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I SOFISTI

PROTAGORA
Abdera, circa V secolo
Le antilogie

La tesi fondamentale di Protagora risiede nel principio: «l’uomo è misura di tutte le cose, delle
cose che sono in quanto sono,delle cose che non sono in quanto non sono». Letteralmente questa
espressione significa che l’uomo è il metro, il giudizio della realtà o irrealtà delle cose.
Sul significato di questa espressione però esistono varie interpretazioni, a seconda del valore che
si attribuisce a “uomo” e “cose”:
1. la prima è quella che viene dalla interpretazione platonica: uomo è da intendersi come il
singolo uomo, e cose sono gli oggetti percepiti con i sensi. Le cose, cioè, appaiono
diversamente a seconda degli individui e dei loro stati fisici e psichici: relativismo
gnoseologico;
2. la seconda invece attribuisce a uomo il significato di specie, di umanità, e a cose il
significato di realtà in generale. Secondo questa interpretazione dunque per Protagora gli
individui giudicano la realtà tramite dei parametri comuni tipicamente umani, peculiari della
specie a cui appartengono: universalismo di specie;
3. la terza interpretazione intende l’uomo come comunità o civiltà, e le cose sarebbero i valori
o gli ideali. In altre parole Protagora intenderebbe dire che ognuno valuta le cose secondo
la mentalità del gruppo sociale, della cultura a cui appartiene: stereotipia sociale.

Per Protagora dell’essere si predica, si afferma, solo ciò di cui si fa esperienza (fenomenismo). La
natura e l’essere non sono suscettibili di diventare oggetto del discorso, perché non si danno mai
in quanto tali: ne cogliamo sempre solo un aspetto.

L’esperienza che ciascuno fa è probante per sé, legittima il proprio dire e agire. Poiché la natura è
cangiante e nulla resta identico a se stesso, per Protagora si può predicare solo ciò che è legato
all’esperienza. Letteralmente, relativismo significa «prendere in considerazione, tenere per vero,
solo ciò che è relativo all’esperienza».

Tutte queste tre interpretazioni vanno assunte insieme se si vuole comprendere adeguatamente il
senso dell’espressione di Protagora.

Considerata nel suo insieme la posizione di Protagora si può definire una forma di:
- umanismo: in quanto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà presuppone sempre l’uomo
come soggetto del discorso o baricentro del giudizio, cioè come criterio, regola, metro di giudizio;
la posizione dei sofisti è antropocentrica: l’uomo dinamico e autonomo può cambiare la natura e
criticarla;
- fenomenismo: in quanto noi non abbiamo mai a che fare con la realtà in se stessa, ma con il
fenomeno cioè la realtà quale appare a noi;
- relativismo culturale: in quanto non esiste una verità assoluta, ma ogni verità è relativa a chi
giudica nell’ambito di una certa situazione o cultura.
Questo relativismo in Protagora però non è assoluto. Egli rintraccia un criterio di scelta: l’utilità
privata e pubblica. L’utile è criterio di verifica e di legittimazione delle teorie. Egli propone una
concezione umanistico-storicistica della verità: la verità è l’umanamente verificato come giovevole,
storicamente e socialmente utile all’individuo, alla comunità e alla specie.

Il sofista è quindi colui che mediante l’arte della parola tenta di modificare le opzioni nel senso
dell’utilità. Probabilmente è in questo senso che Protagora dice di rendere migliore il discorso
peggiore (antilogie), ossia di trasformare l’opinione meno utile in opinione più utile e proficua. La
retorica è esercizio di questa funzione educativo-politica del sofista.

A cominciare da Protagora noi troviamo anche nella sofistica un abbozzo di teoria delle civiltà. Con
il V secolo si fa strada una nuova interpretazione della storia che si allontana dal mito esiodeo
della decadenza progressiva dell’umanità dall’iniziale età dell’oro. Alla storia come regresso si
affianca la storia come progresso che cerca di scrutare le origini dell’uomo al di là del mito e di
spiegarne il lento emergere dall’animalità primitiva.
Secondo Protagora l’uomo si differenzia dagli animali e supera le sue debolezze entrando in
società e creando le “tecniche”, cioè le arti (dall’agricoltura all’urbanistica) mediante le quali l’uomo
trasforma il mondo circostanza a proprio vantaggio (cfr. mito di Epimeteo e Prometeo).
Ma le tecniche da sole non basterebbero a garantire la sua efficace sopravvivenza sociale se non
ci fosse quella tecnica di tutte le tecniche che è la politica, ossia l’arte di vivere insieme nella città,
che è un’arte che riguarda ogni uomo perché si è tutti uomini della polis e dunque politici.
Le teorie della civiltà che alcuni sofisti elaborano evidenziano tutte come le civiltà, grazie alle
tecniche, alla cultura, siano incamminate in un progressivo miglioramento: la cultura migliora la
natura a vantaggio dell’uomo. Questa concezione, che si smarrirà nella filosofia greca e
medievale, ritornerà poi a imporsi nel Rinascimento e nella modernità.

La posizione di Protagora sulla religione è descrivibile come agnosticismo [non-conoscibile], cioè


per Protagora su Dio non è possibile razionalmente affermare o negare nulla, in quando non
l’uomo non ha gli strumenti mentali per ammetterne o escluderne l’esistenza. Diceva infatti
Protagora: «degli dei non sono in grado di sapere né se sono né se non sono né quali sono: molte
sono infatti le difficoltà che si frappongono: la grande oscurità della cosa e la limitatezza della vita
umana».

Sempre con i sofisti inizia a farsi strada una questione nuova: le leggi che regolano la vita degli
uomini sono naturali (cioè vengono da indicazioni degli dei, da come è fatto l’uomo…) oppure sono
artificiali, quindi convenzionali?
Anticamente si credeva che le leggi avessero una origine extra-umana, i sofisti invece proclamano
la loro origine come tutta umana. La democrazia ateniese aveva nei fatti già messo in discussione
la credenza antica, perché in democrazia le leggi si discutono, si dibattono, si cambiano.
Ma il problema conseguente è: se le leggi sono umane, perché le devo rispettare?
Protagora afferma che l’uomo diventa uomo solo quando entra in società con le tecniche. Ma la
società non esiste senza quell’insieme di regole che sono le leggi e senza la politica perché in
caso contrario si tornerebbe allo stato belluino.
Le leggi sono valide perché, pur non venendo dagli dei ed essendo invenzione umana, se non ci
fossero non ci sarebbe la società e quindi l’uomo. Dunque l’uomo è pienamente uomo, esprime al
meglio la sua umanità nella città.
Fra natura e legge c’è continuità perché l’uomo, attraverso la società, realizza appieno la propria
natura e il proprio utile, quindi il non rispetto delle leggi porta ad essere dis-umani perché infrange
il luogo di esercizio dell’umanità.
GORGIA
Lentini – V secolo
Sul non-essere o sulla natura
Encomio di Elena

Nel primo scritto Gorgia sostiene tre tesi:


1. nulla c’è
2. se anche c’è, non è conoscibile dall’uomo
3. se anche è conoscibile, non è comunicabile

Quando Gorgia sostiene che “nulla esiste” non intende far sparire la realtà testimoniata dai sensi,
ma intende dire che è impossibile concettualizzarla filosoficamente: Gorgia nega la pensabilità
logica e ontologica dell’essere, di quella struttura metafisica di cui hanno parlato i filosofi.
Di questo essere non possiamo filosoficamente pensare nulla, se anche esistesse non lo
potremmo conoscere, perché per conoscerlo dovremmo presupporre che la nostra mente sia una
fotografia esatta della realtà. Ma ciò non è possibile perché se pensiamo l’inesistente vuol dire che
il pensiero non rispecchia necessariamente la realtà o che la realtà non si rispecchia
necessariamente nel pensiero. Dunque Gorgia colpisce al cuore l’argomentazione eleatica
(pensiero-essere) introduce una rottura radicale tra la mente e le cose.
Se anche la realtà fosse conoscibile non sarebbe spiegabile, perché il linguaggio è altra cosa dalla
realtà, non possiede la capacità di rivelarla.

Il legame parmenideo tra essere-pensiero-linguaggio si rompe.

Queste tesi acquistano ancora più radicalità se accostate a quella realtà assoluta che va sotto il
nome di Dio.
La prima affermazione – Dio non c’è – sembra essere una negazione radicale di Dio: ateismo; con
la seconda – Dio è inconoscibile – si apre a una posizione di scetticismo, o agnosticismo
metafisico e teologico, cioè l’uomo non ha strumenti adeguati per affermare o negare l’esistenza di
Dio.

Dunque il messaggio più profondo di Gorgia sembra essere l’agnosticismo o scetticismo


metafisico, cioè la persuasione dell’impotenza umana a parlare dell’essere e delle strutture del
reale. Il risultato è la completa sfiducia nelle possibilità conoscitive della mente.
Con Gorgia noi troviamo la prima, esasperata messa in discussione occidentale della metafisica.

Sganciati dall’essere e dalla realtà il pensiero e il linguaggio perdono ogni valore. Se nulla è vero,
per Gorgia tutto è falso. In Gorgia non c’è nessun criterio di scelta, l’unica cosa che conta è la
potenza del linguaggio, inteso come forza ammaliatrice che permette il dominio in quanto “calma la
paura, elimina il dolore, suscita la gioia e aumenta la pietà”. Da questo la celebrazione di Gorgia
della retorica.

In mancanza di un criterio aumenta la forza ammaliatrice della parola: scrive nell’Encomio di Elena
«la parola è un gran dominatore che con un corpo piccolissimo e invisibilissimo divinissime opere
sa compiere».
Per Gorgia la retorica è l’arte della suggestione e della persuasione, chi la detiene può dire di
avere le chiavi della città. Tanto che nella impostazione di Gorgia la politica si riduce a retorica.
Con Gorgia si evidenzia un problema: il linguaggio è naturale o convenzionale? Il linguaggio ha
una origine naturale, che spiega la connessione tra la parola significante e la cosa significata,
oppure è convenzionale e quindi autonomo rispetto alla realtà?

Un altro aspetto importante del pensiero di Gorgia è la visione tragica del reale. Gorgia sembra
ritenere che l’esistenza dia fondamentalmente irrazionale e misteriosa. Le azioni degli uomini non
sembrano rette dalla logica e dalla verità, ma dalle circostanze, dalla menzogna, dalle passioni, dal
destino, il quale fa si che gli individui si rivelino sempre incolpevoli delle loro azioni.
Questo è forse il senso dell’Encomio di Elena.
Gorgia sembra consapevole della fragilità umana e della nullità dell’uomo.

TESI SULLA RELIGIONE

PROTAGORA: agnosticismo, gli dei non sono razionalmente né affermabili, né negabili, perché non
si hanno gli strumenti mentali adeguati per ammetterne o negarne l’esistenza.

PRODICO DI CEO: sostiene che gli antichi consideravano gli dei, in virtù dell’utilità che ne derivava:
ad esempio gli Egiziano credevano che il Nilo fosse un Dio. Dunque gli dei sono la
personificazione dei nostri bisogni.

CRIZIA: sostiene invece che gli dei non siano altro che una invenzione dei potenti, dei governanti,
che non potendo colpire con la loro oppressione ogni atti dei loro sudditi, li hanno indotti a credere
nell’esistenza di una divinità invisibile che conosce e punisce i comportamenti proibiti dalle leggi
imposte da chi governa. La divinità è una sorta di polizia segreta inventata per controllare le
coscienze.

IL PROBLEMA DELLE LEGGI TRA NATURA E CULTURA

Il problema delle leggi tra natura e cultura nasce sempre all’interno del contesto in cui i sofisti si
trovarono ad operare.
Anticamente si credeva che le norme sociali avessero una derivazione extra-umana, concepite
come decreti degli dei. I sofisti invece proclamano che le norme sociali sono pienamente frutto
degli uomini, perché questa è l’esperienza che si fa in democrazia.

Il problema dell’origine delle leggi, ne pone un altro: se le leggi sono opera degli uomini, che cosa
le obbliga a rispettarle? Qual è la loro fonte di legittimazione? Se vengono dagli dei non rispettarle
significa commettere una colpa di fronte agli dei, ma se vengono dagli uomo, perché essere
rispettosi?

La posizione di Protagora a questo riguardo l’abbiamo già evidenziata. Vediamo cosa ne pensano
altri sofisti.

IPPIA: distingue chiaramente tra legge naturale – immutabile valida in ogni paese e nel medesimo
modo – e legge umana mutevole. La prima unisce gli uomini, la seconda invece li divide, dunque
Ippia preferisce la prima.
ANTIFONTE: radicalizza la teoria di Ippia, verso una totale dissacrazione delle leggi. Vera è solo la
legge di natura, quella umana è opinabile o decisamente falsa. La legge di natura che cos’è? È la
spinta verso il giovevole e la concordia, cioè con i valori che la legge della città riduce a zero.
Gli uomini sono uguali, per natura sono tutti uguali barbari e greci, perché tutti hanno gli stessi
bisogni.

TRASIMACO: afferma invece che la giustizia è sempre una maschera che nasconde gli interessi dei
più forti politicamente. La giustizia non è altro che l’utile del più forte e le leggi sono solo gli
strumenti che i gruppi potenti usano per i propri interessi.

CALLICLE: la legge di natura si identifica e deve identificarsi con il diritto del più forte e le leggi civili
sono soltanto dei mezzi di difesa inventati dai deboli per salvaguardarsi dai potenti. I deboli non
reggendo lo scontro con i più forti hanno cercato di difendersi con la politica e le leggi.

Questo dibattito così acceso sulle leggi è molto stimolante e interessante. La distinzione tra leggi
di natura (non scritte) e leggi umane (scritte) costituisce una delle eredità più preziose dei sofisti
perché rappresenta lo schema teorico che starà alla base della filosofia giuridica occidentale e
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

IL LINGUAGGIO

Abbiamo già visto che la scoperta della forza del linguaggio e della parola è una delle grandi
scoperte dei sofisti, che ne scoprono la potenza proprio nella frattura che pongono tra pensiero-
essere-verità stabilito da Parmenide.

PROTAGORA: antilogie

GORGIA: la parola perde ogni potere rivelativi nei confronti della realtà

Dopo Gorgia non si può più eludere il problema: il linguaggio è naturale o convenzionale? Natura o
cultura? Il linguaggio cioè ha una origine naturale che permette di spiegare la connessione tra
significante e cosa significata, oppure è convenzionale e dunque autonomo dalla realtà?
Queste discussioni segnano il passaggio da una fase acritica della problematica filosofica fondata
sul criterio dell’identità tra i due termini, a una fase critica contrassegnata dalla consapevolezza
della problematicità del loro rapporto.

Con la seconda generazione dei sofisti abbiamo la crisi e la dissoluzione del movimento. La
sofistica infatti giunge con questi filosofi alla creazione della cosiddetta ERISTICA (da éiro = dico)
ossia l’arte di vincere nelle discussioni, confutando le affermazioni dell’avversario, senza riguardo
per la loro intrinseca verità o falsità concettuale. Con l’eristica la filosofia si risolve nella retorica.

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