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Walter

Pierpaoli e Pippo Zappulla


Centoventi e passa, di media
Vivere bene, invecchiare giovani e morire sani
Studi clinici, effettuati per la prima volta sull’uomo, dimostrano in maniera
inconfutabile che la melatonina, da sola, è in grado di invertire
straordinariamente il processo di invecchiamento
Indice
Cap. 1 - Invecchiare mantenendosi giovani
Cap. 2 – Faust e il mito
Cap. 3 – Un mondo al femminile
Cap. 4 – Si salvi chi può
Cap. 5 – Il fondamento della salute
Cap. 6 - Il trapianto di pineale
Cap. 7 - La sperimentazione animale
Cap. 8 – Funzione della pineale e invecchiamento
Cap. 9 – La ghiandola pineale e la melatonina
Cap. 10 – I parametri clinici dell’invecchiamento
Cap. 11 – La menopausa, classico segno d’invecchiamento biologico
Cap. 12 – La conferenza di Berkeley e la melatonina
Cap. 13 – Melatonina e invecchiamento
Cap. 14 – Come mantenersi in buona salute, a contatto con la natura
Cap. 15 - Me l’ha prescritto il medico! Attività sessuale e sistema
immunitario
Cap. 16 – La ricerca scientifica e la medicina pratica
Cap. 17 – Odisseo, chi era costui?
Cap. 18 – Le Conferenze di Stromboli su Cancro e Invecchiamento
Cap. 19 – Il diabete
Cap. 20 – AIDS
Cap. 21 – Le patologie
Cap. 22 – Domande ricorrenti. FAQ (Frequent Asked Questions)
Cap. 23 – Risposte veloci
Concludendo
Appendici
A. Lettere
B. Lavori scientifici
Bibliografia
Prefazione
Mi guardo in giro nel mondo del 2002, e mi sforzo di far mie le probabili
considerazioni di un bambino dei nostri giorni. Per scrivere questa introduzione,
senza cadere nelle banalità della retorica, cerco nella mia remota infanzia
emozioni e sentimenti struggenti e lontani.
Non ho altra scelta. Vi siete mai chiesti con quanto distacco e disincanto noi
‘adulti’ guardiamo al divario che esiste tra ciò che chiamiamo Realtà, e la
Natura (o quello che ne è rimasto)? Oppure: chi ha ancora tempo per meditare e
riflettere, senza che venga divorato dalla voragine del temporaneo, dal
narcisismo imperante, che sfocia e si autoalimenta nella ‘narcosi perenne’?
Visti quindi con gli occhi di un bambino, ecco i tre motivi che hanno fatto
maturare in me l’idea di questo libro.
1
1) Ho conosciuto Pippo Zappulla, ed è lui lo scrittore che sa realizzare queste
cose con la sua arte.
2) Abbiamo imparato a rispettarci e ad amarci, e da qui si è manifestata la
fiducia e la serenità che ci fa trovare espressioni entusiasmanti ed esilaranti,
come due bambini perduti in un gioco all'aperto. Ci divertiamo da matti.
3) Abbiamo da raccontare avvenimenti e vicende che lasceranno un solco
indelebile; ne siamo certi, anzi certissimi. Sarebbe un peccato se le meravigliose
notizie scientifiche che riguardano la salute di tutti, rimanessero qua e là
nascoste nel mio cassetto, più o meno in pezzi slegati fra loro. A che sarebbero
allora serviti i miei quarant’anni d’attesa?
Pippo mi ha chiesto di scrivere un’introduzione a questo libro, e io mi sono
detto: «se voglio che serva a qualcosa, devo rifletterci su bene».
Ho preso quindi il coraggio a due mani e, giusto o sbagliato che sia, ho
deciso di mettere nero su bianco quello che penso del mondo, e dei bipedi che lo
popolano (coprendolo, ormai quasi del tutto, di arti e di membra).
Io, il mondo lo vedo così: a un bivio straordinario. Ignoro cosa potrà
accadere in futuro.
So però con certezza che tutti hanno, di nuovo, fallito; e in particolare gli
assatanati accentratori di denaro e potere, inconsci strumenti di ataviche neurosi.
Infatti, costoro hanno semplicemente dimenticato di essere destinati alla
decrepitezza e alla morte, e
‘giustamente’ non hanno nessuna intenzione di porvi mente. Non ne hanno il
tempo, perché la loro agenda è zeppa di impegni irrevocabili e solenni.
Poi, improvvisamente, parte un trombo o scoppia un vasellino: fine della
narcosi.
Omini, più o meno verbosi, quelli prigionieri dei propri bagni con i rubinetti
d'oro, ma anche quelli dallo spirito spartano ed emuli del buon samaritano,
hanno inventato il mondo come noi lo vediamo ora, cadente, e si sono
autoproclamati, di volta in volta, economisti, sociologi, banchieri, finanzieri,
imprenditori, professori.
Hanno costruito il mondo, ma non hanno compreso una verità elementare. E
cioè, che l'economia del profitto è una patologia, e porta a sicura rovina.
Il prevedibile e irreversibile crollo, cui stiamo assistendo, della ‘crescita
perenne’, specchietto irresistibile per i piccoli investitori, ne è la sicura riprova.
Ora però parliamo di cose serie. Vale a dire della salute: in fondo, non è forse
il nostro unico bene, anche se ci hanno raccontato che le sofferenze (comunque e
sempre inevitabili!) ci nobilitano?
Io mi chiedo: ma il mondo non funzionerebbe forse meglio se non esistessero
dolori e sofferenze e se, nel nostro caso, la vecchiaia non fosse accompagnata da
una serie infinita di guai?
Allora, perché, almeno, non provare?!
Scuotiamoci quindi dalla narcosi nella quale ci hanno precipitato i dottori, e
scendiamo dal letto a baldacchino pieno di ragnatele sul quale la Bella
Addormentata nel Bosco giace da secoli. Scuotiamoci dalla narcosi e…
rinasciamo.
Anni fa un necrofilo qui dei dintorni, come ce sono purtroppo tanti in
circolazione, quelli cioè che hanno la morte nel cuore, dopo avere ascoltato
esterrefatto i ragionamenti che gli andavo esponendo, così come sono del resto
riportati in questo libro, mi apostrofò scandalizzato: «Ma la vita è una cosa
seria»!
Evidentemente la stupidità (per non parlare poi della necrofilia!) ha radici
profonde.
La gioia di vivere ha molti nemici, geneticamente agguerriti. Sono quasi
invincibili.
Non mi sembra perciò il caso di dilungarmi in strazianti lamenti e accorati
appelli: la Selezione Naturale, vale a dire il ‘si salvi chi può’, funziona in
automatico: lasciamo una volta ancora che sia la Natura a operare una selezione
tra chi capisce, e si adegua (specialmente le donne, naturalmente!), e chi invece
ritiene di avere un cervello tutto corteccia, e ignora quanto c'è sotto: l’atavico e
vero cervello dell'anima che si trova nell’ippocampo.
Walter Pierpaoli
Prologo
2
Una mattina di luglio Walter si è messo a parlare di questo e di quest’altro, e
anche delle sue scoperte. Visto che non la finiva più, gli ho piazzato davanti il
registratore. Ne è venuto fuori un libro, ed è questo, fra l’altro, il motivo per cui
esso viene pubblicato adesso sotto forma d’intervista.
La teoria di Walter si può riassumere così: assumendo una semplicissima
molecola naturale, che si chiama melatonina, da pochi soldi (perché non è
possibile brevettarla, poi vedremo perché), possiamo vivere a lungo, molto a
lungo, lucidi, e sani come pesci; poi, quando si è piuttosto avanti con gli anni, si
assume un’altra diavoleria che lui intanto sta studiando, e si va avanti per un
altro bel po’ di anni. Infine, a 120 anni suonati, ci si addormenta, e la mattina
dopo non ci si sveglia più.
Interessante, no? Ora io dico, anche senza voler essere fanatici a tutti i costi:
mettiamo che lui abbia sbagliato i calcoli; invece di 120 saranno 105, a me va
bene lo stesso, e senza malattie, che ve ne pare?
Al momento in cui scriviamo, Walter ha 66 anni e io ne ho (appena) 60. In
altre epoche saremmo stati due vecchietti male in arnese, mentre oggi tutti ci
considerano due signori di mezz’età (in senso letterale, badate!); ci siamo infatti
proposti come traguardo i 120 anni (di media): me l’ha promesso Walter, e io gli
credo!
In ogni caso, quando leggerete questo libro, magari fra 30 o 40 anni, e vi
renderete conto che noi due siamo già morti e sepolti, non dite subito: si erano
sbagliati!
Walter infatti sostiene che ognuno ha il diritto di pensare di essere immortale,
fino all’ultimo respiro, cioè fino a prova contraria; dite piuttosto, caso mai ci
fossimo proprio sbagliati (Walter soprattutto!), ‘se ne sono andati in buona
salute’, perché è fondamentale morire sani. La stessa cosa auguriamo a voi che
ci leggerete.
Inoltre, per favore, non lasciatevi ingannare dal tono leggero che ho deciso di
dare a questo prologo: credetemi, è soltanto un artifizio perché non vi possiate
annoiare fin dalle prime pagine.
Le cose che dico (che dice Walter) sono invece serissime; molte di esse sono
anzi terribilmente vere, ma nessuna potrà davvero incutervi spavento, tutt’altro!
(che so: ‘se non fate questo, invecchierete presto, sarete perseguitati dai rimorsi,
ingrasserete, il vostro colesterolo andrà alle stelle’; oppure: ‘morirete tardi ma
non vi ricorderete più dove abitate e, soprattutto, come e quando avete fatto
l’ultima volta l’amore, e se è stato ancora piacevole oppure no’, e cose di questo
genere).
Noi l’abbiamo scritto per divertirci, è vero; ma, leggendo, succederà anche a
voi.
Walter infatti sostiene che il mondo si divide in due categorie: quelli che
pensano di essere nati per soffrire (morte compresa); e quelli che pensano a
vivere, anzi a spassarsela.
Decidete da che parte volete stare.
Non ha importanza chi morirà per primo, ma vuoi mettere la differenza?
Quelli infatti che fanno della preparazione alla morte lo scopo più importante per
cui vivere, come se il luttuoso evento fosse il più significativo della loro vita,
sono pesantucci da sopportare, e soprattutto non tollerano l’allegria degli altri.
E se Walter, come scienziato e ricercatore, fosse pazzo?
Ovviamente, ci ho pensato anch’io, cosa credete. Pazzo lui? Avete anche voi
gli occhi, no? E allora guardatevi in giro e fate come me: scompisciatevi dalle
risate, non aggiungo altro. Ma li leggete i giornali? E se li leggete, siete disposti
a credere che sia pazzo uno che prolunga la vita a innocenti topolini fino a tre
anni e passa, mentre un topino di razza (della stessa ‘etnia’ naturalmente)
raggiunge a stento i due anni? (sarebbe come dire 120-130 anni per l’uomo, vi
sembra poco?). E il pazzo non è non piuttosto chi pensa a organizzare guerre e
massacri, ad affamare il prossimo, con l’avallo della scienza, medicina
compresa?
Se questa è pazzia, viva la pazzia!
E sarebbe, invece, sano di mente chi? per esempio.
Pippo Zappulla
Cap. 1 - Invecchiare mantenendosi giovani
La vita è l’arte del dosaggio del tempo
e della distribuzione dell’amore. (Walter Pierpaoli)
Caro Walter, dopo anni di ricerca scientifica, qual è la scoperta della tua
vita, quella che consideri più importante e significativa?
Voglio cominciare con uno scherzo. Francamente, quello che io mi sono
sempre chiesto è: che mi serve fare grandi scoperte, strepitose, se poi divento
vecchio e malandato, e crepo? Direi quindi che la scoperta più importante della
mia vita è stata quella di aver trovato la chiave di volta per rimandare nel tempo
l’invecchiamento e la morte. Avrò così più tempo per dedicarmi agli aspetti della
vita che più mi interessano. Quindi, da un punto di vista logico e anche
filosofico, io ritengo, tutto sommato, che il successo, cioè la sfida suprema
dell’uomo, è la 3
lotta contro la morte. E non importa il modo grazie al quale uno arriva al
traguardo (con la melatonina, cioè, o con altre molecole della pineale ecc.); ciò
che conta è invece che, attraverso la ricerca scientifica, si sia in un certo senso
compiuto il mio destino di ricercatore, che è quello di vedere realizzate le
proprie scoperte. Perché, se queste rimanessero sulla carta, non interesserebbero
proprio a nessuno.
Io infatti, oltre a essere un ricercatore, sono una persona pratica, e sono
anche un medico. Mi sono preso la briga di passare quarant’anni a studiare
perché si invecchia: credo di aver capito molto, e adesso sono quindi in grado di
applicare ai pazienti ciò che ho imparato. E, fra l’altro, mi diverto a farlo.
Ora infatti dispongo del tempo di cui avevo bisogno; perché, se è vero che si
invecchia lentamente (e chissà quanto vivremo più a lungo e in buona salute!),
non mi mancherà certo l’occasione per divertirmi nel vedere realizzati gli
obiettivi che intendevo raggiungere.
Per tornare quindi alla tua domanda, credo di aver scoperto sostanzialmente
la base biologica dell’invecchiamento, avendo trovato la chiave del perché, e di
come si diventi anziani. Senza questa fondamentale scoperta, non sarei stato in
grado di mettere a fuoco le molecole di cui abbiamo bisogno per realizzare il
sogno faustiano; né, tantomeno, per vedere compiuta l’altra mia grande scoperta
(e che mi è costata un’immensa fatica), cioè la base biologica dell’immunità,
quella cioè che darà il via a una nuova era nel campo dei trapianti.
La scoperta che l'invecchiamento è ritardabile, e persino reversibile, non ha
ancora raggiunto la coscienza dei più.
Infatti, il lavaggio del cervello che avviene fin dalla nascita, imprime una
visione precisa e indelebile del corso della nostra vita; in questa visione, la
presenza costante di malattie, ansie e dolori fa parte del ‘destino’ dell'uomo.
In realtà, invece, l'invecchiamento e la morte sono due entità separate e
distinte che non hanno nulla di misterioso; e che fanno semplicemente parte di
un preciso programma ormonale! Tale programma è chiaramente identificabile
nella durata massima della vita nei mammiferi omeotermi (a sangue caldo), cui
l'uomo, purtroppo, appartiene; mentre non si conosce quanto a lungo vivano, e in
quali circostanze muoiano i poichilotermi, vale a dire gli animali a sangue freddo
(pesci, rettili, anfibi) che continuano ad andare avanti negli anni, e che muoiono
poi generalmente, per quanto ne sappiamo, di ‘incidenti’.
Quali sono state le tappe fondamentali del tuo processo di ricerca?
Si sono venuti delineando in maniera sempre più netta e marcata alcuni punti
che io reputo essenziali. Abbiamo scoperto cos’è l’invecchiamento, e ciò
secondo me è più importante di tutto il resto. L’invecchiamento infatti si basa
sostanzialmente sull’appiattimento, la scomparsa, la desincronizzazione dei ritmi
ormonali.
Hai affermato da qualche parte: «Quello che gli altri studiosi della
ghiandola pineale concepivano come un semplice sintomo dell’invecchiamento,
io cominciai a considerarlo come la causa stessa dell’invecchiamento».
Io ho cominciato a pensare che, restaurando i ritmi notturni di melatonina,
che hanno a che fare con i cicli ormonali, si potessero ottenere dei benefici.
Pervenni a questa conclusione raccogliendo notizie dalla letteratura scientifica
esistente, ma anche grazie agli esperimenti condotti in laboratorio. In questo
senso, uno degli esperimenti fondamentali, e di cui parleremo in seguito in
questo libro, fu quello di lasciare i topolini, giorno e notte, esposti alla luce di
una lampada. Ciò mi permise di osservare come, alterando il ciclo giorno/notte,
a partire dalla quarta generazione, i topolini non crescevano più, e morivano
prematuramente. Tutta la storia ha avuto inizio da questa semplice osservazione,
che però in precedenza nessuno aveva mai realizzato. Però, come diceva Pasteur,
la fortuna viene incontro alla mente preparata; e la mia fortuna è stata di non
avere pregiudizi di sorta.
Già infatti nel 1977 avevo intuito come il bioritmo circadiano ( circa diem,
cioè della durata di un giorno), con l’alternanza del giorno e della notte, sia alla
base della salute e della vita. Questa intuizione legittimava il mio interesse per la
melatonina, come sostanza in grado (forse) di prolungare la vita. E ciò, proprio
in quanto la sua produzione è legata al ritmo circadiano, e diminuisce con
l’andare degli anni nel corso della vita. Era quindi ipotizzabile che, attraverso la
somministrazione esogena (dall’esterno) di melatonina, sarebbe stato possibile
ricostituire il ciclo primitivo, con conseguente allungamento della vita. E così
infatti è avvenuto.
Però, non ti sei fermato a questo risultato.
No, guai! Al contrario, ha scatenato interrogativi a non finire. A partire dalla
questione che, forse, nella pineale potrebbero esistere sostanze molto più potenti
della stessa melatonina; e arrivando così a ipotizzare, e quindi a eseguire, il
trapianto di pineale. Fu il primo punto fermo, che mi permise di intuire come, in
effetti, non era tanto la melatonina, da sola, a prolungare la vita, ma piuttosto la
pineale stessa. Oppure, al contrario, a impartire l’ordine 4
d’invecchiare, come è appunto accaduto quando ho trapiantato la pineale
vecchia in un topolino giovane (che è invecchiato rapidissimamente). C’era
quindi qualcos’altro d’importante che andava ben oltre la semplice melatonina:
credo che avremo modo di parlarne diffusamente in questa nostra conversazione.
Aggiungo, per adesso, soltanto un’altra informazione, che siamo cioè arrivati al
punto in cui i principi, ampiamente sperimentati in laboratorio (pubblicati su
riviste scientifiche di prim’ordine), potrebbero già venire applicati all’uomo, in
senso profilattico e terapeutico.
Cap. 2 – Faust e il mito
Chi dice che esistono uomini vecchi?
Esistono solamente uomini giovani o uomini morti.
I cadaveri in movimento non contano. (Walter Pierpaoli)
Tu hai appena citato il mito di Faust; ovviamente, in questo contesto non
potrebbe esistere richiamo più pertinente a uno dei sogni che l’uomo coltiva da
sempre, quello dell’eterna giovinezza e dell’immortalità. Però, rimane, appunto
un sogno, che per qualcuno potrebbe suonare addirittura blasfemo. Non sarebbe
in ogni caso meglio lasciar fare alla natura?
È una domanda che, come puoi immaginare, mi è stata posta infinite volte. A
mio avviso, l’umanità si divide in due categorie: esistono i depressi e i necrofili,
che hanno la vocazione all’invecchiamento; e poi ci sono persone che non
accettano passivamente l’idea dell’invecchiamento e della fine, e vogliono
piuttosto vivere. Sono due atteggiamenti genetici, psicologici, culturali,
fortemente radicati nell’uomo, tanto che è quasi impossibile mutarli.
Ne ho conosciute di persone che non ne volevano sapere di prolungare la
loro vita! Quando è stato presentato negli Stati Uniti il libro che ho scritto,
insieme a Bill Regelson e con Carol Colman, The Melatonin Miracle, siamo
andati a far festa in un rinomato ristorante di New York. Accanto a noi, sedute a
tavoli diversi, c’erano due coppie di anziani. Abbiamo provato a chiedere loro se
avevano sentito parlare di melatonina e di come essa sia in grado di prolungare
la vita. Ebbene, una coppia apprese la notizia con entusiasmo ed eccitazione;
l’altra, invece, era piuttosto infastidita, e manifestò chiaramente di non volerne
sapere né di melatonina né di prolungamento della vita.
D’altra parte, intendiamoci: la mia non è un’aspirazione narcisistica, come se
desiderassi vivere per sempre; si tratta piuttosto di una sfida di carattere
filosofico-scientifico. Semplicemente cioè, io non credo né all’invecchiamento
né alla morte. Ritengo, al contrario, che l’uomo sia libero di pensare fino
all’ultimo respiro che non sta andando a morire. E men che meno di una
qualsiasi malattia.
Se poi ciò non si verifica realmente, poco importa! Io però, fino alla fine,
crederò fermamente che l’invecchiamento è evitabile, e che noi vivremo a tempo
indeterminato; e saremo anche in grado di capire perfettamente perché si muore,
anche se in perfetta salute, per così dire. È, in sostanza, una questione che attiene
alla libertà stessa dell’uomo; il quale è libero di credere alla possibilità concreta
di realizzare questo sogno. Un sogno che è lecito, e che ci libera da tutti i dogmi,
le remore e le inibizioni che ci sono stati inculcati.
È vero, è la sfida suprema, ma essa non ha niente di blasfemo, e fa invece
riferimento al senso gioioso e bello della vita!
Niente a che vedere quindi, con certi fenomeni, quasi da fantascienza, in cui
ci si prepara puntigliosamente a un trapasso da… surgelati, in attesa che la
scienza ‘sconfigga’ (chissà, un domani) la morte?
No, infatti. Nei casi che tu citi c’è una macabra, oscena e orrenda
messinscena, che nulla ha a che vedere con l’idea dell’invecchiamento e della
morte che mi appartiene, intesa cioè come desincronizzazione ormonale del
mammifero uomo; il cui cervello, nonostante sia programmato in un certo modo,
può essere però riprogrammato a tempo debito, grazie a una corretta
interpretazione del programma ormonale originario. Non c’è niente di
misterioso! Questa è la grande scoperta: l’invecchiamento è un fenomeno
biologico perfettamente interpretabile e, proprio perché tale, modificabile. La
novità è, semmai, che adesso siamo in grado di dimostrare in molti modi questa
affermazione, sia sul piano sperimentale, sia in ambito clinico, addirittura.
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Delle dimostrazioni avremo modo di parlare più avanti. Però, fammi capire
bene: nonostante quanto tu affermi, esiste tuttavia, purtroppo, l’invecchiamento,
ed esiste anche la morte…
A scanso di equivoci, vorrei che fosse chiara una distinzione fondamentale:
esiste un piano di filosofia della scienza, per così dire, e in questo ambito le
affermazioni o le ipotesi hanno un determinato valore, e vanno interpretate
all’interno di questo contesto. Esiste poi un piano sperimentale, in cui le
osservazioni e le scoperte assodate, perché verificate scientificamente, non
possono essere contraddette e, tantomeno, ignorate. Nel primo caso, io posso
avanzare delle ipotesi o pronunciare delle affermazioni, estrapolando o portando
alla logica conseguenza, le mie constatazioni; non sono però in grado di stabilire
se esse sono vere o false.
Ricorro a un esempio per spiegarmi meglio: nonostante io sostenga di aver
trovato la chiave biologica dell’invecchiamento, non sono però in grado di
determinare con certezza quale sarà il mio stato di salute fra dieci anni; per
poterlo stabilire, dovrei infatti correre avanti di dieci anni, e verificare così come
staranno veramente le cose a quella data (posso dire però che oggi sto molto
meglio di dieci anni fa, questo sì, e a me basta!). Sul piano sperimentale, però, la
certezza che ciò che vado affermando è vero, io l’ho già raggiunta di fatto. Nel
senso che ho già abbondantemente verificato, per esempio, che i topolini in
laboratorio, trattati in un certo modo, prolungano la loro esistenza, in ottima
salute, oltre ogni limite ipotizzabile, per la specie cui appartengono. Quanto al
resto, voglio dire, facendo questa volta le debite trasposizioni all’uomo, io
assisto costantemente a recuperi incredibili in persone anziane che applicano i
miei principi. Non si tratta quindi di un atto di fede, ma piuttosto di un
atteggiamento culturale o, se si vuole, di apertura mentale e di intelligenza (nel
senso più esaustivo del termine, e non quindi solamente come pura e fredda
razionalità).
Perché, hai qualcosa contro la razionalità?
Voglio chiarire questo concetto, perché per me è fondamentale. In realtà, il
cervello ‘intelligente’ è l’ippocampo, cioè la parte che costituisce la base del
cervello, quella che sta sotto, a cui fanno capo le emozioni. La ratio, invece, in
genere disturba tutto il resto. Io mi spingo addirittura ad affermare che la
razionalità è una sorta di demenza; così come, la cosiddetta intelligenza
superiore, è spesso una forma di pazzia bella e buona.
Cap. 3 – Un mondo al femminile
Dedicato alla mia ‘Dama di Cuori’. (Walter Pierpaoli)
Intelligenza che, ricollegandoci al capitolo precedente, mi pare di capire da
certi tuoi altri scritti e discorsi, tu saresti propenso ad attribuire più alle
femminucce che ai maschietti, o mi sbaglio? Qual è in sostanza il ruolo del
‘femminile’ nell’avventura del genere umano?
Io sono ‘femminista’ al cento per cento (lasciamo perdere il termine, in sé e
per sé, che si presta a interpretazioni che non mi trovano del tutto d’accordo, se
vuoi). Nutro infatti una totale fiducia che il mondo passerà nelle mani delle
donne, e per molte ragioni. Anni fa ho conosciuto il famoso antropologo
americano Ashley Montagu, autore del best seller The natural superiority of
women, il quale affermava che la donna è naturalmente superiore all’uomo,
perché da qualche millennio a questa parte si è vista costretta a sobbarcarsi
fatiche e pesi inauditi, riuscendo tuttavia sempre a sopravvivere, grazie alla sua
innata flessibilità. La donna è, secondo me, infinitamente più ‘intelligente’ e
versatile dell’uomo. E non è affatto un caso che viva più a lungo.
E perché è più longeva? Evidentemente perché la femmina, ai fini della
conservazione della specie, è più importante del maschio, e porta su di sé
responsabilità maggiori rispetto a quest’ultimo. Se poi la situazione di oggi è
quella che tutti conosciamo, ciò è dovuto a tutte le angherie che la donna ha
dovuto subire nel corso dei secoli per le umiliazioni (per non parlare delle
soppressioni sul rogo al tempo delle ‘streghe’) che le varie religioni, la politica,
il potere, le hanno inflitto in continuazione. A tal punto da risultare totalmente
spogliata della consapevolezza del proprio valore e del proprio ruolo.
Così, la donna ha finito per essere soggiogata totalmente da questi ridicoli
ometti con tre cromosomi ‘y’, i quali, da bambini cattivi e capricciosi quali sono,
e dominati dal testosterone, debbono pur manifestare di essere in gamba, oltre
che superiori e più intelligenti. La donna però, per sua fortuna, ha anche questa
di capacità, che riesce perfino a sopportare gli uomini! D’altra parte, se noi
guardiamo i due millenni che ci siamo appena lasciati alle 6
spalle, non possiamo che rabbrividire semplicemente dall’orrore! È stato
infatti questo un mondo interamente dominato dagli uomini maschi, e da questi
distrutto (nella natura, nella cultura, nei valori).
Adesso che non c’è quasi rimasto più niente da distruggere, ed essendo
molto probabilmente calati i livelli di testosterone grazie anche agli estrogeni
che il maschio ingerisce in quantità sempre maggiori con il cibo; ed essendosi
quindi i maschi un po’ femminilizzati, senza volerlo, e magari sull’orlo
dell’impotenza; non resta che lasciare spazio alla donna: il futuro è senz’altro
suo! Purché si tratti ovviamente di vere donne, quelle cioè in grado di tirar fuori
tutte le loro qualità: dolcezza, sensibilità, intuizione, flessibilità, tolleranza, le
sole capaci di dominare il mondo che verrà. Personalmente, nella cerchia
famigliare, sono circondato da donne che adoro.
Ciò vale per il femminile in quanto tale? Voglio dire, anche per i tuoi
topolini femmina, o è riferito soltanto alla donna? C’è in sostanza un
fondamento scientifico per le tue affermazioni, che va al di là delle peculiarità
del genere umano?
Quanto ai topolini, io preferisco avere a che fare con le femmine, perché
vivono più a lungo, sono tranquille, non si azzuffano e non si feriscono fra di
loro. Ma aggiungo subito che la donna, e quindi il femminile, per me rappresenta
le fasi lunari, il ritmo, la ciclicità, il flusso e riflusso delle maree, cioè tutto
quanto di bello e pulsante di vita esista nel creato.
Oltre che affascinanti per chi ti ascolta, quanto sono stati importanti questi
concetti ai fini delle tue scoperte sull’invecchiamento?
Sono stati semplicemente fondamentali. I cicli lunari e planetari sono infatti
legati a quelli ormonali. I segnali che ritmano la nostra vita, dalla nascita alla
morte, sono quelli circadiani (legati all’alternanza giorno/notte), quelli lunari e
quelli stagionali; particolarmente importanti sono poi le variazioni di luce e di
temperatura. Tutto ruota attorno a queste condizioni primarie che regolano ogni
istante del nostro ciclo vitale: nascita, crescita, fertilità, declino e morte.
Tali segnali scandiscono in maniera precisa i programmi ormonali: le
variazioni ritmiche circadiane (cioè, nell’arco delle ventiquattro ore) degli
ormoni tiroidei, surrenalici e sessuali, che si sono formati nell'evoluzione del
mammifero uomo. Noi siamo quindi totalmente guidati e condizionati dalla
regolazione ormonale che viene pilotata dalla ritmicità lunare e planetaria. Del
resto, la vita sulla terra è venuta dal mare, e si è probabilmente sviluppata grazie
ai ritmi lunari, e quindi alle maree, che rappresentano un movimento ritmico
dovuto all'attrazione lunare.
Sta di fatto che l'invecchiamento va totalmente attribuito alla rottura della
relazione sincronica dell’uomo con i ritmi planetari-ormonali, regolata dalle
strutture del sistema nervoso che fanno parte del circuito cerebrale ipotalamo-
ipofisi-pineale. Tale circuito integra e sincronizza i ritmi notte/giorno della
sintesi e secrezione di tutti gli ormoni.
Ciò è talmente ovvio che ognuno di noi è in grado di rendersi conto, vivendo
immerso nell'ambiente terrestre, come il condizionamento ambientale percepito
dai sensi (aria, luce, temperatura ecc.), e il nostro costante adeguamento ad esso,
siano fondamentali per respirare e vivere. Gli ormoni, e tutte le molecole del
corpo, seguono strettamente tale ciclicità, che è alla base della salute.
L'invecchiamento dell'uomo è quindi senza dubbio legato a un programma
genetico; però, l'espressione di tale programma è rappresentata dalla periodicità
circadiana del sistema ormonale!
Ne consegue che, se noi potessimo evitare la perdita della ciclicità ormonale
programmata, non potremmo più invecchiare! Da questo punto di vista, la
menopausa nella donna, e l'andropausa nell'uomo, rappresentano due esempi
tipici del decadimento della funzione ormonale ciclica che presiede alla
sessualità e alla procreazione.
Quanto è importante, e che significato può avere il fatto che la ghiandola
pineale nella donna è di dimensioni maggiori rispetto a quella dell’uomo? O, al
contrario, questa caratteristica è del tutto ininfluente quanto alla diversa
longevità che si registra nei due sessi?
Nel corso dell’evoluzione, la donna ha acquisito una maggiore longevità
rispetto all’uomo, per cui la sua fisiologia e i suoi ritmi si conservano integri più
a lungo. Qualcuno potrebbe obiettare che la menopausa rappresenta per la donna
la fine del programma riproduttivo. È vero, ma è ipotizzabile che la menopausa
sia prerogativa della donna proprio perché essa è destinata a vivere più a lungo.
Non so come vivessero le donne ai tempi delle caverne, o anche
precedentemente, ma è certo che nel corso di centinaia di migliaia di anni la
donna ha acquisito una maggiore longevità, basata sul suo sistema ormonale, e
quindi su progesterone, ritmi, cicli, in una parola sul mantenimento di una più
accentuata condizione giovanile.
Tutto ciò è espresso dalle dimensioni delle ghiandole e dalla loro
strutturazione; e, inoltre, dal cromosoma X, che 7
con tutta probabilità ha a che fare con questa regolazione. L’uomo, al
contrario, possiede il cromosoma Y che esercita su di lui un’influenza negativa:
il testosterone, infatti, porta con sé più guai che benefici: conferisce all’uomo
forti carattestiche mascoline, è vero. Guarda caso però, gli uomini ‘migliori’, i
più creativi, sono quelli che hanno, senza che per questo risultino
necessariamente omosessuali, accentuate caratteristiche femminili (la sensibilità,
la dolcezza, la flessibilità…).
Tutto ciò per dire che, nella storia dell’evoluzione, per esempio quando si
moriva prestissimo, era più opportuno, dal punto di vista della conservazione
della specie, che morte colpisse piuttosto l’uomo prima che la donna! Da
maschio, non posso che rammaricarmene: potrei al massimo desiderare più
ormoni femminili, ma non posso che arrendermi all’evidenza.
A livello più generale, qual è il vero senso della scoperta dell’aging clock,
con riferimento alla ghiandola pineale?
La vera scoperta è che la base della salute consiste soltanto e semplicemente
nella capacità di adattamento, sia in senso fisico che psichico! Chi è in grado di
conservare tale caratteristica, vive; chi la perde, invecchia e muore, non c’è
scampo! In altre parole, il mantenimento dei cicli ormonali naturali, sintonizzati
con il sistema planetario, non soltanto ci mantiene in buona salute, ma previene
l'invecchiamento (sfasamento dei cicli, appiattimento, perdita della
sincronizzazione circadiana e stagionale ecc.).
La stessa intelligenza, quella vera, e non soltanto quindi quella ‘razionale’, è
rappresentata semplicemente dalla flessibilità e dall'arte di adattarsi alle
circostanze; il che fa sperare, in ultima analisi, in una sopravvivenza più
marcata. Credo che la ragione vera della prolungata vita della donna, rispetto a
quella dell’uomo, stia tutta qui. Le donne, infatti, sono molto più flessibili ed
elastiche degli uomini, e hanno sviluppato, sia in senso psichico che somatico,
una maggiore capacità di adattamento del corpo e della mente, a difesa della
specie e della prole.
Ciò spiega perché chi è flessibile e si adatta, vive più a lungo. Un banale
esempio ce lo fornisce in questo senso l'alimentazione: chi si è abituato a
mangiare e a bere eccessivamente, nel caso in cui dovessero venire a mancare
cibo e bevande, sarebbe il primo a soccombere (e ciò spiegherebbe anche, a mio
avviso, perché la natura abbia dotato alcuni individui di un intestino più lungo,
quasi fossero geneticamente predisposti a una maggiore resistenza così da non
soccombere in caso di prolungata carestia; negli Stati Uniti queste persone
vengono definite come long-gut guys).
Il vero segreto della longevità consiste quindi nel saper conservare la
capacità di adattamento somatopsichico. Ed è anche questa la ragione per cui i
veri egoisti, quelli cioè che se ne ‘fregano’ di tutto e di tutti, vivono più a lungo
di coloro che male si adattano alle esigenze della società, e finiscono per morire
di disadattamento e di di-stress sociale, responsabile di molte attuali malattie!
Viva la donna quindi, che non solo è riuscita a ‘sopportare’ i maschietti
aggressivi e frustrati, grazie alle sue doti di flessibilità, ma rappresenta un
simbolo di intelligenza vera, e di adattamento all’ambiente circostante.
Cap. 4 – Si salvi chi può
La luce naturale e la temperatura
modulano quella sana ciclicità stagionale
del corpo e dello spirito che non può essere
abolita da un prolungamento artificiale dell’estate,
o da un anticipo della primavera. Evitate
le lusinghe delle agenzie di viaggio. (Walter Pierpaoli)
Stando così le cose, e venendo alla realtà dei nostri giorni, quali sono, a tuo
avviso, i più grossi grattacapi con cui l’umanità si trova a fare i conti in questo
momento storico?
Io ho una visione molto nitida della situazione attuale, cosa che purtroppo
non mi pare di ravvisare spesso in altri cosiddetti scienziati.
Intanto, l’economia. Io credo che una qualsiasi persona sana di mente, anche
non particolarmente dotata di spirito critico, quando sente parlare della borsa di
New York e di Mr. Greenspan, dovrebbe semplicemente mettersi a ridere a
crepapelle. Questo è infatti un sistema destinato inevitabilmente a crollare,
essendo basato su un principio che non sta in piedi, vale a dire quello della
crescita perpetua.
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Ora, come i grandi saggi del passato affermavano, se ogni seme caduto in
terra germogliasse e diventasse pianta, questo mondo ne sarebbe soffocato e
morirebbe. Però, per nostra sfortuna, mentre la natura si è dotata di validissimi
meccanismi atti a frenare una catastrofica crescita incontrollata, la stessa cosa
non avviene per quanto l’uomo ha costruito con le proprie mani. È pura follia
pensare che esista una crescita perenne, basata sull’aumento dei consumi; ciò
condurrebbe semplicemente a un suicidio collettivo!
Un altro degli aspetti di cui non si parla adeguatamente è la situazione di
estrema povertà delle popolazioni dell’Africa e dell’America Latina che tutti, a
parole, dichiarano solennemente di voler aiutare. Paradossalmente, il danno
maggiore l’hanno prodotto proprio gli scienziati e i medici che, grazie ai loro
antibiotici e alle vaccinazioni di massa, si sono limitati esclusivamente a salvare
la vita di milioni di persone, senza però preoccuparsi del resto.
Si sono limitati, in che senso? Cosa c’è di tanto disdicevole nel salvare la
vita di milioni di persone?
In sé, l’operazione è lodevole, e pure meritoria, ci mancherebbe! Lo è meno
se si considera che, essendosi appunto limitati a salvare delle vite umane, senza
aver poi fornito adeguati strumenti culturali, si è finito per innescare un
processo, tale per cui i milioni di ‘salvati’ si sono riprodotti senza fine, dando
origine alle varie baraccopoli (vedi, per esempio, Nairobi, che alla lettera vuol
dire ‘città del sole’!) dove, in soli due metri quadrati,
‘dormono’ oltre dieci persone! Allora, vuol dire che la situazione è già
sfuggita a qualsiasi controllo, e che è impossibile porvi rimedio. E men che
meno vi potranno provvedere gli europei o gli americani (questi ultimi finiranno
per affogare nel loro grasso perché uno su due è obeso!), massima espressione di
una società profondamente malata.
Può sembrare un atteggiamento cinico il mio (e non lo è), ma l’Africa, il
Centro e il Sud America usciranno dal baratro in cui l’uomo bianco li ha
cacciati, quando quest’ultimo si ritirerà in buon ordine, lasciando in pace territori
e popolazioni che ha inteso colonizzare. I popoli cosiddetti civilizzati, e il
sistema capitalistico, hanno prodotto danni tali che rendono il recupero del
pianeta, a mio avviso, praticamente impossibile. È ormai troppo tardi!
È questo il motivo per cui, alla fine delle mie conferenze, io lancio a ragion
veduta e in maniera provocatoria il grido: ‘si salvi chi può’, sperando che almeno
qualcuno lo raccolga!
Cap. 5 – Il fondamento della salute
Il pragmatismo è la virtù sociale di quei
necrofili nati vecchi che si rivestono d’oro
e di gloria e sposano bambole di plastica (Walter Pierpaoli)
E proprio per rispondere al ‘si salvi chi può’, ed entrando quindi nel vivo
della nostra conversazione, ti chiedo: qual è la base della salute?
Moltissimi anni fa, sul National Geographic Magazine (sono abbonato dal
1956!), lessi un interessante articolo sulle popolazioni longeve, ricavandone la
convinzione che vive più a lungo chi riesce a mantenere una vita molto vicina e
in linea con la natura.
Si tratta in genere di popolazioni che abitano in montagna (Ande peruviane,
Nepal, Caucaso ecc.), e presentano tutte la medesima caratteristica, quella di
seguire i cicli della natura: camminano molto, vanno a dormire al calare del sole
e si alzano prestissimo al mattino, avvertono e subiscono le variazioni climatiche
delle stagioni, mangiano quanto offre loro l’ambiente circostante ecc. (mi torna
in mente la storia di un vecchietto di 104 anni che tutti i giorni prendeva un
bagno in un torrente gelato di montagna!).
Noi, popoli civilizzati, invece, che facciamo? Ci proteggiamo dal sole, dal
freddo, ci prendiamo cura del giardino, però coprendoci le mani con guanti
spessi, per non ferirci: ci separiamo, in sostanza, dalla natura, e non ci rendiamo
conto che, così facendo, infliggiamo grande sofferenza al nostro corpo, che
avrebbe piuttosto bisogno del contatto diretto con i cicli della natura, con
l’umidità, la temperatura esterna, la luce del sole e tanti altri fattori ambientali.
Resta però il fatto che i cicli naturali sono fondamentali per il mantenimento
della salute! Per non parlare poi dell’alimentazione, che oggi costituisce un vero
e proprio incubo, dato che non sappiamo più dove sia possibile reperire cibi sani,
a causa delle sostanze tossiche che inondano abbondantemente tutte le derrate
alimentari (anche quelle provenienti da coltivazione biologica) attraverso le
piogge e il vento.
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Che fare allora? E in particolare, qual è stato il percorso della ricerca
scientifica che ti ha portato alle conclusioni di oggi?
È stato un percorso lento e accidentato, tutt’altro che facile. Dopo essermi
infatti occupato per tantissimi anni di ormoni, di immunità e di risposte
immunitarie, e dopo aver contribuito alla formulazione della
neuroimmunomodulazione (NIM), coltivata oggi da migliaia di ricercatori, il
punto d’arrivo è stato lo studio della ghiandola pineale.
Ora, nella pineale esistono delle molecole che sono importantissime per
regolare il sistema endocrino; si tratta di sostanze che esercitano la loro azione
anche a molta distanza rispetto alla cellula che le ha prodotte, e la cui ciclicità è
assicurata dal Sistema Nervoso Centrale, cioè dal cervello. Tale ciclicità fa capo
a varie strutture che generano impulsi ritmici, tra le quali, per esempio, il Nucleo
Soprachiasmatico (SCN) e altre ancora.
La questione che mi assillava allora era però rappresentata dal pensiero che
doveva pur esserci un regolatore dei regolatori, per così dire; qualcosa in
sostanza che io sono solito paragonare al ragno e alla sua tela, in grado cioè di
percepire immediatamente tutto ciò che si verifica nel suo territorio. Per anni, mi
sono quindi messo alla ricerca del ‘ragno’: essendo infatti il sistema endocrino
una ‘tela di ragno’ estremamente raffinata e complessa, l’unico che ne conosce il
funzionamento effettivo è il ‘ragno’ stesso.
Fuor di metafora, e venendo alla ciclicità ormonale, io sono convinto di aver
individuato il direttore dell’orchestra, o il ‘ragno’, nella ghiandola pineale.
Devo confessare a questo proposito che mi c’è voluto parecchio tempo per
capire che la pineale, tramite le sue connessioni con tutto il sistema endocrino, e
attraverso la percezione della luce, dei ritmi, dell’umidità, della temperatura, dei
campi magnetici ecc., è alla base del sistema che regola tutta la ciclicità
ormonale, in ogni istante della vita. Essa ci tiene così collegati in perfetta
sincronia al mondo esterno, tramite i nostri occhi e la nostra pelle (siamo infatti
soltanto un involucro acquoso protetto da una membrana!); se ciò non avvenisse,
se cioè questo sistema non sottoponesse a monitoraggio costante tutte le variabili
del mondo esterno, noi moriremmo all’istante. È questa la magia!
La pineale non è infatti una ghiandola che opera direttamente, ma agisce
invece come la bacchetta del direttore d’orchestra, che in ogni momento dà
istruzioni all’oboe, al contrabbasso, al violino, ai piatti, ai timpani ecc.
Tenendo presente inoltre che la pineale ha una funzione diversa a seconda
dell’età evolutiva dell’individuo: è infatti un organo di sviluppo, con funzioni
diverse nel bambino, nell’adulto e nell’anziano.
Di per sé però la pineale non svolge nessuna attività specifica: se non fosse
collegata con le altre ghiandole (come ipofisi, ipotalamo) e i nuclei nervosi
dell’ipotalamo responsabili dell’impulso nervoso (nucleo soprachiasmatico),
rimarrebbe inattiva. Funge piuttosto da ammortizzatore in maniera da mantenere
inalterati tutti i ritmi, e costituisce un vero prodigio inventato da madre natura;
originariamente un ‘terzo occhio’, ancora oggi però, nonostante le
trasformazioni, ugualmente sensibile alla luce attraverso gli occhi.
Come sei giunto a questa conclusione?
Attraverso un percorso costellato di tali inenarrabili difficoltà, che mi è
perfino impossibile riassumerlo in breve.
Naturalmente, io sono uno sperimentatore, e i topolini, che io considero i
miei maestri, mi hanno sempre fornito le risposte che cercavo. Un lavoro costato
tempo, denaro, fatica, e addirittura impensabile in assenza della proverbiale
pazienza di Giobbe da parte del ricercatore. Alla conclusione, infatti, che oggi
vorrei tutti potessero conoscere, sono giunto attraverso intuizioni e successive
dimostrazioni; ma la vera chiave di volta per capire il meccanismo dell’ aging
clock, dell’orologio cioè che scandisce i tempi della crescita, della fertilità e poi
dell’invecchiamento è rappresentata dal trapianto di pineale.
Avevo già compreso infatti che la melatonina, una delle molecole secrete
dalla pineale, è in grado di prolungare la vita; ma soltanto il trapianto di pineale
(da un topolino giovane a uno anziano), mi ha fornito la certezza che
responsabile del prolungamento della vita in realtà è la pineale stessa.
Cap. 6 - Il trapianto di pineale
Occupiamoci quindi di questo passaggio fondamentale della tua ricerca: il
trapianto cioè della ghiandola pineale da un topolino giovane a uno vecchio.
Questa è stata infatti la vera scoperta. Il trapianto di pineale è una mia
invenzione esclusiva, resa possibile da una lunga esperienza maturata nel campo
dei trapianti e della microchirurgia.
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I primi trapianti si sono rivelati molto difficoltosi; bisogna infatti tener
presente che le dimensioni della ghiandola pineale, se nell’uomo sono quelle di
un pisello, nel topolino risultano paragonabili piuttosto alla punta (la punta, non
la capocchia!) di uno spillo.
In un primo tempo pensai di trapiantare la pineale nel timo, che è alla base
del sistema immunitario e ha, inoltre, una buona vascolarizzazione. L’idea era
valida; infatti, anche il timo si atrofizza durante l’invecchiamento; trapiantandovi
quindi una pineale giovane, avrei potuto osservare se il numero di cellule come
timociti e linfociti, importantissimi per regolare la resistenza alle infezioni,
avrebbe subìto delle variazioni nel tempo, oppure no.
E quale fu in sostanza la vera scoperta?
Che una pineale giovane, trapiantata in un organismo anziano, prolungava la
vita dell’animale molto più a lungo di quanto non avvenisse con la
somministrazione di semplice melatonina. Fra l’altro, la pineale trapiantata,
privata com’era delle proprie connessioni, e immessa in un organo diverso, si
vascolarizzava, ma non era più in grado, ovviamente, di produrre melatonina.
A essere quindi responsabile del prolungamento della vita non poteva che
essere la pineale stessa. Ciò però che ancora oggi definisco come semplicemente
pazzesco, fu il risultato del trapianto incrociato di pineale, dal topo vecchio cioè
a quello giovane; che dimostrò, al di là di qualsiasi aspettativa, che la pineale
vecchia, trapiantata nel topo giovane, lo faceva rapidamente invecchiare. Era
semplicemente stupefacente! Questi risultati sono stati pubblicati sul Volume
pubblicato dalla New York Academy of Sciences nel 1994 dopo la Terza
Conferenza di Stromboli sul Cancro e l’Invecchiamento nel 1993, e sui
prestigiosi Proceedings of the National Academy of Sciences degli USA, pure
nel 1994: è stato così dimostrato inequivocabilmente non solo che la pineale
giovane allunga la vita del topo anziano, ma anche che una pineale vecchia,
trapiantata in un topo giovane, ne provoca rapidissimamente l’invecchiamento.
Questo risultato è stato sconvolgente, e io non lo avevo affatto messo in
conto. D’altra parte, esso dimostra come la logica della natura ci sfugga
totalmente. È infatti di una tale semplicità ed eleganza, che nonostante abbiamo
la soluzione sotto il naso, non riusciamo a vederla.
Questi risultati sono oramai universalmente accettati in ambito scientifico,
oppure sussistono ancora delle resistenze?
In linea generale, fatte le dovute eccezioni, non solo non vengono accettati,
ma addirittura guardati con perplessa incredulità. Semplicemente.
Infatti, quando i risultati dei miei esperimenti furono pubblicati nel 1994
dalla più prestigiosa rivista scientifica degli USA, il Proceedings of the National
Academy of Sciences (l’Accademia Americana delle Scienze), io mi aspettavo
(legittimamente) che la notizia facesse velocemente il giro del mondo, per essere
quindi ripresa dai giornali più prestigiosi: era stata infatti trovata una volta per
tutte la chiave dell’invecchiamento! Invece, niente! Non accadde un bel niente,
te ne rendi conto?
La scoperta era talmente sconvolgente che finì per ammutolire letteralmente
tutti. E se essa ha scatenato una reazione, questa è stata del tutto negativa. Che
sciocco fui: naturalmente, avrei dovuto aspettarmelo!
Mi pare però che tu non abbia desistito, ma ti sia anzi dato da fare per far sì
che la notizia circolasse.
Sì, e su due fronti: quello della comunità scientifica, e quello della gente
comune. Sul primo versante, venne organizzata la terza Conferenza di Stromboli
su Cancro e Invecchiamento, cui parteciparono, su mio invito, quaranta fra i più
importanti studiosi della materia. Il tema della conferenza era appunto: The
Aging Clock (l’orologio dell’invecchiamento). Oltre ad avere un enorme
successo, la conferenza rappresentò per la New York Academy of Sciences, che
ne pubblicò gli atti, un bestseller storico (ormai addirittura introvabile, perché
esaurito).
Per portare invece la notizia al grande pubblico, ho scritto un libro, insieme
al mio amico William Regelson e con Carol Colman: The Melatonin Miracle
(tradotto in Italia da Rizzoli con il titolo La fonte della giovinezza), che si è
rivelato un bestseller, tradotto in diciassette lingue.
Ma, per dare ancora maggiormente l’idea di quale fosse la portata della
scoperta, vorrei aggiungere che la melatonina è in grado di rendere del tutto
inutili almeno il 90% dei farmaci attualmente in circolazione. Lascio a te e al
lettore ‘intelligente’ immaginare quale accoglienza potesse avere una notizia del
genere, da parte del mondo accademico e soprattutto dell’industria farmaceutica!
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Cap. 7 - La sperimentazione animale
Prima di andare avanti a raccontare questa storia affascinante, e inquietante
allo stesso tempo, vorrei che mi chiarissi il ruolo che hanno svolto i tuoi topolini
nelle sperimentazioni da te condotte, e che continui ancora oggi a portare
avanti.
Premetto che, senza la sperimentazione animale, non saprei nulla di quanto
ho via via scoperto. È la base della ricerca biomedica, dell’immunologia e
dell’endocrinologia. Per questo motivo ritengo pura follia pensare di poter
realizzare qualche progresso in medicina umana, senza servirsi
dell’indispensabile contributo degli animali.
Detto questo, tutto dipende ovviamente da quale uso si fa di questa pratica
necessaria. Io non ho mai esercitato nessun atto di violenza sui topolini, o
comunque niente che possa essere definito come crudeltà gratuita e inutile.
Anzi, li amo, li accudisco, non li stresso, e loro forniscono sempre risposte
chiare e inequivocabili alle mie domande, che non sono necessariamente quelle
che mi aspetterei, però hanno il vantaggio di essere nette: sì o no.
E se ciò non si dovesse verificare, non ho che da ripetere nuovamente la
sperimentazione, cambiando condizioni e variabili, fino a raggiungere la
certezza. D’altra parte, fin dall’inizio della mia carriera di ricercatore in
biofisica, grazie a una borsa di studio dell’Atomic Energy Commission
(l’Agenzia americana per l’energia atomica), nel 1961; oppure, quando ho
cominciato a lavorare per il CNR italiano, io mi ero subito reso conto che non
sarei venuto mai a capo di niente, né con la biofisica e neppure con la biochimica
(di allora): cercavo risposte al cancro, all’invecchiamento ecc., ma soltanto gli
animali erano in grado di dirmi se stavo andando nella direzione giusta.
Ricordo che già nell’Istituto di Patologia Generale all’Università di Milano,
all’inizio degli anni sessanta, il leggendario professor Enrico Ciaranfi aveva
provveduto ad approntare uno stabulario moderno, in modo che noi assistenti
potessimo avere a disposizione dei roditori, per poterne osservare e studiare i
comportamenti e le reazioni.
I roditori infatti sviluppano le stesse malattie dell’uomo, e sono quindi
indispensabili ai fini della ricerca nel campo delle più svariate patologie. Del
resto, sarebbe impossibile sperimentare alcunché sull’uomo, senza prima
conoscerne la reazione sull’animale; tenuto conto, fra l’altro, che in moltissimi
casi non si tratta di sperimentazione, ma piuttosto di semplici osservazioni.
Esistono, per esempio, ceppi di topi che sviluppano spontaneamente il
cancro, oppure alcune malattie autoimmunitarie, o ancora l’obesità e il diabete;
malattie spontanee, che non c’è quindi alcun bisogno di indurre nell’animale. In
altre parole, per restare al campo che ci interessa più da vicino, io credo che,
essendo l’uomo un mammifero, sarebbe impossibile capire cos’è
l’invecchiamento utilizzando, che so, un verme o una mosca, che sono due
specie profondamente diverse dai mammiferi.
Come sarebbe d’altra parte molto più complicato usare altre specie di
mammiferi, il maiale per esempio, che essendo d’intelligenza superiore,
andrebbe più facilmente soggetto a stress di varia natura. Al contrario, il topolino
è tranquillo, non ricorda quanto ha vissuto in precedenza, e quindi non nutre
rancore. Per me personalmente, oltretutto, è stato sempre un buon compagno,
ormai da oltre quarant’anni, e io non mi sono mai sognato di esercitare su di esso
nessuna crudeltà o violenza.
A parte i trapianti di pineale, ovviamente, che immagino cruenti…
Ahimè, sì. E tuttavia, anche in questo caso, se viene praticata un’anestesia
profonda, com’è sempre il caso nel nostro laboratorio, all’animale vengono
evitate inutili sofferenze. E anche quando si rendesse inevitabile il
‘sacrificio’ dell’animale, è sempre tuttavia possibile procedere in modo
indolore.
Cap. 8 – Funzione della pineale e invecchiamento
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Ovviamente, nell’uomo non è possibile effettuare (almeno al momento!) un
trapianto di pineale giovane in una persona anziana; ti chiedo: com’è possibile
ovviare a questo ‘inconveniente’, per beneficiare ugualmente appieno delle tue
scoperte?
Soltanto qualche anno fa la risposta che sto per darti sarebbe stata diversa,
perché nessun ricercatore aveva eseguito esperimenti in questo senso.
Come ho dimostrato in precedenza, e anche recentemente in un lavoro che è
apparso negli Stati Uniti ( Journal of AntiAging Medicine, vol. 4, n. 1, 2001), il
trapianto di una pineale molto vecchia in un animale molto giovane, e viceversa,
è stato possibile per il fatto che i topolini utilizzati per la sperimentazione erano
di ceppo puro, geneticamente identici, quasi come gemelli, quindi, per cui non
esisteva il problema del rigetto. Nell’uomo, invece, questa operazione non
sarebbe possibile, perché la nuova pineale sarebbe immediatamente rigettata; a
meno che… (ma questo è argomento di un prossimo libro sui trapianti, e ne
parleremo quindi in un’altra occasione!).
In ogni caso, e per tornare all’esperimento in questione, io non avrei mai
potuto immaginare che la pineale vecchia potesse far invecchiare rapidamente un
topolino giovane che, bada bene, conserva la sua pineale giovane, oltre a quella
vecchia che gli viene impiantata!
Avevo già provato infatti a sostituire, con il trapianto crociato già descritto,
la pineale giovane con una pineale vecchia; in questo caso però il ricevente non
conservava la propria pineale giovane.
Cosa sarebbe, invece, accaduto nel caso in cui avessimo trapiantato una
pineale vecchia in un topolino giovane, che conservava però (in più) anche la sua
pineale giovane?
La mia idea era che non saremmo approdati a niente. Com’è pensabile,
infatti, che una pineale, grande come una punta di spillo, e per di più vecchia,
trapiantata in un animale giovane, possa influenzare il corso della vita di
quest’ultimo?
Miracolo dei miracoli, si è verificato un evento incredibile: la pineale
vecchia, trapiantata nel topo giovane, che, ripeto, conserva la sua pineale
giovane, fa invecchiare rapidamente l’animale.
È la dimostrazione inconfutabile che la ghiandola pineale è dotata di un
programma di invecchiamento che supera qualsiasi ostacolo; fino al punto di
ignorare addirittura il ‘segnale’ proveniente da una pineale più giovane, e che va
nella direzione opposta, prevalendo su di esso. La pineale vecchia, cioè, porta in
sé un programma talmente determinato e inarrestabile, da impartire
all’organismo ancora giovane (attraverso un meccanismo che posso soltanto
intuire) l’ordine di invecchiare. Ciò vuol dire che il messaggio del programma di
invecchiamento insito nella pineale vecchia è potentissimo e praticamente
incontrastabile.
Veniamo adesso alla domanda che mi hai posto: sulla base di questi dati,
quali benefici può averne l’uomo, ed eventualmente, in che modo?
L’idea è questa (ma è molto più di una semplice ipotesi, dato che siamo già
in possesso di sufficienti dati): la pineale, quando invecchia, fa invecchiare
l’intero organismo, dato che contiene in sé un preciso programma di
invecchiamento; ne consegue allora che, se la si asporta, quando inizia a mettere
in atto il programma di invecchiamento, sarebbe possibile ritardare il processo
d’invecchiamento fino addirittura ad arrestarlo. Questa è la premessa teorica.
Partendo da questa, sono quindi passato alla fase operativa, procedendo in
laboratorio (con il mio collaboratore Daniele Bulian) a una serie interminabile di
pinealectomie su gruppi di topi di tre, cinque, sette, nove, dodici, quattordici,
sedici e diciotto mesi. Lo scopo era di osservare a che età, asportando la pineale,
l’animale ne ricavava un beneficio in termini di invecchiamento e di durata della
vita.
Ed ecco il risultato stupefacente: la semplice rimozione della pineale vecchia,
fa vivere più a lungo l’animale. Ma ciò avviene solamente se si asporta la
pineale quando questa comincia ad attivare il processo d’invecchiamento (nel
topolino a 14 mesi d’età), impartendo il comando programmato di invecchiare;
non prima, né dopo!
Ciò, almeno ipoteticamente, sarebbe un intervento possibile anche sull’uomo
(con i metodi moderni e le mostruose macchine a disposizione che bombardano
questa o quella parte del corpo). Almeno teoricamente quindi, nel momento in
cui si percepisce che la pineale ci sta facendo invecchiare, sarebbe possibile
bombardarla e distruggerla.
In sostanza, noi adesso sappiamo (nell’animale già in via sperimentalmente
documentata, nell’uomo ovviamente in via soltanto ipotetica) quando sarebbe il
caso di intervenire per rimuovere la pineale e ritardare così l’invecchiamento.
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Cap. 9 – La ghiandola pineale e la melatonina
Il messaggio invernale all’ozio
è un invito naturale alla salute.
Evitate lo stress invernale.
Non scuotete inutilmente
il vostro corpo ibernante! (Walter Pierpaoli)
Tuttavia, a me sembra, almeno nel caso dell’uomo, che la rimozione della
ghiandola pineale si configuri come una extrema ratio . Mentre riterrei più
‘umano’, per così dire, un intervento antietà costante nel tempo, grazie all’opera
graduale che una molecola come la melatonina, o altre allo studio, sono in
grado di svolgere.
È chiaro che la melatonina protegge la pineale dall’invecchiamento: su
questo non c’è alcun dubbio. La pineale in questo caso invecchia meno
rapidamente, rallentando tutto il programma di deterioramento dell’organismo.
Non è quindi indispensabile rimuovere la pineale, se si vuole ritardare
l’invecchiamento: meglio fare uso della melatonina, non è così?
Direi che la rimozione della pineale non è proprio indispensabile; e non tanto
perché è sufficiente già la potente azione antietà della melatonina sulla pineale
(specie se si inizia ad assumerla a un’età ancora relativamente giovane, come
vedremo), ma perché io ho già scoperto un modo più elegante per risolvere il
problema.
Come? Grazie a una nuova molecola naturale, a cui sto lavorando da
parecchi anni, con risultati incredibili sull’animale, che ha il ruolo di pilota nel
mantenimento dei ritmi ormonali, e che permetterà di sostituire, per così dire, la
pineale vecchia, senza che essa possa dare l’ordine perentorio di invecchiare.
Insomma, una sorta di neutralizzazione strategica del programma
invecchiamento!
Ma anche questo sarà argomento di un nostro prossimo libro. Il problema è
comunque di sapere fino a che punto la melatonina, per ritornare a questa
molecola fondamentale, può ritardare il programma d’invecchiamento.
Non lo so con esattezza. Posso però averne una qualche idea, confortata, per
esempio, dall’esperienza di un signore di 95 anni, che ha iniziato ad assumere
melatonina all’età di 89 anni, e che ancora oggi gode di ottima salute.
Senza dubbio però, la persona che da più anni assume melatonina (ho
iniziato a preparargliela io stesso a partire dal 1986), e che, a 95 anni, sta adesso
benissimo, dopo essersi liberata totalmente del Parkinson che l’affliggeva, è la
madre della mia prima moglie, la cara Emmy Hügly, di Lucerna. Sta bene a tal
punto che, ormai da ex-parkinsoniana, ha ripreso addirittura a suonare il
pianoforte; di tanto in tanto vado a trovarla, osservo e registro i suoi movimenti,
e così trascorriamo qualche momento in allegria! Ritengo che sarebbe lusingata
se qualche giornalista le chiedesse di poterla intervistare, e credo che gli
concederebbe oltre all’intervista, persino un walzer!
Tuttavia, non esistono studi clinici in proposito: certo che se fra dieci anni
questo signore, e la nonna Emmy, e altri anziani che seguo, saranno ancora in
buona salute, ne sapremo certamente di più.
Come si inserisce, però, la molecola della melatonina nel tema che tu stai
sviluppando in questa conversazione?
Finora abbiamo infatti parlato principalmente di ghiandola pineale, la
maggiore responsabile, se capisco bene, del nostro inesorabile (almeno fino a
oggi) invecchiamento.
La melatonina è un agente misterioso, su cui da anni ormai si accapigliano
molti miei colleghi ricercatori; i quali ne cercano disperatamente il meccanismo
d’azione, senza però venirne a capo. La maggior parte di loro affermano (ma io
sostengo che ciò avvenga unicamente per partito preso, e comunque non certo
per ragioni sostenute da argomentazioni scientifiche) che nelle mie scoperte sulla
melatonina e l’invecchiamento non ci sia nulla di vero!
Ciononostante, tutti continuano a studiare la melatonina per scoprire perché e
come funziona (mi riferisco per esempio a Russel Reiter, e ad altri pinealologi di
fama). Pensa che in Francia si è addirittura costituito un Melatonin Club, cui
aderiscono ricercatori d’ogni sorta. A me sembra, e lo dico più con divertimento
che con malignità, che i miei colleghi di giorno parlino male della melatonina,
ma la sera poi la assumano prima di andare a dormire.
Ho comunque le mie buone ragioni per ritenere che nessuno sappia
veramente quali funzioni sia chiamata a svolgere la melatonina; il cui
meccanismo d’azione, come abbiamo già detto, rimane oltretutto ancora
sconosciuto.
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Io invece so per certo che si tratta di una molecola naturale, che madre natura
si è inventata nel corso di milioni di anni per adempiere a svariate funzioni. Così
come sono certo che il suo meccanismo d’azione non è di natura chimica, né
biochimica, né recettoriale, né ormonale.
A mio avviso, ma questa è però una semplice opinione che mi piacerebbe
tanto poter verificare, si tratta di un meccanismo biofisico: la melatonina è infatti
una sostanza ubiquitaria che penetra dappertutto, e protegge le cellule dallo
stress (tanto per usare un termine molto abusato), a livello però più di cariche
elettroniche, che di recettori chimici. Mette quindi in sicurezza le cellule, e allo
stesso modo agisce anche sulla ghiandola pineale, che provvede a secernerla
durante le ore notturne.
Nel caso in cui però la melatonina venga somministrata dall’esterno, la
pineale non ha più bisogno di produrla, risparmiandosi così una fatica non
indifferente; e se non produce melatonina, potrà starsene a riposo, e adempiere
così più facilmente ad altre importantissime funzioni, ritardando il momento in
cui fa scattare il programma d’invecchiamento.
Sostanzialmente, è quanto avviene nel nostro organismo. Quanto poi ai modi,
alle metodologie, ai dosaggi, questi sono tutti aspetti totalmente empirici, nel
senso che vengono determinati sulla base dell’esperienza riferita a quanto
riferiscono i pazienti. Chi ne fa uso non deve però darsene pensiero, perché
grazie a Dio è dimostrato che la melatonina non presenta effetti tossici (neppure
se venisse somministrata a cucchiaiate!), ed è poi lo stesso organismo a
trattenere la dose sufficiente, eliminando con le urine quanto dovesse risultare in
sovrappiù.
Tu dici: non conosciamo il meccanismo d’azione della melatonina; e
tuttavia, esistono evidenze certe sui suoi effetti antietà, ben documentati da studi
e ricerche.
Certamente. Sono stati eseguiti tantissimi studi in proposito, in tutti questi
anni; e non soltanto da me, ma da molti altri ricercatori. Durante l’atroce (non
saprei come definirlo diversamente) periodo che ho trascorso ad Ancona, presso
la fondazione Biancalana Masera per l’Anziano Operato; e dopo che
l’indimenticabile Nino Masera morì inopinatamente, lasciandomi all’INRCA in
balìa di personaggi più o meno discutibili, ho condotto con pochi validi colleghi,
come risulta dalla bibliografia allegata a questo libro, vari studi sull’azione
combinata di zinco e melatonina.
Bisogna sapere, a questo proposito, che uno dei parametri
dell’invecchiamento è, appunto, la carenza di zinco.
Come si sa, lo zinco è un importante elemento della crosta terrestre
primordiale. I terreni vulcanici ne sono infatti ricchissimi. Esso entra a far parte
di molti sistemi enzimatici fondamentali; l’uomo però, invecchiando, non riesce
a ritenerne abbastanza, tanto che il saldo, tra assunzione e consumo, è sempre
negativo, se ne perde cioè più di quanto si riesca a immagazzinarne. La carenza
di zinco, che nel sangue può essere determinata con precisione, è espressione di
invecchiamento metabolico. Ci siamo quindi preoccupati (assumendo la carenza
di zinco come parametro di invecchiamento) di verificare se la melatonina possa
avere effetti sui livelli di zinco nei topi anziani, dato che lo zinco entra a far parte
della composizione di oltre duecento enzimi. Mi riferisco a lavori già pubblicati
da me e da altri (pioniere in questo campo, è stato Nicola Fabris) su riviste
scientifiche (vedi bibliografia). Abbiamo così scoperto che la melatonina
normalizza i livelli di zinco nell’età avanzata, restaurando quindi l’immunità con
tutto ciò che ne consegue! Tuttavia, io non credo che la melatonina, di per sé,
abbia la funzione di innalzare i livelli di zinco; è vero però che, mantenendo
integri sistema neuroendocrino, ormoni e sistema immunitario, automaticamente
si normalizza anche lo zinco, ma non solo. Quando si assume infatti melatonina,
ogni parametro risulta migliorato, dall’A alla Z.
Si può affermare, in sostanza, che la melatonina, in un certo senso, fa tutto e
niente allo stesso tempo; in quanto
‘si limita’ fondamentalmente a proteggere la ghiandola pineale, restaurando
così indirettamente i ritmi ormonali giovanili. Ne consegue anche un enorme
potenziamento delle difese immunitarie.
La melatonina è secreta di notte soltanto dalla ghiandola pineale?
È rilasciata anche da altre cellule e tessuti, ma non durante la notte. Il picco
della melatonina però emerge di notte; la sua carenza, o un consistente
affievolimento rappresenta un importante segnale di invecchiamento: quando il
livello di melatonina diminuisce, si invecchia; se manca del tutto, si va incontro
a morte certa.
Che cos’è per te la melatonina?
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Per me, Walter Pierpaoli, la melatonina è una molecola naturale presente
ovunque (nei vegetali, nel riso, nei pomodori, nel latte, in tutti gli esseri viventi).
È una sostanza assolutamente innocua, come ha dimostrato un mastodontico
studio eseguito in Olanda, in cui a migliaia di donne sono stati somministrati per
anni ben 300 mg di melatonina ogni sera (cento volte quindi la dose da me
consigliata), nel tentativo di evidenziarne gli effetti anticoncezionali.
Personalmente, non condivido questo approccio, che tende a inibire l’ovulazione
in donne giovani, somministrando melatonina a dosi da cavallo; però devo
riconoscere che questo studio ha avuto, se non altro, il merito di stabilire una
volta per tutte l’assoluta innocuità della melatonina.
Ma la melatonina può essere considerata un ormone?
Assolutamente, no. In passato, si è fatto ricorso a questa definizione perché,
in realtà, in maniera simile a quanto accade per gli ormoni, la melatonina
produce effetti a distanza nell’organismo, ed è comunque prodotta da una
ghiandola endocrina. Assimilare però la melatonina a un ormone si è purtroppo
rivelato, lo riconosco, un errore micidiale, frutto semplicemente di una frettolosa
semplificazione.
Tant’è vero che la melatonina non ha nessuna delle caratteristiche degli
ormoni. Infatti: 1. viene sintetizzata dall’organismo, oltre che nella pineale,
anche in numerosi altri organi e tessuti come, per esempio, la retina, la mucosa
intestinale, i megacariociti, le piastrine, tutti tessuti che non possono essere
definiti come tipiche
‘ghiandole endocrine’.
2. Dopo la pinealectomia (cioè l’asportazione chirurgica della ghiandola
pineale) la melatonina circolante non scompare, come avviene quando vengono
rimosse le ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide, surrenali, gonadi).
3. Non esiste alcun ‘fattore di rilascio’ (releasing factor) per la melatonina,
come invece si verifica per tutti gli ormoni classici.
4. Recettori con maggiore o minore affinità per la melatonina sono stati
evidenziati e trovati in una tale varietà di cellule (su membrane e nel citoplasma)
e tessuti del corpo, che la loro natura di recettori ormonali specifici per la
melatonina su cellule bersaglio ben definite è impossibile da dimostrare.
5. La melatonina, anche somministrata a dosi enormi (nell’ordine addirittura
di grammi al giorno!) per via orale, non ha mai provocato alcun danno o effetti
collaterali immediati o ritardati; al contrario, qualsiasi altro vero ormone (come
il cortisone o la tiroxina, per esempio) avrebbe prodotto sicuramente la morte, o
quantomeno danni gravi e irreparabili (vedi lo studio sulle donne olandesi già
citato).
6. L’inibizione della sintesi endogena di melatonina, dopo somministrazione
orale, non sembra dipendere, come accade per gli ormoni classici, dall’inibizione
della sintesi dei fattori trofici (gonadotropine, tireotropina, corticotropina ecc.),
ma da una semplice inibizione retroattiva prodotta dalla stessa melatonina in una
sequenza biosintetica; per questo motivo, la somministrazione prolungata di
melatonina non può indurre atrofia della pineale!
7. La melatonina, presente nella carne e nei vegetali, è assorbita rapidamente
dal tratto gastrointestinale. I livelli di melatonina circolante possono essere
influenzati (in eccesso o per difetto) da una dieta che contenga alti o bassi livelli
di melatonina; nulla di simile può verificarsi con gli ormoni classici.
In realtà, la sua funzione di mediatore chimico universale del mondo
biologico è tuttora sconosciuta. Allo stesso modo, però, anche il meccanismo
d’azione della penicillina non era conosciuto quando fu scoperta (e, in quel caso,
non si trattava certo di una sostanza endogena!). E in ogni caso, visto che la
penicillina era ritenuta
‘necessaria’, nessuno si sarebbe mai sognato di proibirne l’uso, come
purtroppo accade invece oggi in molti Paesi con la melatonina!
Non è un ormone, quindi, e ciò mi tranquillizza. Ma, in realtà, cosa c’è poi
di tanto pericoloso negli ormoni? Perché fanno paura?
Gli ormoni si sono fatti una brutta fama soprattutto per via del cortisone. Io
sono solito affermare che ne ha ammazzati più il cortisone che i nazisti ad
Auschwitz. Il cortisone ha azione antinfiammatoria, ma produce effetti
collaterali semplicemente micidiali. Lo stesso si può dire della prolattina, tanto
che elevati livelli di questo ormone nel sangue, sono segno certo della presenza
di un cancro già in atto o in formazione. Ciò vale anche per l’ormone della
crescita. In realtà, non tutti gli ormoni producono i medesimi danni; però tutti,
somministrati in quantità elevate e per lunghi periodi (compresi gli estrogeni, i
cerotti medicati ecc.), inducono effetti collaterali pericolosi. La melatonina,
invece, no, anche a dosi molto elevate; e proprio perché non è un ormone!
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Cap. 10 – I parametri clinici dell’invecchiamento
L’adipe sottocutaneo invernale,
la ricerca della tana, il profondo
godimento di una vita passiva,
la contemplazione della Natura in letargo,
il piacere della completa inattività fisica,
sono gli elementi che fanno gioiosi inverni e sane primavere. (Walter
Pierpaoli)
Torniamo a parlare adesso di invecchiamento nell’uomo. Ti chiedo: è
possibile stabilire, a livello clinico, parametri certi dell’invecchiamento
biologico?
I primi segni dell’invecchiamento, a una ricognizione sommaria, vengono
percepiti visivamente, e sono soprattutto di carattere, diciamo, estetico; e
coinvolgono: la pelle, la vista, i capelli, l’accresciuta crescita di peli all’interno
delle orecchie e del naso, l’accumulo di lipidi nella sclera (l’occhio assume la
tipica colorazione giallognola) ecc.
Esistono poi parametri di diversa natura: vascolari, metabolici, enzimatici.
Parlavamo prima dello zinco e della carenza di questo minerale che è una
caratteristica della persona anziana; ebbene, ciò avviene perché l’organismo
dell’anziano non riesce ad assimilare lo zinco dalla dieta (supposto che sia
presente in maniera adeguata), e quindi a inglobarlo negli enzimi e a
metabolizzarlo.
È solo un esempio, ma di parametri come questo ne esistono tanti altri:
valutazioni enzimatiche, numero dei linfociti nel sangue, livelli misurabili del
sistema immunitario (atrofia del timo, diminuzione di determinate categorie di
linfociti) ecc.; esistono quindi mille modi per valutare l’invecchiamento. A mio
avviso però, il criterio più adeguato è quello della Sindrome metabolica X, detta
anche ‘quartetto mortale’.
Fammi capire, con parole semplici, se possibile, di cosa si tratta.
Cercherò di adottare un linguaggio comprensibile a tutti; però ti avverto che,
così facendo, sono costretto a sintetizzare e a semplificare al massimo i concetti.
La Sindrome metabolica X è tipica dell’invecchiamento metabolico
dell’uomo, e conduce generalmente alla morte.
Il cosiddetto ‘quartetto mortale’ comprende: 1. iperglicemia (il glucosio non
viene metabolizzato correttamente; da qui: aumento della resistenza all’effetto
ipoglicemizzante dell’insulina e conseguente iperinsulinemia); 2.
ipercolesterolemia (mutazione del metabolismo dei lipidi, per varie ragioni
che sarebbe troppo lungo spiegare in questa sede); 3. ipertensione (i vasi si
irrigidiscono, soprattutto a livello renale, con conseguente innalzamento della
pressione sanguigna nei valori massimi e minimi); 4. adiposità viscerale, la
tipica ‘pancetta’ che deforma la nostra silouette!
La Sindrome metabolica X è quindi l’espressione tipica dell’invecchiamento
e, nella mia interpretazione, essa fa capo al sistema neuroendocrino.
In sostanza, perché invecchiamo? Perché il sistema neuroendocrino
invecchia secondo il programma genetico iscritto, come abbiamo già detto, nel
complesso pinealico; di conseguenza, diminuisce la ciclicità ormonale, tutto si
desincronizza, e vengono quindi a mancare i meccanismi ormonali di controllo
del metabolismo lipidico. È un processo di una semplicità e un’ovvietà
incredibile, oltre che perfettamente documentabile.
Ci si può chiedere inoltre perché, nella fase di invecchiamento, aumentino i
tumori. Quando viene meno la sorveglianza sulla replicazione delle cellule
tumorali, ciò avviene perché l’organismo non riesce più a distinguerle; si tratta
dell’alterazione immunologica delle cellule linfocitarie e di altre ancora (natural
killer, L, K ecc.), che controllano le cellule tumorali, in modo che esse
rimangano circoscritte e non si moltiplichino; sono infatti sempre presenti nel
nostro organismo, anche se hanno caratteristiche di membrana un po’ diverse, e
l’organismo riesce quindi a controllarle. Ed è appunto quando viene meno questo
controllo, perché a monte il sistema neuroendocrino non funziona più, che
cominciano i guai, e tutto si dissesta e si desincronizza, dando luogo al cancro,
oppure all’arteriosclerosi o, in forma ancora più micidiale e insidiosa, alle
malattie autoimmunitarie.
Queste ultime, fra l’altro, sono, se non erro, le tue ‘preferite’…
Sì, e per un motivo molto semplice: perché sono l’espressione più tipica
della perdita di controllo del sé da parte dell’organismo, il che rappresenta il
vero invecchiamento.
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Qui però entriamo nel campo affascinante delle transferrine, di cui, come ho
già anticipato parleremo in un prossimo libro.
In questa sede vorrei accennare appena al cuore del problema, giusto per
stimolare la curiosità tua e del lettore: noi invecchiamo perché, in realtà, non
riconosciamo più i nostri tessuti, e quindi li rigettiamo, in una sorta di
inconsapevole suicidio. È in sostanza un’estinzione progressiva della capacità di
confrontarsi con il mondo esterno; e, infatti, non è tipico dell’invecchiamento la
perdita della consapevolezza e del controllo di se stessi, insieme alla mancata
percezione spazio-temporale? E non è forse l’invecchiamento un progressivo
rigetto di se stessi? Non c’è dubbio! Tutto ciò è documentabile clinicamente.
Tanto che negli Stati Uniti esistono delle strutture mediche che, sulla base di
precisi parametri, sono in grado di stabilire l’età biologica di una persona: ne hai
cinquanta, ma la tua età biologica è effettivamente di ottant’anni; oppure, il
contrario. Può esserci infatti un invecchiamento accelerato, ma anche, a volte,
ritardato; sempre di invecchiamento però si tratta! In altre parole, si invecchia in
ogni caso.
Puoi negarlo?
Io dico soltanto che, adesso, questo processo non è più ineluttabile, e che può
essere addirittura evitato. È questa la grande sfida che io intendo lanciare.
Come?
Semplicemente, mediante la riprogrammazione del sistema ormonale,
responsabile dell’invecchiamento.
Tu dici: adesso possediamo la chiave per superare le malattie degenerative,
normalmente associate all’invecchiamento.
Le malattie degenerative cui faccio riferimento sono: quelle cardiovascolari,
il cancro, le malattie autoimmunitarie.
Intanto, non è affatto vero che cancro, malattie autoimmunitarie e malattie
cardiovascolari siano patologie diverse fra loro; hanno infatti la medesima radice
(molti miei colleghi dissentiranno, me ne rendo conto, ma non posso farci
nulla!), perché alla base di esse c’è sempre un’alterazione dei ritmi ormonali, che
porta alla distorsione dell’immunità, alla genesi di autoanticorpi, all’emergenza
di cellule neoplastiche ecc. Ho maturato l’assoluta certezza che, se si restaurano i
ritmi biologici endogeni circadiani ormonali, risulta impossibile per l’organismo
sviluppare malattie degenerative! È un’asserzione forte, che a qualcuno forse
potrà apparire addirittura arrogante, ma è esattamente quello che penso e di cui
sono assolutamente certo.
Ed è proprio in questo senso che va anche quell’altra tua affermazione,
secondo cui gli effetti positivi della melatonina risultano ben documentati:
sostiene, cioè, la funzione immunitaria, abbassa i livelli di colesterolo nel
sangue, protegge dagli effetti negativi dello stress, ripristina i ritmi del sonno,
aiuta a difendersi contro il cancro e le malattie cardiache…
Sono affermazioni tutte ampiamente documentate. Esistono inoltre studi
clinici che dimostrano, anche se indirettamente, la validità di ciò che sostengo da
anni. Su Lancet, per esempio, e su Nature, sono stati pubblicati lavori scientifici,
grazie ai quali si è potuto documentare come persone colpite da ictus (emorragia
cerebrale) e infarti, mostrassero livelli di melatonina prossimi allo zero.
Intendiamoci, la melatonina non è il toccasana, però è il meglio di cui
possiamo attualmente disporre. Per essere ancora più schietto, io non credo che
soltanto con la melatonina riusciremo a impedire il verificarsi di patologie come
quelle che ho appena citato; e non tanto per la melatonina in sé, quanto piuttosto
a causa dello stile di vita che la popolazione conduce!
Cap. 11 – La menopausa, classico segno d’invecchiamento biologico
Chi vive sognando, sognerà morendo,
e nel suo ultimo sogno vivrà mille anni di più. (Walter Pierpaoli)
Se dunque l’invecchiamento è clinicamente documentabile, si può dire
altrettanto della sua eventuale regressione? E in che modo, in questo caso?
È appunto il problema che ci siamo posti quando abbiamo deciso di
effettuare presso la clinica Madonna delle Grazie di Velletri, in collaborazione
con il dottor Giulio Bellipanni e i suoi collaboratori, uno studio clinico, grazie al
quale abbiamo potuto constatare come nelle donne in premenopausa, menopausa
e postmenopausa che hanno 18
accettato di sottoporsi allo studio, si siano ripristinate le condizioni ormonali
antecedenti il fenomeno della menopausa (la ricerca è stata pubblicata sulla
rivista Experimental Gerontology (36, 2001, 297-310) .
Raccontami come è stato possibile mettere in piedi uno studio clinico di
questo genere. Quante donne sono state arruolate per la sperimentazione; quali
sostanze sono state impiegate; per quanto tempo; con quali risultati?
Lo studio costituisce la chiave di volta per poter comprendere e dimostrare
che la melatonina è in grado non soltanto di bloccare, ma addirittura di invertire
l’invecchiamento. Questo è il punto fondamentale che la nostra ricerca è riuscita
a mettere in evidenza in maniera incontrovertibile.
Ciò detto, chi non intende accettare i risultati ottenuti dalla nostra èquipe
(visto che accade anche questo), e che sono in ogni caso da tutti controllabili,
non ha che da ripetere lo studio clinico.
Noi, in sostanza, avevamo bisogno di raggiungere su questo argomento una
prova certa a livello clinico.
Sull’animale, infatti, i dati riguardanti l’inversione della tendenza verso
l’invecchiamento erano ormai noti da anni in laboratorio. Così, dopo vari
infruttuosi tentativi in Svizzera, e grazie anche a modesti aiuti offerti
dall’American Academy of AntiAging Medicine di Chicago, e da alcuni amici
tedeschi, è stato possibile stabilire una collaborazione con Giulio Bellipanni,
chirurgo e ginecologo di prim’ordine, oltre che mio carissimo amico, con il
quale abbiamo, con immensa fatica, portato finalmente a compimento la ricerca.
Permettimi di bloccarti un attimo, per una domanda di tipo, diciamo,
metodologico. Perché è stata scelta la donna (e quindi la menopausa) per la
sperimentazione clinica? Voglio dire, sarebbe stata la stessa cosa anche con gli
uomini (e quindi con l’andropausa)?
La scelta è caduta sulla menopausa perché questo evento costituisce il
segnale certo dell’invecchiamento della donna. Quando infatti la donna va
incontro alla menopausa, entra in nuova una fase della sua vita, che segna
drasticamente la fine dei ritmi riproduttivi. Ha termine quindi il ciclo ovulare e
quello mestruale, più o meno rapidamente; fanno la loro apparizione disturbi di
vario genere, aumentano le gonadotropine ecc.: per un ricercatore non esiste
quindi modello più interessante ed elegante di invecchiamento, che la
menopausa nella donna.
Ciò vuol dire, in sostanza, che se, per ipotesi, attraverso la somministrazione
di melatonina, si riuscisse a ripristinare i ritmi ormonali antecedenti la
menopausa (come puoi notare il concetto di ritmo è una costante che torna, per
così dire, ciclicamente, a permeare anche la nostra conversazione), non
potremmo avere prova migliore e più certa, che la melatonina riesce a bloccare e
a invertire il processo di invecchiamento. E, infatti, ciò è puntualmente accaduto,
come volevasi, appunto, dimostrare.
Tu stai parlando, per intenderci, dei parametri dell’invecchiamento di cui
abbiamo discusso nel capitolo precedente; e che nella sperimentazione clinica,
se capisco bene, si sono modificati a tal punto nelle donne sottoposte a
trattamento con melatonina, che ne è addirittura risultata invertita la tendenza
‘programmata’
all’invecchiamento.
Esattamente. In sostanza, è stato stilato un protocollo di studio clinico, per
passare poi successivamente alla fase attuativa. Una volta data notizia della
sperimentazione che volevamo compiere, al Ministero della sanità italiano, come
prescritto, lo studio, che è stato purtroppo funestato da un numero incredibile di
incidenti anche tragici (fra cui la morte di due fra i collaboratori di Bellipanni,
uno dei quali, il giovane e bravissimo chirurgo Pierluigi Bianchi teneva le fila
dell’intero studio clinico), ha finalmente avuto inizio, e si è concluso dopo sei
mesi.
Va subito precisato che si è trattato di un lavoro pilota, che ha bisogno quindi
sicuramente di ulteriori approfondimenti. Infatti, i problemi metodologici da
risolvere erano parecchi, a partire dall’età delle donne da arruolare per la
sperimentazione, le quali non dovevano ovviamente essere né troppo anziane, né
troppo giovani.
Alla fine, il criterio adottato ha favorito la selezione di donne fra i 42 e i 62
anni. Oggi possiamo affermare che questa scelta è stata vincente. Grazie infatti a
questa selezione, il nostro studio è riuscito a dimostrare con certezza che la
melatonina è in grado di ’invertire il processo di invecchiamento’; che ciò si
verifica più celermente nelle donne più giovani che in quelle più anziane; che la
sua attività è più marcata quando la donna è in premenopausa o in menopausa,
piuttosto che in postmenopausa da anni.
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Inoltre, per nostra fortuna, una società americana, di Seattle, si è talmente
appassionata alla nostra ricerca che ci ha fornito gratuitamente i kits per misurare
i livelli salivari di melatonina nelle donne in questione. Ha addirittura
provveduto a inviare a Roma il personale dell’azienda con le valige piene di kits
per la misurazione della melatonina nella saliva. Siamo così riusciti, in maniera
quasi rocambolesca (i prelievi venivano fatti di notte e di giorno, e i tamponi
dovevano poi essere spediti negli Stati Uniti per la rilevazione dei livelli di
melatonina), a disporre anche dei livelli di melatonina notturna nella saliva delle
donne; aspetto molto importante, perché è stato possibile così osservare se
esisteva una correlazione fra gli effetti della melatonina esogena (somministrata
cioè dall’esterno, tutte le sere alla dose di 3 mg), e i livelli della melatonina
endogena (prodotta cioè dall’organismo stesso). Ciò vuol dire, in altre parole,
che se il livello di melatonina risulta basso, la somministrazione esogena
rimpiazza la carenza di melatonina; se il livello endogeno (già presente cioè
nell’organismo) di melatonina risulta invece alto, la somministrazione di
ulteriore melatonina non sortisce nessun effetto: viene semplicemente eliminata
con le urine.
Quali sono stati i risultati più significativi della ricerca?
Devo intanto notare che siamo andati incontro a parecchie sorprese. È
risultato, per esempio, stupefacente scoprire che la melatonina è stata in grado di
restaurare la funzione tiroidea nelle donne (molte donne, infatti, in questa fase
della vita, presentano ipotiroidismo, una circostanza che finora non era affatto
nota!).
Questo dato, da solo, avrà conseguenze profilattiche e terapeutiche di enorme
rilevanza. In pratica, nonostante la ricerca debba essere considerata come un
lavoro pilota, e lo ribadisco, e nonostante sia stata costellata di mille difficoltà,
ha consentito in ogni caso di dimostrare che la melatonina serve, eccome!, nella
donna in premenopausa, menopausa e postmenopausa, tanto da essere in grado
di invertire in modo evidente e oggettivo il processo di invecchiamento.
La nostra ricerca, randomizzata e in doppio cieco, che ha riguardato 72
donne in premenopausa, perimenopausa e in menopausa, ha dimostrato, in
maniera inequivocabile, che la somministrazione notturna di melatonina è in
grado di indurre, da sola, una significativa inversione del processo di
invecchiamento, evidenziato anche dalla
‘rinascita’ della fertilità e quindi del ciclo mestruale. È stato in sostanza
dimostrato che la melatonina ‘da sola’, e in soli sei mesi, è riuscita a far
ringiovanire, in tutti sensi, donne di età variabile fra i 42 e i 62 anni.
Tuttavia, tornando alle donne che sono state reclutate per la
sperimentazione, quali valutazioni preventive sono state eseguite su di loro? E
quali requisiti dovevano avere?
Che non assumessero ormoni; che non presentassero patologie in atto; che
non stessero seguendo terapie con farmaci; che fossero disponibili alla
rilevazione della melatonina salivare mediante il kit da noi fornito; che
accettassero di assumere la melatonina (o il placebo, naturalmente senza saperlo)
tutte le sere; che accettassero di presentarsi dopo tre mesi per i controlli e i
prelievi, e poi ancora dopo sei mesi. Inoltre, ognuna di loro si è sottoposta ad
esami ormonali, ematologici ecc., e si è impegnata a compilare delle schede di
valutazione, come avviene in tutte le sperimentazioni scientifiche cliniche, degne
di questo nome.
Qual è stata, con il senno di poi, la scoperta più sensazionale della ricerca?
Forse quella, per esempio, che alcune fra le partecipanti hanno notato con
sorpresa il ritorno delle mestruazioni?
Certamente, questo è stato un avvenimento inatteso, e perciò tanto più
significativo. Ma quella che io considero la vera scoperta è che la melatonina è
in grado, in soli sei mesi, di ripristinare la funzione tiroidea. Gran parte infatti
delle donne in perimenopausa mostrano segni di insufficiente secrezione degli
ormoni tiroidei (T3 e T4). Questo particolare era sconosciuto prima; già da sola
quindi questa circostanza è una scoperta tutt’altro che indifferente.
Tale osservazione si ricollega a quanto riportato da altri ricercatori. Era stato
infatti accertato che la melatonina, fra l’altro, facilita la deiodazione, vale a dire
la perdita di un atomo di iodio dalla T4 (tiroxina, ormone inattivo di per sé), con
formazione di T3 (triiodotironina, l’ormone tiroideo attivo).
Cioè? Fammi capire, in parole povere, cosa succede.
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Ci provo. T4 è un ormone prodotto dal nostro organismo (quattro molecole
di iodio); questo ormone, però, per poter essere attivo, deve cedere una molecola
di iodio (deiodazione); diventa così T3 (triiodotironina), che è l’ormone tiroideo
attivo, appunto. In sostanza, abbiamo con certezza dimostrato che la melatonina,
che potrebbe avere anche altri effetti che sono ancora tutti da studiare, produce
un miglioramento della funzione tiroidea.
Ecco perché le donne, assumendo melatonina, ‘resuscitano’! Sfido io: grazie
alla melatonina, scompare infatti la depressione, le gonadotropine (che fanno
capo alla sintesi degli estrogeni e dei progestinici) diminuiscono, migliora la
tiroide, la donna riacquista la fertilità; mi domando se è lecito pretendere di
più…
Quale sarebbe invece, a questo proposito, anzi, qual è, il processo
fisiologico, in assenza cioè di somministrazione esogena (cioè dall’esterno) di
melatonina, come normalmente avviene per la stragrande maggioranza delle
donne?
Tieni presente che le ovaie in genere sono teoricamente in grado di produrre
circa duecentomila uova. La donna però, nel corso della sua vita sessuale, ne
porta a maturazione soltanto due o tremila, mentre le altre si atrofizzano, in base
a un preciso programma che le porta all’atrofia. Questo è il processo fisiologico
(che in realtà poi tanto fisiologico non è; è, anzi, piuttosto patologico!).
Ora, per sopperire all’insensibilità delle ovaie all’ovulazione, come accade in
menopausa, l’ipofisi produce progressivamente, con l’avanzare dell’età, una
quantità sempre maggiore di gonadotropine (LH e FSH) che stimolano la
produzione di estrogeni e progesterone. In sostanza, in presenza di una minore
sensibilità centrale e periferica, l’organismo in cerca di una compensazione,
accresce la secrezione di gonadotropine, e questo processo è un segno tangibile
di invecchiamento; l’aumento costante delle gonadotropine coincide cioè con
l’inizio del decadimento del tratto riproduttivo della donna. La melatonina ha
mostrato di essere in grado di invertire questo processo.
La somministrazione è stata di soli 3 mg?
Esattamente, di 3 mg, alla sera, per sei mesi. C’è da aggiungere che alcune
donne hanno continuato ad assumere melatonina anche dopo la fine dello studio
clinico; si è così verificato il caso che almeno sette donne, già in menopausa,
dopo la fine della nostra sperimentazione, hanno potuto constatare la ripresa del
ciclo mestruale!
Oggi poi, al momento cioè di scrivere questo libro, le donne in menopausa
che vedono il ripristino del loro ciclo mestruale, grazie alla somministrazione di
melatonina, sono moltissime, e il loro numero cresce di giorno in giorno.
Per non parlare delle tantissime signore, con disturbi mestruali di ogni tipo e
irregolarità del ciclo, che riacquistano il perfetto ‘ritmo lunare’ di 28 giorni,
creato da Madre Natura!
A questo punto io mi auguro che il lavoro che siamo riusciti a portare a
termine noi, pur fra mille difficoltà, possa essere ripreso e possibilmente
ampliato da altri ricercatori, oltre che studiato adeguatamente dai ginecologi,
dagli oncologi, dai sociologi, dai filosofi ecc.
Capisco i sociologi, che sono sempre attenti a ogni stormir di fronda, ma
scomodare addirittura i filosofi… Non ti pare un po’ eccessivo?
Nient’affatto! Cosa cambia, infatti, grazie alla nostra scoperta? Che la donna
diventa inevitabilmente artefice del proprio destino biologico, sociale, culturale
ecc. Se potrà infatti gestire finalmente la propria fertilità, sarà lei a decidere
quando andare in menopausa, quando avere figli…
Se il suo sistema ormonale si manterrà infatti in condizioni giovanili, non
avrà più limiti (o almeno non li conosciamo ancora) per portare a termine senza
problema una gravidanza. La donna si libera così dai condizionamenti imposti
dalla menopausa, che hanno pesantemente contrassegnato il suo destino per
migliaia di anni.
A mio avviso, si tratta di una grande rivoluzione, su cui mi permetto di
richiamare l’attenzione non soltanto delle donne, ma di tutta l’umanità senza
alcuna distinzione, compresi gli scrittori e i filosofi. Così come io ritengo che
questo sia un bellissimo e meraviglioso messaggio che la scienza può oggi
lanciare alle donne, che acquisiscono il grande e nuovo potere di decidere in
piena libertà della propria età fertile!
21
Oltre alle difficoltà per portare a termine la ricerca, cui tu hai accennato in
precedenza, è pensabile, vista anche la posta in gioco, che siano state avanzate
delle riserve e delle obiezioni da parte di qualcuno. Quali sono le principali,
sempre che ce ne siano state?
Premetto che il lavoro scientifico è stato pubblicato sulla rivista
Experimental Gerontology; quindi una delle riviste scientifiche di gerontologia
più prestigiose a livello mondiale. Come avviene in questi casi, il lavoro è stato
sottoposto a uno screening preliminare e, superato questo primo sbarramento, e
ritenuto degno d’attenzione, è stato quindi inviato a tre ricercatori del settore per
il consueto review.
Sono state successivamente avanzate da parte dell’editore alcune richieste di
precisazione su punti ben precisi del lavoro, che noi abbiamo accolto,
provvedendo ad apportare le integrazioni e gli adeguamenti richiesti, e alla fine
il lavoro è stato accettato definitivamente dalla redazione.
Dico ciò per fugare, in via preliminare, le obiezioni di chi, in buona o cattiva
fede, intendesse inficiare la validità della ricerca da noi condotta. Chi ha infatti
un minimo di dimestichezza con la ricerca scientifica, sa bene che prima di
accedere alla pubblicazione di un lavoro scientifico, l’autore deve sottoporsi al
vaglio di revisori (leggi: colleghi) nient’affatto benevoli, che vanno a cercare il
cosiddetto ‘pelo nell’uovo’, figuriamoci! Essi mantengono l’anonimato e
possono stroncarti o accettarti.
Se quindi la nostra ricerca è stata pubblicata, è segno, vista anche la portata
rivoluzionaria dei risultati, che i dati erano talmente coerenti (e sconvolgenti!)
che non si è potuto fare a meno di pubblicarli!
Detto questo, è chiaro che dal mondo cosiddetto scientifico ci sono state
avanzate delle critiche: sulla metodologia, sui parametri utilizzati e quant’altro.
Io rispondo semplicemente, come del resto è prassi in campo scientifico: «cari
colleghi, ripetete l’esperimento adottando la metodologia più sofisticata di cui
siete o sarete capaci; arriverete in ogni caso al medesimo risultato raggiunto
dalla nostra équipe!».
Possiamo comunque accennare a qualcuna di queste obiezioni?
Perché no? Una di queste riguarda il calcolo delle gonadotropine, così come
da noi effettuato. Obiettivamente, il calcolo si presentava piuttosto complesso:
seguendo un metodo accettato dagli esperti di statistica, abbiamo notato che (a
seguito della somministrazione di melatonina) nelle donne più giovani le
gonadotropine LH
diminuivano in maniera più pronunciata; il che sta a significare che la
melatonina è più efficace quando si inizia ad assumerla in un’età non troppo
avanzata, dato che il sistema è ancora abbastanza duttile e flessibile, e può
quindi essere modificato. Questa costituisce, fra l’altro, un’ulteriore significativa
constatazione, che indica quanto sia importante iniziare l’assunzione di
melatonina quando il sistema riproduttivo è ancora giovane a tal punto da
riuscire a invertire la corsa verso l’invecchiamento. Una scoperta che è stata
possibile grazie al vasto range d’età delle donne esaminate (da 42 a 62 anni),
aspetto, quindi, anche questo criticato a torto.
Ribadisco il concetto: chi non accetta i nostri dati, non ha che da ripetere la
sperimentazione! Noi non potremmo che esserne onorati, dato che si tratta di un
lavoro storico: è infatti il primo studio clinico che dimostra come la menopausa è
reversibile!
D’altra parte, chi vuole capire, capisca: credo che ciascuno abbia almeno
un’idea del fiume di denaro che scorre a fianco degli ormoni e della menopausa!
È facile quindi immaginare quali ostilità susciti la notizia secondo cui, in effetti,
basterebbe l’umile, poco costosa e, soprattutto, non brevettabile melatonina, per
portare serenità alle donne, fino addirittura a invertire il processo di menopausa!
Proviamo però adesso a girare la frittata, per così dire, ponendo la
questione che abbiamo discusso finora in un altro modo: una donna in
menopausa, che non assume melatonina, ma fa ricorso alla terapia sostituiva
ormonale, normalmente proposta dai ginecologi, a quali problemi va incontro?
La somministrazione ormonale ci riconduce necessariamente alla famosa tela
di ragno di cui abbiamo parlato all’inizio della nostra conversazione. Se tiri uno
dei fili, tutta la tela traballa, e lo stesso avviene se si interviene su un altro punto
della costruzione. L’unico in grado di controllare la tela nel suo insieme (cioè,
fuor di metafora, gli ormoni), è il ‘ragno’ (cioè la ghiandola pineale). Se si
somministrano progestinici ed estrogeni ecc. di sintesi, attivi ma strutturalmente
diversi dalle molecole naturali, che (ed è stato ormai definitivamente accertato)
nel tempo risultano, fra l’altro, essere cancerogeni, al massimo si può correggere
alla periferia uno degli squilibri, ma non tutta la situazione compromessa nel suo
insieme; soltanto la risincronizzazione a livello centrale (pineale-ipotalamo-
ipofisi) può porre rimedio a tutti i problemi nel loro complesso! Diversamente, si
finirebbe per mettere 22
inevitabilmente la classica ‘pezza’, senza però risolvere la questione centrale.
Ciò non vuol dire che estrogeni e progestinici non possano essere utilizzati
temporaneamente per mantenere un certo ritmo nella donna; ma, a lungo andare,
non è possibile continuarne la somministrazione, perché gli ormoni non
sarebbero più gestibili e diventerebbero addirittura pericolosi.
Per quale motivo allora, è lecito chiedersi, la terapia sostitutiva ormonale è
diventata il classico rimedio ai disturbi che accompagnano solitamente la
menopausa?
Bisognerebbe girare la domanda ai ginecologi, ai medici di famiglia, oppure,
più fruttuosamente, alle industrie farmaceutiche che producono ormoni. Io posso
soltanto dire che la terapia sostitutiva ormonale non è, e non può essere, la
soluzione del problema. Sarebbe come somministrare permanentemente
cortisone a una paziente che è portatrice di una malattia autoimmunitaria; il
cortisone toglie semmai l’infiammazione, ma la malattia resta lì, e il problema è
tutt’altro che risolto! Inoltre, e ne puoi capire la ragione, si usano soprattutto
estrogeni e progestinici di sintesi chimicamente diversi dai naturali, invece di
quelli naturali, disponibili ma…economici!
Anche qui la chimica ed il profitto hanno preso il sopravvento sulla Natura.
Tuttavia, per tornare alla melatonina, è proprio vero che la sua
somministrazione pone efficacemente rimedio a tutti i disturbi riferiti dalle
donne in menopausa?
Vampate di calore, nervosismo, irritabilità, insonnia, depressione mattutina,
sono tutti disturbi neurovegetativi che scompaiono grazie alla somministrazione
della semplice melatonina. E ciò avviene, non tanto per l’azione della
melatonina in sé, quanto piuttosto per gli effetti protettivi, a livello centrale,
esercitati dalla melatonina sul sistema neuroendocrino.
Cap. 12 – La conferenza di Berkeley e la melatonina
Il lavoro non vi mantiene giovani.
Colui che pretende di non faticare lavorando,
soffrirà morendo. Il lavoro della maggior parte
degli uomini non è né imposto né benedetto da Dio. (Walter Pierpaoli)
Su invito di Organi Amministrativi del governo degli Stati Uniti, nel 1996, tu
hai partecipato alla conferenza di Berkeley, che ha praticamente deciso il
destino della melatonina negli Stati Uniti. Come sono andate le cose?
Sì, sono stato gentilmente invitato, e ricordo con quanta perplessità e talvolta
con irritazione mi guardavano gli altri convitati. Credo si chiedessero da dove
arrivava l’intruso. Alla conferenza infatti partecipavano i membri della FDA
(Food and Drug Administration), l’agenzia governativa degli Stati Uniti per i
farmaci e l’alimentazione, alcuni ricercatori e specialisti come me, il mio amico
William Regelson, dirigenti e ricercatori della più importante istituzione degli
USA per lo studio dell’invecchiamento (National Institute on Aging, National
Institutes of Health), per un totale di diciotto persone.
La conferenza era stata organizzata per decidere cosa fare della melatonina,
se consentirne cioè, o no, la libera vendita negli Stati Uniti. C’era stato infatti già
in precedenza un tentativo di escludere la melatonina dal mercato.
La reazione da parte dei consumatori era stata però talmente violenta che,
così almeno mi fu riferito (ma non sono in grado di confermare se le cose siano
andate realmente così), in poco tempo vennero raccolte oltre quaranta milioni di
firme a favore della libera vendita della melatonina. Com’è noto, infatti, il
popolo americano insorge in modo drammatico quando qualcuno vuole impedire
una qualsiasi espressione della libertà di scelta.
In quella occasione, la melatonina scampò al pericolo di interdizione per due
motivi concomitanti: la determinazione dei produttori di ogni sorta di integratori
alimentari, che negli Stati Uniti, contrariamente a quanto avviene in Europa,
sono altrettanto potenti quanto le industrie farmaceutiche; e l’impossibilità di
accertare un solo effetto negativo attribuibile all’assunzione di melatonina.
23
Fu così che la FDA ne decretò definitivamente la libera vendita. In ogni caso,
la conferenza si rivelò la sede più qualificata per una qualsiasi decisione in
merito, in un senso o nell’altro. Erano infatti presenti tutti quelli che decidono
della salute degli americani, e per me è stata una grande lezione positiva di
civiltà e di democrazia (la stessa cosa non si può purtroppo affermare per
l’Europa). Ed è proprio grazie alla positiva presa di posizione di FDA e NIH
negli USA, che anche in Europa è stato possibile, non soltanto continuare la
sperimentazione scientifica, ma rendere anche disponibile la melatonina a
beneficio della popolazione; quantomeno in Italia!
Mi sia consentito, a questo proposito, di affermare che, almeno in questa
occasione, mi sento felice di essere italiano! Però, se gli Stati Uniti non avessero
fatto da battistrada, e se non fosse stato pubblicato, appunto negli USA, il mio
libro Il Miracolo Melatonina, che ne sarebbe stato della melatonina? Lascio a te
immaginarlo.
Chi era contrario alla libera vendita della melatonina, in quella
circostanza?
Chiaramente l’industria farmaceutica. È infatti risaputo che la melatonina è
in grado di sostituire egregiamente (e senza rischio alcuno!) le benzodiazepine e
tutto il fruttuoso e sterminato campo di psicofarmaci, tranquillanti, ansiolitici e
sonniferi, il consumo dei quali ha ormai assunto proporzioni gigantesche. Molti
dei mie pazienti, prima di rivolgersi a me, ne facevano uso da oltre trent’anni!
Ti porrò adesso una domanda, che avrei dovuto farti per la verità all’inizio,
e che riguarda la melatonina come sostanza; ma vorrei che tu mi parlassi della
sua origine e della sua scoperta, oltre che del nome stesso che le è stato
attribuito. Mi rendo conto che la questione è trita e ritrita; tuttavia, parliamone
ugualmente a beneficio di chi ti legge per la prima volta.
La melatonina ha un ruolo fondamentale nella biologia di tutti gli esseri
viventi, animali o vegetali che siano. È
presente non soltanto nell’uomo, ma anche negli anfibi, nei pesci, nelle
piante ecc. Il nome le è stato attribuito per il noto fenomeno che ne fa una
sostanza in grado di indurre delle mutazioni nei cromatofori, cioè le cellule
(melanociti) che trasportano il pigmento responsabile della colorazione della
pelle, per esempio. Cerco di spiegare meglio: l’ipofisi intermedia produce una
sostanza, MSH (melanocyte stimulating hormone), che provoca la diffusione dei
melanofori sulla pelle, quelli cioè che ci consentono di abbronzarci se ci
esponiamo al sole; vengono richiamati dai raggi ultravioletti e portano il
pigmento.
Queste cellule pigmentate sono anche sulla pelle degli anfibi; anzi, per alcuni
di loro rappresentano una sorta di salvavita, perché rendono possibile un rapido
mimetismo, attraverso un istantaneo cambiamento di colore che rende
praticamente invisibile l’animale.
Sulla pelle della rana, per fare un esempio, la natura ha dislocato delle
sostanze che muovono le cellule deputate al trasporto dei pigmenti; si tratta
dell’MSH, che è un ormone molto interessante dell’ipofisi intermedia, che
produce un allargamento, cioè un’espansione dei melanofori. La melatonina
agisce invece in senso contrario; fa cioè aggregare i melanofori, causando così
uno sbiancamento della pelle della rana che assume quindi un colorito pallido.
Le prime osservazioni sulla melatonina hanno semplicemente messo in
evidenza che un estratto di pineale produce un effetto schiarente sulla pelle della
rana. La melatonina è stata poi isolata da Lerner, negli anni cinquanta, che la
identificò, dandole il nome che oggi tutti conosciamo. Aggiungo che, subito
dopo la scoperta di Lerner, sono stati eseguiti moltissimi lavori clinici che hanno
messo in luce come la melatonina, somministrata anche in dosi enormi
(addirittura per settimane, in grammi, non milligrammi!), nell’uomo, non dava
luogo a effetti collaterali.
In realtà, non si conosceva quale potesse essere la sua funzione (a parte
l’effetto sulla pelle della rana!); risultava però assolutamente innocua. Tuttavia,
come la storia della ricerca scientifica ci insegna, la natura non crea una
molecola per adempiere esclusivamente a una sola funzione (in questo caso,
schiarire la pelle della rana). Come era solito affermare Sir Peter Medawar,
Nobel per la medicina nel 1959, che ebbi la fortuna di incontrare durante una
conferenza a Cernobbio, purtroppo i tecnologi tralasciano le osservazioni più
ovvie. Le molecole che la natura si è ‘inventata’ (gli ormoni, per esempio) nel
tempo, non cambiano la loro struttura durante il corso dell’evoluzione, però
possono acquisire nuove funzioni.
Un buon esempio in questo senso è costituito proprio dalla melatonina, che
svolge tantissime funzioni, di cui neppure una è (almeno al momento) conosciuta
fino in fondo.
L’ormone della crescita, o Growth Hormone, altro esempio, è una mostruosa
molecola ricca di tanti aminoacidi, che non è affatto destinato unicamente a
favorire la nostra crescita; ricopre invece un’infinità di altre funzioni, acquisite
nel corso dell’evoluzione delle varie specie animali (questo è anche il motivo per
cui bisogna fare molta 24
attenzione a somministrarlo come supplemento nutrizionale: oltre infatti a
favorire la crescita, purtroppo anche delle cellule tumorali!, induce la formazione
di colesterolo LDL, quello cattivo!, e ha a che fare con l’insulina ecc).
Questo è anche il motivo per cui bisogna essere molto cauti nell’assumere
ormoni, perché la loro supplementazione risulta sempre pericolosa. Le molecole
di cui ci si può invece fidare sono quelle innocue e senza effetti collaterali, e che
non rientrano nella categoria degli ormoni, anche se poi nel corso
dell’evoluzione della specie, ma molto più tardi, hanno anche acquisito la
funzione di regolare certe ghiandole, com’è appunto il caso della melatonina. Ma
ciò avviene comunque in maniera indiretta, e con un meccanismo
completamente diverso. È la natura che si è inventata tutto; noi invece
brancoliamo nella chimica, e diamo definizioni ridicole di molecole di cui
sappiamo poco o niente. Vedi il caso della prolattina, simile al Growth Hormone
(ormone della crescita), che qualcuno ha battezzato versatilina, dato che fa di
tutto, a tutti i livelli.
Cap. 13 – Melatonina e invecchiamento
Gli uomini politici, i dottori della legge, i medici
e i professori universitari soffrono (in gran parte)
della ‘sindrome di Seneca’. I loro atteggiamenti moralistici
e virtuosi portano l’impronta gerontomorfica e necrofila
che distrugge la nostra gioventù, la nostra gioia di vivere,
il senso dell’amore e della bellezza, e conduce la
società all’estinzione. (Walter Pierpaoli)
Scoperta la melatonina, iniziano gli studi per capirci qualcosa sulle funzioni
e le proprietà di cui essa sembra portatrice. Quando se ne rileva poi la funzione,
per così dire, antietà?
Che la melatonina abbia a che fare con l’invecchiamento, è una scoperta di
cui rivendico la paternità. Io però, in precedenza, mi ero preso la briga di
leggermi una mole enorme di documentazione scientifica.
Alla fine degli anni settanta, lavoravo agli ormoni, all’ipofisi, ai trapianti; ho
iniziato a documentarmi sulla ghiandola pineale, la ciclicità e altri argomenti di
questo genere. Leggevo, per esempio, che la produzione di melatonina decresce
con l’invecchiamento.
Reiter aveva osservato invece che la melatonina, somministrata ad alte dosi,
ma con una ciclicità inversa rispetto a quella fisiologica (di giorno, quindi, e non
di notte), portava all’atrofia dei testicoli nel criceto. Collegando insieme
osservazioni diverse (picco notturno della melatonina; diminuzione
nell’invecchiamento; effetti antigonadotropi nel criceto ecc.), cominciai a
mettere in atto una serie di esperimenti (gran parte dei quali pubblicati su riviste
scientifiche internazionali).
A quel tempo mi occupavo di immunologia, e il mio primo esperimento fu
quindi orientato in quella direzione. Visto che la produzione di melatonina viene
inibita dalla luce, con conseguente neutralizzazione della funzione della pineale,
e sapendo che il timo e tutto il sistema immunitario dipendono dagli ormoni, mi
sono chiesto che cosa sarebbe accaduto se avessi tenuto costantemente sotto la
luce di una lampada in laboratorio, coppie di topolini (maschi e femmine) perché
si riproducessero. L’interrogativo cui intendevo rispondere attraverso
l’esperimento era il seguente: se, come risultava dalle osservazioni di altri
ricercatori, la produzione di melatonina decresce nel corso della vita, fino a
scomparire del tutto nell’invecchiamento, ed essa è inoltre inibita dalla luce,
quale effetto avremmo potuto aspettarci se avessimo inibito costantemente
(attraverso un’illuminazione costante) il picco notturno di melatonina, cioè la
sua produzione da parte della ghiandola pineale?
In teoria, privi del picco notturno di melatonina, i topi avrebbero dovuto
invecchiare rapidamente. Si trattava di un esperimento semplicissimo, che però
nessuno aveva mai condotto in precedenza. La prima e la più ‘strana’
osservazione fu che cambiava l’odore che i topolini emanavano; credo si
verificasse una mutazione del sistema ormonale (probabilmente a livello di
gonadotropine, e con il coinvolgimento di qualche feromone); inibendo, infatti,
la produzione di melatonina, che antagonizza appunto le gonadotropine, queste
ultime aumentano.
Era comunque un odore molto particolare, di cui, da qualche parte nel mio
cervello, mi è rimasto ancora il ricordo.
Gli animali si accoppiavano sotto la luce, generavano sotto la luce, vivevano
sotto la luce, giorno e notte. Stesso trattamento riceveva la prole, fino alla
seconda, alla terza e alla quarta generazione. Risultato? Le prime tre generazioni
apparivano del tutto normali; la quarta generazione, invece, mostrò seri problemi
di crescita (timo atrofico, risposta immunitaria assente, in una parola,
invecchiamento accelerato).
25
Quale conclusione traesti allora da quel risultato?
Devi sapere che una delle mie intuizioni, che considero fondamentale, è stata
la scoperta che la ciclicità sta alla base della vita (1977). E, guarda caso, cosa era
venuto a mancare nell’esperimento in questione? Proprio la ciclicità dei ritmi
circadiani (giorno/notte; sonno/veglia), con il conseguente arresto della crescita,
e quindi della vita stessa.
C’erano volute però ben quattro generazioni per poter eradicare il segnale
della ciclicità: esso risulta quindi iscritto profondamente nella genetica del
mammifero topo e, estrapolando, anche nell’uomo (i risultati furono pubblicati
nel 1981 su Psychoneuroimmunology, un volume dell’Academic Press di New
York).
L’invecchiamento precoce, nell’esperimento che hai appena ricordato, era
quindi da attribuire alla perdita dei ritmi circadiani; e la melatonina, però? S’è
persa nel frattempo per strada?
Giusta osservazione. Infatti, proseguendo nella ricerca, mi sono chiesto: non
sarà stato per caso il venir meno della produzione di melatonina a causare
l’accelerazione dell’invecchiamento? Per dare una risposta a questo
interrogativo, non c’era altro fare che provare. Così, nel 1985, cominciai
l’esperimento decisivo, ormai ampiamente documentato e replicato numerose
volte e poi pubblicato vedi foto nelle ultime pagine di questo libro, grazie
al quale giunsi alla conclusione che la somministrazione notturna di melatonina
allungava effettivamente la vita dei topi.
Ma non è tutto; nel 1987 infatti scoprimmo che la melatonina ha anche un
potente effetto immunostimolante.
Seguì un periodo molto intenso di ricerca, durante il quale, oltre a occuparmi
di brevetti e di altro ancora, vennero replicati tutti gli esperimenti eseguiti in
precedenza, che confermarono quanto fino ad allora era stato da me scoperto. In
questo senso poi, la seconda Conferenza di Stromboli su Cancro e
Invecchiamento (1990) che ebbe come argomento «Physiological senescence
and its postponement: theoretical approaches and rational interventions» (cioè,
Come ritardare l’invecchiamento fisiologico: approccio teorico e interventi
razionali), rappresentò il coronamento di tutti gli sforzi compiuti fino a quel
momento.
Fra l’altro, proprio in quegli anni avevo sposato la mia seconda moglie; mi
preme sottolineare questo avvenimento, perché senza di lei non avrei mai potuto
portare a termine una mole così impegnativa di lavoro: la sua presenza al mio
fianco è stata per me la salvezza; mi ha infatti dato la cura, l’amore, la tenerezza,
l’attenzione e la serena intelligenza di cui avevo assoluto bisogno. Con ciò non
rinnego affatto la mia prima famiglia, con la quale ho iniziato, e continuo a
costruire, una meravigliosa Comunità Umana.
Tuttavia, nonostante ciò che avevi scoperto fosse di fondamentale
importanza, immagino tu non ti sia fermato lì: qual è stato il passaggio
successivo, sulla strada dell’inversione dell’invecchiamento?
In realtà, io continuavo a domandarmi se era realmente la melatonina a
ritardare l’invecchiamento. Da qui l’idea di eseguire un esperimento in grado di
eliminare ogni ragionevole dubbio. Dato che la melatonina è prodotta soprattutto
dalla ghiandola pineale, che è quindi responsabile del suo picco notturno, decisi
di procedere al trapianto di pineale da topo giovane a topo vecchio (per la verità,
data la mia dimestichezza con i trapianti, questo era un esperimento cui avrei
dovuto far ricorso prima, ma è andata così!).
La risposta fu sorprendente: la ghiandola pineale giovane, trapiantata nel
topo vecchio (dove non può più produrre melatonina perché non ha innervazione
e non può quindi adempiere oltre a questa funzione, anche se vascolarizzata, e
quindi vitale), non solo ritardava l’invecchiamento, ma ne invertiva il processo!
Il ‘miracolo’ non era quindi da attribuire tanto alla melatonina (prodotta in
condizioni normali dalla pineale), ma alla pineale stessa!
Questa ulteriore scoperta si è rivelata quindi fondamentale per comprendere
il meccanismo dell’invecchiamento.
Ma, ancora una volta, che fine fa la melatonina? Se infatti non è la diretta
responsabile della giovinezza o dell’invecchiamento, perché somministrarla (al
topo e, quindi, all’uomo)?
Per la semplice ragione che la melatonina ha la funzione di proteggere e
mantenere giovane la pineale, che è quella che impartisce l’ordine di
invecchiare. Per spiegarmi meglio, io ricorro al ragionamento che farebbe
qualsiasi persona semplice: se si inonda di notte l’organismo con la melatonina,
per la cui produzione occorre innescare vari, ‘dispendiosi’ e complicati
meccanismi, la pineale si astiene dal produrla.
26
E cosa fa, in questo caso, la pineale?
Dorme e si riposa, ti sembra poco? In sostanza, assumendo melatonina, si
mette a riposo la pineale; di conseguenza, quest’ultima non ha bisogno di
sottoporsi alla sforzo di produrla, e può adempiere con maggiore vigore ad altre
funzioni, producendo in primis altre sostanze, per esempio il TRH, che io vado
studiando da parecchio tempo, e che, come ho già anticipato, sarà l’oggetto del
nostro prossimo libro.
Se però una pineale giovane fa ringiovanire il topolino decrepito su cui è
stata trapiantata, che succede se si esegue l’operazione contraria? So bene che
questo argomento lo abbiamo già affrontato in precedenza in questo libro,
tuttavia a me sembra molto utile tornarci su, data l’importanza della questione.
La risposta la si può facilmente trovare nel trapianto crociato: da topo
vecchio a topo giovane, cioè, e viceversa, che noi abbiamo infatti eseguito.
Risultato? Mentre il topo vecchio ringiovanisce, nel giovane si attiva un
processo di rapido invecchiamento; e, cosa ancora più sorprendente, anche nel
caso in cui esso, oltre alla pineale vecchia che gli è stata impiantata, conservi
anche la sua pineale giovane.
Ciò può avere soltanto un significato: che cioè l’ordine d’invecchiare,
impartito dalla pineale vecchia, ha il sopravvento assoluto; fino a rendere nullo il
messaggio della pineale giovane che vorrebbe invece ritardare l’invecchiamento,
perché il suo orologio biologico non segna ancora l’ora d’invecchiare.
Infatti, grazie all’ultimo lavoro (e guarda quanti anni sono dovuti passare!),
abbiamo potuto dimostrare come il trapianto di pineale vecchia fa invecchiare in
modo drastico il topo giovane, anche se esso conserva la propria pineale.
[Pierpaoli-Bulian, Journal of AntiAging Medicine, vol. 4, n.1, 2001: «The Pineal
Aging and Death Program. I. Grafting of Old Pineals in Young Mice Accelerates
Their Aging». Vedi in appendice]. Ciò era assolutamente impensabile prima.
Chi avrebbe infatti mai potuto soltanto sospettare che una pineale vecchia, di un
animale di 22 mesi (un topo vecchissimo, quindi) separata dalle sue connessioni
nervose, e trapiantata nel timo o sotto la capsula renale di un animale giovane (4
mesi), potesse farlo invecchiare tanto rapidamente?
A me pare tuttavia che questo esperimento tu l’avessi già eseguito in
precedenza, quando avevi trapiantato la pineale dal giovane al vecchio, cui
avevi lasciato però la sua pineale vecchia.
Infatti, ricordi bene. Ma allora non avevamo eseguito l’operazione inversa,
da vecchio a giovane cioè, lasciando la pineale al proprio posto. Nella
pinealectomia crociata, infatti, poteva sussistere il dubbio che il topo giovane
invecchiasse per un danno subìto durante l’intervento chirurgico, e non quindi
perché la pineale vecchia che gli era stata impiantata gli ordinasse d’invecchiare.
Per questo motivo, l’esperimento di cui abbiamo appena parlato costituisce
una novità assoluta; sono poi in grado di anticipare che un altro lavoro, di
prossima pubblicazione, dirà in quale momento della vita la pineale dà l’ordine
d’invecchiare. Abbiamo infatti realizzato una serie di esperimenti, grazie ai quali
è stato possibile stabilire l’età critica in cui la pineale decide che è giunto il
momento. E la cosa sorprendente è che, asportando la pineale in quel preciso
momento, l’animale vive più a lungo. Infatti, il programma genetico di
invecchiamento e morte, insito nel sistema neuroendocrino, è molto preciso; allo
stesso modo in cui un individuo cresce, si sviluppa, raggiunge la maturità
sessuale, si riproduce. È un programma insito nella genetica di ogni specie.
Anche l’invecchiamento è quindi programmato; e se noi riusciamo a individuare
gli agenti deputati all’attuazione del programma (e io penso naturalmente al
sistema ormonale che decade, vedi la menopausa, per esempio), possiamo
intervenire su di essi, riprogrammando il processo d’invecchiamento e morte.
L’uomo ha dunque di fronte a sé nuove frontiere.
Cap. 14 – Come mantenersi in buona salute, a contatto con la natura
Gli incantevoli occhi ridenti di un vecchio
che ha vissuto bene, esprimono, meglio di mille
descrizioni letterarie, l’accumulo di vita che continua,
e il messaggio che l’invecchiamento è soltanto un fenomeno
evolutivo e sociale, piuttosto che un’ineluttabile legge di Natura. (Walter
Pierpaoli) 27
Nei tuoi scritti, e ciò si è ripresentato più volte in questa nostra
conversazione, tu parli spesso dei ritmi naturali e della ciclicità che li
accompagna. Ti chiedo: quanto è importante per l’uomo di oggi conservare,
nonostante tutto, il contatto con la natura?
Io sono solito ripetere a me stesso uno slogan, che potrà far sorridere, a cui
credo però fermamente, ed è questo:
«Chi molto si è graffiato, nei secoli si è salvato».
‘Chi molto si è graffiato!’, capisci? Tento di spiegare ciò che intendo dire. Io
sono convinto che il midollo osseo è al centro della morfostasi, ed è il ‘cervello’
del mantenimento dell’integrità biologica.
Compiendo, infatti, sperimentazioni di epatectomia (rimozione chirurgica
parziale o totale del fegato) sui topolini, per studiare la rigenerazione epatica, mi
resi conto che il midollo reagiva molto prontamente, non solo alla resezione di
parte del fegato, ma anche alla laparotomia (incisione chirurgica della parete
addominale e del peritoneo). Misi in atto allora altri esperimenti, e scoprii così
che l’alterazione della compattezza dell’epidermide aveva una diretta relazione
con il midollo osseo.
In pratica, è il nostro mondo nascosto nelle ossa e nei miliardi di nicchie che
vi si annidano (l’ecosistema delle cellule del midollo osseo è un mondo
fantastico di una complessità incredibile!), a regolare la nostra vita.
In ogni caso, c’è una connessione diretta fra il mondo esterno (la pelle), e il
mondo interno (il midollo osseo). Da questo concetto è venuta la scoperta delle
transferrine e tutto quanto concerne il mondo dei trapianti (di cui parleremo in
un altro libro!).
Ho scoperto cioè che quando si graffia la pelle (ed ecco perché gli interventi
chirurgici sono un avvenimento importante, anche soltanto per la semplice
incisione della cute con il bisturi, cosa a cui i chirurghi non pensano
minimamente!), nel nostro organismo si scatena un vero putiferio.
Ora, l’uomo di una volta, il cacciatore cioè, o il contadino, si graffiava, ed
era sempre esposto a ogni genere di intemperie: questo è un concetto
importantissimo. Gran parte degli uomini vivevano all’aperto; soffrivano il caldo
e il freddo; si procuravano ferite alla pelle mentre faticavano a raccogliere
bacche o altro. Tutto questo era positivo per la loro salute.
Viene, ovviamente, da chiedersi: perché?
Perché un graffio alla pelle stimola le risorse immunitarie, che sono in grado
di rigenerare la nostra vitalità. I barbieri, un tempo, praticavano il salasso; e
perché? Perché ci si era accorti che l’unico modo per rigenerare la capacità di
resistere alle infezioni era ricorrere a questa pratica; e, infatti, quando uno stava
male, non sapevano come intervenire diversamente.
Un graffio sulla pelle scatena quindi una reazione immediata a livello del
midollo osseo? È questo che vuoi dire?
Esattamente. E ciò avviene perché il sistema nervoso e le linfomonochine
che si liberano dall’epitelio e dal derma, stimolano il midollo osseo, attraverso
meccanismi nervosi (esiste, in sostanza, una connessione nervosa diretta; è lo
stesso principio su cui si basa infatti l’agopuntura o il massaggio plantare ecc.).
È un fatto positivo, evolutivo; quando, infatti, eravamo scimmie o scimmie per
metà, o che so io, noi eravamo esposti a micro o macro drammi della pelle.
Il midollo contiene però elementi potentissimi per la sua rigenerazione. Se
quindi ci si graffia la pelle, si innesca una ‘conversazione’ tra pelle e midollo che
porta a un nuovo stato di salute.
Veniamo adesso al ragionamento che ci interessa: l’uomo moderno sta
mettendo in atto, letteralmente, il proprio suicidio; noi non siamo più degli
uomini; siamo piuttosto dei molluschi, degli invertebrati! Gi americani stanno
affogando nel loro grasso!
Inoltre, automobile, televisione ecc., tutti questi aggeggi ci danneggiano fin
dalla nascita; i bambini sono superprotetti; per non parlare poi dei farmaci, degli
antibiotici e delle vaccinazioni! Non esiste più la selezione naturale, e ciò
rappresenta, dal punto di vista biologico, un danno gravissimo.
L’uomo deve esporsi alla natura; se non lo fa, accelera il proprio
invecchiamento. Il rinnovamento, infatti, del midollo e delle risorse immunitarie
dipende in larga misura dal contatto con la natura: se prendi una doccia fredda,
se ti ferisci, se ti graffi, se lavori e affondi le mani nella terra, se senti il freddo, il
cambiamento delle stagioni…
Purtroppo, chi vive in città, questi aspetti del vivere li ha dimenticati del
tutto. E i prodotti chimici, l’aria che respiriamo, l’alimentazione, i telefoni
cellulari e le linee ad alta tensione: è una catastrofe!
28
Siamo immersi in un sistema che ci sta distruggendo. Per mantenere uno
stato ottimale di salute, dobbiamo adottare uno stile di vita in cui, per fare un
esempio, non ci si mette addosso tre cappotti o tre paia di calze d’inverno;
bisogna invece cercare di ‘sentire’ se fa freddo o se fa caldo, se è primavera o
estate, inverno o autunno.
Non si può tuttavia pensare di tornare al lume a petrolio o alla stufa a legna.
Si può però regolare il riscaldamento sui 18, piuttosto che sui 24 °C e non
devastare la pineale con luce intensa, magari anche notturna. Ciò vale anche per
l’alimentazione e l’igiene personale, attraverso l’adozione di abitudini
intelligenti, con esclusione di prodotti chimici dannosissimi (creme, shampoo,
tinture per capelli, detersivi e deodoranti compresi). Ma la Natura, sempre più
sopraffatta dalla chimica, inevitabilmente si vendica sempre, e quando uno meno
se lo aspetta! I bambini che crescono oggi nei Paesi Occidentali ricchi ne
saranno la triste evidenza.
Cap. 15 - Me l’ha prescritto il medico! Attività sessuale e sistema
immunitario
29
L'ottimismo, l'idealismo, la curiosità
della natura e l'intenso amore per la vita,
combinati alla capacità di gioire nel fare errori,
sono tutti elementi che hanno il sapore di Venere e di Eros. (Walter Pierpaoli)
Caro Walter, tu dici che l’interesse sessuale non conosce età o limiti
temporali. Lo confermi, e perché?
Inoltre, qual è il significato di questo interesse a livello, diciamo,
fisiologico?
L’aspetto più drammatico nelle vicende che riguardano il sesso, diciamo
negli ultimi duemila anni della civiltà occidentale, è la manipolazione che è stata
messa in atto da parte dei gruppi dominanti di potere; i quali, avendone
compreso appieno la forza vitale dirompente, hanno di volta in volta spinto il
sesso verso obiettivi di comodo, ora sublimandolo, ora comprimendolo, fino a
sopprimerlo; il tutto condito da malefatte di incredibile raffinatezza.
Si è inteso, in sostanza, privare l’uomo della libertà di godere del sesso,
facendone oggetto di peccato e di colpa, e introducendo limitazioni e distinguo,
in modo da assoggettare l’individuo alla necessità impellente di ottenere, da chi
ha appunto il potere di accordarlo, il perdono dalla colpa!
Si è tentato di soggiogare in tutti i modi l’uomo, facendo dell’insopprimibile
forza vitale del sesso, uno strumento di controllo, e quindi di potere da gestire a
discrezione dell’autorità, che, solo lei, può assolvere o dannare; degradando così
quello che nella natura delle cose è un anelito verso la gioia e l’immortalità,
nella più turpe delle attività dell’uomo.
Da una parte quindi, se capisco bene, l’insopprimibile forza vitale del sesso;
dall’altra, qualcuno che, taglieggiandola, ne fa uno strumento di potere; forse è
una ricostruzione un po’ semplicistica ma, tant’è, non è di questo che ci
occupiamo in questo capitolo. Mi interessa però comprendere quanto è
importante il sesso ai fini del nostro stato fisiologico, e quindi della nostra
salute in generale. Quanto conta insomma il sesso nella nostra vita?
Mi sembra pressoché ovvio affermare che il sesso rappresenta il mezzo,
conscio o inconscio che sia, con il quale l’uomo tende all’immortalità, e la
realizza. Per questo motivo la spinta sessuale è di una inaudita e, direi,
irrefrenabile violenza. Se noi riuscissimo, per un momento, a liberarci da tutti i
condizionamenti culturali di cui ho appena parlato, non potremmo non convenire
sul fatto che il sesso è la forza vitale più decisiva nella nostra condizione umana.
Del resto, tutto nella nostra vita ruota attorno al sesso, ne sono
profondamente convinto, e motiva gran parte delle nostre azioni, se non tutte; ed
è incessantemente presente nell’uomo dalla nascita fino alla morte; al punto che
quando si estingue, viene meno la vita stessa.
Già soltanto da questa semplice osservazione, ci si può rendere conto del
significato del sesso per la nostra salute. Tu mi chiedi se è importante il sesso: e
io ti dico che immunità e sesso sono inscindibili, ti basta?.
Vista dal biologo, la situazione si presenta in questi termini: immunità e
ormoni sessuali sono parte di un solo sistema di identità. Le molecole che
regolano le funzioni sessuali sono, infatti, le stesse che governano la resistenza
immunitaria contro infezioni virali, batteriche, micotiche e parassitarie.
Sono i fattori di ‘rilascio’ ipotalamici (come LH-RH) delle gonadotropine, le
gonadotropine stesse (LH e FSH), gli estrogeni, il progesterone, il testosterone, e
così via. La natura poi non fa distinzione tra riproduzione sessuale e resistenza
alle infezioni, anche se dà ovviamente la priorità alla riproduzione, perché
l’individuo diventa inutile una volta che si è riprodotto. Basti ricordare la
drammatica storia del salmone del Pacifico, che muore di morte acuta
‘ormonale’, subito dopo aver fecondato!
In questo senso, la resistenza immunologica è importante solamente in
quanto concede all’individuo il tempo necessario a divenire adulto, e quindi a
procreare per immortalare la specie. Da questo punto di vista, la natura non bada
proprio a spese! Ottiene i suoi scopi evolutivi attraverso misure e metodi
dispendiosi e complessi, ma infallibili, e statisticamente vincenti; per questo
motivo bisogna guardarsi bene dall’intralciarne i disegni, come purtroppo oggi
avviene con la rottura degli equilibri biologici prodotta dall’uomo e dalle sue 30
dissennate misure di protezione (vedi vaccinazioni a tappeto). La
conseguenza non potrà che essere una nuova ‘selezione naturale’, che già
peraltro osserviamo nel proliferare dell’AIDS e nel dilagare della droga, che
uccide chi è psichicamente labile e ne diventa dipendente e schiavo.
In ogni caso, tornando all’interesse sessuale, da cui siamo partiti, si tratta di
un sistema che si genera con la vita e si estingue con la morte; e non può e non
deve mai essere messo da parte! Accade, per esempio, che alla donna in
menopausa il sesso non interessi ormai più così tanto, mentre il partner è di
tutt’altra opinione: lei rassegnata, lui, di conseguenza, frustrato (bella coppia!).
Sono invece convinto che la vita in comune, a parte la spiritualità condivisa,
l’affinità elettiva ecc., è basata sul mantenimento costante di una buona relazione
sessuale. Non sto dicendo, me ne guardo bene, che non debba esistere anche la
solidarietà e l’amore, come espressione di affinità spirituale in caso di gravi
problemi che impediscono l’attività sessuale; normalmente, però, ritengo sia
molto più salutare che la coppia abbia sempre una vita sessuale attiva, perché lo
vuole la natura.
Però, per esprimersi al meglio, l’attività sessuale necessita di una certa
sintonia di coppia (quale che sia), cioè di quello stato di grazia che tu chiami
‘spirito’, e anche ‘santo’.
Nella vita dell’uomo non c’è niente di più sublime dell’affinità di coppia che
consente a due persone di comprendersi, di toccarsi e di accarezzarsi
amorevolmente, vivendo espressioni di indescrivibile bellezza e raffinatezza: è il
raggiungimento di uno stato di beatitudine. Che però, me ne rendo conto, è
negato purtroppo alla stragrande maggioranza delle persone; ci sono infatti mille
ragioni perché tutto ciò accada soltanto di rado. Quando però si concretizza,
esprime uno stato di gioia tale, che più sublime non è dato sperimentare; ecco
perché io lo chiamo ‘spirito santo’.
Che cosa rappresenta questo ‘spirito santo’ a livello immunologico?
Le molecole che regolano le funzioni sessuali, l’ho già detto, sono le stesse
identiche molecole che presiedono anche ai processi immunitari. I cicli ormonali
sovrintendono all’immunità, alla funzione timica (cioè del timo), all’espressione
e alla funzionalità di vari tipi di cellule T (quelle che governano e sono preposte
all’immunità da trapianto, alla difesa contro i virus).
Quando una persona subisce una cocente delusione amorosa, viene a crearsi
nel suo intimo una situazione di disastro psicologico, di angoscia, direi
‘agonica’, che si riflette sia sulle funzioni sessuali, sia sull’immunità.
Sono arciconvinto che gran parte dei gravi problemi che portano
all’alterazione dell’immunità, hanno un’origine emotiva e psicologica. Quando
si è soggetti a uno stress negativo (perché ne esistono anche di positivi!), si
verifica un trauma che si riflette sul controllo dei cicli ormonali, fino a
compromettere l’immunità di una persona.
Il trauma emotivo persistente porta poi alla depressione e all’odio di se
stessi; a una situazione, cioè, autodistruttiva, fino al desiderio di morte, e talvolta
alla concreta realizzazione del suicidio. Tutto ciò è stato ampiamente dimostrato
da psiconeuroimmunologia, neuroendocrinologia, neuroimmunologia,
neuroimmunomodulazione, attraverso numerosi studi e sperimentazioni.
A seguito di un evento traumatico, l’entità psicoorganica si altera: la
conseguenza è, per esempio, che una persona depressa non fa sesso, perché non
ne ha voglia, in quanto i suoi ritmi ormonali risultano compromessi. Il depresso
è quindi esposto alle malattie infettive, a quelle autoimmunitarie, al cancro. Gran
parte infatti di queste malattie (fatti salvi i casi di incidenza da agenti tossici
inquinanti, chimici e ambientali), se si va a scavare in profondità, hanno come
substrato comune uno squilibrio psicosomatico grave.
Al contrario, la relazione amorosa, equilibrata, serena, allegra e gioiosa
costituisce la migliore salvaguardia nei confronti delle malattie in genere, e di
quelle autoimmunitarie in particolare. Purtroppo, sono veramente pochi a
rendersene conto; mentre si fa una gran confusione tra sesso e amore, riducendo
tutto alle trivialità di cui si fa dappertutto una continua ostentazione.
Tutto ciò per dire che sistema immunitario e sistema ormonale colloquiano
fra di loro, e sviluppano una relazione crociata. È quindi ovvio che se si alterano
i ritmi sessuali, risulterà di conseguenza alterata anche l’immunità.
31
Le tue affermazioni sono molto interessanti e, come sempre, illuminanti.
Tuttavia, come vanno prese? Voglio dire, sono delle tue, diciamo così, ipotesi, o
hanno invece un valore scientifico incontrovertibile, frutto di studi e
sperimentazioni scientifiche?
Esiste in proposito un’amplissima documentazione scientifica. Le mie
personali ricerche (ho iniziato a pubblicare su questa materia sulla rivista
scientifica Nature a partire dagli anni sessanta) sugli effetti prodotti sul sistema
immunitario e sul timo dalla ablazione delle gonadi, e come il timo regoli lo
sviluppo sessuale, per esempio, mi hanno permesso di dimostrare in passato
come le funzioni ormonali, legate all’ipofisi o alle gonadi, sono in grado di
alterare profondamente l’immunità.
Più recentemente, la farmacologia molecolare ha dimostrato (mi riferisco in
particolare ai validissimi lavori di Bianca Marchetti, titolare della cattedra di
Farmacologia Clinica, all’Università di Sassari) come le molecole che regolano
il rilascio delle gonadotropine dall’ipofisi (LHRH = luteinizing hormone
releasing hormone, fattore di liberazione delle gonadotropine) hanno
un’importanza determinante a livello immunitario. In sostanza, la sfera sessuale
è una forza vitale che fa capo all’altra forza vitale presente in noi, che è
l’immunità.
Adesso io vorrei porti delle domande che ti potranno far sorridere; com’è
noto, però, di sesso si parla a iosa, ma alla fine non tutti hanno le idee chiare, e
sull’argomento girano spesso credenze degne delle più incredibili leggende
metropolitane. Per esempio: come fare sesso, con quale frequenza, con quanta
libertà?
Ti chiedo: quanto influiscono queste modalità sulla ‘funzione immunitaria’
dell’attività sessuale?
Io credo che ognuno debba godere (è il verbo che in questo caso casca
proprio a fagiolo!) della massima libertà in questo campo, e comportarsi come
meglio crede; purché, a livello di relazione (etero o omosessuale che sia, non ha
importanza), l’attività sessuale sia comunque appagante. Questo è d’altronde il
regno della fantasia più sfrenata: basti pensare alle tradizioni orientali, al numero
infinito di libri che sono stati scritti sull’argomento, alle descrizioni più
maliziose e scollacciate... Tutti divertissements che, a dire la verità,
personalmente io reputo noiosi oltre ogni limite; se non sono infatti
accompagnati da una profonda emotività, rischiano di trasformarsi in puri e
semplici esercizi ginnici! Di cui peraltro mi guardo bene dal negare l’esistenza,
convinto come sono che almeno l’80% delle relazioni sessuali sia proprio di tipo
‘ginnico’.
Ritengo invece che la relazione amorosa coinvolga in maniera profonda, se
non addirittura drammatica e lacerante, l’emotività di due persone, che si
incontrano e si conoscono a un livello sublime, vale a dire, a mio avviso, spinti
dall’incoscia e anche straziante pulsione all’immortalità (mi viene in mente la
storia di Orfeo ed Euridice, così drammaticamente espressa da Monteverdi!).
Fermo restando che, come del resto in tutto ciò che è umano, anche l’esperienza
sessuale conosce differenti modulazioni, a seconda dell’intensità del piacere e
del grado di comunicazione fra le persone coinvolte.
Ci sono, nell’attività umana, altre esperienze tanto ‘sconvolgenti’ e intense,
da poter essere paragonate al piacere sessuale, così come lo hai appena
descritto?
Io credo che l’unica attività umana che possa essere accostata al trasporto
che provano due persone che si amano teneramente e vivono una comunione
spirituale, ma anche sessuale ed emozionale, sia la creatività scientifica o
artistica. L’emozione legata a una scoperta scientifica, o alla creazione artistica, è
infatti talmente grande, da potere essere (forse) paragonata all’erotismo e allo
stato di beatitudine che scaturisce da una appagante relazione amorosa (ma la
stessa cosa ritengo si possa dire dell’estasi sperimentata da alcuni dei ‘santi’
della tradizione cristiana, o di altre religioni). Non mi convince invece del tutto
l’amore cosiddetto platonico, che senz’altro è in grado di creare una tensione
erotica, però lascia un po’ la bocca amara; mentre io sono dell’opinione che le
situazioni erotiche vadano agite e concluse, per ricominciarle semmai
nuovamente con maggiore coinvolgimento.
32
Spiegami però bene: il sesso che ‘fa bene’ è quello in cui si manifesta il
sentimento; ma allora che ne facciamo di quello ‘ginnico’, che tu dici essere la
condizione ‘normale’ dell’80% dei rapporti sessuali? Voglio dire, i processi che
‘proteggono’ l’immunità sono tutti uguali, nell’un caso e nell’altro, o no?
A livello fisiologico, è chiaro che i processi e le reazioni ormonali hanno
luogo sempre e comunque in tutti e due i casi. D’altra parte, non bisogna
neppure portare alle estreme conseguenze le riflessioni che abbiamo fatto fin qui.
L’esperienza sessuale può essere infatti vissuta in maniera ‘alta’, anzi ‘altissima’,
ma soltanto se si è predisposti a che ciò avvenga; è mia opinione che questo atto
sublime sia riservato a pochi.
Ciò però non vuol dire affatto che l’esercizio ginnico-sessuale, per così dire,
purché, ovviamente, abbia luogo in condizioni di ‘normalità’, non sia di per sé
sufficiente a raggiungere lo scopo che la natura ha assegnato al sesso: vale
soprattutto per le persone che io chiamo ‘poco differenziate’ (e che sono,
purtroppo, la maggioranza!), che riescono ad avere soltanto un tipo di rapporto,
per così dire, diminuito. Se non altro, scaricano così quell’emotività che,
diversamente, se non incanalata cioè nella giusta direzione, potrebbe provocare
seri danni alla salute; chi infatti non traduce in pratica la propria carica sessuale,
è depresso, pieno di problemi, va soggetto a malattie, il suo organismo vive una
sorta di autocastrazione, con conseguente alterazione del sistema immunitario.
Quali conseguenze potrebbero verificarsi in questo caso? Che prezzo ha
l’astinenza, a livello immunitario?
Un esempio tipico, drammatico, è l’artrite reumatoide deformante, in forma
grave, tipica di certi periodi storici (quello vittoriano, per esempio, fra
l’Ottocento e l’inizio del Novecento), in cui a dominare era l’ipocrisia che
portava, soprattutto le donne, a soffrire di profonde frustrazioni sessuali.
Per non parlare poi di molte altre malattie autoimmunitarie che sono, sì,
scatenate da virus, ma in una condizione di immunosoppressione (psichica,
somatica ecc.); che a sua volta è frutto di una sorta di autocastrazione da
insoddisfazione sessuale, conscia o inconscia che sia.
In altri termini, l’organismo si punisce mettendo in atto un’autodistruzione:
l’immunità esercitata nel rigettare batteri, virus, parassiti ed elementi percepiti
come estranei, e quindi altro da sé, finisce per rivolgersi contro lo stesso
organismo, alla cui tutela la funzione immunitaria è preposta. Sono convinto che
anche molti tipi di tumori siano originati da problemi psicosessuali, in
particolare i tumori del tratto sessuale e riproduttivo dell’uomo e della donna.
Un capitolo a parte meriterebbe la condizione di chi intenda, per scelta o
per necessità, ‘sublimare’ la propria sessualità. Quali sono i pericoli che può
comportare un atteggiamento del genere?
Esistono persone portate spontaneamente alla spiritualità: ignoro se questa
tendenza possa essere messa in relazione con un’eventuale carenza di ormoni
sessuali, oppure no; da un punto di vista medico, non dispongo di elementi per
affermare alcunché nell’uno o nell’altro senso.
In ogni caso, se la forza vitale costituita dal sesso viene ‘volontariamente’
sublimata, purché con gioia e serenità, e indirizzata verso situazioni e modi di
essere comunque appaganti, escludo che ne possa risultare un danno per la
salute.
Molto più difficile sarebbe, semmai, accertare fino a che punto la scelta
personale sia effettivamente libera, e non piuttosto condizionata dalle
convenzioni culturali e sociali, magari contrabbandate come ‘chiamata’ alla
sublimazione. La forza vitale però, cioè la vitalità sessuale prorompente, quella
che tutto travolge, è sempre lì: può essere anche indirizzata verso obiettivi
diversi dall’appagamento sessuale, ma ugualmente vissuta ed espressa,
serenamente e gioiosamente in maniera completa (onestamente, però, credo che
il verificarsi di queste condizioni sia più l’eccezione che la regola).
Se, invece, essa fosse artatamente manipolata, cioè repressa a viva forza,
sarebbero guai a livello ormonale! addio difese immunitarie! L’espressione di
una tale deplorevole (per l’individuo, ma anche per la società) situazione, è
rappresentata in maniera molto significativa dalle malattie autoimmuni e dal
cancro.
Che cos’è infatti il cancro? La presenza di un elemento negativo, da cui
l’organismo non si difende, perché non riesce a identificarlo come diverso da sé,
e quindi dannoso; e perché avviene ciò? Semplicemente perché l’organismo è
alterato nei suoi ritmi, cioè non è nella pienezza delle sue facoltà. Tutto si
ricollega 33
quindi al concetto di biologia di base, secondo cui la sfera sessuale è parte
integrante del sistema che presiede al mantenimento della salute.
Tu dici di provare pena per chi è non è capace d’amare, e confonde il sesso
con l’amore. Perché tanta pena, di grazia?
Provo pena per chi non riesce ad andare in profondità nelle proprie emozioni,
negandosi in tal modo esperienze esaltanti. Provo pena per chi è costretto a
vivere una vita ‘ridotta’, in un certo senso; menomata.
Per me, invece, che sono un idealista, l’amore è il raggiungimento di
un’intensa armonia di coppia, tale da
‘toccare il cielo con un dito’, in una sorta di vibrazione all’unisono, la cui
forza estatica distrugge quasi chi è in grado di acquisirne la consapevolezza.
È l’illuminazione che fa partecipe la coppia del significato eterno dell’amore,
e quindi della raggiunta immortalità (anche se poi, sfortunatamente, questa non
va intesa in senso strettamente personale!), che ne consegua o no una nuova vita.
Credo che l’amore, unito al sesso, sia un dono di Dio, che non solo lascia per
sempre una traccia, ma costituisce la vita stessa. Il mantenimento sine die di
sesso e amore, e la freschezza delle emozioni e dei sentimenti a essi legati, sono
la base stessa della vita; se si estinguono, come nella gran parte dei matrimoni,
non resta che la rarissima arte della sublimazione spirituale, o il più infernale
castigo della noia e del tedio
Caro Walter, sia chiaro, e adesso lo posso dire, che ti ho intenzionalmente
guidato attraverso questo percorso a ostacoli, ponendoti delle questioni
apparentemente peregrine, allo scopo principale di poterti, alla fine, interrogare
sul ruolo che gioca la nostra semplicissima e modestissima melatonina
sull’attività sessuale: la rafforza, la inibisce, o non ha niente a che vedere?
La melatonina, alla dose fatidica di tre milligrammi, alla sera prima di
dormire, mette a riposo la ghiandola pineale e, di conseguenza, mantiene e
sostiene la funzione sessuale. In persone sessualmente ‘stanche’, per esempio, o
che sperimentano un calo del desiderio e dell’erotismo, la messa a riposo della
pineale, grazie alla somministrazione di melatonina, risincronizza i ritmi
ormonali giovanili. Di conseguenza, i ritmi ormonali mantengono l’immunità!
Qui sta il ‘miracolo melatonina’, il cui significato profondo è finora sfuggito a
molti. La melatonina che assumiamo alla sera mantiene i ritmi ormonali che
controllano totalmente il sesso!
Tuttavia, in questo campo esiste qualche confusione; vediamo quindi di fare
chiarezza. Per esempio, è vero o no che la somministrazione di melatonina
inibisce la funzione sessuale?
Assolutamente no, anzi avviene proprio il contrario! Ribadisco che la
melatonina, alla dose massima di 3 mg, e somministrata alla sera, normalizza
l’attività sessuale.
Attenzione, però: la somministrazione deve avvenire alla sera, prima di
dormire; se infatti la melatonina venisse somministrata durante il giorno,
altererebbe il ritmo, con conseguente alterazione anche delle funzioni sessuali.
Assumendola invece di notte, non si fa che assecondare la natura, mettendo
soltanto a riposo la pineale (che non deve sforzarsi per produrla), e
permettendole quindi di risincronizzare i ritmi del sistema ormonale. La
melatonina serve, in sostanza, a proteggere, a tempo indeterminato, la funzione
sessuale sia nell’uomo che nella donna.
Quindi, non è neppure vero che la melatonina possa inibire la produzione di
testosterone?
Questa è un’altra delle fandonie messe in circolazione da gente disinformata
e ignorante. Io stesso ho dimostrato e pubblicato che la melatonina mantiene la
produzione di testosterone nei roditori senescenti, cioè nei topolini anziani! Essa
aumenta la spermatogenesi!
34
La melatonina può effettivamente inibire la produzione di testosterone, ma
soltanto a due condizioni: primo, se viene somministrata a dosi abnormi (500
mg, per esempio); secondo, se viene assunta di giorno, anziché di notte, con
conseguente scombussolamento dei ritmi.
La stessa cosa si può dire degli ormoni femminili. Se si assumessero dosi
massicce di melatonina, com’è accaduto nel famoso studio olandese, di cui
abbiamo parlato in altra parte di questo stesso libro, dove alle donne in
trattamento (1500) sono stati somministrati 300 mg di melatonina al giorno, allo
scopo di fare della melatonina un’anticoncezionale (a quelle dosi avrebbe una
funzione inibitoria sulle gonadotropine), allora potrebbero entrare in gioco fattori
di inibizione dell’attività sessuale; ma soltanto in casi limite come quello citato.
Se mantiene integra la funzione sessuale, vuol dire che la melatonina aiuta a
conservare una normale attività sessuale; anche in caso di deprecabili
defaillances, faccio per dire? In sostanza, come il Viagra, per intenderci?
Sia chiaro per tutti che l’assunzione di melatonina, alle dosi consigliate,
mantiene in perfetto stato le funzioni sessuali dell’uomo e della donna; ma,
attenzione, non è un afrodisiaco! Anche se mantiene il desiderio in condizioni
‘normali’ per la persona che l’assume (in considerazione cioè dell’età, delle
condizioni generali di salute, di malattie pregresse ecc.).
A sentirti parlare, mi vengono in mente almeno due altri esempi che hanno a
che fare con il tuo modo di intendere il piacere derivante dall’attività sessuale;
soprattutto per l’esercizio di quell’arte che è la seduzione, esercitata in maniera
gioiosa, e dell’erotismo che ne consegue. Mi riferisco in particolare al candore
ineffabile con cui il Boccaccio ci delizia con i suoi racconti (‘metti lo diavolo tuo
nel mio ninferno’…); e alla
‘mistica’ celebrazione della carne del regista cinematografico Tinto Brass,
che è stato definito il più erotomane dei registi e il più regista fra gli erotomani.
Quanto ti senti in realtà personalmente vicino a questi due personaggi?
Purtroppo, non ho visto i film di Tinto Brass; me ne rammarico e faccio
pubblica ammenda per questa manchevolezza (li hai visti tu, però, e quindi
condivido il giudizio che ne dai).
Quanto a Boccaccio, ne apprezzo appieno lo spirito: le storie sessuali,
allegre, gioiose che racconta mettono in mostra una società molto meno ipocrita
della nostra. Non solo infatti a quei tempi amavano parlare, apprezzare e godere
simpaticamente di ogni situazione erotica (l’erotismo altro non è se non il
tentativo di anticipare e mantenere un sottile stato di orgasmo), ma ne sapevano
anche ridere in allegria. E io trovo che se uno non è in grado di apprezzare il
sesso in modo gioioso, con la spensieratezza di un bambino, è meglio che non se
ne curi proprio, perché qualcosa non funziona!
Ho sempre ammirato poi l’assoluta libertà e semplicità dei Greci e dei
Romani nell’affrontare gli argomenti legati al sesso. Da questo punto di vista,
noi stiamo appena venendo fuori (forse!) da secoli bui, contrassegnati da una
visione bigotta, che ha pesantemente condizionato in maniera gravissima,
perniciosa e micidiale, l’esistenza di tantissime generazioni.
A dire il vero neppure oggi vedo però una grande letizia. Manca quella
spensieratezza che invece avverto nella musica di un Monteverdi, per esempio,
che mi fa sprofondare in quel mondo arcaico, in un certo senso così familiare,
popolato da ninfe e da fauni.
Io sono per la giocosità anche un po’ orgiastica e sfrenata, perché no, che, se
viene a mancare, è segno che siamo già mezzi morti; ed è quindi opportuno
affrettarsi a riscoprire, prima che sia troppo tardi!
Cap. 16 – La ricerca scientifica e la medicina pratica
Che ironia! La crescita e l’invecchiamento
sono strettamente abbinati e camminano fianco a fianco.
Infatti, gli ormoni che regolano la nostra crescita sono gli stessi
che stabiliscono anche il momento della nostra morte. (Walter Pierpaoli)
35
Caro Walter, tu sei un ricercatore, ma anche un medico. Hai dedicato tutta la
vita alla ricerca, ma oggi, correggimi se sbaglio, tu hai imboccato una strada
diversa. In sostanza, hai deciso di evitare ed eludere i vari controlli che sono
richiesti quando si mette a punto una sostanza rivelatasi utile nell’uomo,
rivolgendoti direttamente al paziente; ricostituendo, per così dire, la tua
funzione di medico. È corretta questa ricostruzione dei fatti?
Sostanzialmente, sì. Dopo quarant’anni di attività di ricerca, ho deciso di
trasferirne direttamente ai pazienti i risultati.
La domanda, allora, è la seguente: ma non è pericoloso questo salto, che ti
porta a tralasciare un passaggio ritenuto indispensabile dalla comunità
scientifica (oltre che dalle autorità sanitarie dei vari paesi)? Quali sono le
garanzie che tu sei in grado di offrire? A me pare infatti che tu non sei lo
scienziato pazzo che dice: ‘beh, ho somministrato questa sostanza ai topi,
adesso passo a darla all’uomo’… A te la parola.
Il mio percorso è così particolare, che la tua domanda semplicemente mi
diverte. Per prima cosa, io sono un medico: a suo tempo, ho avuto anch’io il mio
bravo studio medico, con numerosi pazienti; inoltre, per diversi anni ho svolto la
professione medica in vari ospedali. Essendomi poi dedicato alla ricerca, anche
perché non credevo molto alla medicina che veniva praticata quarant’anni fa, la
mia formazione attuale risulta essere, sì, di carattere medico, ma basata
sull’aggiornamento costante in endocrinologia, immunologia, oncologia,
oncocrinologia e quan’altro.
Posso quindi affermare che adesso sono ‘finalmente’ pronto a dedicarmi alla
medicina pratica. Per quanto riguarda poi il discorso che facevi a proposito di
evitare certi aspetti burocratici, io non eludo e non ignoro proprio niente, per la
semplicissima ragione che non uso farmaci. Non ho quindi la necessità di
giustificare i miei interventi, come se adoperassi un farmaco tossico, oltretutto
non testato; neppure per idea! Io non utilizzo neanche un farmaco, ma soltanto
molecole naturali i cui effetti e la cui innocuità sono molto ben conosciuti.
L’unica differenza sta, semmai, nel fatto che le impiego in maniera diversa
dal solito, perché le applico sulla base delle mie scoperte, o della mia
osservazione, che mi ha permesso di capire il funzionamento dell’orologio
biologico che esiste in noi, e come lo si possa mantenere in ordine.
Su questo fondamentale principio biologico io baso le mie terapie e i miei
interventi. Semmai, ho quindi eluso, non tanto la comunità scientifica, quanto
piuttosto il tentativo, che sarebbe stato fallimentare, di convincere qualcuno del
significato di ciò che metto in opera. Se, infatti, dovessi trascorrere i prossimi
venti anni a convincere la comunità scientifica internazionale a venire dalla mia
parte, starei fresco!
Tenuto conto poi, che delle mie osservazioni, io continuo però a informare la
comunità scientifica, e infatti pubblico i risultati delle mie ricerche su ottime
riviste scientifiche. Mentre quindi, da una parte, vado avanti nel mio percorso
scientifico, dall’altra, applico già i risultati ai miei pazienti, cioè alle persone che
mi chiedono aiuto.
Sia chiaro, fra l’altro, che io non sono certo a caccia di pazienti, né
tantomeno svolgo opera di persuasione verso di loro. Semmai, sono gli eventuali
buoni risultati constatati dai pazienti stessi, a rendere manifesta la validità delle
mie terapie. Questo discorso è tanto più vero in quanto, laddove io dovessi
scoprire (come infatti è il caso) delle sostanze che hanno tutte le caratteristiche
dei farmaci, non esiterei un istante a sottometterne l’eventuale impiego clinico a
chi di dovere, per gli indispensabili test e le autorizzazioni richieste per legge
dagli organismi internazionali.
Si può quindi affermare che la tua attività in questo momento è duplice: da
una parte tutto ciò che riguarda il campo di sostanze, come la melatonina, che
non hanno bisogno di alcuna registrazione, perché non sono farmaci, ma
molecole naturali; dall’altra, delle sostanze che, configurandosi appunto come
farmaci, e quindi nella piena ufficialità, sono affidate alla specifica competenza
di industrie farmaceutiche del settore.
Esattamente. Queste industrie si occupano dei vari test clinici, farmacologici,
tossicologici ecc., fino all’eventuale registrazione del farmaco.
36
Tornando però al primo aspetto, sull’impiego cioè di sostanze naturali ben
conosciute, come la melatonina, il fatto nuovo è che il ricercatore esce dal
laboratorio, e decide di passare alla clinica; sei d’accordo?
Direi che il mio è un caso addirittura unico. Ed è per me una grande gioia,
perché sono medico e posso quindi permettermi di adottare questa linea di
condotta! È stato l’inevitabile, direi quasi involontario, traguardo a cui sono
pervenuto, e me ne rallegro, proprio perché non l’ho cercato. Come sempre, mi
sento ‘teleguidato’ e seguo il mio destino. Continuo, come direbbe il mio amico
Bill Regelson, a seguire la mia vocazione di “maverick”, vale a dire di animale
che sfugge al branco e se ne va per i fatti suoi. Non potrei fare altrimenti.
Tuttavia, perché tu, per anni, sei rimasto al chiuso del tuo laboratorio, e hai
deciso di non curare più nessuno per un lunghissimo periodo? Mentre invece,
recentemente, hai cambiato rotta, per così dire, per occuparti nuovamente di
pazienti, e non soltanto quindi più di topolini?
Semplicemente, perché in precedenza non ero pronto a occuparmi di
pazienti. Sarebbe stato per me imbarazzante, applicare principi terapeutici della
cui validità io stesso per primo non ero convinto. Così come, d’altronde, non ero
pronto neppure con la melatonina, soltanto cinque anni fa.
Perché c’è da dire che io ho scoperto moltissimi e interessantissimi aspetti
sull’uso della melatonina, a partire da cinque anni a questa parte. E in ogni caso,
prima di impiegare alcunché su un paziente, anche se, ripeto, in totale sicurezza,
ne osservo su me stesso gli effetti, o su una ristretta cerchia di amici o famigliari.
Puoi farmi l’esempio di una nuova osservazione sugli effetti della
melatonina?
Ho notato, per esempio, che nelle donne in menopausa, la melatonina è in
grado di invertire la tendenza verso l’osteoporosi; si assiste cioè a un progressivo
restauro della sintesi dell’osso. È chiaro che, in questo caso, io applico i miei
principi alle donne in menopausa, senza che ci sia alcuna necessità di sottoporre
questa ‘terapia’ al giudizio della comunità scientifica internazionale; la
melatonina non presenta infatti tossicità o effetti collaterali di sorta, e questo è
un fatto universalmente riconosciuto a livello scientifico. E poi, ancora una
volta, tu hai idea di quanto denaro muova oggi l’osteoporosi? Pensa inoltre che
le applicazioni farmacologiche normalmente impiegate, non risolvono il
problema alla radice, come invece avviene se si ristabilisce l’equilibrio
neuroendocrino, che è, lo ribadisco ancora una volta, la base biologica della
salute.
Cap. 17 – Odisseo, chi era costui?
Esistono tre categorie di uomini: quelli che piantano alberi;
quelli che contemplano gli alberi; e quelli che abbattono gli alberi.
Questi tre esemplari di uomini sono incompatibili fra loro. Tuttavia,
possono esistere rari esemplari di uomini che piantano, contemplano e
abbattono gli alberi. Sono dei semidei, e la loro esistenza è dura e faticosa.
Le loro tracce sono perenni e infondono il coraggio di vivere. (Walter Pierpaoli)
Caro Walter, da quanto sei venuto dicendo fin qui, affiora come
l’impressione che non deve essere stato facile per te battere la strada del
ricercatore solitario, preso dalle proprie intuizioni, e non sempre in sintonia con
le ‘richieste del mercato’, per usare un eufemismo. Con quali difficoltà hai
dovuto confrontarti per poter affermare le tue idee?
Al ‘sabotaggio’ delle mie idee mi sono abituato fin da quando ero studente in
medicina, all’Università di Milano; spesso infatti sono entrato in rotta di
collisione con certe figure cosiddette razionali, che vedevano in me un
personaggio quantomeno ‘strano’ o comunque fuori dai canoni tradizionali.
Naturalmente, ho incontrato anche persone positive; però, per andare avanti,
ho dovuto eludere, in un certo senso, costantemente la sorveglianza che
qualcuno pretendeva di esercitare su di me. Mi sono sempre considerato, infatti,
come una sorta di clandestino, che però è sempre riuscito a mettere in atto
frequenti sortite nel mondo dell’ufficialità (ne dovevo tenere conto per non
perire!), per dire la propria e ancorarla con stratagemmi ai canoni ‘scientifici
moderni’; per poi tornare al romitorio sicuro fra i boschi e i monti della Svizzera,
o anche realizzando ‘scoop’ su una sperduta isola del Mediterraneo, come nelle
Conferenze di Stromboli sul Cancro e 37
l’Invecchiamento, eventi memorabili e irripetibili. Sempre con enormi
fatiche, e fuori dai gruppi di potere. Li ho…
gabbati!
Tu dici di essere un ‘clandestino’ che di tanto in tanto viene alla ribalta per
lanciare un’idea e provare scientificamente una propria intuizione. Puoi fare
qualche esempio, relativamente alla ricerca scientifica?
Nel campo della neuroimmunologia, i miei primi lavori hanno anticipato
almeno di trent’anni la constatazione della stretta interdipendenza fra lo sviluppo
del sistema neueroendocrino e quello del sistema timo-immunitario; così come
ho sostenuto che tutti gli ormoni che ho studiato (ormone della crescita, tiroxina,
insulina, prolattina, cortisone, ormone tireotropo, gonadotropine, e così via) sono
essenziali ai fini dello sviluppo e del mantenimento di un’efficiente immunità.
I miei lavori, come per esempio quello intitolato «Lymphocytes as
messengers to the brain», si scontravano allora con la fiera opposizione delle
redazioni delle riviste di immunologia, e venivano rifiutati. E tutto ciò,
nonostante fosse assolutamente chiaro che i linfociti erano in grado di
comunicare con il cervello (riuscii comunque a pubblicare nel 1972 un articolo
su Experientia, in cui le mie idee erano espresse molto chiaramente).
Vedi, la matematica non suscita interesse in me; semplicemente non la
capisco; da questo punto di vista sono, se vuoi, ‘irrazionale’. Al contrario, mi è
spesso accaduto di entrare in una sorta di trance: improvvisamente il mio
cervello conosce già la soluzione di un determinato problema. Negli anni
settanta mi sono accanito a studiare determinate molecole che mi hanno portato a
scoprire come sarebbe stato possibile effettuare i trapianti d’organo, evitando il
rischio di rigetto; c’è voluto uno sforzo disumano per venirne a capo, ma io la
soluzione l’avevo già intuita molto tempo prima di poterla dimostrare
scientificamente!
Questa è, fra l’altro, la ragione per cui mi sono rifugiato in Svizzera, a
Davos, segregato per dieci anni in un piccolo istituto di ricerca a 1600 metri di
altitudine. In effetti, un’inenarrabile odissea, un percorso di guerra, insieme a
pochi personaggi di rilievo, uomini e donne che mi sono stati vicini.
Ti ho già posto questa domanda, ma te la ripeto, non si sa mai che riesca a
coglierti in flagrante contraddizione: perché Walter Pierpaoli, a 66 anni, ed
essendosi laureato in medicina nel lontano 1960, quindi ben dopo quarant’anni,
decide improvvisamente di riprendere in mano i ferri del mestiere, e ritorna a
esercitare la professione di medico, pur senza abbandonare del tutto la ricerca?
Perché mi sono reso conto che la mia vita è cambiata, grazie al rinnovato
contatto con i pazienti. In un certo senso, non ho più bisogno dei miei topolini,
perché in due o tre mesi vedo già i risultati a livello clinico, sulle persone che
curo, specialmente nelle malattie autoimmunitarie.
D’altra parte, dopo una serie di incredibili vicissitudini, sul piano scientifico
e personale, che mi hanno portato, negli anni settanta, a rifiutare anche posizioni
di prestigio negli Stati Uniti o altrove (a Minneapolis, per esempio, su richiesta
del professor Robert Good, o a Melbourne su invito di Gus Nossal), posso
certamente escludere che io ritorni oggi alla pratica clinica per ambizione,
avidità o vanità. Si tratta semmai del desiderio, ricorrente per la verità nella mia
vita, di voler raggiungere a tutti i costi scopi apparentemente impossibili da
realizzare.
Tornando per un attimo al passato, qual è stato l’aspetto più difficile da
sostenere, e cos’è che eventualmente ti ha consentito di sopportarne il peso?
Via via che mi andavo confrontando con le varie redazioni delle riviste
scientifiche ‘accreditate’ (dirette da vere e proprie lobbies di potere, e che spesso
soltanto malvolentieri sono state costrette dalle evidenze scientifiche a
pubblicare i miei lavori), maturavo la convinzione di essere sempre ‘troppo
avanti’.
Ai tempi di Davos, per esempio, quindi fra il 1972 e il 1977, io avevo
sviluppato un modello sperimentale che dimostrava come il self (self-identity)
fosse da ricercare nel cervello, piuttosto che nel sistema immunitario. Il lavoro,
pubblicato dalla rivista americana Cellular Immunology nel 1977, era
probabilmente troppo rivoluzionario per essere apprezzato, e infatti all’epoca
non fece notizia. Se lo leggi adesso, è stupefacente. È solo un esempio, ma fa
capire bene come la maggior parte dei miei lavori risultasse non pubblicabile, a
causa della necessità di integrare rapidamente le conoscenze acquisite in una
concezione più completa, senza aspettare che lo staff editoriale delle riviste
scientifiche egemoni pronunciasse il suo placet, controvoglia.
Questa era la situazione quando tu avesti la fortuna di incontrare un
personaggio decisivo per la tua carriera di ricercatore.
38
Il riferimento non può che essere al Dr. Jean Choay, farmacologo, filosofo e
Presidente dell’Istituto Choay di Parigi, istituto allora di punta nella produzione
di eparina e derivati anticoagulanti, che io incontrai per la prima volta a Parigi;
ne nacque una fruttuosa collaborazione, durata ben undici anni, fino cioè alla sua
scomparsa.
Ed è proprio grazie allo spirito umano e visionario di Jean Choay, uno
straordinario connubio di filosofia, sapienza e intuizione scientifica, se io sono
riuscito a sopravvivere e a lavorare a Zurigo; senza di lui non mi sarebbe stato
possibile vivere in quel rude, freddo, ferocemente ostile (anche adesso!) e
pragmatico Paese, chiamato Svizzera.
Mi ha dato infatti comprensione e affetto incondizionato, oltre a fornirmi, in
base alle possibilità della sua Società, il necessario per proseguire la mia attività
di ricerca e sviluppare idee completamente nuove. Tuttavia, i ‘nemici’ e i
denigratori invidiosi non si contano! La cosa mi lusinga!
Ascoltandoti, verrebbe da dire che anche i ricercatori hanno un’anima. Nel
tuo caso specifico, comunque, perché è stato così determinante il clima
adeguato, in grado cioè di creare un ambiente capace di comprenderti e di
sostenerti?
In ogni fase della ricerca, almeno nel mio caso (dall’ Aging Clock alla
concezione del ‘cervello morfostatico e alla costruzione del self’), è importante
sottolineare le due condizioni che rendono possibile una ‘scoperta’.
La prima consiste nella capacità di stare da soli, di lavorare da soli, di
sopportare in solitudine profonde umiliazioni, frustrazioni, offese, senza tuttavia
perdere la fiducia e il rispetto di se stessi. Ciò costituisce l’aspetto basilare di una
vera ‘scoperta’, nel senso che non è possibile risultare originali, senza essere
realmente ‘diversi’
dagli altri, e senza mantenere inalterata la propria visione e individualità a
dispetto delle situazioni più ostili.
La seconda condizione è che ci siano almeno una o due persone,
possibilmente amiche, e che si pongano come degli interlocutori dal punto di
vista intellettuale, della stessa categoria di un Jean Choay, per intenderci, oppure
di un Bill Regelson e di pochi altri, come il grandissimo Vladimir Dilman,
oppure Novera Spector e Maurice Landy, con i quali sia possibile discutere e
mantenere così il senso della realtà. Che ti rassicurino, cioè, di tanto in tanto che
non sei del tutto pazzo, nonostante le tue idee così fuori dal comune (come si è
verificato, per esempio, durante la messa a punto dell’ aging clock.)
Tu sostieni di non esserti mai adattato affatto all’ambiente di Zurigo, tuttavia
vi sei rimasto dalla fine del 1976 al 1988.
Infatti. In primo luogo per necessità di famiglia, essendo mia moglie
svizzera, una donna di eccezionale valore e profonda onestà, e avendo due figli
che amavo e che non potevo certo abbandonare. Per la verità, non è che fosse
tutto così negativo. Il dottor Gonzague Kistler, per esempio, che mi aveva
proposto di raggiungerlo all’Università di Zurigo, era un grande e onesto
gentiluomo; e anche la sua équipe era accettabile e, in qualche occasione,
addirittura eccellente.
E in ogni caso, fu proprio in quegli anni cupi ed infelici (mi ricordano
Cagliostro…) che cominciò a farsi strada in me l’idea dell’importanza della
ciclicità circadiana per la maturazione dell’immunità. Fu proprio in quel periodo
che realizzai infatti l’esperimento con i topolini sottoposti costantemente alla
luce, per osservare se ciò potesse avere qualche effetto sul loro sistema
immunitario, e infatti ne ha avuto, eccome! Come ho già riferito nel corso di
questa conversazione, alla quarta generazione i topi si sono ammalati, la loro
crescita si è bloccata, e sono quindi tutti morti prematuramente. L’abrogazione
dei ritmi circadiani (luce-buio) accelerava infatti l’invecchiamento! Ho capito
quindi che la vita stessa e il mantenimento della salute dipendono dai cicli
circadiani ormonali!
Quale conclusione fosti indotto allora a trarre dalla ‘tragica’ fine
dell’esperimento?
La conclusione, che è ormai nota da tempo, non poteva che essere una: il
venir meno dei ritmi circadiani ha effetti devastanti sul sistema immunitario.
Ciò che mi preme sottolineare in questo contesto è che uno studio, iniziato
allora con topolini geneticamente nudi (senza pelo) e senza timo, che aveva
avuto inizio nel 1977, si è concluso con la pubblicazione sulla rivista
International Journal of Neurosciences soltanto nel 1993! Ciò è forse appena
sufficiente a far comprendere a un profano, quanto sia difficile e complicato
muoversi nel campo della ricerca scientifica, specialmente, come è sempre
accaduto al sottoscritto, se non si dispone di appoggi politici e finanziamenti
pubblici. Questo è d’altronde il durissimo scotto che si deve pagare per
conservare la propria libertà, non solo di ricercatore, ma di pensatore. È
soltanto un esempio delle difficoltà che si è costretti a sostenere quando la
nostra mente semplicemente partorisce un’idea che non va nel senso
dell’ortodossia; non parliamo poi di ciò che comporta il tentativo di 39
supportarla scientificamente e di difenderla! Un vero calvario, costellato di
mortificazioni: ma evidentemente, almeno nel mio caso, è stato necessario!
Senza voler sminuire le tue fatiche, credo però che tutti gli scienziati
‘innovatori’ abbiano dovuto fare i conti con l’incomprensione e la stupidità
umana, non ti pare?
È vero, ma la circostanza non mi è, onestamente, di grande conforto. E spero
che se ne possa comprendere appieno il perché.
Si deve, per esempio, soltanto alla mia immaginazione, unita alla capacità di
attingere e procedere a delle estrapolazioni da un numero incredibile di
esperimenti e osservazioni durante molti anni di duro lavoro passati in
laboratorio, se l’idea che esista un aging clock in grado di scandire la durata
della nostra vita, ha preso corpo.
In altre parole, ciò che ha reso possibile il trattamento di topolini con
melatonina per mesi e anni, è stata la mia convinzione, basata sull’esperienza,
che doveva esistere un orologio dell’invecchiamento situato soltanto nel
cervello, e che era da escludere che questo potesse trovarsi a livello di corteccia,
o di nucleo soprachiasmatico, di area preottica, di ipofisi, di ipotalamo.
Evidenze nel corso dell’evoluzione e della maturazione dell’embriogenesi
indicano molto chiaramente infatti che deve esistere un regolatore in grado di
favorire l’adattamento di ogni singolo elemento ai cambiamenti costanti
dell’ambiente; e questo regolatore non può che essere la ghiandola pineale,
grazie al suo ruolo di "modulatore dei regolatori" cui l'ha destinata l'evoluzione
del cervello in milioni di anni.
Noi invecchiamo semplicemente perché lo crediamo, così come ci è stato
inculcato da piccoli che dobbiamo morire. Io sono invece convinto che noi
possiamo rimanere giovani fino al momento in cui moriamo.
Al contrario, sono profondamente convinto che mentre, da una parte, l’uomo
tenda a divenire sempre più giovane nel corso dell’evoluzione della specie, come
sostiene il grande antropologo americano e mio amico Ashley Montagu nel suo
libro Growing Young (Crescere Giovani), dall’altra è condizionato
psicologicamente e socialmente in maniera tale che il suo cervello cominci a
pensare di sentirsi vecchio e conseguentemente a diventare veramente vecchio!
Ma noi possiamo restare giovani per un tempo lunghissimo, e mi dispiace di
averlo scoperto soltanto quando avevo già cinquant’anni, e non prima,
nonostante io abbia innato l’istinto (piuttosto che l’intuizione) di ‘sentire’
qualcosa di fondamentale con un anticipo di decine d’anni rispetto agli altri!
Ed è forse anche questo il motivo per cui nella mia vita ho scelto il più
pericoloso e disperante dei lavori, quello dello ‘scienziato freelance’ piuttosto
che quello del Professore Emerito o qualcosa di simile! E in ogni caso non ne
sono affatto pentito. Del resto, forse che Paracelso non è dovuto fuggire di notte
da Basilea, per sottrarsi all’ira dei medici invidiosi, salvando così la pelle? In
fondo, a me è andata anche abbastanza bene! E, sicuramente, molto meglio che a
Paracelso!
Cap. 18 – Le Conferenze di Stromboli su Cancro e Invecchiamento
Veniamo adesso a un argomento che ti sta molto a cuore. Ti chiedo: che cosa
rappresenta per te l’isola di Stromboli?
Stromboli non è soltanto un’isola, ma l’unico vulcano sempre attivo del
Mediterraneo. Vi sono sbarcato la prima volta nel 1960, e da allora è per me
l’emblema perenne della vita che si rinnova, grazie alle ceneri che rifertilizzano
il ciclo vitale del territorio. Stromboli è quindi un simbolo della forza vitale che,
spingendo il magma in superficie da una profondità di duecento chilometri,
rinnova costantemente la vita dell’isola. Ho attinto anch’io a questa forza, ed è
nata così l’idea di organizzare una Conferenza periodica su Cancro e
Invecchiamento. Da molti punti di vista non esiste infatti luogo più adatto al
mondo, per trattare questo tema da un’angolazione, diciamo così, filosofica.
Quante se ne sono tenute finora, di queste conferenze?
Con grandissime difficoltà, sono riuscito a realizzarne tre: nel 1987, nel 1990
e nel 1993. Come puoi constatare dai tre volumi che ne raccolgono gli atti
(l’ultimo, quello sulla scoperta dell’ Aging Clock, è addirittura esaurito),
pubblicati dalla New York Academy of Sciences, che è la più grande e più antica
organizzazione scientifica 40
americana, le conferenze hanno avuto un successo strepitoso (a parte il fatto
che gli scienziati, quando arrivano a Stromboli ‘impazziscono’, o danno
letteralmente i numeri).
Qual era la tua idea di fondo quando hai pensato a un’impresa di questo
genere?
Avevo l’ambizione di creare delle conferenze internazionali, alle quali
invitare i più prestigiosi studiosi al mondo sul cancro e sull’invecchiamento, allo
scopo di fare il punto sulla ricerca in questo campo. Oggi posso affermare che,
ripeto, nonostante enormi difficoltà, ci sono riuscito. Sono stato sponsorizzato
per ben due volte dalla NATO; inoltre, anche la SIGMA-TAU mi ha fornito un
grande aiuto in un’altra occasione, e così pure l’INRCA di Ancona.
Alla conferenza si partecipa su invito, e sono previsti in genere dai 35 ai 40
invitati. L’intenzione è di riprendere la serie di conferenze, magari con cadenza
biennale, purché si riescano a mettere insieme gli aiuti economici necessari. Ma i
soldi della gente, delle banche, dei donatori privati, i fondi pubblici e quelli delle
industrie farmaceutiche vanno sempre nelle tasche dei soliti lobbisti che si
spartiscono la torta e pure i premi scientifici. E’
sempre stato così.
Cos’è che rende queste conferenze un ‘unicum’ che altrove sarebbe
difficilmente realizzabile?
Per definire il clima che si crea a Stromboli, io uso un’espressione che mi
piace molto, e che tutti comprendono facilmente: quando si arriva sull’isola
magica, anche lo scienziato più illustre lascia cadere la propria maschera: di
ricercatore, di uomo politico, di intellettuale ecc. Già, al cospetto del vulcano in
continua eruzione, ci si sente un po’ tutti ‘nudi’; il resto lo fanno il sole, il mare e
le pietanze della Sirenetta, oppure la polvere del vulcano; fatto sta che ci si sente
liberi. Si subisce una specie di metamorfosi, e il cervello cambia e ritrova gioie e
sensazioni dimenticate, oltre a generare idee che rendono la Conferenza un
evento indimenticabile dal punto di vista scientifico. Ho la sensazione che ormai,
pur di partecipare alla Conferenza di Stromboli, gli scienziati sarebbero disposti
a raggiungere l’isola a nuoto.
Dal punto di vista invece più strettamente scientifico, quali sono stati i
risultati delle conferenze che si sono tenute finora?
Intanto, sono state tutte coronate da un grandissimo successo. Oltre, infatti,
alla partecipazione di più di un candidato degno di un premio Nobel, sono stati
molti gli scienziati che sono venuti a portare il loro contributo. Chi ha un
minimo di dimestichezza con le questioni scientifiche, potrà poi consultare
utilmente i tre volumi degli atti pubblicati negli Stati Uniti, per rendersi conto
della qualità degli interventi presentati. Tieni presente inoltre che alle conferenze
è sempre stato presente un delegato inviato dalla New York Academy of
Sciences, che si è occupato della raccolta dei contributi scientifici, che sono stati
quindi elaborati dalla stessa Accademia e pubblicati poi a sue spese, circa un
anno dopo. La NY Academy of Sciences ha contribuito inoltre allo svolgimento
della conferenza con una propria rilevante sponsorizzazione.
A questo proposito, qual è la posizione della New York Academy of Sciences
nel panorama scientifico internazionale?
È la più antica accademia americana delle scienze, che conta oltre
quarantamila membri, di cui molti stranieri.
Come sanno bene gli addetti ai lavori, si tratta di una benemerita accademia
che pubblica un prestigioso periodico ( The Sciences), distribuito ai soci. Inoltre,
l’accademia dà alle stampe moltissimi volumi scientifici, relativi a conferenze,
organizzate per iniziativa propria, ma anche, come nel caso delle Conferenze di
Stromboli, da altri enti o singoli ricercatori.
In quest’ultimo caso, se l’argomento è ritenuto interessante
dall’organizzazione, non solo ne vengono pubblicati gratuitamente gli atti,
raccolti in volume, ma si può arrivare anche al sostegno dell’iniziativa con un
contributo economico, come è avvenuto appunto nel nostro caso. Tieni presente
che il volume relativo all’ultima conferenza di Stromboli è stato in assoluto il
libro più venduto nella storia della NY Academy of Sciences. E infatti il volume
sull’Aging Clock è da tempo esaurito.
41
Cap. 19 – Il diabete
Tutte le tue ricerche e le tue scoperte sono finalizzate allo studio e alla
risoluzione dei problemi del nostro tempo, allo scopo di scongiurare le malattie
più gravi e frequenti, e che sono, fra l’altro, responsabili o quantomeno
concomitanti (nel senso che spesso e volentieri l’accompagnano), con la
senescenza. Mi piacerebbe quindi passare in rassegna con te i principali flagelli
della nostra società. Primo fra tutti: il diabete. Qual è la tua visione di questa
patologia?
Vorrei qui precisare che esistono due tipi di diabete, quello molto comune,
detto ‘senile’, gestibile con dieta e ipoglicemizzanti, che è espressione della
‘Sindrome Metabolica X’ (vedi sopra, Capitolo X), e quello grave, detto anche
‘giovanile’, insulino-dipendente, dovuto a mancata o non sufficiente produzione
di insulina da parte delle isole di Langerhans, del pancreas, che necessita quindi
di costante supplementazione d’insulina.
Non vorrei che ti mi giudicassi arrogante o, peggio, cinico, se affermo, e
sono pienamente consapevole di ciò che dico, che ambedue le forme di diabete,
nell’attuale contesto internazionale, significano soprattutto enormi profitti.
Ciò detto, aggiungo che il diabete grave, insulino-dipendente, non è una
malattia, ma semplicemente una catastrofe. Senza insulina, l’organismo umano
non può funzionare; e, infatti, di diabete, tempo addietro, semplicemente si
moriva. Dopo che Banting e Best scoprirono l’insulina, l’estratto di pancreas in
grado di ‘curare’ il diabete (una storia affascinante i cui protagonisti risultano
essere, come sempre, non grandi ricercatori, ma personaggi piuttosto
stravaganti), l’industria farmaceutica si è praticamente impadronita dei diabetici
(mi riferisco al diabete insulinico inguaribile, e non al cosiddetto ‘diabete
senile’), e ha finito così per creare un problema sociale gravissimo e di enorme
portata.
Affermazioni piuttosto ‘forti’, che mi auguro vorrai supportare con adeguate
argomentazioni…
La realtà è sotto gli occhi di tutti, ma non ci si prende la briga di osservarla
con un certo distacco.
Infatti, il diabetico che una volta moriva, ovviamente creava un lutto nella
società; però non generava figli; al contrario, il diabetico che adesso non muore
più ma continua a vivere, sopravvivendo (mi rendo conto che il discorso potrà
apparire spietato, ma occorre stare ai fatti!), genera altri diabetici.
In Danimarca, per fare esempio, il diabete rappresenta una piaga nazionale:
se il trend continuerà a progredire con l’intensità attuale, al massimo fra cento
anni, gran parte della popolazione danese risulterà inesorabilmente affetta da
diabete.
Anche in questo caso quindi, come sempre del resto, è facile dimostrare che
dove l’uomo mette mano per correggere la natura, riesce soltanto a creare un
disastro.
Il problema è: cosa facciamo con i diabetici? Sono destinati a morte certa?
Li lasciamo al loro destino?
Ovviamente, è impensabile impedire loro di generare figli. Una decina di fa,
lessi che negli Stati Uniti, un dollaro, su sette spesi in cure mediche, era
assorbito dal diabete (all’epoca, cento miliardi di dollari l’anno!, se non ricordo
male).
Ora, è appena il caso di ricordare che l’insulina non cura il diabete, ma
permette al paziente unicamente di sopravvivere. Inoltre, il diabetico ha bisogno
di terapie di tutti i tipi: sviluppa infatti malattie cardiovascolari, alterazioni
degenerative dei vasi, perde la vista (retinopatia diabetica) ecc.; torno a ripetere,
non vorrei sembrare cinico, ma per l’industria farmaceutica, questo stato di cose
si traduce in un profitto fantastico.
Dove sta allora la soluzione? A mio avviso, il problema si può risolvere
soltanto in un modo: facendo, cioè, ricorso soprattutto alla prevenzione e alla
cura precoce e rapida, in modo da mettere il sistema immunitario in grado di
invertire il processo di autoimmunità che porta inevitabilmente alla distruzione
delle isole beta del pancreas; è poi fondamentale che ciò avvenga durante la fase
florida di autodistruzione delle isole di Langerhans.
Fammi capire meglio.
L’eziopatogenesi, cioè la causa dell’insorgenza del diabete, non fa
riferimento a un solo elemento, ma è piuttosto variabile. In ogni caso, però, il
risultato è la distruzione delle isole beta del pancreas che producono insulina.
42
Di conseguenza, si innalza improvvisamente la glicemia, e si riscontra
glucosio nell’urina: è insorto il diabete.
(Come ho detto sopra, esiste poi il diabete senile, ma in questo contesto non
ne parlo, perché è tutt’altra cosa: qui ci occupiamo del diabete da carenza
d’insulina, il vero diabete, quello ‘cattivo’).
In una situazione del genere, per prima cosa occorre capire perché è
sopraggiunto il diabete. Io, un’idea me la sono fatta: a seguito dell’attacco di un
virus anche banale (che però di per sé, come tutti i virus, provoca una
immunosoppressione), si scatena un’infezione; il virus, che in altre situazioni
non produrrebbe danni gravi, attacca invece le cellule beta delle isole di
Langerhans del pancreas, e induce la comparsa di autoantigeni, che a loro volta
stimolano la produzione di autoanticorpi. Si stabilisce così un circolo vizioso e
perverso, che è tipico delle malattie autoimmunitarie (o autodistruttive).
Il paziente inizia quindi a produrre anticorpi contro determinate cellule del
proprio organismo, che irrimediabilmente vengono distrutte. Il mio
suggerimento è di provvedere, al primo accenno di autoaggressione da parte del
sistema immunitario, a un’immediata inversione di rotta. Si tratta di una
profilassi e di una terapia del diabete non ancora in fase irrimediabile, quello
stato cioè in cui le cellule beta non sono state ancora distrutte.
Aggiungo però subito, per non ingenerare facili e inutili speranze, che in
genere non si riesce a intervenire in tempo in questa direzione, perché la
rilevazione è in genere tardiva; d’altra parte, il processo degenerativo è molto
veloce (oltre al fatto che esistono forme di diabete quasi ereditario). In
conclusione, ecco ciò che si verifica nella maggioranza dei casi: l’organismo non
produce più insulina.
Che fare in questo caso?
Quando la situazione è irrimediabile, l’unica soluzione praticabile, a mio
avviso, rimane il trapianto: fra specie diverse (per esempio, maiale-uomo),
oppure uguali (cioè, fra due esseri umani).
Io lavoro da molti anni al diabete, anzi è il problema che preferisco. Ciò che
ti sorprenderà è che ho già trovato la soluzione, nonostante abbia dovuto
accantonare momentaneamente la ricerca in questa direzione, per il semplice
motivo che i fondi a disposizione della mia Fondazione biomedica, per questa
come per altre ricerche, si sono esauriti da tempo.
Ho lavorato per ben cinque anni al trapianto di isole di Langerhans, dal ratto
al topo, due specie quindi diverse; lavori basati sul principio secondo cui noi
(Walter Pierpaoli e collaboratori, cioè) siamo in grado di bloccare il rigetto di
isole di Langerhans provenienti da un animale di altra specie (ma ciò vale
ovviamente per qualsiasi genere di trapianto eterologo, grazie alla scoperta delle
transferrine, cui ho già accennato in precedenza).
Quanto poi all’intervento in sé e per sé, si tratta della cosa più semplice di
questo mondo: dal pancreas del maiale, per esempio, si estraggono le isole di
Langerhans che vengono poste in una provetta; le si inietta quindi nella vena
porta del diabetico, il cui organismo è stato in precedenza ‘istruito’ a non
rigettare le cellule provenienti dal maiale donatore (grazie al mio ‘trucco’ basato
sulla scoperta delle transferrine). Da qui raggiungono il fegato e lo colonizzano;
iniziano quindi a produrre insulina.
Il diabetico è guarito. Si automatizza poi la regolazione autonoma dei livelli
di insulina prodotta dalle isole di Langerhans del maiale, che sono state
trapiantate nel fegato del diabetico, e l’operazione è conclusa.
Tutto qui?
Tutto qui. Eh già!, lo so che esistono importantissimi istituti che da anni
lavorano per trovare una soluzione al diabete, senza che ne siano mai venuti a
capo.
Tuttavia, nonostante la cronica carenza di fondi che grava sul lavoro della
mia Fondazione, lo studio scientifico su questo argomento è già stato pubblicato,
ormai da qualche anno (1998), e costituisce la grande scoperta nel campo dei
trapianti, perché elimina alla radice qualsiasi rischio di rigetto ( Cell
Transplantation, «Overcoming the histocompatibility barrier. Transferrins as
carriers and modulators of immunogenic identity», vol. 7, n. 6, 1998).
Puoi ben capire come io sia ansioso di poter riprendere al più presto la
ricerca sul diabete. Ribadisco che tutto si basa sull’azzeramento del rischio di
rigetto nei trapianti, frutto di una mia scoperta.
In sostanza Il problema del diabete nell’uomo potrebbe trovare facile
soluzione, se non esistesse l’handicap del rigetto (per il quale però io ho già il
rimedio!). Dato infatti che le isole di Langerhans sono di origine epiteliale,
provocano nel trapiantato una violentissima risposta immunitaria di rigetto.
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Spiegami perché.
Le cellule di origine epiteliale sono tutte provviste di antigeni sulla
membrana, in grado di evocare, questo è il loro compito, un’inevitabile risposta
violenta di rigetto. Un problema insolubile, quindi.
Non per me, però. Infatti, e lo sottolineo per dar conto qui dell’importanza
della mia scoperta, nei nostri esperimenti, alcuni topolini diabetici, dopo il
trapianto di isole di Langerhans, morivano non tanto per un problema di rigetto
(da tempo ormai da noi superato), ma per un’eccessiva produzione di insulina, la
cui assoluta carenza aveva dato in precedenza origine al diabete! Ti basta?
Fammi capire bene, però: tu mi stai dicendo in sostanza che, grazie alla
scoperta delle transferrine, che consentono di evitare il rigetto nel trapianto,
avresti già trovato il sistema di risolvere il problema del diabete?
Attraverso, per esempio, un trapianto di isole di Langerhans dal maiale
all’uomo, senza nessun problema di rigetto?
Esattamente. Se riuscissi a portare a termine le mie ricerche, passando
dall’animale all’uomo, il problema del diabete grave (insulino-dipendente)
potrebbe dirsi risolto, non solo teoricamente, cioè in laboratorio, ma anche
sull’uomo, senza difficoltà alcuna.
Ho cercato disperatamente fondi per proseguire gli studi, ma non ho ottenuto
nulla!
Anzi, a questo proposito, mi sembra molto opportuno che, almeno i diabetici,
lo sappiano!
Per non parlare poi del fatto che lo stesso principio vale per i trapianti di
qualsiasi organo e tessuto! Questa incredibile storia è talmente complessa e
affascinante, che merita un libro tutto per sé.
Nel frattempo, avendo io ottenuto il brevetto definitivo, sia negli USA che in
Europa, un gruppo di amici, in un prestigioso Centro degli USA dove collaboro
da 20 anni, sta comunque sviluppando la ricerca sui meccanismi che sono alla
base della mia scoperta. Ancora una volta, però, il problema è di natura politica e
socioeconomica, piuttosto che scientifica! Ho infatti subito sabotaggi da ogni
parte, recentemente anche in Italia, come posso documentare. Ho brevetti e
pubblicazioni, ma i soldi li hanno gli altri! Nessuno ha interesse a risolvere il
problema del diabete, solo i diabetici, ma non lo sanno!
Cap. 20 – AIDS
Un’altra patologia che occupa molte pagine dei giornali, e che costituisce
certamente un problema sociale, è l’AIDS. Qual è la tua posizione su questo
cosiddetto flagello?
L’AIDS (così come, d’altronde, il ‘morbo della mucca pazza’) è sempre
esistito. Non è stato infatti ‘scoperto’
nessun nuovo virus; si tratta invece di virus che si trasformano, e che passano
da uomo a uomo, da uomo a scimmia, da scimmia a uomo.
L’origine resta quindi piuttosto incerta. È un virus che, in situazioni di
immunodeficienza, e in una popolazione che non è più sottoposta a selezione
naturale (come accadeva in passato; a partire invece dalla fine della seconda
guerra mondiale, molti si sono salvati, per esempio, soltanto grazie agli
antibiotici), e quindi appunto immunodeficiente, si installa e si sviluppa a
dismisura.
Inoltre, aldilà delle persone che conducono una vita, per così dire,
stravagante, e che sono di per sé immunodeficienti, ne esistono altre che sono
solo apparentemente ‘normali’, in senso immunitario: in questi casi il virus ha
decisamente il sopravvento. Se esso dovesse, invece, venire a contatto con una
persona robusta, dal punto di vista immunitario, non riuscirebbe a mettere in
difficoltà il suo organismo.
È quindi una questione di capacità immunologica. Il virus, di per sé, non
dovrebbe destare nessuna preoccupazione. E ciò dimostra chiaramente come
tutta la storia dell’AIDS, così come viene proposta, non sta neppure in piedi.
Alla base di tutto c’è, infatti, la più grande menzogna che sia mai stata proferita,
quella cioè di pretendere di curare l’AIDS con i vaccini e gli antivirali: l’idea più
illogica e assurda che mente umana abbia mai potuto concepire!
Parole pesanti. Spiegami bene perché e dove sta l’errore.
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Semplicemente nel fatto che non si può curare una patologia, vaccinando una
persona che è immunodeficiente.
Non potrà in alcun modo reagire al vaccino! Non produrrà infatti anticorpi,
dato che è immunoincompetente; inoltre, se per prevenire che sviluppi l’AIDS, a
un paziente portatore del virus HIV vengono somministrati farmaci antivirali, i
vantaggi li avvertiranno solamente le industrie farmaceutiche. Nella migliore
delle ipotesi, infatti, sarà possibile al massimo prolungare in modo precario la
vita del paziente.
Ma, in questo caso, perché non potrebbe funzionare il farmaco antivirale?
Perché servirebbe soltanto a mitigare l’aggressività del virus, ma a costi
elevatissimi. L’antivirale potrebbe, semmai, servire in una fase iniziale; nel caso,
per esempio, di una persona sana e robusta che si sia infettata accidentalmente; e
non è poi neppure detto che questo trattamento sortisca necessariamente un
qualche risultato.
Qual è invece la tua proposta terapeutica?
Come al solito, io vado nella direzione opposta a ciò che comunemente viene
proposto.
Per curare le popolazioni infettate dal virus, in Africa o altrove, non c’è
bisogno di antivirali: è sufficiente, da sola, la melatonina!
Ovviamente, do per scontato che molti lettori storceranno il naso a questa
mia affermazione; ma io ho il vantaggio di riferire fatti documentati, e non
ipotesi o teorie, tutte da verificare.
Prendiamo il caso dell’Africa: dato che la melatonina funziona tanto meglio
quanto più ci si avvicina all’Equatore, il dr. Linus K. Ndungu di Nairobi, Kenya,
uno straordinario personaggio esperto di amministrazione ospedaliera, ha voluto
attivare una sperimentazione con la melatonina su malati di AIDS.
Ebbene, i risultati, dopo due anni dall’inizio dello studio, eseguito sotto
controllo medico, sono sconvolgenti, e non possono essere in alcun modo
smentiti. Ovviamente, la drammatica situazione locale e l'isolamento del mio
amico non ha permesso finora di condurre ricerche in doppio cieco controllate
con placebo (sarebbe oltretutto una vera beffa per i malati destinati a ricevere
soltanto il placebo, visto che la melatonina non farebbe loro che bene, essendo
del tutto priva di tossicità e di effetti collaterali!).
Oggi possiamo quindi affermare con certezza che la somministrazione di un
particolare tipo di melatonina (purissima e con aggiunta di zinco e selenio),
somministrata a pazienti con AIDS conclamato, estremamente esausti, debilitati
e anoressici, con o senza malattie opportunistiche, ha permesso di osservare
rapidissimi miglioramenti; molti hanno ripreso la normale attività lavorativa.
Tieni presente che ciò che affermo è ampiamente documentato, ed è a
disposizione di chi volesse prenderne visione.
Tuttavia, si può parlare di vere ‘guarigioni’ da AIDS conclamato…?
Possiamo riportare qui dei casi concreti?
Io non so se la melatonina (e lo zinco) guariscano l’AIDS; certamente però
restituiscono peso corporeo, vitalità e salute ai malati di AIDS. A me non sembra
affatto una questione di poco conto!
Quanto ai casi clinici, posso intanto fare riferimento a quelli che seguono,
tutti coronati da ottimi risultati : 1. J.A., uomo di 47 anni, moglie morta di AIDS;
2. F.W., donna, 41 anni; 3. J.C.K., uomo, 45 anni; 4. J.K., uomo, 32 anni, moglie
morta di AIDS; 5. R.K., donna, 30 anni, marito morto di AIDS; 6. A.W., donna,
50 anni; 7. P.C., donna, 39
anni. Questo è soltanto un piccolo campione fra i 1126 pazienti che
assumono giornalmente melatonina con zinco, ormai da oltre 14 mesi.
I dossier sono conservati presso Linus K. Ndungu, e i pazienti sono tutti
rintracciabili al loro indirizzo, in Kenya!
Dato che stiamo parlando di argomenti molto delicati, e anche per non
cadere nella tentazione di abbandonarci a facili entusiasmi, vorrei che tu fossi
più preciso nel riferire i miglioramenti finora riscontrati in pazienti con AIDS
conclamato, che hanno assunto melatonina con zinco per periodi prolungati.
Il recupero a seguito di somministrazione di melatonina con zinco, alla dose
di 3/6 mg giornalieri, si riferisce a: debolezza; anoressia; impotenza; peso
corporeo; macchie della pelle estese al volto e alle aree genitali; distrofia cutanea
al volto, alle mani e ai piedi; nausea; vomito; infezioni varie batteriche, virali e
da miceti; bronchite 45
essudativa; anemia; adenopatie; diarrea; costipazione; apatia; depressione;
insonnia; riguarda inoltre molti altri problemi comuni ai malati di AIDS.
I sette pazienti di cui ho appena detto, hanno recuperato da 5 fino a 12
chilogrammi di peso corporeo; passando, da uno stato disperato e quasi
terminale di AIDS, alle loro abituali occupazioni, quelle cioè che svolgevano
prima dell’insorgenza della malattia. Chiunque può visitarli e constatare il loro
stato di salute!
I risultati che si evidenziano in questi pazienti lasciano pensare che la
somministrazione di un particolare tipo di melatonina sia in grado, da sola, di
ricostituire rapidamente l’integrità biologica del malato di AIDS in fase
avanzata, se non addirittura terminale, tanto da riportarlo alla vita normale!
Quali altri casi di AIDS sono venuti, direttamente o indirettamente, alla tua
osservazione?
Un trattamento analogo a quello cui ho appena accennato viene attualmente
condotto su malati di AIDS anche nell’ospedale di Lugalo, che è il maggior
ospedale militare della Tanzania.
C’è da dire, a questo proposito, che le forze armate della Tanzania hanno
stabilito una collaborazione con una società del Sud Africa, allo scopo di
effettuare uno studio clinico su malati di AIDS trattati con una sostanza chiamata
Exumit.
In effetti, questo farmaco azzera quasi del tutto la carica virale; tuttavia, i
pazienti risultano così deboli, magri e debilitati che non si può certo dire che il
farmaco possa funzionare efficacemente!
Al contrario, grazie al trattamento con melatonina e zinco, i pazienti
guadagnano rapidamente appetito e peso, e i loro linfociti CD4 aumentano in
maniera assai consistente. Sarebbe opportuno quindi che i pazienti da trattare
con Exumit, si sottoponessero prima alla terapia con zinco-melatonina; una volta
recuperate le forze, e soltanto allora, sarebbero quindi in grado di sopportare la
micidiale azione antivirale di Exumit!
Questo è quanto mi ha riferito direttamente il Dr. Ndungu; gli interessati
sono invitati a rivolgersi direttamente a lui.
Credo che sia rimasto bloccato dalla completa assenza di ogni aiuto
finanziario locale o internazionale. Infatti, chi può avere interesse in una
molecola che non è brevettabile, come la melatonina? Solo, eventualmente, i
malati!
Tutto questo vale però all’Equatore, dove l’effetto della melatonina risulta
fortemente potenziato per via della latitudine; ma altrove, invece? Penso
all’Europa, agli Stati Uniti ecc.
L’effetto è sostanzialmente identico. Se la melatonina viene somministrata in
tempo utile, diciamo in una fase non proprio terminale, il malato di AIDS può
avere un buon recupero. Nello stadio iniziale della patologia, il paziente potrà
ricostituire rapidamente l’immunità, e contare quindi ragionevolmente su una
totale guarigione; è possibile che si porti ancora dietro il virus, che non lo abbia
eliminato cioè del tutto, e che accusi dei danni secondari; però, non andrà
ulteriormente incontro a malattie opportunistiche, virali o parassitarie.
In quanto tempo?
Nel giro di due o tre mesi, il paziente è già fuori pericolo.
Esiste, a questo proposito, anche una casistica riferita a pazienti europei?
Italiani, per esempio?
Purtroppo, non ancora. Ciò non toglie nulla però a quanto ho appena
affermato sulla certezza del recupero da parte dei pazienti con AIDS, trattati con
melatonina e zinco. Aggiungo che, già una decina di anni fa, in un ospedale
italiano venne somministrata melatonina a pazienti con AIDS; per quanto ne so,
i pazienti recuperavano talmente in fretta appetito e peso, che, trattandosi in
genere di tossicodipendenti con una vita piuttosto allo sbando, abbandonavano
improvvisamente l’ospedale, per tornare alla vita di sempre, senza lasciare
ovviamente alcun recapito che permettesse di rintracciarli! Il problema era che,
avendo recuperato le forze, non si preoccupavano di assumere ulteriormente la
melatonina.
46
Per ritornare però, per così dire, agli aspetti più scientifici delle tue
ricerche, su quale fondamento teorico si basa la terapia che tu proponi con
melatonina e zinco nei confronti dell’AIDS?
Questa è una storia molto interessante. Nel corso degli ultimi quarant’anni, si
è sviluppata la disciplina scientifica che, a suo tempo, il mio amico Novera
Spector aveva battezzato come neuroimmunomodulazione (NIM), e che ora
raccoglie migliaia di ricercatori.
Grazie a questa particolare branca della medicina, risulta ormai dimostrato
che il sistema immunitario, che ci difende da infezioni e cancro, e mantiene
l’integrità biologica, dipende strettamente dal controllo centrale, nei centri
nervosi del cervello, di una miriade di ormoni e fattori endogeni; la cui sintesi e
secrezione ciclica (il ciclo circadiano giorno/notte, l’avvicendarsi delle stagioni),
vengono appunto regolate dai ritmi luce/buio e dalle variazioni della
temperatura.
Abbiamo inoltre dimostrato che il mantenimento dei cicli e dei ritmi
endocrini, grazie alla protezione esercitata sulla
‘ghiandola madre’ del cervello (la pineale), attraverso la somministrazione
notturna di melatonina (la stessa che la pineale produce nel corso della notte),
porta a una straordinaria inversione dell’invecchiamento.
Tornando però all’AIDS e al rafforzamento del sistema immunitario?
Applicando all’AIDS i principi che ho appena esposto, si può affermare
senza dubbio alcuno che la base della salute e della resistenza immunologica
risiede nella salvaguardia dei ritmi periodici circadiani (giorno/notte) ormonali,
coordinati appunto dalla ghiandola pineale e dalle sue connessioni con il cervello
e l’ipofisi.
Gli studi condotti in questo senso, da me e dai miei collaboratori (alcuni già
pubblicati, altri in via di pubblicazione), sono quindi serviti a promuovere un
nuovo metodo per il controllo dello stato di salute, basato sul mantenimento dei
ritmi biologici ormonali vedi grafico nelle ultime pagine di questo libro.
È ormai provato, in altre parole, in modo inconfutabile, che la salute psichica
e fisica di ognuno di noi è gestibile mediante l’assunzione di molecole naturali
che non presentano né tossicità, né effetti collaterali. Queste molecole, alcune
delle quali già identificate, sono in grado di operare una drastica inversione del
processo di deterioramento psicosomatico che va sotto il nome di senescenza.
Ci si potrebbe opportunamente chiedere, a questo punto, perché le notizie
che mi hai finora riferito non vengano portate a conoscenza del pubblico, e
soprattutto dei pazienti colpiti da AIDS. Ma lasciamo da parte questo
argomento… C’è però ancora una domanda che vorrei porti, e riguarda la
somministrazione di melatonina con zinco; perché questa combinazione?
Perché negli stessi anni in cui conducevo le ricerche sulla melatonina,
all’INRCA di Ancona (istituto di ricerche gerontologiche Nino Masera), i
ricercatori Nicola Fabris, Eugenio Mocchegiani e colleghi, da anni impegnati
nello studio degli effetti immunostimolanti e antiinvecchiamento dello zinco, nel
contesto di una teoria sull’origine e il corso della senescenza, realizzavano una
ricerca su malati di AIDS. Fecero così la straordinaria osservazione che lo zinco,
somministrato per via orale, era in grado, da solo, di prevenire in gran parte le
cosiddette malattie opportunistiche di varia natura (virale, micotica, batterica e
parassitaria) che colpiscono infallibilmente i malati di AIDS, fortemente
immunodepressi. Tali importanti lavori sono stati pubblicati sulle riviste mediche
Journal of the American Medical Association (JAMA) nel 1988, e sul Journal of
Nutrition nel 2000.
La conclusione è stata quindi logica: lo zinco è in grado di prevenire le
malattie opportunistiche nell’AIDS; e la melatonina?
Nella prima metà degli anni novanta, io stesso ed altri avevamo condotto
degli studi, poi pubblicati su riviste specializzate, nei quali avevamo osservato
come la melatonina, da sola, sia in grado di ricostituire i livelli di zinco nel
sangue di animali senescenti. Risultava quindi chiara l’esistenza di una relazione
diretta tra zinco e melatonina; inoltre, la loro azione si manifestava come
sinergica nella ricostituzione dell’immunità in corso d’invecchiamento! È infatti
noto che la carenza di zinco è un sicuro parametro d’invecchiamento (i suoi
livelli decrescono costantemente nel corso degli anni).
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Sulla base di tali entusiasmanti risultati sperimentali e clinici, che
riguardavano la rapida ricostituzione dell’immunità con il binomio zinco-
melatonina, passai quindi alla formulazione di un’associazione tra melatonina e
zinco.
Nella fase successiva, vale a dire quella relativa alle prove cliniche sull’uso
della melatonina, associata a un composto organico dello zinco, quello orotato
(che ha il vantaggio di essere assorbito meglio nei processi organici, in cui lo
zinco è parte essenziale di oltre duecento enzimi), identificai nei pazienti africani
di AIDS il terreno ideale per la valutazione di tale associazione di elementi, privi
di tossicità e di effetti collaterali, anche per il basso costo della melatonina, e in
considerazione dello stato di estrema povertà delle popolazioni africane.
Cap. 21 – Le patologie
Il cosiddetto allenamento, la corsa, il jogging,
il culturismo, e comportamenti simili, ossessivi e imposti,
ci conducono tutti a un invecchiamento precoce; a meno che i loro
effetti deleteri e nocivi non siano in qualche modo equilibrati da una
benefica gratificazione psicosociale, e purché siano praticati a contatto
con la Natura. (Walter Pierpaoli)
Passiamo adesso in maniera sistematica un certo numero di patologie che
oggi si presentano particolarmente problematiche. Per prima: l’Alzheimer.
Premetto che, in linea generale, tutti i miei interventi terapeutici sono basati
sulla risincronizzazione del sistema neuroendocrino e, di conseguenza, del
sistema immunitario: il restauro quindi dell’integrità biologica dell’organismo,
consistente nei cicli e nei ritmi ormonali e nella risposta immunitaria.
Quest’ultima ha che fare con il timo, i linfociti T, il rigetto, e costituisce la
cosiddetta ‘immunità ritardata’. Perché il nostro organismo non accetta il
trapianto di un organo? Perché combatte tutto ciò che non riconosce come self,
cioè come suo proprio. Se infatti venisse meno l’immunità ritardata, noi non
rigetteremmo più, come estraneo, un organo trapiantato da un altro uomo o da un
animale; non solo, ma non saremmo più neppure in grado di combattere e
sconfiggere un virus. La lotta contro il virus è infatti basata su una complessa
azione immunitaria che fa capo, sia alla sintesi di anticorpi che si formano contro
il virus, sia all’attivazione di cellule che distruggono il virus (al contrario di
quanto accade nel caso dell’HIV, dove è il virus a distruggere le cellule, Human
Immunodeficiency Virus). In altre parole, l’AIDS colpisce una persona quando
questa è immunodeficiente. Mentre, a mio avviso, non è affatto vero che se il
virus HIV attacca una persona sana, inevitabilmente questa ammalerà di AIDS.
Venendo all’Alzheimer, questa patologia è da assimilare, quanto a esito, alla
demenza senile, anche se da questa viene generalmente distinta. Nella demenza
senile le arteriole del cervello si chiudono, e si formano dei veri e propri buchi di
necrosi. Nell’Alzheimer, invece, si evidenziano della placche di proteine amorfe
che distruggono le cellule, invadendo i tessuti (ho eseguito molti studi
sull’amiloidosi sperimentale, suggerendone anche l’eziopatogenesi).
L’origine dell’Alzheimer è misteriosa; probabilmente, è composita: c’è una
componente genetica, ma anche alimentare, virale, immunitaria. Il risultato però
è sempre lo stesso: l’invasione dei tessuti nobili del cervello o di altri organi e
tessuti, come i reni o i muscoli, da parte di masse di proteine (amiloidi e
ialinoidi), con conseguente, più o meno precoce, distruzione degli stessi. A mio
avviso, l’A. non è curabile; però lo si può prevenire ed eventualmente bloccare.
In che modo?
Il mio principio è sempre lo stesso. Qualsiasi patologia l’individuo sviluppi,
questa farà sempre capo al degrado e alla caduta del sistema di controllo
dell’organismo (immunitario e ormonale). Tutte le malattie degenerative
‘cattive’ (compreso il cancro), sono infatti riconducibili ai medesimi
meccanismi. Dipende poi da tanti altri cofattori (famiglia d’origine,
alimentazione, condizioni ambientali, età ecc.) se a svilupparsi sarà una
patologia piuttosto che un’altra.
Applicando questi principi, io ho elaborato una strategia terapeutica, che
applico già a parecchi pazienti, sia in fase iniziale ma anche in casi di gravità
estrema, che sembra dare buoni frutti; fermo restando che la finalità è quella di
48
rendere gestibile la patologia. Anche se poi, essendo io sempre
superottimista, non perdo mai del tutto la speranza (e infatti la totale remissione
del Parkinson di mia suocera ultranovantenne mi dà ragione!).
Così come credo fermamente nella rigenerazione dei neuroni o perlomeno ai
contatti tra di loro, grazie alla quale è possibile, con il tempo, senza fretta però,
ricostituire il colloquio fra gli stessi neuroni, che permetta di mantenere
quantomeno un’esistenza accettabile. Staremo a vedere. Allo stato attuale della
ricerca, posso poi aggiungere che sto studiando una molecola naturale che ha
mostrato, per adesso soltanto in laboratorio, un incredibile potere di
rigenerazione.
Con la solita avvertenza però, che occorre sfatare la mentalità farmacologica
corrente, per cui tutto si può risolvere con una pillola: bisogna invece aver
pazienza e sapere prendersi cura della ricostituzione del proprio equilibrio
biologico, dando tempo al tempo!
C’è poi un aspetto più crudele, di cui nessuno parla: la condizione in cui
sono costretti a vivere i famigliari del paziente. In questo caso, la
somministrazione di melatonina serale a tutti i membri della famiglia, o almeno
alla persona di riferimento del paziente, è indicatissima.
Hai citato il Parkinson, ed è quindi il caso che ce ne occupiamo.
A mio avviso, il Parkinson va gestito nello stesso modo dell’A. Perché si
manifesta la malattia? A causa di un’alterazione di una parte del cervello (la
substantia nigra).
È possibile, in una prima fase, ricorrere ai farmaci per alleviare i sintomi, che
però portano con sé effetti collaterali non trascurabili. Coloro che si occupano di
Parkinson, sanno bene che i farmaci non curano la malattia; la mitigano soltanto
e, con l’andar del tempo, diventano addirittura del tutto inefficaci.
Il migliore esempio della mia terapia del Parkinson, ce l’ho in famiglia.
Come ho già avuto modo di dire, grazie alle mie prescrizioni, mia suocera, che
ha 95 anni, non solo oggi non mostra più alcun sintomo, ma ha ripreso a suonare
il pianoforte come faceva un tempo! Non attendo altro se non di poter
festeggiare il suo centesimo compleanno Parkinson-free!
Sono inoltre in grado di annunciare che la più grande fondazione europea per
la cura del Parkinson, una delle più importanti al mondo, che ha sede a Milano,
ha mostrato interesse a eseguire uno studio clinico con melatonina, applicando i
miei principi. Tieni presente, giusto per dare un’idea dell’imponenza del
fenomeno, che la benemerita fondazione, che non ha fini di lucro, annovera ogni
anno ben 1200 nuovi pazienti!
Un’altra patologia che ha notevole rilevanza sociale, e che purtroppo si
diffonde sempre di più, è l’asma.
L’asma è scatenata da uno stato psichico, ma anche da condizioni ambientali
e climatiche. Esistono quindi due componenti: la psiche e gli allergeni. In
ambedue i casi è opportuno intervenire mirando soprattutto al riequilibrio
dell’intero sistema. Va detto, fra l’altro, che la desensibilizzazione agli allergeni
è impresa difficile, lunga e costosa.
Il mio principio è invece diverso, e consiste nella ricostituzione della
capacità di non reagire agli allergeni. È come per le malattie autoimmunitarie: la
soluzione del problema sta nella ricostituzione dell’immunità, per cui
l’organismo è messo in condizione di non reagire contro se stesso (o contro gli
allergeni, nel caso dell’asma). È
un’impresa non facile, anche perché, nell’asma, entrano in gioco fattori
diversi, ivi compresa la situazione emotiva che il soggetto asmatico vive.
Avresti voluto occuparti anche di bambini Down…
Sì, ma senza successo. E non tanto perché la melatonina non funziona in
questo caso, tutt’altro; ma semplicemente perché ho dovuto scontrarmi con la
diffidenza verso una sostanza assolutamente innocua, come la melatonina.
Già comunque a partire dagli anni ottanta, avevo maturato la convinzione
che la sindrome di Down altro non è che una forma di invecchiamento precoce.
Chi viene al mondo affetto da questa patologia, infatti, invecchia rapidamente.
Guarda caso i bambini Down risultano, inoltre, estremamente vulnerabili allo
stress, sono molto nervosi, presentano difficoltà con il sonno (mancano della fase
REM), accusano problemi alla tiroide, tutte problematiche che grazie alla
somministrazione di melatonina potrebbero essere facilmente alleviate.
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La melatonina infatti ricostituisce l’immunità, migliora la funzione tiroidea,
normalizza il sonno. Tuttavia, queste mie considerazioni restano allo stato
solamente teorico; nonostante io abbia infatti proposto, in circostanze diverse,
l’impiego della melatonina per questa gravissima patologia, il suggerimento non
è stato purtroppo accolto.
Non sarà però che la diffidenza si basa su elementi concreti che
indurrebbero alla prudenza sull’uso della melatonina? Mi riferisco in
particolare all’articolo di Reppert e Weaver pubblicato su Cell (vi si insinua che
la melatonina potrebbe provocare addirittura il cancro!), e a quello di Turek su
Nature , che ne sconsiglia semplicemente l’uso in assenza di dati clinici certi.
L’articolo di Reppert e Weaver, due ricercatori che conosco molto bene, si
basa su un falso di laboratorio, come ho preteso che fosse rettificato da Cell,
purtroppo senza successo, in risposta al loro lavoro. L’assunto dell’articolo era
che, cambiando il ceppo di topi utilizzati da me in laboratorio, con la
somministrazione di melatonina non solo non si allungherebbe la vita degli
animali, ma addirittura la si abbrevierebbe, inducendo anche qualche tumore.
Ciò è semplicemente falso. L’equivoco nasce da un lavoro del giapponese
Goto, successivamente smentito perché appunto falso, il quale intendeva
dimostrare che il ceppo di topi da me utilizzato non produrrebbe autonomamente
melatonina, perché la ghiandola pineale non disporrebbe degli enzimi per
produrla: questa notizia, ed è stato dimostrato, è assolutamente falsa.
Ripeto, si tratta di un banale errore di laboratorio, una svista da parte di
Goto, che ha seminato un numero incredibile di notizie false, tutte puntualmente
smentite.
Fra le causae mortis più frequenti, pare ci siano le malattie cardiache e
circolatorie (arteriosclerosi locale o generalizzata, infarti, occlusioni vasali,
trombosi, ictus cerebrale ecc.).
Torniamo alla Sindrome metabolica X, che abbiamo già evocato nel corso di
questa conversazione: il famoso
‘quartetto mortale’, cioè, costituito da ipercolesterolemia, iperglicemia,
ipertensione, obesità viscerale (il grasso che non si vede, all’interno della
pancia). Esso rappresenta in sostanza il decadimento del metabolismo ossidativo.
Se la tiroide non assolve alla sua funzione di controllo sul metabolismo dei
lipidi, in maniera sufficiente (ipotiroidismo), si avrà necessariamente
ipercolesterolemia. Stesso discorso vale anche per l’iperinsulinemia: l’insulina
aumenta perché l’organismo ‘brucia’ male il glucosio. Il meccanismo diventa
allora rigido, perde la sua flessibilità, tutto si sclerotizza. Le ghiandole endocrine
funzionano male, e niente è più in equilibrio.
Il mio principio, applicato all’ictus, alla trombosi, all’infarto, alle occlusioni
arteriose, all’arteriosclerosi cerebrale, quando ne riscontro i segni premonitori,
oppure quando gli eventi si sono già sfortunatamente verificati, è quello di tenere
sotto controllo i livelli di ormoni come prolattina o cortisolo. Prendo soprattutto
in considerazione la tiroide, perché se è presente un’alterazione nascosta della
tiroide, si possono assumere tutte le pillole che si vuole, ma la situazione resta
fortemente compromessa. Se non si ricostituiscono i ritmi ormonali, la situazione
non potrà mai tornare alla normalità. Alla base di una situazione di questo tipo
c’è poi in sostanza uno stato d’invecchiamento vero e proprio, come alterazione
del metabolismo.
Ora, questa situazione è riconducibile alla constatazione che, nel nostro
cervello, i meccanismi di feed-back, di reattività e di controllo dei ritmi,
diventano rigidi; l’esempio classico è quello della menopausa: le ovaie si
irrigidiscono e diventano restie alle sollecitazioni di LH e FSH ipofisarie; di
conseguenza, queste ultime aumentano, come abbiamo dimostrato (vedi capitolo
sulla menopausa), al fine di mantenere estrogeni e progesterone a livelli normali
per favorire così l’ovulazione; lentamente, questo processo non si verifica più,
fino a che le ovaie finiscono per atrofizzarsi del tutto; è la fine del programma,
arriva la vecchiaia; si tratta in fondo di un programma neuroendocrino
fisiologico, che ha esaurito la sua carica, che ci faccia piacere o no.
Per tornare quindi al metabolismo dei lipidi, dal quale eravamo partiti…?
L’esempio della menopausa mi è servito per dire che, mentre la donna
invecchia per la fine del ciclo, che è un meccanismo di feed-back che viene a
mancare, così è anche per il metabolismo dei lipidi: se non funziona la tiroide, e
si altera il congegno centrale, per cui il cervello si irrigidisce e non reagisce più
agli stimoli periferici, oppure reagisce ma in maniera spropositata, avviene una
sorta di ‘iperadattamento’, cioè l’iperadattosi di cui 50
parlava il grande Vladimir Dillman. È un tentativo di compensazione e di
adattamento a una situazione che non è più normale.
Le conseguenze sono: iperglicemia, iperinsulinemia (l’insulina è micidiale:
troppa fa male; se scarseggia, è ugualmente fonte di altri guai), tipiche della
Sindrome Metabolica X, e quindi dell’arteriosclerosi, dell’ictus ecc., e di tutto
ciò che costituisce alterazione vasale.
Passiamo adesso a un altro argomento che desumo da alcune lettere che ti
sono state inviate, a proposito della degenerazione maculare.
La macula è il punto della retina in cui si focalizza la visione. Le
maculopatie più ricorrenti (la maculopatia può avere le origini più disparate)
sono legate all’invecchiamento. La degenerazione maculare mostra quindi delle
analogie con la malattia di Alzheimer, anche perché neppure in questo caso
esistono cure ‘efficaci’; fra l’altro, la cecità senile è un fenomeno destinato a
diffondersi sempre di più.
Sono però fiducioso che, grazie a un’adeguata profilassi, si possa riuscire a
evitare che la retina degeneri. Anche perché, guarda caso, la retina produce in
situ (cioè a livello locale) melatonina. Ignoro quale sia la funzione prodotta dalla
melatonina nella retina, ma ipotizzo che si tratti sempre di quel meccanismo
protettivo di cui abbiamo parlato a proposito della ghiandola pineale; la
melatonina è prodotta, cioè, dove serve a proteggere un organo o un apparato.
Sia come sia, sta di fatto che, almeno in un caso (quello di un mio amico che
aveva la retina letteralmente a pezzi, per capirci, e successivamente dichiarato
‘clinicamente guarito’ da un luminare di Milano, a seguito di un trattamento con
melatonina), la somministrazione di melatonina sembra abbia fatto sì che la
retina si cicatrizzasse, fino al recupero della visione (con conseguente
restituzione della patente di guida al paziente!).
Aggiungo che attualmente, in Cina, con la collaborazione del governo
cinese, e a cura del dottor Changxian Yi, che è stato fra i miei più validi
collaboratori presso il laboratorio che dirigo, è in corso una sperimentazione
clinica su retinopatie e melatonina. E io ho comunque fiducia nella forza
rigeneratrice della natura, di cui non mi preoccupo affatto a fornire spiegazioni
in termini ‘scientifici’: mi limito piuttosto a constatarne l’evidenza.
Hai dedicato molta parte della tua ricerca alle malattie autoimmunitarie.
Le malattie autoimmunitarie sono di gran lunga le mie preferite’, e ciò per
molte ragioni. Intanto, il principio stesso che sottende l’invecchiamento è
l’autoannientamento, semplicemente perché non ci si autoriconosce più. Ciò si
verifica anche dal punto di vista psichico, intellettivo e culturale. La persona
anziana si disinteressa all’ambiente esterno, le sue emozioni si affievoliscono, si
abbandona alla pigrizia… Questo atteggiamento rappresenta il distacco dal
mondo; si esce dalla realtà della natura, per tornare a essere polvere inorganica,
com’è scritto nei sacri testi.
Al contrario, noi siamo ‘organici’, in quanto entità fine a se stessa: siamo
self, siamo noi stessi. L’immunità mantiene appunto questa condizione, e ci
permette di distinguere noi stessi da quanto ci circonda.
Di conseguenza, se a una persona si trapianta qualcosa che non le appartiene,
lo rigetta immediatamente. Ciò è semplice da spiegare. Infatti, il virus cos’è?
Qualcosa che non appartiene all’organismo; ecco perché vengono prodotti
anticorpi per debellarlo. Quando però, a causa di vari fattori, non si riconosce più
se stessi, producendo quindi anticorpi contro il proprio stesso organismo,
subentra una delle tantissime (costituiscono l’80% di tutte le patologie che ci
uccidono) malattie autoimmunitarie.
Perché si verifica ciò? A mio avviso, molte malattie autoimmunitarie sono
determinate, all’origine, da un virus. E'
possibile che si tratti di un virus banale (una tonsillite, un adenovirus ecc.), in
grado di provocare un’infezione in un organo o in un tessuto, magari in forma
silente. Può darsi che alteri un po’ le caratteristiche delle cellule, inducendo
magari un’immunosoppressione, responsabile dei danni che si succederanno a
cascata. Il risultato finale è che il sistema immunitario non riconosce il corpo
come suo proprio, e produce anticorpi per distruggerlo.
Si instaura allora la malattia autoimmunitaria.
Ora, a me sembra ovvio, ma basta guardarsi in giro per capire che poi tanto
ovvio pare non essere, che per porre rimedio a una situazione di questo genere,
la prima cosa da fare è di ristrutturare l’immunità ‘normale’. Per debellare quindi
le malattie autoimmunitarie (che sono tantissime e devastanti) non c’è altro
mezzo che ricostituire l’integrità immunologica perduta. Ed è esattamente quello
che io tento di realizzare. Che fa invece la cosiddetta medicina moderna? La
cosa più pazza che si possa immaginare: somministra cortisone e
immunosoppressori! .
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Ci sarà ben un motivo, per questo comportamento, che sembra
autolesionista anche a un profano come me!
Infatti, non c’è spiegazione! Giudica tu stesso: il cortisone blocca
l’infiammazione e i sintomi, ma non cura un bel niente; e gli immunosoppressori
distruggono addirittura l’immunità, fai un po’ te!
Io mi comporto invece esattamente all’opposto: non somministro cortisone,
né tantomeno immunosoppressori, ma stimolo invece l’immunità; la sprono a
ricostituirsi e a rigenerarsi.
E, siccome l’immunità dipende dai cicli ormonali (e vedi bene che il mio
ragionamento qui non fa una piega), se ricostituiamo la ciclicità ormonale,
rimetteremo a nuovo la famosa tela, che il ragno sarà felice di tenere
nuovamente sotto controllo; dopodiché, gli anticorpi semplicemente
scompaiono! Questa è la chiave che io ho scoperto per ricostituire l’immunità
naturale, e di ciò che affermo ho le prove inconfutabili, anche perché sono state
già pubblicate su riviste scientifiche di prim’ordine.
C’è da chiedersi come sia possibile che tutto ciò avvenga nella cosiddetta
medicina scientifica, senza che nessuno dia perlomeno l’allarme.
Per lo stesso semplicissimo motivo che si cerca di far fuori il cancro, e non di
ricostituire il paziente. A mio avviso non si deve distruggere il cancro (e con
esso, spesso anche il paziente!), ma ricostituire piuttosto la capacità
dell’individuo di tenere il cancro sotto controllo. Ecco perché le malattie
autoimmunitarie non mi fanno più paura.
Fra le malattie autoimmunitarie viene annoverata anche la sclerosi multipla.
Una patologia che colpisce oltre cento milioni di persone nel mondo. Si
produce un’alterazione autoimmunitaria che attacca il cervello (invece che una
qualsiasi articolazione, oppure la tiroide, o il fegato, e così via).
Il processo iniziale è di tipo infiammatorio autoimmunitario, su cui si
innestano poi depositi di sostanze (autoanticorpi, anticorpi) che formano delle
placche. Queste, a loro volta, spingono e distruggono la corteccia e vari centri
del cervello. È un processo devastante oltre che progressivo.
Anche se rischio di ripetermi fino alla nausea, c’è una sola cosa da fare:
ricostituire l’immunità! Perché, se il corpo prosegue sulla strada della
produzione di anticorpi contro le placche che si sono formate, il processo
degenerativo finirà per andare avanti da solo, senza neppure più bisogno di
anticorpi da combattere.
Si crea, in sostanza, una situazione analoga a quella della cirrosi epatica: il
tessuto connettivale sostituisce il tessuto nobile, con la conseguenza che il fegato
si riduce a una palla fibrosa che non funziona più (si muore, se non si provvede
celermente a un trapianto!). Nel caso della sclerosi multipla, invece, la reazione
connettivale si verifica nel cervello, con l’innesco di un processo divenuto ormai
aspecifico.
Cap. 22 – Domande ricorrenti (FAQ, Frequent Asked Questions)
Caro Walter, ti porrò adesso delle domande ricorrenti che esigono da parte
tua una risposta breve e concisa, in modo che il lettore possa trovarvi notizie
sintetiche che, se lo vorrà, potrà approfondire in altra sede. La prima domanda,
dunque: la melatonina è un farmaco?
Assolutamente no! È una molecola naturale (è prodotta di notte dalla
ghiandola pineale del nostro organismo), non tossica e priva di qualsiasi effetto
collaterale. Non è affatto un ormone e, somministrata anche per lunghissimi
periodi di tempo, ad alte dosi (nell’ordine addirittura di centinaia di milligrammi,
come nel già citato studio clinico olandese), non ha mai prodotto alcun danno.
La sua funzione sembra essere la protezione della ghiandola pineale, anche se
però non siamo in grado di stabilirne il meccanismo d’azione a livello
molecolare. Tieni presente inoltre che nonostante, negli Stati Uniti, la melatonina
sia ormai in vendita liberamente da oltre sei anni, non è mai stato riferito un solo
caso di effetti indesiderati.
Qualcuno dice però che chi assume melatonina potrebbe andare incontro al
rischio di una ‘frammentazione del sonno’.
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La melatonina c’entra con il sonno, mi si passi l’espressione, come i cavoli a
merenda. È utile al sonno unicamente in quanto, migliorando i ritmi biologici, fa
sì che ci si addormenti più facilmente. Ma, altrettanto facilmente, può far sì che
si resti svegli, specialmente nei primi periodi in cui la si assume.
In che senso? Tutti ne parlano come di un sostitutivo dei sonniferi…
Ed è assolutamente falso! La melatonina infatti rimette ‘soltanto’ in moto un
sistema che risulta essere alterato nei suoi ritmi. Prima però che tutto possa
tornare in equilibrio, possono passare addirittura dei mesi! Infatti, non essendo
né un farmaco né un sonnifero, la melatonina non agisce di colpo. Con il
risultato che, gente che per vent’anni ha assunto benzodiazepine, dopo aver
provato per due notti la melatonina, pretende chissà quale risultato miracoloso; e
se ciò non avviene, ne trae immediatamente la conclusione che la melatonina
non funziona.
Sfido io, in questo modo non può funzionare di certo!
Una persona che ha acquistato il tuo precedente libro, La fonte della
giovinezza , ti ha scritto: «Ho preso la melatonina, ma con risultati deludenti;
ho trascorso una notte agitata, piena di risvegli e assopimenti, e con sogni
vividissimi. Il mattino seguente mi sono ritrovato completamente intontito e tale
sgradevole sensazione è durata fino al giorno seguente. Ho lasciato quindi
trascorrete cinque giorni, dopo l’ho ripresa; solita storia.» Qual è la risposta da
dare in questi casi?
Non c’è altro sistema che continuare ad assumere 3 mg di melatonina alla
sera, immediatamente prima di dormire. Il risultato è assicurato, si tratta di saper
attendere! Un effetto immediato, senza che prima sia stato ricostituito il ciclo
biologico alterato, sarebbe infatti semplicemente impensabile. Inoltre, che tipo di
melatonina ha usato, questo signore? Se essa non viene infatti prodotta con il
sistema GMP (Good Manufacturing Practise), che dà la garanzia assoluta che la
compressa finale contiene esattamente quanto viene dichiarato, io non la darei
neppure al mio vecchio cane!
Un altro lettore, questa volta si tratta di un medico, scrive: «Lei
consiglierebbe la melatonina a una persona di 75
anni e più? E se sì, a quale posologia? E questa va applicata a una donna di
75 anni che pesa 45 chilogrammi, per esempio, allo stesso modo che a un uomo
della stessa età, che pesa però 90 chili?»
Ancora una volta, non essendo la melatonina un farmaco, il peso corporeo è
ininfluente agli effetti della dose; se ne può assumere infatti anche in eccesso,
senza che si registrino effetti indesiderati. In effetti, per saturare durante la notte
l’organismo con la melatonina, ne basterebbe molto meno dei canonici 3 mg;
sarebbero sufficienti uno o due milligrammi. Tuttavia, dato che risulterebbe
impossibile determinare l’assorbimento gastrointestinale di ogni singolo
individuo, se ne consigliano prudenzialmente 3 mg, per essere certi che ce ne sia
abbastanza in circolazione durante la notte. La melatonina in eccesso va poi a
finire comunque nei reni, e viene semplicemente eliminata con le urine.
Sempre lo stesso medico chiede se sia stata determinata o no per la
melatonina la DL50 [la dose letale, cioè che, in un esperimento da laboratorio,
porta alla morte il 50% degli animali trattati con la sostanza che si intende
testare].
Semplicemente, per la melatonina non esiste e non può esistere una dose
letale 50 (DL50). Nessun ricercatore è infatti mai riuscito a far morire un
topolino di laboratorio, neppure somministrando dosi altissime della sostanza.
Assumendo melatonina esogena (dall’esterno, cioè), non si corre il rischio
che si atrofizzi la pineale, visto che questa finisce per produrne sempre meno?
E invece succede proprio il contrario! Siccome la melatonina non è un
ormone, e il meccanismo di sintesi che la riguarda è molto diverso da quello
degli ormoni, appunto, accade l’inverso di quanto ci si potrebbe aspettare. Il
processo attraverso il quale dalla serotonina si passa alla melatonina, con
l’acetiltransferasi e gli HIOMT
53
(idrossimetiltransferasi), è abbastanza complesso e laborioso. Ora, se si
somministra la melatonina dall’esterno, semplicemente gli enzimi non si attivano
per produrla. In realtà quindi non c’è nessun meccanismo di inibizione
retroattiva, come accade invece se si continua a somministrare, per esempio,
cortisone o tiroxina in eccesso a un paziente, massacrando così la sua ipofisi e
producendo l’atrofia del fattore di rilascio, l’ormone corticotropo (ACTH). In
questi casi, lo stimolo alla produzione parte dall’ipofisi, e il processo viene
inibito se noi somministriamo troppa tiroxina o troppo cortisone, o un altro
ormone dall’esterno; gli ormoni infatti hanno tutti un releasing factor (cioè delle
cellule deputate alla produzione) molto ben definito, per cui se si somministra
l’ormone dall’esterno se ne blocca la produzione endogena. Ma questo non è
affatto il caso della melatonina, perché non esiste un releasing factor della
melatonina nella ghiandola pineale, e quindi anche quando la si somministra
dall’esterno, non si provoca un danno irreparabile, come nel caso degli ormoni,
ma avviene semmai il contrario.
Semplicemente, la somministrazione di melatonina dall’esterno mette a
riposo la pineale. Di conseguenza, quando cessa la somministrazione di
melatonina, la produzione endogena riprende come prima, anzi meglio di prima.
In sostanza, quando si assume melatonina non soltanto non si va incontro al
rischio che la produzione endogena (cioè interna) si atrofizzi ma, al contrario,
manteniamo integra una delle funzioni della pineale; la quale, liberata da questa
incombenza, potrà quindi dedicarsi utilmente ad altro. Diverso è il discorso degli
ormoni, la cui somministrazione esogena rischia di compromettere lo specifico
fattore di produzione, in maniera più o meno irreversibile (questo è il motivo per
cui sono contrario a qualsiasi somministrazione di cortisone, per esempio!).
Tu parli spesso (e anche in questa conversazione l’argomento ritorna o
meglio aleggia su quanto esponi), di cultura della vita e di cultura della morte.
Sono le due ‘culture’ che segnano nel profondo il mondo in cui viviamo.
Alcuni prosperano sulla cultura del dolore, del peccato e della morte. A mio
avviso, si tratta di organizzazioni, che non esiterei a definire criminali, che
hanno tolto all’uomo il bene più prezioso: la gioia di vivere. È la cultura più
necrofila che si possa immaginare! Io professo invece la cultura della vita e della
gioia, e non quella della morte e del dolore. Ciò non vuol dire che io intenda
negarne l’esistenza, tutt’altro! Si tratta piuttosto di un atteggiamento psicologico,
come la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ho fatto
un’osservazione interessantissima nei malati terminali di cancro che assumono
melatonina. All’incirca sei anni fa venne da me una signora: presentava
metastasi al cervello; un caso disperato (le avevano dato un mese di vita), anche
perché nessuno può predire come potranno comportarsi in un caso del genere le
metastasi. Feci per lei quanto era nelle mie facoltà, somministrandole un cocktail
di melatonina con altre sostanze naturali, sotto stretta sorveglianza medica. Visse
ancora per altri tre mesi, poi morì. Stava bene fino all’ultimo momento, e la cosa
mi apparve strabiliante. Inoltre, è morta senza né dolore né sofferenze! Voglio
dire, anche con un cancro che non lascia nessuna speranza, si può morire,
soffrendo in maniera indicibile, oppure, spegnendosi lentamente e in maniera
dolce. Anche un cancro incurabile va quindi gestito; non è che non si muoia,
intendiamoci! Però è possibile giungere alla morte senza sofferenza (e senza dosi
enormi di morfina ecc.).
Attualmente, io seguo alcuni malati che si trovano in quella fase in cui
normalmente si dice che una persona potrebbe o dovrebbe morire; e io non dico
che quelle persone non moriranno: spero piuttosto di farle morire bene!
Un’altra delle frasi che ami ripetere è che fino all’ultimo respiro tu crederai,
con tutte le tue forze, di essere
‘immortale’. Siamo ‘immortali’ fino all’ultimo momento, e fino a prova
contraria, quindi?
Certamente. Io ho modificato la mia visione della vita e della morte da
quando ho capito che si tratta di un programma ormonale. Prima o poi, qualcuno
(non io, non credo di fare in tempo, non sono così sciocco o arrogante) riuscirà
forse a sollevare la cortina fumogena che circonda di pregiudizi la vita e la
morte; però dubito molto che ciò possa accadere in tempi ragionevolmente brevi.
La nostra società infatti, che ci piaccia o no, sembra strutturata per sfruttare per i
propri interessi il dolore e la morte dell’uomo, e si guarda quindi bene dal
pensare all’immortalità. Pensa soltanto che un improvviso allungamento di soli
cinque anni della speranza di vita della popolazione, sarebbe ritenuta una vera
catastrofe! Se io potessi domani dimostrare che i miei topolini vivono fino a
quattro anni (che corrispondono a circa duecento anni nell’uomo), e si
diffondesse la notizia che tutti potranno arrivare a quell’età, crollerebbero seduta
stante e in un sol colpo Wall Street e le borse di tutto il mondo; non solo, ma
cesserebbero d’esistere le assicurazioni e quant’altro, te ne rendi conto? E tieni
presente che stiamo navigando non nella fantascienza, ma in una dimensione
scientifica! E, infatti, è proprio questo a fare ancora più paura.
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Questo discorso è, ovviamente, molto affascinante; e tuttavia, non c’è una
contraddizione fra l’affermazione
‘l’uomo è immortale’, come tu sostieni, e la scoperta, da te realizzata, del
programma biologico che attiene appunto alla vita ma anche alla morte?
Esiste un programma biologico, esattamente come tu dici, e che io ho la
presunzione di aver scoperto. Però, l’aspetto più interessante è che il programma
biologico è assolutamente riprogrammabile! Prendiamo il caso di un arzillo
vecchietto di 120/125 anni, come capita di trovarne in certi luoghi sperduti della
terra: sta bene, non accusa nessun disturbo, non presenta Alzheimer, la sua
pressione è perfetta ecc.; un bel giorno lo trovano morto nel suo letto. Che
strano, il giorno prima stava bene, godeva di buona salute, eppure soltanto il
giorno dopo è morto.
Come è potuto accadere? È semplicemente scattato un meccanismo
programmato. Quest’uomo ha fatto il suo corso, ha vissuto tutta intera la sua vita
senza fastidi di sorta, però, a un bel momento è partito un messaggio (dalla
tiroide, dalla pineale, dall’ipofisi, forse un giorno lo sapremo) il cui significato
era: è arrivato il momento di morire, quindi adesso muori! Cosa avviene allora
concretamente che fa mutare drasticamente la situazione?
Scende la temperatura corporea e sopraggiunge uno stato di ipotermia cui
consegue la morte; semplicemente ci si spegne, si va in ibernazione. Si tratta di
un meccanismo che oserei definire banale. Noi capiremo perché si muore
quando saremo riusciti a comprendere perché la pineale fa invecchiare. In altre
parole, è la pineale a dare il segnale al sistema neuroendocrino, che il
programma è già scaduto. Non c’è niente di misterioso in ciò. Io non credo negli
errori del DNA o nelle cellule che non si possono replicare; ritengo invece che
persino i neuroni si possano replicare, così come le miocellule cardiache: tutto
sta a sbloccare i meccanismi che ne impediscono la proliferazione.
Tu dici: quando avremo scoperto perché si muore, saremo anche in grado di
riprogrammare l’orologio della vita attraverso una risincronizzazione
neuroendocrina. In che consiste questa risincronizzazione di cui parli?
L’invecchiamento è una desincronizzazione ormonale. Durante la notte,
scende la temperatura corporea, si abbassa la tiroxina, aumenta l’ormone della
crescita, il cortisolo diminuisce, e così via: tutto si svolge su base ciclica. È la
famosa tela di ragno che ho tirato in ballo parecchie volte in questa
conversazione, nel senso che tutti questi impulsi sono collegati e sincronizzati.
Il problema sorge quando il programma, per una malattia o per qualsiasi altra
concausa co-invecchiamento o co-cancerogena ecc, risulta alterato. Una donna
viene colpita da cancro della mammella: qual è la causa?
L’alterazione violenta dell’equilibrio ormonale, in risposta a uno stress
psichico (e mettiamoci poi pure dentro che esiste una base genetica, perché
anche la mamma, a sua volta, ha avuto lo stesso problema).
A mio avviso, il tumore o la malattia cardiovascolare sono sempre preceduti
da un’alterazione del sistema ormonale, cioè da una desincronizzazione
dell’equilibrio. È come se il ragno cercasse di riparare in continuazione la tela
che viene strappata in più punti, fino a che esso stesso non ne viene avviluppato,
e casca giù perché privo di sostegno.
D’altra parte, esiste una logica in tutto questo; noi viviamo infatti in una
sincronia: i ritmi lunari, quelli planetari, il giorno, la notte ecc.; tutto è ritmo. Se
le scansioni vengono rispettate, si vive a lungo; diversamente, si vivrà poco e
male. Oggi poi, gli insulti a questo equilibrio provengono da più fattori:
alimentari, psichici, genetici, da stress ecc.
Affermi: la melatonina funziona in quanto ricarica l’orologio fisiologico.
La melatonina, secondo me, non ha alcuna azione diretta o specifica (nel
senso del recettore e dell’ormone, per intenderci); non credo poi che essa svolga
azione antiossidante. Se noi dovessimo pensare che l’effetto antiinvecchiamento
della melatonina sia da mettere in relazione alla sua azione antiossidante,
dovremmo assumere ogni sera almeno un chilogrammo di melatonina! Quella
dell’azione antiossidante della melatonina è una pura invenzione di un
professore americano, che pure conosce molto bene la ghiandola pineale. Fra
l’altro, gli antiossidanti, anche a dosi da cavallo, non hanno mai fatto vivere
nessuno un minuto di più; anzi, producono addirittura danni! La melatonina, che
nessuno sa come funziona, lo ripeto, tutela la pineale e ne è la guardia del corpo,
preoccupandosi del solo fatto che non invecchi.
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Un’altra tua affermazione è la seguente: «si pensava che la senescenza fosse
condizione inevitabile degli ultimi anni di vita: questa idea deve essere
riconsiderata».
Riconsiderata totalmente. Se noi fossimo in grado di mantenere il controllo
neuroendocrino, non vedo perché dovremmo invecchiare. È chiaro però che
mantenere un controllo perfetto della situazione è pressoché impossibile: si tratta
piuttosto di tentativi un po’ alla cieca (perché non possiamo averne la verifica
immediata nell’uomo, è ovvio); però ciò non vuol dire che non siano tentativi
‘intelligenti’. Se, cioè, io e te fra dieci anni, faccio per dire, godremo delle stesse
condizioni di salute di adesso, allora potremo dire di aver visto giusto: avremo
vinto! Nel frattempo, avrò magari escogitato altre strategie per invertire
ulteriormente l’invecchiamento: ci sto già studiando, e ti garantisco che quanto
ho trovato è semplicemente strabiliante. Per adesso, devi credermi sulla parola:
ne parleremo diffusamente nel nostro prossimo libro.
Nel tuo precedente libro ( La fonte delle giovinezza ) tu parlavi anche di
proprietà anticancro della melatonina, che sarebbero state scoperte da Starr
parecchi anni fa.
Chiariamo subito che la melatonina non è un anticancro. Quando la si
somministra a un paziente colpito da cancro, ci si può soltanto aspettare che
venga ricostituita l’immunità biologica, in grado di reagire nei confronti del
cancro, per tenerlo sotto controllo. Ma la melatonina in sé non ha direttamente
nessuna azione anticancro, nel senso che non è una sostanza in grado di
eliminare le cellule tumorali. Tutto quello che si può fare è sperare di poter
ricostituire il sistema di sorveglianza immunologica, grazie anche alla
melatonina; questo sì. Così com’è molto utile, a fini preventivi, assumerne tutte
le sere 3 mg, prima di spegnere la luce e dormire.
Tu ti sei occupato, e continui a occuparti di neuroimmunomodulazione; sei
anzi considerato fra i fondatori di questa disciplina. Come la si può definire? E
qual è stato il tuo ruolo effettivo nell’enuclearla e approfondirla?
La neuroimmunomodulazione è la possibilità di modulare l’immunità (al
primo congresso di Stromboli era presente chi ha coniato il termine, con il quale
fondammo nel 1984, insieme a Spector, Fabris, Jankovich, questa disciplina
medica integrativa), mediante agenti ormonali in grado di far maturare,
sviluppare e rendere funzionali le cellule immunitarie (i linfociti, per esempio).
Ho cominciato a occuparmi di immunomodulazione a partire dagli anni 1963/64.
Scrissi il primo lavoro ‘storico’ su Nature nel 1967, in cui, per primo, ho potuto
dimostrare che esiste una relazione fra timo e ipofisi: un sistema cioè
bidirezionale di colloquio tra il cervello e il sistema ormonale da una parte, e
quello immunitario dall’altra. Prima di questa scoperta, per gli immunologi, gli
ormoni non esistevano neppure!
Cos’è cambiato da quegli anni, nella ricerca? Quali sono state le
implicazioni a livello terapeutico, per esempio?
Sono cambiate soprattutto le condizioni generali. Inoltre, si è arrivati alla
scoperta di linfochine, monochine ecc., e gli ormoni sono stati usati per
migliorare le condizioni immunitarie. D’altra parte, se noi siamo in presenza di
un malato di AIDS, e vogliamo ricostituire la sua immunità, dobbiamo far sì che
l’organismo riprenda il controllo dell’immunità. È proprio ciò che fa la
melatonina, mettendo in moto tutti gli ormoni che regolano l’immunità.
Diversamente, si fa soltanto un buco nell’acqua! Su questo non ho alcun
dubbio, e sono pronto a sfidare chiunque a livello clinico.
Donne affette da cancro della mammella presentano spesso livelli di
estrogeni più alti rispetto alla norma; tu però sostieni che la melatonina aiuta a
mantenerli in condizioni accettabili.
Io sono convinto che nel caso di un tumore mammario, in fase non ancora
eccessivamente avanzata, la melatonina riesca, migliorando le condizioni
endocrine, a rendere molto più incisiva la terapia del cancro mammario. Le
donne possono quindi servirsi di questo ottimo supporto. Purtroppo, esse si
lasciano prendere dal panico quando si accorgono di avere dei noduli al seno:
entrano in un tale stato di depressione e di ansia che può portarle letteralmente
alla tomba! D’altra parte, tutto il sistema necrofilo che ruota attorno
all’oncologia fa sì che la donna si deprima; e la depressione e l’ansia provocano
una violenta immunodepressione psichica. E' ciò che 56
avviene a uno studente sotto esame, che appare del tutto immunosoppresso.
Questo stato è molto pericoloso: ciò è stato ampiamente dimostrato.
Le donne rischiano di morire di paura; non di tumore, quindi, ma di paura di
morire di tumore! Inoltre, spesso l’insorgenza del tumore è preceduta da gravi
stress a livello famigliare; ciò provoca una tale alterazione del controllo
ormonale da sfociare nel cancro o in una delle tante malattie autoimmunitarie.
Come si può contrastare questo trend negativo?
Eseguendo un’improvvisa retromarcia, alle prime avvisaglie che qualcosa
comincia a non funzionare più come prima: cambiare stile di vita, alimentazione
ecc. Sono invece contrario alle ‘manomissioni’. Sono decisamente contrario poi
alla mastectomia, perché nella gran parte dei casi è inutile, fermo restando che
ogni situazione va esaminata e valutata con cura e responsabilmente!
È interessante notare, a proposito del cancro, che in laboratorio, ceppi di
topolini (C3H/He) che sviluppano spontaneamente il cancro, quando vengono
privati della pineale, non si ammalano più di cancro. Sono topi che presentano
alti livelli di prolattina (che, tra parentesi, è un ormone killer, tant’è che ne
richiedo per tutti i miei pazienti la misurazione, anche per gli uomini; alti livelli
di prolattina, infatti, fanno propendere per l’insorgenza di un cancro); ora, dato
che a controllare la prolattina è la pineale, è pensabile che nel ceppo di topolini
di cui sopra esista un’alterazione della pineale che non controlla più i livelli di
prolattina. Conclusione: asportando la pineale, non insorge più il cancro! (vedi
lavoro riportato nella bibliografia in appendice, pubblicato su Journal of
Neuroimmunology, 108 (2000), 131-135).
Si può quindi concludere che alterazioni neuroendocrine anticipano la
comparsa del cancro. Che poi queste alterazioni siano indotte da una sostanza
chimica, dallo stress, dall’angoscia o dalla depressione, oppure da ciò che si
mangia, o da una tendenza genetica, poco importa: il risultato finale è lo stesso.
Se, in condizioni ormonali alterate, non si scatena il cancro, si può stare
tranquilli che, senza alcun dubbio, insorgerà qualche altra patologia grave:
arteriosclerosi, malattie autoimmunitarie ecc.
Affrontiamo adesso il capitolo delle epatiti virali.
L’unico modo per contrastare un virus consiste nell’accrescere l’immunità
dell’organismo. Non serve altro, neppure gli interferoni che sono infatti
estremamente tossici e inducono danni collaterali gravi.
Ciò detto, l’epatite A è molto pericolosa perché si manifesta in forme
gravissime e rapide che possono provocare la colliquazione del fegato. Può agire
rapidamente e portare altrettanto rapidamente alla morte.
Dall’epatice C cronica si guarisce, anche se si tratta di una forma molto
pericolosa; a guargione ottenuta, gli anticorpi scompaiono e il virus si rintana da
qualche parte: però l’importante è che il paziente stia bene (mangi, beva e
dorma). In questo caso è sufficiente la melatonina con zinco, più un kit che io
prescrivo di volta in volta. La melatonina, infatti, restaura le forze muscolari e il
sonno, ricostituendo l’immunità; a sua volta, lo zinco orotato, associato alla
melatonina, avrà un deciso effetto di ricostituzione dell’immunità naturale
antivirale, ottenuta mediante la risincronizzazione dei ritmi ormonali.
È documentato: si assiste alla normalizzazione degli enzimi epatici. Il
problema è, in ogni caso, sempre lo stesso: non si tratta di distruggere il virus,
quanto piuttosto di ricostituire il paziente, e al più presto possibile!
Così come il problema del cancro non è di eliminare il cancro, ma di
ricostituire la capacità del paziente di rigettare il cancro, o di tenerlo comunque
sotto controllo.
Non tutti saranno d’accordo con me, me ne rendo conto. Io però ho dalla mia
i pazienti che sono guariti, i miei quarant’anni passati in laboratorio, le prove che
confermano le mie affermazioni e, udite udite!, l’assoluta innocuità delle
sostanze che impiego nella terapia.
Bisogna avere il coraggio di sottrarre i pazienti a questa morsa mortale che li
stritola: dal cancro, alle malattie virali, alle malattie autoimmunitarie,
all’arteriosclerosi…
Cap. 23 – Risposte veloci
● Qualcuno afferma che la melatonina, una volta ingerita, verrebbe
rapidamente distrutta dagli enzimi, e di essa non resterebbe quindi neppure
traccia nell’organismo.
57
Falso. La melatonina, alla dose in cui viene solitamente somministrata (3 mg
prima di dormire), rappresenta una dose rilevante. Una parte di essa viene
distrutta, un’altra viene metabolizzata dal fegato e si trasforma in 6-
idrossimelatonina, finendo poi per essere escreta dai reni attraverso le urine. La
rimanente parte entra però in circolo e dà luogo a un picco notturno di
melatonina, appunto. Il principio, però, in base al quale la melatonina agisce,
non è quello farmacologico: consiste invece nel creare ad arte un picco notturno
di melatonina nel sangue, più o meno alla stessa ora tutte le notti, sulla base della
genetica di quell’individuo (teniamo presente il concetto di ciclicità e di ritmo,
fondamentale per la nostra salute!).
● Tu consigli di assumere, salva diversa prescrizione per casi particolari, 3
mg di melatonina alla sera, sempre alla stessa ora.
È una dose sufficiente. Tuttavia, agli ultrasettantenni io consiglio
prudenzialmente di assumere 6 mg di melatonina; ciò vale soprattutto nel caso in
cui si assuma melatonina con zinco, per l’importantissima azione sinergica di
questo elemento con la melatonina, in tarda età.
● Le varie melatonine in commercio sono tutte uguali?
Neppure per idea! Il problema è la purezza della melatonina. Una qualsiasi
contaminazione infatti ne può alterare l’effetto. Oltre poi alla purezza (che deve
essere certificata dal produttore) bisogna controllare anche la presenza degli
eccipienti utilizzati. Alcuni fabbricanti mescolano infatti la melatonina con le
sostanze più incredibili (dal tè alla valeriana ecc.), creando dei miscugli empirici
che non trovano nessuna giustificazione scientifica o terapeutica. Le uniche
melatonine da acquistare sono quindi quelle preparate da aziende qualificate che
utilizzino il sistema di produzione GMP (Good Manufacturing Practice). Non
vorrei allarmare i consumatori, ma sottolineo in questa sede che negli Stati Uniti
sono state trovate sul mercato confezioni di cosiddetta melatonina assolutamente
prive della sostanza! Da ultimo, c’è chi acquista melatonina a basso costo,
prodotta con mezzi di fortuna e senza alcuna garanzia e certificazione, per
ricavarne poi delle confezioni accattivanti a prezzi irrisori. Raccomando quindi a
tutti di essere cauti nell’acquisto: la melatonina non può funzionare se non ce n’è
traccia nella confezione che dovrebbe contenerla! Attenti poi alla qualità: le
contaminazioni possono provocare bruciori, svenimenti, allucinazioni. Attenti,
inoltre al prezzo: negli USA sono in vendita confezioni di melatonina che vanno
da due, fino a quaranta dollari!
● Per quanto tempo bisogna assumerla?
Se un individuo ha meno di quarant’anni, io consiglio di assumerla non
appena si presenta un qualsiasi disturbo, e fino a quando la situazione non si sia
normalizzata. Se il disturbo si ripresenta, è opportuno tornare a prenderla.
● La si può somministrare ai bambini?
I bambini non hanno bisogno di melatonina. Tuttavia, data la situazione in
cui spesso si trovano a vivere (famiglie litigiose, divorzi, stress, televisione,
rumori, inquinamento dell’aria e dell’acqua, bevande gasate, alimentazione
ecc.), se ne può fare uso, per periodi limitati (che possono durare però anche
qualche mese). Se un bambino dorme male, per esempio, non potrà che trarne
vantaggio. Se un bambino sviluppa spesso infezioni, tonsilliti ecc., la melatonina
è assolutamente indicata. Sempre alla dose di 3 mg, ma anche a dosi inferiori (1
mg).
● Tuttavia, la melatonina non potrebbe avere qualche influenza sullo
sviluppo sessuale di un bambino?
Non alla dose consigliata (da 1 a 3 mg). È interessante notare, a questo
proposito, che il picco di melatonina è altissimo nei bambini; nell’età puberale
però, esso crolla. È quindi opportuno somministrare melatonina proprio quando
si riscontrano disturbi legati allo sviluppo. In ogni caso, alle dosi consigliate, la
melatonina non ha azione antigonadotropa, al contrario! Come si sa, la funzione
della ghiandola pineale era ignota finché non si osservò una 58
pubertà precoce in bambini con tumore della pineale, appunto. In questo
caso, il tumore della pineale bloccava la produzione di melatonina, con
conseguente mancata inibizione sullo sviluppo gonadico, da cui la pubertà
precoce.
Ciò indurrebbe a pensare che la melatonina possa essere molto utile nei
disturbi della crescita. Io, che amo osservare certi fenomeni, ho notato che negli
Stati Uniti, specie in California, si incontrano spesso giovani ragazze, piccole di
statura, bionde e grasse. Come mai? È una situazione che va attribuita al
menarca precoce.
L’eccesso di zuccheri e un’alimentazione esagerata, oltre a una prolungata e
intensa illuminazione (di giorno e di notte), provocano un’alterazione del
sistema neuroendocrino (ormonale). Nelle bambine il menarca si presenta a soli
10 o 11 anni, con conseguente blocco della crescita. Ecco perché rimangono
piccole di statura e ingrassano a dismisura. Lo stile di vita della nostra società
favorisce uno sviluppo sessuale precoce: ciò è semplicemente aberrante. La
melatonina può servire a migliorare i ritmi, riportando lo sviluppo ai ritmi
fisiologici. A questo proposito devo aggiungere che sto seguendo personalmente,
e con successo, diversi casi di giovani pazienti che soffrono di disturbi della
crescita, provocati sempre da un’errata alimentazione e da uno stile di vita
inadeguato in questa età delicata dello sviluppo.
● Dai quarant’anni in su, quando conviene assumere melatonina?
Più o meno, sempre.
● Esistono controindicazioni all’uso della melatonina?
Non la somministrerei durante la gravidanza. Non la darei neppure ai
bambini troppo piccoli e sani (diverso è il caso di specifiche patologie gravi o
autoiimunitarie).
● Alcuni riferiscono di effetti indesiderati nel momento in cui si inizia ad
assumere melatonina (tachicardia, capogiri, emicrania, insonnia…). In questi
casi è meglio evitare l’uso della melatonina?
No. In questi casi è opportuno verificare, in primo luogo, che la qualità della
melatonina sia effettivamente ineccepibile, e che l’assunzione avvenga alla sera,
prima di spegnere la luce. Ciò detto, veniamo al dunque.
Esistono persone che, dopo aver ingoiato sonniferi, tranquillanti e ogni tipo
di farmaci per venti o trent’anni, pensano che la melatonina possa guarire
qualsiasi disturbo in un sol giorno. Occorre sapere attendere i risultati con un po’
di pazienza. Ci vuole tempo infatti per restaurare un organismo alterato. Tutti i
sintomi che hai citato, se si dovessero presentare, non possono che essere
passeggeri.
● D’accordo. Ma quanto tempo bisogna ‘saper aspettare’?
Talvolta anche dei mesi. Bisogna insistere. Se non si dorme di notte, si può
leggere utilmente un libro, servendosi di una luce tenue (mai troppo vivida o
violenta), finché una notte improvvisamente arriva il sonno ristoratore. È
però importante ricordare che anche se si dorme poco, si dorme meglio; e
dopo alcuni giorni ci si sentirà benissimo.
● La melatonina cambia la qualità del sonno?
Sicuramente. Se un soggetto assume melatonina perché ha deciso che vuole
invecchiare bene, la qualità del suo sonno sarà diversa, in quanto la melatonina
provvederà a normalizzare determinati parametri. Il sonno sarà diverso da quello
di prima, e certamente migliore.
● La melatonina può essere somministrata a pazienti cardiopatici, sottoposti
a terapia antiaggregante?
Sicuramente. Anzi, in questo caso, non è la melatonina che coadiuva la
terapia antiaggregante, ma esattamente il contrario! La melatonina in sé è infatti
antiaggregante, tanto che pare (ma non vi è certezza su questo punto) 59
venga prodotta anche dalle piastrine: rende quindi l’azione degli
antiaggreganti molto più efficace. Di conseguenza, non ha nessuna
controindicazione nelle persone che sono state colpite da ictus o trombosi, o che
presentano problemi cardiovascolari.
● Quale consiglio puoi suggerire in caso di diverticolosi.
Nelle diverticolosi non può che intervenire il chirurgo. Tuttavia, la
melatonina è antinfiammatoria e migliora lo stato della mucosa intestinale. Dato
che i diverticoli cronici possono dare origine al cancro, la melatonina,
migliorando il sistema neuroendocrino, e sviluppando anche attività locale,
agisce a favore dello stato generale del paziente.
Occorre però esaminare la situazione caso per caso. A volte l’intervento
chirurgico rappresenta la soluzione più adeguata.
● E in questo caso e, più in generale, negli interventi chirurgici, può essere
utile l’assunzione di melatonina?
Raccomando caldamente la melatonina prima e dopo qualsiasi intervento
chirurgico. Elimina infatti lo stato d’ansia, diminuisce drasticamente gli effetti
dell’anestesia, facilita la rigenerazione dei tessuti, migliora l’immunità.
È indispensabile assumerla quindi alcune settimane prima dell’intervento, e
subito dopo. Sempre alla dose di 3
mg, tutte le sere, e possibilmente con zinco organico.
● Può essere somministrata alla donna che fa uso di anticoncezionali orali,
o a quella che, in menopausa, si sottopone a terapia sostitutiva ormonale?
Certamente. Nel caso della donna in menopausa, come abbiamo ampiamente
discusso in questo libro (vedi capitolo 11), l’uso della melatonina non solo
elimina i disturbi della menopausa, ma può addirittura portare alla ripresa delle
mestruazioni, com’è già avvenuto ormai in moltissimi casi di mia conoscenza!
● Data la sua azione come fattore che stimola la produzione di piastrine, la
melatonina può essere impiegata in quelle patologie dove è presente una
piastrinopenia (cirrosi, per esempio)?
In questo caso la melatonina è assolutamente necessaria. Stimola infatti
potentemente il midollo osseo, e serve quindi egregiamente alla produzione di
piastrine.
Concludendo
Mi hanno ucciso quando sono nato:
mi hanno raccontato che sarei cresciuto
e diventato adulto. Quanto ho raggiunto i quarant’ anni,
mi sono accorto di essere stato ingannato, e sono ritornato
lentamente sui miei passi per riconquistare la mia giovinezza rubata.
(Walter Pierpaoli)
Caro Walter, è giunto il momento di congedarci dal lettore, ponendo fine,
almeno per adesso, al nostro conversare. Penso già però che dovremo rivederci
presto, per dare conto ancora, a chi vorrà seguirci, di quegli altri argomenti e di
quelle scoperte che tu hai lasciato intravedere appena qua e là nel corso di
questa conversazione. Però, prima di mettere via penna e calamaio, come si
usava dire una volta, vorrei porti l’ultima domanda, che è questa: Alla fine del
(breve) tratto di strada che abbiamo compiuto insieme, stringi stringi, cosa resta
del nostro dialogare? Qual è, in sostanza, il succo del discorso? Mon mi piace
parlare di
‘messaggio’; però… alla fin della fiera, come possiamo accomiatarci dal
lettore? Che gli diciamo per farne un uomo contento, e convincerlo magari che
non ha sprecato il suo tempo e i suoi soldi, leggendoci?
60
Qualcuno potrebbe pensare che questo sia un libro sulla melatonina. Non è
vero, e mi sta molto a cuore che tu riesca ad afferrare a fondo il senso vero della
mia affermazione.
Vorrei richiamare l’attenzione tua, e del lettore, ovviamente, su una
circostanza. Che, cioè, le parole che ricorrono più frequentemente in questo libro
sono soprattutto due: ciclicità e ritmo (lasciando però da parte il termine
melatonina, me ne rendo conto). Ma, sia chiaro, la melatonina è, per così dire, la
‘volgare’
conseguenza delle mie scoperte, non certo l’origine.
Paradossalmente, risulta più importante per l’uomo riscoprire oggi i ritmi
circadiani, faccio per dire, che scandiscono la sua giornata, e la ciclicità
ricorrente di sonno e veglia, così come di giorno e notte, più di quanto non lo sia
la chiara e netta percezione dell’importanza della melatonina ai fini di una
prolungata longevità.
Preferisci che te lo dica in un altro modo, più piano, se vuoi, o addirittura
terra terra, se preferisci? Ebbene, noi non abbiamo certo scritto questo libro per
promuovere la vendita di melatonina!
Come ho avuto modo di affermare più volte nel corso di questa nostra
conversazione, esistono almeno due categorie di persone: quelle che amano la
morte (i necrofili), e quelli che amano la vita.
I primi sono costantemente depressi; i secondi vogliono spassarsela alla
grande.
Io sono, e anche tu, naturalmente, fra quelli che amano la vita.
Così come sono convinto che non c’è nulla di blasfemo nel nostro tentativo
di riscoprire la gioiosità e l’armonia di cui è pervaso l’universo!
Una circostanza questa che mi ha spinto costantemente a fare quello che ho
fatto, alla continua ricerca, cioè, di ‘prove’ certe in questa direzione; e non
soltanto per me, ma anche per quanti, spinti da una nuova consapevolezza, si
sentono beffati nella sfera più preziosa, quella della salute fisica e psichica.
La svolta è inevitabile.
L‘emozione straziante e sconvolgente che ha accompagnato le mie ‘scoperte’
è l‘espressione di qualcosa che mi è piombato addosso e mi ha travolto come una
valanga.
Ma in quegli istanti ho anche imparato ad amare, in quanto mi sono sentito
parte di una ineffabile forza positiva che mi dava coraggio e amore.
Sono, siamo, quindi ‘pellegrini del Cosmo’.
Fino all‘ultimo istante crederò nella vita e nel dono dato all‘Uomo di
plasmarla in piena libertà, anche se con l‘umiltà dei poveri di spirito.
Appendice A – Le lettere
Quando è apparso in Italia la traduzione italiana del libro The melatonin
miracle, con il titolo La fonte della giovinezza, molti di quelli che l’hanno
acquistato, dopo averlo letto, si sono affrettati a scrivere a Walter Pierpaoli per
avere delucidazioni, consigli e soprattutto per chiedergli il dosaggio con cui la
melatonina andava assunta.
L’edizione italiana infatti era stata ‘purgata’ del capitolo che riguardava
proprio i dosaggi consigliati. Sono pervenute quindi a Pierpaoli centinaia e
centinaia di lettere cui sarebbe stato materialmente impossibile rispondere, a
meno di assumere a tempo pieno solerti segretarie e dattilografe per far fronte
alla bisogna. Vista la cronica e, ahimè, profonda carenza di fondi da cui è afflitta
la ricerca scientifica, e massime dei ricercatori che hanno la cattiva abitudine di
cantare fuori dal coro, il ricorso a un’assunzione in massa di segretarie si è
rivelata impraticabile. La stragrande maggioranza quindi di coloro che si sono
rivolti speranzosi a Pierpaoli per lettera, sono purtroppo rimasti senza risposta.
Il dottor Walter Pierpaoli se ne scusa vivamente, e chiede ( a posteriori) la
comprensione di tutti coloro che hanno ritenuto opportuno interpellarlo, senza
tuttavia riuscire ad avere da lui un cenno di risposta.
Per rimediare però, almeno in parte, a questa non voluta delusione provocata
nei lettori/estensori delle missive, e per compensarli in qualche maniera della
fatica, oltre che per testimoniare loro che questa non è poi stata del tutto inutile,
gli autori di questo nuovo libro hanno pensato di dar conto (simbolicamente) di
un ristrettissimo campione della corrispondenza che allora pervenne a Walter
Pierpaoli.
Con unica avvertenza, e cioè che le lettere (pubblicate quasi integralmente),
hanno il valore che hanno, e non pretendono quindi di portare il lettore né da una
parte né dall’altra.
Esistono grosso modo tre tipologie di missive: chi chiede aiuto (anche con
qualche critica però); chi si propone come cavia (tanti fra quanti hanno scritto, e
ce n’è quindi almeno una testimonianza nel campione); chi infine si congratula e
si complimenta. Veda il lettore se trova fra le lettere che pubblichiamo di
seguito, un atteggiamento che più gli si confà, sperando che gli possa tornare
utile in qualche maniera.
61
1. Sogni ancestrali da Miami (agosto 1996)
Gentile Professore, per quel poco che può valere questa mia testimonianza,
posso dirle che ho già avvertito un apprezzabile miglioramento fisico e psichico.
Una pronta ripresa dallo sconvolgimento dei viaggi aerei. Una nuova qualità di
sonno con accresciuta frequenza di ‘sogni’ che definirei ‘ancestrali. Una
migliorata qualità digestiva e (forse) rallentamento dei miei disturbi prostatici.
Ma il beneficio davvero sorprendente è stata la scomparsa pressoché totale di
due inestetici globuli di grasso apparsi da tempo nei miei occhi a denunzia
evidente della mia reale età dato che appaio più giovane… (o come lei dice, del
mio stato patologico). Sono consapevole che questo scritto ha scarse possibilità
di riscontro, ma spero davvero possa giungere in sue mani per portarle il
modesto messaggio della mia riconoscenza e della mia solidarietà.
2. Il depresso (settembre 1996)
Egregio Signor Dottore, all’inizio di quest’anno ho conosciuto molte
traversie professionali e personali che hanno minato sia la salute, sia il morale.
Le risparmio i dettagli; sta di fatto che mi sono ritrovato in una situazione per me
assolutamente nuova. Tensioni sul posto di lavoro e in famiglia, un diffuso senso
di inadeguatezza (di ‘fallimento’), insonnia e tutti gli altri sintomi tipici di queste
situazioni di intenso stress. Il mio medico mi ha prescritto via via ansiolitici,
calmanti, sonniferi e quant’altro: con il risultato di accrescere il senso di colpa
derivante dal fallimento (ti rifugi addirittura nei medicamenti forti, ergo sei
incapace di sopportare e reagire…).
Mi sono poi dovuto recare negli Stati Uniti due volte nel volgere di poche
settimane e per caso mi sono imbattuto nel suo libro ‘The melatonin miracle’,
divorato durante i noiosi voli, inizialmente soprattutto per l’interesse destato
dall’effetto della melatonina sul jet lag. Ho così acquistato ‘over the counter’ un
flaconcino da 3 mg e ho provato.
Ha funzionato, eccome: sia all’andata, sia al ritorno ho potuto lavorare come
se niente fosse, mentre che in passato, particolarmente dopo il volo dagli Stati
Uniti, avevo due o tre giorni di black out (sonnolenza di giorno, incapacità di
concentrazione, irritabilità…).
Ề stato così che ho provato la melatonina come sonnifero; ho iniziato con
5mg, per poi diminuire gradualmente; oggi ne prendo 1 o 2 mg per giorno, una
ventina di minuti prima di andare a letto. Risultato: mi addormento rapidamente,
non mi sveglio praticamente più durante il sonno e alle 7 mi alzo fresco e
riposato. La cosa più interessante che nel mio caso sembra contraddire i critici
della melatonina, sta nel fatto che ho superato quella orribile fase depressiva,
non ho più usato altri medicamenti e mi sento in ottima forma sia fisica, sia
psichica. (…) Giungo al termine ponendole una domanda…
3. L’insonne deluso (gennaio 1996)
Egregi Professori Pierpaoli & Regelson, iniziai la cura circa un mese fa, con
nessun desiderio di allungare la mia vita o di riavere impulsi sessuali a 82 anni,
ma soltanto di recuperare un sonno fisico e ristoratore di energie.
Risultato: una insonnia mai provata prima dell’assunzione del farmaco
ricevuto dagli USA. Ho iniziato con una dose di 3 mg, prima di andare a letto.
Non ho mai raggiunto le 7/8 ore di sonno continuo, bensì interrotto più volte e
costellato di sogni incredibili e anche da incubo. Che siano REM o non REM,
comunque fastidiosissimi e se avessi dovuto seguire il Vs consiglio di alzarsi
non appena aperti gli occhi, a mezzanotte avrei dovuto aggirarmi per casa,
leggere in poltrona o guardare la televisione, che durante la notte trasmette
filmini porno o quasi che su di me fanno l’effetto dell’acqua fresca. Vi chiedo:
ho fatto bene a sospendere il farmaco riprendendo il mio sonno abituale, non
pineale? Può essere che questa incompatibilità del mio organismo sia dovuta
all’assunzione di Voltaren o di Feldene? Questi antidolorifici, presi da soli, mi
davano sonnolenza procurandomi un sonno ininterrotto anche di 8/9 ore. (…)
Attendo quindi una parola di conforto…
4. L’ avventuriera (febbraio 1997)
Chiarissimo dottor Pierpaoli, mi presento a lei per raccontarle la mia storia e
per ringraziarla della sua scoperta: la Melatonina. Sono una signora di 79 anni e
sono affetta da una serie interminabile di malanni. Cercherò di illustrarle solo
quelli più gravi tralasciando gli altri. Devo premettere che sono stata un’accanita
fumatrice, arrivando a fumare dai due ai tre pacchetti di sigarette al giorno. Pur
avendo smesso da tempo di fumare,sono oggi affetta da ischemia cardiaca,
enfisema polmonare, pressione arteriosa 210 la massima e 110 la minima e per
concludere 20 kg di più del peso normale. Non mi sono affatto trascurata, al
contrario mi sono sempre affidata a illustri medici, con scarsi risultati. Negli
ultimi mesi del 1995 le mie condizioni si sono ulteriormente aggravate di giorno
in giorno. Ricevetti fortunatamente la visita di un mio nipote che abita a Miami,
in Florida, il quale 62
preoccupato del mio stato di salute mi parlò della melatonina, e si preoccupò
una volta tornato negli USA di mandarmi delle scatole di Melatonina. Incuriosita
dalle parole lusinghiere di mio nipote circa la melatonina ne parlai con alcuni
medici che mi avevano in cura, i quali non vollero prendersi alcuna
responsabilità sul farmaco. Le mie condizioni andavano sempre più peggiorando
e in pochi giorni distanti l’uno dall’altro ebbi due attacchi di angina; mi fu
consigliato il ricovero in ospedale d’urgenza; pensando che peggio della mezza
notte non poteva venire, decisi di provare quel farmaco consigliatomi da mio
nipote circa la melatonina in data 8 dicembre 1995.
Dopo pochi giorni che avevo cominciato a prendere il farmaco leggo il suo
articolo sul Venerdì di Repubblica, cerco in diverse librerie di Roma il suo libro
senza esito finché non lo ordino, una copia per me e altre per i medici citati qui
sopra. I risultati sono stati a dir poco miracolosi e decido di portare in India un
gruppo di 60 persone a inizi gennaio. Trascorro 15 giorni a Goa ecc. Tornata in
Italia mi decido a rintracciare il suo indirizzo per ringraziarla. La glicemia a 240
ora non c’è più e mi sento straordinariamente bene e in piena salute. Le invio i
miei sentiti ringraziamenti e se le servirà la mia lettera ne potrà far uso.
5. La pineale calcificata (aprile 1996)
Egregio Dottor Pierpaoli, le porgo le mie più sentite felicitazioni per il
successo avuto dalla sua lunga e accurata ricerca sulla ghiandola pineale e la
sostanza da essa prodotta. Le auguro di sbaragliare gli ultimi pregiudizi (forse
anche frutto di gelosie) nel campo medico italiano, che ce la mette tutta nel
contrastare l’ascesa della melatonina.
A gennaio mio marito le aveva telefonato per chiederle eventualmente un
appuntamento, poiché il mio quadro clinico è abbastanza complicato e perfetto
per la sua teoria sull’invecchiamento precoce. Lei molto gentilmente ha risposto
che essendo un ricercatore non eseguiva visite ed aveva prescritto l’assunzione
di 3 mg di melatonina per due mesi due volte l’anno. Ciò è stato fatto da
entrambi, però credo che nel mio caso sia insufficiente una tale posologia,
poiché la mia ghiandola pineale è calcificata da più di vent’anni (accertata con
lastre al cranio) e io ne ho solo 47. Naturalmente le lascio immaginare il mio iter
discendente. Se la cosa le dovesse interessare a livello scientifico, sappia che
sono a sua disposizione. Le vorrei fare una domanda: ora che sono anche in
menopausa e il mio medico mi ha prescritto una terapia alternativa con … (che
molto probabilmente mi crea problemi di gonfiori), potrebbe la melatonina
sostituire questi ormoni? L’unico problema che la melatonina mi ha dato: un
lieve dolore al centro della fronte pochi istanti dopo il risveglio mattutino per 5-
10 minuti; dopo i due mesi d’assunzione è durato ancora per pochi giorni e poi è
scomparso. Spero che questa osservazione possa esserle utile, non come
vent’anni fa che per la prima volta mi sentii rispondere ‘Non si preoccupi se la
ghiandola pineale è calcificata, tanto non serve a niente!’ E non da un solo
medico! Io credo che il corpo umano sia una macchina eccezionale ed ogni
organo piccolo o grande che sia abbia sicuramente la sua importanza, come i
messaggi criptici che ci invia col dolore: sta a noi decifrarli. Le in questo senso
sta facendo molto, ha tutta la mia stima.
6. Un caso di Parkinson (aprile 1996)
Illustrissimo Dottor Pierpaoli, le scrivo a nome del dottor (…) che è stato per
alcuni un borsista e collaboratore della fondazione (…). Entrambi abbiamo letto
con interesse il suo libro ‘La Fonte della giovinezza’ edito da Rizzoli.
In particolare ci ha colpito quanto da lei descritto in merito agli effetti della
melatonina sui malati di Parkinson.
Nostra madre è affetta da questa malattia da circa un anno e mezzo ed è
attualmente curata mediante la somministrazione di due farmaci, il Sormodre e,
in aggiunta, l’Inderal. Questi farmaci, come le è noto, non agiscono sulle cause
ma servono solo ad alleviarne parzialmente i sintomi. Nostra madre ha 61 anni
ed è quindi ancora relativamente giovane. Per questo vorremmo poter esaminare
la documentazione scientifica inerente ai pazienti parkinsoniani trattati con la
melatonina ed indicazioni bibliografiche eventualmente nella sua disponibilità.
Queste informazioni ci consentirebbero di valutare l’opportunità di
intraprendere una terapia sostitutiva e/o integrativa di quella attuale e che
tradizionalmente concerne i parkinsoniani.
Ed ecco la risposta di Walter Pierpaoli: «Da quanto sto imparando, vi sono
casi di rapidissimi miglioramenti e altri nei quali il miglioramento è lentissimo. I
meccanismi sono sconosciuti ma credo che siano indiretti e legati al
miglioramento di funzioni endocrine cerebrali. Non esistono controindicazioni
ed effetti collaterali. Sua madre, se migliora, può poi gradualmente eliminare gli
altri farmaci e condurre una vita normale. Non esistono studi sistematici o
pubblicazioni, ma solo le mie osservazioni che vanno aumentando con nuovi
casi, tutti con esito positivo anche se non drastico.Mia suocera è guarita, sta
benissimo e neanche si ricorda di quando, dieci anni fa, tremava in modo
spaventoso».
7. Applicazioni in oculistica (febbraio 1996)
Caro dr. Pierpaoli, sono un docente di Biofisica della Facoltà di Medicina
dell’Università di (…). Mi interesso da più di 20 anni di problemi inerenti la
fototrasduzione visiva in retine di vertebrati. Attualmente sarei molto interessato
a 63
uno studio sistematico sugli effetti della melatonina sul tono oculare
dell’uomo, in collaborazione con la Clinica Oculistica dell’Università di (…). In
letteratura ci sono dati contrastanti sull’argomento. Nell’articolo di Samples et
al. pubblicato su Current Eye Res. del 1988 (citato anche nel suo libro The
Melatonin Miracle) sono riportati risultati positivi: la pressione oculare scende di
circa il 20% in seguito a somministrazione orale di melatonina (200
mcg ogni due ore). In un articolo più recente invece, Viggiano et al. (
Ophthalmology, vol.101, p.326-331, 1994) non trovano effetti significativi della
melatonina (25° mcg somministarti oralmente ogni dure ore) sul flusso acqueo
dell’occhio. Entrambi i protocolli sperimentali sono stati condotti per la durata di
sole 24 ore, poche a mio parere per poter concludere qualcosa di definitivo. Io
vorrei provare a fare misure di pressione oculare su pazienti ai quali la
melatonina venga somministrata per almeno due mesi.
8. Effetti positivi, ma in tempo utile? (febbraio 1996)
Caro dottore, mi scusi, innanzitutto, per la forma confidenziale, ma lei mi è
doppiamente caro: perché mi ha dato una grande speranza e perché è un italiano
che con la sua opera sta onorando tutti suoi concittadini. Ho letto il suo libro ‘La
fonte della Giovinezza’ con grande emozione; può comprendermi: ho
sessant’anni e il problema dell’invecchiamento incombe. Non voglio farle
perdere tempo e quindi le dico subito che la lettura ha suscitato in me un
interrogativo: la somministrazione di melatonina, in soggetti umani già avanti
negli anni, è in grado di produrre effetti in tempo utile?
9. Una persona petulante (febbraio 1996)
Egregio dottore, ho regalato il suo libro ‘La fonte della giovinezza’ poiché
non pensavo che trattasse il tema
‘melatonina’ così a livello informativo diciamo; la persona alla quale ho
donato il libro ammalata e settantenne è letteralmente impazzita, e mi ha detto
che io mi devo interessare (anche se a me non interessa proprio perché ho
vent’anni!!) per sapere la posologia, le eventuali controindicazioni, la durata
della cura e soprattutto il come poterla reperire. Lei, cioè la signora, ha parenti a
(…) e potrebbe averla. Ma senza conoscere posologia, durata del trattamento,
come fare? Allora il libro a cosa serve proprio a nulla, o forse solo a far quattrini
a chi lo ha scritto!!!
Scusi la franchezza!!! Non mi sembra giusto concludere il libro senza alcuna
informazione del genere, non le pare dottore? Lei comprenderà cosa accade
all’interno di una persona (chissà quante persone le scriveranno dopo averlo
letto) dopo aver letto il libro e trovarsi nell’impossibilità di reperire il farmaco e
a prenderlo come lo si dovrebbe, poiché penso che la posologia cambi in ragione
dell’età.
10. Domande semplici e risposte precise
Pregiatissimo Professor Pierpaoli, come da lei consigliatomi ho letto il suo
libro ‘La fonte della giovinezza. Colgo l’occasione per chiederle alcuni
chiarimenti: 1. se il dosaggio della melatonina nell’insonnia è una posologia
standard oppure individuale [risposta di Pierpaoli: individuale (1-3 mg)]; 2. se
la molecola può essere somministrata a pazienti cardiopatici sottoposti a terapia
antoaggregante [risposta di Pierpaoli: certamente! 3
mg al momento di andare a letto]; 3. se la melatonina può essere
somministrata a donne che prendono anticoncezionali orali o in quelle donne che
in climaterio sono in terapia sostitutiva con estrogeni e progesterone
[risposta: certamente!]; 4. se, data l’azione della melatonina come fattore
stimolante la produzione delle piastrine, può essere impiegata in quelle patologie
dove è presente una piastrinopenia (es., cirrosi) [risposta di Pierpaoli: è
necessaria!].
11. Degenerazione maculare (luglio 1996)
Egregio Dottore, sono una lettrice del suo libro ‘La fonte della giovinezza’,
che ho letto con molto interesse e voglio esprimerle la mia stima per l’abilità con
cui tratta la materia, facendolo in maniera comprensibile a tutti, anche a me
casalinga, che non ho la preparazione adeguata per avvicinarmi a quegli
argomenti. Avvicinandomi ai 40 anni vedo la cosiddetta ‘vecchiaia’ sempre più
vicina… La prospettiva di renderla meno triste mi interessa molto molto… Ma, a
parte questo, mi ha colpito molto quel caso in cui un vostro amico affetto da
degenerazione maculare, assumendo la melatonina, ha riacquistato la vista.
Anche se non è stato appurato il merito della melatonina, penso che ne sia valsa
la pena, viste le poche (o inesistenti?) controindicazioni di questo ormone.
Purtroppo in famiglia ho una nipote e una cognata rispettivamente di 21 e 40
anni affette da questa malattia si dice ereditaria. La prima, qualche anno fa, si è
recata in (…) e ha subìto un intervento chirurgico senza nessun risultato se non
le conseguenze di un’operazione e la spesa di svariati milioni. Ambedue
conducono una vita fatta purtroppo di molte rinunce, non poter leggere e scrivere
se non con sofisticate apparecchiature, guidare ecc. Sono rassegnate al fatto che
non si può fare niente. Le sarei molto grata se…
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12. Un altro insonne deluso (dicembre 1995)
Gentile dottor Pierpaoli, dopo aver letto (e fatto leggere!) ‘La fonte della
giovinezza’ ho acquistato una confezione di melatonina per cercare di risolvere il
mio problema di insonnia. Ho quindi assunto, prima di coricarmi, una compressa
da 3 mg, ma con mia sorpresa, con risultati deludenti (ho 55 anni). Ho trascorso
una notte agitata, piena di risvegli e assopimenti, e con sogni vividissimi. Il
mattino seguente mi sono ritrovato completamente intontito: tale sgradevole
sensazione è durata fino al giorno seguente. Ho quindi fatto trascorrere cinque
giorni, prima di riprendere la melatonina: questa volta, metà dose (1 mg e ½).
Solita storia, sonno inquieto e senso di stordimento per tutto il giorno seguente.
Avrei piacere di conoscere il suo parere…
13. Il professore si congratula (settembre 1996)
Egregio dottor Pierpaoli, sono un biochimico: ho diretto per oltre 40 anni il
Laboratorio di biochimica clinica di un grande ospedale, e per anni ho tenuto
corsi di Chimica clinica all’università. Ora sono in pensione. Sono interessato
alla melatonina e la vorrei sperimentare. Ho letto con grande interesse il libro
suo e di Regelson su ‘La fonte della giovinezza’: il racconto degli esperimenti
che le hanno permesso di dimostrare le ‘programmatrici’ della ghiandola pineale
mi ha entusiasmato. […] La prefazione italiana da lei preparata per il libro sulla
melatonina sembra tradire amarezza: è purtroppo vero che nel nostro Paese i
ricercatori più innovativi sono assai spesso scoraggiati! Mi auguro tuttavia che
lei possa continuare ancora per molti anni a svolgere le ricerche in un campo
affascinante come quello in cui lei è impegnato. Grato se vorrà…
14. La dermatite atopica (aprile 1996)
Egregio professor Pierpaoli, sono una laureanda in Scienze Biologiche
presso l’Università di (…). Le scrivo perché sin dall’infanzia soffro di dermatite
atopica. Recentemente dagli Stati Uniti mi hanno portato una confezione di
compresse di melatonina (5 mg cadauna) che ho assunto per circa un mese nel
dosaggio di una compressa a sera. Ho notato, con sorpresa, una lenta ma costante
regressione della dermatite, che ha verificato anche il mio dermatologo, ed una
concomitante riduzione della linfoadenopatia che mi era comparsa circa sei anni
fa (molto probabilmente causata da un’infezione virale). Avendo ottenuto questi
risultati, ho cominciato a svolgere personalmente ricerche sull’argomento ed ho
anche letto il suo libro, in cui lei riporta di una persona affetta da asma (che
immagino di natura atopica), la quale ha riscontrato un miglioramento in seguito
a somministrazione di melatonina. Contemporaneamente ho svolto una ricerca
bibliografica grazie alla quale sono venuta a conoscenza di alcuni articoli in
vario modo collegati all’argomento. Elaborando tutti i dati raccolti, ho pensato di
poter effettivamente utilizzare la melatonina per la cura della mia malattia, ma
non so a quale concentrazione e per quanto tempo assumerla. Le sare molto grata
se…
15. L’ipertiroideo (gennaio 1996)
Gentilissimo professor Pierpaoli, mia moglie mi ha regalato per Natale il suo
libro sulla melatonina, conoscendo il mio interesse per tutto ciò che rappresenta
un ‘nuovo’ approccio alla medicina e alle terapie non convenzionali.
Sono un chimico, laureato più o meno negli stessi anni in cui lei cominciava
le sue ricerche (…). Il suo libro racconta (se mi passa l’espressione) una ‘storia’
estremamente avvincente, e soprattutto affronta in maniera molto garbata uno dei
problemi a mio giudizio cruciali dell’odierna medicina (e perché no di tutta la
scienza?), consistente nell’estrema specializzazione degli scienziati e in generale
di tutti noi, avvocati, chimici, medici, commercialisti ecc. Manca in definitiva
quella che un mio ‘capo’ chiamava la ‘helicopter view’, che lei chiama ‘fare un
passo indietro’. Ho sofferto per anni di ipertiroidismo, e mi sono reso conto ‘in
vivo’ dell’enorme influenza che una disfunzione ormonale può avere sui nostri
comportamenti e sul nostro carattere, oltre che, naturalmente, sul nostro stato di
salute. Oggi, grazie a Dio e a un ottimo endocrinologo, ho riacquistato la gioia di
vivere. Ho pertanto apprezzato grandemente la sua tesi, che trovo quanto mai
logica e pertinente, che esista un ‘orologio dell’invecchiamento’ in grado di
regalarci degli anni attivi sul piano fisico e intellettuale. Ho ascoltato oggi da un
giornale radio che negli USA si sta tentando di congelare i cordone ombelicale di
neonati, allo scopo di eventuali futuri trapianti, in virtù di una maggiore attività
del timo nella fase prenatale. Non so come questo possa essere legato alle sue
ricerche, ma forse una qualche correlazione può essere immaginata. Le scrivo in
quanto desidero congratularmi con lei, ma anche perché vorrei poter contattare
attraverso di lei, qualche medico che abbia sposatola sua tesi e permetta, a me e
a mia moglie, un uso consapevole della melatonina. Non abbiamo figli, abbiamo
entrambi 53 anni, e la prospettiva di una vecchiaia serena che non sia di peso ad
alcuno ci sembra il miglior regalo che possiamo farci. La ringrazio…
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16. Un volontario per il progresso della scienza! (agosto 1996)
Egregio professore, non ho ancora terminato di leggere ‘La fonte della
giovinezza’, ma oltre a complimentarmi vivamente con lei, ardo dal desiderio di
provare su di me la melatonina. Credo di averne fondati motivi. Ho 70 e godo di
buona salute, faccio vita attiva ed esercito ancora la mia professione [di medico]
seppur a rilento; però nell’85 ho avuto un CA laringeo guarito con (…); tre anni
fa altro CA ‘in situ’ allo stomaco con resezione subtotale: guarito. Sono
attualmente da due anni in cura antidepressiva: ottimi risultati. (…) Potrei
diventare anch’io un suo
‘topo umano’ e quindi dare anch’io il mio piccolo contributo alla
sperimentazione.
17. Un’arma formidabile in mano ai medici! (gennaio 1995)
Pregiatissimo dottor Pierpaoli, svolgo l’attività di medico di famiglia a (…)
una cittadina in provincia di (…). Con la presente sono a chiederle di inviarmi lo
schema di utilizzo della melatonina nella cura della senescenza nonché di altre
singole patologie quali l’insonnia, il morbo di Parkinson, le malattie
cardiocircolatorie ecc. Utilizzando la melatonina nella mia fatica medica,
rispettando tutte le indicazioni che lei mi farà avere e osservando sempre la
doverosa prudenza, spero di poter alleviare, almeno in parte, le sofferenze di
quei miei pazienti che per l’età e per il quadro clinico possano beneficiare della
sua scoperta. Le esprimo tutta la mia ammirazione e riconoscenza di cittadino
semplice, nonché di Collega, per l’eccezionale lavoro da lei svolto così
fruttuosamente in anni di studi e di ricerche. Mi auguro che possa dare a noi
medici che lavoriamo tra la gente comune ancora più armi (e la melatonina ne è
una formidabile!) per vincere le malattie.
18. Diffidenza, sospetti e scetticismo (dicembre 1995)
Caro dottor Pierpaoli, ho letto con estremo interesse il suo libro e devo farle i
miei complimenti perché l’ho trovato soprattutto molto chiaro per chi non è
addetto ai lavori come me (sono un ‘giovane’ pensionato cinquantottenne, ex
funzionario pubblico), e molto convincente. L’ho trovato peraltro poco
esauriente per quanto riguarda gli effetti della melatonina nei confronti
dell’essere umano. Mi sono in altre parole posto una serie di domande alle quali
non ho saputo dare una risposta scientifica, né me l’hanno saputa dare i numerosi
medici ai quali mi sono rivolto e ai quali ho anche regalato il suo libro. In
proposito devo dirle che sono rimasto molto deluso del fatto che questi medici
da me interpellati della melatonina sapessero poco o niente e, forse per questa
ragione, avessero nei confronti degli effetti terapeutici di questo ormone, un
atteggiamento di diffidenza, quasi di sospetto, comunque di indifferenza. Mi
rendo conto che questo atteggiamento è frutto dell’ignoranza, perché soprattutto
nel campo scientifico, si è sempre molto scettici verso ciò che non si conosce.
Congratulazioni ancora per le sue ricerche…
Appendice B – Due lavori scientifici fondamentali (da tradurre in lingua
italiana) 1.
Daniele Bulian, Walter Pierpaoli: «The pineal gland and cancer. I.
Pinealectomy corrects congenital hormonal dysfunctions and prolongs life of
cancer-prone C3H/He mice», Journal of Neuroimmunology 108 (2000) 131-135.
2.
G. Bellipanni, P. Bianchi, W. Pierpaoli, D. Bulina, E.Ilya: «Effects of
melatonin in perimenopausal and menopausal women: a randomized and
placebo controlled study», Experimental Gerontology, 36 (2001) 297-310.
Bibliografia

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