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ADAM SMITH

Adam Smith è considerato il primo degli economisti classici, egli possedeva quel distacco e
quell’obiettività che invece mancava ai mercantilisti e il suo interesse fondamentale per la
filosofia morale non mancò di influenzare il suo approccio all’economia. 
Smith si occupò delle importanti e più ampie connessioni tra i molti aspetti della società
spesso considerandole dal punto di vista dell'etica. Egli rilevò, ad esempio, importanti
collegamenti tra la libertà economica e la libertà politica, tra i
diritti della proprietà privata e l'equità pubblica.
I pensatori che maggiormente influenzarono Smith furono Francis Hutcheson (1694-1746),
che fu uno dei suoi insegnanti, e David Hume (1711-1776). Con il primo Smith condivise la
condanna severa delle idee di Bernard Mandeville.
Anche se l'ipotesi iniziale circa la natura egoistica degli uomini è la stessa, Mandeville e
Smith arrivano a conclusioni opposte, con Mandeville che giunge alla convinzione che la
ricerca dell'interesse personale produrrebbe conseguenze sia socialmente che
economicamente indesiderabili, e ipotizza quindi la necessità di un intervento
dello stato in economia.
L'opera più notevole di Smith è intitolata Indagine sulla natura e le cause della ricchezza
delle nazioni' (1776).
Accanto ad essa vanno ricordate altre due fonti importanti delle sue idee: il suo libro:
precedente, la Teoria dei sentimenti morali (1759), e le lezioni che egli tenne presso
l'Università di Glasgow.
Smith fu un teorico della macroeconomia interessato alle forze che
determinano la crescita economica e il suo modello economico è ricco di considerazioni di
tipo politico, sociologico e storico. Il suo interesse primario restò focalizzato sullo sviluppo
economico e sulle politiche economiche orientate alla crescita.
Un altro aspetto che merita di essere ricordato di Smith è la sua metodologia. Forse i suoi
modelli economici mancano di eleganza e rigore ma l’abilità nel supportare l’analisi teorica
con esempi storici, sono rimaste ineguagliati.
Vi sono due approcci possibili all'opera di Smith. Uno consiste nell'esaminarne in generale
la struttura teorica per giungere poi alle indicazioni di politica economica, mentre il secondo
consiste nell’ esaminare la struttura teorica in modo dettagliato al fine di valutarne la
coerenza interna.
Se da un lato, infatti, a un esame approfondito il suo modello teorico rivela parecchi difetti e
contraddizioni, è d'altro canto pur vero che l'impatto provocato sul pensiero economico
successivo in tema di politica economica non ha avuto eguali nella storia delle teorie
economiche, forse perché egli non era un economista nel senso stretto del termine, ma
piuttosto un filosofo preoccupato di indicare la strada
verso lo sviluppo economico e la prosperità.
Anche Smith fondò la propria posizione a favore del laissez faire, almeno in parte, su di
un modello teorico del funzionamento dei mercati, ma le sue argomentazioni rappresentano
qualcosa di più che semplice teoria, in quanto contestualizzate, cioè basate sull'osservazione
di circostanze storiche ed istituzionali effettivamente verificatesi. Smith era disposto ad
ammettere che i mercati spesso non raggiungono risultati ideali dal punto di vista del
benessere sociale, ma per realismo era altresì convinto che le conseguenze dell'intervento
pubblico fossero ancora meno accettabili di quelle del libero mercato.
Vale la pena ricordare a questo punto i concetti di «arte» come contrapposta a «scienza»
dell'economia e di economia normativa. L'economia come scienza riguarda relazioni fattuali
tra le variabili economiche, ciò che sovente viene espresso come l'essere che si contrappone
al dover essere oggetto dell'economia normativa. L'economia come arte è invece più
orientata verso questioni di politica economica, e richiede sia la conoscenza di come stanno
le cose (la scienza dell'economia) sia degli obiettivi perseguiti (l'economia normativa): essa
ha la funzione di suggerire raccomandazioni circa il modo migliore di raggiungere gli
obiettivi prescelti dato il nostro livello di comprensione della scienza dell'economia e delle
politiche poste in essere dall'azione di governo.
L’atteggiamento di Smith era quello dell’esperto di politica economica per eccellenza.
La politica economica contestualizzata non è dunque che un altro nome per esprimere il
concetto di economica intesa come arte.
L'economia smithiana presenta alcuni tratti in comune con quella mercantilista. Entrambe
furono infatti influenzate dallo sviluppo delle scienze naturali nel ritenere che un'analisi
approfondita avrebbe permesso di scoprire le «leggi»
dell'economia.
Smith e i mercantilisti condividevano inoltre le stesse premesse teoriche sulla natura degli
esseri umani, visti come soggetti razionali e calcolatori per lo più guidati dal
proprio interesse personale.
Viceversa, un elemento che distingue Smith dalla gran parte dei mercantilisti consiste nella
sua doppia ipotesi di mercati per la maggior parte concorrenziali e di mobilità,
al loro interno, dei fattori della produzione, liberi di spostarsi per cercare la migliore
remunerazione possibile. Una seconda differenza riguarda l'assunzione che un processo
naturale interno al sistema economico possa risolvere i conflitti in modo più efficace di
quanto possa fare qualsiasi congegno istituzionale consapevolmente predisposto al
medesimo scopo.
Il ragionamento in base al quale Smith pervenne è che gli esseri umani sono razionali,
calcolatori e mossi dalla ricerca del proprio interesse; se ciascuno viene quindi lasciato
libero di agire in modo autonomo, allora tutti cercheranno di soddisfare il proprio interesse e
nel far questo esso promuoveranno anche l’interesse della società nel suo insieme.
Il messaggio che traspare da quasi ogni pagina della Ricchezza delle nazioni è che in
un'economia di mercato non soggetta a regolamentazione l'interesse privato condurrà
all'ottenimento del bene comune. La chiave per comprendere questo processo è tutta
nell’attività dei capitalisti. Smith dimostrò prima di tutto che i capitalisti sono spinti dalla
ricerca del profitto.
Il capitalista considera il mercato in termini di beni finali e al fine di incrementare i
propri guadagni produce quei beni che sono richiesti dalla popolazione; è poi la concorrenza
fra capitalisti a far sì che i beni vengano prodotti a un costo che garantisce al produttore un
ricavo appena sufficiente a coprire i costi opportunità dei vari fattori impiegati.
La conclusione di Smith è di una certa meraviglia per come il mercato, senza essere
pianificato o pilotato dall’intervento pubblico, conduca a soddisfare i desideri dei
consumatori al minor costo sociale possibile.
L'analisi del funzionamento dei mercati concorrenziali costituisce il contributo più
significativo dato da Smith alla teoria economica. Nel corso della sua analisi della
formazione dei prezzi e dell'allocazione delle risorse egli definì i prezzi di breve periodo
«prezzi di mercato», e quelli di lungo periodo «prezzi naturali». Nella sua costruzione
teorica il processo di concorrenza si fonda in modo essenziale sulla presenza di un gran
numero di venditori e di un gruppo di possessori di risorse a conoscenza dei livelli
prevalenti dei profitti, dei salari e delle rendite, nonché della possibilità che le risorse
possano muoversi liberamente da un impiego all'altro. Una volta date queste condizioni, i
detentori delle risorse assicurerebbero la convergenza dei prezzi verso il loro livello naturale
di lungo periodo, quello cioè che uniforma i saggi di profitto, i salari e le rendite nei vari
settori dell'economia.
In questo modo i mercati concorrenziali senza regolamentazione da parte del governo
garantirebbero non solo un'allocazione ottima delle risorse ma anche il massimo saggio di
crescita possibile.
Smith passa poi a costruire la sua critica ai monopoli e agli interventi pubblici
nell'economia. Egli infatti riconosce la tendenza da parte degli uomini di affari a riunirsi allo
scopo di monopolizzare il commercio e benché non sia in grado di specificare esattamente
quale sarebbe il prezzo di monopolio, intuisce però che rispetto alla concorrenza esso
sarebbe mantenuto più alto attraverso la produzione di una minore quantità di beni.
La considerazione di fondo è che qualsiasi tipo di interferenza da parte del governo è
indesiderabile. Smith critica molte delle proposte di regolamentazione avanzate a
loro tempo dai mercantilisti, e dimostra come esse portassero a un'allocazione delle risorse
peggiore di quella ottenibile tramite la concorrenza sui mercati. L'opinione di
Smith è che molti degli argomenti adottati dai mercantilisti malgrado fossero
apparentemente diretti a promuovere il bene pubblico. E che non fosse l'intera collettività
nazionale, bensì la classe dei commercianti, a beneficiare del complesso di norme sul
commercio interno ed estero, Smith lo deduce non solo da un punto di vista teorico, ma
anche attraverso l'osservazione personale dell'effettiva condotta dei governi. Egli illustrò
molte aree in cui riteneva che l’intervento del governo fosse necessario, egli ammise
l’eccezione per il caso delle tariffe volte a proteggere le industrie nascenti.
Il ruolo del governo era dunque quello di provvedere alla difesa, costruire e mantenere le
strade e le scuole, amministrare la giusti zia e mantenere gli archivi fondamentali per la vita
pubblica.
Un esempio è quello dell'istruzione, che è evidentemente di grande utilità sociale, ma la cui
offerta consentirebbe di realizzare profitti così bassi che il mercato, lasciato a se stante, ne
produrrebbe una quantità inferiore a quella ritenuta socialmente desiderabile.
Smith sottolineò che la ricchezza corrente di una nazione dipende dall'accumulazione del
capitale, dato che è l'accumulazione a determinare la divisione del lavoro e la proporzione
della popolazione che è impiegata nei lavori produttivi.
In secondo luogo, Smith arrivò alla conclusione che l'accumulazione di capitale gode anche
della proprietà di condurre allo sviluppo economico: nonostante tutte le estorsioni del
governo, questo capitale è stato silenziosamente e gradualmente accumulato dalla frugalità
privata e dalla buona amministrazione dei singoli, dal loro sforzo generale, continuo e
ininterrotto per migliorare la propria condizione.
Terzo aspetto, l'interesse individuale, abbinato all'accumulazione di capitale, favorisce
un'allocazione ottimale del capitale tra le varie industrie: ognuno si sforza continuamente di
trovare l'impiego più vantaggioso per qualsiasi capitale di cui possa disporre. In verità egli
mira al proprio vantaggio e non a quello della società. Ma la ricerca del proprio vantaggio lo
porta necessariamente a preferire l’impiego più vantaggioso alla società.
il capitalista riveste un ruolo decisivo all'interno dell'economia, in quanto la sua ricerca di
guadagni e di profitti conduce all'allocazione efficiente delle risorse e alla crescita. È pure
chiaro che la fonte di capitale in un'economia à proprietà privata sono i risparmi degli
individui. Smith riteneva che i lavoratori non potessero accumulare capitale, poiché il livello
dei salari da loro percepiti permetteva soltanto la soddisfazione degli immediati desideri di
consumo; i proprietari terrieri, d'altro canto, pur avendo redditi sufficienti all'
accumulazione li spendevano per soddisfare la loro insaziabile propensione per il lusso, e
quindi finivano per mantenere soltanto lavoro improduttivo. Restavano quindi i membri
della nascente classe industriale come unici soggetti dai quali ci si potevano attendere
comportamenti tesi alla realizzazione dei profitti, all'accumulazione di capitale- in vista del
proprio arricchimento
- tramite il risparmio e l'investimento; e quindi meritevoli, secondo Smith, di essere
considerati come i veri benefattori della società.
La politica economica, quella del laissez faire, è diventata infatti l'ideologia economica della
società occidentale. Il contributo fondamentale dato da Adam Smith alla teoria economica
non consiste tanto in un'analisi teorica dettagliata, quanto in una descrizione generale del
modo in cui un'economia di mercato alloca risorse scarse tra usi alternativi.
In numerosi passaggi lungo tutta la Ricchezza delle nazioni, poi, si trova il rimprovero di Smith alla
preoccupazione dei mercantilisti per l'accumulazione dei metalli preziosi, da loro identificata con la
ricchezza di una nazione. Smith prosegue suggerendo che la ricchezza sia misurata in termini pro capite( Il
reddito pro capite può essere definito come la quantità di prodotto interno lordo ipoteticamente
prodotta, in un certo periodo di tempo, da una persona. ), per fare un esempio, che l'Inghilterra è più ricca
della Cina e si fa riferimento non al prodotto totale o al reddito complessivo dei due paesi ma al reddito pro
capite delle due popolazioni.
La gran parte del libro di Smith è dedicata, in modo diretto o indiretto (e a volte molto indiretto), alle cause
della ricchezza. Il Libro I tratta la teoria del valore, la divisione del lavoro e la distribuzione del reddito; il
Libro II spiega perché il capitale debba essere annoverato tra le cause della ricchezza; il Libro III studia la
storia economica di diverse nazioni al fine di illustrare le teorie esposte in precedenza; il Libro IV
costituisce, per quel tempo, una storia del pensiero economico e della pratica dell'economia, ed esamina in
particolare il mercantilismo e la fisiocrazia, mentre il Libro V, infine, tratta di ciò che oggi definiremmo
finanza pubblica.
Smith era convinto che la ricchezza di una nazione dipendesse 1) dalla produttività del lavoro e 2) dalla
proporzione dei lavoratori impiegati in modo utile o produttivo.
La produttività del lavoro. Cosa determina la produttività della forza lavoro? Nel Libro I Smith afferma che
la produttività del lavoro dipende dalla divisione del lavoro. Smith prese a prestito dalla letteratura
precedente un esempio che misurava il prodotto per lavoratore in un'industria dedita alla produzione di spilli.
Quando ogni lavoratore effettua tutte le operazioni necessarie per produrre uno spillo il prodotto per
lavoratore è molto basso, quando invece il processo produttivo è frazionato in una serie di operazioni
distinte, e ogni, lavoratore si specializza in una sola di esse, allora
esso aumenta notevolmente. Nell'esempio di Smith la suddivisione del processo in 18 operazioni consente di
portare il prodotto per lavoratore da 20 a 480 spilli al giorno. Smith sottolineò anche alcuni seri svantaggi
dal punto di vista sociale. Uno degli svantaggi della divisione del lavoro è che i lavoratori sono
disumanizzati e assimilati a delle macchine. La divisione del lavoro a sua volta dipende da quella che Smith
chiamava l'estensione del mercato e dall'accumulazione di capitale. Infatti quanto più grande è il mercato,
tanto maggiore è la quantità vendibile e quindi l'opportunità di introdurre la divisione del lavoro.
In un'economia semplice dove prevale 'autoconsumo e quindi la divisione del lavoro è ridotta, il livello del
capitale. richiesto per mantenere i lavoratori è piuttosto basso. Man mano però che la divisione del lavoro
aumenta i lavoratori non producono più beni per il proprio consumo personale, e quindi deve essere
costituito uno stock di beni di consumo che permetta loro di mantenersi nell'intervallo di tempo necessario al
processo produttivo. Si tratta di uno stock di beni che proviene dai risparmi, ed è, in questo contesto, ciò che
Smith chiama capitale.
Lavoro produttivo e improduttivo. Per Smith lavoro produttivo è quello impiegato per produrre beni
vendibili, mentre lavoro improduttivo è quello impiegato per produrre servizi. Smith argomenta dunque che
l'attività dei capitalisti, determinando una maggiore produzione di merci, sia di beneficio per la crescita
economica e lo sviluppo, a differenza delle spese dei proprietari terrieri dirette verso la servitù e verso altri
beni intangibili che costituiscono uno spreco. La distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo serve
inoltre a Smith per articolare la sua posizione circa il ruolo del governo in economia. Infatti per certi aspetti
la spesa pubblica va a detrimento dello sviluppo economico della razione, essendo simile alla spesa della
classe dei proprietari terrieri per la servitù e per le altre forme di lavoro improduttivo. Smith conclude che
essendo la crescita economica ostacolata dalla spesa pubblica destinata ai lavori improduttivi, la cosa
migliore da fare è ridurre l'intervento del governo, con la conseguenza di poter abbassare le tasse sui
capitalisti e consentire loro di accumulare più capitale.
Un riassunto delle cause della ricchezza delle nazioni. un esame più approfondito della sua argomentazione
rivela che la vera causa della ricchezza è l'accumulazione del capitale. Se le due determinanti immediate
della ricchezza delle nazioni, infatti, sono la produttività del lavoro e la proporzione tra lavori produttivi e
improduttivi ed entrambe dipendono dall’accumulazione di capitale. Quindi il capitale è la causa principale
della ricchezza.
Smith sintetizza tutto questo nel modo seguente: il valore del prodotto annuale della terra e del lavoro di ogni
nazione non può aumentare che con l'aumento del numero dei suoi lavoratori produttivi o delle capacità
produttive dei lavoratori precedentemente impiegati. È evidente che il numero dei lavoratori produttivi non
può mai essere aumentato di molto se non a seguito di un aumento del capitale o dei fondi destinati a
mantenerli, Le capacità produttive dello stesso numero di lavoratori non possono aumentare che a seguito di
qualche aumento e progresso delle macchine e degli strumenti che facilitano e abbreviano il lavoro; o di una
più adeguata divisione e distribuzione del lavoro. In entrambi i casi è quasi sempre necessaria un’aggiunta di
capitale.
La teoria del valore
Vi sono alcune questioni intorno al problema del valore, o del prezzo, che andrebbero mantenute ben,
distinte,e che invece furono spesso confuse da parte déi primi economisti. Ne indichiamo tre: 1) cosa
determina il prezzo di un bene? Ovvero, nel linguaggio della scienza economica moderna, cosa determina i
prezzi relativi? 2) Cosa determina il livello generale dei prezzi? 3) Qual è la migliore misura del benessere?
Di esse, la prima e la terza rientrano nell'attuale teoria microeconomica; la seconda viene invece
generalmente ricompresa sotto il grande mantello della macroeconomia.
Per alcuni Smith aveva tre teorie dei prezzi relativi (quella basata sul costo del lavoro, quella basata sul
lavoro comandato, e quella basata sul costo di produzione) e inoltre una teoria per spiegare il livello generale
dei prezzi.
Smith sperimentò tutte queste teorie, ovvero: una teoria dei prezzi relativi basata sul costo del lavoro e sul
lavoro comandato valida per la società primitiva e una basata sul costo di produzione per la società avanzata;
la formulazione di un indice che misurasse i cambjamenti di benessere nel tempo; e una teoria intesa a
spiegare il livello generale dei prezzi.
I prezzi relativi. Nonostante egli spieghi i prezzi relativi soltanto dal lato dell'offerta, ovvero in termini di
costi di produzione, pure non ignora del tutto il ruolo della domanda . Infatti, per quanto riguarda i prezzi di
mercato, o di breve periodo, egli è convinto che dipendano sia dall'offerta che dalla domanda, mentre per
quanto riguarda i prezzi naturali o di lungo periodo, la regola generale è che dipendono dai costi di
produzione. L'analisi smithiana dei prezzi relativi include due riferimenti temporali, il breve e il lungo
periodo, e due grandi settori nel sistema economico, l'agricoltura e la manifattura. Nel breve periodo, a volte
chiamato anche periodo di mercato, Smith identifica per entrambi i settori delle curve di domanda inclinate
verso il basso e delle curve di offerta inclinate verso l'alto, con i prezzi di mercato determinati da entrambe le
forze.
Nel settore agricolo il prezzo naturale è determinato dalla domanda e dall'offerta, dato che la curva di offerta
di lungo periodo è inclinata positivamente ad indicare costi crescenti. Nel settore della manifattura, invece,
tale curva di offerta di lungo periodo è a volte assunta come perfettamente elastica (orizzontale), e a volte
inclinata verso il basso, ad indicare costi costanti nel primo caso, o addirittura decrescenti nel secondo. Se
dunque la curva è perfettamente elastica il prezzo dipende interamente dal costo di produzione, mentre se è
inclinata negativamente dipende allo stesso tempo dalla domanda e dall'offerta.
Smith percepì, senza incoerenze, il ruolo della domanda nella formazione dei prezzi naturali e
nell'allocazione delle risorse tra i vari settori dell'economia. Nonostante ciò, al di là della forma che può
assumere la funzione di offerta di lungo periodo nella manifattura, l'enfasi è posta principalmente sul ruolo
del costo di produzione nella determinazione dei prezzi relativi. Una volta che un
sistema economico si è caratterizzato per la specializzazione e la divisione del lavoro, lo scambio
generalizzato diviene una necessità,e se questo avviene in un mercato come quello esistente al tempo di
Smith allora possono sorgere dei problemi, anche ovvi. Innanzitutto, superato il livello del baratto, c'è il
problema del mezzo di pagamento, cioè della moneta, di cui Smith si occupa nel quarto capitolo del Libro I.
Poi vi è il problema del valore, o del prezzo relativo, ovvero, nella terminologia di Smith, dei principi che
determinano il valore relativo o scambiabile dei beni. In terzo luogo c’è il problema distributivo, cioè come il
Prodotto di un’economia venga ripartito tra i soggetti coinvolti nel processo produttivo.
La parola valore per smith ha due significati differenti, talvolta esprime l’utilità di qualche particolare
oggetto e altre volte il potere di acquistare altri beni che il possesso di questo oggetto conferisce. Il primo
può essere detto valore d’uso e l’altro valore di scambio. ( acqua-> utile ma con essa non si può acquistare
quasi nulla, diamante-> nessun valore d’uso ma con esso si possono comprare tanti altri beni)
Occorre dunque distinguere tra valore di scambio, che è il potere che ha un bene di acquistarne altri, cioè il
suo prezzo, ed è una misura oggettiva espressa dal mercato; e valore d'uso, che è invece in Smith un concetto
ambiguo, responsabile in buona parte delle difficoltà da lui incontrate nello spiegare i prezzi relativi. Il
valore d'uso è dato dalla caratteristica che ha un bene di soddisfare i desideri, e quindi dall'utilità che se ne
ricava possedendolo o consumandolo. A questo proposito, dei vari tipi di
utilità implicati dal consumo (totale, media, o marginale), Smith si concentrò sull'utilità totale. È chiaro che
l’utilità totale dell’acqua è maggiore di quella dei diamanti. Tuttavia, poiché l'utilità marginale di un bene
spesso diminuisce all’aumentare del suo consumo, è piuttosto probabile che un’unità addizionale di acqua
conferisca minore utilità rispetto a un’unità addizionale di diamanti. Pertanto, il
prezzo che siamo disposti a pagare per un bene, cioè il valore che attribuiamo all'acquisto di un'unità
addizionale, non dipende dalla sua utilità totale ma da quella marginale.
Le tre teorie dei prezzi relativi sviluppate da Smith sono: 1) una teoria del valore basata sul costo del lavoro;
2) una teoria del valore basata sul lavoro comandato; 3)una teoria del valore basata sul costo di produzione.
A tal fine egli ipotizzò due stadi dell'economia ben distinti: uno stadio rozzo e primitivo, o società primitiva,
definita come un'economia in cui il capitale non è stato accumulato e
la terra non è stata fatta oggetto di appropriazione individuale; e un'economia avanzata, in cui il capitale e la
terra non sono più beni liberi (hanno cioè un prezzo maggiore di zero). Per il primo di questi due stadi
dell'economia egli suggerì due spiegazioni dei prezzi relativi, una basata sul costo del lavoro e una basata sul
lavoro comandato.
La teoria del costo del lavoro in una società primitiva In base a questa teoria fondata sul costo del lavoro
Smith sostiene dunque che in un'economia in cui non esistono terra e capitale, o in cui essi sono beni liberi, il
valore di scambio (o il prezzo) di un bene è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo.
Questo ci conduce alla prima delle difficoltà di una teoria del valore-lavoro, e cioè al criterio secondo cui va
misurata la quantità di lavoro necessaria per procurarsi un bene. Facciamo l'ipotesi di due lavoratori che non
usano capitale e che non pagano per l'utilizzo della terra; di essi il primo produce in un’ora un’unità di
prodotto finale, mentre il secondo in un’ora ne produce due unità. La differenza tra i due lavoratori dipende
dalle loro diverse abilità, quindi smith riconosce questo problema ossia che la quantità di lavoro richiesta
nella produzione di un bene non può essere misurata in termini di ore-lavoro, poiché bisogna tenere conto
anche dell’ingegnosità o delle abilità del lavoratore. Ma questo fu un problema insormontabile per lui,
perciò se la quantità di lavoro è funzione di parecchie variabili bisogna trovare il modo di stabilire la loro
importanza relativa. Il tentativo di Smith è quello di ricondurre il tempo, la fatica e l’abilità di una
prestazione di lavoro a un denominatore comune , assumendo che le differenze in queste variabili si
riflettano nel salario con cui viene retribuito il lavoro. Perciò se il salario del lavoratore che produce il bene
B è di 2 dollari all’ora è quello che produce il bene A è di un dollaro all’ora allora significa che i 2 lavoratori
hanno abilità diverse. Per maggiori dettagli sull’analisi smithiana della relazione tra costo del lavoro e
determinazione dei prezzi relativi in una società primitiva, possiamo utilizzare il suo esempio famoso. Se
occorrono 2 ore per catturare 2 cervi e un’ora per catturare un castoro, significa che sul mercato due cervi
dovranno valere quanto un castoro, cioè il prezzo di un castoro sarà il doppio di quello di un solo cervo. Il
rapporto di scambio per cui 2 cervi valgono quanto un castoro si chiama o prezzo naturale ( prezzo di
equilibrio di lungo periodo ). I prezzi possono comunque cambiare infatti in seguito ad un aumento della
domanda di castori il mercato genera un nuovo prezzo, ponendo 3 cervi uguale ad un castoro: 3cv=1ct. Il
prezzo del castoro sale e quello dei cervi scende: per Smith questo è un prezzo di mercato ( prezzo di
equilibrio di breve periodo). Dopo questa modifica i cacciatori non si dedicarono più alla caccia di cervi ma a
quella di castori. Infatti essi possono procurarsi cervi anche indirettamente trovando castori e scambiandoli
poi con i cervi sul mercato. Il modo diretto di procurarsi due cervi con due ore di lavoro-caccia è meno
conveniente di quello indiretto poiché con le stesse due ore di caccia per trovare un castoro, possono
assicurarsi lo scambio con 3 cervi sul mercato, assicurando un guadagno netto di un cervo. Se invece il
valore dei cervi e dei castori fosse uguale allora si potrebbe ragionare in termini di ore-lavoro, cioè quanti
cervi e castori si riescono a cacciare in un tot di ore.
Il lavoro comandato in una società primitiva. Seguendo Smith, nella teoria del lavoro comandato «il valore di
ogni merçe per la persona che la possiede e che non intende usarla o consumarla personalmente ma
scambiarla con altre merci, è dunque uguale alla quantità di lavoro che le consente di acquistare o avere a
disposizione»".
La teoria del lavoro in una società avanzata. Il modello immaginato da Smith per descrivere il funzionamento
del sistema economico in una società avanzata è differente da quello adottato in una società primitiva per due
circostanze importanti: il capitale è stato accumulato e la terra è stata fatta oggetto di appropriazione
individuale . Nell’economia avanzata non ci sono più beni liberi e il prezzo finale di ogni bene deve
includere una quota per la retribuzione dei capitalisti, che prende la forma dei profitti , e una quota per la
retribuzione dei proprietari terrieri, che prende forma della rendita.
La teoria della distribuzione. La distribuzione personale del reddito dipende dai prezzi e dalle quantità di
fattori della produzione che sono vendute dai singoli agenti economici. La maggior parte delle persone
possiede soltanto lavoro, così che il reddito di un individuo è generalmente legato al livello del saggio di
salario orario e al numero di ore lavorate. Per chi invece possiede delle proprietà, il reddito corrispondente è
in funzione della quantità di terra o capitale posseduta e del loro prezzo.
Salari. nell'ottavo capitolo del Libro I, dove egli abbozzò una teoria della sussistenza, una teoria della
produttività, una teoria della contrattazione, una teoria della rivendicazione residuale, e una teoria del fondo-
salari. Innanzitutto Smith mise in chiaro che nel processo di contrattazione sul salario i lavoratori partono da
una posizione di svantaggio, poiché i datori di lavoro sono molti di meno e possono accordarsi per rafforzare
la propria posizione , la legge permette questa loro coazione ma vieta ai lavoratori di costituirsi in sindacato:
Smith osserva come vi siano molti atti legislativi che impediscono un innalzamento dei salari ma nemmeno
uno che impedisca una loro diminuzione. Inoltre i datori di lavoro possono contare su un’ampia disponibilità
di risorse che consentono loro di sopravvivere anche quando non impiegano lavoro, mentre senza impiego
molti lavoratori non potrebbero sussistere neppure una settimana, pochi un mese e quasi nessuno un anno.
La dottrina dei fondo-salari la dottrina dei fondo salari parte dall’assunto che vi sia un fondo fisso di capitale
destinato al pagamento dei salari, reso necessario dall’intervallo di tempo richiesto dal processo produttivo:
tra il suo inizio e la vendita finale dei prodotti, infatti, è necessario che vi siano delle merci, prodotte in
precedenza, che i lavoratori possono usare per mangiare, vestirsi ecc. La fonte di questa massa di merci, o
fondo-salari, è il risparmio dei capitalisti, ovvero ciò che non hanno consumato nei periodo precedenti.
I profitti. Smith sembra accettare senza obiezioni di sorta la legittimità del profitto quale
remunerazione( ricompensa ) per l'attività socialmente utile svolta del capitalista, vale a dire per aver fornito
ai lavoratori, durante il processo produttivo, i mezzi di sostentamento e i macchinari con cui lavorare. Il
profitto è quindi visto come la risultante di due componenti: una remunerazione per il rischio sopportato, e
una remunerazione a titolo di puro interesse. Se dunque nell'economia primitiva il lavoratore veniva
ricompensato con tutto il prodotto, nella società avanzata doveva ripartirlo con il capitalista e con il
proprietario della terra.
Le rendite. Vi sono almeno quattro teorie smithiane sull'origine della rendita, tutte in contraddizione tra di
loro: 1) la domanda dei proprietari terrieri, 2) il monopolio, 3) i vantaggi differenziali,4) la generosità della
natura. All'inizio della Riccherza delle nazioni la rendita è vista come una delle determinanti dei prezzi,
mentre nei capitoli successivi Smith inverte la direzione di causalità e anticipa Ricardo nel considerare la
rendita come determinata dai prezzi.
L’andamento nel tempo del saggio di profitto. L'idea di Smith che la crescita economica dipendesse
dall'accumulazione del capitale spiega perché egli fosse interessato alla questione del comportamento nel
tempo del saggio di profitto. Egli addusse tre ragioni per giustificare la previsione che il saggio di profitto
sarebbe caduto nel corso del tempo.1) La concorrenza sul mercato del lavoro. Spinti dall'ac-
cumulazione del capitale, i capitalisti si sarebbero fatti concorrenza sul mercato del lavoro provocando la
crescita dei salari, cosa che a parere di Smith avrebbe spinto in basso i profitti.
2) La concorrenza sul mercato dei beni. Via via che l'output fosse aumentato, i capitalisti avrebbero dovuto,
farsi concorrenza sul mercato dei beni, abbassando i prezzi di vendita e riducendo quindi i profitti. 3) La
concorrenza sul mercato degli investimenti. Stante l'opinione di Smith che esistesse solo un numero limitato
di opportunità di investimento, un'accresciuta accumulazione di capitale avrebbe provocato profitti sempre
mino.
ri.

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