotta la


fronte, come se la cosa non la convincesse del tutto.

«La storia del bavaglio mi rende nervosa» dice dopo


qualche attimo di silenzio, sospirando.

Evito di insistere. In fondo non è qualcosa di realmente


necessario per me. Anzi. Devo dire che mi eccita sentirla
gemere e urlare di piacere. “Magari il bavaglio le
servirebbe quando dice cazzate impertinenti”.

«Va bene. Ne prenderò nota» acconsento.

All’improvviso mi fissa, come se avesse appena fatto


una scoperta eclatante.

«Ti piace legare le tue sottomesse in modo che non


possano toccarti?» esclama, con gli occhi sgranati.
Spalanco leggermente gli occhi. “Acuta, Miss Steele”.
Per tutte le altre, questa era solo una delle tante richieste
di un Dominatore. Erano tutte abituate a sottomettersi ad
ogni tipo di desiderio sessuale e non. Lei invece, estranea
a tutto quel mondo, sta cogliendo tutte le tante sfumature
del mio carattere.

«È una delle ragioni» rispondo pacato.

E dentro di me, improvviso, torna il desiderio di


sentire le sue mani su di me. ‘Forse dovresti lasciare che
provi, Grey’. Il pensiero mi spaventa.

«È per questo che mi hai legato le mani?» mi incalza.

Torno a guardarla negli occhi, scorgendovi un pizzico


d’ansia.

«Sì» rispondo sincero.

«Non ti piace parlare di questo» asserisce seria.

«No. Vuoi altro champagne? Ti sta rendendo audace, e


ho bisogno di sapere come la pensi riguardo al dolore» le
dico pratico, scacciando gli inopportuni pensieri che sono
appena affiorati nella mia testa. Le riempio per
l’ennesima volta la tazza e lei beve un altro sorso di
Bollinger.

«Dunque, in generale qual è il tuo atteggiamento


riguardo alla prospettiva di provare dolore fisico?»

La guardo, con ansia. Mi fissa agitata, mordendosi le


labbra. “Cristo”.
«Ti stai mordendo il labbro» la riprendo con severità.

Lo lascia andare immediatamente, abbassando lo


sguardo, senza rispondere alla mia domanda.
Probabilmente non ha termini di confronto.

«Da piccola ti picchiavano?»

«No» ammette, quasi come se fosse una colpa.

“Vorrei aver avuto io la tua fortuna, Anastasia”.

«Quindi non hai nessun punto di riferimento?»

«No»

Sento che tocca a me rassicurarla.

«Non è male come pensi. In questo campo


l’immaginazione è il tuo peggior nemico» le sussurro
dolcemente.

«Dobbiamo farlo per forza?»

«Sì»

E quasi mi sento in colpa. “Dobbiamo? Non posso


proprio farne a meno di picchiarla?… Bè a me piace farla
godere, e il pacchetto premi/punizioni rientra nel farla
godere”.

«Perché?»

«Fa parte del gioco, Anastasia. È così che agisco. Vedo


che sei agitata. Diamo un’occhiata ai metodi»
Le mostro di nuovo la lista, cercando di mantenere
sotto controllo anche la mia di agitazione, animata dalla
paura che possa cambiare idea.

• Sculacciate
• Sculacciate con strumenti appositi
• Frustate
• Bacchettate
• Morsi
• Pinze per capezzoli
• Pinze per genitali
• Ghiaccio
• Cera bollente
• Altri tipi/metodi di dolore

«Allora, hai detto niente pinze per genitali. Va bene.


Quelle che fanno più male sono le bacchettate» le spiego
paziente, mentre la osservo impallidire.

Ricordo quando sono toccate a me per la prima volta.


Elena era parecchio incazzata con suo marito quel giorno.
E come al solito io ero perfetto per i suoi sfoghi. Mi
picchiò selvaggiamente, senza badare a me. Sfogò tutta la
sua rabbia su di me e sul mio corpo. Non potrò mai
dimenticare la sua espressione, così crudele, assetata di
vendetta. Riuscì a calmarsi e a tornare serena solo dopo
un numero infinito di bacchettate. Mi lasciò per
settimane i segni sulla pelle. Istintivamente stringo le
spalle, provando una sorta di brivido. “L’ho fatto anch’io,
con le mie Sottomesse. E allora perché mi sembra tanto
innaturale pensare di farlo ad Anastasia”.

«Possiamo arrivarci per gradi» la tranquillizzo.

«O evitarle del tutto» mi sussurra di rimando.


«Questo fa parte del contratto, piccola, ma ci
arriveremo pian piano. Non ti spingerò troppo oltre»

«Questa storia delle punizioni è quella che mi


preoccupa di più» ammette.

La sua voce è udibile a malapena.

«Sono felice che tu me l’abbia detto. Per il momento


elimineremo le bacchettate. E a mano a mano che
acquisisci dimestichezza con queste cose, aumenteremo
l’intensità. Procederemo molto lentamente» la rassicuro.

Mi chino a baciarla dolcemente sulle labbra,


ripiegando il foglio e rimettendolo in tasca.

«Non è stato così male, no?»

Si stringe nelle spalle, senza abbandonare del tutto la


sua agitazione. E la mia torna a farsi sentire. É arrivato il
momento di rivelarle quello che ho in mente. Dopotutto
lei mi ha concesso tanto. Mi ha concesso sé stessa,
nonostante la sua inesperienza, i suoi timori e la sua
paura del dolore. Non so perché, ma sento davvero il
bisogno di cedere anch’io in qualche modo.
Probabilmente tutto questo è dovuto al fatto che io so. So
di essere un mostro, un pervertito. So di essere animato
da una profonda oscurità. E so di non poterla ammaliare
in nessun modo. Lei è così pura, così bella. É una piccola
anima innocente che rischia di incamminarsi sulla via
della perdizione a causa mia. Forse concederle un minimo
aiuterà anche me ad affrontare il senso di colpa. Forse è
solo che voglio essere sicuro che lei non vada via. E sento
che l’unico modo è quello di legarla a me. In un modo che
piaccia anche a lei.
«Senti, voglio parlare di un’ultima cosa, poi ti porto a
letto»

La mia voce tenta di nascondere una punta di


nervosismo.

«A letto?»

Mi guarda scioccata, sbattendo le sue lunghe ciglia su


quegli occhioni azzurri ingenui e caparbi allo stesso
tempo. Mi viene da sorridere, ma l’ansia fa sparire in
fretta questo sentimento.

«Andiamo, Anastasia, a forza di parlare di queste cose


ho voglia di scoparti fino alla settimana prossima. Anche
a te deve fare un certo effetto»

Il suo corpo è attraversato da uno spasmo di piacere. É


eccitata.

«Hai visto? E poi c’è una cosa che voglio provare»

Glielo dico d’un fiato. Senza sapere nemmeno io dove


mi porteranno le mie assurde intenzioni. Ma voglio
regalarle qualcosa. Dopo tutto quello che ha fatto per me,
sento di doverle almeno un po’ di spazio di manovra
questa sera.

«Una cosa dolorosa?» chiede flebilmente.

«No, smettila di vedere il dolore ovunque. È


soprattutto piacevole. Ti ho fatto male finora?»

«No» ammette.
«Bene. Senti, oggi mi dicevi che vuoi di più…»

Mi interrompo, cercando di trovare le parole giuste. In


realtà non so nemmeno io cosa voglio dirle. Le prendo
entrambe le mani tra le mie, sospirando leggermente.
‘Rilassati, Grey. Penserà che tu voglia sposarla’.

«Forse, al di fuori degli orari in cui sei la mia


Sottomessa, potremmo provarci. Non so se funzionerà.
Non so come sia separare le cose. È possibile che non
funzioni. Ma sono disposto a provarci. Magari una sera
alla settimana. Non so»

Mi guarda a bocca aperta, mentre le sto affidando la


mia esistenza. “Se solo sapessi quanto mi costa tutto
questo, Miss Steele”.

«Ho una condizione» continuo, con cautela.

«Quale?» mormora.

«Che accetti il mio regalo di laurea»

La fisso, scrutando i suoi occhi a fondo.

«Oh» mormora.

Sembra sorpresa, ma nemmeno tanto. Credo che abbia


già immaginato di cosa si tratti. La osservo per qualche
attimo, cercando di capire i suoi pensieri.

«Vieni» mormoro alla fine, alzandomi e prendendola


per mano.

Mi tolgo la giacca di pelle e gliela appoggio sulle spalle


lasciate nude dal vestito. Poi le riprendo la mano,
avviandomi verso la porta. ‘A cosa ti sei ridotto, Grey? Per
far accettare la tua volontà ad una Sottomessa devi prima
scendere a patti ora?’. Mando al diavolo il mio cervello.
Dentro di me so che non è così. Che non sto scendendo a
patti. Bè, forse solo un po’. Ma una semplice occhiata ad
Anastasia mi rende maggiormente sicuro della mia
decisione. Usciamo sul vialetto e ad attenderci c’è l’Audi
A3 a due volumi, rossa, che ho guidato prima.

«È per te. Congratulazioni per la laurea» le sussurro.

La prendo tra le braccia e le bacio i capelli. Quel


contatto mi fa eccitare ancora di più. Non vedo l’ora di
possederla. Anastasia rimane a guardare l’auto nuova
senza proferire parola. Niente. Zero. Non so come
prendere il suo silenzio. Ma alla fine decido di prenderlo
per quello che è. Rassegnazione e frustrazione. Ripenso a
quanti problemi si è fatta per quei vecchi libri
impolverati. E ora le ho messo davanti un’auto. Le prendo
la mano, cauto, e l’accompagno sul vialetto d’accesso dove
ho parcheggiato.

«Anastasia, il tuo Maggiolino è decrepito e pericoloso.


Non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa, quando
per me è così semplice sistemare la situazione»

Cerco di darle una spiegazione razionale, che possa


accettare. La guardo, ma lei continua a fissare incredula il
veicolo davanti a sé.

«Ne ho parlato con tuo padre. Era molto contento»


mormoro.

All’improvviso si volta, sconvolta, lanciandomi uno


sguardo carico di rabbia.

«L’hai detto a Ray? Come hai potuto?» mi urla contro.

“Cazzo, è davvero arrabbiata! Dovrebbe smetterla di


fare tante storie. Ha accettato ormai”.

«È un regalo, Anastasia. Cosa ti costa ringraziare e


basta?» le dico infastidito.

«Lo sai che è troppo» il suo tono di voce cala di poco,


ma resta comunque alterato.

«No, non per me, non per la mia pace mentale» sbotto.

Aggrotta la fronte, come se volesse farmi capire il suo


punto di vista. Poi rinuncia. All’improvviso gli occhi le si
illuminano. É come se un pensiero le avesse attraversato
velocemente la mente e finalmente si placa, rassegnata.
Guarda di nuovo la macchina, sospirando e calmandosi.

«Sono felice se me la presti, come il computer»

Sospiro. Di frustrazione, di sollievo, di… non so


nemmeno io di cosa.

«E va bene. Un prestito a tempo indeterminato»

«No, non a tempo indeterminato, ma per adesso.


Grazie»

Aggrotto la fronte dinnanzi a quell’autorità nel rifiutare


il mio regalo. Sono io il Dominatore. Sono io che
comando, Miss Steele. ‘E tu le hai anche concesso quel
fottuto “di più”, Grey’. Anastasia si alza sulle punte e mi
bacia dolcemente su una guancia.

«Grazie per l’auto, signore» mi dice dolcemente.

La guardo senza capire più niente. Nessuna ha mai


osato sfidarmi tanto. La afferro brutalmente, attirandola
al mio corpo. Trattengo la sua schiena con una mano,
mentre l’altra prende una ciocca di capelli.

«Sei una donna complicata, Ana Steele»

La bacio con passione, forzando le sue labbra sorprese


dal mio attacco. Pochi attimi e risponde al mio bacio con
la stessa intensità. Sento il suo desiderio, la sua
eccitazione che raggiunge la mia. Si scontrano e si
fondono, fino a farmi impazzire. I nostri corpi aderiscono,
si strusciano l’uno contro l’altro, surriscaldandosi. A
fatica mi stacco da lei, guardandola dritto negli occhi.

«Devo usare tutto il mio autocontrollo per non scoparti


sul cofano della macchina seduta stante, solo per
mostrarti che sei mia, e che se mi va di comprarti una
fottuta auto, te la compro»

Mi guarda con desiderio ardente.

«Ora andiamo dentro, voglio vederti nuda»

Apre la bocca e penso che stia per svenire alle mie


parole. La bacio di nuovo, furiosamente. Le nostre labbra
si scontrano fino a farsi male. La mia lingua penetra in
profondità, giù per la sua gola, prendendo tutto quello
che può prendere. Mi stacco di colpo, afferrandole la
mano e trascinandola di nuovo in casa. Non mi fermo se
non quando arrivo nella sua camera. Accendo l’abat-jour
e rimango per un attimo a guardarla. Anastasia ne
approfitta per implorarmi.

«Per favore, non essere arrabbiato con me» mormora,


contrita.

La guardo impassibile, mentre cerco di far tornare


stabile il mio respiro.

«Mi dispiace per l’auto e per i libri…»

Si interrompe, guardando la mia espressione


imbronciata, come un ragazzino.

«Mi fai paura quando ti arrabbi» sussurra alla fine.

Chiudo gli occhi, assorbendo le sue parole. “No, Ana.


Non voglio farti paura. Non è quello che voglio”. Quando
riapro gli occhi, la guardo con più dolcezza. Scuoto la
testa, respirando a fondo.

«Girati» le ordino piano. «Voglio toglierti quel vestito»

Obbedisce, senza fiatare. Mi avvicino, sentendo la sua


eccitazione anche a distanza. La vista della sua schiena
nuda riaccende il mio sangue. Le scosto leggermente i
capelli di lato, in modo che pendano dalla sua spalla
destra sul seno. Punto l’indice della mano destra sulla sua
nuca, scendendo lentamente lungo la sua spina dorsale. Il
mio tocco, scendendo, le fa inarcare la schiena. Geme
sommessamente. Un suono che mi invade i sensi e mi fa
venire voglia di prenderla subito, senza starci troppo a
pensare. Ma è altrettanto eccitante vederla contorcersi
per le mie carezze.
«Mi piace questo vestito. Mi piace vedere la tua pelle
perfetta» mormoro.

Raggiungo la chiusura dell’abito, sulla schiena e infilo


il dito nel vestito, attirandola a me. I nostri corpi
aderiscono perfettamente, mentre le annuso i capelli e mi
inebrio del suo odore. Il mio uccello si tende oltremodo e
va a strusciarsi sul suo meraviglioso sedere.

«Hai un profumo così buono, Anastasia. Così dolce»

Scendo lungo il suo orecchio, annusandola ancora, e


arrivando al collo. Inizio a baciarle piano la spalla
sinistra, mentre Anastasia ansima, vogliosa. Lentamente
abbasso la cerniera, mentre le mie labbra si spostano da
una spalla all’altra, succhiando piano la sua pelle e
leccandola. Ana freme e inizia a reagire alle mie
attenzioni, dimenandosi contro di me. Il mio cazzo ha un
ulteriore fremito.

«Dovrai. Imparare. A. Stare. Ferma.» sussurro,


scandendo le parole tra un bacio e l’altro.

Sciolgo il laccio del vestito attorno al suo collo e l’abito


scivola a terra, lasciandola con addosso solo le
mutandine. E i tacchi a spillo. É una visione celestiale. Sto
per scoppiare.

«Niente reggiseno, Miss Steele. Mi piace» mugolo


contro la sua spalla.

Le circondo entrambi i seni con le mie mani, mentre i


suoi capezzoli diventano turgidi.

«Alza le braccia e mettimele intorno alla testa»


Obbedisce velocemente, impaziente come sempre. Il
suo corpo si inarca, consentendomi una presa migliore
per i suoi seni sodi, mentre lei intreccia le sue mani nei
miei capelli, girando la testa di lato e offrendomi il collo
scoperto. Lo lecco, succhio forte la sua pelle e continuo a
strofinare il mento sotto il suo orecchio.

«Mmh…» ansimo dietro di lei.

E iniziamo una straziante danza con le nostre dita. Io


le torturo i capezzoli e lei segue il mio ritmo con i miei
capelli. Siamo entrambi al limite. All’improvviso
Anastasia geme forte.

«Vuoi che ti faccia venire così?» mormoro divertito


dalle sue reazioni.

Anastasia inarca la schiena, spingendosi di più contro


le mie mani.

«Ti piace, vero, Miss Steele?» mormoro con voce roca.

«Mmh…»

«Dimmelo» le ordino.

Continuo a torturarla, mentre lei si scioglie tra mie


mani. Adoro guardarla contorcersi.

«Sì» geme.

«Sì, cosa?» le chiedo severo, stringendole forte i


capezzoli. E dentro di me so, lo so che sto cercando un
pretesto per punirla. Uno qualsiasi. Perché al momento
non ne ho. Non riesco ad associare questo splendido
angelo a quella puttana drogata di mia madre. E questo
mi destabilizza.

«Sì… signore» articola a stento la risposta.

«Brava bambina» mormoro soddisfatto.

Le pizzico più forte il seno, eccitato dalle sue parole. Il


suo corpo, inarcato, struscia deliziosamente contro il mio
uccello, che mi diventa di marmo. Anastasia ansima,
dolcemente, afferrando con forza i miei capelli. “Oh, no,
Miss Steele. Non decidi tu quando venire. E poi mi hai
fatto incazzare. E poi voglio gustarmi il tuo orgasmo”.

«Penso che tu non sia ancora pronta per venire»


mormoro, smettendo di muovermi e mordicchiandole il
lobo sinistro.

Geme di nuovo, in risposta al mio morso.

«Quindi, forse, dopotutto, non ti lascerò venire»

La lascio calmarsi per qualche secondo. Poi ricomincio


a torturarle i capezzoli, mentre lei si struscia su di me,
risvegliando le mie fantasie più recondite. Sorrido contro
il suo collo, mentre le mie mani scendono lungo i suoi
fianchi, infilandosi nel retro delle mutandine e tirando.
Infilo i pollici nella stoffa, lacerandola e sventolandola
sfacciatamente sotto il suo naso. Le mie mani prendono il
posto della stoffa, accarezzandole la pelle. La avvolgo, poi
mi sposto piano, scendendo lungo il suo fantastico culo e
arrivando in mezzo alle sue gambe. Piano, con una
lentezza straziante, le infilo dentro due dita. É
completamente bagnata.
«Oh, sì. La mia adorabile bambina è pronta» mormoro
con la voce rotta dalla lussuria.

La giro verso di me, mentre sento la mia eccitazione


crescere sempre più. Mi infilo in bocca l’indice che fino a
qualche secondo fa era dentro di lei, gustandomi il suo
meraviglioso e dolce sapore.

«Hai un sapore così buono, Miss Steele»

Mi guarda sconvolta. “Mettiamola alla prova”.

«Spogliami» le ordino piano, guardandola con


desiderio.

Lei sembra spaesata.

«Puoi farcela» la prendo un po’ in giro.

Ana mi restituisce uno sguardo perplesso. Poi allunga


timidamente le mani verso la mia maglietta. “Ci avrei
scommesso!”. Gliele afferro appena prima che possa
toccarmi, sorridendole malizioso.

«Oh, no». Scuoto la testa. «Non la maglietta. Forse


dovrai toccarmi, per quello che ho in mente»

Il pensiero del suo tocco sulla mia pelle mi infiamma


nuovamente le vene di desiderio. Le prendo la mano
sinistra e gliela appoggio sul mio uccello fasciato dai
jeans.

«Ecco l’effetto che mi fai, Miss Steele» le dico con voce


roca.
Sussulta. Poi mi accarezza piano, strappandomi un
sorriso di apprezzamento. É nuda, davanti a me, indossa
solo i tacchi a spillo e mi sta accarezzando l’uccello. “Dio,
quanto la voglio!”. Vorrei sentirla urlare di piacere.
Prenderla con forza e sentirla dimenarsi contro il mio
corpo. Ma non voglio spaventarla proprio ora che ha
detto di sì.

«Voglio entrarti dentro. Toglimi i jeans. Prendi tu le


redini» le sibilo tutto d’un fiato.

Mi guarda sbalordita, sbattendo piano le palpebre.

«Cosa vuoi farmi?» la provoco, divertito.

All’improvviso mi guarda con aria di sfida, rialza la


testa e mi spinge sul letto. Scoppio a ridere, mentre Ana
mi guarda trionfante. In fretta e un po’ impacciata mi
sfila via scarpe e calzini. La guardo, senza riuscire a
nascondere il mio divertimento, misto all’eccitazione.
Nessuna ha mai preso l’iniziativa con me. É una
sensazione nuova. Mi guarda con adorante meraviglia,
mentre sale a cavalcioni su di me. Sbircio con desiderio il
suo sesso esposto al mio sguardo di fuoco. Infila le dita
sotto la cintura, sfiorandomi delicatamente il ventre. Quel
tocco mi fa trasalire di piacere. Chiudo gli occhi,
inarcandomi sotto di lei. “Cazzo! É meraviglioso. Perché
non è mai stato così prima di lei?”.

«Dovrai imparare a stare fermo» mi rifà il verso lei,


tirandomi piano i peli del ventre.

Respiro affannosamente, eccitato al limite, e le sorrido.


“Cazzo, non ho mai provato nulla di simile”.
«Sì, Miss Steele» mormoro affannato, contenendomi a
stento. «I preservativi, nella mia tasca»

Ansimo sotto il suo tocco. Mi guarda sfacciatamente


negli occhi, mentre lentamente esplora la mia tasca,
toccandomi ancora. Schiudo la bocca e fatico a non
avventarmi su di lei. Tira fuori i preservativi e guarda le
due bustine con gioia. “Oh, sì, Miss Steele. Voglio scoparti
più di una volta”. Le sue dita tornano sui miei jeans e
slacciano il bottone. Anastasia si agita su di me, eccitata.
La prendo un po’ in giro.

«Sei così impaziente, Miss Steele»

Mi abbassa la cerniera e prova a spostare i miei boxer.


Li tira, cerca di spostarli. Ma niente. Rimangono ancorati
al mio uccello in tiro. Aggrotta la fronte e si morde il
labbro. Sento l’ennesimo fremito nel basso ventre.
“Cazzo!”.

«Non posso stare fermo se ti mordi il labbro» gemo.

Ma il mio sembra quasi un avvertimento. Inarco il


bacino, staccandomi dal letto e permettendole di
abbassarmi jeans e boxer. Muovendo le gambe scalcio i
miei vestiti a terra. I suoi occhi luccicano, animati dalla
sfrenata voglia di avermi. Il mio stomaco si contrae per il
desiderio.

«E adesso cosa pensi di fare?» le mormoro, eccitato e


preoccupato al tempo stesso.

Non ho il controllo, non so cosa farà. Mi sento


vulnerabile. Sono completamente suo. Almeno in parte.
Anastasia alza una mano, toccandomi l’uccello. Apro la
bocca per dire qualcosa, ma fallisco miseramente. Inspiro
profondamente, eccitato come non mai da questo
turbinio di sensazioni nuove. Si piega in avanti, i capelli le
cadono sul viso. E la sua dolce bocca si schiude sulla mia
cappella in fiamme. Succhia forte, mugolando il suo
piacere. Chiudo gli occhi, trattenendo il fiato, mentre il
mio corpo freme. “Cazzo, è proprio quello che volevo!”. La
sua lingua serpeggia lungo la mia asta di marmo, mentre
io godo senza ritegno. “Cristo, cristo, cristo!”.

«Dio, Ana, piano» gemo, con gli occhi stretti, cercando


di farle rallentare il ritmo.

Rischio di esploderle in bocca se continua in questo


modo. Anastasia continua incessantemente a stuzzicarmi.
É un turbinio di labbra e lingua, che succhiano,
esplorano, accendono il desiderio, portandomi sull’orlo
del precipizio. Mi tendo, cercando di resistere, mentre le
sue labbra si serrano sempre di più attorno al mio uccello,
andando su e giù. Lo lascia scivolare giù fino in gola. Più
volte. “Cazzo, è divina”.

«Fermati, Ana, fermati. Non voglio venire» la supplico


con un gemito roco.

Si tira su, sorpresa. Ansimiamo insieme, mentre mi


osserva, confusa, con la fronte aggrottata, le labbra
arrossate e gli occhi spalancati.

«La tua ingenuità e il tuo entusiasmo sono disarmanti»


le spiego affannato. «Mettiti sopra… è la cosa migliore»
sospiro, ancora scosso.

Se si mette sotto di me ora, la scoperò in modo brutale,


preso dal desiderio come sono.
«Tieni, infilami questo»

Le passo uno dei preservativi. Lo guarda incerta. Poi


strappa la bustina e prende tra le dita il profilattico
appiccicoso, osservandolo.

«Pizzica la punta e poi srotolalo. Non deve entrarci


l’aria» le spiego paziente.

Fissa il mio membro che punta sfacciatamente in alto.


Poi si china e con tutta la concentrazione e la precisione
di questo mondo, srotola il profilattico sul mio uccello…
lentamente. “Merda!”.

«Anastasia, mi fai morire…» gemo ancora sotto di lei.

Si risolleva, guardando soddisfatta il frutto del suo


lavoro.

«Ora voglio affondare dentro di te» le sussurro.

Mi guarda spaventata. Mi alzo a sedere di colpo. Siamo


faccia a faccia, lei seduta a cavalcioni su di me.

«Così» le mormoro contro la bocca, circondandole i


fianchi con il braccio destro e sollevandola di poco.

Mi posiziono e lentamente la lascio scivolare su di me,


riempiendola. Il suo sesso bagnato mi accoglie e si serra
intorno a me. “Finalmente!”. Geme sonoramente, a bocca
aperta.

«Così va bene, piccola, sentimi, fino in fondo» chiudo


gli occhi, affondando completamente dentro di lei.
Mi fermo, con la testa poggiata sul suo seno,
godendomi quella sensazione e lasciandola abituare a me.
Anastasia respira sonoramente, stringendomi i capelli
con una mano. Non so per quanto tempo resto fermo, con
lei che mi avvolge, mi tiene ancorato a sé. Alzo la testa,
guardandola.

«È profondo, qui» mormoro con un sorriso, contro le


sue labbra, inarcando e ruotando contemporaneamente i
fianchi.

Geme, fremendo. I suoi occhi si chiudono, per poi


riaprirsi bisognosi.

«Ancora» mi ordina piano.

“Si, signora”. Sorrido lascivamente e obbedisco,


strappandole un altro gemito, mentre porta all’indietro la
testa, facendosi ricadere lentamente i capelli sulle spalle.
Mi lascio andare all’indietro anch’io, affondando sul
materasso. Le mie mani scivolano sui suoi morbidi
fianchi, sulle sue gambe e poi ai lati della mia testa, sul
materasso.

«Muoviti, Anastasia, su e giù, come vuoi. Prendi le mie


mani» ansimo, con la voce rotta dal desiderio.

Afferra le mie mani, bisognosa. Si solleva sulle


ginocchia e poi scende giù, affondando di nuovo sul mio
cazzo. Quel movimento mi spezza il respiro. Le vado
incontro mentre mi lascia immergermi di nuovo in lei,
spingendola in alto di nuovo. E ancora. E di nuovo
ancora. Iniziamo a muoverci all’unisono, seguendo il
ritmo dettato dai nostri desideri che si fondono. Mi
cavalca, vogliosa di raggiungere l’apice del piacere.
Respira affannosamente, mentre la guardo ergersi su di
me, come una dea. I seni si muovono a ritmo del rapporto
che stiamo consumando. Ed è una visione meravigliosa.
Le sue mani stringono con forza le mie, mentre i nostri
respiri si fondono. I suoi occhi sono velati di desiderio, di
bisogno. Spingo forte dentro di lei, arrivando fino in
fondo. I nostri corpi, sudati, spossati, si muovono in
sintonia, alla ricerca del piacere estremo. Il mio sguardo
si fissa sui suoi capezzoli turgidi. Vorrei avere la forza di
alzarmi e succhiarli. Ma sono completamente preso da lei,
che mi tiene avvinto. La guardo. Ed è come se la vedessi
per la prima volta. I suoi occhi si fissano nei miei e
Anastasia si crogiola nello sguardo stupito che le sto
rivolgendo. “Cazzo, se è bella”. Ed è mia. O meglio, in
questo momento, con lei che mi guarda dall’alto, che
affonda su di me, che mi prende al suo ritmo, al nostro
ritmo… io sono suo. E straordinariamente realizzo. É lei
che sta scopando me. É davvero lei che tiene le redini, il
controllo. Magari inconsapevolmente, magari non fino in
fondo. Ma è lei che mi sta dominando, torreggiando in
alto su di me. In quello stesso istante, Anastasia viene,
urlando, completamente fuori controllo. Quella visione
mi basta per crollare sotto di lei. Le lascio le mani e le
afferro forte i fianchi, imprimendo i segni delle mie dita
su di lei. Chiudo gli occhi e rovescio la testa all’indietro, in
silenzio, ancora scioccato per quel lampo di rivelazione.
E, come un fiume in piena, mi riverso dentro di lei.
Capitolo 16

Anastasia crolla pesantemente sul mio corpo e,


insieme, ansimiamo in silenzio, fino a calmarci. La sua
testa è poggiata sul mio petto e la sento annusare piano il
mio profumo. Per fortuna ho lasciato addosso la t-shirt.
Restiamo così per non so quanto tempo. La prima a
muoversi è lei. Alza piano un braccio e poggia una mano
sul mio petto. Ci metto meno di un secondo per realizzare
quello che ha fatto. “Cristo santo, Anastasia. No!”. Il
dolore fisico che si riverbera in tutto il mio corpo mi fa
stringere forte gli occhi. Le afferro la mano con forza. Mi
guarda impaurita. Per smorzare la violenza del mio gesto
mi porto la sua mano alle labbra. Delicatamente bacio
piano ogni nocca. Mi sposto, girandomi sul fianco destro
e la trascino con me, per guardarla negli occhi. E per
tenerla ferma.

«Non farlo» le mormoro piano, a mo’ di avvertimento,


depositandole un leggero bacio sulle sue labbra morbide.

«Perché non ti piace essere toccato?» mi chiede con


dolcezza.

«Perché dentro ho cinquanta sfumature di tenebra,


Anastasia» ammetto sinceramente, senza avere il
coraggio di dirle di più. «La mia introduzione alla vita è
stata molto dura. Non voglio annoiarti con i dettagli. Non
farlo e basta»

“Non posso dirtelo, Anastasia. Non posso darti nessuna


spiegazione che tu giudicheresti razionale per dare un
senso alle mie azioni, alla mia vita e al mio essere così
follemente depravato”. Per smorzare la tensione che si è
creata tra di noi, mi avvicino e strofino la punta del mio
naso contro il suo. Un piccolo contatto che riesco a
tollerare e che le lascia un sorriso sulle labbra. Poi mi
alzo, sedendomi sul letto. Sono ansioso di cambiare
argomento.

«Abbiamo affrontato tutte le nozioni di base. Ti è


piaciuto?»

“Perché a me è piaciuto davvero un sacco, Miss Steele”.


Anastasia rimane per qualche attimo a guardare il
soffitto, pensierosa. Poi piega la testa di lato. Imitando
me, credo. Mi fa un piccolo sorriso, frenato dalla tensione
che ancora non si è del tutto dissolta.

«Se immagini che io creda di aver preso il controllo


anche solo per un istante, bè, non hai tenuto conto del
mio quoziente di intelligenza» mi dice, con un sorriso
timido. «Ma grazie per avermi illuso»

Sorrido, divertito dalla sua osservazione. Anche se non


è del tutto vera.

«Miss Steele, tu non hai solo un bel visino. Finora hai


avuto sei orgasmi e mi appartengono tutti» mi vanto,
spavaldo.

Di colpo arrossisce in modo violento, guardandomi in


modo strano. “Cosa mi nascondi, Miss Steele?”. Aggrotto
la fronte.

«Devi dirmi qualcosa?»

Il mio tono è severo. Riconosco il Dominatore che è in


me. E che tenta di uscire fuori ad ogni costo. La voglia di
vedere la sua pelle arrossarsi sotto le mie mani mi fa
svettare l’uccello di nuovo all’insù. “Cristo santo, che
effetto mi fa!”.

«Stamattina ho fatto un sogno»

La voce le trema. É spaventata di dovermi confessare


qualcosa.

«Ah, sì?»

Le lancio un’occhiata di fuoco. “Dimmi che hai


disobbedito e ti sei data piacere da sola, Miss Steele, e
potrei anche decidere di non ragionare più. Avresti
deliberatamente infranto una delle mie regole”.

«Sono venuta nel sonno»

Mentre lo dice si copre gli occhi con il braccio,


rimanendo distesa sul letto. Mi viene così tanto da ridere
che a malapena riesco a trattenermi. La vedo spostare di
poco il braccio, per sbirciare nella mia direzione.

«Nel sonno?» le chiedo, mentre un sorriso aleggia sulle


mie labbra.

«Mi ha svegliato» dice, abbassando il braccio.

«Lo immagino. Cosa stavi sognando?» chiedo


incuriosito.

Anche se credo di sapere la risposta. O meglio, non


posso immaginare che la sua risposta sia diversa da
quello che penso. Non so come potrei reagire. Dopo
qualche attimo di reticenza, dovuta all’imbarazzo di
confessarmi il suo sogno erotico, probabilmente il primo,
finalmente si decide a rispondere.

«Te» ammette vergognandosi.

Il suono di quella parola mi inebria. E mi eccita.

«Cosa facevo?»

Di nuovo si copre gli occhi con il braccio, imbarazzata.


Il silenzio è assordante. E io voglio sapere. É buffa così
distesa sul letto, nuda eccetto che per i tacchi a spillo e
con il braccio sugli occhi come se fosse una bambina
scoperta a fare una qualche marachella. Ma non può
sempre fare così. Oramai ha accettato e deve capire che
quando io le chiedo qualcosa lei è tenuta a rispondere. Di
qualsiasi cosa si tratti.

«Anastasia, cosa facevo? Non te lo chiederò ancora» le


dico con un tono che non ammette repliche.

«Avevi un frustino» mi dice frettolosamente,


probabilmente spaventata dal mio tono.

La cosa mi colpisce alquanto. Ha sognato me, con un


frustino, che probabilmente la frustavo o sculacciavo o
torturavo fino a farla venire. E le è piaciuto talmente da
venire sul serio. Le scosto il braccio dagli occhi per
guardarla. Voglio sapere se mi sta dicendo la verità.

«Davvero?» chiedo scettico.

‘Perché dovrebbe mentirti, Grey?’.


«Sì»

Diventa viola dall’imbarazzo.

«C’è ancora speranza per te» mormoro. «Ne ho diversi,


di frustini»

«Di cuoio marrone intrecciato?»

Scoppio a ridere, sinceramente divertito dalla sua


uscita.

«No, ma sono sicuro che potrei procurarmelo»

Mi chino su di lei, ancora distesa sul letto, e la bacio. Di


sfuggita, guardo l’orologio. É tardi. Devo tornare in
albergo e prepararmi per la riunione di domattina. Mi
alzo, sfilo il preservativo e mi infilo i boxer grigi.
Anastasia si agita sul letto, ma rimane in silenzio. Si alza
e, imitandomi, inizia a vestirsi. La guardo mentre le sue
deliziose labbra si contraggono in un altrettanto delizioso
broncio. Guardo il profilattico che ho in mano. “Che odio
questi aggeggi!”.

«Quando dovrebbe venirti il ciclo?» le chiedo di getto.

Mi guarda stranita, terrorizzata oserei dire.

«Odio mettermi quest’affare» brontolo, dandole una


spiegazione. Sollevo a mezz’aria il preservativo e poi lo
getto incurante a terra. Prendo i jeans lì accanto e li infilo.
Anastasia rimane in silenzio a fissarmi, con addosso i
pantaloni di una tuta e un top.

«Allora?» la incalzo, esigendo una risposta alla mia


domanda.

«La settimana prossima» mi dice alla fine, riluttante.

«Devi iniziare a prendere la pillola» le dico in tono


autoritario.

“Non vedo l’ora di riversare sul serio il mio seme in te,


Miss Steele. Così sarai mia fino in fondo”. Il solo pensiero
mi fa eccitare di nuovo. Il suo sguardo smarrito segue i
miei movimenti, mentre con calma, mi siedo sul letto e
mi infilo le calze e le scarpe.

«Hai un medico di fiducia?»

In effetti, non avendo mai avuto rapporti sessuali


prima d’ora, probabilmente non ha mai avuto bisogno di
uno specialista in campo ginecologico. A conferma dei
miei pensieri scuote la testa. Aggrotto la fronte. “Ok,
posso occuparmene io”.

«Posso chiedere al mio di venire a visitarti a casa tua,


domenica mattina, prima che ci incontriamo. Oppure può
visitarti a casa mia. Cosa preferisci?»

Mi rendo conto di essere pratico e diretto, come se


invece che di visite ginecologiche stessi contrattando un
affare. Ma non ho tempo per perdermi in stronzate, ora.
Ho avuto il suo consenso, ci siamo accordati sui termini
del contratto. Non voglio che queste cazzate ci facciano
perdere altro tempo prezioso.

«A casa tua» mi dice dopo averci pensato qualche


secondo.
Così possiamo inaugurare la Stanza dei giochi. Dovrò
trovare un ginecologo disponibile. La guardo. “Magari
facciamo una ginecologa”.

«Va bene. Ti farò sapere l’ora»

«Te ne stai andando?»

I suoi occhi dolci e azzurri mi implorano di restare. Ma


non posso. Tutte le concessioni di questa sera, tutto
quello che le ho permesso di fare. Ho bisogno di riflettere.
Di allontanarmi per un attimo e riprendere in mano la
mia vita. E non importa se non voglio. Devo.

«Sì» dico, cercando di non lasciar trapelare l’amarezza


per quella decisione.

«Come torni in albergo?» mormora a bassa voce.

«Viene a prendermi Taylor»

«Posso accompagnarti io. Ho una bellissima macchina


nuova» mi dice con un mezzo sorriso.

La guardo con affetto. É terribilmente carina quando fa


l’impertinente.

«Così mi piaci. Ma temo che tu abbia bevuto troppo»


ammicco divertito.

«Mi hai fatto ubriacare apposta?» chiede leggermente


piccata.

«Sì» ammetto.
Il mio tono nasconde una nota di arroganza.

«Perché?»

«Perché ragioni troppo sulle cose, e sei reticente come


il tuo patrigno. Un goccio di vino e cominci a parlare, e io
ho bisogno che tu sia sincera con me. Altrimenti ti chiudi
a riccio e non so cosa pensi. In vino veritas, Anastasia»

Le schiocco un sorrisetto compiaciuto e saccente. ‘C’è


poco da essere compiaciuti per il tuo comportamento,
Grey’.

«E tu pensi di essere sempre sincero con me?» mi


chiede sarcastica.

La sua domanda mi mette un po’ sulla difensiva.

«Ci provo. La nostra storia funzionerà solo se siamo


sinceri l’uno con l’altra»

Mi mordo l’interno del labbro inferiore. ‘Per questo le


hai detto che sei un sadico, vero?’ mi schernisce il mio
cervello. Anastasia guarda le lenzuola stropicciate sotto di
lei. Sopra di esse giace ancora il secondo preservativo che
non abbiamo usato. Allunga le dita e lo prende,
mostrandomelo.

«Vorrei che restassi e usassi questo» mi dice con


sospiro.

La sua voce è ridotta a un filo, ansima eccitata. Le


sorrido, divertito dalla sua audacia, ma anche bramoso di
possederla di nuovo.
«Anastasia, ho superato tante barriere qui, stasera.
Devo andare. Ci vediamo domenica. Il contratto con le
modifiche sarà pronto, così possiamo iniziare a giocare
sul serio»

Nel dirlo il mio corpo è attraversato da un brivido di


lussuria.

«Giocare?»

La sua voce è sempre più fioca. É palesemente eccitata


e stringe forte la bustina del preservativo tra le dita,
sempre più desiderosa di utilizzarlo. Continuo a
stuzzicarla.

«Mi piacerebbe mettere in scena una cosa con te. Lo


farò solo quando avrai firmato, quando saprò che sei
pronta»

“Ho voglia di vedere il tuo corpo contorcersi, per le tue


stesse carezze Anastasia”. É doppiamente eccitante
pensarla in quel modo, soprattutto perché so che dovrò
insegnarle tutto io. Chiudo brevemente gli occhi e vedo le
mie mani che conducono le sue lungo tutto il suo corpo,
accarezzando attraverso insieme quel dolce paradiso che
è il suo sesso bagnato e voglioso di accogliermi. E poi… ho
ancora quell’ovetto vibrante nella tasca della mia giacca.
Potrei sempre usarlo per vederla implorarmi e
supplicarmi di darle piacere. O potrei procurarmi lo
stesso frustino del suo sogno. Sorrido segretamente
pregustandomi la sua espressione alla vista dell’oggetto
dei suoi sogni. Sì, credo proprio che sarà quello che farò.

«Ah. Quindi potrei rimandare, se non firmo?»


La sua domanda mi riscuote dai miei pensieri lascivi.
Aggrotto leggermente la fronte. Per qualche attimo ho il
dubbio atroce che voglia tirarsi indietro. Ma non può
essere. La sua voglia è percepibile anche a distanza.
Siamo attratti come due calamite, i nostri desideri si
fondono anche quando non ci tocchiamo. E lei sta solo
aumentando deliberatamente la mia eccitazione. Le
sorrido sardonico, stando al gioco.

«Sì, immagino di sì, ma io rischierei di cedere sotto la


pressione»

«Cedere? In che modo?»

La mia risposta l’ha incuriosita. Piega la testa di lato,


stringendo gli occhi e scrutandomi. Annuisco piano,
rimandandole indietro un altro sorriso da bastardo
provocatore.

«Le cose potrebbero sfuggirmi di mano» le sibilo


contro.

Anastasia sorride maliziosa a sua volta. Il mio uccello


sta letteralmente per saltarle addosso, aspettando che io
mi decida a seguirlo.

«In che senso?» chiede, con la voce melliflua.

«Sai, esplosioni, inseguimenti in auto, rapimenti»


gioco con la sua fantasia.

E con la mia. Il pensiero di lei segregata nella mia


Stanza dei giochi mi manda in estasi. La scoperei senza
sosta. Sempre. In ogni modo. Senza pietà.
«Potresti rapirmi?» mi dice incredula, aggrottando
leggermente la fronte.

«Oh, sì» le scocco un gran sorriso.

“Non sai cosa darei per tenerti legata nella mia camera
da letto, Miss Steele”.

«Tenermi prigioniera contro il mio volere?»

Abbassa volutamente la voce. “Cristo santo se è


eccitante”. Immaginarla legata, ansimante, disperata e
vogliosa di prendermi tutto. La sua eccitazione raggiunge
quasi il livello della mia. Me ne accorgo da come cambia il
suo respiro, dalle cosce che continuano a sfregarsi l’una
contro l’altra, dal luccichio di suoi occhi azzurri da
cerbiatta.

«Oh, sì. E a quel punto passeremmo a un TPE 24/7»

«Temo di non seguirti» ansima, accaldata e desiderosa


di scopare di nuovo.

«Un Total Power Exchange, uno scambio totale di


potere, ventiquattro ore su ventiquattro»

Non riesco a trattenere la mia eccitazione. Ho


un’erezione da paura, sento il mio uccello pulsare e
implorarmi di essere liberato dentro di lei. Il solo
immaginarla alla mia mercé, poterle fare quello che
voglio, mi rende euforico.

«A quel punto non avrai scelta» le dico con un sorriso


perfido sulle labbra.
E lei, a questo punto, fa l’unica cosa che non avrebbe
dovuto fare. L’unica cosa che in realtà mi aspettavo che
facesse. L’unica cosa che volevo facesse.

«Ovvio!» sorride sarcastica, alzando al cielo i suoi


meravigliosi occhi azzurri.

É come se ad un tratto, quel gesto, avesse rotto un


argine. E io non sono più disposto a farmi sfidare in quel
modo da una ragazzina impertinente. “Sarai anche una
gran gnocca, Miss Steele, ma ti serve qualcuno che ti
rimetta in riga. E quel qualcuno sono io”.

«Oh, Anastasia Steele, hai appena alzato gli occhi al


cielo con me?»

Mi rendo a malapena conto che la fisso famelico, come


un lupo farebbe con un agnellino indifeso. Sono ansioso
ora. Ansioso di vedere il suo sedere arrossarsi sotto le mie
mani. Ed eccitato. Mi guarda in apprensione, ma nei suoi
occhi leggo anche la convinzione che non terrò realmente
fede alla mia minaccia di prima. “Quanto ti sbagli, Miss
Steele”.

«No» mi dice di rimando con una voce stridula.

“Ha anche il coraggio di negare l’evidenza”.

«Mi è sembrato di sì. Cosa ti ho detto che ti avrei fatto


in questi casi?»

Non risponde e mi guarda con aria di scuse. Mi eccita,


ma non basta. Voglio sculacciarla. Lo voglio da quando
l’ho incontrata. E questa è la mia occasione per fargli
capire qual è il suo ruolo in tutto questo. Con lentezza mi
siedo sul bordo del letto.

«Vieni qui» le sussurro piano.

Anastasia diventa pallida di colpo, ma il suo corpo non


accenna nessun movimento. Sembra paralizzata. Mi fissa.
Ed ha un ultimo impeto di audacia.

«Non ho ancora firmato» mormora.

Il suo sguardo fisso nel mio mi acceca. Azzurro contro


grigio. Grigio contro azzurro. Non ho nessuna intenzione
di dargliela vinta questa volta. So che la sua obiezione
dovrebbe fermarmi. Non ha firmato e le conseguenze
potrebbero essere catastrofiche. Ma se faccio un passo
indietro ora avrò perso del tutto la mia autorità e la mia
capacità di controllo. E io proprio non posso.

«Ti ho detto cosa avrei fatto. Sono un uomo di parola.


Ora ti sculaccerò, poi ti scoperò, molto in fretta e senza
pietà. Alla fine quel preservativo tornerà utile»

La mia voce è roca e tradisce tutto il desiderio che,


attualmente, è concentrato nel mio basso ventre. Il mio
uccello non vede l’ora di affondargli dentro, colpo dopo
colpo, dopo averla sculacciata per bene. Dopo averla fatta
mia. A modo mio. La fisso con gli occhi colmi di lussuria e
noto con stupore che i suoi sembrano rispecchiare il mio
stesso desiderio. Si sposta sul letto, esitando. Poi torna a
fermarsi e mi guarda come se stesse per prendere la
decisione più importante della sua vita. Il dubbio la
divora, le anima lo sguardo inquieto.

«Sto aspettando» le dico severo. «Non sono un tipo


paziente»
“E sono eccitato. E ti voglio, Anastasia. Ti voglio sulle
mie ginocchia”. La sento ansimare, improvvisamente di
nuovo agitata e tremante. Con lentezza scivola piano sul
letto, arrivando a me. Si mette di fianco, mentre la guardo
senza riuscire a nascondere una traccia di ammirazione.
Per lei. Per il suo coraggio.

«Brava bambina» mormoro. «Ora alzati in piedi»

Mi guarda con un vago senso di mortificazione negli


occhi. Ma è palesemente eccitata da tutto questo. E la
constatazione mi infiamma ancora di più. Si alza,
traballando leggermente e tendo la mano destra in avanti,
aspettando che mi consegni il preservativo che ancora
stringe tra le dita. Quando lo fa, non perdo un attimo di
più. La afferro di colpo, cogliendola di sorpresa,
mettendomela di traverso sulle ginocchia. “Oh sì, Miss
Steele. Ora sei nella posizione in cui ti ho sempre voluta”.
Mi piego in avanti, schiacciandole il torace sul letto e alzo
la gamba destra sulle sue, andandogliele a bloccare. Con il
braccio sinistro le fermo la schiena.

«Metti le mani sopra la testa» le ordino duro,


raddrizzando le mie spalle.

Senza proferire parola fa quello che le ho chiesto.

«Perché sto facendo questo, Anastasia?» le chiedo.

Sono io. Sono Christian Grey il Dominatore. Eppure


non so perché nella mia voce c’è una nota di nervosismo.
“Vorrei doverti fare questo perché sei bruna, pallida,
minuta come quella puttana drogata che mi ha generato.
Vorrei doverti fare questo per sconfiggere qualche oscuro
male che mi avviluppa l’anima. Ma la verità, Miss Steele,
è che non devo farti questo. Io voglio farti questo. Perché
mi ecciti in un modo fottutamente fuori dal normale. E
perché sei mia, mia soltanto e di nessun altro. E hai
deliberatamente disubbidito ad una mia richiesta”.

«Perché ho alzato gli occhi al cielo quando mi hai detto


una cosa»

Le parole escono smorzate dalla sua gola a causa della


posizione in cui l’ho costretta.

«Ti sembra educato?» le intimo, ritrovando un briciolo


di stabilità.

«No» ammette a fatica.

«Lo farai di nuovo?» chiedo duro.

«No»

«Ti sculaccerò ogni volta che lo farai, chiaro?» la


minaccio, mentre il pene si ingrossa senza ritegno nei
miei pantaloni.

“Quindi, Miss Steele, spero che tu lo faccia altre mille


volte”.

Con lentezza straziante le abbasso i pantaloni della


tuta, lasciando che la stoffa morbida le scivoli sulla pelle
sensibile. Anastasia sussulta quando si accorge del suo
sedere completamente esposto. E io con lei a quella
meravigliosa vista... Il mio cazzo fa male, pulsa
violentemente e spinge contro la stoffa dei jeans,
sfiorandole di poco il ventre appoggiato sulle mie gambe.
Non la tocco, aumentando i nostri desideri a dismisura.
Mi limito ad ammirare quella pelle splendida, bianca
come il latte, pregustandomi il pensiero di come sarà
quando avrò finito. Il suo respiro si carica di attesa,
eccitazione, terrore. É un groviglio di sentimenti
contrastanti. Sento il suo corpo teso, quando finalmente,
molto lentamente, le poggio una mano sul sedere.
Accarezzo piano la sua pelle, delicatamente, descrivendo
un percorso circolare. Brucia sotto le mie mani,
attraendomi ancora di più. Non riesco a decidermi a
sferrare il colpo, perché, per la prima volta nella mia vita,
sento di non avere un reale bisogno di tutto questo. É solo
puro desiderio di punire la sua impertinenza. “Hai alzato
gli occhi al cielo quando ho parlato, esprimendo fastidio e
scetticismo per le mie parole. Bene. Partiamo da questo
magari”. Alzo la mano e di colpo affondo nella sua carne.
Forte, duro, deciso. La sculacciata è sonora e la sua pelle
d’alabastro si colora all’istante. Un diffuso rossore si
espande come una macchia d’olio. La sola vista di tutto
questo sta per farmi venire. Il mio respiro cambia, ho il
cuore in gola. Il suo corpo si irrigidisce e si tende per
alzarsi e scappare via, ma la blocco con la mano. “No,
Miss Steele. Non fuggirai da me”. Lascio passare qualche
secondo, in modo che la smetta di divincolarsi. I miei
polmoni non mi danno tregua, gli occhi si caricano di
lussuria sfrenata. Alzo di nuovo la mano, inspirando
bruscamente. E affondo di nuovo su di lei. La colpisco più
forte di prima. “Perché ti mordi di continuo il labbro
sapendo che mi eccita”. Il rossore sulla sua pelle aumenta
e io non riesco più a resistere. Affondo su di lei
ripetutamente, senza apparente controllo, furioso.
“Perché ti sei ubriacata e stavi per farti molestare da quel
fottuto figlio di puttana”. Il suo corpo si irrigidisce
ancora. “Perché ti sei lasciata abbracciare dal fratello
della tua coinquilina oggi”. Un altro colpo, forte e deciso.
Il cazzo mi sta esplodendo. “E anche dal fratello del tuo
datore di lavoro”. Alzo ancora la mano senza riuscire a
controllarmi. “Perché non hai un briciolo di fottutissima
considerazione per te stessa!”. Mi fermo di colpo,
ansimante. Lo sguardo sconvolto. Le ho appena dato sei
sculacciate di santa ragione, il suo culo è di un delizioso
colore rosso. E lei non ha emesso un gemito. Il suo corpo
cerca di divincolarsi piano. Incredulo, con la mano le
accarezzo le natiche rosse come il fuoco. ‘Soddisfatto
Grey? Non ha emesso un urlo’. Aggrotto la fronte. Anche
mentre la sculaccio mi sfida. Non urla, non geme. Nessun
suono. Pensa di potermi resistere per quanto? Non riesco
più a trattenere il desiderio nel mio respiro. L’aria esce
prepotente dai polmoni e il mio uccello è
scandalosamente proteso all’insù. Ho voglia di fotterla…
senza pietà. Continuo ad accarezzarla, mentre il suo corpo
freme.

«Stai ferma» le ringhio contro. «Altrimenti ti sculaccio


più a lungo»

Non voglio smettere questa tortura nei suoi confronti.


Chiudo gli occhi e mi vengono in mente tutte le sue azioni
sconsiderate, tutta la sua sfida nei miei confronti. “E poi,
Miss Steele, hai anche cercato di restituirmi i libri che ti
ho regalato”. Alzo la mano e la colpisco di nuovo. Ora
però me la prendo con più comodità. Non è una necessità.
Non è un istinto irrefrenabile. Voglio punirla per il mio
piacere, per la mia eccitazione. Nient’altro. Voglio
gustarmi ogni colpo che infliggo alla sua carne.
L’accarezzo nel punto in cui l’ho colpita e le massaggio
piano le natiche. Cerco di calmare anche il mio respiro,
ma fallisco miseramente. Un sospiro roco e lussurioso mi
esce dalla gola. “Hai fatto storie per il computer che ti ho
regalato”. Un’altra sculacciata la colpisce forte su un altro
lato del suo sedere. Ancora una carezza, un massaggio
delicato. “Hai fatto storie per la macchina che ti ho
regalato”. E giù un’altra dura sferzata. Il suo corpo freme,
si tende, ad ogni colpo. “Mi hai fatto preoccupare te ieri
sera”. Questa volta il colpo è molto più duro. E finalmente
urla.

«Ahi!»

“Sì, Anastasia. E non ancora finito con te”. Sorrido


arrogante, eccitato, completamente preso da lei.

«Mi sto solo riscaldando» le annuncio con voce dura.

Le assesto un’altra sonora sculacciata, dopo averle


massaggiato la natica destra che, sospetto, le bruci da
morire. “Questo, Miss Steele, è perché mi sfidi sempre, in
ogni momento”. La sento contrarsi e stringere forte la
mascella. E il suo corpo è agitato dagli spasmi. Si muove
contro il mio ventre, mentre il mio cazzo pulsa appoggiato
al suo fianco. Le accarezzo la pelle delle natiche bruciante
e dolorante, in modo dolce. E poi ancora un altro colpo
ben assestato. “Questo lo so per che cos’è. Questo è
perché mi hai chiesto se fossi gay”. Massaggio, mentre mi
delizia con un altro urlo spasmodico. Poi ancora un altro
colpo. “E io voglio farti sapere che non è così”. Urla
ancora.

«Nessuno può sentirti, piccola, solo io»

Colpisco sempre più forte. “E voglio che urli”. E


colpisco ancora. “Voglio che urli ancora. Ancora. Ancora.
E ancora, Cristo santo!”. Fermo la mia mano dopo
diciotto sculacciate. Il mio respiro non si placa, la mia
sete di sesso mi invade i sensi e i miei occhi sono incollati
al suo culo favoloso, attualmente di un bellissimo colore
rosso vivo. Sono frastornato, confuso, eccitato, poco
lucido. “COSA CAZZO MI HAI FATTO, ANASTASIA?”.
Non mi sono mai sentito in questo modo. Mai così
euforico, così... così non so nemmeno io come. Ho solo
voglia di fotterla ora.

«Basta così» le ringhio contro. «Complimenti,


Anastasia. Ora ti fotto»

Allento un po’ la presa su di lei e le massaggio piano il


sedere, per lenire il dolore. Anastasia ha il respiro corto.
Non l’ho guardata in faccia, ma sono certo che non ha
pianto. É ancora scossa dai fremiti. All’improvviso,
cogliendola di sorpresa, le infilo dentro due dita, per
prepararla all’assalto del mio cazzo che pulsa
violentemente. La scoperta del suo sesso già
completamente bagnato, invece, mi lascia senza parole.
Sussulta, presa alla sprovvista.

«Senti qui. Senti come il tuo corpo ha gradito,


Anastasia. Sei fradicia» le mormoro stupito.

Questo davvero non me lo sarei mai aspettato. Non


solo ha lasciato che la sculacciassi. Ma… le è addirittura
piaciuto. É meravigliosamente bagnata, pronta per me.
Spinto dal desiderio, inizio a scoparla freneticamente con
le dita. Le infilo e le sfilo, godendo dei suoi gemiti attutiti
contro il copriletto. Gode per il mio tocco esperto, mentre
io mi sento morire di piacere. Lo stomaco si attorciglia,
ho voglia di lei, ho voglia di sentirmi avviluppato dal suo
sesso. E non resisto oltre. Sfilo di colpo le dita dalla sua
vagina e afferro il preservativo che è rimasto sul letto,
dietro di me. Con attenzione la sollevo e la adagio sulle
lenzuola, a testa in giù. Sbottono i miei jeans e li abbasso
un po’, insieme ai boxer, quel tanto che serve per entrarle
dentro e consentirmi di scoparla. Non voglio perdere
altro tempo a spogliarmi. Strappo la bustina del
preservativo e lo infilo velocemente. Delicatamente,
stando ben attento a non provocarle bruciore, le sfilo la
tuta e la metto in ginocchio sul letto. Il suo culo, di un
rosso intenso, è nuovamente esposto ai miei occhi
insaziabili.

«Ora sto per prenderti. Hai il permesso di venire»


mormoro piano, con la voce rotta dal desiderio di farla
mia.

Geme di incredulità alle mie parole. “Sì, Anastasia.


Decido io se e quando tu puoi venire”. E di colpo le
affondo dentro, facendola gemere di nuovo. Non riesco a
frenare il mio impeto. Continuo a spingere il mio cazzo
implorante trovando sollievo dentro di lei. Dentro
Anastasia. Un colpo dietro l’altro, veloce, forte, mentre i
miei occhi si beano della vista del suo meraviglioso sedere
ancora segnato dal mio desiderio. Le mie palle sbattono
con forza contro di lei, contro la sua pelle, acuendo la
sensazione di piacere che sto provando. Affondo tutto
dentro di lei, neppure un centimetro del mio sesso
pulsante resta fuori dal suo corpo. Vedo i suoi pugni,
allungati sul letto davanti a lei, stringersi convulsamente
attorno alle lenzuola. Anastasia geme forte, anelando il
piacere. E, finalmente, esplode urlando contro il
materasso. Il suo sesso si stringe forte attorno al mio
cazzo in fiamme, avviluppandolo, tenendolo ben saldo al
suo interno. Reclino la testa all’indietro, mentre il mio
corpo con un movimento contrario si protende in avanti.
Stringo forte gli occhi, rivolti verso il soffitto, e contraggo
la mascella, riversandomi di nuovo dentro di lei.

«Oh, Ana!» grido, affondandole le dita nei fianchi, fino


a quando non mi sono del tutto svuotato.

Crollo esanime al suo fianco, con il respiro corto. Senza


aspettare di calmarmi o che si calmi lei, la attiro a me,
sollevandola sul mio corpo, completamente vestito, ad
eccezione dei pantaloni semi abbassati. Affondo il naso
nei suoi capelli, inalando il suo profumo come fosse aria
preziosa. Circondo il suo corpo con le braccia e la stringo
forte. Ancora non riesco a credere a quello che è appena
accaduto tra di noi. L’ho punita. Ed è piaciuto ad
entrambi. É come se qualcuno avesse appena aperto uno
spiraglio su tutto un mondo sconosciuto. Sarà
interessante vedere dove tutto questo ci porterà. Ma resta
il fatto che sono sconvolto. Mi sento strano. Non riesco a
non pensare a quello che mi ha detto Elena, ma allo
stesso tempo sento, anzi ora so che un modo ci può
essere. Che possiamo davvero trovare un punto di
incontro tra il mio mondo ed il suo. Lei ha appena fatto
un passo nella mia direzione.

«Oh, piccola» gemo di appagamento. «Benvenuta nel


mio mondo» le annuncio.

Restiamo per non so quanto tempo sdraiati in questa


posizione, cercando di calmare i nostri respiri che quasi si
sono fusi a causa della vicinanza. Le accarezzo i capelli,
assaporando quella sensazione di profonda calma che mi
ha invaso. Anastasia rimane immobile, gustandosi, come
me, la calma di questo momento. Inalo a fondo ancora
una volta il suo profumo. É come se stessi facendo scorta
per quando dovrò andarmene da questa stanza.

«Complimenti, piccola» le mormoro contro la testa.

Sono davvero compiaciuto dal suo comportamento e


dalla sua resistenza. La sento sospirare profondamente,
soddisfatta del mio sincero apprezzamento nei suoi
confronti. “Chi l’avrebbe mai detto, Miss Steele”. Sbircio
la sua espressione. Sorride, compiaciuta. Le accarezzo
una spalla e lentamente le prendo tra le dita una spallina
del top a buon mercato che indossa. “Possiamo fare molto
meglio di così, Anastasia”.

«Usi questa per dormire?» le chiedo contrariato.

«Sì» risponde, soffocando uno sbadiglio.

«Dovresti indossare raso e seta, stupenda ragazza. Ti


porterò a fare shopping»

«Mi piace la mia tuta» mormora, fingendo irritazione.

Le do un piccolo affettuoso bacio sulla testa,


sorridendo per il suo tono.

«Vedremo» le annuncio.

Dovrò incaricare la mia solita personal shopper di


Neiman Marcus di scegliere qualcosa per lei. Invierò a
Caroline Acton la sua foto e le sue misure, in modo che
possa fornirle un ricco guardaroba adatto a lei. Sospiro di
nuovo, affondando la testa sulle lenzuola e continuando
ad accarezzarle piano i capelli. Non so per quanto tempo
rimaniamo così, in silenzio. Anastasia chiude gli occhi e
credo si addormenti per un po’. Ne approfitto per mettere
un po’ di ordine nei miei pensieri. Mi sento attratto da lei
ad ogni livello. Fisico, emotivo, mentale. Starle accanto
placa la mia insicurezza, la mia paura di essere solo che
non mi abbandona mai. Non mi abbandona da quando
avevo quattro anni, da quando l’unico essere che avrebbe
potuto e dovuto amarmi mi ha lasciato solo per tutto quel
tempo, a cibarmi di piselli congelati e morte. Accanto ad
Anastasia tutto questo senso di inadeguatezza, coperto
dalla mia maschera di ricco e potente uomo d’affari,
scompare. Ci siamo io e lei soltanto. E il bisogno
primordiale che avverto di tenerla al sicuro. Ad un tratto
si muove sul mio corpo. Credo che il suo pisolino si sia
appena concluso. E forse è meglio, perché devo andare
via e fare un minimo di chiarezza dopo tutto questo.

«Devo andare» le annuncio, sporgendomi su di lei e


stampandole un sonoro bacio sulla fronte. «Stai bene?» le
chiedo, poi, dolcemente.

Aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole. E lo


sguardo che mi restituisce è confuso, incerto. “Cazzo.
Forse non è andata così bene come speravo”.

«Sto bene» mormora alla fine con poca convinzione.

Vigliaccamente mi accontento della sua spiegazione e


non indago oltre. Non voglio discutere e finire con il farle
cambiare idea. Mi alzo dal letto, spostandola. Ho bisogno
di andare in bagno.

«Dov’è il bagno?»

«In fondo al corridoio, a sinistra»


Esco dalla stanza e non fatico a trovare la porta giusta.
Dopo essermi risistemato, frugo tra le creme ed i
cosmetici contenuti nell’armadietto. Trovo una lozione
per bambini che fa al caso mio. Prendo il flacone e torno
in camera di Anastasia. La trovo in piedi, con la testa tra
le mani. Mi scorge ed abbassa lo sguardo.

«Ho trovato un po’ di olio per bambini. Lascia che te lo


spalmi sul sedere» le dico in tono pratico.

Non vorrei che domattina avesse uno spiacevole


ricordo di tutto questo.

«No, non c’è bisogno» replica immediatamente, in


evidente imbarazzo.

«Anastasia» la avverto in tono asciutto.

Sta per alzare gli occhi al cielo, ma si ferma memore


della punizione appena ricevuta. “E che a quanto pare è
stata davvero efficace”. Incoraggiato dal suo silenzio, mi
siedo sul bordo del letto, abbassandole piano i pantaloni
della tuta. Verso la lozione, dal gradevole profumo di
camomilla, sul palmo di una mano e delicatamente le
massaggio i glutei, ancora piacevolmente arrossati. Il mio
cazzo, come me, non ne ha mai abbastanza di lei e
sarebbe pronto a ricominciare anche ora. Ma non posso.

«Mi piace metterti le mani addosso» mormoro senza


nascondere il mio desiderio carnale nei suoi confronti.

Le sfugge un lievissimo gemito di assenso, che mi


strappa un sorriso compiaciuto. Quando finalmente ho
finito le tiro su i pantaloni, con dolcezza.
«Devo andare» le dico, non senza una punta di
rimpianto.

«Ti accompagno fuori»

Mi parla tranquilla, ma continua a tenere gli occhi


bassi. Ho come il sospetto che se mai li alzasse
scoppierebbe in lacrime. O forse già lo ha fatto, mentre
sono andato in bagno. Le tendo la mano, afferrando la
sua e mi avvio verso l’ingresso, uscendo dalla sua camera.

«Non devi chiamare Taylor?» mi chiede, con lo


sguardo fisso sul pavimento del corridoio, appena sulla
soglia della porta.

“Perché cazzo non mi guardi, Anastasia?”

«Taylor è qui dalle nove. Guardami» le ordino


seccamente.

Alza gli occhi riluttante e, quando finalmente riesce ad


incrociare i miei, la fisso con stupore. Non ha pianto,
come invece mi aspettavo. Ma allora cosa c’è che non va?

«Non hai pianto» le mormoro.

La attiro a me di colpo e la bacio. Deciso, intenso,


sospirando di sollievo nel vedere i suoi occhioni asciutti.

«A domenica» le mormoro contro le labbra quando


finalmente riesco a staccarmi.

La mia voce tradisce il desiderio di ripetere


l’esperienza carnale che abbiamo appena sperimentato
nella sua camera. A malincuore esco sulla veranda e
imbocco il vialetto, dove Taylor, alla guida del Suv nero,
mi attende. Evito di voltarmi indietro a guardarla,
altrimenti so che tornerei da lei immediatamente. Le
concedo un ultimo sguardo solo quando, nel retro
dell’Audi, riesco a nascondermi dietro i finestrini scuri.
Anastasia, resta qualche secondo ancora sulla soglia. Poi
china il capo e rientra, lasciandomi con una sensazione
strana addosso. Durante il breve tragitto fino
all’Heathman rimango con la testa appoggiata al sedile,
un braccio sulla fronte, in rigoroso silenzio. Chiudo gli
occhi e la scena di me e Anastasia a letto torna nella mia
mente vivida come non mai. I segni che le ho lasciato
addosso, il rossore diffuso della sua pelle. I suoi occhi
azzurri che si perdono nel vuoto mentre gode sopra di
me. “Cristo!”. L’ho appena scopata due volte e sono
ancora in questo stato. Non riesco a pensare ad altro. Mi
passo una mano nei capelli, guardando fuori dal
finestrino. Il traffico scorrevole permette a Taylor di
arrivare più in fretta di quello che mi sarei aspettato.
Scendo davanti alla hall ed entro, mentre lui si dirige nel
parcheggio sotterraneo. Prendo di nuovo l’ascensore
numero 3. Quello dove l’ho baciata. Ormai è diventata
una fissa. Quando entro in camera, vado dritto in bagno e
mi butto sotto la doccia. Ci resto per un bel po’, facendo
scorrere l’acqua sulla mia testa, sperando che possa
portare via da me tutto questo casino. ‘Suvvia, Grey. In
fondo hai avuto quello che volevi’. Già. In effetti è così.
Ma ho come l’impressione di averla lasciata insoddisfatta
per qualche motivo. Esco dalla doccia, in fretta, mi
asciugo e torno in camera. Afferro il BlackBerry dal
comodino e decido di scriverle una mail. Voglio che
sappia che ho apprezzato davvero quello che si è lasciata
fare da me.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 26 maggio 2011 23.14
Oggetto: Tu

Cara Miss Steele,

sei semplicemente deliziosa. La donna più bella, intelligente,


spiritosa e audace che abbia mai incontrato. Prendi un analgesico…
Non è una richiesta. E non guidare più il tuo Maggiolino. Lo verrei a
sapere.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

‘Non saranno un po’ tanti questi complimenti, Grey?


Da quando ti serve adulare le tue Sottomesse per
tenertele buone?’. “Oh, cazzo! Ma perché questa tortura
non può semplicemente finire? Perché non posso
semplicemente fare di lei ciò che voglio, invece di stare
qui a preoccuparmi di come si sente e di cosa pensa? E
ora l’ho anche minacciata se per caso volesse di nuovo
guidare la sua macchina. Penserà che sono un maniaco”.
La sua risposta arriva finalmente, dopo pochi minuti.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 26 maggio 2011 23.20
Oggetto: Adulatore

Caro Mr Grey,

l’adulazione non ti porterà da nessuna parte, ma dato che sei già stato
dappertutto, la questione è controversa. Dovrò guidare il mio
Maggiolino fino a un’officina per poterlo vendere, quindi non starò a
sentire nessuna delle tue stupidaggini in proposito. Il vino rosso è
sempre preferibile a qualsiasi analgesico.

Ana

PS: Le bacchettate per me sono un limite ASSOLUTO.


“Spiritosa come sempre, Miss Steele”. Io cercavo di
essere un minimo carino e lei mi accusa di essere un
meschino adulatore. ‘In effetti, Grey…’. Zittisco il mio
cervello. Meglio cedere sulle bacchettate, comunque. Ho
notato che la cosa la rende nervosa.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 26 maggio 2011 23.26
Oggetto: Donne frustranti che non sanno accettare i complimenti

Cara Miss Steele,

non ti stavo adulando. Dovresti andare a letto. Accetto la tua


aggiunta ai limiti assoluti. Non bere troppo. Taylor si sbarazzerà della
tua vecchia auto, e riuscirà anche a spuntare un buon prezzo.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La sua risposta tarda ad arrivare stavolta. Ne


approfitto per infilarmi i pantaloni del pigiama e
rimettere a posto i documenti che mi serviranno
domattina per la riunione. Il suono del mio BlackBerry mi
richiama all’ordine.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 26 maggio 2011 23.40
Oggetto: Taylor. È l’uomo giusto per la missione?

Caro signore,

sono sorpresa che tu sia disposto a correre il rischio di far guidare la


mia auto al tuo braccio destro, e non a una donna che ti scopi di tanto
in tanto. Come fai a essere certo che Taylor riesca a spuntare il prezzo
migliore per la suddetta macchina? In passato, probabilmente prima
di incontrarti, ero nota per essere un osso duro nelle contrattazioni.

Ana
Ma che razza di impertinente! Sono letteralmente
furioso! “Una donna che mi scopo di tanto in tanto, Miss
Steele? Se solo tu sapessi come mi fai sentire vulnerabile
ed esposto al mondo grazie a quei tuoi meravigliosi occhi
e il tuo sorriso da favola! Ma Cristo santo, vaffanculo
Anastasia!”. Per la rabbia fatico quasi a digitare la
risposta sulla tastiera del telefono.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 26 maggio 2011 23.44
Oggetto: Stai attenta!

Cara Miss Steele,

immagino che sia il VINO ROSSO a parlare, e che tu abbia avuto una
giornata molto lunga. Ciononostante, sarei tentato di venire lì e fare
in modo che tu non possa sederti per una settimana, invece che per
una sera soltanto. Taylor è un ex militare ed è capace di guidare
qualsiasi cosa, da una motocicletta a un carro armato. La tua auto
non rappresenta un rischio per lui. Per favore, non riferirti a te stessa
come a una “donna che mi scopo di tanto in tanto” perché, molto
francamente, la cosa mi fa INFURIARE, e ti assicuro che, arrabbiato,
non ti piacerei.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mi siedo sul bordo del letto, sbattendo il telefono sul


materasso. Sospiro e mi lascio cadere all’indietro,
affondando sulla morbida trapunta. “Come fai a non
vedere come sono cambiato nel poco tempo che ci
conosciamo, Anastasia?”. Mi sento così diverso, così
vulnerabile. Non mi riconosco più da quando le ho
permesso di entrare nella mia vita. E lei pensa di contare
così poco per me. Sarebbe chiaro anche ad un cieco tutta
l’ammirazione che provo nei suoi confronti e tutto il
desiderio prepotente di averla. La vibrazione del telefono
interrompe i miei pensieri.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 26 maggio 2011 23.57
Oggetto: Stai attento tu

Caro Mr Grey,
non sono certa che tu mi piaccia in ogni caso, soprattutto adesso.

Miss Steele

Resto a fissare lo schermo del telefono per non so


quanto tempo. “Cosa… cosa cazzo vuol dire?”. Il mio petto
è attraversato da una fitta dolorosissima. Fa quasi più
male delle mie cicatrici. Fa più male di tutto. Ho quasi
paura di chiederle una spiegazione. Ma devo. Voglio.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 00.03
Oggetto: Stai attento tu

Perché non ti piaccio?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Rispondi in fretta, Miss Steele. Rispondimi, cazzo!


Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 00:09
Oggetto: Stai attento tu

Perché non resti mai con me.

Resto interdetto, leggendo la sua risposta. Sospiro di


rabbia mescolata a sollievo e a qualcosa di indefinito. Mi
alzo dal letto come una furia e apro l’armadio. Scelgo in
fretta cosa indossare per la riunione di domattina.
Indosso i boxer scuri, i jeans, una camicia bianca e una
giacca gessata. Infilo le scarpe e do un’ultima veloce
occhiata allo specchio. Prendo telefono, chiavi e
portafogli e infilo tutto nelle tasche dei jeans. Raccolgo
velocemente i fogli della relazione che ho preparato e li
infilo in una cartellina. Mentre scendo in ascensore,
mando un sms a Taylor per avvisarlo del brusco cambio
di programmi. Quando arrivo in garage apro la mia
macchina, butto la cartellina sul sedile di fianco al mio, e
parto a tutta velocità. Ci metto davvero poco per tornare
da lei. Sapevo che non avrei dovuto lasciarla. Lo sapevo.
Ma ho voluto deliberatamente ignorare le mie sensazioni.
Parcheggio con una brusca frenata nel vialetto. Scendo
dall’auto e con passo veloce mi dirigo sulla veranda,
bussando forte alla porta. Le luci sono ancora accese
all’interno. Quando l’uscio si apre lo sguardo fulminante
di Katherine Kavanagh mi coglie di sorpresa. L’ultima
persona al mondo che avrei voglia di vedere. Ma ad
investirmi non è tanto il suo sguardo, bensì le sue parole e
la rabbia che vi riversa dentro.

«Che cazzo sei venuto a fare?» mi urla contro senza


ritegno.

Mi guarda con un’espressione truce. Credo che se


potesse mi prenderebbe a sprangate in questo momento.

«Kate, devo vedere Ana» le dico, cercando di rimanere


calmo.

«Bè, non puoi!»


Mette le mani sui fianchi, bloccando l’entrata. Mi fissa
negli occhi e io fisso i suoi di rimando. É una sfida a chi
cede per primo.

«Kate, ho bisogno di vederla» le dico deciso.

La mia calma non reggerà ancora per molto. Il mio


sguardo gelido le intima che è meglio si tolga dalle palle
prima che la mia furia prenda il sopravvento. Stringo
forte i pugni, nel tentativo di calmarmi. “Dio, quanto è
esasperante questa donna!”.

«Che cosa le hai fatto stavolta? Da quando ti ha


incontrato non fa che piangere»

Sbarro gli occhi alle sue parole. “Piangere? Ma che


cazzo le è successo??”. Con un rapido gesto sposto la
Kavanagh di lato. Si appoggia al muro del corridoio per
non cadere, ma non me ne fotte un emerito cazzo. La
scavalco, fiondandomi in camera di Anastasia.

«No, non puoi entrare!» mi urla dietro Kate, ma sto già


aprendo la maniglia e cercando alla cieca l’interruttore.

Finalmente ci riesco e, quando la vedo, smetto di


respirare. Ha gli occhi rossi, gonfi e grosse lacrime le
rigano il suo bellissimo viso. É accecata dal forte bagliore
della luce elettrica.

«Cristo, Ana» mormoro, spegnendola luce e


avvicinandomi in fretta a lei.

«Cosa ci fai qui?» singhiozza tra le lacrime.

Il suo corpo minuto si muove a ritmo dei suoi singulti.


Mi siedo sul letto e accendo l’abat-jour, per guardarla,
mentre lei stringe gli occhi, cercando di abituarsi alla
fioca luce della lampadina. Katherine irrompe nella
stanza. Rimane sull’uscio, senza avvicinarsi.

«Vuoi che butti fuori questo stronzo?» chiede ad


Anastasia, continuando a guardare me come se volesse
trafiggermi con lo sguardo.

Alzo un sopracciglio, incredulo. “Come cazzo mi ha


chiamato??”

Anastasia scuote piano la testa e la sua amica alza gli


occhi al cielo, rassegnata ed arrabbiata.

«Se hai bisogno, lancia un urlo» le dice di rimando,


con un tono più dolce rispetto a quello che ha usato per
me.

Poi mi guarda, incazzata di nuovo.

«Grey, sei sulla mia lista nera, ti tengo d’occhio»

La guardo senza sapere cosa dire, sorpreso dalle sue


minacce. Credo sia la prima donna a comportarsi in
questo modo in mia presenza. Quando finalmente ci
lascia soli, senza del tutto chiudere la porta, ma
semplicemente socchiudendola, mi giro a guardare Ana.
La sua espressione è… non so nemmeno io in che modo
descriverla. Ho lasciato una ragazza un po’ triste qualche
ora fa, ma non mi aspettavo di trovarne una distrutta ora.
Le lacrime le segnano il volto pallido. Gli occhi azzurri
sono arrossati, rimpiccioliti dal gonfiore, ma sempre
bellissimi, come lei. E la cosa che fa male è che il
responsabile di tutto questo sono io. Dal taschino interno
della giacca tiro fuori un piccolo fazzoletto bianco e glielo
porgo.

«Cosa succede?» le chiedo, tentando di nascondere


l’apprensione, mentre lei prende il mio fazzoletto e si
asciuga il viso.

Non piange, ma continua a singhiozzare.

«Perché sei venuto qui?» mi apostrofa.

«Fa parte del mio ruolo vegliare sulle tue necessità.


Hai detto che volevi che rimanessi, quindi eccomi qui.
Però ti trovo in questo stato» le rispondo confuso.

In realtà fatico a capire il perché delle sue lacrime.


Abbiamo passato una serata splendida. ‘Magari è stata
splendida per te, Grey. A te nessuno ti ha preso a
sculacciate’.

«Sono certo di essere io il responsabile, ma non so


perché. È perché ti ho picchiato?»

Ho quasi paura a sentire la risposta. Si tira su, nel


letto, appoggiandosi alla testiera, sussultando per il
dolore. Mi guarda, immediatamente in apprensione.

«Hai preso un analgesico?» le chiedo.

Non risponde. Scuote soltanto la testa, mentre la


guardo male. Mi alzo e mi dirigo di là in salotto. So che
dovrò affrontare quella furia di Miss Kavanagh di nuovo.
E, a quanto pare, me lo merito. La trovo seduta sul
divano, intenta a leggere un libro. Ma ho il sospetto che il
suo reale intento sia quello di accertarsi che dalla camera
di Anastasia non provengano rumori equivoci. Si gira a
guardarmi, alzando un sopracciglio e preparandosi subito
ad attaccare come un mastino.

«Kate, ho bisogno di un analgesico per Anastasia» le


dico cercando di non perdere il mio cipiglio calmo.

Si alza di scatto, preoccupata per la sua amica.

«Sta bene?» mi chiede in ansia.

«Sì. É solo mal di testa»

Mi guarda con sospetto. Poi si alza e va in cucina,


avvicinandosi alla credenza. Tira fuori due o tre pacchetti
di medicinali e, quando torna, mi consegna una pastiglia
e una tazza da tè riempita d’acqua.

«Grazie» le mormoro, prendendoli.

«Ringrazia Ana, Grey. Fosse stato per me avrei preso a


calci quel culo da milionario che ti ritrovi» mi dice acida.

La fisso, con gli occhi leggermente spalancati per lo


stupore. Sospiro e mi giro di spalle, per andarmene.

«Non ti azzardare a toccarla, mentre è in quello stato,


Grey» mi sibila contro.

Non mi giro. Chiudo gli occhi e lascio passare il


lancinante dolore del senso di colpa. “Sono un pervertito.
Sono un fottuto pervertito”. Sento Kate che torna a
sedersi sul divano. Prendo coraggio e torno in camera.
Quando rientro Anastasia ha lo sguardo perso nel vuoto.
Si ricompone in fretta non appena mi scorge.
«Prendi questa» le dico, porgendole la tazza e la
pillola.

Non replica. Mette in bocca la medicina e l’acqua e


deglutisce piano. Prendo posto accanto a lei, sedendomi
sul letto.

«Parlami» le mormoro. «Mi avevi detto che stavi bene.


Non ti avrei mai lasciato sola se avessi pensato che ti
sentivi così»

Abbassa lo sguardo, mortificata. Ma io mi sento allo


stesso modo. “Non voglio farti piangere, Ana. Voglio solo
il meglio per te”. Il suo silenzio non accenna ad essere
infranto.

«Devo dedurre che quando mi hai detto che stavi bene


non era vero»

Arrossisce violentemente. Riesco a vederlo anche con


la fioca luce che ci illumina.

«Pensavo di stare bene» mi dice alla fine.

«Anastasia, non puoi dirmi quello che pensi io voglia


sentire. Non è sincerità, questa» la sgrido, ma il mio tono
è più amaro che arrabbiato.

Non è con lei che devo prendermela. Ma con me stesso,


se le incuto tutto questo timore.

«Come posso fidarmi di quello che mi dici?»

Il mio sguardo si perde nel vuoto. Mi sento spaesato.


Vorrei farle capire fino in fondo cosa provo e invece non
ci riesco. Perché io per primo non lo so. Sospiro forte,
passandomi le mani nei capelli. Deve riuscire ad essere
sincera con me. L’ultima cosa che voglio è farle del male.

«Come ti sei sentita mentre ti colpivo, e subito dopo?»

Mi risponde di getto.

«Non mi è piaciuto. Vorrei che non lo facessi più»

«Non doveva piacerti» le dico con tutta la semplicità di


questo mondo.

“Non era una sculacciata erotica, Miss Steele. Era una


punizione”. Mi convinco sempre di più che non ha
afferrato per niente il concetto fondamentale che sta alla
base di un rapporto come quello che le chiedo. “Cristo!”.

«Perché a te piace?» mi chiede, fissandomi con i suoi


occhi azzurri.

La guardo sorpreso. “Non posso dirtelo. Non posso


dirti il vero motivo, Anastasia”. Magari posso
semplicemente spiegarle come mi fa sentire tutto quello
che faccio. Questo posso rivelarglielo in fondo.

«Vuoi saperlo davvero?»

«Oh, l’argomento mi affascina, fidati»

Mi risponde in modo sarcastico, facendomi irritare.


Non sono abituato al fatto che le persone mi parlino in
questo modo. E non intendo abituarmici in verità.

«Stai attenta»
Il mio tono è quasi minaccioso, ma la cosa non è
intenzionale. Anastasia sbianca, sgranando gli occhi
ancora arrossati.

«Vuoi picchiarmi di nuovo?» mi chiede con aria di


sfida.

«No, non stasera» rispondo secco.

Fa un profondo sospiro di sollievo, prima di tornare


all’attacco.

«Allora?» insiste.

Guardo il soffitto per un attimo, quasi aspettandomi


che dal cielo piova una sorta di ispirazione.

«Mi piace sentire di avere il controllo, Anastasia.


Voglio che tu ti comporti in un certo modo, e se non lo
farai ti punirò, così imparerai a comportarti come
desidero. Mi piace punirti. Ho voluto sculacciarti da
quando mi hai chiesto se ero gay»

Arrossisce, mentre io spero solo che abbia capito


quello che intendevo. O meglio, quello che volevo farle
intendere. Aggrotta la fronte, confusa.

«Quindi non ti piaccio così come sono»

Ora sono io ad essere confuso. “Perché pensa questo?”

«Penso che tu sia fantastica come sei»

«E allora perché tenti di cambiarmi?»


«Io non voglio cambiarti. Vorrei che fossi educata,
seguissi le regole che ti ho dato e non mi provocassi.
Semplice» le dico.

«Però ti piace punirmi?»

“Ok. Mi accorgo da solo che il discorso che le sto


facendo è abbastanza contorto. Meglio rispondere con
tutta la sincerità che posso permettermi alle sue
domande”.

«Sì» sospiro.

«È questo che non riesco a capire»

Sono esasperato.

«Io sono fatto così, Anastasia. Sento la necessità di


controllarti. Ho bisogno che tu ti comporti in un certo
modo, e se non lo fai, mi piace guardare la tua splendida
pelle di alabastro arrossarsi e scaldarsi sotto le mie mani.
Mi eccita»

“Ecco. L’ho detto”. ‘Non le hai detto un cazzo, Grey’.

«Quindi il punto non è farmi soffrire?»

“Il punto dovrebbe essere proprio farti soffrire, Ana. É


per questo che scelgo sempre Sottomesse convinte, che
sanno cosa le aspetta e si abbandonano con devozione
alle punizioni corporali che infliggo loro. Con te è tutto
così contorto. Perché il punto non è farti soffrire, ma farti
godere. E io non riesco a spiegarmelo”.

«In parte lo è, per vedere se riesci a sopportarlo, ma


non è l’unica ragione. È il fatto che sei mia e che posso
fare di te quello che voglio, il fatto di avere il controllo
totale su un’altra persona. E poi mi eccita. Da morire.
Senti, non mi sto spiegando molto bene… Non ho mai
dovuto farlo prima. Non ho mai analizzato tutto questo in
profondità. Sono sempre stato con persone che avevano i
miei stessi gusti»

Non so cos’altro dirle. E comunque, motivi a parte, a


lei è piaciuto.

«E poi non hai ancora risposto alla mia domanda…


Come ti sei sentita dopo?» la incalzo.

«Confusa» risponde abbassando lo sguardo.

«Eri sessualmente eccitata, Anastasia»

Chiudo gli occhi cercando di reprimere il desiderio che


si è appena affacciato di nuovo dentro me. Mi è bastato
ricordare il suo sedere arrossato, il suo sesso bagnato e le
mie dita che scivolavano frenetiche al suo interno.
“Merda!”. Il mio cazzo si tende oltremodo. Quando riapro
gli occhi, sento ancora tutte queste cose. La guardo e lei
mi restituisce uno guardo voglioso, libidinoso, mentre il
suo corpo si tende. Un’aura di eccitazione ci avvolge
entrambi, tentando di avvicinarci.

«Non guardarmi così» le mormoro con la voce bassa.

Corruga la fronte, indispettita.

«Non ho preservativi, Anastasia, e poi tu sei molto


agitata. Al contrario di ciò che pensa la tua coinquilina,
non sono un mostro o un maniaco sessuale. E così, ti sei
sentita confusa?»

Il suo corpo è attraversato da un brivido, mentre


imperversa nel suo mutismo.

«Non hai problemi a essere sincera con me quando


scrivi. Le tue mail mi dicono sempre con precisione come
ti senti. Perché non riesci a fare lo stesso di persona? Ti
metto così in soggezione?»

«Mi incanti, Christian. Mi tramortisci. Mi sento come


Icaro, che volava troppo vicino al sole» mi mormora alla
fine, non potendo esimersi più dal rispondere. Ha lo
sguardo basso e continua a strofinare il dito sulla coperta,
in modo maniacale. Le sue parole mi fanno sussultare.

«Io credo proprio che sia il contrario» ammetto


sinceramente.

«In che senso?»

«Oh, Anastasia, sei stata tu a stregarmi. Non è


evidente?»

“Tutte queste cose, queste sensazioni nuove. Questo


nuovo me che non credevo potesse esistere”. Lei mi fissa,
incredula. Sospiro di nuovo.

«Non hai risposto alla mia domanda. Fallo via mail,


per favore. Adesso, però, vorrei davvero dormire. Posso
fermarmi?» le chiedo retoricamente.

«Vuoi fermarti?» chiede speranzosa.

“Hai cambiato idea di nuovo, Miss Steele?”


«Volevi che restassi qui» le dico semplicemente.

«Non è la risposta alla mia domanda»

«Ti scriverò una mail» le rispondo con un sorrisetto


ironico.

Mi alzo e tolgo tutta la roba che ho ficcato nelle tasche


dei jeans, appoggiando tutto sul comodino, assieme
all’orologio. Tolgo le scarpe, i calzini, i pantaloni e la
giacca, che appendo con cura alla sedia. Domattina sarà
l’unica cosa stirata e decente che potrò permettermi per la
riunione se non riuscissi a passare in albergo. Tengo
addosso la camicia, non voglio rischiare. Faccio il giro del
letto e mi sdraio.

«Stenditi» le ordino.

Obbedisce, immergendosi nelle coperte, mentre mi


guarda negli occhi, stordita, sorpresa, come se ancora
faticasse a credere che dormirò con lei. “Fatico a crederci
anch’io”. Mi appoggio su un gomito, di lato, e la fisso
intensamente.

«Se devi piangere, fallo davanti a me. Ho bisogno di


saperlo» le dico calmo.

«Vuoi che pianga?»

«Non particolarmente. Voglio solo sapere come ti


senti. Non voglio che mi scivoli tra le dita. Spegni la luce.
È tardi, e domani andiamo entrambi a lavorare»

Confusa, si gira un po’ per spegnere l’abat-jour.


«Girati sul fianco, dandomi le spalle» le mormoro
quando siamo immersi nel buio.

Sento un piccolo sospiro e so che ha appena alzato gli


occhi al cielo. Ma per stasera posso soprassedere. Non
voglio spaventarla con la minaccia di un’ulteriore
punizione. Mi avvicino piano, abbracciandola e
stringendomela forte al petto.

«Dormi, piccola» mormoro piano.

Inspiro forte l’odore dei suoi capelli e lentamente


scivoliamo entrambi in un sonno profondo.
Capitolo 17

Una sensazione mista tra piacere e dolore mi invade i


sensi all’improvviso. Non capisco cosa succede. Riesco
solo a mugugnare il mio fastidio, prima di muovermi nel
letto, scontrandomi con un altro corpo. Apro di scatto gli
occhi, per metà coperti dal mio ciuffo ribelle, per
realizzare dove mi trovo e incontro l’azzurro infinito dei
suoi. “Giusto”. Ieri sera mi sono addormentato a casa sua.
Anastasia ha la mano sinistra poggiata sul petto e stringe
forte il lenzuolo con le dita strette a pugno. Ha gli occhi
spalancati e l’aria chi è stata appena colta a fare una
marachella. Aggrotto leggermente la fronte, cercando di
tenere aperti gli occhi. “Che stesse cercando di
toccarmi?”. Non lo so. Quello che so è che al solo vederla
il mio cazzo è già in tiro. Sono completamente
avvinghiato a lei, solo ora me ne rendo conto. La mia
testa è di poco sollevata dall’incavo del suo collo, proprio
sopra il suo meraviglioso seno, che si intravede dal top
del pigiama. Il mio braccio sinistro la stringe in modo
possessivo, mentre le mie gambe sono praticamente
avvinghiate alle sue. ‘Ma sei davvero tu in questo letto,
Grey?’. In effetti fatico a credere che ho dormito in questo
modo, per tutta la notte, con una ragazza.

«Buongiorno» le dico, scandendo a malapena le


parole, senza riuscire a staccarmi dal calore che emana il
suo corpo. La guardo e le metto il broncio, divertito dalla
sua espressione. «Maledizione, mi attiri anche nel sonno»

Mi stacco piano da lei e il mio uccello, duro come il


marmo, le sfiora deciso un fianco. Il contatto anche se
attutito dalla stoffa dei miei boxer e del suo pigiama, mi
provoca un improvvisa scossa di desiderio, che mi attrae
verso di lei. Anastasia sussulta, stupita, guardandomi
dritto negli occhi. “Sì, Miss Steele ho fame di sesso. Ho
fame di te. Sempre”. Le faccio un sorrido compiaciuto e
arrogante, notando con piacere che la voglia sta assalendo
anche lei.

«Mmh… non sarebbe una cattiva idea, ma penso che


dovremmo aspettare fino a domenica» mormoro allusivo.

Strofino il mio naso contro il suo orecchio, gustandomi


il rossore che si diffonde lentamente sul suo viso. É così
sexy vederla arrossire, senza sapere cosa dire. Sarebbe
una perfetta Sottomessa. Senza quella lingua biforcuta
magari. E la sua impertinenza. E quell’aria di sfida. ‘Non
sarebbe lei, Grey’. Già. E invece io voglio lei.

«Sei bollente» mi dice, tenendo lo sguardo fisso sulle


sue mani che ancora stringono le lenzuola.

In effetti fa una caldo infernale. Ma non mi lascio


sfuggire l’occasione di sferrarle un colpo basso. Adoro
vederla in imbarazzo.

«Anche tu sei piuttosto sexy» le sussurro piano


all’orecchio, allungando la lingua e sfiorandoglielo piano.

La sento trasalire, mentre un brivido la scuote da capo


a piedi. Ne approfitto per strofinare la mia poderosa
erezione mattutina contro il suo fianco, gustandomi il suo
bellissimo volto che ancora una volta si tinge di un rosso
porpora. Piano, lascio scivolare il mio uccello su e giù,
lungo la sua gamba, sentendo il suo corpo teso che inizia
a surriscaldarsi per l’eccitazione. Mi guarda negli occhi,
con tutto quell’azzurro splendente. Le scocco un sorriso
scanzonato, alzandomi su un gomito per guardarla meglio
in viso. É così delicata, bella, gli occhi ancora assonnati, i
tratti morbidi. Mi piego su di lei, senza riuscire a
resisterle. Resto un attimo sospeso, guardando le sue
labbra schiudersi di poco. Le sfioro con le mie e la bacio.
Un bacio morbido, sensuale, dolce. Non chiudo gli occhi,
ma la guardo, lasciando che le nostre lingue si scontrino
piano, dolcemente, senza inutili corse o affanni. Un
piccolo momento tutto nostro che sembra così naturale,
nonostante ci conosciamo da così poco. La guardo
riaprire gli occhi, mentre mi stacco da lei di qualche
millimetro. Mi rimanda indietro uno sguardo stupito e
felice al tempo stesso. Sta bene. Me lo sta dicendo in
questo modo. E la parte migliore di tutto questo è che
sono io a farla stare così bene. ‘Sai anche come farla star
male, Grey?’. Questo pensiero doloroso mi fa allontanare
da lei, mettendo un minimo di distanza tra i nostri corpi
bollenti.

«Dormito bene?» le chiedo improvvisamente


premuroso.

Ho bisogno di una rassicurazione. Ho bisogno di


sapere che tutto il pianto di ieri sera è ormai acqua
passata. Anastasia annuisce. Mi lancia una lunga
occhiata, scrutando il mio viso in ogni minimo
particolare. Poi sospira, come se volesse fissare nella testa
questo momento, per poi gustarselo a suo piacimento
durante la giornata.

«Anch’io» le rispondo, aggrottando la fronte.

Non avevo mai dormito con nessuna prima di lei. Ed è


fottutamente rilassante poterlo fare. Non ho avuto incubi.
«Sì, ho dormito molto bene» continuo, come per
convincere me stesso, più che lei.

All’improvviso mi ricordo che ho una riunione di


lavoro, stamattina. E non ho la minima idea di che ore
siano. “Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo!”.

«Che ore sono?» chiedo allarmato, girandomi intorno


alla ricerca del mio orologio.

Ana si gira a guardare la sveglia sul comodino, dietro


di lei.

«Le sette e mezzo»

«Le sette e mezzo… Cazzo»

Salto giù dal letto con un unico movimento. Afferro i


jeans e li infilo in fretta. “Merda. É tardissimo. Ed ho la
camicia in condizioni pessime. Più che pessime”. La
liscio, facendo del mio meglio per renderla presentabile.
Anastasia mi guarda, divertita da tutta l’assurda
situazione. Noto, con la coda dell’occhio, mentre finisco
di rimettermi in sesto, che si muove nel letto, tirandosi su
a sedere e constatando con gioia che il suo fantastico culo
non è più dolorante. Per un attimo la ripenso riversa sulle
mie ginocchia. Il cazzo mi si tende sotto i jeans, mettendo
in risalto una notevole protuberanza. “Cristo! Ma come fa
a farmi sempre quest’effetto”. Se non avessi due persone
che mi attendono ad un tavolino da colazione
all’Heathman, probabilmente me la starei già facendo.
Anastasia riporta l’attenzione su di me, alzando entrambe
le sopracciglia e sorridendo di fronte ai miei movimenti
frettolosi.
«Hai un’influenza terribile su di me. Ho una riunione.
Devo andare, devo essere a Portland alle otto. Stai
ridendo di me?» le chiedo sarcastico, lanciandole occhiate
rapide e furtive mentre finisco di abbottonare i jeans.

«Sì» ammette arrogante.

“Piccola impertinente! Ringrazia che sono in ritardo!”.


Le faccio un gran sorriso, sinceramente divertito dalla
situazione assurda in cui mi trovo.

«Sono in ritardo. Non mi succede mai. Un’altra prima


volta, Miss Steele»

Mi infilo in fretta la giacca. Poi mi avvicino al suo lato


del letto, mi chino su di lei e le prendo la testa tra le mani,
guardandola dritto negli occhi.

«A domenica» le dico, a voce bassa, lasciandole


immaginare tutto quello che ho intenzione di farle.

Ogni muscolo del suo corpo si tende, pregustando il


momento in cui le mie mani lo percorreranno di nuovo.
“E la prossima volta sarà nella mia Stanza dei giochi, mia
cara Miss Steele. Dove né tu, né i tuoi occhi da cerbiatta
mi terrete lontana dal mio vero io”. Le deposito un rapido
bacio sulle labbra morbide. Poi raccolgo le mie cose dal
comodino e prendo le scarpe a terra, accanto al letto,
senza infilarle.

«Taylor verrà a ritirare il Maggiolino. Non stavo


scherzando, non devi guidarlo. Ci vediamo a casa mia
domenica. Ti scriverò una mail con l’orario» le dico in
tono sbrigativo.
Senza aspettare la sua replica esco di fretta dalla
stanza. Ringrazio mentalmente Dio di non incontrare
Miss Kavanagh nel corridoio. In fretta mi infilo le scarpe
senza le calze prima di salire in auto. Esco dal vialetto e
premo forte l’acceleratore. “Non posso assolutamente fare
tardi al mio appuntamento di lavoro”. Ho programmato
questo incontro con il mio consulente finanziario da
settimane. E ora sono in ritardo. Schiaccio il pulsante di
avvio di chiamata sul volante.

«Buongiorno, Mr Grey»

Taylor sprizza efficienza da tutti i pori già a quest’ora.

«Taylor, ho bisogno di una camicia pulita. Ci vediamo


tra due minuti nel garage dell’albergo»

«Come desidera, Mr Grey»

«Ah, e anche di un caffè. Doppio»

Chiudo la conversazione e continuo a districarmi nel


traffico mattutino di Portland. Pochi minuti più tardi
faccio il mio ingresso nel garage sotterraneo
dell’Heathman. Taylor è già in attesa. Non avevo dubbi.
In quattro anni non ha mai deluso le mie aspettative.
Parcheggio in un’unica mossa. Scendo e afferro la camicia
grigia che Taylor mi porge. Tolgo la giacca e sfilo in fretta
la camicia stropicciata che ho addosso. Infilo in un batter
d’occhio quella pulita e stirata e rimetto la giacca. Mi
chino a prendere la cartellina con i documenti, sul sedile
della mia auto, prendo il caffè che Taylor mi porge.
Insieme a lui mi infilo in ascensore. L’orologio segna le
otto e sette minuti. Bene. Quasi in perfetto orario. Mando
giù il caffè, appena prima che le porte dell’ascensore si
aprano nella hall. Uscendo mi passo una mano nei capelli,
nel vano tentativo di rimetterli in ordine. “Fanculo,
dannati capelli del cazzo. Forse dovrei tagliarli”. Tendo il
collo, leggermente indolenzito dalla nottata passata
avvinghiato ad Anastasia, e sento un leggero scricchiolio
delle ossa. Mi giro a guardare Taylor, impassibile come
sempre.

«Grazie Taylor»

«É il mio lavoro, Mr Grey»

«Più tardi ho bisogno che tu vada a casa di Miss Steele


a ritirare la sua auto. Portala in un’officina e vendila,
regalagliela, fai che cazzo ti pare. Ma toglimela di torno»
dico con un moto di esasperazione.

«Nessun problema, Mr Grey» mi risponde, impassibile


come sempre.

Gli rivolgo un breve sorriso soddisfatto. Poi, a grandi


passi, mi avvio nella sala bar, verso il tavolo della
colazione che ho prenotato ieri. Al quale, per fortuna, non
mi aspetta ancora nessuno. Mi siedo, rilassandomi per la
prima volta da quando mi sono alzato. “Dannata
ragazzina!”. Mi viene da ridere. “Da quando la mia vita
non era così eccitante?”. ‘Forse non lo è mai stata, Grey’.
Arriccio leggermente le labbra. “Già, forse mai. Ma ora
sto recuperando alla grande”. Il cameriere si avvicina e
ordino una ricca colazione. La vibrazione del BlackBerry
mi distrae. Lo tiro fuori dalla tasca. É una mail. Di
Anastasia. La scorro in fretta, pregando che il mio
interlocutore e il suo assistente arrivino in ritardo. “Non
interrompetemi ora, per favore”.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.05
Oggetto: Violenza e percosse: i postumi

Caro Mr Grey,

volevi sapere perché mi sono sentita confusa dopo che mi hai – che
eufemismo dovremmo utilizzare? – sculacciato, castigato, picchiato,
aggredito. Ecco, durante tutta l’allarmante operazione, mi sono
sentita avvilita, degradata e maltrattata. E per aumentare la mia
mortificazione, hai ragione, ero eccitata, cosa che non mi sarei mai
aspettata. Come ben sai, tutti gli aspetti del sesso per me sono una
novità… Vorrei tanto essere più esperta, e quindi più preparata. Il
fatto di essere eccitata mi ha sconvolto. La cosa che mi ha davvero
preoccupato è stata ciò che ho provato dopo. È ancora più difficile da
spiegare. Ero felice perché tu eri felice. Mi sentivo sollevata, perché
non era stato doloroso come pensavo. E quando mi sono trovata tra
le tue braccia, ero… soddisfatta. Ma mi sento imbarazzata, persino
colpevole, per le cose che ho provato. Non si addicono alla mia
persona, per questo sono così confusa. Ho risposto alla tua
domanda?
Spero che il mondo degli affari sia stimolante come sempre… e che tu
non sia arrivato troppo tardi.
Grazie per esserti fermato a dormire.

Ana

“Violenze e percosse?? Che cazzo dici, Anastasia?”.


Ripenso a quello che le ho fatto ieri sera. Sì, va bene, l’ho
sculacciata. Ma nemmeno così forte poi. Non mi ha
fermato. A malapena ha urlato. E soprattutto le è
piaciuto. Tanto. ‘Ma, magari non tanto come è piaciuto a
te, Grey’. Bè, sì. O forse no. Non ne sono più così sicuro in
effetti. Rileggo in fretta la mail. “Aggredita addirittura?
Non ti ho aggredita, Anastasia”. Guardo lo schermo del
telefono sentendo l’ansia attraversarmi. “Se tu mi avessi
visto con le altre Sottomesse probabilmente saresti già
fuggita via da me”. Il mio piede destro inizia un
incessante movimento nervoso sotto al tavolo. “Cristo
santo!”. Faccio un bel respiro e rileggo la mail per la terza
volta. In fondo…sì, in fondo ha ammesso di essere
eccitata. Il suo problema è semplicemente che è troppo
concentrata a pensare quale idea potrebbe farsi la gente
di lei se sapesse. “Cazzo, fottitene Anastasia. Fai come
me”. Premo il tasto rispondi.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.24
Oggetto: Libera la mente
Oggetto interessante, anche se un tantino esagerato, Miss Steele.
Venendo alle questioni che sollevi. Propenderei per “sculacciare”,
perché di questo si trattava. Dunque ti sei sentita avvilita, degradata e
maltrattata… Vedo che hai molti punti in comune con Tess
Durbeyfield. Mi sembrava che fossi stata tu a scegliere la
degradazione. Ti senti davvero come dici, o pensi solo che dovresti
sentirti così? Sono due cose molto diverse. Se ti senti davvero così,
non pensi che potresti cercare di lasciarti andare a queste sensazioni,
di guardarle in faccia, per me? È questo che una Sottomessa
dovrebbe fare. Sono felice della tua inesperienza. Per me è preziosa, e
solo adesso sto iniziando a capire cosa significa. In poche parole…
significa che sei mia da ogni punto di vista. Sì, eri eccitata, il che, a
sua volta, era molto eccitante. Non c’è niente di male in questo.
“Felice” non rende l’idea di come mi sono sentito. “Estasiato” ci va
più vicino. La sculacciata di punizione fa molto più male di quella
erotica… quindi questo è il massimo del dolore che proverai, a meno
che, naturalmente, tu non compia qualche trasgressione grave, nel
qual caso userò qualche arnese per punirti. A me bruciavano le mani.
Ma la cosa mi piace. Anch’io mi sono sentito soddisfatto, più di
quanto potresti mai immaginare. Non sprecare energie nei sensi di
colpa, nei rimorsi ecc. Siamo adulti consenzienti e quello che
facciamo nell’intimità riguarda solo noi. Devi liberare la mente e
ascoltare il tuo corpo. Il mondo degli affari non è stimolante quanto
te, Miss Steele.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
“Ecco, Miss Steele”. Ho cercato di rassicurarla e
metterla nel giusto stato d’animo. Voglio che domenica
lasci a casa pregiudizi e preoccupazioni inutili. Voglio che
capisca quanto è importante per me il fatto di averla
posseduta io soltanto. Il fatto che mi abbia concesso così
tanto di lei. Voglio che si goda ogni momento, proprio
come me. Senza la paura del dolore. O meglio, voglio che
un po’ abbia paura del dolore. Questo sono sicuro che la
terrà al suo posto e le impedirà di infrangere le regole. E
potrò fare di lei quello che voglio, prenderla a mio
piacimento, sbatterla contro la croce di legno
ripetutamente, mentre Ana ansima e gode, sopraffatta da
me e dal mio bisogno di controllo.
I miei pensieri poco ortodossi vengono bruscamente
interrotti dall’arrivo di Bill Mayers e del suo assistente
legale. Mi alzo, accogliendoli calorosamente. Anastasia
dovrebbe essere già sulla strada per il lavoro, quindi non
dovrei ricevere più sue mail per il momento. La
conversazione al tavolo viene subito incentrata
sull’acquisto del nuovo cantiere navale a Taiwan tramite
futures, una modalità contrattuale che permetterà alla
Grey Enterprises Holdings una assicurazione finanziaria
senza rischi di oscillazioni di prezzo. La vibrazione del
telefono, poggiato sul tavolo, mi distrae di nuovo. Apro la
mail, convinto che sia da parte dell’ufficio. Ma invece è
sua. “Che cazzo fa? É ancora a casa a quest’ora?”. Mi
acciglio. Continuando ad ascoltare Bill, scorro in fretta il
messaggio.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.26
Oggetto: Adulti consenzienti!

Non dovresti essere in riunione? Sono felice che ti bruciassero le


mani. E se avessi ascoltato il mio corpo, adesso sarei in Alaska.

Ana

PS: Sul fatto di lasciarmi andare, ci penserò.

Il suo tono mi fa sorridere, ma la battuta sull’Alaska mi


dà da pensare. “É stato davvero così traumatico per lei?”.
Eppure poteva fermarmi, ma non l’ha fatto. E non l’ha
fatto perché era fottutamente eccitata. Il ricordo delle mie
dita che scivolano nel suo sesso bagnato mi fa perdere
buona parte del discorso di Bill. Ho un dolore pulsante al
basso ventre e un’erezione che difficilmente riuscirei a
nascondere al pubblico se non fossi diligentemente
seduto ad un tavolo, in un lussuoso hotel di Portland. Per
fortuna riesco a concentrarmi di nuovo. “Cazzo, Christian.
Datti un contegno. Stai lavorando!”. Furtivamente le
scrivo una mai di risposta.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.35
Oggetto: Non hai chiamato la polizia

Miss Steele,

se proprio vuoi saperlo, sono in riunione, a parlare del mercato dei


futures. Per la cronaca: mi hai dato corda, sapendo cosa stavo per
fare. Non mi hai chiesto in nessun momento di smettere, non hai
usato nessuna delle due safeword. Sei un’adulta: puoi scegliere.
Sinceramente, non vedo l’ora di avere di nuovo il palmo dolorante. A
quanto pare, non ascolti la parte giusta del tuo corpo. In Alaska fa
molto freddo, non è un bel posto in cui nascondersi. Ti troverei.
Posso intercettare il tuo cellulare… ricordi?
Vai a lavorare.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La sua risposta è immediata. “Ma non dovrebbe essere
già per strada, diretta al lavoro?”.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.36
Oggetto: Stalker

Ti sei mai rivolto a uno psicologo per queste tue tendenze


da stalker?

Ana

Sorrido brevemente, mentre Bill mi osserva curioso.

«Una buona notizia dall’ufficio» rispondo al suo


sguardo enigmatico con un sorriso, agitando in aria la
mano che stringe il BlackBerry.

Bill riprende ad esporre la sua relazione, in modo


efficiente e pratico, mentre digito segretamente e
velocemente una nuova risposta per Anastasia.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.38
Oggetto: Stalker? Io?

Corrispondo una piccola fortuna al dottor Flynn per il trattamento


delle mie tendenze da stalker e altro.
Vai a lavorare.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La risposta che ricevo mi irrita un po’. Soprattutto


perché lei dovrebbe essere al volante in questo momento.
“Odio pensare che potresti essere in pericolo, Miss
Steele”.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.40
Oggetto: Ciarlatani costosi

Posso umilmente consigliarti di chiedere un secondo parere? Non


sono sicura che il dottor Flynn sia molto bravo.

Miss Steele

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.43
Oggetto: Altri pareri

Non che siano affari tuoi, umilmente o meno, ma quello del dottor
Flynn è già il secondo parere che chiedo. Dovrai premere
l’acceleratore della tua nuova auto, mettendoti in pericolo senza
motivo. Mi pare che sia contro le regole.
VAI A LAVORARE.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Il mio umore sta tendendo pericolosamente al basso.


Sono molto irritato. Ho due dei miei collaboratori davanti
e non riesco a prestargli la giusta dose di attenzione. Lei
sta deliberatamente cercando di rompersi l’osso del collo
in auto e io riesco solo a pensare quanto vorrei essere
rimasto accanto a lei nel suo letto a scoparmela per tutto
il giorno. ‘Non è da te, Grey’. “Come se io non lo sapessi”.
É il turno di Jake Gallagher, l’assistente legale di Bill, di
espormi i vantaggi pratici di questa nuova acquisizione e
le grane a cui potremmo andare incontro. Il telefono vibra
di nuovo. “Non. Ci. Credo”.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.47
Oggetto: L’ARROGANZA DELLE MAIUSCOLE

Per quanto riguarda le tue tendenze da stalker, mi sembra che un po’


siano anche affari miei. Non ho ancora firmato niente. Quindi, regole,
marameo. E poi non inizio prima delle 9.30.

Miss Steele

«Bene, signori. Il quadro che mi avete esposto è del


tutto convincente. Da parte della mia società avete la
piena disponibilità a concludere l’affare. Gli incentivi
sono ottimi e dovremmo riuscire a contenere di molto gli
esuberi dovuti allo spostamento dell’attività di cantiere,
anche reimpiegando il personale. Direi che possiamo
occuparci della colazione ora»

Con un sorriso da sfinge chiudo la conversazione. Ho


sentito abbastanza e ora ho altro per la testa.

«Bill, ho sentito dire che hai acquistato una barca»


dico rivolgendomi al mio interlocutore.

Mentre il povero Bill si dilunga sui particolari del suo


acquisto, io rispondo alla mail di Miss Steele. Sono più
rilassato sapendo che non sta deliberatamente cercando
di rompersi l’osso del collo in macchina, scrivendo
mentre guida. E poi sono contento che abbia voglia di
parlare con me. Io non smetterei per tutto il giorno.
‘Anche a discapito del tuo lavoro, Grey’. Inalo
profondamente l’aria e mi rilasso per qualche attimo,
cercando di godermi la conversazione. “Mmm… a
proposito di barche, potrei portare Anastasia sulla Grace,
magari. Comunque, la cosa più urgente al momento è
procurarle un fottuto BlackBerry. Devo poterla contattare
quando mi va”. Rileggo con più attenzione la sua ultima
mail. “Marameo”?
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.49
Oggetto: Linguistica descrittiva

“Marameo”? Non so se si trova sul dizionario.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mi dedico alla fetta di torta di mele che ho nel piatto,


accompagnandola con un delizioso succo fresco. Sospiro
leggermente, rilassandomi davvero, per la prima volta, da
questa mattina e scopro con piacere che anche Jake è un
esperto di barche.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 08.52
Oggetto: Linguistica descrittiva

È una via di mezzo tra il maniaco del controllo e lo stalker. E la


linguistica descrittiva per me è un limite assoluto. Ora vuoi smetterla
di tormentarmi? Vorrei andare al lavoro con la mia nuova auto.

Ana

“Divertente, Miss Steele”. Sorrido, mentre fingo un


vivo interesse per la conversazione in atto.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 08.56
Oggetto: Ragazze impertinenti ma spassose

Mi prudono le mani.
Guida piano, Miss Steele.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mezz’ora più tardi sono già nella mia camera. Mi


spoglio del tutto e mi infilo in bagno per concedermi una
meritatissima doccia. La mente vaga tra i ricordi della
serata di ieri. “Cazzo se mi è piaciuto sculacciarla”. La
scoperta del suo desiderio, del suo sesso bagnato e
voglioso, mi ha letteralmente sconvolto. Non so cosa
darei per rivederla in quella posizione e tornare a sentire
il suo bisogno di me. Lentamente e con poca convinzione
mi strofino addosso il bagnoschiuma. Poi passo ai capelli.
Reclinando la testa all’indietro lascio che l’acqua scorra
sul mio viso. E poi in testa. Rimango così per molto
tempo. Quando finalmente mi decido ad uscire dal bagno,
non è che mi senta meglio. Sono eccitato e avrei voglia di
sentirla. Ma lei è al lavoro. Finisco di asciugarmi e prendo
il telefono.

«Taylor, mi serve che ti procuri un BlackBerry identico


al mio per Miss Steele. E provvedi a far effettuare la
consegna presso la ferramenta Clayton, Anastasia è al
lavoro»

«Come desidera, Mr Grey»

Riattacco e mi vesto. Dopo pranzo devo ripartire per


Seattle. E stasera ho quella noiosissima cena di
beneficenza. Per non parlare di Mia, domattina. Mi
tempesterà di domande inopportune. E poi, finalmente,
dopodomani la rivedo. Sono così impaziente di scoprire
come sarà il suo rapportarsi con la mia Stanza dei giochi.
“A proposito…”. Accendo il pc e accedo a uno dei siti dove
faccio rifornimento di giocattoli erotici. Veloce, facile e
completamente anonimo. Scorro la lista del campionario
on line. Finalmente, dopo un attenta ricerca, lo trovo.
Uno splendido frustino di cuoio marrone intrecciato.
Proprio come quello che ha sognato. Lo metto nel carrello
e continuo a scorrere la lista. “Ecco quello che cercavo”.
Navigo un bel po’ tra i giocattoli erotici prima di decidere
che è ora di pranzo. Invio l’ordine, sapendo che quando
arriverò all’Escala, questa sera, troverò una scatola
contenente il frustino, delle sfere vaginali in argento e
una graziosa mascherina per gli occhi. Ordino il pranzo in
camera e decido di scriverle una mail. Immagino già le
storie per quel telefono nuovo. Quindi gioco d’anticipo.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 11.15
Oggetto: BlackBerry IN PRESTITO

Devo poterti contattare in qualsiasi momento e, dato che la mail è la


tua forma più sincera di comunicazione, ho pensato che avessi
bisogno di un BlackBerry.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Passo le restanti due ore ad occuparmi del pranzo e a


preparare le mie valigie. Tra una telefonata di lavoro e
l’altra. Il segnale acustico di posta in arrivo mi riporta al
presente. Anastasia deve aver ricevuto il mio regalo.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 27 maggio 2011 13.22
Oggetto: Alla faccia del consumismo

Penso che dovresti chiamare il dottor Flynn, subito. Le tue tendenze


da stalker stanno arrivando al limite. Sono al lavoro. Ti scriverò
quando torno a casa. Grazie per l’ennesimo gadget. Non sbagliavo
quando ti ho detto che sei il consumatore ideale. Perché l’hai fatto?

Ana

Sorrido e le digito una risposta velocemente.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 13.24
Oggetto: Sagace per essere così giovane

Un punto per te, come al solito, Miss Steele. Il dottor Flynn è in


vacanza. L’ho fatto perché posso permettermelo.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

“Cazzo. E io che speravo di sentirla per tutto il giorno


in questo modo”. Sorrido tra me e me, leggermente
frustrato. ‘La piccoletta ti tiene in pugno, Grey’. Scaccio
via quel pensiero, ricordandomi solo ora che dovrei
contattare un medico per farla visitare domenica mattina.
Torno al pc e cerco su internet i migliori specialisti di
Seattle. “Mmm… potrei chiamare mia madre e farmene
suggerire qualcuno. Ma, forse, meglio evitare. Non voglio
si metta strane idee in testa”. Dopo una attenta ricerca
compongo il numero della dottoressa Joanne Greene. “Sì,
una dottoressa. Non voglio che nessun altro uomo,
neanche un medico, la tocchi”.

«Studio della dottoressa Greene, sono Megan» la voce


squillante della segretaria mi riporta alla realtà.

«Salve, vorrei prenotare un appuntamento per la mia…


fidanzata. Ma avrei bisogno di parlare personalmente con
la dottoressa Greene»

Mi sento nervoso a fare tutto questo. E a presentare


Anastasia come la mia fidanzata. Ma, in un certo senso, lo
è.

«Può dirmi il suo nome?»

«Mr Grey. L’appuntamento è per Miss Anastasia


Steele»

«Attenda in linea, Mr Grey»

Pochi secondi più tardi una voce autoritaria risuona


nelle mie orecchie.

«Mr Grey, sono la dottoressa Joanne Greene. La mia


assistente mi ha informata che la sua fidanzata ha
bisogno di un appuntamento. Qual è il problema?»

Faccio un piccolo sospiro.

«Dottoressa Greene, la mia fidanzata vorrebbe iniziare


una cura contraccettiva. Vorrei prenotare una visita a
domicilio per questa domenica»

La donna all’altro capo del telefono non riesce a


trattenere un’esclamazione di sorpresa e sarcasmo allo
stesso tempo.

«Mr Grey io non faccio visite a domicilio. Meno che


mai di domenica. Mi dispiace ma non posso esserle
d’aiuto»

Scuoto la testa, stringendo la mascella.

«Sono pronto a pagarle dieci volte il suo onorario» le


dico con convinzione.

«Le ripeto che non faccio visite a domicilio. Non so chi


lei… aspetti… Mr Grey? Mr Christian Grey?» lo stupore
nella sua voce è evidente.

«Sì, dottoressa Greene. E sono pronto ad alzare la


posta. Cento volte il suo onorario»

‘Fanculo, Grey. É la migliore di Seattle, va bene, ma


cento volte il suo onorario??’. Qualche attimo di silenzio,
poi sento un sospiro.

«A che ora le è più comodo, Mr Grey?»

Sorrido soddisfatto. “I soldi sono sempre la chiave di


tutto”.

«Direi per le 13.30 . Le farò un bonifico entro stasera»

«La mia assistente le darà le coordinate bancarie e


annoterà il suo indirizzo. Le annuncio che lei ha appena
sborsato la bellezza di 15mila dollari. Spero che ne
valgano la pena. A domenica, Mr. Grey»

Chiudo la telefonata e scoppio in una risatina da idiota.


‘Idiota è proprio il termine adatto, Grey’. Il mio cervello
stenta a credere che io abbia pagato 15mila dollari per
una fottuta visita ginecologica. Velocemente scrivo una
mail ad Anastasia.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 13.40
Oggetto: Domenica

Ci vediamo domenica alle 13? Il dottore arriverà all’Escala per


visitarti alle 13.30. Parto adesso per Seattle. Spero che il trasloco
vada bene, e aspetto con ansia il nostro prossimo incontro.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Dopo aver preso la mia cartella, affido le valige a


Taylor.

«Occupati dell’auto di Anastasia. Ci vediamo questa


sera» gli dico, mentre aspettiamo l’ascensore.

Il numero 3, come sempre. Anche se entrarci con


Taylor fa tutto un altro effetto. Lui si ferma nella hall, per
prendere il taxi che ha prenotato e recarsi da Miss Steele.

«A più tardi, Mr Grey» saluta educatamente, uscendo


dall’ascensore.

«Sta’ attento con quella trappola mortale» gli dico con


un sorrisetto che Taylor ricambia prima che le porte si
chiudano.

Salgo in macchina e sfreccio fuori dal parcheggio


dell’Heathman. Voglio solo rilassarmi. Accendo lo stereo
e dalle casse esce un ritmo che non riconosco subito.
Aggrotto le sopracciglia, ascoltando la cadenza ritmata
del brano. Ah, ecco. Flying machine di Bethany Joy
Galeotti. “Dannata Leila, i suoi gusti musicali e la sua
mania di ficcare il naso nelle mie cose”. Mi ha riempito
l’iPod di canzoni. Sospiro, infastidito. “Bè, in fondo non
mi dispiace poi così tanto questo brano. A tratti sembra
parlare di me”. Canticchio il ritornello sottovoce, quando
ad un tratto sento il suono del mio BlackBerry che
interrompe la musica.

«Grey» rispondo freddo e infastidito.

«Ciao, Christian» la voce familiare mi fa tornare il


buonumore.

«Ciao, mamma»

«Tesoro, Elliot mi ha appena chiamata per dirmi che


sarai tu ad andare a prendere Mia all’aeroporto
domattina. Come mai questa decisione improvvisa?»

Sorrido tra me e me. “Grace Trevelyan sei davvero una


grande, adorabile, impicciona”.

«É stata Mia ad implorarmi in realtà. Credo voglia


sapere qualcosa in più sulla mia… ehm, fidanzata»

Persino a distanza riesco a percepire il sorriso


compiaciuto di mia madre. Resta qualche attimo in
silenzio. Poi sembra recuperare le facoltà mentali. Non
capisco tutta questa sua gioia da dove esca fuori.

«Sono davvero felice per te, Christian. Ascolta…». Il


suo imbarazzo mi dice che sta tramando qualcosa e non
sa come dirmelo. « Ecco… domani sera sai che c’è la cena
in famiglia per il ritorno di Mia. Ma domenica mi farebbe
piacere che tu portassi a cena Anastasia. Ho chiesto ad
Elliot di fare lo stesso con quella meravigliosa Kate»

“Solo mia madre può definire meravigliosa Miss


Kavanagh!”. Sospiro pesantemente. “Portare Ana a casa
dei miei? Non stiamo ingranando un po’ troppo la marcia
magari?”. ‘É questo che fanno i fidanzati, Grey’. “Già, in
fondo è questo che fanno i fidanzati”.

«Mi piacerebbe molto, mamma. Ma voglio sapere cosa


ne pensa Anastasia. La vedrò domenica mattina. Ti faccio
sapere» rispondo, all’improvviso quasi timido.

“Cos’è questa improvvisa agitazione? Ma che cazzo mi


prende ultimamente?”.

«Perfetto! Ci vediamo domani, tesoro» la sua voce è un


po’ troppo squillante ora.

«A domani, mamma» le rispondo preoccupato.

La musica riprende gradualmente ad uscire dalle casse.


Questa la conosco. Iris dei Gol Gol Dolls. Mi lascio
trasportare dalla musica e soprattutto dalle parole. Mai
come in questo momento sembrano scritte apposta per
me. “Anch’io voglio solo che tu sappia chi sono,
Anastasia. Voglio che tu mi conosca fino in fondo, che
impari a fidarti di me. Senza per forza stare a pensare a
tutte le stronzate del mondo esterno. Contiamo solo noi”.
Il BlackBerry squilla di nuovo. “Cristo santo, che palle!”.

«Grey»
«Tesoro!» la voce stridente di Elena rimbomba
nell’abitacolo.

«Ciao, Elena» la saluto cercando di dissimulare il


fastidio.

«Ho saputo che questa sera ci sarai anche tu alla cena


di beneficenza dei Roberts»

«Sì» ammetto riluttante.

Me n’ero quasi dimenticato a dire il vero. E non posso


annullare all’ultimo secondo. Devo andarci per forza.

«Ho interrotto qualcosa? Ti sento strano»

Il suo infallibile intuito non sbaglia mai. ‘Il suo


infallibile intuito ti ha consigliato di lasciare perdere
Anastasia, Grey’. Mi imbroncio.

«Sto guidando, Elena. Volevi qualcosa?»

«Nulla in particolare. Avremo modo di scambiare


quattro chiacchiere stasera, magari»

Solo Elena sa rendere maliziosa anche una semplice


frase come questa. Sorrido.

«Certo, a dopo»

Chiudo e cerco di rilassarmi. Per tutto il tragitto evito


di pensare a qualsiasi cosa. Alzo il volume dello stereo.
Ho solo bisogno di un po’ di tranquillità e di pace
mentale. E so chi farebbe al caso mio. E, per una volta,
non è Flynn.
Quando riemergo dalla mia camera trovo Taylor ad
aspettarmi. Ho indossato uno smoking nero, corredato di
camicia bianca e papillon. Mi sistemo i capelli alla meglio.
Guardo l’orologio. Sono da poco passate le 20 e Anastasia
non si è ancora fatta sentire. Provo a chiamarla, ma
niente.

«Ti sei sbarazzato di quel catorcio?» sbraito contro


Taylor.

«Certo, Mr Grey. Ho portato l’auto di Miss Steele da un


rivenditore. Mi contatterà non appena avrà venduto la
vettura»

«Venduto?» gli dico di rimando, sinceramente


sbalordito.

Non riesco a credere che qualcuno possa volere un


catorcio del genere.

«Sembra fosse un modello classico che vale qualche


decina di migliaia di dollari»

Faccio una smorfia, sibilando un fischio tra i denti.


“Meglio non dirlo ad Anastasia. Mi ammazzerà”. Sorrido
tra me e me mentre e insieme a Taylor, mi avvio verso
l’ascensore.

«Anastasia ha detto qualcosa? Ha fatto storie?»

«Miss Steele è stata molto cordiale, Mr Grey»

Taylor fissa lo sguardo davanti a sé, evitando


accuratamente di guardarmi negli occhi. Lo conosco bene
e so che mi sta nascondendo qualcosa. Non mi piace, ma
probabilmente avrà solo dovuto vedersela con la furia di
Miss Steele. O peggio, di Miss Kavanagh. Quando mi
accomodo sui sedili posteriori del Suv chiamo di nuovo
Anastasia. Ancora niente. Il suo cellulare squilla a vuoto.
La rabbia inizia a montarmi dentro. “Cosa cazzo le costa
scrivermi una mail? Non è stata di certo trattenuta al
lavoro fino a quest’ora!”. ‘Calmati, Grey. Dalle un po’ di
respiro’. La mia mente ritorna a ieri sera, anche se ho
fatto di tutto per evitare di pensarci per tutto il giorno.
Lentamente giro il collo a destra e sinistra, allentando di
poco il papillon che inizia a darmi sui nervi. É stata una
scopata eccellente. Strana, forse. Ma il desiderio che ci
univa è stato più forte di tutto il resto. Quello che mi
preoccupa, che mi ha reso nervoso e inquieto per tutto il
giorno, oggi, è stato il dopo. Qualcosa di inatteso, mai
sperimentato prima. Forse qualcosa che non avevo mai
neppure sperato di poter provare. Un legame forte, unico,
che mi tiene connesso a lei ad ogni livello. Non riesco a
starle lontano. Semplicemente perché non voglio. Voglio
saperla al sicuro, protetta, al riparo da dolori che non può
affrontare. Che io non posso gestire per lei. Tutto questo
mi ha spinto a tornare da lei ieri sera. Tutto questo
groviglio indefinito di sensazioni nuove mi hanno
condotto di nuovo da lei. E lei ancora lì, a preoccuparsi in
lacrime di me e di quello che provo. Credevo fosse lei a
non aver capito i ruoli, ma la realtà è che io non la voglio
come mia Sottomessa. O meglio, sì, voglio che si
sottometta a me a letto, che sia completamente e
ineluttabilmente mia e di nessun altro sempre. Ma, per la
prima volta nella mia vita, non sto affrontando un
rapporto in modo chiaro e definito. Non sono Christian
Grey il Dominatore che interagisce con una Sottomessa
qualunque. Con lei sono Christian. E basta. Sono aperto,
vulnerabile, esposto a tutta una serie di colpi della vita
che avevo fino ad oggi evitato accuratamente. E voglio
Anastasia. Per quella che è, non per i ricordi che i suoi
capelli scuri e la sua pelle chiara mi evocano. Vederla in
lacrime ieri è stata dura, ha aperto dentro di me una
crepa che ora fa male. Avrei solo voluto riuscire ad
esprimermi invece di rimanere imbambolato e senza
parole. Avrei voluto dirle che non solo volevo restare, ma
non volevo andare mai via. Che non mi è importato nulla
di dover dividere il letto con un’altra persona. Non ci ho
neppure pensato in quel momento. La mia fobia era
annullata di fronte al suo bisogno di me. Perché era lei. E
non potevo desiderare null’altro di più. Sbarro
leggermente gli occhi nel buio dell’auto. Ci sono arrivato
solo ora. Ieri sera ho agito in automatico. Perché lei aveva
bisogno di me. E io avevo bisogno di farla star bene. Il
mio cervello è muto per una volta, segno che era arrivato
a questo molto prima di me. La sensazione di chiarezza
lascia subito posto alla rabbia. “Mi hai mandato la vita a
puttane, Anastasia!”.

Taylor mi lascia all’ingresso dell’enorme villa


illuminata a giorno. La residenza dei Roberts è poco
lontana da casa dei miei, che per fortuna stasera non
saranno presenti a causa di impegni precedenti. Almeno
mi sarà risparmiata l’ennesima tiritera di mia madre su
Anastasia. Quando arrivo, il padiglione allestito a festa
nel giardino enorme è già stracolmo di gente. Stringo
mani a destra e sinistra per un bel po’, prima di scorgere
Elena tra la folla. Stasera dovrebbe essere presente anche
Linc, il suo ex marito. Lascio che sia lei ad avvicinarsi,
contando sulla sua discrezione. In fondo è a lei che è
toccata la parte peggiore quando suo marito ci ha beccati
in flagrante sei anni fa. Stringo la mascella al ricordo di
come quel bastardo l’ha sfigurata dopo averla trovata a
letto con me. Il sorriso di Elena, che si avvicina a passo
spedito, mi rassicura.

«Christian!»

Mi bacia su entrambe le guance. É davvero


affascinante nel suo vestito nero, lungo, che le fascia il
corpo ancora giovane e mette in mostra il suo seno
prosperoso. A Elena piace attirare gli sguardi maschili su
di sé. E sa benissimo come farlo. Ma oramai il suo fascino
non ha più potere su di me. Le sorrido di rimando,
guardandola negli occhi. Lei mi tranquillizza subito.

«Linc non è venuto»

Mi rilasso impercettibilmente. Non che abbia paura di


lui. Magari è il contrario. Ma non ho mai troppa voglia di
trovarmi lui e la sua spavalderia del cazzo davanti agli
occhi. Mentre Elena mi informa che siamo seduti allo
stesso tavolo, prendo il BlackBerry dalla tasca,
controllando le chiamate. Nulla. Provo con la posta
elettronica, ma niente. Quasi senza rendermene conto
avvio la chiamata. Il telefono squilla diverse volte. Ma di
Anastasia nemmeno l’ombra.

«Cazzo!» mi lascio sfuggire a bassa voce.

Elena mi guarda stupita. Non è da me imprecare in


pubblico.

«Brutte notizie al lavoro, tesoro?»

Scuoto la testa, rivolgendo un cenno di saluto a Mr


Everett, un uomo alto e burbero con il quale ho fatto
qualche affare un po’ di anni fa. Elena mi guarda in attesa
e quando vede che non mi sbottono facilmente spalanca
gli occhi, guardandomi con sorpresa e sarcasmo.

«Oddio, Christian. Non dirmi che stai chiamando la


tua piccola impertinente?»

Colgo la nota di disprezzo sull’aggettivo tua. Stringo la


mascella e serro le labbra. ‘Mi sto vergognando per te,
Grey’. “Oh, eccoti tornato cervello del cazzo”. Lo stupore
di Elena aumenta grazie al mio silenzio.

«Christian... non ti riconosco più, davvero»

Mi giro a fissarla, catturando nella sua voce una nota


strana mista al sarcasmo. “Cosa diavolo le prende?”. La
liquido con uno sguardo gelido, mentre ci accomodiamo
al tavolo che ci è stato assegnato. La serata scorre noiosa
come al solito. Guardo freneticamente il telefono nella
speranza di ricevere qualcosa. Una chiamata, una mail,
un segno dal cielo magari. Decido di scriverle io.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 27 maggio 2011 22.14
Oggetto: Dove sei?

“Sono al lavoro. Ti scrivo quando torno a casa”. Sei ancora al lavoro o


hai messo negli scatoloni anche il telefono, il BlackBerry e il
MacBook? Chiamami, o potrei essere costretto a chiamare Elliot.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Poggio il BlackBerry sul tavolo, anche se so che è da


maleducati. “Fanculo l’educazione per stasera”. Elena,
seduta accanto a me, mi sfiora il braccio attirando il mio
sguardo nel suo. Mi sta guardando con… cosa?
Compassione, forse. Pena. “Per me questa cena è già
durata fin troppo”. Mi scuso con i presenti al tavolo e mi
alzo. Elena mi segue con lo sguardo, ma, saggiamente,
rimane seduta al suo posto senza nascondere, tuttavia, un
moto di fastidio. “Ma che cazzo le prende? Gira male
anche a lei, probabilmente”. Mi scuso con i padroni di
casa, adducendo ad una balla non so neppure io quanto
plausibile e fuggo via il prima possibile da quell’inferno.
In macchina provo a richiamare Anastasia, ma è come se
fosse sparita dalla faccia della Terra. Arrivati all’Escala mi
faccio lasciare da Taylor all’ingresso, mentre lui si occupa
della vettura. Respiro l’aria fresca di questa splendida
serata di maggio. Ma non riesco a placare l’ansia. “Cosa
diavolo le sarà successo?”. Prendo il telefono e la
richiamo. Ancora nulla. Decido di lasciarle un messaggio
vocale.

«Penso che tu debba imparare a gestire le mie


aspettative. Non sono un uomo paziente. Se dici che
intendi contattarmi quando stacchi dal lavoro, dovresti
avere la decenza di farlo. Altrimenti mi preoccupo, ed è
un’emozione a cui non sono abituato e che non sopporto
bene. Chiamami»

Chiudo il telefono e sospiro. Entro nell’ingresso a


grandi passi e prendo l’ascensore. Quando finalmente
rimetto piede a casa e riesco a sfilarmi il papillon, la
tensione inizia a scemare lentamente. Mi verso un
bicchiere di vino bianco, avvicinandomi alla portafinestra
che affaccia sull’immensa Seattle. Sospiro di nuovo,
profondamente, sorridendo mestamente al mio riflesso
che mi guarda malinconico. ‘Come ti sei ridotto per una
donna, Grey’. “Ma sono pur sempre il padrone della mia
vita. Il signore del mio universo”. Mi viene da ridere.
Definirmi il signore del mio universo, ora come ora, mi
sembra la cazzata più grande che potessi dire. Lo squillo
del BlackBerry mi fa mozzare il respiro. Chiudo gli occhi.
“Ecco. Eccola la signora del mio universo”. Rispondo
subito, quasi per paura che possa ripensarci.

«Pronto»

Il mio tono è inaspettatamente dolce. Non sono più


incazzato. Sono rassegnato al fatto che riesca a mandarmi
all’inferno e in paradiso quasi contemporaneamente. E
sono anche sollevato dal fatto che è viva e stia bene.

«Ciao» mormora piano, come se si aspettasse una bella


lavata di capo.

«Mi hai fatto preoccupare» le dico sinceramente.

Mi sposto dalla vetrata e vago in salotto.

«Lo so. Mi dispiace di non aver risposto, ma sto bene»

Chiudo gli occhi, rimanendo per qualche istante in


silenzio. “Sto bene”. Era questa la rassicurazione che ho
cercato per tutta la sera? Mi ritrovo seduto al pianoforte.
Non so nemmeno io come ci sono arrivato. Lentamente
sfioro con le dita i tasti, senza produrre alcun suono.

«Hai passato una bella serata?» le chiedo, infine,


cercando di trovare una sorta di compostezza nel
formulare la domanda.

«Sì. Kate e io abbiamo finito gli scatoloni, poi abbiamo


mangiato cibo cinese con José»
Sentirle pronunciare quel nome mi manda in bestie.
“Quindi eri impegnata con il figlio di puttana? Era per
questo che non mi rispondevi? Che mi hai fatto passare
ore di interminabile attesa? Vaffanculo, Anastasia!”. Mi
alzo dal pianoforte e vado a versarmi altro vino,
rimanendo in silenzio. Come se fosse cosciente del mio
stato d’animo, Anastasia cerca di riportare il buonumore
tra di noi.

«E tu?» chiede tentennando.

Alzo gli occhi, guardando il soffitto. ‘Suvvia, Grey. A 21


anni tu stavi chiuso in casa i venerdì sera?’. “Io scopavo
con Elena i venerdì sera. E anche le altre sere. Ma la mia è
un’altra storia”. Sospiro pesantemente, prima di ritornare
a fissare il vino che ho nel bicchiere.

«Sono stato a una cena di beneficenza. Una noia


mortale. Me ne sono andato appena ho potuto»

“Ecco. Sono passato da scopare una bellissima donna


tutte le sacrosante sere, o quasi, a passare da un
ricevimento all’altro, concedendomi dei brevi momenti di
relax solo nei weekend. A danno di ragazze belle e brune
come te Ana”.

«Vorrei che fossi qui» mi sussurra all’improvviso.

E quella rivelazione mi lascia perplesso. “Allora perché


non mi hai chiamato? Perché te ne sei stata con quel
coglione, senza cercare di contattarmi. Avrei mollato tutto
e sarei corso da te. Di nuovo. Sempre”.

«Ah, sì?» le chiedo sarcastico.


«Sì» mormora convinta.

E lo so. So che è sincera. Lo so da quando è inciampata


in quel cazzo di ufficio e mi ha guardato negli occhi. Lo so
da quando mi ha donato la sua verginità. Da quando si è
lasciata sculacciare da me. Da quando ha preso in mano
quel fottuto contratto, con le dita tremanti. Sospiro. ‘Falla
respirare, Grey’.

«Ci vediamo domenica?» le chiedo, quasi speranzoso.

«Sì, domenica»

Nella sua risposta sento una leggera tensione. Paura?


Eccitazione? “Valla a capire”. Ho bisogno di sfogare la
mia tensione.

«Buonanotte» tento di salutarla. Anche se non mi va di


chiudere.

«Buonanotte, signore»

Il mio pene si tende improvvisamente, concentrando in


sé il desiderio, la tensione, la voglia di strapparle di dosso
qualsiasi cosa indossi e farla mia. Chiudo gli occhi,
sopraffatto da quella sensazione.

«In bocca al lupo per il trasloco, Anastasia»

Il mio respiro spezzato e la mia voce satura di desiderio


tradiscono tutto quello che provo. Devo chiudere.
Altrimenti so che correrò da lei. E non voglio mostrarmi
di nuovo così debole a me stesso.

«Riattacca tu» mormora.


Mi strappa un sorriso e sento sorridere anche lei.
Sembriamo due sciocchi ragazzini di 15 anni. Ma ora
come ora, non m’importa. Farei di tutto per il suo sorriso.

«No, tu» le dico ridendo piano, scuotendo la testa.

«Non voglio»

La sua voce è bassa, morbida. Me la sento addosso,


come se potesse accarezzarmi. Ovunque. Porto
istintivamente una mano sul cuore, godendomi il
formicolio di piacere che mi percorre. “Cristo, se mi
eccita”.

«Neanch’io» le sussurro, sedendomi sull’ampio sofà.


Mi appoggio allo schienale, espirando a fondo e
rilassandomi davvero. Lentamente inizio a sbottonare la
camicia.

«Eri molto arrabbiato con me?» mi chiede esitando.

“Arrabbiato è un eufemismo, Miss Steele”.

«Sì»

«Lo sei ancora?»

Questa volta è la speranza ad insinuarsi nella sua voce.

«No» le dico.

E sono sincero. “Sono solo vuoto senza di te, Miss


Steele”.

«Quindi non mi punirai?» chiede timorosa.


Mi fa sorridere di nuovo.

«No. Sono uno che reagisce d’impulso» ammetto con


sarcasmo.

«L’ho notato»

Sento il suo bellissimo sorriso anche attraverso il


telefono. E so di avere impresso anch’io sul viso un
sorriso ebete solo per il fatto che sto parlando con lei. Ma
ho bisogno di rimettermi in sesto. E magari anche di una
doccia.

«Ora puoi riattaccare, Miss Steele» le dico con tutta la


severità che riesco ad infondere nel mio tono. Ed è
davvero poca in questo momento. Perché vorrei solo
prenderla e risolvere le cose a modo mio. Dentro di lei.

«Vuoi davvero che lo faccia, signore?»

Il suo tono e le sue parole sono una dolce e maliziosa


provocazione. Che non posso cogliere.

«Vai a letto, Anastasia» le impongo autoritario.

«Sì, signore»

La sua dolcezza è mista a quella sua particolare


impertinenza che tanto adoro. Nessuno dei due riattacca.

«Pensi che riuscirai mai a fare quello che ti viene


detto?» le dico con un sorriso esasperato.

«Forse… Vedremo dopo domenica»


Improvvisamente interrompe la chiamata, lasciandomi
solo, frustrato e fottutamente eccitato. Mi guardo intorno,
di colpo di nuovo solo, sperando di riuscire a resistere.
“Non toccarti. Non devi toccarti”. La smania che provo
ora è insopportabile. “Oh, andiamo Christian! Dov’è finito
il tuo autocontrollo del cazzo?”. Entro in camera mia,
deciso a fare una doccia e lasciare che questo dolore
pulsante che mi anima il cazzo si sciolga sotto lo scroscio
d’acqua. Ma quando ci sono sotto non riesco a resistere.
L’immagine di Anastasia nuda, che geme sotto di me, mi
si fissa nella testa e non riesco a scacciarla via. Voglio la
sua morbida e deliziosa bocca. Voglio i suoi piccoli seni
sodi, candidi, da torturare con le labbra. Voglio
accarezzare ogni centimetro del suo corpo con la mia
lingua rovente, mentre ascolto rapito i suoi mugolii di
piacere. Voglio affondare la testa tra le sue cosce e
succhiare avidamente quella delizia. Fino a sentirla
implorare sollievo. Le mie mani scendono sul mio corpo,
insaponandolo. Afferro il mio uccello, duro come l’acciaio
e inizio freneticamente a masturbarmi. Chiudo gli occhi e
la rivedo. Rivedo le mie dita dentro di lei, che la
penetrano a fondo dopo averla sculacciata. Il ricordo della
sua eccitazione mi accende il sangue nelle vene. Stringo
più forte il mio cazzo. Più la voglia di lei aumenta più il
mio piacere sale. “Cazzo, Anastasia. É così duro solo per
te. Prendilo. Prendilo tutto”. Le forze stanno per
abbandonarmi mentre lascio la mia mano scorrere
sempre più veloce sulla mia asta dura. E mi basta solo
pensare a lei che urla spasmodicamente il mio nome, in
preda ad un orgasmo, mentre sono ancora affondato
dentro di lei, per raggiungere l’apice del piacere,
svuotandomi e lasciando che i fiotti del mio desiderio si
mescolino all’acqua calda nella doccia. Scivolo anch’io a
terra, appoggiando la schiena e la testa alle mattonelle
fredde dietro di me. L’acqua mi scorre addosso, mentre
riapro lentamente gli occhi, riabituandomi al mondo
esterno. Respiro a fatica, lasciando che il mio corpo si
muova tutto al ritmo dettato dai miei polmoni. “Cristo!”.
Sospiro, cacciando fuori tutto il fiato che avevo trattenuto
per lo sforzo. “Meglio che mi dia una calmata”.

Mia mi tortura incessantemente, in auto, di ritorno


dall’aeroporto. Non si dà per vinta. Vuole continue
informazioni su Anastasia, su come ha i capelli, gli occhi.
“A saperlo, mi sarei portato dietro il fascicolo di Welch”.
Sorrido, sbottonandomi poco con la piccola curiosa
ragazzina che siede sul sedile passeggero della mia R8. É
cresciuta così tanto negli ultimi mesi. É partita che era
una bambina e mi ritrovo davanti una giovane splendida
donna, dai capelli corvini, che non posso più tenere sotto
controllo come quando era piccola. Ha voluto a tutti i
costi che prendessi quest’auto per venire a prenderla. La
guardo e provo un senso di malinconia. Sembra solo ieri
che si è affacciata nella mia vita, ridandomi la voglia di
tornare a vivere, di tornare a parlare. Di essere presente
per qualcuno a cui io potessi essere d’aiuto, per cui
potessi essere indispensabile. Prima del suo arrivo a casa
Grey ero io il più piccolo. Tutti mi dedicavano attenzioni.
Ma io non le volevo. Io volevo qualcuno da proteggere,
perché ero stato cattivo. Avevo fallito la prima volta e la
mamma era andata via. Ora potevo rimediare. E Mia mi
guardava con i suoi piccoli occhi, veniva a cercare
protezione quando Elliot la infastidiva. E io ero sempre
pronto a difenderla. Le sorrido divertito, mentre lei cerca
di scoprire un po’ di più sulla mia relazione.

«Dai fratellone, non puoi tenermi sulle spine per


sempre» piagnucola, mettendomi il broncio.
«Mia, cos’altro dovrei dirti?» la guardo per un attimo,
scuotendo la testa. «La conoscerai presto»

Gli occhi di Mia luccicano di gioia.

«Verrà a cena da noi, stasera?» mi chiede con un


entusiasmo infantile. Mi chiedo come mai non stia
saltando di gioia sul sedile.

«No, Mia. Ma la mamma vorrebbe che ci fosse per la


cena di domani. Ho promesso di chiederglielo»

Mi getta le braccia al collo, incurante del fatto che io


sia al volante e lancia un gridolino di gioia. Per fortuna
siamo quasi arrivati a casa e non dovrò subire a lungo il
suo entusiasmo ingiustificato. “Cavolo, è soltanto una
ragazza!”.

Dopo essere tornato all’Escala per il pranzo, mi


concedo qualche attimo di riposo. Sono seduto sul divano
a riflettere su tutto quello che è successo nell’ultima
settimana. Mi ha detto che vuole di più. E io ho
acconsentito a questo di più. Anche se non so bene a cosa
ho realmente acconsentito. Quello che vedo è una
ragazzina spaventata, confusa, che sta iniziando qualcosa
di totalmente nuovo e non sa cosa fare. E io vorrei tanto
vedere quella ragazzina davvero felice. Mi ha scritto di
essersi sentita umiliata dopo la sculacciata, di non voler
più subire una cosa del genere. Ma ha anche ammesso di
essere eccitata. Tanto. ‘E tu, Grey?’. E io. E io non lo so.
Credo di sentirmi come lei. In bilico costante tra ciò che
voglio e ciò che la prospettiva di averla mette in gioco. Mi
alzo e mi dirigo in camera mia per cambiarmi. Entro nella
cabina armadio e scelgo un paio di jeans e una camicia
bianca. Indosso le Converse scure e mi passo una mano
tra capelli, scompigliandomi il ciuffo. ‘Che ragazzo ribelle,
Grey’. Sempre pronto a schernirmi, il mio cervello.
Quando torno nel salone, Taylor è in piedi accanto al
tavolo da pranzo, sul quale è poggiata una bottiglia di
Bollinger al quale è legato un simpatico palloncino a
forma di elicottero che ricorda moltissimo Charlie Tango.
Al filo è legato anche un biglietto con gli auguri per il
trasloco.

«Taylor, occupati della consegna per Miss Steele… e


Miss Kavanagh, ovviamente» rimbrotto, ricordandomi
delle buone maniere.

Grace sarebbe fiera di me. Afferro la mia giacca di pelle


e le chiavi della R8.

«A più tardi, signore»

Rispondo al saluto di Taylor con un cenno, prima di


scomparire in ascensore.

Quando arrivo a Bellevue, trovo tutta la mia famiglia in


salotto. Stanno parlando della nuova fidanzata di Elliot. E
so che ora il fuoco incrociato di Grace e Mia Grey, con
occasionali interventi da parte di mio padre, si riverserà
su di me. Saluto i miei, mentre Mia si fionda su di me,
abbracciandomi e dandomi un sonoro bacio sulla
guancia.

«Christian, Elliot dice che Ana è talmente carina!»


squittisce Mia.

«Elliot dovrebbe imparare a guardare la sua di


fidanzata» le dico, fissando mio fratello gelidamente.
«Dai, Christian. Non essere così scontroso. La dolce
Ana ti manda i suoi più calorosi saluti. E non solo. Mi ha
pregato di recapitarti un bacio. E quindi ho dovuto
prenderlo per te e…» interrompe il suo stupido scherzo
scoppiando a ridere. «Scusa, Christian. Ma davvero
dovresti vedere la tua faccia ora!»

Lo fisso truce, mentre anche tutti gli altri si uniscono


alla sua risata. Gretchen, la giovane cameriera bionda, ci
interrompe per annunciare che la cena è in tavola. Mi
guarda al di sotto delle sue ciglia folte, arrossendo. Le
lancio un sorriso e per poco non perde il respiro. “Il solito
effetto”. La cena si svolge in perfetto stile Grey. Si parla
dei Mariners, del viaggio di Mia a Parigi. Qualche
frecciatina su Anastasia e Kate. Quando torno a casa sono
davvero esausto, è tardi e vorrei scrivere ad Anastasia.
Devo anche darle il codice dell’ascensore. Ma posso farlo
domattina. Non mi va di svegliarla. Entro in camera da
letto e faccio appena in tempo a spogliarmi ed infilare i
pantaloni del pigiama prima di crollare in un sonno
ristoratore.

Il suono della sveglia mi impone di alzarmi. Sono


appena le sette e trenta, ma sono sveglio già da un po’.
L’eccitazione per quello che succederà oggi mi rende
strano, nervoso, particolarmente agitato. Mi faccio una
doccia ed esco da bagno con una nuova vitalità. Afferro il
BlackBerry e le scrivo in fretta una mail.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 29 maggio 2011 08.04
Oggetto: La mia vita in cifre

Se arrivi in auto, ti servirà il codice di accesso al parcheggio


sotterraneo dell’Escala: 146963. Lascia la macchina nel posto 5, è uno
di quelli riservati a me. Codice dell’ascensore: 1880.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La velocità della sua risposta mi sorprende. “Sei già


sveglia, Miss Steele? Impaziente come me?”

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 29 maggio 2011 08.08
Oggetto: Un’annata eccellente

Sissignore. Ricevuto. Grazie per lo champagne e il Charlie Tango


gonfiabile, che ora è legato al mio letto.

Ana

“Oh. Dovresti esserci tu legata a quel letto, Anastasia.


Mentre io ti scopo. Ma oggi possiamo rimediare”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 29 maggio 2011 08.11
Oggetto: Invidia

Prego. Non fare tardi. Beato Charlie Tango.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mi concedo una piacevole colazione. Poi, quando ho


rimesso tutto in ordine, salgo al piano superiore per
controllare che tutto sia al suo posto. Il solito odore
confortante della Stanza dei giochi mi fa sentire in pace
con me stesso. Ho dimenticato il frustino che ho
comprato per lei di sotto, in camera mia, nella scatola
insieme alle sfere vaginali e alla mascherina. Dovrò
ricordarmene. La Stanza dei giochi è in ordine, come
sempre. Ogni tanto mi chiedo cosa avrà provato Gail la
prima volta che è entrata qui dentro. Terrore? Sgomento?
Probabilmente non lo saprò mai. Quello che ammiro di
lei, come anche di Taylor, è che non mi ha mai giudicato.
Esco, chiudendo la porta dietro di me, soddisfatto.
Scendo di sotto e mi concedo un po’ di tempo per me
stesso, rilassandomi con della buona musica. Mi capita
così di rado di oziare. E l’impazienza non aiuta di certo.
Quando guardo l’orologio per la cinquecentesima volta mi
sento morire. É appena passato mezzogiorno. “Cristo!
Quanto vorrei che fosse già qui”. Mi metto seduto sul
divano, sconsolato, e passo in rassegna i giornali della
domenica. Mi soffermo un bel po’ sui rendiconti
finanziari e il sempre più altalenante andamento
finanziario di Wall Street. Poi prendo in mano il “Seattle
Times”, scorrendo pigramente i fogli. A pagina 8 mi
fermo sorridendo. Si parla della consegna dei diplomi alla
WSU e al centro della pagina, in rilievo, c’è la foto che mi
hanno scattato con Anastasia. Sotto, la didascalia:
“Christian Grey e una sua amica alla cerimonia di laurea
alla Washington State University di Vancouver”. La
guardo senza riuscire a smettere di sorridere. É la mia
prima foto in pubblico con una ragazza. E la ragazza è lei.
Piego la testa di lato, ricordando il momento
immediatamente successivo a quella foto, quando ha
acconsentito ad essere mia. “E oggi lo sarà per davvero”.
Taylor interrompe il mio piccolo sogno ad occhi aperti,
annunciando l’arrivo di colei che stavo appunto
sognando. Alzo gli occhi su di lei, mentre Taylor l’accoglie
in modo gentile. “Cazzo!”. La mia erezione è immediata.
Indossa il vestito color prugna. Quel vestito. Desidero
strapparglielo di dosso da quella sera all’Heathman.
Anastasia si guarda intorno, come per fare un veloce
ripasso dell’ambiente circostante. Si sofferma un attimo
di più sulla mia camicia bianca, i miei jeans e indugia
forse troppo sui mie piedi nudi. Mi viene da sorridere. Poi
torna su, schiudendo le labbra quando i suoi occhi si
fissano sul mio viso, sui miei capelli che non mi sono dato
la pena di pettinare e sui miei occhi maliziosi. Mi alzo,
divertito, e le vado incontro. Ana non accenna a muoversi
dalla soglia, immobile come una statua. Sento l’attrazione
inesorabile tra i nostri corpi. Anche a lei deve fare un
certo effetto.

«Mmh… quel vestito» le mormoro, apprezzandola


davvero. «Bentornata, Miss Steele»

Mi chino su di lei e delicatamente le poggio le dita sul


mento. La attiro a me e le deposito un leggero bacio sulle
labbra morbide. Sento il suo corpo eccitarsi
immediatamente e scuotersi dalla testa ai piedi.

«Ciao» sussurra flebilmente.

Fa quasi fatica a tenere gli occhi aperti per quanto è


eccitata. “Mi piace, Miss Steele”.

«Sei arrivata puntuale. Mi piacciono le persone


puntuali. Vieni. Volevo mostrarti una cosa»

Le prendo piano la mano e la conduco sul divano.


Prendo il giornale e glielo porgo. Quando scorge la nostra
foto si mette a ridere di gusto. “É bello vederla ridere”.

«Quindi adesso sono una tua “amica”» mi dice,


alzando lo sguardo su di me.
Ha gli occhi luminosi e un’espressione così bella.

«Così pare. E se è sul giornale, dev’essere vero»

Le strizzo l’occhio, contagiato dal suo buonumore. Mi


accomodo accanto a lei e mi chino a rimetterle una ciocca
troppo ribelle dietro l’orecchio. Sento che il suo
meraviglioso corpo si agita di nuovo, tutto in tensione. Mi
si contorce lo stomaco dall’eccitazione.

«E così, Anastasia, adesso mi conosci meglio


dell’ultima volta che sei stata qui»

«Sì» risponde timida, aggrottando leggermente la


fronte.

«Eppure sei tornata»

Annuisce piano. Scuoto la testa incredulo, guardandola


con adorante meraviglia. “Non immagini neppure quanto
tutto questo mi renda immensamente felice, Miss Steele”.
Ho voglia di farla mia immediatamente. Ma purtroppo
devo aspettare che vada via la dottoressa Greene. Ma
dopo…

«Hai mangiato?» le chiedo sperando di poter saltare


questo passaggio.

Ho troppa voglia di lei. Il suo sguardo spaventato mi


dice che invece dovrò aspettare che si nutra, prima di
averla.

«No»

«Hai fame?» le chiedo cercando di sembrare gentile.


La verità è che sono incazzato. “Cos’hai contro cibo e
pasti regolari, Miss Steele? Mi sembrava di essere stato
chiaro in quel fottuto contratto”.

«Non di cibo» mi mormora di rimando.

E d’un tratto la rabbia si trasforma in desiderio. La sua


sfida così sfrontata, la sua eccitazione, la sua voglia di me.
Tutto mi rende un fascio di nervi. Mi chino su di lei,
avvicinandomi al suo orecchio e resistendo all’impulso di
sfiorare le sue bellissime gambe con la mia mano.

«Sei impaziente come sempre, Miss Steele, e ti confido


un segreto: lo sono anch’io. Ma la dottoressa Greene
arriverà da un momento all’altro» le sussurro.

Poi mi rialzo di scatto.

«Vorrei che avessi mangiato» la rimprovero.

Anastasia si agita, guardandomi nervosa.

«Cosa puoi dirmi di questa dottoressa?» mi chiede.

«È la miglior ginecologa di Seattle. Cos’altro posso


dirti?»

«Pensavo che dovesse visitarmi il tuo medico di


fiducia, e non venirmi a raccontare che in realtà sei una
donna, perché non ti crederei»

“Cosa cavolo dici, Miss Steele? Mi sembrava ovvio che


dovesse visitarti uno specialista”. La guardo con
un’espressione strana. “A volte sembra che non metta in
moto il cervello, però”.
«Mi è sembrato più opportuno che ti visitasse uno
specialista. Non sei d’accordo?»

Annuisce, imbarazzata. All’improvviso mi ricordo


dell’invito a cena di mia madre. “Cazzo”. Mi faccio
coraggio.

«Anastasia, mia madre vorrebbe invitarti a cena


stasera. Credo che anche Elliot lo chiederà a Kate. Non so
se te la senti. Per me sarebbe strano presentarti alla mia
famiglia»

«Ti vergogni di me?» mi chiede di getto, offesa.

«Certo che no»

Alzo gli occhi al cielo, esasperato.

«Perché, allora, sarebbe strano per te?»

«Perché non l’ho mai fatto» le spiego paziente.

«Perché tu puoi alzare gli occhi al cielo, e io no?»

La sua domanda mi colpisce all’improvviso. “Che


cosa?”

«Non mi ero accorto di averlo fatto» le rispondo


lentamente. ‘Ti stai quasi scusando forse, Grey?’.

«Di solito non me ne accorgo nemmeno io» sbotta.

Non so cosa dirle. “Che donna esasperante!”.

Per fortuna Taylor ci interrompe, annunciando l’arrivo


della dottoressa Greene. Gli dico di accompagnarla nella
stanza di Anastasia. Poi mi rivolgo di nuovo a lei, mentre
entrambi ci alziamo dal divano.

«Sei pronta a prendere un contraccettivo?»

«Non vieni anche tu?» chiede terrorizzata.

Scoppio a ridere di gusto.

«Pagherei una fortuna per guardarti, Anastasia,


credimi, ma non penso che la dottoressa approverebbe»

La attiro a me, stringendola tra le braccia e la bacio


intensamente, come per lasciarmi dentro il suo sapore
fino al suo ritorno. Sorprendentemente Anastasia mi
stringe. Il suo calore è così confortante. Le accarezzo
dolcemente i capelli, mentre il mio corpo aderisce al suo e
i nostri odori si mescolano. Appoggio la mia fronte alla
sua, inalando a fondo non solo il suo profumo, ma tutto il
suo essere.

«Sono così felice che tu sia qui» le sussurro «Non vedo


l’ora di spogliarti».
Capitolo 18

Entro, insieme ad Anastasia, all’interno di quella che


sarà la sua camera da letto. Di fronte a noi la dottoressa
Greene si erge impettita, circondata da tutto quel bianco
accecante. É alta quasi quanto me, bionda, professionale.
Troppo altezzosa per i miei gusti. ‘Schizzinoso, Grey.
Sappiamo tutti che le bionde non fanno per te’.

«Mr Grey»

Si avvicina e mi stringe la mano con vigore.

«Grazie per essere venuta con così poco preavviso» le


dico educatamente.

«Grazie per aver fatto in modo che ne valesse la pena,


Mr Grey. Miss Steele» mi risponde sarcastica.

La sua attenzione, così come la sua curiosità, si


concentrano tutte su Anastasia. Si stringono la mano,
sorridendosi a vicenda. La dottoressa Greene mi lancia
un’occhiata eloquente, mentre su di noi cala un silenzio
imbarazzante. “Sì, ok. Sono di troppo. Ho capito”.

«Io sono al piano di sotto» mormoro, uscendo a


malincuore dalla stanza.

Sospiro mentre mi trascino per le scale. Mi rendo


conto che anche starle lontano per pochi minuti inizia a
crearmi qualche problema. Prendo il BlackBerry dalla
tasca dei pantaloni e ne approfitto per chiamare mia
madre. Grace squittisce di gioia alla notizia che Miss
Steele si unirà a noi perla cena. Anche Kate ha
acconsentito. “Sai che gioia”. Mi sposto in cucina e inizio
ad apparecchiare il bancone per il pranzo. Mrs Jones ha
lasciato la sua ottima insalata di pollo. Spero che ad
Anastasia piaccia. Lo squillo del telefono mi distrae.
Rispondo in modo automatico, continuando a scrutare il
cibo nel frigo.

«Grey»

«Christian, tesoro!»

Chiudo il frigo, poggiandoci contro la fronte. “Cazzo,


Elena. Non è proprio il momento adatto per te”.

«Elena...»

«Ho per caso interrotto qualcosa?»

Il suo infallibile sesto senso. “Hai solo interrotto i miei


pensieri lascivi su Miss Steele”.

«Non ancora, Elena»

«Oh…» sembra quasi stupita.

“É domenica. Ho una nuova Sottomessa. Cosa c’è da


stupirsi?”. Cioè, no. Tecnicamente non ho una nuova
Sottomessa. Ho una specie di qualcosa. Tipo una
fidanzata.

«Cosa c’è Elena?» le dico infastidito.

«Volevo solo sapere come stavi. Ieri sera sei corso via
così velocemente»
Sembra agitata in qualche modo. Vorrei sapere perché
si preoccupa tanto per me. Si comporta come una madre
iperprotettiva.

«Sto bene, Elena. Avevo solo di meglio da fare. Come


ora, del resto»

Resta interdetta per un attimo. “Ok, sono stato brusco,


è vero. Ma non ho voglia di stronzate ora”.

«Certo, Christian. Buon divertimento con la piccola


impertinente» sbuffa, infastidita, chiudendo la
conversazione.

Aggrotto la fronte, scuotendo piano la testa. “Ma che


cazzo le prende?”. Finisco di preparare tutto e mi avvicino
al divano, accendendo l’iPod e riprendendo in mano il
“Seattle Times”. Torno a guardare la nostra foto insieme.
É bellissima. Ricordo perfettamente la meravigliosa
sensazione di toglierle di dosso quello svolazzante vestito
color argento. Un piccolo sorriso mi si stampa in viso. E
mi sento bene. Non è mia soltanto su quel pezzo di carta.
É mia per davvero. Ora. Qui. Come se fosse la
materializzazione dei miei pensieri, eccola che rientra in
salotto, seguita dalla dottoressa Greene. La ammiro dalla
testa ai piedi. É un piccolo angelo sceso dal cielo solo per
me. Le sorrido, abbassando il volume della musica. Mi
alzo e vado incontro alle mie due ospiti.

«Avete finito?» chiedo gentile.

Il mio sguardo è catalizzato su Anastasia. Accarezzo


piano con gli occhi le sue curve sinuose, pregustando il
momento in cui potrò toccarla.
«Sì, Mr Grey. Abbia cura di lei: è una ragazza bella e
intelligente» risponde prontamente la dottoressa.

Io e Anastasia ci giriamo a guardarla, con al stessa


espressione stupita dipinta sul viso. Ma la donna alta e
bionda che mi fissa spavalda sembra non essere per
niente in imbarazzo per il suo poco velato avvertimento.
Mi riscuoto dallo stupore, ritrovando la mia stabilità.

«Ne ho tutta l’intenzione» mormoro, guardandola


gelido negli occhi.

Anastasia mi guarda, ancora sorpresa, stringendosi


nelle spalle, come per rispondere alla mia domanda
inespressa. “Cosa cazzo le avrà detto in quella stanza?”.
Ma, comunque, sembra del tutto estranea alla faccenda.
La dottoressa Greene mi tende la mano.

«Le manderò la fattura» dice seccamente, senza


abbandonare il suo cipiglio scostante. «Buona giornata e
in bocca al lupo, Ana» aggiunge poi, rivolta a Miss Steele,
con un ampio sorriso.

‘Magari gli sei solo antipatico, Grey. Nonostante i


15mila dollari’. “Magari gli servirebbe una bella scopata”.
Ma che hanno tutte le bionde in questo periodo? Anche
Elena, negli ultimi giorni, è stata indispettita.

Taylor esce prontamente dal suo ufficio, dal quale


sorveglia diligentemente tutta la casa tramite il sistema di
videosorveglianza, e si occupa di scortarla fuori
dall’appartamento. Finalmente posso tornare ad
occuparmi di Miss Steele.

«Com’è andata?» le chiedo curioso.


«Bene, grazie. Ha detto che devo astenermi da
qualsiasi attività sessuale per le prossime quattro
settimane»

“COSA CAZZO HA DETTO?”. Sono tentato di correre


dietro alla dottoressa Greene e farmi restituire i miei
fottuti soldi. Resto a bocca aperta a fissarla. Non riesco a
crederci. Per tutta risposta, Anastasia scoppia a ridere
fragorosamente.

«Ci sei cascato!»

Mi sorride, divertita dal piccolo scherzo che è riuscita a


portare a segno. Dentro di me, tiro un sospiro di sollievo.
Avrei dovuto capirlo che Miss Simpatia qui di fronte stava
scherzando. “Bene, ti renderò pan per focaccia, Miss
Steele”. Le lancio un’occhiata severa e lei smette
all’istante di ridere. Sgrana i suoi grandi occhi blu e mi
fissa, terrorizzata all’idea di quello che potrei farle. Il suo
bellissimo viso scolorisce all’istante. Non riesco a reggere
oltre.

«Ci sei cascata!» esclamo, strizzandole l’occhio e


tirandomela tra le braccia, per calmarla. La stringo,
rilassandomi insieme a lei. «Sei incorreggibile, Miss
Steele» mormoro piano.

Il divertimento lascia subito il posto al desiderio. Le


mie dita scivolano tra i suoi capelli di seta, agganciandosi
e trattenendole la testa. Le mie labbra si protendono
spontaneamente verso le sue, catturandole, straziandole
in modo carnale, mentre lei si aggrappa con tutte le sue
forze alle mie braccia per controbattere al mio impeto.
«Anche se vorrei prenderti qui e subito, hai bisogno di
mangiare, e anch’io. Non voglio che tu mi svenga
addosso, più tardi» sussurro con voce roca, staccandomi
di poco da lei.

«È solo per questo che mi vuoi… per il mio corpo?»

Mi guarda con i suoi occhioni spalancati, aperta e


vulnerabile come non mai. “Io ti voglio tutta per me, Miss
Steele. Corpo, mente ed anima. Tutta mia”.

«Il tuo corpo e la tua lingua biforcuta» rispondo con


un piccolo sorriso.

Le afferro ancora una volta le labbra, lasciando le


nostre lingue scontrarsi avide. La bacio con ardore, fino a
quando non ho più fiato. “Dio, se voglio scoparti,
Anastasia”. Mi stacco da lei all’improvviso, lasciandola
stordita, confusa, traballante, e la trascino in cucina.
“Voglio finire di pranzare subito e fotterti, Miss Steele”.
Con la coda dell’occhio la vedo sventolarsi il viso, rosso
acceso, con la mano libera, quasi incespicando sui tacchi
a causa della rapidità con cui me la tiro dietro. La lascio
accomodarsi su uno degli sgabelli, mentre apro il frigo e
tiro fuori la ciotola con l’insalata.

«Cos’è questa musica?» chiede interessata.

«Villa Lobos, un’aria delle Bachianas Brasileiras.


Bella, vero?»

«Sì» risponde sincera.

«Va bene un’insalata di pollo?» le chiedo speranzoso.


«Benissimo, grazie» mi dice con un piccolo sorriso.

Mentre traffico con ciotola e piatti sento il suo sguardo


incollato addosso. Mi segue ovunque. Mi giro a guardarla
e lei è immersa in chissà quale congettura.

«A cosa pensi?» le chiedo.

Sono un po’ timoroso di sentire la risposta. Non vorrei


ci stesse ripensando su noi due. Arrossisce di colpo.

«Stavo guardando il tuo modo di muoverti»

“Non immagini neppure come vorrei muovermi ora,


Anastasia. Su di te. Dentro di te”. La guardo, divertito,
alzando un sopracciglio.

«E allora?» chiedo curioso.

Il suo imbarazzo aumenta.

«Sei molto elegante» mi dice a voce bassa.

«Caspita, grazie, Miss Steele» le dico piano,


compiaciuto dal complimento.

Prendo posto accanto allo sgabello sul quale si è


seduta, portando con me una bottiglia di vino. La guardo,
piegando la testa di lato, con un sorriso.

«Chablis?»

«Sì, grazie»

«Serviti pure» le dico porgendole la ciotola con il pollo,


mentre mi occupo di riempire i bicchieri. «Raccontami:
che metodo avete scelto?»

Mi guarda spaesata, forse un po’ in imbarazzo.

«La minipillola» confessa alla fine.

Aggrotto la fronte. “Ho i miei dubbi che si ricordi di


prenderla puntualmente”.

«E ti ricorderai di prenderla regolarmente, all’ora


giusta, ogni giorno?»

Ha un moto di esasperazione. Arrossisce di nuovo, ma


evita di alzare gli occhi al cielo. Non posso evitare di
sentirmi compiaciuto per questo.

«Sono sicura che tu me lo ricorderai» risponde piccata.

Le rivolgo uno sguardo divertito.

«Metterò un appunto sul calendario» le dico


prendendola in giro e strizzandole l’occhio. «Mangia»
ordino.

Per la prima volta, da quando la conosco, non solo non


fa storie, ma ingoia fino all’ultimo boccone, finendo
addirittura prima di me. Ogni tanto sorseggia il suo vino,
mentre mi lancia qualche occhiata. E i suoi occhi la
dicono lunga su quello che vorrebbe in questo momento.
“Non vedo l’ora di affondarti dentro, Miss Steele”. Sorrido
soddisfatto quando posa la forchetta nel suo piatto vuoto.

«Impaziente come al solito, Miss Steele?»


Mi lancia uno sguardo da sotto le sue bellissime ciglia.

«Sì» mormora, muovendo appena le labbra e lasciando


la mia immaginazione vagare all’infinito.

Mi rendo conto che il mio respiro si accorcia, eccitato,


mentre l’aria si carica di aspettative, di desiderio, di pura
lussuria. “La voglio. Qui, ora. Sempre”. Non riesco più a
resistere. Mi alzo e me la tiro addosso. Il suo piccolo
corpo sbatte contro il mio e lo scontro mi provoca un
piacere immenso. Il mio cazzo freme di voglia,
strofinandosi sul suo ventre. Non riesco a frenare il mio
ansimare. La nostra vicinanza mi manda fuori di testa,
rischio di non rispondere delle mie azioni.

«Vuoi farlo?» le dico senza preamboli, fissandola dritto


negli occhi.

Le mie mani stringono la base della sua schiena,


mentre il mio corpo si muove piano contro il suo. Sto
impazzendo di desiderio.

«Non ho ancora firmato» mi ricorda a voce bassa.

Non riesce a sostenere il mio sguardo, abbassa gli


occhi, vogliosa come me.

«Lo so… ma oggi intendo infrangere tutte le regole»

‘Cazzo dici, Grey?’. “Non lo so nemmeno io. Ora come


ora potrei dire di tutto pur di vederla godere sotto di me”.
Anastasia rialza gli occhi di scatto, fissandomi a bocca
aperta.

«Mi picchierai?» dice piano, poi, timorosa.


La sua domanda mi coglie di sorpresa. Chiudo
brevemente gli occhi, sospirando appena.

«Sì, ma non ti farò male. Non voglio punirti per ora. Se


ci fossimo visti ieri sera, Bè, sarebbe stata un’altra storia»

Le rispondo con sincerità. É vero, le ho promesso di


più. Ma non posso rinnegare quello sono. Sul suo viso si
dipinge un’espressione allarmata. Aggrotto la fronte.
Devo tentare di farle accettare e superare questo scoglio.

«Non lasciare che qualcuno ti convinca del contrario,


Anastasia. Uno dei motivi per cui quelli come me fanno
quello che fanno è perché amano infliggere o subire
dolore. È molto semplice. A te la cosa non piace, per cui
ieri ci ho riflettuto a lungo»

“E non sono riuscito a capirci niente. Se non che ti


voglio”. Il pensiero di possedere ogni millimetro del suo
corpo mi eccita al di là di ogni possibile concezione
umana. La stringo a me, deglutendo a fatica, con il
respiro che mi si mozza in gola quando il mio uccello le
sfiora di nuovo prepotente il ventre.

«E sei arrivato a qualche conclusione?» chiede


flebilmente.

“Cazzo, Miss Steele. Lascia perdere i pensieri per ora”.

«No, e in questo momento voglio solo legarti e scoparti


fino a farti perdere i sensi. Sei pronta?» le sussurro
contro il viso.

Le mie parole sono solo un sibilo, in cui riverso tutta la


mia eccitazione, e raggiungono a malapena il suo
orecchio.

«Sì» la sento gemere.

Il suo corpo si tende, aderendo al mio.

«Bene. Vieni con me»

Prima che possa replicare, le afferro dolcemente la


mano e la trascino su per le scale. Le sue dita mi
stringono forte, trasmettendomi l’ansia e la paura che la
stanno attraversando da capo a piedi. Piano, apro la porta
della Stanza dei giochi, addossandomi all’uscio per
lasciarla passare per prima. Lentamente fa qualche passo
in avanti e, quando finalmente è dentro, la seguo,
chiudendomi la porta alle spalle. “Ora sei mia, Miss
Steele”. Si guarda brevemente intorno e la sento inspirare
piano il particolare odore che ci avvolge. Mi sento più
rilassato ora che sono nel mio ambiente naturale. Sospiro
profondamente, lasciando i miei polmoni inebriarsi del
suo aroma mescolato a quello della mia stanza segreta.
Raddrizzo le spalle, sentendomi completamente a mio
agio tra queste quattro mura. La guardo intensamente,
quasi a voler imprimere la mia volontà su di lei solo per
questo. “Ora si gioca a modo mio, Miss Steele. E penso
che ti divertirai un sacco”.

«Quando sei qui dentro, sei completamente mia» le


sussurro lentamente. «Posso fare di te quello che voglio.
Lo capisci?»

Annuisce, perdendosi nei miei occhi, senza riuscire a


proferire parola. La guardo, bramando il suo corpo. I suoi
seni, agitati dal suo respiro, i suoi fianchi invitanti, le sue
bellissime gambe.
«Togliti le scarpe» le ordino a bassa voce.

Fatica a reggere il mio sguardo. Deglutisce a fatica,


capendo che la nostra relazione è ad un punto di svolta
cruciale. Esitante si abbassa e sfila i sandali. Mi chino a
raccoglierli per lei e li deposito accanto alla porta.

«Bene. Non esitare, quando ti chiedo di fare qualcosa.


Ora ti tiro fuori da quel vestito. È una cosa che desidero
fare da qualche giorno, se ben ricordo. Voglio che tu ti
senta a tuo agio con il tuo corpo, Anastasia. Hai un corpo
splendido, e a me piace guardarlo. È una gioia
contemplarlo. Anzi, lo contemplerei per tutto il giorno, e
voglio che tu non sia imbarazzata dalla tua nudità. Hai
capito?» le intimo.

«Sì» risponde in un sussurro.

“Oh, no, Miss Steele. Io sono il tuo Dominatore qui


dentro”.

«Sì, cosa?» le chiedo con severità.

Mi protendo verso di lei, guardandola, lanciandole uno


sguardo crudele.

«Sì, signore»

Quasi balbetta per quanto è intimidita.

«Dici sul serio?» sbotto.

«Sì, signore» mormora, accendendo la mia voglia


sfrenata di sesso.
Abbassa di poco lo sguardo mentre io non riesco a
distogliere il mio, fisso su di lei.

«Bene. Alza le mani sopra la testa» le intimo.

Obbedisce all’istante. Lentamente mi chino e afferro


l’orlo del suo vestito. Piano, lo alzo, lasciandolo scorrere
sulla sua pelle, insieme alle mie mani, e liberando
gradualmente le sue carni nude. Avidamente poggio gli
occhi su di lei. “Su quello che è mio. Solo mio”. Le cosce
lisce, candide, il suo ventre piatto, il suo sesso voglioso
coperto solo da un minuscolo pezzettino di stoffa. Libero i
suoi piccoli seni, costretti sotto il merletto del reggiseno.
Le sfilo completamente l’abito, piegandolo e poggiandolo
sul cassettone accanto alla porta. Torno da lei. Le mie dita
le sfiorano il mento. Un piccolo tocco che la fa fremere,
mentre il mio cazzo si tende oltremisura. I suoi denti
affondano piano nella morbida carne delle sue labbra.
Quel gesto carico di sensualità mi infiamma il sangue.

«Ti stai mordendo il labbro» ansimo. «Sai che effetto


mi fa. Girati»

Obbedisce, senza batter ciglio. Le mie dita esperte


slacciano il reggiseno in un attimo e lo lasciano scivolare
piano lungo le sue braccia, mentre la accarezzano leggere.
La sua eccitazione è evidente. I nostri corpi non si
toccano, ma sono talmente vicini che è come se lo
facessero. “É così fottutamente eccitante”. Le raccolgo i
capelli con una mano, spostandoli di lato e inclinandole la
testa. Inspiro bruscamente il suo odore, accostando il
naso al suo collo e percorrendolo lentamente con la
punta. Arrivo al suo orecchio, mentre lei si eccita ancora
di più, stringendo piano le cosce l’una contro l’altra. Le
sue braccia si cercano, tentando di coprire il ventre.

«Hai un profumo divino come sempre, Anastasia» le


sussurro, depositandole un bacio appena sotto l’orecchio.

Un gemito di puro desiderio le sfugge dalle labbra e mi


infiamma l’uccello. Un brivido la percorre dalla testa ai
piedi.

«Piano» le mormoro. «Non fare rumore»

Le tiro i capelli all’indietro, intrecciandoli in modo


veloce e legandoli con un elastico preso dal cassettone. La
attiro a me, sempre tenendola per i capelli, lasciandola
appoggiare al mio corpo. Il mio cazzo le sfiora le natiche.

«Mi piaci con la treccia, qui dentro»

Le lascio i capelli, evitando di pensare troppo al perché


mi piaccia la treccia in questa stanza.

«Girati» le ordino risoluto.

Tremante e ansimante, obbedisce senza fiatare. E


quando si gira è davvero fantastica. La sua nudità mi fa
impazzire. I miei occhi la penetrano a fondo, proprio
come vorrebbe fare il mio uccello che pulsa
violentemente. É vestita solo con quelle minuscole
mutandine azzurre. I capelli raccolti, il viso scoperto, gli
occhi che sfarfallano per l’eccitazione. Quelle labbra
schiuse, che a malapena respirano. I suoi capezzoli turgidi
e la sua pelle candida.

«Quando ti dico di venire in questa stanza, dovrai


essere vestita così. Solo con gli slip. Hai capito?»
La mia voce fatica ad abbandonare la mia gola, mentre
mi abbevero di quella visione fantastica.

«Sì» mormora, in evidente imbarazzo.

«Sì, cosa?» le dico, alzando il tono, anche se non riesco


a nascondere il mio desiderio nei suoi confronti.

«Sì, signore» si affretta a correggersi.

Sorrido soddisfatto.

«Brava bambina. Quando ti dico di venire qui, mi


aspetto che ti inginocchi lì» le indico il suo posto, accanto
alla porta.«Fallo subito»

Mi guarda sgranando gli occhi per l’incredulità. Poi,


ricordandosi del mio ammonimento sull’esitare, lo
raggiunge e si inginocchia traballante.

«Puoi sederti sui talloni»

Esegue. E io inizio a comporre la mia piccola opera


d’arte personale.

«Tieni le mani e gli avambracci sulle cosce. Bene. Ora


divarica le ginocchia». Esegue, ma non basta. «Ancora.
Ancora. Perfetto. Guarda il pavimento».

Guido i suoi movimenti, fino a farle assumere la


posizione che voglio. La guardo e il mio cuore manca un
battito. É stupenda con il capo chino, i seni che si
muovono al ritmo del suo respiro eccitato, le gambe
divaricate che mi lasciano immaginare il posto in cui
vorrei essere già. Mi avvicino, chinandomi su di lei. Le
afferro la treccia e le tiro la testa indietro, in modo che mi
possa guardare negli occhi.

«Ricorderai questa posizione, Anastasia?» le dico, il


mio sguardo carico di intenzione.

«Sì, signore»

Questa volta non si dimentica il mio appellativo. Le sue


labbra si schiudono appena. Devo fare uno sforzo
immane per non baciarla. Chiudo gli occhi, rialzandomi.
Devo tornare giù. Ho dimenticato il frustino in camera. E
voglio mettermi comodo. ‘E dovresti anche calmarti,
Grey’. “Già. Non voglio che tutto questo finisca troppo
presto”.

«Bene. Stai lì e non ti muovere»

Esco dalla stanza e mi appoggio allo stipite della porta.


“Cristo! Neppure qui dentro sono al sicuro dal suo
incantesimo”. Chiudo gli occhi e, quando li riapro, ho una
nuova determinazione che mi scorre nelle vene. Sono io il
Dominatore. Io che comando. Scendo le scale lentamente,
sapendo che l’attesa la dilanierà. Me la pendo con
comodo, tentando invano anche di raffreddare i miei
bollenti spiriti. Entro in camera e mi dirigo nella cabina
armadio. Sfilo via i jeans che ho addosso e prendo quelli
vecchi, slavati e stracciati che utilizzo di solito per la
Stanza dei giochi. “Non vorrei le si rovinassero i vestiti”
mi aveva detto lei stessa quel giorno alla ferramenta.
Ricordo che mi aveva fatto sorridere il suo modo di
fissarmi i pantaloni, magari immaginando quello che
c’era sotto. “Bene, Anastasia. Come vedi sono un uomo
previdente. Da sempre”. Li abbottono, lasciando il
bottone in cima slacciato. Mi sfilo anche la camicia. Prima
di salire di sopra, porto con me un accappatoio preso dal
bagno oltre al frustino, le sfere d’argento e la mascherina.
Prendo anche tre preservativi dal comodino. Quando
ritorno nella Stanza dei giochi, Anastasia non si è mossa
dalla posizione in cui l’ho lasciata. Chiudo la porta,
sentendo il suo respiro farsi più pesante. Appendo
l’accappatoio al retro della porta e poggio piano i miei
strumenti sul cassettone, tranne il frustino che tengo in
mano, nascondendolo appena dietro la schiena.

«Brava, Anastasia. Sei una meraviglia in quella


posizione. Ottimo. Alzati»

Obbedisce, tenendo il capo chino, senza guardarmi. Ma


io voglio vederla.

«Puoi guardarmi»

Piano, timidamente, solleva la testa, fissando i miei


occhi con quella meraviglia di azzurro che sono i suoi.
Accenno un sorriso, mentre lei mi osserva rapita,
soffermandosi sulla pelle nuda del mio torace e sul
bottone slacciato dei jeans. Inspira bruscamente, mentre i
seni si muovono veloci. “Ha voglia di toccarmi, ci
scommetto. Ma non posso permetterglielo”.

«Ora ti incatenerò, Anastasia. Dammi la mano destra»

Mi tende la mano tremante, senza esitare. La giro,


aprendole il palmo e, prima che possa rendersene conto,
la colpisco al centro con il frustino. Non geme, non
replica. Assorbe il colpo in silenzio.

«Tutto bene?» le chiedo, cercando di mascherare


l’apprensione per come reagirà.

Resta in silenzio, aggrottando la fronte.

«Rispondimi» le intimo.

«Bene» sussurra piano.

«Non aggrottare la fronte»

Raddrizza leggermente la testa, assumendo


un’espressione impassibile.

«Ti ha fatto male?»

Voglio solo iniziare a capire fin dove posso spingermi.

«No»

Sono sollevato.

«Non ti farà male. Capisci?»

«Sì» afferma

Ma si vede che ci crede poco.

«Dico sul serio» aggiungo, rassicurandola.

Il suo respiro accelera. Le mostro il frustino e lei sbarra


gli occhi, riconoscendo quello che mi ha descritto qualche
sera fa. Mi guarda, mentre le rivolgo un’occhiata divertita
e impertinente.

«Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele» mormoro


arrogante. «Vieni»
La prendo delicatamente il gomito e la sposto nella
stanza, proprio sotto la griglia dei moschettoni, che
pendono dal soffitto. Allungo la mano e ne tiro giù alcuni.
All’estremità sono appese delle manette di cuoio nero.
Ottime per quello che ho in mente.

«Questa griglia è fatta in modo che i moschettoni si


spostino lungo di essa»

Deglutisce, guardando la griglia con attenzione.

«Inizieremo da qui, ma voglio scoparti in piedi. Quindi


finiremo laggiù, vicino al muro»

Segue attentamente con gli occhi il percorso che le ho


indicato, fino alla croce di legno appesa al muro. Voglio
inchiodarcela sopra e fotterla di santa ragione. Ma prima
voglio divertirmi.

«Alza le mani sopra la testa»

Obbedisce ancora una volta, guardando i miei


movimenti. Al mio tocco, il suo corpo ha un fremito. É
spaventata. Ed eccitata. Che adorabile combinazione.
Chiudo le manette attorno ai suoi polsi delicati, mentre
Anastasia non smette di fissarmi il torace nudo. Faccio
istintivamente un passo indietro, guardandola con un
desiderio carnale che parte dal profondo di me. É
indifesa, completamente esposta alla mia lussuria, pronta
per darmi piacere. Stringe piano le cosce, l’una contro
l’altra, vogliosa di avermi. Come lo sono io. E non parla.
Non mi sfida con le parole, non mi interrompe, non fa
l’impertinente. Si piega al mio volere, eseguendo gli
ordini che le impartisco in modo esemplare. É
ammirevole. E questa sua dedizione è dovuta al fatto che
mi desidera così tanto. Come io desidero lei.

«Sei uno schianto legata così, Miss Steele. E la tua


lingua biforcuta tace per un momento. Mi piace»

Le giro intorno, ammirandola da ogni angolatura. Poi


torno davanti a lei. Piano, faccio scivolare le mie dita sulla
pelle del suo ventre. Sfioro il bordo delle mutandine e
lentamente infilo le dita dentro, accarezzandole il sesso.
Mi muovo senza fretta, scivolando tra le sue grandi labbra
già bagnate, mentre Anastasia sospira. Lascio scivolare i
minuscoli slip lungo le sue cosce. Mi abbasso piano,
seguendo la loro discesa verso il pavimento. La punta del
naso quasi le sfiora le gambe, mentre segue la scia del suo
dolce profumo. Quando glieli sfilo del tutto, li
appallottolo e li annuso, senza smettere di guardare la sua
espressione. Il suo odore è inebriante. Anastasia mi
guarda a bocca aperta, sconvolta. Le lancio un sorriso
sardonico prima di infilarli nella tasca dei miei jeans. Poi,
piano, mi rialzo. Mi bagno le labbra, pregustandomi il
momento in cui sentirò il suo sapore. Punto il frustino sul
suo ombelico e inizio a disegnare lenti movimenti
rotatori. Sfioro piano la sua pelle con il cuoio. Sento il suo
calore senza neppure toccarla e i suoi fremiti di
eccitazione. Mi fermo qualche secondo, per farle
assorbire la nuova sensazione. Poi riprendo a girarle
intorno, lasciando che il frustino le sfiori il corpo. Un giro
intero. E poi un secondo. Ed ecco che lascio che il frustino
schiocchi sulle terminazioni nervose del suo clitoride.
Lancia un gridolino, sorpresa, strattonando le manette di
cuoio che la tengono bel salda. Il suono mi arriva dritto al
cazzo, che si tende, pulsando violentemente. Anastasia mi
guarda ad occhi spalancati, sconvolta.
«Stai buona» le mormoro provocatorio.

Continuo a girarle intorno, sfiorandole la pelle ancora


una volta con un frustino. Il mio respiro accelera, mentre
la brama e la lussuria sfrenata tentano di impadronirsi
definitivamente di me. Torno a colpirla. Sempre nello
stesso punto. Non grida, ma lancia la testa all’indietro,
fremendo e godendo. La visione è estatica. Non ho mai
goduto tanto a portare una Sottomessa sull’orlo del
piacere. Le giro ancora attorno, e di nuovo la colpisco.
Questa volta su un capezzolo, che si tende a causa del
contatto. Trascino il cuoio sulla sua carne candida. Un
altro giro. Colpisco l’altro capezzolo. Anastasia apre la
bocca, stremata, emettendo un dolcissimo e straziante
gemito che mi si riverbera dentro.

«Ti piace?» mormoro eccitato.

Ho il cazzo in fiamme, che si tende sotto la stoffa


ruvida dei jeans e cerca sollievo. La guardo famelico,
affamato di sesso, di lei, del suo dolce nettare.

«Sì» geme.

“Oh, Miss Steele. Il piacere ti fa dimenticare di essere


una Sottomessa qui dentro”.

Sorrido perfidamente. Mi sposto dietro di lei, alzo il


frustino in aria e le sferzo un colpo duro sul suo delizioso
sedere nudo.

«Sì, cosa?» ringhio.

«Sì, signore» articola a stento, mentre il suo corpo si


tende in avanti.
Inizio a colpirla piano e ripetutamente sul ventre,
mentre lei chiude gli occhi, stringendoli, cercando di
resistere al mio assalto. A poco a poco, senza smettere di
colpirla, mi sposto verso il basso, sempre di più. Stringe
gli occhi più forte, cercando di prepararsi inutilmente al
colpo finale. Ed eccolo che arriva. Le colpisco forte il
clitoride con lo scudiscio. Anastasia lancia un urlo di puro
piacere.

«Oh… ti prego!» mi ringhia contro esausta.

Le braccia si tendono mentre le gambe cedono


leggermente. É bellissima. É un angelo alla mia mercé.

«Buona» le ordino severo, sferzandole di nuovo il


sedere.

Ansima, tendendosi sotto il mio ennesimo colpo.


Sposto la punta del frustino verso il suo sesso,
strusciandolo in quel piccolo pezzo di paradiso. Il cuoio
scivola facilmente tra le sue cosce, entrando di poco tra le
sue labbra gonfie e bagnandosi dei suoi umori. “Cristo,
sto per scoppiare!”.

«Senti quanto sei bagnata, Anastasia. Apri gli occhi e la


bocca» le dico con voce spezzata dal desiderio.

Esegue, come ipnotizzata da quello che sta accadendo.


Appoggio il frustino impregnato del suo stesso liquido
sulla sua lingua.

«Assaggia il tuo sapore. Succhia. Succhia forte,


piccola»

Socchiudo gli occhi mentre le sue labbra morbide si


schiudono sul frustino. Sento la pressione della lingua e
lei che succhia. E non riesco a non immaginare lo stesso
trattamento per il mio uccello duro come il marmo.
“Cazzo!”. Le sfilo il frustino di bocca e le afferro
violentemente la testa, baciandola di colpo. La mia lingua
raccoglie da lei il suo sapore. Dolce, perverso,
straordinariamente erotico. La stringo tra le braccia,
attirandomela contro il petto.

«Oh, Anastasia, hai un sapore delizioso» ansimo, in


preda al desiderio. «Vuoi che ti faccia venire?»

«Per favore» mi supplica.

Le do un’altra sferzata sul culo, che ancora porta un


flebile segno rosso di quella precedente.

«Per favore, cosa?» ringhio.

«Per favore, signore» implora.

Il suo gemito mi entra dentro e mi accende un fuoco.


Le lancio un sorriso trionfante. “Sei completamente in
mio possesso, Miss Steele”.

«Con questo?» le dico, mostrandole il frustino, senza


nascondere un sorriso.

«Sì, signore» geme sommessamente.

«Sei sicura?»

Non posso fare a meno di essere sorpreso dalla sua


arrendevolezza. “É fottutamente eccitante che lei, sempre
pronta a battere e ribattere a tutto quello che le viene
detto, qui dentro si affidi completamente a me. É
straordinario quanto mi piaccia che lei mi lasci essere il
suo Dominatore”. E un pensiero mi attraversa come un
fulmine. ‘Non sei tu che hai scelto lei, Grey. É lei che ha
scelto te’. La guardo spalancando gli occhi.

«Sì, per favore, signore» mi implora, riportandomi al


presente.

«Chiudi gli occhi» riesco a mormorare, ancora scosso


da quella rivelazione improvvisa.

Stringe forte gli occhi ed ecco che inizia di nuovo il suo


supplizio. Questa volta dettato dalla mia confusione e
dalla rabbia crescente per non essere il reale artefice di
tutto questo. Piccoli colpi che le tempestano il ventre.
“Perché Ana, perché mi sfidi e mi sconvolgi? Perché ho
così tanto bisogno di te?”. Scendo dritto sul clitoride.
Voglio che sia lei ad avere bisogno di me ora. Continuo
imperterrito a colpirla, con gli occhi che luccicano di
piacere e desiderio. E rabbia. E desiderio ancora. Voglio
vederla contorcersi. Voglio il suo piacere. Solo per me. E
alla fine non riesce più resistere. Lancia un urlo catartico,
liberandosi e godendo fino allo stremo. Il suo corpo si
tende fino al limite e poi si accascia inerme. Le ginocchia
le cedono. Lancio a terra il frustino e la prendo tra le
braccia. Si lascia andare del tutto, mentre la sposto,
trascinandola lungo la griglia, senza sganciarle le
manette. La appoggio alla croce di legno, mentre mi
slaccio i bottoni del jeans. Dalla tasca estraggo un
preservativo e me lo infilo sull’uccello che pulsa e non
vede l’ora di tuffarsi dentro di lei. La sollevo leggermente,
prendendola per le gambe. “Ora tocca a me, Miss Steele.
Ora puoi avermi”.
«Alza le gambe, piccola, e avvolgimele intorno ai
fianchi»

Debolmente obbedisce. La sistemo meglio intorno alla


mia vita e posiziono il mio membro all’entrata del suo
sesso. Di colpo le entro dentro e la sua testa si poggia sul
mio collo, mentre le mani, ancora legate, si fermano sulle
mie spalle. Gemo rauco, assaporando quel momento di
pura estasi. La penetro a fondo. E non mi fermo. Spingo
dentro di lei, preso dal desiderio, dalla frenesia. Continuo
ad affondare nel suo ventre, in profondità, senza riuscire
a fermarmi. “Sei mia, Anastasia. Sei solo mia. E ora ti
fotto per bene”. I suoi gemiti si fondono ai miei, mentre
inesorabile la trascino di nuovo verso l’orgasmo.
Continuo ad inchiodarla ad ogni spinta. Forte, duro.
Senza alcuna pietà. Nascondo il viso nell’incavo del suo
collo, respirando animatamente contro la sua pelle nuda,
sudata, tesa fino al limite. “Cazzo. Sto per venire.
Prendimi, Anastasia. Tutto. Fino in fondo. Fin dentro
l’anima”. Aumento le spinte, sempre più profonde. E
Anastasia esplode all’improvviso, di nuovo. Rovescia la
testa all’indietro, contro la croce di legno, e poi crolla su
di me. La visione mi provoca un’ulteriore tensione del
pene. Scoppio, senza riuscire a trattenermi oltre. Stringo i
denti, sorreggendo il peso del suo corpo mentre mi svuoto
dentro di lei con violenza. Non aspetto di calmarmi, ma
scivolo fuori e la appoggio alla croce, sostenendola con le
gambe. Alzo le braccia e slaccio le manette che la tengono
costretta. Mi accascio sul pavimento, portandola con me,
poggiandomela in grembo e stringendola. Siamo
entrambi stremati, sudati, con il respiro troppo corto per
parlare. Mi prendo un attimo di respiro, cullandola tra le
braccia. Ma ho bisogno di sapere come si sente. Ho
questo fottuto bisogno di saperla appagata e serena.
«Molto bene, piccola» le mormoro soddisfatto. «Ti ha
fatto male?»

«No» mi sussurra piano, stanca.

«Pensavi di sì?» le chiedo.

La stringo forte a me, come per rassicurarla ancora


prima che mi dia la risposta. La guardo e qualche ciocca
di capelli le si è appiccicata al viso. La sposto dolcemente
al lato, scoprendolo.

«Sì» ammette con le poche forze che le rimangono.

«Vedi, le paure sono quasi tutte nella nostra testa» la


rassicuro.

Lancio uno sguardo al suo corpo nudo tra le mie


braccia. Ho voglia di averla di nuovo. Non vorrei
sopraffarla, ma… ma lo voglio. Il mio cazzo si sta già
riprendendo ed è pronto ad un nuovo incontro a tu per tu
con Miss Steele.

«Vorresti farlo ancora?» azzardo.

Resta in silenzio per qualche istante, aggrottando la


fronte.

«Sì» risponde alla fine.

La stringo forte al mio corpo, sollevato.

«Bene, anch’io» mormoro felice.

Mi chino su di lei, baciandole dolcemente il capo. Il suo


odore mi invade e lo respiro a pieni polmoni. “Cazzo se ti
voglio, Anastasia”.

«Non ho ancora finito con te» le preannuncio,


trattenendo a stento il desiderio.

Sono avvinghiato al suo corpo, la tengo stretta in


grembo tra le braccia e le gambe. Si sposta leggermente,
mentre sul viso le compare un piccolo sorriso. Sorrido
anch’io, al di sopra del suo capo, rilassandomi e
lasciandomi andare prima del secondo round. E ad un
tratto una sensazione strana mi si riverbera dentro.
Ancora prima di abbassare gli occhi, capisco. “Cristo! Ma
cosa cazzo fai, Ana!”. La guardo mentre strofina la punta
del suo naso sul mio torace. “No! E soprattutto non qui
dentro! Smettila, cazzo!”. Il mio corpo si tende,
irrigidendosi. Alza gli occhi e il suo sguardo stupito
incontra il mio. Incazzato nero. “Le. Cazzo. di. Regole.
Anastasia!”.

«Non farlo» le sussurro con rabbia.

Il suo viso si colora di un rosso acceso. Torna a


guardarmi il petto e aggrotta la fronte. E ora sa. Lo vedo
dalla sua espressione. Dalla sua confusione. Ha notato le
cicatrici sul mio corpo. Ha visto. Ha visto che sono stato
marchiato a fuoco come un mostro. Il mostro che sono.
Devo allontanarla da me ad ogni costo.

«Inginocchiati vicino alla porta» le ordino severo,


mentre mi metto a sedere, lasciandola.

Tentenna, ma esegue, accucciandosi a terra, accanto


alla porta, proprio come le ho fatto vedere prima. É
ancora stordita dall’orgasmo. E confusa per la mia
reazione di qualche secondo fa. Mi alzo da terra e mi
allontano di qualche passo, in modo che lei, che tiene
rigorosamente il capo chino, non riesca a scorgere quello
che faccio. “Cristo, Ana. Stavi per rovinare tutto”. Sospiro
leggermente e mi passo le mani nei capelli. Mi ha appena
sfiorato, nonostante sappia che questo sia un limite
assoluto per me. Le lancio un’occhiata. “Oh, Cristo!”. É
una meraviglia in quella posizione, completamente nuda,
con il suo sesso ancora deliziosamente bagnato e
completamente esposto ai miei occhi. “Hai bisogno di una
bella strigliata, Miss Steele”. Sospiro e mi dirigo verso il
cassettone, aprendolo. Ne estraggo una delle fascette
stringi cavo che mi ha venduto lei stessa qualche
settimana fa e un paio di forbici. “Vediamo se con questa
ti riesce di star ferma, Miss Steele”. Quando mi giro a
guardarla, sta tentando di trattenere uno sbadiglio. Mi
acciglio.

«Ti annoi con me, Miss Steele?» le chiedo rude.

Scuote piano la testa e mi guarda, esitando per qualche


attimo. Scolorisce quando incontra il mio sguardo duro.
Ho le braccia incrociate davanti a me, ma più la guardo e
più mi viene da sorridere.

«In piedi» le ordino piano.

Si alza, timorosa, e non riesco a non sorridere nel


vedere la sua espressione stanca. ‘L’hai sfiancata, Grey’.
“Sì, ma merita una punizione comunque”.

«Sei distrutta, vero?»

Annuisce, quasi vergognandosi della sua mancanza di


forza.
«Resistenza, Miss Steele. Io non sono ancora sazio di
te. Unisci le mani davanti a te, come se stessi pregando»

Non batte ciglio ed esegue l’ordine. “Miss Steele, mi


piaci zitta ed obbediente”.

Le lego i polsi con la fascetta che ho in mano. Anastasia


spalanca gli occhi e mi guarda con un’espressione
smarrita.

«La riconosci?» le chiedo, sorridendo sardonico.

Spalanca la bocca, senza riuscire a proferire parola.


“Tanto meglio, Miss Steele”. Il suo corpo è percorso da un
brivido e la sua espressione cambia. Diventa attenta.

«Qui ho un paio di forbici» le dico, tirandole fuori dalla


tasca posteriore dei jeans. «Posso tagliare la fascetta in
qualsiasi momento».

Muove i polsi, allontanandoli tra di loro e verifica la


stretta. Poi li rilassa. Ripete l’operazione un paio di volte,
poi mi guarda, in attesa. “Bene”.

«Vieni»

Le prendo le mani e la conduco verso l’ampio letto a


baldacchino. Le giro attorno e mi chino al suo orecchio.

«Voglio di più… molto, molto di più» le sussurro.

Il suo corpo si tende, mentre le mie mani scorrono


sulla pelle delicata dei suoi fianchi.

«Ma farò alla svelta. Sei stanca. Aggrappati alla


colonnina» le ordino.

Esita un secondo, poi obbedisce, senza fiatare,


afferrando il ceppo di legno. É una meraviglia in questa
posizione.

«Più in basso» le intimo.

Lascia scorrere le mani verso il basso, eccitandomi a


dismisura, e assume la nuova posizione, inarcando la
schiena profondamente. “Cristo!”.

«Bene. Non lasciarla. Se lo fai, ti sculaccio. Chiaro?» le


dico severo, impaziente di entrarle dentro di nuovo.

«Sì, signore» risponde col fiato mozzo, sforzandosi a


causa del torace piegato.

«Bene» replico soddisfatto.

Il suo delizioso sedere è completamente esposto a me,


così come parte del suo sesso. Mi posiziono perfettamente
dietro di lei e lascio vagare le dita sui suoi fianchi in un
modo lento e delicato. La sua pelle brucia di desiderio
mentre la accarezzo godendomi quel tocco. Ad un tratto,
cogliendola di sorpresa, afferro forte i suoi fianchi e la tiro
violentemente indietro, verso di me.

«Non mollare la presa, Anastasia» la avverto.

É meravigliosa in questa posizione. Le gambe aperte


quel tanto che basta per darmi libero accesso alla sua
vagina già grondante umori. Il suo meraviglioso culo è
esposto alla lussuria dei miei occhi grigi e vogliosi. La
pelle candida della sua schiena non fa che aumentare la
voglia che ho di lei. E poi le sue mani, costrette, legate,
aggiungono quel tocco in più che mi fa oltrepassare il
limite. Sarò spietato. Duro. Ed implacabile.

«Sto per fotterti da dietro. Tieniti forte per sostenere il


mio peso. Chiaro?» la avverto.

«Sì»

“Oh, Miss Steele. Mi stai viziando troppo, piccola”.

Le assesto una sonora sculacciata sul culo,


imprimendole il segno rosso della mia mano. Soltanto il
suono basterebbe ad eccitarmi. Ma posso anche
ammirarla. Il mio cazzo non riesce più a trattenersi.

«Sì, signore» si corregge in fretta.

«Apri le gambe» le ordino.

Le divarica, ma non abbastanza, a causa della


stanchezza suppongo. Infilo la gamba destra tra le sue,
divaricandogliele. Ora sono abbastanza aperte da
permettermi un facile accesso a quella meraviglia.

«Così va meglio. Dopo, ti lascerò dormire» la


rassicuro.

Piano, come se fosse di cristallo, accarezzo delicato la


sua schiena. Sento il calore della sua pelle eccitata,
accarezzo le vertebre una per una, arrivando alla base
della sua spina dorsale e risalendo. Anastasia ansima,
cercando di trattenersi. La sua testa si alza e si abbassa al
ritmo delle mie carezze.
«Hai una pelle meravigliosa, Anastasia» sospiro
estasiato.

Mi chino su di lei e ripercorro con le labbra,


delicatamente, tutto il tragitto lungo la sua schiena.
Lascio scivolare le mani sulla sua schiena e poi ai lati,
lungo le costole, arrivando a cingerle i seni. Con le dita
stringo i capezzoli in una dolorosa morsa, mentre
continuo la languida tortura fatta di baci sulla sua pelle.
Anastasia fatica persino a gemere. Il suono strozzato della
sua voce mi esalta ancora di più se possibile. Si
irrigidisce, ma non voglio ancora spingerla troppo oltre.
Voglio solo che sia pronta per me. Allontano le mani dal
suo corpo, prendendo un preservativo dalla tasca e
indossandolo. I jeans mi impediscono i movimenti,
quindi li abbasso e li sfilo via. Il suo culo in bella mostra
mi tenta.

«Hai un culo così adorabile, così sexy, Anastasia


Steele. Cosa non gli farei…»

Le afferro con decisione le natiche, palpandola e


stringendo tra le dita la sua morbida carne. Il mio uccello
le sfiora il sesso, bagnandosi di lei. Faccio scivolare una
mano tra le sue gambe e infilo due dita dentro di lei. É un
lago. Un piccolo lago di desiderio. Desiderio di me.

«Sei così bagnata. Non mi deludi mai, Miss Steele»


mormoro sorpreso.

“Ha sempre voglia di me. Proprio come io di lei”. Non


riesco ancora a capacitarmene di come, pur conoscendoci
così poco, proviamo la stessa intensa attrazione l’uno per
l’altra. E ora ho solo voglia di prenderla. Fino in fondo.
«Resisti… Non ci vorrà molto, piccola»

Infiammato dai suoi gemiti di assenso, le afferro


entrambe le gambe con le mani, posizionandola meglio.
Faccio risalire la mano destra fino alla sua nuca,
afferrandole la treccia e avvolgendomela attorno al polso,
tirandole la testa all’indietro, in modo che non possa
muoversi da quella posizione. Ho io tutto il controllo. E
Dio solo sa quanto questo è fottutamente eccitante con
lei. Posiziono il mio uccello e poi, con una lentezza
esasperante, la penetro. Mi godo la sensazione di ogni
millimetro della mia carne che viene bagnato e avvolto
dal suo sesso pulsante. Tiro ancora più forte i capelli di
Anastasia, quasi come se fossero la mia ancora di salvezza
per non soccombere a quel vortice intenso di emozioni
che mi aggroviglia lo stomaco e scende ancora più giù. Un
gemito strozzato è tutto quello che le esce di bocca mentre
la riempio. Con la stessa dolorosa lentezza scivolo fuori
dal suo corpo e poi torno a riempirla violentemente. Fino
in fondo. Fottutamente a fondo. Il suo corpo viene spinto
in avanti dalla violenza del mio e vedo le sue mani
stringere forte la colonnina del letto. “Ora ti fotterò a
dovere, Miss Steele”. I miei occhi sono famelici, ho la
bocca spalancata e il respiro spezzato.

«Reggiti forte, Anastasia!» le urlo.

E lei spinge all’indietro quel suo bellissimo culo,


venendomi incontro. “Cristo! Ora vengo”. Cerco di
resistere affondando ripetutamente in lei. Di più. Più a
fondo che posso. Le arrivo nelle profondità del suo
ventre, mentre lei mi regala gemiti di puro piacere,
aggrappandosi al ceppo di legno. É spossata, sta godendo.
E io la sto dominando. Continuo spietato, come un
forsennato. Io stesso mi meraviglio per la forza che ci sto
mettendo nello scoparla. Ma la voglio. La desiderio. E
continuo imperterrito a possederla senza tregua,
tirandole i capelli all’indietro, mentre il mio desiderio è
acuito dai suoi spasmi e dai suoi lamenti sconnessi. Le
mie dita affondano dolorosamente nei suoi morbidi
fianchi, quasi come se volessero imprimere le mie
impronte su di lei. E dimostrare al mondo intero che è
mia. Solo mia. Anastasia prende a tremare tutta, mentre
le ginocchia si fanno più deboli. É sul punto di venire.
Come me. Di nuovo. Continuo a sbatterle contro. Le mie
palle mi fanno male per quanto i nostri corpi si scontrano
in modo ruvido e duro, sfregandosi, urtandosi, uniti verso
il piacere. Aumento il ritmo, sempre più frenetico e quasi
non riesco a resistere. Un’ultima spinta più profonda mi
dà il colpo di grazia. Ecco. Sto per venire. Mi fermo,
stringendo forte i denti per resistere. Non voglio farlo
senza di lei.

«Vieni, Ana, dammi il tuo orgasmo» riesco a malapena


a dirle.

E ancora una volta obbedisce. Senza remore, senza


freni. Gode fino allo stremo. Come me che mi riverso
completamente in lei. La sento gemere forte di piacere e
poi accasciarsi di colpo. Le mie ginocchia cedono di colpo
e cado lentamente sul pavimento. Respiro a fatica e mi
distendo sul pavimento, trascinandomela addosso. Sono
completamente sfinito e mi accorgo a malapena che Ana
sembra essere svenuta. Sorrido soddisfatto. “Miss Steele,
ti avevo avvisata”. Resto in questa posizione per non so
quanto tempo. Non voglio svegliarla. Mi piace averla
addosso. Lascio calmare il mio respiro, perdendomi ad
osservare la griglia dei moschettoni appesa al soffitto.
Sono completamente svuotato. Da ogni cosa. Chiudo gli
occhi e ripenso al suo breve tocco di prima. Non è stato
come mi aspettavo. Sì ho provato dolore, fastidio. Ma non
repulsione. Non come le altre volte. E non ho reagito
come le altre volte. “Però l’ho punita”. ‘Ma l’hai davvero
punita o volevi solo farla godere ancora di più?’. La
domanda del mio stupido cervello del cazzo non è
infondata. Perché non riesco a punire Anastasia? Punire
sul serio, intendo. Con un’altra non mi sarei fatto tutti
questi scrupoli. Ma lei... ho troppa paura di perderla.
Quasi come se leggesse il mio pensiero, lei torna da me.
La sento spostarsi di poco, sul mio corpo. Sorrido,
mordicchiandole piano un orecchio e stuzzicandola con la
lingua. Allungo un braccio e afferro le forbici, cadute poco
distanti da me, sul pavimento.

«Alza le mani» mormoro piano, al suo orecchio.

A fatica riesce ad obbedirmi e così riesco a tagliare la


fascetta che le tiene legati i polsi.

«Con grande soddisfazione, taglio questo nastro»


sussurro divertito.

La sua risatina argentea mi si riverbera nel corpo,


mentre si strofina i polsi doloranti. E mi vengono in
mente le parole di Kate. “Da quando ti ha conosciuto non
fa che piangere”.

«Adoro questo suono» le mormoro mestamente.

Stringo gli occhi e mi rialzo, mettendomi seduto e


trattenendola su di me. “Non voglio farti piangere, Ana”.

«È colpa mia» le sussurro, mentre afferro le sue spalle


doloranti e prendo a massaggiarle piano.

I suoi occhi azzurri mi scrutano da sopra una delle sue


spalle, senza capire, con un’espressione interrogativa.

«Il fatto che non ridi più spesso» le spiego.

«Non sono una che ride molto» mi risponde,


trattenendo a stento uno sbadiglio.

«Oh, ma quando succede, Miss Steele, è un tale gaudio


ammirarti» le dico pomposo.

«Molto forbito, Mr Grey» mormora divertita, ma


stanca.

Le sorrido teneramente.

«Direi che sei stata fottuta per bene e hai un gran


bisogno di dormire»

«Questo era meno forbito» scherza lei.

Lascio che si alzi e poi la seguo, ammirando ancora il


suo corpo nudo. Afferro i jeans dal pavimento e li infilo
senza mutande, mentre lei mi guarda divertita.

«Non voglio spaventare Taylor, o Mrs Jones»


mormoro.

Mi sgranchisco il collo e poi la spingo dolcemente


verso la porta. Sfilo l’accappatoio appeso alla porta e
glielo metto addosso, avvolgendola pazientemente,
facendo attenzione alle sue membra doloranti. Quando la
giro mi chino su di lei e le deposito un piccolo bacio sulle
labbra, sorridendole.

«A letto» le dico.

La sua espressione è di colpo allarmata.

«A dormire» la rassicuro, divertito.

Mi abbasso e la prendo in braccio, prima che possa


replicare qualcosa. Esco, riuscendo a malapena a
chiudermi la porta dietro le spalle. Attraverso il corridoio
dirigendomi verso la sua stanza, intenzionato a lasciarla
dormire da sola. Durante il breve tragitto crolla contro il
mio petto, ma è talmente stanca che non penso osi
toccarmi stavolta. Arrivati in camera scosto la trapunta
con una mano e la poggio sul letto. Dovrei coprirla e
andarmene in camera mia, ma vederla qui, su queste
lenzuola bianche, bella come un angelo, mi fa capire che
io sono già esattamente dove vorrei essere. Senza starci
troppo a pensare mi infilo a letto con lei. Siamo l’una
contro l’altro. Lei in accappatoio, io solo con i jeans
addosso. La stringo a me, in modo che mi dia le spalle.

«Ora dormi, splendida ragazza» le sussurro, inalando a


fondo il profumo dei suoi capelli.

La sento inspirare a fondo e mi aspetto che dica


qualcosa. Ma il suo corpo che si rilassa, mi avverte che si
è appena addormentata. Ma io no. Io sono più che
sveglio.
Capitolo 19
Anastasia dorme da un bel po’ quando mi decido ad
alzarmi dal letto. Sto attento a non muovermi troppo,
mentre mi sfilo dall’abbraccio che ci teneva uniti e scendo
dal materasso. A piedi nudi esco dalla stanza, chiudendo
la porta dietro di me. Aggrotto la fronte guardando la
maniglia. Non si è ancora accorta che manca la chiave.
Che questo rifugio è solo per mantenere le distanze da
chiunque entri nella mia Stanza dei giochi. Ma che quel
chiunque, di fatto, continua ad appartenermi come e
quando voglio. Mentre scendo le scale ripenso a tutte le
volte in cui sono entrato in quella stanza, trovandomi di
fronte ragazze sconvolte, tristi, ancora doloranti. E di
come tutto questo non mi abbia mai fermato dal bisogno
primario di appagare il mio senso di vendetta. Anzi. A
volte era anche meglio. Rivedevo nei loro visi addolorati
quello di mia madre. E finalmente era addolorata anche
lei. Per me. Per quello che ero. Finalmente il suo viso
indifferente, la sua espressione abulica e apatica, veniva
sostituita da un paio di occhi tristi e desolati, e un viso
contratto dal dolore. E io potevo sfogare tutta la mia
rabbia. Potevo liberare i miei demoni e lasciare che
prendessero il sopravvento, distruggendo fisicamente ed
emotivamente colei che mi aveva causato tanto dolore.
Entro in camera mia e mi lascio cadere sul letto,
guardando il soffitto. Ora tutto questo non c’è più. Il
dolore è ancora vivo, esiste dentro me. Ma rifugge da
Anastasia. All’arrivo di una sparisce l’altro. Quel viso non
si sovrappone al suo. Esiste lei. Nient’altro distoglie la
mia attenzione da lei quando stiamo insieme. Le tenebre
del mio passato si squarciano e lasciano entrare una luce
calda ed avvolgente. Come se venissi trasportato in
un’altra dimensione. Un’improvvisa arsura mi riporta al
presente. Mi infilo in fretta una t-shirt e vado in cucina.
Gail sta trafficando con le pentole, completamente a
proprio agio dietro i fornelli.

«Buonasera, Mr Grey» mi dice con un sorriso ampio e


caloroso.

Non posso fare a meno di contraccambiare.

«Salve, Gail. Ero venuto a prendere un bicchiere


d’acqua»

Efficiente come sempre, Mrs Jones mi porge l’acqua


fresca e dissetante. Prima di tornare in camera e farmi
una doccia decidiamo assieme i menù della settimana,
come di consueto. Mi piace sapere cosa mangerò quando
torno a casa. ‘Sì, Grey. Hai una vera e propria fissa con il
cibo’. Quando abbiamo terminato mi alzo dallo sgabello,
scoccandole un sorriso soddisfatto.

«Gail, volevo avvertirla che abbiamo un’ospite. Miss


Anastasia Steele resterà qui nei prossimi weekend.
Stasera ceneremo fuori»

«Certo, Mr Grey»

La conversazione è stata affrontata migliaia di volte.


Non c’è bisogno di specificare a Mrs Jones in qualità di
cosa Anastasia resterà qui nelle prossime settimane.
Anche se ora provo quasi un senso di vergogna nel
parlarne. Attraverso velocemente la camera e mi spoglio
in bagno. Quando ne riemergo, indosso l’accappatoio e
porto con me la t-shirt e i jeans sdruciti. Prima di portarli
in lavanderia tiro fuori dalla tasca gli slip azzurri di
Anastasia. Li annuso con possessività. “É mia. Tutto
questo è mio”. Mi viene in mente un’idea perversa e
sorrido arrogante tra me e me. “Questa sera voglio
giocare, Miss Steele. Solo se ti scopo a modo mio posso
riequilibrare il nostro rapporto”. Poggio quelle deliziose
mutandine sul letto e mi preparo. L’occasione informale
mi dà l’opportunità di vestirmi comodo. Indosso un paio
di pantaloni grigi di flanella e una camicia di lino bianca.
Mi avvio a grandi passi nel mio studio, portando con me il
telefono. Ho trovato diverse chiamate da parte di Mia. E
anche una di Elena. Chiamo mia sorella.

«Christian!»

La gioia che mi infonde quando pronuncia il mio nome


mi fa sempre sorridere.

«Sei una vera tortura, Mia Grey» le dico sorridendo.

La sento ridacchiare dall’altro lato.

«Allora porterai Ana con te stasera, vero?»

«Sì, Mia, Anastasia verrà con me»

«Smettila di essere così pomposo. Elliot mi ha detto


che le piace essere chiamata Ana!»

Scuoto piano la testa, sconfortato al pensiero di mio


fratello e di tutto quello che dice o fa. O semplicemente
pensa. Poi sorrido.

«Ci vediamo più tardi, Mia»


«É lì con te, vero?» squittisce di gioia.

«Non proprio. Ora devo lasciarti. A dopo»

Il mio tono che non ammette replica alcuna. Mia lo


conosce. E cede.

«Va bene, fratellone. Non vedo l’ora»

Chiudo la chiamata, preparandomi mentalmente ad


affrontare Elena. Non capisco cosa le prende
ultimamente. É sempre così agitata. É incazzata. ‘É pur
sempre una donna, Grey’. Bè, gli ormoni a una certa età
dovrebbero calmarsi però. Quando risponde, il suo tono è
molto diverso da appena qualche ora fa. Più dolce, più
maliziosa.

«Tesoro, pensavo stessi cercando di convincere la tua


brunetta impertinente a sottomettersi a te»

Lascio cadere la provocazione.

«In verità volevo scusarmi per il modo brusco in cui ti


ho risposto oggi pomeriggio. Volevi dirmi qualcosa?»

«Volevo invitarti a cena, in verità. Sempre che tu non


abbia deciso di infrangere anche il divieto delle visite
infrasettimanali per lei»

Sorrido sarcastico.

«No, Elena. Le mie regole sono e resteranno quelle di


sempre»
«Quindi possiamo cenare insieme martedì? Oppure
devi prima chiederle il permesso?»

Un moto di stizza mi attraversa da capo a piedi. Io non


prendo ordini da nessuno. Tanto meno da Anastasia. ‘Ne
sei sicuro, Grey?’. La furia mi fa rispondere
impetuosamente.

«Martedì è perfetto»

«Vedi di non mancare, Christian» mormora Elena.

Riconosco in lei un piccolo accenno del suo tono da


Dominatrice. Le vecchie abitudini sono dure a morire. ‘Sì,
Grey. Anche le tue vecchie abitudini sono dure a morire’.
Ricaccio indietro quella cinica battuta partorita dal mio
cervello nei confronti di Elena, ma non posso fare a meno
di sorridere. Mando un messaggio a Taylor, dicendo di
preparare l’auto e torno di là. Mi fermo davanti alla
portafinestra che affaccia all’esterno della salone. Il sole
inizia a tingersi di rosso. Il mio umore è altalenante. Un
minuto prima sto bene, poi cola a picco. E poi di nuovo
su. Questo non capire, non avere un perimetro stabile
entro il quale potermi muovere a mio piacimento mi agita
e mi rende confuso. Scuoto piano la testa e decido di
andare a svegliarla. Le preparo un bicchiere di fresco
succo di mirtillo e lo porto con me di sopra. Poggio il
bicchiere sul comodino accanto al letto e mi chino su di
lei. Osservo per qualche minuto i suoi lineamenti morbidi
e delicati, mentre il suo profumo mi inebria. La bacio
delicatamente, a più riprese, sui capelli, poi sulle tempie,
mentre inizia a muoversi e a lamentarsi.
«Anastasia, svegliati» le dico, sorridendo divertito.

«No» si lamenta di rimando, continuando a tenere gli


occhi chiusi.

«Fra mezz’ora dobbiamo uscire per andare a cena dai


miei genitori» le annuncio senza smettere di sorridere.

É così buffa, dolce, sexy anche mentre dorme. A fatica


apre gli occhi. Mi allontano di poco da lei, osservando
incantato il suo viso illuminato dalla calda luce del
tramonto. “Cazzo. Ho sempre voglia di prenderla”.

«Su, dormigliona, alzati»

Le bacio di nuovo al tempia, in un impeto di


affettuosità che di solito non mi appartiene. Ma lei… bè,
sì. Lei mi appartiene. E io la voglio. Proprio ora. Chiudo
gli occhi per qualche secondo, cercando di riacquistare
equilibrio. Mi rialzo e raddrizzo le spalle, inspirando.

«Ti ho portato una bibita. Ti aspetto al piano di sotto.


Non riaddormentarti, o passerai un brutto guaio» la
minaccio, ma non sul serio. Le stampo un bacio leggero
sulle labbra e, facendo appello a tutta la mia forza di
volontà, esco dalla stanza.

Scendo di nuovo in salotto e accendo l’iPod. Sinatra


intona in sottofondo Fly me to the moon, mentre mi
allontano in camera da letto. Lo specchio mi restituisce
un’immagine che stento a riconoscere. Quello riflesso non
sono io. Ho davanti un ragazzo di 28 anni, con un lieve
accenno di barba, il ciuffo ribelle, e gli occhi sorridenti. La
visione mi sconvolge. Dove sono io? Dove sono finito?
Cosa ne è stato di tutta quella pesantezza alle membra che
mi teneva ancorato al suolo? Sono rinato da quando la
conosco. Me ne accorgo da solo. E la cosa mi rende felice.
E mi spaventa allo stesso tempo. Cosa ne sarà del mio
mondo, delle mie regole, dei miei limiti e del mio spazio
definito? ‘Pensi davvero di far coesistere il tuo mondo e
quello di Anastasia, Grey?’. Distolgo lo sguardo dallo
specchio, evitando di dare una risposta alla domanda
postami dal mio io più profondo. Gli occhi mi cadono
sulle sue mutandine azzurre, sul bordo del mio letto.
Sorrido. Dovrei restituirgliele. Ma non lo farò. Voglio
vederla implorare di riaverle. E poi deciderò io se potrà
indossarle stasera oppure no. Un sorriso beffardo si
allarga sul mio viso. Mi avvicino al letto e prendo le
mutandine, sfiorandole piano con le dita. Le annuso, e in
un attimo sono di nuovo perso del suo odore. Chiudo gli
occhi e mi prendo qualche istante per gustarmi il ricordo
della nostra scopata di qualche ora fa. Quando li riapro la
decisione di rifarla mia si è già fatta strada di nuovo nel
mio corpo e nella mia testa. Appallottolo gli slip e li infilo
in tasca. Prendo la giacca e torno di là in salotto. Mi
avvicino alla dispensa, poggiando la giacca su uno
sgabello, e mi verso un bicchiere di vino bianco,
nell’attesa. “Quanto è cambiata la mia vita nelle ultime
settimane?”. Prima di conoscere Anastasia non avevo mai
dato tanto peso alle mie relazioni. Forse solo con Elena,
all’inizio del nostro rapporto. Avevo creduto di provare
qualcosa per lei, ma ben presto mi ero dovuto rendere
conto che io non ero in grado di provare nulla. Che
neppure lei lo era. Eravamo fatti della stessa pasta. Lei mi
stava modellando a sua immagine, per rendermi più
forte, più deciso, più controllato. Solo che io avevo molto
di più dentro. Avevo cose inimmaginabili. Avevo dolore.
Orrore. E porto ancora tutto qui con me. Poggio il
bicchiere vuoto sul bancone e mi allontano, raggiungendo
la portafinestra. Chiudo brevemente gli occhi e li riapro,
espirando profondamente. “Mi sta mandando la vita a
puttane. Ma io ho le sue mutandine”. Ed ecco che, prima
ancora di girarmi, sento la sua presenza. Sorrido e mi
volto, guardandola curioso. Il vestito color prugna fascia
il suo corpo alla perfezione. É dolce, sexy, bella da morire.
Volentieri passerei tutta la serata a scoparmela in ogni
angolo della casa. Ma ho promesso ai miei di esserci
stasera. E soprattutto voglio che ci sia lei. Voglio
mostrarla al mondo, far sapere a tutti che è mia. Il mio
sguardo rovente la inchioda. Mi aspetto che avvampi di
colpo e mi chieda delle sue mutandine.

«Ciao» mormora.

Ma invece di essere imbarazzata sembra radiosa.

“Giochi a fare la dura con me, Miss Steele?”.

«Ciao» replico al suo saluto, divertito. «Come ti


senti?»

«Bene, grazie. E tu?»

«Molto bene, Miss Steele»

La guardo bramando il momento in cui il suo volto si


tingerà di rosso e io potrò avere la mia piccola vendetta.
‘Vendetta di cosa, Grey? Non è colpa sua se non riesci a
starle lontano’. Anastasia si guarda intorno,
completamente a proprio agio. Sembra animata da una
forte determinazione interiore.
«Non avrei mai pensato che fossi un fan di Sinatra» mi
dice con un altro sorriso, penetrandomi con gli occhioni
azzurri che si ritrova.

Piego la testa di lato, aggrottando leggermente la


fronte. “A che gioco stai giocando, Anastasia?”.

«Gusti eclettici, Miss Steele»

Mi avvicino, trovandomi velocemente accanto a lei.


Witchcraft in sottofondo sembra essere stata scelta
apposta. Accosto le dita alle sue guance, percorrendole
con i polpastrelli. Freme, trema da capo a piedi. E di
colpo sono affamato di nuovo. Di lei. Ho bisogno di un
contatto fisico.

«Balla con me» le mormoro, senza neppure tentare di


nascondere il mio desiderio nei suoi confronti.

Estraggo il telecomandino dalla tasca e alzo il volume.


La guardo, divertito ed ammirato. Voglioso di averla. Le
tendo la mano e lascio che lei la prenda. Anastasia appena
mi sfiora, intimorita. Sorrido pigramente e la attiro tra le
mie braccia, stringendola a me e tenendole la vita. Alza gli
occhi nei miei e mi fulmina con un sorriso, poggiando la
sua mano sulla mia spalla. Mi tiene praticamente
incollato a sé, tanto che quasi non mi rendo conto che
entrambi partiamo e stiamo volteggiando in salotto e poi
attorno al tavolo da pranzo. Ci muoviamo in perfetta
sincronia, mentre non riesco a distogliere lo sguardo dal
suo. Mi tiene avvinta a sé, perso nei suoi occhi, nelle sue
labbra, nel calore del suo fantastico corpo. I nostri corpi
legati danzano leggeri, attorno al pianoforte e poi accanto
alla vetrata, mentre le luci soffuse di Seattle brillano sotto
di noi e ci rischiarano di poco. L’atmosfera è quasi magica
e la canzone non poteva essere più appropriata. Il sorriso
che le anima il volto si trasforma in una risata
spensierata, da ragazzina. Un suono meraviglioso, che mi
inebria, mi rende felice almeno quanto lei. Mentre la
musica sfuma, la stringo più forte contro il mio corpo.

«Sei tu la strega di cui parla» le sussurro.

Mi chino su di lei e la bacio delicatamente e


dolcemente. Le mie labbra sfiorano le sue, la lingue si
intrecciano come se non facessero altro da anni. Quando
riapro gli occhi osservo il suo viso arrossato.

«Bè, almeno abbiamo dato un po’ di colore alle tue


guance, Miss Steele. Grazie per avermi concesso un ballo.
Allora, andiamo a conoscere i miei?»

«Prego. Sì, non vedo l’ora» mi risponde senza fiato.

“Oh, Anastasia. Più tardi ti farò rimanere di nuovo


senza fiato, stanne certa”. Solo ora mi ricordo che ho io le
sue mutandine. Dove crede di andare senza biancheria?

«Hai tutto quello che ti serve?» le chiedo curioso.

«Oh, sì»

Il suo sorriso dolcemente provocante mi fa capire che


ha intenzione di sfidarmi di nuovo. “Bene, Anastasia. Ma
non perderò questa volta”.

«Sei sicura?»
Cerco implicitamente di avvertirla. “Chiedimelo, Ana.
Chiedimi di restituirti le mutandine”. Per tutta risposta le
annuisce, con aria tranquilla. “Vorrà dire che ti farò
pentire della tua scelta, Miss Steele”. Sorrido mentre già
penso a come stuzzicarla, più tardi. Scuoto la testa
divertito dalla sua incoscienza. Se la conosco bene, se ne
pentirà non appena metterà piede fuori di casa.

«Okay, se è a questo gioco che vuoi giocare, Miss


Steele»

Le prendo la mano, mentre con l’altra recupero la


giacca, e insieme ci avviamo verso gli ascensori.
Rimaniamo entrambi in silenzio, in ascensore, mentre di
nascosto me la rido. Vedo il cambiamento del suo viso a
mano a mano che ci avviciniamo al piano terra. La
spavalderia che di certo non le è congenita lascia presto il
posto all’agitazione. “Bene, Anastasia. Vedo che hai
finalmente preso coscienza di quello che hai fatto”. Mi
giro a guardarla palesemente e lei mi spia. Di colpo
l’atmosfera si carica di altro. É sempre così. Riesco a
sentire il legame che ci unisce. É intenso, forte, erotico.
Sapere che potrei allungare una mano e trovare il suo
sesso esposto e voglioso, già bagnato di desiderio, mi fa
desiderare di fermare l’ascensore e prenderla ora, qui,
senza fregarmene di Taylor che ci aspetta fuori o della
cena dei miei. Voglio solo entrarle dentro. Solo rifugiarmi
dentro di lei. E scoparla forte. L’ascensore che si apre
interrompe bruscamente i miei pensieri. Mi riscuoto
all’improvviso e la invito ad uscire per prima, simulando
una galanteria che in questo momento cerca di reprimere
la lussuria. Anastasia esce, aggrottando leggermente le
sopracciglia. Vedere il suo corpo sinuoso, il suo culo
meraviglioso ondeggiarmi davanti, mi fa eccitare ancora
di più. “Cristo santo, che effetto che mi fa”. La seguo,
ammirando la sua schiena, la curva delicata del suo
sedere e le sue gambe affusolate. L’Audi accosta davanti a
noi. Le apro la portiera e lei sale, a disagio, cercando di
tenere giù il vestito attillato. Restiamo in silenzio
entrambi, mentre Taylor parte alla volta di Bellevue.
Guardo fuori dal finestrino e non riesco a fare a meno di
sentirmi strano. Accanto a me ho una bellissima ragazza,
dolce, ingenua, scandalosamente ignara del suo fascino.
Non ho mai provato una cosa del genere per nessuno.
Non ho mai affrontato questo tipo di situazione. Mai.
Nessuna è mai uscita con me, è mai venuta a casa dei
miei. Fino a ieri ero una persona sola che sapeva badare
meravigliosamente a sé stesso. Oggi sto elemosinando
attimi di una storia destinata, per mia stessa definizione,
a finire. Anche se non voglio. So che non posso tenere
legata a me Anastasia con un pezzo di carta in eterno.
‘Magari, Grey, se tu provassi a cambiare pezzo di carta…’ .
Spalanco gli occhi nel buio dell’auto stentando a credere a
quello che ho appena pensato. No. Non esiste. Un
contratto del genere implicherebbe troppo. E non merito
né il tempo, né la vita di Anastasia. Non merito una vita
normale come gli altri. Stasera sto solo fingendo di averla.
Devo dare un taglio a tutte queste stronzate e ridefinire i
termini del contratto. Deve firmarlo. Magari stasera,
quando rientriamo. Anastasia si agita sul sedile,
riportando la mia attenzione a lei.

«Dove hai imparato a ballare?» mi chiede dopo


qualche attimo.

Mi giro e la guardo. “Non vorresti saperlo, Anastasia.


Non vorresti davvero sapere quello che ho fatto pur di
continuare a farmi punire e scopare da Elena”.
«Sei certa di volerlo sapere?» mormoro, all’improvviso
oppresso.

Il suo petto si gonfia, pieno d’aria che non riesce a


buttar fuori e gli occhi le si intristiscono.

«Sì» conferma.

«Mrs Robinson adorava ballare».

Ana abbassa lo sguardo.

«Dev’essere stata una brava maestra»

«Sì» le rispondo piano.

Mi rendo conto che le sto facendo del male. Non ne


capisco il motivo. O forse sì. Se lei mi avesse avuto altre
relazioni prima di me, forse a quest’ora sarei già
impazzito. Anastasia stringe piano i pugni in grembo,
come se un pensiero doloroso e frustrante l’avesse appena
resa consapevole dell’oscurità che mi trascino dietro
come un’ombra pesante. Si gira di nuovo verso il
finestrino. Spio il suo bellissimo viso attraversato da mille
emozioni diverse. Poi sorride, ma riesco a vederla solo
riflessa nel finestrino. Le sue dita strofinano i polsi e
perverso ricordo di lei legata e piegata davanti a me mi
rianima il cazzo assopito. É agitata, ma il mio pensiero
ormai è fisso su Anastasia chiusa nella mia Stanza rossa
che geme e ansima e invoca il mio nome mentre la fotto
senza pietà. Il suo sguardo si corruga e la sento sospirare.

«Non farlo» le intimo piano.


Si gira di scatto, sgranando gli occhi, senza capire.

«Non fare cosa?»

Gli occhi guizzano sul mio torace. Mi sento una merda.


“No, non mi hai toccato, Ana. Ma è come se l’avessi fatto
per certi versi”.

«Non rimuginare troppo sulle cose, Anastasia». Mi


avvicino a lei e le prendo la mano destra. Delicatamente
me la porto alle labbra, sfiorando piano le nocche. Stacco
i pensieri e mi concentro su di lei. «È stato un pomeriggio
straordinario. Grazie»

Mi guarda sorpresa e poi mi illumina con un sorriso


dolce e timido.

«Perché hai usato una fascetta stringi cavo?» mi


domanda all’improvviso.

Sorrido, notando che i suoi pensieri non si allontanano


mai troppo dai miei.

«È facile e veloce, e per te è una cosa nuova da


sperimentare. So che è un po’ brutale, ma è questo che mi
piace in un dispositivo di contenimento. È molto efficace
per tenerti al tuo posto»

Diventa di colpo color porpora e guarda Taylor, che


rimane impassibile come da protocollo. Alzo le spalle,
fingendo divertita innocenza, mentre lei è in imbarazzo.

«Fa tutto parte del mio mondo, Anastasia» le dico.


Stringo forte la sua mano, come per imprimerle a fuoco
quella affermazione. Poi la lascio andare e torno a girarmi
verso il finestrino. Già, il mio mondo. Tu non ne fai parte
Anastasia. Vorrei che tu potessi, vorrei non provare
nessun rimorso al solo pensiero di trascinarti nella mia
merda. Ma non è così. Devo tenerti a distanza. Devo
ritornare dietro la barriera che mi tiene al sicuro dalle
emozioni e dal mondo esterno. E devo tornarci
soprattutto per tenere al sicuro te. La sento sospirare e mi
giro. La scorgo mentre guarda fuori dal finestrino, triste,
poco appagata. Inspira forte e mi lancia un’occhiata.

«A cosa pensi?» le chiedo.

Sospira di nuovo. Ma non risponde.

«Niente di bello, eh?» le chiedo, retoricamente.

So che non sta di certo facendo i salti di gioia in questo


momento.

«Vorrei sapere cosa pensi tu» mi chiede a sua volta.

Le faccio un piccolo sorriso.

«Idem, piccola» mormoro.

Quando imbocchiamo il vialetto della casa dei miei,


sento la sua agitazione tornare in superficie. E anche la
mia.

«Sei pronta?» le chiedo mentre Taylor parcheggia


davanti all’entrata.
Annuisce, non del tutto convinta. Le stringo la mano,
con fare rassicurante.

«È la prima volta anche per me» le mormoro


all’orecchio.

La guardo ricordandomi che ho le sue mutandine con


me.

«Scommetto che a questo punto vorresti indossare la


biancheria intima» la provoco con un sorriso da bastardo
arrogante.

Arrossisce di colpo violentemente, mentre Taylor le


apre la portiera e lei, prima di scendere, mi lancia
un’occhiataccia. Le faccio un sorriso sfacciato, aperto,
realmente divertito dal mio scherzo andato a segno.
Mentre scendo, mia madre apre la porta e ci aspetta sulla
soglia, meravigliosa nel suo vestito azzurro cielo. Dietro
di lei compare Carrick, alto e biondo, col suo sorriso
rassicurante. Non avevo amai visto quell’espressione
negli occhi dei miei. Sono… felici. Felici per me. E
sembrano fieri. Il pensiero mi intristisce. Non devono.
Non possono. Quando arriviamo sulla soglia faccio
educatamente le presentazioni.

«Anastasia, conosci già mia madre, Grace. Ti presento


mio padre, Carrick»

«Mr Grey, è un piacere conoscerla»

Ana sorride, con quella sua espressione gentile che la


rende adorabile, e stringe forte la mano di mio padre.
«Il piacere è mio, Anastasia» le risponde lui,
ammaliato.

«La prego, mi chiami Ana»

«Sono lieta di rivederti, Ana»

Grace è meno formale. La abbraccia, stringendola


forte. «Accomodati pure, cara»

Facciamo appena in tempo a mettere piede in casa che


sento strillare dall’altra stanza.

«È arrivata?»

Ana mi guarda confusa, mentre chiudo gli occhi,


sconsolato all’idea di tutto quel fermento.

«Questa deve essere Mia, la mia sorellina» le spiego.

Sono rassegnato all’irruenza di Mia. É un tocco di


colore nella mia vita grigia e monotona. Una piccola peste
irruente che non fa altro che parlare, ciarlare e sorridere
con i suoi occhi luminosi e la sua aria sognante e
sbarazzina. Il tornado Mia Grey, alta, bella, con il suo
caschetto color ebano, attraversa in fretta il corridoio e si
fionda su Ana, abbracciandola forte.

«Anastasia! Ho tanto sentito parlare di te»

Miss Steele sorride sorpresa, divertita, mentre ho


paura che Mia la stritoli.
«Chiamami Ana, per favore» riesce a mormorare
mentre mia sorella la trascina sul pavimento di legno
scuro. Le si accosta all’orecchio, mentre mi avvicino a
loro, seguito dai miei.

«Lui non ha mai portato a casa una ragazza prima


d’ora» la sento sussurrare ad Anastasia, eccitata ed
emozionata.

Alzo gli occhi al cielo. “Cristo santo, ma che avete tutti?


É una fottuta ragazza!”. Ana mi lancia uno sguardo truce.
La fisso di rimando, sfidandola.

«Mia, calmati» la rimprovera Grace, indulgente. Poi mi


guarda amorevolmente. «Ciao, caro» dice, baciandomi
sulle guance. Preme un po’ più forte del solito, mentre le
sorrido con affetto. Condividiamo lo stesso segreto. Ma io
so molte più cose di te, mamma. Mio padre mi tende la
mano e io la stringo, sorridendogli. Ci avviamo in
soggiorno, con Mia che trascina Anastasia per mano,
avanti a tutti. Seguo io e poi i miei genitori. Mia madre mi
si avvicina, stringendomi un braccio.

«Sono così contenta, Christian» sussurra con gli occhi


lucidi, prima di tornare accanto a suo marito.

Il mio umore non è dei migliori. Nono sono abituato a


tutto questo. Attenzioni, smanceria e roba simile non
fanno per me. Guardo la mano di Mia che stringe ancora
quella di Anastasia. É strano, ma sento di avere un
legame profondo con entrambe le giovani donne che mi
camminano davanti. La stessa purezza, la stessa
freschezza. Una è mia sorella. L’altra… Bè l’altra è Ana. La
mia Ana. Entrando nell’ampio salotto scorgo Lelliot e
Miss Irritazione seduti vicini sul divano a sorseggiare
vino e confabulare. Miss Kavanagh si alza di scatto,
fiondandosi su Anastasia, come se non la vedesse da una
vita. “Ma dai!”. Mia si sposta di lato, lasciandole la mano
e guardandola estasiata. Scommetto che si unirebbe
volentieri a quell’abbraccio tra donne, se la sua
educazione non glielo impedisse. Le guarda con un’aria
gioiosa.

«Ciao, Ana!»

Kate la saluta con gioia. Poi si volta a guardarmi è il


suo sguardo si raffredda di colpo, ancora memore dello
scontro che abbiamo avuto l’altra sera.

«Christian». Accenna un saluto.

Il mio tono è parimenti glaciale, mentre la saluto.


Colgo Ana a fissarci, con la coda dell’occhio, mentre Elliot
si alza e si fionda su si lei, abbracciandola forte.
“Stronzo”. Allungo il braccio e le avvolgo la vita,
stringendomela accanto. É mia. La mia fidanzata, no? La
mia mano scende lungo la sua coscia, a sottolineare la
mia possessività nei suoi confronti. La attiro al mio corpo
più che posso, avvolgendola, riparandola da tutta quella
ondata di saluti troppo espansivi. Gli sguardi di tutti sono
fissi su di noi. Colgo stupore, felicità, divertimento.
Persino i dubbi di Miss Kavanagh.

«Qualcosa da bere?». Il primo a ritrovare il buonsenso


è mio padre. «Del Prosecco?»

«Sì, grazie» rispondiamo in coro io e Ana.


Mia batte le mani e per poco non saltella.

«Dite persino le stesse cose! Vado io a prendere il


vino»

Scappa fuori dalla stanza correndo, su di giri. Mi giro a


guardare Miss Steele, che però ha lo sguardo fisso sui
piccioncini seduti sul divano. Arrossisce, mentre il suo
sguardo si fa triste. “Ana, chiedimi tutto, ma non effusioni
del genere”. La sua espressione è sempre più cupa, nel
silenzio generale.

«La cena è quasi pronta»

Grace ci riscuote tutti, con il suo annuncio. Poi esce


dalla stanza. Ma io sono ancora concentrato su Ana. É
agitata, strana. Molto ansiosa. ‘Ma dai, Grey. In fondo hai
tu le sue mutande. Come credi si possa sentire?’. La
guardo, senza riuscire a nascondere il mio disappunto.

«Siediti» le ordino, allungando una mano verso il


divano. Stordita, mi guarda, poi obbedisce, accavallando
deliziosamente le se gambe nude. “Ho voglia di
scoparmela su questo divano, Cristo santo!”. Distolgo lo
sguardo da lei e mi siedo, stando bene attento a non
toccarla. Non ora.

«Stavamo parlando delle vacanze, Ana» dice mio


padre, guardandola gentile. «Elliot ha deciso di seguire
Kate e la sua famiglia a Barbados per una settimana»

La notizia, francamente, è una delle più piacevoli per


me. In un colpo solo mi libero di Lelliot e dell’influenza
negativa che Miss Irritazione dai Capelli Rossi ha su Ana.
‘Grey, dovresti rivedere il concetti di influenza
negativa...’. Anastasia sorride alla sua amica, che non
smette di guardare Elliot con gli occhi che le brillano. Mi
viene da ridere. “Mio fratello deve davvero saperci fare a
letto per farle quell’effetto”.

«E tu, Ana, ti prenderai una pausa adesso che ti sei


laureata?» mio padre torna a rivolgere la parola a Miss
Steele.

«Sto pensando di andare in Georgia per qualche


giorno»

La sua risposta mi lascia spiazzato, sorpreso. La


guardo senza riuscire ad assumere un contegno.
“Cosa.cazzo.stai.dicendo.Miss.Steele”. Lei chiude gli
occhi, come per imprecare. “Tu non vai da nessuna parte,
Anastasia, senza di me. Ora che ti ho trovato, sei mia. E
non voglio perderti”. Dentro di me ribollo di rabbia,
mente cerco di domarmi, almeno all’esterno.

«In Georgia?» riesco a mormorarle, tentando di


reprimere l’insano istinto di trascinarla di sopra e
mettermela sulle ginocchia per aver solo pensato a
scappare via da me. ‘Pensi voglia scappare, Grey?’. Sì, in
effetti penso di sì. E ne avrebbe tutte le ragioni.

«Mia madre vive lì, e non la vedo da molto tempo»


replica lei, contrita.

«Quando pensavi di partire?» le chiedo un po’ troppo


duramente.

«Domani sera»
Il suo sguardo non regge il mio, mentre Mia torna con i
bicchieri di vino.

«Alla vostra salute!»

La voce di mio padre mi costringe a spostare il mio


sguardo dal suo profilo. Ana gli sorride, voltandosi verso
di lui. “No, Miss Steele. Questa conversazione non è
finita”.

«Quanto tempo starai via?» le chiedo, fingendo un


interesse tenero e amorevole.

Mi guarda negli occhi e vedo dalla sua espressione che


sa benissimo quanta furia ho dentro in questo momento.

«Non lo so ancora. Dipende da come vanno i colloqui


domani» mi risponde titubante.

La guardo, inspirando forte e irrigidendomi. “Non


sono pronto a lasciarti andare, Miss Steele”.

«Ana merita una pausa»

Miss Irritazione si rivolge a me, con aria di sfida. So


che sta pensando che le serve una pausa da me. É quello
che penso anch’io. Sta fuggendo via da me, per qualche
motivo, e io non posso biasimarla. Anche se non voglio
assolutamente che lo faccia.

«Devi fare dei colloqui di lavoro?» chiede mio padre ad


Ana.
«Sì, due, domani. Per uno stage presso case editrici»
ammette lei timidamente.

«Ti faccio i miei migliori auguri»

Il sorriso di Carrick è sincero e Ana lo contraccambia


senza pensarci su.

Mia madre annuncia che la cena è servita e ci alziamo


tutti quasi contemporaneamente. Mio padre e Mia si
avviano, seguiti da Kate e da Elliot, che le tiene un braccio
attorno alla vita, mentre le sussurra qualcosa all’orecchio.
Anastasia si aggiusta il vestito, lisciandolo lungo le gambe
e cerca di accodarsi al gruppo. Le afferro una mano e la
tiro indietro, verso di me.

«Quando pensavi di dirmi che stai per andartene in


vacanza?» le chiedo, calmo.

Dentro si me ribollo di furia e di rabbia.

«Non me ne vado in vacanza, vado a trovare mia


madre, e comunque era solo un’idea»

Mi fissa, assumendo una postura più rigida e


contraccambiando il mio sguardo truce.

«E il nostro accordo?» le ringhio contro a bassa voce.

«Non abbiamo ancora un accordo» risponde piccata.

“Oh, Miss Steele. Non vuoi giocare a questo gioco con


me”. Per un attimo la voglia di punirla mi fa quasi
perdere la ragione. La guardo, stringendo gli occhi. Poi,
ricordandomi dove sono, li chiudo per una frazione di
secondo e cerco di tornare in me. Inspiro forte e le lascio
la mano. La pendo galantemente sottobraccio e insieme ci
dirigiamo in sala da pranzo. “Stai certa, Anastasia, che
stasera rimpiangerai la tua voglia di sfidarmi sempre e
comunque”.

«Il discorso non finisce qui»

Le mormoro la mia minaccia all’orecchio, mentre


facciamo ingresso nella sontuosa sala a pranzo. Mi
restituisce un’occhiata torva, che non fa altro che
aumentare la mia voglia di punirla. E forse so anche come
fare. Ci sediamo, mentre un’atmosfera calda ci accoglie.
La guardo, sotto la luce del lampadario di cristallo, e non
posso fare a meno di trovarla bellissima. Anche se sono
incazzato a morte con lei. Ana è seduta accanto a mio
padre, posizionato a capotavola. Io sono seduto al suo
fianco e accanto a me c’è Mia. Di fronte a lei si posiziona
Grace e poi Elliot e infine Kate. Mio padre si occupa di
offrire il vino a Miss Kavanagh, mentre Mia richiama la
mia attenzione prendendomi la mano destra, poggiata sul
tavolo, e stringendola forte. Il suo sguardo luccicante è
abbastanza eloquente. Non ho mai affrontato il discorso
con Mia, ma lei deve sapere quello che ho passato da
piccolo. E ora è felice per me. Tutti sono felici per me.
Come se Anastasia mi avesse salvato da qualcosa. E, in
fondo, inizio a crederci anch’io forse. Le sorrido
affettuosamente, mentre lei mi ripaga con un sorriso
spettacolare.

«Dove vi siete conosciuti?» mi chiede poi, da


impicciona patentata quale è.
«Ana mi ha intervistato per il giornale studentesco» le
rispondo, voltandomi verso Anastasia.

«Di cui Kate era il direttore» aggiunge lei, cercando di


deviare l’attenzione di mia sorella su un’altra persona.

E Mia, di fatto, sorride a Kate e insieme intavolano un


discorso sul giornale e sull’attività redazionale di Miss
Kavanagh.

«Un po’ di vino, Ana?» le chiede mio padre.

Sospetto che qui tutti abbiano una cotta per Anastasia.

«Sì, grazie» risponde lei, con un sorriso adorabile.

Mio padre le riempie il bicchiere e poi si alza per


riempire anche gli altri. Ana mi guarda di sottecchi. Piego
la testa di lato e la guardo interrogativo.

«Cosa c’è?» le chiedo preoccupato.

«Per favore, non essere arrabbiato con me» mi


sussurra piano.

“Mi fai paura quando ti arrabbi” mi aveva detto appena


due sere fa.

«Non lo sono» tento di farle credere.

Mi guarda scettica e mi scappa un sospiro di


frustrazione.

«E va bene, sono arrabbiato»


L’ammissione è quasi una sconfitta. Non riesco più a
gestirmi come prima. Chiudo brevemente gli occhi. Poi li
riapro, inspirando a pieni polmoni.

«Tanto arrabbiato che ti prudono le mani?» mi chiede


preoccupata.

Non faccio in tempo a dirle che no, non al punto di


punirla e farle del male, perché mi basta guardarla e
sentirla vicina per calmarmi. Nonostante tutto. Ma Miss
Kavanagh mi interrompe.

«Cos’avete voi due da bisbigliare?» si intromette tra di


noi.

Ana arrossisce e io rivolgo a Kate un’occhiata senza


mezzi termini. “Fatti.i.fottutissimi.affari.tuoi”. Miss
Kavanagh si ritrae leggermente all’indietro, mentre la sua
amica le va in aiuto.

«Stavamo parlando del mio soggiorno in Georgia»


mente, cercando di rimettere le cose a posto.

Kate le sorride maliziosamente. E poi sferra a me il


colpo di grazia.

«Come stava José quando siete andati fuori a bere,


venerdì?»

Anastasia rimane a guardarla a bocca aperta. Il sangue


le defluisce dal viso, mentre io mi sento esplodere di
rabbia. “bere con quel figlio di puttana, Anastasia? É
questo che vuoi? É lui che vuoi? Tanto da raccontarmi
balle?”. Mi sposto sulla sedia, tentando di contenere la
mia furia scatenata. Miss Kavanagh le scocca un
sorrisetto soddisfatto.

«Stava bene»

La voce di Anastasia è un basso mormorio. É


consapevole di quello che le aspetta. Ma voglio che ne sia
certa. Mi chino sul suo orecchio, sfiorandoglielo
delicatamente con la punta del naso, come se fossimo una
coppia felice ed innamorata.

«Mi prudono le mani» le sussurro gelido. «Adesso più


che mai»

Un brivido le scende lungo la schiena, mentre mi rialzo


soddisfatto. Ma ancora furioso. Mia madre entra con due
piatti, seguita da Gretchen, che non riesce a smettere di
fissarmi. Arrossisce e abbassa lo sguardo, spiandomi da
rotto le ciglia. Lo squillo del telefono interrompe l’idillio.

«Scusatemi» dice mio padre alzandosi e uscendo dalla


stanza.

«Grazie, Gretchen» dice Grace, nel frattempo. «Metti


pure il vassoio sulla console».

Lei obbedisce e , dopo avermi guardato di nuovo,


sparisce in cucina. “Il solito effetto”.

Mi giro verso Anastasia, che ha gli occhi bassi, per


qualche motivo frustrata e mortificata. “Cosa c’è Miss
Steele?”. Vorrei tanto capire cosa le passa per la testa.
Carrick ritorna in sala da pranzo.

«Una telefonata per te, tesoro. È l’ospedale» dice a mia


madre.

«Vi prego, iniziate pure» dice lei, porgendo un piatto


ad Ana, prima di sparire.

Il profumo di chorizo e capesante con peperoni e porri


grigliati, cosparsi di prezzemolo fa venire l’acquolina. Ma,
in questo momento, con tutto il rispetto per questa
fantastica cena, ho fame di altro. Ana guarda il piatto e
arrossisce. Credo abbia una fame da lupi considerato la
fatica di questo pomeriggio.

Mia madre ritorna da noi, preoccupata. Carrick piega


la testa di lato e la guarda. Credo di aver preso proprio da
lui in questo. Non è il mio padre naturale, ma è come se lo
fosse.

«Tutto bene?» chiede a sua moglie.

«Un altro caso di morbillo» sospira Grace.

«Oh, no»

«Sì, un bambino. Il quarto caso del mese. Se solo i


genitori vaccinassero i figli!». Scuote la testa, poi sorride,
sospirando piano. «Sono felice che i nostri non ci siano
passati. Non hanno mai preso niente di più grave della
varicella, grazie al cielo. Povero Elliot» dice, sedendosi, e
guardandolo con indulgenza.

Oh. Ecco che arriva la storia delle pustole di Elliot. Per


carità, Grace. Anche Lelliot si rende conto del pericolo
imminente, fermando il suo boccone a metà.

«Christian e Mia sono stati fortunati. Hanno preso una


forma così leggera che quasi non avevano pustole»

Alzo gli occhi al cielo, mentre al mio fianco, sento Mia


ridacchiare divertita.

«Allora, papà, hai visto la partita dei Mariners?» la


interrompe Elliot, evidentemente desideroso di non
andare a fondo su quella storia.

Intavoliamo un discorso sullo sport, mentre Anastasia,


che tengo sott’occhio, si concentra sul cibo. A mano a
mano che la serata va avanti mi rilasso, sempre più a mio
agio. Ho quasi dimenticato persino di doverla punire
quando torniamo a casa. Ma non del tutto. Non amo le
bugie. Meno che mai se vengono da lei. Questo le costerà
caro. La osservo perdersi in chissà quale posto.
Evidentemente sta pensando a cosa l’aspetta.

«Come ti trovi nel nuovo appartamento, cara?»

Grace interrompe i suoi pensieri e lei le parla del suo


trasloco e del suo nuovo appartamento. Fingendo
interesse per la conversazione con mio padre e Elliot,
ascolto lei invece, la sua voce, guardo le sue labbra
muoversi e schiudersi. E la vedo ridere, aggrottare la
fronte, gesticolare. Sono ancora arrabbiato per via di quel
fottutissimo figlio di puttana dai tratti spagnoleggianti.
Lui non può avere quello che è mio. E lei è mia. Solo ed
esclusivamente mia.
Gretchen ritorna a prendere i piatti e Anastasia si agita
di nuovo. La discussione su Parigi tra Mia e Kate cattura
l’attenzione un po’ di tutti.

«Sei mai stata a Parigi, Ana?» le chiede Mia,


riportandola definitivamente tra noi.

«No, ma mi piacerebbe» ammette lei sognante.

«Noi abbiamo fatto il viaggio di nozze a Parigi» dice


mia madre, guardando Carrick e sorridendogli in modo
tenero.

Ho sempre invidiato quel tipo d’amore, quel rapporto


così completo che io non potrò mai avere. Non sono fatto
per queste cose.

«È una città meravigliosa. Nonostante i parigini»


riprende il discorso Mia. «Christian, dovresti portarci
Ana» aggiunge decisa.

«Credo che Anastasia preferirebbe Londra» le


rispondo con dolcezza.

Ana mi guarda con aria sorpresa, come ogni volta che


mi ricordo i dettagli che la riguardano. Le poggio una
mano sul ginocchio, lasciando le mie dita vagare sulla sua
pelle, sino alle cosce. Il suo corpo reagisce d’istinto,
tendendosi ed eccitandosi. La mancanza di biancheria
intima, sotto il suo vestito, sta animando le mie fantasie
più recondite. “Posso punirti così, Anastasia. Scappa da
me, menti, e io ti farò passare moltissimi momenti come
questo”. So che odia essere in imbarazzo. Ma mi ha dato
un dispiacere. Diversi dispiaceri. E se lo merita. Ana
arrossisce violentemente, cercando di spostarsi sulla
sedia, in modo da sottrarsi alle mie dita.
“Non.scappare.via.da.me.Ana”. La mia mano sinistra le
stringe la coscia. Sento la sua pelle accaldata. Ho voglia di
penetrarla qui. Ora. Subito. Sto perdendo ogni tipo di
inibizione e ogni forma di controllo. Voglio solo
imprimerle nella mente che è mia. Solo mia. E posso
averla quando mi pare. Ana afferra il calice con il vino e
ne beve un sorso, per placare l’ansia per quello che le sto
facendo. La cameriera bionda torna a gironzolarmi
intorno. É irritante. Mentre mi porge il piatto, mi giro
verso Anastasia, che la fissa come se volesse trafiggerla
con lo sguardo. Non afferro subito, ma quando ritorna
per distribuire il filetto e lei le rivolge l’ennesimo sguardo
assassino, tutto mi è chiaro. La guardo curioso e
compiaciuto. “Stai assaggiando la tua stessa medicina,
Miss Steele. Ora sai cosa provo verso quel figlio di
puttana”.

«Che cosa c’è che non va nei parigini?» sento chiedere


da Elliot a Mia. «Non gradivano le tue maniere
seducenti?»

Sentire accostare Mia e seduzione nella stessa frase mi


rende nervoso.

«Ehm, no. E Monsieur Floubert, l’orco per cui


lavoravo, era un prepotente, un dominatore nato»

La battuta inconsapevole di Mia, per poco non fa


strozzare Ana con il vino.

«Anastasia, stai bene?» le chiedo preoccupato,


togliendo la mano dalla sua coscia.
Mi viene da ridere, vedendo l’effetto che solo la parola
Dominatore ha su di lei. Annuisce e le do una leggera
pacca sulle spalle, aiutandola a ricomporsi. Lascio vagare
la mia mano finché non sono certo che si sia ripresa e non
rischi di soffocare. Mentre mangiamo ritrovo una buona
dose del mio umore migliore, aiutato dal fatto che Ana
sembra essere davvero affamata. Mentre gustiamo il
sorbetto al limone ascoltiamo divertiti Mia che ci racconta
il suo soggiorno a Parigi, fino a quando senza rendersene
conto, inizia a parlare in un perfettissimo francese. Tutti
rimangono a bocca aperta, mentre lei, ignara, continua
tranquillamente il suo discorso.

«Mia, ma chère, si vous parlez français, je doute que


nos amis vont comprendre» le dico in francese anch’io.

Mia scoppia in una risata fragorosa, seguita da tutti gli


altri. La conversazione è allegra, e si sposta sui progetti di
Elliot. Ma a me interessa solo di Anastasia. La guardo,
mentre con malcelata invidia osserva le effusioni di mio
fratello e della sua psicotica ragazza. Sospira e mi guarda.
Ha quello sguardo particolare di quando è eccitata,
vogliosa di me, di sesso. Senza accorgersene lascia vagare
i denti sul labbro inferiore, perdendosi in chissà quale
fantasia erotica. Il mio uccello si tende sotto la stoffa dei
pantaloni. Le prendo il mento e sollevo il suo viso verso di
me.

«Non morderti il labbro» le mormoro eccitato. «Voglio


farlo io»

La lascio crogiolarsi nell’eccitazione mentre mia madre


e mia sorella sparecchiano. Kate, Elliot e mio padre sono
impegnati in una conversazione sui pannelli solari. Mi
fingo interessato, mentre, incapace di resistere al
desiderio, le poggio di nuovo la mano sulla coscia. Risalgo
sino al bordo del vestito mentre lei ansima. Quando lascio
scivolare la mano in mezzo alle sue gambe per cercare di
penetrarla, lei le stringe. Mi sento euforico e allo stesso
tempo arrabbiato. Mi ha rifiutato. Mi ha appena rifiutato.
Le mie Sottomesse non mi rifiutano. Mai. Sorrido
arrogante.

«Vuoi che ti faccia vedere la casa?» le chiedo


apparentemente gentile.

Ana deglutisce a fatica, senza riuscire a rispondere. Sa


benissimo che non voglio farle vedere la fottuta casa.
Prima che possa replicare mi alzo in piedi e le tendo la
mano. Le lancio uno sguardo carico d’intenzione. “Tu sei
mia, Ana. Solo mia. Non puoi rifiutarmi. E ora te lo
dimostro”. Ho un fottuto bisogno di mettermela sulle
ginocchia. Una fottuta voglia di farle vedere chi comanda.
Di dimostrare a me stesso che sono io a condurre il gioco
e non questa ragazzina impertinente.

«Con permesso» dice a mio padre, scusandosi e


seguendomi fuori dalla sala da pranzo.

Ho bisogno di portarla in un posto dove nessuno venga


a disturbarci. La guido nel corridoio, fino alla cucina,
dove Mia e la mamma stanno armeggiando vicino alla
lavastoviglie.

«Porto Anastasia a vedere il giardino» annuncio in


risposta ai loro sguardi interrogativi. Esco ed oltrepasso
in fretta il giardino, raggiungendo il prato che conduce
alla baia. É enorme e sarebbe perfetto per una
passeggiata tranquilla al chiaro di luna. Ma non è quello
che voglio. Sono accaldato, furioso per José, la Georgia,
ma soprattutto perché ha appena deciso che non era
pronta a giocare al mio gioco. Questo non lo tollero. Ma
mi eccita da morire. Ho il cazzo in fiamme e una fottuta
voglia di liberarlo e infilarlo dentro di lei. Da lontano si
intravede la nostra rimessa delle barche. É lì che voglio
portarla. La trascino sentendola incespicare sui tacchi.

«Fermati, per piacere» mi implora.

Mi fermo di colpo e al guardo, eccitato, confuso. “Da


quando detti tu le regole, Miss Steele?”.

«I tacchi. Devo togliermi le scarpe» aggiunge,


guardandomi spaventata.

«Non serve» le dico, chinandomi e prendendomela in


spalla.

Farei di tutto pur di non farle prendere ancora


l’ennesima decisione. “Si fa a modo mio, Ana”. Strilla,
sorpresa, e le assesto una sonora sculacciata, preludio di
quello che accadrà in quella rimessa tra poco.

«Abbassa la voce» le sibilo contro.

«Dove andiamo?» sussurra con voce tremante.

«Nella rimessa»

A passo spedito mi dirigo dove le ho appena detto,


incurante del fatto che la sento sballottolare sulle mie
spalle.

«Perché?» ansima col respiro corto.

«Ho bisogno di stare da solo con te» le dico.

E di scoparti. E di punirti. E farti mia ripetutamente,


fino a vederti perdere i sensi.

«Perché?» chiede piagnucolando.

«Perché voglio sculacciarti e poi fotterti»

«Perché?» la sua voce è ridotta ad un sussurro.

«Lo sai» sibilo.

«Pensavo che fossi uno che vive nel presente» tenta di


supplicarmi.

«Anastasia, lo sono, fidati» le rispondo con tono


arrogante.

“Sono tutto quello che vuoi, Anastasia. Ma resto il tuo


Dominatore. E tu non puoi rifiutarmi”.
Capitolo 20

Portandola sempre in spalla, varco la porta di legno


della rimessa delle barche. Mi fermo pochi secondi
accanto all’interruttore delle luci. L’ambiente viene
illuminato dalla luce biancastra e fredda delle lampade
fluorescenti. Senza fiatare inizio a salire le scale che
portano al piano superiore. Sulla soglia ancora una sosta
obbligata, per accendere l’ennesima luce. Anastasia si è
zittita. Sento solo il suo respiro spezzato e qualche
mugolio per gli spostamenti troppo bruschi. Ma non
m’importa. Una luce più soffusa, proveniente dalle
lampade alogene, illumina la stanza della soffitta della
rimessa, decorata in stile marinaro. Finalmente la rimetto
giù, delicatamente, facendole recuperare l’equilibrio sul
parquet. Mi fissa, con gli occhi azzurri spalancati. Il mio
respiro è spezzato, irregolare. Un po’ per lo sforzo, un po’
per la prospettiva di quello che le farò. Stringo di poco gli
occhi, guardandola con rabbia fusa a desiderio puro. Ha i
capelli in disordine, le guance arrossate e un’espressione
sconvolta.

«Ti prego, non picchiarmi» sussurra a voce bassissima,


senza smettere di guardarmi.

Aggrotto la fronte e sbatto le palpebre diverse volte.


“Cosa…?”. Non può, lei… lei non dovrebbe parlare. Non
dovrebbe decidere. Non ha pronunciato nessuna
safeword.

«Non voglio che mi sculacci, non qui, non adesso. Ti


prego, non farlo» continua, ansimando.
Apro la bocca per replicare. Ma fallisco. La verità è che
lei non potrebbe prendere iniziative, decisioni. Il suo
ruolo non glielo consente. Sono io il Dominatore. Io
decido come, quando e in che modo prenderla e farla mia.
Lei mi appartiene. É mia. Sono talmente arrabbiato che il
petto mi fa male per la furia che sento. Anastasia si
avvicina di qualche millimetro. Allunga una mano e mi
sfiora la guancia destra con le dita. Una carezza delicata,
morbida. Le sue dita vagano sull’accenno di barba che mi
copre il viso. Chiudo gli occhi, inspirando lentamente e
godendomi quel tocco. É questo che volevo. É questo
contatto intimo e profondo che solo lei sa darmi, anche
solo sfiorandomi a malapena. Smetto di respirare per
qualche attimo, perdendomi in qualche posto sconosciuto
della mia mente e della mia anima, mai esplorato fino ad
oggi. Sento l’altra sua mano infilarsi nei miei capelli ed
accarezzarli. Gemo, eccitato dalla sua vicinanza. Sento i
nostri corpi spingersi inesorabilmente l’uno verso l’altro.
E non sono in grado di fermare tutto questo. Apro piano
gli occhi, guardandola con diffidenza, mentre lei si muove
verso di me. “Cos’ha in mente?”. Anastasia si avvicina
fino a toccare il mio corpo con il suo. Li fa aderire, lascia
fondere i nostri calori. Dolcemente, con le mani mi
afferra la testa e, alzandosi sulle punte, poggia le sue
labbra morbide sulle mie. Spalanco gli occhi, sorpreso
dalla sua audacia, e ci metto un po’ a rispondere al bacio.
Lei mi forza le labbra con le sue, accarezzandomi la lingua
con la sua, morbida e setosa. Quel contatto profondo e
intimo mi fa perdere i freni. Gemo, abbracciandola forte e
attirandola ancora di più contro il mio corpo. Il mio pene
grosso, duro come il marmo, pulsa contro il suo ventre.
Le mie mani scivolano nei suoi capelli, stringendoglieli ai
lati della testa. La bacio avido, violento, possessivo. Mi
prendo le sue labbra morbide e dolci. Le faccio mie fino a
quando non sento la bocca bruciarmi e pulsare. Le lingue
si fondono, si muovono in sincronia perfetta e mi gusto il
suo sapore. Il sapore di colei che mi ha stravolto la vita,
me l’ha messa sottosopra. Di colei che mi ha tirato giù
dalla mia torre e ha fatto crollare, una ad una, tutte le
certezze di una vita. Di colei che, pur avendo accettato di
sottomettersi a me, mi ha rifiutato appena pochi minuti
fa. Quel pensiero mi colpisce forte come uno schiaffo. Mi
allontano da lei, sconvolto, continuando a tenerle le mani
in vita. Il mio respiro è spezzato, proprio come il suo.
Abbassa le braccia lungo i fianchi, mente la fisso
stravolto.

«Cosa mi stai facendo?» le mormoro, confuso,


sconcertato.

«Ti sto baciando» mi risponde lei, esitante.

«Hai detto di no» riesco ad articolare.

«Cosa?»

Non afferra, non capisce a cosa mi riferisco.

«A tavola, durante la cena. Con le tue gambe»

Di colpo è come se fosse stata colpita da


un’illuminazione improvvisa.

«Ma eravamo insieme ai tuoi genitori» tenta di


giustificarsi.

Mi acciglio di più. “Decido io, Miss Steele. Sempre e


solo io”. ‘Ma se non ti avesse rifiutato, ti sarebbe venuto
così duro, Grey?’. Penso a quanto sia vero questo. Non
che mi serva aiuto per eccitarmi quando sono con
Anastasia. Il mio corpo reagisce istintivamente,
eccitandosi di colpo appena lei entra nella stessa stanza
dove sono io. Ma il fatto che lei cerchi di sottrarsi a me,
nonostante il desiderio sia reciproco, mi manda fuori di
testa.

«Nessuno mi ha mai rifiutato prima. Ed è così…


eccitante»

La guardo sorpreso, confuso. Non ci sto capendo più


nulla. So solo che la voglio. Anche se siamo qui, in casa
dei miei genitori. Anche se potrebbe sorprenderci
qualcuno. Anche se lei pensa che non dovremmo. Anzi.
Forse è soprattutto perché lei pensa che sia inopportuno.
Ho bisogno di dimostrarle che io ho ragione e so cosa è
meglio per lei. Sempre. Mi vengono in mente le parole di
Elena, di questo pomeriggio. “Devi chiederle il
permesso?”. Mai. Io non chiedo mai il permesso a
nessuno. Meno che mai ad una Sottomessa. Che questa
sia o meno Anastasia Steele. Sono io che ho il comando. E
poi ha deciso di partire per la Georgia, chissà per quanto
tempo. Senza avvisarmi. Senza tenere conto di me e delle
mie esigenze. Di quanto la voglio. Ed è uscita con quel
coglione che ha cercato di approfittarsi di lei. Mentre io
cercavo di rintracciarla. Mentre io ho perso il controllo,
nella mia doccia, dandomi piacere da solo pur di alleviare
il dolore fisico che continuava a tormentarmi a causa
della sua mancanza. “Ora non ti chiederò il permesso,
Miss Steele. Ora mi darai quello che mi spetta. Perché
tu.sei.mia”. Le mie mani si spostano con decisione.
Scendono lungo i fianchi e si incollano al suo sedere. Lo
stringo, spingendola contro di me e strofinandole
addosso il mio cazzo duro. Il suo respiro si blocca, mentre
è attraversata da uno spasimo di piacere.

«Sei arrabbiato ed eccitato perché ti ho detto di no?»


mormora, sorpresa dalla sensazione del mio uccello
contro il suo corpo, che spasima di averla.

«Sono arrabbiato perché non mi hai parlato della


Georgia. Sono arrabbiato perché sei andata fuori a bere
con un tizio che ha tentato di sedurti quando eri ubriaca
e, appena hai iniziato a vomitare, ti ha lasciato con un
perfetto sconosciuto. Che razza di amico sarebbe? E sono
arrabbiato ed eccitato perché hai chiuso le gambe mentre
ti toccavo» le dico a denti stretti.

Lentamente le mie mani afferrano l’orlo del suo vestito


color prugna e lo sollevano piano. La guardo bramoso di
possederla. Con violenza. Voglio punirla. Anche se lei non
vuole essere sculacciata. In qualche altro modo devo
avere la mia rivalsa.

«Ti voglio. Adesso. E se non sei disposta a farti


sculacciare, come meriteresti, ti scoperò sul divano
subito, in fretta, per il mio piacere, non il tuo» le ringhio
contro.

Le mie mani non la mollano. Il suo vestito sale ancora,


scoprendole di poco il sedere nudo. E proprio questo
accende di più il mio desiderio. Sposto velocemente la
mano destra, avvolgendole il sesso e affondandole un dito
dentro. Con l’altro braccio al tengo ferma, bloccandola in
vita. Anastasia serra le labbra, soffocando un gemito di
puro piacere.

«Questa è mia» le mormoro contro le labbra. «Tutta


mia. Chiaro?»
Lascio scivolare il mio dito dentro e fuori la sua vagina,
guardandola negli occhi e gustandomi la sua espressione
di godimento.

«Sì, è tua» ansima lei, serrandosi attorno al mio dito.

Riesco a sentire il suono martellante del suo cuore, che


pulsa come pulsa il mio cazzo, ancora stretto nei miei
pantaloni. Non resisto oltre. Mi sposto bruscamente da
lei, sfilandole il dito da dentro. Frettolosamente mi
sbottono i pantaloni e abbasso la cerniera. La spingo sul
divano e mi sdraio su di lei.

«Metti le mani sulla testa» le ordino, cercando di


domare la mia furia.

Mi inginocchio sui cuscini, costringendola a divaricare


per bene le gambe. La visione del suo sesso aperto e nudo,
bagnato di desiderio, mi infiamma di più. Frugo
freneticamente in tasca ed estraggo un preservativo che
avevo preso prima dalla mia camera. Da quando
Anastasia fa parte della mia vita ho imparato che è
sempre meglio essere pronti ad ogni evenienza.
Soprattutto visto che continuo costantemente a perdere il
controllo con lei. Mi scrollo di dosso la giacca, lasciandola
cadere a terra con noncuranza. Apro febbrilmente la
bustina del preservativo e lo srotolo sul mio cazzo,
osservandola portare le mani dietro la nuca. É eccitata e
mi vuole. Il suo odore così femminile aleggia nell’aria. I
suoi fianchi si spingono leggermente all’insù, andando
incontro al mio uccello. La fisso spietato, non riuscendo a
domarmi.

«Non abbiamo molto tempo. Sarà una cosa veloce, ed è


per me, non per te. Chiaro? Non venire, altrimenti ti
sculaccio» le ringhio contro.

In realtà non mi va affatto giù che abbia rifiutato di


farsi sculacciare. Sto solo cercando un motivo valido per
farlo. E sarò brutale con lei. Percepisco la sua
apprensione, ma non mi importa. Ora voglio solo
ristabilire l’equilibrio della nostra coppia. Ho bisogno di
assumere il comando. Mi tiene per le palle per la maggior
parte del giorno, anche quando non è presente. Almeno a
letto ho bisogno di sapere di essere io il Dominatore
assoluto. Spingo velocemente il mio uccello, affondando
completamente dentro di lei. Anastasia geme
sonoramente, colpita dall’improvvisa sensazione di
pienezza. Sposto le mie mani sulle sue, i gomiti a tenerle
ferme le braccia, mentre più giù le gambe bloccano le sue.
É completamente in mio potere, abbandonata alla mia
furia e alla mia lussuria sfrenata. La consapevolezza di
questo mi eccita oltremodo. Sento il mio cazzo ingrossarsi
ancora dentro di lei. Sto per esplodere. Inizio una
frenetica corsa all’orgasmo. La mia testa è nascosta
nell’incavo del suo collo, respiro a malapena contro il suo
orecchio. Spingo forte dentro di lei, inchiodandola al
divano ripetutamente. La sto scopando con forza, con
violenza e lei non riesce a non gemere di piacere. Il mio
cazzo le affonda dentro tutto, fino alle palle che sbattono
con violenza contro le sue cosce divaricate. Anastasia mi
avvolge, mi stringe a sé, anelando il sollievo dell’orgasmo
che non le concederò. Ho bisogno di definire i confini
stasera. Di non creare precedenti pericolosi. Non può
andare e venire dalla mia vita come cazzo le pare. Non
può uscire con nessun uomo che non sia io. Ma
soprattutto non può frenare come se niente fosse il mio
desiderio per lei. Inaspettatamente inizia a spingere il
bacino verso di me. Sta godendo. Sta godendo sul serio,
nonostante la mia brutalità. La consapevolezza che i
nostri corpi riescono sempre a fondersi e a trovare un
punto d’incontro mi lascia senza fiato. Le mie spinte si
fanno più forti, le mie stoccate arrivano in profondità nel
suo ventre, mentre le ringhio all’orecchio un osceno
respiro mozzato dalla bramosia. La guardo per un istante,
mentre con il viso contratto cerca di resistere, di obbedire
al mio ordine e non venire. E questo segna la mia disfatta.
L’ho domata, dominata. Le scarico dentro il mio seme,
copioso e caldo, con un’esplosione violenta. Dalla gola mi
esce un sibilo di piacere, mentre le ultime scariche
dell’orgasmo appena avuto si esauriscono. Mi rilasso
completamente, lasciando la tensione abbandonarmi.
Pochi secondi in cui riesco a sentire il suo corpo e il suo
respiro irregolare contro il mio petto. La sento muoversi
contro di me, strusciando il clitoride contro il mio uccello.
Mi sfilo immediatamente da lei, guardandola truce.

«Non toccarti. Voglio che tu rimanga insoddisfatta. È


questo che fai a me quando non mi parli, quando mi
neghi quello che è mio»

Anastasia mi guarda frustrata, annuendo tra un respiro


concitato e l’altro. Nei suoi occhi leggo la stessa agonia
che provo io ogni qual volta mi lascia confuso con i suoi
gesti e le sue parole. Soddisfatto, o perlomeno
apparentemente soddisfatto, mi alzo dal divano,
liberando il suo corpo seminudo. Almeno sono più calmo
ora. Molto più calmo. Anche se non mi sembra che sia
tutto al proprio posto. Sfilo il preservativo, liberando il
mio membro ancora in tiro. Gli occhi di Anastasia
seguono i miei movimenti, accarezzano la lunghezza del
mio cazzo e poi si fissano sulle mie labbra e, infine, nei
miei occhi. La sua lingua inumidisce le labbra, mentre
stringe le cosce l’una contro l’altra, sfregandole e
cercando di alleviare la sensazione di vuoto e di desiderio
che sono sicuro sente. In questo momento potrei fare di
lei tutto quello di cui avrei voglia. A frenarmi è solo la
paura che qualcuno venga a cercarci. Mi richiudo la
cerniera dei pantaloni e mi chino a terra per riprendere la
giacca, scuotendola e poi infilandola. Sono di spalle ad
Anastasia, ma non la sento muoversi. L’unico suono che
spezza il silenzio che ci avvolge e il suo ansimare, il suo
respiro che tenta di regolarizzarsi dopo l’attacco che ha
subito. So bene come si sente in questo momento.
Provata di qualcosa che le spettava. É così che fa sentire
me. Per farglielo capire devo per forza farglielo provare,
non c’è altro modo. Per fargli accettare di sottomettersi
devo fargli capire quello di cui ho bisogno. In modo che la
prossima volta se ne ricordi prima di negarmi o rifiutare
qualcosa. Deve sapere cosa significa. Quando mi giro,
trovarla ancora sul divano, in attesa del mio permesso per
rialzarsi, mi fa addolcire. “Piccola, ora potrei scoparti fino
a farti venire per ore. Ma dobbiamo rimandare il piacere a
più tardi”. In realtà ho in mente un paio di cosette per lei.
‘Non è che vuoi rimediare alla scopata punitiva, Grey?’.
Deglutisco a fatica, senza sapere quanto possa essere vero
il pensiero partorito dal mio cervello. Anzi, ho paura di
scoprirlo. Dunque lo evito totalmente.

«È meglio se rientriamo» le dico in tono conciliante.

Anastasia si tira su a fatica, ancora ebbra di un piacere


non completo. Mettendo la mano in tasca incontro la
stoffa delicata delle sue mutandine. In uno strano impeto
di tenerezza gliele restituisco.
«Tieni. Puoi metterti queste» le dico.

Le prende, con le dita tremanti, rimanendo in silenzio


e guardandomi con uno sguardo serio e quasi soddisfatto.
‘Alla fine non ha dovuto chiederteli, Grey’.

«Christian!»

La voce stridula di Mia proviene dal piano di sotto.


Guardo Anastasia, alzando un sopracciglio, con
un’espressione sarcasticamente divertita.

«Appena in tempo. Maledizione, a volte sa essere


davvero irritante»

Anastasia mi fissa in malo modo, affrettandosi ad


indossare le sue mutandine e a sistemarsi il vestito,
lisciando la stoffa spiegazzata dal mio assalto erotico. Poi
passa ai capelli, cercando di rimettere a posto le ciocche
ribelli e disordinate.

«Siamo quassù, Mia» urlo a mia sorella, quando


Anastasia sembra essersi rimessa in sesto.

Poi mi giro verso di lei, accostandomi al suo orecchio.

«Ora mi sento meglio, Miss Steele, ma ho ancora


voglia di sculacciarti»

Le mie parole sono un sussurro erotico, pregustando


nella mia mente quello che ho intenzione di farle a casa.
Ana si tende, alzando la testa in segno di sfida. Di nuovo.

«Non credo di meritarlo, Mr Grey, soprattutto dopo


aver tollerato il tuo attacco ingiustificato»
«Ingiustificato? Sei stata tu a baciarmi» le dico,
fingendomi offeso.

Il sesso appena consumato mi ha davvero messo di


buonumore. Anastasia stringe le labbra, imitando il mio
comportamento.

«A volte la miglior difesa è l’attacco» mi risponde


piccata, con le braccia incrociate sotto al petto.

«Difesa da cosa?»

«Da te e dalle tue mani che prudono» mi risponde.

Sorridendo, piego la testa di lato, guardandola con


divertito affetto. Mia continua ad avvicinarsi, salendo le
scale. Mi avvicino di più a lei, chinandomi di nuovo sul
suo orecchio.

«Comunque, è stato sopportabile?» le chiedo in un


sussurro, accarezzandole il lobo con le labbra.

Anastasia arrossisce violentemente, fremendo. Mi


guarda e non riesce a trattenere un sorriso.

«A stento» mormora.

«Ah, eccovi qui» strepita Mia quando finalmente ci


raggiunge, con lo sguardo luminoso alla vista di me e Ana
vicini e intimi.

«Stavo facendo vedere la tenuta ad Anastasia» le dico


calmo.

Tendo la mano ad Anastasia, fissandola intensamente.


Lei abbandona la sua alla mia stretta affettuosa. ‘Stai
cercando di infonderle dolcezza dopo essertela scopata
sul divano dietro di te, Grey. Sensi di colpa?’.

«Kate e Elliot stanno per andare via. È incredibile, non


possono fare a meno di toccarsi, quei due»

Mia interrompe i miei pensieri con un’espressione


disgustata sul volto. La sua attenzione si sposta su
Anastasia e sui suoi capelli ancora scompigliati.

«Che cosa ci facevate qui?»

Prevedibilmente, Ana arrossisce di colpo.

«Mostravo ad Anastasia i miei trofei di canottaggio»


dico calmo, ma divertito, cercando di catalizzare di nuovo
l’attenzione di mia sorella su di me. «Andiamo a salutare
Elliot e Kate» annuncio ad Anastasia, mentre Mia gira sui
tacchi e inizia a scendere le scale.

Non posso fare a meno di notare la sua espressione


maliziosa e gioiosa. “Che palle. Mi toccherà subire un
interrogatorio sfiancante per questo”. Poggio la mia mano
sulla schiena di Anastasia, proprio appena sopra la curva
del suo sedere, spingendola delicatamente avanti a me. Il
suo splendido culo è una tentazione troppo forte. Le
assesto una pacca sul sedere e lei sussulta. Chinandomi in
avanti mi avvicino al suo orecchio.

«Lo rifarò, Anastasia, e presto»

Le sussurro la mia minaccia, sfiorandole il collo con la


punta del naso. Il mio braccio le cinge la vita, attirandola
a me. Le bacio i capelli e inalo il suo profumo, prima di
lasciarle scendere le scale. Usciamo dalla rimessa e mi
occupo di spegnere le luci, mentre Mia catalizza
l’attenzione di Anastasia, parlandole di Parigi e di quanto
sia bella la vista dalla Tour Eiffel. Non presto attenzione
alla conversazione, mentre le due ragazze più importanti
della mia vita si tengono per mano e ridacchiano alla luce
fioca della luna. Ho scaricato la tensione, ma c’è qualcosa
che non va. Io sono abituato a gestire le mie emozioni. E
stasera ho ceduto al basso istinto di scopare Anastasia
brutalmente su quel divano della rimessa. Non mi ero
mai lasciato tanto andare. L’ho scopata, lasciandola
insoddisfatta per punirla. E lei ha capito. Ha capito la
lezione. E sono certo che farà di tutto per non incappare
più nella mia furia. Ma averla punita, averle negato il
piacere mi fa sentire in colpa. Da quando la conosco ogni
gesto che ho compiuto è stato per lei. É stato per vederle
brillare gli occhi, per appagarla e farla star bene. Sempre.
Tranne stasera. In qualche modo sento che devo
rimettere a posto il tassello del puzzle che manca. Il fatto
che lei mi abbia detto di volere di più, il fatto che non sia
scappata via nonostante la sua inesperienza, nonostante
abbia avuto paura di me, nonostante tutto, la dice lunga
su quanto mi voglia. Di quanto mi desideri. Tanto quanto
io desidero lei. La guardo ridere spensierata, insieme a
Mia. É una giovane donna caparbia e determinata.
Bellissima e sexy da morire. Non si accontenterà di quello
che io posso darle. Non si accontenterà di chinare il capo
e obbedire ciecamente a me. Ha bisogno di fiducia, ha
bisogno di capire. Di capirmi. E io ho bisogno, forse, di
essere capito. Con lei non posso abbandonarmi ad un
rapporto sterile e vuoto, fatto di sesso e dolore. Lei vuole
di più. E prima o poi dovrò decidere se cedere a questo.
Oppure lasciarla andare. Tornati in casa, troviamo mio
padre e mia madre sulla soglia, intenti a salutare Kate e
Elliot. Miss Kavanagh stringe Anastasia, mentre lei ne
approfitta per sussurrarle qualcosa all’orecchio, che non
riesco ad afferrare. Katherine risponde piano. Riesco a
percepire solo la parola “prepotente” e sono certo che il
complimento è rivolto a me. Ana la guarda torva, mentre
lei, per tutta risposta le fa la linguaccia. Girandomi, colgo
lo sguardo estasiato di Grace. Ha le lacrime agli occhi,
mentre assorta scruta Anastasia come se fosse
un’apparizione divina. Quando la coppia dell’anno va via,
mi giro verso Anastasia.

«Forse dovremmo andare anche noi. Domani hai i


colloqui»

Ana annuisce e Mia la stringe in un abbraccio caloroso,


infondendovi tutto l’affetto che può.

«Pensavamo che Christian non avrebbe mai trovato


una donna!» esclama beatamente, facendomi alzare gli
occhi al cielo.

Anastasia arrossisce, timida, mentre Grace le bacia le


guance.

«Stammi bene, Ana» le mormora la mamma con una


strana dolcezza...

Guardo la mia famiglia, improvvisamente a disagio.


‘Cosa cazzo ti è venuto in mente, Grey? Le vedi, vero? Le
vedi le aspettative che hai appena creato nei tuoi genitori
e in tua sorella. La speranza che si è accesa negli occhi di
tua madre. Cosa le dirai se Anastasia non volesse più
firmare quel dannato accordo, soprattutto dopo quanto
successo stasera?’. Mi sento un po’ una merda a questo
punto. Forse avrei dovuto pensarci un po’ di più di
qualche attimo e non lasciarmi prendere dall’euforia del
momento. Allungo una mano e attirò Anastasia nel mio
spazio personale, lasciando il suo corpo accostarsi al mio.

«Non spaventatela né viziatela troppo con tutte queste


moine» mugugno imbronciato.

«Christian, basta scherzare» mi ammonisce indulgente


mia madre, con uno sguardo adorante. Non riesco a
sopportare oltre il peso delle sue speranze. “Anastasia
non è una medicina, mamma. Non può guarire i miei
demoni”. Mi chino verso di lei e le bacio la guancia,
desideroso di lasciare questa casa, inaspettatamente
diventata troppo stretta per tutti noi.

«Mamma» la saluto.

Anastasia intanto saluta mio padre, che invece di


stringerle la mano che lei le tende, l’abbraccia,
probabilmente condividendo le aspettative di mia madre
su di lei. Finalmente riusciamo a liberarci della mia
famiglia e raggiungiamo il Suv. Taylor apre la portiera per
Anastasia e lei si infila in auto.

«A casa di Miss Steele, signore?» mi chiede Taylor


prima di metterci al volante.

La sbircio mentre si aggiusta sul sedile dell’Audi


Quattro. Odio il pensiero di dormire senza di lei.

«No, Taylor. Torniamo all’Escala»

Salgo in auto e mi accomodo sul sedile posteriore


accanto a lei. Anastasia, esausta guarda fuori dal
finestrino, con gli occhi socchiusi. I suoi profondi sospiri
mi lasciano intendere che si stia rilassando dopo la
tensione delle ultime ore. ‘Tensione a cui tu, Grey, e la tua
scopata punitiva avete contribuito abbastanza’. Giro la
testa verso di lei.

«A quanto pare, piaci anche alla mia famiglia» le


mormoro, tentando di farla distendere.

Ma la sua espressione tormentata mi colpisce. “Cosa


c’è che non va, Miss Steele?”. Rimane in silenzio mentre
Taylor parte e lascia Bellevue imboccando il vialetto.
Siamo immersi nell’oscurità, ma riesco a vedere i suoi
occhi tristi e provati. “É colpa mia se stai così, Ana”.

«Cosa c’è?» le chiedo.

Ho quasi paura a sentire la risposta. Il tormento le


anima il viso, poi, dopo un profondo respiro, credo per
autoimporsi una dose di coraggio. Alza il mento e mi
fissa.

«Penso che tu ti sia sentito obbligato a farmi conoscere


i tuoi» un sussurro timoroso. «Se Elliot non avesse
invitato Kate, tu non me l’avresti mai chiesto»

Piego la testa di lato, guardandola fisso, stupito dalla


sua affermazione. “Ma cosa cazzo dici, Anastasia?”

«Anastasia, sono felicissimo che tu abbia conosciuto i


miei. Perché sei così piena di dubbi? È una cosa che non
smetterà mai di stupirmi. Sei una ragazza forte e
indipendente, ma sei ossessionata dai pensieri negativi su
te stessa. Se non avessi voluto farteli conoscere, non
saresti qui. È così che ti sei sentita per tutto il tempo?» le
spiego con calma e sincerità.
Anastasia sembra stupita. “Come diavolo fa ad avere
dubbi del genere?”. Scuoto la testa, senza riuscire a
spiegarmi la sua insicurezza. Allungo una mano e prendo
la sua. Il suo sguardo si sposta sulla nuca di Taylor, che
fissa la strada impassibile, come d’abitudine. ‘Abitudine a
cosa, Grey? Nessuna delle tue precedenti Sottomesse è
mai salita con te in auto’.

«Non preoccuparti di Taylor. Parla con me» le dico,


cercando di rassicurarla.

Anastasia si stringe nelle spalle, imbarazzata.

«Sì, mi sono sentita così. E un’altra cosa: ho accennato


alla Georgia solo perché Kate stava parlando di Barbados.
Non ho ancora preso una decisione» la sua sincerità è
spiazzante.

«Hai voglia di andare a trovare tua madre?» le chiedo


usando la stessa sincerità. Meglio chiarire del tutto.

«Sì» mi risponde.

Ha l’aria stanca. Stanca di combattere con sé stessa,


forse, senza sapere se può o meno lasciarsi andare. “Bè...
in fondo… potrei andare con lei. Rivedrebbe sua madre e
io non sarei costretto a starle lontano per chissà quanto
tempo. Sì, potrei. Dovrei solo delegare a Ros il compito di
prendere in mano le trattative con Taiwan”. ‘Sei sicuro
che lei ti voglia dietro, Grey?’. Il pensiero mi colpisce
all’improvviso, causandomi un aumento del battito
cardiaco.

«Posso venire con te?» le chiedo, tormentato dal


dubbio.
I suoi occhi blu si sgranano e mi guardando con un
pizzico di terrore.

«Ehm… non mi pare una buona idea» dice alla fine.

‘Visto, Grey?’. Lascio da parte il compiacimento del


mio cervello e mi concentro su quello che ha appena
detto. “Non mi vuole tra i piedi. Perché? Perché
Anastasia? C’è qualcun altro in Georgia? Porterai il figlio
di puttana con te?”

«Perché?» le chiedo improvvisamente ansioso.

«Speravo di prendermi una pausa da… da tutte queste


emozioni forti, per cercare di riflettere un po’» risponde,
fissandomi e scandagliando la mia espressione.

“Ah…”.

«Sono troppo forti?» le chiedo.

‘L’hai appena scopata brutalmente su un divano, dopo


un pomeriggio di sesso sfrenato in una stanza attrezzata
per le pratiche sadomaso. Vuoi che si leghi a te firmando
un contratto, vuoi possederla in esclusiva. E fino a ieri era
vergine. Tu che dici, Grey?’. Fortunatamente la tensione
che ci avviluppa viene sciolta in parte dalla sua risata.

«Per usare un eufemismo!» mi risponde, con gli occhi


pieni di un divertimento rassegnato.

Viene da sorridere anche a me. Ma l’ansia non i


abbandona.

«Stai ridendo di me, Miss Steele?» le chiedo


fingendomi offeso.

«Non oserei mai, Mr Grey» replica senza riuscire a


nascondere il divertimento.

«Penso che oseresti, e anzi penso che tu rida spesso di


me»

«Sei bizzarro»

«Bizzarro?» le chiedo curioso.

«Oh, sì» ride piano, di nuovo.

«Nel senso che sono strano o che faccio ridere?» la


incalzo divertito.

«Oh… quasi sempre l’una delle due, e a volte l’altra»


risponde maliziosa.

«In che ordine?» chiedo con un sorriso.

«Te lo lascio indovinare»

«Non sono certo di riuscire a indovinare, quando si


tratta di te, Anastasia» la prendo in giro. Poi sospiro,
lasciando quel piccolo momento di serenità per affrontare
il nocciolo della questione. «Su cosa hai bisogno di
riflettere, in Georgia?»

«Su noi due» sussurra, appoggiando la testa allo


schienale e guardando il tettuccio dell’auto.

Mi si gela il sangue nelle vene. “Cristo! Non dovevo


fare tanto lo stronzo. Ho tirato troppo la corda con lei”.
‘Tu sei un Dominatore, Grey. Tu comandi. Non tiri la
corda’.

«Avevi detto di volerci provare» le mormoro, sentendo


il sangue defluirmi dal volto.

“Non voglio perderla. Non posso. Non devo”.

«Lo so» mi risponde flebilmente.

Faccio una fatica immensa a porle la domanda


seguente. Perché ho paura di sentire la risposta.

«Ci stai ripensando?»

«Forse» mi risponde dopo una manciata interminabile


di secondi.

Mi agito sul sedile. Non riesco a stare fermo. Mi passo


una mano nei capelli, girandomi freneticamente verso il
finestrino. Poi torno a guardarla.

«Perché?»

Mi fissa per qualche attimo, mordendosi il labbro tanto


forte che penso possa sanguinarle. Poi si gira verso il
finestrino, sospirando sonoramente. “Parlami, Anastasia.
Parlami. Parlami. Parlami”. Non si gira, non risponde alla
mia domanda. “Non posso perderti, Anastasia. Non
voglio. Farò tutto quello che è in mio potere per non
perdere un solo istante della vita che posso avere con te”.
L’intensità di tutto questo ammasso di emozioni che
sento mi spaventa. Ma so che mi sentirei perso se
perdessi la sensazione di completezza che mi da il solo
averla accanto. “Guardami, Anastasia. Io posso mettere il
mondo ai tuoi piedi, darti tutto quello che vuoi.
Guardami. E parlami”.

«Perché, Anastasia?» insisto, reclamando una risposta.

Per tutta risposta lei alza le spalle. I suoi occhi


guardano fuori, come se cercassero una via di fuga che, al
momento, non ha. La sua espressione è tormentata. Io
mio sguardo è fisso su di lei, intenso. Lei non lo regge e
chiude gli occhi, mentre il suo viso è illuminato a tratti
dalla luce dei lampioni. Sembra un bellissimo angelo che
sto tentando di trascinare nel buio in cui vivo la mia vita.

«Parlami, Anastasia. Non voglio perderti. Quest’ultima


settimana…» mi fermo, senza sapere cosa dire.

“Quest’ultima settimana è stata la più bella della mia


vita. La più viva della mia vita”. Ana mi guarda, ansiosa,
tormentata, triste in un certo senso. Come se questa fosse
l’ultima volta in cui potessimo parlare. Avere del tempo
tutto nostro. Insieme.

«Continuo a volere di più» mormora alla fine, come


per liberarsi da un peso opprimente.

«Lo so» le dico immediatamente. «Ci proverò»

L’impeto delle mie parole la lascia stupita, basita. Si


morde forte il labbro inferiore, causandomi un fremito al
basso ventre. Le lascio la mano e le afferro il mento,
costringendola a liberare la bocca dalla morsa feroce dei
suoi bellissimi denti.

«Per te, Anastasia, sono disposto a provare» le dico


fissandola dritto negli occhi, come per imprimerle con la
forza il fatto che sono sincero.

E lo sono. Lo sono davvero. Non ho mai fatto nulla del


genere. Non so neppure come si faccia a dare di più. A
fare di più. A darle quello che vuole, quello che le serve.
Ma qualsiasi cosa sia, qualsiasi cosa io debba fare per lei…
Bè la farò. Anastasia si muove in fretta, cogliendomi di
sorpresa. Slaccia la sua cintura di sicurezza e si sposta sul
sedile, salendo sulle mie ginocchia. Avvolge le sue braccia
attorno al mio collo, attirando la mia bocca sulla sua. Il
bacio che ne scaturisce è profondo, sensuale, dolce, lungo.
Pieno del bisogno reciproco di averci, di consumarci fino
a rimanere spossati.

«Resta con me, stanotte» riesco a mormorarle con il


fiato corto quando ci stacchiamo. «Se te ne vai, non ti
vedrò per una settimana. Ti prego»

Sì. Christian Grey, il Dominatore, l’amministratore


delegato, il multimilionario playboy filantropo, sta
implorando, pregando una ragazzina. “Ma Cristo se mi
rende felice!”.

«Sì» mi risponde, annuendo. «E ci proverò. Firmerò il


contratto» aggiunge d’impulso.

Le sue parole mi colpiscono e una parte di me sarebbe


tentata di farle firmare immediatamente il contratto e
legarla a me ora, in questo momento. Ma non posso
essere vigliacco. Non posso ignorare il sensore d’allarme
che si è appena acceso in me. Già una volta l’ho fatto. E
mi sono ritrovato davanti una ragazza distrutta, in
lacrime. Non voglio farla stare di nuovo male.

«Firma dopo essere stata in Georgia. Pensaci sopra.


Pensaci bene, piccola»

La avverto. Proprio come l’ho avvertita quel giorno che


sembra così lontano, a pochi metri dal parcheggio
dell’Heathman Hotel di Portland.

«D’accordo» mi risponde e, con un sospiro, si accuccia


contro di me.

Rimaniamo in silenzio per un bel po’. Un movimento


un po’ più brusco dell’auto mi fa venire in mente che non
è sicuro per lei stare in questa posizione. Anche se il suo
calore è confortante.

«Dovresti allacciarti la cintura di sicurezza» le


mormoro contro la testa, con poca convinzione.

Ana fa le fusa contro di me, eccitandomi. Strofina il suo


piccolo naso contro la mia gola e la sento inalare il mio
odore. Poi appoggia nuovamente la testa alla sua spalla e
resta così, ad occhi chiusi, in silenzio. Assaporo quel
momento di quiete, come se fosse l’ultimo in sua
compagnia. Scaccio il doloroso pensiero di vederla partire
per la Georgia e non fare più ritorno. “Non ti libererai di
me, Miss Steele. Dovessi arrivare in capo la mondo pur di
riaverti. Devi essere mia ad ogni costo”.

«Siamo a casa» le sussurro quando finalmente Taylor


accosta davanti all’entrata principale dell’Escala.

Anastasia si stiracchia e scende dall’auto mentre Taylor


tiene aperta la portiera, sorridendole educato. La seguo,
sentendo una leggera brezza pungente sferzarmi il viso.
La guardo, nel suo meraviglioso abito color prugna, che le
lascia le spalle nude. Mi rabbuio per la sua totale
mancanza di considerazione per la sua salute.

«Perché non hai una giacca?»

Prima che possa replicare, mi sfilo la mia e gliela


appoggio sulle spalle, riparandola dal vento. Sospira.

«L’ho lasciata nella mia auto nuova» mi risponde,


senza riuscire a trattenere uno sbadiglio.

Mi viene da sorridere. “Non metterti a dormire proprio


ora, Miss Steele. Ti devo un orgasmo. Anche se non lo
ammetterò mai con te”. La verità è che mi sento
fottutamente in colpa per come ho reagito prima. Posso
scoparla e farla venire ora. Senza che lei sappia di come
mi sento.

«Sei stanca, Miss Steele?»

«Sì, Mr Grey». Mi guarda, improvvisamente timida.


«Oggi sono stata sopraffatta in un modo che non avrei
mai creduto possibile»

Le lancio un mezzo sorriso malizioso.

«Bene, se sei sfortunata, potrei sopraffarti ancora un


po’» le dico a mo’ di promessa.

Una languida promessa erotica che ho intenzione di


soddisfare appieno. Entriamo nell’ascensore e sento i suoi
occhi fissi su di me. Mi giro a guardarla. L’aria intorno a
noi si carica della familiare elettricità che unisce
inesorabilmente i nostri corpi e le nostre menti. Mi
guarda, ma è immersa nei suoi pensieri. Ancora una volta
lascia scorrere i denti sul suo labbro inferiore, mordendo
la sua stessa carne in quel gesto così voluttuoso. Aggrotto
la fronte. “Non adesso”. Il mio cazzo è meravigliosamente
teso e dolorante, nuovamente pronto per affondare in
quel suo sesso che scommetto è ancora bagnato e
voglioso. Le afferro il mento con un gesto brusco.

«Un giorno ti scoperò in questo ascensore, Anastasia,


ma adesso sei stanca… quindi penso che dovremo
accontentarci del letto» le annuncio abbassando
volutamente la voce.

Mi chino su di lei, appiattendola contro la parete e


prendo quello stesso labbro, stringendoglielo tra i denti e
tirandolo dolcemente, assaporando la sua carne con un
erotico e perverso sguardo carico di lussuria. Il suo
respiro è carico d’attesa, di voglia. Il suo corpo freme
contro il mio. Con i denti afferra il mio labbro superiore e
lo stringe, dandomi un leggero tormento che mi manda
fuori di testa. Le porte dell’ascensore si spalancano,
interrompendo la nostra lussuria. Una altro minuto e non
ci avrei pensato su due volte prima di alzarle la gonna,
strapparle le mutandine e fotterla di santa ragione. Le
afferro una mano e la trascino dentro il mio
appartamento.

«Vuoi bere qualcosa?» le chiedo, arrivando in salotto.

«No» risponde, ancora eccitata.

«Ottimo. Andiamo a letto» le annuncio soddisfatto,


dirigendomi verso la mia camera.

Mi segue, guardandomi con un’espressione sarcastica.

«Ti accontenterai del banale, vecchio sesso alla


vaniglia?»

Mi fermo un secondo nel corridoio, guardandola con la


testa inclinata da un lato.

«Non c’è niente di vecchio o di banale nel sesso alla


vaniglia, ha un sapore molto intrigante» le dico con un
sorriso volutamente sexy.

«Da quando?» chiede sopraffatta dalle mie parole e


dall’espressione che le hanno accompagnate.

«Da domenica scorsa» e alla domanda che la mia testa


ha appena formulato. ‘Da quando ti interessano vaniglia e
stronzate romantiche, Grey?’. «Perché? Speravi in
qualcosa di più esotico?» le chiedo, distogliendomi dai
miei pensieri.

«Oh, no. Per oggi ne ho avuto abbastanza di esotismo»


sbotta ironicamente.

«Sei sicura? Qui ne abbiamo per tutti i gusti… almeno


una trentina»

Le lancio un altro sorriso carico di intenzione.

«L’ho notato» replica secca, evidentemente ancora


piccata per la scopata punitiva di poco fa.

Scuoto leggermente la testa, rassegnato. “Le entrerà


mai in testa che lei è una Sottomessa?
S.O.T.T.O.M.E.S.S.A. Il concetto non è poi così difficile”.

«Andiamo, Miss Steele, domani è una giornata


impegnativa per te. Prima andiamo a letto, prima ti scopo
e prima potrai dormire» le dico continuando a trascinarla
verso camera mia.

«Mr Grey, sei un inguaribile romantico» risponde


ironica.

«Miss Steele, hai proprio una lingua biforcuta. Dovrò


trovare il modo di sottometterti. Vieni»

Prima che possa deliziarmi con un’altra replica arguta,


la spingo in camera ed entro dietro di lei, chiudendo la
porta con un calcio. Ho voglia di vederla nuda. Subito.

«Mani in alto» le ordino, giocosamente, con la giusta


dose di buonumore appena ritrovata.

Obbedisce, stando allo scherzo e atteggiandomi a


pseudo prestigiatore le sfilo l’abito, afferrandone l’orlo,
con una sola rapida mossa.

«Ta-da!» le dico esagerando teatralmente.

Ana si gira, con la sola biancheria intima addosso,


facendo un sorriso divertito e applaudendo alla mia
pantomima. Faccio un inchino e appoggio il suo vestito
sulla sedia accanto al cassettone.

«E quale sarà il tuo prossimo trucco?» mormora


provocante, con uno sguardo carico di promesse.

Il mio uccello freme per essere liberato e lasciato


immergersi dentro di lei.

«Oh, mia cara Miss Steele» le sibilo contro, eccitato


come non mai «mettiti a letto e te lo farò vedere»
«Pensi che per una volta dovrei fare la preziosa?» mi
chiede di rimando, attorcigliandosi una sottile ciocca di
capelli attorno all’indice e lasciandola subito andare.

Il suo tono, il suo atteggiamento, il significato di quello


che ha appena detto mi lasciano senza fiato, sbalordito.
Sgrano gli occhi pregustando il piacere di prenderla
mentre si contorce e cerca di divincolarsi. Di sentire i suoi
gemiti affannati mentre la prendo e la faccio mia ad ogni
costo. Mentre la domino, la sottometto, con lei che
continua a fare l’impertinente, che lotta contro di me pur
essendo scossa dall’eccitazione e dalla voglia di avermi.

«Bè… la porta è chiusa. Non so come potresti


evitarmi» le dico, con un sorriso perverso. «Penso che
ormai l’affare sia concluso»

«Ma io sono brava a negoziare» mi sorprende di


nuovo.

«Anch’io» le dico guardandola.

Per un momento sono confuso. Non so dove voglia


andare a parare. L’atmosfera attorno a noi cambia, carica
improvvisamente di tensione.

«Non vuoi scopare?» le chiedo diretto.

«No» mormora Anastasia, senza abbassare gli occhi.

Il che mi fa pensare che c’è dell’altro. Ma resta in


silenzio.

«Ah» mormoro aggrottando la fronte.


Non so cosa dirle. Non mi è mai capitata una
situazione del genere. Anastasia fa un profondo respiro.

«Voglio fare l’amore con te» sussurra poi, continuando


a fissarmi.

Mi fermo, immobile, guardandola senza afferrare il


senso di quello che ha appena detto. “Cos’altro vuoi, Miss
Steele. Abbiamo fatto l’amore. Lo abbiamo fatto, Cristo
santo! Ti ho scopata, venerata, adorata tutte le volte che
siamo stati insieme. Cos’altro vuoi?”.

«Ana, io…» la mia mano si infila tra i miei capelli,


tirandoli all’indietro.

Mi sento improvvisamente frustrato, eccitato, confuso


e non so neppure io in quale altro modo. Anche l’altra
mano sale nei capelli, mentre li tiro all’indietro fino a
sentire male alla nuca. “Perché tutto quello che faccio non
è mai abbastanza per te, Anastasia?”.

«Pensavo che l’avessimo fatto» le dico alla fine, dopo


minuti interminabili di silenzio.

«Voglio toccarti» aggiunge lei repentinamente, come


se stesse aspettando solo una mia risposta per sparare la
sua prossima cartuccia.

Involontariamente mi ritraggo, andando quasi a


sbattere contro la porta chiusa alle mie spalle. Il mondo
vacilla intorno a me, prima che io riesca a fare un respiro,
prendere aria e riacquistare l’equilibrio perso. “Non posso
assolutamente, Miss Steele”.

«Per favore» mormora lei, percependo l’attimo di


sbandamento e cercando di battere il ferro finché è caldo.

«Oh, no, Miss Steele, per stasera hai avuto abbastanza


concessioni. La mia risposta è no» le dico fermo,
cercando di nascondere la nota tremante che anima la
mia voce.

«No?» chiede sospirando piano.

«No» le dico risoluto.

Improvvisamente il suo sguardo si fa stizzito. “No,


Miss Steele. Non ho la testa per discutere con te proprio
ora”.

«Senti, tu sei stanca, io sono stanco. Andiamo a letto e


basta» le dico, fissandola e cercando di concentrarmi
sugli occhi e non sulla sua semi nudità. Fallisco.

«Quindi essere toccato per te è un limite assoluto?» mi


chiede come se sentisse questa cosa per la prima volta.

«Sì, non ne ho mai fatto mistero» le rispondo


seccamente.

«Per cortesia, spiegami perché» chiede, mettendosi le


mani sui fianchi in una posa buffa e sexy allo stesso
tempo. Ma sono troppo arrabbiato con lei ora per
apprezzarla come merita.

«Oh, Anastasia, per favore. Lascia perdere adesso» le


dico esasperato.

«Per me è importante» insiste.


La sua continua noncuranza di quello che le dico, dei
miei di bisogni, il suo attuale essere quasi nuda di fronte a
me mi fa eccitare ad un livello impossibile da sostenere.
Ma so che scopandola ora finirei solo con il rovinare
tutto. Ho voglia di punirla. Ho voglia di zittire la sua
bocca impudente e fargliela aprire solo per emettere
gemiti rochi e sensuali. Mi passo le mani nei capelli, di
nuovo, cercando di alleviare la tensione con il dolore. Mi
giro e tiro fuori una maglietta dal cassettone,
lanciandogliela in modo che si copra e la smetta di
tormentarmi con la vista del suo corpo meraviglioso.

«Indossala e mettiti a letto» sbotto, incazzato e


frustrato per il desiderio non sfogato.

Mi guarda confusa, poi, delusa, si gira di spalle. Sfila in


fretta il reggiseno e infila velocemente la t-shirt.

«Devo andare in bagno» la sento sussurrare.

La guardo sconcertato.

«Mi chiedi il permesso, adesso?»

«Ehm… no»

«Anastasia, sai dov’è il bagno. Oggi, a questo punto del


nostro strano accordo, non hai bisogno del mio permesso
per usarlo»

Sono incazzato e non mi do la pena di nasconderlo.


Mentre sparisce al di là della porta, mi spoglio,
indossando i pantaloni del pigiama. Ne approfitto anche
per uscire dalla camera e portare i miei vestiti e anche il
suo in lavanderia, in modo che per domani siano già in
ordine. Quando rientro lei è ancora chiusa in bagno.
Busso alla porta, senza perder e il mio cipiglio a metà tra
l’incazzato e il frustrato.

«Entra» sbiascica.

La trovo con in bocca il mio spazzolino. Il suo sguardo


si fissa sul mio petto nudo. La fisso per un po’ senza
tradire nessuna emozione. Poi non riesco a non sorridere
della sua espressione estasiata. Mi avvicino a lei,
mettendomi esattamente alla sua sinistra. Ci guardiamo
dallo specchio, occhi negli occhi. Finisce con calma si
spazzolarsi i denti, sciacqua lo spazzolino e poi me lo
passa. Senza dire una parola lo prendo dalle sue dita e me
lo infilo in bocca, caricando un gesto semplice di pura
sessualità. Mi viene in mente in che modo vorrei giocare
con lei proprio ora. Dovrei solo fare capolino per un
attimo nella Stanza dei giochi. Ana mi strizza l’occhio,
giocosa, e io non riesco a resisterle. Le sorrido di nuovo.

«Sentiti libera di prendere in prestito il mio


spazzolino» le dico con divertito affetto, prendendola in
giro.

«Grazie, signore» mi dice tranquilla, lasciandomi e


tornando in camera.

Il suo appellativo mi lascia senza fiato, con un’erezione


da paura, mentre mi perdo a sognare come l’ho scopata
sul divano della rimessa delle barche. Mi affretto a finire
di lavarmi i denti e a tornare da lei.

«Sai, non era questo lo svolgimento che avevo previsto


per la serata» le dico, irritato.
«Pensa se ti avessi detto che non potevi toccarmi» mi
dice lei, calma ma decisa.

Salgo sul letto e mi posiziono davanti a lei, a gambe


incrociate.

«Anastasia, ti ho avvertito. Cinquanta sfumature. Ho


avuto una dura introduzione alla vita… Meglio che tu non
sia informata di queste brutture. Perché dovresti?» le
chiedo.

“Se tu sapessi, Miss Steele, saresti già scappata da me”.

«Perché voglio conoscerti meglio»

«Mi conosci abbastanza».

“Il resto deve rimanere solo nella mia mente”.

«Come fai a dirlo?» mi incalza, mettendosi in


ginocchio di fronte a me.

Alzo gli occhi al cielo, esasperato dalla sua insistenza.

«Hai alzato gli occhi al cielo. L’ultima volta che l’ho


fatto io, sono finita sulle tue ginocchia» mi dice con una
calma puntigliosa.

«Oh, quanto vorrei rimetterti di nuovo in quella


posizione» sbotto sarcastico.

Sospira, animandosi.

«Dimmi quel che voglio sapere e ti do il permesso di


farlo»
«Cosa?»

Le sue parole mi lasciano esterrefatto. “Il permesso?


Tu dai il permesso a me, Miss Steele?”.

«Mi hai sentito» risponde maliziosa.

«Stai mercanteggiando?» le chiedo incredulo davanti


alla sua audacia.

Anastasia annuisce, sorridendo.

«Sto negoziando» mi dice poi.

«Non funziona così, Anastasia»

«D’accordo. Dimmelo e alzerò gli occhi al cielo»

Scoppio a ridere di gusto, lanciando la testa


all’indietro. ‘Magari non sarà una Sottomessa, Grey. Ma
spassosa è spassosa’. Mi rilasso e la guardo con un
sorriso.

«Sei sempre così curiosa» le dico.

Poi mi perdo di nuovo nei miei pensieri. “Non voglio


che la sua curiosità si spinga dove non dovrebbe. Ma non
voglio deluderla per la seconda volta in una sera. E poi ho
voglia di scoparla”. Prendo la mia decisione.

«Non muoverti» le dico, scendendo dal letto e uscendo


dalla camera. Salgo in fretta le scale che vanno al piano
superiore. Entro nel mio rifugio, assaporando l’odore di
sesso che ancora aleggia nell’aria. Da uno dei cassetti tiro
fuori le sfere d’argento che ho ordinato appositamente
per lei. In meno di trenta secondi sono di nuovo da lei,
ansioso di metterla alla prova. So che è tardi e domani ha
i colloqui, quindi non voglio strapazzarla troppo.

«A che ora è il tuo primo colloquio, domani?» le


chiedo.

«Alle due del pomeriggio» risponde, aggrottando le


sopracciglia, senza capire.

“Oh… bene”. Posso strapazzarla quanto mi pare e piace


allora. Le sorrido lentamente, maliziosamente.

«Bene»

Stringo forte il metallo tra le mie dita e il contatto


freddo e gelido mi fa ritrovare me stesso. Sono a mio agio
con tutto questo. Questo è quello che so fare. Che voglio
fare. Con lei. Raddrizzo le spalle, preparandomi a dirle ciò
che deve fare.

«Scendi dal letto. Mettiti qui» le ordino, indicandole il


pavimento. Obbedisce, senza replicare. Adoro questi
momenti, in cui riesco ad imbrigliare una lingua tanto
difficile da tenere a freno.

«Ti fidi di me?» le chiedo piano, senza smettere di


fissarla.

Annuisce senza replicare. Apro la mano e le mostro il


mio giocattolo erotico. Le due sfere d’argento, legate da
un filo nero e spesso, luccicano alla luce fioca della
lampada accesa.

«Queste sono nuove» le spiego, eccitato.


Anastasia mi guarda, la fronte aggrottata, gli occhi
confusi.

«Ora te le metterò dentro e poi ti sculaccerò, non per


castigo, ma per il tuo piacere, e il mio» mi interrompo,
dandole modo di assorbire la notizia, che è evidente
l’abbia scioccata.

Sussulta e la sento eccitarsi anche a distanza. “So che


lo vuoi, Ana. So che vuoi le mie mani su di te per farti
impazzire”.

«Poi scoperemo e, se sei ancora sveglia, ti darò qualche


informazione sugli anni della mia infanzia. Va bene?»

Le faccio questa piccola concessione, sapendo che ora


ho un nuovo motivo per scoparla fino a farle perdere i
sensi. Ma glielo devo. Per il modo in cui l’ho brutalmente
posseduta sul quel divano qualche ora fa. E per farle
superare lo scoglio della sculacciata. Ana non replica.
Riesce solo ad annuire.

«Brava bambina. Apri la bocca»

Obbedisce.

«Di più» le intimo.

Quando porta a termine il suo compito le infilo


delicatamente le sfere in bocca.

«Devono essere lubrificate. Succhia» le ordino


dolcemente.

Vederla in quello stato mi eccita. La sensazione di


dolore acuto al mio uccello mi sta uccidendo. Ho
un’erezione da paura. I miei occhi sono incollati ai suoi in
questo dolce tormento erotico. Freme, stringendo le cosce
e bramando di essere posseduta. Lo so. Lo sento.

«Stai ferma, Anastasia»

La lascio lubrificare le sfere fino a quando non penso


che sia abbastanza.

«Basta» le dico, togliendogliele di bocca. Mi dirigo


verso il letto, scostando la trapunta e sedendomi sul
bordo.

«Vieni qui» le ordino.

Esegue, piazzandosi si fronte a me.

«Ora girati, chinati in avanti e afferrati le caviglie»

Mi lancia uno sguardo stupito, mentre la guardo più


severo.

«Non esitare» la riprendo.

In realtà la mia voce è carica, oltre che di severità, a


anche dell’oscuro bisogno di farla esclusivamente mia. In
questo modo. Solo perché è lei. Prendo le sfere e me le
infilo in bocca. Sanno di metallo. E di lei. Senza fiatare,
scioccata dal mio gesto, si china in avanti, lasciando le sue
dita afferrare le sue deliziose caviglie. La mia t shirt le
scivola sulla pelle, sollevandosi e lasciando parte della
schiena nuda. Il suo bellissimo culo, fasciato dai
minuscoli slip azzurri è meravigliosamente vicino. Ho
voglia di morderlo. Ho voglia di farlo mio. Ho voglia di
tenerla in quella posizione una notte intera e farla
impazzire anche solo a furia di leccarla. Le mie mani
scivolano sulla sua pelle, accarezzandole le natiche
esposte. Il mio cazzo pulsa violentemente, ma
fortunatamente riesco ancora a tenerlo a bada.
Lentamente scosto gli slip. Il mio dito indice le sfiora
delicato e lento il sesso, scoprendola giù umida. Per me.
La consapevolezza di questo mi manda su di giri ogni
volta. Infilo il dito dentro di lei, che si contrae attorno ad
esso, risucchiandolo in una eccitante morsa. Inizio a
girarlo dentro di lei, piano, esplorandola e riempiendola
allo stesso tempo. É così stretta, serrata attorno al mio
indice che vorrei infilarci il cazzo dentro di lei e sentirla
avvilupparmi in quel modo, mentre le scendo in
profondità. Un gemito di puro godimento le esce di bocca,
mentre il suo corpo si tende tutto. Ora è bagnata,
ansimante per me. Questa consapevolezza mi lascia senza
fiato. Inizio ad ansimare anch’io, per la fretta di averla. Il
mio cazzo è ben visibile sotto la stoffa dei pantaloni grigi
del pigiama. E brama uno sfogo. Lentamente sfilo il dito e
lo sostituisco con le sfere d’argento, tolte dalla mia bocca.
Le rimetto a posto gli slip, senza riuscire a trattenermi dal
baciarle dolcemente il suo splendido didietro.

«Tirati su» le ordino, sapendo che ora inizierà a


percepirle.

La tengo per i fianchi mentre traballa. Per l’eccitazione


e per essere stata a testa in giù fino ad ora.

«Tutto bene?» le chiedo, desideroso di essere già al


passo successivo.

Un flebile si, che assomiglia più ad un gemito che ad


una risposta, le esce di bocca.

«Girati» le ordino.

Quando si volta a guardarmi vedo i suoi occhi


lussuriosi. Pieni di un bisogno pressante. Proprio come
me. Il suo corpo è teso, contratto grazie alla sensazione
delle sfere d’argento dentro di lei.

«Com’è?» le chiedo curioso.

«Strano»

«Strano bello o strano brutto?»

«Strano bello» confessa dopo un attimo di


smarrimento.

«Bene» le dico con l’ombra di un sorriso arrogante.

“Ora giochiamo”.

«Voglio un bicchiere d’acqua. Vai a prendermene uno,


per favore. E quando torni, ti sculaccio. Ricordatelo,
Anastasia»

Il solo fatto di averglielo annunciato mi fa indurire il


cazzo in un modo che non pensavo fosse possibile. Mi
accarezzo da sopra la stoffa leggera dei pantaloni,
cercando in qualche modo di darmi sollievo. Ma è inutile.
Fa male per quanto la desidero. Sempre. E il fatto che ora
stia per sculacciarla, non per punirla ma per farla eccitare
e godere, per me, è ancora più dolorosamente eccitante.
Con lei la mia mente non ha bisogno di fare giochetti
strani. Con lei è puro bisogno di sesso, di quello che ti
lascia senza fiato alla fine. Voglio vederla godere, non
soffrire. Anche quando mi sfida. L’unica punizione che
riesco ad infliggerle è vederla contorcersi sotto di me in
preda alla frenesia dell’orgasmo. Implorandomi di darle
di più. Non mi ricorda nessuno. Non lo faccio per lenire
nessuna ferita. Lo faccio e basta. Perché è lei. Apro il
cassetto del comodino e prendo un preservativo,
appoggiandolo accanto alla lampada. Quando rientra, con
l’acqua, la guardo attentamente. Come prevedevo il
movimento delle sfere, mentre camminava, le ha fatto
montare dentro un desiderio assurdo. É arrossata in viso,
tesa e con uno strano luccichio negli occhi. Mi tende il
bicchiere, mentre le sue dita si stringono attorno al vetro
e gli occhi si socchiudono per un attimo.

«Grazie» le dico, prendendolo e bevendo un piccolo


sorso d’acqua.

Poi lo poggio sul comodino, accanto al preservativo.


Guardandola fisso negli occhi la faccio avvicinare.

«Vieni. Mettiti vicino a me. Come l’altra volta» le


ordino.

Si avvicina piano e riesco a percepire quasi le sue


pulsazioni accelerate. É eccitata. E tanto. Voglio che mi
implori di sculacciarla. Di farla mia. Ho bisogno di sapere
che non sono l’unico a volerlo in questo modo.

«Chiedimelo» le mormoro.

Aggrotta la fronte ma rimane in silenzio.

«Chiedimelo» le intimo più severo.


Inala a fondo, guardandomi confusa, senza capire.

«Chiedimelo, Anastasia. Non voglio ripeterlo di


nuovo»

Il mio tono è volutamente duro, sferzante come il colpo


di frustino che oggi ha arrossato duramente la sua pelle
più volte. E l’effetto è quello desiderato. Capisce a cosa mi
riferisco.

«Sculacciami, per favore… signore» le sento


mormorare alla fine.

Chiudo gli occhi e per un attimo mi sento in paradiso.


E poi all’inferno, trascinato giù dal mio cazzo che freme.
Devo prenderla. Ora. Le prendo la mano sinistra e la tirò
violentemente sulle mie ginocchia. Freneticamente la
aggiusto, mettendola nella posizione giusta. Le metto i
capelli dietro le orecchie e poi glieli afferro sulla nuca,
strattonandogli piano la testa all’indietro

«Voglio vederti in faccia mentre ti sculaccio,


Anastasia» le mormoro eccitato, mentre le massaggio le
natiche.

Il mio uccello fa male. Le sbatte contro la pancia e


vorrebbe già essere dentro di lei. Lascio scivolare la mano
destra nella fessura delicata tra suoi glutei e la premo
contro il suo sesso. Le sue mutandine sono zuppe. Geme
sonoramente. “Oh, sì”.

«Questo è per il nostro piacere, Anastasia, il mio e il


tuo» le sussurro, temendo di perdere anch’io il controllo.

Alzo la mano e poi le assesto uno schiaffo sonoro, ma


non doloroso, proprio nella fessura tra le cosce e il sedere,
colpendo il suo sesso bagnato e in preda al desiderio. Il
volto le si contrae, per il desiderio sfrenato. Torno ad
accarezzarla, in preda ad una frenesia isterica. So che la
stoffa le provoca un maggiore attrito sulla pelle. E la
sensazione è eccitante per lei. I miei occhi sono famelici,
in attesa del momento in cui potrò farla mia. La colpisco
di nuovo. E geme di nuovo. Inizio a colpirla
ritmicamente, alternando la sonorità delle sculacciate,
regolate in modo da non farle male, e le carezze leggere
della mia pelle sulla sua. Lo schema è definito. Sinistra,
destra e infine in basso. La sento sempre sussultare per
questi ultimi colpi, a causa delle sfere che si muovono
dentro di lei. Sono eccitato, bramoso, non riesco a
trattenere la furia del mio respiro e l’imperante dolore
fisico dovuto all’erezione schiacciata dal suo ventre e alla
consapevolezza dei suoi gemiti carichi di lussuria. Il suo
corpo è un fascio di nervi tesi, così come il mio. Mi fermo
e le sfilo le mutandine, impregnate dei suoi umori. Il suo
sedere si solleva, inaspettatamente, cercando il contatto
con la mia mano, desiderando di essere arrossato da me e
dal mio incontrollabile desiderio. Riprendo il ciclo da
capo, stimolando con colpi leggeri la sua pelle già
sensibile e poi acuendo la pressione a mano a mano che
vado avanti. Sono una furia, ho solo voglia di fotterla
senza pietà.

«Brava bambina» le ringhio contro la pelle,


avvicinandomi al suo orecchio, mentre ancora le stringo i
capelli con una mano.

E quando decido che è pronta, che è al limite, strattono


fuori da lei le sfere d’argento. Urla, in uno spasmo
preorgasmico. La sbatto sul letto in fretta, afferrando la
confezione del preservativo e strappandola furiosamente.
Sfilo i pantaloni e lo srotolo sul mio cazzo in fiamme. Mi
sdraio di fianco a lei e il suo sguardo per un attimo mi
colpisce. Mi guarda adorante. É evidente che per lei
esistono solo le mie carezze, solo le mie voglie da
soddisfare. É evidente che per lei ci sono stato e ci sono
solo io. Il pensiero mi calma come non avrei mai pensato
fosse possibile. ‘Perché sei così pieno i dubbi, Grey? Con
le altre speravi trovassero qualcun altro, lasciandoti in
pace. Cos’ha lei di diverso?’. La fisso per qualche secondo,
mentre prendo le sue mani e gliele porto sulla testa,
tenendole ferme con le mie in modo che non possa
toccarmi e coprendo il suo corpo con il mio. I nostri calori
si fondono. E io capisco. “Lei ha me. Completamente ed
inesorabilmente. Mi possiede, come io possiedo lei. Ecco
cos’ha di diverso”. Con uno studiato movimento di bacino
la penetro in profondità, lentamente e dolcemente,
lasciando entrambi assaporare quel momento tanto
agognato. Anastasia si inarca contro il mio corpo,
gemendo forte il suo piacere.

«Oh, piccola» le mormoro contro le labbra.

Inizio un lento movimento cadenzato. Dentro e fuori


da lei, affondando inesorabilmente sempre più a fondo ad
ogni colpo. Voglio sentire tutto quello che mi sto
prendendo e, allo stesso modo, voglio che lei senta tutto
quello che le sto dando. Pochi attimi e l’orgasmo la
travolge, violento, lussurioso, spossante e frenetico. Si
stringe intorno a me, alla mia erezione e sono perso
anch’io. Sprofondo dentro di lei, nel suo sesso bagnato e
fremente. E la spaventosa calma del mio orgasmo mi
colpisce.
«Ana!» ansimo, con la voce spezzata dallo sforzo fisico
e dalla meraviglia.

Resto per qualche attimo in silenzio, cercando di


calmare il mio respiro, mentre lei fa lo stesso. Le nostre
mani sono ancora intrecciate, al di sopra della sua testa.
Sono perso. Sono perso in lei, di lei, per lei. Quando credo
di aver recuperato la mia stabilità mi tiro indietro,
guardandola.

«È stato fantastico» ammetto con un sussurro,


sigillandole la bocca con un bacio veloce.

Mi alzo, coprendola con la trapunta e mi dirigo in


bagno per prendere una lozione con la quale lenire il suo
dolore al sedere.

«Girati dall’altra parte» le ordino dolcemente.

Obbedisce riluttante, sdraiandosi sulla pancia e


offrendomi una nuova visione del suo fantastico sedere
rosso.

«Hai il sedere di un bellissimo colore» le dico con


soddisfazione, mentre le massaggio le natiche.

«Vuota il sacco, Grey» mi risponde cruda,


sbadigliando.

«Miss Steele, tu sì che sai rovinare la poesia di un


momento» le rispondo sarcastico.

«Avevamo un patto»

«Come ti senti?»
Ignoro volutamente la sua domanda.

«Fregata» mi risponde cinica.

“Ok, non andremo da nessuna parte così”. Sospiro,


sdraiandomi accanto a lei. La prendo tra le braccia e mi
stringo a lei. Il mio corpo contro la sua schiena. Sto bene
attento a non strofinarmi contro il suo sedere ancora
rosso. Inalo il suo profumo e le deposito un piccolo bacio
dietro l’orecchio. Ho deciso di concederle un minimo,
quel tanto che basta per evitare domande future. ‘Io non
credo eviterai future domande, Grey’. “Già. Neppure io.
Ma le ho dato la mia parola”. Sospiro pesantemente.

«La donna che mi ha messo al mondo era una puttana


drogata, Anastasia. Dormi, adesso»

L’ammissione mi costa una fatica e un dolore immensi.


Saperlo è un conto. Dirlo ad alta voce, a lei soprattutto, è
un altro. La sento sussultare e penso che da queste poche
parole lei possa capire tutto e mandarmi al diavolo. Si
stringe tra le mie braccia.

«Era?» chiede.

«È morta» le dico semplicemente.

«Da quanto tempo?»

Sospiro di nuovo. Da sempre. Da quando io ho iniziato


a vivere. É stata sempre morta. Non è mai stata mia
madre.

«È morta quando avevo quattro anni. Non la ricordo


bene. Carrick mi ha raccontato qualche particolare. Io
rammento solo certe cose. Ti prego, dormi, adesso»

E finalmente mi dà tregua.

«Buonanotte, Christian» sussurra.

«Buonanotte, Ana»

E si addormenta in meno di qualche secondo.


Lasciandomi ancora una volta pieno di incertezze e in
preda alla confusione.
Capitolo 21
La sensazione di calore del suo corpo non riesce a
farmi cadere addormentato. É qui, non è scappata come
temevo al solo sentire nominare le briciole del mio
passato che le ho svelato. ‘Come hai potuto, Grey? Lo sai
che ora non siamo più in due ma in tre a sapere il tuo
lurido segreto?’. Lo so. Certo che lo so. Quello che non so
è cosa mi abbia spinto a farle una confidenza del genere.
Forse il fatto che nella mia testa si sta profilando l’idea di
averla con me per sempre? Di legarla a me con un pezzo
di carta a vita? Come potrei chiederle un sacrificio del
genere. Ho acconsentito a darle di più, ma so da solo che
è un bluff. Io non sono in gradi di darle di più. Sono in
grado di farla godere come nessun uomo ha mai fatto,
però. ‘Oh, bella prova Grey. Sei il suo unico uomo’.
Quando sento il suo respiro farsi regolare, sfilo le braccia
dal suo corpo e scendo dal letto. Mi infilo i pantaloni del
pigiama. Ho i muscoli del corpo stanchi e indolenziti da
tutto il sesso fatto oggi. Con nessuna ho mai esagerato
tanto. A terra, come una dolce provocazione, i suoi slip. Li
raccolgo, insieme alle sfere d’argento. Li annuso e l’odore
della sua libido mi eccita da morire. Meglio allontanarmi,
prima di svegliarla e scoparmela di nuovo. Salgo al piano
superiore e porto le sue mutandine azzurre in lavanderia,
con gli altri abiti che Mrs Jones provvederà, come sua
abitudine, a lavare ed asciugare domattina prestissimo. Il
richiamo della mia stanza segreta è troppo forte. Devo
entrarci. Apro piano la porta come se dentro potessi
trovare qualcosa di diverso dal solito scenario abituale. E
in effetti è così. Il suo odore aleggia ancora nell’aria. Il
nostro odore. Di sesso, di lussuria sfrenata, di piena
fusione di due anime erranti in modo diverso. Sento che
siamo entrambi alla ricerca di qualcosa. E temo di aver
trovato in lei quello che cercavo. Quello che volevo da una
vita. Ma lei? Sono io quello che sta cercando? Vorrei poter
dire di sì. Vorrei osare sperare che la risposta a questa
domanda sia sì. Ma non è così. Lo so. Lo so bene. A terra
giace ancora la fascetta stringi cavo tagliata in due che ho
usato per legarle i polsi. La raccolgo e la accarezzo. Il mio
sguardo si fissa sulla colonnina di legno del letto attorno
alla quale le ho visto stringere le dita mentre la scopavo
da dietro, penetrandola sempre più a fondo. Mi eccito
immediatamente al ricordo. Mi giro intorno, guardando
tutto quello che conosco da una vita. Posso davvero
offrirle questo? Nella mia testa l’immagine del suo
splendido sorriso, di lei che getta la testa all’indietro
ridendo come una scolaretta felice, non mi lascia in pace.
“Perché non sei come tutte le altre? Perché non sei solo
un fantoccio bruno con il quale posso sfogare la mia
rabbia repressa?”. Anastasia è l’unica che ho mai davvero
voluto. E l’unica che non ho cercato. É arrivata da sola.
Come una fresca brezza estiva, come la pioggia in un
periodo di siccità. É arrivata e io non riesco a smettere di
abbeverarmi alla sua fonte. Ma io non sono quello di cui
lei ha bisogno. Io sono un uomo distrutto. Un orribile
mostro. Io sono questa stanza. Uno strumento di dolore
per lei che è la vittima sacrificale prescelta. Getto con
noncuranza la fascetta e le sfere d’argento sul letto ed
esco chiudendomi la porta velocemente alle spalle. Ho il
fiato corto e un dolore al petto, ad ogni singola cicatrice,
ovunque. Non voglio perderla. Devo averla. Non riesco ad
immaginare un solo istante senza di lei. Devo riuscire a
farle accettare quello che sono. Scendo velocemente le
scale e torno in camera. Senza fare rumore riprendo il
posto che avevo lasciato, accanto a lei. La stringo forte.
Mugola nel sonno, si muove per un attimo. Sussulto al
suono della sua voce.

«Voglio toccarti…»

Si agita, mentre la giro verso di me, allontanandomi.


Gli occhi sono chiusi. Sta sognando. Le sue bellissime
labbra si increspano.

«Ti prego… lascia che ti tocchi... solo un attimo… solo


uno...»

Inspiro bruscamente. Serro gli occhi e mantengo la


distanza da lei. Quando li riapro lei gira la testa sul
cuscino, cambiando posizione del corpo. Non so per quale
motivo, non so cosa mi spinga a farlo. Lentamente
allungo una mano, afferrando dolcemente la sua. Piano,
come se fosse di cristallo, la sposto verso di me. Ho la
maglietta e lei non è cosciente. Voglio solo… voglio solo
sapere se forse… Prima che possa formulare un pensiero
coerente, la sua mano si poggia sul mio torace coperto
dalla maglietta. Il dolore è acuto, intenso, immediato. Ma
non è solo. C’è altro. Un calore inaspettato, confortante,
che mi manda in delirio. Contraggo la mascella, fino a
quando mi è possibile resistere. Pochi attimi e lascio
ricadere la sua mano sul lenzuolo. Scendo dal letto e mi
allontano da lei. Esco dalla stanza e vado in salotto. Mi
lascio cadere sul divano, chiudendo gli occhi e
sopprimendo ogni pensiero. Ho solo una certezza. Lei
non è come le altre. Lei non è come la puttana drogata.
Lei è calore, speranza. Lei è la luce. Eppure quella luce fa
male.

Dopo una doccia rinfrescante, mi vesto e sono pronto


per una giornata di lavoro intenso. Non ho praticamente
chiuso occhio, ma non sono stanco. Anzi, direi che sono
ben sveglio. Prima di uscire dalla camera appendo i suoi
abiti puliti e stirati nella cabina armadio. É una cosa
nuova per me. Come è una cosa nuova trovare una donna
nel mio letto, lasciarla dormire accanto a me, lasciarla
avvolgersi nelle mie lenzuola. E non riuscire a fare a
meno di tutto ciò. Apro il comodino e prendo una
preservativo, infilandolo in tasca. Con lei ho imparato che
non so mai quando mi viene voglia di scoparla. Meglio
essere sempre pronti. Scuoto la testa, scrollandomi di
dosso quei pensieri e approdo in salotto, con uno sguardo
duro e determinato.

«Desidera fare colazione ora, Mr Grey?»

La voce di Gail mi coglie di sorpresa.

«Grazie, Gail, ma preferisco aspettare che Miss Steele


si sia alzata. Sono nel mio studio»

Mrs Jones mi sorride, mentre la oltrepasso e mi fiondo


nel mio ambiente naturale, circondato dal mio lavoro. La
relazione che Ros mi ha inviato per mail, sull’acquisizione
del cantiere navale a Taiwan cattura tutta la mia
attenzione per diversi minuti. La controllo e ricontrollo,
cercando di valutarla a fondo. Il rendiconto economico
non è dei migliori. Non ancora per i miei gusti. Ad
interrompermi è lo squillo del mio telefono.

«Grey» rispondo freddamente.

«Buongiorno, Mr Grey. Sono Andrea. Volevo ricordarle


gli appuntamenti della giornata»
Esita. A quest’ora dovrei essere già in ufficio. E invece
sono comodamente seduto sulla mia poltrona. Mentre di
là, nel mio letto, una fantastica bruna sexy e impertinente
dorme tranquillamente. Quasi per un senso di dovere, mi
alzo e mi avvicino alla finestra. Sotto di me si estende
Seattle in tutto il suo splendore mattutino.

«Più tardi, Andrea. Ho bisogno di parlare con Ros» le


dico seccamente.

«Come desidera, Mr Grey»

Attendo in linea una manciata di secondi prima che la


voce della mia socia in affari.

«Grey, hai letto la relazione che ti ho inviato?»

Diretta, efficiente. Proprio come me.

«Certo, ma non mi convince. Finché il conto


economico della società non migliora, non sono
interessato, Ros. Non possiamo farci carico di un peso
morto»

«Che diavolo dici, Grey? C’è da guadagnarci un sacco


in questo affare. Diminuiremmo comunque di molto i
costi. Magari per i primi mesi staremmo più attenti ai
costi di gestione. Marco ha preparato un piano di rientro
economico, non possiamo aspettare ancora, non
cederanno più alle nostre condizioni…»

«Basta con queste scuse inconsistenti» la interrompo


diretto. «Di’ a Marco di chiamarmi, o così o niente»
«Come vuoi, Christian» Ros sospira, rassegnata. «Hai
visto il file sul nuovo sistema di allarme per la Grey
Enterprises?»

«Sì, di’ a Barney che il prototipo sembra buono, anche


se l’interfaccia non mi convince del tutto»

«Vuoi rivederlo con lui?»

«Sì»

«Anche questo è tutto da rifare come l’ultimo, Grey?»


mi chiede sarcasticamente Ros.

«No, è solo che manca qualcosa. Voglio incontrarlo


oggi pomeriggio per discuterne… Anzi, potremmo fare un
brainstorming, con lui e il suo team»

«Faccio in modo di inserirlo in agenda»

«Bene. Ripassami Andrea»

Mentre aspetto, una sensazione di formicolio mi


invade. É come se stesse per accadere qualcosa.

«Mr Grey, dica pure»

«Andrea...» le parole mi si mozzano in gola mentre mi


giro per tornare alla mia scrivania e la vedo.

Ha i capelli scarmigliati e indossa solo la mia t-shirt


bianca, che tenta di tirare il più possibile verso il basso.
Mi sembra di avere già vissuto questa scena. Quella
mattina all’Heathman. La prima mattina in cui si è
svegliata nel mio letto. Sembra una vita fa. La guardo
sorridendole in modo perverso, mentre sento il mio
uccello animarsi nelle mie mutande e immediatamente
fare di tutto per farsi notare da sotto i pantaloni neri. La
fisso spudoratamente negli occhi, senza abbandonare la
mia espressione lasciva, mentre continuo a parlare con
Andrea.

«Stamattina cancella tutti i miei impegni, ma fammi


chiamare da Bill. Sarò in ufficio alle due. Oggi pomeriggio
devo parlare con Marco, ci vorrà una mezz’ora almeno…
Metti in agenda Barney e la sua squadra dopo Marco o al
massimo domani, e trovami un buco per vedere Claude
entro la settimana»

Continuo a snocciolare ordini ad Andrea su come


spostare gli appuntamenti sulla mia agenda, quasi come
se fossero i pezzi di una scacchiera. Le presto poca
attenzione, attratto come sono da quella splendida
ragazza che mi fissa intimorita, con le dita avvinte all’orlo
della sua t-shirt e lo sguardo bruciante ed eccitato. Il
pensiero che lei voglia essere scopata ancora e ancora, per
tutta la vita, da me, mi fa gonfiare il petto di uno strano
sentimento misto all’orgoglio e al compiacimento.

«Mr Grey, è stata richiesta la conferma della sua


partecipazione all’evento di sabato sera?»

Andrea cattura la mia attenzione.

«Quale evento?»

«Lo spettacolo teatrale a Portland, seguito dalla cena


di beneficenza presso l’Heathman Hotel, sabato
prossimo»

«Sabato prossimo… Aspetta un attimo»

Questi eventi noiosi a cui non mi va mai di partecipare.


Ma magari con Anastasia… potremmo divertirci.

«Quando torni dalla Georgia?» le chiedo, diretto.

«Venerdì» mi risponde Ana, titubante.

«Avrò bisogno di un biglietto in più perché ho una


compagna»

«Mi scusi, Mr Grey, ha detto una compagna?»

La sorpresa è evidente nella sua voce.

«Sì, Andrea, è quello che ho detto, una compagna, Miss


Anastasia Steele verrà con me… È tutto»

Riattacco senza darle modo di aggiungere altro.


Concentro la mia attenzione su Anastasia.

«Buongiorno, Miss Steele» le dico con un sorrisetto,


ammirandola da capo a piedi in tutta la sua semi nudità.

«Mr Grey» mi saluta, timida come sempre.

Faccio il giro della scrivania, colmando la distanza che


ci separa in meno di tre secondi. Le vado incontro,
mentre lei rimane ferma, troppo timorosa per emettere
anche solo un suono. Mi fermo un attimo prima di
stringermela contro. É un’irresistibile attrazione quella
che provo per lei. E non riesco a domarla. “Che cazzo mi
sta succedendo?”. Con uno sforzo immenso riesco a
toccarle solo la guancia, con le dita.

«Non ho voluto svegliarti, sembravi così tranquilla.


Hai dormito bene?» le chiedo dolcemente.

«Mi sento molto riposata, grazie. Volevo solo salutarti


prima di farmi una doccia» mi risponde, senza
abbandonare il velo di timidezza che fa da contrasto con
la sua mise.

Mi lancia uno sguardo voglioso, che la dice lunga su


quanto vorrebbe tornare a letto, di là. Con me. E non
riesco a resistere a quello sguardo. La attirò dolcemente
al mio corpo e la bacio. Piano, con lentezza. Assaporando
ogni parte della sua bocca, di lei. Anastasia mi sorprende.
Invece di rispondere solamente al bacio, mi getta le
braccia attorno al collo, premendosi su di me e
accendendo il mio già impetuoso desiderio. Le sue dita
vagano tra i miei capelli, si intrecciano, stringono.
Rimango per un attimo spaesato dal suo attacco. Poi la
sento gemere piano nella mia bocca. E la mia libido si
scatena. Gemo anch’io, in risposta al suo suono così
voluttuoso e sexy. Lascio scivolare la mia mano tra i suoi
capelli, mentre la mia lingua la assapora vorace. Scendo
lungo la sua spina dorsale con una carezza volutamente
lenta e sensuale. E infine arrivo al suo meraviglioso
sedere, nudo sotto la mia t-shirt. La stringo di più a me e
il mio cazzo punta contro il suo ventre, anelando sollievo.
Il pensiero di quanto riesca a farmi perdere il mio
prezioso autocontrollo mi colpisce veloce come un treno.
Mi allontano a stento, continuando a tenere i nostri corpi
vicini, guardandola con gli occhi socchiusi e il respiro un
po’ corto.

«Bè, il sonno sembra farti bene» mormoro. «Ti


consiglio di andare a fare la doccia, se non vuoi che ti
prenda su questa scrivania» le dico arrogante, cercando
di farla sentire a disagio almeno quanto mi ci sento io ora.

La sua risposta mi spiazza completamente.

«Scelgo la scrivania» mi dice in un sussurro, con il


respiro affannato e una palese eccitazione.

La guardo, per qualche attimo senza parole. La sua


sfacciataggine, la sua dolce impertinenza mi lasciano
attonito. Tento di riprendermi, scuotendo piano la testa.

«Ci stai prendendo gusto, vero, Miss Steele? Stai


diventando insaziabile» la prendo in giro, accarezzandole
la schiena con le mani.

Questa situazione è nuova. Lei che chiede e, temo,


ottiene di essere scopata. ‘Dov’è finito Christian-
Controllo-Tutto-Io-Grey ?’. Già, vorrei saperlo.

«Sto prendendo gusto solo a te»

Ancora una volta la sua risposta mi manda al tappeto.


“Sì, Miss Steele. Sei mia. Devo esserci solo io per te. Solo
e sempre io”. Spalanco gli occhi, mentre le mani
scendono sul suo fantastico culo nudo, palpandola e
stringendomela contro il mio corpo. La mia poderosa
erezione spinge contro di lei, strusciando contro la stoffa
dei miei pantaloni. La voglia è al limite. Non può farmi
questo effetto. Non posso essere io a cedere. Ma il mio
pensiero nasce e muore in questo modo. Mi rendo conto
che può. Lei può farlo. Ma non può essere così facile.
“Bene, Miss Steele. Mi vuoi? Allora mi prenderai tutto”.

«Ben detto, solo a me» gemo contro una sua guancia.

Faccio un leggero passo indietro e con un solo


movimento del braccio sgombero la scrivania lasciando
cadere a terra fogli, documenti importanti, penne e
cartelline. Crolla tutto a terra, come le mie certezze in
questo momento. Ma non mi importa. Voglio solo
entrarle dentro e dimostrarle che sono ancora io che
comando. Anche se ho ceduto a lei. La stendo sulla
scrivania, sistemandola alla meglio.

«Detto fatto, piccola» le mormoro.

Estraggo dalla tasca il preservativo che, come


prevedevo, si è dimostrato utile presto. Lo estraggo dalla
bustina e, senza smettere di fissarla, tiro giù la cerniera
dei pantaloni. Quel suono, nel silenzio totale in cui siamo
immersi, concentrati a guardarci negli occhi, risulta di un
erotico indescrivibile. Tutto questo è fottutamente
eccitante. Vederla sotto di me, vogliosa di essere scopata
su un tavolo, a gambe aperte. Srotolo il preservativo sul
mio cazzo in fiamme, lentamente, massaggiandolo e
dandogli un briciolo di sollievo. Sono così fottutamente
eccitato che anche solo il mio tocco, mentre lei mi guarda
da quella posizione, potrebbe farmi venire.

«Voglio sperare che tu sia pronta» le dico ansimando,


sorridendole da bastardo arrogante.

Senza preavviso, senza sincerarmi che lei sia pronta


davvero, le blocco i polsi i lati del corpo e la penetro in un
solo colpo. Spero di farle male. Spero che capisca che
sfidarmi non la porterà a niente di buono. Anastasia geme
di sollievo, di voglia, di lussuria. Si inarca sulla scrivania,
accogliendomi fino in fondo. E la scoperta che ho appena
fatto mi lascia fuori di me.

«Cazzo, Ana, sei pronta, eccome» le mormoro, con la


voce piena di adorante meraviglia.

Non solo è pronta per me. É completamente bagnata.


Eccitata. Mi vuole. Mi vuole davvero. Anche per lei è lo
stesso. Anche lei non riesce a non desiderare il mio corpo.
Nonostante i miei timori, le mie paure, le mie incertezze,
tutto questo caos e questa merda che mi porto dietro da
una vita. Nonostante abbia visto. Nonostante le abbia
detto di mia madre. Nonostante tutto. Anastasia si
muove, avvolgendomi con le sue gambe ed attirandomi
ancora più a fondo dentro di lei. La consapevolezza che lei
mi desideri fino a questo punto, nonostante tutto, mi fa
perdere il controllo. Mi muovo su di lei, dentro e fuori il
suo sesso bagnato e voglioso, come una furia. Sono un
animale selvaggio che cerca di domare un altro animale
selvaggio. In questo momento siamo qui perché lo ha
voluto lei. Io lo desideravo. Ma è lei che lo ha voluto. Lo
ha chiesto ed ottenuto. “Mi vuoi, Miss Steele? E allora
prendimi. Prendimi tutto. Prendimi fino a perdere la
ragione”. Affondo dentro di lei con colpi duri e decisi,
senza riuscire a domare la mia libidine scatenata. I suoi
gemiti di puro piacere mi infiammano ancora di più. “Ti
sto fottendo, Anastasia. E senza pietà”. Sono brutalmente
eccitato. Il mio cazzo è in fiamme dentro di lei, che lo
avvolge calda e umida. La inchiodo alla scrivania con
colpi duri, decisi. E lei non si lamenta, anzi. Le piace. Le
piace che io la tenga ferma e la scopi di santa ragione, in
questo modo così possessivo e carnale. Voleva questo sin
dall’inizio. Sin da quando mi ha guardato negli occhi
questa mattina. La lussuria che leggo nei suoi occhi mi
appaga e si fonde con la mia, con i miei colpi cadenzati
che non lasciano un millimetro delle nostre carni distanti
tra loro. Sono tutto dentro di lei mentre la sento gemere
forte, sempre più vicina al piacere. Muovo i fianchi,
roteandoli e riaffondo nuovamente in lei. Più forte.
Chiude gli occhi, godendosi le mie potenti spinte che la
spostano sul piano della scrivania. Il silenzio tra di noi,
rotto solo dai nostri respiri, viene spezzato da un gemito
sonoro ed assordante. Anastasia è al limite. E io con lei.
Aumento il ritmo, spingendo sempre più forte. I nostri
corpi si irrigidiscono. Sto per venire . Ma voglio che anche
lei perda il controllo. Lo voglio con tutto me stesso.

«Su, piccola, lasciati andare per me» mormoro a


stento.

E viene. Impetuosamente. Dandomi il suo orgasmo


deciso, forte e intenso. E io la seguo allo stesso modo,
spingendomi dentro di lei e stringendole i polsi con le mie
mani. É come se per un attimo i nostri corpi fossero fusi
ed estraniati da noi stessi al tempo stesso. La sento
dentro di me. Sento che mi sta squarciando l’anima. Mi
accascio su di lei, mentre entrambi ci riprendiamo
dall’orgasmo. La sbircio di sottecchi, strofinando il mio
naso sulla pelle morbida e sudata del suo collo.

«Che diavolo mi stai facendo?» mormoro, in un misto


di piacere e sorpresa. «Mi hai completamente sedotto,
Ana. Devi avermi fatto un incantesimo»
Lascio i suoi polsi, che ancora stringevo con forza. Le
sue mani corrono subito verso i miei capelli,
accarezzandoli e pettinandoli all’indietro. Le sue gambe
salgono e si stringono accanto a me. Sono in uno stato
come di trance, con lei che mi ha appena posseduto. E ora
continua a farlo. Sono completamente suo in questo
momento.

«Sono io, quella sedotta» mi sussurra piano, contro la


testa.

Alzo lo sguardo, fissandola con sconcerto. “Non posso.


Non puoi legarti a me. Non puoi volermi in questo modo
così intenso. Ti farò solo del male”. Vorrei dirle tutto
questo, mentre guardo la sua espressione appagata e
sento la sua serenità. Ma invece riesco solo a non volere
che mi lasci. Le afferro la testa con le mani.

«Tu. Sei. Mia» le dico, guardandola dritto negli occhi,


come per imprimerle questa affermazione nella testa.
«Chiaro?»

Mi guarda adorante, sorpresa.

«Sì, tua» mormora piano.

Ho già voglia di prenderla di nuovo. So che non mi


basterà il solo weekend, che sono pronto a passare ogni
minuto con lei, senza lasciarla. Senza farla allontanare.
Potrei tranquillamente passare la mia vita così, affondato
dentro il suo morbido sesso bagnato e pulsante. E invece
andrà via da me per giorni. Non voglio. Non dopo questo.
“Ti prego. Ti prego, dimmi che hai cambiato idea”.
«Sei sicura di dover andare in Georgia?»

Involontariamente mi premo di più contro di lei,


lasciando che la mia erezione affondi tutta dentro di lei di
nuovo. ‘Inchiodarla alla scrivania, Grey, non la inchioderà
a te per tutta la vita’. Anastasia annuisce, piano, come se
percepisse la mia paura e avesse a sua volta paura della
mia reazione. E di fatto il mio sguardo si fa di ghiaccio.
Scivolo in fretta fuori da lei, senza alcun riguardo. La
sento sussultare. “Bene”. Reggendomi sulle mani, mi
chino su di lei.

«Ti fa male?» le chiedo, arrogante.

«Un po’» ammette, in imbarazzo.

«Mi fa piacere» le sibilo contro, guardandola truce.


«Così ti ricordi dove sono stato. Solo io»

“E cerca di ricordartelo sempre, Miss Steele. Anche in


quella fottuta Georgia”. Le afferro il mento e la bacio
rude, ringhiandole contro le labbra la mia rabbia. Poi la
lascio, rialzandomi e tendendole la mano. Piano mi
concede la sua, tirandosi su. Rimane seduta sulla mia
scrivania, dondolando le gambe.

«Sempre preparato» mormora, improvvisamente a


disagio.

La guardo, senza capire, mentre mi tiro su la zip. Poi


lascio cadere lo sguardo sulla bustina vuota del
preservativo appena usato che sta guardando e che
prende in mano per farmela vedere.
«Un uomo può sperare, Anastasia, persino sognare, e a
volte i sogni si realizzano» le dico, soprappensiero.

“É quello che è successo con te, piccola”. Prima di


conoscerla non sapevo di essere in grado di sentire questo
calore dentro di me. Non sapevo di poter provare affetto,
tenerezza verso una donna che non fosse mia madre o
mia sorella. Non esisteva nessuno in grado di farmi
sentire in questo modo. Poi è arrivata lei, è caduta nel mio
ufficio e io mi sono sentito stravolto. Diverso. Un uomo
nuovo. A volte, anche se faccio fatica a crederlo io per
primo, anche un uomo intero.

«Dunque, sognavi di farlo sulla tua scrivania?» mi


chiede con un tono strano, che nasconde chissà quale
sentimento improvviso.

Fastidio, forse? Cosa crede? Che me ne vada in giro a


scopare con chiunque? “Voglio solo te, Anastasia.
Sempre. E devo essere preparato a questo se voglio
andare avanti”. Le sorrido enigmatico. “Non sei di certo la
prima che mi scopo sulla scrivania, Miss Steele. Ma
nessuna è mai stata come te, Ana”. Lei lo capisce e
sembra addolorata. Si muove a disagio, scendendo dalla
scrivania e allontanandosi verso la porta.

«È meglio che vada a farmi una doccia» mi dice, con lo


sguardo basso e un tono mesto.

Mi passo una mano nei capelli. ‘Grey, meriteresti un


oscar per come la tua fottuta arroganza riesca a rovinare
tutto a volte’. La guardo e sento il bisogno di correrle
dietro e stringerla a me. Ma non posso. Non devo. Rialzo
la testa. Anastasia deve capire che sono io che comando.
‘E ne sei ancora convinto, Grey? La ragazzina ti ha appena
sedotto e si è fatta scopare sulla tua scrivania proprio
come voleva’. “Ok. Devo prendere le distanze da lei.
Almeno per un attimo”.

«Devo fare ancora un paio di telefonate. Vengo a fare


colazione con te appena esci dalla doccia. Penso che Mrs
Jones abbia lavato i tuoi vestiti di ieri. Sono nella cabina
armadio» le dico seccamente.

Anastasia arrossisce di colpo, imbarazzata. “Cosa c’è,


stavolta?”.

«Grazie» mormora di rimando.

«Non c’è di che» le dico in automatico.

“Per cosa, Ana? Sono io che ringrazio te. Per avermi


fatto scoprire un mondo nuovo. Il tuo. Anche se questo
mondo mi sta allontanando dal mio e dalle mie certezze.
Cristo santo!”. La guardo, aspettando che esca dalla
stanza, ma invece lei rimane lì impalata, con la fronte
aggrottata a pensare a chissà cosa.

«Cosa c’è?» le chiedo.

«Cosa c’è che non va?» mormora piano in risposta.

«In che senso?» le chiedo senza capire.

«Non so… mi sembri più strano del solito»

«Mi trovi strano?»


Cerco di soffocare un sorriso divertito, fallendo.

«A volte» risponde sarcastica.

Sospiro profondamente. “Strano? Anche io mi trovo


strano, Anastasia. Mi sento fuori luogo in questo
momento. Sento che mi sto avviando verso qualcosa di
nuovo. E questo mi spaventa. Tu sei tutto quello che avrei
mai potuto desiderare dalla vita. Tu sei tutto quello di cui
ho bisogno. Eppure sento che non riuscirò mai a tenerti
legata a me. A sottometterti e a convincerti che io voglio
solo il meglio per te e per questo puoi abbandonarti
ciecamente a me. Però poi succede questo. E sento che mi
vuoi. Mi desideri. Con la stessa intensità con cui io
desidero te. E questo mi rende felice”.

«Come al solito, mi sorprendi, Miss Steele» mormoro,


scuotendomi dai miei pensieri.

«In che modo?» mi chiede curiosa.

«Diciamo che si è trattato di un godimento


imprevisto» le dico, senza svelarmi troppo.

«Il nostro scopo è il piacere, Mr Grey»

Piega la testa di lato, rifacendomi il verso e mi sorride.

«E tu sai come darmelo» mi lascio sfuggire ad alta


voce. “Merda!” «Pensavo che stessi andando a farti una
doccia» aggiungo in fretta.

«Sì… ehm, ci vediamo fra poco»


Si volta ed esce in fretta, lasciandomi da solo. Sospiro
pesantemente, passandomi una mano nei capelli. Mi
volto, girando sui tacchi e vedo uno studio
completamente caotico. Fogli e documenti sparsi
dappertutto sul pavimento. Un preservativo usato sulla
scrivania e il suo odore mischiato a quello del sesso
ovunque. Inspiro, saziando l’improvvisa e inopportuna
voglia che sta tornando a salire. Mi chino e inizio
lentamente a raccogliere tutto quello che ho sbattuto giù
dal mio tavolo in ufficio. Mi sento vuoto. E pieno allo
stesso tempo. Ho mille emozioni che mi aggrovigliano la
testa, mi attanagliano la gola senza riuscire a farmi
respirare. E poi, quando cerco di risolvere il problema
allontanandola da me va a finire che faccio lo stronzo e mi
sento male per averla trattata di merda. “Cristo santo!
Cosa cazzo dovrei fare?”. Afferro con una mano un
portapenne e lo lancio contro la parete di fronte. “Cazzo!”.
Mi fisso la mano tremante. Sono sconvolto dalla mia
reazione furiosa. Appoggio il braccio sul bordo della
scrivania e lascio caderci la testa sopra. “Cosa diavolo mi
prende? Fino a dove mi porterà a spingermi? Fino a
quando riuscirò a resistere prima di perdere il controllo
anche con lei e rischiare di farle del male?”. Forse è un
bene che lei parta. Mi aiuterà a mettere tutto nel giusto
ordine di idee. A fatica mi rialzo dal pavimento e rimetto
in ordine le mie cose. “Ho bisogno di vedere Bastille. E
quel fottutissimo Flynn”.

Quando faccio ingresso in cucina ho ritrovato


completamente la mia stabilità. Mi ci è voluto un po’, ma
ora, anche se non capisco nulla di quello che mi sta
succedendo, ho almeno ritrovato il controllo delle mie
azioni.
«Gradisce qualcosa da mangiare?»

Sento la voce di Mrs Jones che si rivolge ad Anastasia


con garbo e cortesia, come da abitudine.

«No, grazie» risponde lei, gentile.

“Cristo, Anastasia, ma cos’hai contro il cibo?”.

«Certo che mangerai qualcosa» sbotto di nuovo


furioso, arrivandole alle spalle. «Le piacciono i pancake
con bacon e uova, Mrs Jones» dico rivolto a Gail,
ricordandomi di quello che le ho visto mangiare ieri
mattina.

«Bene, Mr Grey. Lei cosa desidera, signore?» mi


chiede Gail con un sorriso.

É abituata a vedermi assumere il tono del comando


con le ragazze come Anastasia.

«Un’omelette, per favore, e un po’ di frutta» le


rispondo, ma guardo Anastasia.

É bellissima in quel vestito color prugna. E sta


andando via da me per una settimana. “Cazzo!”.

«Siediti» le ordino, indicandole uno sgabello.

Obbedisce in silenzio, mentre mi siedo accanto a lei.


Gail traffica con la colazione, incurante di noi due.

«Hai già prenotato il volo?» le chiedo severo.


«No, lo farò quando torno a casa, su Internet» mi
risponde tranquilla, con un piccolo sorriso.

“Ovvio. Su internet. Per lei sarà una cosa normale


viaggiare low cost”. Mi appoggio al bancone con un
gomito, mentre le dita vagano sul mento.

«Ce li hai i soldi?» le chiedo diretto, senza preamboli.

É mio dovere badare a lei.

«Sì» mi risponde con un’espressione di finta pazienza.

La trucido con lo sguardo e lei capisce subito che non è


aria.

«Sì, grazie, ce li ho» aggiunge, più gentile.

«Io ho un jet. Per tre giorni non ci sono voli in


programma; è a tua disposizione» le dico con aria
semplice, come se avere un jet fosse naturale e normale
per tutti.

Si muove a disagio sullo sgabello, senza sapere dove


guardare.

«Abbiamo già gravemente abusato della tua flotta


aziendale. Non mi va di rifarlo» mi risponde alla fine.

“Ma cosa cazzo dici, Anastasia? Flotta aziendale?


Charlie Tango è mio. Il jet è mio. Tu sei mia”.

«L’azienda è mia, il jet è mio» le rispondo alzando un


sopracciglio, scocciato dalla sua impertinenza.
«Grazie per l’offerta, ma preferirei prendere un volo di
linea» mi dice con garbata decisione.

Sto per dirle che pretendo viaggi almeno in prima


classe, ma so che dovrei poi subire lo sclero di una piccola
furia impazzita. Preferisco tacere. Per il momento.

«Come preferisci» sospiro rumorosamente. «Hai


molto da fare per prepararti ai colloqui?» le chiede
cambiando argomento.

«No» mi risponde, scuotendo piano la testa.

«Bene. Ancora non vuoi dirmi i nomi delle case


editrici?» le chiedo, cercando di ottenere maggiori
informazioni.

«No» risponde di nuovo con decisione.

Trattengo a stento un sorriso divertito.

«Sono un uomo pieno di risorse, Miss Steele» le dico


arrogante.

«Ne sono consapevole, Mr Grey. Intendi intercettare le


mie telefonate?» mi chiede sbattendo innocentemente le
palpebre.

«In realtà, oggi pomeriggio sono molto impegnato,


quindi dovrò chiedere a qualcuno di farlo» le rispondo
con l’aria da bastardo arrogante, strizzandole l’occhio.

Mi guarda confusa.
«Se puoi affidare a qualcuno un compito del genere, è
ovvio che hai personale in eccesso» dice con aria
saccente.

Con la coda dell’occhio scorgo Mrs Jones osservarci


curiosa. Nessuna delle mie precedenti Sottomesse aveva il
diritto di parlarmi e dirmi determinate cose soprattutto.
E di prendermi in giro davanti al mio personale.

«Manderò una mail al direttore delle risorse umane,


chiedendo di controllare il numero dei dipendenti»
rispondo sullo stesso tono.

Ma mi sto divertendo. Sorride e il suo volto si illumina.


Gail ci serve la colazione e il silenzio cala tra di noi per un
po’. Finito di mangiare, ci lascia da soli, accanto al
bancone. Anastasia la segue fino a quando esce dalla
stanza, poi si gira a fissarmi.

«Cosa c’è, Anastasia?» le chiedo.

«Sai, non mi hai più detto perché non vuoi essere


toccato»

Il sangue mi defluisce dal viso. “No. Non ora, Ana. Non


questa mattina. Non mentre sono in questo stato”.
Chiudo gli occhi e mi calmo lentamente. Quando li riapro
un’espressione di colpa le anima il viso.

«Ti ho raccontato più di quanto abbia mai raccontato a


chiunque altro» le dico pacato e impenetrabile.

“Non mi concederò più nessun passo falso”. Sembra


voglia aggiungere qualcosa, ma alla fine scuote piano la
testa e rinuncia. Meglio cambiare argomento.

«Penserai al nostro accordo, mentre sei via?» le chiedo


speranzoso.

«Sì» mi risponde di getto.

Mi tranquillizzo parzialmente. Non è ancora partita e


già mi manca.

«Sentirai la mia mancanza?» mi ritrovo pateticamente


a chiederle.

Sbarra gli occhi sorpresa dalle mie parole. E lo sono


anch’io.

«Sì» mi risponde.

E so che è sincera. Sorrido d’impulso e mi sento felice.

«Anche tu mi mancherai. Più di quanto credi» le


confesso, sentendo il bisogno di dirle queste parole prima
che parta.

Voglio che le porti con sé. Voglio che capisca quanto è


importante per me. Quanto è mia. Quanto non c’è mai
stata nessuna come lei nella mia vita. Quanto non voglio
che mi lasci da solo. Mi avvicino a lei e le sfioro la guancia
con le dita. Sorride, i suoi occhi brillano di felicità. Mi
chino e le sfioro le labbra con le mie, schiudendole e
facendola mia. In meno di due secondi il bacio è diventato
avido. Le afferro la testa con le mani e affondo le dita nei
suoi capelli. Le nostre bocche si assaporano fino alla fine,
come se non dovesse esserci un domani. Quando ci
stacchiamo, dopo diversi minuti, mi sento appagato.

«Devo andare…» mormora respirando piano contro la


mia bocca.

«Ti accompagno alla macchina» le dico , tenendole la


mano mentre ci avviamo all’ascensore.

«Christian, non c’è bisogno…» tenta di protestare,


mentre aspettiamo.

«Non ti vedrò per una settimana. Niente mi impedirà


di accompagnarti fino alla tua auto, Miss Steele» le dico
deciso, guardandola per qualche attimo prima di fissare
gli occhi sulle porte dell’ascensore che si aprono.

Le tengo la mano, mentre scendiamo verso il garage,


accarezzandole le nocche e cercando di sopprimere
l’istinto di scoparla di nuovo. Quando arriviamo di sotto
esco con sollievo da quello spazio stretto, maledicendo il
mio corpo traditore e il mio cazzo che non si decide a
stare a riposo per un po’. Non quando c’è lei almeno.
Arrivati davanti all’Audi rossa, si gira a guardarmi,
giocando con le chiavi. E il pensiero dei giorni che
passeranno senza vederla, la paura che lei possa decidere
di ripensarci in merito al contratto o, peggio, possa
decidere di non fare più ritorno dalla Georgia, mi
stravolge lo stomaco. Non sono abituato a lasciare andare
ciò che è mio. E lei è mia. Solo mia. Mi avvicino e non
resisto. Mi chino su di lei, lasciandola appoggiare con la
schiena all’auto. La bacio con passione. Le nostre lingue
si scontrano avidamente, le labbra sfregano fino a farsi
male. Quando mi stacco da lei sono quasi senza fiato.
«Porta con te il Mac e il BlackBerry. Ho bisogno di
poterti rintracciare quando voglio» le dico.

Apre la bocca, ma la bacio di nuovo.

«Non è una richiesta, Miss Steele. Fai buon viaggio»

Resta interdetta per un attimo. Poi annuisce e sale in


auto. Vederla allontanarsi mi lacera l’anima. La
consapevolezza che dovrò fare a meno di lei per cinque
fottutissimi giorni mi uccide. Trascinando il mio corpo,
torno in ascensore e salgo nel mio appartamento.

In ufficio ho passato un pomeriggio d’inferno e ora


sono contento che Claude sia riuscito ad infilare una
sessione di allenamento all’ultimo minuto. Sono pronto,
sul ring allestito nella sua palestra, alla periferia di
Seattle. Claude, in pantaloncini come me, mi guarda con
la sua solita aria sarcastica. L’incontro comincia e un’ora
dopo siamo entrambi sudati, acciaccati e ce le siamo dati
di santa ragione. Ma almeno io ho sfogato la rabbia e la
frustrazione. Quando torno a casa mi sento molto meglio.
Taylor e io entriamo in ascensore in silenzio. Quando le
porte si chiudono, lo guardo.

«Taylor, ho bisogno che ti occupi del volo di Miss


Steele. Scopri con quale compagnia aerea ha prenotato e
sistemala in prima classe. Provvedi anche per il ritorno. E
prenota un biglietto anche a mio nome, accanto a lei per
entrambi i voli»

«Ha in programma un viaggio, signore?» mi chiede lui


con tono impassibile.
«Non proprio» rispondo enigmatico, mentre lui
annuisce.

Voglio tenermi aperta ogni possibilità. E la voglia di


fare le valigie e correre all’aeroporto da lei, stasera, è
troppa. E anche se non credo che lo farò, non vorrei che
fosse un fottuto biglietto aereo ad impedirmelo. Entro in
casa e mi dirigo direttamente sotto la doccia. Ho bisogno
di rinfrancarmi prima di affrontare la serata, da solo
senza di lei. L’acqua scende calda e ristoratrice lungo i
miei muscoli ancora doloranti. Abbasso la testa
lasciandola scorrere sulla schiena per un bel po’. Quanto
vorrei che fosse qui. Sospiro, pensando alla strana
sensazione che ho provato nel poggiare la sua mano sul
mio petto questa notte. Vorrei che non fosse così
doloroso. E in parte, devo confessare che non lo è stato.
Ma la sola idea che la sua mano potesse superare la
barriera della maglietta mi ha lasciato spossato e
terrificato. Quando esco dal bagno porto con me i miei
abiti, svuotando le tasche dei pantaloni. Sul mio
BlackBerry c’è una nuova mail. É sua.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 18.49
Oggetto: Colloqui

Caro signore,
i miei colloqui di oggi sono andati bene. Pensavo che la cosa potesse
interessarti. Com’è andata la tua giornata?

Ana

Sorrido, al pensiero di lei tutta indaffarata a stringere


mani e a cercare di fare buona impressione. Premo il
tasto rispondi.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 19.03
Oggetto: La mia giornata

Cara Miss Steele,

tutto quello che fai mi interessa. Sei la donna più affascinante che
conosco. Sono felice che i tuoi colloqui siano andati bene.
La mia mattinata è andata oltre le mie aspettative.
Il pomeriggio, in confronto, è stato abbastanza piatto.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

‘Cosa cazzo sono tutte queste smancerie, Grey?


Dovresti ordinarle di portare il suo delizioso culo qui da
te e inginocchiarsi a succhiarti l’uccello. E invece stai qui
da solo come un idiota a dirle quanto cazzo è
meravigliosa’. La sua risposta immediata me la fa
immaginare in trepidante attesa a fissare lo schermo del
pc. E non credo di sbagliarmi.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 19.05
Oggetto: Una bella mattinata

Caro signore,

anche per me la mattinata è stata esemplare, nonostante tu abbia


sclerato dopo il nostro eccezionale amplesso sulla scrivania. Non
pensare che non l’abbia notato.
Grazie per la colazione. O grazie a Mrs Jones. Vorrei farti delle
domande su di lei, senza che tu scleri di nuovo.

Ana
Aggrotto le sopracciglia alla sua risposta. Sclerato? A
parte che non sono sicuri esista questo termine, ma
comunque non è appropriato, cara Anastasia. Io sono
letteralmente impazzito, accecato dalla confusione e dalla
rabbia per non riuscire più a controllarmi quando ti sto
vicino. Sospiro. Meglio non affrontare l’argomento ora e
rendere vani gli sforzi di Bastille di lasciarmi scaricare la
rabbia. E poi… cosa vorrà chiedermi su Mrs Jones? Come
fa a lavare e stirare alla velocità della luce. Ancora non lo
so neppure io dopo quattro anni. Ma è favolosa,
comunque.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 19.10
Oggetto: Tu e l’editoria…

Anastasia,

“sclerare” non è un verbo e non dovrebbe essere usato da una


persona che intende lavorare nell’editoria.
Eccezionale? Rispetto a cosa, scusa?
E cosa hai bisogno di chiedermi su Mrs Jones? Sono curioso.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mentre aspetto la sua risposta, ne approfitto per


asciugarmi e infilare i pantaloni del pigiama. Sento il
BlackBerry vibrare.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 19.17
Oggetto: Tu e Mrs Jones

Caro signore,

il linguaggio è qualcosa di organico, cambia e si evolve. Non è chiuso


in una torre d’avorio, sospeso tra costosi oggetti d’arte, con vista su
Seattle e un’elisuperficie sul tetto. Eccezionale, rispetto alle altre
volte che abbiamo… come dici tu…? ah, sì… scopato. A dire il vero,
qualsiasi scopata con te è stata, a mio modesto parere, eccezionale,
punto. Ma come ben sai la mia esperienza è assai limitata.

Mrs Jones è una tua ex Sottomessa?

Ana

“Ok, Miss Steele. Se volevi farmi incazzare ci sei


riuscita”. Sbatto il BlackBerry sul materasso, poi lo
riprendo e inizio a digitare furiosamente la mia risposta.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 19.22
Oggetto: Linguaggio. Lavati la bocca!

Anastasia,

Mrs Jones è una dipendente preziosa. Non ho mai avuto nessuna


relazione con lei, a parte quella professionale. Non assumo persone
con cui ho avuto rapporti sessuali. Mi sconvolge il fatto che tu abbia
pensato una cosa del genere. L’unica persona per cui farei uno
strappo alla regola sei tu: perché sei una ragazza molto intelligente,
con ottime capacità di negoziazione. Tuttavia, se continui a usare un
linguaggio del genere, potrei ripensarci.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Sospiro, calmandomi. Sono felice che la tua esperienza


sia limitata… solo a me. Prenderò “eccezionale” come un
complimento, anche se con te non sono mai sicuro che sia
quello che pensi o che la tua ironia, come al solito,
prevalga. Mi lascio cadere pesantemente sul letto, dopo
aver premuto il tasto invio. Guardo il soffitto della mia
camera e all’improvviso scoppio a ridere. “Ma come cazzo
fa a pensare determinate cose?”. ‘Sarà colpa delle tue
confidenze su Elena, Grey’. Già, dev’essere quello. Avrà
pensato alle mie sottomesse come donne adulte ed
attraenti con le quali passo il mio tempo libero. Rido di
gusto al solo pensiero di cosa avrà potuto partorire quella
testolina impertinente. Il mio telefono mi riscuote.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 19.27
Oggetto: Nemmeno per tutto il tè della Cina

Caro Mr Grey,

mi sembrava di aver già espresso le mie riserve sul fatto di lavorare


per la tua società. La mia opinione in merito non è cambiata, e non
cambierà mai. Ora devo lasciarti, perché Kate è tornata con la cena.
La mia ironia e io ti auguriamo la buonanotte.
Ti contatterò appena arrivo in Georgia.

Ana

Sto ancora sorridendo quando le invio la mia risposta.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 19.29
Oggetto: Nemmeno per il Twinings English Breakfast?

Buonanotte, Anastasia.
Spero che la tua ironia faccia buon viaggio.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Infilo una t-shirt e porto con me il BlackBerry andando


in cucina per la cena. La mia serata scorre tranquilla.
Sono rilassato dopo l’allenamento e, dopo aver mangiato
le fettuccine al ragù di Mrs Jones, mi siedo sul divano con
il portatile per lavorare. Quando guardo l’orologio sono le
dieci. Mi alzo e vado a versarmi un bicchiere di vino.
Quando torno nel salone, mi avvicino alla portafinestra e
guardo l’immensa Seattle sotto di me. Mi aspetto una sua
mail a breve, quando scoprirà di essere stata trasferita
dalla turistica alla prima classe. Scuoto la testa,
sorridendo. “Non so cosa diavolo mi stai facendo,
Anastasia. Ma non smettere. Ti prego”.
Capitolo 222
Il mio BlackBerry vibra e sorrido mentre lo estraggo
dalla tasca, guardando fisso la splendida vista sullo Space
Needle di Seattle.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 21.53
Oggetto: Gesti iperstravaganti

Caro Mr Grey,

ciò che mi spaventa davvero è che sapevi quale volo avrei preso. Il tuo
stalking non conosce imiti. Speriamo che il dottor Flynn sia tornato
dalle vacanze.
Mi hanno offerto la manicure, un massaggio alla schiena e due calici
di champagne: non male, come inizio della vacanza.
Grazie

Ana

Mi scappa una risata divertita. Proprio oggi


pomeriggio ho sentito John. Finalmente è tornato dalle
vacanze e l’ho costretto a mettere un appuntamento in
agenda per me. Non importa quando. Domani mi farà
sapere. Guardo il mio orologio, rendendomi conto solo
ora che è completamente sfasato e va diversi minuti in
avanti. Devo averlo sbattuto contro la scrivania
stamattina. Le scrivo una veloce mail di risposta.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 21.59
Oggetto: Prego

Cara Miss Steele,

il dottor Flynn è tornato, e ho appuntamento con lui questa


settimana. Chi ti ha massaggiato la schiena?

Christian Grey
Amministratore delegato con amici nei posti giusti, Grey Enterprises
Holdings Inc.

In realtà è stato Taylor ad avere accesso alle


informazioni sul volo di Anastasia. Gli amici nei posti
giusti sono i suoi. Ma io ho Taylor. É una sorta di
proprietà transitiva. La risposta di Anastasia tarda ad
arrivare. Probabilmente starà salendo a bordo. Ne
approfitto per versarmi un altro calice di vino e rimettere
a posto l’orologio. Mi sento così solo in questo
appartamento. E pensare che fino a qualche giorno fa
sarei stato bene nella mia solitudine. Ora… ora mi manca
la sua voce, il suo profumo, la sua risata. La sua voglia di
vivere. Mi passo una mano nei capelli, tornando alla
finestra, e sorseggiando il mio vino. In così poco tempo
ho rimesso in discussione tutto quello che ho faticato a
diventare in 27 anni. Ho messo il mio mondo ai suoi piedi
e lei mi tiene in bilico, sospeso su un filo di seta che pende
sul vuoto, sul nulla. O meglio. Su un mondo sconosciuto.
Almeno a me. Ci ho messo troppo per passare dal caos al
controllo. E per fortuna. Ma ora sento che le cose mi
stanno scivolando di mano. Avrei bisogno di mettere
tutto a posto. Di farle firmare il suo contratto e metterlo
in una dannata cartellina insieme a tutti gli altri. E invece
sono io il primo a tentennare. Ho esitato quando lei ha
accettato. Ho esitato perché mi sembra così pura, così
ingenua. Anche solo il contratto firmato da lei è qualcosa
di così candido che non mi va di metterlo lì, nello
schedario, insieme a tutti gli altri. Lei non è come tutte le
altre. Merita un posto a parte nella mia vita. ‘Bene, Grey.
Allora incornicialo dopo averglielo fatto firmare’. Il mio
cervello stronzo e irriverente viene interrotto dal suono
del BlackBerry.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 22.22
Oggetto: Mani forti ed esperte

Caro signore,

è stato un giovanotto molto carino a massaggiarmi la schiena. Già.


Molto carino davvero. Non avrei incontrato Jean-Paul nella sala
d’aspetto della classe economy, quindi grazie ancora per il regalo.
Non so se potrò scriverti dopo il decollo, e ho bisogno di riposarmi un
po’, perché negli ultimi tempi non ho dormito tanto.
Sogni d’oro, Mr Grey… ti penso.

Ana

Immediatamente mi sento furioso. Ed eccitato. Un


uomo. Un cazzo di uomo l’ha toccata. Io che l’ho messa in
prima classe e ho fatto in modo che nessuno le si sedesse
vicino, per tenerla mia, solo mia, ora devo essere
schernito da lei che si è fatta massaggiare la schiena da un
coglione pseudo francese qualunque. “Cristo!”. Il solo
pensiero di altre mani che la sfiorano, la toccano, la fanno
gemere di piacere mi infiamma. Il sangue mi ribolle, nella
testa ho un brusio che mi annebbia il cervello. So perché
lo ha fatto. So perché mi ha detto questo. Vuole farmela
pagare per non averle detto nulla del volo. Per averla
spostata dalla classe economy alla prima senza
interpellarla. Mi provoca. E ci riesce bene. Le piace
provocarmi. ‘Almeno tanto quanto piace a te che lei lo
faccia, Grey’. Sorrido, sconfitto da me stesso. É vero. Mi
piace. E questo mi sconvolge. Mi sconvolge che una
donna mi sfidi e mi ecciti così tanto. Mi sconvolge non
sapere cosa sia tutto questo… non so nemmeno io come
chiamarlo. É come un frastuono onnipresente nella mia
testa, nel mio corpo. Uno stato di agitazione fuori dal
comune. Ad ogni modo, decido di stare allo scherzo, e di
rilanciare a mia volta.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 22.25
Oggetto: Divertiti finché puoi

Cara Miss Steele,

so cosa stai cercando di fare e, fidati, ci sei riuscita. La prossima volta


volerai nella stiva, legata e imbavagliata in una cassa. Credimi
quando dico che vederti in quello stato mi darebbe un piacere molto
maggiore che limitarmi a pagare la differenza di un biglietto di prima
classe.
Aspetto con ansia il tuo ritorno.

Christian Grey
Amministratore delegato con una mano che prude, Grey Enterprises
Holdings Inc.

Il suo aereo dovrebbe essere già decollato, quindi per il


momento non dovrei sentire altri bip sonori. Poggio il
bicchiere di vino sul tavolino in soggiorno e mi lascio
cadere pesantemente sul divano. Ho bisogno di una
doccia. La sua provocazione è stata il colpo di grazia.
Dopo un intero pomeriggio passato a fare di tutto per
evitare di pensare che non la vedrò per quattro giorni,
ecco che ora la voglia di lei si è fatta più forte che mai. Il
suono del telefono mi distrae. Il suo nome sulla mail che
apro mi fa incazzare.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 30 maggio 2011 22.30
Oggetto: Stai scherzando?

Sai, non capisco se stai scherzando. Se non è così, credo che me ne


resterò in Georgia. Le casse sono un limite assoluto per me. Scusa se
ti ho fatto arrabbiare. Dimmi che mi perdoni.

Sento l’immediato bisogno di rassicurarla. E allo stesso


tempo di sculacciarla fino allo sfinimento. Perché mi sta
scrivendo dall’aereo in volo. E perché ha appena detto di
voler restare in Georgia.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 30 maggio 2011 22.31
Oggetto: Sto scherzando

Com’è possibile che tu mi stia scrivendo adesso? Stai mettendo in


pericolo la vita di tutte le persone a bordo, te compresa, usando il
BlackBerry! Penso che questo vada contro una delle nostre regole.

Christian Grey
Amministratore delegato con entrambe le mani che prudono, Grey
Enterprises Holdings Inc.

Ora sono certo che non mi risponderà. E so anche di


averla spaventata. La conosco. Ma deve imparare
fondamentalmente due cose. Che non può mettersi in
pericolo in nessun modo. E che è mia, quindi non ha
possibilità di fuga. Le mie mani scorrono trai miei capelli,
tirandoli forte all’indietro. “Cristo”. Quando smetterà di
mandarmi il cervello in fumo? Quando mi passerà questo
senso di impotenza che provo con lei? Decidendo che per
il momento è meglio non pensarci, vado a farmi una
doccia. Mi spoglio completamente e mi lascio scorrere
addosso l’acqua, regolando il getto al massimo. Fa quasi
male per quanto picchia sulla pelle. Appoggio le mani alle
piastrelle fredde e vi lascio cadere anche la fronte. Il mio
corpo è teso. Vorrei non essere qui. Vorrei essere su
quell’aereo con lei. Vorrei tenerle la mano, accarezzarla
piano. Lasciarla addormentare sulla mia spalla e
guardarla dormire per tutto il volo. Vederla serena e
pacata, immersa in chissà quale sogno. Nelle notti che
abbiamo passato assieme ho imparato ad essere geloso
anche dei suoi sogni. E se non sognasse me? Se di notte
avesse qualcun altro ad accarezzarla, a baciarla, a
penetrarla con forza? Stringo forte gli occhi e contraggo la
mascella. “Solo io. Solo mia. Devi essere solo mia,
Anastasia”. Il ricordo del nostro magnifico rapporto di
questa mattina mi lascia per un attimo senza respiro. Mi
ha completamente sedotto. Stregato oserei dire. Non ho
saputo resistere alla tentazione di averla. Era Eva nel
giardino dell’Eden. E io, proprio come Adamo, ho ceduto
alla tentazione del peccato. Dovrebbe essere il contrario.
Dovrei essere io a tentarla, a farla cadere ai miei piedi. Ma
questa mattina è stato diverso. Se lei mi avesse chiesto di
inginocchiarmi io l’avrei fatto. Se mi avesse chiesto di
prenderla per ore, l’avrei fatto. Avrei fatto di tutto. Avrei
continuato ad inchiodarla a quella scrivania per tutto il
giorno, se solo lo avesse voluto. Ma nonostante tutto,
nonostante lei abbia sentito la stessa cosa che ho sentito
io, nonostante sappia quanto possa essere fantastico tra
di noi, non ha cambiato idea. Ha deciso di andarsene e di
prendere quel fottuto aereo per quella fottuta Georgia.
Per starmi lontana. Perché per lei è troppo tutto questo.
Dentro di me so che ha preso la decisione giusta. So che
ha ragione, che tutto questo è davvero troppo. E saperlo
mi fa stare ancora peggio. Perché mi fa rendere conto di
quanto io sia un essere meschino, di quanto io la voglia, la
desideri pur essendo consapevole che non potrò mai
renderla felice. Sbatto entrambi i palmi delle mani contro
le piastrelle, lanciando un mezzo urlo, spezzato dalla
rabbia. “Cristo!”. Esco dal bagno come una furia, senza
neppure avvolgermi nell’accappatoio. Nudo, gocciolante,
mi passo una mano nei capelli, esasperato come non lo
sono mai stato nella mia vita. Ho voglia di lei. Mi butto
con la schiena sul letto, guardando il soffitto della mia
camera. Chiudo gli occhi e inspiro forte. C’è ancora
l’odore di lei nella mia camera. Intenso. Che mi carica di
desiderio. Allungo una mano e afferro il suo cuscino.
‘Suo?? Grey, ha dormito con te due volte. Il cuscino è
ancora tuo’. Sì, ma il fatto è che io non sono più mio. Io
sono suo. Questo cuscino, questa stanza, la mia casa,
tutto quello che ho. É tutto suo se questo la rende felice.
Mi aggiusto sul letto, stringendomi il cuscino addosso. Le
lenzuola sono bagnate sotto di me, ma poco me ne
importa. Resto così, cercando di addormentarmi.
Cercando di non pensare a quanto mi manca. E allo
stesso tempo di pensare a lei. Come se non farlo potesse
indurmi a dimenticarla, a svegliarmi domattina e capire
che era tutto un sogno. Solo un meraviglioso sogno.

Quando suona la sveglia ho gli occhi aperti già da un


pezzo. Mi sono addormentato nudo e bagnato, ieri sera.
Ma ho vegliato, più che dormito solo per qualche ora. E
non mi sono mosso. Ho freddo. E faccio fatica ad alzarmi.
Il freddo in realtà viene da dentro. Mi manca. Più di
quanto potessi immaginare. Questa notte mi ha scritto
una mail. L’ho riletta mille volte, senza riuscire a capire il
senso, prima. E poi, finalmente rendendomi conto che è
stata completamente sincera. Come sempre. E mi ha
lasciato con una fottuta paura di perderla.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 06.52 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Ti piace spaventarmi?

Sai quanto odio che tu spenda soldi per me. Lo so, sei molto ricco, ma
è una cosa che mi mette a disagio, come se mi pagassi per il sesso che
facciamo insieme. Comunque, mi piace viaggiare in prima classe, è
molto più comodo. Quindi, grazie. Dico sul serio. Ed è vero che mi
sono goduta il massaggio di Jean-Paul. Era gay fino alla punta dei
capelli. Avevo omesso questo dettaglio per farti arrabbiare, perché ce
l’avevo con te, e mi dispiace. Come al solito, però, hai reagito in modo
esagerato. Non puoi scrivermi cose come quelle… legata e
imbavagliata in una cassa. (Dicevi sul serio o era uno scherzo?)
Queste cose mi spaventano… tu mi spaventi… Sono avvinta dal tuo
incantesimo, sto valutando uno stile di vita con te che non sapevo
nemmeno esistesse fino alla settimana scorsa, e poi mi scrivi una
cosa del genere e mi viene voglia di scappare a gambe levate. Certo,
non lo farò, perché mi manchi. Mi manchi davvero. Voglio che tra noi
funzioni, ma sono terrorizzata dall’intensità di quello che sento per te
e dal sentiero oscuro in cui mi stai portando. Quello che mi offri è
erotico e sensuale, e io sono curiosa, ma ho anche paura che mi farai
male, fisicamente ed emotivamente. Dopo tre mesi potresti dirmi
addio, e cosa ne sarebbe, allora, di me? D’altra parte, immagino che
questo sia un rischio che si corre in ogni relazione. Solo che questo
non è il tipo di relazione che avrei mai pensato di avere, soprattutto
alla mia prima volta. Per me è un enorme atto di fede. Avevi ragione
quando hai detto che non ho il nerbo della Sottomessa… Sono
d’accordo con te, adesso. Detto questo, voglio stare con te e, se è
questo che devo fare, mi piacerebbe provare, ma temo che farò una
pessima figura e finirò piena di lividi… e l’idea non mi fa impazzire.
Sono felice che tu abbia detto di voler provare a darmi di più. Ho solo
bisogno di riflettere su cosa significhi “di più” per me e questa è una
delle ragioni per cui ho voluto prendere le distanze. Mi stordisci tanto
che trovo difficile pensare a mente lucida quando siamo insieme.
Stanno chiamando il mio volo. Devo andare.

Ci sentiamo più tardi,


Tua Ana.
Il fatto di mandarla tanto in confusione con le mie
parole, tanto da non farle riuscire a distinguere uno
scherzo dalla realtà, rispecchia esattamente come mi fa
sentire lei. Ma può essere così davvero? Può provare lo
stesso desiderio che io provo per lei? Può davvero
provarlo per uno come me? Faccio fatica a crederci,
onestamente. E poi la sua folle paura del dolore. Io non
voglio farle del male. Ma ho paura anch’io che finirà così.
Ho paura di me stesso. Ho paura di riuscire a farle quello
che ho fatto a tutte le altre. Dopo qualche ora mi ha
mandato un sms, dicendomi che era arrivata sana e salva
a Savannah. E io sono rimasto immobile. Qui, sul letto.
Perso nei miei pensieri. Perso a ricordare la sensazione
sublime di essere dentro di lei. Ma non posso restare
immobile fino al suo ritorno. Ho un’azienda da dirigere.
“Per fortuna oggi vedo Flynn”. A fatica mi alzo e venti
minuti dopo sono pronto. Mi guardo allo specchio e
sembro fresco e riposato. La realtà è tutt’altra. Ma quello
che conta è come mi vedono gli altri. Come mi sento
importa solo a me. Mi dirigo in salotto, salutando Gail che
mi informa che la mia colazione è pronta. Prendo il
BlackBerry e vado a sedermi, per godermi la mia omelette
di albumi e il mio succo alla pesca. Devo rispondere alla
sua mail, ma preferisco farlo in macchina, mentre vado a
lavoro. Almeno avrò tempo. E poi questa mattina mi sono
alzato prestissimo. Per recuperare il tempo perduto ieri.
Non son neppure le sette e venti quando finisco di fare
colazione. Sorrido. Mi trattengo dal rileggere per la
centesima volta la mail. Ho bisogno di dimostrare a me
stesso che posso almeno controllarmi su questo. Mangio.
Forse un po’ più velocemente del solito. Aspetto
l’ascensore. Forse con un po’ più di impazienza del solito.
E mentre scendo in garage, forse mi mordo il labbro
inferiore con un po’ più forza del solito. Le mani
entrambe in tasca. Una stringe il telefono. Quando le
porte si aprono esco velocemente e mi infilo nell’auto,
mentre Taylor parte. Tiro fuori il telefono e sospiro
aprendo la posta elettronica. É giunto il momento di fare
chiarezza.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 07.30
Oggetto: Finalmente!

Anastasia,

mi rincresce notare che appena metti un po’ di distanza tra noi riesci
a comunicare con me in modo aperto e sincero. Perché non puoi farlo
quando siamo insieme?
È vero, sono ricco. Ti ci devi abituare. Perché non dovrei spendere i
miei soldi per te? Abbiamo detto a tuo padre che sono il tuo
fidanzato, accidenti. Non è questo che fanno i fidanzati?

Cerco di alleggerire un po’ l’atmosfera, ma so che non


può durare per molto. Devo affrontare il punto cruciale
della situazione.

Come tuo Dominatore, mi aspetto che accetti qualsiasi mio regalo


senza discutere. Già che ci sei, dillo anche a tua madre.
Non so come rispondere se mi dici che ti senti una prostituta. So che
non hai usato questa parola, ma in qualche modo è sottintesa. Non so
cosa potrei dire o fare per sradicare questa tua sensazione. Vorrei che
tu avessi il meglio di ogni cosa. Lavoro tantissimo, quindi posso
spendere i soldi come mi pare e piace. Posso comprarti tutto ciò che
desideri, Anastasia, e voglio farlo. Chiamala redistribuzione della
ricchezza, se vuoi. Sappi solo che non potrei mai e poi mai pensare a
te in quel modo, e mi fa rabbia che tu ti percepisca così. Per essere
una ragazza tanto intelligente, spiritosa e attraente, hai dei seri
problemi di autostima, e ho una mezza idea di fissarti un
appuntamento con il dottor Flynn.

Mi sorprende sempre quanto abbia poca stima di sé.


Ma, in effetti, questo è un problema che abbiamo in
comune. Quante volte mi sono sentito ripetere da Flynn
che non devo pensare di essere un mostro. Eppure…
eppure è quello che sono. Se solo lui potesse vedermi
all’opera, con le mie Sottomesse. Se potesse davvero
entrarmi nella testa. Allora capirebbe.

Ti chiedo scusa per averti spaventato. Detesto l’idea di metterti


paura. Pensi davvero che ti lascerei viaggiare nella stiva? Accidenti, ti
ho offerto il mio jet privato. Sì, era uno scherzo, a quanto pare non
molto riuscito.

Per un attimo mi concedo il lusso di pensare a lei


completamente nuda. Il suo corpo legato e la sua
bellissima bocca impudente zittita dalla morsa di un
bavaglio. Il mio cazzo inizia a pulsare violentemente. “Dio
quanto vorrei scoparla proprio ora!”.

Tuttavia, il pensiero di te legata e imbavagliata mi eccita (questo non


è uno scherzo, è la verità). Posso fare a meno della cassa, che non mi
fa nessun effetto. So che hai dei problemi con la storia del bavaglio,
ne abbiamo già parlato, e se/quando ti imbavaglierò davvero, ne
discuteremo. Quello che secondo me non riesci a capire è che in una
relazione tra Dominatore e Sottomessa è la Sottomessa ad avere il
potere. Sei tu. Te lo ripeto: sei tu ad avere il potere. Non io. Nella
rimessa delle barche, hai detto di no. Non posso toccarti se tu dici di
no, a questo ci serve il contratto, che dice quello che non sei disposta
a fare. Se proviamo delle cose e non ti piacciono, possiamo rivedere il
contratto. La decisione spetta a te, non a me. E se non vuoi essere
legata e imbavagliata in una cassa, non accadrà.

Chiudo gli occhi al pensiero di quanto siano vere


queste parole. Con lei non ho margine di errore. Non
posso sfuggire a quello che provo. É lei che comanda. Lei
che decide. Lei che detta le regole per far funzionare la
nostra relazione. E questo mi attanaglia lo stomaco.
Espiro con forza, causando la preoccupazione di Taylor.

«É tutto a posto, signore?»

«Sì, Taylor. Grazie» rispondo, cercando di tornare in


me.

Riprendo a digitare, decidendo di essere sincero con


lei. Del tutto.

Io voglio condividere con te il mio stile di vita. Non ho mai voluto


niente con tanta forza. A essere sinceri, ammiro il fatto che una
persona così innocente sia disposta a provare. Questo mi dice più di
quanto immagini. Non riesci a capire che anch’io sono vittima del tuo
incantesimo, anche se te l’ho detto innumerevoli volte. Non voglio
perderti. Mi fa male il pensiero che tu sia volata a migliaia di
chilometri di distanza per allontanarti da me, perché con me vicino
non riesci a pensare lucidamente. Per me è lo stesso, Anastasia. La
mia ragionevolezza scompare quando siamo insieme, è questa la
profondità del mio sentimento per te. Capisco la tua trepidazione. Ho
provato a starti lontano; sapevo che eri inesperta, anche se non ti
sarei mai corso dietro se avessi saputo fino a che punto, eppure riesci
ancora a disarmarmi, in un modo che prima non è riuscito a nessuno.
Prendi la tua mail: l’ho letta e riletta infinite volte, cercando di capire
il tuo punto di vista. Tre mesi è una durata arbitraria. Potremmo fare
sei mesi, un anno? Quanto vorresti che durasse? Cosa ti farebbe
sentire al sicuro? Dimmelo. Capisco che per te sia un grande atto di
fede. Devo guadagnarmi la tua fiducia, ma in compenso tu devi
comunicare con me quando io non ci riesco. Sembri così forte e
indipendente, e poi leggo quello che hai scritto e vedo un altro lato di
te. Dobbiamo guidarci a vicenda, Anastasia, e solo tu puoi dirmi
come devo comportarmi nei tuoi confronti. Devi essere sincera con
me, e dobbiamo trovare entrambi il modo di far funzionare questa
intesa. Ti preoccupi di non essere una Sottomessa. Può essere che tu
abbia ragione. Detto questo, l’unica situazione in cui assumi il
contegno giusto per una Sottomessa è la stanza dei giochi. Sembra
che sia l’unico luogo in cui mi permetti di esercitare il necessario
controllo su di te, e l’unico luogo in cui fai quello che ti viene detto.
“Esemplare” è il termine che mi viene in mente. E non ti ho mai
riempito di lividi. Al limite, ti ho arrossato un po’ il sedere. Fuori
dalla stanza dei giochi, mi piace che tu mi sfidi. È un’esperienza
nuova e rigenerante, un aspetto che non cambierei. Quindi, sì, dimmi
cosa significa per te “di più”. Farò ogni sforzo per tenere la mente
aperta, e cercherò di darti lo spazio di cui hai bisogno e di starti
lontano finché sei in Georgia. Aspetto con ansia la tua prossima mail.
Nel frattempo, divertiti. Ma non troppo.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Fisso lo schermo del BlackBerry per qualche minuto,


rileggendo quello che ho scritto. Sono combattuto con me
stesso, ma prima di ripensarci invio il messaggio. Sospiro
pesantemente e scorgo Taylor a guardarmi dallo
specchietto retrovisore. Poggio la testa al poggiatesta,
guardando il tettuccio del Suv. Sono stanco. Vorrei
mollare tutto e raggiungerla. Ma le ho promesso tempo. E
spazio. Dunque sono costretto a portare il culo in azienda
e guadagnarmi sul serio il pane che mangio. La mattinata
passa lentamente e il mio umore cola a picco. A farne le
spese è Andrea, contro la quale sbraito in malo modo un
paio di volte. Ma non è colpa sua. Lo so. Per evitare di
comportarmi ulteriormente da stronzo, mi barrico nel
mio ufficio fino all’ora di pranzo. É da poco passata l’una
quando esco e mi dirigo in ascensore come una freccia.
Dieci minuti più tardi sono nello studio di Flynn. Cynthia
mi accoglie con un sorriso raggiante e mi lascia subito
accomodare nello studio. Busso piano e apro al suono
della voce di John che mi dice di entrare. Alza gli occhi
dal suo iPad e mi guarda con un sorriso.
«Accomodati, Christian» mi dice in tono rassicurante.

Mi avvicino alla scrivania, e gli stringo la mano che mi


tende, sorridendogli. Per la prima volta, dopo settimane,
mi sento a mio agio.

«Come è andata la vacanza, John?» gli chiedo


educatamente.

Il mio piede inizia a tamburellare freneticamente al di


sotto della scrivania. John alza un sopracciglio e mi
guarda da sopra i suoi occhiali. Poggia il suo tablet sulla
scrivania e giunge le mani davanti a sé, guardandomi.

«Bene, Christian. Grazie. Ma ora parliamo di quello


che ti rende nervoso in questo momento»

Sgrano leggermente gli occhi. “Come cazzo fa a capire


sempre tutto ogni volta?”. ‘Lo paghi per questo, Grey’.
Sospiro a fondo, abbassando gli occhi sui fogli sparsi sulla
sua scrivania.

«Ho conosciuto una persona» dico alla fine, riluttante.

«Una persona?» mi chiede, impassibile.

«Una ragazza. Si chiama Anastasia. Ana»

Alzo gli occhi e lo guardo. Mi fissa con gli occhi stretti a


fessura.

«Cosa la rende diversa dalle altre, Christian?» mi


chiede a bruciapelo.

“Come diavolo fa a saperlo? A malapena l’ho capito io


che è diversa dalle altre”. Alzo la testa, guardando il
soffitto. Sospiro di nuovo.

«Non lo so, John» ammetto alla fine, tornando a


guardarlo.

«Parlami di lei, Christian»

E lo faccio. Lo faccio sul serio. Gli racconto tutto. Gli


racconto di come l’ho incontrata, del nostro non-accordo,
delle sue perplessità, della sua verginità, di quanto sia
stato importante per me il fatto che lei abbia accettato di
essere mia. Di quanto sia insano il mio desiderio nei suoi
confronti. Di quanto non riesca a fare a meno di lei, come
se mi fosse necessaria per mantenermi in vita. Flynn
continua ad ascoltarmi come solo lui riesce a fare. Io
sembro un fiume in piena che non si ferma. Quando
finalmente ho tirato fuori tutto quello che mi sta facendo
impazzire, Flynn mi fa l’unica domanda a cui non ho
avuto il coraggio di rispondere.

«Vuoi punirla perché ti ricorda tua madre, Christian?»

E la risposta, per la prima volta, arriva diretta, senza


dubbi di nessun genere.

«No»

Flynn sorride, alla mia risposta. Ma resta in silenzio


per un po’. Poi gli sfugge una risatina.

«Sono contento di averti messo di buonumore, John,


ma sai che non amo che si rida di me» gli dico,
leggermente offeso.
Mi sono appena aperto sinceramente con lui, dopo
settimane di confusione e dolore e incertezza. E lui ride.
‘Come vedi, Grey, Anastasia aveva ragione. Sei buffo’.

«Non sto ridendo di te, Christian. Non lo farei mai» mi


dice. Ma non ne sono poi così convinto. «É meraviglioso
che tu riesca a provare per Anastasia tutte queste cose.
Ma hai un problema, non è così?»

Non rispondo, mentre abbasso gli occhi. Lui continua,


dicendo quelle parole che nella mia testa ci sono, ma che
io non riesco a pronunciare.

«Anastasia rappresenta tutto quello da cui sei scappato


fino ad oggi. Hai fatto le tue scelte, ti sei comportato nel
modo in cui hai ritenuto più giusto, o meglio nel modo in
cui credevi di doverti comportare. Hai scelto uno stile di
vita particolare, e non sbagliato. Ma su questo possiamo
ritornare in un altro momento. Hai fatto ciò che era in tuo
possesso per sentirti bene. Ora però tutto questo senti che
non va più bene. Non va bene per Anastasia, forse. Ma
soprattutto non va bene per te. Per quello che tu vuoi
essere con lei. Tu non vuoi farle del male. Vuoi
proteggerla, farla star bene. Vuoi che abbia bisogno di te,
che sia dipendente da te almeno quanto tu lo sei
diventato da lei»

Spalanco gli occhi alle parole di John. “É questo quello


che voglio davvero? Forse… forse sì”. Flynn continua.

«Ora non devi crearti problemi. Devi agire nel modo in


cui abbiamo lavorato in tutti questi anni. Scegli cosa vuoi
essere e in che modo vuoi essere. E fai di tutto per
arrivare al tuo obiettivo. Non importa se dovrai mettere
una pietra sul tuo passato e ricominciare da capo. Se
questo ti far star bene allora fallo. Non farti sopraffare
dalla confusione, Christian. Tu sei tu. Mutare il tuo modo
di fare per adattarti ad una situazione che ti fa stare
davvero bene non vuol dire rinunciare a te stesso. Siamo
la somma delle nostre decisioni, e fintanto che sei felice,
questo è tutto quello che conta»

Quando esco dallo studio di John mi sento diverso.


Sentire ad alta voce quello che pensavo ma non riuscivo
ad accettare è stato a dir poco scioccante. La tasca dei
miei pantaloni vibra. Impreco a bassa voce, guardando lo
schermo del telefono. Avevo completamente rimosso.
Rispondo, mentre mi incammino a piedi verso l’Escala,
poco distante dallo studio di Flynn. Ho chiesto a Taylor di
non aspettarmi. Ho voglia di camminare e di schiarirmi le
idee.

«Elena»

«Christian, tesoro» squittisce dall’altro capo del


telefono. «Volevo ricordarti della cena di stasera, nel caso
fossi stato troppo preso dalla tua nuova brunetta di
turno»

“Cristo, Elena”.

«Non me ne sono dimenticato» mento. «E, comunque,


lei non è la mia nuova brunetta di turno, Elena. Non
tirarla in mezzo» le intimo severamente.

Sento un attimo di smarrimento dall’altro lato. Poi il


suo tono cambia, assumendo la stessa durezza del mio.
Due Dominatori a confronto. Ma dovrebbe sapere che è
da tempo che non può più giocare questa parte con me.

«Cosa vuoi che me ne importi della tua piccola


impertinente. Ti ho solo chiamato per ricordarti della
cena di stasera. Ci vediamo alle otto. Al Fairmont
Olympic» mi ordina quasi.

Vorrei risponderle a tono, ma qualcosa in una vetrina


cattura la mia attenzione. “Sono perfetti per lei”.

«Sì, Elena. Ora devo andare. A più tardi» e mentre


chiudo penso a quanto sia diventato strano per me dire
una semplice frase di saluto come “A più tardi” senza
aggiungere quel piccolo vezzeggiativo che mi rende sicuro
che sto parlando con lei.

Davanti a me, nella preziosa vetrina di Cartier, uno


splendido paio di orecchini semplici, ma raffinati, mi
guarda. Chiudo gli occhi e penso a quanto sarebbe bello
vederglieli addosso. Scoparla con addosso solo il mio
regalo. Semplici diamanti. E lei. E io che le entro dentro
ripetutamente, senza sosta. Quasi senza accorgermene
entro nel negozio. Dieci minuti più tardi e 38mila dollari
in meno, esco con un piccolo pacchetto rosso, siglato con
l’inconfondibile marchio della maison di gioielli. Mi sento
soddisfatto. E felice. Felice per aver fatto qualcosa per lei.
Il pomeriggio lo passo a far finta di lavorare nel mio
studio. Non ne posso più della sua mancanza. Mi giro da
destra verso sinistra sulla mia sedia, facendo muovere le
rotelle sul pavimento. Appoggiata alla tastiera del mio
MacBook, la scatoletta rossa che contiene gli orecchini.
Ho deciso di darglieli sabato sera, quando andremo a
teatro. Sarebbe perfetta con addosso questi e il vestito
color argento che ho visto nel suo guardaroba. Sorrido
come un idiota. La mia fantasia su cosa potrei trovare
sotto quel vestito viene interrotta da una mail di Ana.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.08 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Verboso?

Signore,

sei proprio uno scrittore loquace. Devo andare a cena al golf club di
Bob e, tanto perché tu lo sappia, il pensiero mi fa alzare gli occhi al
cielo. Ma tu e la tua mano che prude siete molto lontani, quindi per il
momento il mio posteriore è al sicuro. Mi è piaciuta la tua mail.
Risponderò appena posso. Mi manchi già.

Buon pomeriggio.
Tua Ana

Inspiro, mentre il suo “mi manchi” mi riempie di gioia.


Mi scappa da ridere. E poi, il pensiero del suo
meraviglioso culo esposto e rosso, che porta i segni della
mia mano mi manda in estasi. Appoggio la testa allo
schienale della sedia e chiudo gli occhi, godendomi quel
tormentoso ricordo. Il mio pene pulsa. Vorrebbe averla.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.10
Oggetto: Il tuo posteriore

Cara Miss Steele,

sono distratto dall’elemento in oggetto. Non c’è bisogno di dire che è


al sicuro… per ora.
Goditi la cena.
Anche tu mi manchi, soprattutto il tuo didietro e la tua lingua
biforcuta.
Il mio pomeriggio sarà noioso, ravvivato solo dal pensiero di te che
alzi gli occhi al cielo. Penso che sia stata tu a farmi notare, assennata
come sempre, che anch’io soffro di questa pessima abitudine.

Christian Grey
Amministratore delegato e grande alzatore di occhi, Grey Enterprises
Holdings Inc.

Sorrido mentre le spedisco la mail, aspettandomi una


risposta impertinente come al solito.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.14 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Occhi al cielo

Caro Mr Grey,

piantala di scrivermi. Sto cercando di prepararmi per la cena. Sei una


grossa distrazione, anche quando sei dall’altra parte del continente.
Eh, già… chi sculaccia te quando alzi gli occhi al cielo?

Tua Ana

Non posso farci niente. La mia mente si mette all’opera


e la immagino nuda, mentre cerca di vestirsi. Accaldata
dall’afa di Savannah, sudata. E vogliosa. Devo trattenermi
dallo scriverle quello che le farei in questo momento.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.18
Oggetto: Il tuo posteriore

Cara Miss Steele,

continuo a preferire il mio oggetto al tuo, da diversi punti di vista.


Si dà il caso che io sia padrone del mio destino e nessuno possa
castigarmi. A parte mia madre, di tanto in tanto e, naturalmente, il
dottor Flynn. E tu.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Mentre le invio la mia risposta, penso a quanto sia vero


quello che le ho appena scritto. “Forse neppure mia
madre e Flynn hanno lo stesso potere su di me. Forse ce
l’hai solo tu. Solo tu sai rendere la mia vita un paradiso
mentre continuo a vivere il mio inferno personale”.
Il BlackBerry vibra di nuovo.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.22 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Castigarti… Io?

Caro signore,

quando mai ho trovato il coraggio di castigarti, Mr Grey?


Temo che mi confondi con un’altra persona… cosa assai
preoccupante.
Devo davvero prepararmi.

Tua Ana

Sorrido mestamente, cercando di alleggerire la


tensione. Non voglio che lei pensi ad Elena. Conosco bene
l’effetto che ha su di lei. E so che più tardi le dovrò dire
dove vado stasera. “Davvero, Grey? Devi?”. Bè… forse no.
Posso ometterlo. Del resto non è importante. E io non
sono da lei per calmare la sua furia.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.25
Oggetto: Il tuo posteriore

Cara Miss Steele,

lo fai di continuo in queste mail. Posso tirarti su la cerniera?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La sua risposta alla mia mail e al mio scherzo mi


manda in estasi.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.28 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: VM 18

Preferirei che la tirassi giù.

Il mio uccello inizia a tremare. La stoffa dei miei


pantaloni è tesa in un modo imbarazzante e per fortuna
che oggi sono a casa e non in ufficio. Il mio respiro si fa
affannoso. L’agitazione che sento è acuita dal fatto che è
da ieri mattina che non la scopo. Da ieri mattina su
questa fottuta scrivania. I miei occhi si posano sul piano
del tavolo, ricordando come l’ho presa violentemente,
mentre lei godeva ripetutamente, gemendo il mio nome.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.31
Oggetto: Attenta a quello che desideri…

ANCH’IO.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Cerco di imprimere tutto il mio desiderio in quelle
lettere maiuscole. La sua risposta immediata mi fa
gemere sommessamente.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.33 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Ansimando

Lentamente…

Giocare con lei in questo modo è qualcosa di


indescrivibile. Se non avessi la cena con Elena, stasera,
potrei partire ora e arrivare da lei. Spogliarla, mettermela
a cavalcioni su di me e guardarla affondare lentamente
sul mio cazzo, in preda al desiderio carnale di possederci
a vicenda.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.35
Oggetto: Gemendo

Vorrei essere lì.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Le digito velocemente il mio desiderio, attendendo


ansioso la sua risposta. Che arriva celere.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.37 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Gemendo

ANCH’IO.
Sto per rispondere quando il mio telefono vibra di
nuovo. Apro la sua nuova mail.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 19.39 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Gemendo

Devo andare.

A più tardi, piccolo.

“Cristo, Ana!”. Mi ha lasciato proprio sul più bello. Le


digito lo stesso la mia risposta. Frustrato.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 16.41
Oggetto: Plagio

Mi hai rubato la battuta. E lasciato in sospeso.

Buon appetito.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Guardo l’orologio. Non riesco più a connettere con il


lavoro. Decido di farmi una doccia e riprovarci dopo.
Entro nel bagno mentre mi allento la camicia. Mi spoglio
rapidamente e mi infilo nella doccia. So che non riuscirò a
resistere al desiderio di lei. Quindi mi abbandono
all’impeto che sento, senza opporre resistenza. La rivedo
a gambe aperte sulla mia scrivania, mentre la penetro a
fondo, tenendola ferma. Facendola mia nel profondo. Le
mie mani scorrono veloci lungo la mia asta. Non voglio
prolungare la mia tortura. Non potrò averla per altri tre
giorni. Tre fottuti giorni ancora senza di lei. Il pensiero di
quanto la scoperò forte quando ci rivedremo, proprio qui
magari, in questa doccia, contro questa parete dove ora la
mia mano fatica a stare ferma, mi spinge oltre ogni limite
mentre vengo urlando il suo nome. Cado in ginocchio,
con il capo chino. L’acqua mi scorre sulla schiena mentre
il mio respiro fatica a calmarmi. Nelle orecchie ancora il
suono della mia voce che implora il suo nome. “Cosa
cazzo mi sta succedendo, Cristo Santo?”.

Poche ore più tardi sono pronto per la cena con Elena.
Ho indossato un completo nero con una camicia bianca.
Ho dato la serata libera a Taylor e Gail, quindi mi
toccherà guidare. Mentre aspetto l’ascensore la mia tasca
vibra. Estraggo il BlackBerry. É di nuovo lei.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 22.18 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Da che pulpito…

Signore,

mi sembra che in origine fosse una battuta di Elliot.


Sospeso come?

Tua Ana

Sorrido. Dopo lo sconvolgimento di oggi pomeriggio ho


ritrovato la stabilità. E ora non posso perderla di nuovo,
Miss Steele. Con Elena mi sento sempre sotto esame.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 19.22
Oggetto: Cose lasciate a metà

Miss Steele,

sei tornata. Te ne sei andata così all’improvviso, proprio mentre le


cose si facevano interessanti. Elliot non è molto originale. Avrà
rubato la battuta a qualcun altro. Com’è stata la cena?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Salgo in ascensore e mi dirigo in garage.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 22.26 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Cose lasciate a metà?

La cena è stata abbondante. Sarai contento di sapere che ho mangiato


fin troppo. Interessanti? Perché?

Arrivo in garage e apro la R8 con il telecomandino,


mentre le rispondo, sorridendo.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 19.30
Oggetto: Cose lasciate a metà, niente da aggiungere

Fai finta di non capire? Pensavo che mi avessi chiesto di tirarti giù la
cerniera del vestito. E non vedevo l’ora di farlo. Sono felice di sapere
che mangi.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Mi infilo in auto e mi allaccio la cintura di sicurezza.
Infilo le chiavi e sto per mettere in moto quando mi arriva
una nuova mail.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 22.36 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: BÈ… c’è sempre il weekend

Certo che mangio… È solo l’incertezza che sento vicino a te che mi fa


passare l’appetito. E non farei mai finta di non capire, Mr Grey, se
non avessi uno scopo preciso.
Ormai dovresti averlo capito. ;)

Che piccola impertinente! Sorrido e le mando la mia


ultima mail.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 19.40
Oggetto: Non vedo l’ora

Me lo ricorderò, Miss Steele, e senza dubbio saprò usare questa


informazione a mio vantaggio. Mi dispiace sentire che ti faccio
passare l’appetito. Pensavo di avere un effetto più lussurioso su di te.
Questa è stata la mia esperienza, estremamente piacevole, devo dire.
Aspetto con ansia il prossimo incontro.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Evito di dirle della cena con Elena. Forse è meglio. E


poi non deve per forza sapere di ogni mio spostamento.
Sto per rimettere in moto ma la vibrazione del telefono mi
ferma di nuovo. Alzo gli occhi al cielo. “Staremo qui in
eterno, Anastasia”.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 22.36 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Ginnastica linguistica

Ti sei rimesso a giocare con il dizionario?

Mi scappa una risata divertita. “Ora devo davvero


andare, Ana”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 31 maggio 2011 19.40
Oggetto: Beccato

Mi conosci troppo bene, Miss Steele.


Vado a cena con una vecchia conoscenza, quindi dovrò guidare.

A dopo, piccola.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Quando finalmente faccio ingresso nella sala ristorante


del Fairmont, Elena mi aspetta al tavolo, sorseggiando un
bicchiere di vino. Mi sorride, mentre mi chino a baciarla
sulle guance.

«Elena, sei splendida» le dico affettuosamente.

Negli ultimi giorni non sono stato molto cortese con


lei. Cercherò di rimediare questa sera. E poi mi serve una
serata come ai vecchi tempi.

«Christian, sei elegante come sempre. Accomodati»

La sua voce è melliflua, la sua espressione è strana. Un


mix di malizia e sensualità. Qualsiasi uomo le cadrebbe ai
piedi. Le sorrido sincero, contento di poter contare sulla
sua amicizia. Le devo molto. Forse tutto. Ordiniamo e
passiamo metà della serata a chiacchierare di affari.
Gestiamo insieme il salone di bellezza e Elena mi
ragguaglia sugli ultimi sviluppi. Mi rilasso e sì, mi diverto.
Almeno fino a quando non se ne esce con una frecciatina
poco velata.

«Dove hai spedito la tua “fidanzata”, stasera,


Christian?» mi chiede senza riuscire a trattenere una
risatina ironica.

Il disprezzo che usa nel definire Anastasia la mia


fidanzata mi fa alzare un sopracciglio.

«Anastasia è in Georgia, dalla madre» le dico severo.

Vorrei aggiungere che non è la mia fidanzata. Ma mi


sento come se a dire una cosa del genere la stessi
tradendo. Io la voglio. La desidero. Voglio che mi stia
accanto per tutta la vita. Quindi sì, è la mia fidanzata.
Forse non è ancora la mia Sottomessa. Ma è la mia
fidanzata. É l’unico modo in cui in questo momento posso
legarla a me. Elena sembra sorpresa dal fatto che io non
lo faccia. Stringe le labbra in una fessura sottile.

«Ha firmato il tuo contratto?»

Evito di rispondere, guardando la coppia di distinti


signori seduti al tavolo accanto al nostro.

«Non l’ha ancora fatto vero?» mi chiede arrogante.

«Cosa vuoi, Elena? Dove vuoi andare a parare?» le


chiedo sgarbatamente.

La vibrazione del mio telefono ci interrompe. Senza


smettere di guardarla in modo gelido, prendo il telefono
dalla tasca interna della giacca. La mail è sua.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 31 maggio 2011 23.58 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Compagni di cena

Spero che tu e la tua vecchia conoscenza abbiate avuto una cena


piacevole.

Ana

PS: Era Mrs Robinson?

Non le rispondo e rimetto a posto il telefono.

«Rispondile, Christian»

Elena mi fissa. Il nostro è un gioco a chi prima cede


sotto lo sguardo affilato dell’altro.

«Rispondile, Christian» mi ripete più dolcemente.


«Non lo capisci, vero?»

Spalanco gli occhi, senza afferrare il senso delle sue


parole.

«Cosa devo capire?» le chiedo aggrottando la fronte.

«Che tu sei importante per lei. Ho parlato con Grace. E


ho visto come sei diventato. Tu sei davvero importante
per lei. Più di quanto pensi»
Resto in silenzio, senza riuscire a connettere con il
mondo esterno. Le parole di Elena mi rimbombano nella
testa. “Cosa vuole dire esattamente?”. Si sporge,
poggiando la sua mano sulla mia. E sorridendomi
teneramente.

«Lei ti ama, Christian. Anastasia è innamorata di te. E


tu lo sei di lei»

Apro la bocca per replicare, ma fallisco. Sono scioccato.


E un dolore diffuso al petto mi impedisce di respirare.

«No. No, no. Elena…» ma non riesco a continuare.

La mia bocca è secca, le parole non mi escono. Il


panico si diffonde nel mio corpo. Mentre guardo
impotente la sua mano accarezzare la mia nel tentativo di
calmarmi.

«Christian, devi accettarlo. É la realtà...»

«Smettila» le sibilo contro in un impeto velenoso.


«Smettila con le tue stronzate, Elena»

Ritrae in fretta la sua mano, raddrizzando la schiena.


Sul viso le si forma un ghigno strano.

«Prima lo accetti, Christian, prima puoi lasciartelo alle


spalle. Tu non sei fatto per queste stronzate. Tu sei come
me»

La guardo e so che ha ragione. Non sono fatto per


questo. Ma ancora peggio, Anastasia non può provare
determinate cose per me. Non deve. Io non sono un uomo
da amare. Io sono un mostro. Prima o poi le farò del
male. E io non voglio che questo accada. Mai.

«Smettila, Elena» riesco solo a ripeterle, mentre


ansimo furioso.

La vedo alzarsi, ma non riesco ad essere tanto educato


da alzarmi con lei.

«Sai, Christian, dovresti raggiungerla in Georgia, da


sua madre. Magari potreste organizzare già il
matrimonio. L’importante è che tu sia pronto a rinunciare
alla tua vita per lei» mi dice cruda.

Senza aggiungere altro mi lascia da solo. Al tavolo. Nel


panico più totale. Il mio cervello non riesce a mettere
insieme un pensiero decente mentre torno a casa. Sono
solo confuso, furioso. Non mi riconosco. Che lei abbia
ragione? Che Anastasia si sia innamorata di me ?
‘Christian, avevi bisogno che fosse Elena a dirlo? Non era
palese?’. No. Non lo è. NON PUO’ ESSERE COSI’.
Ringhio la mia rabbia in un impeto di frustrazione,
mentre salgo in ascensore. Entro in casa e non mi fermo.
Ho bisogno di fare una cosa. Salgo gli scalini a due a due e
apro di colpo la mia Stanza dei giochi. Entro e chiudo la
porta. Chiudo gli occhi e inspiro. Niente. Nulla. Solo lei.
C’è solo lei nella mia mente. Non c’è quell’aura di dolore e
di vendetta che mi accompagna va qui dentro. Non penso
di voler punire nessuno. Frustare nessuno. Sfogarmi su
nessuno. Voglio solo far godere Anastasia. Mi avvicino al
letto e mi appoggio alla colonnina di legno. “Cristo!
Cristo, cristo, cristo!”. Esco e scendo al piano di sotto.
Vado a versarmi un generoso bicchiere di vino bianco e
mi siedo al pianoforte. La mia vita sta perdendo ogni
briciolo di senso. Sto combattendo contro quello che
sono. O quello che ero, ormai. Non so più chi sono in
effetti. Non so più cosa aspettarmi. Non ho più il mio
fottuto controllo su tutto. Su qualsiasi cosa. Sulle mie
emozioni. In un impeto di rabbia scaravento il bicchiere
di vino contro la vetrata. Il cristallo del flûte va in
frantumi, mentre mi passo le mani nei capelli, esasperato.
Se solo fosse qui. Se solo fosse qui la scoperei fino allo
stremo, fino a farla svenire. E allora lo saprei, saprei cosa
fare, cosa pensare. Saprei tutto. Ma quello che so ora è
che non ho nulla. Sono la scatola vuota di un bambino
troppo martoriato dalla vita. Non so nulla di me stesso
del mondo. Tutte le mie certezze sono finite nel cestino
della spazzatura. E a buttarceli sono stati un paio di occhi
azzurri da cerbiatta.

Quando faccio ingresso nel salotto, Gail sta pulendo il


disastro di ieri sera. Mi guarda, salutandomi. Si sforza di
fare un sorriso. Ma la realtà è che non mi ha mai visto in
questo stato. Ho lo sguardo stanco, il viso tirato. E devo
andare in ufficio. É prestissimo e io non ho dormito. Ho
passato la notte nella palestra dell’Escala, a cercare di
espellere i miei pensieri con il mio sudore. Ma
inutilmente.

«Questa mattina non farò colazione, Gail»

Annuisce, sgranando gli occhi dinnanzi al mio


comportamento a dir poco inusuale. Mi affretto a
scendere in garage, dove Taylor mi attende. Arrivo in
ufficio e sbrigo tutti gli affari in sospeso. Mando un
messaggio a Flynn, chiedendogli un altro appuntamento,
ma risponde che non è possibile. “Fottiti, John!”. Sospiro.
“Bene. Cosa dice quella stronzata di terapia? Fissa il tuo
obiettivo e cerca di raggiungerlo”. Chiudo gli occhi e fisso
il mio obiettivo. É lì, davanti a me. Bella come non mai.
Mentre ride, si liscia i capelli, mi guarda maliziosa, si
morde il labbro, geme il mio nome, mi accoglie dentro di
sé. É lei il mio obiettivo. É Anastasia. Il resto non conta.
Ora devo solo raggiungerla. Alzo il telefono e chiamo
Taylor.

«Fai preparare il mio jet e un piano di volo per la


Georgia. Ti aspetto giù in garage»

Senza aspettare una risposta, chiudo e raccolgo le mie


cose. Mi affretto ad uscire dal mio ufficio.

«Andrea, cancella tutti i miei impegni fino a venerdì »


dico alla mia assistente sfrecciandole davanti.

«Ma, Mr Grey…» balbetta scioccata.

«Delega tutto a Ros» le urlo dall’ascensore.

Due ore più tardi sono sul mio jet privato, diretto in
Georgia. Nelle mani stringo la scatolina rossa con gli
orecchini. ‘Sembra tu voglia chiederle di sposarti con
quegli orecchini, Grey’. Sopprimo un sorriso. Come ho
soppresso tutto il resto. Ho focalizzato la mia energia sul
mio obiettivo. Per la prima volta nella mia vita ho fatto
davvero quello che Flynn continua a ripetermi da anni. E
aveva ragione. Mi sento meglio. Mi sento bene.

Quando atterro, ad attendermi trovo un’auto. Taylor


come sempre pensa a tutto ovviamente.

«Taylor, prenota un giro in aliante per domani preso il


circolo più vicino. Voglio portare Miss Steele a fare un
giro. Pagali in modo che resti chiuso per tutto il giorno.
Dalla mezzanotte di stasera a quella di domani. Non so
quando faccia più comodo ad Anastasia».

‘Non sai neppure se vuole vederti, Grey’. Già. Mi aveva


chiesto spazio, tempo. Ma io ho bisogno di lei. Voglio
tentare di capire qualcosa. Arriviamo nel prestigioso
Hotel di Savannah dove ho una suite prenotata. Sono
stanco e il caldo mi ha fatto appiccicare addosso il
completo. Decido di fare una sosta al bar, prima di salire
a fare una doccia. Entro nella sala e mi sento attratto da
qualcosa di indecifrabile. La mia testa si gira in
automatico verso sinistra. E la vedo. Per poco non mi
esplode il petto dalla gioia. È meravigliosa. La pelle
leggermente abbronzata, un top verde smeraldo che
esalta la sua carnagione e i suoi capelli lisci che le
ricadono sulle spalle. É favolosa. Sono tentato di
avvicinarmi. Ma voglio metterla alla prova. Le scriverò
una mail. Sono curioso di sapere come reagirà. Se anche
per lei è di vitale importanza avere un contatto con me.
Solo quando prendo il BlackBerry mi ricordo di non aver
risposto alla sua ultima mail. Bene. Ora posso gestire il
suo umore. Le scrivo velocemente la mia risposta alla sua
domanda.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 1 giugno 2011 21.40 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Compagne di cena

Sì, ho cenato con Mrs Robinson. È solo una vecchia amica, Anastasia.
Non vedo l’ora di rivederti. Mi manchi.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Attendo che si accorga della mia mail, mentre sua
madre la lascia sola al tavolo, allontanandosi. La vedo
finalmente infilare la mano nei jeans e tirar fuori il
telefono. La sua espressione diventa furiosa d’un tratto.
Percepisco al sua rabbia anche da qui, mentre digita
furiosamente la sua risposta.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 1 giugno 2011 21.42 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: VECCHIE compagne di cena

Non è solo una vecchia amica. Ha trovato un altro adolescente su cui


affondare i denti?
Tu ormai sei troppo attempato per lei? È questo il motivo per cui la
vostra relazione è finita?

Leggo la risposta, che mi lascia perplesso e quando


alzo di nuovo gli occhi sua madre è di nuovo al tavolo.
Parlottano, mentre Anastasia si sposta i capelli indietro,
scoprendo le sue meravigliose spalle. É imbronciata,
mentre la madre ordina al cameriere altri drink. Sul
tavolo ci sono due bicchieri vuoti. Le rispondo, mentre
faccio qualche passo in avanti.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 1 giugno 2011 21.45 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Stai attenta…

Non voglio parlare di questo via mail. Quanti Cosmopolitan hai


intenzione di bere?

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La vedo leggere la mia risposta e sbiancare di colpo,
mentre la madre la guarda preoccupata. Si gira
lentamente intorno e poco dopo il suo sguardo si posa su
di me. Il respiro mi si mozza in gola e la stessa reazione la
leggo nei suoi occhi. Mi avvicino lentamente al suo tavolo.
É come se ci fossimo solo noi due. Solo noi. Null’altro
intorno. E non sono così sicuro che lei sia felice di
vedermi.
Capitolo 23
Fingendo una disinvoltura che in realtà non mi
appartiene, mi avvicino facendo un leggero slalom tra i
tavoli. I miei occhi non lasciano neppure per un secondo i
suoi, cercando di sondare il suo umore. Ho pensato tanto
a come sarebbe stato, a come mi avrebbe accolto. Ho
passato tutto il viaggio ad arrovellarmi il cervello su
quanto sarebbe stato fantastico rivederla e darle tutto
quello che avrebbe voluto. Ma ora la sua espressione mi
ricorda che mi aveva chiesto solo una cosa. Tempo.
Stringo forte la bocca, serrando la mascella. É davvero
bellissima e il desiderio che ho dovuto per forza di cose
tenere a freno negli ultimi due giorni sta affiorando
prepotentemente in superficie. Anastasia mi fissa
stringendo leggermente gli occhi. É arrabbiata. Per il
messaggio? Per la mia improvvisata? ‘Forse per entrambe
le cose, Grey’. Quando arrivo accanto a lei, la guardo con
sospetto. In realtà non so bene come comportarmi.

«Ciao» mi saluta, con la voce stridula, che rivela tutta


la sorpresa che prova nel vedermi qui in piedi di fronte a
lei.

«Ciao» le rispondo.

Senza starci troppo a pensare mi chino verso di lei,


sfiorandole la guancia con le labbra. Quel breve e delicato
contatto mi manda in estasi. Devo fare uno sforzo
immenso per nascondere quello che provo, sotterrarlo
dentro di me e tenere un contegno davanti a sua madre.

«Christian, ti presento mia madre, Carla»


Anastasia si gira a guardare la madre e io la imito,
educatamente.

«Mrs Adams, sono lieto di fare la sua conoscenza»


sento lo sguardo di Ana che torna su di me,
probabilmente sorpresa dal fatto che conosca il nome
completo di sua madre. Evito di guardarla. Sorrido a sua
madre, che non fa nulla per nascondere l’apprezzamento
nei miei confronti, e le tendo la mano che lei stringe,
rimanendo a fissarmi a bocca aperta. Mi viene da ridere.
“Ora sarai gelosa anche di tua madre, Miss Steele?”. Con
al coda dell’occhio la scorgo mentre la fissa sconvolta.

«Christian» mormora sua madre, con ammirazione.

Piego leggermente la testa di lato, lanciandole un


sorrisetto e un’occhiata complice. Ana ci lancia
un’occhiataccia.

«Cosa ci fai qui?» la freddezza della sua domanda


improvvisa mi fa gelare il sangue nelle vene.

Il mio sorriso sparisce di colpo. Mi giro a guardarla. Il


suo sguardo è colmo di rabbia. Anche se mi sembra di
scorgere un pizzico di sollievo e, sì, forse di gioia, nei suoi
occhi. O forse ci sto solo sperando. Meglio andarci con i
piedi di piombo.

«Sono venuto a trovarti, mi sembra ovvio» le dico,


guardandola e cercando di non tradire nessuna emozione.
Soprattutto la rabbia furente che in questo momento mi
anima il petto. “Sono qui per te. Sono qui perché mi era
diventato impossibile persino alzarmi dal letto senza
averti accanto”. «Alloggio in questo hotel»

«Alloggi qui?» mi chiede con la voce stridula, faticando


a contenere la sua espressione sarcastica.

Mi raddrizzo leggermente, mettendomi


involontariamente sulla difensiva. “Non sono uno stalker,
Miss Steele”. ‘Dai, Grey. Un po’ lo sei’. Non in questo
caso, comunque.

«Bè, ieri hai detto che avresti voluto che fossi qui» le
dico, osservando il suo viso che avvampa leggermente.
“Bene”. «Ogni tuo desiderio è un ordine, Miss Steele»
continuo, fissandola. Non sto scherzando. Voglio che lo
sappia. Voglio che capisca che è davvero lei ad avere il
controllo della situazione.

«Le va di bere qualcosa con noi, Christian?» ci


interrompe Mrs Adams, facendo un cenno al cameriere
che si avvicina al nostro tavolo.

«Vorrei un gin tonic» gli dico quando mi guarda


aspettando la mia ordinazione. «Con l’Hendrick’s, se lo
avete, o il Bombay Sapphire. Cetriolo con l’Hendrick’s,
lime con il Bombay»

«E altri due Cosmopolitan, per favore» sento Anastasia


aggiungere.

La guardo e lei mi lancia un’occhiata di sfida. “Cristo


quanto vorrei sculacciarti proprio ora, Miss Steele”.

«Si accomodi, Christian»


Sua madre interrompe di nuovo i miei pensieri.

«Grazie, Mrs Adams»

Mi allontano di qualche passo, prendendo una sedia da


un tavolo libero vicino a quello dove sono sedute Carla ed
Anastasia e mi siedo accanto a quest’ultima, che ha
seguito ogni mio minimo movimento.

«E così ti trovavi per caso nell’hotel dove siamo venute


a bere?» mi chiede dopo qualche attimo, cercando di
assumere un tono di noncuranza.

«O forse voi vi trovavate per caso a bere nell’hotel dove


alloggio» le rispondo a tono. «Ho finito di cenare, sono
venuto qui e ti ho trovata. Ero soprappensiero per via
della tua ultima mail, ho alzato gli occhi e ti ho visto. Una
bella coincidenza, no?» la guardo senza riuscire a
trattenere un piccolo sorriso.

“Qualche attimo di più in quel ristorante in centro e ti


avrei persa, Ana. E invece ti trovo qui, seduta con tua
madre, a bere drink. E sei così bella, furiosa, gelosa,
preoccupata. Oh, riesco a leggerle tutte queste cose in te.
Perché le sento anch’io.

«La mamma e io siamo andate a fare shopping


stamattina, e nel pomeriggio ci siamo fiondate in
spiaggia. Stasera avevamo deciso di berci un paio di
cocktail» mormora abbassando gli occhi.

Il suo tono si è addolcito. Appare quasi rassegnata ora.


La guardo e i miei occhi vengono catturati dal suo top di
seta verde, che esalta la sua carnagione lievemente
abbronzata.

«Hai comprato questo?» le dico, indicandoglielo con


un dito.«Il colore ti dona. E poi hai preso il sole. Sei
bellissima» le mormoro in un impeto di sincerità.

Sono consapevole che i miei occhi fiammeggiano nei


suoi. Che lei sta percependo quanto io la desideri in
questo momento. Arrossisce violentemente.

«Insomma, avevo intenzione di venire a trovarti


domattina. Ma eccoti qui» le dico, quasi senza fiato.
Allungandomi verso di lei, le prendo una mano,
stringendola piano con la mia e inizio a strofinarle il
pollice sulle nocche. Il mio corpo reagisce d’istinto
all’eccitazione che sento crescere nel suo, eccitandosi a
propria volta. Quel piccolo contatto basta a calmarmi. E a
calmarla. Era solo di questo che avevamo bisogno per
smorzare la tensione tra noi? Di un contatto? Avevo solo
bisogno di toccarla per stare bene? Forse. Forse sì.
Anastasia mi guarda, sorridendo piano, timida. E scappa
un sorriso anche a me. La sento inspirare a fondo, mentre
il desiderio represso da due giorni ci sta avvolgendo
entrambi in un’aura carica di eccitazione. Ma devo
tenermi a freno. C’è sua madre, maledizione.

«Avevo pensato di farti una sorpresa. Ma come al


solito, Anastasia, sei stata tu a sorprendermi,
presentandoti qui» le dico piano.

Anastasia deve pensare la stessa cosa che sto pensando


io perché lancia un’occhiata furtiva a sua madre. Si
acciglia, esasperata, di fronte allo sguardo di sfrontata
ammirazione che Mrs Adams mi sta rivolgendo.
«Non volevo interrompere la vostra serata insieme.
Berrò un drink veloce e andrò a dormire. Ho del lavoro da
fare» le dico, recuperando la mia serietà.

Ed è vero. Oggi sono fuggito dall’ufficio in meno di tre


secondi. Ros mi ha mandato quattro mail a cui non ho
ancora risposto. Devo parlarle prima che venga a
prendermi a calci in culo per riportarmi dietro quella
fottuta scrivania.

«È un vero piacere per me conoscerla, finalmente» mi


dice Mrs Adams, costringendomi a staccare gli occhi da
Anastasia per guardarla e rivolgerle un sorriso educato.

«Ana mi ha parlato di lei con molto affetto» continua,


guardando la figlia con dolcezza e amore.

Le faccio un gran sorriso, aperto e sincero. “E così le


hai parlato di me con molto affetto, Miss Steele?”.

«Davvero?» chiedo a sua madre, guardando Anastasia


con divertimento.

Il suo viso si colora di rosso all’improvviso. Prevedibile.


E mi sento felice. Mi sento davvero felice. Lei ci tiene a
me. Mi vuole, mi desidera. Le parole di Elena tornano a
tormentarmi. “Lei ti ama, Christian”. Per fortuna il
cameriere interrompe i miei pensieri caotici.

«Hendrick’s, signore» mi dice porgendomi il bicchiere


con aria trionfante.

«Grazie» gli dico, soddisfatto per non essermi dovuto


accontentare.

«Fino a quando si fermerà in Georgia, Christian?» mi


chiede Carla.

«Fino a venerdì, Mrs Adams»

Fino a quando Anastasia non verrà via con me. Fino a


quando non sarò certo di questo.

«Vuole venire a cena da noi, domani sera? E, per


favore, mi chiami Carla» mi dice con un sorrisetto.

«Mi farebbe molto piacere» mi trovo a risponderle


educato.

Riesco solo a pensare al fatto che voglio passare tutto il


tempo con lei. In qualsiasi modo.

«Ottimo. Se volete scusarmi, ho bisogno di andare alla


toilette» dice Mrs Adams, guardandoci entrambi con un
sorriso.

L’ho vista andarci appena due minuti fa. Quindi sta


solo dandoci l’opportunità di avere un momento tutto per
noi. La tensione tra me è Anastasia torna a salire. Miss
Steele la segue con lo sguardo finché non scompare. Io
non smetto di guardarla. Quando finalmente mi rivolge di
nuovo l’attenzione la fisso intensamente.

«Quindi sei arrabbiata con me perché ho cenato con


una vecchia amica»

Ho visto la furia nei suoi occhi. Ho visto il tarlo della


gelosia, quello che rode anche me. Dio, è così possessiva!
E questo mi piace, mi eccita da pazzi. Perché per me è lo
stesso. É la conferma che il nostro desiderio è intenso allo
stesso modo. Senza smettere di fissarla, le prendo la
mano e me la porto alle labbra. Piano, bacio ogni singola
nocca, sentendo il suo corpo emanare un calore
avvolgente.

«Sì» mormora senza fiato, arrossendo di nuovo.

«La mia relazione sessuale con lei è finita molto tempo


fa, Anastasia. Non voglio altre donne, solo te. Non l’hai
ancora capito?» le dico piano, sincero. Scandisco ogni
parola, per imprimerla a fondo nella sua testa. Mi rivolge
uno sguardo colpito, stupito, imbarazzato. Abbassa gli
occhi, inumidendosi le labbra. Poi torna a fissarmi, con
gli occhi sgranati.

«Penso che quella donna sia una pedofila, Christian»


mi dice tutto d’un fiato.

Le sue parole mi colpiscono dritte dentro. Sbianco,


guardando la sua espressione. Sono sconvolto da quello
che ha appena detto. “Non era così. Non era
assolutamente questo”.

«È un giudizio molto severo. Non si è trattato di niente


del genere» le mormoro a stento, senza sapere cos’altro
dire.

So che ha ragione tecnicamente. Ma so anche che


fondamentalmente non ne ha. Non mi conosce, non
conosce il mio passato. Non sa nulla di me e della mia
vita. E di quanto Elena mi sia stata d’aiuto. Anche se a
volte fa la stronza. Le lascio andare la mano che stringevo
amorevolmente.

«Ah, e allora di cosa si è trattato?» mi incalza


all’improvviso.

Aggrotto la fronte senza sapere cosa risponderle. “A


cosa serve rivangare queste cose, Ana? Sono qui. E ci
sono per te. Fattelo bastare per una volta, Cristo Santo!”.

«Ha approfittato di un quindicenne vulnerabile. Se tu


fossi stato una ragazzina, e Mrs Robinson fosse stata un
maturo signore e ti avesse coinvolto in una relazione
sadomaso, sarebbe stato accettabile? Se fosse successo a
Mia?»

Le sue parole hanno effetto immediato su di me.


Pensare a Mia imbavagliata e legata in una stanza
attrezzata per le pratiche sadomaso mi fa salire la nausea,
mentre un senso di furia si impadronisce di me. “Ma per
me non è stato così, Anastasia. Smettila di fare paragoni
del cazzo”. La fisso sconvolto, a bocca aperta.

«Ana, non è stato così» le dico corrucciato, tentando di


riprendermi.

Mi guarda di traverso, davvero infuriata. Chiudo


brevemente gli occhi, passandomi velocemente una mano
nei capelli. ‘Tecnicamente non puoi darle torto, Grey’.

«O almeno io non l’ho vissuto così» le dico a bassa


voce. «Lei è stata un dono del cielo. Quello di cui avevo
bisogno» le spiego.
Stranamente non ho il coraggio di guardarla in faccia.
Abbasso gli occhi. Mi sento colpevole anche se non ne ho
motivo. Io so quello che c’è stato tra me ed Elena. So che
non è niente di tutto quello che pensa Anastasia. So che
ne avevo bisogno.

«Non capisco» mi dice.

Ha lo sguardo stranito. “Ecco, Ana. Ecco la verità. Tu


non capisci”. Per la prima volta da quando sono atterrato
in Georgia mi sento come se avessi sbagliato. Come se
tutto questo fosse un errore. Ho bisogno di allontanarmi
da lei. Forse dormirci sopra mi aiuterà. E non sarò
tormentato dalle sue domande.

«Anastasia, tua madre tornerà presto. Non mi va di


parlare di questo adesso. Magari più tardi. Se non vuoi
che mi fermi qui, ho un aereo che mi aspetta
all’aeroporto. Posso andarmene» le dico in tono duro.

Non so dire se mi solleverebbe o meno sentirmi dire di


andarmene e non cercarla più. Ma nel momento stesso in
cui partorisco questo pensiero, sento una fitta acuta al
petto. “Non potrei mai starle lontano”.

«No, non andartene, per favore. Sono felice che tu sia


qui. Sto solo cercando di farti capire… Mi sono arrabbiata
perché, appena sono partita, sei andato a cena con lei.
Pensa a come ti senti tu ogni volta che incontro José. Lui
è un mio caro amico, con cui non ho mai avuto una
relazione sessuale. Mentre tu e lei…»

La sua voce trema leggermente, mentre la fisso


sbigottito. Ripenso a quando l’ho vista tra le braccia di
quel coglione. A quando ho saputo che è uscita con lui.
Sento quella morsa dolorosa alla bocca dello stomaco, la
furia accecante e una sete di vendetta disumana. “É così
che lei si sente quando vedo Elena? É davvero questo ciò
che prova? Come diamine fa quel corpo minuto a domare
tutti questi sentimenti allora?”.

«Sei gelosa?» le chiedo, addolcendo il mio tono di


voce.

«Sì, e arrabbiata per quello che ti ha fatto» mi risponde


decisa.

«Anastasia, lei mi ha aiutato. È tutto qui quello che ho


da dire. E per quanto riguarda la gelosia, mettiti nei miei
panni. Non ho dovuto rendere conto delle mie azioni a
nessuno negli ultimi sette anni. A nessuno. Io faccio
quello che desidero, Anastasia. Mi piace la mia
indipendenza. Non ho visto Mrs Robinson per farti
arrabbiare. L’ho fatto solo perché ogni tanto ceniamo
insieme. È una mia amica e una socia in affari»

Glielo dico con rassegnazione. Oramai ho capito


perfettamente che su questo argomento è una battaglia
persa in anticipo. Forse perché se davvero anche lei prova
quello che provo io quando la vedo con José, allora posso
capire. Anche per lei sarebbe una battaglia persa tentare
di convincermi che la loro è una semplice amicizia.
Almeno ora sa che quello che mi lega ad Elena sono solo
affari. Spero riesca a capire. Guardo la sua espressione
sbigottita.

«Sì, siamo soci in affari. Non c’è più sesso tra noi. È
così da anni» le dico rassegnato.
«Perché la vostra relazione è finita?» chiede,
aggrottando la fronte.

Faccio un ghigno crudele, pensando a quel figlio di


puttana di Linc e alle condizioni in cui ha lasciato Elena il
giorno che ci ha scoperti.

«Perché suo marito l’ha scoperto» le dico.

E me ne pento subito. Spalanca gli occhi ed emette un


gemito di sorpresa. Stringo le labbra, in una linea sottile e
la fisso truce.

«Possiamo parlarne un’altra volta, in un luogo più


appartato?» le mormoro, spostandomi sulla sedia, a
disagio.

«Penso che non mi convincerai mai che lei non è una


specie di pedofila» mi sibila contro.

«Io non penso a lei in questi termini. Non l’ho mai


fatto. Ora basta!» sbotto, esasperato dalla sua invadenza.

«La amavi?» mi chiede in un ultimo impeto di


coraggio, mentre io spalanco gli occhi e sua madre ci
raggiunge al tavolo.

«Come va, ragazzi?» chiede allegramente, cogliendoci


entrambi di sorpresa.

Eravamo così immersi nella nostra discussione che


non ci siamo accorti di avercela alle spalle. Entrambi
sorridiamo a stento, calmandoci.
«Bene, mamma» le risponde Anastasia, evitando di
guardarla direttamente negli occhi e fissando me di
sottecchi.

“É meglio che io vada in camera a sbollire la rabbia”.


Prendo il bicchiere e sorseggio il mio drink, restituendole
uno sguardo nervoso. Poggio il bicchiere sul tavolino e mi
alzo.

«Bene, signore, credo che vi lascerò alla vostra serata»


annuncio ad entrambe, fingendo una calma che al
momento non mi appartiene.

«Per favore, mettete i drink sul conto della camera 612.


Ti chiamo domani mattina, Anastasia. A domani, Carla»

«Oh, è così bello sentire qualcuno che usa il tuo nome


per intero» mi dice sua madre con un sorriso, giungendo
le mani davanti a sé, prima di tendermene una.

«Un bel nome per una bella ragazza» le mormoro


gentile, stringendole la mano.

Mrs Adams mi guarda civettuola, facendomi sorridere.


Anastasia si alza, fissandomi intensamente e
implorandomi silenziosamente di non lasciarla nel
dubbio. “Te lo meriti, Miss Steele. Mi sono fatto tutto
questo viaggio per vederti. E a te importa solo della mia
fottuta relazione con Elena”. La guardo, assumendo la
mia aria da bastardo. Mi chino verso di lei e le do un
veloce bacio sulla guancia.

«A più tardi, piccola» le sussurro all’orecchio, prima di


allontanarmi velocemente.

Sono letteralmente sfinito. Ed infuriato. In un modo


mai provato prima d’ora. Entro in ascensore, sorridendo
alle due attraenti donne che mi lanciano occhiate di
apprezzamento. ‘Ecco, Grey. Potresti avere chiunque. E
invece ti ostini a volere lei’. Arrivato in camera, accendo il
mio portatile e mi metto al lavoro. Devo spedire delle
mail urgenti, che ho trascurato di inviare oggi pomeriggio
a causa di un viaggio imprevisto. Sbuffo e mi viene da
sorridere. Un sorriso sarcastico. “Come sempre,
Anastasia, sai mandare a puttane le mie giornate”. Sbrigo
in fretta le ultime cose e poi chiamo Ros, aspettandomi di
sentirla urlare dall’altro capo del telefono perché l’ho
lasciata da sola a gestire una trattativa così importante
come quella con i taiwanesi. Mentre mi sorbisco la
ramanzina di Ros, bussano alla porta. Aggrotto la fronte e
vado ad aprire. E lì, sulla soglia, nel suo meraviglioso top
verde smeraldo e i suoi jeans che le fasciano le gambe in
quel modo così sexy, c’è lei. Anastasia. Quando le ho detto
il numero della mia camera non credevo che ci sarebbe
venuta. L’ho sperato per un istante. Ma non ci ho creduto.
E, invece, mi sorprende sempre. Quando riesco a
riprendermi dalla sorpresa, spalanco la porta e la lascio
passare. Di sottecchi mi concedo di guardare voglioso il
suo meraviglioso culo. E quando chiudo la porta la voglia
di scoparla mi assale.

«Tutti gli esuberi sono stati sistemati?» chiedo a Ros,


che mi sta aggiornando sulla fusione con una società di
energie rinnovabili a Portland.

Aggrotto la fronte quando la mia vice mi informa degli


errori di calcolo commessi da uno dei nostri contabili e di
come ha prontamente posto rimedio, nel migliore dei
modi, alla situazione. Mi avvicino al minibar e lo mostro
ad Anastasia, facendole segno di servirsi da sola. Mi
allontano, entrando in camera e poi nel bar. Mentre Ros
parla io non riesco a togliermi dalla mente il perché del
mio viaggio. Voglio scoparla. Voglio scoparla forte,
fotterla senza pietà. La voglio. Apro l’acqua e inizio e
riempire la vasca. Su una delle mensole ci sono delle
candele profumate. Le dispongo sul bordo della vasca e le
accendo con l’apposito accendi candele lì affianco. ‘Che
romanticismo, Grey!’. In effetti la stanza, illuminata dalla
soffusa luce delle candele, si è trasformata in un ambiente
romantico, fatto apposta per una coppia. Non era proprio
questo il mio intento, magari. Ma mi posso accontentare.
Quando torno di là, la trovo in piedi, accanto al mobile
bar, che sorseggia un succo d’arancia. “Almeno ha avuto
la decenza di non versarsi un altro drink”. Mi sbrigo in
fretta con Ros, senza riuscire a smettere di guardarla.
Quella sua aria a metà tra l’innocente e il colpevole mi sta
eccitando. Faccio fatica a contenere l’erezione nei miei
pantaloni.

«Non hai più intenzione di tornare dalla Georgia,


Christian? Mi stai pianificando tutto il prossimo mese!»
sbotta Ros.

Scoppio a ridere divertito.

«No, venerdì» le dico, senza smettere di sorridere.

«Su quale impresa hai messo gli occhi, Grey?»

«Qui c’è un lotto di terra che mi interessa» le rispondo


secco.
«Ok. Allora ti faccio contattare dall’ufficio marketing?»

«Sì, fammi chiamare da Bill»

«Stasera?»

«No, domani…Voglio vedere cos’avrebbe da offrire la


Georgia se ci trasferissimo».

Ros mi tiene incollato al telefono ancora qualche


minuto. Anastasia si dondola sulle punte, guardandosi
intorno e mordendosi brevemente le labbra. La guardo
cupo, con la sola voglia di saltarle addosso. “Ora devi
lasciarmi in pace, Ros”.

«Fammi chiamare da Bill. Domani… Non troppo


presto»

Chiudo il telefono e la guardo, senza sapere come


andrà a finire. Restiamo entrambi in silenzio, mentre la
frustrazione e la rabbia di entrambi riappare in superficie,
tra di noi. “Tocca a te parlare, Miss Steele”. Come se
avesse sentito il mio pensiero, Anastasia fa un profondo
sospiro e mi guarda.

«Non hai risposto alla mia domanda» mormora piano.

Non smetto di guardarla. E ripeto la domanda a me


stesso. “Amavo Elena?”. Forse. Forse no. Ho creduto di
amarla. Ma poi ho capito che l’amore non faceva per me.
Che cedere all’amore voleva dire permettere alla
confusione di farla da padrona nella mia vita. E perdere il
controllo. E, comunque, qualsiasi cosa provassi per Elena,
non si avvicina neppure lontanamente a quello che oggi
sento per Anastasia. Quindi di sicuro non era amore.

«No» le rispondo, rimanendo sulla difensiva.

«No, non hai risposto alla mia domanda, o no, non la


amavi?» mi chiede audace.

“É talmente gelosa, talmente possessiva. E questo mi


piace. E mi eccita”. Mi lascio cadere contro la parte dietro
di me, sorridendo piano.

«Cosa sei venuta a fare qui, Anastasia?» le chiedo


senza scompormi.

«Te l’ho appena detto» mi dice, fremendo di rabbia e


di imbarazzo.

Sospiro profondamente. Per quanto mi diverte tenerla


sulle spine, non ho la forza di continuare questa
sfiancante discussione.

«No, non l’amavo» le dico alla fine, sorridendo


nervosamente.

Emette un profondo respiro, cacciando fuori tutta


l’aria che tratteneva per paura della mia risposta. Il suo
corpo diventa meno rigido, i suoi tratti si
ammorbidiscono. Il sollievo la investe. E investe anche
me. É strano, ma ammetterlo ad alta voce con qualcuno,
mi ha definitivamente fatto archiviare quel capitolo della
mia vita. Elena è una buona amica, anche se ultimamente
ha perennemente la luna storta. Ma nulla più. Ed è così
da tempo.
«Ti rodi dalla gelosia, Anastasia. Chi l’avrebbe mai
detto?» le chiedo sarcastico, scostandomi dal muro.

«Mi stai prendendo in giro, Mr Grey?» mi chiede,


all’improvviso con un sorriso divertito.

«Non oserei mai» le rispondo, scuotendo la testa in


modo plateale, mentre la guardo con malizia.

La voglia di prenderla e scoparla qui, contro questa


parete è forte più che mai.

«Oh, penso che lo faresti. Anzi, penso che tu lo faccia


spesso» mi risponde, mordendosi piano il labbro
inferiore, mentre lascia ondeggiare le braccia incrociate
davanti a sé. Il mio cazzo si tende all’improvviso. L’ultima
volta che l’ho scopata lei indossava solo la mia maglietta.
Ed era distesa sulla mia scrivania. E gemeva il mio nome
senza controllo.

«Per favore, smettila di morderti il labbro. Sei nella


mia stanza. Non ti vedo da quasi tre giorni e ho fatto un
lungo volo per venire a trovarti»

La mia voce è carica di desiderio. Il mio telefono


suona, ma lo spegno in automatico, senza neppure vedere
da chi arriva la chiamata. La sento trattenere il fiato. Mi
muovo verso di lei. Un solo passo. E la carica elettrica tra
di noi ci attrae inesorabilmente.

«Ti voglio, Anastasia. Adesso. E tu vuoi me. Per questo


sei qui» le dico senza preamboli.
«Volevo davvero una risposta» mormora lei, cercando
di fare un passo indietro, senza però riuscire a muoversi.

«Adesso che l’hai avuta, vieni o vai?» le chiedo,


guardandola intensamente mentre continuo ad avanzare.
Mi fermo a pochi centimetri da lei.

«Vengo» sussurra, eccitata ed eccitandomi, mentre


avvampa.

Il mio uccello freme, il mio corpo si tende, pregustando


il piacere che proverò tra poco.

«Oh, lo spero proprio» le dico ironicamente.

La guardo a fondo, e nei suoi occhi la rabbia ha lasciato


il posto al puro desiderio. Di me.

«Eri così arrabbiata con me» le mormoro piano.

«Già»

La sua voce, a malapena udibile, subisce l’influenza


della nostra vicinanza.

«Non ricordo nessuno, a parte i miei familiari, che si


sia mai arrabbiato con me. Mi piace» le dico, sfiorandole
piano la guancia con le dita.

I nostri corpi vicini sembrano essere già un tutt’uno. I


respiri si mozzano, per poi riprendere a viaggiare
frenetici, come i battiti dei nostri cuori. Sono eccitato e
non l’ho praticamente toccata. E la consapevolezza della
sua possessività, mi eccita ancora di più. Mi chino su di
lei, annusando il suo dolce profumo. La punta del mio
naso sfiora la pelle lungo la sua spalla. Salgo alla base
dell’orecchio, sentendo il suo corpo scosso da un violento
fremito improvviso. Le mie dita scivolano tra i suoi
capelli.

«Dovremmo parlare» mormora senza convinzione.

«Dopo» le dico deciso.

«Ci sono tante cose che voglio dirti» mi dice mentre si


abbandona al mio tocco.

«Anch’io» le rispondo, ma la mia mente già vaga tra i


mille modi in cui potrò scoparla. Il mio controllo innato
mi porta a fare un rapido calcolo mentale. “Merda!”. Ha il
ciclo. Stringo la mano tra i suoi capelli, con rabbia. “Non
posso fermarmi. Non voglio farlo”. La bacio sotto il lobo
dell’orecchio, tirandole indietro la testa e arrivando alla
sua gola con le mie labbra roventi. Le mordicchio il
mento, piano, mentre le geme sommessamente. E poi le
bacio il collo avido.

«Ti voglio» ansimo piano contro la sua pelle.

Mi afferra le braccia, gemendo piano.

«Hai il ciclo?» le chiedo.

Trasalisce, mentre non smetto di baciarla.

«Sì» mormora nell’imbarazzo più totale.

«Hai dolori?» continuo, sperando che mi dica di no.


«No» arrossisce piano.

Mi fermo e la guardo. Le mie mani ai lati della sua


testa. Vorrei non doverle fare tutte queste domande, ma
Anastasia non è famosa per la sua memoria di ferro e la
sua non sbadataggine.

«Hai preso la pillola?» le chiedo guardandola negli


occhi.

«Sì» mi risponde vagamente mortificata.

“Ok. La smetto”.

«Andiamo a farci un bagno»

La bacio sui capelli e, prendendola per mano, la


trascino di là. Punto dritto verso il bagno, immenso,
grandissimo. L’acqua calda che ancora scorre nella vasca
ha fatto riempire l’aria di un vapore denso e appiccicoso.
La guardo, mentre i suoi capelli iniziano ad appiccicarsi
alla sua morbida pelle.

«Hai un elastico per capelli?» le chiedo.

Mi guarda confusa. Poi fruga in tasca ed estrae un


elastico, mostrandomelo.

«Fatti la coda» le ordino, sentendomi per un attimo


meschino.

‘Le vuoi sempre con i capelli legati, Grey. Sempre’.


Dentro di me, nel profondo, so che non è quello il motivo.
É forse il contrario. Forse voglio tenermi stretto le mie
abitudini per paura di ritrovarmi in un vortice assurdo in
cui non mi riconosco. Anastasia obbedisce senza proferire
parola. Mi chino e chiudo il rubinetto, mettendo fine allo
scrosciare lento dell’acqua. L’atmosfera attorno a noi si
carica di attesa. La prendo per mano e torniamo nella
prima delle due stanze del bagno, posizionandola davanti
ad uno specchio a tutta parete, al di sopra di sue lavandini
in vetro. So bene cosa voglio da lei. Voglio che si dia
piacere da sola. Per me. Voglio che mi dimostri quanto mi
desidera. Quanto solo io riesco ad eccitarla. Mi posiziono
dietro di lei.

«Togliti i sandali» le mormoro all’orecchio.

Si china ed esegue il mio ordine. Il suo delizioso culo


mi sfiora il pene, che si anima. Ansimo, mentre si rialza.

«Alza le braccia» le dico in un sospiro roco, eccitato.


Esegue in silenzio, e le sfilo il top verde dalla testa. Il suo
meraviglioso seno rimane esposto ai miei occhi bramosi.
Fisso i suoi occhi e vi leggo ansia e desiderio. Senza
smettere di guardarla, allungo le dita sfiorandole piano il
ventre. Slaccio il primo bottone dei jeans e le abbasso la
cerniera.

«Voglio prenderti nel bagno, Anastasia» le mormoro in


un sospiro di puro bisogno.

Le bacio piano il collo, mentre lei abbandona la testa di


lato per consentirmi di fare meglio quello che le sto
facendo. Il mio sguardo cade sui suoi capezzoli turgidi.
Ho voglia di morderli piano. Uno alla volta. Infilo i pollici
nei jeans e li tiro giù, lungo le sue gambe, insieme alle sue
mutandine bianche. Scivolo con i suoi indumenti a terra,
dietro di lei.

«Esci dai jeans» le ordino ancora.

Obbedisce, sempre in silenzio, appoggiandosi al bordo


del lavandino. Guardo da sotto il suo splendido corpo
nudo ed eccitato. Le bacio piano le natiche e non resisto.
Affondo i denti nella sua carne morbida. Sussulta al mio
attacco improvviso. Mi alzo e la fisso dallo specchio. I
suoi pugni si tendono, mentre cerca di dominare l’istinto
di muoversi. Le poggio una mano sulla pancia, con il
palmo aperto.

«Guardati. Sei splendida» le mormoro avvicinandomi


di nuovo al suo orecchio. «Senti com’è bello toccarti»

Le afferro entrambe le mani, coprendole con le mie,


intrecciando le nostre dita. E ritorno sul suo ventre.

«Senti com’è morbida la tua pelle»

Muovo piano le nostre mani, descrivendo dei larghi


cerchi, risalendo verso i seni.

«Senti come sono sodi» ansimo dietro di lei.

Il mio pene è enorme. Rischio di esplodere da un


secondo all’altro. Con le dita le stuzzico piano i capezzoli
turgidi, eccitati. Geme, inarcandosi contro le nostre mani
unite che la tormentano. Ad occhi socchiusi la guardo
osservare lo strano e sensuale duo che si muove allo
specchio. Non sembriamo neppure noi. Non sembriamo
quelli di appena qualche settimana fa. Geme di nuovo,
vogliosa più che mai, chiudendo gli occhi e
abbandonandosi contro la mia spalla.

«Così va bene, piccola» mormoro guidando le sue


mani ovunque.

I fianchi, la vita, le gambe. Il suo corpo emana un


calore sensuale. Arriviamo tra le sue gambe. Infilo una
gamba tra le sue e gliele allargo. Le mie mani coprono
ancora le sue e le lascio scorrere insieme sul suo sesso,
strofinando con un ritmo preciso. Le nostre dita
incrociate sfiorano più volte il suo clitoride tenero e
turgido allo stesso tempo. La sento già bagnata. Il suo
viso, il suo corpo si accendono.

«Guarda come diventi rossa, Anastasia» le sussurro


all’orecchio, baciando piano la sua spalla e dandole un
piccolo morso. Geme e spalanca gli occhi, fissando lo
specchio. Di colpo la lascio.

«Prosegui» le ordino, facendo un piccolo passo


all’indietro, senza però allontanarmi molto da lei.

Lascia le sue mani scorrere ancora un paio di volte, poi


si ferma, aggrottando la fronte, imbarazzata.

Mi sfilo in fretta la camicia e i jeans, ansioso di essere


dentro di lei.

«Preferisci che lo faccia io?» le dico bramoso,


guardandola con ardore.

«Oh, sì… ti prego»


La sua supplica mi incendia il sangue nelle vene. La
circondo con le braccia. Copro nuovamente le sue mani
con le mie e torno sul suo clitoride voglioso. Sento piano
il cordoncino sottile tra le sue gambe. Le nostre pelli si
scontrano, si strofinano l’una sull’altra. Sono nudo, come
lei. Il mio uccello si strofina piano tra le sue natiche,
mentre la punta si bagna. “Oh, Cristo”. Affondo i denti
dietro al suo collo, sulla sua nuca, e la sento sospirare. Di
colpo mi fermo e la giro. Le stringo i polsi nelle mie mani,
tenendoglieli dietro la schiena con una mano. L’altra sale
ad afferrarle la coda di cavallo, in modo che possa
guardarla negli occhi. I nostri corpi aderiscono
perfettamente. La bacio voracemente, come se non ci
fosse un domani. Quando mi allontano, riesco a percepire
solo i nostri respiri spezzati che si fondono.

«Quando ti è iniziato il ciclo, Anastasia?» le chiedo


all’improvviso.

«Ehm… ieri» biascica piano.

“Ottimo. Posso scoparla in tutta tranquillità”.

«Bene»

Mi stacco da lei e la faccio girare di nuovo.

«Appoggiati al lavandino» le ordino seccamente. Le


afferro i fianchi e la tiro verso di me. Il suo sedere è
nuovamente esposto ai miei occhi vogliosi. Le infilo una
mano tra le gambe e sfilo via il cordoncino dell’assorbente
con brutalità, gettandolo nel water. Sussulta,
guardandomi imbarazzata. Ma la sua espressione cambia
all’improvviso, quando entro di colpo dentro di lei. La
sensazione è sublime. É come se non avessi mai fatto
sesso in vita mia. Sentirla contro di me, senza la barriera
del preservativo. É… wow. Mi muovo piano, lasciandola
abituare alla sensazione. E anche per godermela io stesso
il più possibile. Spingo a fondo, mentre lei stringe le mani
al bordo del lavabo e ansima. Poi inizia a muoversi,
venendo incontro alle mie spinte. Vuole di più. Ed io sono
pronto a darglielo. Le mie dita si stringono forte attorno
ai suoi fianchi. E inizio a colpirla a fondo, sempre più
forte. Lasciando il mio cazzo affondare tra i suoi umori,
nel suo sesso aperto e bagnato per me. Non resisterò a
lungo, lo so. Sono due giorni che bramo tutto questo. Due
giorni di agonia lenta e straziante. Ho bisogno di
liberami. La mia mano destra arriva tra le sue gambe. Le
mie dita stringono forte i suoi fianchi, mentre spingo
dentro di lei fino allo stremo. Sono rosso in viso e
guardarmi allo specchio mentre la penetro, vedere i suoi
occhi stretti per il godimento che le sto procurando, le sue
mani che stringono forte il vetro, le sue gambe cedere, è
una sensazione assurda.

«Così va bene, piccola» le sussurro, mentre affondo


nuovamente in lei.

Lancia un urlo assordante, mentre le sue gambe


fremono e cedono sotto le mie potenti spinte. E non
resisto oltre.

«Oh, Ana!»

Urlo anch’io, venendo dentro di lei, mentre le mie dita


si serrano attorno ai suoi fianchi, imprimendole addosso i
segni del mio desiderio. E del mio possesso. I nostri
respiri spezzati sono l’unico suono che aleggia nella
stanza.

«Oh, piccola, ne avrò mai abbastanza di te?» mormoro


più a me stesso che a lei.

E la risposta è ovvia. “No. Mai”.

Le mie gambe cedono e cado sul pavimento,


trascinando il suo corpo sul mio. La stringo forte. Non
voglio lasciarla andare più. Due giorni è il massimo che
posso concederle. Ora lo so. “No”. Rimaniamo in quella
posizione fino a quando i nostri respiri non si placano del
tutto. Ad un certo punto la sento inalare a fondo il mio
profumo. Sento la sua mano tendersi, come se stesse
facendo fatica a trattenersi dal toccarmi. Non ho la forza e
la voglia di alzarmi e allontanarla. Voglio averla addosso.
Voglio il suo calore.

«Sto sanguinando» mormora imbarazzata.

«A me non dà fastidio» le sussurro, leggermente


divertito.

«L’ho notato» sbotta sarcastica.

“Cazzo”. ‘Bè, Grey. Potevi almeno chiederle se per lei


era un problema lasciarsi scopare con il ciclo.’ Mi
irrigidisco, temendo di aver rovinato un momento che
invece per me è stato fantastico.

«A te sì?» le chiedo timoroso.

Sospira, alzando lo sguardo su di me e fissandomi.


«No, per niente» mi dice alla fine.

Le sorrido, sollevato.

«Bene. Andiamo a farci un bagno» le dico, alzandomi e


poggiandola con i piedi sul pavimento. Quando alzo lo
sguardo su di lei noto i suoi occhi sgranati fissi sul mio
petto. “Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo!”.

«Cosa c’è?» le chiedo allarmato.

«Quelle cicatrici» mormora terrorizzata. «Non sono


dovute alla varicella»

Il mio corpo si raddrizza, irrigidendosi. La rabbia,


l’odio verso me stesso si impadroniscono di me. Aggrotto
la fronte, i miei occhi si fanno di ghiaccio mentre stringo
le labbra che fremono.

«No, non lo sono» sbotto infastidito. Le tendo la mano


aiutandola a rialzarsi completamente. Non smette di
guardarmi. “Odio quello sguardo di pietà, Anastasia”.

«Non guardarmi così» le ordino freddamente.

Arrossisce e abbassa gli occhi, mortificata dal mio


rimprovero.

«È stata lei?» se ne esce all’improvviso, senza


guardarmi.

Una furia accecante si sprigiona dentro di me.


“COSA.CAZZO.TI.SALTA.IN.MENTE.ANA?”. Quando
finalmente mi guarda sono certo che riesce perfettamente
a percepire la furia che mi acceca.

«Lei chi? Mrs Robinson? Non è una bestia, Anastasia.


Certo che non è stata lei. Non capisco perché devi
demonizzarla» le ringhio contro.

Siamo entrambi nudi. Entrambi ci desideriamo.


Entrambi siamo furiosi con noi stessi e l’uno con l’altra.
“Forse avremmo dovuto parlare prima”. Dopo aver
sospirato profondamente, mi sorpassa e si immerge nella
vasca da bagno fino al mento.

«Mi chiedo solo come sarebbe stato se non l’avessi


incontrata. Se non ti avesse introdotto al tuo… ehm… stile
di vita» confessa rassegnata.

Sospiro e scendo anch’io nella vasca, posizionandomi


di fronte a lei. Non mi avvicino, non parlo. La guardo
soltanto, cercando di riuscire in qualche modo a capire
quanto posso fidarmi di lei. La determinazione che le
leggo in questo momento negli occhi è senza paragoni.
“Cristo, se è testarda. E rompipalle”. Scuoto leggermente
la testa, senza riuscire a trattenere un sorriso.

«Probabilmente avrei fatto la fine della mia madre


naturale, se non fosse stato per Mrs Robinson» ammetto
sinceramente.

Anastasia sgrana gli occhi.

«Lei mi amava in un modo che trovavo… accettabile»


aggiungo, sincero come forse non lo sono mai stato.
Eccetto che con Flynn.
«Accettabile?» mormora piano, sconvolta.

«Sì» le dico semplicemente, senza smettere si fissarla.


«Mi ha allontanato dal cammino di autodistruzione che
avevo imboccato. È difficile crescere in una famiglia
perfetta quando non sei perfetto» le confesso, cercando di
non pensare a quel periodo della mia vita.

Per qualche istante ci fissiamo in silenzio, ognuno con i


propri dubbi, le proprie domande, le proprie
recriminazioni.

«Lei ti ama ancora?» mi chiede alla fine, titubante.

Aggrotto la fronte. La domanda mi sorprende. In realtà


non ci ho mai pensato. Non avrebbe senso.

«Non credo, non in quel modo. Continuo a ripeterti


che è successo tanto tempo fa. Appartiene al passato. Non
potrei cancellarlo, nemmeno se volessi, e comunque non
voglio. Quella donna mi ha salvato da me stesso».
Sospiro, passandomi una mano nei capelli, bagnandoli.
«Non ne ho mai parlato con nessuno. A parte il dottor
Flynn, naturalmente. E l’unica ragione per cui adesso ne
sto parlando con te è che voglio guadagnarmi la tua
fiducia» le dico con un altro impeto di sincerità.

«Io mi fido di te, ma desidero conoscerti meglio, e ogni


volta che cerco di parlare con te, mi distrai. Ci sono tante
cose che voglio sapere» mi risponde incalzandomi.

«Per carità, Anastasia, cosa vuoi sapere? Cosa devo


fare?» le chiedo esasperato.
“Non vedi che tutto quello che sono l’ho messo a tua
disposizione? Davvero non lo vedi?”. Fissa le sue dita che
si intravedono nell’acqua, senza rispondere subito.

«Sto solo cercando di capire. Sei un tale enigma.


Diverso da chiunque abbia mai conosciuto. Sono felice
che tu mi stia dicendo quello che voglio sapere»

Cogliendomi di sorpresa si avvicina a me. Lentamente


si appoggia al mio corpo. Istintivamente mi irrigidisco.
“Cosa ha in mente?”.

«Per favore, non avercela con me» mormora con le


labbra contro la mia pelle.

«Non ce l’ho con te, Anastasia. Solo che non sono


abituato a parlare di queste cose, a questi interrogatori.
Lo faccio unicamente con il dottor Flynn e con…» mi
fermo, sapendo che nominare Elena proprio ora non
mette le cose a mio favore. “Cristo, ma perché dev’essere
così?”.

«Con lei. Mrs Robinson. Parli con lei?» mi incalza,


sforzandosi di non apparire turbata.

«Sì» le rispondo calmo.

«Di cosa?»

Mi sposto, per guardarla bene in faccia. L’acqua


sciaborda dalla vasca, mentre con un braccio le circondo
le spalle, girandomi verso di lei.

«Sei insistente, eh?» le dico un po’ seccato da quella


inquisizione. Sospiro. «Della vita, dell’universo… degli
affari. Anastasia, Mrs Robinson e io ci conosciamo da una
vita. Possiamo parlare di qualsiasi cosa» le dico senza
nascondere l’esasperazione.

«Di me?» chiede con la voce tremante.

«Sì» le rivelo, guardando attentamente la sua reazione.

Gli occhi si accendono di furia e si morde forte il labbro


inferiore, reprimendo un urlo credo.

«Perché parlate di me?» chiede con finta disinvoltura.

Guardo i suoi occhi e non riesco a dirle null’altro che la


verità.

«Non ho mai conosciuto nessuna come te, Anastasia»


ammetto riluttante.

«Cosa significa? Nessuna che non firmasse


automaticamente il tuo contratto, senza fare domande?»

Scuoto la testa. “Perché non ci arrivi? Non posso fare a


meno di te ormai”.

«Ho bisogno di consigli»

«E li chiedi a Mrs Pedofila?» sbotta di colpo, senza


riuscire più a trattenersi.

«Anastasia… smettila» le ordino severo.

Sta per aprire di nuovo la bocca, ma la fermo in fretta.


«Altrimenti ti sculaccio. Non ho nessun interesse
sessuale o romantico nei suoi confronti. È una cara, fidata
amica e una socia in affari. Tutto qui. Abbiamo un
passato, una storia condivisa, che per me è stata molto
positiva, anche se ha mandato all’aria il suo matrimonio…
ma quel tipo di relazione tra noi è finito» le dico in tono
deciso.

«E i tuoi non l’hanno mai scoperto?»

«No» le urlo contro. «Te l’ho già detto»

Rimane in silenzio, guardando ovunque tranne che nei


miei occhi.

«Hai finito?» le chiedo dopo qualche minuto di


silenzio.

«Per ora» mi dice riluttante.

Sospiro apertamente, rilassandomi. “É il momento di


renderti la pariglia, Miss Steele”.

«Bene, è il mio turno» mormoro.

La mia espressione severa le intima di non fare


l’impertinente stavolta.

«Non hai risposto alla mia mail» le dico.

Arrossisce violentemente, scuotendo la testa e


abbassando gli occhi.
«Ti avrei risposto. Ma adesso sei qui» mormora piano.

«Preferiresti che non ci fossi?» le chiedo arrogante.

«No, mi fa piacere» mi dice piano, guardandomi.

Ed è sincera. Lo so.

«Bene»

Le sorrido, mentre il sollievo si impadronisce di me.

«Anche a me fa piacere essere qui, nonostante


l’interrogatorio. Dunque, anche se consideri accettabile
tempestarmi di domande, senti di poter rivendicare una
specie di immunità diplomatica solo perché sono volato
fin qui per vederti? Non ci casco, Miss Steele. Voglio
sapere cosa provi» la incalzo, rilassandomi contro il
bordo della vasca.

«Te l’ho detto. Mi fa piacere che tu sia qui. Grazie per


aver fatto un viaggio così lungo» sussurra, la voce a
malapena udibile.

«Il piacere è mio, Miss Steele»

Mi protendo in avanti, per baciarla, ma quando lei si


allunga in risposta, mi tiro indietro. La guardo fisso, i suoi
occhi azzurri e grandi si sgranano.

«No. Penso di volere qualche risposta prima che


facciamo di più» le dico con un sorrisetto divertito.

Mi guarda sorpresa. Poi sospira, rassegnata.


«Cosa vuoi sapere?» chiede.

«Tanto per cominciare, cosa pensi del nostro


potenziale accordo»

La domanda mi tormenta da giorni. In realtà non ha


mai smesso di tormentarmi. Soprattutto da quando ho
capito che qualunque sia la sua decisione, io non posso
lasciarla andare via da me. In nessun caso. Sbatte le
palpebre.

«Non penso di poterlo reggere per un lungo periodo.


Un intero weekend a fingere di essere una persona che
non sono»

Arrossisce, abbassando gli occhi. Le prendo il mento


con le dita e glielo sollevo, guardandola divertito.

«Nemmeno io penso che ci riusciresti»

Aggrotta la fronte, leggermente piccata.

«Stai ridendo di me?» chiede.

«Sì, ma in senso buono» le rispondo con un sorrisetto,


prima di darle un bacio delicato. «Non sei un granché
come Sottomessa» aggiungo guardandola divertito.

Mi fissa con uno sguardo stravolto. Poi all’improvviso


scoppia a ridere.

«Forse non sei un granché come maestro» mi prende


in giro.
Sbuffo, facendole una smorfia.

«Forse. Forse dovrei essere più severo»

Piego la testa di lato, lanciandole uno sguardo


malizioso e carico di intenzione. La osservo a fondo,
mentre la sento eccitarsi. E io reagisco allo stesso identico
modo.

«È stato così terribile quando ti ho sculacciato per la


prima volta?» le chiedo con voce roca, ricordando il
momento in cui , per la prima volta, ho affondato la mia
mano sul suo delizioso culo, arrossandoglielo a dovere.
Resta in silenzio per qualche attimo.

«No, non molto» mormora alla fine.

«Meno di quanto pensavi?» la incalzo.

«Immagino di sì. Provare piacere quando non ci si


aspetta di provarlo»

«Ricordo che per me è stato lo stesso. Ci vuole un po’


per abituarsi all’idea» le confesso, evitando di
soffermarmi sulla prima sculacciata ricevuta. Che di certo
non era erotica. Anzi. «Puoi sempre usare la safeword,
Anastasia. Non dimenticartelo. E, finché segui le regole,
che appagano il mio profondo bisogno di controllo e
servono a proteggerti, possiamo trovare il modo di andare
avanti» le spiego paziente e determinato.

«Perché hai tanto bisogno di controllarmi?» mi chiede


curiosa.
«Perché ciò soddisfa una necessità che non è stata
soddisfatta negli anni della mia crescita» rispondo
semplicemente, stringendomi nelle spalle come se quella
fosse una spiegazione accettabile al di fuori di ogni
dubbio.

«Dunque, è una forma di terapia?»

«Non l’ho mai pensata in questi termini, ma sì,


immagino di sì» ammetto.

«Ma c’è una cosa… un attimo prima dici di non sfidarti


e un attimo dopo dici che ti piace essere provocato. È
difficile districarsi» mi chiede preoccupata.

«Lo immagino. Per il momento sembri cavartela bene»


la rassicuro con un sorriso.

«Ma a quale costo personale? Mi sento in trappola»


ammette.

Mi viene da ridere e tento di smorzare il tono troppo


serio della nostra conversazione. Inoltre, averla qui tutta
nuda mi sta risvegliano l’appetito.

«Mi piaci intrappolata» le dico strizzandole l’occhio.

«Non era questo che intendevo!» urla, schizzando


l’acqua esasperata ma divertita.

“Ma cosa…?”.

«Mi hai appena schizzato?» le chiedo fingendomi


arrabbiato.

«Sì» risponde.

La guardo cupo.

«Oh, Miss Steele» le mormoro, afferrandola e


trascinandomela in grembo. L’acqua fuoriesce dalla
vasca, ma non importa a nessuno dei due.

«Penso che per il momento abbiamo parlato


abbastanza» le dico con la voce spezzata dal desiderio.

Afferro il suo viso con le mani e la bacio avidamente. A


lungo. Portando le sue labbra sulle mie, esattamente nel
modo in cui preferisco. Anastasia geme e subito dopo mi
afferra i capelli, attirandomi di più a lei. Ci baciamo con
passione, con forza, con voglia. La afferro e la metto a
cavalcioni su di me. Mi scosto leggermente, ammirandola
in tutto il suo splendore. Il mio cazzo bagnato e scivoloso
struscia il suo sesso. Le sue mani afferrano il brodo della
vasca, dietro di me. Ma ho paura che possa toccarmi. Le
afferro i polsi e glieli stringo entrambi con una mano
dietro la schiena.

«Ora ti prendo» le sussurro, sollevandola quel tanto


che basta per permettermi di puntare il mio uccello verso
l’ingresso del suo sesso. «Pronta?» ansimo mentre sento
il mio stomaco attorcigliarsi dal desiderio.

«Sì» risponde in un sussurro.

La lascio scivolare su di me e mi immergo in lei con


una lentezza esasperante. Ci guardiamo negli occhi,
entrandoci dentro a vicenda, mentre più giù replichiamo
la cosa con i nostri sessi vogliosi. Ana geme piano, mentre
inarco i fianchi, piegandosi in avanti e appoggiando la
fronte alla mia. É così intimo.

«Per favore, liberami le mani» mormora contro le mie


labbra.

«Non toccarmi»

La mia è quasi una supplica, mentre le lascio andare i


polsi. Stringe di nuovo i bordi della vasca, mentre inizia a
muoversi su di me. Le afferro i fianchi, cercando di
dirigere il suo ritmo come meglio posso. Siamo a pochi
millimetri di distanza. Mi guarda, mentre so che non
riesco a trattenere un’espressione di puro godimento sul
mio volto. I nostri corpi bagnati e scivolosi si scontrano, si
sfiorano, muovendosi all’unisono. Ana si protende,
colmando la distanza che ci separa, e mi bacia
voluttuosamente. Alza le mani e, prima che possa anche
solo avere timore che mi tocchi, le poggia sui miei capelli,
lasciando scorrervi dentro le dita, senza smettere di
baciarmi. Prende sempre più l’iniziativa e io glielo lascio
fare, completamente assorbito dalla sensazione del mio
cazzo che continua a scivolare a fondo dentro di lei. Mi
tira la testa all’indietro e inizia a muoversi più in fretta,
inghiottendo il mio uccello sempre più velocemente.
Geme sommessamente contro la mia bocca. E io inizio a
spingere sempre di più, ansimando contro le sue morbide
labbra. Ci baciamo di nuovo, mentre non smettiamo di
muoverci. Le nostre lingue danzano al ritmo dei nostri
corpi. La sento fremere e so che sta per venire. Sta per
esplodere proprio come me. L’acqua schizza ovunque
intorno a noi. Apre gli occhi e mi guarda con adorante
meraviglia. Adoro quello sguardo. Come se non ci fosse
null’altro al mondo per lei se non io.

«Così va bene, piccola» ansimo, spingendola


all’orgasmo.

E in meno di due secondi la sento urlare, mentre le sue


dita si stringono nei miei capelli. E la sensazione mi
sconvolge. Afferro la sua schiena con entrambe le mani e
la premo su di me, godendo violentemente dentro di lei.

«Ana, piccola!» urlo sconnessamente, prima di crollare


ansimante, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Non so quanto tempo restiamo a mollo nell’acqua,


abbracciati in quel modo, senza parlare.

«Andiamo a letto, Anastasia» le sussurro all’orecchio,


staccandomi da lei e rimettendole alcune ciocche di
capelli dietro l’orecchio.

Annuisce e lentamente ci trasciniamo fuori dalla vasca.


Afferro un asciugamani e l’avvolgo, asciugandola per
bene. Mi sorride teneramente. Tampono la sua pelle,
centimetro dopo centimetro. Inginocchiato davanti a lei,
le asciugo le gambe e, quando ho finito, le deposito un
bacio veloce sul ventre. Mi alzo e mi asciugo rapidamente,
con lo stesso asciugamani. Le tendo la mano e la porto in
camera da letto. Alzo la trapunta sottile e la faccio
distendere prima di raggiungere l’altro lato del letto e fare
lo stesso. Anastasia afferra il cuscino e lo sposta davanti a
sé, stendendosi su un fianco. Faccio la stessa cosa. Noi
due nudi, separati solo dai cuscini, a malapena coperti dal
lenzuolo bianco latte. Ci guardiamo negli occhi a vicenda,
sorridendo, scrutandoci a fondo.

«Vuoi dormire?» le chiedo alla fine, preoccupandomi


come sempre per lei.

«No. Non sono stanca» mi risponde con un sorriso


luminoso.

«Cosa vuoi fare?» le chiedo, restituendole il sorriso.

«Parlare» mi dice, con un’occhiata maliziosa.

Il mio sorriso si allarga.

«Di cosa?» le chiedo divertito. E rassegnato.

«Di qualcosa» risponde semplicemente, stringendosi


nelle spalle.

«Per esempio?» la incalzo.

«Di te» sussurra piano.

«Cosa vuoi sapere di me?» le dico tirandomi su,


appoggiandomi su un gomito.

Guarda il lenzuolo, lisciandolo con una mano. Poi i


suoi occhi azzurri si fondono di nuovo con i miei.

«Qual è il tuo film preferito?»

«Al momento, Lezioni di piano» le dico sorridendole


di nuovo.

Il suo viso si illumina, divertito.


«Ma certo, che stupida. Ha una colonna sonora così
triste, così commovente. Tu saprai senz’altro suonarla,
immagino. La tua vita è costellata di successi, Mr Grey»
cinguetta come una ragazzina.

La guardo letteralmente in estasi.

«E il più grande sei tu, Miss Steele» le dico


dolcemente, accarezzandole il viso e rimettendole a posto
i capelli dietro l’orecchio.

«E così sono la numero diciassette» mi dice,


mordendosi leggermente il labbro, mentre i suoi occhi si
fanno più cupi.

La guardo con un’espressione interrogativa sul viso.

«Diciassette?» le chiedo senza capire.

«Il numero di donne con cui hai… ehm… fatto sesso»


avvampa mentre pronuncia le parole lentamente.

La guardo con gli occhi sbarrati. “Cosa diavolo...?”. Poi


di colpo ricordo la sua domanda, a casa mia, prima di fare
l’amore per la prima volta.

«Non esattamente» le dico piano, sondando la sua


reazione.

Mi fissa confusa, la bocca spalancata.

«Hai detto quindici» balbetta.

«Mi riferivo al numero di donne che sono state nella


mia stanza dei giochi. Pensavo che intendessi questo. Non
mi hai mai chiesto con quante donne ho fatto sesso» le
spiego piano.

Stranamente mi sento in colpa. ‘Non la conoscevi


neppure all’epoca, Grey’. “Sì, lo so. Ma avrei voluto. Avrei
dovuto mettermi in giro fino a trovarla”.

«Oh»

L’espressione di sorpresa non abbandona il suo


meraviglioso viso.

«Vaniglia?» mi chiede a bassa voce, quasi temesse la


risposta.

«No. Tu sei la mia prima conquista vaniglia» le dico


scuotendo la testa e sorridendole dolcemente.

Il suo sorriso in risposta è semplicemente stupendo. Il


mio cuore si ferma per qualche attimo a quella vista, per
poi ripartire a tutta velocità.

«Non sono in grado di dirti una cifra. Non ho inciso


delle tacche sulla testiera del letto o cose simili» le dico,
allungando una mano e sfiorandole il braccio.

«Ma stiamo parlando di decine, centinaia… migliaia?»


mi chiede perplessa.

«Decine. Siamo nell’ordine delle decine, per la


miseria» le dico serio, ma segretamente divertito.

«Tutte sottomesse?» chiede sempre più curiosa.

«Sì» ammetto calmo.


Poi non riesco a trattenermi e scoppio a ridere
divertito.

«Piantala di ridere» mi rimprovera con finta


disapprovazione.

«Non posso, sei così bizzarra» le dico, scegliendo


apposta lo stesso aggettivo che appena tre giorni fa lei ha
utilizzato per me.

«Nel senso che sono strana o che faccio ridere?» mi


chiede rubando anche lei le mie parole.

«Un po’ l’una e un po’ l’altra, direi»

E le rispondo nello stesso identico modo con cui lei ha


risposto a me.

«Senti chi parla» mi dice, trattenendosi a stento


dall’alzare gli occhi al cielo.

Mi chino in avanti, verso di lei e le bacio la punta del


naso. Il candore dei suoi occhi mi spinge a parlare con lei.
Ad aprirmi un po’ di più.

«Ti sconvolgerà, Anastasia. Sei pronta?» le chiedo,


scrutando la sua reazione.

Annuisce, ma si vede che ha paura di scoprire qualcosa


di più della mia vita. “Non quanta ne ho io di vederti
fuggire se ti rivelo qualcosa di me, del mio orrido passato.
Del mio essere il mostro che sono. Ma forse posso
iniziare. Ora mi sento pronto”.

«Tutte sottomesse in addestramento, quando anch’io


mi stavo addestrando. Ci sono posti a Seattle, e nei
dintorni, dove si può andare a fare pratica. A imparare a
fare quello che faccio» le dico, ricordando con una fitta di
dolore tutte quelle ragazze che non erano lei. Tutte quelle
che di me hanno conosciuto solo la rabbia, il senso di
vendetta, il dolore.

«Oh» esclama incredula.

«Già, ho pagato per fare sesso, Anastasia» le dico,


aggrottando le sopracciglia davanti al suo sconcerto.

Ma lei mi sorprende.

«Non è una cosa di cui andare fieri» mi dice fingendosi


altezzosa, con un mezzo sorriso divertito. «Hai ragione…
sono sconvolta. E mi dispiace non poterti sconvolgere a
mia volta» aggiunge guardandomi di sottecchi.

Il ricordo di lei che mi lascia intravedere l’elastico dei


miei boxer che ha indossato mi si forma nella mente. Lì
mi ha lasciato a bocca aperta.

«Hai indossato i miei boxer» le sussurro,


avvicinandomi di poco.

«E questo ti ha sconvolto?» mi chiede maliziosa.

«Sì. E non hai indossato gli slip quando sei venuta a


conoscere i miei» continuo.

«E questo ti ha sconvolto?»

«Sì»
“E mi ha sconvolto tutto quello che ne è seguito. Tutte
le certezze che hai fatto crollare. Una ad una. Come un
castello di carte”.

«A quanto pare, riesco a sconvolgerti solo nel settore


biancheria intima» mi dice ironica.

La guardo. “Mi hai sconvolto più di quanto pensi,


Anastasia. Hai deciso di abbandonarti a me.
Completamente. Hai deciso di donarmi quello che avevi
di più prezioso. Te stessa. Hai fatto un enorme atto di
fede per un mostro come me”.

«Mi hai detto che eri vergine. Quella è stata la cosa che
mi ha più sconvolto nella vita» le dico continuando ad
accarezzarla.

«Sì, la tua espressione era esilarante, avrei dovuto farti


una foto» ridacchia piano.

Le sorrido.

«Hai lasciato che ti tormentassi con il frustino»

Il ricordo riaccende in me la voglia di possederla di


nuovo. Ma non è il momento. Stiamo parlando. E parlare
con lei è erotico almeno quanto scoparla.

«E questo ti ha sconvolto?» mi chiede incredula.

«Sì» le confesso.

Mi sorride genuinamente.

«Bè, magari te lo lascerò fare di nuovo» mi dice


altezzosa, rotolando sulla schiena e guardando il soffitto.

«Oh, lo spero, Miss Steele. Questo weekend?» le


chiedo senza nascondere la nota di speranza nella mia
voce.

Si gira di scatto a guardarmi. Mi scruta, cerca di


leggere nei miei occhi. E cosa vi trova? Speranza?
Desiderio? Bisogno? Forse tutte queste cose insieme.

«D’accordo» mi risponde piano alla fine, con un


sorriso dolce.

«Davvero?» le chiedo, mentre il mio cuore accelera i


battiti al solo pensiero di averla a mia disposizione e farle
quello che voglio.

«Sì, tornerò nella Stanza Rossa delle Torture»


annuisce piano.

Mi avvicino. Sono sopra di lei, mentre Ana è distesa


sulla schiena. La guardo negli occhi.

«Mi chiami per nome» le sussurro contro le labbra.

«Questo ti sconvolge?» chiede piano, senza smettere di


fissarmi.

“Dio, amo i suoi occhi”.

«Mi sconvolge il fatto che mi piaccia» le rispondo


strofinando il naso contro il suo.

«Christian» sussurra, accendendo il mio desiderio


all’improvviso.
Devo allontanarmi da lei per non saltarle addosso. Mi
sposto di lato, poggiandomi nuovamente sul gomito.

«Domani voglio fare una cosa» le annuncio eccitato.

“L’aliante le piacerà. La sensazione di libertà, di potere.


Quel senso di dominio su tutto il mondo. Lo adorerà ne
sono certo. Come lo adoro io”.

«Cosa?» mi chiede curiosa.

«Una sorpresa. Per te» le dico dolcemente senza


svelarle troppo.

Alza un sopracciglio, cercando di scandagliare la mia


anima credo, prima di soffocare uno sbadiglio. La guardo
teneramente. Dev’essere davvero stanca.

«Ti sto annoiando, Miss Steele?» le chiedo con un


ghigno.

«Mai» risponde di getto.

Mi chino su di lei, sospirando di sollievo e di gioia. La


bacio delicatamente, lasciando le nostre labbra fondersi,
le nostre lingue danzare ad un ritmo lento e sensuale.

«Dormi» le ordino piano, protendendomi per spegnere


la luce dietro di me.

La sento inspirare profondamente mentre la abbraccio,


baciandole la testa. E si addormenta subito. Aspetto che il
suo respiro si sia fatto regolare prima di afferrare il
telefono. Lo accendo e noto una chiamata da Taylor.
Nulla che non possa aspettare a domani. Gli scrivo un
veloce messaggio. Voglio che sia tutto pronto per
domattina all’alba.

“Volo in aliante all’alba”

Non c’è bisogno di aggiungere altro con Taylor.


Organizzerà tutto e domattina sarà meraviglioso. Spengo
di nuovo il BlackBerry e torno ad abbracciarla. La sento
mugolare piano, mentre mi approprio del suo corpo,
avvolgendola e inalando a fondo il suo profumo.

«Christian…» mormora.

Spalanco gli occhi. Poi mi rendo conto che sta


dormendo. L’ho già sentita parlare nel sonno. Sorrido
piano, contro la sua spalla. Almeno sogna me.

«Christian...non lasciarmi andare via...» la sento


bisbigliare.

“Oh, piccola. Non te lo permetterei mai”.

«Non voglio lasciarti, Christian…mai…»

Spalanco gli occhi e la stringo più forte. É la cosa più


tranquillizzante che abbia mai sentito nella mia vita. Non
vuole abbandonarmi. Non potrei mai accettare che mi
lasciasse. Non potrei mai. E lei non vuole. E ora lo so. Ora
lo sta dicendo. E io ci credo. Cazzo, se ci credo. ‘Forse
vuoi crederci, Grey’. Forse. Forse i suoi sogni non
combaciano con la realtà. Forse nei suoi sogni io sono
perfetto. Non sono il mostro che sono in realtà. Non ho
un passato devastante. Nei suoi sogni io di certo non sono
il bambino di quattro anni abusato e abbandonato a sé
stesso per aver commesso chissà quale misfatto. Forse lei
non si è mai resa conto di quello che sono. Ma ora come
ora, con lei che mi sussurra queste parole, sento che un
modo per andare avanti lo possiamo trovare. Io posso far
funzionare le cose. Un modo, insieme, lo possiamo
trovare. Insieme. Io ed Anastasia.
Capitolo 24

Ho dormito solo poche ore, ma sono sveglio ed agitato


come mai prima d’ora. Tiro fuori dalla valigia un paio di
boxer, i miei jeans e una t-shirt a maniche corte bianca.
Vado in bagno e raccolgo i nostri vestiti. Un cumulo
indefinito di colori e tessuti differenti. Piego i miei,
infilandoli nella valigia. Poi passo ai suoi, poggiandoli
sulla sedia lì accanto. La guardo mentre mugola nel
sonno. Sorrido, felice per la prima volta dopo una vita.
Inspiro forte guardando lo splendido angelo bruno tra le
lenzuola candide. Scuoto la testa, sorridendo tra me e me
e rimetto a posto le sue mutandine. Poi mi ricordo della
sua passione per i miei boxer. Ne sfilo un altro paio dalla
valigia e lo piego sui suoi vestiti, in modo che possa
vederlo quando si sveglia. Le piacerà avere della
biancheria pulita a disposizione. Soprattutto la mia. La
sento mugolare qualcosa di incomprensibile, mentre si
gira e rigira nelle lenzuola. Sorrido teneramente, mentre
spengo la luce ed esco dalla stanza, portando con me due
delle mie felpe prese prima dalla valigia. Taylor, ieri sera,
previdente come sempre, ha ordinato la colazione. La mia
omelette di albumi, il mio succo e il mio caffè. E poi tè,
frutta, croissant, latte e altre cose. Non so mai cosa piace
mangiare a quell’enigma di ragazza. Guardo l’orologio. É
ancora presto per svegliarla, posso concederle ancora
qualche manciata di minuti. Mi siedo sul bracciolo del
sofà, in una posa così poco consona al mio modo di
essere. Le mani in tasca, le gambe allungate ed incrociate
davanti a me. Fisso le mie scarpe, mentre i mie pensieri
tornano brevemente a ieri sera. Tralasciando il sesso, che
con lei è sempre oltre ogni aspettativa, quello che più mi
ha colpito è stata l’intimità che siamo riusciti a ritagliarci
a letto. Quel confidarsi, parlare, conoscersi meglio. Prima
di lei nessuna mi aveva coinvolto tanto. Sapevo tutto delle
mie Sottomesse. Perché Welch lo aveva scoperto per me.
E loro non chiedevano di sapere altro che i miei limiti
assoluti e relativi. Per sapere cosa fare e cosa non fare.
Una relazione del genere mi rendo conto da solo che non
avrebbe senso con Anastasia. Lei non è una donna da
sottomettere e basta. Lei è una donna caparbia, ostinata.
E questo è sexy più del suo fantastico corpo. Il problema è
se io posso rinunciare a tutto questo. E per cosa, poi? Per
lei? Lei se ne andrà prima o poi. Anche se io non voglio,
lei scapperà via da me. Magari Elena ha ragione. Magari
lei è innamorata di me. E quando uno è innamorato non
scappa, giusto? Non lo so. Non sono mai stato
innamorato. E cos’altro ha detto, Elena? Che anche io la
amo. Aggrotto la fronte, alzandomi e guardandomi
intorno. Amare qualcuno cosa vuol dire, poi? Io non sono
in grado di farlo. Anche se volessi cedere, non saprei da
dove cominciare. E io non voglio cedere. Non posso
rinunciare al mio controllo per una stronzata come
l’amore. Sulla mia faccia si forma un ghigno disgustato.
L’amore non fa per me. E io non faccio per l’amore.
Anastasia invece fa per me. Ho solo il timore di farla
soffrire.

Quando entro in camera mi allungo sul materasso,


avvicinandomi al suo corpo e poggiandole le labbra
contro la pelle nuda della sua spalla.

«Anastasia» le dico dolcemente all’orecchio, nel


tentativo di svegliarla.

Mugola frasi incomprensibili, muovendosi nel letto.


«Dai, piccola» continuo, dolcemente.

Ancora un mugolio indistinto, e le sue dita che


stringono il lenzuolo, mentre la testa scivola da un lato
all’altro del cuscino.

«Svegliati» le dico all’orecchio, strizzandole


delicatamente la spalla con la mano.

Percepisco un movimento più deciso. Credo si sia


svegliata. Ma non del tutto.

«Svegliati, piccola» le sussurro all’orecchio, prima di


mordicchiarlo piano.

«Oh… no» piagnucola infastidita.

Sorrido piano contro la sua pelle.

«È il momento di alzarsi, piccola. Sto per accendere la


luce» le dico tranquillo.

«No» si lamenta.

Allungo il braccio e accendo l’abat-jour. I suoi occhi


sono ancora chiusi. “É davvero bellissima”.

«Voglio inseguire l’alba insieme a te» le sussurro


piano.

Mi chino su di lei, baciandole dolcemente le guance, le


palpebre chiuse, la punta del naso delicata. E infine le
labbra. Un bacio dolce, leggero. Apre gli occhi e mi fissa,
mentre mi stacco malvolentieri da lei.
«Buongiorno, splendore» le mormoro piano contro le
labbra, guardandola divertito mentre le scappa un gemito
di frustrazione.

«Non sei una tipa mattiniera» le dico sorridendole.

Anastasia strizza forte gli occhi a causa del bagliore


dell’abat-jour. Aggrotta la fronte quando nota che sono
completamente vestito.

«Pensavo che volessi fare sesso» biascica ancora


assonnata.

Alzo un sopracciglio, sarcasticamente.

«Anastasia, voglio sempre fare sesso con te. È


consolante sapere che per te è lo stesso» replico
indispettito.

Ma non del tutto. L’espressione di pentimento sul suo


volto è abbastanza per farmi sorridere, anche se faccio di
tutto per trattenermi. Sbatte le palpebre ancora un paio di
volte prima di abituarsi alla luce della lampada.

«Certo, ma non così tardi» si affretta a rispondere.

«Non è tardi, è presto. Vieni, su. Usciamo. L’invito a


fare sesso lo tengo per dopo» le dico con un sospiro.

«Stavo facendo un sogno bellissimo» piagnucola lei in


risposta, girandosi verso di me.

«Cosa sognavi?» le chiedo pazientemente, lasciandola


oziare ancora un paio di minuti nel letto.
«Te» mormora arrossendo.

«Cosa stavo facendo, stavolta?» le chiedo curioso,


sorridendole.

«Mi davi da mangiare delle fragole» sussurra


arrossendo e abbassando gli occhi.

E capisco che doveva essere un sogno erotico.


Trattengo il mio sorriso compiaciuto. “Magari prima o poi
ti darò da mangiare delle fragole, Anastasia. E poi ti
scoperò senza pietà”.

«Il dottor Flynn avrebbe di che divertirsi. In piedi…


vestiti. Non perdere tempo con la doccia, possiamo farla
dopo» le dico, alzandomi dal letto.

Mi fissa, tirandosi su a sedere. Le lenzuola cadono,


scoprendo i suoi seni e il suo corpo fino ai fianchi. La
guardo con brama e desiderio. Il volo in aliante, per
pochissimi secondi, passa totalmente in secondo piano.
Volentieri mi stenderei su di lei per farla mia.

«Che ore sono?» mi chiede.

«Le cinque e mezzo del mattino» le rispondo senza


smettere di fissare il suo corpo.

«Mi sembrano le tre» mormora sommessamente.

«Non abbiamo molto tempo. Ti ho lasciata dormire il


più possibile. Vieni»

«Non posso farmi una doccia?» mi chiede tirando su il


lenzuolo per coprirsi.
Le sorrido lascivamente.

«Se ti fai una doccia, vorrò farla con te, e sappiamo


entrambi cosa succederebbe, a quel punto. Perderemmo
la giornata. Vieni» le dico senza riuscire a trattenere la
mia gioia.

Non vedo l’ora di farle provare l’ebbrezza del volo. Di


farle provare quello che provo io ogni volta che vado in
aliante.

«Cosa dobbiamo fare?» mi chiede curiosa.

«È una sorpresa, te l’ho detto» le dico facendole


l’occhiolino.

«Va bene» acconsente, scendendo dal letto.

Prende i suoi vestiti, guardandoli sorpresa quando


invece che sparsi sul pavimento del bagno li trova piegati
accanto al letto. Prende i miei boxer e mi lancia un
sorrisetto, mentre li lascia scivolare piano su per le
gambe. Poi scuote la testa ridendo piano. La guardo piano
mentre si infila il top.

«Ti concedo un po’ di tempo, adesso che ti sei alzata»


le dico girando sui tacchi e reprimendo l’istinto di
portarla di nuovo in quel fottutissimo letto e scoparmela.

Torno in soggiorno e mi siedo al tavolo, iniziando a


mangiare la mia omelette. Non riesco a smettere di
sorridere come un ebete. Non ci riesco. Mi è fisicamente
impossibile smettere di sorridere pensando a lei. E
proprio come se fosse la materializzazione dei miei
pensieri, ecco che entra nella stanza, con il suo top verde,
i suoi jeans, i suoi sandali e il suo colorito leggermente
meno pallido del solito.

«Mangia» le ordino piano.

Il suo sguardo è sconcertato. Poi cambia, diventa più


cupo. Inspira forte, fissando il tavolo senza realmente
guardarlo.

«Anastasia» le dico più severo, risvegliandola dai suoi


sogni ad occhi aperti che sono sicuro mi coinvolgono.

«Prendo un tè. Posso tenere il croissant per dopo?» mi


dice.

I suoi occhi mi implorano. Le sorrido brevemente,


guardandola con finto rimprovero.

«Non mi rovinare la festa, Anastasia» la avverto.

Non vorrei ripetere l’esperienza di vederla vomitare.


Per giunta da un aliante questa volta.

«Mangerò più tardi, quando il mio stomaco si sarà


svegliato. Verso le sette e mezzo… va bene?» chiede
speranzosa, con i suoi occhioni da bambina.

Sbuffo piano.

«Va bene» acconsento riluttante.

«Ho voglia di alzare gli occhi al cielo» mi dice


sfidandomi con lo sguardo.

«Ti prego, fallo. La mia giornata promette bene» le


dico senza scompormi.

Almeno apparentemente. Perché sotto al tavolo il


ricordo dell’ultima sculacciata sta animando il mio
uccello. Anastasia sposta la testa all’indietro, guardando il
soffitto. Poi assesta il colpo decisivo.

«Bè, forse qualche sculacciata mi sveglierebbe» mi dice


calma, con un’aria da saputella che mi fa venire voglia di
sbatterla al muro e inchiodarla lì per ore.

La guardo a bocca aperta, mentre lei mi fa una smorfia


e continua a fissarmi con un sorrisetto arrogante.

«D’altra parte, non voglio che ti ecciti troppo; il clima


qui è già abbastanza torrido»

Si stringe nelle spalle mentre le sue ultime parole mi


mandano in estasi. Chiudo la bocca, cercando di far finta
di essere dispiaciuto, ma non riesco a trattenere un
sorriso divertito.

«Sei provocatoria come sempre, Miss Steele. Bevi il tè»


le dico indicandole col mento la bustina di Twinings.

La fissa e i suoi occhi si illuminano di felicità. “Sì, Miss


Steele. Mi ricordo tutto di te. Sempre”.

Si siede davanti a me, sorseggiando il suo tè in silenzio,


senza smettere di guardarmi neppure quando mi alzo e
prendo una delle due felpe sul divano, infilandola.
Nessuno dei due parla. Ci sorridiamo a vicenda, ci
sfidiamo con gli occhi, ci guardiamo, ammiriamo noi
stessi negli occhi dell’altro. Quando finisce di fare
colazione e si alza dalla sedia, in attesa di sapere cosa
fare, le allungo l’altra felpa.

«Questa ti servirà» le dico.

Aggrotta la fronte, fissando la mia maglia tra le sue


mani. Mi avvicino a lei, prendendole il viso tra le mani.

«Fidati» le mormoro contro le labbra, prima di


baciarla velocemente e prenderle la mano.

Quando usciamo fuori, Ana indossa la felpa. L’addetto


al parcheggio arriva a bordo di una Maserati Gran Cabrio
rossa fiammante. Scende e mi cede il mazzo di chiavi con
un gran sorriso. Anastasia mi guarda con uno sguardo
interrogativo. Le faccio l’occhiolino, lanciandole un
sorriso compiaciuto.

«Sai, a volte è bellissimo essere me» le dico, aprendo la


portiera con un inchino volutamente esagerato. Mi passa
davanti al naso, ridacchiando divertita, mentre si
accomoda e aspetta che chiudo lo sportello.

«Dove andiamo?» chiede curiosa.

«Lo vedrai» le rispondo misterioso. Mi siedo al posto


di guida e faccio rombare il motore. Pochi attimi più tardi
stiamo imboccando la Savannah Parkway. Imposto il
navigatore per l’aeroporto e poi accendo l’iPod. La
Traviata di Verdi invade i nostri sensi, le nostre menti. Di
fuggita guardo Ana, con gli occhi chiusi e la testa reclinata
all’indietro.

«Cos’è?» mi chiede curiosa.

«La Traviata. Un’opera di Verdi»


«La Traviata? Ne ho sentito parlare, non ricordo a che
proposito. Di cosa parla?»

La guardo sorridendo.

«È basata sul romanzo di Alexandre Dumas, La


signora delle camelie» le spiego.

«Ah, l’ho letto» dice, tornando a girarsi verso la strada.

«Immaginavo» le dico con un’occhiata.

«La cortigiana segnata dal destino» mormora


agitandosi sul sedile. «Mmh, è una storia deprimente»

«Troppo deprimente? Vuoi scegliere tu la musica? È


sul mio iPod» la guardo imperscrutabile.

Si gira intorno cercando l’iPod e torna a guardarmi


quando non lo trova da nessuna parte. Ridacchio, dando
un piccolo colpetto al centro del cruscotto.
Immediatamente compare la playlist.

«Scegli tu» le dico, sfidandola.

Allunga il dito e inizia a far scorrere la playlist. Guardo


i suoi gesti, i suoi movimenti, il modo in cui reagisce ad
ogni nuovo titolo. Poi, alla fine, sorride e fa partire il
brano.

“Dio, non a quest’ora!”.

Ha scelto Toxic della Spears. Abbasso il volume e il


sorrisetto soddisfatto mi dice che era quello che voleva.
Scommetto che vuole di nuovo parlare. Ma, stranamente,
dopo ieri sera il pensiero non è così sgradevole. Anzi. “Ha
detto di non volermi lasciare”.

«Toxic, eh?» le sorrido.

«Non capisco che cosa vuoi dire» mi dice fingendo un


candore e un’innocenza senza pari.

“Ma guardala!”. La guardo con aria di sfida, pronto a


tormentarla per farle abbassare la cresta. Non ho il
frustino con me, ma so benissimo su cosa fare leva.

«Non ho messo io quella canzone sul mio iPod» le


dico.

Prima che possa ribattere qualsiasi cosa, premo


l’acceleratore. Entrambi ci inchiodiamo al sedile, mentre
l’auto sfreccia meravigliosamente sull’autostrada. Mi
guarda, mordendosi piano il labbro inferiore, ma non
dico nulla. Tocca a lei parlare. So che muore dalla voglia
di sapere chi è stato. Lo so. Anastasia resiste per tutto il
brano, guardando fuori dal finestrino, ma stringendo
forte le mani in grembo. Sorrido segretamente. “Anch’io
ho avuto la mia vittoria, Miss Steele”. Quando inizia il
brano successivo, più lento e melanconico, mi giro verso
di lei. “Tiene duro la ragazzina”. Sorrido, poi torno a
guardare la strada.

«È stata Leila» cedo.

«Leila?» chiede trattenendo a stento la curiosità.

«Una mia ex, ha messo lei quella canzone sul mio


iPod» le dico cauto, senza guardarla.
«Una delle quindici?» mi chiede, insicura.

«Sì»

Noto che questo tipo di conversazione non mi mette


più in ansia. Anastasia conosce il mio passato. O meglio,
conosce quello che le ho rivelato. Ed è rimasta qui con
me. E mi concedo il lusso di pensare che resterà sempre
qui con me.

«Che fine ha fatto?» chiede piano, timorosa della


risposta, come se quello che è successo a Leila possa
succedere anche a lei.

«Abbiamo rotto» le dico.

Un po’ troppo seccamente forse. La verità è che non mi


piace quello che ero con Leila. Non mi piace quello che
ero con tutte le altre. Mi piace quello che sono ora.
“Anastasia Rose Steele, stai dando un taglio a tutto lo
schifo”.

«Perché?» mi chiede, con l’espressione di chi pensa di


aver osato troppo.

Sorrido, guardando la strada.

«Voleva di più» le dico a bassa voce.

Ripenso allo sguardo triste di Leila il giorno in cui se


n’è andata. Alla mia indifferenza. Oggi so che non
riuscirei ad essere indifferente se Anastasia mi lasciasse.
So che mi sentirei devastato. So che non potrei
semplicemente girarmi dall’altro lato e dimenticarmi di
lei.
«E tu no?» mi chiede, approfittando della mia
improvvisa loquacità.

Scuoto piano la testa.

«Non ho mai voluto di più, finché non ho incontrato


te» le dico sinceramente, girandomi a guardarla per
qualche istante.

I miei occhi sono sinceri. E voglio che lei ne sia


cosciente. La vedo sussultare alle mie parole, prima di
tornare a fissare la strada.

«Cos’è successo alle altre quattordici?» chiede, senza


riuscire a nascondere la gioia nella sua voce.

«Vuoi un elenco? Divorziate, decapitate, uccise?» le


dico scherzando.

«Non sei Enrico VIII» mi risponde sullo stesso tono.

«D’accordo. In pratica, ho avuto relazioni a lungo


termine solo con quattro donne, a parte Elena»

E la nomino. Le dico il suo nome perché voglio che


sappia che fa parte del mio passato. Che ora esiste solo
lei.

«Elena?» mi chiede curiosa.

«Quella che chiami Mrs Robinson» le dico con fare


cospiratorio.

“Ti ho detto il mio segreto, Anastasia. Uno dei tanti


segreti”.
Inspira forte, girandosi verso il finestrino. Poi torna
all’attacco.

«Com’è andata a finire con queste quattro?» mi chiede


sommessamente.

«Sei così curiosa, così avida di informazioni, Miss


Steele»

La guardo con affetto. “Anch’io voglio sapere tutto di


te, Anastasia. Posso capirti”.

«Senti chi parla, Mr Quando Ti Viene Il Ciclo» sbotta


ironica.

«Anastasia, un uomo deve sapere queste cose» le dico


con finta determinazione.

«Ah, sì?» sorride.

«Io sì»

«Perché?»

«Perché non voglio che resti incinta»

Stavolta la mia determinazione è reale. Non voglio in


alcun modo rischiare. A malapena so gestire me stesso.
Non voglio un bambino di cui non sono capace di
occuparmi. Non voglio un altro me. Un altro bambino di
quattro anni, con gli occhi grigi, i capelli color rame,
affamato, malato. Non voglio che un altro bambino soffra
l’inferno in terra come è successo a me.

«Io neanche! Almeno, non per qualche anno ancora»


esclama lei.

La guardo sbattendo le palpebre. “No, Anastasia. Non


ora. Non in futuro. Forse… forse un giorno. Forse quando
saprò di non avere più colpe da espiare. Di non essere più
il mostro che sono ora. Ma questo non succederà per
molto tempo. Forse non succederà mai”.

Ana sorvola sulla mia espressione scioccata,


continuando a mettermi sotto torchio.

«Allora, com’è andata a finire con le altre quattro?»

Sospiro.

«Una ha conosciuto un tizio. Le altre volevano… di più.


All’epoca, io non offrivo di più» ammetto semplicemente.

«E con le altre?» insiste.

La guardo, scuotendo la testa di fronte alla sua


audacia.

«Non ha funzionato» replico.

Tenta di nascondere un sorriso compiaciuto. Appoggia


la testa al sedile e si perde per qualche attimo a guardare
l’accenno di alba nello specchietto retrovisore. Mi rilasso
nel relativo silenzio dell’abitacolo, interrotto solo dalla
musica in sottofondo.

«Dove stiamo andando?» mi chiede dopo un po’.

“Ecco. Non poteva durare per sempre”.


«All’aeroporto» le dico semplicemente.

Balza a sedere sul sedile, allarmata.

«Non torniamo a Seattle, vero?» chiede allarmata.

Scoppio a ridere di gusto.

«No, Anastasia, ci dedicheremo al mio secondo


passatempo preferito»

«Secondo?» chiede perplessa.

«Sì. Il mio preferito te l’ho detto stamattina»

Mi guarda senza capire.

«Godermi te, Miss Steele. Quello è in cima alla lista.


Prenderti in qualsiasi modo» le dico in un sussurro.

Il pensiero mi lascia eccitato e senza fiato. “Perché


Cristo mi fa sempre questo effetto anche solo pensarci?”.

«Bè, questo è abbastanza in cima anche alla mia lista


di attività perverse» mormora diventando scarlatta.

«Sono lieto di sentirlo» le dico deciso.

«Dunque, all’aeroporto?» chiede perplessa.

Mi giro a sorriderle.

«Inseguiremo l’alba, Anastasia»

Veniamo interrotti dalla voce metallica del navigatore.


Svolto a destra e finalmente arriviamo a destinazione. Il
circolo volovelistico di Brunswick. La sento inspirare e sul
volto le si dipinge un’espressione felice. Spengo il motore
della cabriolet.

«Sei pronta?» le chiedo eccitato dalla prospettiva.

«Guidi tu?» si informa.

«Sì» le rispondo con gli occhi che brillano per la gioia.

“Dio, sto così bene con lei”.

«Sì, ti prego!» Saltella sul sedile, felice. Sorrido e la


bacio velocemente.

«Un’altra prima volta, Miss Steele» le dico scendendo


dall’auto e andando ad aprirle la portiera.

La prendo per mano, superando l’edificio bianco che


torreggia davanti a noi. Ci dirigiamo sulla pista, sulla
quale sono parcheggiati diversi velivoli, e dove ci
attendono Taylor e quello che sembra essere il pilota.
Anastasia sorride a Taylor, che ricambia. Poi mi fa un
cenno di saluto. Un po’ strano a dire il vero. Lo guardo,
aggrottando la fronte, ma lui mi restituisce uno sguardo
impassibile, passando a presentarmi l’uomo che lo segue.

«Mr Grey, le presento il pilota del trainatore, Mr Mark


Benson»

Gli stringo la mano e iniziamo a parlare delle


condizioni climatiche e dei dettagli del volo. Con la coda
dell’occhio scorgo Anastasia che si avvicina a Taylor e
scambiano qualche parola. Mi guardano entrambi, poi si
scambiano un’occhiata complice. Aggrotto le sopracciglia.
«Anastasia» la chiamo, cercando di attirarla a me.
«Vieni» le ordino, tendendole la mano.

Ana saluta Taylor e si avvicina a me. Il mio fidato


collaboratore mi lancia un cenno frettoloso e forse un po’
nervoso, tornando verso il parcheggio. Ho il sospetto che
ci sia qualcosa che mi sta nascondendo. Anastasia mi
raggiunge.

«Mr Benson, questa è la mia fidanzata, Anastasia


Steele» la presento.

«Piacere di conoscerla» mormora lei, stringendo la


mano di Benson, che le sorride forse un po’ troppo
calorosamente.

«Piacere mio» ribatte.

Anastasia mi prende la mano, stringendola forte.


Riesco a percepire la sua agitazione. Seguiamo Benson
verso la pista di decollo. Continuo a parlare con lui per
definire tutti i dettagli. Useremo un Blanik L-23, uno dei
miei modelli preferiti, mentre Benson guiderà un Piper
Pawnee. Non mi sfugge lo stato di agitazione crescente di
Anastasia.

L’aliante è una vera meraviglia, di un bianco lucido,


con strisce arancioni. Benson ci apre gentilmente la
carlinga.

«Per prima cosa, dovete infilarvi il paracadute» dice,


afferrandoli entrambi e avvicinandosi ad Anastasia.

“Non azzardarti a toccarla”.


«Ci penso io» intervengo prontamente, prima che
possa iniziare l’operazione. Mi faccio passare
l’imbracatura, mentre Benson va a prendere le zavorre.
Inizio a fissarle l’imbracatura addosso.

«Ti piace proprio legarmi con queste cinghie»


mormora, vicinissima a me.

«Non immagini quanto, Miss Steele. Vieni, infilati qui»


le dico, inginocchiandomi davanti a lei e lasciando
infilarle i piedi negli appositi lacci. Anastasia poggia una
mano sulla mia spalla, per non perdere l’equilibrio. Mi
irrigidisco, ma riesco a frenare l’istinto di allontanarla.
Per qualche attimo riesco anche a godermi quel breve
tocco.

“Non so cosa mi stai facendo, Miss Steele. Ma ne voglio


sempre di più”.

Tiro su il paracadute, e lei infila le braccia nelle cinghie


delle spalle. Le allaccio in fretta l’imbracatura e stringo
tutte le cinghie per bene.

«Ecco, così va bene» le dico soddisfatto.

Ed eccitante. Quanto vorrei legarla nella mia Stanza


dei giochi ora. Quanto vorrei vedere il suo corpo nudo
stretto dalle corde. Lei impotente, alla mia mercé. La sua
lingua in silenzio per un attimo, impegnata a darmi il
piacere che solo lei sa procurarmi. Mi schiarisco la voce,
guardando i suoi capelli sciolti che potrebbero essere un
impedimento in volo.

«Hai con te l’elastico per capelli?» le chiedo.


Annuisce piano, tirandolo fuori dalla tasca dei jeans e
guardandomi con lo stesso desiderio con cui la guardo io.

«Vuoi che mi faccia la coda?»

Anche la sua voce è roca.

«Sì» le rispondo piano.

Obbedisce prontamente. Quando ha finito le ordino di


salire a bordo. Si arrampica tentando di sedersi sul sedile
posteriore. La fermo subito.

«No, davanti. Dietro si siede il pilota» le dico con un


sorrisetto.

«Ma riuscirai a vedere?» chiede preoccupata.

«Vedrò quello che serve» le rispondo sorridendo.

“Ovvero te, Miss Steele”.

Mi rivolge un breve sorriso. Poi si siede davanti,


sprofondando nel sedile, intimorita. Mi chino su di lei e le
aggiusto l’imbracatura sulle spalle. Afferro la cintura tra
le sue gambe e la aggancio fermamente al fermaglio
posizionato all’altezza del suo ventre. Poi passo a
stringere e controllare tutte le altre cinghie,
assicurandomi che sia completamente al sicuro. Mentre
torna la voglia di legarla in altri modi.

«Mmh, due volte in una mattina, sono un uomo


fortunato» mormoro piano, baciandola velocemente per
lenire questo desiderio bruciante. «Non durerà molto,
venti, trenta minuti al massimo. Le correnti ascensionali
non sono un granché al mattino, ma a quest’ora la vista
da lassù è mozzafiato. Spero che tu non abbia paura»la
avverto.

«Sono emozionata» mi risponde con un gran sorriso.

«Bene» le scocco anch’io un sorriso luminoso,


accarezzandole piano la guancia con le dita.

“É stupendo il modo in cui riesci a fidarti di me,


Anastasia. Nonostante la paura”. ‘Perché tu non puoi fare
lo stesso con lei, Grey?’. Forse ci sto provando.

Mi sposto, salendo nella carlinga e prendendo poto


dietro di lei. Benson torna da noi. Con un sorriso un po’
troppo amichevole controlla le cinture di Ana. “Mi da sui
nervi, Cristo santo!”.

«Okay, è sicuro. Prima volta?» le chiede.

«Sì» risponde lei.

«Si divertirà molto»

«Grazie, Mr Benson»

«Mi chiami Mark»

Benson si gira verso di me, che lo guardo gelidamente.

«Tutto bene?» chiede.

«Sì. Andiamo» rispondo seccamente.

Chiude velocemente la calotta della carlinga,


dirigendosi vero il Piper. Il velivolo si mette in moto,
imboccando la pista. Quando il cavo che ci lega a lui si
tende al massimo, veniamo sbalzati in avanti e partiamo.
Si sente la voce di Max che scambia informazioni con al
torre di controllo, mentre prendiamo velocità, avanzando
in modo irregolare. E di colpo siamo in volo.
“Finalmente”.

«Si parte, piccola!» le urlo.

E finalmente siamo solo noi due. Soli, in mezzo alle


nuvole, sospesi nel cielo. Al di sopra del mondo. Al di
sopra delle nostre vite. Del mio passato. Del suo. Di tutto.
Sorvoliamo boschi, case, strade. La luce del sole ci
avvolge, ci incanta entrambi. Le orecchie mi si tappano,
mentre saliamo ancora. Il silenzio ci avvolge, solo i nostri
respiri, nella quiete dell’alba che stiamo rincorrendo. Mi
sento in pace con me stesso. E sono con l’unica persona
con cui vorrei essere davvero. Anastasia. Dalla radio,
Mark ci informa che siamo a tremila piedi d’altezza.
D’istinto Anastasia guarda di sotto, facendomi sorridere.

«Sgancia» ordino a Benson.

E ora sì che siamo davvero soli. Io ed Anastasia.


Planiamo sulla Georgia. Sulla sua terra. Planiamo insieme
in questo paradiso. Prendo il comando del velivolo,
descrivendo una spirale che punta dritta al sole. La vista
sotto di noi è davvero unica e le sensazioni sono acuite dal
fatto di avere Anastasia a condividere tutto questo con
me. Un altro pezzo della mia vita che le sto regalando.
‘Prima o poi finirai col darle troppo, Grey. E lei scapperà’.
Chiudo gli occhi per un secondo, mentre una fitta di
dolore mi attraversa. “Non pensarci Christian. Ora è qui.
Con te. E ha detto di non volerti lasciare”. Voglio
sorprenderla.

«Tieniti forte!» le urlo, mentre ci abbassiamo di nuovo.

Ma non mi fermo. L’aliante si capovolge del tutto.


Anastasia urla, alzando le braccia contro la calotta.
Scoppio a ridere. Dopo qualche attimo di panico la sento
ridere con me. Raddrizzo l’aliante, senza togliermi dal
viso quel sorriso ebete. E felice.

«Meno male che non ho fatto colazione!» urla.

«Sì, a ripensarci è stato un bene, anche perché sto per


farlo di nuovo» e in meno di tre secondi siamo di nuovo a
testa in giù.

Anastasia si aggrappa alle cinture, e entrambi ridiamo


come ragazzini.

«È bello, vero?» grido raddrizzando di nuovo l’aliante.

«Sì» mi risponde decisa.

Fluttuiamo per un po’ nel cielo, in completo silenzio.


Ana ammira il sole che sorge e inizia a splendere più
forte. Io ammiro lei. Lei che mi sta dando tanto, in così
poco tempo. L’improvvisa voglia di fare qualcosa per lei
mi assale.

«Vedi la cloche davanti a te?» le grido, senza pensarci


troppo.

Esita per un attimo, prima di annuire piano.


«Prendila» le ordino deciso.

Anastasia non si muove, evidentemente terrorizzata.

«Andiamo, Anastasia. Prendila» insisto.

Esita qualche secondo, poi l’afferra titubante.

«Tienila stretta… tienila ferma. Vedi il quadrante


davanti a te? L’ago deve restare esattamente nel centro»
le ordino.

Esegue timorosa.

«Brava bambina» le dico soddisfatto.

«È incredibile che tu mi abbia lasciato prendere il


comando» grida eccitata.

«Ti sorprenderebbero le cose che sarei disposto a


lasciarti fare, Miss Steele. Ora lo riprendo io» le dico
d’impulso.

“E non sai quanto sia vera questa frase, Anastasia. Le


cose che ti lascerei fare. E quelle che già ti ho lasciato
fare”.

Velocemente iniziamo a scendere, a spirale,


avvicinandoci alla terra. Comunico con la torre di
controllo.

«BMA, qui BG N Papa 3 Alpha, sto per atterrare sulla


pista sette in erba da sinistra sottovento, BMA»

Quando ci autorizzano all’atterraggio continuo a


scendere, descrivendo un ampio cerchio verso il suolo.

«Tieniti forte, piccola. Può essere un po’ acrobatico» le


urlo mentre passiamo sull’autostrada.

Iniziamo a scendere in picchiata e sprofondiamo a


terra con tonfo sordo, rullando sul prato fino a quando ci
fermiamo del tutto. Pochi attimi di silenzio, nei quali ci
riprendiamo entrambi dall’atterraggio acrobatico.
Sgancio le cinture, apro la calotta e mi alzo in piedi,
stiracchiandomi. Scendo e mi chino su di lei per
sganciarle la cintura. Sono ancora emozionato per questo.
E per aver avuto questo con lei.

«Com’è stato?» le chiedo contenendo a stento la mia


euforia.

«Fantastico. Grazie» mormora con gli occhi lucidi.

E non resisto. Devo chiederglielo. Devo sapere se sono


riuscito a darle un minimo di quello che lei dà a me.

«Era “di più”?» le chiedo, timoroso come mai nella mia


vita.

“Se la tua risposta è no, allora non rispondere Ana. Il


silenzio poso accettarlo. Un tuo rifiuto no”.

«Molto di più» sussurra.

Sul mio viso compare un sorriso aperto, sincero, che


viene dal profondo di me stesso. Ho bisogno di fare
l’amore con lei. Lo farei ora, anche qui, nel bel mezzo
della pista di atterraggio.
«Vieni» le dico tendendole la mano ed aiutandola ad
uscire dalla carlinga.

Quando mette i piedi a terra la afferro per la vita,


stringendola forte a me. Una mano le afferra la coda. Me
la avvolgo attorno al polso e la tiro leggermente,
costringendola a guardarmi negli occhi. L’altra mano
scivola sulla sua schiena, fino alla base, spingendola
contro di me. La bacio e le nostre bocche non smettono di
restare incollate. Scateno tutta la mia passione in quel
bacio. E lei mi accoglie, lasciandomi fare, lasciandomi
ancora una volta condurre il gioco. Fino a quando ne ho
voglia. Fino a quando ne ho bisogno. Le sue mani
avvolgono i miei capelli, stringendoli e avvicinandomi di
più, permettendo alla mia lingua di scivolare lungo la sua
gola, in profondità. Tutto il mio corpo reagisce d’istinto,
aiutato dall’adrenalina che ancora circola in corpo a causa
del volo in aliante. I nostri respiri accelerano. Quasi non
riesco a trattenermi. La mia erezione è evidentissima e
aumenta grazie allo sfioramento dei nostri corpi. Ma, ora
come ora, non me ne fotte un emerito cazzo. La voglio.
Con l’ultimo briciolo di buonsenso che mi rimane, che mi
impedisce di spingerla contro la fiancata dell’aliante e
scoparla qui all’aperto, davanti a tutti, mi scosto piano da
lei. La fisso intensamente, ed è quasi come se i nostri
occhi facciano quello che noi non possiamo fare.

«Colazione» le mormoro.

Ma entrambi sappiamo che è altro quello che


vogliamo. Prendendola per mano mi avvio vero la
macchina.

«E l’aliante?» chiede perplessa.


«Qualcuno ci penserà» le dico tranquillo. «Ora
andiamo a mangiare» ordino deciso.

Mi lancia un’occhiata vogliosa, osservandomi dalla


testa ai piedi.

«Vieni» le dico ridendo.

Camminiamo in silenzio, entrambi felici, mano nella


mano. E per la prima volta nella mia vita mi sento
completo. É tutto perfetto. Tutto. E sarà così per sempre.
Io posso fare in modo che sia così per sempre.

Mentre ci dirigiamo verso il centro città, il suo telefono


prende a suonare. É una sveglia. Mi giro a guardarla,
senza perdere d’occhio la strada.

«Cos’è?» le chiedo curioso.

Fruga freneticamente nella borsetta, cercando il


telefono finito chissà dove.

«La sveglia per la pillola» mormora arrossendo


violentemente.

Le sorrido.

«Bene, fantastico. Odio i preservativi» le dico con


un’espressione divertita.

Sprofonda nel sedile, imbarazzata. Poi fa un sospiro.

«Mi è piaciuto che tu mi abbia presentato a Mark come


la tua fidanzata» mi dice piano.
«Perché, non lo sei?» le chiedo, girandomi verso di lei,
sondando la sua espressione.

“Non avere dubbi, Anastasia. Mai”.

«Ah, sono la tua fidanzata? Pensavo che volessi una


Sottomessa» sbotta sarcastica.

Fisso la strada.

«Anch’io lo pensavo, Anastasia, e continuo a farlo. Ma,


come ti ho detto, voglio anche di più» ammetto sincero.

Forse per la prima volta anche con me stesso. Mi fissa


a bocca aperta per qualche istante. Gioia. Pura gioia. É
questo che le si dipinge sul volto. “Vedi, Christian.
Nonostante tutto, puoi renderla felice. Nonostante quello
che sei”.

«Sono molto contenta che tu voglia di più» mormora,


con gli occhi lucidi e un sorriso da un orecchio all’altro.

«Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele» le dico


ridacchiando, mentre accosto davanti ad una caffetteria.
É della catena International House of Pancakes. Il ricordo
di quante colazioni abbiamo fatto io, Mia, Elliot e nostro
padre, in assenza della mamma mi fa sorridere
segretamente. É uno dei pochi ricordi felici della mia
infanzia. Il locale non è molto affollato. Il pessimo odore
di cibo misto a disinfettante stranamente mi evoca ricordi
positivi. Lo inalo a fondo. Anche questa è una parte di me,
Ana. Anche questo ti sto regalando. Prima o poi vedrai
anche l’orrore. Ma per il momento posso mostrarti
questo. Posso darti altri motivi per farti ripetere,
coscientemente, di non volermi lasciare. Scelgo un tavolo,
conducendola e lasciandola sedere.

«Non ti avrei mai immaginato in un posto del genere»


mi dice con un sorriso.

«Mio padre ci portava a mangiare in questa catena


ogni volta che mia madre partiva per uno dei suoi
congressi medici. Era il nostro segreto» le dico
ricordando l’episodio con affetto. Prendo il menu,
passandomi una mano nei capelli, scompigliati dal vento.
Ana prende l’altro menu sul tavolo. Sento il suo stomaco
brontolare e le lancio un’occhiata al di sopra del
cartoncino plastificato. Ha le guance ancora arrossate per
il volo. Gli occhi così belli e luminosi. É stupenda. E sexy.
E ancora una volta mi eccita. Il desiderio di lei è costante
e pressante.

«So cosa voglio» le mormoro, senza smettere di


fissarla.

Alza lo sguardo, scontrandosi con il fuoco dei miei


occhi grigi. Un fremito la scuote.

«Io voglio quello che vuoi tu» mormora a voce bassa,


provocandomi un’erezione da paura.

Inspiro bruscamente.

«Qui?» le chiedo tentandola, con un sorriso perverso.

Mi mordo la lingua, cercando di tenere a freno il mio


istinto. Anastasia socchiude gli occhi e capisco che l’idea
di fare sesso per colazione le sta davvero balenando in
testa. Si morde il labbro, dando l’ultimo colpo di grazia al
mio uccello, che inizia a farmi male nei pantaloni. “Cristo!
Se continua così verrò senza neppure toccarmi!”.

«Non morderti il labbro» le ordino severamente. «Non


qui, non adesso»

I suoi denti affondano di più nel suo labbro, prima di


lasciarlo andare del tutto.

«Se non vuoi che ti prenda qui, non tentarmi» le


sussurro, scorgendo con la coda dell’occhio la cameriera
che punta il nostro tavolo.

«Salve, sono Leandra. Cosa posso portarvi


stamattina… ehm… ragazzi…?»

La sento incespicare e capisco che è la sua reazione a


me. Anastasia le lancia un’occhiata, stringendo piano gli
occhi. La giovane Leandra arrossisce, ma non le presto la
minima attenzione. É più interessante quella di
Anastasia. “Mi piaci possessiva, Miss Steele”.

«Anastasia?» le chiedo, dandole la possibilità di


scegliere quello che vuole mangiare.

Volutamente accarezzo ogni sillaba del suo nome con


la lingua. La tensione sessuale tra di noi è palpabile
nell’aria. A fatica deglutisce.

«Te l’ho detto: voglio quello che vuoi tu» mormora


appena.

Le sue parole accendono il mio desiderio, spingendolo


oltre ogni limite. Sento addosso lo sguardo della
cameriera, ma non mi importa.
«Forse volete pensarci ancora un attimo?» azzarda a
chiedere.

«No. Sappiamo quello che vogliamo» rispondo, senza


distogliere gli occhi da Anastasia, sorridendole in modo
provocatorio. «Vorremmo due porzioni di pancake
classici con sciroppo d’acero e bacon a parte, due
bicchieri di succo d’arancia, un cappuccino e un tè
English Breakfast, se lo avete» le dico, continuando a
perdermi nell’azzurro del paio di occhi che mi osservano.

«Grazie, signore. Desiderate altro?» balbetta la


ragazza.

Con un movimento simultaneo ci giriamo entrambi a


guardarla, facendo un breve cenno di diniego. Leandra si
allontana in fretta.

«Lo sai, non è giusto» mi dice, strofinando il dito sul


tavolo, con lo sguardo perso nel vuoto.

«Cosa non è giusto?» le chiedo curioso, poggiando i


gomiti sul tavolo e avvicinandomi a lei.

«Il modo in cui disarmi la gente. Le donne. Me.»


sospira.

«Ti disarmo?» le chiedo, alzando un sopracciglio.

Fa uno sbuffo.

«Di continuo»

«È solo un’impressione, Anastasia» le dico


semplicemente.
«No, Christian, è molto di più»

Aggrotto la fronte, osservandola mentre alza lo


sguardo su di me.

«Tu sì che mi disarmi, Miss Steele. La tua innocenza.


Dà un taglio a tutto lo schifo» le rivelo.

«Per questo hai cambiato idea?» chiede speranzosa.

«Cambiato idea?»

«Sì… su, ecco… su noi due» mormora.

Mi appoggio alla sedia, sfregandomi il mento,


riflettendo sulle sue parole.

«Non penso di aver propriamente cambiato idea.


Dobbiamo solo ridefinire i parametri, tracciare nuove
linee strategiche, se vuoi. Possiamo far funzionare la cosa,
ne sono certo. Voglio che tu faccia la Sottomessa nella
mia stanza dei giochi. Ti punirò se infrangi le regole. Il
resto… Bè, penso che sia in discussione. Queste sono le
mie esigenze, Miss Steele. Che cosa ne dici?» le chiedo,
con il timore che possa rifiutarmi.

‘In fondo, Grey, se sei qui in Georgia è perché hai


dovuto rincorrerla mentre scappava da te’. Il dolore al
petto si acuisce.

«Quindi posso dormire con te? Nel tuo letto?» mi


chiede titubante.

«È quello che vuoi?» le domando trattenendo un


sorriso di sollievo.
«Sì» risponde, giocherellando con le dita.

«Allora, d’accordo. Fra l’altro, dormo benissimo


quando sei nel mio letto. Non lo avrei mai immaginato»

Aggrotto la fronte, riflettendo io stesso sulle mie


parole. Solo con Grace riuscivo a tollerare di avere una
persona nel mio letto. Nessun altro, oltre Anastasia, mi è
mai stato tanto vicino. Ana sospira.

«Temevo che mi avresti lasciato se non avessi accettato


tutte le condizioni» mormora.

«Non ho nessuna intenzione di lasciarti, Anastasia. E


poi…» mi fermo, senza sapere bene cosa dire.

Mi mancano le parole. Sento il profondo desiderio di


farle capire quello che provo per lei. Ma come? “Tu la ami
Christian”, mi aveva detto Elena. No. Non posso dirle
questo. ‘Forse è quello che senti, Grey. Forse Elena aveva
ragione. E, a guardarla bene, la ragazzina vorrebbe
sentirselo dire’. Deglutisco piano. No.

«Stiamo seguendo il tuo consiglio, la tua definizione:


compromesso. Me l’avevi scritto via mail. Per il momento,
sta funzionando» mi limito a risponderle cauto.

«Sono felice che tu voglia di più» mormora con un


sorriso timido.

«Lo so» le rispondo, recuperando il mio equilibrio e


guardandola con affetto.

«Come fai a saperlo?» mi chiede curiosa e felice.


«Fidati. Lo so e basta» le dico strizzandole l’occhio.

La cameriera porta la nostra colazione,


interrompendoci. Il suo stomaco brontola più forte
stavolta. La guardo, indicandole il piatto con il mento e
ordinandole silenziosamente di mangiare. Credo sia la
prima volta che non la sento brontolare e che divora tutto
in pochissimo tempo.

«Posso farti un regalo?» mi chiede, tamburellando con


le dita sul tavolo, mentre aspetta che io finisca di
mangiare.

«Che regalo?» le chiedo aggrottando la fronte.

«Offrirti questa colazione» dice candidamente.

Sbuffo ironicamente.

«Non credo» le dico deciso.

«Per favore. Mi farebbe piacere» implora.

Le lancio uno sguardo severo.

«Stai cercando di castrarmi del tutto?» le chiedo


sarcastico.

«Questo è probabilmente l’unico posto in cui potrò mai


permettermi di pagare» piagnucola.

«Anastasia, apprezzo il pensiero, davvero. Ma no»


replico deciso.

Mi lancia una smorfia, mettendo il broncio.


«Non mettere il broncio» la minaccio con poca
convinzione. E con tutta l’eccitazione che in questo
momento sta tornando a farsi sentire.

Quando, più tardi, accostiamo davanti al cancello di


casa sua, spengo il motore e ci fissiamo.

«Vuoi entrare?» mi chiede esitante.

“Sì. Voglio. Ma finiremmo a letto. E non possiamo a


casa di tua madre, Ana. Non sarebbe per niente educato
da parte mia”.

«Devo lavorare, Anastasia, ma torno stasera. A che


ora?» le chiedo distogliendo lo sguardo dal suo, per
evitare ogni tentazione.

«Grazie… per il di più» mi sussurra debolmente.

«Non c’è di che, Anastasia» le dico con affetto.

Mi protendo vero di lei e la bacio. La sento inalare a


fondo il mio profumo, come se volesse portarlo con sé per
non perdermi del tutto. “É la stessa cosa che vorrei io,
Ana”.

«Ci vediamo dopo» dice piano, staccandosi di poco.

«Puoi giurarci» le mormoro contro le labbra.

La guardo scendere, accompagnandola con un sorriso


dolce. Dallo specchietto retrovisore la vedo salutarmi
timidamente con la mano. Sospiro, felice. Poi mi ricordo
di Taylor. Avvio la chiamata dal mio BlackBerry.
«Mr Grey» la sua voce calma risuona nell’abitacolo.

«Cosa cazzo è successo Taylor?» gli chiedo irritato. So


che mi ha nascosto qualcosa stamattina.

«Abbiamo dei problemi a Seattle, signore»

«Che tipo di problemi?»

«Si tratta di Miss Williams, signore»

Sbianco, a sentirla nominare. Leila? Cosa cazzo le è


successo?

«Cosa è successo a Miss Williams, Taylor?» chiedo con


urgenza.

«Signore, Miss Williams si è presentata all’Escala, in


serata. Ha chiesto di lei. Ha fatto una scenata quando ha
scoperto che non era in casa e ha maldestramente tentato
di tagliarsi le vene. Mrs Jones si è occupata di lei,
accompagnandola in ospedale »

Il sangue defluisce lentamente dal mio volto, mentre


ascolto il racconto di Taylor. Alla fine riesco a malapena a
mormorare la mia domanda successiva.

«Oltre a Gail, chi altri è a conoscenza dell’accaduto?


Leila ha detto qualcosa, ha spiegato il suo gesto?»

«Nessuno, Mr Grey. Gail è stata ovviamente discreta.


Miss Williams ha chiesto di lei, prima di cercare di
suicidarsi. Gail ha provveduto alle prime cure e poi l’ha
trasportata in ospedale. Ai medici ha raccontato di averla
trovata davanti al portone dell’Escala e di averle prestato
soccorso. Miss Williams ha confermato la sua versione.
Le sue ferite non sono gravi. I medici hanno affermato
che si è trattato di un disperato quanto maldestro
tentativo di attirare l’attenzione» mi risponde calmo.

«E suo marito?» chiedo trattenendomi a stento.

«Al momento non siamo riusciti a contattarlo. Welch


se ne sta occupando. La situazione è sotto controllo, Mr
Grey».

«Sotto controllo un cazzo, Taylor!» sbraito. « Leila ha


cercato di uccidersi a casa mia e tu non hai ritenuto
opportuno avvisarmi prima??»

“Cristo, cristo, cristo!”

«Ci ho provato, Mr Grey. Ieri sera. Lei ha chiuso la


chiamata e quando mi ha scritto del volo in aliante, ho
capito che era con Miss Steele. Ho eseguito il suo ordine
di non disturbarla quando è in compagnia di Miss
Anastasia Steele. La situazione è stata tenuta sotto
controllo sia da me che da Welch, Mr Grey. Per questo ho
preferito aspettare»

«Aspettare un cazzo, Taylor! Esigo di essere informato


su ogni minima cosa, questo non devo certo ricordartelo
io! Questa cosa non rientra di certo nel pacchetto “non
disturbarmi quando sono con Anastasia”! Ti aspetto in
albergo!» urlo, chiudendo la chiamata.

“Cristo!”. Esasperato mi passo una mano nei capelli.


“Ok. Ok, Christian. Fai un respiro profondo e metti in
moto quel cazzo di cervello bacato che ti ritrovi”.
Inalo a fondo, ma non riesco a calmarmi. Mentalmente
inizio a stilare una lista di cose da fare. “Non dirlo ad
Anastasia”. Ho appena formulato il pensiero che il mio
telefono vibra. É lei. Prima di aprire la mail, mi calmo
leggermente. “Ok. Anche se ha fatto una cazzata, mi fido
di Taylor. Se dice che la situazione è sotto controllo, allora
vuol dire che la situazione è realmente sotto controllo”.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 10.20 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Brividi vs lividi

Certe volte, sai proprio come far star bene una ragazza.

Grazie

Ana X

La sua mail mi fa sorridere, riportandomi indietro di


qualche ora. A noi due soltanto sospesi nel cielo. Alla
nostra bolla che Leila ha appena fatto scoppiare. Magari
posso trattenere ancora un po’ la sensazione di pace e
tranquillità che ho sperimentato questa mattina.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 10.24 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Brividi vs lividi

Preferisco gli uni e gli altri al sentirti russare. Mi sono divertito


anch’io. Ma mi diverto sempre, quando sono con te.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Solo quando sono con te, aggiungerei. Soprattutto
stando alle ultime vicende.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 10.26 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: RUSSARE

IO NON RUSSO. E anche se fosse, è molto poco galante da parte tua


farmelo notare. Non sei un gentiluomo, Mr Grey! E qui sei nel
Profondo Sud!

Ana

Mi scappa una risata. Più isterica che divertita. Solo tu


sai farmi star bene, Anastasia. Parcheggio davanti
all’albergo e scendo dall’auto, entrando a passo spedito
nella hall. Le sue parole di questa notte mi riecheggiano
nella mente. “Non lasciarmi andare via, non voglio
lasciarti”. Quanto vorrei sentirgliele dire in modo
cosciente. Ora ne avrei veramente bisogno.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 10.28 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Parlare nel sonno

Non ho mai detto di esserlo, Anastasia, e penso di avertelo


dimostrato in diverse occasioni. Non sono intimidito dalle tue
ARROGANTI maiuscole. Ma ti confesserò che ho detto una piccola
bugia: no, non russi, ma parli. Ed è affascinante.

Che fine ha fatto il mio bacio?

Christian Grey
Pinocchio & Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings
Inc.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 10.32 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Vuotare il sacco

Sei un mascalzone e un furfante. Altro che gentiluomo! Allora,


cos’avrei detto? Niente bacio finché non parli!

Scoppio a ridere, in ascensore, davanti agli epiteti


scelti da quella brunetta impertinente per descrivermi.
“Mascalzone e furfante, eh? Non sai quanto, Miss Steele”.
Apro la porta della camera, scorgendo con la coda
dell’occhio Taylor. Le digito velocemente la mia risposta.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 10.35 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Bella addormentata chiacchierina

Sarebbe poco galante da parte mia rivelartelo, e sono già stato


rimproverato per questo. Ma se ti comporti bene, potrei dirtelo
stasera. Ora devo andare a una riunione.

A più tardi, piccola.

Christian Grey
Amministratore delegato, Mascalzone e furfante, Grey Enterprises
Holdings Inc.

Alzo gli occhi e il mio sorriso spensierato svanisce alla


vista dell’espressione corrucciata di Taylor. E lo so. So che
l’idillio è finito. Se prima c’era una crepa, ora è
definitivamente tutto crollato.

«Cosa diamine è successo, Taylor?»


«Miss Williams è fuggita dall’ospedale, signore»

«Cristo!»

Non posso rimanere qui e mentre do disposizioni a


Taylor per la partenza immediata per Seattle, provo a
contattare Anastasia per avvisarla. Il suo telefono è
occupato. “Con chi cazzo parli, Miss Steele”. Ma ora non
ho tempo di pensarci. Contatto Welch per sapere se ci
sono novità su Leila. Ma sembra essersi volatilizzata.
Mentre riordino la valigia mi cade a terra la scatoletta
rossa contenente gli orecchini di diamanti. Non ho avuto
occasione di darglieli. Li rimetto in borsa, pensando che
sarà la prima cosa che farò quando anche lei tornerà a
casa. ‘Hai detto a casa, Grey?’. Mi blocco per qualche
istante. “Sì, a casa. Non voglio perderla proprio ora. Non
voglio lasciarla mai. Non voglio che mi lasci mai”. I miei
pensieri sono interrotti dalla suoneria del mio
BlackBerry. É lei. Rispondo immediatamente.

«Anastasia»

«Ciao» mormora piano e sento il suo sorriso.

So che è per me che sorride. Ma non vorrei essere io a


farlo sparire. Ma devo.

«Devo rientrare a Seattle. È sorto un problema. Adesso


sto tornando all’Hilton Head. Per favore, fai le mie scuse
a tua madre… Non potrò essere da voi a cena» le dico
impostando la mia voce sul tono automatico.

Non voglio tradire le mie emozioni. Non voglio che


senta il mio tono allarmato e si preoccupi.

«Niente di grave, spero» risponde senza riuscire a


nascondere la delusione nel tono di voce.

«C’è una faccenda di cui devo occuparmi. Ci vediamo


domani. Manderò Taylor a prenderti all’aeroporto, se non
posso venire io»

“Resisti, Grey”.

«Okay. Spero che tutto si risolva. Fa’ buon viaggio» mi


dice nuovamente allegra.

«Anche tu, piccola» mormoro, infondendo in quel


saluto tutta la profondità di quello che sento per lei.

Riattacco, buttando il telefono sul materasso, accanto


alla valigia. Mi passo entrambe le mani nei capelli.
“Vediamo di affrontare questo casino”.

Le ore che si susseguono sono frenetiche. Passo


l’interminabile volo di ritorno a sbraitare ordini contro
Taylor e a farmi ripetere all’infinito la versione fornitagli
da Gail. Quando arrivo all’Escala è il turno di Mrs Jones
di essere messa sotto torchio. Gail è più prodiga di
dettagli. Sembra che Leila si sia presentata qui in stato
confusionale, sbraitando su quanto io fossi oscuro e
l’avessi allontanata senza rimorsi. Sul fatto di essere
innamorata di me, di non essere all’altezza.

«Era confusa, Mr Grey. Ha parlato di una ragazza…


una ragazza come lei» continua Gail, in imbarazzo.
«Penso si riferisse a Miss Steele» ammette alla fine.
Sgrano gli occhi. “Che intenzioni ha Leila?”. Il mio
telefono vibra. É Ana. Mi è completamente passato per la
mente di chiamarla una volta atterrato.

«Grazie, Gail. Mi dispiace tu abbia dovuto subire una


simile tensione» mormoro, alzandomi dallo sgabello della
cucina dove sono seduto.

Mrs Jones mi imita.

«Non si preoccupi, Mr Grey» mi sorride piano. La


lascio con Taylor che cerca finalmente di confortarla e mi
rintano nello studio. Chiudo la porta ed è come se
entrassi di nuovo in un mondo a parte. Dove l’unica cosa
che conta è Anastasia. Apro la sua mail, sedendomi sulla
mia sedia di pelle e tentando di rilassarmi dopo la dura
giornata che ho avuto.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 22.32 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Arrivato?

Caro signore,

per favore, dimmi che sei arrivato a casa sano e salvo. Inizio a
preoccuparmi. Ti penso.

Tua Ana X

Chiudo gli occhi, ripensando alla meravigliosa


sensazione di calore del suo corpo contro il mio. Stanotte
invece sarò da solo. Di nuovo.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 19:36
Oggetto: Scusa

Cara Miss Steele,

sono arrivato e ti prego di accettare le mie scuse per non averti


avvertito. Non voglio farti preoccupare. È bello sapere che conto
qualcosa per te. Anch’io penso a te, e come al solito non vedo l’ora di
vederti domani.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Avrei bisogno di lei, lo so. É come una medicina che


spazza via automaticamente tutti i miei dolori. Fisici,
psicologici. Quelli del cuore. Ho bisogno di lei in ogni
istante. Soprattutto ora che quella pazza scatenata di
Leila è là fuori e ce l’ha con il mondo. Vorrei solo sapere
come ha fatto a ridursi in questo stato. Mrs Jones mi ha
raccontato di una ragazza che non conosco. Trasandata,
lo sguardo spento, gli abiti più grandi di diverse taglie.
Leila non è mai stata così. Sospiro, aprendo la sua nuova
mail.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 22.40 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: La faccenda

Caro Mr Grey,

mi sembra evidente che conti moltissimo per me. Come puoi


dubitarne? Spero che la tua “faccenda” sia sotto controllo.

Tua Ana X

PS: Non vuoi dirmi cos’ho detto quando ho parlato nel sonno?
Hai detto l’unica cosa che volevo sentire, Anastasia.
L’unica cosa al mondo capace di lenire le mie ferite
passate e farmi sentire al sicuro. Farmi sentire sicuro.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 19.45
Oggetto: Facoltà di non rispondere

Cara Miss Steele,

sono molto felice di contare qualcosa per te. La “faccenda” non è


ancora risolta. Riguardo al tuo post scriptum, la risposta è no.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Il mio telefono prende a vibrare. Pensando sia lei,


rispondo senza guardare da chi proviene la chiamata.

«Anastasia» dico con sollievo.

«Elena» mi corregge la voce tagliente all’altro lato.

Allontano il telefono dall’orecchio e guardo lo schermo


del BlackBerry, poi torno a comunicare con lei.

«Elena…ero soprappensiero, scusami» le dico in tono


sommesso.

«La prossima volta controlla chi ti ha cercato prima di


rispondere» dice con tono graffiante.

«Elena, non giocare a fare la gatta selvaggia con me.


Ho troppe cose per la testa» le rispondo esausto.
Il suo tono di voce cambia.
«É successo qualcosa?» chiede preoccupata.
Sospiro. É l’unica con cui posso confidarmi.
«Si tratta di Leila. Ha fatto un’improvvisata nel mio
appartamento. Ha cercato di tagliarsi le vene. Gail l’ha
portata in ospedale, ma è scappata. Welch si sta
occupando delle ricerche» le riverso tutto addosso.
«Dio, Christian! Mi dispiace. Posso fare qualcosa?»
Il segnale sonoro mi avvisa dell’arrivo di una nuova
mail. Ho urgente bisogno solo di una cosa. Anastasia.
«No, Elena. Ora devo andare. Magari ci sentiamo
domani»
«Come vuoi, Christian. Chiamami quando vuoi» mi
dice affettuosamente.
Chiudo la chiamata, correndo freneticamente con le
dita sulla tastiera per aprire la mail. Anastasia è diventata
la mia droga.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 22.48 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Infermità mentale

Spero che sia stato divertente. Ma dovresti sapere che non posso
assumermi la responsabilità di quello che mi esce dalla bocca mentre
sono incosciente. Anzi, è probabile che tu abbia sentito male. Un
uomo della tua veneranda età può avere qualche problema
d’orecchio.

Sorrido di fronte alla sua impertinenza che tanto amo.


‘Ami? Questa relazione ti sta fottendo il cervello, Grey.
Cervello che peraltro sarei io, vorrei ricordarti’.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 19.52
Oggetto: Mi dichiaro colpevole

Cara Miss Steele,

scusa, puoi parlare più forte? Non ti sento.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 22.54 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Infermità mentale accertata

Mi fai impazzire.

Le sue parole hanno il potere di riaccendere in me il


desiderio che ho represso durante tutto il giorno. Un
desiderio violento, acuito dalla frustrazione e dal bisogno
che sento di averla accanto per essere certo che sia al
sicuro. Al riparo da ex psicopatiche. “E pensare che solo
stamattina le ho parlato di Leila”. Sbuffo ironicamente.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 19.59
Oggetto: Lo spero…
Cara Miss Steele,
è proprio quello che ho intenzione di fare venerdì sera. Non vedo
l’ora.;)
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Sprofondo ancora di più nella mia poltrona,
letteralmente esausto. Giocherello con la mia stilografica,
disegnando distrattamente strane linee su un foglio di
carta. Mi sento svuotato. Esausto.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 2 giugno 2011 23.02 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Grrr

Mi hai ufficialmente stufato. Buonanotte.

Miss A.R. Steele

Ridacchio piano. “Eccone un’altra a cui piace


comandare”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 20.05
Oggetto: Gatta selvatica

Hai voglia di graffiarmi, Miss Steele? Ho già una gatta per queste
cose.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La provoco, mentre continuo a scarabocchiare. Le sue


parole di ieri notte sono state un dolce conforto per me.
Mai nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere.
Sono sempre tutti stati avidi di avermi accanto. Ma nel
modo in cui decidevo io. E ben presto tutti si sono
allontanati. Perché sono un mostro senza cuore, perché
dentro di me custodisco solo orrore. Lei, invece,
nonostante tutto, è rimasta. E ha intenzione di rimanere.
Lei… lei mi ama. Mi ama anche se non dovrebbe. Ora lo
so. Ora riesco a vederlo quanto ci tiene a me. E anch’io
tengo a lei in un modo possessivo, quasi malato. Non
riesco a pensare ad altro che a lei. Anche in tutto questo
casino, anche tra mille problemi. Anastasia è la mia
ancora di salvezza. Accanto a lei tutto il mondo svanisce.
Io non sono in grado di amare. Non so come si faccia a
dare quel di più che lei chiede. Ma se potessi, e sapessi
farlo, ora so che sarei pronto a darglielo. Non ho
intenzione di perderla. Non ho intenzione di ritrovarmi
da solo senza di lei. Voglio che il nostro mondo perfetto,
quello che abbiamo sperimentato questa mattina in
aliante, sia il nostro mondo di tutti i giorni. Voglio che sia
mia, che appartenga a me e basta. Per sempre. Per tutta la
vita. Voglio che sia la mia fidanzata, la mia Sottomessa, il
punto di riferimento della mia vita. Ho bisogno di lei. E
per la prima volta sono pronto ad ammetterlo senza
remore. Voglio darle il mondo. Voglio… voglio sposarla.

Spalanco gli occhi a quel pensiero. Sì, voglio che si


leghi a me per sempre. Non mi serve uno stupido
contratto che la identifichi come mia Sottomessa. Voglio
un contratto legale, che dica al mondo che Anastasia Rose
Steele, la piccola impertinente brunetta con gli occhioni
azzurri da cerbiatta, che non riesce a capire quanto sexy,
intelligente e desiderabile sia, è solo ed esclusivamente
mia. MIA.

Il mio sogno ad occhi aperti viene interrotto quando


abbasso gli occhi sul foglio che ho davanti e, tra le mille
righe astratte, trovo scritto il suo nome. Sorrido piano.
Afferro il BlackBerry. Non ha risposto. Le scrivo di nuovo.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 2 giugno 2011 20.20
Oggetto: Quello che hai detto nel sonno

Anastasia,
vorrei sentirti dire le parole che hai detto nel sonno quando sei
cosciente, per questo non voglio rivelartele. Dormi, adesso. Dovrai
essere riposata per quello che ho in mente per domani.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Ho bisogno solo che tu lo dica, Anastasia. Solo che tu


ripeta quello che hai detto. Che me lo dica guardandomi
negli occhi. Io sono tuo. Io, il mio cuore e la mia vita. É
tutto tuo.
Capitolo 25
Mi giro e mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere
sonno. Non riesco a togliermi dalla mente il racconto
scioccante di Mrs Jones. Come ha potuto Leila ridursi in
quello stato? Sento che c’è qualcosa che mi sfugge.
L’ultima volta che l’ho vista era in splendida forma. Aveva
un’espressione triste, non voleva andare via. Ma non c’era
altro da fare. Non potevo darle quello che mi chiedeva.
Poi aveva trovato una persona con cui condividere la vita.
Si era sposata e, almeno da quello che sapevo, era felice
con suo marito. Allora cosa l’aveva spinta, dopo tutto
questo tempo, a tornare qui e fare quella piazzata? Dalla
descrizione di Gail, è evidente che stiamo parlando di una
squilibrata. Ma chi o cosa l’hanno ridotta in questo stato?
C’è qualcosa che mi sfugge. Sospiro pesantemente,
alzandomi dal letto. Le mie membra sono così pesanti,
stanche. Ma non riesco in nessun modo a stare fermo. Mi
alzo ed entro nella cabina armadio. Mi sfilo i pantaloni
del pigiama e infilo quelli grigi della tuta. Indosso una
canottiera nera e la felpa della tuta. Prendo il mio iPod ed
esco dal mio appartamento. Fuori la luce del sole è
appena accennata. Calo il cappuccio sulla testa, metto le
cuffie ed inizio a correre, cercando di estraniarmi dal
mondo. Ma è tutto inutile. Tutto. Un paio di occhi vispi,
maliziosi, mi perseguitano. Un paio di occhi che ora
immagino spenti, vitrei. E che mi seguono come
un’ombra. Mi giro indietro, mentre continuo a correre.
Ho come la sensazione di averceli incollati addosso. Corro
più forte, cercando di curare il mio malessere con lo
sforzo fisico. Spingo i miei muscoli al limite, sforzandoli.
Ho bisogno di sudare, di essere dolorante. E di non
pensare. Quando torno a casa grondo sudore e i miei
vestiti sono ridotti ad uno straccio bagnato. Sgaiattolo in
bagno e mi infilo sotto la doccia. Lascio scorrere l’acqua
sul mio corpo a lungo prima di decidermi ad uscire,
asciugarmi e prepararmi per il lavoro. Quando torno in
cucina, Mrs Jones ha già preparato la mia colazione. Mi
lancia un’occhiata imbarazzata e abbassa la testa dopo
avermi educatamente salutato. Quel suo gesto, che così
poco le si addice, mi dice che non mi sbagliavo. Che la
sensazione di essere la causa di tutto questo è reale.
Chiudo brevemente gli occhi, lasciando la furia
attraversarmi. Quando li riapro ho ritrovato la mia
determinazione.

«Gail, ho bisogno che tu mi dica per filo e per segno


cosa diavolo è successo qui»

Quindici minuti più tardi il mio shock è visibile a


chiunque mi guardi. Gail mi ha raccontato nei dettagli,
nei minimi dettagli, la sfuriata di Leila. E finalmente mi è
chiaro il motivo alla base del suo gesto. Finalmente mi è
chiaro che il motivo di tutto questo sono io. Il motivo
della sua follia, del suo gesto insano sono io. É piombata
in casa mia chiedendo di me, in lacrime. E quando Gail le
ha detto che non ero a casa, che ero in viaggio, ha
afferrato un coltello da cucina e ha tentato di tagliarsi le
vene. Per me.

«Io… vorrei avere più di questo, Mr Grey. Vorrei poter


passare più tempo, qui con lei… vorrei…»

Il fiato le si era mozzato in gola alla vista dei mie occhi


furiosi il giorno in cui aveva deciso di andarsene. Non
volevo una fidanzata, non volevo una compagna. Non
volevo altro che una ragazza bruna da sottomettere.
L’ennesima ragazza bruna da sottomettere. Ma, alla fine
di tutto… era questo quello che avevo causato? L’avevo
talmente traviata da farla impazzire?

Mi passo velocemente una mano nei capelli, mentre


osservo Seattle dalla portafinestra. É questo che faccio
alle donne. Questo che in tutti questi anni ho fatto alle
ragazze che ho coinvolto in relazioni malate e perverse. É
quello che farò anche ad Anastasia. Il pensiero mi fa
trasalire. Con le altre era diverso. Non volevo nulla da
loro, se non il loro corpo da usare per sfogare i miei più
bassi istinti. Ma con lei… con lei è tutta un’altra storia.
Sono profondamente legato a lei, seppure nemmeno la
conosca. E non voglio farle del male. Non voglio
deluderla. Non voglio che scopra tutto il marciume che mi
porto dentro, che tengo bene nascosto. Lei non sarebbe
pronta a questo. É così ingenua, così dolce. “Cristo!”. E
pensare che solo ieri ho auto l’assurdo pensiero di volerla
sposare. Ma cosa cazzo mi passa per la testa? Come posso
essere così idiota da pensare che una persona
meravigliosa come lei voglia restare con me per tutta la
vita. Come posso essere così coglione da pensare che non
sarà travolta da tutto lo schifo che mi trascino dietro
come una pesante zavorra. Finirà come Leila. Stravolta,
usata, distrutta. Pazza. Io posso desiderarla, posso
possederla e farla godere in mille modi. Ma non sono in
grado di amarla. E non posso permettere che lei si
innamori di un mostro come me. Non posso. Perché mi
importa davvero di lei. Lei è perfetta. E io… bè, io non lo
sono mai stato. Non lo ero per mia madre, la mia vera
madre. Non lo ero per i miei genitori adottivi, non lo ero
per mio fratello, non lo ero per Mia. Non lo ero nemmeno
per Elena. E non lo sono per Anastasia. Io non sono mai
stato perfetto. Mi sono sempre sforzato di esserlo. Ma
non ci sono mai riuscito. E ora mi ritrovo a combattere
con uno spettro del mio passato. Uno spettro creato da
me. Il suono del mio BlackBerry, che riecheggia nel
salone vuoto, mi riporta alla realtà.

Da: Anastasia Steele


A: Christian Grey
Data: 3 giugno 2011 12.53 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Verso casa

Caro Mr Grey,

sono di nuovo comodamente seduta in prima classe, cosa di cui ti


ringrazio. Conto i minuti in attesa di vederti, stasera, e forse
torturarti finché non mi rivelerai qualcosa sulle mie confessioni
notturne.

Tua Ana X

Sorrido amaramente. “Non ringraziarmi, piccola. Io


non merito un briciolo della tuo desiderio, della tua
passione. Ma sono così meschino da non accettare di
lasciarti libera”.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 3 giugno 2011 09.58
Oggetto: Verso casa

Anastasia, non vedo l’ora di incontrarti.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Le rispondo mestamente, cercando di nasconderle il


mio tono preoccupato. Ma fallisco miseramente.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 3 giugno 2011 13.01 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Verso casa

Carissimo Mr Grey,

spero che tutto vada bene con la “faccenda”. Il tono della tua mail mi
preoccupa.

Ana X

Come diavolo fa a leggermi l’anima anche a distanza?


Con lei mi sento sempre così esposto. Mi passo una mano
nei capelli. Poi guardo l’ora. Dovrebbe già essere
sull’aereo. Chiudo gli occhi domando la rabbia a stento.
Non voglio che finisca come Leila. Io so cosa è meglio per
lei. Ed ho intenzione di prendermi cura di lei. Nel verso
senso del termine.

Da: Christian Grey


A: Anastasia Steele
Data: 3 giugno 2011 10.04
Oggetto: Verso casa

Anastasia,

la “faccenda” potrebbe andare meglio. L’aereo è decollato? Se è così,


non dovresti scrivermi mail. Ti stai mettendo a rischio, violando la
regola sulla tua sicurezza personale. Non scherzavo quando ti ho
parlato delle punizioni.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

Stringo piano la mascella. ‘Inizi ad essere troppo


scontroso, Grey’.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 3 giugno 2011 13.06 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Reazione esagerata

Caro Mr Antipatia,

le porte dell’aereo sono ancora aperte. Siamo in ritardo, ma solo di


dieci minuti. La mia salute e quella dei passeggeri che mi circondano
è al sicuro. Puoi riporre la tua mano che prude, per il momento.

Miss Steele

Sorrido, tornando per un momento all’ultima volta che


l’ho vista, appena scesi dall’aliante, mentre ci baciavamo
incuranti del mondo esterno.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 3 giugno 2011 10.08
Oggetto: Scuse (mano che prude riposta)

Mi mancate tu e la tua lingua biforcuta, Miss Steele. Voglio che arrivi


a casa sana e salva.

Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.

La sua risposta è immediata.


Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 3 giugno 2011 13.10 – ORA SOLARE DEGLI STATI UNITI
ORIENTALI
Oggetto: Scuse accettate

Stanno chiudendo le porte. Non sentirai più altri bip da parte mia,
soprattutto vista la tua sordità. A più tardi.

Ana X
La sua impertinenza, per la prima volta da quando la
conosco, non mi fa sorridere. “É così vivace, così
meravigliosa. Spegnerò anche lei come ho fatto con Leila.
E non posso sopportarlo”. Stringo le labbra, dandomi una
bella scrollata. Devo andare a lavoro. Ho bisogno di
distrarmi.

Otto interminabili ore dopo sono di nuovo nel mio


salone. Welch, al telefono riesce solo a darmi cattive
notizie. Nessuna traccia di Leila. Potrebbe essere
ovunque. Potrebbe esserle capitato di tutto. E sarebbe
solo colpa mia. Solo ed esclusivamente colpa mia. Ho
spedito Taylor all’aeroporto, sperando di riuscire a
rimettermi in sesto per l’arrivo di Anastasia. Speravo di
fare una doccia e accoglierla facendo in modo che non si
accorgesse del mio terribile aspetto e del mio umore. Mi
passo una mano nei capelli troppo lunghi, guardando il
mio riflesso nel vetro della portafinestra. ‘Di certo non hai
un bell’aspetto, Grey’.

«Ancora nulla, signore. I miei uomini non smettono di


indagare, ma sembra che Miss Williams si sia
praticamente dileguata nel nulla»

La voce di Welch è provata. Sospetto di averlo tenuto


sveglio con me da quando è iniziata questa fottuta storia.

«Nessuna traccia… Va bene»

«Vuole che la ricontatti io domattina presto?»

«Sì» sospiro.
E all’improvviso sento una forte carica magnetica alle
mie spalle. “É qui. Lo so. Lo sento”. Mi giro e la vedo. É
praticamente bellissima. I suoi occhi meravigliosi mi
guardano con trepidazione e con desiderio. I miei occhi
percorrono il suo corpo avidi, desiderosi di provarle che è
tutto a posto. Di provare a me stesso che con lei, almeno
con lei, è tutto a posto.

«Tenetemi informato» sbotto contro Welch, chiudendo


il telefono.

Senza aprire bocca la raggiungo deciso, veloce. Mi sfilo


la giacca e la cravatta, gettandole sul divano quando ci
passo vicino. Il mio sguardo bisognoso non si stacca dal
suo. E quando arrivo da lei, rimasta ferma a guardarmi
per tutto il tempo, la stringo forte, spingendo
violentemente il suo corpo contro il mio. Il mio pene si
tende immediatamente, come se entrare dentro di lei ora
fosse una questione di vita o di morte. Le mie mani
percorrono velocemente la sua schiena, salendo e
infilandosi tra i suoi capelli, per terminare la loro corsa
sul suo viso. Lo alzo verso di me e la bacio con passione,
di colpo, prendendomi tutta la dolcezza della sua bocca.
Tutto quello che mi è mancato in queste 24 ore. Avevo
bisogno di questo. Avevo bisogno di sentirmi al sicuro. Di
sapere se era tutto a posto. E ora ho la possibilità di
capirlo. E di farglielo capire. Nell’unico modo che
conosco. Le mie mani tornano tra i suoi capelli, legati in
una coda. Armeggio un po’ con il suo elastico, senza
smettere di baciarla, fino a quando non riesco a slegarle i
capelli. Dopo lo shock iniziale, sento le mani di Anastasia
infilarsi nei miei capelli e la forza del suo bacio
intensificarsi. Le nostre lingue non smettono di
scontrarsi. Il suo gemito nella mia bocca mi provoca una
fitta di piacere. Mi stacco da lei, ansimando, cercando di
metterla a fuoco.

«Cosa c’è?» mi chiede, senza più fiato.

«Sono così felice che tu sia tornata. Doccia con me…


subito» le ordino senza riuscire a staccarle gli occhi di
dosso.

Il bisogno di lei è impellente. Il bisogno di ritrovare il


mio equilibrio perso sotto il sole della Georgia.

«Sì» mormora a stento, sopraffatta dalla lussuria.

Le prendo la mano e la conduco in camera e poi nel


bagno. La lascio solo quando sono costretto ad aprire il
rubinetto della doccia. Mi giro, sentendo il suo sguardo
fisso su di me. Le sue gambe stupende sono un po’ troppo
scoperte, ma in questo momento non mi importa. La
sensazione che provo nel vederla qui, al sicuro, pronta per
me, è sublime.

«Mi piace la tua gonna. È cortissima» le dico,


riuscendo a malapena a schiarirmi la voce a causa della
voglia che ho di scoparla. «Hai delle splendide gambe»

Mi chino, sfilando via le scarpe e i calzini, ma senza


smettere di guardarla. La sento fremere anche a distanza.
Si china e toglie le ballerine nere. Non resisto oltre. In
due secondi netti colmo la distanza tra noi, senza lasciare
mai i suoi occhi. La afferro di colpo, sbattendola con forza
contro la parete. La mia bocca reclama di possedere ogni
millimetro della sua pelle. Le mie labbra si scivolano
lungo la sua pelle di fuoco. La guancia, la gola. E poi si
scontrano con le sue, di nuovo. La premo ancora più forte
contro le piastrelle, facendole sentire tutta la mia
poderosa erezione che brama solo di possederla. Ho il
cazzo in fiamme. Riesce a malapena a muoversi,
poggiando le mani sui miei avambracci. Mi sfugge un
gemito di puro bisogno dettato dal calore del suo tocco.
Ansimo contro le sue labbra, mentre lei mi stringe più
forte. Non posso aspettare oltre.

«Ti voglio subito. Qui… in fretta, senza pietà» le


mormoro contro la bocca.

Le mie mani scivolano frenetiche lungo i suoi fianchi,


aggrappandosi all’orlo della sua gonna cortissima. La tiro
su di colpo, arrotolandola sui fianchi.

«Hai ancora il ciclo?» le chiedo in preda alla voglia.

«No…» geme, sotto il mio sguardo infuocato.

«Bene» le dico soddisfatto.

Infilo i pollici nelle sue mutandine candide. Scivolo in


ginocchio, premendo il mio corpo contro il suo e
contemporaneamente tiro forte le dita, causando lo
strappo dei suoi minuscoli slip. Anastasia geme forte,
reclinando la testa all’indietro contro le piastrelle e
tornando quasi subito a guardare, senza perdersi nessuno
dei miei movimenti. Ansima e negli occhi le brilla la
stessa voglia, lo stesso piacere che mi spinge a farle tutto
questo. Le afferro i fianchi, spingendola violentemente
contro la parete. Mi chino tra le sue gambe e poggio le
labbra sull’interno della sua coscia, baciandola
avidamente e ripetendo il gesto sull’altra gamba. Col le
mani e con la testa la spingo ad aprire di più le gambe.
Sto bruciando dal desiderio di possederla, di mettere le
cose a posto. Almeno le cose tra di noi. Sono in preda ad
una furia lussuriosa, ma non voglio rischiare di farle del
male. Ho bisogno che sia pronta per me. Guardo il suo
sesso esposto ai miei occhi bramosi e non resisto al
desiderio di raggiungerlo. La mia lingua avvolge il suo
clitoride. Lo sento pulsare. Ana si stringe, si tende,
mugolando e reclinando la testa all’indietro, sbattendola
piano contro le piastrelle. La mia lingua la succhia, la
esplora furiosamente. All’improvviso mi afferra i capelli,
gemendo forte. Quel gesto mi infiamma ancora di più. Mi
aggrappo con le mani ai suoi fianchi, spingendo la mia
lingua ancora più a fondo dentro di lei, leccando e
succhiando la sua dolce essenza. Quando sento che è tesa,
è al limite mi fermo. Apre gli occhi di scatto, fissandomi
confusa. “Cristo, se è bella!”. Ha le guance arrossate dal
piacere quasi raggiunto, i capelli scompigliati, il suo sesso
esposto ai miei occhi. Non posso resistere oltre. Mi alzo,
afferrandole la testa e baciandola a fondo. La sua lingua si
scontra di nuovo con la mia, avida di assaporare la sua
stessa eccitazione e il sapore che ha su di me. Il silenzio è
rotto dai nostri gemiti di piacere puro e dal rumore secco
della mia cerniera, che apro di colpo, liberando la mia
erezione. Afferrandola per le cosce la sollevo, lasciandola
scivolare contro la parete.

«Avvolgimi le gambe intorno alla vita, piccola» le


ordino, con la voce carica d’urgenza.

Obbedisce, poggiando le braccia sulle mie spalle e


circondandomi il collo. Mollo la presa per un attimo e la
penetro di colpo, riempendola fino in fondo. Urla. Di
piacere, di dolore, sorpresa. Di bisogno. Ha bisogno di me
come io ho bisogno di lei. Affondo le dita nella sua carne
rovente, iniziando a muovermi piano dentro di lei. Un
ritmo cadenzato. Il mio uccello scivola dentro e fuori da
lei, tendendosi oltre ogni limite possibile. “Dio quanto mi
è mancato questo conforto, questa sicurezza. Questa
profonda convinzione di stare bene”. Sollevo gli occhi che
tenevo praticamente incollati ai suoi seni ancora coperti e
incrocio i suoi, azzurri, meravigliosi e in preda al
desiderio più sfrenato. Quella visione mi fa perdere il
controllo. Il mio dannato controllo. Il mio fottutissimo
controllo. Inizio a spingermi sempre più a fondo dentro di
lei. Sempre più veloce, inchiodandola alla parete. I suoi
gemiti si fanno più acuti, più sonori. “Godi, Anastasia.
Sentimi tutto. Prendimi tutto”. Ad ogni colpo che le
infliggo la sento stringersi contro di me, mentre viene
praticamente ripetutamente sbattuta su e giù lungo la
parete fredda. E non riesco più a trattenermi. La furia che
mi attraversa si riversa in lei attraverso la raffica di colpi
che le infliggo. La penetro ripetutamente, sentendo
montare l’orgasmo dentro di me. Ana mi precede di pochi
attimi, stringendosi in una dolce e allo stesso tempo
dolorosa morsa attorno al mio cazzo in fiamme. Esplode
urlando forte e stringendomi di più le braccia intorno al
collo. La seguo, incapace di resistere oltre. Il mio orgasmo
arriva veloce, potente, incontrollabile. Urlo contro il suo
collo, riversando il mio seme in lei. Insieme alla mia
anima martoriata. Rimaniamo fermi ad ansimare, senza
più fiato, per non so quanto tempo. Apre piano gli occhi,
mentre il ronzio del sangue nelle orecchie cessa a poco a
poco. Il rumore dell’acqua aperta si fa sempre più forte.
Respiro profondamente, mentre scivolo piano fuori da lei,
aiutandola a stare in piedi. Le mie mani sono poggiate
sulle piastrelle, ai lati dei suoi fianchi. I nostri corpi sono
vicinissimi, seminudi.

«A quanto pare, sei contento di vedermi» mormora,


prima che sul suo bellissimo viso compaia un sorriso
soddisfatto e rilassato.

«Sì, Miss Steele, credo che la mia contentezza sia


piuttosto evidente. Vieni, ti porto nella doccia» le
rispondo con un sorrisetto, anche se sto ancora cercando
di accettare il fatto che ho avuto bisogno di lei per
ritrovare un po’ di stabilità fisica e mentale. Slaccio gli
ultimi bottoni della camicia e la sfilo, lanciandola lontano
sul pavimento del bagno. Faccio lo stesso con i pantaloni
e i boxer. Poi inizio a slacciarle la camicetta. Le mie dita
scivolano sulla sua pelle, lungo il solco dei suoi seni e
piano, a poco a poco che apro la sua camicia, lungo il suo
torace, e fino al suo ombelico. I suoi occhi si posano sul
mio petto, fissandolo ardentemente. Sorrido piano.

«Com’è andato il viaggio?» le chiedo, rilassando i


muscoli delle spalle.

«Bene» mormora piano. «Di nuovo grazie per la prima


classe. È un modo molto più comodo di viaggiare»

Mi guarda, lanciandomi un ampio sorriso.

«Ho una notizia» mi dice.

Sembra nervosa.

«Cioè?» le chiedo fissandola, mentre lascio scivolare la


sua camicetta sulla sua pelle, sfilandogliela e lanciandola
sulla pila di vestiti a terra.
«Ho un lavoro» sussurra.

Fermo le mie mani che stanno scorrendo piano lungo


le sue braccia, guardandola con dolcezza. Le lancio un
sorriso affettuoso.

«Congratulazioni, Miss Steele. Ora mi dirai dove?» le


dico provocatorio, alzando un sopracciglio.

«Non lo sai?» chiede sarcastica.

Scuoto piano la testa, aggrottando la fronte.


“Dannazione! Ancora questa storia? Non sono uno
stalker, Anastasia!”. ‘Suvvia, Grey. Non ci credi nemmeno
tu. Hai auto da fare altrimenti avresti messo sottosopra il
mondo pur di sapere dove cazzo avrebbe lavorato. Hai
comprato due biglietti aerei per non farle stare nessuno
accanto. Col cazzo che non sei uno stalker!’.

«Come faccio a saperlo?» esasperato dalle estenuanti


congetture sue e del mio cervello.

«Pensavo che, viste le tue capacità di stalker…»

Abbasso lo sguardo, sentendomi colpevole, mentre lei


si interrompe.

«Anastasia, non mi sognerei mai di interferire con la


tua carriera, a meno che tu non me lo chiedessi» le dico,
senza riuscire a nascondere il mio dolore.

É la consapevolezza che la mia mania di controllo e il


mio essere pieno di perversioni ha già spinto un’altra
ragazza sull’orlo della follia, fino a farcela definitivamente
precipitare, che mi fa sentire così.

«Quindi non hai idea di quale sia la casa editrice?» mi


chiede, sinceramente sorpresa.

«No. So che a Seattle ci sono quattro case editrici,


dunque immagino che sia una di queste» le dico piano,
tornando ad accarezzarle le braccia con la punta delle
dita.

«La SIP» ammette alla fine.

«Ah, quella piccola. Congratulazioni»

La guardo con un sorriso sincero. Immaginavo che


avrebbe scelto di lavorare lì e non di farsi fagocitare dalle
altre grandi aziende. L’opportunità di fare carriera è
praticamente assicurata in un’azienda del genere. Mi
chino su di lei e la bacio affettuosamente sulla fronte.

«Che ragazza intelligente. Quando cominci?» le chiedo


sinceramente interessato.

«Lunedì» mi dice con un grande e splendido sorriso.

«Così presto? Sarà meglio che io approfitti di te finché


posso. Girati» le ordino con un mormorio basso contro le
labbra.

Mi guarda sorpresa, poi obbedisce in silenzio. Le mie


dita scorrono piano sulla pelle delicata della sua schiena,
raggiungendo il gancetto del reggiseno e lasciandolo
cadere a terra. Le abbasso la cerniera della gonna e la
spingo giù. La stoffa accarezza piano le sue natiche. Poi
cade a terra. Le mie mani seguono la curva del suo sedere,
mentre le bacio delicatamente le spalle e mi piego ad
annusarle i capelli, inalando a fondo. Le stringo i glutei
tra le dita.

«Mi ecciti, Miss Steele, e al tempo stesso mi calmi. Che


combinazione deliziosa» le sussurro all’orecchio,
baciandole i capelli e trascinandola sotto la doccia.

«Ahi» strilla appena l’acqua calda la tocca.

Sorrido divertito.

«È solo un po’ di acqua calda» la prendo in giro


bonariamente, approfittandone per metterle ancora le
mani addosso.

Si lascia andare lentamente, abbandonandosi al gettito


d’acqua calda sul suo corpo. Non riesco a smettere di
guardarla. É splendida.

«Girati» le ordino.

Esegue lentamente, voltandosi verso la parete e


dandomi le spalle. Sento il profondo bisogno di venerarla.
Mi dà così tanto senza pretendere nulla in cambio. Ho il
dovere di farla star bene. Ho il dovere di proteggerla.
Soprattutto ora che potrebbe essere in pericolo. Leila sa
di lei. E potrebbe prendersela con Anastasia. E io non
voglio che niente e nessuno me la portino via. É mia.

«Voglio lavarti» le mormoro piano.


Prendo il bagnoschiuma e me ne verso un po’ sul
palmo della mano. Inizio a massaggiarle gentilmente le
spalle. É tesa come una corda di violino.

«Ho un’altra cosa da dirti» sussurra, la voce a


malapena udibile.

«Dimmi» la incito gentilmente a parlare.

Fa un profondo respiro, come per prendere coraggio.


Le mie mani si spostano sui suoi fianchi, per risalire sul
suo seno. “Cosa mi nascondi, Miss Steele?”.

«Giovedì, a Portland, c’è l’inaugurazione della mostra


di fotografie del mio amico José»

Mi fermo di colpo. Le mie mani restano immobili, sui


suoi seni. La sento trattenere il respiro. “Non sono
dell’umore adatto per il figlio di puttana, Anastasia”.

«E allora?» le chiedo con severità.

«Gli avevo promesso che sarei andata. Vuoi venire?»

Mi scappa un impercettibile sbuffo sarcastico. Non mi


chiede il permesso, non aspetta che le dica che può o
meno recarsi a quella fottutissima mostra del suo
fottutissimo amico coglione. No. La signorina decide in
autonomia. Mi chiede a malapena se voglio andare con
lei. “Cristo, se voglio venire, Anastasia. Non ti lascio nelle
grinfie di quello stronzo di nuovo”. La lascio per un po’
sulle spine. Poi riprendo a lavarla.

«A che ora?» le chiedo alla fine.


«Alle sette e mezzo di sera» dice.

«Va bene» le dico piano.

Tutto il suo corpo si rilassa all’improvviso. Sorrido tra


me e me. Mi chino e le bacio l’orecchio.

«Avevi paura di chiedermelo?» le sussurro.

«Sì, da cosa l’hai capito?» risponde girandosi sorpresa.

«Anastasia, tutto il tuo corpo si è appena rilassato» le


dico.

«Ecco, il fatto è che mi sembri un tantino… geloso»


sussurra in risposta, arrossendo piano e tornando a
fissare le piastrelle davanti a sé.

«Infatti lo sono» le rispondo improvvisamente


possessivo. «E fai bene a ricordartelo. Ma grazie per
avermelo chiesto. Prenderemo Charlie Tango» le
annuncio.

Si gira improvvisamente e mi scocca un gran sorriso.

«Ora posso lavarti io?» azzarda speranzosa.

«Direi di no» le mormoro deciso, baciandole piano il


collo, mentre si abbandona a me di nuovo.

Si gira piano, mettendomi il broncio e lasciandosi


insaponare piano la schiena.
«Lascerai mai che ti tocchi?» mi chiede all’improvviso.

Mi fermo senza sapere cosa dire. “L’ho già fatto,


Anastasia. Ho lasciato che tu mi toccassi l’anima. Che tu
entrassi più a fondo di chiunque altro”. Ma non so come
fartelo capire. Non so come farti capire che solo tu, solo
tu sai farmi star bene in questo modo. Conosco solo un
modo. Solo uno.

«Metti le mani sul muro, Anastasia. Ora ti prendo di


nuovo» le sussurro piano all’orecchio.

Le afferro i fianchi e la penetro a fondo. Lancia un


gemito sonoro, che risuona nella stanza. L’acqua ci
scivola addosso mentre i nostri corpi sbattono
freneticamente l’uno contro l’altro. Le sue mani spingono
contro le piastrelle, le sue dita si contraggono per il
piacere. Lascio risalire una mano su per il fianco, lungo la
sua vita e la schiena. Le afferro i capelli bagnati e le tiro la
testa all’indietro. Spingo ancora più a fondo dentro di lei.
La posseggo, mentre con un urlo cede ad un altro
orgasmo. E io la seguo a ruota, ringhiando il mio piacere
e svuotandomi per la seconda volta dentro di lei.
Marchiandola ancora una volta e lasciandole dentro il
segno del mio possesso.

Siamo seduti al bancone della cucina, a finire di


mangiare la pasta alle vongole che Mrs Jones ha cucinato
per noi. L’ho guardata per tutto il tempo della cena,
immaginando i mille modi in cui l’avrei scopata più tardi,
nella mia Stanza dei giochi. Ho bisogno di rimettere tutto
nella giusta prospettiva. Nella mia giusta prospettiva. Ho
bisogno di proteggerla. So cosa è meglio per lei e questa
sera ho intenzione di dimostrarglielo. Di dimostrargli che,
nonostante tutto quello che mi porto dietro, io sono
l’unico in grado di renderla felice e farla star bene. Voglio
imprimere nella sua testa il ricordo di questa serata
insieme e sancire un nuovo inizio. Dove non le
permetterò di farsi del male da sola. Veglierò
costantemente su di lei.

«Un altro po’ di vino?» le chiedo, scuotendomi dai miei


pensieri lascivi, guardandola con ardore e agitando la
bottiglia di Sancerre.

«Un goccio, grazie» mi sorride.

Ne verso un bicchiere ciascuno mentre sento che il suo


sguardo non mi abbandona.

«Come sta andando la… ehm… faccenda che ti ha


portato a Seattle?» mi chiede piano.

“Non ricordarmelo, Ana. Lascia tutte quelle stronzate


fuori dalla nostra vita. Mia e tua”.

«È sfuggita di mano» mormoro, distogliendo lo


sguardo dal suo. «Ma non è niente di cui tu debba
preoccuparti, Anastasia. Ho dei piani per te, stasera» le
annuncio.

«Sì?» chiede improvvisamente agitata.

«Sì. Voglio che tu sia pronta ad aspettarmi nella stanza


dei giochi fra un quarto d’ora» le dico alzandomi dallo
sgabello.

Devo dirle che in settimana sono arrivati tutti i vestiti


che avevo ordinato per lei. Ma non ho voglia di discutere.
‘Prima tiri il dente, Grey, prima smetterà di fare male’.
Già.

«Puoi prepararti in camera tua. A proposito, la cabina


armadio adesso è piena di vestiti per te. Non voglio
discutere di questo» le dico fulminandola con lo sguardo
e bloccando sul nascere il suo tentativo di replica.

Stranamente resta in silenzio. Le lancio un’ultima


occhiata, prima di avviarmi nello studio. Ho bisogno di
sentire di nuovo Welch per sapere se ci sono novità. Dal
tono con il quale risponde credo si aspettasse la mia
chiamata prima di quella stabilita per domattina.
Nessuna novità, ovviamente. L’avviso di chiamata inizia a
suonarmi nelle orecchie. Chiudo l’infruttuosa
conversazione con Welch e controllo da chi proviene la
chiamata. É Elena. La richiamo, desideroso di poter
parlare con qualcuno a cui possa dire tutto. Ma devo
ammettere che mi sento strano. Come se tessi facendo
qualcosa di sbagliato. L’unica con cui vorrei parlare è
Anastasia. Ma non posso rivelarle determinate cose. Non
se voglio davvero tenermela accanto e non vederla fuggire
a gambe levate lontano da me.

«Tesoro» la sua voce rassicurante da mamma chioccia


mi fa sorridere.

«Elena, ciao» la saluto senza neppure tentare di


nascondere il mio tono afflitto.

«Nessuna novità, vero?» mi chiede, spronandomi a


parlare.

Le racconto la storia nei dettagli, fino alla fine, e


ascolto i suoi consigli non sapendo bene cosa farmene.
Guardo l’orologio. Anastasia dev’essere pronta a
quest’ora. Il desiderio di lasciarmi tutto questo schifo alle
spalle torna impellente.

«Elena, ora devo andare. Anastasia è di sopra» la


interrompo.

«Ha finalmente firmato il tuo contratto?» chiede


sorpresa.

«No» ammetto a denti stretti.

«Oh…». Il suo shock è palese. «Allora non farla


aspettare» aggiunge poi, con un tono strano.

«Non ne ho intenzione. Ci sentiamo, Elena» chiudo la


conversazione frettolosamente.

Ora ho solo bisogno di perdermi in lei. Di farla star


bene in un modo indimenticabile. E ho già in mente
qualcosa. In fretta raggiungo la mia camera e mi spoglio,
indossando solo i miei jeans sdruciti, di cui lasco slacciato
il primo bottone. Prendo il mio iPod e salgo in fretta al
piano superiore, entrando nella mia stanza segreta.
Anastasia è in ginocchio, con le gambe divaricate.
Addosso solo gli slip. Il capo chino come una vera
Sottomessa, anche se dentro di lei ribolle un impeto
focoso e impertinente. La tentazione di prenderla subito è
davvero forte, ma riesco a resistere. Evito di guardarla e
passo oltre, avvicinandomi al cassettone e poggiandovi
sopra l’iPod. Apro un cassetto e tiro fuori tutto quello che
mi serve. Tutto quello che userò per farla godere. Di
sfuggita la osservo, mentre cerca di domare la sua
curiosità e non sbirciare quello che faccio. Sorrido piano,
tra me e me. La raggiungo, mettendomi di fronte a lei.
Resta immobile. Lo sguardo fisso sui miei piedi, mentre
apre piano la bocca e ansima leggermente, eccitata.

«Sei bellissima» mormoro piano.

Non alza la testa, ma la vedo lo stesso arrossire. Mi


chino sui di lei, prendendole il mento e tirandole su la
testa, in modo da guardarla dritto negli occhi.

«Sei una donna splendida, Anastasia. E sei solo mia»


le dico solennemente. «Alzati» le ordino piano.

Esegue, con le gambe tremanti e tenendo la testa


bassa. “Dio, mi fa morire”.

«Guardami» le sussurro piano.

Alza gli occhi e io la fisso con tutto il desiderio che ora


provo nei suoi confronti. Sorrido perfidamente,
pregustandomi nella mente tutto il godimento che da qui
a qualche minuto proverà anche lei.

«Non abbiamo un contratto firmato, Anastasia. Però,


abbiamo parlato dei limiti. E voglio ribadire che abbiamo
delle safeword, d’accordo?» le dico, entrando in modalità
Dominatore.

Quella che preferisco. Qui dentro niente può toccarmi.


Nulla può scalfirmi. Nulla può sfuggirmi di mano. Qui
dentro comando io. Ana mi rivolge uno sguardo
spaventato al sentir pronunciare la parola safeword.

«Quali sono?» le chiedo severamente.

Aggrotta la fronte e so che vorrebbe mandarmi a farmi


fottere, ma non amo discutere su queste cose. Deve essere
tutto chiaro prima di iniziare. Soprattutto perché non ha
firmato il mio contratto. ‘Ti fidi a tal punto di lei, Grey?’.
Sì. Mi fido di lei. E voglio che lei, stasera, si fidi
completamente di me.

«Quali sono le safeword, Anastasia?» le chiedo


lentamente.

«Giallo» balbetta spaventata.

«E poi?» la incalzo.

«Rosso» mormora piano.

«Cerca di ricordarle» le intimo.

Alza un sopracciglio e so che sta tentando di sputare


una sentenza impertinente delle sue. Le lancio
un’occhiataccia e lei si blocca.

«Tieni a freno la tua lingua biforcuta qui dentro, Miss


Steele. Altrimenti ti scopo, inginocchiata come sei.
Capito?»

Il mio tono è di quelli che non ammette replica.


Deglutisce a fatica, sbattendo le palpebre e assumendo
un’aria mortificata. Ma non risponde.

«Allora?» le chiedo autoritario.

«Sì, signore» mormora piano.

«Brava bambina» le dico soddisfatto. Poi decido di


rassicurarla. «La mia intenzione non è che tu usi le
safeword perché stai provando dolore. Quello che voglio
farti sarà intenso. Molto intenso, e tu devi guidarmi. Hai
capito?»

Mi guarda sconcertata, senza fiatare.

«È tutta una questione di tatto, Anastasia. Non potrai


né vedermi né sentire la mia voce. Ma sentirai il mio
tocco»

Aggrotta piano la fronte. Mi giro a guardare il


cassettone e agito una mano davanti al lettore CD. Lo
sportello si apre, schiaccio sulla pulsantiera,
programmando il brano che ho scelto per questa notte.
“In fondo, glielo avevo preannunciato, quella mattina, che
glielo avrei fatto ascoltare”. Mi volto a guardarla e noto
ancora la tensione e la paura dell’ignoto sul suo volto. Le
sorrido perverso.

«Ora ti lego al letto, Anastasia. Ma prima voglio


bendarti e tu non potrai sentirmi. Sentirai solo la musica
che ho scelto per te» le dico agitando in aria il mio iPod.

«Vieni» le dico, prendendola per mano e conducendola


verso il letto coperto da lenzuola rosse. «Mettiti qui» le
sussurro all’orecchio, posizionandola davanti al letto e
mettendomi dietro di lei. «Aspetta qui. Tieni gli occhi sul
letto. Immaginati lì sopra, legata e alla mia mercé» le
mormoro lascivamente.

Mi allontano per un attimo, avvicinandomi alla parete


e filando dalla rastrelliera un flagellatore. Lo infilo nella
tasca posteriore dei jeans e prendo un elastico dal
cassetto e torno da lei. Le afferro repentinamente i capelli
e glieli intreccio.
«Anche se mi piacciono i tuoi codini, Anastasia, sono
troppo impaziente di dedicarmi a te. Quindi dovremo
accontentarci di una treccia» le spiego eccitato.

Le sfioro piano la pelle della schiena, mentre armeggio


con la sua chioma liscia, e la sento fremere ad ogni tocco.
Lego la treccia con l’elastico e la tiro all’indietro,
premendo il mio corpo contro il suo. Con il naso percorro
il suo collo, inalando il suo profumo dolce. Ripercorro lo
stesso percorso con la lingua e poi con i denti,
mordicchiandola piano e canticchiando un motivetto
sentito chissà dove. Mi sento euforico. Ho una maledetta
voglia di vederla contorcersi di piacere sotto di me. E
quasi ad accontentarmi, geme lussuriosamente.

«Ora stai zitta» le mormoro sfiorandole la pelle della


spalla.

Alzo le mani, portandole davanti a lei e le mostro il


flagellatore.

«Toccalo» le sussurro all’orecchio.

Esita, ma allunga piano la mano, accarezzando con le


dita le stringhe di cuoio. La visione è strabiliante. Mi
infiammo subito. Il mio cazzo preme voglioso contro la
stoffa ruvida dei jeans.

«Userò questo. Non farà male, ma farà salire il sangue


in superficie, rendendo la tua pelle molto sensibile» la
rassicuro.

La mia voce è un roco sussurro al suo orecchio.

«Quali sono le safeword, Anastasia?» le chiedo di


nuovo duramente.

«Uhm… giallo e rosso, signore» mormora.

«Brava bambina. Ricorda: la maggior parte della paura


è nella tua mente»

Lancio il flagellatore sulle lenzuola. Le mie mani


poggiano sui suoi fianchi. Lentamente le abbasso le
mutandine, strusciandole voluttuosamente sulla sua pelle
morbida.

«Queste non ti serviranno» le mormoro eccitato,


lasciandole cadere a terra.

Ne esce barcollando, appoggiandosi ad una colonnina


del letto per non perdere l’equilibrio. Il suo corpo emana
calore anche a questa distanza.

«Stai ferma» le ordino, chinandomi lungo al sua


schiena e baciandole il sedere nudo ed esposto al mio
sguardo perverso. Poi mordo la sua pelle. Piano. E mordo
di nuovo. Raddrizza la schiena e io con lei.

«Ora sdraiati. Supina» le intimo, dandole una sonora


sculacciata che la fa saltare in avanti.

La sensazione è meravigliosa. Sono eccitato, bramoso.


Rischio di perdere il controllo ad ogni suo sguardo, ad
ogni suo movimento. Obbedisce, sdraiandosi sul
materasso e fissandomi. A stento riesco a trattenermi dal
fiondarmi su di lei e fotterla di santa ragione.

«Le mani sopra la testa» le ordino con la voce non


molto ferma.
Esegue in silenzio. Torno verso il cassettone e prendo
l’iPod e la mascherina per gli occhi. Mi guarda tesa.
Aggrotta la fronte alla vista dell’antenna sull’iPod, che di
fatto lo collega all’impianto audio della stanza.

«Questo trasmette allo stereo della stanza quello che


senti nell’iPod» le spiego paziente. «Posso sentire quello
che senti tu, e ho un telecomando per azionarlo» le dico
mostrandoglielo.

Mi piego su di lei, infilandole gli auricolari e poggiando


l’iPod accanto alla sua testa.

«Solleva la testa» le ordino.

Obbedisce, restando muta. Le infilo la mascherina,


sistemandole l’elastico in modo che tenga fermi anche gli
auricolari. Mi alzo dal letto, respirando a fatica per
l’improvvisa vicinanza dei nostri corpi. Anche il suo
respiro è più pesante, spezzato, agitato. Le prendo il
braccio sinistro e lo allungo verso una delle colonnine del
letto, stringendolo in una manetta di cuoio. La visione mi
provoca un impennata del cazzo ancora stretto nei jeans.
“Cristo!”. Sfioro il suo braccio con le dita, prima di
passare all’altro polso. Non riesco a smettere di toccarla.
Le accarezzo la pelle, scendendo fino alle gambe. Si
contorco leggermente, stringendo le gambe l’una contro
l’altra. Gliele separo, afferrandole le caviglie.

«Solleva la testa di nuovo» le ordino.

Obbedisce e la sposto sul letto, trascinandola fino a


quando le sue braccia si tendono del tutto. Il suo corpo è
scosso da un brivido. L’aria è pregna dell’odore dei nostri
desideri che si fondono. É così eccitata. E anch’io. Le
divarico le gambe velocemente le imprigiono le caviglie.
Quando finisco ammiro la mia opera d’arte. “É
dannatamente sexy”. Il mio sguardo percorre il suo
piccolo corpo fragile e sexy, completamente esposto a me.
Il suo respiro è affannato. I suoi seni si abbassano e si
sollevano al ritmo cadenzato dei suoi polmoni. Mi
allontano di poco, accendendo l’impianto stereo. Tallis
inizia la sua lenta melodia. La musica celestiale, lei
distesa su quel letto, pronta solo per me. Mi sento in
paradiso. Tutto il mondo esterno scompare. Siamo di
nuovo in una bolla tutta nostra. “E ora ti farò godere fino
a svenire, Ana”. Infilo il guanto di pelliccia che ho
poggiato sul cassettone. Mi avvicino al suo corpo e inizio
lentamente a percorrerlo. Il collo, la gola. Scivolo sul
seno, sfiorando leggermente la sua pelle, eccitandola.
Sfioro i suoi capezzoli, indugiando nella mia dolce tortura
per un po’. Geme, inarcandosi sul letto. Continuo a
scendere lentamente, senza nessuna fretta. La pancia,
l’ombelico, un fianco, poi l’altro. La sua pelle si infiamma.
Si agita, al ritmo cadenzato del coro angelico che ci
investe. Continuo lungo il suo ventre, scendo tra le sue
gambe, accarezzando la pelle morbida. Scendo lungo le
cosce, poi risalgo piano, ripercorrendo il suo corpo debole
e ed eccitato da cima a fondo. Il mio cazzo pulsa
violentemente alla vista di Anastasia che si contorce e
geme, avvolta da quest’aura mistica. Torno sui suoi
capezzoli e lei geme sonoramente. Sfilo il guanto e afferro
il flagellatore lì accanto. I miei occhi si socchiudono per il
desiderio mentre lascio scorrere le stringhe lungo la sua
pelle accaldata. Lo stesso percorso. Salgo e scendo sul suo
corpo delicato. Accendendo il suo desiderio. E anche il
mio. Continuo per qualche minuto, seguendo il ritmo
della musica, poi alzo il flagellatore, lasciandola
all’improvviso vuota. Si blocca, in attesa. Il tempo scorre
mente le voci angeliche risuonano nelle nostre teste. Ed
ecco che quando arriva il momento perfetto, sferzo la sua
pancia con il flagellatore.

«Aaahh!» urla all’improvviso. É sorpresa più che


dolorante.

Le lascio assorbire la sensazione. Poi le sferzo un altro


colpo. Più forte del primo.

«Aaahh!» urla di nuovo.

Tende le braccia e le gambe, cercando di divincolarsi,


ma le manette la trattengono. La colpisco di nuovo,
stando ben attento a non farle troppo male, in perfetta
sincronia con la musica che risuona nella stanza. La sua
pelle è arrossata nel punto dove le stringhe l’hanno
colpita. “Cristo, ora vengo senza neppure toccarmi!”.
Inizio a colpirla con colpi più ravvicinati. Prima sul
fianco, poi con colpi più delicati, scendo sul ventre, sul
pube, sulle cosce, all’interno e poi risalgo di nuovo. La sua
pelle candida si arrossa, il suo corpo continua
incessantemente a strattonare le manette che la tengono
ferma, mentre la sua bocca emette gemiti di puro piacere.
Il mio respiro si fa rumoroso, il mio cazzo non si trattiene.
Sento che mi sto bagnando del mio stesso seme. “Cristo,
non resisto”. Scendo dal letto e getto a terra il flagellatore.
In un’unica mossa repentina, sfilo jeans e boxer. E poi
risalgo su di lei, attendo a non far toccare ancora i nostri
corpi. Le sfioro delicatamente la gola con il naso e con le
labbra. E come ho fatto in precedenza percorro da cima a
fondo il suo corpo, usando le mie labbra roventi. Il
contatto con la sua pelle mi manda in estasi. I miei sensi
sono acuiti dalla sensazione del coro che risuona nella
stanza. Scendo sui suoi seni, tormento i suoi capezzoli
turgidi, duri. Ne succhio uno, mentre le mie dita
stringono forte l’altro. Il suo gemito mi appaga. Le mie
labbra scendono avide lungo il suo ventre. La mia lingua
si muove in circolo attorno al suo ombelico e vi si infila
dentro, facendola inarcare. Mordo, succhio, lecco. La
sensazione inebria me per primo. E i suoi gemiti non mi
lasciano scampo. Ho la cappella in fiamme. Mi allontano
di più dal suo corpo, per prolungare l’agonia, e mi
inginocchio tra le sue gambe. La mia lingua raggiunge il
suo clitoride, picchietta sulla sua carne morbida e
bagnata. E lei sta per esplodere, finalmente. Reclina la
testa all’indietro, spingendola con forza sul materasso. Mi
fermo appena prima che possa venire. Inginocchiato
come sono sul materasso, mi allungo verso una colonnina
e le sgancio la caviglia. La porto verso il centro del letto e
la appoggio sul mio fianco. Ripeto l’operazione con l’altra
caviglia. Lascio scorrere le mie mani lungo le sue gambe,
massaggiandole piano. Poi arrivo sui suoi fianchi,
sollevandoglieli dal materasso e spostando il suo peso
sulle spalle. Spinto dall’atmosfera esoterica la penetro di
colpo, gettando la testa all’indietro per l’immenso piacere
che mi assale. “Cristo!”. Ana mi accoglie nei suoi recessi
bagnati con un urlo spasmodico. Mi fermo, tornando a
guardarla. Aspetto immobile fino a quando i suoi fremiti
non cessano.

«Ti prego!» mugola contorcendosi.

Le mie dita si stringono con forza attorno alla carne del


suo sedere, in un muto avvertimento. Ansima. E anch’io
sto ansimando, furioso, desideroso di scoparla senza
pietà. Lentamente ricomincio a muovermi. Piano,
assaporo ogni millimetro della mia carne contro la sua.
Sesso contro sesso. La sensazione è sublime. Le voci
aumentano e così il mio ritmo dentro di lei. Il mio cazzo si
bea della sensazione causata dal suo sesso bagnato,
umido, avvolgente.

«Per favore» geme, implorandomi.

Velocemente la adagio sul letto , senza uscire fuori da


lei. Mi sdraio su di lei, aderendo al suo corpo. Le mie
mani si poggiano accanto ai suoi seni, per sostenermi.
Spingo in profondità nel suo ventre eccitato. La musica
cresce sempre di più e così le mie profonde stoccate.
Anastasia finalmente libera il suo piacere, urlando più
volte, stringendo le gambe attorno al mio corpo e le dita
sulle lenzuola di raso rosso. La visione da sola basta per
farmi raggiungere l’oblio di un orgasmo favoloso. Esplodo
dentro di lei, continuando senza sosta ad affondare nel
suo sesso, ripetutamente, fino a quando le forze mi
abbandonano e crollo su di lei. Mi calmo, come fa anche
lei. E infine riesco a scivolare fuori dal suo corpo madido
di sudore. Mi allungo per sganciare le manette che la
tengono ancora costretta. Geme ancora. Le tolgo
delicatamente la mascherina e gli auricolari. Apre pianto
gli occhi, sbattendo le palpebre e cerca di riabituarsi alla
luce.

«Ciao» le mormoro con affetto e soddisfazione.

«Ciao» ansima piano.

Le sorrido teneramente, baciandola piano.

«Complimenti» le sussurro soddisfatto. «Girati» le


ordino piano.
Mi fa uno sguardo da “Oh-Cazzo-Vuole-Scopare-Di-
Nuovo-Mentre-Io-Sono-Distrutta” che mi fa sfuggire una
risatina.

«Voglio solo massaggiarti le spalle» la rassicuro.

«Ah… va bene» mormora, girandosi a fatica.

Mi siedo a cavalcioni su di lei e inizio un lento


massaggio. La sento gemere e sospirare di sollievo.
Sorrido piano. Mi chino a baciarle i capelli. Poi riprendo il
massaggio.

«Cos’era quella musica?» farfuglia assonnata.

«Spem in alium, un mottetto per quaranta voci di


Thomas Tallis» le spiego, mentre le mie dita accarezzano
la sua pelle.

«Era… travolgente» mormora contro il materasso.

«Ho sempre desiderato scopare con questo


accompagnamento» le confesso sorridendo.

«Non sarà un’altra prima volta, Mr Grey?» mi dice


prendendomi in giro.

«Proprio così, Miss Steele» ammetto, premendo forte


le mie dita contro le sue spalle indolenzite.

Geme di nuovo e si rilassa lentamente.

«È stata anche per me la prima scopata con questo


accompagnamento» mormora imbarazzata e a stento
trattengo una risatina.
«Mmh… tu e io ci stiamo regalando un sacco di prime
volte» le sussurro chinandomi al suo orecchio.

«Cosa ti ho detto in sogno, Chris… cioè, signore?»


chiede piano.

Mi fermo ricordando le sue parole. “Non voglio andare


via…”.

«Hai detto molte cose, Anastasia. Parlavi di gabbie e di


fragole… dicevi di volere di più… e che ti mancavo» le
dico, ricordando tutte le volte che l’ho sentita parlare nel
sonno.

«Tutto qui?» mi chiede timorosa ed evidentemente


sollevata.

Interrompo la corsa delle mie dita sulla sua pelle.


Scendo dalla sua schiena e mi stendo accanto a lei,
appoggiandomi su un gomito. La guardo serio.

«Cosa pensavi di aver detto?» chiedo curioso.

Aggrotta la fronte con un’espressione colpevole.

«Che ti considero brutto, presuntuoso, e che a letto sei


una frana» sentenzia ironicamente.

Aggrotto la fronte cercando di leggere nei suoi occhi


cosa non mi dice.

«Bè, naturalmente io sono tutte queste cose. Adesso mi


hai incuriosito davvero. Cosa mi nascondi, Miss Steele?»

Sbatte innocentemente le palpebre, facendo


un’espressione da cerbiatta che mi fa sorridere.

«Non ti nascondo niente»

«Anastasia, sei una bugiarda patentata» le mormoro,


scrutandola a fondo.

«Pensavo che, dopo il sesso, mi avresti fatto ridere.


Sono delusa» mi prende in giro.

“Piccola impertinente!”. Le scocco un ampio sorriso,


rilassandomi.

«Non sono capace di raccontare barzellette» le


rispondo sullo stesso tono.

«Mr Grey! Una cosa che non sai fare?» sorride


fingendosi scioccata.

«Sì, sono un disastro con le barzellette» ammetto


orgogliosamente.

Anastasia ridacchia, poggiando la testa sul materasso.


Quel suono mi riempie di euforia. È meraviglioso, proprio
come lei.

«Anch’io» ammette, guardandomi gioiosa.

«È un suono così piacevole» le mormoro


avvicinandomi a lei e sfiorando delicatamente le sue
labbra con le mie, baciandola in modo dolce e lento. Poi
mi allontano di nuovo, scrutando a fondo i suoi occhi.

«Comunque, Anastasia, mi nascondi qualcosa. Forse


dovrò tirartela fuori con la tortura»
Capitolo 26

Siamo sdraiati su questo letto da ore ormai a


chiacchierare e punzecchiarci a vicenda. Passare il tempo
con Anastasia mi rende felice, mi permette di staccare
dalla mia vita, da tutti i problemi. I suoi occhi brillano
mentre parla della sua laurea e dei quattro anni di lavoro
alla ferramenta. Si stringe leggermente il corpo con le
braccia, forse per il freddo. Le sorrido dolcemente,
alzandomi dalle lenzuola di raso rosso. Si gira supina,
guardandomi curiosa. Indugio ancora per un attimo con
lo sguardo sul suo corpo nudo. La sua pelle candida è in
piacevole contrasto con le lenzuola di quel rosso
peccaminoso. I suoi capelli castani sono sparsi sul letto,
in un groviglio confuso. E i suoi occhi. I suoi meravigliosi
occhi di un azzurro intenso e penetrante. É questa la
donna che voglio vedere, che voglio avere accanto. Non
voglio spegnerla. Non voglio una nuova Leila. Sospiro,
tendendole la mano.

«Vieni, andiamo a letto. Inizia a fare freddo qui


dentro» le dico, sentendo il mio cattivo umore tornare
piano da me.

Si aggrappa alla mia mano e si alza. Siamo entrambi


nudi, l’uno contro l’altra. La attiro a me, lasciando il mio
corpo aderire perfettamente al suo. Il mio non è desiderio
di possederla di nuovo, ora. Voglio stringerla e tenerla al
sicuro. Ed è quello che faccio. La avvolgo con un braccio,
mentre l’altra mano sale tra i suoi capelli. Attiro il suo
viso contro il mio, labbra contro labbra. La guardo fisso
negli occhi, aspettando un suo cenno. Si sporge verso di
me. E la bacio. La bacio come se da questo bacio
dipendesse la mia vita. La mia lingua turbina con la sua,
le scende in gola, la assapora fino alla fine. Le mie labbra
si scontrano con le sue, si incollano perfettamente a lei.
La bacio a lungo. Minuti, ma sembrano ore. Senza mai
staccarci. Quando alla fine, a malincuore lo faccio, Ana mi
guarda con rinnovata voglia. E anche se la mia erezione
dice il contrario, non voglio prenderla di nuovo. Voglio
solo stringerla e sentirmi al sicuro. Ne ho bisogno. Mi
stacco da lei e mi avvicino alla porta, dove è appeso il suo
accappatoio. Lo prendo e torno da lei, avvolgendoglielo
attorno alle spalle. Poi vado a recuperare i miei jeans e li
infilo senza i boxer. Usciamo in silenzio dalla Stanza dei
giochi, e in altrettanto rigoroso silenzio scendiamo al
piano di sotto. Le tengo la mano, incapace di lasciarla. É
come se avessi paura che anche solo allontanandomi di
qualche centimetro le possa accadere qualcosa. Entriamo
in camera e chiudo la porta dietro di noi. Le sfilo
l’accappatoio dalle spalle e sposto la trapunta leggera,
lasciandola stendersi. Mi spoglio in fretta, per non
perdermi nemmeno un secondo del suo calore e mi sdraio
accanto a lei. Mi protendo a spegnere la luce dell’abat-
jour e subito la stringo forte a me. La bacio sulla testa e la
sento sospirare e rilassarsi. Stringo forte gli occhi e la
paura mi assale. “Non voglio perderla per niente al
mondo. Niente”. Anastasia regolarizza il suo respiro a
poco a poco. La sento addormentarsi e la stringo ancora
più forte, come se il suo stato d’incoscienza potesse
comunque condurla via da me. Fisso la parete di fronte, al
buio, senza riuscire a chiudere occhio. Passo ore con gli
occhi spalancati. Ogni rumore sembra una martellata alla
testa. Quando decido di alzarmi non so bene che ora è,
ma l’alba non dev’essere molto lontana. Vado in bagno. Il
riflesso che mi restituisce lo specchio non sono io.
Davanti a me c’è un uomo stanco, invecchiato mille anni,
il viso tirato. Non c’è traccia del ragazzo di 28 anni che
dovrei essere. Quante volte mi sono guardato allo
specchio ed ho visto il grigio spento dei miei occhi. Uno
sguardo vuoto, segnato dal dolore. A volte mi sono
chiesto come può questo corpo portare il peso di tutto
quello che ho sopportato. E la risposta è lì. Nei miei occhi
spenti. E ora ho spento anche quelli di Leila. E spegnerò
anche quelli di Anastasia. Guardo meravigliato il
cambiamento che il mio viso fa al solo pensare il suo
nome. Per un attimo scorgo un barlume di speranza. Per
un attimo ritorno in vita. “Come ci riesci, Anastasia?
Come riesci a farmi sentire felice?”. Mi passo una mano
nei capelli, appoggiando l’altra al lavandino davanti a me.
Tiro all’indietro la matassa informe che è la mia chioma,
fissando di nuovo il mio riflesso allo specchio. Sospiro
forte e, lentamente, mi trascino fuori dal bagno e poi dalla
camera da letto. Le lancio un ultimo sguardo prima di
richiudermi la porta alle spalle. Mi dirigo in salotto,
sprofondando sul divano. Fisso il soffitto della stanza,
mentre fuori le luci di Seattle risplendono meravigliose,
illuminando l’oscurità della mia anima. Stare immobile
mi rende nervoso. Mi alzo e lascio scivolare esasperato
entrambe le mani nei capelli. Vago in giro senza una reale
meta, fino a quando mi ritrovo seduto al pianoforte.
Sfioro delicatamente i tasti e, senza rendermene conto,
inizio a suonare. Quante volte, in tutti questi anni, si è
ripetuta questa scena? Mille. Forse di più. Ho sempre
usato la musica come terapia. Ho sempre cercato di tare
fuori le mie emozioni o almeno quelle che sembravano
emozioni, e che non riuscivo a far capire a nessuno. Le
mie parole erano la musica. Ricordo mia madre, quando
da piccolo suonavo nel grande salone di casa Grey. Se il
motivetto che le mie piccole dita producevano era allegro,
allora mi guardava con gli occhi luccicanti. E sorrideva.
Un gran sorriso sincero, prima di depositarmi un bacio
sulla testa, mentre io chiudevo gli occhi e sentivo il suo
tenero profumo che mi faceva sentire al sicuro. Ma se le
note che producevo schiacciando le dita sui tasti neri e
bianchi erano tristi e melanconiche, allora anche lei lo
diventava. E le lacrime le rigavano il volto, silenziose
come lei, che mi stava vicino, con le dita contratte, senza
sfiorarmi. Oggi posso ascoltare da solo quello che sto
suonando. E rispecchia esattamente quello che sento.
Vuoto, solitudine. La sofferenza di un carico di dolore
immenso. Sono solo un orrido mostro che riesce solo a
fare del male alle persone. Le persone come Leila. O Ana.
Suono. Suono senza fermarmi. La musica mi assorbe, mi
rapisce. Un brano dopo l’altro. Fino a quando non
percepisco un movimento strano. Alzo gli occhi e la
guardo, avvolta nel suo accappatoio bianco. Aggrotto la
fronte. Per un attimo credo di averla sognata. Ma no, è
qui. Anche solo vederla mi destabilizza. La
consapevolezza che proprio in questo momento della mia
vita, con tutto il casino, tutte le stronzate che sono
successe negli ultimi giorni, io possa sentirmi così
vulnerabile, così debole a causa sua, mi manda in bestie.

«Dovresti essere a letto» le ricordo.

La rimprovero con poca convinzione.

«Anche tu» ribatte decisa.

“Sempre la solita impertinente”. Alzo gli occhi,


cercando di trattenere un sorriso. E all’improvviso la
nebbia che ottundeva la mia testa, stringendola come in
una morsa, inizia a diradarsi. E io mi sento meglio.
«Mi stai sgridando, Miss Steele?» le dico divertito.

«Proprio così, Mr Grey» mi risponde con una finta aria


da saccente, avvicinandosi lentamente.

«Non riesco a dormire» le dico, sena svelarmi troppo.

‘É colpa sua se non riesci a dormire, Grey. Della paura


che provi al pensiero di farle del male. Stringo forte la
mascella, cercando di domare l’impeto di rabbia contro
me stesso. Anastasia non smette di guardarmi. Sospira
quasi impercettibilmente prima di sedersi accanto a me,
sullo sgabello del pianoforte. É tesa. La guardo
circospetto. Ana mi sorprende, poggiando delicatamente
la testa sulla mia spalla nuda. Smetto per un attimo di
suonare, sgranando gli occhi. “Cosa mi fai, Anastasia?”.
Lei rimane immobile, e io nonostante le mie riserve, mi
godo il calore di quel contatto. Mi rilasso di poco e
riprendo il brano da dove lo avevo lasciato, fino alla fine.
Quando mi fermo, le mie dita indugiano sui tasti, mentre
il mio mento le sfiora i capelli.

«Cos’era?» mormora piano.

«Chopin. Preludio opera 28, numero 4. In Mi minore,


se ti interessa» le dico sorridendo.

«Mi interessa sempre quello che fai» risponde, e la


sento sorridere.

Mi giro di più verso di lei, baciando piano i suoi capelli.

«Non volevo svegliarti» le mormoro contro la testa.

«Non sei stato tu. Suona quell’altro» sussurra con un


sospiro rilassato.

Aggrotto la fronte.

«Quell’altro?» le chiedo alzando un sopracciglio.

«Il pezzo di Bach che hai suonato la prima volta che


sono rimasta a dormire»

La sua voce è a malapena udibile.

«Ah, il Marcello» le dico, ricordando che, come questa


notte, anche quella volta mi aveva sorpreso al pianoforte.

Sembra una vita fa. E invece sono passate appena due


settimane. Comincio a suonare, perdendomi nel ricordo
della prima volta che abbiamo fatto l’amore. La prima
volta che mi ha donato il suo corpo. La prima volta che ha
donato il suo corpo ad un uomo. E quell’uomo ero io. E
ora vorrei solo cancellare con un colpo di spugna tutto il
mio passato. Vorrei che la mia vita fosse cominciata
quando ho conosciuto Anastasia. Vorrei averle donato me
stesso come lei ha fatto con me. Vorrei che lei fosse stata
la mia unica donna. Si accoccola di più sulla mia spalla,
mentre continuo il brano, fino alla fine.

«Perché suoni solo musica triste?» mi chiede quando


finisco, spostandomi per guardarmi negli occhi.

La guardo per un attimo. Mi stringo nelle spalle, senza


rispondere. “Perché mi sento triste, Ana. Sono triste. Tu
sei l’unica cosa positiva della mia vita”.

«Davvero avevi solo sei anni quando hai iniziato a


suonare?» continua ad indagare sulla mia vita.
Annuisco senza rispondere. “Ho già fatto una sessione
di autocommiserazione questa mattina, Miss Steele”.
Continua a guardarmi e so che non posso restare per
sempre in silenzio.

«Mi sono impegnato a studiare il pianoforte per fare


contenta la mia nuova madre» le rispondo piano.

«Per adattarti a quella famiglia perfetta?» chiede con


lo sguardo fisso sui tasti del piano, mentre giocherella con
i capelli.

«Diciamo così» le rispondo, ansioso di cambiare


argomento. «Perché sei sveglia? Non dovresti riposarti
dalle fatiche di ieri?» continuo con un sorriso mesto.

«Per me sono le otto del mattino. E devo prendere la


pillola» mi annuncia.

Sembra fiera di sé. La guardo sorpreso. “Non credevo


se ne sarebbe ricordata”.

«Brava, te ne ricordi» mormoro compiaciuto. Poi


sorrido con affetto. «Solo tu potresti iniziare una terapia
contraccettiva da assumere a un orario regolare in una
zona con un fuso orario diverso. Forse dovresti aspettare
mezz’ora, e poi un’altra mezz’ora domattina, così alla fine
arriverai a prenderla ragionevolmente in orario» le
suggerisco senza nascondere un sorriso.

«Ottima idea» replica raggiante. «Dunque, cosa


possiamo fare nella prossima mezz’ora?»

Sbatte le ciglia, facendo un’espressione da cerbiatta


innocente.
«Mi vengono in mente un paio di cose» le dico,
scoccandole un sorriso malizioso.

Mi guarda, senza battere ciglio. Ma il suo corpo la


tradisce con un fremito d’eccitazione. La voglia di lei
torna a scoppiarmi nel petto prepotentemente.

«Oppure possiamo parlare» suggerisce, cercando di


tenere a distanza la mia libidine risvegliata.

«Preferisco la mia idea» le sussurro, chinandomi


accanto al suo orecchio. Le sfioro il lobo con la lingua, poi
la attiro sulle mie ginocchia.

«Tu preferisci sempre fare sesso invece di parlare» mi


dice ridacchiando, stringendomi le braccia attorno al
collo.

«È vero. Soprattutto con te» ammetto candidamente.


Inalo a fondo il profumo dei suoi capelli. Scosto le ciocche
che le coprono l’orecchio con la punta del naso. Poi le
bacio il lobo, e scendo piano fino alla gola, percorrendo la
sua pelle piano con le labbra. Lancio uno sguardo al
piano, davanti a noi e l’immagine di Ana nuda, aperta per
me sulla superficie liscia dello strumento mi eccita da
morire. «Forse potremmo farlo sul pianoforte» mormoro
con la voce roca.

Sento il suo corpo tendersi e fremere.

«Voglio chiarire una cosa» inizia.

Il suo cuore batte forte, mentre la stuzzico piano con la


punta del naso sulla guancia, presto sostituito dalle mie
labbra infuocate. Mi fermo per un attimo, sentendo il suo
respiro bloccarsi con me. Sorrido contro la sua pelle,
mentre riprendo la mia tortura. “Ho bisogno di momenti
come questo. Ho bisogno di te, ora, Anastasia”.

«Sei sempre così avida di informazioni, Miss Steele.


Cos’hai bisogno di chiarire?» le chiedo, respirando contro
il suo collo, prima di riprendere a baciarla piano.

«Noi due» mormora, abbandonandosi al mio tocco,


chiudendo gli occhi.

«Mmh. Cosa in particolare?» chiedo mormorando


contro la sua spalla, dove le mie labbra si fermano.

«Il contratto» sussurra.

Alzo la testa di scatto, guardandola. Non posso


trattenere un sorriso. Sospiro, sfiorandole delicatamente
la guancia con le dita e guardandola teneramente.
“Anastasia e il contratto. Non sono due cose che possono
essere combinate. Io ti voglio a prescindere dal contratto,
Miss Steele. Ho bisogno che tu scelga di stare con me.
Giorno dopo giorno. Senza costrizioni”.

«BÈ, penso che il contratto sia opinabile, no?» le dico a


bassa voce, guardandola con affetto.

«Opinabile?» mi risponde rimanendo a bocca aperta.

«Opinabile» le confermo sorridendo.

Mi guarda scioccata, senza riuscire a chiudere le sue


bellissime labbra.

«Ma ci tenevi tanto» dice alla fine, senza smettere di


fissarmi ad occhi spalancati.

“Sì. Ci tenevo. Tanto. Lo scopo della mia vita era


vendicarmi di quella lurida puttana della mia madre
biologica. Ora, Anastasia, lo scopo della mia vita sei tu.
Ma alle mie condizioni”.

«Prima sì. Comunque, le Regole non sono in forse,


quelle valgono ancora» le dico, severo.

«Prima? Prima di cosa?» chiede, stringendosi


l’accappatoio forte attorno al corpo.

«Prima…» inizio a dirle, ma mi fermo, senza sapere


bene cosa dire. Sospiro, combattendo un’estenuante lotta
con me stesso. La guardo diffidente. «Prima del “di più”»
aggiungo, stringendomi nelle spalle, senza sapere
cos’altro dirle.

«Ah» mormora, ancora sconvolta.

«E poi siamo stati già due volte nella stanza dei giochi
e tu non sei scappata a gambe levate» aggiungo,
ricordandolo anche a me stesso. “Perché, Miss Steele?
Perché non sei scappata?”. ‘Perché lei non sa, Grey. Lei
non ha visto la tua furia. Non l’ha provata sulla sua pelle.

«Ti aspettavi che lo facessi?»mi chiede, fissando le sue


dita.

«Non mi aspetto niente di quello che fai, Anastasia» le


rispondo diretto.

Ed è vero. Ha la capacità di sorprendermi sempre. E


questo mi rende insicuro.
«Dunque, cerchiamo di essere chiari. Vuoi solo che io
segua la parte del contratto che riguarda le Regole, ma
non il resto?» mi chiede, alzando leggermente il tono di
voce per l’incredulità.

«Eccetto che nella stanza dei giochi. Voglio che tu


segua lo spirito del contratto quando sei nella stanza dei
giochi, e sì, voglio che tu segua le Regole… sempre. Così
saprò che sei al sicuro, e che potrò averti ogni volta che
voglio» le dico sicuro.

Anche se la sicurezza non è proprio quello che sento


dentro di me.

Mi fissa per qualche secondo, cercando di capire, forse,


se la sto prendendo in giro o sono serio.

«E se infrango una delle Regole?» chiede dopo qualche


attimo.

«In quel caso, ti punirò» le rispondo semplicemente.

L’idea di punirla è come sempre eccitante da morire. E


il mio corpo reagisce d’istinto.

«Ma non avrai bisogno del mio permesso?» chiede


titubante.

«Sì» ammetto con riluttanza.

«E se dico di no?» mormora.

La guardo senza capire bene cosa voglia dire. “Se dici


di no, Miss Steele, io non posso toccarti. Ma non è quello
che vogliamo entrambi. Quindi non dovrò portarti al
punto di dire di no”.

«Se dici no, dici no. Dovrò trovare un modo di


convincerti» le sussurro.

Anastasia si stacca dal mio corpo, alzandosi dalle mie


ginocchia. Sospira, stringendo l’accappatoio attorno al
suo esile corpo. Fa qualche passo in avanti, vagando
nell’area tra il salone e la cucina. “Dio, Ana. Non scappare
da me. Non lasciarmi così vuoto senza di te. Ci sono le
Regole, puoi non infrangerle. Io farò in modo che tu non
lo faccia. Voglio solo che tu stia bene. Solo questo. Ti
prego, Anastasia. Ti prego”.

«Quindi l’aspetto della punizione rimane» mi dice


dopo qualche minuto di silenzio, girandosi di nuovo verso
di me.

«Sì, ma solo se infrangi le Regole» ammetto sottovoce,


con la paura che ogni parola pronunciata dalla mia bocca
possa farle fare un passo in più lontano da me.

«Dovrò rileggerle» mormora aggrottando la fronte.

Le sue parole mi danno un briciolo di speranza. Forse


possiamo far funzionare la cosa. Giorni fa ho preparato
una nuova bozza delle regole. Secondo le sue indicazioni.
Magari questo la convincerà che è la cosa giusta, che io ci
tengo a lei.

«Vado a prenderle» le dico pratico.

Mi alzo dal sedile di fronte al pianoforte e mi dirigo


spedito nello studio. Accendo il pc e tamburello con le
dita sulla scrivania mentre cerco il file. Avvio la stampa. E
dopo appena due minuti faccio rientro in salotto. La luce
è accesa. Ana è in cucina, intenta a preparare un tè. Mi
siedo su uno degli sgabelli, fissandola negli occhi quando
si gira a guardarmi.

«Ecco qui» le dico, mettendo il foglio sul bancone e


spingendolo con le dita verso di lei.

Lo legge attentamente, scorrendolo da cima a fondo.


Dopo qualche minuto torna a guardarmi.

«Quindi l’obbedienza rimane?» mi chiede, con l’ombra


di un sorriso.

«Certo» le sorrido di rimando.

Il suo sorriso si allarga e poi, senza rendersene conto,


alza gli occhi al cielo, ridendo. I ricordi che quel gesto mi
evocano mi scatenano un tremore diffuso nel basso
ventre. Mi eccito all’istante, in un mix di timore, dubbio e
desiderio.

«Hai appena alzato gli occhi al cielo, Anastasia?»


ansimo, mentre il mio cazzo spinge dolorosamente contro
la stoffa morbida del mio pigiama.

«Forse… dipende dalla tua reazione» sussurra.

Ed è eccitata lo sento anche a distanza.

«La solita» le rispondo, scuotendo piano la testa


divertito.

I miei occhi la stanno spogliando e scopando. E io non


vedo l’ora di fare lo stesso. Dopo una bella sculacciata
magari. Il solo pensiero del suo delizioso didietro che si
colora di un rosso vivace mi manda su di giri. Anastasia
mi guarda, deglutendo vistosamente.

«Quindi…» sussurra senza fiato.

«Sì?» la incalzo.

La mia lingua percorre piano il mio labbro inferiore,


mentre immagino di percorrere allo stesso modo il suo
clitoride bagnato, sentendola gemere.

«Adesso vuoi sculacciarmi» mormora.

Le sue parole mi lasciano senza fiato. Il solo


sentirglielo dire sta per farmi venire nei pantaloni.
“Cristo, quanto mi ecciti Anastasia”.

«Sì. E lo farò» sibilo eccitato.

«Ah, davvero, Mr Grey?» mi fa un sorriso malizioso,


provocante, abbassando lo sguardo e sbattendo le sue
lunghe ciglia.

La sua sfida mi infiamma ancora di più se è possibile.

«Pensi di fermarmi?» le chiedo spalancando gli occhi e


bramando di possedere il suo meraviglioso corpo.

L’idea che sotto quell’accappatoio è già nuda e pronta


per me, mi sta lentamente torturando.

«Prima dovrai prendermi» sussurra, affondando i


denti nella carne rosea delle sue labbra.
“Cristo santo”. La guardo ad occhi spalancati. Le lancio
un sorrisetto sardonico. Mi alzo in piedi lentamente.

«Ah, davvero, Miss Steele?» le dico, alzando un


sopracciglio.

Tra noi e la realizzazione delle nostre fantasie c’è solo il


bancone della cucina.

«E in più ti stai mordendo il labbro» le mormoro.

Mi sposto verso sinistra. Anastasia fa lo stesso verso


destra. Il suo sguardo malizioso, il suo respiro spezzato.

«Non puoi» mi provoca. «In fondo, anche tu alzi gli


occhi al cielo» dice, continuando a muoversi in direzione
opposta alla mia.

«Sì, ma tu con questo gioco stai alzando la sbarra


dell’eccitazione» sussurro.

“Quando ti prenderò, Miss Steele, ti farò mia in ogni


modo. Dovrai prendermi tutto fino alla fine. Dovrai
accogliermi dentro in ogni modo. Ti farò godere così
tanto da non farti desiderare altro per tutta la vita”.

«Corro veloce, sai» mi dice con finta indifferenza.

«Anch’io» le rispondo con un sorrisetto.

Oramai abbiamo invertito le nostre posizioni, ai lati del


bancone.

«Pensi di fare la brava e venire qui?» le chiedo


divertito.
«Lo faccio mai?» sussurra eccitata e agitata.

«Miss Steele, cosa intendi?» Le strizzo l’occhio. «Sarà


peggio se devo venire a prenderti»

«Solo se mi prendi, Christian. E in questo momento,


non ho la minima intenzione di lasciartelo fare» mi dice
facendo due passi veloci per allontanarsi da me e
appoggiandosi al bancone per non cadere.

«Anastasia, potresti cadere e farti male, il che sarebbe


una diretta violazione della regola numero sette, che ora è
diventata la sei» la avverto.

«Sono in pericolo fin dal giorno che ti ho incontrato,


Mr Grey, con o senza regole» sussurra audace.

«Giusto» ammetto. “Un punto per te, Miss Steele”.


Aggrotto la fronte, mentre una fitta di dolore mi
attraversa. “Non sai davvero quanto posso essere
pericoloso. O quanto possa essere pericoloso per te starmi
accanto”. La guardo e mi rendo conto di quanto ho
bisogno ora di stare con lei. Di sentire che è tutto a posto.
Le sorrido piano, lanciandomi verso di lei per prenderla.
Ana strilla forte e corre verso il tavolo, mettendolo tra di
noi. Ansima per la corsa. Sembriamo il cacciatore e la
preda. Anche se non sono ben sicuro che la preda sia lei.
L’unica certezza che ho è quella di avere l’uccello in
fiamme a causa sua. Voglio solo prenderla e mettermela
di traverso tra le ginocchia. E poi scoparla in ogni modo.
Con le dita, con la lingua con il mio cazzo duro come il
marmo. Voglio prenderla per tutto il giorno. Voglio
sfinirla. Mi avvicino, deciso a prenderla, ma lei continua a
spostarsi.
«Tu sì che sai come distrarre un uomo, Anastasia»
mormoro nella sua direzione.

«Il nostro scopo è il piacere, Mr Grey. Distrarti da


cosa?»

É sempre più maliziosa. E mi fa venire sempre più


voglia di rimetterla in riga.

«Dalla vita. Dall’universo» le rispondo facendo un vago


gesto in aria con la mano.

“Da una ex Sottomessa pazza. Da una confusione


interiore. Da un passato di orrore e devastazione”.

«Sembravi molto preoccupato mentre suonavi» mi


dice, accarezzando con le dita la spalliera di una delle
sedie.

Mi fermo, incrociando le braccia sul petto nudo,


divertito. Sento il suo sguardo guizzare sulla mia pelle.

«Possiamo continuare così tutto il giorno, piccola,


prima o poi ti prenderò, e in quel momento sarà molto
peggio per te»

«Non mi prenderai» mi sfida ancora una volta.

«Qualcuno penserebbe che non vuoi che io ti prenda»


le dico aggrottando la fronte.

«Infatti non voglio. È proprio questo il punto. Per me


la punizione è come per te essere toccato»

Quelle parole mi lacerano l’anima. “Cristo, no!”. La


fisso in silenzio, mentre di me affiorano in superficie
dolore, tristezza, ricordi negativi. Un cuore martoriato,
spezzato, che ha smesso di battere tanto tempo fa. Un
dolore profondo e acuto, diffuso ovunque. “É…è così che
si sente? É davvero questo quello che prova? Allora le sto
facendo più male di quello che pensassi”. Il sangue
defluisce completamente dal mio corpo al solo pensiero di
quanto io le stia facendo male, di quanto la stia spezzando
a poco a poco. Di quanto stia facendo soffrire come un
lurido bastardo quell’esile fanciulla che così tanto mi
regala. “Come cazzo è potuto succedere? Come cazzo ho
fatto a non accorgermi che per lei era un tale tormento?”

«È così che ti senti?» me chiedo piano, la mia voce un


sussurro a malapena udibile.

Ho paura di sentire la risposta. Mi guarda con un’aria


di pietà. “non guardarmi così, Ana. Ti prego”.

«No, non mi dà così fastidio, ma era per darti l’idea»


mormora in ansia, come se temesse di avermi ferito.

“Sono io che ho ferito te, Anastasia”.

«Ah» mormoro.

E non so bene se devo sentirmi sollevato. Non lo so


come devo sentirmi. Sono terrorizzato all’idea di fare
qualsiasi cosa e di perderla. Non voglio, ferirla, non voglio
perderla. Non voglio nient’altro che stringerla e tenerla
con me per tutta la vita. Anche se so che non sarebbe
giusto. All’improvviso sospira forte. Gira attorno al tavolo
e viene a mettersi davanti a me, fissandomi negli occhi.
Aggrotto la fronte, senza sapere bene cosa dire.
«Lo detesti così tanto?» le chiedo alla fine. “Devo
saperlo. Devo saperlo ad ogni costo. Non potrei vivere
sapendo di farle così male. Di infliggerle così tanto
dolore”.

«BÈ… no» mi dice, nel tentativo di rassicurarmi. Ma


allo stesso tempo i suoi occhi si intristiscono. «No. È una
sensazione conflittuale. Non mi piace, ma non lo
detesto».

“Ma io…Anastasia, io pensavo di farti godere. Io


pensavo di esserci riuscito. Di essere riuscito a renderlo
piacevole come, finalmente, lo era diventato per me”.

«Eppure, ieri sera, nella stanza dei giochi, tu…» le dico,


senza riuscire a finire la frase. La voce mi muore in gola
per la paura di sentire le sue risposte.

«Lo faccio per te, Christian, perché tu ne hai bisogno.


Io no. Non mi hai fatto male ieri sera. Il contesto era
diverso, e posso razionalizzarlo, e mi fido di te. Ma
quando vuoi punirmi, ho paura che tu mi faccia male»

“Merda. Merda, merda, merda!”. Fisso il suo corpo, i


suoi occhi. I suoi capelli castani, la sua pelle candida.
“Come posso dirle una cosa del genere? Come posso
spiegarle razionalmente perché mi comporto in questo
modo? Perché ho scelto questo stile di vita? Come posso
dirle che se si trova qui è solo perché all’inizio per me era
l’ennesima copia di mia madre sulla quale sfogare la mia
rabbia? ”. ‘All’inizio, Grey? E ora?’. “E ora non lo so”.

«Voglio farti male, ma non più di quanto tu riesca a


sopportare» mormoro con la voce fioca.
«Perché?» mi chiede senza smettere di fissarmi.

Mi passo una mano nei capelli, esasperato. “Non posso


dirtelo”.

«Ne ho bisogno, e basta». La guardo angosciato,


sentendo il bisogno, per la prima volta nella mia vita, di
liberare la mia coscienza oppressa da quel terribile
segreto. Chiudo gli occhi, cercando di trovare dentro di
me la forza di non cedere. «Non posso dirtelo» le
mormoro.

«Non puoi o non vuoi?» mi chiede piano.

«Non voglio» ammetto con riluttanza, guardandola


stringere la mascella.

«Allora conosci il motivo» mi dice poi, senza smettere


di fissarmi.

«Sì» le rispondo sincero.

«Ma non hai intenzione di dirmelo»

La sua non è una domanda, bensì una constatazione.

«Se lo faccio, fuggirai da questa stanza e non tornerai


più»

Le confesso quella che è la mia paura più grande. «Non


posso correre questo rischio, Anastasia»

«Tu vuoi che rimanga» sussurra, abbassando gli occhi.

«Più di quanto immagini. Non sopporterei di perderti»


le dico tutto d’un fiato.

Spalanca gli occhi e io non riesco più a resistere. La


afferro, attirandola a me e la bacio forte. Un desiderio
carnale, un bisogno primordiale mi spinge nella sua
bocca, ad assaggiarla ed assaporarla, come se fosse
l’ultima possibilità che ho per baciarla. Mi aggrappo a lei
con tutte le mie forze, stringendola e baciandola.
Possedendo il suo corpo ancora prima di essere dentro di
lei.

«Non mi lasciare. Nel sonno hai detto che non mi


avresti lasciato e mi hai supplicato di non lasciarti» le
mormoro contro le labbra, sfiorandogliele delicatamente
con le mie.

«Io non voglio andare via» mi risponde, guardandomi


con affetto.

Le sue parole mi rilassano, a la sua espressione è più


che mai turbata. La guardo con gli occhi spalancati,
cercando invano di riuscire a capire quello che pensa, che
prova. Il pensiero di ridurre questa donna meravigliosa
che riesce a darmi tanto in un corpo vuoto, senza ragione,
senza vita, torna a bussare alla porta del mio cervello
malato. Eppure non riesco a smettere di pensare a tutto il
resto. A tutte le altre. In fondo, se lei non fosse bruna e
con la pelle candida, non saremmo qui, ora ad affrontare
questa conversazione. E anche se dentro di me sono certo
che lei sarebbe entrata nella mia vita anche se fosse stata
bionda e avesse avuto mille difetti, questo pensiero non
riesce a concretizzarsi in superficie. Resta dentro di me.
Sommerso da mille volti di altrettante ragazze brine, con
il capo chino, in ginocchio danti ad un perfido orco che
gode nel fustigarle. E quell’orco sono io.

«Fammi vedere» mormora ad un tratto.

La guardo senza capire. Ma la sua voce, in un certo


modo, squarcia la mia anima.

«Cosa?» le chiedo piano.

«Fammi vedere quanto può fare male» sussurra con


un filo di voce, abbassando gli occhi.

La guardo senza capire. Ma la sua voce, in un certo


modo, squarcia la mia anima.

«Cosa?» le chiedo piano.

«Fammi vedere quanto può fare male» sussurra con


un filo di voce, abbassando gli occhi.

Il mio cuore manca un battito, poi riprende a velocità


spedita.

«Cosa?» torno a ripeterle, ancora sotto shock.

«Puniscimi. Voglio sapere quanto posso farmi male»


sussurra flebilmente Anastasia.

Indietreggio, guardandola, in preda alla confusione più


totale. Questa donna meravigliosa, questa splendida
creatura è disposta a tanto per me? Sbatto piano le
palpebre per rendermi conto che non è un sogno, non è
irreale. Lei è qui, davanti a me, a chiedermi di provare. A
dirmi di essere disposta a fare più di un passo nella mia
direzione, all’interno dell’oscurità che mi avvolge. Quanto
può essere profondo quello che prova per me?
Forse….l’intensità di quello che proviamo è identica.
Forse, come me, sarebbe disposta a tutto pur di non
perdermi. Il pensiero è doloroso. Sapere che sto
permettendo ad un angelo come lei di provare questo per
un mostro come me, mi devasta. La consapevolezza del
mio meschino egoismo fa male, ma il pensiero di poter
trovare un punto d’incontro e per di più nella mia
direzione, in qualche modo mi da sollievo.

«Sei disposta a provare?» le chiedo piano, cercando di


capire cosa, esattamente, le ha fatto prendere questa
decisione.

«Sì, te l’ho detto» risponde risoluta, anche se la sua


voce trema leggermente.

Forse per paura. Non saprei bene come decifrare il


tremolio che percepisco. Sbatto di nuovo le palpebre, per
assorbire le sue parole, che scendono a fondo dentro la
mia anima oscura che sorride perfidamente. Lo so. So che
dentro di me voglio che questo succeda. Voglio la sua
sottomissione, la sua obbedienza cieca. Voglio che si fidi
di me al punto di abbandonarsi completamente. E so che
non c’è altro modo per farlo che sperimentare i suoi limiti
e mostrarle che sono in grado di fermarmi proprio
quando e come vuole lei. Ma una parte di me sa anche che
questo potrebbe voler dire mostrarle quanto profonda
possa essere la mia depravazione. Potrei farle male. Ma il
dubbio più forte è quello di come mi sentirei a farle quello
che mi sta chiedendo, continuando a non dirle la vera
ragione per cui lo faccio. Continuando a non parlarle della
puttana che mi ha messo al mondo. Del porco viscido che
provava piacere a picchiarmi e torturarmi. E di quanto io
sia diventato, negli anni, uguale a lui, provando piacere a
picchiare e torturare giovani donne spinto dall’odio e
dalla vendetta. Sbatto le palpebre guardandola. Non so
cosa fare.

«Ana, mi confondi» le sussurro in preda ai dubbi.

«Anch’io sono confusa. Sto cercando di capirci


qualcosa. Tu e io dobbiamo scoprire, una volta per tutte,
se sono in grado di farlo. Se riesco a sopportarlo, poi forse
tu…» mormora, mentre le parole le muoiono sulle labbra.

Il panico si impadronisce di me. Vuole toccarmi. Sta


facendo tutto questo solo per toccarmi. Solo per fare in
modo che io mi senta in colpa e le permetta di avvicinarsi
più di quello che voglio. “Perché vuoi sempre di più,
Anastasia? Perché non riesci a vedere quanto ti ho già
dato, quanto mi sono già dato a te e ti accontenti per una
volta?”. Chiudo gli occhi per un istante, mentre un
pensiero mi attraversa. Se le mostro quello che sono,
quello che faccio alle ragazze come lei, sono certo che
scapperà via. Ma c’è la remota possibilità che quello che
ha detto in sogno possa essere reale, possa essere la
verità. E allora nulla potrebbe più allontanarla da me.
Quando apro gli occhi ho preso la mia decisione. Dentro
di me sento che è sbagliato. Ma devo farlo. Devo. É
immobile, davanti a me. La fisso con determinazione.
Raddrizzo le spalle e mi prendo tre secondi per calarmi
nella parte che, prima di lei, tanto ho adorato. Ora mi
sembra tutto così freddo, così meccanico. Ma Anastasia
ha il diritto di sapere, di conoscere anche questo di me. La
afferro senza preavviso, stringendole forte il braccio, e la
trascino fuori dal salone, su per le scale. Non mi fermo,
non mi giro. Vado dritto, spedito, verso la Stanza in cui
sono diventato quello che sono oggi. Quando arriviamo
davanti alla porta, metto una mano sulla maniglia. Prima
di aprire mi giro a guardarla.

«Ti mostrerò fino a che punto ti può fare male, così


potrai decidere» le dico severamente.

Ma non riesco a fare un passo avanti e aprire la porta.


Stringo forte la maniglia.

«Sei pronta?»

“Fermami, Anastasia. Fermami. Dimmi che è questo il


tuo limite. E sono pronto a fermarmi con te”. Invece Ana
mi fissa e annuisce debolmente. Il suo viso è molto più
pallido del solito. Stringo forte la mascella, aprendo di
scatto la porta. Entro trascinandomela dietro per un
braccio. Mi fermo davanti alla rastrelliera e guardo i miei
strumenti di dolore. Prendo una cinghia, una di quelle
larghe, di pelle. Farà male. Lo so. Ma deve farle male. E
poi lei potrà decidere. Solo in quel momento sarà in grado
di decidere se può o meno restare qui con me. Se davvero
riuscirà a non lasciarmi. Se riuscirà a non unirsi alla
schiera delle mille persone che mi hanno abbandonato
negli ultimi 28 anni. Trascino Anastasia verso la panca di
cuoio rosso, in fondo alla stanza.

«Chinati sulla panca» le ordino a bassa voce, non


appena la raggiungiamo.

Lentamente obbedisce. Chiudo di nuovo gli occhi,


cercando di dare un senso a quello che sto per farle. Ma
non c’è. La rabbia dentro di me sale all’improvviso. Mi sta
costringendo ad essere di nuovo la persona che non
voglio essere. So quello che sono diventato accanto a lei.
Ed è così che voglio continuare ad essere. Ma Anastasia
vuole che io vada a fondo. Per poi dimostrarmi che può
salvarmi. Che lei è la mia ancora di salvezza. Sbatto le
palpebre, sentendo dentro di me una tensione che non
provavo da mesi.

«Siamo qui perché hai detto di sì. E perché sei


scappata da me. Ti colpirò sei volte, e tu conterai insieme
a me»

A dispetto del mio tono duro, la mia mano trema


quando sollevo l’orlo del suo accappatoio bianco. Le
accarezzo piano la pelle candida, lungo le natiche e
scendo poi sulle cosce.

«Farò quello che sto per fare così ti ricorderai che non
devi mai scappare da me. Per quanto sia eccitante, non
voglio che tenti di scappare mai più» mormoro.

La rabbia si fonde con l’eccitazione.

«E poi hai alzato gli occhi al cielo. Sai cosa penso di


quel gesto» le sussurro.

Mi rilasso all’improvviso, scoprendo con rammarico


che tutto questo mi è mancato. Io mi sono mancato.
Christian il Dominatore era quello che mancava alla mia
vita da settimane, il pezzetto mancante di quel puzzle che
è la mia vita. Ora è di nuovo tutto perfetto. Ora sono qui,
nella mia Stanza dei giochi, a fare quello che faccio da una
vita. Tutti i dubbi che mi assalivano fino a due secondi fa
non ci sono più. Sono di nuovo in me. Lei mi fermerà
quando non ne potrà più. E da quel punto potremo
ripartire. Le appoggio le dita ferme sulla schiena,
premendola sul cuoio freddo. Alzo il braccio e, senza
starci troppo a pensare, sferro il colpo. Anastasia grida,
mentre il suo sedere si tinge di rosso. Il segno della
cinghia è ben visibile. E mi fa male. Fa male vederlo, fa
male sapere che sono stato io a farlo a lei. Ana respira
sonoramente, in preda al dolore.

«Conta, Anastasia!» le ordino, stringendo gli occhi.

«Uno!» grida rabbiosamente.

Il suo tono la dice lunga su quanto avesse voluto


mandarmi a fanculo. La colpisco di nuovo. E di nuovo
forte.

«Due!» urla contro la panca.

Sono furioso. E maledettamente frustrato. Non so cosa


pensare. Questo groviglio di emozioni mi sconvolge. “Non
voglio farti male. Ma non posso fare altrimenti. Devi
sapere. Devi conoscermi”. Stringo forte gli occhi e
abbasso per la terza volta la cinghia sul suo sedere.

«Tre!» grida forte Anastasia.

Ed è come se il dolore lo avessi sentito io. Tutto. Come


se le cinghiate le stessi dando a me stesso. E continuo. “Ti
sto punendo, Anastasia. Perché non devi disobbedire, non
devi metterti in pericolo. Non devi farmi preoccupare per
te. Ti sto punendo perché non riesco a fare a meno di te.
Ma so che prima o poi mi lascerai. E allora è meglio che ti
dia io stesso un motivo valido per scappare da me”.

«Quattro!» grida, tra le lacrime questa volta.

La sua voce tormentata, sofferente, mi fa stare male.


Ma non mi sta fermando. Nessuna safeword. Devo
continuare. La colpisco nuovamente.

«Cinque» singhiozza in lacrime.

E il suono mi lacera l’anima. Ma non posso fermarmi.


Quello che vorrei è solo stringerla. Stringerla forte tra le
braccia e baciarla. Farla calmare. Ma devo continuare.
Devo per me stesso e per lei. “Un’ultima volta e poi
avremo finito. E potremo ricominciare da qui, Ana. Io e
te”.

«Sei» mormora alla mia ultima sferzata, singhiozzando


piano il suo dolore.

Getto la cinghia a terra, dietro di me, pronto a farla


calmare. La prendo tra le braccia, guardando preoccupato
il suo volto rigato dalle lacrime. Ana si divincola,
spingendo contro le mie braccia.

«Lasciami andare… no…» urla tra i singhiozzi.

La guardo sconvolto, senza allentare la presa.


Anastasia combatte contro di me, senza darmi la
possibilità di abbracciarla e calmarla. Alzo una mano e
provo ad accarezzarle i capelli.

«Non mi toccare!» sibila, guardandomi truce.

Raddrizza la schiena mentre allento la presa e la lascio


del tutto. La guardo con gli occhi spalancati, sentendomi
male per lei. Si asciuga le lacrime con rabbia non
trattenuta. Mi guarda con….odio? Furia? Non lo so, ma
quello sguardo mi uccide.
«È questo che ti piace davvero? Vedermi così?» mi urla
contro, strofinandosi la manica dell’accappatoio contro il
naso.

La guardo senza rispondere, senza riuscire a


pronunciare neppure un piccolo suono. Il terrore mi
assale.

«Sei un bastardo squilibrato!» mi urla contro furiosa.

Ed è come se mi avesse dato uno schiaffo.

«Ana» la imploro a bassa voce, letteralmente sconvolto


dalla sua reazione.

«Non osare chiamarmi Ana! Devi risolvere i tuoi cazzo


di problemi, Grey!» urla, girandosi e fuggendo via dalla
stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

Resto a fissare la porta per non so quanto tempo. Sono


come in trance. Non riesco a vedere altro davanti a me
che il suo viso rigato dalle grosse lacrime che io stesso le
ho procurato. Quando finalmente mi risveglio dal mio
stato di incoscienza, il mio sguardo cade sulla cinghia
ancora a terra. Non oso avvicinarmi per raccoglierla.
Riversa lì, sul pavimento, sembra l’arma di un delitto. E
non sono così sicuro di non essere riuscito ad ucciderla
con quello che le ho appena fatto. Stringo forte gli occhi,
mentre mi passo entrambe le mani nei capelli. “Cosa
cazzo ho fatto?”. ‘Le hai mostrato chi sei, Grey. Le hai
fatto assaggiare solo un pizzico di quello che ti porti
dentro. Ora capisci perché non avresti dovuto andarci
piano con lei sin dall’inizio?’. So che il mio cervello ha
ragione, ma in questo momento il timore di perderla ha la
meglio su di me. Nella mia testa si susseguono immagini
di noi in diversi momenti. La prima volta che l’ho vista,
nel mio ufficio, la ferramenta, il nostro primo
appuntamento, la prima volta che abbiamo dormito
insieme. La prima sera che ha passato all’Escala. Tutte le
volte che abbiamo fatto l’amore, tutte le volte in cui mi ha
provocato, il desiderio che solo lei sa far nascere in me.
Tutto questo ora so di averlo perso. “Cristo, devo
trovarla”. Mi avvicino al cassettone e apro il cassetto in
basso, prendendone un pacco di aspirine e un tubetto di
crema lenitiva. Poi esco, dirigendomi nella sua camera.
So di trovarla lì. ‘Vanno tutte lì dopo, Grey’. Apro la porta
bianca lentamente e la trovo rannicchiata sul letto, a
piangere. Mi avvicino al comodino, poggiandovi sopra
l’aspirina e il tubetto di crema. Mi siedo sul materasso, di
fianco a lei. É ancora immersa nel suo pianto. Le
accarezzo delicatamente la testa, scostandole i capelli dal
viso.

«Ssh» le sussurro.

Rimane rigida, senza accennare il minimo movimento.

«Non mi respingere, Ana, ti prego» la supplico a voce


bassa.

Stando bene attento a non scuoterla troppo, la prendo


tra le braccia e immergo il viso nei suoi capelli. Le mie
labbra si poggiano delicatamente sul suo collo, mentre la
stringo a me.

«Non odiarmi» riesco a mormorarle contro la pelle


morbida.

Non riesco a nascondere il tono mesto della mia voce.


Le mie parole le provocano un nuovo scoppio di pianto.
Singhiozza rumorosamente. La bacio teneramente, ma il
suo corpo non reagisce al mio. É lontana mille miglia da
me. E non so come riportarla indietro. Sento che la
situazione è definitivamente precipitata. La stringo di più
a me, lasciandola sfogarsi e ascoltando in silenzio il
rumore dei suoi singhiozzi. Sono completamente
devastato. Vederla in questo stato, sapere che sono stato
io a ridurla così, mi uccide. Letteralmente. La mia anima
è squarciata, lacerata. Non accetto di essere il suo
carnefice. Quando finalmente riesco a recuperare un
minimo di coraggio, faccio un profondo sospiro e mi
rivolgo a lei per tranquillizzarla ancora.

«Ti ho portato un antidolorifico e un po’ di crema


all’arnica» le mormoro contro un orecchio.

Lentamente la sua testa, appoggiata sul mio braccio, si


gira verso di me. Mi guarda, con i suoi occhi rossi e gonfi,
ancora colmi di lacrime. Non voglio mostrarle la mia
debolezza e cerco di mantenere la mia espressione il più
neutra possibile. Le sue dita mi sfiorano la barba che non
ho auto il tempo di fare negli ultimi due giorni colmi di
eventi concitati. Chiudo gli occhi, sospirando mentre mi
godo quel tocco come se fosse un sorso d’acqua fresca
dopo mesi di arsura.

«Mi dispiace» mormora poi, con la voce provata dal


pianto e dallo sfogo.

“Tu ti dispiaci, Miss Steele?”. É la stessa cosa che mi


aveva detto quel giorno che l’avevo salvata dal ciclista
impazzito. E anche quel giorno l’avevo avvertita di starmi
lontano perché non ero l’uomo per lei. “Sono io che devo
dispiacermi, Anastasia. Sono un mostro. E ti ho appena
mostrato solo un pezzo dell’inferno che potrei farti
vivere”. La guardo confuso.

«Per cosa?» le chiedo, temendo per un attimo che mi


dica che vuole andare via.

«Per aver detto quelle cose» mormora, tirando su col


naso.

«Non mi hai detto niente che non sapessi» le rispondo


sollevato.

“É solo questo. Non ha detto che vuole andare via”.

«Mi dispiace di averti fatto male» le sussurro,


infilandole i capelli dietro l’orecchio.

Alza le spalle, chiudendo piano gli occhi, come se


ricordare il dolore facesse male come ricevere quelle
cinghiate.

«Te l’ho chiesto io» mormora a voce bassa,


distogliendo lo sguardo dal mio.

Deglutisce a fatica. Poi inala a fondo, prendendo


coraggio.

«Penso di non poter essere tutto quello che vuoi» dice


piano, a bassa voce, come se le parole facessero male
prima a lei.

Spalanco gli occhi, terrorizzato. Il mio cuore accelera la


sua corsa frenetica. “No. No, ti prego!”.

«Tu sei tutto quello che voglio» le dico freneticamente,


con la voce che trema, prendendole il viso con la mano
libera.

«Non capisco. Non sono obbediente, e ci puoi


scommettere che non ti permetterò più di farmi quello
che mi hai fatto. Ed è di questo che tu hai bisogno, l’hai
detto tu» sussurra.

Quelle parole mi entrano dentro come la lama di un


coltello affilato. So che ha ragione. Quante volte ho
pensato queste stesse cose, senza avere il coraggio di dirle
ad alta voce? Quante volte sono stato assalito dai dubbi,
quante volte ho pensato che quella che ci legava era una
relazione malsana per lei? E ora, vedendo quello che sono
riuscito a fare a Leila, so che Anastasia ha ragione più che
mai. Non posso più permettere a me stesso di farle del
male. Quando riapro gli occhi, e la guardo, mi sento vuoto
all’improvviso.

«Hai ragione. Dovrei lasciarti andare. Non sono l’uomo


per te» le dico.

La mia voce è appena udibile, sussurrata contro il suo


orecchio. Potrei sbagliarmi, ma la sua espressione riflette
la mia.

«Non voglio andarmene» mormora, mentre i suoi


occhi si bagnano di nuovo.

Le sue parole sono le stesse della notte in Georgia.


“Non voglio andarmene”. Dio, ti prego, neppure io lo
voglio.

«Nemmeno io voglio che tu te ne vada» le sussurro con


ardore.
La mia voce è roca, carica di bisogno. Le mie dita si
spostano dai capelli alla sua guancia, accarezzandola
piano. Con il pollice le asciugo via una lacrima calda.

«Ho iniziato a vivere da quando ti ho incontrato»


continuo a mormorarle, mentre il mio pollice bagnato si
sposta lungo la sua bocca, accarezzandole il labbro
inferiore.

«Anch’io» mi sussurra. «Mi sono innamorata di te,


Christian» mi dice alla fine, guardandomi negli occhi.

Sbatto le palpebre, spalancando gli occhi. Le sue parole


sono come un pugno nello stomaco, la realizzazione di
tutte le mie paure. Sono terrorizzato. Ci penso
costantemente da quando Elena mi ha messo questo tarlo
nella testa. Ho pensato, persino sperato che potesse
essere vero. Che Anastasia potesse amarmi. Ma, allo
stesso tempo, anche solo immaginarlo mi aveva fatto
sentire un lurido egoista approfittatore. Cosa ho io da
offrire ad una ragazza meravigliosa come lei? Dolore,
oscurità, perversione. Lei non è come le altre. Lei non è
una Sottomessa per sua scelta. Lei lo sarebbe
per mia scelta. E io non posso pretendere nulla. Non
posso trascinarla a fondo con me. Non posso trascinarne
un’altra a fondo con me. Non può amarmi. Non deve.
“Non dirlo più, Anastasia. Nessuno mi ama. Nessuno può.
Scappate sempre tutti. Non…”..

«No» ansimo, finendo ad alta voce il mio pensiero.

Il suo volto si intristisce.

«Non puoi amarmi, Ana. No… è sbagliato» la fisso


come se non l’avessi mai vista in vita mia.
La sua confessione è dura da accettare.

«Sbagliato? Perché sbagliato?» mi chiede nervosa.

«Insomma, guardati. Non posso farti felice» le dico


angosciato, inquieto, oppresso dai sensi di colpa.

“Non posso far felice nessuno a questo mondo. Non ci


sono riuscito neppure con mia madre”.

«Ma tu mi fai felice» mi dice, aggrottando la fronte,


senza capire le mie resistenze.

“Oh, Ana. É così ovvio! Io faccio questo, io mi eccito


con le punizioni, le regole e tutta questa merda. E tu…tu
non puoi fare quello che voglio. Io non voglio che tu faccia
questo, perché non lo vuoi. Ma allo stesso tempo non mi
fido abbastanza di me stesso da essere sicuro che non ti
farò di nuovo del male”.

«Non supereremo mai questa cosa, vero?» mormora


distrutta, mentre un visibile brivido la attraversa.

Non riesco a parlare, mentre scuoto la testa. Ana


chiude gli occhi, senza riuscire più sostenere il mio
sguardo. E io mi sento un verme. Per averla trascinata in
tutto questo. Dal primo istante sapevo che l’avrei ferita.
Ma ho voluto continuare. Perché sono un fottuto egoista.

«Allora… è meglio che io me ne vada» mormora alla


fine, tirandosi su a sedere all’improvviso.

Sussulta per il dolore. E io per il panico.

«No, non andartene» le dico, in preda al panico.


Non voglio perderla. Farei di tutto pur di non perderla.
Anche se è così sbagliato trattenerla.

«Non ha alcun senso che rimanga» ribatte senza


guardarmi, sfinita probabilmente da tutta questa
estenuante situazione.

Anastasia scende dal letto e io mi affretto a seguirla,


volendo trattenerla. Ma lei mi liquida in modo deciso.

«Devo vestirmi. Vorrei un po’ di privacy» mi dice senza


traccia di emozione nella voce.

Esce dalla stanza, lasciandomi in pedi, in preda al


panico. “Mi sono innamorata di te, Christian”. Le sue
parole rimbombano nella mia testa, penetrando a fondo
dentro di me e squarciandomi l’anima. “Io non sono in
grado di amarti. Non sono in grado neppure di ricevere
l’amore che vuoi darmi, Anastasia. Io non sono nient’altro
che l’involucro di un uomo, senza un cuore, senza
un’anima. Guidato esclusivamente da un desiderio
malato di vendetta. Da un’ossessione prepotente che mi
consuma. Riuscirei solo a consumarti”. Eppure…eppure
in questo momento vorrei solo correre da lei, abbracciarla
e dirle che io voglio la stessa cosa che vuole lei. Ma
sarebbe finto. Durerebbe tre giorni a malapena. Poi il
vecchio Christian busserebbe alla sua porta per
fagocitarla. La mia testa partorisce l’immagine di lei
spenta, vuota, che cerca di farsi del male a causa mia.
Non voglio un’altra Leila. Esco dalla stanza e torno nella
Stanza dei giochi. Il solo entrarci mi rende nervoso. Il
rumore nel corridoio mi dice che Ana sta tornando in
camera sua. L’istinto mi suggerisce di raggiungerla e
convincerla a restare. Il mio cervello mi intima di non
muovermi. E, per una volta, do retta a quest’ultimo.
Aspetto che i rumori siano cessati del tutto per uscire e
tornare di sotto in camera mia. Sfilo via i jeans strappati,
indossando abiti puliti. Scalzo mi avvio in salotto. Di
sfuggita noto il mio riflesso nello specchio, prima di
uscire dalla camera. Eccolo. Ecco chi sono sempre stato in
tutti questi anni. É di nuovo lì, nello specchio, a fissarmi.
Quella immagine di me che tanto ero abituato a vedere. Il
vuoto assoluto nei miei occhi, che praticamente riflette
quello della mia anima. Mi trascino nell’altra stanza,
avendo ancora, dopotutto, la forza di sperare che le cose
possano cambiare. Che siccome non è ancora andata via,
allora in qualche modo posso trattenerla. Mi aggrappo a
questa speranza. Fisso inerme il sole che risplende su
Seattle, cercando inutilmente di ignorare il dolore che si
sta diffondendo nel mio corpo. “Dio, perché è così?”. Non
faccio in tempo a cercare una risposta perché il mio
telefono suona. Solo in quel momento noto sette
chiamate perse ed un messaggio. Tutti del mio addetto
alla sicurezza. E anche questa chiamata proviene da lui.

«Grey» rispondo in modo stanco, spento.

«Mr Grey, finalmente riusciamo a metterci in contatto.


Abbiamo rintracciato il marito di Miss Williams» mi dice
Welch, in modo concitato.

Per un attimo credo che quest’incubo, almeno la prima


parte di questo incubo, possa terminare.

«E dunque?» chiedo.

«Mr Thompson ci ha detto di non essere più in


contatto con Miss Williams. La sua versione non ci ha
convinti molto e lo abbiamo messo sotto torchio. Alla
fine, dopo quasi quattro ore ha ceduto. Miss Williams lo
ha lasciato tre mesi fa, per scappare con un altro uomo. E
ha aggiunto che per lui farebbe meglio ad essere morta»

«Cos’ha detto?» sbraito contro il telefono. «BÈ,


avrebbe anche potuto dirci la verità, cazzo. Dammi il suo
numero, devo chiamarlo… Welch, è proprio un bel
casino»

Quando alzo gli occhi incontro quelli di Anastasia. La


fisso senza distogliere lo sguardo.

«Stiamo continuando le ricerche, Mr Grey, il marito


non ha voluto dirci il nome dell’altro uomo, ma è
possibile che nelle prossime ore riusciremo a cavargli di
bocca anche quello. Per il momento nessuna traccia di
Miss Williams»

«Trovala» sbotto, interrompendo la chiamata di colpo.

Anastasia abbassa lo sguardo, ignorandomi, e si


avvicina al divano. Apre lo zaino e inizia a tirare fuori il
suo portatile e il BlackBerry. Non capisco cosa voglia fare
fino a che non si dirige in cucina, depositandoli con
cautela sul bancone, insieme alle chiavi dell’Audi. La fisso
terrorizzato, inorridito. Quando mi parla la sua voce è
piatta, senza un filo d’emozione. O forse, anche lei, come
me, non riesce a domare quello che sente dentro.

«Ho bisogno dei soldi che Taylor ha avuto per il mio


Maggiolino» mi dice calma.

«Ana, non voglio queste cose, sono tue» le dico


continuando a fissarla incredulo. «Riprendile»
«No, Christian. Le ho accettate solo per non
discutere… e adesso non le voglio» mi risponde.

«Ana, sii ragionevole» le dico in tono autoritario.

“Si sta comportando da bambina. E non lo tollero” .


‘Oh, Grey, penso che Miss Steele da oggi possa benissimo
fare a meno delle cose che tu non tolleri’.

«Non voglio niente che mi ricordi te. Ho solo bisogno


dei soldi che Taylor ha ottenuto per la mia auto»

Le parole mi entrano dentro come un coltello,


spaccandomi in due.

«Stai cercando di ferirmi?» le chiedo piano, incredulo.

«No» aggrotta la fronte come se avessi detto la più


grossa stronzata del mondo.

E mi rendo conto da solo che lo è, in effetti. Anastasia


non riuscirebbe a ferirmi. Perché per un attimo ho potuto
pensare che il mostro tra noi due fosse lei? Solo io ho la
capacità di ferire chiunque mi si avvicini. Di ferire lei.

«Non sto cercando di ferirti, sto cercando di


proteggermi» aggiunge poi.

«Ti prego, Ana, prendi questa roba» le intimo,


guardandola duramente.

Continua a sfidarmi anche in questo momento in cui


sono praticamente distrutto, sfinito.

«Christian, non voglio litigare… Mi servono solo


i soldi» continua lei, con una calma assoluta.

Stringo gli occhi, guardandola male, ma mi scontro con


il muro della sua indifferenza. Non le importa. Non è
intimorita dal mio sguardo o dal mio atteggiamento.
‘Christian Grey ha smesso di farle paura. Semplice.

«Ti va bene un assegno?» chiedo acido, sentendo di


non avere più nessun effetto su di lei.

“Vuoi andartene, Ana. E allora vai. Non ti fermerò.


Non più”.

«Sì, penso di potermi fidare» risponde caustica.

Mi giro furibondo, entrando nel mio studio. Prendo il


telefono dalla tasca e compongo il numero di Taylor.

«Taylor, sono io. Prepara l’auto per riaccompagnare


Miss Steele. Quanto hai ottenuto dalla vendita del suo
maggiolino?»

Taylor sembra sorpreso dalla domanda.

«24mila dollari, signore»

Chiudo senza aggiungere altro e prendo dal cassetto


della scrivania un libretto degli assegni. Lo compilo, lo
infilo in una busta semplice e torno in salotto. “Questi
soldi sarebbero stati comunque tuoi, Ana”. Mi avvicino a
lei e gliela porgo.

«Taylor ha ottenuto un buon prezzo. È


un’auto d’epoca. Puoi chiederlo a lui, ti porterà a casa»
Proprio in quel momento Taylor compare all’ingresso.
Lo indico col mento e lei si gira a guardarlo.

«Non occorre. Posso tornare da sola, grazie» mormora


a bassa voce.

Poi si volta verso di me e trasalisce per un attimo


vedendomi accecato dalla furia.

«Intendi sfidarmi fino all’ultimo?» le chiedo rabbioso.

«Perché cambiare l’abitudine di una vita?» risponde di


getto, stringendosi nelle spalle.

La voglia di sculacciarla ritorna prepotente. ‘Ironia


della sorte è questo che la sta facendo fuggire, Grey’.
Chiudo gli occhi, esasperato e mi passo una mano nei
capelli. Quando poggio di nuovo lo sguardo su di lei,
cerco di calmarmi.

«Per favore, Ana, lascia che Taylor ti accompagni


a casa» le dico fissandola, cercando di imprimere la mia
volontà su di lei solo con la forza della mente.

“É pericoloso là fuori, Ana. Con Leila e tutto il resto.


Fatti accompagnare, Cristo santo!”. Taylor mi viene in
soccorso, evitando ad entrambi di aggiungere altro.

«Vado a prendere l’auto, Miss Steele» annuncia deciso,


sparendo subito dopo il mio cenno d’assenso.

Siamo di nuovo soli. E sento il bisogno necessario di


fare un ultimo tentativo. Uno solo. L’ultimo. Per farla
restare. Faccio un passo avanti, verso di lei, per
abbracciarla. Ma Anastasia si ritrae, come se il mio tocco
la spaventasse a morte. In quel momento mi sento morire
dentro. Tutto il mio mondo, la mia vita, le mie certezze
crollano su di me come un gigantesco muro. L’angoscia si
impadronisce di me. La rabbia e l’odio verso me stesso mi
rendono fragile, come non mi sentivo da tempo. Da anni.

«Non voglio che tu te ne vada» le mormoro,


elemosinando un minimo contatto tra noi.

“Ne ho bisogno, Anastasia. Ho bisogno di sentirti, di


sapere che mi vuoi. Ho bisogno di dimostrarti che anche
se non so cosa vuol dire, anch’io posso amarti. Perché?
Perché ho dovuto comportarmi in quel modo di sopra.
Dio, quanto vorrei poter rimettere tutto a posto.
Permettimelo, Ana. Ti prego, permettimelo”.

«Non posso rimanere. So cosa voglio e tu non


puoi darmelo, e io non posso darti quello di cui tu
hai bisogno»

“Ho bisogno di te. Di nient’altro che te”. Ma non riesco


a dirglielo. Le parole non ci sono più. Di nuovo. Come
allora. Riesco a muovere miracolosamente il mio corpo,
facendo un ulteriore passo avanti, sperando di riuscire a
poterle far capire quanto è importante. “Lascia che ti
tocchi”. ‘Ora la situazione si è capovolta, Grey? Come ci si
sente nei suoi panni’. La terribile sensazione di vuoto mi
assale. “É questo che ti faccio, Ana? É così che ti senti?”.
Lei indietreggia prima che possa toccarla.

«No, per favore» ansima. «Non posso farlo»

Mi fermo, impotente, potendo solo guardarla


raccogliere le sue cose e dirigersi verso l’atrio. La seguo a
distanza, come un automa. Anastasia preme il pulsante
dell’ascensore e le porte si aprono immediatamente.
Entra, sistema le valigie e si gira a guardarmi.

«Addio, Christian» mormora piano, con gli occhi


spenti.

«Addio, Ana» riesco a sussurrarle prima di vederla


sparire del tutto.

Il dolore è ovunque. Al petto, allo stomaco, alla testa. E


cresce sempre di più. Fino a quando non sento più nulla,
come se niente esistesse. Come se fossi morto. Non provo
neppure dolore. Nulla. Nulla di nulla. Apatia totale. Non
sento neppure il mio cuore battere. Mi giro, riuscendo a
malapena a tenere gli occhi fissi davanti a me, e guardo il
mio appartamento che non è mai stato così vuoto.
Qualcosa mi spinge a salire al piano superiore ed entrare
piano nella mia Stanza dei giochi. La familiare sensazione
che provavo al solo sfiorare la maniglia è scomparsa
anch’essa con tutto il resto. Questa stanza da ora, da
questo momento, è solo l’emblema del mio dolore più
grande. É colpa di questa stanza se Ana se n’è andata.
Colpa di quello che divento io in questa stanza. É colpa
mia. I miei occhi si poggiano sulla rastrelliera accanto alla
porta. Mi avvicino. E sento tutto il sangue che si era
fermato nelle mie vene, all’improvviso rimettersi in moto
violentemente. Tiro giù la rastrelliera dal muro e lo stesso
faccio con tutto il resto. Tutto via. Frustini, manette, cade
tutto rovinosamente a terra a causa della mia furia.
Strappo le lenzuola di raso rosso, dove fino a ieri sera
eravamo distesi noi due. Non mi fermo, accecato dalla
rabbia come sono, e vado avanti per ore forse. Non lo so.
Sono cieco. Non vedo cosa spacco, cosa lascio cadere,
cosa spezzo nel tentativo di farmi male fisico che possa
superare quello che sento dentro. E quando alla fine
riesco a bloccarmi, ansimante, tremante, ancora pieno di
furia, mi rendo conto di quello che ho fatto. Ho appena
distrutto la mia Stanza dei giochi. Completamente. Ho
sfasciato questa stanza dove per anni si è consumato il
dolore di tante. E che ora ha accolto il mio. E quello che
vedo all’esterno, riflette quello che custodisco in questo
guscio vuoto che definisco corpo.

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