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IL MAESTRO ETCIÙ

Nel piccolo paese di Influenza, sperduto nella Fresca Pianura, dove c’è sempre un
gran vento e una fitta nebbia, c’era un maestro che aveva una caratteristica davvero
insolita.
Il suo nome, pur se appartenente a un’antica famiglia di educatori, si era ormai
perso nel tempo. Tutti, o quasi, eccetto il suo cane Raffreddore e l’adorato nipotino
Valentino, lo chiamavano “Maestro Etciù”.
Come ai tempi gloriosi del suo onorato servizio presso la scuola del paese, lui
continuava a indossare sobri abiti blu o neri da lunedì a venerdì e maglioncini di
cotone dai colori brillanti e pantaloni a righe di tutte le tinte sabato e domenica. Ma
quello per cui si era meritato il soprannome che non l’avrebbe più abbondonato, tra
i banchi di scuola e fuori, nel mondo, inclusi supermercati e forse perfino nei
discount, era il grandioso potere dei suoi eccezionali starnuti.
Una ex bidella amava raccontare alle vicine di casa di quella volta che erano arrivati i
vigili del fuoco.
“Sapete, mie care, un giorno, eravamo tutti tranquilli e io pensavo di dedicare
l’ultima ora a dare una spolveratina sul mio piano, quando all’improvviso, il mio
tavolo aveva iniziato a ‘muoversi’… Che paura! Credevo fosse un terremoto! Le
finestre sembravano ballare a ritmo di rock e un vento fortissimo, quasi una lotta tra
l’anticiclone delle Azzorre e quello russo-siberiano, si era abbattuto sull’intero
edificio…”.
“E tu cosa hai fatto, santo cielo, in mezzo a quel pandemonio? – la interrompeva
tutte le volte la vicina Rosa, una ex cantante lirica che era solita avvolgersi la testa
con grandi turbanti che la rendevano un po’ sorda.
“Oh, aspetta, sciura Rosa, lasciami il tempo di andare avanti”, le rispondeva un po’
seccata la signora ex bidella che non voleva perdere il filo.
“Beh, la potente corrente d’aria, un tornado, potrei dire, anche se io di quelli del
meteo c’ho poca fiducia, c’azzeccano poco – continuava la testimone del portento –
Centinaia di fogli, libri, quaderni impazziti giravano a mezz’aria e il vento e il rumore
erano incredibili! Eh, care mie, dovevate esserci! Tra tutto quel volare di pagine e
vento, ecco che il collega Carletto chiamò i vigili del fuoco”.
“Davvero?”, esclamavano, pur conoscendo praticamente a memoria l’episodio.
L’autore di tutto quel trambusto era stato il Maestro, ai quei tempi giovane, pur se
sempre con i suoi impeccabili outfit blu o neri, con un ‘semplice’ starnuto. Alle
domande degli impavidi vigili del fuoco, in questo caso con gli occhi fuori dalle
orbite, aveva risposto: “Signori, mi spiace tanto di tutto questo disturbo, non so
proprio cosa sia successo… Ehm, sapete, ultimamente mi capita spesso di avere il
raffreddore e a volte c’è qualcosa nell’aria, forse del polline, che mi fa prudere tanto
il naso…”.
Dopo, nel corso degli anni, fino alla pensione, erano capitati altri eventi causati dagli
starnuti del Maestro che non sapeva mai come spiegare… Ma in fondo, tutti gli
volevano bene: il soprannome era una sorta di riconoscimento per qualcosa che solo
lui sapeva fare e i suoi alunni erano orgogliosi.
Le ragioni erano inspiegabili, ma, secondo gli studiosi più esperti, da qui a Timbuctù
non c’era qualcuno che starnutiva più forte di lui. Forse, l’unica soluzione per evitare
gli starnuti, era che si vestisse con una moltitudine di maglioni e sciarpe per non
prendere il raffreddore. Sfortunatamente, lui aveva sempre affermato che la lana gli
“pungesse” la pelle. Perciò tutti si dovettero abituare agli starnuti.

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