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Michele Antenucci

SSIS Fisica - Matematica - Informatica (A049 – A038) VII ciclo, II Anno, I Semestre
Relazione per il modulo : Didattica della Matematica (Prof.: A. Sambusetti)

Cardinalità e Infinito

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Michele Antenucci
SSIS Fisica - Matematica - Informatica (A049 – A038) VII ciclo, II Anno, I Semestre
Relazione per il modulo : Didattica della Matematica (Prof.: A. Sambusetti)

Indice

...........................................................................................................................................................2
1. Introduzione......................................................................................................................................3
2. Il percorso ........................................................................................................................................4
3. Complementi..................................................................................................................................14
4. Allegati...........................................................................................................................................15
5. Bibliografia.....................................................................................................................................15

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Michele Antenucci
SSIS Fisica - Matematica - Informatica (A049 – A038) VII ciclo, II Anno, I Semestre
Relazione per il modulo : Didattica della Matematica (Prof.: A. Sambusetti)

1. Introduzione

“La teoria matematica dell‘ infinità ebbe inizio con Cantor....Il calcolo
infinitesimale....cercò di farne a meno...,si sforzò di tenerla nascosta.... Cantor
abbandonò questa politica codarda, e ha tirato fuori lo scheletro dal suo
armadio...Fuor di metafora, Cantor ha fondato un nuovo ramo della
matematica...” (B. Russell)

Si vuole qui presentare un percorso didattico di approfondimento per classi


superiorei dei Licei, della durata di 4 ore (indicativa), su un argomento
estrememente interessante ma di rado inserito o anche solo accennato nei
curricoli delle scuole superiori: l’ infinito (concludendo con la sistematizzazione
“gerarchica” datane da Cantor). Verrà proposta la sola lezione introduttiva (che
comunque riassume in sè l’intero problema concettuale). Le rimanenti lezioni
sono indicate, in traccia, nel Percorso allegato ([1]).
La scelta fatta, dettata sicuramente da interesse personale, è altresì motivata
da altri due fattori:
- si tratta di un argomento di alta matematica pura (piu’ di scomposizioni
di polinomi o addizioni di radicali doppi...)
- è un argomento che, opportunamente esposto, è proponibile agli studenti
consentendo, a mio avviso, di attivare tutta una serie di processi mentali
di altissimo valore cognitivo.
Il senso del secondo punto deve essere meglio esplicitato. Intendo, per
argomento proponibile, un tema che non sia necesariamente comprensibile in
tutto e per tutto, lasciando in eredità un insieme di tecniche più o meno utili a
sviluppi incrementali successivi, quanto piuttosto un tema “aperto”; un
argomento cioè che “apra” squarci su possibilità di riflessione autonoma e
stimolante, che si presti a meditazioni che di volta in volta ripartano da capo. E
tuttavia ogni volta mostrando un nuovo aspetto, una nuova sfaccettatura prima
non colta.
Una valenza altamente “formativa”, almeno dal punto di vista di chi scrive.

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Nota: nella presentazione mi sono sforzato, in generale, di evitare uan struttura


canonica con definizioni, lemmi, teoremi ben indicati ed evidenziati: Questo
non perchè si voglia rendere il tutto più...simpatico e semplice (tendenza oggi
in voga nella didattica e per la quale nutro sommo disprezzo), quanto perchè la
semplicità nel linguaggio e nella presentazione sia in questo caso il viatico più
diretto al nucleo concettuale, problematico, che voglio affrontare.

2. Il percorso

Leggiamo il passo di Galilei tratto dalle Nuove Scienze lì dove il grande fisico
per bocca di Salviati conduce in modo diretto, semplice e comprensibile il buon
Simplicio a trovare una contraddizione (apparente) nel percorso teso a scoprire
“quanti” siano i numeri quadrati e quanti i “numeri tutti”. Suggerisco tale passo
proprio per la sua non formalizzazione, ossia per una sua chiarezza linguistica
scevra da tecnicismi e proprio per questo adatta a creare lo stupore necessario
a chi legge per avvicinare un tema siffatto: l’ infinito. Ebbene, il ragionamento
è riassunto qui di seguito.
Disponiamo in fila i “numeri tutti” (i naturali senza zero) e i “numeri quadrati”:

“numeri tutti” 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 ......

“numeri quadrati” 1 4 9 16
............

Bene, dice Salviati i numeri tutti è chiaro esser più dei numeri quadrati. Ovvio!
Comprendono infatti i numeri quadrati e i non quadrati.
Ma allora chiediamoci quanti siano i numeri quadrati. Qui compare il concetto
fondamentale di tutta la questione. I numeri quadrati sono ovviamente tanti
quanti le loro radici, perchè per ogni numero quadrato c’è la sua, unica,
radice, e ogni radice lo è solamente del suo quadrato. Ma le radici sono
esattamente..”i numeri tutti”! Siamo in presenza di un problema. I “numeri
tutti” sono più dei numeri quadrati che a loro volta però sono tanti quanti i
numeri tutti...

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Dobbiamo affrontare la questione facendo un passo indietro, approntare


opportuni strumenti e tornare poi ad attaccare questa situazione poco
piacevole.
Il punto essenziale, dicevo, è il termine “tanti quanti” . Consideriamo tale
locuzione in un contesto in cui gli insiemi che consideriamo non hanno ...infiniti
elementi. In sostanza chiediamci la seguente cosa: quando l’ insieme A= {a, b,
c, d} ha tanti elementi quanti B = {e, f, g, h}? Cosa vuol dire tanti quanti? La
risposta la impariamo da bambini quando comprendiamo che le dita della
mano destra sono tante quante quelle della sinistra: appoggiamo, per
verificarlo, i polpastrelli di una mano ad uno ad uno su quelli dell’ altra.
Impariamo cioè a far corrispondere in modo opportuno gli elementi dei due
insiemi. Su questo punto possiamo e dobbiamo essere più precisi. Il modo di far
corrispondere gli oggetti dei due insiemi è ben preciso. Occorre far ...”sposare”
in regime monogamico stretto (e qui,mi rendo conto, il ragionamento è un pò
circolare) tutti gli elementi del primo insieme con elementi del secondo e
assicurarci che nessun elemento del secondo insieme rimanga...single. Se
riusciamo a far questo allora siamo ben certi che il primo insieme ha tanti
elementi quanto il secondo e viceversa. Altrimenti no. L’ esempio precedente ci
consente ad esempio di formare le seguenti coppie: (a,e), (b,f), (c, g), (d, h).
Ma, appunto, questo non accade sempre.
Prendiamo l’ insieme P = {passeggeri in attesa alla fermata della Metro alle
7.40 del mattino} e l’ insieme
S ={posti liberi nel treno in arrivo, vuoto}.
Ora, al momento della apertura delle porte inizia la celebrazione dei matrimoni
tra passeggeri e posti liberi. E’ ben chiaro a ciascuno che difficilmente potrò
creare coppie (passeggero, posto vuoto) in modo tale che tutti i passeggeri
siano associati ciascuno ad un posto vuoto e nessun posto vuoto rimanga tale.
Accadrà certamente che, data l’ ora, molti passeggeri rimarranno privi di posto.
I due insiemi non possono essere fatti corrispondere nella maniera opportuna
di cui sopra scrivevamo e che chiameremo biunivoca. Se invece cambiamo l’
orario di interesse puo’ accadere l’ opposto e cioè che ci siano pochi passeggeri
in confronto ai posti liberi. (Ad essere sinceri la situazione per cui ho tanti

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passeggeri in attesa quanti posti vuoti è altamente improbabile. Ma qui non ci


occupiamo di ciò).
Si può certamente proseguire con una sequenza sterminata di esempi. Anche
praticamente è facile a volte realizzare o tentare di realizzare corrispondenze.
Ad esempio : vogliamo sapere se ci sono in questa stanza tante sedie quanti
studenti. Bene, diciamo agli studenti di sedersi e vediamo se qualche studente
rimane in piedi o qualche sedia rimane vuota ( dobbiamo ovviamente impedire
che due studenti si siedano sulla medesima sedia, o tentino di farlo). Se non
succede nulla di ciò la risposta è affermativa.
Una prima definizione sensata, non cioè puramente nominale, possiamo allora
darla dicendo che due insiemi A e B che si possono far corrispondere
biunivocamente (non importa come) si dicono equipotenti e si scrive A~B. Si
dice anche che A e B hanno la stessa cardinalità. Ma qui è necessario un
piccolo passo in avanti. Insiemi qualsiasi dicevamo. In particolare noi
consciamo sottoinsiemi dei numeri naturali. Ad esempio consideriamo l’
insieme In = {1,2,3,...., n}. O meglio, l’ insieme I4 = {1,2,3,4}. Ora,
costruendo la corrispondenza tra A e I4 data da (a,1), (b,2), (c,3), (d,4) posso
ben dire che A~I4 . I due insiemi hanno la stessa cardinalità posta per
definizione uguele a 4. E’ il numero di elementi dell’ insieme, null’ altro.
Indicheremo d’ora in avanti la cardinalità di un insieme con il simbolo card().
Quindi card ( A ) = card ( I4 ) = 4. La conseguenza ovvia è che esistono infinite
distinte cardinalità.......La cardinalità 1 ( quella che compete agli insiemi con 1
elemento), la cardinalità 2 (quella che compete agli insiemi con 2 elementi) e
così via. Certamente tali cardinalità si possono ordinare. In modo naturale per
altro. Se gli elementi di un insieme A possono essere associati in modo univoco
ad elementi di un altro insieme B, ma rimangono tuttavia elementi di B non
associati ad alcun oggetto di A, allora è sensato dire che
card (A) < card(B)
Ci stiamo avvicinando alla prima tappa prefissata. Ora dobbiamo investigare
una specifica proprietà degli insiemi con cardinalità n per qualche n. Ebbene il
risultato essenziale è che non c’è modo di riuscire a fare quel che Galileo indica
per i suoi due insiemi,con insiemi equipotenti a sottoinsiemi del tipo I n . Non si
può mettere in corrispondenza biunivoca un insieme finito con un suo

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sottoinsieme proprio. E questo ci aiuta enormemente nella nostra


investigazione. Infatti abbiamo una proprietà (la corrispondenza biunivoca di
un insieme con una sua parte propria) di cui godono alcuni insiemi e non altri.
Precisamente a non goderne sono proprio quelli che chiamiamo (a ragione)
finiti. Galilei non riesce a fare questo salto concettuale. La sua è una resa che
va perdonata....Dopo duemila anni di arisotelismo e di infiniti pensati solo come
potenziali (finiti sempre accrescibili, ma finiti e, appunto, solo in potenza infiniti
) forse lo scienziato non poteva far altro. Sempre nelle Nuove Scienze chiude il
discorso sul suo paradosso affermando che infiniti sono i quadrati, infinite le
loro radici, infiniti tutti i numeri; nè la moltitudine di questi maggiore o minore
delle altre...(la sottolineatura vuole richiamare un punto che avrà invece
sviluppi opposti due secoli e mezzo più tardi e dei quali parleremo tra poco). In
definitiva “ quando siamo tra gl’ infiniti..., quelli sono incomprensibili dal nostro
intelletto finito per la loro grandezza...” E’ Dedekind nel 1872 (preceduto in
realtà da Bolzano) ad usare la propietà di cui sopra per caratterizzare la
infinità:
Definizione (Dedekind 1872): un insieme si dice infinito se può mettersi in
corrispondenza biunivoca con una sua parte propria.
Quindi, cosa sorprendente, proprio questa confutazione del vecchio assioma
del “tutto maggiore di una sua parte” arriva a coincidere con una definizione
rigorosa e operativa di infinito in matematica.
Si badi bene che allora è un insieme finito che definiamo tramite l’ infinito, non
viceversa (come per secoli era accaduto). E tutto questo avendo a nostra
disposizione i tre concetti di insieme, sottoinsieme e corrispondenza biunivoca
tra insiemi. Il passo successivo è allora quello di indagare la prolificità della
definizione data. Una definizione in matematica ha tanto più senso quanto più
discrimina. Dobbiamo far vedere che esistono molti insiemi finiti e molti insiemi
infiniti. I secondi ci interessano particolarmente. Abbiamo già visto N. Questo è
infinito secondo la nostra definizione via la corrispondenza biunivoca
n < ---- > n2 . Ora, un qualunque insieme che sia equipotente a N diremo che
ha la potenza del numerabile. Tale aggettivo è significativo perchè ci indica la
possibilità di numerare gli elementi dell’ insieme dato (e cosa altro è una

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corrispondeza biunivoca con N se non un “assegnare” una “etichetta” con un


numero naturale ad ogni oggetto dell’ insieme di partenza?).
Quindi N è numerabile, per definizione. Suoi sottoinsiemi propri sono
numerabili. Si veda l’ insieme dei numeri pari 2N := {2n | n in N}. E’
numerabile via la corrispondenza n < ---- >2 n. Si possono fare molti altri
esempi. E insiemi più grandi di N?. E’ possibile esibirne di numerabili? (cioè in
corrispondenza biunivoca con N?). Sappiamo a questo punto che la apparente
controintuitività della domanda non deve fermarci. Iniziamo con l’ insieme degli
interi,
Z := {....-3,-2,-1,0,1,2,3...}.
Proviamo ad effettuare tale “numerazione”:
0 ------> 1, -1 ------> 2, 1 ---------> 3, -2 ------->4, 2 -------->5
ecc...
In sostanza:
n <---> 2n +1 per n≥0
n <---> 2|n| per n<0
Abbiamo numerato tutti gli interi! Allora Z è equipotente ad N , è cioè
numerabile ( o in modo più aulico ha la potenza del numerabile). Proviamo ad
ingrandirci ancora un pò. D’accordo Z è numerabile, ma in definitiva è molto,
forse troppo, simile ad N..........Procede di unità in unità come N e la sua
numerabilità può alla fine risultare intuitiva. Ma l’ insieme dei razionali, Q, non
è così. Quando diciamo che è un insieme denso, diciamo che tra due razionali
arbitrariamente vicini ce ne sono addirittura infiniti altri! Sembra che Q sia
tutto fuorchè numerabile. Ebbene no. Q è numerabile! Si può procedere infatti
in modo ordinato che segue. Un numero razionale r lo possimao scrivere come
r = p/q con q>0. (Supponiamo senza perdita di generalità la frazione essere
irriducibile). Il numero h := |p| + q lo chiamiamo altezza di r. Ad esempio la
altezza del numero 3/2 è 5. Lo è anche del numero –3/2 però. Proviamo a
raggruppare i numeri razionali per altezza.
Se h = 1 ho l’ insieme { 0/1 }
Se h = 2 ho l’ insieme { 1/1, -1/1 }
Se h = 3 ho l’ insieme { 2/1, 1/2 , -2/1, -1/2 }
Se h = 4 ecc.....

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Per ogni altezza h ho un numero finito di razionali di quella altezza. Allora ecco
come posso procedere alla numerazione:
h=1 h=2 h=3 h
=4
Q: 1 1/1, -1/1 2/1, 1/2 , -2/1, -1/2
ecc....
N: 1 2 3 4 5 6 7
ecc...

Quindi prendiamo ordinatamente tutti i numeri razionali di una determinata


altezza (sono in numero finito) e li disponiamo in fila. A ciascuno assegnamo il
numero naturale successivo al precedente. Tutti i razionali vengono coinvolti
(ogni razionale ha una sua altezza) e ad esso compete un solo naturale.
Abbiamo enumerato Q. Q ha la potenza del numerabile.
Ora si pone una questione fcruciale. Tutti gli insiemi infiniti visti sin d’ ora
hanno la stessa potenza: quella del numerabile. Possono accadere due cose, o
tutti gli insiemi infiniti sono equipotenti (e quindi hanno la potenza del
numerabile visto che abbiamo N come prototipo), oppure no. Nel primo caso
avremmo, nel finito, una...infinità di potenze (1 è la potenza che compete agli
insiemi con un solo elemento ecc...) tutte ordinabili. Nell’ infinito una sola
potenza: quella del numerabile.
Il 12 Dicembre 1873 Cantor dimostra che ciò e’ falso: non ogni insieme infinito
è numerabile . Tale risultato costituisce un passo gigantesco nel pensiero
filosofico e matematico assieme poichè consente di stabilire l’ esistenza di un
infinito attuale, accrescibile, non assoluto. Cantor si concentra su un
sottoinsieme di R, in particolare l’ intervallo (0, 1).
La dimostrazione che ne diamo è quella che Cantor stesso rielabora anni dopo
e che ha il grande vantaggio della chiarezza. Si procede negando la tesi.
Diciamo allora che è possibile enumerare tutti i punti dell’ intervallo reale (0,1).
Scrivendo allora tutti i numeri in (0, 1) con espansioni decimali tipo 0,a11 a12
a13 ........ con aij in {0, 1, 2, 3,...., 9}, si potrà avere, per ipotesi:

a1 = 0, a11 a12 a13 ........

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a2 = 0, a21 a22 a23 ........ 1)


a3 = 0, a31 a32 a33 ........
...
... ecc.
E tale sequenza esaurisce tutti i punti in (0,1) . (Nota: quel che segue, per
quanto ovviamente corretto, si presta a considerazioni di filosofia della
matematica che qui non ci riguardano, ma che tuttavia esistono).
Costruiamo dunque il numero
b = 0, b1 b2 b3 ........ con bk = 9 se akk = 1 e bk = 1
se akk ≠

Abbiamo che 1- il numero b è in (0,1)


2- esso non è nella numerazione data prima, come esaustiva. Non
vi è perchè le sue cifre decimali sono state scelte in modo da non
esservi.
Quindi abbiamo trovato un elemento di (0,1) non presente nella nostra
numerazione. Cioè (0,1) non è equipotente a N. Non è numerabile.
Ma (0, 1) è infinito? Banalmente si può verificare geometricamente che esso è
equipotente ad un qualsiasi suo sottointervallo. Si può vedere che R è
equipotente a (0,1) (e a qualsiasi intervallo della forma (a,b) ). Si tratta di
insiemi infiniti. Ma (0,1) “non è infinito come” N. Ha qualcosa in più. Abbiamo
insiemi infiniti come N, Q e Z (e altri) che si corrispondono biunivocamente e
insiemi come R, (0,1) e altri che si corispondono biunivocamente. Ma tra queste
due classi non ci può essere corrispondenza. Ha senso allora coniare un
simbolo per indicare tale proprietà.
Cantor assegna a N e agli insiemi ad esso equipotenti lo stesso “numero” che
descrive il loro “modo” di essere infiniti. In particolare, per gli insiemi visti
sopra lui conia il “numero” ℵ 0 (alef zero). E lo chiama primo numero cardinale
transfinito. Tali insiemi si dicono avere la potenza del “numerabile”. Dire quindi
che un insieme ha ℵ 0 elementi (anche se non precisa, ritengo che tale
locuzione sia didatticamente molto efficcace) significa semplicemente che ne
ha infiniti, certo, ma tanti quanti ne ha N (o Q, o l’ insieme dei numeri pari). In
definitiva l’ insieme si può numerare cioè si può stabilire, dati un elemento a,

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chi è il precedente di a e il successivo . Agli insiemi come R, lui assegna un


secondo numero transfinito C (che chiama potenza del continuo).
Riassumendo: esistono insiemi infiniti (secondo Dedekind), ed esistono almeno
due infinità distinte (il numerable e il continuo). (Qui termina la prima lezione)

Ne esistono altre?
Cioè esistono insiemi infiniti ma non equipotenti a N e a R?. La risposta è
affermativa. Ne esistono addirittura...infiniti.
Il ragionamento, anche qui geniale per quanto semplice, conduce Cantor a
considerare il fatto che un insieme finito A, diciamo di n elementi, permette di
costruire una insieme i cui elementi sono i sottoinsiemi di A. Lo indichiamo con
P(A). (Nota: introdurre un insieme i cui elementi siano insiemi non è operazione
priva di rischi. Anzi, proprio da termini come insieme di tutti gli insiemi e simili
nascono paradossi che ci obbligano a chiamare ingenua la teoria degli insiemi
di Cantor. Non è questa nota la sede per affrontare tali questioni).
Chiaramente P(A) ha sempre 2n elementi. Quindi A e P(A) non saranno mai in
corrispondenza biunivoca! Il successivo grande risultato di Cantor consiste nell’
aver esteso questo teorema al caso di insiemi arbitrari (anche infiniti!)

Teorema di Cantor: Dato un insieme arbitrario D, l’insieme P(D) non si può


porre in corrispondenza biunivca con D.

La Dimostrazione è al contempo semplice e sfuggente (meglio dire


linguisticamente sfuggente). Ma chiaramente corretta e didatticamente
efficacissima. Sia D allora un insieme infinito. Supponiamo di poter far
corrispondere biunivocamente i suoi elementi e i suoi sottoinsiemi. Ciò
significa che possiamo assegnare in modo inequivocabile ad ogni sottoinsieme
di D una etichetta con su scritto un simbolo (che è un elemento di D). I
sottoinsiemi sono “sacchetti “pieni di simboli. Noi prendiamo un simbolo
(appartenente o meno al sacchetto) e lo scriviamo esternamente al sacchetto.
Abbiamo, schematicamente:
D a b c d e f g h i l m n.....................
| | | | | | | | | | | |

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P(D) A B C D E F G H I L M N.................
Sia chiaro che in questo modo noi affermiamo di prendere tutti i sottoinsiemi di
D.
Ora, e qui viene il bello, l’elemento a può appartenere ad A o non appartenere
ad A. La associazione tra elementi e sottoinsiemi non ha nulla a che vedere col
fatto che gli elementi stiano nei sottoinsiemi cui sono associati.
Costruiamo (anche qui!) allora un insieme X fatto così: se a appartiene ad A
non lo mettiamo dentro X. Se invece a appartiene ad A (oltre che essergli
associato), lo mettiamo nel “sacchetto X. Passiamo poi a b, a c ecc..
E’ chiaro che X appartiene a P(D) (essendo un suo sottoinsieme). Ma allora
siccome la nostra corrispondenza è esaustiva, X deve avere associato un certo
elemento x di D. Ma x appartiene o no ad X ? Vediamo. Se appartiene allora
vuol dire che....deve non appartenergli (perchè X contiene elementi che non
appartengono agli insiemi loro associati)! Se non appartiene ad X allora....deve
appartenergli (proprio per come è fatto X)!. E’ un dilemma da cui non si esce.
Per inciso fa parte di quelle varianti sul tema del paradosso del mentitore che
non ci si stupisce mai di indagare e riscoprire. Insomma, la tesi affermata porta
a contraddizioni insuperabili, non rimane che negare la ipotesi. Non si può
mettere in corrispondenza biunivoca D e P(D). Nei nostri termini, P(D) ha allora
una cardinalità superiore a D (contiene al suo interno D stesso visto come
sottoinsieme banale di sè stesso). Questo teorema ci fornisce la risposta che
cercavamo. Possiamo, dato un insieme infinito, passare all’ insieme delle parti
e trovare una cardinalità superiore, e così via
card(D) < card(P(D)) < card(P(P(D))) < ........

In particolare, per N
ℵ0 = card(N) < card(P(N)) < card(P(P(N))) < ........

Più formalmente queste cardinalità vengono indicate con ℵ 0 , ℵ 1 ecc.


Un breve cenno ad una questione importante.
Abbiamo indicato con C la cardinalità di insiemi tipo R o (0,1) ecc. La potenza
del continuo cioè. Come si colloca C all’ interno della gerarchia sopra indicata?
Ora, Cantor riesce a costruire una corrispondenza biunivoca tra R e P(N). Di
conseguenza deduce che

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Teorema: C = card(P(N)) := ℵ1

Ma esistono numeri transfiniti tra C e ℵ 1 ? In definitiva noi abbiamo un


algoritmo per costruire cardinalità sempre più grandi e possiamo mostrare
come dal numerabile, applicando l’algoritmo una sola volta, arriviamo al
continuo. Nulla però vietà che esista un altro modo (o algoritmo) per
accrescere le cardinalità in modo tale che partendo dal numerabile si ottenga
al primo step una cardinalità intermedia tra ℵ 0 e C . L’ ipotesi di Cantor, detta
ipotesi del continuo è che non ne esistano. D. Hilbert, al congresso di Parigi
del 1900, pose proprio questa questione come primo problema della
matematica del secolo che si apriva. Nel 1936 Kurt Godel, e nel 1963 Cohen
dimostrano sostanzialmente che tale ipotesi si può accettare o rifiutare senza
cadere in contraddizione. Quindi è un problema indecidibile. In sostanza si
possono costruire teorie degli insiemi cantoriane o non-cantoriane, come si
possono costruire geometrie euclidee o non euclidee a seconda che si accetti o
meno il quinto postulato di euclide. L’ ipotesi del continuo assume un ruolo
analogo dunque al postulato delle parallele!

Ora, a conclusione, si può presentare uno schema che rende più “sistematica”
la disposizione dei numeri transfiniti data da Cantor.

_______numeri cardinali finiti________________numeri cardinali transfiniti________


1, 2, 3, 4, .............., n,......................, ℵ1 , ℵ 2 , ℵ 3 .............

Fu David Hilbert che riconobbe, in definitiva, la grande costruzione cantoriana


dicendo:
” ..nessuno ci scaccerà mai dal paradiso che Cantor ha creato per noi”.

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3. Complementi
In questa sezione si accenna a concetti utilizzabili per opportune estensioni
dell’ argomento (in dipendenza stretta dal tipo di classe in cui si sta
lavorando).

A volte, o sempre, succede che chi scopre un nuovo sentiero del pensiero sia il
primo ad avere stupore e difficile accettazione per ciò che sta scoprendo. Ciò è
accaduto a Planck, Einstein, Galileo e via discorrendo. Cantor non fa eccezione.
A dimostrazione dell assoluta controintuitività del percorso sul quale si è
incamminato, egli tenta di dimostrare che il numero di punti di un quadrato è
un transfinito maggiore di C (che è il transfinito che compete ad un singlo lato
di tale quadrato...) . Ma nel 1877 il suo stupore è grande quando riesce a
mettere in corrispondenza biunivoca un segmento e i punti di un quadrato!
Scrive infatti “..lo vedo ma non posso crederci!” Cantor aveva sperato che i
suoi transfiniti avrebbero permesso di “distinguere” i diversi ordini di spazio.
Così non è. Oggi sappiamo bene che tale equipotenza non è equivalenza
topologica, nel senso che la “dimensione” degli oggetti si fa sentire nella
discontinuità della applicazione biunivoca. Ma da un punto di vista infinitario
tale cosa non conta.

Altre interessantissie questioni sono:

1. Esiste allora in matematica un insieme con potenza ℵ 2 , a parte


ovviamente l’insieme di tutti i sottoinsiemi di R?
E’ possibile trovare un insieme con potenza ℵ 2 (oltre, ovviamente a
P(R))?
E’ possibile: 1- l’ insieme delle funzioni reali di x, e il ”numero” delle
permutazioni dei punti di una retta. Geometricamente, coincide con l’
insieme delle “curve” che si possono disegnare in qualsiasi “piccola”
porzione di piano.
2. Per ℵ 3 ? A parte P(P(R)), altri insiemi non se ne conoscono.

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Sembra allora che la scala degli infiniti di Cantor sia un poco


“sottoutilizzata”.....

Altro possibile argomento può essere l ‘artmetica dei transfiniti.

Michele Antenucci

4. Allegati
[1] Percorso.doc
Contiene lo schema delle lezioni. In più una serie di prerequisiti e obiettivi
specifici

5. Bibliografia
[1] Lucio Lombardo Radice, L’ infinito. Itinerari filosofici e matematici di un concetto di base Editori
Riuniti

[1] A.N. Kolmogorov, S.V. Fomin, Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale Edizioni Mir

[3] “Intorno al concetto di Infinito” note di Incitti&Sambusetti


(http://www.matuniroma1.it/didattica/orientamento_matricole/index.html)

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