La dottrina di Lutero sulla giustificazione porta ad un forte individualismo per ciò che
riguarda la salvezza. Il destino di ogni uomo (la salvezza o la condanna) è già stato fissato
irrevocabilmente da Dio. L’umanità è divisa tra gli eletti e i non eletti, destinati, i primi, al
paradiso e alla condanna i secondi. L’uomo è, quindi, impotente di fronte alla possibilità di
modificare il corso della sua vita o di fronte al tentativo di convertire i suoi simili 1. Dio stesso
suggerirà la fede in coloro che vuole salvare. Questo soffoca qualsiasi iniziativa o sforzo
missionario. Se Dio predestina alcuni alla gloria, e in modo assoluto, allora non è necessario
andare a convertirli. Anzi, i nostri sforzi per portare loro alla fede, sarebbero, non soltanto
inutili, ma riprovevoli e peccaminosi. I primi protestanti furono fedeli a questi principi e
annullarono ogni iniziativa missionaria. Calvino è ancora più radicale. Ci sono i predestinati
all’elezione ed altri alla condanna. Tra questi, i pagani, privi della fede e naturalmente
corrotti. Il bene che tentano di fare è soltanto un’illusione, un gioco del diavolo per
ingannarli e precipitarli nell’inferno. Questa dottrina è il sepolcro di ogni idea missionaria.
D. Bosch ci offre i punti fermi della dottrina della Riforma, fonte della comprensione
della missione da parte dei Riformatori. Sono i seguenti cinque:
1º. Punto di partenza della teologia della Riforma è l’articolo della giustificazione
per la fede. Questo articolo esprime che fra Dio e la sua creazione vi è una distanza enorme
e, tuttavia, Dio ha preso l’iniziativa di perdonare, giustificare e salvare gli esseri umani. Per i
Riformatori, il punto di partenza non era ciò che la gente poteva e doveva fare per la propria
salvezza, ma ciò che Dio aveva fatto in Cristo.
2º. Le persone sono viste nella prospettiva della Caduta, come perdute e incapaci di
fare alcunché riguardo alla propria condizione. La Riforma ruppe con l’idea tomista della
validità e affidabilità della ragione umana; quest’ultima era totalmente corrotta e incline
all’errore. Bisognava rendere coscienti gli uomini della loro condizione di perdizione, in
modo da poterli condurre alla conversione.
1
Cf. SANTOS, A., La misionología como ciencia teológica (sus orígenes) , in La misionología hoy, Verbo
Divino, Estella 1987, 34-35.
58 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
3º. La Riforma sottolineò la dimensione soggettiva della salvezza. Dio non interessa
come Dio in sé, ma come Dio per me, per noi, il Dio che per amore di Cristo ci ha giustificati
per la grazia.
4º. L’affermazione del ruolo e della responsabilità personale dell’individuo condusse
alla riscoperta del sacerdozio di tutti i fedeli. Il credente si trovava in una relazione
immediata con Dio, una relazione che esisteva indipendentemente dalla chiesa.
5º. L’idea protestante trovò espressione nella centralità delle Scritture nella vita
della Chiesa. Ciò significa che la parola prese il sopravvento sull’immagine, l’orecchio
sull’occhio. I sacramenti furono drasticamente ridotti; in molte chiese l’altare dovette cedere
il posto al pulpito, cui venne attribuito il posto d’onore2.
Conseguenze: a) il primo carattere porta a paralizzare qualunque sforzo missionario.
Si può sostenere che, siccome l’iniziativa è sempre di Dio, e Dio è Colui che elegge
sovranamente coloro che saranno salvati, ogni tentativo umano di salvare delle persone
equivale a una bestemmia.
b) Considerare l’umanità unicamente dal punto di vista della Caduta poteva
salvaguardare l’idea della sovranità divina e così garantire che la missione fosse, in prima e
ultima analisi, opera di Dio. La preoccupazione per la depravazione umana poteva però
anche favorire una visione tanto pessimistica dell’umanità, da far considerare gli esseri umani
come mere pedine su una scacchiera. Ciò poteva condurre alla rassegnazione e al
disimpegno, non essendoci nulla che gli umani potessero fare per cambiare la realtà.
c) Parlare del sacerdozio di tutti i fedeli significava reintrodurre l’idea che ogni
cristiano fosse chiamato alla responsabilità di servire Dio impegnandosi attivamente
nell’opera divina nel mondo. Allo stesso tempo, il discorso del sacerdozio comune aveva in sé
i semi dello scisma, di diverse interpretazioni della volontà di Dio da parte di fedeli differenti
e, dunque, in assenza di un magistero ecclesiastico, della separazione delle varie vie.
d) La centralità delle Scritture, come guida per la vita, segnò un importante
progresso rispetto all’idea che tutte le materie di fede e di vita dovessero essere regolate,
talvolta piuttosto arbitrariamente, da papi e concili. Allo stesso tempo, essa apriva la strada
alla sostituzione del papa di Roma con un “papa di carta”. In alcuni casi la Bibbia fu
ipostatizzata fin quasi al punto di essere considerata in grado di operare autonomamente.
Per dirla con Hans Küng: “Il biblicismo è rimasto un pericolo costante della teologia
2
BOSCH D. J., La trasformazione della missione , 338-339.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 59
protestante. Fondamento autentico della fede non è più il messaggio cristiano, non è più lo
stesso Cristo predicato, ma l’infallibile parola biblica in quanto tale. Come parecchi cattolici
credono meno in Dio che nella ‘loro’ Chiesa e nel ‘loro’ papa, così molti protestanti credono
nella ‘loro’ Bibbia. All’apoteosi della chiesa corrisponde l’apoteosi della Bibbia!”3.
Questa posizione negativa dei Riformatori viene confermata dagli storici del
Protestantesimo. Così, per esempio, Robert H. Glover, scrive: “E’ evidente che la maggior
parte dei capi della Riforma, inclusi Lutero, Melanchton, Calvino, Zwinglio e Knox, non
badarono seriamente alla responsabilità missionaria tra i pagani e i musulmani. Nonostante
le loro idee chiare e nonostante la loro adesione alle dottrine fondamentali della fede
evangelica, manifestarono una grande misconoscenza sulla finalità del disegno divino e sul
dovere del cristiano riguardo al Vangelo... Ci troviamo, quindi, col fatto di una Chiesa
protestante viva che per molti anni non dimostrò interesse alcuno per le missioni, mentre
quell'altra Chiesa che essi abbandonarono, perché manchevole di vitalità, coltivava invece le
missioni sia nell'Oriente sia nell'America”4. Le chiese nate dalla Riforma “furono chiese non
missionarie, nel senso moderno della parola, e i loro successori ed interpreti non
svilupparono né l’idea né la motivazione missionaria. Una teologia negativa dominò la chiesa
ufficiale Protestante seguendo la Riforma per ben due secoli”5.
I protestanti, sulla scia di Zwinglio, credevano che la responsabilità missionaria era
propria degli individui, non un obbligo delle chiese. Zwinglio, in concreto, sostenne che la
missione era compito di quelli specificamente chiamati apostoli, e le chiese non avevano
niente da fare con le missioni. Conseguentemente, le chiese rimangono fuori dal progetto
missionario, mentre gli individui ed i gruppi diventano aggressivi nelle missioni estere. Forse
per questo erano giudicati tanto negativamente dai Cattolici romani.
I protestanti, secondo Warneck, non solo non dimenticano ogni azione missionaria,
ma perdono anche l’idea di missione, come viene concepita oggi 6. In Lutero troviamo una
specie di a-missionarietà pratica, o di indifferenza; per Lui non è un problema reale e non si
crede nel dovere di giustificarlo. Lutero, scrive D. Bosch, “non entrò mai in polemica con le
3
KÜNG Hans, Teologia in cammino. Un’autobiografia spirituale , Mondadori, Milano 1987, 61; cf. BOSCH
D.J., La trasformazione della missione , 339-340.
4
GLOVER Robert H., The progress of World-Wide Missions , London 1925,68; cf. SANTOS A.,
Misionología. Problemas introductorios y ciencias auxiliares , Sal Terrae, Santander 1961, 77-79.
5
PETERS Georges W., A Biblical Theology of Missions, Moody Press, Chicago 1984, 215.
6
Cf. WARNECK Gustav, Outline of a History of Protestant Missions , Edinburgh and London 1906, 9.
60 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
Il primo protestantesimo non ha, dunque, presente l’idea di missione. E’ privo, quindi, di una
dottrina sulla missione, in linea di massima.
Nel 1590, finalmente, l’idea missionaria appare con Adriano Saravia (De diversis
ministrorum evangelii gradibus sicut a Domino fuerunt instituti , Londra 1590). Fu uno dei
primi teologi Protestanti che lavorò direttamente nella missione e che contribuì anche allo
sviluppo iniziale della Missionologia. Figlio di padre spagnolo e di madre fiamminga, lavorò
come predicatore Riformato ad Amversa, Bruges e Gante. Dopo aver trascorso un lungo
periodo di tempo in Inghilterra dove simpatizzò con il sistema episcopale anglicano, va in
Olanda per lavorare cinque anni come professore nell’università di Leiden. Accusato di
tendenze anglicane, ritorna in Inghilterra, dove scrive De diversis.
Parlando della funzione dei vescovi, in linea con la successione apostolica, conclude
che questi hanno autorità apostolica per inviare missionari. Come già abbiamo visto,
Teodoro di Beza e Johann Gerhard si opponevano a Saravia, affermando che il mandato si
limitava agli Apostoli e che non era necessario un mandato apostolico, visto che in questo
campo, erano competenti tutti i cristiani. Saravia scrive la sua replica nell’opera Defensio
tractationis De diversis ministrorum Evangelii gradibus, sicut a Domino fuerunt instituti
7
BOSCH D.J., La trasformazione della missione , 341; cf. G. Warneck Outline of a History , 11.
8
Cf. SCHICK Erich, Vorboten und Bahnbrecher: Grundzüge der evangelischen Missionsgeschichete bis zu
den Anfängen der Basler Mission , Basel, Basler Missionsbuchhandlung 1943, 14.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 61
(Londra 1590). In questo modo, centrando la sua attenzione nel comando di Cristo di
evangelizzare il mondo, fa si che cominci a farsi avanti l’idea di missione.
1.1. Lo sviluppo del pensiero missionario nel protestantesimo9. Abbiamo già trovato
di Philipp Nicolai (1556-1608), il quale, come tanti altri teologi della ortodossia luterana,
credeva che il “Grande Comandamento” era stato portato avanti dagli apostoli e non era più
obbligatorio per la chiesa. Ma, diversamente dall’ortodossia successiva, egli non credeva
però che la chiamata missionaria della chiesa fosse con ciò stesso liquidata. La sua
preoccupazione era piuttosto quella di salvaguardare l’unicità dell’opera di fondazione degli
apostoli e di distinguerla da ciò che la chiesa aveva fatto negli anni successivi. Gli apostoli
furono i protagonisti della missio; il lavoro susseguente di propagazione della chiesa era la
propagatio. Nicolai considerava positivo il lavoro missionario della Chiesa cattolica,
nonostante considerasse come nemici i turchi, il papato e il calvinismo.
Altre idee del pensiero missionario di Nicolai: - accettando il predestinazionismo
rigoroso dell’ortodossia protestante, tuttavia Nicolai fa un’enfasi forte sull’amore quale
motivazione primaria della missione: Dio ci ha amati e noi siamo chiamati ad amare gli altri10.
Cioè, troviamo qui un elemento dinamico nel pensiero missionario. – Nicolai manifesta un
ottimismo, censurato dal pessimismo dell’ortodossia luterana, unito a una concezione
negativa della storia. Infatti, pensava che la parusia avrebbe avuto luogo attorno al 1670. Da
qui l’urgenza dell’opera missionaria. – L’idea che la missione dovesse svilupparsi unicamente
dove governassero autorità luterane, restringeva la chiamata universale alla missione e la
collocava nelle mani dello stato, il quale poteva esercitarla jure belli. – I pagani non
potevano essere scusati davanti a Dio a motivo della loro ignoranza, poiché Dio si era
rivelato a tutti mediante la natura e la stesa parola di Dio era già stata proclamata a tutti.
“Coloro che erano ancora non cristiani non avevano perciò nessuna scusante e non doveva
essere data loro una seconda occasione”11.
Altro personaggio importante è Justus Heurnius (1587-1651). Pubblicò nel 1618 il
suo trattato sopra il progresso del lavoro missionario in India, intitolato De legatione
Evangelica ad Indos capessenda admonitio. Scrive: “Stiamo vivendo tra due tramonti: qui il
Papa spegne la luce e lì, nell’Est, si trova Maometto. La fine si avvicina; l’Angelo ( Ap 14) sta
9
Cf. BOSCH D.J., La trasformazione della missione , 349.
10
Cf. HESS Willy, Das Missionsdenken bei Philipp Nicolai , Friedrich Witting Verlag, Hamburg 1962, 81-
85; BOSCH D.J., La trasformazione della missione , 350.
11
BOSCH D.J., La trasformazione della missione , 352.
62 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
volando nei cieli con il Vangelo eterno nelle sue mani”. Così, Heurnius fece pressione
affinché si approfittasse delle occasioni che si presentavano in Asia per metterle a servizio
del Vangelo. Studia i fondamenti biblici della missione; discute sulla metodologia delle
missioni, calcando sulla necessità della traduzione della Bibbia e descrive il mandato
missionario che si applica a tutti, marinai, mercanti e soldati compresi.
E’ anche importante Gisbert Voetius (1588-1676), il quale sviluppò ampiamente la
teoria dell’impiantazione, in un’opera che porta questo stesso titolo: De plantatione et de
plantatoribus ecclesiarum. Tratta in essa della teoria della missione, che più tardi svilupperà,
fra i cattolici, P. Charles. In concreto, tratta dei seguenti temi: le basi della missione, i mezzi
della missione, l’oggetto della missione e i suoi fini. “Voetius attribuiva al fondamento della
missione un carattere eminentemente teologico – lo vedeva scaturire dal cuore stesso di
Dio. Egli può dunque essere giustamente considerato uno dei primi esponenti di quella che
nella nostra epoca è divenuta nota con il nome di missio Dei. Altrettanto significativo è il
fatto che egli definì la missione in termini molto più ampi di quelli che sarebbero venuti di
moda nei secoli successivi. Voetius vedeva la missione come mirante, fra le altre cose,
all’unione delle chiese che si trovavano sull’orlo del collasso o che erano state disperse dalle
persecuzioni; come rinnovamento delle chiese che erano regredite teologicamente; come
riunificazione delle chiese separare, come fonte di sostegno per le chiese oppresse e
impoverite... Voetius considerava il papa, i vescovi, gli ordini religiosi e le congregazioni,
nonché le autorità secolari, come agenti di missioni impropri. Soltanto la chiesa poteva
essere legittima portatrice di missione, poiché essa soltanto poteva fondare altre chiese”12.
Voetius afferma che il primo obiettivo è la conversione dei pagani; il secondo,
l’impiantamento delle chiese; e il più alto, la gloria e manifestazione della grazia di Dio. La
plantatio Ecclesiae include la riunione di tutti coloro che arrivano alla fede. Voetius è stato il
primo a sviluppare una comprensiva “teologia della missione”, ma non ha avuto
conseguenze nelle generazioni successive. La missione è situata completamente nella
periferia della Chiesa e non provoca nessun interesse teologico. Responsabile della missione
è soltanto la Chiesa. La triplice finalità della missione secondo Voetius sarà ripresa da J.H.
12
BOSCH D.J., La trasformazione della missione , 359; cf. JONGENEEL J.A.B., Voetius’ zendingstheologie,
de eerste comprehensieve protestantse zendingstheologie , in J. van Oort (ed.), De onhekende Voetius ,
Kok, Kampen, 1989, 133,147.
BAVINCK J.H., Introduction to the Science of Missions , Nutley, New Jersey 1964, 155.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 63
Bavinck, il quale rileva che “questi obiettivi non sono distinti e separati, ma sono tre aspetti
dell’unico proposito di Dio: l’arrivo e l’estensione del regno di Dio”13.
Voetius, seguendo i cattolici dei secoli XVI e XVII, volle esporre in modo scientifico
la missione. Era interessato a trattare in forma scientifica le questioni più importanti della
missione e ad esporle in modo sistematico nell’ambito della teologia. Non bisognava lasciare
l’opera missionaria. La Chiesa inviante non ha alcun diritto sulla giovane chiesa appena
fondata. Pensava che i missionari dovevano avere una solida formazione; dovevano
conoscere anche la storia delle religioni non cristiane. Voetius, fondatore dell’Università di
Utrecht, pensò alla missione come parte della theologia elenctica, cioè, quella teologia che
controbatte gli argomenti degli infedeli, gli eretici ed i scismatici14.
Riguardo alla dottrina missionaria del puritanesimo, possiamo riassumere in queste
parole la sua teologia: il forte accento del calvinismo sulla dottrina della predestinazione
consiglia ai cristiani di lasciare che Dio, liberamente, salvi chi vuole. La fede nella
predestinazione può paralizzare la volontà missionaria. Tuttavia, il fatto di essere stati eletti,
porta all’impegno attivo nella missione; gli eletti di Dio non possono rimanere inattivi. Per i
puritani, lo scopo ultimo della missione è la gloria di Dio, considerata la “radice principale”
della missione della chiesa. Questa gloria, unita alla grazia e alla misericordia di Dio,
“costringe” i cristiani con l’amore, sia questo sperimentato dal credente sia visto come
amore per l’umanità irredenta. La dimensione soteriologica è anche essenziale. L’opera
missionaria calvinista si sviluppa nel quadro dell’espansione coloniale. C’è armonia fra chiesa
e stato in un grande regime teocratico, legato anche a idee escatologiche, più che a
motivazioni di elevazione culturale dei popoli.
Il seguace di Voetius è Giovanni Hoornbeeck (1617-1666; Summa controversiarum
Religionis, 1653; De conversione Indorum et Gentilium, 1665, postuma). La sua produzione
missionologica è più sistematica. Si preoccupò grandemente del problema della
conversione dei giudei, dei musulmani e dei pagani, trattando, non solo dei loro errori, ma
anche del modo di avvicinarli. Hoornbeeck afferma che il mandato missionario ci arriva, non
solo attraverso le pagine della Sacra Scrittura, ma anche attraverso l'esempio degli Apostoli
e dei migliori uomini e donne che sono vissuti nella storia del cristianesimo. Il mandato non è
solo per gli Apostoli. Commentando la parabola del buon Samaritano, identifica questo con
13
Cf. JONGENEEL J.A.B., Is missiology an academic discipline? , in Exchange , 27, 1998/3, 212.
14
64 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
la Chiesa Romana e col suo zelo missionario; mentre il sacerdote ed il levita si identificano
con i cristiani Riformati. Da qui egli propose la Sacra Congregazione della Propagazione
della Fede come modello per una istituzione simile nelle chiese riformate. I suoi ispiratori
furono Tommaso di Gesù e José de Acosta. Voleva fondare l’obbligo missionario, risvegliare
il senso missionario all’interno della cristianità evangelica e tradurlo nella pratica. Fu il primo
a praticare quella che posteriormente diventerà divisione normale della missionologia: parte
storica e parte teorica (metodologica).
Fino a Federico Daniele Schleiermacher (1768-1834) non si afferma l’idea di
richiamare per l’attività missionaria il diritto di cittadinanza come scienza teologica ( Die
christliche Sitte, Berlin 1843). Schleiermacher fu il primo teologo del gran secolo delle
missioni (s. XIX), che ha tentato di studiare il posto della scienza missionaria nell’insieme
della Teologia15. Nell’ambito della “Teologia pratica” richiede una teoria delle missioni nello
stesso campo della catechesi, perché, se questa si dirige a religioni estranee che vivono nel
nostro territorio o ci sono vicine, necessariamente si pone il problema di che fare e di come
trattare i convertiti. Distingue fra “missioni continue” (per le colonie) e “missioni sporadiche”
(per alcuni popoli occidentali, come le missioni di Moravia). In ogni caso, vede le missioni più
dal punto di vista etico che teologico; le considera una responsabilità culturale in situazioni
specifiche durante le quali l’Occidente penetra in aree culturali non occidentali.
Schleiermacher diede il primo impulso verso una disciplina scientifica missionaria; tuttavia,
ancora non pensava ad un trattato riservato unicamente alla missione e, così, lo colloca
dentro la teologia morale.
Nel 1864 si crea il primo corso accademico di insegnamento missionario,
nell’Università di Erlangen e fu Karl Graul (1814-1864) l’incaricato dello stesso, rivendicando,
se non ancora una scienza, almeno un insegnamento speciale dedicato soltanto alla
missione: l’insegnamento missionario, diceva, deve entrare in tutti i corsi regolari delle
Università, ciò dovuto al carattere scientifico dei problemi missionari e alla connessione
stretta degli stessi con le scienze coloniali, con la storia ecclesiastica, ecc. Nel 1867 si stabilì
una cattedra missionaria nel New College di Edimburgo, con il professore Alexander Duff,
che era stato per trent’anni missionario della Chiesa di Scozia di India. Può essere
considerato il primo professore di missionologia di tutta la cristianità16. La sua cattedra si
15
Cf. VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology , 6.
16
Cf. MYKLEBUST O. G., The Study of Missions in Theological Education I, 187, 1 vol., Oslo 1953, 187.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 65
Cf. DUFF Alexander, Evangelistic theology: an inaugural address delivered in the Common Hall of the
New College, Edinburgh, on Thursday, 7th November 1867 , Edinburgh 1868.
17
Cf. DUFF Alexander, Evangelistic theology: an inaugural address delivered in the Common Hall of the
New College, Edinburgh, on Thursday, 7th November 1867 , Edinburgh, 1868.
66 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
l’etica cristiana giustifica la missione, poiché le virtù teologali armano il missionario con
potere. La Bibbia manifesta ancora il carattere missionario della Chiesa, come una nuova
struttura sociale che trascende tutti i legami umani e possiede un carattere universale.
Ecclesiologicamente, la missione ha anche un suo fondamento. Soltanto la religione cristiana
ha una Chiesa e per appartenere ad essa è fondamentale il lavoro missionario. La Chiesa è
l’istituto di guarigione dell’umanità. La missione, dunque, è un obbligo morale18.
Che cosa includeva questa scienza missionaria di Warneck ? Questi reclamava
l’importanza dello studio missionario in relazione ad altre scienze, cioè storia, diverse
branche della teologia, scienze delle religioni, etnologia, geografia. Sottolineava anche che
si trattava di una necessità dei tempi attuali. Warneck intende la missione come l’insieme di
attività sviluppate dal cristianesimo in ordine a impiantare e organizzare la Chiesa cristiana
tra i non cristiani19. Si esercita, quindi, in tutto il mondo non cristiano, unicamente ed
esclusivamente. Il fine delle Missioni consiste nell’estendere il Cristianesimo, cioè, nel
piantare la Chiesa cristiana nel mondo intero; impiantamento che non si può fare
individualmente, ma che necessita di un organismo preparato per questo lavoro. Questo è il
suo fine generale; il fine prossimo è la conversione e la salvezza degli individui, radunati in
piccole comunità credenti; e il lavoro missionario non termina fino a che non si arriva alla
formazione di una Chiesa che può trasformare la vita di un popolo20. Warneck studia anche i
responsabili della missione, i missionari e coloro che li sostengono e collaborano con loro,
quali i medici-missionari. Descrive i campi missionari geograficamente e religiosamente e la
scelta degli stessi.
A questo punto, possiamo domandarci: questa scienza, ha materia sufficiente per
proclamare la sua autonomia? A questo risponde W. Bornemann, il quale, nel 1902, pubblica
la prima opera introduttiva alla missionologia protestante. Dedica una parte all’introduzione
alla scienza missionaria e l’altra all’attività missionaria della congregazione alla quale
appartiene, cioè alla Società di Bale. La prima parte è quella che ci interessa. E in risposta a
suddetta domanda, scrive: “Ci troviamo di fronte ad una disciplina scientifica speciale che ha
un campo di ricerche ben determinato, sufficientemente autonomo e circoscritto tanto da
permettere un trattato scientifico speciale, così variato ed ampio da necessitare di uno
18
Cf. VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology , 27.
19
Cf. WARNECK G., Evangelische Missionslehre , Gotha 1882/I, 1.
20
Cf. SANTOS A., La Escuela de Lovaina , in Teología sistemática de la misión , EVD, Estella 1991, 57;
VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology , 26-28.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 67
2. La missionologia cattolica
2.1. Origine remota
a) Raimondo Lullo (1232/5-1316)
“La missione è la chiave di volta non solo di ciò che Ramon Lullo pensò e scrisse, ma
del suo stesso atteggiamento di fronte alla vita. La vita cristiana, riscoperta in modo
appassionato dopo i trent’anni, è per lui dedizione a Dio nella missione... Di fatto, Ramon
Lullo presenta la propria opera [Vita Coaetanea] come risposta alle necessità emerse da una
valutazione più esatta delle condizioni della missione tra i musulmani” 22. “Per Lullo, la
conversione degli infedeli era, soprattutto, opera d’amore... Il suo metodo missionario si
fondamenta nella conoscenza delle religioni: per convertire gli uomini, bisogna
incominciare conoscendo in profondità le loro credenze, le loro costumi, la loro filosofia e il
loro modo di ragionare”23.
21
ANDERSON Gerald H., American Protestant in Pursuit of Mission: 1886-1986 , in Missiological
Education for the 21st. Century , J. Dudley Woodberry, Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edd., Orbis
Books, Maryknoll, New York 1995, 380s.
22
GAYÀ Jordi, Ramon Llull. Il suo impegno missionario, in Analecta TOR 32, 2001, 379.
23
LABOA, J.Ma., La misión en la Iglesia , in AA.VV., La misionología hoy , Editorial Verbo Divino, Estella
1987, 149.
27
Ib., 149.
68 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
24
25
GAYÀ Jordi, Ramon Llull, 381.
26
Ib., 385.
27
UMBERTO DE ROMANS, Lettere ai religiosi , Ed. Pro Sanctitate, Roma, s.d., 114, 124-128.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 69
loro lingua. A questo scopo fondò a Murcia (Spagna) e a Tunisi due conventi domenicani con
la finalità di formare missionari per i paesi di missione, che parlassero l’arabo e conoscessero
il Corano.
dei missionari, e di altri mezzi per propagare la fede (3); dello sviluppo delle missioni tra gli
infedeli, dei motivi per i quali devono cooperare tutte le nazioni (4); delle principali difficoltà
dottrinali che possono trovare i missionari nei paesi di missione (5); delle missioni tra
scismatici (6-7), eretici (8), giudei (9), maomettani (10) e pagani (11); finalmente, dei
privilegi concessi ai missionari (12)29. Il suo contributo alla nascita della Congregazione di
Propaganda Fide fu molto positivo. Egli viene considerato il più grande precursore della
missionologia.
29
Sull’originalità di questa opera, vedasi CHARLES P., Los “Dossiers” de la Acción Misionera , Bilbao 1954,
417.
30
STREIT R.,Die theologischewissenschaftliche Missionskunde , in Der Katholische Seelsorger 1909, 20-
29, 70.77, 117-129.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 71
31
SCHMIDLIN Josef, Katholische Missionslehre im Grundriss, Münster 1923², 33.
32
Ib., 34.
72 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
Questa definizione della Missione è entrata nella storia della Missione cattolica
come “teoria della conversione”. Come concetto di Missione della “scuola di Münster”
questa definizione di Missione ha sostenuto un ruolo di primo piano nella missionologia,
incontrandovi da un lato forti consensi, ma dall’altro anche aspre critiche e dissensi.
“Missione in senso stretto, scrive, detta anche missione estera o esteriore... è
dunque la missione fra i non cristiani, fra coloro che sono tagliati fuori dalla fede
cristiana e dalla religione cristiana”. “Secondo le nostre premesse teoriche
anche nella storia delle missioni noi prendiamo la parola missione in senso
stretto, ossia missione tra i pagani o meglio tra i popoli non cristiani. Se lo scopo
dell'attività missionaria è la cristianizzazione o la conversione al Cristianesimo,
l’oggetto di essa sarà il mondo non cristiano. Perciò resta escluso l’apostolato tra
i cristiani acattolici, siano eretici siano scismatici”33.
Pur sottolineando la preminenza del carattere religioso della missione come
diffusione del regno di Dio, Schmidlin non esclude gli scopi culturali, intellettuali, morali,
sociali, caritativi, persino economici. Descrive l’invio missionario come “ l’invio nel mondo e
fra i popoli per proclamare il vangelo, che trova la sua origine, nella pienezza dei tempi, nel
Padre e che è stato trasmesso da Cristo alla fine della sua vita terrena agli Apostoli e alla
Chiesa”.
“Da qui possiamo desumere il compito fondamentale e il fine principale della
missione: partecipare a tutti gli uomini l’insegnamento di Cristo e la salvezza in
Cristo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono e non la possiedono;
predicare ovunque il vangelo e diffondere il regno di Dio; ammaestrare e
convertire sia gli individui che i popoli; farli partecipare, attraverso il battesimo,
alla salvezza del mondo e riunirli come membra alla Chiesa del Salvatore del
mondo; oltre a questo, distribuire ai propri simili anche beni terreni e praticare
nei loro confronti le opere della misericordia”34.
Poi sottolinea con forza che il compito “più importante e fondamentale di ogni
missione è quello religioso, che consiste nella cristianizzazione, nel rendere e far diventare
cristiano il mondo non cristiano nel senso più ampio del termine”.
33
SCHMIDLIN J., Manuale di Storia delle Missioni Cattoliche, 3 vol. PIME, Milano 1943, 9.
34
In MÜLLER Karl, Teologia della Missione , 101. “Il compito della Missione si fonda sulla missione
trinitaria, ed è espresso nel comando missionario del Signore che viene assegnato alla Chiesa attraverso
la Chiesa viene trasmesso ai missionari, i quali sono «gli indispensabili messaggeri, i messi, gli inviati della
Chiesa al mondo non cristiano»” (EVERS G., Storia e salvezza , 21).
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 73
sviluppo attuale e storico, sia in relazione ai suoi fondamenti e alle sue leggi”. Questa
missione è capace di scienza perché le sue diverse materie possono essere sistematicamente
studiate. Como afferma Santos, la missionologia deve dare una risposta adeguata a queste
quattro domande: perché, dove, come e da chi devono essere portate avanti le missioni.
40
EVERS G., Storia e salvezza , 28.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 75
stessa della Chiesa, che raggiunge la sua piena identità solo quando abbraccia il mondo
intero.
La missione perciò non si rivolge solo ai pagani, ma a tutti i gruppi, presso i quali la
Chiesa visibile non è stata ancora costituita in maniera stabile. La missione è una Chiesa in
divenire, in stato di crescita verso la maturità. L’obbedienza al mandato di Cristo o il motivo
della salvezza delle anime non rappresentano che una giustificazione imperfetta della
missione; in realtà, essa trova la sua unica ragion d’essere nella costituzione della Chiesa
visibile, nel suo ampliamento: “piantarla, dove non è ancora impiantata e, cioè, portare i
mezzi della salvezza (la fede e i sacramenti) nel vasto regno di tutte le anime di buona
volontà. In molti luoghi questo è già avvenuto e lì non si può più parlare di missione, anche se
ci sono ancora molte anime da convertire e non tutte sono state già salvate” 41. E’ improprio
dire che la Chiesa è solo un mezzo per la salvezza delle anime; essa è più di questo, poiché è
“la forma divina del mondo, il solo punto di contatto in cui tutta l’opera del Creatore ritorna
al Salvatore”, ed è, al tempo stesso, meno, poiché non basta appartenere alla Chiesa, per
essere salvati. “Il compito particolare della missione consiste nell’allargare i confini della
Chiesa visibile, di portare la sua crescita fino al compimento, di seminare il mondo intero con
le preghiere e l’adorazione, di rendere al Salvatore tutta la sua eredità”42. Per P. Charles, la
missione ha come fondamento la natura stessa della Chiesa visibile43.
“Il missionario è incaricato non di salvare le anime, ma di instaurare, dove ancora non
esiste, il mezzo ordinario della salvezza: ossia la chiesa visibile”44. L’aspetto istituzionale della
Chiesa, molto criticato da parte protestante, qui è assolutamente centrale, si che l’opera
missionaria, scrive, D. Dianich, “è pensata come compiuta «ai piedi della cattedra episcopale
ove un figlio della sua terra d’adozione cinge la mitra e impugna il pastorale»… Alla teologia
della plantatio ecclesiae si è rimproverata soprattutto una visione ecclesiocentrica della
missione e quindi, in un certo senso, del mondo. Sembra che la chiesa esista semplicemente
41
CHARLES P., Missiologie, Etudes, Rapports, Conférences , Lovanio 1939, 65.
42
CHARLES P., Missiologie, 84-87.
43
La teoria della plantatio Ecclesiae è stata messa a fuoco nella scuola di Lovanio, ma le sue origini sono
più antiche. E’ presente nella Patristica (cf. SEUMOIS André, Teologia missionaria 1993:35-38) e San
Tommaso d’Aquino ha un concetto chiaro sulla finalità della predicazione come plantatio Ecclesiae : “Però
la predicazione del Vangelo di Cristo si può intendere in due modi: primo, come divulgazione della fama
di Cristo e in tal senso il Vangelo fu predicato in tutto il mondo già al tempo degli Apostoli... Secondo, si
può intendere come predicazione del Vangelo in tutto il mondo con pieno successo, cioè con la
fondazione della Chiesa in ciascuna nazione. E in tal senso, come dice S. Agostino, il Vangelo non è stato
predicato in tutto il mondo” (I-II, q.106, a.4, ad 4m; cf. In Rom 10, lect.3; In Matt. 16,28; S.Th., I, 43, 7 ad
6m).
44
CHARLES P., Missiologie, 140.
76 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
per riprodursi, dal momento che il suo dinamismo missionario si concentrerebbe unicamente
nello sforzo di far nascere dovunque nuove comunità cristiane”45.
c) Scuola di Parigi
Si tratta di un gruppo di teologi che si raccolgono attorno alla rivista Parole e
Mission (1958)46. La loro teologia tenta di definire il concetto di Missione in base ad
un’analisi delle situazioni sociali che sia libera da presupposti aprioristici. Punto di partenza
di questa teologia è l’abbandono della rigida separazione tra “terra di missione” e “terra
cristiana” come concetto geografico prestabilito, nonché l’accettazione come destinazione
della Missione cristiana del “territorio non cristiano” che è inteso non più in senso
“geografico” ma “sociologico”47.
- H. Godin – Y. Daniel48
H. Godin, che conosce bene la gioventù operaia, fa un’analisi critica della situazione
della Chiesa francese e mostra con ricerche statistiche e sociologiche alla mano come la
Chiesa francese ha perso di vista il mondo operaio. La situazione delle masse operaie francesi
richiedeva una nuova prassi pastorale, che le articolazioni territoriali della Chiesa (diocesi e
parrocchie) non erano in grado di assumere: era necessario andare a piantare la Chiesa negli
ambienti dai quali era scomparsa.
“Nel definire i modi di presenza ecclesiale Godin distingue tre gruppi all’interno di
una determinata popolazione: 1. ci sono ambienti cristiani nei quali i cristiani adempiono «i
loro doveri»; 2. ci sono territori con «cultura cristiana», ma senza prassi ecclesiale; esiste, in
pratica, l’influsso della Chiesa sul modo di vita, sui costumi e sulle tradizioni diffuse ecc., è
apprezzato, ma non si ha più alcun rapporto attivo con la Chiesa; 3. come ultimo gruppo
Godin cita gli uomini che vivono in «ambiente di missione». Si tratta di «ambienti» nei quali,
accanto alla mancanza di una prassi ecclesiale, si constata anche l’assenza di ogni influsso del
cristianesimo nella vita.
Secondo Godin si può definire «Missione» solamente l’azione della Chiesa in questi
ambienti. Perciò conia il concetto di «Missione in un determinato milieu sociologico».
45
DIANICH S., Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Ed. Paoline, Torino 1985², 22-23.
46
Per seguire lo sviluppo del pensiero missionologico francese, anteriore a questo periodo, cf. SANTOS
A., Teología sistemática de la misión , EVD, Estella 1991,237-301; specialmente la missionologia di P.
Glorieux, Henri de Lubac, Francis Clarkl, Albert Perbal, Louis Capéran e Alexandre Durand.
47
Cf. EVERS G., Storia e salvezza , 46-47.
48
France, Pays de Mission?, Cerf, Paris 1943.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 77
«Milieu» non è quindi inteso come zona geografica e territoriale, ma come realtà
sociologica per mezzo della quale sono definiti uomini con una professione particolare e in
una determinata condizione di vita e di pensiero. La classe operaia francese rappresenta
«uno spazio sociologico» di questo tipo verso il quale la Chiesa ha un mandato e quindi deve
esercitare la «Missione». La Missione viene intesa da Godin come «annuncio della lieta
novella agli uomini che non la conoscono: (...) il missionario va là dove tale annuncio non c’è:
egli è inviato per fondare la Chiesa di Cristo in una determinata comunità umana»”49.
La Francia, pertanto, deve essere considerata alla stregua dei paesi di missione: qui si
verificano distanze tra la Chiesa e le masse e tali distanze si devono colmare, non solcando i
mari, ma cercando di attraversare il fossato culturale che si è creato; il metodo da adottare
doveva essere quello della incarnazione sul modello di Cristo. L’idea di missione è quella
della Scuola di Lovanio, secondo la quale il fondamento della missione non va cercato nella
necessità di rendere possibile la salvezza a tutti, ma nella natura della Chiesa, la quale,
essendo cattolica, deve raggiungere la sua taglia adulta, deve tendere, in pratica, a
coincidere con l’umanità; coerentemente, lo scopo della missione è la plantatio Ecclesiae,
che vuol dire andare in un luogo nel quale la Chiesa ancora non esiste e farla sorgere. Anche
in Europa, si doveva far rinascere la Chiesa. E per farlo si doveva attuare la missione. Questa è
ormai ovunque50. Lo studio di Godin e di Daniel distrugge il “mito geografico” della
missione: esso dimostrò che anche l’Europa era “terra di missione” 51. A partire da questo
momento inizia per l’Europa una nuova “età delle scoperte”, non l’esplorazione di nuove
terre oltremare, ma quella dei mondi dell’ateismo, del secolarismo e della superstizione, dei
“nuovi pagani” dell’Europa. La Chiesa si trova dovunque in situazione missionaria.
Insomma, Godin introduce un concetto sociologico di Chiesa e distingue tra: “azione
missionaria” (action missionnaire) e “atto missionario” (acte missionnaire). L’azione
missionaria si orienta alla creazione della Chiesa locale perché solo essa può essere
responsabile delle persone che vivono intorno a lei; e questo come “Chiesa nativa”. Atto
missionario è la parte evangelizzatrice nella proclamazione della parola che forma parte
dell’attività apostolica e ha una triplice meta: - la conversione delle persone; - la visibilità e la
comprensione del sacramento ecclesiale; - e la cattolicità della Chiesa. La “missione”, in
49
EVERS G., Storia e salvezza , 47-49.
50
Cf. CANOBBIO G., La teologia della missione dal vaticano II ad oggi , in Ad Gentes , 1, 1997, 135;
COLZANI G., La missionarietà della Chiesa. Saggio storico sull’epoca moderna fino al Vaticano II ,
Dehoniane, Bologna 1975,17-40.
51
BOSCH D. J., La trasformazione della missione , 25.
78 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
senso ampio, è l’attuazione totale della Chiesa; in senso stretto, è l’attuazione della Chiesa
che si dirige agli infedeli per predicare loro la Buona Novella della salvezza e convertirli alla
fede in Cristo Gesù.
- Teologia della missione di N. Dunas (1958)”.
- La teologia della Missione di A.-M.Henry (1959).
52
SANTOS A., Teología sistemática de la misión , 87.
53
Cf. Ib., 87-153.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 79
56
Cf. CONGAR Y.-M., L’église ce n’est pas les murs mais les fidèles , in La Maison-Dieu, 70, 1962, 105-114.
80 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
attorno all’eucaristia, bisogna però ricordarsi che fino al periodo di Costantino o quasi, i
cristiani non disponevano di chiese-edifici, anzi avevano orrore dei templi considerati allora
simboli del culto pagano; furono proprio questi templi pagani, una volta disertati in seguito
al progresso dell’evangelizzazione, che diventarono i primi edifici del culto cristiano”57.
Il criterio di unione alla Chiesa non è di ordine terrestre, è personale e di ordine
religioso; ciò significa che si pensa ad una ecclesia come congregatio fidelium, fondata sulla
fede; fondare la Chiesa significa diffondere la fede (e a questa segue poi, normalmente, la
celebrazione e la pratica dei sacramenti)58.
Piantare la Chiesa significa, in primo luogo, fare dei cristiani autentici, unire loro
nella vita di comunione dei discepoli di Cristo che è quella del Popolo di Dio. “In queste
giovani Chiese appunto la vita del Popolo di Dio deve giungere a maturità in tutti i campi
della vita cristiana, da rinnovare secondo le norme di questo Concilio: ed ecco le assemblee
dei fedeli con crescente consapevolezza si fanno comunità viventi della fede, della liturgia e
della carità” (AG 19).
I fedeli non possono essere pienamente incorporati a Cristo in modo sacramentale,
né formare Chiese locali, se non mediante il ministero gerarchico che presiede il culto
eucaristico. La gerarchia ecclesiastica non è soltanto di valore operativo nella Chiesa terrena,
ma è un elemento indispensabile del suo contesto ontologico e Cristo si comunica in
pienezza alla sua Chiesa per mezzo della diakonia di quelli che sono stati chiamati a
partecipare della sua autorità.
Impiantare la Chiesa, quindi, significa anche donare ad essa le strutture gerarchiche:
vescovo, presbiterio, i mezzi istituzionali requisiti per il lavoro pastorale e le strutture
appropriate per l’ufficio pastorale e apostolico, in modo che la Chiesa particolare nuova
possa essere, dinamicamente, tanto per le comunità dei fedeli quanto per tutto il popolo,
segno efficace e sacramentale basico della salvezza di tutti in Cristo.
Per poter essere segno efficace di salvezza ciascuna Chiesa locale deve incarnarsi
maternamente nel contesto socio-culturale proprio della regione che le è stata affidata per
illuminare e vivificare in Cristo. Si tratta del principio d’inculturazione ecclesiale che procede
57
SEUMOIS André, Teologia missionaria, Edizioni Dehoniane, Bologna 1993, 79. Per esempio, la chiesa di
Santa Maria Antiqua nel Foro romano, era un edificio imperiale, l’origine del quale è oggetto di erudite
discussioni, che fu trasformato in chiesa nel V o VI secolo, e forse anche prima.
58
Cf. S. TOMMASO, I Sent., d.16, q.1, a.2, ad 2; I-II, q.106, a.4, ad 1; in Col, c.1, lect. 2.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 81
dal mistero dell’incarnazione (cf. AG 22; LG 13; EN 18-20)59. L’obiettivo è che ogni Chiesa
particolare possieda una personalità propria in funzione del substrato umano differenziato e
si costituisca in entità ecclesiale organica, autosufficiente, in modo che possa dare il suo
contributo alla Chiesa universale e non dipendere sempre dal sostegno personale e dai
mezzi che vengono da fuori. Le Chiese locali sono, infatti, gli organi naturali che
concretizzano la Chiesa universale in entità funzionalmente distinte, capaci di assumere,
ciascuna per conto proprio la totalità della funzione mediatrice della Chiesa in una
collettività regionale concreta60.
59
Cf. VANHOYE A., Nuovo Testamento e inculturazione , in La Civiltà Cattolica, 1984/4, 119-136.
60
Cf. SEUMOIS André, Teologia missionaria, 80-82.
82 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
61
SANT’AGOSTINO, Enarr. in Ps 44, 23: PL 36, 508.
62
Cf. S. TOMMASO, I Sent, dist. 16, q. 1, a. 2 ad 2: “plantanda erat Ecclesia”.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 83
comunità cristiane, sviluppare Chiese fino alla loro completa maturazione. E’, questa, una
meta centrale e qualificante dell’attività missionaria al punto che questa non si può dire
esplicata finché non riesce ad edificare una nuova Chiesa particolare” (48). “La Chiesa, poi,
serve il Regno fondando comunità e istituendo Chiese particolari” (20).
“Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a «fare comunità», ad essere Chiesa. Dopo il
primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma
la prima comunità” (26; 66). “Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il
popolo nell’ascolto del Vangelo” (26). L’attività missionaria specifica “si caratterizza come
opera di annunzio del Cristo e del suo Vangelo, l’ edificazione della Chiesa locale” (34).
“Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio e per la fondazione di nuove
Chiese” (34; 69, 71).
Tutta questa varietà di termini manifesta che il fine della missione è un “ processo
ecclesiogenetico che, normalmente, comincia con la proclamazione kerigmatica in un
ambiente non-cristiano, per passare, poi, attraverso un periodo più o meno esteso di crescita
interna ed esterna verso la costituzione di una giovane comunità cristiana che deve
continuamente maturarsi fino al punto di diventare una vera e propria Chiesa particolare che
presenti tutti gli elementi ecclesiali essenziali ben sviluppati e possa vivere in una certa
autonomia, ma sempre in comunione e comunità con le altre Chiese”63.
Tale processo di ecclesiogenesi si evidenzia in un modo esemplare nel caso della
missione “ad gentes” e trova, nella forma descritta, l’assenso di quasi tutti i missionologi,
benché poi indichino altri passi da compiere. Se nel passato le discussioni su questo punto
talvolta apparivano aspre, la ragione era soprattutto una interpretazione abbastanza
riduttiva della “plantatio” nel senso di un ecclesiocentrismo giuridico-formale che, sempre
secondo gli avversari di questa idea, si accontenterebbe dell’edificazione di strutture
ecclesiastiche prevalentemente amministrative e simboleggiate al massimo e
definitivamente dall’istituzione di una gerarchia autoctona. Però, una tale visione
evidentemente insufficiente non corrisponde né al pensiero autentico dei più
rappresentativi della “teoria della piantagione della Chiesa”, né all’idea dei documenti
conciliari e di altri testi successivi del Magistero ecclesiale.
Per una comprensione corretta dell’impiantazione occorre una visione dinamica e
processuale, e non semplicemente statica e puntuale, dell’ecclesiogenesi. Questo significa
63
NUNNENMACHER E., Dispense per il corso di Teologia della Missione , PUU, Roma, 1993.
84 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
senz’altro, che sarà difficile stabilire esattamente dove finisce l’attività propriamente
missionaria, soprattutto quando il concetto della Chiesa stessa non è visto esclusivamente in
chiave istituzionale, ma sempre più spesso attraverso il modello di un “popolo in cammino”.
Da tutte queste riflessioni seguono alcune considerazioni di cui menzioniamo
almeno le più importanti: Non si può ritenere che l’opera d’impianto delle Chiese si realizzi
in un dato momento ben preciso. In effetti, si tratta di uno sviluppo graduale e non sempre
unilineare, condizionato da diversi fattori che influiscono fortemente sull'andamento
concreto del processo di diventare Chiesa. Per determinare quanto questo obiettivo sia
raggiunto, ci vuole, più che un numero sufficiente di clero indigeno, una certa solidità della
stessa comunità dei fedeli nel seno della propria realtà sociale della sua civiltà, una
espressione relativamente matura della fede cristiana nelle categorie linguistiche, artistiche,
mentali e vitali delle culture reciproche e, soprattutto, ci vuole la presenza abbastanza
completa e dinamica dei segni più importanti di un’autentica vita ecclesiale. Inoltre, ci vuole
l’impegno missionario attivo della giovane Chiesa; cioè, la Chiesa evangelizzata deve
diventare essa stessa evangelizzatrice. Così, la missione continua; l’aspetto tipicamente
missionario dell’impianto non si esaurisce con la realizzazione avvenuta.
64
BENEDETTO XV, Epistola Apostolica “Maximum Illud” de fide catholica per orbem terrarum
propaganda, 30/11/1919, in AAS, 11, 1919, 448; cf. EchM 1/109.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 85
quest’alma città; dove pure ordiniamo che d’ora innanzi sia impartito uno speciale
insegnamento di tutto ciò che ha attinenza con le missioni” 65. “Noi perciò abbiamo avuto di
mira proprio questo, quando, per dare sviluppo e incremento alla chiesa in oriente, abbiamo
fondato qui in Roma un istituto speciale perché quelli che si daranno all’apostolato in quelle
regioni, riescano bene istruiti in ogni cosa, specialmente nella conoscenza delle lingue e dei
costumi d’oriente. E, poiché questo istituto Ci pare di una grande opportunità, approfittiamo
di questa occasione per esortare tutti i superiori degli ordini e delle famiglie religiose, a cui
sono affidate missioni in oriente, di mandarvi i loro alunni, destinati alle stesse missioni,
perché vi acquistino una più perfetta cultura”66.
Pio XII, Evangelii Praecones, n.667: “A Roma, presso il Collegio Urbano, è stato
eretto l’«Istitutum missionale»; pure a Roma e altrove sono state istituite facoltà e
cattedre di missionologia. Parimenti è sorto, sempre in quest’alma città, il Collegio di San
Pietro, dove i sacerdoti indigeni ricevono una più profonda e completa formazione nello
studio, nella virtù, nell’apostolato”. Riguardo ai futuri missionari, Pio XII afferma: “E’
necessario inoltre che i chiamati all’apostolato missionario mentre ancora sono in patria
non solo attendano a una formazione completa nel campo della virtù e delle scienze
ecclesiastiche, ma anche apprendano quelle cognizioni di ordine culturale e tecnico che
in seguito potranno essere loro di grandissima utilità, una volta divenuti messaggeri
dell’evangelo nelle missioni. Bisogna perciò che conoscano bene le lingue, specialmente
quelle che sul posto saranno loro necessarie, e che abbiano sufficiente pratica e nozioni
scientifiche in medicina, in agricoltura, in etnografia, in storia, in geografia e scienze
affini”68.
4.2. Problematica recente
Possiamo dire che i settori più controversi per quello che riguarda la Missionologia si
possono ridurre a due principali: - “l’unicità e l’esclusività della rivelazione cristiana e/o la
pretesa di una simile esigenza da parte di altre religioni, - e l’unicità e l’esclusività della
salvezza in Gesù Cristo, sacramentalizzata dalla sua Chiesa, e/o la salvezza «ordinariamente»
raggiunta vivendo in altre religioni”69. Si tratta dunque del problema della “teologia delle
65
Ib.; EchM 1/109.
66
Ib., 449; EchM 1/110.
67
In AAS 44, 1951, 497-528; EchM 1/206.
68
Ib.
69
COFFELE G., Missione e teologia fondamentale , in La Missione del Redentore , Elle Di Ci, Leumann-
Torino 1992, 102.
86 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
religioni”. Fin dai primi tempi della cristianità all’ultima parte del XIX sec. una delle più
persistenti abitudini missionarie è la divisione tracciata tra cristiani e pagani. Si tratta, infatti,
di una dicotomia chiara e palese, con queste conseguenze:
- I primi, i cristiani, erano sicuri che soli i fedeli battezzati e ortodossi avrebbero
raggiunto Dio, il cielo; gli altri sarebbero andati all'inferno.
- Questa visione pessimistica fu rafforzata dalla convinzione che: “fuori della
Chiesa non c’è salvezza”, una formula che all’inizio fu interpretata in senso
assoluto ed esclusivo. “L’universalità, quando viene rappresentata e vissuta da un
gruppo, non è mai una semplice nozione o un concetto teorico: è una forza
operativa in misura della sua incarnazione nel gruppo. L’assioma «fuori della
Chiesa non c’è salvezza» sanziona socialmente l’esclusione di coloro che non
sono membri del gruppo dei salvati: essi vengono considerati come già
appartenenti alla città del maligno e come tali trattati. Il dibattito
sull’universalità non è un dibattito astratto, ma concreto, cioè storico”.
- Di qui uno dei più importanti motivi dello slancio missionario fu la salvezza del
maggior numero possibile di pagani dalla dannazione eterna. In questo era
naturalmente implicita una profonda compassione per il proprio simile e spiega
tante vite e gesta eroiche nell’opera missionaria.
- Ma la vera forza di questo motivo “necessario alla salvezza” si fondava sul
ritenerlo assoluto70.
- L’aumento numerico doveva diventare il criterio così centrale che esso da solo
bastava ad indicare il successo di una missione (pericolo dell’imperialismo
spirituale, del proselitismo, perché dove la pretesa universale di una religione è
sostenuta dai e sostiene i poteri civili, si getta la base migliore all’intolleranza)71.
a) Verso una valorizzazione teologica delle religioni: per molto tempo i cristiani
hanno creduto sinceramente che l’adorazione di Dio e degli dei nelle altre religioni fosse
una forma di idolatria. Molti oggi riconoscono che una profonda spiritualità, un distacco
sincero, un amore autentico per il prossimo, una mistica ammirevole vivificavano e
70
COTE Richard, Alcune pretese di assoluto nella storia delle missioni cristiane , in Concilium 1980/5,
784-785.
71
Cf. AMSTUTZ J., En torno a la legitimidad de las misiones , in Concilium, 1978, 134, 43-51; DE LUBAC
H., 1975, Per una teologia delle Missioni, Jaca Book, Milano
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 87
sostenevano altre tradizioni religiose e che la chiesa cattolica non aveva la proprietà del
divino. Il divino si trova disperso.
Riassumendo schematicamente questo tema, possiamo dire:
- E’ volontà di Dio che tutti gli uomini si salvino. Dio dà a tutti questa possibilità che è
stata donata una volta per tutte nella morte e nella risurrezione di Gesù.
- Rahner si spinge perfino ad affermare che la salvezza soprannaturale si trasmette
praticamente a tutti, arrivando quasi a eliminare la possibilità che l’uomo si chiuda
positivamente alla salvezza; giacché “Cristo e la sua salvezza... è l’opera di Dio che distrugge
e salva, superando la falsa elezione dell’uomo”. Perciò, l’uomo in una religione non cristiana
può e deve essere considerato assolutamente come un cristiano anonimo.
- La predicazione del vangelo fa di un cristiano anonimo un uomo che ora conosce in
modo riflesso e obiettivo, in una confessione articolata socialmente, dentro la Chiesa il suo
essere cristiano che esisteva precedentemente in modo esistenziale. Dal momento che la
creazione è interiormente orientata alla grazia e che con l’incarnazione questa e la sua storia
hanno un carattere reale, anche se anonimo e potenziale, di cristicità. Allora il compito della
missione e dell’annuncio evangelico “è prima di tutto un tirar fuori dal suo anonimato
l’autoesperienza fondamentale dell’uomo che è esperienza trascendentale di Dio”72.
- Le religioni sono la realtà religiosa data storicamente in anticipo nella quale
l’individuo nasce per caso. Esse danno alla sua religiosità la forma concreta della sua fede e
del suo culto. Sono “oggetivizzazioni” della religiosità soggettiva soprannaturale della
somma degli individui, in modo che i momenti soggettivi della grazia devono trovare la loro
espressione nelle “oggetivizzazioni”, cioè nelle religioni. Così, il Rahner può affermare che
“una religione non cristiana contiene non soltanto elementi di una conoscenza
soprannaturale di Dio, mescolati con le depravazioni del peccato originale e altre
depravazioni che l’accompagnano, ma anche momenti soprannaturali di grazia e può,
pertanto, sebbene in grado diverso, essere riconosciuta come religione legittima”. G.
Canobbio presenta in questo modo il contributo di Rahner: “se è vero che l’uomo è la
grammatica dell’autocomunicazione di Dio, e questo lo si coglie dal fatto che in Cristo Dio si
è fatto uomo, si può concludere che ogni uomo che accetta se stesso nella sua struttura
fondamentale, accetta implicitamente Cristo, cioè l’autocomunicazione intrascendibile di
Dio; ma l’uomo è storico e realizza se stesso in tutte le sue dimensioni sempre in forma
72
DIANICH S., Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Ed. Paoline, Torino 1985², 32.
88 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
73
CANOBBIO Giacomo, La teologia della missione dal vaticano II ad oggi , in Ad Gentes , 1, 1997, 156-
157.
74
CONGAR Y.-M., Le religioni non bibliche , 245.
75
COFFY R., Eglise, signe de salut au milieu des hommes , Paris 1972, 67.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 89
missionario76. Altri hanno svuotato del suo contenuto dogmatico l’impegno missionario o
ridotto il suo ruolo a una semplice “presenza”, quale scelta per testimoniare la propria
solidarietà con chi è diverso, non solo per il credo teologico che confessa, quanto, piuttosto,
per la sua situazione di sottosviluppo economico. Altri dicono che la missione non fa
riferimento diretto alla salvezza o alla riconciliazione dell’uomo con Dio, ma al fatto di
prendere coscienza della salvezza che è già presente. O, dato che “la Chiesa ha il dovere di
essere segno e sacramento di salvezza per tutta l’umanità: essa quindi dovrebbe aiutare il
progresso del buddismo lungo in suo corso della storia della salvezza ed in un certo senso
lavorare per fare del buddista un miglior buddista”77.
b) Risposta del Magistero
- Il Decreto “Ad Gentes” sull’attività missionaria della Chiesa: questo documento
viene considerato come un punto d’arrivo nel quale si inseriscono le diverse riflessioni
precedenti in campo missionologico, specialmente quando tratta del fine specifico
dell’attività missionaria e, parimenti, è un punto di partenza che si svilupperà fino alla
Redemptoris Missio.
- L’AG apre nuovi orizzonti alla missionologia collocandola in un contesto
teologico-ecclesiologico. E’ quanto è fatto nei primi cinque capitoli: la Chiesa, inviata da
Dio alle genti come “sacramento universale di salvezza” (AG 1; cf. LG 48) in forza della sua
cattolicità interna e in ossequio all’ordine del suo fondatore, ha il compito di predicare il
Vangelo a tutti gli uomini. Viene definita così: “La Chiesa durante il suo pellegrinaggio
sulla terra è per sua natura missionaria” ( AG 2), cioè non esiste se non per essere
missionaria, per il fatto che “è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo
che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la sua propria origine” ( AG 2) e perciò
“questa missione della Chiesa continua, sviluppando nel corso della storia la missione del
Cristo stesso” (AG 5). Allora si può dire che la missione è ecclesiocentrica, perché è
cristocentrica: Gesù affermando la necessità della fede e del battesimo per la salvezza,
definiva la necessità della Chiesa come suo Corpo (cf. AG 7).
- “L’attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l’epifania e la
realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a
termine la storia della salvezza. Con la parola della predicazione e con la celebrazione dei
76
Cf. COFFELE G., Missione e teologia fondamentale , in La Missione del Redentore , Elle Di Ci, Leumann-
Torino 1992, 104.
77
ZAGO M., L’evangelizzazione in ambiente religioso asiatico , in Concilium, 4/1978, 116-132.
90 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
sacramenti, di cui è centro e vertice la santa Eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore
della salvezza” (AG 9).
A partire dal n.6 il Decreto parla di “missione” e di “missioni”, cioè dell’attività
missionaria. Le missioni vengono definite come “le iniziative particolari, con cui gli araldi del
Vangelo inviati dalla Chiesa, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicare il
Vangelo e di impiantare la Chiesa in mezzo ai popoli ed ai gruppi che ancora non credono in
Cristo”. Ma lo stesso decreto dice anche che destinatari dell’attività missionaria sono certi
gruppi, “in mezzo ai quali si trova la Chiesa, spesso per varie ragioni cambiano radicalmente,
donde possono scaturire situazioni del tutto nuove. In questo caso, la Chiesa deve valutare se
esse sono tali da richiedere di nuovo la sua azione missionaria” ( AG 6; RM parlerà di “nuova
evangelizzazione”).
- Come fine specifico dell’attività missionaria, si parla di “evangelizzazione e
impianto della Chiesa in quei popoli e gruppi, in cui ancora non ha messo radici” (AG 6). Con
questa formula il Concilio evita di schierarsi per l’una o per l’altra delle due “scuole”
(Münster e Lovaino) e prende le distanze dall’esclusività di entrambe operando una “sintesi
coraggiosa” (S. Brechter). Il P. Congar, che ha avuto una parte decisiva nella redazione del
testo, ha dato questa spiegazione: “L’impiantamento della Chiesa non è da interpretare in
senso puramente giuridico. Si tratta dell’impiantamento del popolo di Dio, il quale si
costituisce inizialmente a partire dalla fede e perciò attraverso la predicazione”.
Quando la chiesa particolare è “impiantata” deve diventare subito missionaria:
“dovendo riprodurre alla perfezione l'immagine della Chiesa universale, abbia la piena
coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo e convivono nel suo
stesso territorio” (AG 20). Questo “riprodurre” non ha una dimensione giuridica, ma
ontologica. In tal modo, non sembrano giustificate le critiche di L. Rütti, che vede nel testo
conciliare, una concezione della missione come “funzione per l’autoconservazione e la
diffusione della Chiesa”78; e neppure quelle di Hoekendijk che scrive: “Solo estirpando
completamente il diffuso ecclesiocentrismo, si libererà la strada per pensare alla ecclesia e
non ad una delle sue cattive metamorfosi”79.
78
RÜTTI Ludwig, Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen , Chr. Kaiser
Verlag, München 1972, 257.
79
HOEKENDIJK J. Ch., Kirche und Volk in der deutschen Missionswissenschaft , Kaiser Verlag, München
1967, 331.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 91
- L’AG dedica molto spazio alla dimensione soteriologica della missione, e dice che
la Chiesa ha una “missione salvifica” (AG 41). Salvezza intesa non solo in senso escatologico,
ma globale, incluso quello storico, abbracciante tutti gli aspetti della persona umana. Questo
lavoro a volte comporta una purificazione. Rendendo presente Cristo, l’autore della salvezza,
la Chiesa, “ogni elemento di verità e di grazia che già si trovava fra i pagani come per una
segreta presenza di Dio, essa lo purifica da contagi del male e lo restituisce al suo autore,
cioè a Cristo, che rovescia l’impero del demonio e impedisce la multiforme malizia dei
crimini” (AG 9). Afferma Coffele: “segnaliamo questa insistenza dell’ AG sul ruolo
sacramentario della Chiesa nei confronti della salvezza, precisamente perché è uno dei punti
contestati da una certa missionologia contemporanea, che fa riferimento alla «Missio Dei»,
volendola concepire in modo tale da prescindere dalla Chiesa”80.
- Evangelii Nuntiandi: non finirono i problemi sollevati col Concilio Vaticano II. Si
criticava il fatto che la missione avesse perso il mondo; si rifiutava l’«ecclesiocentrismo» e
anche una concezione espansionistica della missione. D’altra parte, si veniva sempre più
imponendo tutta la problematica della giustizia e della pace e, soprattutto, l’urgenza di
chiarire meglio il rapporto fra il cristianesimo e le religioni non cristiane. Questi motivi
avevano finito per esaurire l’entusiasmo missionario, scaturito dal Concilio, e avevano spinto
non pochi teologi ad evitare persino di pronunciare il termine “missione”81.
L’EN, come abbiamo visto sopra, assume il termine “evangelizzazione”, preferendolo
a quelli di “missione” o “attività missionaria”. E’ evidente che, “rispetto all’epoca
preconciliare, la parola «missione» ha sofferto di una certa disgrazia. Il suo destino era
troppo legato a un periodo in cui l’era missionaria coincideva con le conquiste coloniali
dell’occidente cristiano, e connotava troppo un certo trionfalismo della Chiesa” 82. EN
introduce nuove e precise sottolineature. Rinuncia decisamente al concetto geografico della
missione; sottolinea che anche le giovani Chiese devono essere considerate partner; indica
chiaramente che sviluppo, pace, libertà, liberazione sono autentici valori biblici e come tali
riguardano anche la missione; ripete, con il Concilio, che anche nelle religioni non cristiane
ci sono elementi di salvezza; raccomanda il pluralismo in teologia e il dialogo con le religioni.
80
COFFELE G., Missione e teologia fondamentale , 107.
81
Cf. MÜLLER Karl, Teologia della Missione. Un’Introduzione , 64-65.
82
GEFFRÉ, C., L’evoluzione della teologia della missione dalla “Evangelii Nuntiandi” alla “Redemptoris
Missio”, in AA.VV., Le sfide missionarie del nostro tempo , EMI, Bologna 1996, 64.
92 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
Desta non poca confusione la convinzione che la Chiesa avesse lasciato cadere il
termine missione e lo avesse sostituito con il termine evangelizzazione. In realtà, termini
quali “missione”, “missionario”, “missionari” ricorrono ben 11 volte. Il tema centrale era
quello dell’evangelizzazione, cioè s’intendeva porre il problema della missione della Chiesa
in senso lato (EN 33). Comunque, sono molti coloro che optano per il termine
evangelizzazione perché risponde meglio al compito che la chiesa ha “di recare agli uomini
la salvezza”83; M. Flick e Z. Alszeghy giustificano la scelta del termine in base ad una più reale
comunicazione della fede84.
Altri problemi dopo il 1975, quando si pubblica EN, centrano l’attenzione sul visibile
calo della missione ad gentes, o sulla necessità della adesione visibile alla Chiesa,
considerando le religioni come vie ordinarie di salvezza. Così, per esempio, Amaladoss vede
le principali cause della crisi della missione in: una più positiva visione del valore salvifico
delle altre religioni, per cui si preferisce il dialogo all’annuncio; in un ampliamento dell’idea
della missione, per includere tutte le attività della Chiesa, che sembrano svalutare la
specificità della missione ad gentes; in un percepire che la Chiesa ora è presente ovunque,
che sembra ridurre il senso dell’urgenza d’andare oltre la frontiere; in un’insistenza sulla
responsabilità delle Chiese locali, che sembra aver portato gli Istituti Missionari a una crisi di
identità; da ultimo, in una crescente secolarizzazione e in una diminuzione delle vocazioni
missionarie nelle Chiese più antiche85.
“Sembra esserci, non solo dall’esterno, ma proprio anche fra i membri stessi della
comunità cristiano-cattolica una specie di complotto per «demissionalizzare» la Chiesa, per
usare la terminologia del P. Mondin. L’autorevole card. Tomko parla di «autosvuotamento»
della missione”86.
- Risposte della “Redemptoris Missio”: possiamo partire dal fatto che RM tenta di
ripristinare il contenuto della missione ad gentes. Non si nascondono le difficoltà: “non si
può nascondere una tendenza negativa, che questo Documento vuol contribuire a superare:
la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento... Difficoltà interne ed
83
GRASSO D., Evangelizzazione. Senso di un termine , in Evangélisation , “Documenta Missionalia 9”, M.
Dhavamony (ed), Università Gregoriana Editrice, Roma 1975, 44.
84
Cf. FLICK M.-ALSZEGHY Z., L’evangelizzazione come comunicazione , in Evangelisation, “Documenta
Missionalia 9”, M. Dhavamony (ed.), Università Gregoriana Editrice, Roma 1975, 49-76.
85
Cf. COFFELE G., Missione e teologia fondamentale , 10.
86
BRUNELLI Lucio, Missionari senza Cristo? , in 30 Giorni, marzo 1989, 68-69.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 93
esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un
fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo... Desidero invitare la Chiesa ad
un rinnovato impegno missionario... Il presente Documento ha una finalità interna: il
rinnovamento della fede e della vita cristiana (...) Né mancano altre motivazioni... dissipare
dubbi e ambiguità circa la missione ad gentes, confermando nel loro impegno i benemeriti
fratelli e sorelle dediti all’attività missionaria” (RM 2).
Questa ambiguità si manifesta “già nel «vocabolario missionario»: ad esempio, c'è
una certa esitazione ad usare i termini «missioni» e «missionari», giudicati superati e carichi
di risonanze storiche negative” (RM 32). “Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e
del diffondersi di nuove idee teologiche, alcuni si chiedono : E’ ancora attuale la missione tra
i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo
sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni
proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la
missione?” (RM 4).
87
Cf. BÜHLMANN W., La terza Chiesa alle porte , Roma 1974, 305.
88
NELSON Robert, The patters of christian mission in today’s world , in AA.VV., The Church is mission ,
Geoffrey Chapman, Londra 1969, 73-74.
89
ORCHARD R. K., ed., Witness in Six Continents: Records of the Meeting of the Commission on World
Mission and Evangelism of the World Council of Churches held in Mexico City, December 8 th to 19th 1963,
Edinburgh Press, London 1964.
94 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
si chiedono: perché cercare vocazioni e formarli per una attività specificamente missionaria
ad gentes, se questa non esiste? Si tocca il pessimismo. Nel marzo del 1969, il presidente del
SEDOS esponeva una crescente ansietà: “Dobbiamo affermare, senza equivoci, che gli
Istituti missionari sono preoccupati, ansiosi e incerti sul futuro delle missioni” 90. Comunque,
non tutti credono in una crisi missionaria e per motivi seri.
- La risposta della RM è la seguente: “Dire che tutta la Chiesa è missionaria non
esclude che esista una specifica missione ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono
essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i ‘missionari ad gentes ed a vita’ per
vocazione specifica” (RM 32). “L’attività missionaria specifica, o missione ad gentes... si
distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi ed ambiente non cristiani
per l’assenza o insufficienza dell’annuncio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si
caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo Vangelo, di edificazione della
Chiesa locale, di promozione dei valori del Regno. La peculiarità di questa missione ad
gentes deriva del fatto che si rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale
«compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente ri-affida
alla sua Chiesa» subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e,
quindi, sia trascurato o dimenticato” (RM 34).
RM, nel n. 33, specificava che vi sono tre situazioni all’interno dell’unica missione
della Chiesa: “Anzitutto, quella a cui si rivolge l’attività missionaria della Chiesa: popoli,
gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti, o in
cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio
ambiente ed annunziarla ad altri gruppi. E’, questa, propriamente, la missione ad gentes”. G.
Colzani, che ha fatto recentemente una lettura delle scelte terminologiche di RM, scrive:
“non vi è dubbio che vi sia qui un cambio terminologico e che la missione ad gentes
riproponga la sostanza delle precedenti «missioni». Mentre la teologia postconciliare aveva
fatta propria la tesi della missionarietà della chiesa, ricavandone l’abbandono della teologia
della plantatio, il pontefice prende le distanze da questa impostazione perché teme «che si
perda il senso della ‘vocazione missionaria’ come vocazione speciale in seno alla chiesa»” 91.
90
POWER J., Missions Theology Today , London 1970, VII.
91
COLZANI G., Missione. Bilancio di un concetto fondamentale, dalla “Redemptoris Missio” ad oggi , in
La missione oggi. Problemi e prospettive , C. Dottolo (ed.) Urbaniana University Press, Città del Vaticano
2002, 17; citazione interna di GEFFRÉ, C., L’evoluzione della teologia della missione dalla “Evangelii
Nuntiandi” alla “Redemptoris Missio” , in AA.VV., Le sfide missionarie del nostro tempo , EMI, Bologna 1996,
67.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 95
Si tratta di un intento ecclesiologico, che Colzani giudica molto positivo dal punto di vista
linguistico, nel senso che “rende più evidente l’unità della missione ecclesiale nella
molteplicità delle sue forme”, ma che non nasconde la fragilità dal momento che si muove
“ad un livello teorico-pratico più che ad un livello di fondazione”92.
Per quello che riguarda le diverse concezioni attuali della missione su esposte, la RM
offre risposte chiare. Così, al problema della necessità della fede in Cristo, unico mediatore,
dedica il cap. I. Nel n. 5 fa una lettura della tradizione secondo la quale “Cristo è l’unico
salvatore di tutti... La salvezza non può venire che da Gesù Cristo... Gli uomini, quindi, non
possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello
Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall’essere di ostacolo al cammino
verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso e di cui Cristo ha piena coscienza. Se non sono
escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e
valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e
complementari”. La costituzione divina di Cristo come unico salvatore e la realizzazione di
questa salvezza mediante la sua incarnazione, manifestano che la missione si colloca nel
cuore proprio della rivelazione di Dio e, perciò, tutto quello che fa riferimento alla storia
attraverso e nella quale Dio si manifesta e salva, non è una realtà accessoria o meramente
strumentale, ma forma parte della missione cristologica. “La missione è certo lo svelarsi della
natura stessa di Dio, l’apparire di un amore gratuito ed escatologico che ha già in sé il suo
significato e la sua pienezza, ma lo è nel suo farsi carne, nel suo entrare nella storia umana. Si
può ritenere che le condizioni di questa storia, liberamente e misericordiosamente assunta,
appartengono ormai alla rivelazione: non sono solo strumenti ma sono una cosa sola con
l’apparire e l’agire dell’amore di Dio ed appartengono, perciò, alla sostanza della missione
cristologica”93.
“E’ contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e
Gesù Cristo... Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un «Gesù della storia» che
sarebbe diverso dal «Cristo della fede»” (RM 6). La Chiesa ha un ruolo per la salvezza
dell’umanità, e così “mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini ed accorda loro la
possibilità della salvezza, la Chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico
92
Ib., 17.
93
COLZANI G., Missione. Bilancio di un concetto , 20.
96 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza... E’ necessario
tenere congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti
gli uomini e la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza...” (RM 9).
“La Chiesa è sacramento di salvezza per tutta l’umanità, e la sua azione non si
restringe a coloro che ne accettano il messaggio” (RM 20). “Non si può disgiungere il Regno
dalla Chiesa... Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal Regno, la Chiesa è indissolubilmente
unita ad entrambi.. . Ne deriva una relazione singolare e unica, che, pur non escludendo
l’opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della Chiesa, conferisce ad essa un
ruolo specifico e necessario” ( RM 18). “Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un
programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il
nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile” (RM 18).
Il dialogo con i “fratelli di altre religioni deve esser condotto ed attuato con la
convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza
dei mezzi di salvezza” (RM 55). Nonostante il dialogo sia «parte integrante» della missione
“l’annunzio ha la priorità permanente nella missione: la Chiesa non può sottrarsi al mandato
esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona novella»...” (RM 44). “Che
dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di
tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la
nostra fede in Cristo, unico salvatore dell’uomo” (RM 11).
94
Cf. MÜLLER Karl, Teologia della Missione , 67-69.
Introduzione alla Missiologia – 2012-II 97
dunque l’opera sua più propria e originale. E’ Dio a portare la responsabilità di ciò che egli
stesso progetta e vuole.
b) La missione tratta della salvezza. Dio vuole liberare gli uomini dalla colpa e farli
partecipare alla sua vita. Questo comporta che i singoli uomini abbandonino il peccato e si
convertano a Dio, ma anche che si lascino inserire nella famiglia di Dio, nel popolo di Dio.
Dato che la volontà creatrice e la volontà salvifica di Dio non sono disgiunte l'una dall’altra,
la salvezza è salvezza integrale: shalom e, al tempo stesso, appello a partecipare alla vita
divina. Come l’amore di Dio avvolge tutto l’uomo, così anche la missione si preoccupa di
tutto l’uomo. La promozione umana e lo sforzo per la giustizia e la pace nel mondo non si
identificano con la missione, ma le appartengono come sue componenti integrali.
c) La missione tratta anche della comunità. Dio ha creato gli uomini in ordine alla
comunità e vuole che i figli di Dio dispersi diventino il “popolo di Dio”. Qualunque cosa si
intenda per Chiesa, non è mai esistito e mai esisterà un cristianesimo di puri individui che,
indipendentemente gli uni dagli altri, vadano per la loro strada e possano giungere a Dio
senza la protezione e la forza trainante della comunità. Quando il Concilio Vaticano II parla
della Chiesa, pensa anzitutto alla comunità dei fedeli e alla sua funzione per la salvezza del
mondo. La Chiesa è il centro e l’agente della missione di Dio ( Ef 1,10). Cioè, “non è solo uno
strumento del Vangelo, ma parte del Vangelo ( Ef 3,6). Il perché è chiaro, anche se
dimenticato: l’attività riconciliatrice di Dio in Cristo Gesù ( 2Cor 5,19) ha come obiettivo non
solo gli individui (Rom 5,10-11) e il cosmo (Col 1,20) ma tutti gli esseri umani”95.
d) La missione ha anche sempre a che vedere con il “mondo”. Non esiste l’astratto
“missione” che venga appiccicato al mondo. La missione non si svolge in un ambiente chiuso.
Essa è incontro di Dio e del mondo, del divino e dell’umano, processo di integrazione, che
avviene sul modo dell’incarnazione. Che questo non possa avvenire senza tensioni e scontri,
è evidente. Ma sarebbe errato affermare che la “natura” - lo stesso dicasi della “cultura” - e il
Vangelo sono due realtà incompatibili. Quel Dio che è all’origine del mondo è lo stesso che
ci ha dato il Vangelo e che vuole santificare il mondo.
e) La missione si cura in modo particolare di coloro che non conoscono ancora il
Vangelo, di coloro che si trovano ancora al di fuori della visibilità del popolo di Dio. Essa è
stata giustamente descritta come un reaching out, come un “superamento dei confini”, non
95
KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations , Darton, Longman and Todd Ltd., London 1999,
35.
98 Introduzione alla Missiologia – 2012- II
in senso geografico. Il missionario è colui che compie il servizio di araldo, che proclama la
notizia dell’Incarnazione, che collabora all’opera della riunificazione dei figli di Dio dispersi.
Missionario non è chi attraversa i mari, ma chi compie il “lavoro della missione”. La missione
è concetto teologico e non geografico, per cui anche il collaboratore autoctono merita il
titolo onorifico di “missionario” allo stesso modo dell’espatriato.
f) Si deve continuare ad usare il termine missione? Non è indispensabile, ma esso ha
certamente un suo senso. Una volta, al tempo in cui la discussione attorno a questo termine
era in pieno svolgimento, presi parte ad una riunione missionaria, nella quale venne
violentemente attaccato. Ad un certo punto, la presidentessa di una associazione missionaria
laica chiese la parola e disse: “Sì, abbiamo avuto qualche difficoltà anche a proposito del
termine missione. Ne abbiamo parlato insieme e ci siamo detti: il termine ha un senso biblico
così profondo che, per quanto sta in noi, non siamo disposti a rinunciarvi. Da allora
spieghiamo ai nostri membri che cosa intendiamo con questo termine e siamo molto
contenti di continuare ad usarlo”. Quella testimonianza convinse tutti i partecipanti alla
riunione. Il Consiglio mondiale luterano, nella sua Assemblea plenaria di Budapest (1984),
così definiva la missione: “La missione è la comune responsabilità di tutti i cittadini, di tutte le
comunità e di tutte le Chiese; ovunque, la missione è il privilegio e la responsabilità comune
della Chiesa universale”.