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Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 139

VI.- LA MISSIONOLOGIA NEL PENSIERO CONTEMPORANEO

Il Vaticano II ci ha abituato a pensare la missione nel cuore della Chiesa. “La


Chiesa è missionaria” (LG 17; AG 6). Da questa definizione è nato un nuovo orizzonte
anche per la Missionologia, passata da uno studio della realtà operativa del missionario e
ad essa sottoposta, alle dimensioni ecclesiali di una più grande portata. La Missionologia
mette le proprie radici, sia nell’essere della Chiesa, adesso inconcepibile senza la
missionarietà, sia nella vita stessa di Dio nella sua manifestazione trinitaria. La missione
non è soltanto un fatto storico, ma si radica nel disegno d’amore del Padre nel quale
ritrova la sua origine, sviluppata attraverso la missione del Figlio e dello Spirito 1. William
B. Frazer, nell’esposizione di ciò che chiama “Nine Breakthroughs” (nove percorsi) nella
missionologia cattolica dal 1962 al 2000, interpreta così questo fatto: “ Dalla missione,
come funzione della Chiesa, alla Chiesa missionaria per natura sua ”. E riconosce che,
prima del Vaticano II, era comune pensare la missione come una fra le altre attività della
Chiesa. Accanto alla testimonianza e all’esercizio della vita spirituale, alle opere corporali
e spirituali di carità, alla dedicazione all’educazione, si collocava la chiamata a
proclamare il Vangelo nel mondo.
Questo concetto aveva senso fino a quando il termine “missione” incominciò ad
essere applicato, non soltanto alla Chiesa ma a Dio. Dalla scoperta del Dio missionario
molte cose sono cambiate nella comprensione della missione della Chiesa. La missione
non è qualche cosa che la Chiesa fa, ma la missione si radica nel mistero Trinitario; e per
la sua unione a questo mistero divino, la Chiesa è essenzialmente missionaria ( AG 2). La
missione si colloca in questo modo nel cuore di ciò che la Chiesa è e di ciò che la Chiesa
fa. In parole di Emil Brunner, “la Chiesa esiste per la missione come il fuoco esiste per
bruciare”2.

1. La “missio Dei” nel quadro della missionologia recente

1
Cf. COLZANI G., La missionarietà della Chiesa. Saggio storico sull’epoca moderna fino al Vaticano II ,
Dehoniane, Bologna 1975,103-156.
2
BRUNNER Emil, The Word and the World, Charlkes Scribner’s Sons, New York 1931, 108; cf. FRAZIER
William B., Nine Breakthroughs in Catholic Missiologys 1965-2000 , in International Bulletin of Missionary
Research, 25, 2001, 9-14.
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Il tema della missio Dei nell’ambito del pensiero missionologico è sviluppato,


prevalentemente, dai teologi protestanti, quando questi tentano di trovare un posto alla
missione lontano dalla realtà storica della Chiesa3.
a) Karl Barth è stato il primo critico dell’attività missionaria. Per lui la missione è
servizio alla Parola; obbedienza alla Parola. Barth fu uno dei primi ad articolare la missione
come un’attività di Dio stesso e può essere considerato il primo esponente del nuovo
paradigma teologico che rompe radicalmente con un approccio illuministico alla teologia.
A partire dalla missio Dei, la missione si concepisce come derivante dalla natura propria di
Dio, cioè di un Dio “personale”. Essa si colloca nel contesto della dottrina trinitaria, non in
quello della ecclesiologia o della soteriologia. La dottrina classica della missio Dei dove Dio,
il Padre che invia il Figlio e Dio, Padre e Figlio, che inviano lo Spirito, si estende fino ad
includere qualsiasi altro “movimento”: Padre, Figlio e Spirito Santo che inviano la chiesa nel
mondo. Parlando della missio Dei è importante fare riferimento alla Trinità, poiché non c’è
altro modo di concepire Dio se non in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo. Come scrive J. A.
Kirk4, non esiste altro Dio. Parlare della missio Dei è sinonimo di parlare della missio
Trinitatis. Non esiste un Dio missionario senza un riferimento alla Trinità; su questo
sembrano d’accordo tutte le confessioni cristiane5.
Barth colloca l’origine della missione nella dottrina trinitaria e, più specificamente,
nella cristologia. Con questo si pone contro un’interpretazione meramente speculativa della
missione Trinitaria. L’incarnazione, la croce e la resurrezione portano a prendere
responsabilmente la storia e a comprendere la missione come un impegno nel mondo.
Nella Croce vediamo come Dio prende responsabilmente il mondo e come lo giudica. Nella
Croce riconcilia il mondo a sé. La Chiesa è inviata al mondo sotto il segno della Croce. La
missione ha le fondamenta nella Trinità, ma si concentra nella Cristologia perché questa
mette in risalto l’ingresso di Dio (la sua missione) nel mondo. La missione è una nuova
dimensione della relazione di Dio con il mondo. E’ l’ultima e definitiva relazione di Dio. Non
ci sarà altro Salvatore. La fondazione trinitaria della missione si manifesta nella
pneumatologia. Lo Spirito è presenza di Cristo e continua la missione di Cristo.

3
Cf. COLZANI G., La teologia della missione dopo il Vaticano II, in M. ROSTKOWSKY (ed.), La missione
senza confini. Ambiti della missione “ad gentes”, Roma 2000, 47.
4
KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations, Darton, Longman and Todd Ltd., London 1999,
27.
5
Cf. SCHERER James A., Church, Kingdom and “Missio Dei”: Lutheran and Ortodox Correctives to recent
Ecumenical Mission Theology, in VAN ENGEN Charles, Dean GILLILAND and Paul PIERSON (edd.), The
Good News of the Kingdom: Mission Theology , Orbis Books, Maryknoll, New York 1993; BASSHAM Roger,
Mission Theology: 1948-1975, in Occasional Bulletin of Missionary Research, 1980/2.
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b) Conferenza di Willingen: il termine Missio Dei ha fatto strada, dopo che, finita
la Conferenza del Consiglio Missionario Internazionale a Willingen (1952), nella quale, in
parole di D. Bosch, “la missione fu intesa come derivata dalla natura stessa di Dio e fu
collocata nel contesto della dottrina della Trinità, e non in quello dell’escatologia o della
soteriologia”6; il teologo barthiano Karl Hartenstein la pubblicizzò7. Willingen
“riconobbe che la Chiesa non poteva essere, né il punto di partenza, né lo scopo della
missione. L’opera salvifica di Dio precede, sia la chiesa, sia la missione. Non dobbiamo
subordinare, né la missione alla chiesa, né la chiesa alla missione; l’una e l’altra vanno,
invece, assunte nella missio Dei, assurta al ruolo di concetto dominante. La missio Dei
istituisce le missiones Ecclesiae. La chiesa si trasforma da mittente in mandata”8
“La nostra missione è priva di vita propria: può essere detta veramente missione
soltanto nelle mani di Dio che invia, anche perché l’iniziativa missionaria viene soltanto
da Dio”9. “La missione è Dio al lavoro” (G.F. Vicedom). La dinamica non è più: Dio-
Chiesa-Mondo; ma Dio-Mondo-Chiesa; e la missione di quest’ultima è strumentale e di
servizio. Dio s’indirizza, in primo luogo, al mondo. Infatti, nel mondo nel quale la Chiesa
lavora, Dio è già presente.
L’immagine della missione a Willingen è quella della missione che partecipa all’invio
di Dio. La nostra missione non ha vita in sé stessa: solo nelle mani del Dio che invia può
essere veramente chiamata missione, dal momento che le iniziative missionarie procedono
unicamente da Dio. Nella nuova immagine, la missione non è una attività della chiesa, ma
un attributo di Dio. Dio è un Dio missionario10. La missione è il movimento da Dio al mondo;
la chiesa è uno strumento di questa missione. Vi è la chiesa perché vi è la missione e non
viceversa. Partecipare alla missione è partecipare al movimento dell’amore di Dio verso il
popolo, giacché Dio è la fonte dell’amore inviato; cosicché quello che chiamiamo missione
è partecipazione alla Missione di Dio; Dio è il soggetto della missione, della quale la Chiesa
partecipa). “Non siamo arruolati in una impresa di nostra scelta o di nostra immaginazione.
Siamo invitati a partecipare in una attività di Dio che è lo stesso centro della creazione”11.

6
Cf. La trasformazione della missione, 539.
7
Cf. JONGENEEL J.A.B.-ENGELEN J.M.Van, Contemporary Currents in Missiology , in VERSTRAELEN F.J. et
alii (edd.), Missiology. An Ecumenical Introduction, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, Michigan 1995, 447.
8
BOSCH D.J., La trasformazione della missione, 513.
9
Ib., 539.
10
Cf. AAGAARD Johannes, Trends in Missiological Thinking during the sixties , in: International Review of
Mission, 62, 1973, 11-15.
11
NEWBIGIN Lesslie, The relevance of trinitarian doctrine for today's mission , CWME Study Pamphlets 2,
Edinburgh House Press, Londra 1963, 78.
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Il pensiero di Willingen sulla missio Dei può essere riassunto così: 1) Dio è il vero
fondamento della missione; questa nasce dalla stessa natura di Dio. La sua fonte è la Trinità.
La missione non ha esistenza propria; non è autonoma; soltanto si spiega a partire
dall’iniziativa del Dio che viene. Dal momento che Dio interviene nella storia, la chiesa è
serva e segno della presenza di Dio che attua nel mondo. 2) Il concetto di missio Dei non è
trionfalistico. C’è un legame indissolubile tra la missio Dei e la missione di solidarietà con
Cristo incarnato e crocifisso. La vittoria non è un termine missionario; dobbiamo avere
l’umiltà per non sviluppare i nostri programmi, ma collocarci al servizio di Dio nel mondo,
mediante la preghiera e il discernimento. 3) La Chiesa, in quanto frutto e non origine della
missione, deve rispondere con l’obbedienza della fede e con la vita di testimonianza. Qui si
trova la fonte dell’obbligo missionario della Chiesa. 4) Questa solidarietà della Chiesa con il
mondo, che le converte nel popolo di Dio nel mondo, è caratterizzata dalla testimonianza di
“ciò che Dio ha fatto e farà”12.
Il termine missio Dei diventa pubblico nella missionologia con D. G. Vicedom e con
la sua opera Missio Dei (München 1958; St. Louis 1965)13. “Al presente abbiamo adottato
la locuzione missio Dei per ridefinire ciò che è necessario oggi intendere per missione”14.
Vicedom lamenta il fatto che “fino ai nostri giorni, (la missione) sia rimasta sotto il segno
dell’apologetica”. Ritiene indispensabile “rifondare la concezione della missione”, senza
“perdersi in discussioni senza fine”. Vicedom parte non dagli uomini, ma da Dio. Rifacendosi
alla dichiarazione di Willingen, riprende quanto ha detto K. Hartenstein: “La missione non è
solo obbedienza al comando del Signore, non è solo un obbligo a riunire la comunità; essa è
partecipazione alla missione del Figlio, alla missio Dei, e mira a stabilire la signoria di Cristo
su tutta la creazione redenta”15.
Chiesa e missione, secondo Vicedom, non sono realtà autonome, ma hanno la loro
sorgente nella volontà e nell’amore di Dio 16. La missio Dei è più ampia della missione della
Chiesa. La Chiesa è solo parte della missione del Dio Trino. Il soggetto attivo della missione
è Dio. La missione ha la sua fonte e il suo fondamento nella missio Dei. In quanto

12
ZORN Jean-François, Changes in the World of Mission and Ecumenism, 1947-1963 , in International
Review of Mission 88, 1999, 284.
13
Cf. LOPEZ-GAY J., La misionología posconciliar, in Estudios de Misionología 1: A los diez años del
decreto “ad Gentes”, Burgos 1976, 16-24; per uno studio dettagliato sulla missio Dei, vedasi ROSIN H.H.,
1972, Missio Dei: an Examination of the origin, Contexts and Function of the term in Protestant
Missiological Discussion, Interuniversity Institute for Missiological and Ecumenical Research, Leiden 1972.
14
POTTER Ph., Missio Dei, in IDOC, 23/24, 1968, 2.
15
VICEDOM D.G., Missio Dei. Einführung in eine Theologie der Mission , Kaiser, München 1958, 12; (tr.
inglese The mission of God: An Introduction to the Science of Mission , Concordia Publishing House, St.
Louis, 1965).
16
Cf. VICEDOM D.G., Missio Dei, 14; MÜLLER Karl, Teologia della Missione, 91.
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partecipazione è imitazione della missio Dei. La Chiesa è come un discepolo che segue il
suo maestro passo a passo. E il maestro è vissuto nel mondo e al mondo si dirige la attività
missionaria, questo è il suo orizzonte. E, dato che il modello della missione risiede nelle
missioni intra-trinitarie, “il suo servizio è stabilito dal divino e il senso e contenuto dalla sua
azione è determinato dalla missio Dei” (1958:14). Messa in stretto collegamento con la
dottrina trinitaria, la missione diventa espressione dell’incomparabile signoria di Dio, cioè la
prosecuzione della sua opera salvifica, attraverso la trasmissione della salvezza.
L’amore di Dio si rivela in modo speciale in Gesù Cristo, che è stato mandato per la
salvezza degli uomini. La missio Dei è la missione di Cristo; Cristo solo è nel cuore della
testimonianza della Chiesa; non vi è altro Signore che lui; così, l’ecclesiologia gira intorno
alla cristologia. Dato che l’azione di Dio abbraccia tutti gli uomini, anche la missione non
può essere intesa in modo personalistico. Si tratta del potere di Dio o, ciò che è in fondo la
stessa cosa, della sua signoria regale. Il passaggio dalla signoria regale di Dio a quella di
Gesù Cristo è facile, dal momento che Gesù è “colui che viene nel nome del Signore” ( Mt
21,8), al quale si addicono tutti gli onori regali a causa della sua glorificazione nell’alto dei
cieli. La signoria di Dio e Gesù Cristo sono perciò una sola ed identica cosa; perciò, chi
annuncia il nome di Gesù, annuncia anche la signoria di Dio. Gesù è la risposta di Dio alle
domande degli uomini e quindi il contenuto dell’annuncio del regno17.
Per la maggior parte dei missionologi, la missio Dei significa che l’azione salvifica di
Dio non si lega alla mediazione della Chiesa la quale, al massimo, può rappresentare un
momento nel quale si manifesta la presenza di Dio. E’ solamente Dio colui che attua nella
storia del mondo. La missione della Chiesa non è coestensiva con la missione di Dio. Dio
guida e salva il mondo; in questa maniera, Dio manifesta la sua presenza salvifica negli
avvenimenti secolari e attraverso di essi. Il contesto della missione è la storia.
In questa prospettiva, che colloca l’origine della missione della Chiesa nel cuore di
Dio (cf. AG 2), la missione è vista come Mistero18. Amaladoss, partendo dal testo di RM 28:
“La presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i
popoli, le culture, le religioni”, guarda questo movimento universale della missione del
Verbo e dello Spirito come il contesto cosmico nel quale dobbiamo collocare la missione
della Chiesa e la nostra propria missione. Questa non sostituisce la missione divina, ma
siamo chiamati e siamo inviati a farla progredire e, contribuendo così, al suo compimento.
La Chiesa è il simbolo e la serva di questa missione. L’universo non si divide tra persone che
17
Cf. MÜLLER Karl, Teologia della Missione, 92.
18
Cf. AMALADOSS M., 1995, Les nouveaux visages de la mission, in La Documentation Catholique n.2112,
1995, 290-291.
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si salvano, a motivo del battesimo, e persone che si condannano perché non l’hanno
ricevuto. Dio non abbandona il suo popolo. Cristo e il suo Spirito sono presenti nel mondo in
un modo misterioso per noi. “Il nostro compito è, quindi, di scoprire e d’ingrandire questa
presenza e questa azione”19 .
La critica a questa teoria della missio Dei considera che essa si espressa in termini
molto vaghi di “sovranità di Dio” o di “azione di Dio nel mondo”, senza il rapporto con la
Chiesa e non di rado anche senza il legame con l’opera redentrice di Cristo 20. Il concetto
teocentrico della missione è interpretato con un esclusivismo che svuota il vero contenuto
della missione cristiana. La missione non è degli uomini, né della Chiesa, ma un predicato
esclusivo di Dio. Il Dio della Bibbia è un Dio missionario perché è Lui che attua la salvezza
quando e come vuole secondo i suoi disegni imperscrutabili. “Quando teologizziamo sul
concetto della missio Dei, la realtà della missione ecclesiale scompare o viene ridotta a una
partecipazione esterna, attraverso immagini e simboli, nell’unica realtà salvifica che è la
missio Dei operante nel mondo. Contemporaneamente, il concetto di Regno di Dio passa in
primo piano”21. Quest’impostazione introduce una serie di rischi; per esempio, è bene
distinguere tra la missio Dei e la nostra; ma possiamo evidenziare la distanza eccessiva tra il
divino e l’umano, il celeste e il terrestre, l’eterno ed il temporale. La missio Dei scompare nel
cielo e la Chiesa si riduce ad una impresa umana. Analogamente, la Parola di Dio e la parola
umana si mettono talmente in contrasto, cosicché la Parola di Dio diventa impenetrabile
mentre le parole umane risultano incapaci di comunicare il Vangelo; la missione della
Chiesa scompare dietro gesti, indicazioni o segni di alcuna vaga trascendenza celeste. In
contrasto, si genera un’altra posizione ugualmente pericolosa: l’immanentismo; un nuovo
sforzo per fare discendere nuovamente Dio sopra la terra; è quello che si è chiamato “Dio
nell’intimo”. Sicuramente, la Chiesa può apparire come “superata” e non utile per la
missione; tuttavia, scrive J.A. Kirk, “in un modo o in un altro, la Chiesa è nel cuore della
missione di Dio”22. Ciò che bisogna purificare è anche i modelli di Chiesa che si trovano in
contrasto o che contraddicono l’idea di missione.
Quando si pensa la missione in termini di “ missio Dei” non è per contrapporre
questa alla “missione degli uomini”. Alla luce dell’Antico Testamento si è sviluppata questa
19
Ib., 291.
20
Cf. LOPEZ-GAY J., Missiologia contemporanea, in AA.VV., Missiologia oggi, Urbaniana University Press,
Roma 1985, 98-99; WOLANIN A., Linee attuali della “Theologia missionis” , in AA.VV., Cristo, Chiesa,
Missione. Commento alla Redemptoris Missio, PUU, Roma 1992, 37-39.
21
LOPEZ-GAY J., La misionología posconciliar , in Estudios de Misionología 1: A los diez años del decreto
“ad Gentes”, Burgos 1976, 20.
22
KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations, Darton, Longman and Todd Ltd., London 1999,
205.
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teoria degli opposti, che non ha ragione di essere. Si è ritenuto che la missione nell’AT fosse
centripeta, mentre quella del NT sarebbe centrifuga. In Occidente la missione è stata
sempre concepita come centrifuga, il che ha portato a dire che “la differenza decisiva fra il
Vecchio e il Nuovo Testamento è la missione”. Certo che c’è una differenza radicale tra il
modo di concepire la missione nel Vecchio e nel Nuovo Testamento; ma questa differenza
non si può definire come centripeta e centrifuga. Questa è una differenza molto relativa.
Infatti, anche nel NT abbiamo connotazioni centripete: gli astrologi, cioè i magi, vengono a
Gerusalemme (Mt 2) per trovare il Salvatore; cf. Lc 2, 31-32; il tempio è anche luogo di
preghiera per tutte le nazioni (Mt 11,17); il romano viene a Gerusalemme (Mt 5,8) e anche i
greci (Gv 12,20). Cioè, la salvezza si deve trovare a Gerusalemme.
In secondo luogo, questa distinzione ci fa pensare che solo la dimensione centrifuga
serve a definire la missione; e che basta attraversare le frontiere geografiche per parlare.
Ma ciò non è tutta la missione. Ancora, si pensa che la missione nell’A. Testamento è opera
esclusiva di Dio, mentre quella del NT sarebbe opera esclusiva dell’uomo. L’attività di Dio
escluderebbe quella dell’uomo; quasi che Dio fosse nemico dell’uomo. Dio, infatti , non è né
in competizione con l’uomo, né contro l’uomo. Si può parlare, invece, di una tensione
dialettica e creatrice tra l’opera di Dio e quella dell’uomo.

2. Nuove prospettive
2.1. Partecipazione dei cristiani alla storia del mondo
A Willingen, come abbiamo visto, si approva la posizione di Barth: il fondamento
della missione si colloca nella Trinità; la missione prende forma di un servizio cristiano, e la
Croce costituisce il centro; è la missione sotto la croce. N. Goodall, nella sua opera Missions
under the Cross (Londra 1953), fa un bilancio dei nuovi obiettivi: - riesaminare la relazione
fra la storia in quanto tale e la storia della salvezza; - le relazioni tra creazione e grazia. Vi si
attribuisce maggiore importanza alle vie degli uomini, che sono anche vie di Dio. La
questione è: cosa significa la missione come avvenimento di questi tempi? - La prospettiva
escatologica, accettata come orizzonte teologico della missione, acquista capitale
importanza. Vi è solo rinnovamento dallo Spirito. Bisogna comprendere la relazione tra lo
Spirito e gli obiettivi apostolici della Chiesa.
In questo modo si pone la questione di sapere se gli avvenimenti della storia
generale del mondo debbono essere integrati nella prospettiva del piano di salvezza. La
teologia di tipo “Heilsgeschichte” (storia della salvezza) sembra fortemente stabilizzata
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come base essenziale della missione23. La storia non è soltanto il “contesto”, ma il “testo”
della missione24. I teologi protestanti sono d’accordo nell’affermare che l’estensione e
l’influenza della missione debbono essere simili, a tutti gli effetti, all’importanza dell’opera
di Dio in e per il mondo, se la missione deve essere fondata nella missio Dei. La ricerca
appassionata di una apertura efficace della missione alla dimensione del mondo è, senza
dubbio, la caratteristica principale della missionologia protestante, con la conseguente
alienazione crescente in relazione alla Chiesa.
La missione si dirige al mondo; esiste per quelli che sono fuori le mura; l’esistenza
missionaria è un’esistenza per, tutta orientata verso gli altri. Il mondo è il luogo delle
operazioni della missio Dei. La storia del mondo è un concetto chiave della nuova
missionologia. Dio parla agli uomini nella loro storia, attraverso la storia, che è la storia della
salvezza. Si insiste sull’unicità della storia dell’umanità e della salvezza. Partecipare alla
missio Dei è entrare nella storia associati alla sua opera, cioè, alla realizzazione del suo
disegno nel mondo e nei processi storici; è vivere impegnati nella storia presente, e aperti
alle nuove responsabilità del mondo. La teoria della missio Dei vuole staccarsi da una
concezione ecclesiocentrica, in forza alla quale il Regno di Dio è incapsulato nella Chiesa,
come se il mondo fosse escluso dall’azione di Dio o ne fosse raggiunto solo mediante la
Chiesa. La missione dei cristiani è, invece, partecipazione dei cristiani alla storia del
mondo25. Nella Conferenza di Willingen, Hoekendijk denunciò il pensiero ecclesiocentrico,
affermando che l’interesse doveva essere spostato alla missio Dei, all’azione di Dio per il
mondo26. “Missione” e “missioni” divengono semplicemente abbreviazioni
dell’adempimento di responsabilità sociali, poiché non esiste alcuna attività umana per il
mondo che non sia in se stessa missione. Bosch afferma che “la questione non sono tanto le
parole pronunciate da Dio nella Bibbia, quanto ciò che egli va compiendo oggi nel mondo.
Il «divino» va sperimentato soltanto nel rischio e nell’impegno storico, poiché Dio è tale
soltanto in quanto agisce nel mondo. I cristiani, pertanto, possono riconoscere la loro
missione soltanto in mezzo ai processi mondani. Dove vi è stata la liberazione alla vera
umanità, possiamo concludere che la missio Dei ha raggiunto il suo scopo”27.

23
Cf. BLAUW Johannes, The Missionary nature of the Church, McGraw-Hill Co., New York 1962.
24
RÜTTI Ludwig, Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen , Chr. Kaiser
Verlag, München 1972, 232.
25
Cf. CANOBBIO Giacomo, La teologia della missione dal vaticano II ad oggi , in Ad Gentes, 1, 1997, 140.
26
Cf. HOEKENDIJK J. Ch., The Call to Evangelism, in International Review of Missions 39, 1950, 162-175; ID.,
The Church in Missionary Thinking, in International Review of Missions 41, 1952, 324-336
27
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 700-701.
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Questa storicità del mondo evidenzia il concetto dei suoi limiti, della necessità di
cambio, e apre, allo stesso tempo, la prospettiva alla speranza; la storia si muove sotto
l’azione divina verso una più completa realizzazione della perfetta escatologia secondo le
promesse di Dio. La missio è una pro-missio. All’interno di questo nuovo orizzonte
missionologico si dà facilmente appuntamento la teologia della speranza e della
rivoluzione. Al tempo della Conferenza del WCC di Città del Messico (1963) è il mondo che
ordina l’agenda della Chiesa missionaria. Dobbiamo chiederci che cosa Dio sta attuando nel
mondo religioso, secolare e sociopolitico. Il mondo è il centro della riflessione
missionologica, non la chiesa. Nel momento della riflessione teologica sopra la missione, lo
schema non è: Dio-Chiesa-Mondo, ma Dio-Mondo-Chiesa. Il mondo impone il criterio
ermeneutico per interpretare le categorie teologiche come evangelizzazione e missione.
Insieme ai concetti di “Missio Dei” e di “missiones” appare quello di “missio hominum”
(Gensichen); secondo questi concetti dovremmo capire oggi l’opera fatta a servizio alla
società, come ispirata, guidata e diretta da Dio. La missionologia moderna afferma che Dio
attua nella storia. Certamente, gli eventi della storia della salvezza non coincidono con
quelli della storia del mondo. In questa esiste il peccato e i poteri demoniaci, contro i quali
si scaglia l’azione di Dio, Giudice e Liberatore. Questa tematica della missio Dei studia il
discernimento dell’attuazione di Dio nella storia e come la missio ecclesiarum si trova
impegnata in questo processo di discernimento di queste attuazioni divine. La missio
hominum significa che ogni azione diretta alla liberazione, cioè, orientata alla salvezza, è in
relazione con la missio Dei e si trova nella prospettiva del regno messianico28.
All’interno di questa corrente prende anche rilievo il concetto di Regno di Dio,
come regno escatologico. La missione è la realizzazione del Regno. I discepoli non
aspettano il Regno, ma portano Cristo al mondo; non è sufficiente la testimonianza di
Cristo; attraverso la nostra attività Dio si realizza. Si accusò questa teologia di ignorare la
cristologia, soprattutto per il suo dimenticarsi dei comandamenti di Cristo, anche se sembra
che ci sia stato un recupero sul tema cristologico. Così, nell’Assemblea di Uppsala (1968),
John Taylor, presentando il tema “Rinnovamento della missione”, affermava: “Dobbiamo
arrivare alla conclusione, credo, di non potere parlare di umanità nuova senza aver parlato
prima dell'uomo nuovo. In Gesù di Nazaret vediamo l’umanità nuova in una vita di uomo. La
resurrezione manifesta il carattere definitivo, che è in continuità con la sua vita e la sua
morte... Questa visione delle cose ci permette di affermare che il nostro pensiero sulla
missione è cristocentrico. Cristo è colui che è stato inviato. E qualunque altra missione si
28
Cf. VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology, 4-5.
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deriva da questa prima missione. Per questo motivo, l’espressione consacrata Missio Dei
racchiude in sé un vero pericolo. Sebbene si utilizzi per accentuare l’iniziativa divina, lo si fa,
tuttavia, in maniera tanto vaga, da includere tutta l’azione di Dio attraverso il tempo e lo
spazio, come se - con il solo chiederlo - Dio potesse aver realizzato, senza Gesù Cristo, il
rinnovamento dell’uomo”29.
A proposito della missionologia, scrive il prof. Hans-Werner Gensichen, in
quest’epoca “si possono distinguere due tendenze. Secondo la prima, la missionologia ha
come oggetto l’«organizzazione missionaria» in quanto tale della Chiesa, eventualmente
fino all’estremo di considerarsi come «scienza del missionario e per il missionario». In
questo senso, essa tratta della storia, della geografia e della statistica della missione, della
sua morfologia e fenomenologia e naturalmente anche della ricerca e dello sviluppo del
metodo missionario. Così, come pensava Karl Graul quasi un secolo e mezzo fa, può forse
«passare dalla semioscurità della fede sentimentale alla luce meridiana di una scienza
credente». Ma è perlomeno dubbio che possa diventare qualcosa di più di una teoria di una
determinata prassi stabilita e che debba necessariamente riscuotere un qualche interesse
da parte delle altre discipline teologiche.
Nella seconda tendenza, ruolo e compito della missionologia sono stati interpretati
in un senso diverso e più ampio. Questo è deliberatamente avvenuto, in tempi più recenti,
soprattutto là dove la missione si è andata sempre più liberando dal legame con le sue
istituzioni portanti, compresa la Chiesa e la sua forma concreta, per cui è stato possibile
assegnarle una nuova collocazione e porla in una relazione cristiana generale e radicale con
il mondo. Si tratta di un tentativo che, in campo protestante, viene associato al nome e
all’opera del missionologo olandese J. C. Hoekendijk e, in campo cattolico, a Ludwig Rütti e
al suo maestro Johann Baptist Metz. Naturalmente, in questa seconda tendenza, c’è una
certa varietà di accentuazioni, ma l’intenzione e la presentazione nelle grandi linee
concordano. La missionologia non deve e non può avere nulla a che fare con l’attività
missionaria, intesa nel senso di propaganda finalizzata all’aggregazione di nuovi membri
alla Chiesa, e tanto meno con la trasmissione di una fede istituzionalmente condizionata. Il
suo oggetto è piuttosto una prassi della missione, nella quale l’ordine del giorno dei lavori
viene stabilito dal mondo, per cui il messaggio cristiano viene anzitutto inteso come un
annuncio di promesse (salvezza) in stretto collegamento con il mondo, la storia e la società,
un annuncio che non ha più bisogno di alcuna mediazione da parte della tradizione e della

29
WCC., Drafts for Sections, prepared for the Fourth Assembley of WCC (Uppsala 1968), Geneve 1968,
57-58.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 149

gerarchia. Dal punto di vista del contenuto, strettamente parlando, si tratta di una prassi
che può sussistere anche senza una specifica determinazione cristiana. E’ infatti orientata al
shalom, all’«invito alla pace» nel senso più ampio del termine, a quella pace nella quale
trovano il loro compimento tutti gli aspetti della vita umana”30

2.2. Missione senza Chiesa (J. Ch. Hoekendijk)31


a) Una nuova antropologia
Johannes Christian Hoekendijk, della Chiesa Riformata Olandese, missionario,
teologo, padre del “out-churchism”, ha avuto un profondo influsso nell’attuale
missionologia. L’autore parte da una constatazione di fatto: le sollecitudini della gente di
Chiesa sono rivolte ad un uomo che, per quanto si sia allontanato dalla Chiesa, ha ancora
molto in comune con questa. L’uomo, o “terzo uomo”, è il prodotto della civilizzazione
classica dell’Occidente “cristiano”. Anche se non è proprio “da chiesa”, ci sono ancora tanti
elementi che lo accomunano, perché la tradizione, che in lui e diventata carne e sangue,
non l’ha mai messo del tutto fuori: sociologicamente e ideologicamente è rimasto una
figura alla periferia della Chiesa.
Ma questo uomo è già stato sorpassato. Ecco avanzare all’orizzonte il nuovo tipo di
uomo, definito come “il quarto uomo”, il nostro compagno di viaggio. E’ caratterizzato da
un numero: non ha ancora un nome, che porterebbe l’inizio di una definizione. Lo si può
presentare come un “ribelle conformista”. Non è un rivoluzionario, che crede che le cose
possono essere differenti e ha speranza di costruire il futuro. Il “quarto uomo” si presenta
come uno che ha perso la fede e la speranza. Si conforma. Si identifica completamente alla
situazione. Il suo simbolo non è Prometeo, il rivoluzionario; il suo eroe invece è Sisifo, l’eroe
della assurdità. Nel 1942, A. Camus ha scritto il suo Le Mythe de Sisyphe. Sisifo cammina
avanti, anche se sa che non vale la pena, perché il futuro non contiene nessuna promessa.
Sisifo si sforza per non apprendere la speranza. Il fastidio di fronte alla vita è una delle
caratteristiche della esistenza sisifea. Questo tempo nuovissimo che viviamo è un “post”
tempo, analogamente a quello che è il “quarto uomo”, chiamato un “post” fenomeno. Si
vive in una situazione caratterizzata come:
- Post-cristiana: è passato il periodo in cui la “Cristianità” era praticamente
un’opzione di vita. E' vero che si conserva ancora qualcosa che continua ad adornare di
“cristiano” le circostanze limiti della nascita, del matrimonio, della morte. In questi momenti
30
GENSICHEN H.-W., Missiologia, disciplina teologica, 22-24.
31
Cf. COFFELE G., Johannes Christian Hoekendijk. Da una teologia della missione ad una teologia
missionaria, Roma 1976.
150 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

il lumicignolo cristiano arde ancora. La constatazione è della massima importanza per


l’attività evangelizzatrice. Essere missionario non comporta passare le frontiere e gli oceani,
ma lavorare con i vicini di casa, ricaduti nel paganesimo primitivo. E’ sbagliata la tattica
dell’“evangelizzazione del risveglio”. Non c’è niente che possa essere “risvegliato”. Si deve
dare inizio a un’evangelizzazione che cominci da capo. Un “inizio” che non è solamente
proclamato, ma reso credibile perché vissuto in una comunità e praticamente dimostrato
nel servizio. L’evangelizzazione in una situazione post-cristiana deve lasciar da parte ogni
aspetto di movimento di rinascita e deve essere un vero lavoro di missione.
- Post-ecclesiastica: L’uomo di Chiesa e il “quarto uomo” parlano linguaggi
inintelligibili. Anche l’immagine vicendevole è alterata. Per questa alterazione, quelli di
fuori vedono la gente di Chiesa vivere uno stile semplicemente irritante. Le virtù che costoro
praticano sono totalmente deformate. Nessuno vuole avere niente a che fare con una
Chiesa simile. Ma ciò che praticamente allontana definitivamente il “quarto uomo” dalla
Chiesa è constatare che essa si è identificata con la cultura del “terzo uomo”. Il Pastore è
considerato come il “professionista di Chiesa”; uno straniero in questo mondo del “quarto
uomo”. Costui non sarà adeguato per l’apostolato e, conseguentemente, gli organismi di
apostolato si dovranno distanziare quanto più possibile da tutto ciò che sappia “di-chiesa”.
- Post-borghese: Il mondo della classe media, come si è definita la borghesia, non
domina la nostra società mentre per secoli il Vangelo è stato presentato secondo categorie
borghesi. L’evangelizzazione è caratterizzata dalla predicazione e dall’espansione
dell’atmosfera culturale borghese. L’attesa era che il convertito esprimesse la sua fede nei
tradizionali simboli borghesi; che, cioè, che reagisse come un tipico uomo di “classe media”.
Al contrario, sono stati commessi errori avvicinando il compagno di viaggio con mezzi
“moralistici” ed “apologetici”, con una fiducia cieca nella “parola” come mezzo per la
comunicazione, nella convinzione che il quarto uomo avesse solo bisogno d’essere scosso
dalla sua sicurezza nel regno del finito. Gli uomini-di-chiesa vogliono imporre a tutti il loro
modello-di-vita-da-chiesa. Da qui la loro intransigenza nell’esigere la più assoluta
uniformità. Non si tollera la diversità e non si capisce la necessità del pluralismo. Seguendo
questi schemi operativi è inevitabile che il “quarto uomo” interpreti il nostro apostolato
come propaganda.
- Post-personale: Nel nostro apostolato non abbiamo a che fare con gente pronta a
una “decisione personale”. Una delle caratteristiche di questo nuovo tipo di relazioni
umane è la “de-personalizzazione”. “Nella vera città ci si incontra poco con ‘uomini’, ma
piuttosto in esemplari di collettività anonime”. In queste circostanze la massa non è in grado
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 151

di fare scelte personali; si dovrebbe quindi lavorare nel contesto di gruppi e non più diretti
alla persona. In questo contesto si dovrebbe operare come nelle terre di missioni, dove la
società arcaica è strutturata comunalmente e quindi spesso si vive situazioni pre-personali
mentre solo il gruppo attua. L’apostolato, conseguentemente, dovrà avere un maggior
orientamento sociale.

b) La Chiesa: isola nel mondo post-cristiano


L’errore storico della Chiesa consiste nell’essersi voluta mantenere saldamente
ancorata al passato attraverso strutture, legislazione, stile di vita, sistemi di privilegi che non
solo non dicono niente all’uomo contemporaneo, ma addirittura lo allontanano irritato da
essa. La fine stessa della missione come “plantatio Ecclesiae” è il simbolo del movimento
d’espansione di una Chiesa che estende i suoi tentacoli per dominare. “Una simile Chiesa
diventa intelligibile e capisce se stessa come portatrice di una cultura religiosa, però non
come avanguardia della nuova umanità”. Generalmente si assiste al fatto che le giovani
Chiese “plantatae”, si comportano come la Madre, la Chiesa “plantans”. L’esistenza della
Chiesa ha come scopo non tanto l’autopropagazione, quanto piuttosto quello di stabilire
ovunque i segni di salvezza del Regno: la comunione, la giustizia, l’unità, ecc. La Chiesa ha
un carattere “accidentale”, in quanto “non può essere di più che un segno, essa non indica
se stessa, ma il Regno. La Chiesa deve aprirsi ed avere come orizzonte il mondo.
Concretamente questo comporta che essa si metta in cammino, evangelizzando fin verso la
fine della terra”. Il programma è lo stesso, ma formulato diversamente. Espressioni come
‘Evangelizzazione’, ‘Testimonianza’, ‘Missione’ hanno un contenuto così poco eccedente,
che già è impossibile che possano servire come nostro topico. Esse hanno un sapore amaro.
Si crede di trovare nella parola “presenza” la sostituzione di tutti questi concetti.
Presenza vuol dire: “essere impegnato, essere compenetrato nelle strutture concrete del
nostro mondo, mondo di Dio, per poter là, parlando o stando in silenzio, contribuire
all’umanizzazione della vita, e così rappresentare Cristo. Il risultato di questa unione della
Chiesa e del Mondo al servizio del Regno, sarà “un contagio di speranza” (Loisy).
Per potere realmente essere in funzione dell’Apostolato, la Chiesa deve esistere e
vivere ex-centricamente. Ciò significa l’atteggiamento interno di kenosi.
L’ecclesiocentrismo è tanto da evitarsi quanto più tende a limitare lo spazio vitale del
Regno, che è tutta la comunità umana e tutto l’universo mondo. “Ogni teoria missionaria
che sia ecclesiocentrica deve in un modo o nell’altro essere messa da parte giacché essa ha
152 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

scelto un centro falso. Che la Chiesa sia il punto di partenza e il punto di arrivo della
Missione nel fondo è una tesi fenomenologica”.
“La Chiesa è una funzione della Missione/Apostolato... In nessun caso la Chiesa può
considerare sé stessa come il soggetto della Missione o come la sua unica (ed esclusiva)
forma istituzionalizzata”. “Essa quindi non è né il punto di partenza, né il punto d’arrivo.
Con un poco di esagerazione si potrebbe dire che essa non è in nessun posto, essa si
realizza, essa avviene in quanto che la Chiesa del Regno è annunciata al mondo. La Chiesa
non è che in ‘actu Christi’, cioè ‘in actu apostoli’. Il suo ‘Opus proprium’ è rendere
testimonianza al Regno, eppure questa non è opera sua, ma ‘ergon Kyriou’”.
L’evangelizzatore in grado di capire i compagni di viaggio è il laico. I sentimenti di
antipatia della gente nei confronti della Chiesa, sono concretizzati nella persona dei pastori.
Le relazioni col pastore sono sempre stereotipate. “Il professionale uomo di Chiesa (il
Pastore) non potrà essere l’uomo più indicato per l’apostolato. La sua stessa presenza
mobilita tutti i sentimenti post-ecclesiastici e le sensibilità che sono presenti”. “Gli
organismi di apostolato si dovranno distanziare quanto più possibile da tutto ciò che sappia
di Chiesa”. Il grande problema dell’apostolato consiste allora nel fatto che il Vangelo è
comunicabile solamente in quanto è vissuto nella sfera umano-socio-politica alla quale si
decida di trasmettere. Ecco perché innanzi tutto noi ci dobbiamo sforzare di vivere dentro
questa sfera, per poter non solo prendere la terminologia dell'altro, ma particolarmente per
arrivare a capire perché questa terminologia è usata. Solo così stabiliamo una “comunione
genuina” che, conseguentemente, rende possibile la comunicazione.
“Il lavoro del laico consiste prima di tutto in questo che lui è là, presente, accessibile,
come una persona libera”. Il laico è il vertice dell’Apostolato nel mondo. Mobilitare il laicato
è un ‘sine qua non’ per una nuova conquista evangelizzatrice. La funzione dei ministri ‘messi-
da-parte’ sarà solo quella di preparare i laici per la loro attività missionaria”. I laici si
possono considerare come ‘la presenza ascoltatrice’ della Chiesa nel mondo. Il pensiero
Chiesa-centrico, secondo l’autore, ha un centro illegittimo; è un fenomeno tropo legato a
dati esterni e storicamente l’interesse ecclesiologico diventa segno di decadenza. Non ha
fondamento nella Scrittura: lo schema missionario del NT –‘predicate il Vangelo in tutto il
mondo’- non presenta la Chiesa32. “Una Chiesa missionaria è ‘laico-centrica’ e non
‘funzionariocentrica’”.

32
Cf. LOPEZ-GAY J., Missiologia contemporanea, in AA.VV., Missiologia oggi, Urbaniana University Press,
Roma 1985, 103-106.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 153

c) L’evangelizzazione e il suo contenuto


L’evangelizzazione è vista come una possibilità messianica, cioè escatologica, degli
ultimi giorni inaugurati dal Messia. Il Messia è l’evangelista. Hoekendijk constata come il
Nuovo Testamento parla costantemente della missione come di ‘un postulato della
Escatologia’. Così la missione è menzionata fra i segni di quegli ultimi tempi (cf. Mt 24,14;
Mc 13,10; Ap 6,1-8). La conversione dei gentili è un avvenimento ‘messianico’ (Is 2,2). “Già
dall'Antico Testamento la parola evangelizzazione ha un contenuto teologico-messianico:
evangelizzazione-tempo-finale-mondo-dei-pagani si appartengono strettamente.
“Soggetto dell’evangelizzazione è, e rimane, ‘l’Apostolo Gesù’ (Eb 3,1) che continua il suo
invio ‘messianico’ nel mondo... Nell’evangelizzazione, nella quale Cristo stesso come
operatore (realizzatore) è reso presente e attivo, la comunità si realizza. ‘Spazio’
dell’evangelizzazione è l’Ekumene, tutto il mondo umano. ‘Contenuto’ dell’evangelizzazione
è stabilire il Regno, che si manifesta già nei segni della pace messianica. Questa pace
(“Shalom”, come nel Sal 85, 9s) abbraccia la salvezza ed il bene e non può essere
“privatizzata”, “regionalizzata” o “ecclesiasticizzata”. Nell’evangelizzazione non si tratta
altro niente di meno che del “ristabilimento” nel dominio (della Signoria) di Cristo, “nostra
Pace” (Ef 2,14).
Lo “Shalom”, contenuto dell’Evangelizzazione . La riscoperta del concetto
veterotestamentario dello Shalom, come sintesi del contenuto di ogni attività
evangelizzatrice, è una delle intuizioni più felici e feconde, la parola chiave del pensiero
teologico dello Hoekendijk. L’affermazione che lo Shalom è il contenuto
dell’evangelizzazione è la rivelazione di un concetto biblico. Il Messia, Cristo è il soggetto
dell’evangelizzazione (2Cor 2, 14) e “lo scopo dell’evangelizzazione non può essere nessun
altro che quello che Israele si aspettava che il Messia facesse e, cioè, che lui stabilisse lo
Shalom”. “Shalom la sintesi più breve e allo stesso tempo la più piena di tutti i doni dell’era
messianica”. “Lo Shalom è il ‘Leitmotif’ e il principio organizzativo dello stile di vita
messianico: vita shalomitica, che stabilisce segni di Shalom”. “Il contenuto dell’Apostolato è
la costruzione dei segni di salvezza del Regno, dello Shalom: l’apostolato si realizza nel
Kerygma (rappresentazione dello Shalom della proclamazione), nella Koinonia
(partecipazione corporativa allo Shalom) e nella Diaconia (dimostrazione dello Shalom per
mezzo del servizio)”.
Nella Bibbia, lo Shalom indica “qualcosa di più che la semplice salvezza personale”.
Nel NT lo Shalom del Signore è l’espressione più elementare di ciò che è la vita del nuovo
Eone inaugurato dal Cristo. Il Vangelo è un Vangelo di Shalom. L’evangelizzazione è la
154 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

“realizzazione della speranza”. L’evangelizzazione dipende dalla natura della speranza; la


natura della speranza, pertanto, determinerà profondamente il carattere della
evangelizzazione. Lo Shalom non è qualcosa che possa essere goduto nell’isolamento; non è
una qualità interna, come la pace dell’anima. Il riferimento sociale è una dimensione
imprescindibile. Lo Shalom è un ‘avvenimento sociale’, un evento nelle relazioni inter-
umane, un’avventura della co-umanità. E’ importante per la Chiesa riscoprire che essa non
ha Shalom se non quando lo divide con quelli che sono fuori; ciò sottolinea l’aspetto
missionario dello Shalom stesso. “Cercando di definire lo ‘scopo’ della Missione, noi
dobbiamo scartare tutte le categorie religiose. Noi dovremo usare la parola chiave nel
modello messianico: Shalom.

d) La triplice concretizzazione dello Shalom


1ª ) Kerygma: Deve annunciare che lo Shalom è arrivato, perché Cristo liberatore è
presente. Proclama le azioni di Dio, portatrici di salvezza. Deve imitare quanto più possibile
quello degli apostoli; cioè essere obiettivo, lasciando da una parte le esperienze personali.
Nel kerygma si proclama una storia annunciata come rivelazione ( 1Cor 2,1). “Ogni
testimone che dimentica questo carattere della rivelazione è inutile, perché disobbediente
e infedele”. “La tentazione di mascherare il mistero, di evitare lo scandalo del vangelo,
diventano quasi inevitabili, qui noi ci incontriamo con uomini che sono perplessi per la
assurdità del nostro messaggio. Noi tendiamo, allora, a ridurre il vangelo ad alcune vaghe
generalità religiose; il propagandista si risveglia in noi e noi cerchiamo di imporre noi stessi
con le nostre esperienze personali che, naturalmente, sono irrefutabili. E, per una falsa
fedeltà all’uomo che è di fronte a noi, c’è il pericolo di diventare infedeli a Cristo, che ci ha
affidato la predicazione di questo scandaloso, misterioso vangelo”.
2ª ) Koinonia: E’ lo Shalom nella sua presenza in mezzo agli uomini, vissuto
comunitariamente. Se veramente siamo coerenti con la nostra intuizione sulla koinonia che
si deve realizzare in comunità aperte, includiamo la possibilità che essa sia realizzata in una
grande varietà di strutture sociali e non necessariamente solo in quelle da sempre
considerate basilari (famiglia, vicinato). “La funzione principale e del tutto decisiva della
Koinonia, comunque, è che essa è la primaria unità kerigmatica e diaconale; kerygmatica,
come il posto nel quale lo Shalom è realmente fatto presente; diaconale, perché non ha
nessun’altra relazione con il mondo di fuori, eccetto che l’umile servizio... E’ del tutto inutile
un nuovo e rapido avanzamento, mentre questo lavoro resta neutralizzato da quella
maschera di Koinonia che sono realmente le nostre Chiese”.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 155

3ª ) Diakonia: “traduce lo Shalom nel linguaggio dell'umile servizio. Ma se noi


isoliamo la diakonia o le diamo una enfasi eccessiva, allora l’evangelista diventa un
filantropo sentimentale. Egli mai dovrà dimenticare che non può prestare un reale servizio
se egli priva l’uomo del Kerygma e se lo lascia fuori della Koinonia”. La Chiesa è un evento,
non una istituzione; la sua natura si spiega per la sua funzione quando proclama lo shalom o
manifesta i segni, allora si manifesta, accade (happens) la Chiesa. La Chiesa, come funzione
della missione è sempre in stato di attenzione, nella diaspora, senza strutture stabilite.

e) L’Evangelizzazione come funzione dell’attesa


“La evangelizzazione non può essere niente altro se non la realizzazione della
speranza, una funzione dell’attesa”. Ciò significa il rigetto totale di tutto quello che può
avere parvenza di propaganda. “Evangelizzazione è seminare e aspettare in rispettosa
umiltà e nella speranza che sa attendere. In umiltà, perché il seme che noi gettiamo deve
morire; in speranza, perché noi aspettiamo che Dio farà germinare questo seme e gli darà il
suo proprio corpo. Nella propaganda, invece, noi immaginiamo di seminare il corpo che
germinerà. Il carattere essenziale della propaganda è la mancanza della speranza che sa
aspettare e una mancanza della dovuta umiltà. Il propagandista si deve imporre. Il
propagandista deve ricorrere a sé stesso, alla sua parola (la verbosità è una delle
caratteristiche di ogni propagandista). In breve, il propagandista cerca di fare copie esatte
di sé stesso. Egli cerca di fare l’uomo a sua immagine e a sua somiglianza”. “Lasciare che la
speranza cristiana determini la nostra evangelizzazione, significa che noi avanziamo in un
mondo con possibilità senza limiti, un mondo nel quale noi non si sorprenderemo quando ci
succede qualcosa di imprevisto, ma ci sorprenderemo, piuttosto, per la nostra poca fede,
che ci impedisce di attenderci quello che non ha avuto precedenti”.
“C’è una ostinata tradizione nel nostro ambiente, che interpreta lo scopo della
evangelizzazione come l’«impiantazione» della Chiesa”. “Non può essere l’impiantazione
della Chiesa lo scopo delle missioni. La evangelizzazione e la ‘Chiesa-installazione’ non sono
identici e molto frequentemente essi sono acerrimi nemici tra di loro”. L’evangelizzazione
dev’essere considerata come la ragion d’essere della Chiesa, piuttosto che una delle sue
attività. Hoekendijk, con la sua comprensione della missione, colloca la Chiesa di fronte
all’alternativa di essere Chiesa o non esserlo. Gli attacchi che Hoekendijk indirizza alla
Chiesa rappresentano, dice Bosch, una concezione che conduce all’assurdo. “E’ impossibile
parlare dell’impegno della chiesa nel mondo se se ne contesta a priori lo stesso diritto di
156 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

esistere”33. “La missione viene quindi compresa non più a partire dalla Chiesa, ma da Dio e
dalle necessità del mondo. Non «missione dalla Chiesa», ma «Chiesa dalla e nella
missione»”34.
Per Hoekendijk la chiesa ha il carattere d’intermediario fra Dio e il mondo. La chiesa
deve abbandonare ogni logica di conservazione per una diaconia sociale nella quale prende
forma il futuro promesso35. La Chiesa deve essere descritta a partire dalla missione, il cui
contenuto si sviluppa dall’analisi della situazione del mondo. Se la Chiesa è per il mondo, è
questo che stabilisce l’agenda dei lavori. “Si evidenzia qui un radicale ripensamento del
rapporto tra Chiesa, mondo e Regno. Se finora si pensava la Chiesa come realtà intermedia,
di mediazione tra il Regno e il mondo, ora si ritiene che il mondo è la mediazione tra il
Regno e la Chiesa. Il mondo, infatti, è il luogo del Regno di Dio al cui servizio la Chiesa è
porta. La Chiesa, da parte sua, è la visibilizzazione storica del regno, ma solo a condizione
che la sua prassi corrisponda al Regno”36. Rütti, affermando che “la Chiesa è una realtà
d’importanza secondaria” e che chiamare la gente a diventare membri della chiesa è “una
forma di proselitismo”, lo ribadisce. Il mondo, più che la Chiesa, è “il luogo dell’incontro
costante fra Dio e l’umanità”. E Dio si fa presente nel mondo attraverso le genti che non lo
conoscono e che non possono essere viste come membra della chiesa (Rütti). Hoekendijk
afferma che il sistema parrocchiale è immobile, introverso, un’invenzione del Medioevo.
L’adagio classico Extra ecclesiam nulla salus deve essere capito all’incontrario, dentro la
chiesa non c’è salvezza.
Hoekendijk crede che l’idea di “Cristianità” non corrisponde al fatto teologico della
Missione. Ma, a sua volta, invece di cercare l’autentico concetto di Chiesa -Corpo di Cristo,
Popolo di Dio- nel NT e nella Tradizione, preferisce un’idea nuova di Chiesa ridotta al solo
servizio. Così, la missione si converte in un servizio antropologico e sociale. L’autentico
shalom biblico nemmeno incontra un adeguato posto in questa concezione tanto povera
della Chiesa e perde la sua autenticità 37. Bosch dice che è assurdo parlare dell'impegno
della chiesa nel mondo se uno disputa a priori dell’esistenza della chiesa stessa.
Dal punto di vista cattolico conviene ricordare la così detta “teologia del laicato”,
con il grande protagonista, P. Y. Congar. Egli studia la funzione propria del laicato:
l’impegno temporale nel processo di trasformazione del mondo. Perché la Chiesa adempia
33
La trasformazione della missione, 533.
34
CANOBBIO G., La teologia della missione dal vaticano II ad oggi , in Ad Gentes, 1, 1997, 141.
35
Cf. COLZANI G., La teologia della missione dopo il Vaticano II , in M. ROSTKOWSKY (ed.), La missione
senza confini. Ambiti della missione “ad gentes”, Roma 2000, 52.
36
CANOBBIO Giacomo, La teologia della missione, 141.
37
Cf. LOPEZ-GAY Jesus, La nueva escuela del “Shalom” (=Paz) , in Misiones Extranjeras 16, 1969, 415-430.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 157

la sua missione d’annunciare il Vangelo ad ogni creatura, è necessario che l’influenza


cristiana sul mondo prepari, nelle strutture umane, possibilità per la fede e che tutte le
realtà naturali e culturali si orientino a Cristo. Soltanto i laici possono adempiere questa
funzione, poiché appartengono sia al mondo che alla Chiesa. Perciò la funzione specifica
dei laici è necessaria nell’adempimento della missione della chiesa 38. Questo pensiero, non
tanto radicale come quello di Hoekendijk, prende sul serio la corresponsabilità del laico
nella missione della Chiesa. E così sembrano averlo capito i numerosi movimenti nati prima
e dopo il Concilio Vaticano II.

2.3. J. Moltmann: la missione nella teologia della speranza

1º) J. Moltmann è influenzato da Hoekendijk e da Ernst Bloch. Riassumiamo la sua


dottrina: La filosofia e lo spirito greci sperimentano nel logos (parola) l’epifania del
presente eterno dell’essere, incontrando qui la verità. Il linguaggio proprio
dell’escatologia cristiana non è il logos greco, ma la promessa, tale come l’hanno forgiata il
linguaggio, la speranza e l’esperienza di Israele. Israele incontra la verità di Dio non nel
logos dell’epifania del presente eterno, ma nella parola della promessa, parola che
fondamenta la speranza.
“Il discorso del filosofo non merita assenso per l’autorità alla quale egli si
appella, ma per la verità che egli esprime. Prima della sua persona e del suo
discorso viene la conoscenza della verità che egli ci comunica. Il Nuovo
Testamento intende, invece, la parola di Dio in modo analogo all’Antico
Testamento, cioè come parola che crea e giudica, come comandamento e
promessa e, dunque, come azione prodotta da un discorso creativo. Essa esige
ascolto ed obbedienza; è accettata o respinta. E’ parola di Dio in quanto la si
percepisce come appello autoritario che provoca la persona a prendere una
decisione: conoscerla significa quindi riconoscerla”39.

- L’escatologia cristiana, espressa con il linguaggio della promessa, è allora una


chiave essenziale per liberare la verità cristiana. Poiché la perdita dell’escatologia è stata
sempre la condizione che ha fatto sì che la cristianità si accomodasse al mondo che la
circonda e, con questo, che la fede si abbandonasse a se stessa. Una promessa è un’offerta

38
Cf. MARTINEZ Felicísimo, Movimientos teológicos contemporáneos, Santiago de Chile 1987, 35-36.
39
MOLTMANN J., Teología de la Esperanza, Salamanca 1969, 49-51.
158 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

che annuncia una realtà che ancora non esiste. La promessa ingenera con ciò una tensione
dell’uomo verso una storia futura, nella quale si aspetta il compimento della stessa. La
fedeltà di Dio è garante della promessa. I vangeli non sono leggende culturali, ma
testimonianze che offrono un ricordo storico sotto gli auspici di una speranza escatologica.
2º) La missione: “la promissio del futuro universale porta necessariamente alla
missio universale della comunità a tutti i popoli” 40. “La coscienza storica cristiana è
coscienza di missione e, solo in questa misura, è anche coscienza della storia universale e
coscienza della storicità dell’esistenza umana”. “La predicazione del vangelo non è
trasmissione di sapienza e di verità in forma dottrinale. Tanto meno è tradizione di vie e
cambi di vita secondo la legge. E’ annuncio, rivelazione e proclamazione di un avvenimento
escatologico”. “Se la chiesa non può essere vista come il fondamento della missione, non ne
può essere considerata neppure il fine –certamente non l’unico fine. La chiesa deve essere
continuamente consapevole del suo carattere provvisorio. «L’ultima parola della chiesa non
è ‘chiesa’ bensì la glorificazione del Padre e del Figlio nello Spirito della libertà»”41.
“Non è la chiesa ad ‘avere’ una missione, ma al contrario è la missione di Cristo che
crea la sua chiesa. La missione non deve essere compresa a partire dalla chiesa ma è la
chiesa che va osservata alla luce della missione. La predicazione del vangelo non serve
soltanto ad istruire i cristiani ed a rafforzarli nella loro fede, ma anche ad interpellare i non
cristiani... La missione coinvolge la chiesa nella sua totalità, non solo alcune sue parti né
esclusivamente i membri da essa inviati”42.
Per Moltmann la Chiesa è essenzialmente comunità in esodo, popolo che vive
nell’attesa terrestre aspettando un futuro migliore. La sua missione consiste nell’infondere
all’umanità la sua speranza. Citando Hoekendijk, afferma: “La missione oggi realizza il suo
servizio soltanto se contagia di speranza gli uomini” 43. La speranza non deve essere
alienante od una specie di oppio che porta alla passività. La speranza è dinamismo e lotta
per quello che si attende. La “Chiesa per il mondo” è la Chiesa per il Regno di Dio e per il
rinnovamento del mondo.
Secondo Moltmann, “la missione serve a provocare questo risveglio della speranza
nel regno di Dio, il quale viene sulla terra per trasformarla. Questo è compito della
cristianità intera, non soltanto dei ministri speciali. La cristianità si trova situata

40
Ib., 292-293.
41
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 522; MOLTMANN J., La Chiesa nella forza dello Spirito,
Queriniana, Brescia 1976, 30.
42
MOLTMANN J., La Chiesa nella forza dello Spirito, 25.
43
MOLTMANN J., Teología de la Esperanza, 423.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 159

nell'apostolato della speranza nel mondo e, in esso, trova la sua essenza, cioè quello che la
converte nella comunità di Dio. Questa non è in se stessa la salvezza del mondo, in modo
tale che la ecclesializzazione del mondo significhi la salvezza per questo, ma che serve alla
salvezza ventura del mondo ed è come una freccia verso il futuro lanciata ed inviata al
mondo”44.

3º) Modus operandi: Moltmann è del parere che la Chiesa ha vissuto, a livello
missionario, eccessivamente preoccupata della crescita quantitativa (Church growth =
l’incremento della Chiesa). “Uno dei compiti della missione è quello di suscitare la fede,
battezzare gli uomini, fondare delle comunità e plasmare la vita nuova sotto la signoria di
Cristo. Dal punto di vista geografico, questa missione raggiunge gli estremi ‘confini della
terra’; da quello numerico, essa cerca di raggiungere il maggior numero possibile di uomini.
Essa pensa in termini quantitativi ed elabora strategie in vista del ‘Church growth’. Sono
punti di vista che qui non vorremmo, ne contestare, né minimizzare. Non dimentichiamo,
però, che la missione ha pure un altro compito, e questo consiste nel mutamento qualitativo
dell’atmosfera vitale, della fiducia, del sentimento, del pensiero e dell’agire e che
potremmo qualificare anche come un ‘contagiare’ gli uomini, a qualsiasi religione essi
appartengano, con lo spirito di speranza, d’amore e di responsabilità nei confronti del
mondo. Finora questa missione qualitativa seguiva, in modo quasi occasionale e inconscio,
la missione quantitativa. Nella nuova situazione in cui tutte le religioni oggi si trovano ed in
particolare la cristianità, questa missione qualitativa, che mira a trasformare l’intera
atmosfera di vita, dev'essere condotta in modo cosciente e responsabile” 45. “Il nuovo
compito missionario avrà invece per oggetto quell’atmosfera di vita che è d’importanza
vitale per la soluzione dei gravi problemi che oggi travagliano l’intera umanità: carestie di
proporzioni catastrofiche, potere esercitato da classi, imperialismo ideologico, guerre
atomiche e rovina dell’ambiente. La missione qualitativa si realizza nel dialogo... Nel
dialogo le religioni, cristianesimo incluso, si trasformano, come nei dialoghi interpersonali i
partner, i propri atteggiamenti, opinione e aspettative”46.
“La prima azione di questa speranza, che porta al presente storico, un futuro nuovo
e rinnovatore, è la proclamazione del ‘vangelo del regno’ ai poveri, l'annuncio della grazia e
della giustizia di Dio ai senza-dio ed ai fuori-legge, siano questi giudei o gentili. Cioè, il

44
Ib., 423-424.
45
Ib., 207.
46
Ib., 208.
160 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

vangelo, con la sua parola, anticipa il futuro di Dio al fronte più aspro della miseria
dell'uomo, creando un diritto per coloro che non lo possiedono, suscitando la fede dove
domina l’empietà, e accendendo speranza dove la rassegnazione paralizza” 47. “La teoria
della prassi della missione - che è una prassi che modifica il mondo e che è ansiosa di
futuro- non cerca ordini eterni nella realtà esistente del mondo, ma cerca possibilità in
questo mondo in direzione del futuro promesso” 48. Pertanto, la prassi della missione
trasformatrice necessita di una certa fiducia nel mondo e di una speranza per il mondo...
Secondo la prospettiva della missione non solo l’uomo è aperto al futuro, ma anche il
mondo è pieno di futuro e di possibilità illimitate per il bene e per il male. La missione si
sforzerà sempre, di conseguenza, di comprendere la realtà del mondo come storia, dal
futuro che è promesso.
4º) Valutazione: nello sfondo di questa teologia troviamo i seguenti elementi:
- una teologia del mondo: l’esistenza umana è coinvolta nel mondo, il quale si trova
aperto verso un futuro con possibilità di trasformazione; - una teologia della prassi: il
criterio della fede e della teologia è il lavoro per un’umanizzazione cristiana del mondo;
-una teologia della Chiesa dell'esodo : “comunione di coloro che fondati nella Risurrezione
di Cristo aspettano il Regno”. La Chiesa è l’amministratrice della speranza cristiana, l’unica
che cambia il mondo; - una teologia della religione: differenziata in due tipi: d’epifania, la
greca, dove Dio è il punto di partenza, caratterizzata dal culto che guarda al passato, dai
dogmi, dalla fede, dal Logos, dalla necessità dell’ortodossia; di promessa, quale la biblica, il
cristianesimo, dove Dio è il punto d’arrivo, dove interessa la missione che si dirige verso il
futuro, la promessa, la speranza, la prassi, l’ortoprassi. Il contesto attuale indirizza ad attuare
la seconda forma di religione, per trasformare il mondo.
- Elementi positivi: La realtà escatologica della Chiesa, comunione di speranza,
orientata verso il futuro, è in accordo con le attese dell’uomo d’oggi. La missione non deve
essere una fuga mundi, ma deve accettare il mondo per trasformarlo. La speranza mette in
movimento la missione: il futuro è svelato, ma non è realizzato e questo è il compito della
missione. La speranza in un mondo futuro è sterile se non include la solidarietà presente
dimostrata nella prassi (Ef 2,12; 4,4; 1Tes 4,13; 1Pe 3,15; Rm 8,24; AG 8; LG 9). Questa
forma teologica è fortemente cristocentrica in quanto accentua il senso della Risurrezione
di Cristo e l’obbedienza alla missione di Cristo.

47
MOLTMANN J., Discusión sobre la teología de la Esperanza, Salamanca 1972, 214.
48
MOLTMANN J., Teología de la Esperanza, 374.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 161

- Elementi negativi: vi è un ritorno alle categorie dell’Antico Testamento, senza un


chiaro riferimento al Nuovo. E’ troppo unilaterale ed esclusivista, giacché la Chiesa è
contemporaneamente una e l’altra forma di religiose; esse non sono opposte. Dimentica
anche la fede come principio della salvezza. Il contenuto dell’evangelizzazione à solo la
promessa, ma la trasmissione di un vangelo ricevuto già come una realtà. Si sottolinea
troppo la mistica dell’efficacia e della prassi, con il pericolo di ridurre la missione ad un
messianismo orizzontale. Non si può confondere la speranza-missione con un messianismo
sociale o politico49.
Occorre anche tenere presente che la speranza cristiana non proviene dalla
disperazione del presente. La speranza cristiana è possesso e ansia, riposo e attività, fine ed
inizio del cammino. Dal momento che la vittoria di Dio è certa, i credenti possono lavorare
pazientemente ed entusiasticamente. Non c’è possibilità di scelta tra la storia della salvezza
e la storia profana. La storia della salvezza non è separata dalla storia; non esistono due
storie, ma ci sono due vie per capire la storia. La distinzione ha soltanto un significato
noetico.

2.4. Umanizzazione versus evangelizzazione


La missione ha come fine la salvezza (escatologica) o lo sviluppo dei popoli? La
Chiesa, è sacramento universale di salvezza o servizio al mondo? Questo è un problema
pratico, sempre più o meno presente, ma più importante con la presa di coscienza delle
realtà del Terzo Mondo. La opere di G. Thils e di D. Chenu sulle realtà terrestri e sul lavoro,
nonché alcuni testi della GS (1,3,9,36) e della PP hanno dato corpo a questo interrogativo.
Altri elementi si aggiungono al dibattito, quale l’autonomia del mondo, l’anticipazione del
Regno mediante il progresso, l’unità della storia (mondana e salvifica), la sovranità cosmica
di Cristo, la salvezza come opera esclusiva di Dio, ecc. Le principali divergenze fra
umanizzazione ed evangelizzazione si possono concretizzare in queste tre:
a) La Chiesa: La corrente che può essere chiamata ecclesio-evangelica concepisce la
missione come un’attività di crescita della Chiesa in quanto assemblea visibile, mediante il
reclutamento di nuovi membri. Si tratta di allargare i gruppi visibili lì dove ancora non
esistono. In questo gioca un ruolo importante il fatto di fare delle conversioni 50. Il
proselitismo è anche concepito nel senso ‘buono’ di salvare gli infedeli ed i pagani, di
conquistare le anime e di fare aumentare il numero di iscritti nella Chiesa, che è la padrona
49
Cf. LOPEZ-GAY J., Introduzione alla missiologia, P. Università Gregoriana, Roma 1975.
50
Cf. FRAZIER W.B., Guidelines for a new theology of Mission , in Mission Trends, nº.1, New York 1974, 30:
“una Chiesa-santuario è essenzialmente una Chiesa-di-conversione”.
162 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

dei mezzi di salvezza. L’uomo si trova positivamente in peccato e deve uscire da questa
situazione.
b) L’uomo: la corrente antropocentrica e più marcatamente cristologica. La missione
non deve, primariamente, centrarsi sulla salvezza delle anime, sul fare conversioni o
sull’accrescimento numerico della Chiesa. L’importante è rinnovare l’uomo, imitando nel
possibile la missione di Cristo e tenendo presente che la Chiesa arriverà dopo come
conseguenza. In questa concezione la Chiesa è vista, non come un santuario, ma come un
segno, con la missione di perfezionare il servizio di amore agli uomini. Importa più la qualità
della testimonianza che non il numero dei convertiti o l’estensione geografica. La salvezza,
alla fine, non sarà qualcosa di “oltremondano”, che viene dall’alto, di fronte al quale la vita
sarebbe unicamente una prova51, ma sarà qualcosa che l’uomo dovrà costruirsi.
c) Storicità della salvezza: se si parte dalla rivelazione, la salvezza si concepisce
come qualcosa di escatologico, una comunione invisibile con Dio che bisogna sostenere,
cioè, una fede che bisogna difendere contro il mondo, contro la storia mondana che non ha
niente a che vedere con la salvezza che viene dall’alto. Se si parte dalla missione e
dall’analisi della stessa, la salvezza è vista in un senso antropologico, a partire dalla
situazione di peccato. La salvezza non viene da fuori, ma dal di dentro, e significherà un
cambiamento radicale dell’umanità, cioè, fare l’uomo nuovo. La concezione che si ha
dell’uomo risponde a quella di un “nucleo di necessità”, oggetto di manipolazione, che
bisogna rinnovare. L’uomo viene considerato come risultato delle strutture ambientali,
socio-politiche, che dovremmo eliminare per portarlo alla vera salvezza, alla vera umanità.

Queste sono le premesse che compongono l’asse centrale di queste teorie.


- La missione come evangelizzazione
1) L’esistenza del peccato: al momento di predicare la Buona Novella ci troviamo
immersi in un mondo nel quale domina il peccato, sotto uno spettro incommensurabile di
forme. Dalla prima “caduta” fino ai nostri giorni, e fino alla fine del mondo, il compito che
dobbiamo sviluppare sarà contestato dal crack demonologico che pervade la storia del
mondo. Dobbiamo avere presente, dice Peter Beyerhaus, che nella storia del mondo non
troviamo il Deus revelatus, ma il Deus absconditus. E’ necessario tenere conto che l’uomo
che dobbiamo salvare si trova davanti ad una incapacità radicale di essere salvato, finché
non viene toccato dal messaggio di salvezza. L’uomo, “estranged” per salvarsi, deve
ascoltare e accettare il Vangelo.
51
Cf. GUTIÉRREZ G., Teología de la liberación, Salamanca 1973, 197.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 163

2) L’obbligo di “predicare”: il Congresso di Wheaton fece professione di fede


nell’obbligo di portare avanti la Buona Novella; cioè, di riconoscere la responsabilità del
mandato evangelico. “Il vangelo deve essere predicato nella nostra generazione alle genti
di ogni tribù, lingua e nazione”52. Tutta la nostra ragione di essere, il nostro timbro di
missionari, ubbidisce al fatto che siamo stati scelti per il Vangelo: “We are committed to a
Gospel”53. Questa è la posizione di fondo per capire il fatto missionario nella Chiesa e la
Chiesa stessa. Il Vangelo deve arrivare al cuore di ogni persona e realizzare in essa una
nuova nascita. La Buona Novella è messaggio di salvezza e di redenzione personale e ci è
stato affidato come un tesoro dinamico del quale si debbono fare partecipi tutti gli esseri.
3) Risposta evangelica: il compito della Chiesa è predicare il Vangelo e impiantare
congregazioni in ogni comunità. “La società delle missioni esiste per evangelizzare, per
moltiplicare le Chiese e fortificare quelle già esistenti”. “Riaffermiamo senza riserve il
primato della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” 54. Il Congresso di Losanna insiste
nel mettere in risalto lo spirito di questi testi, facendo anche riferimento alla necessità di
offrire anche un servizio al mondo. “L’evangelismo è la proclamazione del Cristo storico e
biblico come Signore e Salvatore, con l’obiettivo di persuadere la gente a venire a Lui
personalmente e così essere riconciliata con Dio.... I risultati dell’evangelismo sono
l’obbedienza a Cristo, l’incorporazione alla sua Chiesa e il servizio responsabile al mondo”55.
Peter Beyerhaus può essere considerato il portavoce di questa mentalità evangelica.
Secondo lui, il problema consiste oggi nel sapere scrutare i segni dei tempi, cioè, le nuove
opportunità storiche che propiziano e fanno possibile la risposta dei popoli al Vangelo, in
modo tale che sia proprio qui dove si concentrino gli sforzi missionari a disposizione 56. Si
deve trovare il momento storico nel quale un popolo è capace di rispondere alla sfida
missionaria e centrare lì tutta la strategia missionaria. Si vede chiaro che tutto è
condizionato da questa urgenza del mandato, che da priorità alla salvezza eterna, insieme
ad un modo dinamico di vedere la storia, cioè, come un processo che va condizionando e
offrendo opportunità a tutti i popoli e che permette lo sviluppo dei “kairoi ton ethnoon”. La
salvezza deve centrarsi, e unicamente può essere trovata, lì dove la gente, che si trovava

52
WORLD COUNCIL OF CHURCHES, Wheaton Declaration, Illinois, April 9-16, 1966, in International
Review of Missions, 55, 1966, 461-462.
53
FENTON H.L., Debits and Credits. The Wheaton Declaration , in International Review of Missions, 55,
1966, 479.
54
WCC Wheaton Declaration, 474.
55
WCC., The Lausanne Covenant, in International review of Missions, 63, 1974, 571.
56
Cf. BEYERHAUS Peter, Mission and Humanization, in Mission Trends, 1º. New York 1974, 232.
164 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

lontana da Dio, viene riscattata e incorporata al Corpo di Cristo. Questo determina il


ventaglio delle priorità nel lavoro missionario.
Le missioni si trovano oggi di fronte a delle opportunità come mai si sono viste nella
storia; queste opportunità, non solo sono volute da Dio, ma è Egli stesso a prepararle e
aspetta una risposta della Chiesa missionaria in suddetti avvenimenti. Per gli evangelici la
questione è più di metodo che di principi. E’ chiaro ed evidente che si deve predicare, e che
il Signore continua a preparare queste opportunità. E’ necessario che la Chiesa risponda in
queste occasioni nelle quali Dio esige una speciale attenzione e ubbidienza. Perché
l’evangelismo, inteso come predicazione della Buona Novella per la salvezza delle anime, è
la missione vitale della Chiesa57.
A posteriori, rigenerare gli individui comporterà un influsso positivo sulla società
stessa. Così, per esempio, la Dichiarazione di Francoforte, di marzo del 1970, della quale
Beyerhaus fu uno dei principali artefici, afferma, opponendosi alla corrente umanizzante,
che l’umanizzazione non è l’obiettivo primario della missione, ma un prodotto della nuova
nascita attraverso l’attività salvatrice di Dio in Cristo dentro di noi.

- La missione come umanizzazione


1) Antropocentrismo: tutto quello che Dio ha fatto, fa e farà in questo mondo ha per
oggetto l’uomo. La stessa missione di Cristo non ebbe altra finalità. E la salvezza consiste in
questo, fare che gli uomini siano uomini 58. Sia la rivelazione cristiana, sia la riflessione
teologica attuale, si trovano impregnate in questo “giro antropologico”; il ritorno all’uomo
non significa unicamente che ci troviamo davanti ad una nuova curiosità o ad un nuovo
interesse per l’uomo; si tratta di una presa di coscienza che concepisce l’uomo coinvolto in
ogni giudizio ed in ognuna delle sue azioni. Il fatto di considerare l’uomo come il “luogo nel
quale l’essere si rivela a se stesso”, unito ad una nuova concezione del mondo e della storia,
crea una nuova scala di valori: maggiore sensibilità per i valori terreni (valore della
corporeità, della giustizia sociale, della solidarietà, della partecipazione, della promozione
integrale dell’uomo); valori terrestri che, a volte, sono ricercati secondo un criterio
autonomo di valorizzazione; impegno positivo nella costruzione di un mondo migliore che
sia nelle mani dell’uomo. Questa prospettiva antropologica si chiarisce constatando il ruolo
che l’uomo stesso gioca nella trama del mondo, cioè, nel compito delle causalità e degli

57
Cf. SIDER R.J., Evangelism, salvation and social justice, in International review of Missions, 64, 1975, 251-
267.
58
Cf. COMBLIN J., Actualidade da teologia da missão, in: Igreja e Missão 25, 1973, 306.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 165

effetti creati59. L’uomo significa l’apice delle causalità mondane e diventa il punto di
riferimento della fenomenologia esistenziale e concreta.
Il mondo soltanto nell’uomo raggiunge la sua fine. Bisognerà avere presente questo
elemento all’ora di parlare di salvezza. Questa dovrà dimenticare l’idea di qualcosa che
viene da fuori per centrarsi su se stessa. L’uomo è il solo protagonista del ritorno del creato
al Creatore. Tuttavia, questa concezione dell’uomo come rettore dell’universo è segnata da
un evidente pessimismo. L’uomo è perduto; non è uomo in pienezza. Bisogna salvarlo,
liberarlo da tutto quello che ostacola il suo essere. E quest’ostacolo è egli stesso. La salvezza
deve collocarsi a questo livello: liberare l’uomo dalla sua incapacità o dalla sua non-volontà
di essere uomo. Se il peccato è nell’uomo, la salvezza deve collocarsi anche nell’uomo.
Essere uomo è la mèta di una riconquista dell’uomo da se stesso e sopra se stesso, giacché
attualmente l’uomo è ciò che non è60.

2) Risposta umanizzatrice: Cristo è venuto per salvare l’uomo, per farlo nuovo, per
“umanizzare”. E’ vero che evangelizzare è la missione propria di Cristo e della sua Chiesa,
ma il vangelo è parola efficace, salva l’uomo. Questo è propriamente umanizzare, nel senso
più accettabile. Essere figlio di Dio non può essere altro, differente dall’essere uomo
pienamente. La gloria di Dio non può essere altra cosa che l’umanizzazione dell’uomo. La
trascendenza si è fatta immanenza e l’aldilà non interessa più. La cristianizzazione, la
missione, non può essere altro che l’umanizzazione.
Possiamo dire che la promozione dell’uomo è il nuovo nome della missione. Nel
campo Protestante questa corrente fu canonizzata nell’Assemblea di Uppsala (1969), dove
si sottolineò l’obbligo per la Chiesa d’identificare se stessa con il mondo e di partecipare
nella lotta per i diritti umani, la giustizia sociale e la comunità mondiale. “Abbiamo portato
l’umanizzazione come oggetto della missione, perché crediamo che, più che nessun’altra
essa comunica, nel nostro periodo storico, il significato dell’oggetto messianico. In altri
tempi l’oggetto dell’opera redentrice di Dio fu descritto in termini dell’uomo rivolgendosi
verso Dio, meglio che in termini di Dio rivolgendosi verso l’uomo. La questione
fondamentale era quella del Dio vero, e la Chiesa rispondeva a questo quesito indicandolo.
Si capiva che l’oggetto della missione era la cristianizzazione, portare l’uomo a Dio
attraverso Cristo e la sua Chiesa. Oggi la questione fondamentale è quella del vero uomo e

59
Cf. ALFARO J., Hacia una teología del progreso humano, Barcelona 1974, 39-61.
60
Cf. COMBLIN J., Actualidade da teologia da missão, 307.
166 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

l’obiettivo fondamentale della missione deve puntare verso l’umanità di Cristo come
oggetto della missione”61.
La missione si definiva in termini di invito a realizzare una Nuova Umanità, offerta a
tutti gli uomini da parte di Dio nel Uomo Nuovo “Gesù Cristo incarnato, crocifisso e
risuscitato”62. Dove non c’è essere umano pieno è inutile e controproducente parlare di
salvezza63. E questa umanizzazione piena soltanto si acquista salvando l’uomo dalle potenze
che l’opprimono e lo schiavizzano, cioè, dalle strutture personali e sociali nelle quali egli
vive immerso. Trasformando queste potenze faremo l’uomo più uomo. Il missionario deve
essere definito come un inviato a delle strutture disumane che riducono in schiavitù e
soffocano la libertà dell’uomo, al fine di trasformarle. Finalmente, diciamo che l’umanità
glorificata del Cristo Risuscitato deve realizzarsi, non dopo la morte, ma nel processo
storico, non da gli individui isolati, ma dagli uomini uniti nelle loro relazioni con la società e
col cosmo. Questa è una giustificazione teologicamente più che sufficiente, per considerare
la partecipazione nell’umanità del mondo come essenziale alla missione.
- Pericoli dell’umanizzazione
Tra gli evangelici esiste il timore che, nel definire l’oggetto della missione in termini
di umanizzazione della struttura sociale, si manifesti una deviazione teologica nel cuore
della fede cristiana. P. Beyerhaus chiama l’attenzione sul cambiamento radicale che si
effettua collocando il centro, non in Dio, ma nell’uomo e, conseguentemente, il cambio
della Teologia con l’Antropologia. La missione viene minimizzata quando è ridotta ad una
semplice “opera di carità”; il servizio a Cristo e ai fratelli consiste in qualcosa in più che
nell’essere amabili o nel fare opere di carità64.
Si corre il rischio di arrendersi ad una tolleranza sincretista. Si corre il pericolo di
realizzare i servizi cristiani nel silenzio, senza “ulteriori motivi”; si sottovaluta la missione
riducendola unicamente a una semplice testimonianza, senza cercare la crescita della
Chiesa, senza invitare gli uomini a diventare cristiani. E, in questo modo, si crede di liberarsi
dall’accusa di proselitismo. Si paralizza la forza che implica il concetto di sacrificio
espiatorio di Cristo, così come la realtà del suo Regno futuro, che ancora deve essere
stabilito in potere nella seconda sua venuta. La Bibbia si riduce ad una risposta ai problemi
socio-politici, e l’unica cosa che rimane è un insieme di principi, quali responsabilità,
61
WCC, 1Drafts for Sections, schema della Sezione II di Uppsala; citato da P. Beyerhaus, Mission and
Humanization, in Mission Trends, 1º, New York 1974, 34.
62
THOMAS M.M., Salvation and Humanisation, in International Review of Missions 60, 1971, 26.
63
WCC., A letter to the Churches , CWME Assembly Bangkok 1973, in International Review of Missions 62,
1973, 181.
64
Cf. McGAVRAN D.A., How Churches Grow?, New York 1970, 67-76.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 167

solidarietà, apertura al futuro, completamente isolati dalla storia specifica della rivelazione
e della salvezza in cui accadono.
Gli evangelici pensano che la stessa persona di Cristo viene sfigurata; ridotta ad un
prototipo sociale di “uomo per gli altri”; Cristo diventa unicamente l’Uomo Nuovo, e si
dimentica che Egli continua essendo il Figlio di Dio, prediletto e preesistente. Ci si astiene
dal chiamare la gente a credere in Cristo e dall’essere battezzata e si da il nome di missione
all’impegno storico-sociale65. L’argomento per difendere questo tipo di missione senza
proclamazione è che qualsiasi forma di umanizzazione accentuerebbe l’autorità di Cristo,
del suo Dominio. L’impegno storico in quanto tale è già missione. Il Regno escatologico di
Cristo viene “inghiottito dagli acquisti immanenti dell’evoluzione storica. L’uomo si colloca
al centro e arriva a creare per sé un paradiso senza Dio.
Mettendo davanti la natura umana di Cristo, si rischia di convertire la fede cristiana
in un sincretismo umanista; si separa il concetto di umanizzazione dal contesto dossologico
e soteriologico della fede biblica. Ci troviamo, afferma Beyerhaus, nella bancarotta della
teologia missionaria. Si dimentica che l’essere missionario significa essere araldo di un
Signore Sovrano che ha affidato un messaggio immutabile, la cui conoscenza e
accettazione decide sulla vita e sulla morte dei suoi destinatari. Non è possibile dire “Sì” al
dono e rimanere indifferenti rispetto al Donatore; è possibile, tuttavia, acquistare il regalo e
dire “No” al suo Donatore.

- Pericoli dell’evangelismo
La risposta che gli umanizzatori danno alle accuse di Beyerhaus, di convertire la
teologia in antropologia, è la seguente: “il contesto ultimo di riferimento del pensiero
cristiano non è né Dio né l’uomo in astratto, né la metafisica di Dio né la scienza dell’uomo
presa isolatamente, ma Gesù Cristo, che è Dio-Uomo, o meglio, Dio per l’Uomo... Ancora,
parlando con proprietà, il pensiero missionario cristiano non può essere né teologia né
antropologia, eccetto quando ambedue si trovano in riferimento alla cristologia”66. La stessa
antropologia, quando è centrata su Cristo, può essere veramente cristiana nella sua sotto
struttura; non si tratta di un umanesimo chiuso, ma aperto al giudizio ed alla redenzione di
Cristo.

65
Cf. WCC., Assemblea di Nairobi, in L'Osservatore Romano, 28.11.1975, 5.
66
THOMAS M.M., Salvation and Humanisation, 29.
168 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

Secondo la posizione evangelica, l’opposizione fra storia del mondo e storia della
salvezza è costante; si escludono e sono irriconciliabili. Risponde M.M.Thomas 67, la storia
umana può essere dimenticata? Cristo non lavora nel mondo? Questo lavoro è soltanto
segreto e non proietta nessuna luce creatrice e salvatrice? Non riconoscere questo è
chiudere la responsabilità storica del cristiano nella missione di predicare e di far crescere
la Chiesa. Questa opzione contribuisce all’indifferenza del cristiano verso la politica
secolare, invece di renderlo capace di dare una risposta a Cristo e di discernere nel mondo
l’opera di Dio.
In rapporto al peccato e alla salvezza, siamo d’accordo che il peccato ha la sua
espressione corporale nelle forze disumanizzanti della vita; il demonio ha forma umana nei
principi e potenti di questo mondo; la vittoria di Cristo significherà la sconfitta di queste
forze. La salvezza rimane escatologica, ma la responsabilità storica non può escludere
l’impegno di umanizzare il mondo nella storia secolare. La missione di salvezza e il compito
di umanizzare si relazionano integralmente. L’ultimo destino dell’uomo nella risurrezione,
superato il peccato, la colpevolezza e la morte, deve avere la sua realizzazione, sebbene
solamente parziale, in termini del suo destino storico”68.
La corrente evangelica tende a vedere il mondo unicamente come una “profanità”
dalla quale soltanto possiamo aspettare una causalità dispositiva, più o meno buona, di
fronte al messaggio evangelico. Tutta la “grazia” proverrebbe dal messaggio stesso, di
fronte al quale il “mondo” e la sua storia apparterrebbero alla categoria del “profano” e del
“pagano”. La visione evangelica vuole attuare nel mondo usando di esso come se fosse uno
strumento a favore del messaggio cristiano. Lavora nel mondo, ma non mossa da un vero
amore per esso.

2.5. Correnti nella missionologia cattolica


a) Ludwig Rütti (1972)
Rütti non accetta la teologia dell’Ad Gentes. Questa teologia manca di realismo e di
efficacia per affrontare il mondo. Il fondamento della missione non è nell’istituzione dei
Dodici, né nel mandato missionario o nelle missioni divine: tutti questi elementi portano al
passato, che è fisso e non può cambiare il mondo. Rifiuta ogni forma di dualismo fra Chiesa
e mondo, e così non accetta la conversione alla fede o alla Chiesa. La missione è ‘la
responsabilità dei cristiani davanti a un mondo nella speranza di trasformarlo’; non si tratta

67
Ib., 29.
68
Ib., 30.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 169

di una attività propria della Chiesa, ma dei cristiani. La spinta della missione non viene dalla
Chiesa, ma dalla promessa di ‘creare un mondo nuovo’. Cristo chiamando alla conversione
chiamava al Regno, un Regno che incomincia a realizzarsi nella storia. Questo è il dono
pasquale. Ecco l’ultima frase del libro: ‘l’impegno dei cristiani, rivestiti da una promessa
nuova per il mondo, non è di mantenere o diffondere una Chiesa, ma consiste nella
responsabilità efficace della speranza presente nel mondo; responsabilità che cerca gli
uomini per farli partecipi di questa speranza e lavoro’. Rütti, in linea anche con molti
missionologi protestanti, concepisce l’ecclesiologia in stretta relazione con il Regno di Dio
che chiama gli uomini a partecipare negli avvenimenti della storia, ed allo stesso tempo
ricorda la portata escatologica del Regno di Dio che viene, e l’appartenenza al popolo di
Dio pellegrino verso questo Regno69 (cf. J. Verkuyl 1987:183). “La missione si fonda sulla
promessa di Dio di creare un mondo nuovo e consiste nella responsabilità dei cristiani
davanti al mondo, nella speranza di trasformarlo. Tale speranza, peraltro, non è introdotta
nel mondo della Chiesa, ma è già presente nel mondo in forza della promessa di Dio. In tal
senso la Chiesa non conosce già prima di agire quale sia il suo compito, ma lo impara dal
mondo. La missione non è deducibile quindi a partire dalla natura della Chiesa. Come
ancora il Vaticano II farebbe. Essa va piuttosto compresa come momento integrante della
storia promessa e quindi è essa stessa storica” (G. Cannobio 1997:143). L’ordine del giorno
della missione è stabilito dal mondo.
“Che il compito della missione sia da ricercare unicamente nell’assunzione di una
responsabilità e di un impegno di mediazione della fede in «un orizzonte universale» lo
sapevano già anche gli Apostoli. Ma difficilmente sarebbero d’accordo, se si dicesse loro
che la missione va intesa come «realtà mondana» e, cioè giustificata dal rispettivo ordine
del giorno dei lavori posto dal mondo, in definitiva legittimata soltanto come
«programmazione eccentrica» di una signoria mondana di Dio e, per quanto riguarda in suo
contenuto, ridotta all’«aspetto intraumano» come tratto decisivo di conformità al mondo.
In realtà, come ha avuto occasione di chiarire lo stesso Rütti, non si può più assolutamente
parlare di una missionologia che «fondi la natura e la necessità della missione su dati biblici
e dogmatici». Al contrario, la missionologia globalmente intesa si risolve in una «teologia
sperimentale», che recepisce il continuo mutare della situazione storica e che, a costo di
«generalizzazioni coscienti e critiche», deve indicare a tutta la teologia la strada di un
orientamento senza riserve verso il mondo. Che la Chiesa, come mistero del corpo di Cristo
nascosto nella storia, come tenda di Dio in mezzo agli uomini, venga quasi completamente
69
VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology, 183.
170 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

scacciata da questo esodo radicale nel mondo e nello shalom che si va realizzando, non è
più che una conseguenza”70.
“In tale prospettiva la Chiesa si comprende come comunità dell’esodo; non ha se
stessa al centro, ma sta in posizione eccentrica; è Chiesa per il mondo, in quanto è Chiesa
per il Regno di Dio e quindi per il rinnovamento del mondo... La missione consiste pertanto
«nella responsabilità della speranza nella situazione storico-concreta del mondo»”71.
In questa presentazione missionologica, c’è una visione povera dell’Ecclesiologia;
manca l’aspetto sacramentale della Chiesa, corpo di Cristo e strumento dello Spirito. Il
concetto di fede è molto diffuso. Confonde e identifica la storia umana con la storia della
salvezza, e non appare la dimensione soprannaturale della salvezza72.

b) J. B. Metz: la missione come avvenimento politico


La relazione con il mondo, davanti al quale la fede cristiana deve dare ragione della
sua speranza, è orientata principalmente verso il futuro. Cioè, non è semplicemente
contemplativa. E’ un orientamento pienamente operativo73. La così detta età moderna è
caratterizzata dalla costante volontà del nuovo. L’umanità di questa nuova epoca ritiene
unicamente affascinante il futuro in quanto qualcosa che ancora-non-è (“passione verso
l’impossibile”, diceva Kierkegaard). Scompare il potere delle tradizioni. L’antico, l’età
dell’oro non è dietro di noi, ma davanti. Il futuro ancora non esiste, è il “nuovo”. La relazione
col futuro non può essere puramente contemplativa, né rappresentativa, perché la semplice
contemplazione e la rappresentazione si orientano verso una realtà già fatta ed esistente. La
relazione col futuro è operativa, attiva. Il mondo appare come un mondo che sorge per
mezzo dell’uomo e della sua attività tecnica, cioè come un mondo secolarizzato. Nel
mondo, più che le “impronte di Dio”, troviamo le impronte dell’uomo. La salvezza ricercata,
l’umanità trovata e perfezionata, non sono già “al di sopra di noi”, ma “davanti a noi”.
L’orientamento moderno verso il futuro e la comprensione del mondo come storia,
sono fondati sulla fede nella promessa biblica. La parola della rivelazione nell’AT non è una
parola che enuncia, parola di auto-comunicazione personale di Dio, ma una parola di

70
GENSICHEN H.-W., Missiologia, disciplina teologica, 28.
71
CANOBBIO G., La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi , in Ad Gentes, 1, 1997, 143.
72
Cf. LOPEZ-GAY J., Missiologia contemporanea, in AA.VV., Missiologia oggi, Urbaniana University Press,
Roma 1985, 98-99
73
Cf. METZ J. B., Teología del mundo, Salamanca 1970, 108.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 171

promessa. Le dichiarazioni di Dio sono annunci. La parola della promessa indica il futuro.
Per la comprensione biblica, il mondo è un mondo di storia, che sorge di fronte alla
promessa divina. Tutto ciò esige uno sviluppo della teologia come escatologia.
La relazione tra la fede e il mondo si può definire teologicamente per mezzo del
concetto di “escatologia critica creatrice”. Simile teologia del mondo deve essere, allo
stesso tempo, “teologia politica”. La distinzione tra naturale e soprannaturale viene
cancellata. In relazione al futuro non possiamo dirci tranquilli con questa distinzione, né
stabilire separazione tra il futuro naturale del mondo storico ed il futuro soprannaturale
della fede e della Chiesa. La fede non solo aspetta per se stessa, la Chiesa non aspetta
soltanto per se stessa, ma per il mondo. “La Chiesa deve essere veramente cosciente che
essa non esiste per se stessa, cioè non è primariamente al servizio della propria
autoaffermazione, ma al servizio dell’affermazione storica della salvezza... per tutti. La
Chiesa non è, semplicemente, la meta finale del suo proprio movimento. La speranza che la
Chiesa proclama non è la speranza nella Chiesa, ma nel Regno di Dio come futuro del
mondo: futuro che si è risvegliato già definitivamente in Gesù” 74. La ragione del suo esistere
è funzione di mezzo per la proclamazione della salvezza escatologica.
Missione della Chiesa: non si tratta di contemplare ciò che già esiste, ma di suscitare
la speranza in maniera creatrice; si deve contagiare la sua speranza creatrice alla società e
cambiarla attraverso la critica. Il cristiano è “collaboratore” in questo regno, che è stato
promesso, di pace universale e di giustizia. La escatologia cristiana non è una escatologia
puramente passiva, ma una sala di attesa. E’ una escatologia “produttiva”. La salvezza alla
quale orienta la speranza è la salvezza di ogni carne (carne=esistenza interpersonale e
sociale dell’uomo), orientata alla pace e alla giustizia definitiva; non a quella privata. “Lo
scandalo e la promessa di salvezza sono pubblici”. La Chiesa deve vivere nel mondo come
un’istituzione di critica sociale liberatrice. “La Chiesa, in quanto istituzione, vive della
costante proclamazione della sua provvisorietà. E questa provvisorietà escatologica deve
portarla avanti, stabilendosi come istituzione di libertà critica davanti al processo sociale
con le sue assolutizzazione e chiusure”75.
In che cosa consiste la funzione critico-liberatrice della Chiesa?: - nel difendere
l’uomo individuale che vive nel momento in cui viene considerato come materiale e mezzo
per l’edificazione di un futuro razionalizzato tecnologicamente. Nel criticare il tentativo di
considerare l’individualità come funzione di un processo sociale guidato tecnologicamente;

74
METZ J. B., Teología del mundo, Salamanca 1970, 120-121.
75
Ib., 152-153.
172 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

- la Chiesa deve, quindi, accentuare che la storia, come totalità, è sotto la riserva
escatologica di Dio; che la storia come insieme non può convertirsi mai nel contenuto di
un’azione politica particolare. Giacché non c’è dentro questo mondo un soggetto della
storia totale. E ogni volta che un gruppo, partito, nazione o classe tenta di concepire sé
stesso come tale soggetto, e di convertire l’insieme della storia nell’orizzonte della sua
attuazione politica, allora deve adoperare una ideologia totalitaria; - finalmente, la Chiesa
deve mobilitare quella potenza critica che risiede nella tradizione centrale dell’amore
cristiano. Quest’amore deve manifestarsi nella sua dimensione sociale: cioè, con assoluta
decisione a favore della giustizia, della libertà e della pace per gli altri. Quest’amore esige
una critica decisa del potere puro; inoltre, quando quest’amore si mobilita socialmente
come volontà assoluta di giustizia e di libertà per gli altri, allora, in certe circostanze,
quest’amore stesso può imporre un certo potere rivoluzionario.
La critica ci porta a riconoscere in questa teoria una definizione della Chiesa in
modo unilaterale. Perché la sua funzione deve essere soltanto critica? Metz politicizza la
Chiesa; questa diventerebbe una specie di “opposizione extraparlamentare con mezzi
ecclesiastici”. La Chiesa della critica trionfante. La funzione diaconale con gli abbandonati e
i dimenticati non conta per Metz (K. Lehmann). La missione della Chiesa è missione politica.
I concetti chiave (teologia politica, istituzione critica, teoria critica, prassi, fine della
metafisica) con i quali Metz elabora il suo progetto “sono adoperati, frequentemente, senza
base sufficiente, cioè, in forma a-storica, astratta e indeterminata (Lehmann); la dimensione
sociale e l’incidenza politica del messaggio cristiano non possono giustificare la promozione
della politica come principio ermeneutico di tutta la rivelazione; non si può commisurare la
Chiesa ad alcun programma o sistema politico particolare (H. Maier, H. De Lavalette).

2.7. Nuove prospettive per la missione


La missione, così come la Chiesa, è oggi policentrica76; il centro non è che si è
trasferito altrove, si è diversificato. Allora, non serve più l’idea secondo la quale la Chiesa si
costruisce in funzione o per sostenere un paradigma di Cristianità, di conservazione. Inoltre
la Cristianità sta scomparendo. Perciò, la Chiesa dovrà prepararsi per i nuovi contesti ed i
nuovi tipi di missione. Patrick Mays propone, a questo riguardo, il modello dinamico di una
chiesa-in-missione77; qualche cosa che non riesce ancora a decollare tra i cristiani.
76
Cf. SHENK Wilbert R., Mission in Transition: 1972-1987 , in Missiology 15, 1987, 429; ID., Changing
frontiers of Mission, Orbis Books, Maryknoll, New York 1999, 183.
77
Cf. MAYS Patrick, After Christendom, what? Renewal and discovery of Church and Mission in the West , in
Missiology 27, 1999, 245-258.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 173

Nella Chiesa-Cristianità, la missione è una realtà che si sviluppa lontano; la gente


offre denaro, ma la missione sembra distante, senza relazione con la vita centrale della
Chiesa. Vi è, poi, altro tipo di Chiesa, anomala, fatta di una classe media, un’isola bianca in
mezzo alla povertà. Questa Chiesa non esce fuori; esporta programmi missionari, ma
soltanto per avere a posto la coscienza. I due tipi di Chiesa sono sbagliati riguardo al fatto
missionario. Così, è pericoloso concepire la missione, localizzata nei continenti non-cristiani
(Asia-Africa), come una impresa portata avanti da religiosi professionisti. Questo comporta
ignoranza, paternalismo e imperialismo. E’ anche sbagliato non vedere che i contesti locali
sono cambiati, sotto l’influenza del secolarismo e della mescolanza etnica. Riuscire a capire
che la missione si trova “qua” e “dovunque” presenta un cambiamento nel modo
tradizionale di percepire la Chiesa. Insomma, la Chiesa occidentale ha bisogno di una
missionologia domestica; dobbiamo essere missionari nel nostro proprio contesto78.
Perché ci sono elementi nuovi nel paradigma missionario che hanno sconvolto la
missione: questa non va più da Occidente ad Oriente, dall’Europa al resto del mondo;
rinascono le religioni non cristiane con una forza aggressiva; sono cresciute dappertutto le
“chiese giovani”, mature e con la loro autorità e responsabilità; la base operativa della
missione si trova oggi in tutti i paesi79.
La missione, poi, giudica la vitalità delle chiese. Dal momento che la Chiesa è
costituita per la missione nel mondo, il criterio mediante il quale possiamo valutare la sua
vitalità è se la Chiesa rimane fedele a questa missione per il mondo80.

VII.- NUOVI ORIZZONTI PER LA MISSIONOLOGIA

1. Relazione: teologia-missionologia (verso una teologia tutta missionaria)

78
Cf. MEAD Loren B., The Once and Future Church: reinventing the Congregation for a New Mission Frontier ,
The Alban Institute, Washington D.C. 1991.
79
Cf. NEWBIGIN L., A Word in Season. Perspectives on Christian World Missions , W.B.Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids, Michigan 1994.
80
Cf. SHENK Wilbert R., Mission, Renewal, and the Future of the Church , in International Bulletin of
Missionary Research 27, 1997, 158.
174 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

La relazione della missionologia con la teologia non è un tema nuovo, offerto ora
dalle circostanze attuali alla nostra riflessione. E’, invece, una relazione che non è ancora
conclusa da parte di nessuna delle due scienze. La teologia, a volte, da l’impressione di
non sapere che cosa fare di questa scienza che poi è collocata nei margini del suo campo,
vedendola piuttosto immersa in un lavoro pratico e con poco di riflessione.
La missionologia trova troppe difficoltà al momento di inserirsi negli studi
accademici. I motivi, secondo Wilbert R. Shenk81, possono essere sia interni che esterni.
Al principio della sua andatura, la missionologia ha dovuto affrontare i programmi
dell’insegnamento teologico molto compatti, restii all’introduzione di nuove proposte. I
professori di missionologia concordano nell’affermare che, né i teologi né la Chiesa
hanno presso sul serio gli studi della missione82. Quest’autore si domanda se i
missionologi non farebbero bene a dedicarsi a stabilire l’importanza della missione,
tentando di mantenere le cattedre e i dipartimenti, o dovrebbero servire gli interessi del
Regno convertendo i loro colleghi alla teologia missionaria, la Bibbia in testo missionario,
la storia della Chiesa in storia della missione in sei continenti e la teologia pratica in un
riflesso della natura missionaria della Chiesa.
Allora, se la missione è stata un’appendice nella Chiesa, nel senso che era piuttosto
compito di alcuni gruppi con vocazione specifica e molto relativi 83 non si può pretendere
che la missionologia occupi un posto preferenziale. Nella teologia, in concreto, troviamo
una divisione tematica rigida: biblica, sistematica, storica e pratica, che non permette
facilmente l’introduzione della missionologia. Al massimo, le viene concesso un posto
secondario dentro della teologia pratica. Viene racchiusa in orizzonti sperduti, lì dove la
Chiesa è incipiente e nuova. Mentre la Teologia ha davanti a se gli orizzonti di una Chiesa
adulta, storicamente secolare.

Da questi fatti interni, e da altri sui quali non ci fermiamo, la nascita della
missionologia soffre le conseguenze dell’Illuminismo che ha dato spazio a tematiche
lontane dalla fede e dalla religione, in genere. La religione perse molto spazio di
influenza e si ripercuote nella missionologia. Possiamo dire che il giorno in cui la
teologia avrà in prospettiva gli orizzonti della missione, quel giorno la missionologia

81
Cf. SHENK Wilbert R., The contribution of the Study of new religious movements to missiology, in Exploring
new religious movements. Essays in Honour of Harold W. Turner , A.F.Walls-W.R.Shenk, edd., Focus Elkart,
Indiana 1990, 182-183.
82
Cf. ROXBOROGH John, After Bosch: the future of Missiology , Princeton Currents in World Christianity
Seminar, 2 February 2001, 4, in john@schhoofministry.ac.nz.
83
Cf. BOSCH David J., Theological Education in Missionary Perspective , in Missiology X, 1982, 17.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 175

prenderà il suo posto nel concerto teologico. La missionologia non è la sola “colpevole”
della situazione di stagno in cui si trova. La teologia non è libera di questa responsabilità.
Bosch riprende l’argomento da Harvie M. Conn84, il quale invita a scoprire cosa sia la
teologia. Infatti, abbiamo bisogno di un’agenda missionaria per la teologia, anziché
soltanto di un’agenda teologica per la missione85. A fin di conti, la ragione di esistere
della teologia è per accompagnare criticamente la missio Dei86. La missione deve
diventare “il tema di tutta la teologia”87.
Forse in questo campo la teologia sta aprendo alle nuove realtà che propongono le
chiese locali e le teologie cosiddette “contestuali”. Non c’è dubbio che queste teologie si
trovano anch’esse oggi ad affrontare problemi che nascono con la missione: il dialogo,
l’inculturazione, la cristologia e le religioni non cristiane, ecc. Questi non sono soltanto temi
di missionologia, ma soggetti che spingono la teologia “dal basso” e che aspettano un suo
coinvolgimento nelle risposte. Allora, la domanda viene fuori oggi con grande forza: è
possibile dare una risposta a le questioni teologiche senza avere presente la teologia della
missione? Si richiede che la teologia prenda coscienza della sua dimensione storica,
contestuale; infatti essa non è esenta dalle particolarità culturali, così come non lo sono la
liturgia, l’architettura, gli abiti (vestiti) clericali. La teologia ha ancora un senso troppo
esagerato dell’immovilismo che viene scambiato per tradizione. La missionologia è più
dinamica nel suo pensiero e nelle sue radici pratiche, dove essa prende vita, cioè, nella
missione.
In parole di D. Bosch, “il compito della missionologia è quello di mettere in luce,
collaborando liberamente con altre discipline, il riferimento della teologia al mondo. La
missionologia deve permeare tutte le discipline... L’idea missionaria è un ricupero
dell’universalità che risiede nel profondo della Buona Novella; in quanto tale deve essere
infusa nell’intero piano degli studi, anziché fornire l’argomento di un corso specifico.
Eppure, anche soltanto per ragioni puramente pratiche, è consigliabile avere una materia
separata chiamata missionologia, poiché senza di essa non sarebbe ricordata
costantemente alle altre discipline la loro natura missionaria”88.

84
Cf. The Missionary Task of Theology. A Love/Hate Relationship? , in Westminster Theological Journal 45,
1983, 7.
85
Cf. Ib., 13.
86
BOSCH D.J., La trasformazione della missione, 682.
87
GENSICHEN H.-W., Glaube für die Welt. Theologische Aspekte der Mission , Verlagshaus Gerd Mohn,
Gütersloh 1971, 250.
88
BOSCH D.J., La trasformazione della missione, 683.
176 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

2. La Missionologia nel contesto dell’insegnamento teologico odierno

Tuttavia, la Missionologia continua ad essere una cenerentola, quando no un


elemento marginale negli studi teologici ecclesiali. C’è gente che quando si trovano con la
parola missionologia si domandano di che cosa tratti; o, ancora, se la missione deve essere
tema di studio, in riferimento a che la missione basta realizzarla. G.H. Anderson è
preoccupato poiché nelle ultime decade si acutizza la marginalità della missionologia; la
professionalizzazione, infatti, può essere sinonimo di marginalizzazione89.
Scrive O.G. Myklebust che “la Missionologia in quanto disciplina teologica è troppo
sconosciuta nel mondo accademico o, quando è conosciuta, non sempre viene
correttamente interpretata dagli studiosi”90. Da qui la necessità di studiare, sia il soggetto
proprio, sia la sua collocazione nel campo teologico, sia la sua autonomia, sia la relazione
con l'insieme delle scienze. Infatti, la Missionologia deve chiarire quale sono i suoi campi di
studio; deve accettare il fatto di essere immersa in una “molteplicità di processi” ed studiarli
dal suo punto di vista. Ciò significa che la Missionologia è in relazione con una vasta
quantità di scienze e deve ascoltare queste scienze. Così, il campo dello studio si allarga per
la Missionologia. La Missionologia non deve chiudersi in se stessa.

2.1 Alcuni contrasti


In molti centri universitari, di tutti i continenti, il luogo concesso alla Missionologia è
marginale; magari dovuto al fatto che la realtà che si studia, cioè, la missione ha ancora un
contenuto ed una memoria non grata, quella imperialistica legata al mondo Occidentale. In
un Seminario celebrato a Ishvani-Kendra (India) da un gruppo di teologi, sociologi, pastori,
ecc. nel aprile del 2000, è venuta fuori questa constatazione: “mentre la missione si è
convertita in tema di studio e di dibattito in molti circoli, ancora si fa notare molto
fortemente il fatto che la missione sia concepita ed interpretata alla luce di dolorose
esperienze, associate all’epoca della colonizzazione, con lo spoglio di culture,
l’abbattimento di luoghi sacri di culto, l’uso del potere economico e militare per assicurare

89
Cf. ANDERSON Gerald H., The state of Missiological Research, in Missiological Education for the 21st.
Century, J. Dudley Woodberry, Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edds., Orbis Books, Maryknoll, New York
1996, 24.
90
MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education. A factual survey , in Mission
studies VI-2, 1989, 87.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 177

la crescita numerica delle comunità cristiane”91. Altro fatto da notare è che molte facoltà di
Teologia hanno riconvertito le cattedre di Missionologia, molto attive durante la prima
parte del s. XX, in Dipartimenti di studi religiosi, di Teologie del Terzo Mondo, ecc. 92. Bosch
faceva constatare questo stesso fatto qualche anno prima, il che, secondo lui, veniva a
scoprire la crisi della missione stessa93.
Sembrerebbe che teologia e missionologia percorrono strade diverse e
concorrenziali; forse perché dimenticano che ambedue sono ugualmente al servizio del
Regno. Inoltre, la teologia dimentica che la sua stessa origine storica, come abbiamo visto, è
frutto del lavoro missionario. Il divorzio può essere anche dovuto al fatto, ancora in vita, che
i sacerdoti e i pastori, in genere, sono preparati più in funzione di una attività pastorale che
missionaria. Altra causa: quale teologia possono fare teologi e pastori educati nella più
classica teologia occidentale che lavorano nei seminari e nei centri di studio confortevoli,
lontani dal mondo della gente? Questo non giova, né alla missione, né alla missionologia 94;
l’autore propone creare spazi per le teologie locali, contestuali e si domanda su chi deve
fare questa teologia. Insiste anche nel ruolo della storia nell’elaborazione della teologia; chi
riflette sulla fede è una comunità concreta; senza questa sensibilità non esiste teologia).
L’obiettivo del mantenimento (=conservazione) dello status quo diventa prioritario, di
fronte all’importanza della missione; manifestando che il Regno di Dio è contenuto nella
struttura ecclesiale, che la chiesa deve proteggere senza tenere conto del suo sviluppo nella
storia. La Chiesa impiega più tempo a soddisfare le necessità interne, create nelle sue
strutture e con una visione centripeta, che non nello sviluppo di strategie missionarie95.
David Hesselgrave fa questa deludente constatazione, dopo aver studiato
l’importanza data alle fondamenta teologiche della missione nella missionologia
contemporanea: le scienze sociali e la storia hanno prestato più attenzione e più spazio agli
studi missionologici che la teologia96.

91
ISHVANI-KENDRA, Research Seminar 1000. Conclusions: A vision of mission for the New Millennium ,
2000, 1, in www.sedos.org
92
Cf. MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education. A factual survey , in Mission
studies VI-2, 1989, 90.
93
Cf. BOSCH David J., Theological Education in Missionary Perspective , in Missiology X, 1982, 13-34.
94
Cf. KAVUNKAL Jacob, À l’origine d’une théologie contextuelle. Impact sur la théologie asiatique , in
Spiritus 156, 1999, 265-276.
95
Cf. DE FRANÇA Valdir Xavier, A relevância da missiologia para educação teológica , 2001, 1:
http://sites.nol.com.br/rev.valdir/relevan.htm/
96
Cf. HESSELGRAVE David, Today’s Choices for Tomorrow’s Mission: an Evangelical perspective on Trends
and Issues in Missions, Zondervan, Grand Rapids 1988, 139-144.
178 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

Myklebust97 studia le opinioni riguardanti la missionologia come scienza teologica e


riassume le posizioni su questa questione che è sempre presente nell’Introduzione alla
Missionologia. Dove collocare questa disciplina? Ciò equivale a parlare delle origini della
Missionologia. Schleiermacher la colloca in appendice alla teologia pratica. Ma, che
cosa è la teologia pratica? Rahner la definisce come “la scienza teologica normativa
dell’autorealizzazione della Chiesa in tutte le dimensioni” 98. In questa situazione, scrive
D. Bosch, la missionologia diventa, dunque, lo studio dell’autoevangelizzazione della
chiesa nelle situazioni missionarie (cioè, della chiesa che si auto- espande) e la teologia
pratica, propriamente detta, rappresenta lo studio dell’autorealizzazione della chiesa
esistente (cioè, della chiesa che costruisce se stessa). L’oggetto della riflessione teologica
della missionologia è, quindi, identico a quello della riflessione della teologia pratica99
Andando alla storia, corre l’obbligo di ricordare che per merito di Gustav Warneck
la missionologia è istituita come disciplina autonoma, con pieno diritto all’interno della
teologia100. Come abbiamo visto, nell’ambito cattolico, J. Schmidlin segue le tracce e
l’entusiasmo di Warneck. Sono costoro i grandi propulsori della scienza missionologica. La
creazione di cattedre di missionologia si materializzerà in breve tempo. Alcune cattedre
sono state, successivamente, trasformate in cattedre di cristianesimo mondiale, teologia
ecumenica e simili, mentre sono state istituite molte nuove cattedre specificatamente
dedicate alla missionologia. Myklebust ne elenca 197 distribuite in tutti i Continenti101.
Facendo un excursus tra i vari Continenti, Myklebust conclude: Africa: il posto
concesso alla Missionologia nelle Università è piuttosto marginale. E ciò è dovuto, in
parte, alla memoria d’imperialismo e di prepotenza occidentale che porta in sé la
missione, ma ancor di più al fatto che le facoltà di teologia sono state trasformate in
dipartimenti di Studi religiosi. Asia: rapportandole al numero di cattolici, le istituzioni
che accettano la Missionologia come soggetto proprio di studio sono numerose e
promettenti. America latina: la missionologia come soggetto proprio ha finora ricevuto
scarsa attenzione accademica in quanto solo recentemente il Continente ha preso
coscienza della realtà missionaria. America del Nord: l’attenzione agli studi missionari è
molto sviluppata. Più del 40% delle istituzioni accademiche ha cattedre e dipartimenti di

97
Cf. The Study of Missions in Theological Education I, Oslo1953-1957, 84-89.
98
RAHNER K., I principi fondamentali dell’odierna missione della Chiesa , in La Chiesa nella situazione
d’oggi – Studi di teologia pastorale 2, Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1969, 52.
99
BOSCH D., La trasformazione della missione, 678.
100
Cf. BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 679.
101
Cf. Missiology in contemporary theological education. A factual survey , in Mission studies VI-2, 1989,
90.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 179

missionologia. Molto rilevante è stato l’apporto della Società Americana di


Missionologia nella promozione della legittimità della Missionologia. Europa: con in
prima linea la Germania e l’Olanda, gli studi missionologici hanno avuto un forte
sviluppo. Esistono cattedre in Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Irlanda, Italia,
Norvegia, Olanda, Polonia, Svizzera, Svezia e Grecia. Australia: Nessuna cattedra.
Facendo riferimento alle diverse confessioni cristiane, possiamo notare che
quelle che hanno più a cuore il fatto dell’evangelizzazione sono quelle che hanno
sviluppato di più gli studi missionologici. In pratica, gli sforzi di promozione di studi
missionologici evidenziano il tipo di cristianità alla base. Nella chiesa ortodossa, ad
esempio, l’evangelizzazione si sviluppa nell’atto liturgico: è in questo momento che si
concentra la testimonianza evangelizzatrice più concreta. Quest’atteggiamento, per
contro, non induce un ulteriore approfondimento di studi.
La Chiesa cattolica nel Vaticano II assume la missione come il più grande dovere;
tuttavia questo non corrisponde allo spazio che concede alla Missionologia negli studi
teologici. Della missionologia si comprende la necessità a livello teorico, a livello
operativo si è lontani dall’impiantare cattedre. Gerald H. Anderson, in risposta ad un
discorso dell’Arcivescovo Marcello Zago, fa notare la poca dinamica missionaria dei 65
milioni di cattolici degli Stati Uniti, e si meraviglia del fatto che soltanto un seminario
offre corsi regolari di missionologia a coloro che si preparano al sacerdozio e che detti
corsi non sono richiesti per l’ordinazione sacerdotale 102. Come è possibile che coloro che
diventeranno pastori, cioè, animatori della comunità, possano comunicare lo spirito
missionario se loro non hanno questa passione? C’è un legame fra questa lacuna nella
formazione missionaria nei seminari ed il declino delle vocazioni missionarie cattoliche
negli Stati Uniti? E’ vero che i documenti pontifici hanno la missione nel cuore, però non
si traduce nella pratica. Affermare, poi, che la missionologia, invece di formare parte dl
curriculum, entra a far parte dell’ecclesiologia, non è giusto. Poiché, “se tutto è missione,
allora niente è missione”103.
La consapevolezza della necessità della missionologia sembra, tuttavia al
momento, non garantirle, per dirla con Bosch 104, un domicilio legale nella teologia. Le
cattedre furono istituite, non perché la teologia fosse concepita intrinsecamente

102
Cf. ANDERSON G. H., Response to Marcello Zago OMI, in International Bulletin of Missionary Research 25,
2001, 6-8.
103
NEILL S., Schöpferische Spannung. Mission zwischen gestern und morgen , Kassel 1967, 88.
104
Cf. La trasformazione della missione, 679.
180 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

missionaria, ma per la pressione delle società missionarie, degli studenti ed, in alcuni
casi, addirittura pressioni dei Governi.
La graduale scomparsa della missionologia dai curricula teologici mostra una crisi
evidente nel modo di intendere la missione. In alcune delle antiche facoltà europee ed
americane, dove al principio del XX secolo la missionologia era ampiamente difesa,
molte cattedre sono state abolite o riconvertite. A tutto ciò si aggiunge la diminuzione
del numero dei missionari nelle Chiese. La cosa più triste, secondo Markus Büker, è che la
soppressione delle cattedre nell’insegnamento teologico universitario è stata motivata da
problemi economici; è il caso, per esempio, dell’Università di Würzburg (Germania). A
eccezione fatta delle università di Friburgo (Svizera) e di Münster (Germania), non esistono
più cattedre di Missionologia in nessuna delle facoltà cattolico-statali nei paesi di lingua
tedesca. Si conservano unicamente in alcuni centri programmi molto ridotti 105. Questo
autore si domanda: “significa questo che la stessa teologia ha abbandonato il suo incarico di
missione? E’ forse un indice in più, come si sente dire, che le chiese europee non hanno già
senso di chiesa universale? Cioè, con la scomparsa della Missionologia, si incomincia a
prendere sul serio lo scandalo provocato e le conseguenze oppressore della coscienza
missionaria delle chiese europee?”106.
Altri motivi di questo “abbandono” della Missionologia si possono scorgere nel fatto
che la teologia pratica si è fatta carico dei temi riguardanti l’evangelizzazione e
l’inculturazione, mentre la teologia fondamentale e la dogmatica riflettono sulla teologia
delle religioni. Si scopre, anche, il poco interesse degli studenti per i temi quali: chiesa
universale, politica di sviluppo e solidarietà internazionale.
Tuttavia, e qui troviamo il contrasto più grande, dal 1950 si sperimenta un
incremento nel riconoscimento della Missionologia negli studi teologici, mentre si
accompagna di una mancanza di interesse nelle istituzioni teologiche per assicurare alla
Missionologia un posto proprio nei curricula. In tutto il mondo la Missionologia ha
guadagnato prestigio e sono stati creati molti centri di insegnamento che hanno
moltiplicato i gradi accademici. Le riviste missionologiche proliferano. Tuttavia, molti centri
hanno chiuso; s’impartiscono corsi che rimangono opzionali o, semplicemente, scompaiono
dai programmi. “In gran parte degli istituti teologici, il luogo concesso alla Missionologia è
marginale”107. Troviamo tanti temi sulle missioni che formano parte di tesi di laurea, ma la
105
Cf. BÜKER Markus, Una Europa sin fronteras y sin misión? Consideraciones sobre una comprensión
inculturada de la misión en los países de habla alemana, 2000, 9, in www.sedos.org/spanish/büker.html.
106
Ib.
107
MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education , 99.
Introduzione alla Missiologia – 2012- IV 181

Missionologia, in quanto disciplina teologica, è quasi assente o isolata dal resto delle
materie teologiche.

Altri contrasti: alcuni pensano che, ad una pratica missionaria fiorente, non si
corrisponda un quadro missionologico dello stesso calibro108. Altri, invece, considerano che,
con l’arrivo delle “chiese giovani”, l’età delle missioni può essere arrivata al capo linea. Le
missioni sono un residuo della storia, del provincialismo della teologia Occidentale; e con
ciò, anche la Missionologia perde quota109.
D’altra parte, il fatto di avere capito la missione come un compito, non tanto della
Chiesa stessa, quanto di certi gruppi di volontari, ha fatto sì che lo studio accademico della
teologia non è cosciente della sua responsabilità nel mondo dell’evangelizzazione. Ed i
professori di teologia, in genere, manifestano un interesse molto limitato in questo campo.
Non bisogna dimenticare che gli stessi Ordini ed Istituti che hanno portato avanti la
missione, salvo eccezioni, non hanno previsto per i loro membri una formazione missionaria
propriamente detta110. Si aggiunge il fatto che, mentre i soggetti o le materie del sapere
cambiano costantemente, quelli della teologia sembrano eterni, nel senso che difficilmente
si aggiunge una materia nuova e, quando questo accade, è in un modo periferico ed
eccezionale. Il citato Seminario 2000 di Ishvani-Kendra denunciava in parte questo fatto,
affermando che l’insegnamento ufficiale della Chiesa continua ad essere articolato in un
linguaggio ed in un tono che viene percepito con un odore di imperialismo, offensivo nel
contesto del nuovo respiro democratico111.

2.2. Elementi che contribuiscono a quest’incertezza


Myklebust parla di tre fattori: - la nascita degli stati indipendenti; - la crescita della
coscienza nazionale; - la rinascita delle religioni indigene nei “continenti tradizionalmente
missionari” che hanno creato una nuova situazione 112. Inoltre, il clima teologico, fortemente
caratterizzato dal relativismo113 e dal pluralismo, e l’influsso esercitato dalle idee e dalle

108
Cf. RAMAMBASON L. W., Missiology: its subject-matter and method, Peter Lang, Frankfurt am Main, 1999,
14.
109
Cf. MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education , 100.
110
Cf. MOTTE Mary, A Roman Catholic Perspective on Missiological Education, in Missiological Education for
the 21st Century, J. Dudley Woodberry, Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edd., Orbis Books, Maryknoll,
New York 1996, 81.
111
Cf. ISHVANI-KENDRA, Research Seminar 1000. Conclusions: A vision of mission for the New
Millennium, 2001, 2, in www.sedos.org.
112
Cf. MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education , 99.
113
AA.VV., Il relativismo religioso sul finire del secondo Millennio , Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
1996.
182 Introduzione alla Missiologia – 2012-IV

attitudini secolaristiche, non portano ad una comprensione della missione. Per esempio, il
pericolo del relativismo nel campo della teologia delle religioni è mortale per la
Missionologia. E il virus del relativismo ha acquisito proporzioni epidemiche114.
Dove trovare la soluzione? Si fa urgente che la Missionologia chiarisca le sue
materie ed i suoi metodi. I missionologi dovrebbero prendere più seriamente la
responsabilità di chiarire la credibilità del contenuto accademico della Missionologia. Si ha
l’impressione che tutto parta da una nuova e più uniforme comprensione della missione
stessa. Infatti, si rende necessaria la chiarificazione terminologica di tutto il vocabolario
relativo alla missione115. Myklebust, in concreto, pone una serie di questioni che dovrebbero
esse risolte: “Che cosa è la missione Cristiana? La missione è sinonimo di
evangelismo/evangelizzazione? Se non, quale è la differenza? La missione è la missione di
Dio e le missioni sono gli sforzi umani per far crescere il Suo Regno? La missione è
dimensione o intenzione o ambedue? La missione è, unicamente, un servizio all’incontro
culturale? Il dialogo è missione? La crescita numerica della Chiesa è missione? O, forse, la
parola ‘missione’ non dovrebbe essere più utilizzata, poiché ‘l’idea di missione è già inclusa
nella teologia della chiesa’?116.
G.H. Anderson vede una rivitalizzazione della ricerca missionologica nelle ultime
decadi (si riferisce agli Stati Uniti) a partire dal 1971; tuttavia, questa rinascita non è
accompagnata dalla corrispondente crescita della missione in molte chiese. E si domanda:
perché questo disinteresse per il mondo missionario, quando disponiamo di un numero più
grande di professori e di studi sulla missione? Constata, ugualmente, che, nonostante il
grande sviluppo della ricerca missionologica, la Missionologia è periferica negli studi
teologici e più marginale ancora nelle scienze storiche e sociali. E’ possibile che la
professionalizzazione contribuisca all’isolamento. Come soluzione, Anderson propone che i
missionologi facciano studi che coinvolgano la collaborazione e le opportunità
interdisciplinari117. In questo senso, Tite Tiénou chiede ai missionologi africani di essere più
competenti in teologia e in Bibbia. Da questo dipende che la Missionologia abbandoni
questa situazione marginale nei curricula di teologia.

114
Cf. HICK J. - KNITTER P.F., (edd.), The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of
Religions, Orbis Books, New York 1987; [trad. it., L’unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista delle
religioni, Cittadella, Assisi 1994].
115
Cf. ANDERSON Gerald H., The state of Missiological Research, in Missiological Education for the 21st.
Century, J. Dudley Woodberry, Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edd., Orbis Books, Maryknoll, New York
1996, 24.
116
Cf. MYKLEBUST O.G., Missiology in contemporary theological education. A factual survey , in Mission
studies VI-2, 1989, 100.
117
Cf. ANDERSON Gerald H., The state of Missiological Research, 23-24.
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