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NEIL

GAIMAN
COME SI FA
UN LETTORE
PERCHÉ IL NOSTRO FUTURO DIPENDE DALLE
BIBLIOTECHE, DAI LIBRI E DAI SOGNI AD
OCCHI APERTI 1

1 Una versione di questo testo è stata pronunciata da Neil Gaiman al Barbican Theatre di Londra, in una
conferenza per la britannica “Reading Agency”, pubblicata sul quotidiano inglese “The Guardian” con il
titolo Why our future depends on libraries, reading and daydreaming . I cicli di conferenze annuali della
Reading Agency sono stati avviati nel 2012 come piattaforma per permettere a scrittori e pensatori di spicco
di condividere idee originali e innovative sulla lettura e sulla funzione delle biblioteche.
i Corsivi
Gli e-book del Corriere della Sera
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Editor: Fabrizia Spina
Coordinamento editoriale: Carlo Alberto Brioschi
Progetto grafico e impaginazione: the Worldof DOT
COME SI FA UN LETTORE

Quando è possibile che tu non sia imparziale, è importante dire da che parte stai,
e questo farò: una dichiarazione d’intenti. Io parlerò della lettura. La mia
posizione è che le biblioteche sono importanti e che leggere opere di narrativa,
leggere per il gusto di farlo è una delle cose più fondamentali che si possano
fare. Il mio sarà un appello appassionato perché la gente capisca cosa sono le
biblioteche e chi sono i bibliotecari, e perché bisogna preservare entrambi.
Non sono affatto imparziale, è ovvio: sono un autore, perlopiù un autore di
narrativa. Scrivo per i bambini e per gli adulti. Da trent’anni o giù di lì mi
guadagno da vivere con le parole, inventando cose e poi scrivendole. È nel mio
interesse, si capisce, che la gente legga, che legga narrativa, che biblioteche e
bibliotecari esistano e aiutino a mantenere vivo l’amore per la lettura e i luoghi
in cui si legge.
Quindi sono uno scrittore non imparziale.
Ma sono molto meno imparziale come lettore. E ancora meno imparziale come
cittadino.
La britannica Reading Agency è un ente di beneficenza la cui missione è
promuovere le pari opportunità per tutti, aiutando le persone a diventare lettori
sicuri di sé e pieni di entusiasmo. A questo scopo, sostiene programmi di
alfabetizzazione, biblioteche e singoli individui, e incoraggia in maniera aperta e
gioiosa l’atto di leggere. Perché tutto cambia quando leggiamo.
Ed è di quel cambiamento, di quell’atto di leggere, che voglio parlare qui. Di ciò
che fa la lettura. A che cosa serve.
Mi trovavo a New York a discutere sulla costruzione di prigioni private,
un’industria in grande espansione in America. L’industria carceraria deve
pianificare il proprio futuro sviluppo: di quante celle ci sarà bisogno? Quanti
prigionieri ci saranno di qui a quindici anni? E hanno scoperto che potevano
prevederlo molto facilmente, usando un algoritmo semplice, basato su una
domanda: quale percentuale di bambini di dieci e undici anni non sapeva
leggere, e men che meno sapeva leggere per il gusto di farlo. Non è un rapporto
uno a uno: non si può affermare che una società alfabetizzata non abbia
criminalità. Ma ci sono correlazioni molto reali.
Ritengo che alcune di quelle correlazioni, le più semplici, derivino da un dato
molto ovvio. Chi è alfabetizzato legge opere di narrativa. E la narrativa ha un
duplice uso. Prima di tutto, è un droga di passaggio verso la lettura. L’impulso di
scoprire “cosa sta per succedere”, il volere leggere una pagina dopo l’altra, la
necessità impellente di continuare a farlo, anche se è difficile, perché qualcuno è
nei guai e devi sapere come andrà a finire…
… è un impulso molto reale. E ti spinge a imparare parole nuove, a pensare
pensieri nuovi, ad andare sempre avanti. A scoprire che il leggere in sé dà
piacere. Una volta che lo impari, sei sulla strada per leggere tutto. E leggere è la
chiave. Si diffuse per poco tempo, alcuni anni fa, l’idea che vivessimo in un
mondo post-alfabetizzato, in cui la capacità di decodificare un messaggio scritto
era in qualche modo superflua, ma quei giorni sono passati: le parole sono più
importanti di quanto siano mai state: navighiamo il mondo con le parole e,
mentre il mondo scivola sul web, dobbiamo seguire, comunicare e comprendere
quello che leggiamo. Chi non può comprendersi a vicenda non può scambiarsi
idee, non riesce a comunicare e i programmi di traduzione arrivano solo fino a
un certo punto.
Il modo più semplice per essere sicuri di crescere bambini alfabetizzati è
insegnare loro a leggere e dimostrare loro che la lettura è un’attività piacevole. E
questo significa, nell’accezione più semplice, trovare libri che a loro piacciano e
lasciare che li leggano.
Non penso esistano libri per bambini che siano davvero dannosi. Ogni tanto
diventa di moda tra alcuni adulti selezionare un sottogenere di libri per
l’infanzia, forse un genere, addirittura, o un autore e definirli libri dannosi, libri
che si dovrebbe impedire ai bambini di leggere. L’ho visto succedere più volte:
Enid Blyton è stata stigmatizzata come autrice dannosa, come pure R.L. Stine e,
come loro, dozzine di altri. I fumetti sono stati accusati di favorire
l’analfabetismo.
Sono sciocchezze. È snobismo unito a una buona dose di stupidità.
Non ci sono autori per bambini che i bambini amino e cerchino e che possano
definirsi dannosi, perché ogni bambino è diverso. Ciascuno di loro è in grado di
trovare le storie di cui ha bisogno e rapportarsi a esse. Un’idea approssimativa e
scontata non è approssimativa e scontata per un bambino che la incontra per la
prima volta. Non impedite ai bambini di leggere perché pensate che non leggano
la cosa giusta. La narrativa che a voi non piace è la droga di passaggio verso altri
libri che possono piacervi molto di più. E comunque non tutti condividono i
vostri gusti.
Gli adulti benintenzionati riescono a distruggere con facilità l’amore che un
bambino ha per la lettura: impedite loro di leggere quello che preferiscono o date
loro libri utili-ma-noiosi che preferite voi, l’equivalente per il ventunesimo
secolo della letteratura vittoriana “educativa”. Andrà a finire che vi ritroverete
con una generazione convinta che la lettura sia roba da saccenti e, il che è
peggio, barbosa.
Quello che ci serve è che i nostri bambini comincino a salire la scala della
lettura: qualsiasi cosa piaccia loro leggere li porterà su, un piolo dopo l’altro,
verso l’alfabetizzazione.
(Un’altra cosa, non fate quello che ho fatto io, che pure sono un autore, quando
mia figlia, undicenne, si era appassionata a R.L. Stine. Andai a comprarle una
copia di Carrie di Stephen King, dicendo: se ti piacciono quelli, andrai pazza per
questo! Holly non ha letto altro che storie molto rassicuranti di pionieri nelle
praterie per il resto della sua adolescenza e mi lancia ancora occhiatacce quando
si menziona Stephen King.)
L’altra cosa che fa la narrativa è creare empatia. Quando guardate la televisione
o seguite un film, osservate cose che succedono ad altri. La narrativa è qualcosa
che costruite partendo da ventisei lettere e una manciata di segni di
interpunzione e voi, solo voi, usando l’immaginazione, create un mondo e lo
riempite di persone e guardate attraverso altri occhi. Provate sensazioni, visitate
luoghi che altrimenti non avreste mai conosciuto. Imparate che anche tutti gli
altri, là fuori, sono un io. In quel momento siete qualcun altro, e quando ritornate
nel vostro mondo, scoprirete che siete un po’ cambiati.
L’empatia è uno strumento per costruire gruppi di persone, per permetterci di
funzionare in modo diverso, non solo come individui ossessionati dall’io.
Mentre leggete, scoprite anche un’altra cosa di fondamentale importanza per
farsi strada nella vita. Ed è questa: IL MONDO NON DEVE ESSERE
NECESSARIAMENTE COM’È, LE COSE POSSONO ESSERE DIVERSE.
Ero in Cina, nel 2007, alla Convention di Fantasy e Fantascienza, la prima nella
storia cinese approvata dal partito. E, a un certo punto, ho preso da parte un
altissimo rappresentante del partito e gli ho chiesto: perché? La Fantascienza era
stata sottoposta a censura per molto tempo. Che cosa era cambiato?
È semplice, mi ha risposto. I cinesi erano bravissimi a fare, a produrre oggetti, se
ricevevano i progetti da altri. Ma non innovavano e non inventavano. Non
avevano immaginazione. Così hanno mandato una delegazione negli Stati Uniti,
da Apple, Microsoft, Google e hanno chiesto alle persone che ci lavoravano e
che inventavano il futuro di parlare di sé. E hanno scoperto che tutti loro
avevano letto fantascienza da adolescenti.
La narrativa può farvi vedere un mondo diverso. Può portarvi dove non siete mai
stati. Una volta che avete visitato altri mondi, come chi ha mangiato la frutta
incantata dei folletti, non riuscirete più ad accontentarvi di quello in cui siete
cresciuti. E una simile insoddisfazione è positiva: le persone possono modificare
e migliorare i loro mondi, lasciarli migliori, lasciarli diversi.
E mentre siamo in argomento, vorrei spendere alcune parole sull’evasione. Sento
usare questo termine con connotazioni nettamente negative. Come se la
letteratura “d’evasione” fosse un narcotico da pochi soldi usato da chi non sa
pensare con chiarezza o dagli stolti e dagli illusi, e la sola letteratura degna di
questo nome, per adulti e bambini, dovesse essere mimetica, in grado di
rispecchiare i peggiori aspetti del mondo in cui il lettore si trova a vivere.
Se foste intrappolati in una situazione impossibile, in un posto sgradevole, con
gente che vi vuol male e qualcuno vi offrisse un’evasione temporanea, perché
non dovreste approfittarne? E la letteratura d’evasione è questo: narrativa che
apre una porta, fa vedere il sole fuori, vi dà un posto dove andare in cui potete
controllare la situazione, essere con persone con le quali volete stare (e i libri
sono luoghi reali, questo è vero senza possibilità d’errore). Inoltre, cosa ancora
più importante, nel corso della vostra evasione, i libri possono anche aiutarvi a
capire meglio il mondo e le difficoltà in cui vi trovate, darvi armi, fornirvi
strumenti: cose vere, che potete riportare con voi nella vostra prigione e usare
per evadere sul serio.
Come ci ha ricordato J.R.R. Tolkien, i soli che si scagliano contro l’evasione
sono i carcerieri.
Un altro modo per distruggere in un bambino l’amore per la lettura è essere ben
sicuri che non ci siano in giro libri di nessun tipo. E non dargli un posto dove
leggere.
Io ho avuto molta fortuna. Da bambino, avevo un’eccellente biblioteca vicino a
casa. Avevo il tipo di genitori che, durante le mie vacanze estive, si lasciavano
persuadere a darmi un passaggio fino alla biblioteca mentre andavano al lavoro e
ho incontrato il genere di bibliotecari a cui non dava fastidio che un ragazzino
senza accompagnatori tornasse nella biblioteca per bambini ogni mattina e
compulsasse meticolosamente le schede del catalogo, alla ricerca di libri in cui ci
fossero fantasmi o magia o razzi spaziali, vampiri o investigatori o streghe o
cose mirabolanti. E quando ebbi esaurito la biblioteca per bambini, cominciai i
libri per adulti.
Erano bravissimi bibliotecari. A loro piacevano i libri e volevano che fossero
letti. Mi hanno insegnato come ordinare libri dalle altre biblioteche con prestiti
interbiblioteca. Non avevano atteggiamenti snobistici verso alcunché io leggessi.
Sembravano solo contenti di avere attorno questo ragazzino tutt’occhi che
adorava leggere e mi parlavano dei libri che leggevo, mi trovavano altri libri
nella stessa collana, mi aiutavano. Mi trattavano come qualsiasi altro lettore – né
più né meno – cioè mi trattavano con rispetto. Non ero abituato ad essere trattato
con rispetto, visto che avevo otto anni. Ma le biblioteche significano libertà.
Libertà di leggere, libertà di idee, libertà di comunicazione. Significano
istruzione (che non è un processo che finisce il giorno in cui concludiamo la
scuola o l’università), divertimento, spazi sicuri e accesso alle informazioni.
Mi preoccupa che qui, nel XXI secolo, la gente non capisca bene che cosa sono
le biblioteche e quale sia il loro scopo. Se percepite la biblioteca come uno
scaffale di libri, può sembrare antiquata o superata in un mondo in cui la
maggior parte dei libri stampati, anche se non tutti, esistono in forma
digitalizzata. Ma vedendo le cose in questo modo si commette un errore
fondamentale.
Penso che tutto dipenda dalla natura stessa dell’informazione.
Le informazioni hanno valore e le informazioni giuste hanno un valore enorme.
Lungo tutta la storia dell’uomo le informazioni sono state una risorsa scarsa,
avere quelle necessarie è sempre stato importante e ha avuto sempre un valore:
quando seminare o raccogliere i frutti della terra, dove trovare oggetti. Ma anche
carte geografiche e storie o racconti potevano servire per procurarsi un pasto e
per stare in compagnia. Le informazioni erano beni di valore e chi le aveva o
sapeva come procurarsele poteva farsi pagare per il servizio.
Negli ultimi anni siamo passati da un’economia di scarse informazioni a una
costruita su una valanga di dati. Secondo Eric Schmidt di Google, ogni due
giorni la specie umana genera tante informazioni quante ne abbiamo
immagazzinate dagli albori della civiltà al 2003. Si tratta di circa cinque exabyte
di dati al giorno, per chi di voi voglia tenere il conto. La sfida non è trovare
quella pianta rara che cresce nel deserto, ma trovare una pianta in particolare che
cresce nella giungla. Abbiamo bisogno d’aiuto per navigare fra le informazioni
alla ricerca di ciò che effettivamente ci serve.
Le biblioteche sono luoghi in cui vanno le persone a cercare informazioni. I libri
sono solo la punta dell’iceberg: se ne stanno lì e le biblioteche possono fornirvi
libri in maniera gratuita e legale. I bambini prendono a prestito libri dalle
biblioteche ora più che mai, e di ogni genere: cartacei, e-book, audiolibri. Ma le
biblioteche, ad esempio, sono anche un posto in cui chi per caso non possieda un
computer, o una connessione internet, può entrare in Rete a costo zero: questo è
di enorme importanza dato che in Rete si trovano ormai molte risorse
fondamentali per trovare opportunità di lavoro, candidarsi per un posto inviando
il proprio cv o per esempio richiedere sussidi pubblici. I bibliotecari possono
aiutare chiunque ne abbia bisogno a navigare in quel mondo.
Non credo che tutti i libri siano destinati a finire su uno schermo: come mi ha
fatto notare una volta Douglas Adams, vent’anni prima dell’arrivo del Kindle, un
libro di carta è come uno squalo. Gli squali sono antichi: c’erano squali negli
oceani prima dei dinosauri. E il motivo per cui si trovano ancora degli squali in
giro è che loro sanno fare gli squali meglio di chiunque altro. I libri di carta sono
tosti, difficili da distruggere, abbastanza resistenti all’acqua, vanno energia
solare, è piacevole tenerli in mano: sono bravi a fare i libri. Ci sarà sempre posto
per loro e sono al loro posto in biblioteca, anche se come abbiamo detto nelle
biblioteche ormai si cercano molte altre cose come e-book, audiolibri, DVD e
contenuti della Rete.
La biblioteca è un luogo in cui vengono conservate le informazioni, e che dà a
ogni cittadino pari possibilità di accedervi. Ciò include le informazioni sulla
salute. E sulla salute mentale. È uno spazio comunitario. È un luogo sicuro, un
rifugio dal mondo. È un luogo in cui si trovano bibliotecari. Ma dovremmo
cominciare a immaginare come saranno le biblioteche del futuro.
L’alfabetizzazione è più importante di quanto sia mai stata in questo mondo di
sms ed e-mail, un mondo di informazioni scritte. Ci serve leggere e scrivere, ci
servono cittadini globali che sappiamo leggere senza difficoltà, comprendere ciò
che leggono, intuire le sfumature e farsi capire.
Le biblioteche sono davvero porte aperte sul futuro. È quindi una vera sfortuna
che, in tutto il mondo, capiti di vedere amministrazioni locali che considerano la
chiusura di una biblioteca come un modo facile per risparmiare danaro, senza
rendersi conto che stanno letteralmente derubando il futuro per finanziare il
presente. Stanno chiudendo proprio le porte che dovrebbero restare aperte.
Secondo uno studio recente dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e
lo Sviluppo Economico), l’Inghilterra è “il solo Paese in cui la fascia d’età più
anziana ha una migliore capacità sia nell’alfabetizzazione che nella conoscenza
numerica rispetto a quella più giovane, a parità di altri fattori come sesso,
provenienza socio-economica e tipo di occupazione”. O, per metterla in un altro
modo, i nostri figli e nipoti sono meno alfabetizzati e hanno minori conoscenze
numeriche di noi. Sono meno bravi a orientarsi nel mondo, a comprenderlo o
risolverne i problemi. Si può mentire loro o traviarli più facilmente, saranno
meno capaci di cambiare il contesto in cui si trovano, avranno minori possibilità
di trovare lavoro. E mentre i politici badano a far ricadere il biasimo per questi
risultati sul partito avversario, la verità è che dobbiamo insegnare ai nostri figli a
leggere e ad amare la lettura.
Abbiamo bisogno di biblioteche. Abbiamo bisogno di libri. Abbiamo bisogno di
cittadini che sappiano leggere.
Non mi interessa – e non credo importi – se questi libri siano su carta o digitali,
se leggi un rotolo di pergamena o scorri un testo su uno schermo. Ciò che
importa è il contenuto.
I libri sono il modo in cui comunichiamo con i morti. Il modo in cui impariamo
le lezioni di coloro che non sono più con noi, il modo in cui l’umanità si è
sviluppata, ha progredito, ha incrementato in maniera esponenziale la
conoscenza invece di farne qualcosa che deve essere imparato sempre daccapo.
Ci sono narrazioni che sono più antiche della maggior parte delle nazioni,
racconti che sono sopravvissuti alle culture e agli edifici in cui sono stati narrati
per la prima volta.
Credo che abbiamo delle responsabilità verso il futuro. Responsabilità e obblighi
verso i bambini, verso gli adulti che quei bambini diventeranno, verso il mondo
in cui si troveranno ad abitare. Tutti noi, come lettori, scrittori, cittadini, abbiamo
degli obblighi. Ho scelto di elencare qui alcuni di questi doveri.
Credo che abbiamo il dovere di leggere per il gusto di farlo, in privato e in
luoghi pubblici. Se leggiamo per il gusto di farlo, se altri ci vedono leggere, ne
consegue che impariamo ad usare la nostra immaginazione. Dimostriamo agli
altri che leggere è cosa buona.
Abbiamo il dovere di sostenere le biblioteche, di protestare contro la loro
chiusura. Non considerare le biblioteche nel loro giusto valore significa non
tenere in considerazione l’informazione o la cultura o il sapere. Mettere a tacere
le voci del passato è mettere a rischio il futuro.
Abbiamo il dovere di leggere ad alta voce ai nostri figli. Leggere cose che a loro
piacciano. Leggere loro storie di cui siamo già stanchi. Fare tutte le diverse voci
dei personaggi e non smettere di leggere per loro solo perché imparano a leggere
da soli. Usare le occasioni in cui si legge ad alta voce come opportunità per
creare legami profondi, momenti in cui non si controlla il cellulare, in cui le
distrazioni del mondo vengono messe da parte.
Abbiamo il dovere di usare il linguaggio. Di spingerci al limite: di scoprire cosa
significano le parole, come spiegarle, di comunicare chiaramente, di dire quello
che vogliamo dire. Non dobbiamo cercare di surgelare il linguaggio, o di fingere
che sia una cosa morta da trattare con deferenza, ma anzi usarlo come una cosa
viva, che scorre, che prende a prestito vocaboli, che permette a significati e
inflessioni di pronuncia di cambiare col passare del tempo. Noi scrittori – gli
scrittori per bambini, in particolare, ma in genere tutti gli scrittori – abbiamo un
dovere verso i nostri lettori: è quello di scrivere cose vere, di speciale importanza
quando creiamo racconti su persone che non esistono in luoghi che non sono mai
esistiti – capire che la verità non è quello che accade, ma ciò che questo ci
insegna su noi stessi.
La narrativa, dopo tutto, è la bugia che dice la verità. Abbiamo il dovere di non
tediare i nostri lettori, ma di far sì che sentano l’impulso di continuare a voltare
le pagine. Una delle cure ottimali per il lettore riluttante, infatti, è un racconto
che non possano fare a meno di leggere. E, mentre dobbiamo dire cose vere ai
nostri lettori e dar loro armi e fornire loro strumenti e trasmettere qualsiasi
elemento di saggezza abbiamo raccolto dal nostro breve soggiorno su questa
verde Terra, abbiamo anche il dovere di non pontificare, non tenere conferenze,
non voler ingozzare i nostri lettori di fervorini e messaggi predigeriti come
uccelli adulti che imbeccano i loro piccoli con vermi premasticati; e abbiamo il
dovere di non scrivere, mai e in nessun caso, niente da far leggere ai bambini che
non vorremmo leggere noi.
Abbiamo il dovere di capire e riconoscere che, come scrittori per l’infanzia,
svolgiamo un compito importante, perché se combiniamo un pasticcio e
scriviamo libri noiosi che allontanano i bambini dalla lettura e dai libri, abbiamo
impoverito il nostro stesso futuro e sminuito il loro.
Noi tutti – adulti e bambini, scrittori e lettori – abbiamo il dovere di sognare ad
occhi aperti. Abbiamo il dovere di usare l’immaginazione. È facile far finta che
nessuno possa cambiare niente, che siamo in un mondo in cui la società è
enorme e l’individuo è meno di nulla: un atomo in un muro, un grano di riso in
una risaia. Ma la verità è che gli individui cambiano il loro mondo più e più
volte, gli individui costruiscono il futuro e lo fanno immaginando che le cose
possano essere diverse.
Guardatevi attorno: dico sul serio. Prendetevi un attimo di pausa e guardatevi
attorno nella stanza in cui siete. Vi farò vedere qualcosa di così ovvio che tende
ad essere dimenticato. È questo: che qualsiasi cosa possiate vedere, muri inclusi,
è stato, in un preciso momento, immaginato. Qualcuno ha deciso che sarebbe
stato più comodo sedersi su una sedia che sul pavimento e l’ha immaginata.
Qualcuno ha dovuto immaginare un modo in cui parlare senza venire inzuppati
dalla pioggia. La stanza e ciò che contiene e tutte le altre cose nell’edificio e la
città intorno esistono perché più e più volte determinate persone hanno
immaginato determinate cose. Hanno sognato ad occhi aperti, hanno riflettuto,
hanno fatto cose che non funzionavano bene, hanno descritto cose che non
esistevano ancora a persone che le dileggiavano.
E poi, col tempo, ci sono riusciti. Movimenti politici, cambiamenti personali,
tutto è iniziato con qualcuno che immaginava un altro modo di esistere.
Abbiamo il dovere di rendere belle le cose. Non lasciamo il mondo più brutto di
come l’abbiamo trovato, non vuotiamo gli oceani, non consegniamo i nostri
problemi alla prossima generazione. Abbiamo il dovere di fare pulizia dopo aver
sporcato, perché i nostri figli non debbano ereditare un mondo che in maniera
miope abbiamo messo in disordine, sfruttato e azzoppato.
Abbiamo il dovere di dire ai nostri politici cosa vogliamo, di votare contro gli
uomini politici di qualsivoglia partito che non capiscono il valore della lettura
nel creare cittadini validi, che non vogliono agire per preservare e proteggere la
conoscenza e incoraggiare la cultura. Non si tratta di politica di partito. Si tratta
di comune umanità.
Una volta hanno chiesto ad Albert Einstein come si poteva far diventare
intelligenti i propri figli. La sua risposta è stata ad un tempo semplice e saggia:
“Se volete che i vostri figli diventino intelligenti, leggete loro delle fiabe. Se
volete che diventino più intelligenti, leggete loro più fiabe”.
Capiva il valore della lettura e della capacità di immaginare. Spero che potremo
dare ai nostri figli un mondo in cui leggeranno e sentiranno leggere per loro. E
immagineranno, e capiranno.

FINE
Table of Contents
Frontespizio
Colophon
Come si fa un lettore

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