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UNITA’ 1

GAS IDEALI E GAS REALI

1.1 Stati di aggregazione

Dal punto di vista macroscopico, la materia si presenta in tre stati di


aggregazione: solido, liquido e gassoso. Le condizioni sperimentali
(temperatura e pressione) determinano lo stato di aggregazione della materia
e, generalmente, al cambiare della temperatura e/o della pressione una data
sostanza può passare da uno stato all’altro se prima non interviene un
processo di decomposizione.
Nella seguente tabella vengono riassunte alcune delle principali caratteristiche
che differenziano uno stato dall’altro

solido liquido gas


forma propria del recipiente del recipiente
volume proprio proprio del recipiente
densità 1022-1023 1022-1023 1019
(atomi/cm3)
distanza media 2 Ằ 2Ằ 500 Ằ
tra gli atomi o le condizioni ambiente
molecole
mobilità degli piccole oscillazioni brevi distanze lunghe distanze (30
atomi Ằ)
compressibilità piccola piccola grande
Tab.1.1.

Le peculiarità dello stato gassoso hanno reso possibile trovare una semplice
correlazione tra le variabili di stato (pressione, temperatura e volume)
rendendo lo stato gassoso particolarmente adatto allo sviluppo delle equazioni
termodinamiche.

1.2 Gas ideali

Dato l’elevato stato di rarefazione, è stato proposto un modello ideale dei gas
in base al quale: a) ciascuna molecola è assimilata ad una sfera puntiforme
libera di muoversi in tutte le direzioni; la sua velocità può cambiare solo a
causa di urti elastici casuali con altre molecole; b) il volume totale delle
molecole è una frazione trascurabile del volume del recipiente ove il gas è
contenuto. Questo modello, denominato dei gas ideali, ha permesso di
ottenere la seguente correlazione tra la pressione, il volume e la temperatura
del gas

PV = nRT (1-1)
in cui n indica il numero di moli di gas mentre R è la costante universale dei
gas il cui valore numerico dipende dalle unità di misura con le quali vengono
espresse il volume e la pressione.

R
V P Valore Unità di misura
numerico
litri atmosfere 0.082 atm l/grado mole
m3 N/m2 8.31 J/grado mole
cm3 atm 82.1 atm cm3/grado mole
cm3 mmHg 6.24x104 mmHg cm3/grado mole
Tab.1.2.

E’ da notare che nessuna delle quantità coinvolte nell’eq. 1-1 dipende dalla
natura del gas sicché essa è valida per tutti i gas purché le loro condizioni
sperimentali soddisfino i requisiti del modello. In altre parole, l’eq. 1-1 è una
equazione limite nel senso che il comportamento di tutti i gas tende a quello
previsto dall’equazione con l’aumentare dello stato di rarefazione (alta
temperatura, bassa pressione, piccolo numero di molecole) in quanto è proprio
la rarefazione che permette al gas di trovarsi in uno stato fisico in cui i punti a)
e b) del modello sono verificati.
L’eq. 1-1, definita legge di stato dei gas ideali, correla P, V, T e n in un
determinato stato del gas e permette di calcolare una delle quattro variabili
note che siano le altre tre. Per esempio, una volta specificati volume,
temperatura e numero di moli del gas, la pressione è una ed una soltanto
ricavabile dalla relazione:

nRT (1-2)
P=
V

1.3 Pressione parziale

Poiché la legge di stato dei gas non dipende dalla natura del gas, ad una data
pressione e ad una data temperatura una miscela di due gas (A e B) non
interagenti eserciterà la stessa pressione di un unico gas avente un numero di
moli pari alla somma del numero di moli della miscela.

RT n A RT n B RT (1-3)
P = (n A + n B ) = +
V V V
Come detto in precedenza, i gas non hanno un volume proprio ed occupano il
volume del recipiente, ossia VA=VB=V. Pertanto, dall’equazione precedente si
ha

n A RT n B RT (1-4)
P= + = pA + pB
VA VB

L’eq. 1-4 rappresenta la legge di Dalton e può essere così espressa : in una
miscela di gas ciascun componente esercita una pressione uguale a quella che
avrebbe se da solo occupasse il volume occupato dalla miscela; tale pressione
viene chiamata pressione parziale e, pertanto, la pressione totale di una
miscela di gas è uguale alla somma delle pressioni parziali dei singoli gas.
Dalle equazioni precedenti si ricava facilmente che

pA nA (1-5)
= = XA
P nA + nN

in cui XA è la frazione molare del componente A nella miscela. L’eq. 1-5 può
essere così enunciata: in una miscela di gas a comportamento ideale la
pressione parziale di ogni singolo componente è uguale al prodotto della
pressione totale per la sua frazione molare

1.4 Trasformazione dei gas

Se un gas si trova in un recipiente chiuso, il numero di moli non cambia sicché


l’eq. 1-1 assume la forma PV/T=costante. Se una delle pareti del recipiente è
costituita da un pistone mobile, è possibile cambiare lo stato del gas variando
uno o due delle tre variabili.
Immagine 1.1.

Nel caso in cui una variabile venga mantenuta costante, la correlazione tra le
altre due quantità è molto semplice

PV=costante a T=costante isoterma


P/T=costante a V=costante isocora
V/T=costante a P=costante isobara

In un diagramma P contro V la prima trasformazione corrisponde ad una


iperbole equilatera, la seconda ad una retta perpendicolare all’asse delle
ascisse, la terza ad una retta parallela all’asse delle ascisse.
Nel caso di una trasformazione isoterma, l’andamento del prodotto PV contro P
è una retta parallela all’asse delle ascisse.

I dati sperimentali evidenziano che a pressioni sufficientemente basse


l’andamento previsto dalla legge di stato dei gas ideali viene verificato ma che
all’aumentare della pressione la deviazione dall’andamento ideale diventa
sempre più importante; in altre parole, il gas non si comporta più come ideale.
Grafico
dell’andamento
di PV/nRT
contro P per un
gas ideale e
per un gas
reale a
differenti
temperature

Immagine 1.2.

Link utili:
Grafici interattivi che mostrano gli andamenti ottenibili al variare di T, P e V per
un gas perfetto
(http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P701E
02.html, è necessario avere Java installato)

Esperimento virtuale con i gas ideali: (http://jersey.uoregon.edu/vlab/Piston/ è


necessario avere Java installato)

1.5 Gas reali

In un sistema reale, le interazioni fra le molecole non possono essere


trascurate così come nel caso dei gas ideali. Ma quale è il meccanismo di
interazione fra le molecole?
Quando le molecole si trovano ad una certa distanza esse tendono ad attrarsi
ma, se la loro distanza reciproca diminuisce troppo, comincia a farsi sentire
una forza repulsiva dovuta la fatto che due molecole non possono trovarsi nello
stesso spazio. Queste considerazioni molto qualitative possono essere
sintetizzate in un grafico che esprime come varia l'entità delle interazioni
intermolecolari in funzione della distanza.
Grafico del potenziale di
interazione intermolecolare.
A grandi distanze di
separazione dominano le
interazioni attrattive
mentre a piccole distanze le
molecole tendono a
respingersi.

Immagine 1.3.

A causa di queste interazioni il moto delle molecole dipende dalla presenza


delle altre molecole e, di conseguenza, il comportamento del gas è diverso da
quello previsto dalla legge dei gas ideali.

Un esempio è mostrato nella figura seguente ove è riportato l’andamento di P


in funzione di V per la CO2 a differenti temperature. Come si può osservare a
50 °C ed a temperature più elevate l’andamento è quello previsto per i gas
ideali ma a temperature più basse ed a pressioni più elevate cominciano a
manifestarsi delle deviazioni non trascurabili dal comportamento ideale. A circa
31 °C (per la CO2) è presente un punto di flesso e le variabili in questo punto
vengono chiamate temperatura critica Tc, pressione critica Pc e volume critico
Vc. Le isoterme al di sotto della temperatura critica mostrano la presenza di
una regione ove coesistono stato gassoso e stato liquido mentre le ripide curve
a bassi volumi rappresentano la variazione del volume con la pressione per lo
stato liquido.
I punti A, B, C, D, F
appartengono ad una
isoterma.
Nel punto A il
comportamento del gas
segue quello dei gas
ideali; in B il gas si
allontana dal
comportamento ideale;
in C si comincia a
formare la fase liquida;
nel tratto CDE
coesistono liquido e
vapore; in E scompare la
fase vapore; la curva EF
è caratteristica della
bassa compressibilità del
liquido.
Immagine 1.4.

1.6 Equazione di van der Waals

Nel 1873 il fisico olandese Johannes van der Waals propose un’equazione in
grado di descrivere il comportamento dei gas tenendo conto sia delle
interazioni intermolecolari che della dimensione delle molecole. Egli postulò
che, a causa delle forze repulsive, le molecole del gas non hanno a disposizione
l'intero volume V del contenitore perché parte di esso è occupato dalle altre
molecole (covolume, b): il volume a disposizione del gas è quindi dato dal
volume del recipiente meno il covolume. Analogamente egli propose che, a
causa delle attrazioni intermolecolari (forze di coesione, a), la pressione
esercitata dal gas reale è minore di quella che un gas ideale eserciterebbe nelle
stesse condizioni di T, V e n.
Rappresentazione
schematica di un gas
reale in cui le
dimensioni delle
particelle sono
significative rispetto
allo spazio a
disposizione

Immagine 1.5.

Rappresentazione
schematica dell’effetto delle
interazioni intermolecolari
sulla pressione. Una
molecola distante dalla
parete è soggetta a delle
interazioni simmetriche che
mediamente si annullano.
Una molecola diretta verso
la parete del recipiente è
soggetta ad interazioni non
simmetriche che ne
rallentano il moto.
Immagine 1.6.

Tenendo conto di queste considerazioni, l'equazione di stato di van der Waals


può essere scritta come:

⎡ ⎛n⎞ ⎤
2

⎢ P + a ⎜ ⎟ ⎥ (V − n b ) = nRT (1-6)
⎢⎣ ⎝ v ⎠ ⎥⎦

in cui a e b sono delle costanti caratteristiche della particolare sostanza. Da


notare, contrariamente a quanto visto nella legge di stato dei gas ideali, la
dipendenza dell’eq. 1-4 dalla natura del gas attraverso le due costanti a e b
nell’equazione.
L’eq. 1-6 tende a coincidere con l’eq. 1-1 all’aumentare della rarefazione del
gas; in queste condizioni, infatti, i termini a(n/V)2 e nb sono trascurabili
rispetto a P e V.
E' istruttivo, a questo punto, un esame dell'andamento di P contro V per varie
isoterme con prestabiliti valori delle costanti a e b.

Come visto in precedenza il grafico mostra che: i) per temperature maggiori di


Tc (T/Tc>1) l’andamento è simile a quello previsto dalla legge di stato dei gas
ideali; ii) per T/Tc=1 è presente un punto di flesso; iii) per T/Tc<1 sono
presenti delle anse. Tali anse non hanno significato fisico ma sono soltanto un
limite del modello in quanto non è possibile un aumento del volume
all’aumentare della pressione o viceversa. Tracciando dei segmenti orizzontali
tali che le anse definiscano delle aree uguali sopra e sotto il segmento
tracciato, l’equazione di van der Waals è in grado di riprodurrre gli andamenti
sperimentali quale, ad esempio, quello visto nel grafico precedente. In breve,
per T/Tc<1 a basse pressioni la sostanza si trova allo stato gassoso, ad un dato
valore della pressione il gas comincia a condensare ed al diminuire del volume
aumenta la quantità di gas condensato, quando è presente soltanto lo stato
liquido sono necessarie grandi variazioni di pressione per determinare piccole
variazioni di volume data la piccola compressibilità del liquido.

Se la temperatura è più grande di quella critica, non è più possibile condensare


il gas.

Isoterme calcolate con


l'equazione di van der
Waals in termini delle
variabili ridotte P/Pc e
V/Vc. Il suffisso c si
riferisce al valore al punto
critico. I numeri sulle
varie curve rappresentano
valori di temperatura
come T/Tc.

Immagine 1.7.

Link utili:
Grafici interattivi che mostrano gli andamenti ottenibili al variare di T, P, V, a e
b per un gas di van der Waals:
(http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P701E
03.html, è necessario avere Java installato)
1.7 Parametri critici

La temperatura Tc, alla quale è presente un punto di flesso nel grafico P vs V


ed al di sopra della quale non è possibile condensare il gas, viene definita
temperatura critica; similmente, la pressione ed il volume al punto di flesso
vengono definiti pressione critica Pc e volume critico Vc.
I parametri critici sono caratteristici per le varie sostanze; per esempio, per
H2O Tc=374 °C, Pc=218 atm, Vc=5.8 cm3/mole; per CO2 Tc=31 °C, Pc=73 atm,
Vc=20.2 cm3/mole.
I parametri critici sono correlati alle costanti di van der Waals a e b. Poiché
nell’isoterma critica è presenta un punto di flesso, in esso la derivata prima e la
derivata seconda della funzione P contro V debbono annullarsi. Considerando
una mole di gas si ha:

RT a
P= − 2 (1-7)
(V − b ) V
dP RTc 2a RTc 2a
=− + 3 =0 ; = (1-8)
dV (Vc − b ) Vc
2
(Vc − b ) 2
Vc3

d2P 2RTc 6a RTc 3 a(Vc − b )


= − 4 =0 ; = (1-9)
dV 2
(Vc − b ) Vc
3
(Vc − b ) 2
Vc4

dalle quali si ottiene

2 a 3 a (Vc − b ) (1-
=
Vc3 Vc4 10)

e quindi

Vc = 3 b (1-
11)

Introducendo b al posto di Vc in una delle due ultime equazioni si ottiene

Tc =
8a (1-
27 R b 12)

E, quindi, dall’equazione di van der Waals

Pc =
a (1-
27 b 2 13)
UNITA’ DIDATTICA 2
TEORIA CINETICA DEI GAS

2.1 Distribuzione delle velocità

E’ stato visto che un gas ideale corrisponde al caso in cui le molecole sono
tanto distanti l’una dall’altra da trovarsi mediamente l’una fuori dal raggio di
azione dell’altra. In tal caso, considerando nulle le forze esterne, una molecola
verrà deviata dal suo moto rettilineo uniforme solo quando colliderà con
un’altra molecola. Assumendo che gli urti siano elastici, l’enorme numero di
molecole e di urti fa sì che le molecole nel recipiente non abbiano tutte la
stessa velocità ma che si abbia una distribuzione delle velocità. Una evidenza
sperimentale può essere ottenuta con un selettore di velocità quale quello
riportato nella figura.

Le molecole prodotte nella


sorgente possono essere pervenire
al rivelatore solo se la loro velocità
è tale che il tempo impiegato per
attraversare le fenditure è uguale a
quello impiegato dall’ultima
fenditura per portarsi nella
posizione iniziale della prima
fenditura.
Cambiando la velocità di rotazione
si selezionano le velocità delle
molecole che possono pervenire al
rivelatore.
Il rivelatore è in grado di dare una
misura del numero di molecole che
lo colpiscono.
Immagine 2.1.

La frazione di molecole f(v) aventi una data velocità v è stata proposta da


Maxwell

3 Mv 2
⎛ M ⎞ 2 2 − 2 RT
f (v ) = 4π⎜ ⎟ v e (2-1)
⎝ 2πRT ⎠

in cui M indica il peso molecolare del gas.


Le curve presentano un massimo che
rappresenta la velocità più probabile.
Al crescere ed al diminuire della
velocità diminuisce la frazione di
molecole avente quella velocità.
Si può osservare che all’aumentare
della temperatura ed al diminuire del
peso molecolare la velocità più
probabile diminuisce;
contemporaneamente diminuisce la
frazione di molecole aventi velocità
più piccola di quella più probabile ed
aumenta quella aventi velocità più
grande di quella più probabile.

Immagine 2.2.

La grandezza in grado di rappresentare la velocità media delle molecole è la


velocità quadratica media c2 data dalla somma del quadrato della velocità di
tutte le molecole diviso il numero di molecole. Per un numero di molecole
uguale al numero di Avogadro N ed indicando con ni il numero di molecole
aventi velocità vi, si ha

∑n v i i
c =
2 i

N (2-2)

Link Utili:
Animazioni che illustrano graficamente la distribuzione di Maxwell:
(http://physics.nad.ru/Physics/AVI/maxwell.avi,
http://jersey.uoregon.edu/vlab/Balloon/index.html)

2.2 Teoria cinetica dei gas

La teoria cinetica dei gas permette di correlare la velocità delle molecole con la
pressione esercitata dal gas sulle pareti del recipiente ove esso è racchiuso.
Supponiamo che il recipiente sia un cubo di spigolo L contenente una mole (e
quindi di N molecole) di gas. Consideriamo una molecola di massa mi ed
indichiamo con vi,x, vi,y e vi,z le componenti della velocità vi lungo la direzione
degli spigoli del recipiente. Prendiamo in esame il moto delle molecole lungo
l’asse X; la molecola urterà alternativamente sulle due facce del recipiente
perpendicolari all’asse X.
Il tempo intercorrente tra due urti contro la stessa faccia Sx è evidentemente

2L
t= (2-3)
v i ,x

ed il numero di urti (zx) in 1 secondo sono

1 v
z i ,x = = i ,x (2-4)
t 2L

In ognuno di questi urti la componente della velocità della molecola lungo


l’asse X si inverte cosicché in seguito all’urto la variazione della quantità di
moto della particella è

∆Q i ,x = m i (v i ,x − (− v i ,x )) = 2m i v i ,x (2-5)

Poiché ∆Qi,x corrisponde all’impulso (Ft, in cui F è la forza) esercitato dalla


molecola sulla parete del recipiente, l’impulso nell’unità di tempo corrisponde
alla forza ed è

m i v i2,x (2-6)
Fi ,x = z i ,x ∆Q i ,x =
L

Essendo la pressione data dal rapporto tra la forza e la superficie (S) ed


assumendo che tutte le molecole abbiano la stessa massa (un solo gas) la
pressione esercitata da tutte le N molecole è

m i (∑ v x ) m i (∑ v x )
2 2

Px = = (2-7)
LS V

corrispondendo il prodotto tra la lunghezza dello spigolo e la superficie al


volume del recipiente.
Le considerazioni fatte lungo l’asse X possono essere fatte anche lungo gli altri
due assi. Poiché il numero di molecole è estremamente elevato, lungo i tre assi
sono statisticamente uguali la pressione, la velocità media ed il numero di
molecole. Si ha pertanto:

m i (∑ v x )
2

P= ; (∑ v ) = (∑ v ) = (∑ v )
x
2
y
2
z
2
(2-8)
V
La velocità quadratica media risulta

Nc 2 = (∑ v x ) + (∑ v y ) + (∑ v z ) = 3(∑ v x )
2 2 2 2
(2-9)

ossia

(2-
(∑ v )
x
2
=
Nc 2
10)
3

da cui segue

Nc 2 (2-
PV = m i
3 11)

Link Utili:
Animazione che illustra la distribuzione delle velocità delle particelle ed il
numero di collisioni in un campione di gas.
http://ww2.unime.it/weblab/ita/KineticTheory/kinetictheory_ita.htm

2.3 Correlazione tra Energia cinetica e temperatura

La teoria cinetica dei gas è stata sviluppata assumendo il modello dei gas
ideali; di conseguenza si ha

Nc 2 (2-
PV = m i = RT
3 12)

Se assumiamo che l’unica forma di energia del gas sia quella cinetica Ec
corrispondente al moto traslazionale lungo i tre assi, si ha

Ec =
1 1
mc 2 = Nm i c 2 (2-
2 2 13)

in cui m è la massa totale, data dal prodotto Nmi. Combinando le ultime due
equazioni si ottiene

Ec =
3
RT (2-
2 14)
la quale mostra che l’energia cinetica è direttamente proporzionale alla
temperatura. E’ da notare che il coefficiente 3 deriva dal fatto che 3 sono le
possibilità di moto della molecola. Se il numero di possibilità di moto vengono
definiti gradi di libertà (f), Ec è data da f(RT/2), cioè ogni grado di libertà
contribuisce per RT/2 all’energia della molecola. Questa quantità viene definita
energia termica di una mole per ogni grado di libertà.

A volta, e ciò sarà visto successivamente, è più utile discutere in termini di


energia termica per molecola. Per ogni grado di libertà questa si ottiene
dividendo l'energia termica per mole per il numero di Avogadro N. La quantità
R/N viene denominata costante di Boltzman k, il cui valore è
8.31x107/6.02x1023=1.38x10-16 erg. L'energia termica per molecola è quindi

ε = k T/2=1.38x10-16 T/2 (2-


15)

Link Utili:
Animazione che illustra la correlazione tra temperatura e l'energia posseduta
dalle molecole di un gas ideale:
http://ww2.unime.it/weblab/ita/GasLaw/GasLaw_ita.htm
UNITA’ DIDATTICA 3
ENERGIA DELLE MOLECOLE

3.1 Quantizzazione dell’energia

L’energia di un corpo non può assumere qualsiasi valore ma varia con


discontinuità ossia è quantizzata. Abbiamo, quindi, dei livelli energetici e
l’energia che compete ad ogni livello dipende dalle varie forme energetiche
proprie del corpo.

Per una molecola allo stato gassoso, l’energia totale della molecola dipende dai
vari tipi di moto posseduti dalla molecola. Uno dei moti della molecola è quello
traslazionale già visto. Altri moti sono: la rotazione della molecola lungo i tre
assi cartesiani, la vibrazione degli atomi costituenti la molecola, il
trasferimento di un elettrone da un orbitale all’altro. Le energie associate a
questi moti vengono denominati
Energia traslazionale
Energia rotazionale
Energia vibrazionale
Energia elettronica
Cerchiamo ora di valutare la differenza di energia tra due livelli per i vari moti
attraverso equazioni ricavabili dalla meccanica quantistica e di confrontare tali
differenze di energia con l’energia termica kT.

Energia traslazionale

L’energia cinetica di una particella che si muove all’interno di una “scatola


unidimensionale” è data dall’equazione

n2h2
εt = (3-1)
8mL2

in cui:
n è il livello quantico che può assumere solo valori interi: 1, 2, 3, ….
h è la costante di Planck, il cui valore è 6.6x10-27 erg/s
m è la massa della particella
L è la larghezza della scatola uni-dimesnionale
Si noti che:
- sono possibili solo certi valori dell’energia cinetica della particella
- per valori fissati di m e L, il minimo valore dell’energia cinetica della particella
si ha per n=1,
- l’energia minima possibile aumenta con il diminuire della massa della
particella e della larghezza della scatola.
Al fine di valutare la differenza di energia tra i primi due livelli del moto
traslazionale, consideriamo un atomo di elio la cui massa è m=0.67x10-23g che
si muove in un recipiente cubico di lato L=10 cm. Dall’eq. 3-1 si ha:

3h 2
∆ε n =1→n = 2 = 2
= 2.4 x10 −32 erg (3-2)
8mL

Confrontiamo adesso il valore ottenuto con l’energia traslazionale lungo una


dimensione che in media possiede una qualunque particella (e quindi anche
l’atomo di elio) alla temperatura T. A 300 K, l’energia termica traslazionale è

1 1 8.31x10 7 x300
ε termica = kT = 23
= 2 x10 −14 erg (3-3)
2 2 6 x10

Come si può vedere, l’energia termica traslazionale è enormemente più grande


della differenza di energia tra i primi due livelli. Ciò significa che per qualunque
valore della temperatura esisterà sempre un livello energetico occupabile dalla
molecola cui corrisponde un’energia pari a quella termica. Prendendo in esame
l’insieme di due molecole, gli urti molecolari porteranno le molecole a
possedere velocità che differiscono l’una dall’altra e che cambiano ad ogni
collisione pur rimanendo la velocità quadratica media costante. Tutte le
velocità sono possibili in quanto a quella data velocità corrisponderà sempre un
livello energetico. Nel caso di un insieme macroscopico di molecole, la
visualizzazione in un dato istante mostrerebbe che le molecole occupano un
elevato numero di livelli energetici traslazionali e che praticamente sono
possibili tutti i valori della velocità.
In conclusione, il confronto tra la differenza di energia tra i livelli e l’energia
termica indica che l’energia traslazionale può essere considerata come un
continuo sicché Meccanica classica e meccanica quantistica portano allo stesso
risultato.

Energia rotazionale

L’energia rotazionale di una molecola biatomica è data dall’equazione

h2
ε r = n(n + 1) (3-4)
8π 2 I

in cui:
n = 0, 1, 2, 3, ….
ed I è il momento di inerzia dato dall’equazione

m1 m2 r 2
I= (3-5)
m1 + m2
Al fine di valutare quanto piccola sia la differenza di energia tra i primi due
livelli del moto rotazionale, possiamo calcolare il ∆εr di una molecola di cloruro
di sodio la cui distanza tra gli atomi è di 2.36 A. Poiché i pesi atomici del sodio
e del cloro sono rispettivamente 23.0 e 35.5, il momento d’inerzia della
molecola è
23 35.5
×
I= N ( )
N 2.36 × 10 −8 2 = 1.3 × 10 −38 g ⋅ cm 2
(23 + 35.5) (3-6)
N

Pertanto, la differenza di energia tra i primi due livelli è

2h 2 (6.6 x10−27 ) 2
∆ε r = = = 8.4 x10 −17 erg (3-7)
8π 2 I 4 x3.14 2 x1.3x10 −38

Questo valore è circa 3 ordini di grandezza più piccolo dell’energia termica per
grado di libertà (alla temperatura di T=300 K ε = 2 x10−14 erg ) sicché a
temperatura ambiente un buon numero di livelli rotazionali risultano occupati.
Prendendo in esame molecole più complesse si ottiene un momento d’inerzia
ben più elevato ed, ovviamente, un ∆εr molto più piccolo. E’ possibile assumere
che anche per l’energia rotazionale meccanica classica e quantistica portano
allo stesso risultato: l’energia rotazionale è un continuo.

Link utili:
Animazione che mostra la molecola della caffeina in rotazione:
http://physics.nad.ru/Physics/English/player.htm#http://physics.nad.ru/Physic
s/AVI/coffee.avi
Animazione che mostra la molecola dell’etanolo in rotazione:
http://physics.nad.ru/Physics/English/player.htm#http://physics.nad.ru/Physic
s/AVI/ethanol.avi

Energia vibrazionale
L’energia vibrazionale di una molecola biatomica è data dall’equazione

1
ε v = (n + )hν (3-8)
2

in cui ν è la frequenza di vibrazione della molecola.


L’ordine di grandezza della differenza di energia tra due successivi livelli
vibrazionali si può valutare prendendo ad esempio una delle frequenze di
vibrazioni della molecola di NO2 (ν =2.2x1013s-1)

∆ε v = hν = 6.6 x10 −27 x 2.2 x1013 = 1.5 x10 −13 erg (3-9)

Questo valore è più grande dell’energia termica per grado di libertà (alla
temperatura di T=300K) ε = 2 x10−14 erg . Ciò significa che a temperatura ambiente
è occupato solo il livello fondamentale ma che a temperature elevate sono
popolati anche livelli energetici superiori.

Energia elettronica

L’energia dell’elettrone di un atomo di idrogeno è data dall’equazione

RH
εe = − (3-10)
n2

in cui RH è una costante il cui valore è 2.2x10-11erg.


Si noti che:
-l’energia dell’elettrone è negativa. Questo perché è costituita da un termine
positivo dovuto all’energia cinetica ed un termine negativo dovuto all’energia
potenziale,
-aumentando n, l’energia elettronica aumenta (diventa sempre meno
negativa),
-l’energia più bassa si ha per n=1 (elettrone nel livello fondamentale)

Calcoliamo adesso la quantità di energia necessaria per eccitare l’elettrone di


un atomo di idrogeno dal livello fondamentale al successivo

3R
∆ε n =1→n = 2 = = 1.6 x10 −11 erg (3-11)
4

Questo valore è significativamente più grande dell’energia termica alla


temperatura di T=300 K ( ε = 2 x10 −14 erg ) . Ciò significa che a temperatura
ambiente gli atomi di idrogeno sono tutti nel loro stato fondamentale.

3.2 Energia totale delle molecole

Abbiamo visto che l’energia termica, cioè l’energia somministrata al sistema ad


una certa temperatura, viene immagazzinata dal sistema sotto forma di
energia traslazionale, rotazionale, vibrazionale ed elettronica. In una molecola
monoatomica l’energia posseduta dalla molecola è soltanto di natura
traslazionale.
Se la molecola è pluriatomica, essa può avere anche le altre forme di energia:
l’energia rotazionale, derivante dalla rotazione della molecola lungo i tre assi
cartesiani, e l’energia vibrazionale derivante dalla vibrazione degli atomi della
molecola.
Per una molecola biatomica o pluriatomica lineare il momento d’inerzia lungo
l’asse congiungente le molecole è praticamente nullo sicché in tal caso è
possibile soltanto la rotazione lungo gli altri due assi.
La differenza di energia tra due livelli rotazionali e vibrazionali è ben più
grande di quella traslazionale; tuttavia, quella rotazionale è sufficientemente
piccola da potere ancora assumere che l’energia rotazionale come un continuo
così come visto per l’energia traslazionale. In altre parole, anche per l’energia
rotazionale meccanica classica e meccanica quantistica danno lo stesso
risultato. Conseguentemente, è possibile calcolare l’energia rotazionale della
molecola come kT per le molecole lineari (due gradi di libertà) o come (3/2)kT
per le molecole non lineari (tre gradi di libertà).
Nel caso dell’energia vibrazionale la differenza di energia tra i livelli è
paragonabile all’energia termica sicché si verifica che meccanica classica e
meccanica quantistica danno risultati differenti a basse temperature mentre
tendono a coincidere ad alte temperature.
Per esempio, da dati spettroscopici la differenza di energia tra due livelli di una
delle vibrazioni di NO2 è 1.48x10-13 mentre kT è 0.69x10-13 a 500 °K, 1.38x10-
13
a 1000 °K, 2.07x10-13 a 1500 °K.
Spesso e con una certa approssimazione anche le energie vibrazionali vengono
calcolate mediante la meccanica classica, cioè come kT per grado di libertà,
ossia per ogni vibrazione; da notare che ogni vibrazione comporta un’energia
kT e non kT/2 in quanto nella vibrazione sono coinvolte l’energia cinetica e
l’energia potenziale.

3.3 Gradi di libertà di una molecola

Con l’approssimazione vista alla fine del paragrafo precedente e non


prendendo in considerazione l’energia elettronica, è possibile calcolare l’energia
di un gas attraverso la conoscenza dei suoi gradi di libertà. Questi sono dati
dalla semplice relazione

f = 3n (3-12)

in cui n rappresenta il numero di atomi costituenti la molecola. Così per una


molecola monoatomica f=3, per una biatomica f=6, per una molecola
triatomica f=9, ecc. Indipendentemente dal numero di atomi costituenti la
molecola 3 gradi di libertà sono dovuti alla traslazione, cioè ft=3; per quanto
riguarda la rotazione fr può essere 2 oppure 3 a seconda che la molecola
pluriatomica sia lineare o no; i gradi di libertà vibrazionali fv sono calcolabili
dalla relazione
f = ft + fr + fv (3-13)

Nella seguente tabella sono riportati i vari gradi di liberta per molecole
costituite da 1, 2 e 3 atomi

tipo di molecola totale traslazione rotazione vibrazione


1 atomo 3 3 0 0
2 atomi 6 3 2 1
3 atomi lineari 9 3 2 4
3 atomi non lineari 9 3 3 3

Poiché in base alla meccanica classica ad ogni grado di libertà traslazionale e


rotazionale è associata una energia pari a kT/2 e ad ogni grado di libertà
vibrazionale un’energia pari a kT, l’energia di una molecola biatomica, per
esempio, è ε = (3+2+2) kT

3.4 Energia di un sistema gassoso

Abbiamo visto che l’energia è quantizzata e che meccanica classica e


meccanica quantistica portano allo stesso risultato quando la differenza di
energia tra i livelli è piccola se confrontata all’energia termica. In base alla
meccanica classica l’energia di una molecola dipende direttamente dalla
temperatura sicché per T=0 la molecola non dovrebbe possedere dell’energia.
In realtà, T=0 rappresenta uno stato di riferimento in cui la molecola possiede
dell’energia e se indichiamo con εo l’energia in detto stato, possiamo scrivere

ε = (ε − ε 0 ) + ε 0 (3-14)

cioè l’energia è data dalla somma tra il contributo nello stato di riferimento e
quello termico, (ε-εo). Un esempio banale è il seguente: l’energia potenziale ad
una certa altezza è data da quella relativa al piano di riferimento (per esempio
il pavimento) sommata al contributo dovuto alla differenza tra il pavimento ed
il punto in considerazione; è chiaro che il piano di riferimento può non avere
un’energia nulla.
Cerchiamo ora di capire perché nello stato di riferimento l’energia non è nulla e
come la temperatura influenzi l’energia di un insieme macroscopico di
molecole. Una risposta ad entrambe le domande è data dall’equazione di
Boltzman, la quale permette di calcolare il numero di molecole che occupano
un determinato livello ni di energia εi rispetto al numero di molecole nello stato
fondamentale n0 di energia εo

ni ε − ε0
ln =− i (3-15)
n0 kT

In base a quest’ultima equazione se la differenza di energia tra due livelli è


molto piccola rispetto a kT, come nel caso dell’energia traslazionale, il termine
a destra è nullo e, di conseguenza ln (ni/no)=0 e ni=no; in altre parole, tutti i
livelli occupati sono ugualmente popolati. Per T 0 e/o se la differenza di
energia tra i due livelli è grande rispetto a kT, come nel caso dell’energia
elettronica, ln (ni/no)=-∞, ni/no=0 e ni=0; ciò significa che tutte le molecole si
trovano nello stato fondamentale di energia εo.
In definitiva, ad una data temperatura le molecole sono distribuite tra i vari
livelli in accordo con l’equazione di Boltzman e l’energia totale del sistema e
quella termica sono date da

E = ∑ n iεi (3-16)
i

E − E 0 = E − n 0 ε 0 = ∑ n i ε i con i ≠ 0 (3-17)
i

Per capire l’effetto della temperatura sull’energia del sistema, prendiamo in


esame il caso in cui la differenza di energia tra due livelli sia estremamente
piccola come nel caso dell’energia traslazionale. Essendo il numero di livelli
infinito, data una quantità seppur macroscopica di molecole non tutti i livelli
possono essere occupati. Saranno occupati tanti livelli quante sono le molecole
dovendosi verificare, come visto in precedenza, ni=no. Al variare della
temperatura parte delle molecole occuperanno livelli energetici differenti e,
quindi, cambierà l’energia del sistema. Nel caso in cui la differenza di energia
tra i livelli è confrontabile con kT, la variazione di energia con la temperatura è
dovuta alla ridistribuzione di molecole nei vari livelli; in particolare, un
aumento di T porta ad un crescente affollamento dei livelli energetici a più alta
energia.

Effetto della temperatura sulla


popolazione dei livelli energetici.
Aumentando la temperatura aumenta
il numero dei livelli energetici
popolati.

Per concludere questo argomento è da chiarire che le quattro forme


energetiche che abbiamo discusso (energia traslazionale, rotazionale,
vibrazionale ed elettronica) sono le uniche forme di energia di un gas ideale;
nel caso di sistemi più complessi subentrano altre forme di energia dovute alle
interazioni molecolari come ad esempio nel caso dei gas reali.
UNITA’ 5
PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5.1. Introduzione

La Termodinamica dei processi reversibili studia le variazioni di energia che


intervengono in tutti i processi chimici e fisici; essa è basata sull’analisi di
alcune funzioni energetiche le cui variazioni dipendono soltanto dallo stato
iniziale e da quello finale del processo. In altre parole, la Termodinamica dei
processi reversibili permette di prevedere la direzionalità di un processo ma
non è in grado di dare alcuna informazione sulla velocità del processo stesso.
Lo studio delle funzioni energetiche può essere condotto in due differenti modi:
i) statistico o microscopico;
ii) classico o macroscopico.
Il primo approccio è basato sulla conoscenza della struttura delle molecole e
dell’energia dei livelli energetici e sulla distribuzione delle molecole nei vari
livelli energetici; il secondo sulla conoscenza di alcune variabili macroscopiche
direttamente osservabili o misurabili, quali la temperatura e la pressione, che
perdono di significato se riferite alle singole molecole.
In virtù della base molecolare su cui essa è basata, la Termodinamica statistica
pur pervenendo alle stesse conclusioni della Termodinamica classica ha il
vantaggio su quest’ultima di dare informazioni sulle proprietà molecolari; essa,
inoltre, è in grado di spiegare le eccezioni riscontrate nell’approccio classico
(vedi, ad esempio, le energie vibrazionali già analizzate).
La Termodinamica classica, di cui ci occuperemo, ha i seguenti vantaggi:
i) è indipendente da eventuali variazioni di concetti acquisiti sulla
struttura delle molecole;
ii) richiede una minore preparazione matematica di base;
iii) dà una più completa e razionale visione dei fenomeni macroscopici.
In breve, la termodinamica studia i processi di trasferimento e di
trasformazione dell'energia e ciò consente non solo di analizzare il bilancio
energetico della trasformazione ma anche di prevedere la spontaneità dei
processi.
5.2 Definizioni

Sistema: è la parte del mondo fisico cui ci si riferisce


Ambiente: è il resto del mondo fisico che circonda il sistema
Sistema aperto: un sistema che può scambiare calore, lavoro e materia con
l’ambiente
Sistema chiuso: un sistema che può scambiare con l’ambiente calore e lavoro
ma non materia
Sistema termicamente isolato: un sistema che può scambiare lavoro ma non
calore o materia
Coordinate macroscopiche: grandezze fisiche, quali temperatura e pressione,
che possono essere misurate come media su un gran numero di molecole
Proprietà estensive: dipendono dalla massa del sistema e sono additive (ad
esempio, volume)
Proprietà intensive: non dipendono dalla massa

Un sistema aperto scambia materia ed energia


con l'ambiente

Un sistema chiuso può scambiare energia ma


non materia con l'ambiente

In un sistema isolato non è possibile alcuno


scambio di energia o materia con l'ambiente

Immagine 5.1.
5.3 Energia interna

Con energia interna viene definita l’energia totale del sistema, che per un gas
ideale abbiamo visto essere correlata alle varie forme di energia della
molecola: energia traslazionale, rotazionale, vibrazionale ed elettronica. Come
è stato detto, l’eccesso di energia rispetto a quella nello stato fondamentale è
direttamente proporzionale alla temperatura assoluta attraverso i gradi di
libertà della molecola. Pertanto, nel caso di un gas ideale solo una differenza di
temperatura causa una differenza di energia interna. Nel caso di sistemi più
complessi, il calcolo dell’energia interna attraverso le equazioni già viste non è
possibile.
In realtà, il nostro interesse non è rivolto alla conoscenza dell’energia
posseduta da un sistema quanto alla differenza dell’energia interna (∆E) che
una trasformazione del sistema comporta. Questo interesse deriva dal fatto
che una trasformazione se è spontanea dovrebbe evolversi verso lo stato ad
energia più bassa. Risulta, quindi, indispensabile conoscere la variazione di
energia tra lo stato finale e quello iniziale del processo. E’ chiaro che se
osserviamo l’evoluzione di un processo verso uno stato più stabile, la
conoscenza del ∆E del processo perde d’interesse. E’ più importante conoscere
a priori il ∆E in modo da potere prevedere se il processo può avvenire. Ciò
significa che fissato lo stato iniziale e quello finale il ∆E è uno ed uno soltanto
indipendentemente dal percorso che porta dallo stato iniziale a quello finale; se
così non fosse, non sarebbe possibile il calcolo del ∆E. In altre parole, l’energia
interna è una funzione di stato, cioè è una grandezza la cui variazione dipende
esclusivamente dallo stato iniziale e da quello finale; per esempio, un gas
ideale si trova ad un certo valore di P, V e T e viene sottoposto ad una serie di
trasformazioni lungo le quali vengono cambiati di volta in volta i tre parametri
ma che alla fine si ritrova nelle stesse condizioni di P, V e T iniziali: il ∆E del
processo è nullo in quanto stato iniziale e stato finale sono identici.

La variazione di Energia interna per le


tre trasformazioni indicate in figura è
la stessa pur potendo essere differenti
il Lavoro ed il Calore.

Se dallo stato finale si ritorna a quello


iniziale si compie un ciclo per il quale
∆ E=0, Q≠0, L≠0

Immagine 5.2.

Ma se non è possibile conoscere l’energia interna del sistema, come è possibile


calcolare il ∆E di un processo? Per risolvere questo problema consideriamo che
un sistema occupa un determinato spazio e che è circondato dall’ambiente
circostante. Poiché vige sempre il principio della conservazione dell’energia,
all’aumento o alla diminuzione dell’energia del sistema corrisponde un’energia
rispettivamente ceduta o assorbita dall’ambiente; si ha, quindi, uno scambio
d’energia tra sistema ed ambiente.
Due sono i modi con i quali avviene lo scambio di energia tra sistema ed
ambiente: calore e lavoro.
5.4 Calore

Si osserva sperimentalmente che due corpi a differente temperatura mettendo


a contatto fra loro dopo un certo tempo raggiungono una condizione di
equilibrio caratterizzata dall’uguaglianza delle due temperature. La
temperatura di equilibrio che viene raggiunta dipende dalla massa dei due
corpi e dalla loro natura. Il flusso di energia dal corpo più caldo verso quello
più freddo viene definito calore (Q). L’unità di misura di Q è quindi quella
dell’energia (erg, joule, ecc.). Mediante un calorimetro si può verificare che la
quantità di calore che un corpo cede o assorbe è direttamente proporzionale
alla massa del corpo ed alla sua variazione di temperatura attraverso una
costante di proporzionalità definita calore specifico (c).

dQ = c ⋅ m ⋅ dT (5-1)

Il calore specifico rappresenta quindi la quantità di calore necessaria a fare


variare di un grado la massa unitaria del corpo. Moltiplicando e dividendo l’eq.
(5-1) per il peso molecolare M ed essendo m/M il numero di moli della
sostanza, l’eq. (5-1) può essere scritta nel seguente modo:

dQ = n ⋅ C ⋅ dT (5-2)

in cui C=c M viene definito calore molare o capacità termica.


Supponiamo di mettere a contatto due corpi A e B le cui masse sono mA e mB e
le temperature TA e TB con TA>TB. Sia TE la temperatura d’equilibrio;
ovviamente si ha: TB>TE>TA. La quantità di calore ceduta da A ed assorbita da
B sono rispettivamente

Q A = m A ⋅ c A (TE − TA ) (5-3)

Q B = m B ⋅ c B (TE − TB ) (5-4)

Date le condizioni iniziali si ha TE-TA<0 e TE-TB>0; ciò implica che QA<0 e QB>0
ossia: se il sistema cede calore Q è negativo mentre se il sistema assorbe
calore Q è positivo. A parte il segno algebrico, le due quantità di calore sono
uguali e, quindi, sarebbe possibile calcolare Q dall’una o dall’altra delle due
espressioni precedenti solo se fosse noto almeno per una di esse il calore
specifico

m B TE − TB
cA = cB (5-5)
m A TA − TE

Risulta evidente la necessità di scegliere un calore specifico che per


convenzione sia unitario al fine di potere definire tutti gli altri calori specifici. Si
è scelto come calore specifico di riferimento quello dell’acqua a 15 °C e viene
introdotta una nuova unità di misura dell’energia la caloria (Cal) definita come
la quantità di calore necessaria a fare aumentare di un grado la massa di 1
grammo di acqua. Multiplo della caloria è la chilocaloria (kcal), 1kcal=1000 cal.
Non sempre la temperatura di un sistema varia se esso cede o assorbe calore:
Nei casi in cui si osserva questa apparente creazione o distruzione di calore si
verifica contemporaneamente una variazione o dello stato di aggregazione o
della natura chimica del sistema; ad esempio, in una reazione chimica che
avviene a temperatura costante si ha un assorbimento di calore dovuto alla
rottura di legami nei reagenti e la cessione di calore dovuta alla formazione di
legami nei prodotti con bilancio non nullo.
5.5 Lavoro

In termodinamica si distinguono due tipi di lavoro: il lavoro meccanico o


d’espansione e il lavoro utile. In quest’ultimo viene genericamente inglobato
qualsiasi tipo di lavoro non meccanico in gioco durante la trasformazione quali,
ad esempio, il lavoro elettrico. Consideriamo trasformazioni in cui l’unica forma
di lavoro possibile sia quella di tipo meccanico e, al fine di correlare il lavoro
meccanico alle coordinate macroscopiche (vedi 5-7), prendiamo in esame un
gas che si espande contro una pressione esterna Pex e supponiamo che il gas
sia contenuto in un recipiente cilindrico di sezione S, munito di un pistone
mobile di peso trascurabile. Se il pistone in seguito all’espansione si è spostato
di dz, della stessa quantità si è spostato il punto di applicazione della forza
esterna (F=Pex S); avendo la forza e lo spostamento la stessa direzione ma
verso opposto, il lavoro compiuto dal gas è

dL = −Fdz = −Pex Sdz = − Pex dV (5-6)

Nel caso di una trasformazione finite che porta il gas dal volume iniziale Vi al
volume finale Vf, il lavoro si ottiene dall’integrazione dell’espressione
precedente

dL = − ∫ Pex dV (5-7)

la quale, nel caso che la pressione esterna sia costante, diventa

L = − Pex (V f − Vi ) (5-8)

Immagine 5.3.
L’espressione precedente mostra che se la pressione esterna è nulla il lavoro è
nullo: nell’espansione contro il vuoto non si ha lavoro. Inoltre, il lavoro fatto
dal gas aumenta con la pressione esterna. E’ chiaro che la pressione esterna
non può essere aumentata a piacere in quanto l’espansione del gas è possibile
solo se la pressione esterna è più piccola di quella del gas. Se durante la
trasformazione Pex differisce da quella del gas di una quantità infinitesima la
trasformazione viene definita reversibile ed il lavoro di espansione è massimo.
Nel caso di una compressione reversibile il lavoro fatto sul sistema è il minimo.

Il lavoro reversibile calcolato


mediante l’equazione 5-4 corrisponde
alla somma delle aree colorate in
verde e senape. Questo lavoro è il
massimo ottenibile in quanto il gas
espandendosi contro una pressione
esterna costante compirà un lavoro
che al massimo è quello color senape
della figura; ciò in quanto se la
pressione esterna è più grande di
quella indicata in figura il gas non
potrà espandersi fino a Vf.
E’ facile arguire che nel caso della
compressione da Vf a Vi, il lavoro
reversibile che viene fatto sul gas è il
minimo lavoro.
Immagine 5.4.

Per una trasformazione reversibile l’eq.5-7 assume la forma

dL = −PdV (5-9)

in cui P è la pressione del gas. L’utilità di quest’ultima equazione rispetto all’eq.


5-2 deriva dal fatto che la pressione del gas è correlata alla temperatura ed al
volume del gas attraverso la legge di stato del gas.
L’applicazione dell’eq. 5-9 in differenti casi sarà vista successivamente.
5.6 Primo Principio della Termodinamica

E’ stato ricavato sperimentalmente che la variazione di energia interna in un


sistema chiuso è uguale alla somma della quantità di calore e del lavoro
scambiati tra il sistema e l’ambiente circostante.

dE = dQ + dL (5-10)

la quale non è altro che il principio della conservazione dell’energia.


L’energia interna di un sistema aumenta se il sistema riceve calore dall’esterno
(Q>0) e se su di esse viene fatto un lavoro (L>0); una delle due quantità può
essere negativa purché il suo valore assoluto sia inferiore a quello dell’altra.
L’energia interna di un sistema diminuisce se il sistema cede calore all’esterno
(Q<0) e se il sistema compie lavoro verso l’esterno (L<0); una delle due
quantità può essere positiva purché il suo valore assoluto sia inferiore al valore
assoluto dell’altra.
E’ stato detto che l’energia interna è una funzione di stato, cioè una grandezza
il cui valore dipende dallo stato in cui si trova il sistema ma non dalla storia che
ha portato il sistema in quel dato stato. Se, pertanto, in seguito ad una
trasformazione lo stato finale del sistema corrisponde a quello iniziale
(trasformazione ciclica), la variazione di energia interna del sistema è nulla. In
base al primo principio della termodinamica (eq. 5-10) Q=-L; ciò significa che
se durante la trasformazione il sistema ha assorbito una data quantità di calore
esso ha contemporaneamente svolto un lavoro verso l’esterno di uguale valore.
Se, fermo restando che stato iniziale e finale corrispondono, il sistema può
compiere un numero infinito di cicli e per ognuno di essi si ha sempre Q=-L. E’
chiaro che Q e L di un ciclo possono essere differenti da quelli di un altro ciclo,
però si avrà sempre che per ogni singolo ciclo Q=-L. La conseguenza è che
mentre E è una funzione di stato, Q e L non lo sono. E’ stato visto che L è dato
dall’area racchiusa tra lo stato iniziale e quello finale dell’andamento di P in
funzione di V mentre non è immediato capire perché Q dipenda dal tipo di
trasformazione. In base all’eq. 5-1 se la temperatura iniziale corrisponde a
quella finale non si ha variazione di temperatura e quindi, indipendentemente
dal tipo di trasformazione si dovrebbe sempre avere Q=0. In realtà, nell’eq. 5-
2 entra in gioco il calore specifico il quale è vero che è una costante ma non
era stato detto (era prematuro) che il suo valore dipende dalla natura della
trasformazione. Per esempio, se un gas viene portato da una temperatura
iniziale ad una finale mantenendo il volume costante avremo determinati valori
di Qv e di Cv mentre se viene mantenuta la pressione costante avremo valori di
Qp e di Cp differenti.
Ad un’altra importante conclusione è possibile pervenire da quanto detto in
precedenza. Con l’ausilio di una semplice esperienza è possibile trovare il
fattore di conversione dell’unità di misura dell’energia da joule a caloria e
viceversa. Supponiamo, infatti, di avere un recipiente isolato contenente un
gas ideale nel quale è immersa una elica che con un sistema di carrucole è
collegata ad un peso posto esternamente al recipiente. Lasciando cadere il
peso ruota l’elica e ciò determina il riscaldamento del gas: il sistema ha
assorbito una quantità di calore Q. Successivamente il gas viene espanso fin
quando la sua temperatura finale è uguale a quella iniziale: il sistema ha
compiuto un lavoro L. Inoltre, il sistema a compiuto un ciclo e, quindi ∆E=0: Si
trova sperimentalmente che, se Q è espresso in calorie ed L in joule, il
rapporto L/Q è costante ed uguale a 4.18 J/Cal; in altre parole 1 Cal=4.18 J.

Link utili:
Animazione che illustra l’esperienza di Joule:
http://ww2.unime.it/weblab/ita/kim/joule/joule2_ita.htm
UNITA’ 6
APPLICAZIONI DEL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6.1 Introduzione

E’ stato detto che il Primo principio della termodinamica non è altro che il
principio della conservazione dell’energia. In esso vengono messe in relazione
la variazione dell’energia posseduta da un sistema con l’energia “in transito”
cioè con l’energia che viene scambiata tra sistema ed ambiente circostante
sotto forma di lavoro e di calore. Uno scambio energetico tra sistema ed
ambiente presuppone che il sistema sia soggetto ad una trasformazione, cioè
che il sistema passi da uno stato iniziale ad uno finale. Fissati stato iniziale e
stato finale, si può pervenire dall’uno all’altro in differenti modi; mentre la
variazione di energia interna è indipendente dal tipo di trasformazione, calore e
lavoro dipendono dalla natura della trasformazione.
Le equazioni fondamentali per il calcolo di E, Q e L sono state riportate nel
unità 5. Nei paragrafi successivi svilupperemo dette equazioni prima per
particolari trasformazioni di gas ideali e, successivamente, per trasformazioni
fisiche e chimiche.
6.2 Trasformazioni isoterme

Supponiamo che un gas ideale venga portato a temperatura costante da un


volume iniziale Vi ad un volume finale Vf. Essendo l’energia interna
direttamente proporzionale alla temperatura, l’energia interna dello stato finale
è uguale a quella dello stato iniziale e, pertanto, ∆E=0; segue che Q=-L.
Nell’ipotesi che la trasformazione sia reversibile, L può essere calcolato
mediante l’eq. 5.7; a tal fine è necessario considerare che la pressione varia
con il volume attraverso la legge dei gas ideali. Poiché P=nRT/V, dall’eq. 5.9 si
ha:

Vf Vf ⎛ nRT ⎞ V
L = − ∫ PdV = ∫ ⎜ ⎟ dV = −nRT ln f (6-1)
Vi Vi
⎝ V ⎠ Vi

Essendo ∆E = 0, segue

Vf
Q = −L = nRT ln (6-2)
Vi

È da notare che se avessimo tentato di calcolare Q mediante l’eq. 5.2


avremmo potuto commettere l’errore di ritenere che Q=0 essendo il calore
molare una costante. In realtà, è stato detto che il calore molare dipende dalla
natura della trasformazione; ora nel caso di una isoterma il calore molare è
infinito e, pertanto, Q non può essere calcolato mediante l’eq. 5.2.
Nelle trasformazioni isoterme se il sistema riceve (o cede) calore esso compirà
(o riceverà) lavoro senza che la sua energia cambi.

Link utili:
Grafici interattivi che mostrano il lavoro ottenibile per una espansione isoterma
di un gas perfetto
(http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P702E
04.html, è necessario avere Java installato)
6.3 Trasformazioni isocore

In dette trasformazioni il volume del sistema non cambia mentre cambiano,


ovviamente, pressione e temperatura. Essendo V=costante, dall’eq. 5.9 si
evince che il lavoro è nullo, L= 0, e quindi ∆E=QV. Essendo la trasformazione a
volume costante ed indicando con CV il calore molare a volume costante,
dall’eq. 5.2 si ha

Q V = nC V ∆T (6-3)

nella quale è stato assunto che CV non dipende dalla temperatura. Dal primo
principio segue:

∆E = nC V ∆T (6-4)

Nelle trasformazioni isocore il calore ricevuto dal sistema sarà da esso


completamente immagazzinato (aumento dell’energia interna). Similmente, il
calore ceduto dal sistema è tutto a scapito della sua energia interna.

È stato ripetutamente detto che l’energia interna è una funzione di stato ossia
che essa dipende soltanto dallo stato iniziale e da quello finale e non dalla
natura della trasformazione che porta da uno stato all’altro. Pertanto,
l’equazione precedente è valida qualunque sia la trasformazione o l’insieme di
trasformazioni che portano il sistema dalla temperatura iniziale a quella finale.
In termini infinitesimi si ha sempre

dE = nC V dT (6-5)
6.4 Trasformazioni isobare

In dette trasformazioni pressione del sistema non cambia mentre cambiano


volume e temperatura. Essendo P=Pf=Pi=costante, dall’eq. 5.4 si ha

L = −P(Vf − Vi ) = −n (Pf Vf − Pi Vi ) = −nR (Tf − Ti ) = −nR∆T (6-6)

Essendo la trasformazione a pressione costante ed indicando con CP il calore


molare a pressione costante, dall’eq. 5.2 si ha

Q = nC P ∆T (6-7)

nella quale è stato assunto che CP non dipende dalla temperatura. Dalle due
ultime equazioni segue

∆E = Q + L = nC P ∆T − nR∆T = n (C P − R )∆T (6-8)

In queste trasformazioni la variazione di energia interna del sistema è il


risultato di effetti compensativi o additivi delle energie “in transito” calore e
lavoro.
6.5 Calori molari

Il calore molare rappresenta, per quanto detto in precedenza, la quantità di


calore necessaria per fare aumentare di un grado la temperatura di una mole
di sostanza. Ribadiamo che se da una parte esso è caratteristico della natura
del corpo, dall’altro esso dipende dalla natura della trasformazione. Ciò
significa che per una sostanza si possono avere tanti calori specifici quante
sono le trasformazioni che portano la sostanza dalla temperatura iniziale a
quella finale. Se la trasformazione è a volume costante, Q corrisponde a ∆E ed
il calore molare di detta trasformazione CV rappresenta la variazione di energia
interna per mole di sostanza quando la temperatura varia di un grado.

∆E
CV = (6-9)
∆T

Dai paragrafi 3.3 e 3.4 si può dedurre che l’energia termica di una mole di gas
ideale è E = f (RT/2) da cui deriva

R ∆E
f = (6-10)
2 ∆T

Dal confronto tra le due ultime equazioni si ricava

R
CV = f (6-11)
2

Questo significa che il calore molare a volume costante dipende dal numero di
gradi di libertà del gas. L’eq. 6-11 ci permette di capire il significato fisico del
calore molare a volume costante. Infatti, se forniamo calore a volume costante
al gas, l’energia verrà distribuita tra le differenti forme di energia della
molecola (gradi di libertà) sicché per due differenti tipi di molecole aventi
differente valore di f, maggiore è f maggiore è la “frantumazione” dell’energia
e, a parità di calore trasferito, minore è l’aumento della temperatura

Gas
Q
monoatomico
∆Τ

Q
Gas
biatomico ∆Τ
Dalle equazioni 6-4 e 6-8 è possibile ricavare la correlazione tra CP e CV per un
gas ideale

CP = CV + R (6-12)

Per un sistema allo stato condensato la correlazione tra queste due grandezze
è ben più complessa.
6.4 Trasformazioni isobare

In dette trasformazioni pressione del sistema non cambia mentre cambiano


volume e temperatura. Essendo P=Pf=Pi=costante, dall’eq. 5.4 si ha

L = −P(Vf − Vi ) = −n (Pf Vf − Pi Vi ) = −nR (Tf − Ti ) = −nR∆T (6-6)

Essendo la trasformazione a pressione costante ed indicando con CP il calore


molare a pressione costante, dall’eq. 5.2 si ha

Q = nC P ∆T (6-7)

nella quale è stato assunto che CP non dipende dalla temperatura. Dalle due
ultime equazioni segue

∆E = Q + L = nC P ∆T − nR∆T = n (C P − R )∆T (6-8)

In queste trasformazioni la variazione di energia interna del sistema è il


risultato di effetti compensativi o additivi delle energie “in transito” calore e
lavoro.

6.6 Trasformazioni adiabatiche

Una trasformazione adiabatica, o termicamente isolata, è caratterizzata dalla


impossibilità di scambio di calore tra sistema ed ambiente. Per queste
trasformazioni si ha Q = 0 e, quindi,

∆E = L = nC V ∆T (6-13)

In una trasformazione adiabatica il sistema compie un lavoro verso l’esterno a


spese della sua energia interna e viceversa un lavoro fatto sul sistema viene da
questo immagazzinato aumentando la propria energia interna; ciò significa, per
quanto detto in precedenza, che la temperatura del sistema diminuisce
nell’espansione del gas ed aumenta nella compressione.
Lo stato iniziale sia costituito dal
punto d’incontro tra l’isoterma e
l’adiabatica il cui volume è Vi.
Espandiamo il gas adiabaticamente
fino al volume Vf. Il ∆E può essere
calcolato come somma del ∆E della
isoterma che da Vi porta a Vf che è
zero e del ∆E che porta a Vf costante
da Ti a Tf. Poiché questo ultimo è
dall’eq. 5.5 CV(Tf-Ti), la variazione di
energia interna della trasformazione
adiabatica è
∆E = nC V ∆T
6.7. Equazione di stato delle trasformazioni adiabatiche di gas ideali

Poiché dE=nCVdT, dL=-PdV e P=nRT/V, dall’eq. 6-13 si ha

nRT
nC V dT = − dV (6-14)
V

Separando le variabili ed integrando tra gli stati iniziali e finali, si ottiene

dT R dV
=− (6-15)
T CV V
Tf dT R f dV
V R Vi dV (6-16)
∫Ti T
=− ∫
CV i V
V
=
CV ∫
Vf V
T R V (6-17)
ln f = ln i
Ti C V Vf
R
(6-18)
Tf ⎛ Vi ⎞ C V
=⎜ ⎟
Ti ⎜⎝ Vf ⎟⎠
Tf Vf V = Ti Vi V = costante
R C R C
(6-19)

La quantità T V (R/CV) è costante in quanto stato iniziale e stato finale non sono
stati scelti in modo opportuno cioè con dei vincoli particolari se non quello che i
due stati giacciono lungo una trasformazione adiabatica. Avendo visto che
CP=CV+R, se indichiamo con

CP (6-
γ=
CV 20)

dall’equazione precedente si ha

TV γ −1 = costante (6-
21)

la quale costituisce l’equazione di stato per una trasformazione adiabatica di un


gas ideale.
Dall’equazione precedente si può facilmente ottenere l’equazione di stato di
una trasformazione adiabatica in termini di P e V. Infatti, per mole di gas dalla
legge di stato dei gas ideali si ha T=PV/R ed essendo la costante dell’equazione
precedente moltiplicato R ancora una costante, ne deriva che

(PV )V γ −1 = PV γ = costante (6-


22)

Poiché CP>CV si ha sempre γ>1 sicché in un diagramma P vs V, come visto


nella figura precedente, l’inclinazione di una trasformazione adiabatica è
maggiore di quella di una isoterma. Inoltre, contrariamente a quanto si verifica
per l’isoterma, l’inclinazione dell’adiabatica dipende dal numero di atomi che
costituiscono la molecola del gas dato che γ dipende dal numero di atomi che
costituiscono la molecola.
È stato visto che a temperatura non elevate la differenza di energia tra i livelli
vibrazionali è più grande dell’energia termica per cui possiamo assumere che i
gradi di libertà coinvolti siano soltanto quelli traslazionali e rotazionali. Con
questa ipotesi si ricavano i seguenti valori di γ.

Atomi f CV (joule/mole CP (joule/mole γ


nella grado) grado)
molecola
1 3 12.5 20.8 1.67
2 5 20.8 29.1 1.40
3 lineari 5 20.8 29.1 1.40
3 non lineari 6 24.9 33.2 1.33
Tab. 6.1

Link utili:
Grafici interattivi che mostrano la variazione di temperatura e pressione
durante una espansione adiabatica:
http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P702E
05.html

Grafici interattivi che mostrano la variazione di temperatura durante una


espansione adiabatica, è necessario avere Java installato
http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P702E
06.html
6.8. Trasformazioni fisiche e chimiche

Le equazioni sviluppate in precedenza non sono utili per il calcolo di ∆E e Q di


trasformazioni fisiche (cambiamenti di stato) e chimiche e ciò in quanto in
questi processi sono coinvolti o forze di coesione o legami chimici che portano
a quantità di calore scambiati tra sistema ed ambiente che sono specifici per il
sistema in discussione. D’altra parte, dalle equazioni viste in precedenza
entrambe le proprietà dipendono dalla temperatura ma, sebbene in questi
processi la temperatura resti costante, è indubbio che questi processi
coinvolgono delle energie; ad esempio, per fare evaporare l’acqua è necessario
somministrare del calore. Su queste due quantità per i processi in esame
torneremo successivamente.
Risulta, invece, molto semplice il calcolo del lavoro in esse coinvolto.
Consideriamo come esempi l’evaporazione di una mole di acqua e la
formazione di una mole di CO. Entrambi i processi avvengono a temperatura e
pressione costanti.
Per l’evaporazione si ha

H 2 O (l ) → H 2 O ( v ) (6-23)

( )
L = −P VH 2O( v ) − VH 2O( l ) = − PVH 2O( v ) = −RT (6-24)

nella quale è stato trascurato il volume dell’acqua liquida rispetto a quello


dell’acqua vapore.

1
C + O2 → CO (6-25)
2
⎛ 1 ⎞ ⎛ 1 ⎞ (6-26)
L = −P⎜ VCO − VO 2 − VC ⎟ = −⎜ n CO − n O 2 ⎟RT
⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠

nella quale è stato trascurato il volume del solido rispetto a quello dei
componenti allo stato gassoso.
In generale si ha

L = −RT∆n (6-27)

In cui ∆n rappresenta la differenza tra le moli dello stato finale e quelle dello
stato iniziale che si trovano allo stato gassoso.
UNITA’ 7
L’ENTALPIA

7.1 Entalpia

Poiché un sistema si evolve spontaneamente verso lo stato in cui si ha una


diminuzione della sua energia, così come accade ad esempio per la caduta di
un peso, avremmo dovuto aspettarci che la variazione di energia interna del
sistema fosse in grado di giustificare la spontaneità dei processi chimici e fisici.
In realtà non sono poche le trasformazioni spontanee accompagnate da un
aumento dell’energia interna del sistema sicché non è possibile adoperare
questa grandezza quale criterio per stabilire l’evoluzione di un processo. Per
esempio, sappiamo che il ghiaccio a temperatura ambiente diventa acqua
liquida e che questo processo comporta un assorbimento di calore di circa
6000 joule/mole; per lo stesso processo, che avviene a pressione costante, il
lavoro è –P(Vl-Vg). Essendo la densità dell’acqua liquida e del ghiaccio
rispettivamente 1.00 e 0.92 g/cm3, cioè 1000 e 920 kg/m3, e trasformando la
pressione in N/m2 (1 atm=105 N/m2), si ha

⎛ 18 18 ⎞
L = −10 5 ⎜ − ⎟ = 960 J mol
-1
(7-1)
⎝ 1000 920 ⎠

Così per il processo spontaneo

acqua solida acqua liquida (7-2)

∆E = 6000 + 960 = 6960 J/mole


In conclusione, il processo di fusione, seppur spontaneo, è accompagnato da
un aumento dell’energia interna.
E’ chiaro che l’energia interna non può essere adoperatala sola quale criterio
per stabilire la spontaneità di un processo e che qualche altra forma di energia
deve essere presa in esame
Abbiamo visto che la quantità di calore Q scambiata tra sistema ed ambiente
corrisponde alla variazione di energia interna del sistema ∆E soltanto quando la
trasformazione avviene a volume costante (L=0). E’ opportuno precisare che
∆E=nCV∆T è sempre valida indipendentemente dal tipo di trasformazione ma
che QV= nCV∆T è valida solo per trasformazioni isocore.
Supponiamo che il sistema sia soggetto ad una trasformazione isobara
(P=costante). Dal Primo principio della termodinamica si ha:

Q P = nC P ∆T = ∆E + P∆V = (E f − E i ) + (Pf Vf − Pi Vi ) = (E f + Pf Vf ) − (E i + Pi Vi ) (7-3)

La quantità (E+PV) rappresenta una nuova funzione termodinamica di stato,


definita Entalpia (H)
H = E + PV (7-4)

Pertanto, dalle equazioni (6-3) e (6-4) si ottiene

∆H = Q P = nC P ∆T (7-5)

La variazione di entalpia corrisponde alla quantità di calore scambiata tra


sistema ed ambiente quando il sistema viene portato dalla temperatura iniziale
a quella finale a pressione costante. Se la trasformazione non avviene a
pressione costante, il ∆H sarà differente dal calore effettivamente scambiato
dal sistema ma sarà sempre calcolabile mediante l’eq. 7-5.
Per esempio, una mole di gas subisce una trasformazione che la porta da una
temperatura iniziale ad una finale. Se la trasformazione è isocora il calore
effettivamente scambiato è QV=CV∆T mentre la variazione di entalpia e
∆H=CP∆T.
7.2 Entalpia delle trasformazioni chimiche

Ricordiamo che nelle trasformazioni isoterme ∆E e ∆H sono rigorosamente nulli


soltanto per i gas ideali ma, con buona approssimazione possiamo ammettere
che esse siano nulle per qualsiasi sostanza. Se,invece, consideriamo un
processo fisico in cui cambia lo stato di aggregazione della sostanza, pur
essendo la temperatura dello stato di aggregazione finale uguale a quella dello
stato di aggregazione iniziale, le due funzioni di stato in esame non sono nulle.
Per esempio, abbiamo visto nel paragrafo precedente che per la fusione del
ghiaccio a temperatura e pressione costanti entrambe le grandezze sono
positive.
Nelle trasformazioni chimiche, che generalmente avvengono a pressione e
temperatura costanti, la variazione di entalpia è essenzialmente dovuta alla
rottura dei legami chimici dei reagenti ed alla formazione di legami chimici dei
prodotti. Poiché in queste condizioni il ∆H corrisponde alla quantità di calore
scambiata tra sistema ed ambiente, essa è facilmente misurabile per mezzo dei
calorimetri che schematicamente sono costituiti da un recipiente contenente
una nota quantità di acqua dentro la quale è immerso il recipiente di reazione.
Il calore, per esempio sviluppato, durante la reazione viene assorbito
dall’acqua che aumenta la propria temperatura. Noti il calore specifico e la
massa dell’acqua si calcola Q assorbito dall’acqua che è uguale al calore ceduta
dalla reazione.
Non sempre però la determinazione sperimentale del ∆H di una reazione è
sperimentalmente accessibile. Inoltre, se si vuole adoperare il ∆H quale criterio
per stabilire la spontaneità della reazione è indispensabile avere la possibilità di
venirne a conoscenza senza la necessità di fare avvenire la reazione. Essendo il
∆H una funzione di stato è possibile calcolarne il valore dalla conoscenza del
∆H di altre reazioni. Per esempio, non è possibile determinare
sperimentalmente il ∆H della reazione C(s)+1/2O2(g)→CO(g) in quanto
contemporaneamente alla formazione di CO si ha la formazione di CO2 anche
se nel recipiente di reazione C ed O2 sono introdotti in quantità
stechiometriche. Il ∆H della nostra trasformazione può essere calcolato dalla
conoscenza del ∆H delle due seguenti trasformazioni
∆H = Q P = nC P ∆T
C(s ) + O 2 (g ) → CO 2 (g ) ∆H 1 = H(CO 2 ) − H(O 2 ) − H(C ) (7-6)

CO(g ) + 1 O 2 (g ) → CO 2 (g ) ∆H 2 = H(CO 2 ) − H(CO ) − 1 H(O 2 ) (7-7)


2 2

Sottraendo ∆H2 a ∆H1 si ha

{ }
∆H 1 − ∆H 2 = {H(CO 2 ) − H(O 2 ) − H(C )} − H(CO 2 ) − H(CO ) − 1 H(O 2 ) =
2
(7-8)
= H(CO ) − 1 H(O 2 ) − H(C )
2

La quale corrisponde al ∆H per la formazione di CO


C(s ) + 1 O 2 (g ) → CO(g ) ∆H = H(CO ) − 1 H(O 2 ) − H(C ) (7-9)
2 2

Tale criterio nella sua generalità costituisce la legge di Hess mediante la quale
è possibile calcolare i ∆H di reazioni sperimentalmente non accessibili o di
reazioni delle quali si vuole prevederne il valore. A tale scopo sono stati
tabulati tutta una serie di specifiche reazioni che permettono di calcolare una
quantità rilevante di entalpie di reazione. I valori tabulati si riferiscono alla
condizione in cui tutti i componenti (reagenti e prodotti) si trovano nello stato
standard, cioè alla pressione di 1 atm. Inoltre, al fine di uniformare i dati si è
ritenuto opportuno tabulare le variazioni di entalpia a 25 °C. Tra i ∆H tabellati
particolarmente utili sono le entalpie di combustione e le entalpie di
formazione.

Entalpie di combustione

Le entalpie di combustione sono utili per la determinazione dei ∆H di reazioni


ove sono coinvolte sostanze organiche. Per entalpia di combustione s’intende
la variazione di entalpia relativa alla combustione di una sostanza organica con
formazione di CO2(g), H2O(l) ed, eventualmente N2. Il seguente esempio
chiarisce l’uso delle entalpie di combustione.
Si vuole calcolare l’entalpia standard della reazione di ossidazione dell’etanolo
(C2H5OH) liquido ad acetaldeide (C2H4O) liquida. L’entalpia di combustione di
C2H5OH è -327.6 kcal/mole mentre quella di C2H4O è-279.0 kcal/mole.

C 2 H 5 OH(l ) + 3O 2 (g ) → 2CO(g ) + 2H 2 O(l ) ∆H 1 = −327.6 Kcal mol -1 (7-10)

C 2 H 4 O(l ) + 2.5O 2 (g ) → 2CO(g ) + 2H 2 O(l ) ∆H 2 = −279.0 Kcal mol -1 (7-11)

Sottraendo la seconda dalla prima si ottiene

C 2 H 5 OH(l ) + 1 O 2 (g ) → C 2 H 4 O(l ) + H 2 O(l )


2 (7-12)
∆H = ∆H 1 − ∆H 2 = −48.6 Kcal mol -1

Entalpie di formazione

Per entalpia di formazione s’intende la variazione di entalpia di una reazione


che partendo dagli elementi nel loro stato stabile porta alla formazione di un
dato composto. L’entalpia di formazione degli elementi è ovviamente nulla.
Facciamo un esempio al fine di chiarire l’uso delle entalpie di formazione.
Calcolare il ∆H della reazione 2 NH3(g) → N2H4(l) + H2(g) sapendo che
l’entalpia di formazione di NH3 è -46.1 kcal/mole mentre l’entalpia di
formazione di N2H4 è 50.6 kcal/mole
1 N 2 (g ) + 1.5 H 2 (g ) → NH 3 (g ) ∆H 1 = −46.1 Kcal mol -1 (7-13)
2

N 2 (g ) + 2 H 2 (g ) → N 2 H 4 (l ) ∆H 2 = 50.6 Kcal mol -1 (7-14)

Moltiplicando la prima per 2 e sottraendo dalla seconda, si ha

2 NH 3 (g ) → N 2 H 4 (l ) + H 2 (g )
(7-15)
∆H = ∆H 2 − 2∆H 1 = 50.6 − 2(− 46.1) = 142.8 Kcal mol -1
7.3 Dipendenza del ∆H dalla temperatura

Generalmente i valori tabulati delle entalpie standard di combustione e di


formazione sono a 25 °C, e 1 atm, cioè sono entalpie standard a 25 °C. Spesso
è indispensabile conoscere il ∆H a temperatura e pressione differenti da quelle
in cui esso è stato calcolato o misurato. L’effetto della pressione sul ∆H è
normalmente poco importante sicché è lecito assumere che il ∆H di una
reazione è indipendente dalla pressione ed uguale alla variazione di entalpia in
condizioni standard (∆H°). L’effetto della temperatura, invece, può essere
rilevante. Al fine di vedere come la temperatura influisca sul ∆H di una
reazione facciamo un esempio.
Supponiamo di volere calcolare il ∆H alla temperatura T2 della trasformazione
A + B → C conoscendo il ∆H alla temperatura T1. Prendiamo in esame il
seguente schema

∆H(T1)
A+B C

∆HA ∆HB ∆HC

A+B C
∆H(T2)

∆H(T1 ) = H C (T1 ) − H B (T1 ) − H A (T1 )


∆H(T2 ) = H C (T2 ) − H B (T2 ) − H A (T2 )
∆H A = H A (T2 ) − H A (T1 ) = C PA (T2 − T1 ) H A (T2 ) = H A (T1 ) + C PA (T2 − T1 ) (7-16)
∆H B = H B (T2 ) − H B (T1 ) = C PB (T2 − T1 ) H B (T2 ) = H B (T1 ) + C PB (T2 − T1 )

∆H A = H A (T2 ) − H A (T1 ) = C PA (T2 − T1 ) H C (T2 ) = H C (T1 ) + C PC (T2 − T1 )

Sostituendo le tre ultime equazioni a destra nella seconda si ha

{ } { }
∆H(T2 ) = H C (T1 ) + C PC (T2 − T1 ) − H B (T1 ) + C PB (T2 − T1 ) − H A (T1 ) + C PA (T2 − T1 ) =
{ }
= {H C (T1 ) − H B (T1 ) − H A (T1 )} + C PC − C PB − C PA (T2 − T1 ) = ∆H(T1 ) + ∆C P ∆T
(7-17)

Nella quale ∆CP indica la differenza tra la somma dei calori molari a pressione
costante dei prodotti meno quella dei reagenti.
L’equazione ricavata è approssimata in quanto assume che i CP siano
indipendenti dalla temperatura e non prende in esame eventuali coefficienti
stechiometrici della reazione.

In generale si ha:

T2

∆H(T2 ) = ∆H(T1 ) + ∫ ∆C P dT (7-18)


T1

Nella quale con ∆CP viene indicata la quantità ΣnpCPp - ΣnrCPr , in cui i pedici p e
r indicano i prodotti e i reagenti.
Questa ultima, conosciuta come equazione di Kirchhoff, permette di calcolare il
∆H di una trasformazione ad una data temperatura nota quella ad un’altra
temperatura ed i calori molari di tutti i componenti della reazione.
Premesso che tutti i CP sono positivi, è evidente che all’aumentare della
temperatura aumentano sia l’entalpia dei prodotti che quella dei reagenti.
Tuttavia, se ΣnpCPp > ΣnrCPr il ∆H della reazione aumenta con la temperatura
mentre se ΣnpCPp < ΣnrCPr il ∆H della reazione diminuisce all’aumentare della
temperatura; nel caso (raro) che ΣnpCPp = ΣnrCPr la variazione di entalpia della
trasformazione non dipende dalla temperatura.
SOLUZIONI AGLI ESERCIZI DELL’UNITÀ 2.8.1

2.8.2. Soluzione Quesito n. 1

Si calcoli il lavoro per la trasformazione:

H2O(l) H2O(v)

quando avviene ad una temperatura di 373 K ed una pressione di 1 atm e


quando avviene secondo il seguente ciclo:

T = 373 ; P = 1 atm H2O(l) H2O(v)

La Lc
Lb
T = 373 ; P = 0,5 atm H2O(l) H2O(v)

Si consideri una mole di sostanza.

Risoluzione:

Nel primo caso, essendo una trasformazione che avviene a pressione costante,
il lavoro si può ricavare dalla relazione (5-8)

L = −Pex (Vf − Vi ) = −P(Vgas − Vliq ) ≅ −PVgas (5-8)

Nella quale si è trascurato il volume del liquido che è certamente molto minore
di quello del gas.
Dalla equazione di stato dei gas ideali si ricava il valore di Vgas nelle condizioni
date e si calcola il lavoro.

L = − PVgas = − P
nRT
P
( )
= − nRT = (1 mol ) ⋅ 8,31 J K -1 mol −1 (373 K ) = −3100 J
(8-1)

Nel secondo caso si ha:

La = 0 J
(8-2)

dato che non vi è alcuna espansione (si consideri il volume del liquido
costante).
( )
L b = − nRT = (1 mol ) ⋅ 8,31 J K -1 mol −1 (373 K ) = −3100 J
(8-3)

Come nel primo caso.


La terza trasformazione avviene ad una pressione non più costante e quindi,
ricordando la relazione (5-1) si avrà che

nRT
V P
L c = −nRT ln f = −nRT ln f =
Vi nRT
Pi (8-4)

= −nRT ln
Pi
Pf
( )
= (1 mol) ⋅ 8,31 J K -1 mol −1 (373 K ) ln 2 = −2148 J

Il lavoro compiuto nell’intera trasformazione non è altro che la somma dei tre
contributi:

L = L a + L b + L c = (0 J )(− 3100 J ) + (2148 J ) = −952 J


(8-5)
2.8.3 Soluzione Quesito n. 2

Facendo riferimento alla seguente figura, si calcoli la quantità di calore


scambiato durante la trasformazione isobara BC sapendo che LAC = -600 cal,
LBC = -400 cal, QAC = +900 cal, QAB = -300 cal.

P
B C

V
Risoluzione:
Per risolvere il quesito è utile considerare il fatto che l’energia interna E è una
funzione di stato.
Per la trasformazione AB, essendo il volume costante, il lavoro è nullo e quindi
la variazione di energia interna corrisponde al calore scambiato dal sistema
secondo la (4-10).

L AB = 0 ; ∆E AB = Q AB − L AB = −300 cal
(8-6)

La variazione di energia per il processo BC sarà invece

∆E AC = Q AC + L = (900 cal) + (− 600 cal) = 300 cal


(8-6)

Sapendo che l’energia interna è una funzione di stato si trova che

∆E BC = ∆E AC − ∆E AB = (300 cal) − (− 300 cal) = 600 cal


(8-7)

Noto il lavoro nel processo è allora semplice ricavare il calore scambiato

Q BC = ∆E BC − L BC = (600 cal) − (− 400 cal) = 1000 cal


(8-7)
2.8.4. Soluzione Quesito n. 3

Si calcoli la temperatura finale raggiunta mescolando adiabaticamente 0,58 Kg


di acetone liquido a 30 °C con 0,78 Kg di benzene liquido a 10 °C sapendo che
CP(acetone) = 29,3 cal K-1 mol-1 e CP(benzene) = 31,7 cal K-1 mol-1.

Risoluzione:

Poiché la trasformazione avviene in maniera adiabatica non vi è scambio di


calore con l’ambiente e quindi la somma dei calori scambiati dalle due sostanze
deve essere nulla:

Q(acetone) + Q(benzene) = 0 cal


(8-8)

L’equazione (5-7) illustra la relazione che lega il calore scambiato ed il CP

Q = nC P ∆T (5-7)

La (8-8) può quindi essere riformulata come

( ) (
Q(acetone) + Q(benzene) = n A C p A Tf − TiA + n B C p B Tf − TiB = 0 cal ) (8-9)

Dove i pedici A e B indicano rispettivamente l’acetone ed il benzene.


Tramite semplici passaggi si perviene quindi ad una espressione per la
temperatura finale

n A C p A Tf − n A C p A TiA + n B C p B Tf − n B C p B TiB = 0 cal


(8-10)

( )
Tf n A C p A + n B C p B = n A C p A TiA + n B C p B TiB
(8-11)

n A C p A TiA + n B C p B TiB
Tf = = 292 ,6 K
n A Cp A + n BCp B (8-12)
2.8.5. Soluzione Quesito n. 4

Una mole di gas ideal monoatomico è sottoposta al ciclo reversibile descritto in


figura.

T = 297 K T = 595 K
A B
1 atm

P
0,5 atm C
T = 297 K

24,4 L 48,8 L
V
Si indichi per ogni passaggio della trasformazione la natura del processo e si
calcolino i relativi valori di L, Q, ∆E e ∆H per ogni singolo processo e per l’intero
ciclo.

Risoluzione:

Processo A→B
Il processo avviene a pressione costante e quindi si tratta di una
trasformazione isobara.
Il ∆H corrisponde al calore scambiato e la relazione (6-7) indica il legame tra
questo ed il CP

Q = nC P ∆T (6-7)

Per un gas ideale valgono le relazioni (5-11) e (5-12)

CV = f
R (5-
2 11)

CP = CV + R (5-
12)
Nelle quali i valori di CV (capacità termica a volume costante) e CP sono legati
alla costante universale dei gas ed al numero di gradi di libertà posseduti dal
gas. Per un gas monoatomico gli unici gradi di libertà sono quelli traslazionali
e, quindi, f = 3. La (6-7) può essere riscritta come

⎛3 ⎞ (8-
Q = nC P ∆T = n ⋅ ⎜ R + R ⎟(Tf − Ti )
⎝2 ⎠ 13)

Per ottenere

⎛5 ⎞ (8-
Q = 1 mol ⋅ ⎜ ⋅ 8,314 J K -1 mol −1 ⎟(595 K − 297 K ) = 6194 J
⎝2 ⎠ 14)

Il lavoro per una trasformazione a pressione costante è ricavabile dalla


relazione (5-8) per i volumi considerati

L = −P∆V = −(1 atm ) ⋅ (48,8 L - 24,4 L ) = −24 ,4 atm L = -2470 J (8-


15)

La variazione di energia interna può essere ricavata applicando la (6-4)

⎛3 ⎞
∆E = nC V ∆T = n ⋅ R (Tf − Ti ) = (1 mol) ⋅ ⎜ 8,314 J K -1 mol −1 ⎟(595 K - 297 K ) = 3716 J
3
(8-16)
2 ⎝2 ⎠

Processo B→C
Il processo avviene a volume costante e, quindi, si tratta di una trasformazione
isocora. Non essendoci alcuna variazione di volume il lavoro svolto durante il
processo è nullo: L = 0 ed il calore scambiato durante il processo è, quindi,
pari alla variazione di energia interna.

⎛3 ⎞
Q = ∆E = nC V ∆T = (1 mol) ⋅ ⎜ 8,314 J K -1 mol −1 ⎟(297 K - 595 K ) = −3716 J (8-17)
⎝2 ⎠

L’entalpia si ricava facilmente tramite la relazione (5-7) già vista in


precedenza.

⎛5 ⎞ (8-
∆H = 1 mol ⋅ ⎜ ⋅ 8,314 J K -1 mol −1 ⎟(297 K − 595 K ) = −6194 J
⎝2 ⎠ 18)

Processo C→A
Il processo avviene a temperatura costante e, quindi, si tratta di una
trasformazione isoterma. La variazione di energia interna è nulla così come la
variazione di entalpia: ∆E = 0 ; ∆H = 0.
Il lavoro per una espansione isoterma è ricavabile tramite la (6-1)

L CA = − nRT ln
Vf
( )
= −1( atm ) ⋅ 8,314 J K -1mol -1 (297 K )ln
(24 ,4 L ) = 1712 J
Vi (48,8 L ) (8-19)

Essendo nulla la variazione dell’energia interna, L = -Q

L CA = −Q CA = −1712 J
(8-20)

Per l’intero ciclo si avrà

L = L AB + L BC + L CA = (− 2478 J ) + (0 J ) + (1712 J ) = −766 J (8-20)

Q = Q AB + Q BC + Q CA = (6194 J ) + (− 3716 J ) + (− 1712 J ) = 766 J (8-21)

∆E = ∆H = 0 (8-22)
2.8.6. Soluzione Quesito n. 5

Si calcoli il lavoro massimo ottenibile dall’espansione isoterma e


dall’espansione adiabatica di 2 moli di azoto, assunto come ideale, inizialmente
a 25 °C, da 10 L a 20 L.

Risoluzione:

Nel caso dell’espansione isoterma il lavoro si ricava dalla equazione (6-1)

L = − nRT ln
Vf
( )
= −(2 mol ) ⋅ 8,314 J K -1 mol -1 (298 K ) ln
(20 L ) = -3435 J
Vi (10 L ) (8-23)

Nel caso di una espansione adiabatica l’equazione di stato di una


trasformazione adiabatica (5-21) dice che

(6-
TV γ −1 = costante ; Ti Viγ −1 = Tf Vfγ −1
21)

CP
Dove γ = .
CV

Per un gas ideale le capacità termiche sono legate ad R dalle relazioni (6-11) e
(6-12)

CV = f
R (6-
2 11)

CP = CV + R (6-
12)

Dove f è il numero di gradi di libertà posseduti dalla molecola. In questo caso,


essendo N2 un molecola biatomica, f = 5. Si ha quindi che

5
R+R
CP 2
γ= = = 1,4 (8-24)
CV 5
R
2

Riarrangiando questa equazione è possibile ricavare la temperatura finale


raggiunta dal processo.

V γ −1
Tf = Ti fγ −1 = (298 K )
(20 L ) = 225,8 K
0 ,4

(8-25)
Vf (10 L )0 ,4
Poiché la trasformazione è adiabatica il calore scambiato con l’ambiente è nullo
il lavoro coincide con la variazione di energia interna del sistema che può
essere ottenuta dalla (6-4)

⎛5 ⎞
L = ∆E = nC V ∆T = (2 mol) ⋅ ⎜ 8,314 J K -1mol −1 ⎟(225.8 K - 298 K ) = −3001 J (8-26)
⎝2 ⎠
2.8.7. Soluzione Quesito n. 6

Si calcoli l’entalpia di fusione del ghiaccio a -10 °C sapendo che l’entalpia di


-1
fusione del ghiaccio a 0 °C è ∆H fus273 = 1435 cal mol e che i CP del ghiaccio e
dell’acqua liquida sono considerati costanti è valgono rispettivamente
CP(solido)= 9,0 cal K-1 mol-1 e CP(liquido) = 18,0 cal K-1 mol-1.

Risoluzione:

Essendo l’entalpia una funzione di stato, è possibile considerare il processo


indicato come la somma di vari processi:
Il riscaldamento del ghiaccio a -10 °C fino a 0 °C

H 2 O(solido )263 → H 2 O(solido )273 ; ∆H1 (8-27)

La fusione

H 2 O(solido )273 → H 2 O(liquido )273 ; ∆H 2 (8-28)

Ed il raffreddamento del liquido da 0 °C a -10 °C

H 2 O(liquido )273 → H 2 O(liquido )263 ; ∆H 3 (8-29)

La variazione di entalpia totale sarà data dalla somma dei ∆H dei singoli
processi

∆H = ∆H1 + ∆H 2 + ∆H 3 (8-30)

Ricordando la relazione che lega CP ed entalpia e sostituendo nella (8-30) si


ottiene

∆H = C P (solido )∆T1 + ∆H fus


273 + C P (liquido )∆T3 =

( ) ( )
= 9,0 cal K -1mol −1 (273 K - 263 K ) + 1435 cal mol -1 + 18,0 cal K -1mol −1 (263 K - 273 K ) = (8-31)
= 1345 cal mol -1
2.8.8. Soluzione Quesito n. 7

Si calcoli l’entalpia del legame C=C sapendo che le entalpie standard di


formazione del metano e dell’etilene (etene) valgono rispettivamente
∆H 0f (metano) = -17,87 Kcal mol-1 e ∆H 0f (etilene) = -12,56 Kcal mol-1 e che
l’entalpia di dissociazione di H2 è ∆Hdiss(H2) = 104,00 Kcal mol-1 e l’entalpia di
sublimazione del carbonio è ∆Hsubl(C) = 170,89 Kcal mol-1.

Risoluzione:

La formula di struttura dell’etilene è:

H H
C C
H H

La sua formazione a partire dai singoli componenti in fase gassosa può essere
descritta come la somma di vari processi

2C(s ) + 2H 2 (g ) → C 2 H 4 (g ) ∆H = 12,56 Kcal mol-1

2C(g ) → 2C(s ) ∆H = 2·(-170,89 Kcal


mol-1)

4H(g ) → 2H 2 (g ) ∆H = -2·(104,00 Kcal


mol-1)

2C(g ) + 4H(g ) → C 2 H 4 (g ) ∆Htot =-537,22 Kcal mol-


1

La dissociazione dei suoi legami, il processo contrario, avrà quindi un ∆H pari a


537,22 Kcal mol-1 dato dalla somma dei ∆H dei legami che compongono la
molecola.
In maniera del tutto analoga, si può costruire il processo di formazione del
metano a partire dagli elementi in fase gassosa

C(s ) + 2H 2 (g ) → CH 4 (g ) ∆H = -17,87 Kcal mol-1

C(g ) → C(s ) ∆H = -170,89 Kcal mol-1

∆H = 2 (-170,89 Kcal
4H(g ) → 2H 2 (g )
mol-1)

∆Htot =-396,76 Kcal mol-


C(g ) + 4H(g ) → CH 4 (g ) 1
L’entalpia di dissociazione dei metano è quindi pari a 396,76 Kcal mol-1. Questa
è l’energia liberata dalla rottura dei quattro legami C-H. Quindi il ∆H di
dissociazione del singolo legame sarà:

∆H C− H =
(- 396,76 Kcal mol ) = 99,19 Kcal mol
-1
-1
(8-30)
4

L’entalpia di dissociazione del legame C=C sarà allora dato da

( ) ( )
∆H C=C = − 537 ,22 Kcal mol -1 − 4 ⋅ 99,19 Kcal mol-1 = 140,46 Kcal mol-1 (8-31)
2.8.9. Soluzione Quesito n. 8

La variazione di entalpia per la reazione di ossidazione di SO ad SO2 condotta a


T = 298 K è ∆H 0298 = -89,98 Kcal mol-1.

SO + 1 O 2 → SO 2
2

Si calcoli la variazione di entalpia riscontrata quando SO e O2 reagiscono alla


temperatura di 0 °C e la pressione di 1 atm per dare SO2 alla temperatura di
125 °C ed una pressione di 2 atm. I valori di CP per le tre sostanze,
considerati costanti, sono rispettivamente: Cp(SO) = 7,9 cal K-1 mol-1, Cp(O2) =
7,0 cal K-1 mol-1, Cp(SO2) = 11,4 cal K-1 mol-1.

Risoluzione:

Il processo può essere considerato come la somma di due processi: 1) la


reazione di ossidazione a 0 °C ed 1 atm e 2) il passaggio della SO2 a 125 °C e
2 atm.
Noto il valore del ∆H 0298 è possibile ricavare quello a 273 K ( ∆H 0273 =∆H1). tramite
l’equazione di Kirchhoff (6-18).

T2

∆H(T2 ) = ∆H(T1 ) + ∫ ∆C P dT
T1 (7-18)

Nella quale con ∆CP viene indicata la quantità ΣnpCPp - ΣnrCPr , in cui i pedici p e
r indicano i prodotti e i reagenti. In questo casò sarà:

∆C P = C P (SO 2 ) − C P (SO ) − 1 C P (O 2 ) =
2 (8-32)
( -1
) (
−1
) ( )
= 11,4 cal K mol − 3,5 cal K -1 mol −1 − 7 ,0 cal K -1 mol −1 = 0 cal K -1 mol −1

Essendo nulla il ∆CP, ∆H 0298 = ∆H 0273 =∆H1.


La variazione di entalpia del processo 2) sarà data dalla equazione

( )
∆H 2 = C P (SO 2 )∆T = 11,4 cal K -1 mol −1 (398 K − 273 K ) = 1,425 Kcal mol −1 (8-33)

In totale:

( ) ( )
∆H = ∆H 1 + ∆H 2 = − 89,98 Kcal mol −1 + 1,425 K − Kcal mol −1 = 87 ,555 Kcal mol −1 (8-34)
UNITA’ 9
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA – L’ENTROPIA

9.1 Introduzione
Nel paragrafo 7.1 è stato detto che per la fusione del ghiaccio a 10 °C ∆E>0
mentre ci si aspettava che un processo spontaneo fosse accompagnato da una
diminuzione di energia. Anche se per un buon numero di trasformazioni l’uso
del ∆E quale criterio per stabilire la spontaneità di un processo è valido, la
mancanza di una totale certezza nello stabilire se un processo è spontaneo
oppure no vanifica l’uso del ∆E.
Neppure il criterio della variazione di entalpia (∆H) può essere assunto come
criterio assoluto per stabilire se una trasformazione è spontanea; infatti, pur
tenendo conto del termine energetico (∆PV) non sono poche le trasformazioni
spontanee che avvengono con aumento di entalpia (vedi, l’esempio della
fusione del ghiaccio a 10 °C).
Sembrerebbe, quindi, che i processi spontanei che avvengono con ∆E>0 e/o
∆H>0 contraddicano il primo principio della termodinamica in quanto si ha
apparentemente creazione di energia. In realtà, tale principio è rispettato in
quanto tali trasformazioni sono accompagnate da un assorbimento spontaneo
di calore dall’ambiente circostante. Non potendo assumere ∆E e ∆H come
criteri assoluti per prevedere la spontaneità di un processo, se si ha uno
scambio di calore tra sistema ed ambiente, bisogna ricercare un’ulteriore
funzione termodinamica che tenga conto di quanto detto.
Tale funzione viene introdotta dal secondo principio della termodinamica.

Immagine 9.1.

Link utili:
Animazione interattiva che illustra come durante la caduta di una pallina la sua
energia venga ridistribuita.
http://www.chem.uci.edu/education/undergrad_pgm/applets/bounce/bounce.h
tm
è necessario avere Java installato
9.2 Secondo principio della termodinamica

Mentre il primo principio della termodinamica stabilisce l’equivalenza tra le


varie forme di energia senza porre limitazioni sulla possibilità di trasformare
integralmente il calore in lavoro, il secondo principio pone tali limitazioni e
precisa sotto quali condizioni sia realizzabile la trasformazione di calore in
lavoro. Il secondo principio della termodinamica può essere enunciato come
segue:
- Il calore non può passare spontaneamente da un corpo più freddo ad uno
più caldo (Clausius)
- Non è possibile costruire una macchina che lavorando in cicli produca
come unico risultato l’assorbimento di calore da una sorgente e la sua
completa trasformazione in lavoro (Kelvin)

L’enunciato di Clausius non necessita alcun commento in quanto esso è


direttamente osservabile.

L’enunciato di Kelvin nasce dall’osservazione che una macchina termica per


trasformare calore in lavoro deve necessariamente funzionare assorbendo
calore da una sorgente a temperatura più alta, trasformandone una parte in
lavoro e cedendo la rimanente parte ad una sorgente a temperatura più bassa.
Se indichiamo con Q2 la quantità di calore assorbita dalla sorgente a
temperatura più alta (Q2>0) e con Q1 quella ceduta alla sorgente a
temperatura più bassa (Q2<0), la quantità di calore trasformata in lavoro è

− L = Q 2 + Q1 (9-1)

Si definisce rendimento (η) di una macchina termica il rapporto tra il lavoro


fatto (L) ed il calore assorbito (Q2)

L Q + Q1
η=− = 2 (9-2)
Q2 Q2

essendo (Q2+Q1)<Q2, il secondo principio della termodinamica può essere


enunciato anche nella seguente forma: il rendimento di una macchina termica
è sempre inferiore all’unità.

L Q + Q1
η=− = 2 <1 (9-3)
Q2 Q2
Immagine 9.2.
9.3 Ciclo di Carnot

Il ciclo di Carnot è basato su una serie di trasformazioni reversibili di un gas


ideale; entrambe le condizioni (reversibilità ed idealità del gas) assicurano che
il rendimento della macchina sia il massimo teoricamente prevedibile.

Una mole di gas ideale viene fatta espandere da


A a B alla temperatura costante T2 (Th nella
figura). Da B il gas viene fatto espandere
adiabaticamente fin quando la sua temperatura
è T1 (Tc nella figura); ovviamente T2>T1. Dal
punto C il gas viene compresso
isotermicaamente alla temperatura T1 finchè il
suo volume nello stato D è tale che
VD/VC=VA/VB. E’ possibile dimostrare che dallo
stato D mediante una compressione adiabatica
si può riportare il gas nello stato iniziale A.
Immagine 9.3.

Il calore ed il lavoro relativi alle singole trasformazioni sono:

Trasformazione Lavoro Calore


AB (isoterma T2) VB VB
L 2 = −RT2 ln Q 2 = RT2 ln
BC (adiabatica) VA VA
CD (isoterma T1) L' = C V (T2 − T1 ) Q' = 0
DA (adiabatica)
VD VD
L1 = − RT1 ln Q1 = RT1 ln
VC VC
L' ' = C V (T1 − T2 ) Q1 = RT1ln(VD/VC)
Q' ' = 0

Tab. 9.1.

Essendo L’=-L’’ e VD/VC=VA/VB, il lavoro totale compiuto dal gas durante il


ciclo, dato dalla somma dei lavori delle singole trasformazioni, è

VB
− L = R (T2 − T1 )ln (9-4)
VA

mentre il rendimento risulta essere:


VB
R (T2 − T1 )ln
L VA T2 − T1
η=− = = (9-5)
Q2 V T2
RT2 ln B
VA

Come si può osservare, pur lavorando la macchina termica in condizioni di


idealità, la frazione di calore utilizzabile come lavoro è inferiore all’unità e
dipende dalla differenza di temperatura tra la sorgente calda che cede calore e
la sorgente fredda che riceve calore. Se le due sorgenti si trovano alla stessa
temperatura il rendimento è nullo, ossia non è possibile in queste condizioni
trasformare calore in lavoro.

Se il ciclo è percorso in condizioni di reversibilità, se cioè l’espansione isoterma


è irreversibile si otterrà un lavoro più piccolo della corrispondente espansione
reversibile mentre per comprimere il gas irreversibilmente è necessario un
lavoro più grande della corrispondente compressione reversibile. Il risultato
netto è che nel ciclo irreversibile si ottiene un lavoro minore di quello ottenibile
dal ciclo reversibile. Il rendimento di un ciclo irreversibile è sempre minore di
quello di un ciclo reversibile che lavora tra le stesse temperature.

L Q + Q1 T2 − T1
η=− = 2 ≤ (9-6)
Q2 Q2 T2

in cui il segno < vale per le trasformazioni irreversibili ed il segno = per quelle
reversibili.

Link utili:
Animazione che illustra il ciclo di Carnet
(http://www.rawbw.com/~xmwang/myGUI/CarnotG.html, è necessario avere
Java installato)
9.4 Entropia

Nel ciclo di Carnot si è ipotizzato che le due sorgenti di calore possano


scambiarsi del calore senza che ciò comporti una variazione delle loro
temperature. In realtà, se non s’interviene dall’esterno fornendo energia alla
sorgente calda e sottraendo energia alla sorgente fredda, per ogni ciclo
compiuto si ha come risultato una diminuzione della temperatura della
sorgente calda ed un aumento della temperatura della sorgente fredda. E’
chiaro, quindi, che ogni ciclo successivo avrà un rendimento sempre minore fin
quando le due sorgenti avranno la stessa temperatura e l’ulteriore ciclo avrà
un rendimento nullo. Ciò equivale ad una evoluzione delle due sorgenti verso
uno stato di equilibrio nel quale il sistema non è più in grado di produrre
lavoro.
Nello stesso modo si comportano tutti i sistemi materiali, i quali si evolvono
verso uno stato di equilibrio dal quale non possono allontanarsi
spontaneamente. Pertanto, dal ciclo di Carnot deve essere possibile ricavare
una funzione di stato in grado di descrivere l’evoluzione di un sistema verso lo
stato d’equilibrio.
Riprendendo in esame l’ultima equazione, è possibile scrivere:

Q 2 + Q1 Q T − T1 T
= 1+ 1 ≤ 2 = 1− 1 (9-7)
Q2 Q2 T2 T2

Q1 Q 2
+ ≤0 (9-8)
T1 T2

Per un ciclo infinitesimo di Carnot in cui il sistema assorbe la quantità di calore


dQ2 alla sorgente a temperatura T2 e cede la quantità di calore dQ1 alla
sorgente a temperatura T1, l’espressione precedente diventa:

dQ1 dQ 2
+ ≤0 (9-9)
T1 T2

E‘ sempre possibile sostituire ad una qualsiasi trasformazione ciclica un


insieme di cicli di Carnot; ciò equivale a sostituire la linea continua che
rappresenta la trasformazione originale con una spezzata. Aumentando il
numero di cicli la spezzata tende sempre più a coincidere con la curva ed al
limite per una serie infinita di cicli infinitesimi la spezzata si identifica con la
linea continua rappresentante la trasformazione.
Una qualsiasi
trasformazione ciclica può
essere sostituita da un
numero infinito di cicli di
Carnot. In tal caso, la
spezzata (in grassetto)
coincide con la linea
continua ed i tratti delle
trasformazioni adiabatiche
di due cicli successivi si
elidono perché percorsi in
senso opposto

Immagine 9.4.

Si ha pertanto

dQ i
∑i Ti
≤0 (9-10)

dQ
∫ T
≤0 (9-11)

Immagine 9.5.

Prendiamo in esame un sistema che compie un generico ciclo reversibile


costituito da due trasformazioni reversibili, come in figura, dallo stato iniziale a
quello finale e da quello finale a quello iniziale. Poiché l’integrale ciclico gode
della proprietà dell’additività, dall’equazione precedente possiamo scrivere:

f i
dQ rev ,if dQ rev ,fi

i
T
+∫
f
T
=0 (9-12)

L’integrale ciclico e, quindi la somma degli integrali, è uguale a zero in quanto


il ciclo è reversibile. Segue che

f i f f
dQ rev ,if dQ rev ,fi dQ rev ,if dQ rev ,fi

i
T
= −∫
f
T
;∫
i
T
=∫
i
T
(9-13)

f
dQ rev
In altri termini, poiché
i
T ∫ non dipende dal percorso che ha portato il

sistema dallo stato iniziale a quello finale, esso rappresenta la variazione di


una nuova funzione di stato denominata entropia S.
Per i processi reversibili la variazione di entropia ∆S tra lo stato iniziale i e
quello finale f è

f
dQ rev
∆S = S f − Si = ∫ (9-14)
i
T

Conoscendo come Q varia con T in una trasformazione reversibile, è possibile


mediante l’equazione precedente calcolare la variazione di entropia.
UNITA’ 10
ENTROPIA E CRITERI TERMODINAMICI DI EQUILIBRIO

10.1 Variazione di entropia nelle trasformazioni reversibili

Dalla equazione dS=dQ/T è semplice ricavare la variazione di entropia di gas


nelle trasformazioni isoterme, isocore, isobare e adiabatiche.

Trasformazione isoterma
Dal primo principio della termodinamica si ha:

dV
dE = 0 ; dQ = −dL = PdV = RT (10-1)
V
Vf
dV 1 V
∆S = S f − Si = ∫ RT ⋅ = R ln f (10-2)
Vi
V T Vi

Trasformazione isocora

Dal primo principio della termodinamica si ha:

dL = 0 ; dQ = dE = C V dT (10-3)
f
C V dT T
∆S = S f − Si = ∫ = C V ln f (10-4)
i
T Ti

Trasformazione isobara

Essendo

dQ P = C P dT (10-5)

f
C P dT T
∆S = S f − Si = ∫ = C P ln f (10-6)
i
T Ti

Trasformazione adiabatica

Essendo

dQ = 0 (10-7)
∆S = 0 (10-8)

Cambiamenti di fase e trasformazioni chimiche

Queste trasformazioni avvengono a pressione e temperatura costanti e la


quantità di calore coinvolta nella trasformazione corrisponde alla variazione di
entalpia del processo. Pertanto, se la trasformazione avviene in condizioni di
equilibrio, si ha

∆H
∆S = (10-9)
T

Link utili:
Grafico interattivo che illustra la variazione di entropia durante una espansione
isoterma.
(http://www.oup.co.uk/best.textbooks/chemistry/pchem7/living_graphs/P704E
07.html, è necessario avere Java installato)

10.2 Disuguaglianza di Clausius

Poniamo il caso che la trasformazione ciclica sia nel complesso irreversibile


perché formata da una parte reversibile ed una irreversibile. Per quanto già
visto si ha

f i
dQ irr ,if dQ rev ,fi

i
T
+∫
f
T
<0 (10-10)
f i f f
dQ irr ,if dQ rev ,fi dQ irr ,if dQ rev ,if

i
T
< −∫
f
T
; ∫i
T
<∫
i
T
(10-11)

Poiché l’ultimo integrale corrisponde alla variazione di entropia della


trasformazione, si ha

f
dQ irr
∆S = S f − Si > ∫ (10-12)
i
T

In generale

f
dQ
∆S = S f − Si ≥ ∫ (10-13)
i
T

in cui il segno di eguaglianza vale se la trasformazione è reversibile ed il segno


maggiore se la trasformazione è irreversibile. L’integrale viene definito
integrale di Clausius.
Importante: definiti gli stati iniziale e finale il ∆S è uno ed uno soltanto
indipendentemente dal tipo di trasformazione e dalla sua reversibilità o
irreversibilità. Se la trasformazione è reversibile il ∆S è uguale all’integrale se,
invece, la trasformazione è irreversibile, pur essendo possibile calcolare
l’integrale, esso non dà il valore della variazione di entropia.

Esempio
Un gas alla temperatura iniziale T occupa il volume Vi; esso si espande contro il
vuoto fino a raggiungere il volume Vf. Si può sperimentalmente osservare che
in tale trasformazione la temperatura non varia (∆T=0). Poiché nell’espansione
contro il vuoto (Pex=0) si ha L=0, anche Q=0; di conseguenza l’integrale di
Clausius è zero. Essendo la trasformazione chiaramente irreversibile, è che
∆S>0; questa è l’unica certezza che dalla trasformazione irreversibile possiamo
ricavare. Per calcolare il ∆S rivolgiamo la nostra attenzione allo stato iniziale ed
a quello finale della trasformazione: poiché in questi due stati la temperatura è
la stessa, possiamo immaginare di portare il gas da uno stato all’altro
mediante una trasformazione isoterma reversibile il cui ∆S è stato ricavato
nell’esempio del paragrafo precedente.

Esempio

Il ∆H di evaporazione dell’acqua a 100 °C è 40650 J/mole. Il ∆S a 100 °C è

∆H 40650
∆S = = = 109 J mol -1 K -1 (10-14)
T 373

10.3 Entropia e criteri termodinamici d’equilibrio

La disuguaglianza di Clausius

f
dQ
∆S ≥ ∫ (10-15)
i
T

dovrebbe potere essere usata per stabilire se un sistema si trova in condizioni


di equilibrio, e in tal caso il ∆S è uguale all’integrale di Clausius, oppure se si
sta evolvendo verso la condizione di equilibrio, e in tal caso il ∆S sarà
maggiore dell’integrale di Clausius. In realtà, per potere utilizzare la
disuguaglianza di Clausius allo scopo di prevedere se un sistema in
determinate condizioni sperimentali si trova o no in condizioni di equilibrio è
necessario da una parte calcolare il ∆S della trasformazione attraverso
trasformazioni reversibili che portano dallo stato iniziale a quello finale e
dall’altra fare avvenire sperimentalmente la trasformazione in modo da potere
calcolare l’integrale. E’ chiaro che questa impostazione non permette di
adoperare l’entropia come criterio termodinamico di equilibrio.
La difficoltà può essere superata se ci si chiede se è possibile prevedere la
spontaneità di una trasformazione in condizioni adiabatiche. In tali condizioni,
infatti, il sistema non può scambiare calore con l’ambiente circostante (Q=0)
sicché l’integrale di Clausius è zero e si ha

∆S ≥ 0 (trasformazione adiabatica) (10-16)

ciò significa che in condizioni adiabatiche ∆S = 0 se la trasformazione è


reversibile e ∆S > 0 se la trasformazione è irreversibile. Abbiamo finalmente,
trovato la grandezza termodinamica adatta a potere stabilire se un processo è
spontaneo o se è in condizioni di equilibrio.
Se è noto il ∆S di una trasformazione ad una data temperatura, è possibile
calcolare quello ad una temperatura differente se sono noti i CP di tutti i
prodotti e di tutti i reagenti adoperando lo schema già visto per la dipendenza
del ∆H dalla temperatura.

Esempio

Nell’esempio precedente è stato calcolato il ∆S per l’evaporazione dell’acqua a


100 °C e 1 atm. Se volessimo conoscere il ∆S della trasformazione ad una
temperatura differente

∆S(T1)
A+B C

∆SA ∆SB ∆SC

A+B C
∆S(T2)

∆S(T1 ) = S C (T1 ) − S B (T1 ) − S A (T1 ) (10-17)


∆S(T2 ) = S C (T2 ) − S B (T2 ) − S A (T2 ) (10-18)
T2 T2
C PA C PA
∆S A = S A (T2 ) − S A (T1 ) = ∫ dT ; S A (T2 ) = S A (T1 ) + ∫ dT (10-19)
T1
T T1
T

T2 T2
C PB C PB
∆S B = S B (T2 ) − S B (T1 ) = ∫ dT ; S B (T2 ) = S B (T1 ) + ∫ dT (10-20)
T1
T T1
T

T2 T2
C PC C PC
∆S C = S C (T2 ) − S C (T1 ) = ∫ dT ; S C (T2 ) = S C (T1 ) + ∫ dT (10-21)
T1
T T1
T

Sostituendo le tre ultime equazioni a destra nella seconda si ha

T2
C PC ⎧⎪ T2
C PB ⎫⎪ ⎧⎪ T2
CP ⎫⎪
∆S(T2 ) = S C (T1 ) + ∫ dT − ⎨S B (T1 ) + ∫ dT ⎬ − ⎨S A (T1 ) + ∫ A dT ⎬ =
T ⎪⎩ T ⎪⎭ ⎪⎩ T ⎪⎭
;
T1 T1 T1
(10-22)
T2
C PC − C PB − C PA T2
∆C P
{SC (T1 ) − S B (T1 ) − S A (T1 )} + ∫ dT = ∆S(T1 ) + ∫ dT
T1
T T1
T

nella quale ∆CP indica la differenza tra la somma dei calori molari a pressione
costante dei prodotti meno quella dei reagenti: ΣnpCPp - ΣnrCPr.

Esempio
Nell’esempio precedente è stato calcolato il ∆S per l’evaporazione dell’acqua a
373 K e 1 atm. Per calcolare il ∆S, ad esempio, a 423 K è necessario conoscere
i CP; i loro valori sono: 89.1 e 33.6 J K-1 mol-1 per l’acqua liquida e l’acqua
vapore, rispettivamente. Il S a 373 K è stato ricavato nell’esempio precedente
ed è ∆S373= 109 J K-1 mol-1. Il ∆S423 è

T2
= 109 + (33.6 − 89.1) ln
423
∆S 423 = ∆S 373 + ∆C P ln = 102 J K .-1 mol −1 ; (10-23)
T1 373

Avendo ∆CP e il ∆H a 373 K, dato nell’esempio precedente, è possibile calcolare


il ∆H a 423 K, questo dato non è, tuttavia, utile per il calcolo del ∆S a 423 K in
quanto a questa temperatura la formazione dell’acqua vapore è un processo
spontaneo e, quindi, ∆S423 > ∆H423/423. Infatti, si può calcolare che ∆H423 =
37875 J mol-1 e ∆H423/423 = 89.5 J K-1 mol-1. Come si può osservare
quest’ultimo valore è inferiore al ∆S423.

10.4 Entropia del sistema ed entropia dell’ambiente

In realtà subentra un altro problema: la condizione di adiabaticità non è utile in


quanto tutti i processi avvengono o si fanno avvenire in condizioni differenti,
generalmente a temperatura e pressione (o volume) costanti.
Per una trasformazione che avviene in condizioni di non adiabaticità durante la
trasformazione si ha uno scambio di calore tra sistema ed ambiente circostante
che determina non solo una variazione di entropia del sistema ma anche
dell’ambiente. Consideriamo ad esempio il passaggio di calore da un corpo
caldo ad uno freddo; supponiamo che dopo un certo tempo una quantità di
calore Q sia passata dal corpo caldo a quello freddo e che Q sia
sufficientemente piccolo da non modificare la temperature dei due corpi. La
variazione di entropia del corpo a temperatura più alta T2 è –Q/T2 mentre
quella del corpo a temperatura più bassa T1 è Q/T1. La variazione di entropia
dell’insieme dei due corpi è

Q Q T − T1
∆S = ∆S1 + ∆S 2 = − + =Q 2 >0; (10-24)
T2 T1 T2 T1

Essendo il trasferimento del calore da un corpo caldo ad uno freddo un


processo spontaneo la variazione di entropia totale è maggiore di zero come
effetto compensativo tra la diminuzione di entropia di un corpo e l’aumento di
entropia dell’altro.
Se consideriamo che l’ambiente che circonda il sistema può essere dilatato
quanto si vuole fino a includere tutto l’universo, per effetto delle trasformazioni
reversibili si ha effetto compensativo tra variazione di entropia del sistema e
dell’ambiente mentre per effetto delle trasformazioni irreversibili non si ha la
compensazione totale tra le due variazioni di entropia con il risultato che
l’entropia totale aumenta.
Se un sistema è soggetto ad una trasformazione, in generale si ha
∆S = ∆SS + ∆S A ≥ 0 ; (10-25)

in cui ∆SS rappresenta la variazione di entropia del sistema e ∆SA quella


dell’ambiente.
UNITÀ 11
ENTROPIA ASSOLUTA E TERZO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

11.1 Entropia e probabilità

E’ ora opportuno mettere in evidenza le relazioni che intercorrono tra la


funzione entropia e la probabilità di trovare un sistema in un determinato
stato. Si Supponga un sistema costituito da sei molecole di un gas ideale
contenute in un volume V; se si considera il volume V diviso idealmente in due
volumi uguali VA e VB, le sei molecole, che per effetto dell’agitazione termica
sono in continuo movimento, in un dato istante potranno distribuirsi in vario
modo tra i due volumi. Il numero di modi (Ω) con il quale la distribuzione può
essere realizzata sono

distribuzione I II III IV V VI VII


VA 6 5 4 3 2 1 0
VB 0 1 2 3 4 5 6
Ω 1 6 15 20 15 6 1
Tab. 11.1.

Se consideriamo le sei molecole distinguibili l’una dall’altra ed indicando con a,


b, c, d, e, f, ogni distribuzione può essere realizzata in differenti modi. Per
esempio, la distribuzione II può essere realizzata considerando che in VB sia
presente alternativamente la molecola a, la b, la c, la d, la e, la f e le restanti
cinque molecole in VB.

Il numero di modi con cui può essere realizzata una distribuzione si chiama
probabilità termodinamica e viene data dalla relazione

N!
Ω= (11-1)
n 1 ! n 2 ! n 3 ! n 4 !...n n !

Nella quale N rappresenta il numero totale di molecole ed n1, n2, n3,.... nn il


numero di molecole che, nei casi del tipo dell’esempio riportato, sono contenuti
nei volumi V1, V2, …Vn.Nel nostro esempio Ω = (n1+n2)!/n1!n2! e nel caso della
distribuzione III si ha Ω=(1x2x3x4x5x6)/(1x2x1x2x3x4)=15.

La probabilità matematica di una distribuzione (compresa tra 0 e 1) è .
∑Ω
Poiché un gas tende ad una condizione di equilibrio che nel caso di due volumi
uguali corrisponde ad una equa distribuzione di molecole, si può concludere
che lo stato termodinamico più probabile corrisponde a quella distribuzione che
può essere realizzata nel maggior numero di modi.
Supponiamo adesso di fare espandere a temperatura costante N molecole di
un gas ideale dal volume V1 al volume V2: Indicando con p la probabilità
termodinamica di una molecola nello spazio unitario, la probabilità
termodinamica di una molecola nel volume V1 è pV1 e quella nel volume V2 è
pV2; inoltre, la probabilità che due molecole si trovino nello stesso spazio
unitario è p2.
Pertanto, la probabilità Ω che N molecole si trovino nei volumi V1 e V2 è
rispettivamente

Ω1 = (pV1 ) (11-2)
N

Ω 2 = (pV2 ) (11-3)
N

Dal logaritmo del rapporto delle due probabilità moltiplicato una costante k si
ottiene

Ω2 V
k ln = kN ln 2 (11-4)
Ω1 V1

la quale è formalmente identica al ∆S relativo all’espansione di N molecole di


un gas ideale dal V1 a V2 se si identifica la costante k con la costante di
Boltzmann. Il legame funzionale tra l’entropia e la probabilità di esistenza di un
sistema è

Ω2
∆S = S 2 − S1 = k ln = k ln Ω 2 − k ln Ω 1 (11-5)
Ω1

Per una mole possiamo scrivere

S = kN ln Ω + costante (9-6)

L’entropia di un sistema è, quindi, una misura del disordine molecolare del


sistema.
Abbiamo visto che il ∆S del sistema è un criterio termodinamico di equilibrio
quando la trasformazione avviene in condizioni adiabatiche (sistema
termicamente isolato) e, quindi, in queste condizioni è il disordine molecolare
la forza trainante della trasformazione. Se durante la trasformazione il sistema
scambia calore con l’esterno il ∆S non è può più essere adoperato come criterio
termodinamico per stabilire la spontaneità del processo perché, evidentemente
anche l’entalpia riveste un ruolo importante in queste trasformazioni. Ciò ci
condurrà all’introduzione di una nuova grandezza termodinamica funzione di
stato.

11.2 Terzo principio della termodinamica

Abbiamo visto che per una trasformazione reversibile


f
dQ
∆S = S f − S i = ∫ (11-7)
i
T

Se lo stato iniziale corrisponde a T=0 e quello finale alla temperature generica


T ed indicando con So l’entropia a T=0, si ha

T T
dQ C
S = S0 + ∫ = S 0 + ∫ P dT (11-8)
0
T 0
T

E’ chiaro che nel caso di gas o di liquidi, per i quali esiste una temperatura
limite al di sotto della quale lo stato di aggregazione cambia (liquefazione o
solidificazione), il valore di So non ha significato fisico e rappresenta
semplicemente un valore estrapolato. Nel caso dei solidi, se in tutto l’intervallo
di temperatura il CP fosse costante o se variasse secondo l’equazione
polinomiale CP=a+bT+cT2…, come generalmente riportato, l’integrale
precedente non potrebbe essere risolto.

Numerosi studi sui solidi a bassa temperatura hanno mostrato che


all’avvicinarsi della temperatura allo zero assoluto il ∆S di qualsiasi processo
chimico o fisico tende a zero

lim ∆S = 0 (11-9)
T →0

Ciò significa che l’entropia allo zero assoluto di qualsiasi sostanza allo stato
solido è una quantità finita. In base al concetto già visto di probabilità
termodinamica si deve ammettere che a 0 K il sistema possa esistere in un
solo microstato con probabilità termodinamica unitaria; poiché detto stato
corrisponde ad uno cristallino perfetto, il terzo principio della termodinamica
recita che l’entropia allo zero assoluto dei solidi cristallini perfetti è uguale
indipendentemente dalla natura chimica del solido. Assumendo uguale a zero
l’entropia degli elementi nel loro stato cristallino più stabile ne deriva che
l’entropia di tutti i solidi cristallini perfetti è uguale a zero.

11.3 Entropie assolute

Dalla definizione di entropia (dS=dQ/T) per un processo a pressione costante si


ha dS/dT=CP/T e poiché abbiamo appena detto che l’entropia allo zero assoluto
è una quantità finita, si deve avere

⎛ dS ⎞ ⎛C ⎞
lim⎜ ⎟ = lim⎜ P ⎟ = costante (11-10)
⎝ ⎠ P T → 0⎝ T ⎠
T → 0 dT
in cui la costante può essere sia zero sia un valore finito diverso da zero.
Qualunque possa essere il valore finito della costante, perché l’ultima
equazione possa essere verificata è necessario che al tendere a zero della
temperatura anche il CP deve tendere a zero.

lim C P = 0 (11-11)
T →0

Con un approccio teorico Debye ha ricavato la seguente espressione per il CP


nell’intervallo di temperatura compresa tra 0 e 10-20 K (temperatura di Debye
TD)

C P = AT 3 (11-12)

in cui A dipende dalla natura chimica del composto.


La notevole importanza di questa ultima equazione risiede nel fatto che essa
permette di ottenere le entropie in valore assoluto. Infatti, essendo possibile
per una determinata sostanza misurarne il calore molare con buona precisione
fino appunto 10-20 K, da questi valori sperimentali si può calcolare il valore di
A; conosciuto A è possibile calcolare l’entropia a qualsiasi temperatura ed in
qualsiasi stato di aggregazione se sono noti i valori necessari di CP. Per
esempio, l’entropia assoluta può essere calcolata dall’area racchiusa riportando
in grafico CP/T in funzione di T (vedi figura) oppure analiticamente se sono noti
oltre ai CP anche le entalpie di transizione. Per un gas alla temperatura T
l’entropia assoluta viene calcolata con la seguente equazione

∆H f b C P ,L ∆H b
TD T T T
A3 f
C b
C P ,g
S= ∫ dT + ∫ P ,S dT + +∫ dT + +∫ dT (11-13)
0
T TD
T Tf Tf
T Tb Tf
T

ove TD, Tf e Tb indicano rispettivamente la temperatura di Debye, la


temperatura di fusione e la temperatura di ebollizione; CP,S, CP,L e CP,g
rappresentano i calori molari a pressione costante del solido, del liquido e del
gas mentre ∆Hf e ∆Hb indicano le entalpie di fusione e di ebollizione.
Andamento del CP e
dell’entropia in
funzione della
temperatura.

Immagine 11.1.

Per mezzo dell’ultima equazione, noti che siano i vari CP nei vari stati di
aggregazione e ∆H delle transizioni di fase coinvolte, è possibile calcolare
l’entropia assoluta di molte sostanze le quali sono usualmente tabulati alla
pressione di 1 atm (entropia standard S°) e a 25 °C. La quantità di valori
tabulati è stata e può essere ulteriormente estesa considerando che l’entropia
è una funzione di stato.
L’importanza dei valori tabulati risiede nel fatto che da essi e dalla conoscenza
del CP dei singoli componenti della trasformazione è possibile prevedere la
variazione di entropia di una qualsiasi trasformazione a qualsiasi temperatura e
ciò, come vedremo, sarà indispensabile per stabilire se una data
trasformazione in determinate condizioni sperimentali si evolve
spontaneamente.

Esempio

La variazione di entropia standard a 298 K per la formazione di CO2 è di 2.90 J


mole-1 K-1. Dai seguenti dati calcolare il ∆S° a 500 K della trasformazione
CO2(g) + CaO(s) CaCO3(s)

C(s) O2(g) CaO(s) CaCO3(s) CO2(g)


-1
S°298 (J K
5.74 205.14 39.75 92.80
mole-1)
CP (J K-1
-1 42.80 81.88 37.11
mole )
Tab. 11.2.

Per la trasformazione
C(s ) + O 2 (g ) → CO 2 (g ) (11-14)

∆S 0298 = S 0298 (CO 2 ) − S 0298 (O 2 ) − S 0298 (C ) ; S 0298 (CO 2 ) = −S 0298 (O 2 ) + S 0298 (C ) + ∆S 0298 (11-15)

S 0298 (CO 2 ) = 205.14 + 5.74 + 2.90 = 213.78 (11-16)

Per la trasformazione

CO 2 (g ) + CaO(s ) → CaCO 3 (s ) (11-17)

il ∆S° a 500 K è

∆S 500
0
= S 500
0
(CaCO 3 ) − S 500
0
(CO 2 ) − S 500
0
(CO) (11-18)

Le single entropie standard a 500 K possono essere calcolate da quelle a 298 K


dalle relazioni

500
C P (CaCO 3 )
S 0
500 (CaCO 3 ) = S (CaCO 3 ) + ∫
0
298 dT = 92.80 + 81.88 ln
500
= 135.17 (11-19)
298
T 298

500
C P (CaO )
0
S 500 (CaO) = S 0298 (CaO) + ∫ dT = 39.75 + 42.80 ln
500
= 61.90 (11-20)
298
T 298

500
C P (CO 2 )
S 0
500 (CO 2 ) = S (CO 2 ) + ∫
0
298 dT = 213.78 + 37.11 ln
500
= 232.98 (11-21)
298
T 298

∆S 500
0
= S 500
0
(CaCO 3 ) − S 500
0
(CO 2 ) − S 500
0
(CaO) = 135.17 − 232.98 − 61.90 = −159.71 (11-22)

Per la stessa trasformazione il ∆S°298 è -160.73

Si può facilmente ricavare la seguente relazione tra la variazione di entropia a


due differenti temperature

T
∆C P
∆S = ∆S + ∫ (11-23)
0 0
T T0
dT
T0
T

in cui, come visto nelle entalpie, ∆CP = ΣCP(prodotti)-ΣCP(reagenti).


SOLUZIONI AGLI ESERCIZI DELL’UNITA’ 3.12.1.

2.12.2. Soluzione Quesito n. 1

Si calcoli il ∆S per il riscaldamento isobarico di una mole di N2 da 300 K a 1000


K.
cp = 6.4492 + 1.4125 · 10-3 T – 0.807·10-7 T2.

Risoluzione:

La variazione di entropia in una trasformazione è definita tramite la relazione


(9-14).

f
dQ rev
∆S = S f − Si = ∫ (9-14)
i
T

Il calore scambiato durante una trasformazione a pressione costante non è


altro che il ∆H e la sua dipendenza dal cp è definita tramite la (7-18)

T2

∆H(T2 ) = ∆H(T1 ) + ∫ ∆C P dT (7-18)


T1

Combinando le due equazioni, si ottiene

f
dQ rev
Tf
c p dT 1000 K 6.4492 + 1.4125 ⋅ 10 −3 T − 0.807 ⋅ 10 −7 T 2
∆S = ∫ = ∫n = ∫ dT (12-1)
i
T Ti
T 300 K
T

L’integrale al secondo membro può essere suddiviso in più termini, che


possono essere facilmente risolti singolarmente

1.4125 ⋅10 −3 T 0.807 ⋅10 −7 T 2


1000 K 1000 K 1000 K
6.4492
∆S = ∫ dT + ∫ dT − ∫ dT =
300 K T 300 K T 300 K T
0.807 ⋅10 − 7 (12-2)
= 6.4492 ⋅ ln
1000
300
+ 1.4125 ⋅10 − 3 (1000 − 300 ) −
2
(
1000 2 − 300 2 = )
−1
= 7.76 + 0.99 − 0.04 = 8.71 cal K mol -1
2.12.3 Soluzione Quesito n. 2

Si calcoli il ∆S per il processo:

H2O(l) H2O(v)

20 °C 250 °C
1 atm 1 atm

Sapendo che cp(l) = 18.0 cal K-1 mol-1, cp(v) = 8.6 cal K-1 mol-1 e ∆Hev (100°C,
1 atm) = 9720 cal mol-1.

Risoluzione:

È possibile pensare che il processo sia costituito da più stadi:

∆S1 ∆S2 ∆S3


H2O(l) H2O(l) H2O(v) H2O(v)

20 °C 100 °C 100 °C 250 °C


1 atm 1 atm 1 atm 1 atm

La variazione di entropia totale sarà data dalla somma delle variazioni di


entropia nei singoli processi

∆S = ∆S1 + ∆S 2 + ∆S 3 (12-3)

Tramite la (9-14) è possibile calcolare la variazione di entropia di un processo


tramite il calcolo di un semplice integrale.
Il primo processo è il riscaldamento dell’acqua liquida a pressione costante per
il quale sarà

dQ rev f ∆H(T ) 2 c p (l )
f T
T
dT = c p (l ) ⋅ ln 2 = 18.0 ⋅ ln
373
∆S1 = ∫ =∫ =∫ = 4.34 cal K 1 mol -1 (12-4)
i
T i
T T1
T T1 293

Per il secondo processo, l’evaporazione dell’acqua, che avviene a temperatura


e pressione costanti si avrà semplicemente:

∆H ev 9720 cal mol -1


∆S 2 = = = 26.06 cal K -1 mol −1 (12-5)
Tev 373 K

Il terzo processo è nuovamente un riscaldamento isobarico senza alcun


passaggio di fase. L’espressione è, quindi, la stessa della (12-4) ma al posto d
cp(l) bisogna usare cp(v):
T2
c p (v ) T2
dT = c p (v ) ⋅ ln
523
∆S 3 = ∫
T1
T T1
= 8.6 ⋅ ln
373
= 2.91 cal K 1 mol -1 (12-6)

Il ∆S totale sarà, quindi,

∆S = (4.34 + 26.06 + 2.91) cal K 1 mol -1 = 33.31 cal K 1 mol -1 (12-7)

2.12.4. Soluzione Quesito n. 3

Si calcoli la variazione di entropia quando due moli di acqua liquida a 0 °C ed 1


atm passano allo stato di vapore a 200 °C e 3 atm. ∆Hev (100 °C, 1 atm) =
9720 cal mol-1. cp(l)=18.0 cal K-1 mol-1, cp(v) = 8.6 cal K-1 mol-1.

Risoluzione:

È possibile pensare che il processo sia costituito da più stadi:

∆S1 ∆S2 ∆S3 ∆S4


H2O(l) H2O(l) H2O(v) H2O(v) H2O(v)

0 °C 100 °C 100 °C 200 °C 200 °C


1 atm 1 atm 1 atm 1 atm 3 atm

E la variazione totale di entropia come la somma delle variazioni dei singoli


stadi

∆S = ∆S1 + ∆S 2 + ∆S 3 + ∆S 4 (12-8)

Dalla (9-14) è possibile calcolare le variazioni dei singoli stadi.

Il primo è il riscaldamento a pressione costante dell’acqua liquida per il quale


vale la relazione:

f
dQ rev 2
c p (l )
T
T
dT = 2c p (l ) ⋅ ln 2 = 2 ⋅ 18.0 ⋅ ln
373
∆S1 = ∫ = ∫n = 11.24 cal K 1 (12-9)
i
T T1
T T1 273

Il secondo stadio è la transizione dalla fase liquida a quella vapore a


temperatura e pressioni costanti, conoscendo il ∆Hev si può facilmente ricavare
la variazione di entropia del processo
∆H ev 9720 cal mol -1
∆S 2 = = 2⋅ = 52.12 cal K -1 (12-10)
Tev 373 K

Il terzo stadio è nuovamente un riscaldamento isobarico:

T2
∆S 3 = 2 ⋅ c p (v ) ⋅ ln
473
= 2 ⋅ 8.6 ⋅ ln = 4.08 cal K 1 (12-11)
T1 373

Il quarto stadio è una compressione isoterma. In questo caso il calore


scambiato è pari al lavoro cambiato di segno, come espresso dalla (6-2)

Vf
Q = −L = ∫ PdV (6-2)
Vi

La variazione di entropia viene espressa dalla relazione:

nRT
Pf Pf Vf
dQ PdV nR V P 1
∆S 4 = ∫ =∫ =∫ dV = nR ln f = nR ln f = 2 ⋅ 1.98 ⋅ ln = −4.35 cal K -1
Pi
T Pi T Vi
V Vi nRT 3 (12-12)
Pi

Ed in totale si ha:

∆S = (11.24 + 52.12 + 4.08 − 4.35) cal K -1 = 63.09 cal K -1 (12-13)

2.12.5. Soluzione Quesito n. 4

Si calcoli la variazione di entropia quando una mole di gas monoatomico ideale


che occupa un volume di 2.42 L a 300 K viene fatta espandere
adiabaticamente ed irreversibilmente contro una pressione esterna costante
fino ad un volume di 3.94 L.

Risoluzione:

Essendo l’entropia una funzione di stato, è possibile pensare il processo come


la somma di due trasformazioni: una espansione isoterma e una
trasformazione isocora, come schematizzato in figura
T1

isoterma

P adiabatica
T1
isocora

T2

V
La variazione globale di entropia sarà quindi data dalla somma delle variazioni
delle singole trasformazioni

∆S = ∆S1isoterma + ∆S isocora
2
(12-14)

Per il primo processo il calore scambiato coincide con il lavoro cambiato di


segno come espresso dalla (6-12):

Vf
Q = −L = ∫ PdV (6-2)
Vi

L’entropia, quindi, sarà data dalla espressione

Vf V V
dQ f PdV f
nR Vf
∆S1 = ∫V T V∫ T V∫ V dV = nR ln Vi =
= =
i i i
(12-15)
(
= (1 mol) ⋅ 8.31 J K mol -1 −1
)ln ((32..94 L)
42 L )
= 4.05 J K -1

Per il secondo processo, è necessario conoscere la temperatura finale.


Essendo la trasformazione globale condotta in maniera adiabatica, il calore
scambiato è nullo e la variazione di energia interna è pari al lavoro. In
particolare, secondo la (6-13)

∆E = L = nC V ∆T (6-13)

Il lavoro compiuto durante una espansione contro una pressione esterna


costante constante è dato dalla relazione (5-8).
L = −Pex (Vf − Vi ) (5-8)

Combinando le due precedenti relazioni si ottiene quindi

n ⋅ C V (Tf − Ti ) = −Pex (Vf −V i ) (12-16)

Per un gas ideale monoatomico i gradi di liberta sono tre e secondo la relazione
(6-11)

R
CV = f (6-11)
2

È quindi possibile ricavare la temperatura finale Tf sostituendo a Pex il valore


ottenibile tramite l’equazione di stato dei gas perfetti e riordinando l’equazione
(12-14).

3 3
R ⋅ 300 ⋅ 300
C V Ti 2 2
Tf = = = = 238.6 K (12-17)
⎛ Vi ⎞ 3 ⎛ 2.42 ⎞ 3 ⎛ 2.42 ⎞
C V + R ⎜⎜1 − ⎟ R + R ⎜1 − ⎟ + ⎜1 − ⎟
⎝ V f ⎟⎠ 2 ⎝ 3.94 ⎠ 2 ⎝ 3.94 ⎠

Il calore scambiato sarà quindi dato dalla relazione (6-3).

Q V = nC V ∆T (6-3)

Si avrà quindi che

T2 T
dQ 2 nC V dT T
∆S 2 = ∫ =∫ =nC V ln 2 =
T T! T T1
(12-18)
T!

( )
= (1 mol) ⋅ 8.31 J K -1 mol −1 ln
3 (238.6 K ) = −2.85 J K -1
2 (300 K )
La variazione globale allora sarà:

∆S = ∆S1isoterma + ∆Sisocora
2 ( ) ( )
= 4.05 J K -1 + − 2.85 J K -1 = 1.2 J K -1 (12-19)
2.12.6. Soluzione Quesito n. 5

Si calcoli di quanto varia l’entropia dell’universo quando una mole di acqua


solidifica alla temperatura di -10 °C e la pressione di 1 atm sapendo che
Sapendo che cp(l) = 18.0 cal K-1 mol-1, cp(s) = 8.9 cal K-1 mol-1 e ∆Hsol (263 K,
1 atm) = -1343 cal mol-1.

Risoluzione:

La variazione di entropia dell’universo è data dalla somma della variazione di


entropia dell’ambiente e del sistema (10-25)

∆S = ∆SS + ∆S A ≥ 0 ; (10-25)

Il calore scambiato che l’ambiente ha ricevuto dal sistema è quello scambiato a


-10 °C e di conseguenza:

∆H 263 1343 cal (12-20)


∆S A = − = = 5.11 cal K -1
T263 263 K

Essendo l’entropia una funzione di stato, è possibile pensare il processo come


la somma di tre processi distinti e la variazione di entropia del sistema come
la somma delle variazioni nei singoli processi:

∆ S1 ∆ S2 ∆S3
H2O(l) H2O(l) H2O(s) H2O(s)

-10 °C 0 °C 0 °C -10 °C
1 atm 1 atm 1 atm 1 atm

∆S S = ∆S1 + ∆S 2 + ∆S 3 (12-21)

La prima trasformazione è il riscaldamento isobarico dell’acqua liquida e sarà

f
dQ rev
T2
c p (l ) T
dT = c p (l ) ⋅ ln 2 = 18.0 ⋅ ln
273
S1 = ∫ = ∫n = 0.67 cal K 1 (12-22)
i
T T1
T T1 263

Il secondo stadio è la transizione dalla fase liquida a quella solida (ghiaccio) a


temperatura e pressioni costanti. Per conoscere il valore ∆H273 si può impiegare
la (7-18)
T2

∆H(T2 ) = ∆H(T1 ) + ∫ ∆C P dT (7-18)


T1

Poiché i cp si sono considerati costanti, si ottiene

∆H 273 ∆H 263 + (c p (s ) − c p (l )) − 1437 cal (12-


∆S 2 = = = = -5.26 cal K -1
Tsol Tsol 273 K 23)

Il terzo stadio è nuovamente un riscaldamento isobarico:

T2
∆S 3 = c p (s ) ⋅ ln
263
= 8.9 ⋅ ln = −0.33 cal K 1 (12-24)
T1 273

In totale quindi si avrà che

(
∆S = ∆SS + ∆S A = (0.67 − 5.26 − 0.33) cal K -1 + 5.11 cal K -1 = 0.19 cal K -1) (12-25)

2.12.7. Soluzione Quesito n. 6

Si calcoli la variazione di entropia molare per il mescolamento di 100 mL di O2


e 400 mL di N2 a 17 °C e 1 atm. Si consideri il comportamento di entrambi i
gas ideale.

Risoluzione:

Il numero di moli di O2 e di N2 è ricavabile dalla equazione di stato dei gas


perfetti

n O2 =
PV (1 atm ) ⋅ (0.1 L ) = 4.2 ⋅ 10 −3 mol
(
RT 0.082 atm L K mol (290 K )
-1 -1
)
(12-26)
=
PV (1 atm ) ⋅ (0.4 L ) = 0.016 mol
( )
n N2
RT 0.082 atm L K -1 mol -1 (290 K )

Le frazioni molari corrispondenti sono

n O2 4.2 ⋅ 10 −3
X O2 = = = 0.21
n O2 + n N2 4.2 ⋅ 10 −3 + 0.016
n N2 0.016 (12-27)
X N2 = = = 0.79
n O2 + n N2 4.2 ⋅ 10 −3 + 0.016

E le pressioni parziali di O2 ed N2 allo stato finale sono


p O2 = X O2 ⋅ P ; p N2 = X N2 ⋅ P (12-28)

Poiché il processo che avviene a temperatura costante, la variazione di


entropia per O2 ed N2 sono date dalle relazioni

pf
n 0 2 p O 2 dV Vf p
∆S O 2 =
pi
∫ T
=n 0 2 R ln
Vi
= −n 0 2 R ln f
pi
pf (12-29)
n N 2 p N 2 dV V p
∆S N 2 = ∫
pi
T
=n N 2 R ln f = −n N 2 R ln f
Vi pi

Per ognuno dei due gas la pressione iniziale, Pi è pari a 1 atm mentre quella
finale è la rispettiva pressione parziale. Le (12-29), allora, possono essere
riscritte come segue

pf X O2 P
∆S O 2 = −n 0 2 R ln = −n 0 2 R ln = −n 0 2 R ln X O 2
pi pi
(12-30)
p X N2 P
∆S N 2 = −n N 2 R ln f = −n N 2 R ln = −n N 2 R ln X N 2
pi pi

E quindi

∆S = ∆S O 2 + ∆S N 2 = −n 0 2 R ln X O 2 − n N 2 R ln X N 2 (12-31)

Per una mole di miscela sarà

∆S
∆S M = = −X 02 R ln X O 2 − X N 2 R ln X N 2 = − R ∑ X i ln X i =
n 02 + n N 2 (12-32)
(
= − 8.31 J K mol
-1 -1
) (0.21 ⋅ ln 0.21 + 0.79 ⋅ ln 0.79) = 4.10 J K -1
mol -1
UNITA’ 13
Energia Libera di Gibbs ed equilibrio chimico

13.1 Energia libera

Abbiamo visto che la variazione di entropia totale (sistema + ambiente) è in


grado di prevedere e giustificare l’evoluzione di un sistema termodinamico.
Tuttavia, mentre è sempre possibile conoscere il ∆S del sistema, la conoscenza
di quello dell’ambiente spesso presenta delle difficoltà. E’, indubbiamente, più
conveniente adoperare quale criterio termodinamico d’equilibrio la variazione di
una grandezza termodinamica funzione di stato che abbia la caratteristica di
essere riferita soltanto al sistema. La constatazione che la variazione del
disordine molecolare (in assenza di scambi energetici tra sistema ed ambiente)
e la variazione di energia del sistema (in particolari condizioni) possono da sole
giustificare l’evoluzione spontanea dei sistemi non lascia alcun dubbio che la
funzione di stato ricercata debba essere correlata ad entrambe. Inoltre, è da
tenere presente che energia ed entropia agiscono in senso opposto, cioè per un
processo spontaneo è necessario che vi sia una diminuzione di energia e/o un
aumento di entropia. La grandezza termodinamica funzione di stato che tiene
conto di quanto detto, si chiama Energia Libera. Poiché l’energia che può
essere presa in esame può essere o l’energia interna o l’entalpia, abbiamo due
tipi di energia libera: energia libera di Gibbs G e energia libera di Helmotz F,
date dalle seguenti espressioni:

F = E − TS (13-1)

G = H − TS = E + PV − TS (13-2)

nelle quali tutte le grandezze sono riferite al sistema.

L’energia libera, così definita rappresenta la fusione del primo principio della
termodinamica, che definisce le proprietà dell’energia interna e dell’entalpia,
con il secondo principio, che definisce le proprietà dell’entropia.
13.2 Energia libera e criteri termodinamici di equilibrio

E’ stato visto che se un sistema è soggetto ad una trasformazione, la


variazione di entropia totale si in termini infinitesimi è

dS t = dSs + dS a ≥ 0 (13-3)

Sia dQ la quantità di calore assorbita dal sistema, ovviamente –dQ è la


quantità di calore ceduta dall’ambiente. Dato che l’ambiente ha una grande
capacità di cedere o assorbire calore, indipendentemente che la trasformazione
del sistema sia reversibile o no, possiamo assumere che l’ambiente cede o
assorba calore in condizioni di reversibilità; possiamo quindi scrivere

dQ
dS a = − (13-4)
T

introducendo questa ultima equazione nella precedente e tenendo conto del


primo principio della termodinamica nel quale il lavoro preso in esame è solo di
tipo meccanico (dQ = dE + PdV) si ha

dQ
dSs − ≥ 0 ; TdS s − dQ ≥ 0 (13-5)
T

TdS − dE − PdV ≥ 0 ; − TdS + dE + PdV ≤ 0 ; − TdS + dE ≤ −PdV 0 (13-6)

nell’ultima equazione il pedice s è stato tolto in quanto tutte le quantità sono


riferite al sistema.

Dalle equazioni (13-1) e (13-2) le variazioni infinitesime di G e F sono

dG = dE + PdV + VdP − TdS − SdT ; dF = dE − TdS − SdT (13-7)

− TdS + dE + PdV = dG − VdP + SdT ; − TdS + dE = dF + SdT (13-8)

Tenendo conto delle equazioni (13-6) si ha

dG ≤ VdP − SdT ; dF ≤ PdV − SdT (13-9)

nelle quali l’uguaglianza è valida per le trasformazioni reversibile e la


disuguaglianza per le trasformazioni irreversibili.
Per processi a temperatura e pressione costanti si ha
dG ≤ 0 (13-10)

mentre per processi a volume e temperatura costanti si ha

dF ≤ 0 (13-11)

Poiché le trasformazioni in condizione di temperatura e pressione costanti sono


sicuramente le più diffuse, l’energia libera di Gibbs è più adoperata di quella di
Helmotz. Nel prosieguo tratteremo soltanto l’energia libera di Gibbs ben
sapendo che le due funzioni sono concettualmente equivalenti.
L’eq. (13-10) (ma anche l’eq. 13-11) rappresenta il criterio termodinamico
d’equilibrio cercato in quanto basato su una grandezza funzione di stato che
dipende esclusivamente dal sistema e le cui limitazioni (pressione e
temperatura del sistema debbono essere costanti) non rappresentano una
effettiva limitazione in quanto la quasi totalità delle trasformazioni naturali
avvengono in queste condizioni.
Per esempio, è noto che acqua liquida ed acqua vapore sono in equilibrio alla
temperatura di 100 °C ed alla pressione di 1 atm. In queste condizioni la
variazione di energia libera è zero. Se consideriamo lo sesso equilibrio a
temperatura più grande di 100 °C e 1 atm, allora si trova che la variazione di
energia libera è minore di zero (equilibrio spostato verso la formazione
dell’acqua vapore); se la temperatura è minore di 100 °C la variazione di
energia libera è maggiore di zero (equilibrio spostato verso la formazione
dell’acqua liquida).
13.3 Dipendenza dell’energia libera di Gibbs dalla temperatura e dalla
pressione

Se una trasformazione avviene in condizioni di reversibilità l’eq. (13-9) prende


la forma

dG = VdP − SdT (13-12)

Per valutare la variazione di energia libera del sistema al variare di P e T (è


chiaro che se variano uno o entrambi i parametri l’energia libera non è più un
criterio termodinamico d’equilibrio) è necessario conoscere la dipendenza di V
da P e di S da T. Per studiare l’effetto della temperatura e della pressione
sull’energia libera prendiamo in esame una sostanza nei vari stati di
aggregazione mantenendo costante la pressione o la temperatura. È evidente
che nei due casi si ha:

⎛ dG ⎞ ⎛ dG ⎞
⎜ ⎟ =V; ⎜ ⎟ = −S (13-13)
⎝ dP ⎠ T ⎝ dT ⎠ P

Poiché sia il volume che l’entropia sono quantità positive, indipendentemente


dallo stato di aggregazione della sostanza G aumenta all’aumentare della
pressione e diminuisce all’aumentare della temperatura. Inoltre, le pendenze di
G in funzione sia di P che di T cambiano con lo stato di aggregazione in quanto
sia l’entropia (sempre) che il volume (quasi sempre) aumentano nell’ordine
Vg>Vl>Vs e Sg>Sl>Ss

Andamento dell’energia libera di Gibbs in funzione della pressione e della


temperatura per i tre stati del materia.

Variazione dell’energia libera di Gibbs nelle trasformazioni dei gas


Cerchiamo adesso di applicare i concetti già acquisiti ai vari tipi di
trasformazione cui può essere soggetto un gas. Richiamiamo alla memoria che
se un gas, posto in un recipiente chiuso, è soggetto ad una trasformazione P e
T non possono essere contemporaneamente costanti; in tali condizioni la
variazione di energia libera non è un criterio termodinamico d’equilibrio.
Tuttavia, l’energia libera continua ad essere una funzione di stato e, pertanto,
la sua variazione può essere calcolata prendendo in esame una trasformazione
reversibile che porti dallo stato iniziale a quello finale fissati. A questo scopo
vanno utilizzate le equazioni (13-12) e (13-13).

Trasformazione isoterma
A temperatura costante la variazione di energia libera è dG=VdP e, pertanto,
indicando con i lo stato iniziale in cui la pressione è Pi e con f lo stato finale in
cui la pressione è Pf, per una mole di gas si ha

Pf
Pf
G f − G i = ∫ VdP = RT ln = RT ln Pf − RT ln Pi (13-14)
Pi
Pi

Se la pressione nello stato iniziale è di 1 atm ed indicando con G° l’energia


libera di una mole del gas a questa pressione, dall’equazione precedente
deriva

G = G 0 + RT ln P (13-15)

Indipendentemente dal valore della temperatura, G° rappresenta l’energia


libera alla pressione unitaria ed è denominato energia libera standard. In altre
parole, per ogni gas il valore di G° dipende dalla temperatura.

Trasformazione isobara

A pressione costante la variazione di energia libera è dG = -SdT; indicando con


Ti la temperatura nello stato iniziale e con Tf quella nello stato finale si ha

Tf

G f − G i = − ∫ SdT (13-16)
Ti

Poiché S, come visto in precedenza, è una funzione della temperatura


attraverso i calori molari, l’integrale dell’eq. (13-16) dipende da come S è
correlato a T.

Trasformazione isocora

Poiché né P né T sono costanti, dall’eq. (13-12) si ha


Tf Tf

G f − G i = V(Pf − Pi ) − ∫ SdT = R (Tf − Ti ) − ∫ SdT (13-17)


Ti Ti

Trasformazione adiabatiche

In queste trasformazioni Q=0 e, quindi, ∆S=0 ossia S = costante. Dall’eq. (13-


12) si ha

Pf Tf

G f − G i = ∫ VdP = − ∫ SdT (13-18)


Pi Ti

La soluzione del secondo integrale è semplice in quanto essendo S costante


esso è uguale a S(Tf-Ti); la soluzione del primo integrale è più complessa in
quanto la dipendenza del volume dalla pressione è data dalla legge di stato per
le trasformazioni adiabatiche, cioè PVγ=costante e P1/γV=costante

⎛⎜ 1− 1 ⎞⎟
Pf Pf Pf γ⎠
cos tan te −1 P⎝
∫ VdP = ∫ dP = cos tan te ∫ P γ
1
dP = cos tan te PiPf (13-19)
γ 1
Pi Pi P Pi 1−
γ

Poiché γ= CP/CV e CP-CV=R, la quantità 1-1/γ = R/CP che può essere inglobata
nella costante e, pertanto, si ha

Pf
⎛ R CP R
CP ⎞
∫P VdP = cos tan te⎜

Pf − Pi ⎟

(13-20)
i

La costante può essere calcolata conoscendo il CP (e quindi CV e γ) del gas e la


pressione ed il volume del gas nello stato iniziale o in quello finale.

Trasformazione fisiche e chimiche

In queste trasformazioni si ha o un trasferimento di moli del componente da


uno stato di aggregazione all’altro (processi fisici) o una scomparsa di moli di
reagenti e la formazione di moli di prodotti (processi chimici). Per discutere la
variazione di energia libera in detti processi è necessario introdurre prima i
concetti che saranno visti nella prossima unità.
UNITA’ 15
IL POTENZIALE CHIMICO

15.1 Stati standard

Nell’unità precedente è stata ricavata la dipendenza dell’energia libera di un


gas ideale a temperatura costante dalla pressione

G = G 0 + RT ln P (15-1)

in cui l’energia libera standard G° corrisponde all’energia libera del sistema


quando la pressione è unitaria e ciò indipendentemente dall’unità di misura in
cui è espressa la pressione (atm, mmHg, N/m2, …). Ciò non significa che il
valore di G cambia a seconda dell’unità di misura adoperata per P; cambia,
invece, il valore di G°, il quale dipende dall’unità di misura di P. Per esempio,
poiché 1 atm = 760 mmHg, dall’eq. (15-1) è facile trovare la correlazione tra il
G° nelle due unità di misura

G = G 0atm + RT ln Patm = G 0atm + RT ln(760 × PmmHg ) = G 0atm + RT ln 760 + RT ln PmmHG (15-2)

Poiché è possibile scrivere

G = G 0mmHg + RT ln PmmHg (15-3)

dal confronto tra le due ultime equazioni si ricava

G 0mmHg = G 0atm + RT ln 760 (15-3)

Inoltre, la legge di stato dei gas ideali può essere scritta nella forma P = RT
(n/V), nella quale n/V, numero di moli nell’unità di volume viene definita
concentrazione c. Pertanto, l’energia libera di una mole di gas può essere
scritta nella forma

G = G 0P + RT ln RT + RT ln c (15-4)

Prendendo la concentrazione unitaria come stato standard, l’energia libera del


gas può essere scritta nella forma

G = G 0c + RT ln c (15-5)
Dal confronto tra le due ultime equazioni si ricava

G 0c = G 0P + RT ln RT (15-6)

Per esempio, 0.1 moli di un gas alla temperatura di 300 K ed alla pressione di
2 atm occupano un volume di 125 L; supponiamo che l’energia libera del gas in
dette condizioni sia di 1000 J mol-1. L’energia libera standard quando la
pressione è espressa in atmosfere e in mmHg e in termini di concentrazione
sono rispettivamente

( ) ( )
G 0atm = G − RT ln Patm = 1000 J mol -1 − 8.31 J K -1mol -1 × 300 K ln 2 = −728 J mol -1 (15-7)

G 0mmHg = G − RT ln PmmHg =
(15-8)
( ) ( )
= 1000 J mol -1 − 8.31 J K -1 mol -1 × 300 K ln(2 × 760) = −17265 J mol -1

G 0c = G − RT ln c =
(15-9)
( ) ( )
= 1000 J mol -1 − 8.31 J K -1 mol -1 × 300 K ln
0.1
125
= 18777 J mol -1

Come si può osservare, in questo caso i G° non solo sono numericamente


molto differenti ma possono avere anche segno opposto.

Dato che, come sarà visto successivamente, è possibile scrivere la


concentrazione in altre forme si hanno altre definizioni di G°.
G°c=18800 J/mole

RT ln c

G=1000 J/mole

RT ln Patm
G°atm= -728 J/mole

RT ln PmmHg

G°mmHg= -17265 J/mole

Immagine 15.1.

15.2 Energia libera nei sistemi aperti

Innanzitutto ricordiamo che l’energia libera è una grandezza estensiva, cioè


una grandezza il cui valore dipende dalla quantità di sostanza. Così, per
calcolare l’energia libera di n moli di gas possono essere adoperate tutte le
equazioni riportate in precedenza per una mole di gas essendo sufficiente
moltiplicarle per n.

Prendiamo adesso in esame un sistema costituita da più di un componente e,


per semplicità, supponiamo che il sistema sia costituita da due gas ideali A e B.
E’ chiaro che in questo caso l’energia libera del sistema sarà la somma delle
energie libere dei due componenti. Indicando con Gm l’energia libera di una
mole, l’energia libera del sistema è

G = n A G m .A + n B G m .B (15-10)

nella quale l’energia libera molare di ciascun gas dipende dalla sua pressione
parziale

G m .A = G 0m .A + RT ln p A (15-11)
Come si vede, l’energia libera standard rappresenta l’energia libera di una mole
di gas quando la sua pressione parziale è unitaria. Dalla legge di Dalton la
pressione parziale è uguale al prodotto della frazione molare per la pressione
totale, dall’equazione precedente si ha

G m .A = G 0m .A + RT ln P + RT ln X A (15-11)

Abbiamo visto che la natura del gas non ha alcun ruolo nell’equazione di stato
dei gas ideali sicché se n moli di gas occupano un volume V alla temperatura T
esse eserciteranno una pressione P che non è influenzata dal fatto che le n
moli siano del gas A o del gas B o di una loro miscela. In definitiva, l’energia
molare dei singoli componenti dipende dalla composizione della miscela.
L’effetto della composizione sull’energia libera di un sistema a più componenti
è particolarmente rilevante quando il sistema si trova in fase liquida; per
semplicità, consideriamo che una soluzione e sia c la concentrazione del soluto.
Il sistema è analogo a quello di un gas contenuto in un recipiente e, pertanto,
per entrambi i componenti soluto e solvente è possibile applicare l’eq. (15-10);
tuttavia è decisamente più utile esprimere la concentrazione del solvente nella
scala delle frazioni molari X in quanto lo stato standard corrisponde a quello
del solvente puro X = 1.
In una soluzione, per il soluto si ha:

G m .sl = G 0 + RT ln c (15-12)

mentre per il solvente

G m .sv = G 0 + RT ln X (15-13)

Da queste equazioni mediante l’eq. (15-10) dovrebbe essere possibile calcolare


l’energia libera della soluzione. In realtà, nell’aggiunta di un soluto ad un
solvente si hanno delle interazioni tra i due componenti sicché il sistema non è
confrontabile a quello costituito dalla miscela di gas ideali. In generale, in un
sistema aperto, nel quale si ha una variazione della materia, l’eq. (15-10) non
è più valida. Nel prossimo paragrafo sarà visto come detta equazione viene
modificata.

15.3 Grandezze parziali molari


Si può sperimentalmente verificare che nel mescolamento di due differenti
liquidi il volume risultante è generalmente differente dalla somma dei volumi
dei due liquidi, cioè il mescolamento può produrre una contrazione oppure un
aumento di volume. L’eccesso di volume è ovviamente dovuto alle interazioni
tra i due liquidi ma risulta impossibile stabilire quale sia la frazione dell’eccesso
attribuibile all’uno o all’altro liquido. Comunque sia, il volume della soluzione
non è dato dalla somma dei volumi dei due liquidi, ossia dalla somma tra i
prodotti dei volumi molari ed il numero di moli

V ≠ n A Vm ,A + n B Vm ,B (15-14)

Supponiamo di aggiungere una mole di acqua in un recipiente contenente una


grande quantità di etanolo: il volume aumenta di 18 cm3 che è il volume
molare dell’acqua. Se, invece il recipiente contiene una grande quantità di
etanolo, l’aggiunta di una mole di acqua determina un aumento del volume di
15 cm3. La differente variazione di volume è giustificata dal fatto che l’acqua
ha naturalmente un certo grado di strutturazione “a grande volume”,
strutturazione che perde quando è dispersa nell’etanolo.
Si definisce volume parziale molare V di un componente la variazione di
volume che determina l’aggiunta di una sua mole ad una quantità di una
miscela tanto grande da non determinarne una variazione della composizione.
La definizione matematica di quanto detto è la seguente:

⎛ ∂V ⎞
V i = ⎜⎜ ⎟⎟ (15-15)

⎝ i ⎠ P ,T ,n j
n

cioè, il volume parziale molare del componente i corrisponde al coefficiente


angolare della curva del volume della soluzione in funzione di ni quando sono
mantenuti costanti la pressione, la temperatura e il numero di moli degli altri
componenti.

Grafico del volume di soluzione in


funzione della composizione nel quale
si evidenzia la corrispondenza fra la
pendenza ed il volume parziale
molare.
Andamento dei volumi parziali molari
dei singoli componenti in funzione
della composizione di una miscela
acqua/etanolo

Immagine 15.2.

Tenuto conto della definizione di volume parziale molare, il volume totale della
soluzione è dato dalla seguente espressione

V = nA VA + nB VB (15-16)

la quale è formalmente analoga all’eq. (15-10), solo che in essa compaiono i


volumi parziali molari anziché i volumi molari.
Le equazioni (15-15) e (15-16), valide per il volume, devono essere estese a
tutte le grandezze estensive che, come il volume, sono funzioni di stato.
15.4. Potenziale chimico

Analogamente a quanto visto nel paragrafo precedente, l’energia libera


parziale molare del componente i, definita potenziale chimico µi, è data dalla
relazione

⎛ ∂G ⎞
µ i = G i = ⎜⎜ ⎟⎟ (15-17)
⎝ ∂n i ⎠ P ,T ,n J

Il potenziale chimico rappresenta l’energia libera molare del componente


iesimo alla composizione in esame del sistema. È evidente che nel caso di un
componente puro non vi è alcuna differenza tra potenziale chimico ed energia
libera molare; infatti, indipendentemente dallo stato di aggregazione, per un
singolo componente si ha G = nGm e quindi

⎛ ∂G ⎞ ⎛ ∂nG m ⎞
µ=⎜ ⎟ =⎜ ⎟ = Gm (15-18)
⎝ ∂n ⎠ P ,T ⎝ ∂n ⎠ P ,T

Così, in base all’eq, (15-12) il potenziale chimico di un componente puro


dipende dalla temperatura e dalla pressione secondo l’equazione

dµ = Vm dP − S m dT (15-19)

A temperatura costante, µ aumenta all’aumentare della pressione in quanto Vm


> 0. Da questa ultima equazione per un gas si ha

µ = µ 0 + RT ln P (15-20)
Andamento
depotenziale
chimico in funzione
della pressione

Immagine 15.3.

Per una data sostanza nei tre stati di aggregazione si evince che a temperatura
costante l’inclinazione di µ in funzione di P segue l’ordine: gas>liquido>solido.
A pressione costante, µ diminuisce all’aumentare della temperatura con una
inclinazione che segue ancora l’ordine gas>liquido>solido dato che l’entropia
segue lo stesso ordine.

Come si può notare nella figura, ad una data pressione si hanno dei punti di
intersezione tra due differenti stati di aggregazione e la temperatura al punto
di intersezione è la temperatura di equilibrio tra le due fasi ed in essa il
potenziale chimico delle due fasi è uguale.

Tf rappresenta la temperatura di
equilibrio solido-liquido ed in essa si
ha µS = µl. A temperature più basse è
stabile la fase solida mentre a
temperature più alte è stabile la fase
liquida.
Tb rappresenta la temperatura di
equilibrio liquido-vapore ed in essa si
ha µl = µg. A temperature più basse è
stabile la fase liquida mentre a
temperature più alte è stabile la fase
vapore.

Immagine 15.4.
Nel caso di una soluzione a temperatura e pressione costanti è utile esprimere
il potenziale chimico del soluto secondo l’equazione

µ = µ 0 + RT ln c (15-21)

e quello del solvente secondo l’equazione

µ = µ ∗ + RT ln X (15-22)

in quest’ultimo caso, lo stato standard è stato indicato con µ* e non con µ° in


quanto esso corrisponde al solvente nello stato puro (X = 1).
Tenuto conto della dipendenza del potenziale chimico non solo dalla pressione
e dalla temperatura ma anche dalla composizione, per il solvente 1 e per il
soluto 2 si ha

dµ1 = V1dP − S1dT + RT ln X 1 (15-23)

dµ 2 = V2 dP − S 2 dT + RT ln c (15-24)

15.5 Regola delle fasi

Supponiamo di aggiungere una goccia d’inchiostro all’acqua. Si osserva che


all’inizio la goccia d’inchiostro è ben localizzata alla superficie dell’acqua ma
che si instaura un processo di diffusione che ben presto porta ad una
colorazione uniforme dell’acqua. La diffusione si ha in quanto il sistema tende
verso uno stato di equilibrio (colorazione uniforme) e ciò è dovuto al fatto che
le molecole d’inchiostro tendono ad avere lo stesso potenziale chimico in tutti i
punti del recipiente. Un valore di µ uniforme comporta una concentrazione
uguale in tutti gli elementi di volume del recipiente.
Supponiamo adesso di mettere a contatto con la soluzione acquosa contenente
l’inchiostro un liquido insolubile in acqua. Se il liquido è incolore, osserveremo
che pian piano esso si colorerà a causa del trasferimento del colorante;
raggiunto l’equilibrio, la colorazione sarà uniforme nelle due fasi ma
verosimilmente l’intensità del colore non è lo stesso nelle due fasi. Senza
dilungarsi troppo, il trasferimento del colorante da una fase all’altra è dovuto al
fatto che il potenziale chimico del colorante in una fase è minore di quello
nell’altra fase; il processo si arresta allorquando µ del colorante nelle due fasi è
uguale.

Un sistema costituito da un certo numero di fasi F ed un certo numero di


componenti C è in equilibrio quando si ha contemporaneamente un equilibrio
meccanico, un equilibrio termico ed un equilibrio chimico. Gli equilibri
meccanico e termico implicano che la pressione e la temperatura devono
essere uguali in tutte le fasi. è possibile variare le due grandezze intensive P e
T, però quando il sistema raggiunge le condizioni di equilibrio si ha

P α = P β = P γ ... (15-25)

T α = T β = T γ = ... (15-26)

in cui α, β, γ, ..indicano le varie fasi.

L’equilibrio chimico implica che il potenziale chimico di ciascun componente sia


uguale in tutte le fasi

µ1α = µ1β = µ1γ ...


µ α2 = µ β2 = µ 2γ ... (15-27)
µ 3α = µ β3 = µ 3γ ...

Se µ1α = µ1β e µ1β = µ1γ è anche µ1α = µ1γ , ossia per ogni componente è necessario
che siano soddisfatte, essendo F il numero di fasi, (F-1) equazioni. Essendo C il
numero di componenti, il numero totale di equazioni che debbono essere
soddisfatte sono C(F – 1).
D’altra parte, se in ogni fase è nota la frazione molare di C-1 componenti la
fase è perfettamente determinata dato che la somma delle frazioni molari è
uguale a uno

X 1α = X α2 = X 3α = 1

X 1β = X β2 = X β3 = 1 (15-28)
X 1γ = X 2γ = X 3γ = 1

In totale, il numero delle variabili intensive (frazioni molari) dovute alla


composizione è F(C-1), mentre il numero totale di variabili intensive (tenuto
conto di P e T) è F(C-1) + 2
Abbiamo, in definitiva, un sistema costituito da F(C-1) variabili e C(F-1)
equazioni per cui la varianza o gradi di libertà del sistema, cioè il numero di
variabili che possiamo cambiare senza alterare il numero di fasi, è

V = F(C − 1) + 2 − C(F − 1) = C + 2 − F1 (15-29)

Esempio

per un sistema costituito da 1 componente in 1 fase (acqua liquida) V=2;


possiamo cambiare P e T ma non, ovviamente, la composizione (X=1)
mantenendo l’acqua allo stato liquido. In un diagramma P-T questa fase è,
quindi, definita da una area (vedi figura seguente).

Esempio

per un sistema costituito da 1 componente in 2 fasi (equilibrio acqua liquida-


acqua solida) V=1; possiamo cambiare P oppure T ma per continuare ad avere
l’equilibrio l’altra grandezza deve avere un valore ben preciso ricavabile dalla
termodinamica. In un diagramma P-T l’equilibrio tra le due fasi è, quindi,
definito da una linea (vedi figura seguente).

Esempio

Per un sistema costituito da 1 componente in 3 fasi (equilibrio solido-liquido-


vapore) V=0; l’equilibrio è possibile soltanto ad una determinata coppia di
valori di P e T. In un diagramma P-T l’equilibrio tra le tre fasi è, quindi, definito
da un punto detto punto triplo (vedi figura seguente).

Esempio

Per un sistema costituito da 2 componenti in 2 fasi (equilibrio liquido-solido in


presenza di un soluto) V=2; possiamo cambiare P e T ma il valore di X è
definito oppure P e X mentre T deve avere un valore determinato o, infine, T e
X con P ben definito.

Diagramma di fase che


mostra le condizioni di
esistenza delle varie
fasi al variare dei due
parametri T e P.

Immagine 15.5.
UNITA’ 16
IL POTENZIALE CHIMICO E LE PROPRIETA’ COLLIGATIVE

16.1 Introduzione

L’equazione di carattere generale che lega il potenziale chimico di una sostanza


alle variabili pressione, temperatura e composizione

dµ = VdP − SdT + RTd ln X (16-1)

ci permette di ottenere tutta una serie di correlazioni utili per capire e


prevedere il comportamento dei sistemi quando intervengono variazioni di una
o più di queste variabili. La regola delle fasi pone delle limitazioni nel numero
di variabili che è possibile cambiare ed attraverso l’equazione precedente è
possibile trovare il legame funzionale tra queste variabili. Esaminiamo alcuni
casi.

16.2 Equilibri di fase in sistemi ad un componente

Nell’unità precedente è stato mostrato il diagramma di stato di un sistema


costituito da un singolo componente. E’ facile immaginare che la natura della
sostanza abbia un ruolo sulla dislocazione e sulle pendenze delle linee di
separazione tra le varie fasi. Al fine di trovare la correlazione P-T per i vari
equilibri di fase, indichiamo con α e β le due fasi in equilibrio e siano P° e T° la
pressione e la temperatura cui si ha l’equilibrio tra le due fasi. Essendo il
sistema monovariante, possiamo cambiare senza alcuna restrizione P oppure T
ma non entrambi; la seconda variabile, infatti è determinata dalla natura del
sistema. Prendiamo in esame l’equilibrio tra le due fasi sia a P° e T° sia a
P°+dP e T°+dT; dall’eq. 1 (X=1) si ha:

∆µ=0
P°, T° α β

dµα dµβ

P, T α β
∆µ=0

Poiché in entrambe le condizioni le fasi sono in equilibrio, i due ∆µ=µβ-µα sono


nulli ma ciò non implica che µβ e µα siano eguali nelle due condizioni; anzi
saranno differenti in quanto cambiano P e T e per l’eq. (16-1) cambia il
potenziale chimico. È evidente che la variazione dei due parametri deve essere
tale che dµα = dµβ. Pertanto dall’eq. (16-1) si ha

Vα dP − S α dT = Vβ dP − Sβ dT (16-2)
dalla quale si ottiene

dP Sβ − S α ∆S
= = (16-3)
dT Vβ − Vα ∆V

Poiché il sistema è in equilibrio ed il processo è a temperatura e pressione


costanti, ∆S=QP/T=∆H/T e l’equazione precedente assume la forma

dP ∆H
= (16-4)
dT T∆V

Questa equazione è valida non solo per i tre cambiamenti di fase solido-liquido,
solido-vapore e liquido-vapore ma anche per equilibri tra fasi solide in
differenti stati cristallini quali per esempio carbonio grafite-carbonio diamante,
zolfo rombico-zolfo monoclino, ecc.
L’eq. (16-4) mostra che l’inclinazione della linea confine di fase è tanto più
ripida quanto più grande è il ∆H della trasformazione e quanto più piccola è la
differenza tra i volumi molari delle due fasi; di conseguenza, poiché nelle
trasformazioni liquido-gas e solido-gas il ∆V è molto più grande che quello
relativo alle trasformazioni in fase condensata (per esempio, solido-liquido)
l’inclinazione della linea di confine solido-liquido è decisamente più grande di
quella relativa agli equilibri in cui è coinvolta la fase gassosa.
L’eq. (16-4) giustifica, inoltre, la pendenza negativa riscontrata per l’equilibrio
tra l’acqua solida e l’acqua liquida. Tale pendenza è generalmente positiva e
soltanto per l’acqua ed altri pochissimi casi essa è negativa. Ciò è dovuto al
fatto che il volume dell’acqua solida è maggiore di quello dell’acqua liquida
(una bottiglia piena d’acqua e tappata, se posta nel congelatore si rompe) e,
pertanto, il ∆V è negativo; poiché per tale processo il ∆H è positivo (è
necessario riscaldare per fondere il ghiaccio) dP/dT<0. E’ necessario porre
attenzione al fatto che una inversione del processo (liquido→solido) porta ad
un ∆V>0 ma contemporaneamente è ∆H<0.

Equazione di Clausius-Clapeyron

Se consideriamo i due processi in cui è coinvolta la fase vapore, l’eq. (16-4)


può essere ulteriormente sviluppata. Infatti, in questi casi il volume della fase
condensata può essere trascurato rispetto a quello della fase vapore e
quest’ultimo può essere scritto in termini di legge di stato dei gas ideali, ossia
V=RT/P. Dall’eq. (16-4) si ottiene

dP ∆H ∆H ∆H
= = =P (16-5)
dT T∆V T∆Vg RT 2
dP
P = ∆H d ln P ∆H
= (16-6)
dT RT 2 dT RT 2

La pressione del vapore in equilibrio con la fase condensata viene definita


tensione di vapore.

16.3 Effetto di un gas inerte sulla tensione di vapore

La presenza di un gas inerte modifica la tensione di vapore. Ciò è dovuto non


ad una azione diretta del gas inerte sul potenziale chimico in fase vapore ma
al suo effetto sul potenziale chimico della fase condensata. L’azione del gas
inerte può essere simulata con un sistema quale quello riportato in figura

In assenza del pistone la pressione


esercitata sulla fase liquida è quella
del suo vapore, cioè la tensione di
vapore.

La pressione sul liquido può essere


aumentata o mediante un pistone
permeabile al gas ma non al liquido o
introducendo un gas inerte nella fase
vapore.

Immagine 16.1.

Se la temperatura è costante, il potenziale chimico della fase condensata varia


con la pressione del gas inerte e si ha dµL=VLdPL. Perché il sistema resti in
equilibrio, il potenziale chimico del vapore deve variare in eguale misura
dµL=dµV essendo dµV=VVdP. Se esprimiamo la tensione di vapore in termini
della legge di stato dei gas ideali VV=RT/P e con P la pressione del gas inerte
si ha

P° + ∆P P
∫ VL dPL = ∫ RTd ln P (16-7)
P° P°

in cui P è la tensione di vapore in presenza del gas inerte. Dall’espressione


precedente si ricava
P VL
ln = ∆P (16-8)
P° RT

All’aumentare della pressione del gas inerte ∆P aumenta la tensione di vapore


del liquido. Al livello del mare la pressione dell’aria (gas inerte) è maggiore che
in montagna; ciò implica che la tensione di vapore in montagna è più bassa
che al livello del mare e, quindi, in montagna l’acqua bolle ad una temperatura
più bassa.

16.4 Equilibri di fase in sistemi due componenti

Se prendiamo in esame un sistema a due componenti e due fasi in equilibrio, la


varianza del sistema è 2 mentre le variabili sono 3 (P, T, X). E’, quindi possibile
fissarne due, una delle quali mantenuta costante, e cercare la correlazione tra
le altre due variabili. La procedura è esattamente la stessa di quella vista in
precedenza. Vediamo a quali risultati si perviene nei vari casi:

a) temperatura costante

Equilibrio liquido-vapore
Se la temperatura viene mantenuta costante, si trova la relazione tra pressione
e frazione molare. Supponiamo che il solvente sia in equilibrio a P° e T°; ad
esso viene aggiunto un soluto non volatile. Per l’uguaglianza dei potenziali
chimici il soluto, anche se non volatile, sarà presente in fase vapore; la sua
frazione molare, tuttavia, è talmente bassa da potere assumere che la frazione
molare del solvente in fase vapore sia unitaria. Interessiamoci del potenziale
chimico del solvente (pedice 1)

∆µ=0
P°, T°, X1,L=1 SL SV P°, T°, X1,V=1

dµL dµV

P, T°, X1,L SL SV P, T°, X1,V=1


∆µ=0

Date le condizioni di equilibrio si ha dµL=dµV e quindi

V1,L dP − S1,L dT + RTd ln X 1,L = V1,V dP − S1,V dT + RTd ln X 1,V (16-9)

in cui tutte le proprietà si riferiscono al solvente. Poiché XV =1 e T = costante,


si ha
V1,L dP + RTd ln X 1,L = V1,V dP RTd ln X 1,L = (V1,V − V1,L )dP (16-10)

Trascurando il volume del liquido rispetto a quello del vapore ed essendo


V1,V=RT/P, dall’equazione precedente si ricava

dP
RTd ln X 1,L = RT = RTd ln P (16-11)
P

X !,L P
P
∫ d ln X1, L = ∫ d ln P ln X 1,L = ln
P0
(16-12)
1 P°

P = P 0 X 1,L (16-13)

Legge di Raoult : la tensione di vapore del solvente in una soluzione è uguale


alla tensione di vapore del solvente puro per la sua frazione molare.

E’ da notare che la legge di Raoult è formalmente simile a quella di Dal ton per
le pressioni parziali in una miscela di gas.

- Pressione osmotica
Indipendentemente dai motivi fisici o chimici che possano rendere una
membrana semipermeabile, la loro presenza tra due soluzioni o tra una
soluzione ed il solvente puro determina un flusso netto di solvente dal solvente
puro alla soluzione o dalla soluzione più diluita verso quella più concentrata.
Il fenomeno dell’osmosi può essere messo in evidenza mediante un dispositivo
come quello in figura.
Ponendo il solvente nello scomparto esterno ed
una sua soluzione nello scomparto interno, se i
due recipienti sono separati da una membrana
permeabile al solvente ed impermeabile al soluto,
si verifica un flusso di solvente verso lo
scomparto interno contenente la soluzione
determinando un dislivello tra i due scomparti e,
quindi, una differenza di pressione che si oppone
al flusso di solvente.

La differenza di pressione quando viene


raggiunto l’equilibrio è definita pressione
osmotica π.

Il flusso osmotico può essere evitato applicando


alla soluzione una pressione uguale a quella
osmotica.
Immagine 16.2.

Attraverso l’eq. (16-1) è possibile pervenire alla legge secondo la quale la


pressione osmotica di una soluzione dipende dalla concentrazione del soluto.
Infatti, per evitare il flusso osmotico è necessario applicare alla soluzione una
pressione uguale alla pressione osmotica; in dette condizioni il potenziale
chimico del solvente è uguale nei due scomparti.
Poiché la temperatura è costante, indicando con S il solvente la cui frazione
molare è X1, possiamo schematizzare il processo come segue

∆µ=0
P°, T°, X1 =1 S S P°, T°, X1=1

dµ dµ

P, T°, X1=1 S S P, T°, X1


∆µ=0
Se nei due scomparti mettiamo
solvente puro, il suo potenziale
chimico nei due scomparti è
ovviamente uguale;
aggiungendo del soluto in uno
scomparto, in detto scomparto
diminuisce la frazione molare
del solvente e, quindi, il suo
potenziale chimico permettendo
il flusso di solvente; per
impedire il flusso è necessario
aumentare la pressione in
modo da fare aumentare il
potenziale chimico al valore che
esso ha nell’altro scomparto
ove è presente il solvente puro.
Immagine 16.3.

Poiché nello scomparto contenente il solvente puro P, T e X non cambiano,


dµ=0; di conseguenza, per il solvente nell’altro scompartosi deve avere un
effetto compensativo tra la variazione del potenziale chimico causato
dall’aggiunta del soluto e quello causato dall’aumento della pressione, cioè
dµ=0. Essendo T costante, dall’eq. (16-1) segue:

VdP + RTd ln X 1 = 0 VdP = −RTd ln X 1 (16-14)

P+π X1

∫ VdP = −RT ∫ d ln X1 (16-15)


P 1

Assumendo il volume del solvente costante ed essendo, come visto in


precedenza, ln X1=-X2, segue

Vπ = RTX 2 (16-16)

Poiché X2=(n2/n1+n2)≈n2/n1 e n2/n1V corrisponde alla concentrazione del


soluto, la legge della pressione osmotica assume la forma

Π = cRT (16-17)

che è formalmente simile alla legge di stato dei gas ideali


b) frazione molare costante

Dalla legge di Raoult osserviamo che se la frazione molare del solvente è


minore di 1 la tensione di vapore alla temperatura data è minore della tensione
di vapore del solvente puro. Esaminiamo una soluzione costituita da un
solvente a frazione molare X e da un soluto non volatile. Per quanto detto in
precedenza la frazione molare del solvente in fase vapore può essere assunta
uguale a 1. Siano P° e T° la pressione e la temperatura d’equilibrio tra la fase
liquida e quella vapore.

∆µ=0
P°, T°, X1,L SL SV P°, T°, X1,V=1

dµL dµV

P, T, X1,L SL SV P, T, X1,V=1
∆µ=0

Possiamo scrivere

V1,L dP − S1,L dT + RTd ln X1,L = V1,V dP − S1,V dT + RTd ln X 1,V (16-18)

Avendo fissato X1,L ed avendo considerato che XV=1, si ha d ln X1,L=0 e d ln


X1,V=0 da cui segue

V1,L dP − S1,L dT + = V1,V dP − S1,V dT (16-19)

Dalla quale si ricava, come visto in precedenza, l’equazione di Clausius-


Clapeyron; l’andamento della tensione di vapore del solvente in funzione della
temperatura non è influenzata dalla presenza di un soluto non volatile. La
curva, tuttavia, è dislocata verso più bassi valori in accordo con la legge di
Raoult.

c) pressione costante
Mantenendo la pressione costante si ottiene la correlazione tra X e T
necessaria a mantenere l’equilibrio tra le due fasi. Se le due fasi in equilibrio
sono quella liquida e quella vapore si ottiene la legge dell’ebullioscopia, cioè la
dipendenza della temperatura di ebollizione del solvente con la concentrazione
del soluto. Se le due fasi in equilibrio sono quella liquida e quella solida si
ottiene la legge della crioscopia, cioè la dipendenza della temperatura di
solidificazione del solvente con la concentrazione del soluto. La derivazione
delle due equazioni è del tutto simile e la procedura ricalca quelle viste in
precedenza.
Al fine di meglio seguire quanto sarà detto successivamente, nella figura
seguente è riportato l’andamento del potenziale chimico del solvente in
funzione della temperatura.

Il potenziale chimico del solvente nello


stato liquido dipende dalla presenza
del soluto; quello allo stato solido e
vapore non dipende dalla presenza del
soluto in soluzione in quanto si
suppone che in queste due fasi non
sia presente il soluto.

Immagine 16.4.

- Ebullioscopia
Il processo può essere schematizzato nello stesso modo come visto nel caso b)
in cui però era mantenuta costante la temperatura: S1,L e S1,V indicano il
solvente in fase liquida e in fase vapore.

∆µ=0
P°, T°, X1,L=1 SL SV P°, T°, X1,V=1

dµL dµV

P°, T, X1,L SL SV P°, T, X1,V=1


∆µ=0

Dall’eq. (16-4) e considerando che la pressione è costante e che X1,V=1, si ha

− S1,L dT + RTd ln X 1,L = −S1,V dT RTd ln X 1,L = −(S1,V − S1,L )dT (16-20)

-Essendo (S1,V-S1,L) la variazione di entropia il ∆S nel processo di evaporazione


in condizioni di equilibrio, si ha ∆Sev=∆Hev/T in cui la variazione di entalpia del
processo di evaporazione. Possiamo, pertanto scrivere
∆H ev
d ln X 1,L = − dT (16-21)
RT 2

Integrando tra i limiti d’integrazione dettati dallo schema, si ha

X 1, L T
∆H ev
∫ d ln X1, L = − ∫
2
dT (16-22)
1 T° RT

Se il ∆Hev è indipendente dalla temperatura, si ha

∆H ev ! 1 ∆H ev (T − T°)
ln X1, L = − ( − )=− (16-23)
R T T° R TT°

La frazione molare del solvente può essere scritta in termini di frazione molare
del soluto X2

X1 = 1 − X 2 (16-24)

Se la soluzione è diluita, ln (1-X2)=-X2 e T≈T° ed indicando con ∆T


l’innalzamento della temperatura di ebollizione, si ottiene

∆H ev
X2 = ∆T (16-25)
RT° 2

Infine, essendo la soluzione diluita, X2 può essere scritto in termini di molalità


del soluto (m) e del peso molecolare (PM) del solvente

m ⋅ PM
X2 = (16-26)
10 3

per ottenere

RT° 2 PM
∆T = m = K eb m (16-27)
10 3 ∆H ev

in cui Keb=RT°2PM/(103∆Hev), costante ebullioscopia, è una grandezza che


dipende esclusivamente dalla natura del solvente attraverso la sua
temperatura normale di ebollizione, il peso molecolare e la variazione di
entalpia di evaporazione.
- Crioscopia
Seguendo la procedura adoperata per l’ebullioscopia e tenendo in mente lo
schema seguente

∆µ=0
P°, T°, X1,L=1 SL SS P°, T°, X1,S=1

dµL dµV

P°, T, X1,L SL SS P°, T, X1,S=1


∆µ=0

si ottiene

∆H sol (T − T°)
ln X1, L = − (16-28)
R TT°

In cui ∆Hsol è l’entalpia di solidificazione del solvente. Esprimendo, come visto


in precedenza, la frazione molare del solvente in termini di molalità del soluto
ln X1,L=-m PM /103, ed indicando con ∆T l’abbassamento crioscopico, cioè della
temperatura di solidificazione dell’acqua, e con Kcr la costante crioscopia
Kcr=PM RT°2/(103·∆Hsol), otteniamo

∆T = K cr m (16-29)

NB - Crioscopia, ebullioscopia e pressione osmotica sono delle proprietà


colligative nel senso che esse dipendono dal numero di particelle e non dalla
loro natura. Nel caso che in soluzione siano presenti più soluti, le
concentrazioni sono riferite alla somma delle concentrazioni dei vari soluti sia
che essi siano molecolari che ioni. Inoltre, le equazioni ricavate sono delle leggi
limiti in quanto nella loro derivazione si è supposto che le soluzioni siano
diluite.
SOLUZIONI AGLI ESERCIZI DELLA 4.17.1.

Quesito n. 1

In un certo intervallo di temperatura nei pressi del punto triplo sono valide le
seguenti relazioni per la pressione di vapor saturo del pentabromuro di tantalio
sopra il solido e sopra il liquido rispettivamente:

5650 3265
Log 10 p sol = 12.6 − ; Log 10 p liq = 8.2 −
T T

Si determini la temperatura al punto triplo.

Risoluzione:

Al punto triplo la pressione di vapore del liquido e del solido sono eguali e
quindi deve essere

Log10 p sol = Log10 p liq (17-1)

È quindi possibile esplicitare l’equazione per T e trovare la temperatura critica,


T*.

5650 3265
12.6 − = 8.2 − * (17-2)
T *
T

(12.6 − 8.2)T* = 5650 − 3265 (17-3)

2385
T* = = 542 K (17-4)
4.4

Quesito n. 2

Si determini l’entalpia di fusione del pentabromuro di tantalio usando i dati


ottenuti dal Quesito n. 1.

Risoluzione:

Poiché l’entalpia è una funzione di stato, il ∆H di fusione può essere calcolato


come differenza tra il ∆H di sublimazione e quello di evaporazione.

∆H fus = ∆H sub − ∆H ev (17-5)


Dalla relazione di Clausius-Clapeyron (16-6) è possibile ricavare i valori del
∆Hsub sublimazione ∆Hev derivando le due relazioni logaritmiche
precedentemente viste (dopo aver convertito i logaritmi decimali in logaritmi
naturali: lne x = 2.3·Log10 x)

d ln P ∆H
= (16-6)
dT RT 2

⎡ ⎛ 5650 ⎞⎤
d ⎢2.3⎜12.6 − ⎟
∆H sub d ln p sol d(2.3Log10 p sol ) ⎣ ⎝ T ⎠⎥⎦ 5650
= = = = 2.3 2
RT 2 dT dT dT T*
⎡ ⎛ 3265 ⎞⎤ (17-6)
d ⎢2.3⎜ 8.2 − ⎟
∆H ev d ln p liq d (2.3Log 10 p liq ) ⎣ ⎝ T ⎠⎥⎦ 3265
= = = = 2.3 2
RT 2 dT dT dT T*

∆H sub = 12995 ⋅ R = 12995 ⋅ 8.31 = 108 J mol -1


(17-7)
∆H ev = 7509.5 ⋅ R = 7509.5 ⋅ 8.31 = 62.4 J mol -1

Per cui

∆H fus = ∆H sub − ∆H ev = 108 − 62.4 = 45.6 J mol -1


(17-8)

Quesito n. 3

Si calcoli il peso molecolare della fenolftaleina sapendo che una miscela di 7.9
mg di fenolftaleina e 129.2 mg di canfora iniziano solidifica 8 °C e che il punto
di fusione della canfora è 172 °C e la sua costante crioscopica vale Kc = 40.

Risoluzione:

La relazione (16-29) lega l’abbassamento crioscopico alla molalità della


soluzione ed alla costante crioscopica:

∆T = K cr m (16-29)

Sostituendo i valori assegnati si ottiene che:


8
m= = 0.2 (17-9)
40

La molalità della soluzione di fenolftaleina in canfora è:

n sol M sol
m= =
M solv PM sol M solv
(17-10)
M sol 7.9
PM sol = = = 0.306 kg mol -1 = 306 g mol -1
m ⋅ M solv 0.2 ⋅ 129.2

Quesito n. 4

Si calcoli la temperatura di congelamento di una miscela costituita da 100 g di


benzene (PM = 78.11 g mol-1) e 1.0720 g di canfora (PM = 152.23 g mol-1) .
La temperatura di congelamento del benzene puro è di 5.5 °C ed il suo ∆Hfus =
9.951 kJ mol-1.

Risoluzione:

Per trovare la temperatura di congelamento è possibile impiegare la relazione


(16-29)

∆T = K cr m (16-29)

La molalità della soluzione si ricava dalla relazione

m=
n sol
=
M sol
=
(1.0720 g ) = 0.070 mol kg -1 (17-11)
(
M solv PM sol M solv 152.23 g mol ⋅ 0.1 kg
-1
)
La costante Kcr per il benzene, invece, si ricava tramite la relazione

K cr =
2
RTfus PM S
=
( ) (
8.31 J K -1 mol -1 (278.5 K ) 78.11 g mol -1
2
)
= 5.0593
∆H fus 10 3 (
9951 J mol -1 10 3 ) (17-12)

La nuova temperatura di fusione, quindi sarà:

Tfus
'
= Tfus − ∆T = Tfus − K cr m = 278.5 − 5.0593 ⋅ 0.070 = 0.3542K
(17-13)

Quesito n. 5
Si calcoli la tensione di vapore a 20° C ed il punto di congelamento di una
soluzione ottenuta sciogliendo 68.4 g di saccarosio (PM=342 g/mol) vengono
sciolti in 1000 g di acqua, sapendo che la tensione di vapore dell’acqua pura a
20 °C, P°(H2O)20°C = 2.3144 kPa, e che Kcr = 1.86.

Risoluzione

La tensione di vapore della soluzione, secondo la legge di Raoult è data dalla


equazione (16-13)

P = P 0 X 1,L (16-13)

Do X1,L è la frazione molare del solvente che è ricavabile secondo la relazione:

M H 2O 1000 g
n H 2O PM H 2 O 18 g mol -1
X H 2O = = = = 0.9964
n sacc + n H 2 O M sacc M H 2O 68.4 g 1000 g (17-14)
+ +
PM sacc PM H 2 O 342 g mol -1 18 g mol -1

Per cui la tensione di vapore sarà:

P = P 0 X H 2 O = (2.3114 kPa ) ⋅ 0.9964 = 2.3031 kPa (17-15)

Per conoscere il punto di gelo, invece, è necessario conoscere la molalità della


soluzione per poter poi applicare la (16-29)

∆T = K cr m (16-29)

La molalità è data dalla relazione:

m=
n sol
=
M sol
=
(68.4 g ) = 0 ,2 mol kg -1 (17-16)
M solv PM sol M solv (
342 g mol ⋅ 1 kg
-1
)
E quindi

( )
∆T = K cr m = 1.86 K kg mol-1 ⋅ 0.2 mol kg -1 = 0.372 K (17-17)

Quesito n. 6
La tensione di vapore di una soluzione contenente 13 g di un soluto non
volatile in 100 g di acqua, a 28° C, è 3649.2 Pa. Calcolare il PM del soluto,
assumendo comportamento ideale. La tensione di vapore dell'acqua a 28° C è
3741.7 Pa.

Risoluzione

La tensione di vapore della soluzione, assumendo il comportamento ideale è


data dalla legge di Raoult:

P = P 0 X 1,L (16-13)

Do X1,L è la frazione molare del solvente che è quindi pari a:

P 3649.2 K
X H 2O = = = 0.9753 (17-18)
P 0 3741.7 K

Da questa è possibile risalire al PM, facilmente:

n H 2O
X H 2O = ;
n sol + n H 2 O
(n sol )
+ n H 2O ⋅ X H 2O = n H 2O
(17-19)
1 − X H 2O 100 1 − 0.9753
n sol = n H 2 O = ⋅ = 0.1406
X H 2O 18 0.9753

M sol
n sol =
PM sol
M sol 13 (17-20)
PM sol = = = 92.49 g mol -1
n sol 0.1406
UNITA’ 18
POTENZIALE CHIMICO E TRASFORMAZIONI CHIMICHE

18.1 Energia libera di miscelamento

Supponiamo di mescolare due sostanze A e B che prima del mescolamento si


trovano alla stessa temperatura ed alla stessa pressione. L’energia libera del
sistema prima del mescolamento Gi è

G i = n A µ *A + n B µ *B (18-1)

in cui µ* indica il potenziale chimico della sostanza pura. L’energia libera del
sistema dopo il mescolamento Gf è

( ) (
G f = n A µ A + n B µ B = n A µ*A + RT ln X A + n B µ*B + RT ln X B ) (18-2)

La variazione di energia libera per il processo di mescolamento ∆Gmix è

∆G mix = G f − G i = n A RT ln X A + n B RT ln X B (18-3)

Indicando con n il numero di moli totali n=nA+nB ed essendo nA=nXA e nB=nXB,


dall’espressione precedente si ottiene infine

∆G mix
= RT (X A ln X A + X B ln X B ) (18-4)
n

in cui ∆Gmix/n rappresenta la variazione di energia libera di mescolamento per


mole di miscela. Poiché la frazione molare è minore di 1, il processo di
mescolamento comporta sempre un ∆Gmix<0 e l’andamento di ∆Gmix in
funzione di una delle due frazioni molari è a forma di campana con un minimo
centrato a X=0.5.
L’equazione riportata è quantitativamente valida per il mescolamento di gas
ideali e per liquidi che nel mescolamento formano una soluzione ideale. Poiché
per i sistemi ideali la variazione di entalpia relativa al processo di
mescolamento è nulla (∆Hmix=0), dall’ultima equazione si ricava che la
variazione di entropia per detti processi è

∆S mix d∆G mix


=− = R (X A ln X A + X B ln X B ) (18-5)
n dT
Andamento del ∆G e del ∆S di miscelamento in funzione della frazione molare

Immagine 18.1.

18.2 Variazione dell’energia libera nelle trasformazioni chimiche

L’eq. (18-2) evidenzia che l’energia libera di un sistema costituito da più


componenti è data dalla somma di due contributi: quello dovuto ai potenziali
chimici standard e quello dovuto al miscelamento tra i componenti.

( ) ( ) ( )
G / n = X A µ*A + RT ln X A + X B µ*B + RT ln X B + X C µ*C + RT ln X C + .... =
(18-6)
( )
= Σ X i µ*i + RTΣ(X i ln X i )

Mentre il primo contributo cambia linearmente con la frazione molare essendo


il suo valore compreso tra i valori dei potenziali chimici standard, il secondo
(come già detto) presenta un minimo centrato a Xi=0.5. G/n presenta, quindi,
un minimo che è tanto più spostato verso uno di due componenti quanto più
grande è la differenza tra i valori dei due µ*. L’andamento è del tipo di quello
mostrato nella figura seguente anche se nell’asse delle ascisse non è riportata
la frazione molare.
Immagine 18.2.

L’eq. (18-2) e (18-6) sono, ovviamente, applicabili anche in quei sistemi ove è
in atto una trasformazione chimica. Supponiamo che A e B reagiscano per
dare C secondo lo schema

νAA + νBB → νCC

in cui νA, νB e νC indicano i coefficienti stechiometrici della trasformazione.


Siano NA le moli del componente A ed NB quelle del componente B nel
recipiente di reazione e supponiamo che NA ed NB siano sufficientemente
grandi che la formazione di C non modifichi la composizione della miscela.
L’energia libera nello stato iniziale, cioè prima che A e B reagiscano, è

( ) (
G i = N A µ*A + RT ln X A + N B µ*B + RT ln X B ) (18-7)

Poiché per formarsi νCnC moli di C debbono scomparire νAnC moli di A e νBnC
moli di B, l’energia libera nello stato finale è

( ) ( ) (
G f = (N A − ν A n C ) µ*A + RT ln X A + (N B − ν B n C ) µ*B + RT ln X B + ν C n C µ*C + RT ln X C ) (18-8)

in cui nC rappresenta il numero di moli di C presente in un dato momento


mentre (NA- νAnC) = nA e (NB- νBnC) = nB sono il numero di moli di A e di B che
non hanno reagito per formare C; in quel determinato momento, il sistema è
quindi costituito da nA, nB e nC moli dei componenti A, B e C.
Il ∆G della reazione chimica è dato da Gf-Gi e cioè

( ) ( ) (
∆G = G f − G i = −ν A n C µ*A + RT ln X A − ν B n C µ*B + RT ln X B + ν C n C µ*C + RT ln X C ) (18-9)
L’equazione precedente può essere riarrangiata nella forma

{( )
∆G = n C ν Cµ*C − ν Aµ*A − ν Bµ*B + RT(ν C ln X C − ν B ln X B − ν A ln X A )} (18-10)

Se monitorassimo il numero di moli dei tre componenti in funzione del tempo,


potremmo osservare che la quantità di C va aumentando mentre quelle di A e
di B vanno diminuendo. In un intervallo infinitesimo di tempo si avrà una
variazione infinitesima di nC e dnC viene definita grado di avanzamento della
reazione. La variazione di ∆G con il grado di avanzamento della reazione
corrisponde al ∆G per mole ed a questa grandezza contribuiscono un termine
costante dovuto ai potenziali chimici standard ed un termine dovuto alle
frazioni molari che aumenta con il procedere della reazione; infatti,
all’aumentare del grado di avanzamento della reazione aumenta XC e
diminuiscono XA e XB. Quando inizia a formarsi C, qualunque sia il valore del
contributo dei potenziali chimici standard, il contributo dovuto alle frazioni
molari è negativo (XC = 0; ln XC = -∞) e predomina sull’altro contributo sicché
∆G < 0 e la trasformazione procede verso la formazione di C. Man mano che la
reazione procede, il contributo delle frazioni molari aumenta; quando la
frazione molare di C (e quindi di A e B) raggiunge un ben determinato valore il
contributo delle frazioni molari è uguale ma di segno opposto a quello dei
potenziali chimici sicché ∆G=0. In queste condizioni la trasformazione ha
raggiunto la condizione di equilibrio dalla quale non si allontana più se non con
un intervento esterno.
Se, anziché considerare il caso in cui si forma C partendo da A e B puri,
avessimo considerato il caso in cui partendo da C puro si ha la formazione di A
e B, la trasformazione è ancora spontanea con grado di avanzamento diretto in
senso opposto a quello precedente ma la condizione di equilibrio (∆G=0) sarà
raggiunta quando il sistema avrà raggiunto esattamente le stesse condizioni
del caso opposto.

Andamento del ∆G in
funzione del grado di
∆G=0 avanzamento della
reazione

∆G

−∞ −∞

grado di avanzamento della reazione ξ


Immagine 18.3.
Al fine di evidenziare il ruolo dell’energia libera di miscelamento nella
formazione di un equilibrio chimico, supponiamo che una sostanza A si
trasformi in una sostanza B e che le due sostanze siano completamente
insolubili. Seguendo la procedura vista in precedenza si ha:

G i = N A µ *A (18-11)

G f = (N A − n B )µ*A + n Bµ*B (18-12)

∆G
nB
(
= µ*B − µ*A ) (18-13)

Così l’ipotesi che A si trasforma in B implica che il potenziale chimico standard


di B è minore di quello di A, ossia ∆G<0; ma è più importante notare che
essendo il ∆G costante la trasformazione dovrebbe procedere fino alla
scomparsa di A. In realtà, come detto in precedenti unità, se due fasi sono in
equilibrio deve essere presente anche un equilibrio chimico che comporta che
tutti i componenti sono presenti in tutte le fasi ovvero non può non verificarsi
una solubilità reciproca tra i componenti e ciò permette il raggiungimento di
uno stato di equilibrio.

Abbiamo visto che è possibile adoperare anche altre unità di concentrazione


con i corrispondenti stati standard così l’eq. (18-10) può essere scritta nella
seguente forma

{( ) (
∆G = n C ν Cµ oC − ν Aµ oA − ν Bµ oB + RT ln[C] C − ln[B] B − ln[A] A
ν ν ν
)} (18-14)

Indicando con ∆G° la quantità ν C µ oC − ν A µ oA − ν B µ oB , la variazione di energia


libera per mole di prodotto (∆G/nC) assume la forma

∆G = ∆G° + RT ln
[C]ν C

(18-15)
[A]ν [B]νA B

e per una reazione chimica allo stato gassoso

p νCC
∆G = ∆G° + RT ln (18-16)
p νAA p νBB
In generale, il termine delle concentrazioni o delle pressioni viene indicato con
Q e, pertanto, le due ultime equazioni possono essere scritte nella forma

∆G = ∆G° + RT ln Q (18-17)

E’ opportuno chiarire che introducendo in un recipiente A, B e C


contemporaneamente a determinate concentrazioni è possibile
dipendentemente dal valore delle concentrazioni e, quindi, di Q avere valori di
∆G non solo negativi o nulli ma anche positivi. Ciò non significa che se ∆G>0
l’energia libera perda il ruolo di criterio termodinamico d’equilibrio ma
semplicemente che la reazione procede spontaneamente in direzione opposta a
quella scritta; d’altra parte, se avessimo scritto la reazione in senso opposto
avremmo trovato una variazione di energia libera negativa.

18.3 Variazione dell’energia libera standard e costanti di equilibrio

Consideriamo che la trasformazione, in dipendenza delle concentrazioni iniziali,


proceda in una direzione o nel senso opposto. Quando viene raggiunto
l’equilibrio il ∆G della trasformazione è nullo. Poiché il ∆G° è una costante,
anche Q è una costante che non varia più con il trascorrere del tempo; ciò
significa che tutte le concentrazioni hanno raggiunto un valore di equilibrio ed il
valore costante di Q all’equilibrio viene definito costante di equilibrio K il cui
valore dipende dalla scala delle concentrazioni adoperata.
All’equilibrio

∆G = 0 = ∆G° + RT ln K (18-18)

∆G° = −RT ln K (18-19)

Questa relazione ricavata dalle condizioni di equilibrio è di validità generale e


permette di calcolare il ∆G° se è nota K o, viceversa, di calcolare il valore della
costante di equilibrio della trasformazione se è noto il ∆G°.
Poiché il ∆G° per definizione non dipende dalla pressione anche la costante di
equilibrio è indipendente dalla pressione. Ciò non implica che al variare della
pressione non si abbia uno spostamento dell’equilibrio.
Consideriamo, per esempio una reazione allo
stato gassoso del tipo

2A A2

Esprimendo la costante di equilibrio nella scala


delle pressioni parziali in funzione delle
frazioni molari si ha

pA2 XA2 P XA2 1


KP = = =
p 2A X 2A P 2 X 2A P

la quale mostra che all’aumentare della


pressione per rimanere costante Kp deve
aumentare il rapporto tra le frazioni molari,
ossia all’aumentare della pressione aumenta la
quantità di A2 e diminuisce quella di A.
Immagine 18.4.

Poiché il contributo delle concentrazioni è facilmente valutabile, il calcolo del


∆G di una trasformazione necessita la conoscenza del ∆G°. Questa quantità
può essere ottenuta sia dai valori tabulati delle energie libere standard di
formazione con la stessa procedura usata per le entalpie sia dalla conoscenza
dei valori di ∆H e ∆S; infatti, data la definizione dell’energia libera (G=H-TS)
per un processo a temperatura costante si ha

∆G = ∆H − T∆S (18-20)

quest’ultima equazione, nota come equazione di Gibbs-Helmotz, è ovviamente


applicabile anche nello stato standard.

18.4 Dipendenza del ∆G° e della costante di equilibrio dalla


temperatura

La dipendenza della costante di equilibrio dalla temperatura è direttamente


correlata alla dipendenza dell’energia libera dalla temperatura. La correlazione
tra la temperatura e ∆G° e/o K è di fondamentale importanza quando si deve
calcolare una delle due grandezze ad una temperatura differente da quella in
cui esse sono note. E’ stato visto che a pressione costante (dG/dT)P=-S.
Applicando detta relazione allo stato iniziale ed a quello finale della
trasformazione si ottiene

⎛ ∂∆G ⎞
⎜ ⎟ = −∆S (18-21)
⎝ ∂T ⎠ P
⎛ ∂∆G 0 ⎞
⎜⎜ ⎟⎟ = −∆S0 (18-22)
⎝ ∂T ⎠P

Dalla conoscenza del ∆S della trasformazione e dalla sua dipendenza dalla


temperatura è possibile calcolare la variazione di energia libera ad una
temperatura differente da quella in cui essa è nota.
La dipendenza della costante di equilibrio dalla temperatura si ricava sulla base
dell’equazione correlante il ∆G° con la costante di equilibrio ∆G°=-RT ln K.
Possiamo scrivere

∆G 0
= −R ln K (18-23)
T

d ln K 1 d(∆G° T )
=− (18-24)
dT R dT

d(∆G° / T ) T(d∆G° / dT ) − ∆G° − T∆S° − ∆G° ∆H°


= 2
= 2
=− 2 (18-25)
dT T T T

da cui segue

d ln K ∆H
= (18-26)
dT RT 2

quest’ultima, nota come equazione di van’t Hoff, è del tutto simile a quella già
vista per la tensione di vapore; un’equazione simile è ottenuta anche per altri
processi quale, ad esempio, la dipendenza della solubilità dalla temperatura.
Contrariamente a quanto si verifica per la tensione di vapore che cresce
sempre con l’aumentare della temperatura dato che l’evaporazione implica
sempre ∆H>0, per le trasformazioni chimiche è possibile avere variazioni di
entalpia positive (trasformazioni endotermiche), negative (trasformazioni
esotermiche) o nulle (trasformazioni atermiche). Ciò implica che la costante di
equilibrio può aumentare (∆H>0), diminuire (∆H<0) o rimanere costante
(∆H=0)
Nell’ipotesi che la variazione di entalpia non dipenda dalla temperatura,
l’integrazione dell’ultima equazione tra le temperature T1 in cui la costante di
equilibrio è K1 e T2 in cui la costante di equilibrio è K2 si ha

K 2 ∆H 1 1
ln = ( − ) (18-27)
K1 R T1 T2
Nell’ipotesi che l’entalpia di reazione sia
indipendente dalla temperatura,
l’integrazione indefinita dell’eq. 9 dà

∆H 1
ln K = costante − ⋅
R T

la quale mostra che il ln K è linearmente


correlato a 1/T e che all’aumentare di T la
costante di equilibrio aumenta se ∆H>0 e
diminuisce se ∆H<0 mentre non dipende da
T se ∆H=0

Immagine 18.5.
UNITA’ 19
SOLUZIONI AGLI ESERCIZI DELL’UNITA’ 19.1.

Quesito n. 1

Si calcoli l’energia di Gibbs e l’entropia per il mescolamento di 1.6 moli di


Argon con 2.6 moli di azoto entrambi a 1 atm e 25 °C. Si consideri il
comportamento dei gas ideale.

Risoluzione:

La variazioned di energia di mescolamento è data dalla relazione (18-3)

∆G mix = G f − G i = n A RT ln X A + n B RT ln X B (18-3)

Le frazioni molari dei due gas sono rispettivamente:

1.6 2.6
X Ar = = 0.38 ; X N2 = = 0.62 (19-1)
1.6 + 2.6 1.6 + 2.6

Quindi:

∆ G mix = n Ar RT ln X Ar + n N 2 RT ln X N 2 =
(19-2)
( )
= 8 . 31 J K -1 mol −1 (298 K )[(2 . 6 mol )ln 0 . 38 + (2 . 6 mol )ln 0 . 62 ] = − 6 . 912 kJ

Poiché dalla (18.5) si ha

∆S mix d∆G mix


=− = R (X A ln X A + X B ln X B ) (18-5)
n dT

L’entropia di miscelamento sarà:

∆G mix − 6.912 kJ
∆S mix = − =− = 23.193 J K -1 (19-3)
T 298 K
Quesito n. 2

Si calcoli la costante di equilibrio per la reazione che avviene a 298 K Sapendo


che il ∆G° di formazione dell’ammoniaca è ∆Gf° = -16.6 kJ mol-1:

N2(g) + 3H2(g) 2NH3(g)

Risoluzione:

L’equazione (18-19) lega la costante di equilibrio alla variazione di energia


libera standard:

∆G° = −RT ln K (18-19)

Per la reazione considerata, è possibile calcolare il ∆G° di reazione a partire dai


∆G° di formazione secondo la relazione:

∆ G or = ∑ ν ∆ G (i ) = 2 ⋅ ∆ G (NH ) − ∆ G (N ) − 3 ⋅ ∆ G (H ) =
i
o
f
o
f 3
o
f 2
o
f 2
i (19-4)
( ) ( ) ( )
= 2 ⋅ − 16 . 6 kJ mol -1 − 0 kJ mol -1 − 3 ⋅ 0 kJ mol -1 = − 33 . 2 kJ mol -1

Essendo nulli i ∆G° di formazione di N2 ed H2.


La costante di equilibrio sarà ricavabile da semplici passaggi:

∆G °
∆G°
33200

− = ln K p Kp = e RT
= e 8.31⋅298 = 6.6 ⋅ 10 5 (19-5)
RT
Quesito n. 3

Le pressioni parziali dei gas della miscela descritta nel Quesito 2 sono P(N2) =
190 torr, P(H2) = 418 torr e P(NH3) = 722 torr. Impiegando i risultati ottenuti
nel quesito precedente, si calcoli il valore di ∆G per la reazione.

Risoluzione:

Dall’equazione (18-18)

∆G = ∆G° + RT ln K (18-18)

L’espressione per la costante è:

2
PNH
Kp = 3
(19-6)
PN 2 PH3 2

Sapendo che 760 torr sono pari ad una atmosfera e sostituendo la (19-6) nella
(18-18), si ottiene:

2
PNH
∆G = ∆G° + RT ln 3
=
PN 2 PH3 2
2
⎛ 722 ⎞ (19-7)
⎜ ⎟
(
= − 33200 J mol -1
)( -1 -1
)
8.31 J K mol (298 K ) ln ⎝ 760 ⎠
3
= −25.6 kJ mol -1
⎛ 190 ⎞⎛ 418 ⎞
⎜ ⎟⎜ ⎟
⎝ 760 ⎠⎝ 760 ⎠
Quesito n. 4

La costante di equilibrio per la reazione di dissociazione in fase gassosa dello


iodio molecolare

I2(g) 2I(g)

è stata misurata alle seguenti temperature:

T 872 K 973 K 1073 K 1173 K


KP 1.8·10-4 1.8·10-3 1.08·10-2 0.0480

Si determini il valore di ∆H per la reazione.


(suggerimento: si faccia uso di un programma di analisi dei dati quali excel,
origin, GNUplot o simili).

Risoluzione:

La relazione

∆H 1
ln K = costante − ⋅ (19-8)
R T

Ci suggerisce che riportando in grafico i valori di ln K contro 1/T si otterrà una


retta la cui pendenza, moltiplicata per –R ci darà il valore di ∆H cercato.
Calcolando quindi i relativi valori e riportandoli in grafico si ottiene:

T 1/T K ln K
872 0.00115 1.8E-4 -8.62255
973 0.00103 0.0018 -6.31997
1073 9.32E-4 0.0108 -4.52821
1173 8.52E-4 0.048 -3.03655
-3

-4

-5

-6 Y=A+B*X
ln K

Parameter Value Error


------------------------------------------------------------
-7 A 13.11798 0.12469
B -18941.13624 125.22231
------------------------------------------------------------
-8
R SD N P
------------------------------------------------------------
-0.99996 0.02755 4 <0.0001
-9 ------------------------------------------------------------

0.00085 0.00090 0.00095 0.00100 0.00105 0.00110 0.00115


1/T

Dal valore della pendenza, pari a crca 1.9·105, si ottiene il relativo valore di
∆H:

∆H = − pendenza ⋅ R = −1.9 ⋅ 10 5 ⋅ 8.31 = 1.578 kJ mol -1 (19-9)


UNITA’ 20

DIAGRAMMI DI STATO CON FASI MISCIBILI

20.1 Diagrammi pressione-composizione di miscele ideali a


temperatura costante

E’ stato visto che la tensione di vapore di un liquido diminuisce con l’aggiunta


di un soluto ed è stata ricavata la legge di Raoult (16-13) che correla la
tensione di vapore con la frazione molare del solvente

PA = PA* X A (20-1)

Se una miscela di due liquidi A e B ha comportamento ideale nel senso che


entrambi i liquidi seguono la legge di Raoult, la pressione del vapore in
equilibrio con la miscela liquida è

PA = PA* X A PB = PB* X B PA + PB = PA* X A + PB* X B (20-2)

Poiché XA+XB = 1, la pressione totale può essere scritta in funzione della


frazione molare di A o di B

P = PA* X A + (1 − X A )PB* = PB* + X A (PA* − PB* )


(20-3)
P= PA* + X B (PB* − PA* )

ciò significa che la tensione di vapore della miscela varia linearmente con la
frazione molare di entrambi i componenti ed i suoi valori sono compresi tra le
tensioni di vapore dei due componenti puri.

La miscela benzene-
toluene si comporta
come una miscela
ideale in quanto i due
liquidi hanno una
natura chimica simile.
Le linee verdi e rosse
indicano le tensioni di
vapore dei singoli
componenti mentre
quella blu indica la
tensione di vapore
totale.
Ad una data frazione
molare la pressione
totale corrisponde alla
somma dei valori
ottenuti dalle
intersezione con le
linee verde e rossa

Immagine 20.1.

Per mezzo dell’eq. (20-3), basata sulla legge di Raoult, è possibile calcolare la
tensione di vapore della miscela in funzione della frazione molare in fase
liquida. La pressione parziale di ciascuno dei due componenti segue anche la
legge di Dalton sulle pressioni parziali

PB = YB P PA = YA P (20-4)

in cui P è la tensione di vapore della miscela mentre YA e YB indicano le frazioni


molari dei due componenti in fase gassosa.
Combinando le due equazioni si ottiene la correlazione tra frazione molare in
fase liquida e gassosa

PA X A PA*
YA = = * (20-5)
( )
P PB + PA* − PB* X A

la quale mostra che se le tensioni di vapore dei due componenti puri sono
uguali, la composizione del vapore è uguale a quella del liquido. Se, invece la
tensione di vapore del componente A è maggiore di quella del componente B,
YA è maggiore di XA; ciò significa che la fase vapore è più ricca rispetto alla
fase liquida del componente più volatile ossia del componente che ha la
tensione di vapore più grande.
Le linee verdi sono state calcolare a
vari rapporti di PA* / PB* . Tanto più
grande è questo rapporto tanto più
ricca in A è la fase vapore.
Per PA* / PB* = 1000 , la frazione molare di
A nella fase vapore è praticamente 1
ed indipendente dalla composizione
del liquido: in queste condizioni si può
considerare il componente B come
non volatile.

Immagine 20.2

E’ utile riportare in un unico grafico l’andamento della pressione in funzione


della composizione del liquido e del vapore. Con riferimento alla figura
seguente, ad una data pressione la composizione del liquido è quella del punto
a mentre quella del vapore in equilibrio è quella del punto b. In altre parole, ad
elevate pressioni il sistema a due componenti è costituito dalla fase liquida (1
fase con varianza 2) ed a basse pressioni dalla fase vapore (1 fase con
varianza 2); nella regione all’interno dell’occhiello sono presenti due fasi e la
varianza è 1; in essa sono in equilibrio la fase liquida e quella vapore le cui
composizioni sono quelle corrispondenti all’intersezione della pressione con la
curve del liquido e del vapore.

Andamento della
pressione in
funzione della
composizione di una
miscela.
F indica la varianza

Immagine 20.3.

Supponiamo che il punto rappresentativo della miscela sia quello indicato con a
nel diagramma seguente; in queste condizioni essa si trova allo stato liquido.
Se diminuiamo la pressione fino al valore P1, la composizione del liquido è a1 =
a ma contemporaneamente inizia a formarsi la fase vapore avente
composizione corrispondente ad a 1' . Diminuendo la pressione fino, ad esempio,
al valore P2, nessuna delle due fasi avrà la composizione a "2 = a ; infatti, la
composizione della fase liquida è a2 mentre quella della fase vapore è a '2 . Per
pressioni più piccole di P3 scompare la fase liquida e la composizione della fase
vapore è a4 = a.

Il pistone in (a) della


figura centrale esercita
una pressione (linea
nera orizzontale) più
piccola di P1 (figura a
sinistra): in detta
condizione sono in
equilibrio fase liquida e
fase vapore. Diminuendo
la pressione (ma più
grande di P3) le due fasi
sono ancora in equilibrio
pur variando le loro
composizioni e le loro
masse. Se la pressione è
minore di P3 scompare la
fase liquida.
Immagine 20.4.

20.2 Regola della leva

Da questa regola, basata sul semplice bilancio di massa, è possibile ricavare il


rapporto tra le masse delle due fasi nella regione in cui le due fasi sono in
equilibrio.

Ingrandimento della figura


precedente che illustra la regola
della leva.

Immagine 20.5.
Con riferimento alla figura, sia RA la composizione come % in peso di A nella
miscela iniziale e siano α e β le due fasi in equilibrio. Se la pressione è tale che
il punto rappresentativo cade all’interno della regione ove sono in equilibrio le
due fasi, queste avranno composizione RA,α e RA,β. Siano nα e nβ le masse
delle due fasi e sia, inoltre, nt la massa totale della miscela. Possiamo scrivere
le seguenti relazioni:

n t = nα + nβ (20-6)
n A ,t = R A n t n A ,α = R A ,α n α n A ,β = R A ,β n β (20-7)

Essendo nA,t = nA,α + nA,β, dalle equazioni precedenti si ha

R A n t = R A (n α + n β ) = R A ,α n t ,α + R A ,β n t ,β
n α (R A − R A ,α ) = n β (R A ,β − R A ) (20-8)

Con riferimento alla figura,

l α = R A − R A ,α
(20-9)
lβ = R A ,β − R A

da cui segue:

l α n α = lβ n α (20-10)

Esempio: una miscela costituita da 120 g di A e 80 g di B ad una data


pressione dà luogo ad un equilibrio tra fase liquida e fase vapore in cui la
percentuale di A nella fase vapore è dell’80% e nella fase liquida è del 50%.
Poiché nella miscela originaria la percentuale di A è 120x100/(120+80)=60%,
il rapporto tra le masse di A nelle due fasi è

n V 80 − 60 20
= = =2 n V = 2n L (20-11)
n L 60 − 50 10

essendo nV + nL = 200, si ha

200
2n L + n L = 200 nL = = 66.66 g n V = 133.34 g (20-12)
3
20.3 Diagrammi temperatura-composizione di miscele ideali a
pressione costante

Detti diagrammi sono qualitativamente simili a quelli già visti a temperatura


costante; da notare che in questi diagrammi la regione del liquido è nella parte
inferiore del grafico mentre quella del vapore è nella parte superiore.
Supponiamo che la temperatura e la composizione della miscela siano tali che,
con riferimento alla figura seguente, il punto rappresentativo si a1. Riscaldando
la miscela fini alla temperatura T2, comincia a formarsi il vapore con
composizione a’2; chiaramente il vapore ha una composizione più ricca nel
componente più volatile A che ha una più bassa temperatura di ebollizione. Se
detto vapore viene condensato portandolo alla temperatura T3, il vapore in
equilibrio avrà composizione a’3, più ricco in A rispetto al vapore a’2. Ripetendo
il procedimento, si perverrà alla fine ad un vapore costituito da A puro. Questo
procedimento, definito distillazione, permette di separare i due componenti
della miscela.
La distillazione può essere
facilmente effettuata
disponendo di una piastra
riscaldante, un recipiente
contenente la miscela, una
colonna di distillazione,
una colonna raffreddata
per condensare i vapori ed
un recipiente di raccolta.
Il riscaldamento della
miscela porta alla
formazione di un vapore
che si va arricchendo nel
componente più volatile
andando verso la sommità
della colonna.
Se la colonna è
sufficientemente lunga
nella sommità contenente
il termometro di controllo
perverranno i vapori del
componente puro.
Immagine 20.6.

Link Utili:
Video che illustra una distillazione.
http://www.chem.cuhk.edu.hk/labtech/Videoclip100/VACUUM_DISTILLATION.
wvx
20.4 Diagrammi di miscele non ideali

Quando la natura chimica dei due componenti è dissimile si hanno delle


deviazioni, a volte notevoli, dal comportamento ideale. Dette deviazioni sono
una conseguenza della non validità per uno dei due componenti (o per
entrambi) della legge di Raoult in tutto l’intervallo di composizione; ricordiamo
che la legge di Raoult è strettamente valida per soluzioni diluite ma che può
essere seguita, come visto in precedenza, in tutto l’intervallo di composizione
quando l’aggiunta del componente B al componente A comporta delle
interazioni tra A e B simili a quelle tra B e B e tra A e A, ossia quando la natura
di A è simile a quella di B.
Un esempio di diagramma di miscele non ideali è riportato nella figura
seguente

La figura mostra che la legge di


Raoult è seguita dall’acetone
(tracciato rosso) nella regione in cui la
frazione molare del secondo
componente CS2 è piccola e da CS2
(tracciato verde) nella regione in cui
la sua frazione molare tende a 1 e
quella dell’acetone tende a zero.

Immagine 20.7.

Abbiamo visto che la legge di Raoult viene seguita da entrambi i componenti


quando ciascuno di essi rappresenta il solvente e la quantità dell’altro
componente nella miscela è sufficientemente bassa (soluzione diluita). E’
possibile dimostrare termodinamicamente che nella regione in cui è valida la
legge di Raoult per il solvente è contemporaneamente valida la legge di Henry
per il soluto
Legge di Henry

PB = K B X B (20-12)

la quale è formalmente uguale alla legge di Raoult solo che KB, costante di
Henry, non corrisponde alla tensione di vapore di B puro. La differenza tra la
legge di Henry e quella di Raoult è messa in evidenza nella figura seguente

Figura a sinistra:
andamento della tensione
di vapore di B in una
miscela; nella regione di
XB 1 è valida la legge di
Raoult e la costante di
proporzionalità tra PB e XB è
la tensione di vapore di B
puro; nella regione di XB 0
è valida la legge di Henry e
la costante di
proporzionalità tra PB e XB è
la costante di Henry.
Figura a destra: tensione di
vapore del cloroformio e
dell’acetone nelle loro
miscele; sommando ad
ogni frazione molare i punti
sulle linee intere blu e
rosse si ha la tensione di
vapore della miscela, che
presenta un minimo
Immagine 20.8.

20.5 Azeotropi

Abbiamo visto che se la miscela è costituita da due sostanze aventi natura


simile, le interazioni A-B sono simili alle interazioni A-A e B-B sicché il
comportamento della miscela o è ideale oppure è ad esso simile. Se le
interazioni A-B sono più forti delle interazioni A-A e B-B la miscela viene
stabilizzata e l’andamento della tensione di vapore presenta un massimo (ad
esempio, acetone-CS2) mentre se sono più deboli la miscela viene
destabilizzata e la tensione di vapore presenta un minimo (ad esempio,
acetone-cloroformio). Nei due casi l’andamento dell’energia libera di
mescolamento è sempre negativa ma la curva sta al di sotto di quella ideale
nel caso della stabilizzazione mentre sta al di sopra nel caso della
destabilizzazione.
Quando si ha un massimo o un minimo, i diagrammi temperatura-
composizione (così come pressione-composizione) vengono profondamente
modificati e ciò è particolarmente rilevante ai fini della distillazione. Infatti, in
presenza sia di un massimo che di un minimo esiste un punto (b nei grafici
seguenti) in cui manca la regione a due fasi come succede per i due
componenti puri. Detto punto è denominato azeotropo ed una miscela avente
la composizione azeotropa bolle senza alterazione della composizione, cioè il
vapore ha la stessa composizione del liquido.
Poiché la miscela azeotropa si comporta come se fosse un componente puro,
possiamo immaginare di dividere il diagramma in due regioni le cui
composizioni vanno dai due componenti puri all’azeotropo(nei grafici seguenti
0-b e b-1). Applicando il principio della distillazione alle due regioni si ricava
che la distillazione di miscele aventi composizione compresa tra 0 e b porta alla
separazione di B puro dalla miscela ottenendo come residuo l’azeotropo se
questo è altobollente ed alla separazione dell’azeotropo dalla miscela
ottenendo B puro come residuo se l’azeotropo è bassobollente. Dalle miscele
aventi composizione compresa tra b e 1 per distillazione si ottengono
l’azeotropo (residuo) ed il componente A puro (distillato).
Esempio: supponiamo che A e B formino un azeotropo bassobollente avente
una composizione del 50%. Da 100 g di una miscela al 70% in A si separano
60 g di miscela azeotropa costituita da 30 g di B e 30 g di A (distillato) e 40 g
di A puro (residuo). Da 100 g di una miscela al 20% in A si ottengono 40 g di
miscela azeotropa costituita da 20 g di A e 20 g di B (distillato) e 60 g di B
puro (residuo). Da 100 g di una miscela al 50% per distillazione si ottengono
100 g di azeotropo.

Acqua-alcool etilico
formano un azeotropo
bassobollente al 96% di
alcool sicché non è
possibile ottenere per
distillazione alcool
etilico puro se la
miscela di partenza non
ha un contenuto in
alcool etilico superiore
al 96%. Le miscele
aventi una percentuale
di alcool etilico inferiore
al 96% permettono di
separare per
distillazione l’azeotropo
e l’acqua.

Immagine 20.9
UNITA’ 21

DIAGRAMMI DI STATO CON FASI IMMISCIBILI

21.1 Dipendenza della solubilità dalla temperatura

Aggiungiamo A a B, se il potenziale chimico di A puro è maggiore di quello di A


nella soluzione di B, si ha la solubilizzazione e la concentrazione di A in B
progressivamente aumenta fin quando i due potenziali chimici sono uguali. Se
la differenza tra i potenziali chimici standard è molto grande, la solubilizzazione
è molto grande sicché A e B si mescolano in tutti i rapporti (è questo il caso
delle miscele studiate nell’unità precedente). Se, al contrario, la differenza tra i
potenziali chimici è piccola, ben presto B sarà saturo di A ed una ulteriore
aggiunta di A porta alla formazione di una nuova fase condensata. Ad esempio,
aggiungendo piccole quantità di benzene ad acqua si ha una soluzione di
benzene in acqua ma con una ulteriore aggiunta di benzene si hanno due fasi
in equilibrio.
Supponiamo che un componente A puro (solido o liquido) sia in equilibrio con
un liquido B nel quale esso è poco solubile. Sia s°A la solubilità di A in B
espressa in qualsiasi scala delle concentrazioni alla temperatura T°. Siamo
interessati a trovare la correlazione tra la solubilità di A in B e la temperatura a
pressione costante. Il processo può essere schematizzato in modo analogo a
quello utilizzato in precedenza nel caso delle proprietà colligative.

∆µ=0
P°, T°, XA=1 A(puro) A(soluzione) P°, T°,
s°A

dµ*A dµA

P°, T, XA=1 A(puro) A(soluzione) P°, T, sA


∆µ=0

Essendo la pressione costante, dallo schema precedente si ha:

dµ*A = dµ A (21-1)

dµ*A = −S*A dT (21-2)

dµ = −SdT + RTd ln s A (21-3)

in cui S*A è l’entropia di A puro mentre SA è quella di A in soluzione. Dalle tre


precedenti equazioni si ottiene

− S*A = −S A dT + RTd ln s A (21-4)


ed essendo SA-S*A la variazione di entropia del processo di soluzione ∆Ssoluz la
quale in condizioni di equilibrio è uguale a ∆Hsoluz /T, dall’espressione
precedente si ricava per la solubilità di A in B una equazione del tutto simile a
quella relativa alla dipendenza dalla temperatura della tensione di vapore o
della costante di equilibrio

d ln s ∆H soluz
= (21-5)
dT RT 2

dalla quale si evince che se ∆Hsoluz>0 la solubilità aumenta con la temperatura


mentre se ∆Hsoluz<0 la solubilità diminuisce all’aumentare della temperatura. In
realtà, il ∆Hsoluz dipende dalla temperatura attraverso il ∆Cp del processo, cioè
la differenza tra la capacità termica del soluto in soluzione e quella soluto
puro. Poiché i ∆Hsoluz non sono generalmente grandi, accade che ad una data
temperatura il loro segno cambia; per esempio, a 300 K il ∆Hsoluz del pentanolo
in acqua è –8.0 kJ mol-1 ed il ∆Cpsoluz è 320 J K-1 mol-1: da questi dati si evince
che l’entalpia di soluzione del pentanolo in acqua è negativa fino a 325 K e
positiva a temperature più elevate. È ovvio che non sempre è possibile
osservare la variazione del segno del ∆Hsoluz in quanto questa potrebbe essere
prevista ad una temperatura nella quale il solvente non è più allo stato liquido.
Inoltre, se il ∆Cpsoluz è molto piccolo (al limite nullo), il ∆Hsoluz varia poco con la
temperatura e, pertanto, si osserverà soltanto il ramo discendente o
ascendente della curva correlante la solubilità alla temperatura.

Andamenti calcolati della solubilità


1
(frazione molare) in funzione della
temperatura assumendo che a 350 K la
0.8
solubilità sia X=0.2 e che alla stessa
e
arl
temperatura:
o
m 0.6
no
e 2 fasi ∆Hsoluz=5.0 kJ mol-1 ∆Cpsoluz=100 J K-1
i
azr 0.4 mol-1
f

0.2 ∆Hsoluz=10.0 kJ mol-1 ∆Cpsoluz=100 J K-1


1 fase
mol-1
0
150 200 250 300 350 400 450 500 550
∆Hsoluz=5.0 kJ mol-1 ∆Cpsoluz=200 J K-1
T
mol-1

È opportuno sottolineare che l’eq.(21-5) è


valida per soluzioni diluite e, pertanto, i
calcoli effettuati mediante questa
equazione hanno soltanto validità
qualitativa.
Immagine 21.1.
21.2 Diagrammi temperatura-composizione di liquidi parzialmente
miscibili

Il soluto A in eccesso rispetto alla quantità necessaria a saturare B costituisce


una nuova fase nella quale si solubilizza B; si hanno cioè due fasi in equilibrio
l’una del liquido A saturo in B e l’altra del liquido B saturo in A. Se le due
soluzioni non sono diluite (come spesso accade) l’eq. (21-5) ci permette
soltanto di capire i diagrammi temperatura-composizione dei liquidi
parzialmente miscibili. In dipendenza della natura dei due componenti, la
solubilità dell’uno nell’altro in funzione della temperatura avrà un andamento
del tipo di quelli mostrati nella figura precedente con minimi spostati verso
temperature più o meno basse, con curvature più o meno marcate e con valori
di solubilità più o meno grandi.
Al fine di avere informazioni sulla composizione delle due fasi in equilibrio, è
utile riportare nell’asse delle ascisse la frazione molare e nell’asse delle
ordinate la frazione molare. Supponiamo che a 350 K per la solubilità di A in B
sia XA = 0.3, ∆Hsoluz= 10.0 kJ mol-1 e ∆Cpsoluz= 100 J K-1 mol-1 mentre per la
solubilità di B in A sia XB = 0.2, ∆Hsoluz= 5.0 kJ mol-1 e ∆Cpsoluz= 200 J K-1 mol-
1
. Le curve calcolate sono ovviamente le stesse di quelle in rosso e verde della
figura precedente solo che la curva rossa è spostata parallelamente di 0.1
lungo la scala delle ascisse. Nella figura seguente è riportato: a sinistra,
l’andamento della frazione molare del soluto nelle due fasi sature in funzione
della temperatura; a destra, l’andamento ad assi invertiti (solubilità nell’ascissa
e temperatura nell’ordinata).

1 550

500
0.8
450

400
0.6
X
A T 350
X 0.4
B
300

250
0.2
200

0 150
150 200 250 300 350 400 450 500 550 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
T XA ; X
B

Immagine 21.2

Se adesso la frazione molare del soluto in una delle due fasi sature viene
espressa in termini della frazione molare dell’altro componente (XA=1-XB) si
ottiene il diagramma a sinistra della figura seguente mentre a destra è
riportato un diagramma reale.
450

400

350 1 fase 1 fase


T A in B B in A
2 fasi
300 A saturo in B
B saturo in A

250

200
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
XA

Immagine 21.3

Nella regione delimitata dalle due curve di solubilità sono in equilibrio due fasi
l’una di B satura in A e l’altra di A satura in B. Ad una data T le due fasi in
equilibrio hanno una composizione invariante nel senso che variando il
rapporto tra i due liquidi la composizione delle due fasi non cambia mentre
cambia il rapporto tra le loro masse in accordo alla regola della leva.

I due punti di intersezione delle due curve vengono definiti temperatura critica
inferiore e superiore; se la temperatura del sistema è più grande della
temperatura critica superiore o è più piccola della temperatura critica inferiore i
due liquidi sono miscibili in tutti i rapporti. Nel punto di intersezione delle due
curve le frazioni molari dei due componenti sono le stesse in entrambe le fasi
o, per meglio dire, è presente una unica fase con un’unica composizione.

Poiché la forma e la localizzazione delle curve dipende dalla natura dei due
liquidi dato che da essa dipendono la solubilità reciproca e i ∆Hsoluz e ∆Cpsoluz, è
possibile che nell’intervallo di temperatura in cui i due liquidi rimangono nel
loro stato di aggregazione non sia rilevabile una delle due o entrambe le
temperature critiche; in tal caso, i diagrammi risultano aperti o verso il basso o
verso l’alto come mostrato nelle figure seguenti
Immagine 21.4.

21.3 Energia libera di sistemi costituiti da due liquidi parzialmente


miscibili

E’ stato visto che l’energia libera di miscelamento di liquidi miscibili in tutti i


rapporti e con comportamento ideale è sempre negativa e presenta un minimo
che, indipendentemente dalla natura dei due liquidi, dipende dalla temperatura
e dalla composizione. Nel caso di miscele a comportamento non ideale
l’energia libera è ancora negativa e la curva dell’energia libera in funzione della
composizione può essere localizzata a valori maggiori o minori rispetto a quelli
relativi alla curva ideale se le forze d’interazione A-B sono più o meno forti di
quelle A-A e B-B.
Nel caso di liquidi parzialmente miscibili la curva dell’energia di miscelamento
in funzione della composizione presenta due minimi in corrispondenza della
saturazione delle due fasi. Al variare della temperatura i due minimi si
avvicinano l’un l’altro per poi scomparire in corrispondenza della temperatura
critica (inferiore o superiore) di mescolamento. La curva che unisce i punti di
minimo corrisponde alla lacuna di miscibilità dei diagrammi temperatura-
composizione.
Immagine 21.5.

21.4 Distillazione di liquidi parzialmente miscibili

Se due liquidi sono parzialmente miscibili, in dipendenza della temperatura alla


quale si ha la temperatura critica superiore, all’aumentare della temperatura si
può verificare che i due liquidi divengano completamente miscibili prima di
raggiungere la temperatura di ebollizione oppure che questa ultima venga
raggiunta mentre nel sistema sono ancora presenti le due fasi liquide in
equilibrio. Se nel diagramma liquido-vapore i due liquidi presentano un
azeotropo bassobollente, si possono verificare i due casi mostrati in figura

Immagine 21.6

Nel caso in cui all’aumentare della temperatura venga raggiunta la


temperatura critica superiore, i due liquidi diventano miscibili dando luogo ad
una sola fase per avere successivamente all’equilibrio liquido-vapore. Il
comportamento di questi sistemi è di facile interpretazione corrispondendo al
comportamento separato dell’equilibrio liquido-liquido e di quello liquido-
vapore.
Nel caso in cui la temperatura critica superiore non venga raggiunta, si ha una
sovrapposizione del diagramma liquido-liquido con il diagramma liquido-vapore
ed il diagramma complessivo è del tipo di quello a destra della figura
precedente. Analizziamo il caso di una miscela avente composizione e
temperatura corrispondenti al punto a1 ed il caso di una miscela avente
composizione e temperatura rappresentate dal punto e1. Il distillato di a1 ha
composizione b1 dal quale per raffreddamento fino alla temperatura
corrispondente ad a1 (b3) si ottiene una miscela costituita da due fasi le cui
composizioni sono rispettivamente b’3 e b”3. Per riscaldamento della miscela
e1, costituita da due fasi aventi composizione b’3 e b”3, si ottiene un vapore
avente la stessa composizione e3 e dal quale per raffreddamento si riottiene la
miscela liquida e1 formata dalle due fasi in equilibrio.

21.5 Diagrammi di stato liquido-solido

Il raffreddamento dei liquidi porta alla formazione di fasi solide. Se le sostanze


A e B allo stato liquido sono completamente miscibili e se le stesse sostanze
allo stato solido sono parzialmente miscibili, se cioè nelle regioni vicine alle due
sostanze pure si ha la formazione di soluzioni solide, il diagramma è del tutto
simile a quello a destra della figura precedente se si scambia nelle varie regioni
“liquido” con “solido” e “vapore” con “liquido”.
Generalmente, i solidi non sono miscibili ed ognuno di essi costituisce una fase
a parte. Il diagramma che si ottiene è ancora simile a quello visto in
precedenza allargando la zona di immiscibilità fino a toccare i due assi delle
ordinate.

Supponiamo che i liquidi A e B siano miscibili in tutti i rapporti e che A e B


solidi siano completamente immiscibili. Raffreddiamo, per esempio, la miscela
avente composizione a1. Non appena viene raggiunta la temperatura
corrispondente al punto a2 il sistema si trova nella regione costituita da due
fasi: il solido B puro e la miscela liquida; man mano che diminuisce la
temperatura (punto a3) aumenta sempre più la quantità di B solido che si
separa mentre la miscela liquida si arricchisce sempre più nel componente A
(punto b3). Quando il raffreddamento del sistema porta alla temperatura
corrispondente al punto a4, si hanno in equilibrio il solido B e la miscela a
composizione e. Poiché detti diagrammi sono a pressione costante, la varianza
del sistema nel punto e, definito eutettico, è zero in quanto in esso sono in
equilibrio 3 fasi (due solide ed il liquido) costituite da 2 componenti. Un
ulteriore raffreddamento del sistema porta al congelamento del liquido a
composizione e ed alla formazione dei due solidi puri A e B.

Un liquido avente la composizione


eutettica congela senza che prima si
separi uno dei due solidi. Dal
raffreddamento di miscele più ricche in
B rispetto all’eutettico si separa B solido
mentre da quelle meno ricche si separa
A solido.

Immagine 21.7

Una complementare visione del comportamento di questi sistemi al


raffreddamento è dato dall’analisi termica per mezzo della quale vengono
costruiti i diagrammi mostrati. Per una data composizione viene misurata la
velocità di raffreddamento ossia la variazione della temperatura in funzione del
tempo. Sottraendo calore uniformemente nel tempo alla miscela a1 vista in
precedenza si nota che la temperatura diminuisce regolarmente fin quando non
comincia a formarsi il solido B (punto a2); da questo punto la temperatura
continua a diminuire regolarmente ma cmeno rapidamente di prima a causa
della presenza nel sistema del solutoB; nel punto a4 continuando a sottrarre
calore la temperatura non cambia (arresto eutettico) in quanto si ha il
congelamento della miscela eutettica. A parità di massa della miscela originaria
l’arresto eutettico è tanto più grande quanto più la composizione della miscela
è vicina a quella eutettica. Il massimo arresto si ha quando la miscela liquida
ha la stessa composizione dell’eutettico.

Nella figura sono riportate le curve di


raffreddamento temperatura-tempo di
varie miscele. Si possono notare
quattro zone: raffreddamento del
liquido; raffreddamento del sistema a
due fasi liquido-solido in equilibrio;
arresto eutettico; raffreddamento del
sistema con due fasi solide A e B puri.

Immagine 21.8
A volte si verifica che i due componenti A e B formino un composto C secondo
reazioni del tipo

A+B C A + 2B C 2A + B C

Trattandosi di composti e non di miscele a definiti rapporti molari, se C forma


eutettici sia con A che con B, i diagrammi di fase risultano l’insieme di due
diagrammi del tipo di quelli visti in precedenza. Un esempio è mostrato nella
figura seguente (a sinistra) per un composto C equimolecolare.

Si hanno dei casi in cui il composto C non è stabile allo stato liquido, ad
esempio la lega Na2K (figura a destra) e quando ciò avviene si dice che si ha
una fusione incongruente. Le fasi presenti nelle varie regioni sono indicati nella
figura ed il comportamento delle miscele al raffreddamento è facilmente
interpretabile sulla base del comportamento dei sistemi visti in precedenza.

Immagine 21.9.

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