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I principali tratti del pensiero agostiniano

Con Agostino di Ippona, la speculazione teologica perde il carattere di oggettività per saldarsi alla
dimensione soggettiva. Il problema teologico è in Agostino il problema dell’uomo-Agostino, il problema
della sua crisi e della sua redenzione, della sua ragione speculante. Il centro di questa coincide con la sua
personalità. L’atteggiamento della confessione, è l’atteggiamento costante del pensatore e nello stesso
tempo dell’uomo d’azione, il quale non ha altro scopo che chiarire se a sé stesso e di essere quello che deve
essere. Perciò egli dichiara di non volere conoscere altro che l’anima e Dio.

Ragione e fede
Nei Soliloqui, Agostino dichiara che cercare l’anima significa cercare Dio, ora verso in questo continuo
ricercare c’è la teoria agostiniana dei rapporti tra ragione e fede nelle quali è sintetizzata la formula del
credi per capire e capisci per credere, questa ricerca è una medaglia, con due facce, la ragione e la fede.

Dal Dubbio alla verità


Contro lo scetticismo, il mitico Agostino sostiene che non è possibile dubitare su tutto per esempio, la
nostra esistenza, perché se dubitiamo su di essa, dobbiamo per forza esistere. Inoltre si accinge alla verità
proprio attraverso gli scettici dicendo che per dubitare della verità si deve in qualche modo già essere nella
verità, però, precisa che anche essendo nella verità, noi non possediamo la verità, perfetta e immutabile
ma una verità, Agostino inoltre esplica anche il processo per il quale queste verità giungono a costoro
attraverso la teoria dell’illuminazione, secondo cui l’essere umano non possedendo la verità, la riceve da
Dio, il quale illumina la nostra mente. A differenza di Platone, Agostino non fa dipendere la verità dal regno
delle idee bensì da Dio stesso, in base al principio secondo cui la verità immutabile non è la ragione, cioè
l’uomo ma è la legge della ragione ovvero Dio. In conclusione Agostino dice che per giungere all’apertura
radicale, quella verso l’essere assoluto ci si deve rinserrare il se stessi.

Il problema della creazione e del tempo


Secondo Agostino, Dio è il fondamento di tutto, è la mutevolezza del mondo a dimostrarci questo essere e
come sia stato creato dal nulla per opera di un Essere eterno attraverso il Logos, ovvero il figlio di Dio, il
Logos ha in sé le idee, le ragioni per cui tutte le cose nascono muoiono e vengono allo stesso tempo create.
Agostino inoltre risponde anche alla domanda riguardo il rapporto tra Dio e il tempo, per Dio, il tempo è
una sua creazione insieme all’universo, per egli perciò essere adimensionale, le regole del tempo non sono
valide. Per noi invece, esseri tridimensionali, il passato non si può misurare in quanto già non è più, il futuro
non c’è ancora ma nell’anima c’è l’attesa di questo ed proprio qui che il presente è il tempo delle cose della
memoria, tutte le cose che ricordiamo le vediamo sempre come presente.

Il problema del male


Agostino è uno dei filosofi che hanno vissuto con più tormento ila problematica del male, inizialmente egli
abbracciò la soluzione del principe Mani che principalmente ammetteva l’esistenza di due principi opposti,
uno del Bene e uno del Male, perennemente in lotta tra di loro ma quando egli divenne cristiano, il
problema divenne molto più complicato, infatti se vi è un Dio cristianamente visto come Bene, Amore e
provvidenza perché esiste il male? Agostino risponde a tale domanda dicendo che Essere e bene sono la
medesima cosa, il male può essere visto come la privazione del bene o al massimo come una carenza di
quest’ultimo, perciò il male non ha una realtà propria. Inoltre i mali, si dividono in due categorie, mali
morali e mali fisici, entrambi derivano dalla struttura gerarchica dell’universo(esseri superiori ed esseri
inferiori) oppure fungono da elementi necessari per l’armonia cosmica, esattamente come le ombre che
sono indispensabili per mostrare la bellezza della luce, il primo dei mali citati risiede nel peccato che
consiste a comportarsi come dice agostino, come esseri inferiori mentre il secondo dei mali deriva dal
peccato originale.

La polemica contro il pelagianesimo


La polemica contro il pelagianesimo è quella che ha avuto la maggiore portata nella formulazione della
dottrina di Agostino. Il punto di vista di Pelagio consisteva essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo
avesse indebolito radicalmente la libertà originaria dell’uomo e quindi la sua capacità di fare del bene,
Adamo perciò secondo il monaco irlandese rappresentava soltanto un brutto esempio e che l’uomo era ed
è capace di operare virtuosamente senza bisogno straordinario della grazia, portando all’ineluttabile
conclusione dell’inutilità e fallacità di Cristo. Di fronte a tale dottrina, Agostino introdusse una sorta di
pessimismo radicale riguardo la natura umana, vista come dannata, inoltre per spiegare la trasmissione del
peccato originale introdusse il traducianesimo, per il quale l’anima viene trasmessa di padre in figlio,
quando questo viene al mondo, la volontà sin dal peccato originale è asservita al vizio e al peccato e solo la
grazia divina può redimere l’uomo da questa sua tendenza radicale. In sostanza l’uomo passò dal giorno in
cui compì il peccato originale, dal non poter peccare al non poter non peccare, e solo dio può redimerlo.

Libertà, grazia e predestinazione


Secondo Agostino non esiste una teoria univoca sulla salvezza, c’è piuttosto un ambiguo oscillare tra i
sistemi concettuali opposti e talora contraddittori. Ed è proprio qui che la chiesa si sforzerà di ridurre tali
teorie alla cooperazione tra uomo e Dio, la grazia perciò sarà affidata all’uomo come un dono-merito.

La città di Dio
In quest’opera egli afferma che esistono due città, una terrena o del diavolo che corrisponde al vivere
secondo la carne e una seconda chiamata celeste o di Dio che segue i modelli del vivere secondo lo spirito.
Ambedue sono mescolate sin dall’inizio sin dall’inizio dei tempi e lo saranno anche fino alla fine. Sulla base
di tale sistema teologico Agostino individua sei epoche storiche differenti, la prima che da adamo al diluvio
universale, la seconda che va da Noè ad Abramo, la terza da Abramo a Davide, la quarta da Davide fino alla
cattività babilonese, la quinta che va da quest’ultima alla venuta di cristo e la sesta ed ultima quella dalla
nascita di Cristo fino al ritorno di questo. Accanto a queste epoche troviamo tre periodi secondo lo
sviluppo culturale, il primo nel quale gli uomini vivono senza leggi e non lottano ancora contro i beni
mondani, nel secondo gli uomini vivono sotto la legge combattendo contro i beni mondani ma ne sono vinti
e l’ultimo, quello della grazia in cui gli uomini combattono e vincono le tentazioni del mondo. Questi periodi
appena descritti sono relativi al popolo d’Israele mentre la città di Roma e di Atene vengono giudicate
secondo il proprio politeismo. Roma è la Babilonia dell’occidente, egli ne descrive la storia paragonandola
alle vicende descritte nel vecchio testamento, Agostino inoltre smonta la tesi secondo cui il cristianesimo
sia stata la piaga di Roma dicendo che Roma si trovava decadente anche con il paganesimo, inoltre vede la
formazione dell’impero come un disegno superiore da parte di Dio. Per Atene invece ne giudica i filosofi
come Platone che viene visto come colui che ha riconosciuto l’unità del divino ma ha abbracciato
comunque il politeismo e con ciò indica tutto il neoplatonismo come tale.
Età moderna
L'età moderna inizia nel 1400 con il fenomeno dell' Umanesimo che, propone il ritorno al mondo classico,
cultura che collegava l'uomo al centro dell'universo insieme alla sua dignità e libertà. Questo fenomeno
proseguì anche nel 1500 quando si diffuse in tutti i campi (dalla filosofia all'arte) venendo ad assumere il
nome di "Rinascimento". Umanesimo e Rinascimento quindi sono due grandi enti che affermando la
centralità dell'uomo nel cosmo; una centralità che va a sostituire il ruolo di Dio nel Medioevo. Ciò non
significa che i nuovi intellettuali fossero atei, molti addirittura erano profondamente religiosi, ma avevano
solo una visione differente della religione che considerava l’uomo artefice del proprio destino, padrone
della propria vita. I pensatori di quest'epoca, infatti, ritengono che Dio gli abbia affidato il dominio sulla
terra ma per dominare, è necessario conoscere i segreti e le leggi della natura tramite lo studio.

Giordano Bruno
La vita in breve

Nato a Nola nel 1548, Giordano Bruno entra adolescente nel convento di S.Domenico a Napoli. Sin
dall’inizio si mostra insofferente della vita ecclesiastica, cade in sospetto d’eresia e per sfuggire al processo
abbandona il convento e si reca a Roma. In seguito si reca in Inghilterra sotto la protezione
dell’ambasciatore francese. Nel 1591 torna in Italia su invito del nobile Giovanni Mocenigo che desidera
apprendere da lui l’arte della memoria, ma questi nel 1592 lo denuncia per eresia; Bruno rifiuta ogni
religione, nega i dogmi cristiani e addirittura afferma che Cristo era un mago che aveva sedotto i popoli con
miracoli. Bruno viene processato, Egli rifiuta di ritrattare le sue teorie filosofiche e viene condannato a
morte il 17 febbraio del 1600.

L’universo infinito

Bruno vede nella teoria Copernicana la premessa e la base per condurre la missione di rischiaramento
religioso e filosofico. Bruno evidenza che la concezione copernicana della natura era rimasta ancorata a
principi tradizionali. Riprendendo le tesi di Cusano, egli afferma che l’universo è infinito perché è effetto di
una causa infinita ovvero Dio. Dio è causa dell’universo in un duplice senso: da un lato è causa in quanto
produce l’universo; dall'altro è principio immanente in esso. Giordano Bruno smentisce la teoria
aristotelica, la quale nega l’esistenza dell’infinito in movimento ma solo in potenza, egli al contrario
giustifica tale esistenza attraverso l’esistenza della sua stessa causa, la quale non essendo vista come forma,
materia etc.. non può esser distinta in atto o in potenza L’universo è infinito non perché infinitamente
grande, ma perché costituito da infiniti mondi, cioè infinte manifestazioni di esso.

L’unità di misura

Nei dialoghi De la causa, principio et uno si distingue l’idea di un Dio assolutamente al di là del mondo
sensibile, dall’idea che di Dio si fa la ragione. Nel primo caso Dio è una mens super omnia, una mente al di
sopra di ogni cosa ed appare a noi come la natura stessa. Come oggetto di riflessione razionale Dio è la
natura stessa. Egli è la causa e il principio di ogni cosa. Dio per Cusano era trascendente, mentre per Bruno
è immanente alla natura stessa. È la mens insita omnibus (= mente dentro le cose) il principio razionale
insito nelle cose. Quando vediamo qualcosa che sembra morire non dobbiamo tanto credere che essa
muoia realmente, quanto che muti, cioè che cambi i suoi aspetti accidentali restando immutabile nei suoi
principi essenziali. Dio si manifesta come forma o intelletto universale, si manifesta come materia. In tal
modo materia e forma sono un’unica realtà. Il concetto di materia risulta mutato in quanto essa appare
dotata di un intrinseco principio attivo e di movimento. Proprio per l’idea che ogni realtà dell’universo sia
vivente e animata costituisce il fondamento della magia.

Il conflitto la virtù e il valore del lavoro

I due principali scritti morali di Bruno: dialoghi, lo spaccio della bestia trionfante e gli eroici furori.

Nella prima opera si parla dello spaccio di tutti i vizi accostati ad alcuni segni zodiacali, cioè a quelli che
hanno il simbolo di bestie (ad esempio lo scorpione). La vita è conflitto, guerra perenne ed è guerra del
bene contro il male, perché non c’è bene se non nella vittoria sul male. Il mondo è il campo dove si dispiega
pienamente l’attività umana, l’ozio viene cacciato dal lavoro e l’uomo cerca di affermare se stesso con le
opere. Bruno riconduce i vizi alle superstizioni e dichiara che occorre una nuova tavola di valori. Tali valori
sono la verità, la prudenza, la sofia o sapienza ed infine la legge.

Gli eroici furori

Di tale ricerca è espressione compiuta la seconda opera. In essa Bruno descrive tre furori o amori ripresi
dalle tre specie di rapto platonico: l’amore per la vita dedita al piacere, quello per la vita attiva e quello per
la vita contemplativa. I primi due tipi di furore sono degli uomini di barbaro ingegno, il terzo è l’autentico ed
eroico furore.

Quella di Bruno non è una forma di elevazione mistica verso la trascendenza. Essa è risoluzione
dell’individuo nell’infinita e vivente natura. Egli vede finalmente se stesso come natura e come parte
dell’universo infinito. L’eroico furore di Bruno è una vera e propria passione del conoscere.

La rivoluzione scientifica
Con il concetto di rivoluzione scientifica ci si riferisce alla profonda trasformazione della visione della natura
e del metodo di acquisizione delle conoscenze impostosi tra il XVI e il XVII secolo, ciò che emerge dalla
rivoluzione scientifica, in generale, e dal metodo galileiano, in particolare, è una concezione della natura
come ordine oggettivo, strutturato da precise cause e relazioni rette da leggi, e della scienza come sapere
sperimentale, matematico e intersoggettivamente valido che ha per scopo la conoscenza del mondo
circostante e il suo dominio da parte dell’uomo.

La natura

La natura è intesa come un ordine causale, perché in essa nulla avviene per caso, ma tutto è il risultato di
cause precise. Per causalità, si intende infatti, un rapporto costante e univoco tra due fatti (o insiemi di fatti)
dei quali dato l’uno è dato anche l’altro, e tolto l’uno è tolto anche l’altro. La natura è un insieme di
relazioni e non un sistema di essenze, perché lo sguardo del ricercatore è puntato non su presunti principi
sostanziali occulti e inverificabili posti alla base della realtà, ma sulle relazioni causali riconoscibili che
legano i fatti tra loro. Ad esempio, allo scienziato non interessa indagare la sostanza del fulmine, ma solo
chiarire i rapporti di causa ed effetto che lo pongono in relazione ad altri fenomeni e lo rendono
comprensibile, come la luce solare, le gocce d’acqua, ecc.. I fatti sono governati da leggi, perché essendo
causalmente legati tra loro, obbediscono a regole uniformi che rappresentano i modi necessari e i principi
invarianti attraverso cui la natura opera.
La scienza

La scienza moderna è un sapere sperimentale, perché si fonda sull’osservazione dei fatti e perché le ipotesi
vengono verificate empiricamente e non soltanto attraverso dimostrazione razionale. La scienza, tuttavia,
non è una semplice registrazione dei fatti, inquadrata in una teoria generale, ma una costruzione
complessa, su base matematica, che si conclude con l’esperimento, cioè una procedura appositamente
costruita per la verifica delle ipotesi. Il terreno su cui essa è germogliata si basa su tre elementi
fondamentali:

1. In primo luogo, è presente in corso d’opera la laicizzazione del sapere e la sua rivendicazione della
libertà della ricerca intellettuale
2. In secondo luogo, avviene il ritorno e la traduzione dell’antico sapere, dalle opere pseudo-scientifiche
alle filosofiche, le quali hanno fornito l’ispirazione o lo spunto per le nuove scoperte
3. Il naturalismo, che a sua volta dona nuova luce all’aristotelismo, al platonismo e al pitagorismo

Galileo Galilei
«La matematica è l'alfabeto in cui Dio ha scritto l'Universo». Queste parole pronunciate da Galileo Galilei
dicono molto su di lui: fisico, filosofo, matematico e astronomo, è considerato il padre della scienza
moderna perché creò il metodo scientifico, basato sull'osservazione oggettiva della realtà.

Nato a Pisa nel 1564, Galileo iniziò a studiare medicina presso l'Università della sua città, prima di scegliere
di specializzarsi in matematica. A fargli da insegnante fu Ostilio Ricci, che riteneva che la matematica fosse
una scienza non astratta, ma utile per risolvere i problemi pratici. Fino al 1585 Galileo rimase a Pisa dove
studiò anche fisica e dove fece la sua prima scoperta: si racconta che osservando la lucerna posta sul
soffitto della cattedrale di Pisa scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo. Nello studio di Padova,
prossima cattedra dopo Pisa, Galileo creò una piccola officina nella quale eseguiva esperimenti e fabbricava
strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio: qui inventò la macchina per portare l'acqua a livelli più
alti, che fu utilizzata a Venezia. Nel 1604 apparve nei cieli europei una supernova. Si dice che Galileo ne
approfittò per creare oroscopi a pagamento, ma soprattutto per costruire e perfezionare il cannocchiale.

Per tutto il 1610 Galileo:

 Acquisì informazioni precise sulla superficie della luna, stabilendo che presentava delle irregolarità
 Studiò la Via Lattea, che si rivelò un insieme di stelle lontanissime, che allargavano i confini
dell'universo
 Scoprì i quattro maggiori satelliti di Giove, osservando che anche i pianeti possono avere dei satelliti
 Scrutò il sole, vedendovi delle macchie in movimento.

Le nuove scoperte vennero pubblicate nel 1611 nel Sidereus Nuncius, opera che Galileo inviò al granduca di
Toscana Cosimo II de Medici e che gli valse una posizione da insegnante a Firenze. Nel 1611 la Chiesa e il
Sant'Uffizio iniziarono a prestare attenzione alle opere così il matematico pisano si recò nel marzo 1611 a
Roma, dove fu accolto da papa Paolo IV e dove fu iscritto all'Accademia dei Lincei
Il nuovo metodo scientifico e il sistema copernicano

Nel 1614 a Firenze il frate Tommaso Caccini accusò di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni
astronomiche ispirate alle teorie copernicane i matematici moderni, e in particolare contro Galileo, il quale
aveva aderita alle idee di Keplero riguardo il movimento dei pianeti e alla teoria eliocentrica. I teologi
puntualizzarono il loro dissenso contro Galileo, costui cerco di giustificarsi nelle cosiddette lettere
copernicane e nel saggiatore. In queste due opere Galileo riportò i ruoli degli enti chiesa e scienza, che
secondo lui dovevano rispettare: La prima ha carattere morale e salvifico e non deve curarsi dell’approccio
scientifico, la seconda invece ha il compito di osservare, definire e confutare attraverso il metodo
scientifico.

Le discussioni di carattere scientifico dovevano basarsi sulla creazione di un'ipotesi che nasceva dalla teoria
e che trovava conferma nell'osservazione diretta della realtà naturale.

L'osservazione andava effettuata raccogliendo dati che portavano a una lettura matematica dell'esperienza
stessa, si arrivava così a:

 Sensate esperienze, nate dall'osservazione sistematica e scientifica della realtà naturale mediata dalla
matematica e a partire da un'ipotesi teorica
 Certe dimostrazioni, le conferme ottenute dall'osservazione continua del mondo.

Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, opera di trattatistica scientifica, Galileo smentì il
sistema tolemaico-aristotelico a favore del sistema copernicano basato sulla teoria eliocentrica. Egli asserì
anche alcuni principi:

 Inerzia, secondo cui un corpo, se non disturbato, conserva indefinitamente il proprio moto
 Relatività del movimento, per cui non è possibile stabilire sulla base di esperienze e osservazioni
compiute stando all'interno di un sistema e senza punti di riferimento esterni, se il sistema sia fermo o
meno.

La condanna del Sant'Uffizio e gli ultimi anni

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ricevette molti elogi, ma non certamente da parte della
chiesa, la quale portò Galileo in Tribunale, dove Galileo non riuscì a spiegarsi agli occhi della chiesa, così per
evitare una condanna a morte abiurò le proprie convinzioni e la condanna venne tramutata in esilio. Egli ad
ogni modo uscendo dal Tribunale disse eppur si muove prendendosi gioco dell’intero processo infatti
pubblicò Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, l'opera galileiana più
importante, la quale riportava nuovamente le sue idee.

Cartesio
René Descartes, noto in italiano come Cartesio, nacque nel 1596 a La Haye, conseguì i suoi studi giuridici
presso i gesuiti. Egli si arruolò nell’esercito dei Paesi Bassi e mentre era ancora soldato, il 10 novembre
1619 fece tre sogni, durante i quali, secondo i suoi racconti, ebbe un’intuizione fondamentale per tutta la
costruzione del suo pensiero filosofico. Lasciata la carriera militare, Cartesio decise di dedicarsi
all’elaborazione di una nuova filosofia, per questo motivo, dopo aver a lungo viaggiato in Europa, si trasferì
nei Paesi Bassi, dove era diffusa una maggiore tolleranza nei confronti delle dottrine filosofiche e religiose
che si opponevano alla tradizione. Nel 1637, pubblicò tre saggi scientifici (La Diottrica, Le Meteore e La
Geometria) che erano preceduti dal Discorso sul metodo: questa introduzione diventò, probabilmente, la
più famosa delle sue opere. Egli iniziò a scrivere con la regina Cristina di Svezia, desiderosa di ricevere da lui
lezioni di filosofia, a questo proposito egli venne invitato a raggiungerla ma una volta raggiunta Stoccolma
morì di broncopolmonite.

Il metodo
Secondo Cartesio per elaborare questa nuova scienza filosofica era necessario un metodo, che si ispirasse a
quello matematico, poiché le verità filosofiche, le si possono dimostrare seguendo i passaggi di un teorema
matematico, poiché entrambi ricorrono alla ragione. Il metodo dev’essere dunque un criterio di
orientamento capace di guidare l’uomo avvantaggiandolo nel mondo.

Cogito ergo sum


Secondo Cartesio, il raggiungimento della conoscenza è possibile soltanto mediante un dubbio metodico,
tutte le conoscenze devono essere sottoposte a dubbio: non solo le conoscenze sensibili ma anche le
conoscenze matematiche, perché esse potrebbero essere state create da un genio maligno che si pone
l’obiettivo di ingannarci. Il dubbio così si estende ad ogni cosa e diventa universale, trasformandosi in un
dubbio iperbolico; remando contro i principali filosofi monisti ovvero Parmenide e Pitagora ma mostrando
la natura concentrica e consequenziale di Aristotele, che illustrerà ancor più approfonditamente con le
tipologie di idee e la categorizzazione della realtà. Cogito ergo sum, dubito quindi esisto, il dubbio conferma
l’esistenza, può dubitare solo chi esiste. Le cose pensate, immaginate etc possono non essere reali ma è
certamente reale il mio pensare, l’esistere equivale dunque all’essere un soggetto pensante. In Cartesio
dunque non si tratta come in Agostino di stabilire la verità ma di trovare il principio garante della
conoscenza nell’esistenza del soggetto pensante.

Le idee e Dio
Io sono un essere pensante che ha delle idee, sono sicuro che esistano nel mio spirito ma non sono certo
che esistano al di fuori di questo, a questo proposito Cartesio suddivide le idee in tre tipologie:

1. Le idee innate, ossia quelle che mi sembrano preesistenti.


2. Le idee Avventizie, estranee, delle cose naturali.
3. Le idee fattizie, quelle elaborate.

Per capire se una di queste corrisponda alla realtà è necessario chiedersi la causa di esse, la quale non può
essere Dio, poiché essa è un ente superiore, che può esser definita solo da un essere pensante.

A proposito di Dio, egli lo dimostra secondo tre prove:

1. L’idea divina, infinita, eterna, onnipotente non è stata generate dall’uomo, non è possibile secondo
Cartesio che l’uomo, essere imperfetto(poiché dubita di sé), sostanza finita sia la causa generante di
una sostanza infinita, la quale dovrà consequenzialmente, essere ammessa come esistente.
2. Dio ci ha creati, se l’uomo fosse la causa di se stesso si sarebbe dato le perfezioni che invece
concepiamo nell’idea di Dio.
3. Non è possibile concepire Dio come Essere perfetto senza ammettere la sua esistenza perché essa fa
parte delle perfezioni.

Dio inoltre funge da garante per ciò che appare evidente, il ponte tra la certezza interiore e la certezza
pura.
Le sostanze cartesiane (il dualismo)
Cartesio, a seguito della dimostrazione di Dio, spezza la realtà in due zone distinte

1. La sostanza pensante (res cogitans), inestesa, consapevole e libera.


2. La sostanza estesa (res extensa), inconsapevole e legata a principi deterministici.

L’uomo essendo formate da entrambe, trova punto d’unificazione nella ghiandola pineale.

La geometria
La Geometria è la parte più importante del Discorso sul Metodo ed è l’atto di nascita della geometria
analitica. Cartesio è consapevole dell’unità delle diverse scienze matematiche, e ritiene quindi possibile
unificare la geometria degli antichi con l’algebra dei moderni. L’operazione per Cartesio richiede
l’assunzione di un’unità di misura, che traduca il numero in distanza, e di una coppia di linee fondamentali,
gl’assi cartesiani, prese come riferimento. Gli elementi geometrici (linee, punti, curve) si possono così
identificare sugli assi tramite procedimenti algebrici.

La fisica
La fisica di Cartesio vuole ricondurre tutti i fenomeni del mondo all’estensione e al moto, entrambi originati
da Dio, che gli ha poi forniti alla res extensa: due principi di conservazione del moto e della materia
deducibili dall’immutabilità di Dio (se Dio è immutabile lo è anche ciò che Egli crea). Altri interventi di Dio
nel mondo non sono necessari, come disse Pascal, al Dio Cartesiano basta dare il primo calcio al mondo. Ci
sono delle difficoltà però che derivano dalla riduzione della fisica alla geometria. Non è facile concepire il
movimento in uno spazio perfettamente omogeneo e indifferenziato, quindi Cartesio conclude che esistano
frammenti di spazio che si muovono rispetto ad altri, ma non si capisce come si possa notare il moto se lo
spazio è uniforme. Per quanto concerne il vuoto egli non ne ammette l’esistenza, secondo lui l’etere, che è
ciò che noi chiamiamo vuoto, è in realtà formato da corpuscoli, frammenti minuscoli di estensione, privi di
coerenza perché soggetti ognuno a differenti condizioni inerziali. Consequenzialmente quando un corpo si
muove nella materia sottile (etere), essa si dovrà richiudere su se stessa. Ciò produce dei vortici, vortici che
avvolgono la terra, i pianeti e il sole.

La filosofia pratica
Nel Discorso sul metodo, Cartesio espresse anche i principi di quella che definì un’«etica provvisoria», che
avrebbe dovuto precedere quella definitiva. Egli propose, quindi, tre massime, che si rifacevano ai principi
dello stoicismo:

1. Bisogna obbedire alle leggi e ai costumi (anche religiosi) del paese in cui ci si trova;
2. Bisogna essere determinati nelle proprie azioni, una volta che si è scelta la risoluzione più probabile;
3. Bisogna cercare di vincere sé stessi più che la fortuna o il mondo.

Cartesio mise al centro della sua riflessioni le passioni, analizzandole come se fossero un fatto medico.
Secondo lui, le passioni sono percezioni o emozioni dell’anima che sono causate e mantenute dal
movimento degli spiriti, anche se turbano l’anima, nonne fanno parte. Per natura, le passioni sono tutte
buone, ma vanno addomesticate, attraverso la saggezza, l’estensione della ragione che consente all’uomo
di essere padrone della sua volontà. Cartesio era, quindi, un sostenitore del libero arbitrio.
Pascal
Biografia

Blaise Pascal nasce a Clermont Ferrand nel 1623, trasferitosi a Parigi, si attornia di illustri matematici e fisici.
La sua precoce genialità lo porta a scrivere, a soli sedici anni, il Saggio sulle sezioni coniche, a diciotto a
progettare e costruire un prototipo di macchina calcolatrice e a condurre, successivamente, numerosi
esperimenti volti a dimostrare l’esistenza del vuoto. I suoi successivi studi però non lo appagano e data la
sua condizione salutare cagionevole abbandona la speculazione scientifica, soprattutto dopo una notte,
durante la quale ricevette una sorta di illuminazione divina. A seguito di questa conversione Pascal aderisce
al movimento giansenista di Port-Royal, da questa sua adesione nascono le lettere provinciali in cui egli
critica i molinisti e soprattutto i gesuiti definendo quest’ultimi lassisti e dominati da eccessiva rilassatezza.
Inoltre egli supporta la dottrina agostiniana della grazia dicendo che le nostre azioni sono generate dal
libero arbitrio, tale fenomeno avviene mediante la grazia di Dio, che ne permette l’avvenimento.

Il senso della vita


Secondo Pascal gli unici interrogativi di cui l’uomo dovrebbe curarsi più di tutti sono di carattere
esistenziale. Egli su questo versante è convinto che l’unica risposta sia riconducibile alla fede e non alla
scienza e coloro che evitano tali domande fuggono da se stessi, stordendosi attraverso la molteplicità delle
occupazioni quotidiane e degli intrattenimenti sociali. Se l’uomo uscisse da questo stato morfinico
dovrebbe accettare lucidamente la sua impotenza, la perfidia, la tristezza, la disperazione, la cattiveria e la
noia senza ricorrere agli oppiacei della vita comune.

I limiti del pensiero scientifico


Pascal pur essendo uno scienziato mette in evidenza i punti d’ombra della scienza:

1. Il primo limite della scienza lo si accosta alle esperienze sensibili che non apportano una verità assoluta
ma circoscritta in determinati perimetri rispetto alla strumentazione e alla visione del fenomeno stesso.
2. Come secondo limite egli porta alla luce l’indimostrabilità degli organi principali della scienza, per
esempio lo spazio e il tempo, dopo un preciso numero di regressioni rispetto ad un concetto si giunge a
tali principi oltre ai quali non se ne discerne alcun’altra verità.
3. La scienza non è in grado, secondo Pascal, di speculare su problemi di carattere esistenziale, solo il
cuore è capace di captare i perché dell’esistenza umana.

Egli inoltre distingue due tipi di spiriti, due tipologie di enti comprensivi:

1. Spirito di geometria, sostanzialmente la ragione scientifica, la quale ha per oggetto la materia e gli
enti matematici astratti.
2. Spirito di finezza, il quale coglie le realtà profonde che si celano sotto le morali e la religione, taluno
si fonda sull’organo precedentemente accennato (il cuore).

Asserendo tutto ciò Pascal si ricollega in modo straordinario alla vita dei filosofi precedentemente studiati,
Pascal conduce inizialmente una vita esclusivamente devoto alla scienza proprio come fece Agostino, il
quale diede tutto per poter condurre studi giuridici e condurre la vita che desiderava ma poi proprio come
lui, viene illuminato dalla luce di Dio, Pascal da un sogno, Agostino dal Vescovo, entrambi con problemi in
famiglia, il primo senza la madre, il secondo con un padre molesto. Raschiando parte della filosofia
Pascaliana si nota immediatamente l’estrapolazione dell’idea dalla materia, prettamente platonica,
specialmente quando si parla di limiti della scienza, della geometria o quando si discorre degli oppiacei
dell’umanità.

I limiti della filosofia


Pienamente aristotelico, Pascal dice che la filosofia si pone i problemi di carattere esistenziale però non li
risolve. Egli per esempio porta all’attenzione le vicende naturalistiche, sottolineando l’incapacità da parte
dell’uomo di dimostrare l’esistenza di Dio attraverso la natura. Razionalmente parlando per Pascal
l’esistenza di un Creatore non è chiara e tra questo alone di incertezza e la sua chiarificazione c’è un caos e
semmai tale caos venisse dissipato giungeremmo alla conclusione di un Dio pienamente astratto, un Dio
inutile agli occhi dell’uomo ed è proprio qui che subentra la religione, secondo essa invece ci sarebbe un
Dio di amore e consolazione per gli uomini, il Dio che occorre a quest’ultimi.

Baruch Spinoza
Biografia

Spinoza nacque Amsterdam nel 1632 e fu educato nella comunità israelitica della città, sino a quando non
fu scomunicato. All’Aia condusse una vita modesta come artigiano di lenti per strumenti ottici. Morì a soli
44 anni senza aver raggiunto alcuna fama. Sul suo pensiero si rintracciano diverse influenze: il razionalismo
cartesiano, la tradizione giudaico-cristiana, la rivoluzione scientifica e la civiltà olandese del ‘600. Tra le
opere maggiori troviamo: l'Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico e il Trattato teologico-politico.

Le fonti e le caratteristiche a sommi capi del pensiero Spinoziano

La tesi centrale del pensiero spinoziano è la rappresentazione di Dio mediante una visione panteistica con
la natura, il suo pensiero è praticamente inscindibile in varie visoni antecedenti, le si possono rintracciare
certo per sommi capi ma verrebbero viste soltanto attraverso uno sguardo similitudinario come con Galileo,
data la sostanza intesa come ordine geometrico primario, a questo proposito in Spinoza è possibile
riconoscere l’ampliamento del pensiero dato dalla rivoluzione scientifica. Al contrario, per la prima volta si
localizza l’esplicito rigetto della concezione biblico-cristiana fino ad allora presupposta.

Il rigetto del materialismo e la filosofia come chiave

Spinoza con il trattato sull’emendazione dell’intelletto descrive il malcontento e le delusione che


pervengono dalla ricerca della felicità attraverso il materialismo e la vera ricerca di un bene autentico
attraverso l’ausilio della filosofia. Il filosofo però non puntava al demolire i beni materiali come quello della
libidine, perché si da un lato sono ingannevoli, ingabbiano la mente ma sono positivi sotto altri due unti di
vista:

 Ci permettono di scorgere il bene vero, dato che una volta sperimentate annebbiano e avviliscono
la mente.
 Essi, se non scambiati per il sommo bene, e visti come mezzi possono ritenersi in utile.

In conclusione, si giunge al sommo bene, solo con l’amore per la sostanza che egli individua,
panteisticamente, nel cosmo e il cui concepimento è possibile solo e soltanto mediante la filosofia, unendo
la mente alla natura.
L’ordine geometrico

Spinoza stila un testo: L’etica dimostrata secondo l’odine geometrico, nella quale egli scandisce attraverso
definizioni e delucidazioni varie le risoluzioni a vari problemi di carattere metafisico, gnoseologico, morale,
psicologico et cetera.

Il concetto dal quale discende tutto il sistema metafisico spinoziano risiede nella sostanza, il filosofo con la
sostanza allude alla natura ma non una natura intesa come fonte generatrice d’ogni cosa bensì come ordine
geometrico dell’universo, ovvero un ordine intrinseco che regole e struttura ogni cosa, l’ordinamento
complessivo dell’essere e la struttura geometrica del cosmo. Così facendo si staccherà completamente dai
filosofi precedenti tranne a tratti da giordano bruno per le tracce di panteismo, tranne per galileo ove
Spinoza traduce in termini metafisici il suo pensiero e per Agostino per quanto riguarda il materialismo, egli
perciò uscirà fuori dalla caverna della dottrina della creazione gustando la luce della matematica.

Le proprietà della sostanza

 Increata, in quanto per esistere non ha bisogno di altro essendo per natura causa di sé;
 Eterna, perché essa possiede l’esistenza;
 Infinita, poiché non dipende da null’altro;
 Unica, perché in natura non sono presenti sostanze con i medesimi attributi;

Se vengono prese come singole tali caratteristiche fuori dall’ordine geometrico, Spinoza non si
distaccherebbe poi tanto dal pensiero dei precedenti filosofi poiché parlerebbe di una sostanza
identificabile con Dio, ma se collegate all’idea che l’ordine è inteso come necessità dell’esistenza, Dio, è la
natura e perciò l’ordine stesso.

Per spiegarsi e semplificare il proprio pensiero agli occhi del lettore Spinoza utilizza i concetti di attributo,
modo e la distinzione tra natura naturante e natura naturata. Rispettivamente:

 Gli attributi sono le qualità essenziali e strutturali della sostanza ed essendo quest’ultima infinita, gli
attributi, consequenzialmente saranno infiniti. L’uomo ne discerne solo due: L’estensione e il pensiero
ovvero la materia e il pensiero. Ciò mette in evidenza l’implicita ignoranza dell’uomo rispetto al grande
sapere e il parallelismo psico-fisico; è proprio qui, che si distaccherà ulteriormente dai filosofi
precedenti, ragionando tramite causa e l’effetto, egli dirà che un emozione può manifestarsi come
effetto sul corpo (rossore, palpitazioni) ma anche psicologicamente (paura, piacere). Il parallelismo
sottintende una verità sottile, ovvero che l’ordine che amministra tale rapporto è la sostanza, con ciò
un monismo metafisico.
 I modi invece sono i modi di essere, cioè le manifestazioni particolari degli attributi e si identifica
nell’individualità del fenomeno.

Con la distinzione tra natura naturante e natura naturata, il filosofo non fa altro che ribadire
panteisticamente la distinzione precedentemente accennata:

 La Natura naturante è vista come causa e con ciò attributo


 La natura naturante è l’insieme dei modi, ovvero gli effetti, le manifestazioni
L’anti-finalismo

Secondo Spinoza, l’atteggiamento secondo il quale vengono ammesse delle cause finali è errato ed egli lo
dimostra su vari versanti:

 Egli afferma che si tratta di un pregiudizio dovuto ad una costante dell’intelletto umano, ossia un
abitudine che porta l’uomo a osservare le cose come mezzi da sfruttare un fine secondario e poiché
questi non si sono autoprodotti attribuiscono la causa di essi in Dio pensando che quest’ultimo abbia
fatto ciò per agevolare l’uomo verso un qualcosa che sia negativo come un tornado o positivo come una
ricompensa;
 Per Spinoza il finalismo è limitato ed implicitamente errato poiché si basa su rapporto causa-effetto
reversibile;
 Ragionando per assurdo, Spinoza dice che semmai venisse prodotto qualcosa da Dio sarebbe perfetto e
non avrebbe cause o effetti ulteriori, che ci porta all’ultimo punto;
 Le cause finali eliminano la perfezione di Dio, un dio che produce qualcosa per un fine che non possiede
tant’è che sarebbe imperfetto;

Confronto tra i filosofi moderni


Tra Cartesio e Spinoza vi è una stretta intesa sull’argomento geometrico, nel primo egli cerca di spiegare
attraverso le leggi geometriche-algebriche il mondo che lo circonda semplificandolo agli enti geometrici
primitivi mentre il secondo la stravolge nel senso positivo trattando l’uomo, il mondo, la sostanza stessa in
un certo senso proprio come vengono trattate le linee, i punti e il piano. Approccio che viene aspramente
criticato da Pascal, il quale ne ridefinisce i limiti e lo esclude come visione analitica costituente.

Pascal, però si rispecchia in Spinoza quando quest’ultimo, nel trattato sull’emendazione dell’intelletto
descriverà la ricerca del vero bene autentico attraverso l’ausilio della filosofia, sommo bene che si identifica
panteisticamente nel cosmo, in dio, nella sostanza e come si può raggiungere ciò? unendo la mente alla
natura. Allo stesso modo Pascal pensava che gli unici interrogativi di cui l’uomo dovrebbe preoccuparsi
sono di carattere esistenziale, la differenza è che Pascal risponde a queste con Dio, inteso come tale, forza
al di sopra di tutto e che governa il resto mentre Spinoza con la sua sostanza, intesa senza alcun omra di
dubbio attraverso la sua visione panteista.

Cartesio spiega i fenomeni che lo circondano attraverso la fisica e Dio come nel caso del proverbiale
“calcio”, a questo proposito, Pascal invece non li descrive facendo risalire il tutto alla sua certezza ovvero
Dio mentre al contrario Spinoza descrive i fenomeni che lo circondano mediante la descrizione della
sostanza ripartedola in gli attributi e modi facendo ricadere questi nei modi.

La certezza in Cartesio si trova nel cogito ovvero nel pensiero, mentre in Pascal in Dio screditando la
filosofia e la scienza, per quanto concerne Spinoza, l’argomento portante identificabile come certezza è la
sostanza.
Spinoza e Cartesio entrano in conflitto quando si parla del rapporto tra mente e corpo. In Cartesio avviene
la suddivisione della realtà in res cogitans e in res extensa, alchè egli per spiegare il problema uomo,
formato da entrambe, parla della ghiandola pineale ovvero della parte del cervello nella quale le due realtà
si intersecano. Spinoza, con il parallelismo psico-fisico costituisce un nuovo modo di rappresentare il
rapporto corpo psiche, egli dice che il corpo è l’aspetto esteriore della mente e che questa è l’aspetto
interiore del corpo, così un emozione può manifestarsi sia sintomaticamente sia spiritualmente.

Per quanto riguarda l’etica, si può confrontare la cosiddetta etica provvisoria di Cartesio con l’etica
insormontabile, indissolubile e unica di Spinoza. Nella prima si parla delle passioni come un fatto medico
riportandole come percezioni dell’anima, esse sono tutte buone ma possono soggiogare e rovinare l’uomo
se non padroneggiate attraverso l’ausilio della saggezza, diretta estensione della ragione. In Spinoza le
passioni vengono denominati effetti secondari i quali scaturiscono dagli effetti primari:

1) Lo sforzo di autoconservazione;
2) La letizia;
3) La tristezza;

Per Spinoza non c’è modo di essere realmente liberi dal determinismo, poiché tutti agiamo secondo il
proprio utile, sotto comportamenti passionali o sotto l’influenza di comportamenti razionali ed è qui che
Spinoza chiarisce il concetto dicendo che l’unica forma possibile di libertà è di porsi come soggetto attivo e
non puramente passivo della propria tendenza all’autoconversazione.

Un importante confronto lo si ha quando si accenna alla posizione dell’uomo circa la natura e Dio stesso.
Sguardo di sfida che si ha tra Pascal, Cartesio e Spinoza, è proprio questo che leva la centralinità dell’uomo,
ne leva la superbia rispetto al restante degli esseri, egli dice che è sottoposto alle medesime leggi, con ciò
egli non giudicherà più le sue azioni ma cercherà di comprenderle. Con un pensiero del genere Spinoza si
scaglia contro coloro che s’indentificano come moralisti, i quali perseguitano l’uomo per quello che è e
alludono a quello che dovrebbe essere. Negli altri filosofi è sempre stato visto come una figura dominante a
diretto confronto con la natura in quanto un mondo a parte, certamente al di sotto di Dio ma sempre a
stretto contatto come mondo al fianco della natura. Anche se si colgono analogie quando si aprla di
determinismo infallibile sia in Cartesio con la res extensa sia in Spinosa con la libertà.

Un altro parallelismo lo si coglie quando si parla di conoscenza, parallelismo che intercorre tra Pascal e
Spinoza, nel primo si coglie la suddivisione in spiriti (Spirito di geometria, sostanzialmente la ragione
scientifica, la quale ha per oggetto la materia e gli enti matematici astratti. Spirito di finezza, il quale coglie
le realtà profonde che si celano sotto le morali e la religione, taluno si fonda sull’organo precedentemente
accennato) mentre in Spinoza la conoscenza viene suddivisa in tre generi ( il primo genere corrisponde alla
conoscenza pre-scientifica del mondo, la quale si limita a percepire le realtà assegnandogli dei nomi, colui
che si limita a tale conoscenza, non capendo il mondo sarà pienamente schiavo delle passioni; il secondo
genere si identifica con la visione razionale del mondo che trova nella scienza la sua tipica espressione, la
quale, a sua volta permette di padroneggiare l’autoconservazione all’uomo; il terzo genere, è la conoscenza
che scaturisce dalla visione attraverso la vista di Dio, una conoscenza senza giudizio, senza etichette, senza
suddivisione, una visione che si pone al di fuori del tempo e che concepisce il mondo come struttura
unitaria).
Thomas hobbes
Hobbes ritiene che anche gli animali posseggano una sorta di ragione, la quale, a differenza dell’uomo, è
limitata dai versi che costituiscono i segni che permettono di avvertire la propria specia di una qualche
minaccia imminente. Nell’uomo tale limitazione non è presente, infatti nella nostra specie è possibile
programmare le imprese future im modo piuttosto dettagliato tramite quello che è il mezzo di
comunicazione e una convenzionale estensione della ragione, ovvero il linguaggio. Quest’ultimo fornisce
continue funzioni, le quali attraverso un idioma associano le peculiarità dell’oggetto in questione, senza che
queste debbano essere necessariamente elencate;

Il linguaggio affiancato indissolubilmente al ragionamento, comporta le varie operazioni tra concetti


proprio come in un equazione e poiché la scienza è fatta di dimostrazioni, il linguaggio scientifico punta al
dimostrare le connessioni tra i concetti presenti nella fantomatica equazione in questione.

Hobbes inoltre pone un limite alla scienza mediante la divisione di cose artificiali, ovvero prodotte
dall’uomo, e le cose naturali, ovvero quelle prodotte da Dio. Il primo caso è l’oggetto della conoscenza
scientifica poiché in quel caso la speculazione scientifica, suddividendosi in scienze matematiche e scienze
morali, può indagare mediante il ragionamento causa-effetto. Nel secondo caso, la scienza non può
indagare su queste poiché agli uomini non è concesso conoscerne le cause.

Il materialismo
Hobbes afferma che la parola incorporeo è priva di alcun significato per l’uomo, in quanto solo il corpo
esiste dato che è in grado di agire, subire un’azione ed apparire possibile razionalmente. Inoltre Il corpo è
l’unica realtà, cioè l’unica sostanza che esista realmente in se stessa e il movimento è l’unico principio di
spiegazione di tutti i fenomeni naturali. Dato l’assoluta corporeità, l’anima e Dio vengono visti anch’essi
come corpi:

 L’anima è materiale, dato che i suoi atti come le idee o i sentimenti sono movimenti dei corpi esterni;
 A Dio viene associata l’incorporeità poiché lo si vuole contraddistinguere dalla grossolanità;

Materialismo etico
Hobbes, applicando una sorta di relativismo, dichiara che concetti come bene e male, vero o falso sono
dipendono dal contesto socio-politico. In generale bene e male vengono definiti in base ai bisogni umani:

Il bene corrisponde a ciò che si desidera mentre il male è ciò che si odia.

I processi che formano e categorizzano i pensieri sono principalmente due:

 La deliberazione, durante la quale vengono analizzzati i pro e i contro di una possibile azione;
 La volontà, quessto atto pospone i futuri dubbi mettendo in atto la decisione presa alla fine della
deliberazione;

Tali processi conducono all’inevitabile conclusione: L’uomo non godrà mai dello stato di quiete.

Nell’incessante condizione umana non c’è posto per la libertà, nello specifico per la libertà del volere, in
quanto la causa della volontà e la consequenziale azione, non è la volontà stessa ma qualcosa di diversi,
collegati ai fattori esterni.

La politica
Hobbes concepisce la politica in analogia con la geometria, riconducendola al riflesso dato dalle necessità
che agiscono sulle volontà umane.

I postulati sulle volontà umane, definiti certissimi sono due:

1. La bramosia naturale per la quale ognuno pretende di godere di ogni bene esclusivamente per sé;
2. La ragione naturale, per la quale ognuno teme ed evita la morte violenta e la morte in generale;

Il primo postulato afferma che gli uomini, per natura istintiva, tendono ad un egoismo naturale, negando
l’esistenza di un amore per i propri simili. La benevolezza, consequenzialmente è insignificante e degenera
nella soppressione del proprio odio per ottenere ciò che si vuole e per non decadere in uno stato di guerra
continuo in base al diritto di tutti su tutto.

Ma la ragione, che ruola interpreta nella tragedia della natura dell’uomo?

La ragione, in primo luogo, è uno dei mezzi per cui si giusstifica l’istinto egoista, poiché agli occhi dell’uomo
è ovvio provvedere alla propria autoconservazione.

In secondo luogo, è la ragione naturale che suggerisce all’uomo le leggi del vivere civile proibendo a ciascun
individuo di fare ciò che provoca la distruzione della vita e di omettere ciò che serve a conservarla meglio.

La naturalità del diritto coincide con la razionalità di quest’ultimo, le norme dirette che sintetizzano tale
naturalità sono tre:

1. Cerca e consegui la pace quando la si intravede speranzosamente mentre persegui la guerra quando la
pace non è che un concetto;
2. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te;
3. Bisogna rispettare i patti che portano la pace;

L’assolutismo
L’atto fondamentale su cui si basa la concezione di stato per Hobbes è la seconda norma della naturalità, la
quale viene tradotta nell’affidamento della propria volonta nella volontà comune, formando lo Stato, e
infine in quella di una sola persona ovvero il monarca o Leviatano che possiede potere assoluto sui suoi
sudditi.

Tale trasferimento di volere è innanzitutto irreversibile, quindi la relativa organizzazione è irreversibile;

Il poetre del sovrano non può essere diviso in vari poteri e consequenzialmente affidati a vari organi civili
poiché non garantirebbero l’assoluta distinzione dei cosstrutti precedentemente accenati;
La medesima cosa la si ritroverebbe nell’affidamento del poetere giudiziario al popolo;

Ogni gesto ordinato dallo stato va compiuto, seppur peccaminoso o errato;

Il sovrano non può essere ucciso e sostituito;

Lo stato può trascendere dalle proprie leggi poiché non può costituire un impegno con se stesso ma solo
con il popolo;

Inoltre sono presenti anche dei limiti relativi ai delitti, ai suicidi, alle difese, ove lo stato non può ordinare ad
un uomo di suicidarsi, uccidere, autoaccusarsi o di una qualsivoglia autoprivazione.

John Locke
Nato nel Somerset, Inghilterra, il 29 agosto 1632, John Locke compì i suoi studi ad Oxford, senza
giungere realmente all’ottenimento della laurea in medicina.

Grazie al suo rapporto con quest’ultima materia strinse amicizia con Lord Ashley, futuro Conte di
Shaftesbury. Quest’ultimo causò svariati problemi al filosofo poiché a causa della sua caduta in
disgrazia fu costretto a fuggire in Olanda, dove visse in uno stato di clandestinità e sotto falsa
identità. Il suo stato sociale ne comportò la partecipazione alla gloriosa rivoluzione, dalla quale
nacque "Due trattati sul governo”.

Le sue sventure a causa del conte ebbero nuovamente luogo con il suo ritorno a Londra. A causa
dell’accusa di alto tradimento formulata nei confronti del conto, Locke tornò in Olanda. Qui prese
parte attiva ai preparativi della spedizione di Guglielmo d'Orange, e fu proprio grazie alla
principessa Maria, che John Locke potè far ritorno in Inghilterra, dove riguadagnò grande credito
come intelletuale e filosofo.

A seguito del suo ritorno, ebbe inizio il periodo più intenso della sua attività letteraria. Ove scrisse
Epistola sulla tolleranza, il Saggio sull'intelletto umano, Condotta dell'intelletto e l'Esame di
Malebranche, Pensieri sull'educazione ed infine la Ragionevolezza del cristianesimo. Locke morì il
28 ottobre 1704 presso il castello castello di Oates, circondato da amorose cure da Lady Masham.

Idee ed esperienza
Locke, accordandosi ai precetti empiristi, nello specifico ad Hobbes, crede che la ragione non
possegga la magnificenza che le viene affiancata, essa è limitata dall’esperienza che a sua volta è
limitata dalle condizioni, secondo le quali i dati vengono raccolti.

Tale idea è la base fondante sopra la quale si posano le sue maggiori opere, come il Trattato
sull’intelletto. Secondo Locke le idee sono il frutto della passività intellettiva nei confronti della
realtà, a questo proposito egli suddivide le idee secondo la realtà e mediante gli sviluppi che ne
detraggono:

 In base alla natura della realtà distingue:


1. Le idee di sensazione, se derivano dal senso esterno, relative al mondo esterno,
all’esteriorità.
2. Le idee di riflessione, se derivano dal senso interno, dall’interiorità intesa come
spiritualità.
 In base allo sviluppo dell’esperienza si distinguno:
1. Le idee semplici, le quali sono le informazioni che recepiamo direttamente dall’esperienza.
2. Le idee complesse, le quali rappresentano lo sviluppo, il paragone, l’analisi,
l’immaginazione sulla base delle idee semplici

Locke inoltre distingue due tipologie di qualità: le oggettive e le soggettive, denominandole


rispettivamente primarie e secondarie.

Idee complesse
Le idee complesse vengono categorizzate in:

1. Modi, ovvero le manifestazini della sostanza;


2. Sostanze, idee complesse che esistono senza alcun ausilio;
3. Relazioni, idee che scaturiscono dal confronto e dal rapporto tra più idee;

In relazione all’ultimo tipo di idea complessa, egli accenna anche alla formazione delle idee
generali. Tali idee costituiscono non indicano una vera epropria realtà bensì segni di un gruppo di
cose particolari accomunate da una certa assomiglianza.

Locke per ottenere tale categorizazione, accenna alla sostanza ma senza distanziarsi troppo
dall’empirismo (che ne negava l’esistenza) poiché egli afferma che la nostra mente è portata ad
avvertire la sostanza come un idea semplice anziché di più idee semplici esistenti senza alcun
ausilio. Tale sostrato è arbitrario e supera l’esperienza sia corporea che spirituale.

Locke affronta il problema dell’identità, egli, in sostanza, scorge questa identità nella coscienza che
accompagna il susseguirsi di stati o pensieri. In altre parole l’uomo non solo percepisce la realtà
ma percepisce anche il suo stesso percepirsi e questo elemento porta alla formazione dell’identità.

La conoscenza
La conoscenza, secondo Locke, rappresenta la percezione dell’accordo o del disaccordo delle idee.

Egli distingue tre tipologie di conoscenza:

1. La conoscenza intuitiva, ove il rapporto tra le idee è visto immediatamente, essa costituisce il
fondamento della certezza;
2. La conoscenza dimostrativa, ove il rapporto tra le idee è reso visibile tramite l’ausilio di una
serie di dimostrazioni che a loro volto non sono altro che concatenazioni di evidenze;
3. La conoscenza probabile, posta dal momento in cui le idee non possono formarsi a causa della
mancanza delle percezioni. Taluna afferma la verità o la falsità di una proposizione in base alle
testimonianze e quindi per analogie.

La conoscenza, secondo Locke, è veritiera solo se c’è una conformità tra realtà e pensiero.
Il metodo secondo il quale è possibile raggiungere tale verifica è basato innanzitutto sulla divisione
della realtà in tre tipologie ed altrettante passaggi dimostrativi:

1. L’io, ovvero la conoscenza di noi stessi. Esso viene dimostrato mediante il il cogito cartesiano;
2. Dio, questo viene dimostrato mediante una sorta di rielaborazione della prova causale: Se
qualcosa c’è vuol dire che è stata prodotta da un’altra cosa e non potento regredire all’infinto
l’uomo è indotto ad ipotizzare la presenza di un essere eterno, potente, onnisciente e
intelligente responsabie dell’esistenza;
3. Le cose reali, l’esistenza di queste è testimoniata dalle sensazioni;

La ragione quindi si basa sulla conoscenza certa e probabile, inoltre della ragione si distingue la
fede che è fondata sulla rivelazione, la quale non ostacola la ragione bensì la affianca
conducendola ove non potrebbe giungere da sola.

La politica
Da opere come i due trattati oppure la ragionevolezza del cristianesimo, vengono mostrati
elementi liberalisti che fanno di Locke uno dei primi difensori sia della libertà cittadina sia di culto,
ideali che egli argomenta e dimostra a seguito di svariate oscillazioni e contrasti.

Secondo Locke esiste una legge naturale che descrive e determina i rapporti tra gli uomini. Essa è
valida per tutti gli uomini ed è esclusivamente presente anteriormente alle altre leggi ma le
affianca, subendo dei cambiamenti, se esse sono presenti.

Secondo la legge naturale, la libertà dell’uomo risiede nel non sottostare ad alcuna volontà ma
semplicemente di rispettare le norme naturali. Ad ogni modo il diritto naturale implica il punire
colui che trasgredisce alla norma mediante l’ausilio di una proporzionata punizione.

Tale implicazione se applicata da molti individui e perlopiù sproporzionatamente ridurrebbe


l’intera visione ad uno stato di guerra. A questo proposito viene introdotta la costituzione di un
qualsivoglia potere civile, il quale garantisce l’appagamento dei propri diritti. In una società del
genere il consenso dei cittadini da cui si origina il potere civile stesso fa di quest’ultimo un potere
scelto dagli stessi cittadini e quindi allo stesso tempo un atto e una garanzia di libertà dei cittadini
medesimi. Inoltre da come si potrebbe dedurre, la legge naturale di Locke esclude che il contratto
o la legge naturale dia alla luce un potere assoluto o illuminato.

Il culto
Locke, nell’opera Lettera pone a confronto lo stato e la chiesa analizzandole secondo fattori come la forza,
la coscrizione, la salvezza e la tolleranza.

Lo stato, dovendo salvaguardare i beni civili, quindi principalmente la libertà, l’integrità se non la vita stessa
non può permettersi di salvare anche le anime. La cosiddetta forza dello stato è nient’altro che la
coscrizione, incapace in ogni caso di condurre le masse alla salvezza. Questa è assicurata dalla fede, fede
che compie l’esatto opposto della forza ed è proprio per questo che la la forza esercitata dalla Chiesa è
inutile se non dannosa a promuovere la salvezza. Inoltre la chiesa e lo stato non dovrebbero calpestarsi a
vicenda come accadde in passato con le scomuniche o con i casi di guerre religiose a carico dei regni.
Inoltre, per quanto concerne il cristianesimo, egli ne difende il culto, estrapolandone l’essenza, la quale
verrebbe accettata e non criticata dalla ragione, conducendola al suo massimo splendore.

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