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Corso di

Formazione
Insegnanti di Yoga
Romina
D’Eugenio
Tesi di fine corso

Yoga e Ayurveda

Cure complementari per demenza e


Alzheimer
DEFINIZIONE

La malattia di Alzheimer, la più comune tra le demenze, (definita anche Morbo di Alzheimer, demenza presenile
di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer, Demenza di Alzheimer o semplicemente
Alzheimer) è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva con esordio prevalentemente oltre i 65 anni,
caratterizzata da un decorso lento, determinata dalla degenerazione e distruzione delle cellule nervose.
E’ associata ad un’atrofia cerebrale e ad un basso livello di neurotrasmettitori, come ad esempio l'acetilcolina,
coinvolti nella trasmissione di un impulso da una cellula all'altra nelle aree cerebrali connesse alla memoria e ad
altre funzioni cognitive.
La malattia di Alzheimer è contraddistinta da un'alterazione delle funzioni cognitive superiori come la memoria,
il ragionamento, il linguaggio, e mette a rischio la capacità di parlare e pensare; la malattia può, inoltre, causare
stati di confusione, cambiamenti d'umore e disorientamento temporo-spaziale, fino a pregiudicare la capacità di
svolgere le normali attività quotidiane e perdere completamente l'autosufficienza.

OSSERVARE LE DEMENZE PER COMPRENDERE L’ALZHEIMER

Per capire la malattia di Alzheimer dobbiamo chiarirci le idee sulla definizione di demenza.
La demenza non è una malattia specifica, bensì un termine generale che descrive una vasta gamma di sintomi
associati al declino della memoria o di altre abilità del pensare sufficientemente grave da ridurre la capacità di una
persona di svolgere le attività quotidiane.
Le persone affette da demenza possono avere problemi con la memoria a breve termine, come il sapere dove si
trovano borse o portafogli, il pagare le bollette, il pianificare e preparare i pasti, il ricordare gli appuntamenti o il
viaggiare in zone non vicine a casa.
Molte forme di demenza sono progressive, vale a dire, i sintomi si manifestano lentamente per poi peggiorare
gradualmente.
La demenza è causata da danni subiti dalle cellule cerebrali. Questo danno interferisce con la capacità
delle cellule cerebrali di comunicare tra loro. Quando le cellule cerebrali non possono comunicare
normalmente, il pensiero, il comportamento e le sensazioni ne risentono.
Il cervello ha molte regioni distinte, ciascuna delle quali è responsabile di diverse funzioni (ad esempio,
la memoria, il giudizio e il movimento).
Quando le cellule in una determinata regione sono danneggiate, tale regione non può svolgere le proprie funzioni
normalmente.
Diverse tipologie di demenza sono associate a particolari tipi di danni subiti dalle cellule cerebrali in determinate
regioni del cervello.
Ad esempio, nel caso del morbo di Alzheimer, come abbiamo già detto, elevati livelli di certe proteine all'interno
e all'esterno delle cellule cerebrali rendono difficile alle cellule cerebrali di rimanere sane e comunicare tra loro e
si riscontra un basso livello di neurotrasmettitori che sono coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.
La regione del cervello chiamata ippocampo1 è il centro dell’apprendimento e della memoria nel cervello, e le
cellule cerebrali in questa regione sono spesso le prime a essere danneggiate. Ecco perché la perdita della memoria
è spesso uno dei primi sintomi del morbo di Alzheimer.
Nelle demenze, i problemi di memoria e delle funzioni cognitive sono permanenti mentre nei seguenti casi possono
essere affrontate o curate:
• Depressione
• Effetti collaterali di farmaci

1 L'ippocampo è parte del cervello, situato nella regione interna del lobo temporale. Fa parte della formazione dell'ippocampo,
inserito nel sistema limbico, e svolge un ruolo importante nella formazione delle memorie esplicite (dichiarativa e semantica),
nella trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine e nella navigazione spaziale. Gli
esseri umani e gli altri mammiferi possiedono due ippocampi, uno in ogni emisfero del cervello. Nei roditori, animali in cui
l'ippocampo è stato studiato in maniera approfondita, l'ippocampo ha all'incirca la forma di una banana. Nell'essere umano, ha
una forma curva e convoluta, che ispirò ai primi anatomisti l'immagine di un cavalluccio marino. Il nome, infatti, deriva dal
greco (Greco: hippos = cavallo, kàmpe = bruco).

Nella malattia di Alzheimer, l'ippocampo è una delle prime regioni del cervello a soffrire dei danni; deficit di memoria e
disorientamento sono i primi sintomi che compaiono. Lesioni all'ippocampo possono occorrere anche come conseguenza di
mancanza di ossigeno (anossia), encefalite o epilessia del lobo temporale mediale. Le persone che presentano danni estesi al
tessuto ippocampale possono mostrare amnesia, cioè incapacità di formare o mantenere nuovi ricordi.
• Uso eccessivo di alcol
• Problemi di tiroide
• Carenze vitaminiche

CAUSE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER


Attualmente, secondo l'ipotesi più accreditata, la malattia di Alzheimer rappresenta la conseguenza dell'eccessivo
accumulo di frammenti insolubili di β-amiloide (principale costituente delle placche senili che viene prodotta in
eccesso o mal smaltita) e fibre contorte di proteina tau chiamati grovigli che si accumulano all’interno delle cellule.
Anche se la maggior parte delle persone sviluppa alcune placche e grovigli con l’età avanzata, chi soffre
del morbo di Alzheimer tende a svilupparne molti di più.

PLACCHE AMILOIDI
La malattia è dovuta a una diffusa distruzione di neuroni, principalmente attribuita alla beta-amiloide, una
proteina che, depositandosi tra i neuroni, agisce come una sorta di collante, inglobando placche e ammassi
"neurofibrillari"2.
La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello (si tratta di un
neurotrasmettitore, ovvero di una molecola fondamentale per la comunicazione tra neuroni, e dunque per la
memoria e ogni altra facoltà intellettiva). La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l'impossibilità per il
neurone di trasmettere gli impulsi nervosi e quindi la morte dello stesso, con conseguente atrofia progressiva del
cervello nel suo complesso.
A livello neurologico macroscopico, la malattia è caratterizzata da una diminuzione nel peso e nel volume del
cervello, dovuta ad atrofia corticale, visibile anche in un allargamento dei solchi e corrispondente appiattimento
delle circonvoluzioni3.
A livello microscopico e cellulare, sono riscontrabili depauperamento neuronale, placche senili (dette anche
placche amiloidi), ammassi neurofibrillari, angiopatia congofila4 (amiloidea).
Dall'analisi post-mortem di tessuti cerebrali di pazienti affetti da Alzheimer (solo in tale momento si può
confermare la diagnosi clinica da un punto di vista anatomo-patologico), si è potuto riscontrare un accumulo
extracellulare di una proteina, chiamata Beta-amiloide.
Alla morte del neurone, i frammenti amiloidi vengono
liberati nello spazio extracellulare tendendo a
depositarsi in aggregati fibrillari insolubili via via
sempre più grandi, andando a formare le cosiddette
placche amiloidi, rilevabili all'esame istologico. Tali
placche neuronali innescano un processo reattivo
infiammatorio, attivando una risposta immunitaria
che danneggia irreversibilmente i neuroni.

PROTEINA TAU
Ulteriori studi mettono in evidenza che nei malati di
Alzheimer interviene un ulteriore meccanismo
patologico: all'interno dei neuroni una Proteina Tau,
fosforilata 5 in maniera anomala, si accumula nei
cosiddetti "aggregati neurofibrillari" (o ammassi
neurofibrillari).

2fasci di filamenti elicoidali nel citoplasma dei neuroni che dislocano o avvolgono il nucleo: rappresentano probabilmente lo
stadio finale di numerosi differenti processi fisiopatologici cellulari.

3 Per circonvoluzione si intendono aree della corteccia cerebrale delimitate da due solchi.

4è una forma di angiopatia nella quale si formano depositi di materiale amiloide sulle pareti dei vasi sanguigni del sistema
nervoso centrale. Il termine "congofila" è utilizzato in quanto la presenza di aggregazioni anomale di amiloide possono essere
evidenziate, nell'esame microscopico dei tessuti encefalici, tramite l'uso del colorante Rosso Congo.

5 è una reazione chimica che consiste nell'addizione di un gruppo fosfato (PO43-) ad una proteina o ad un'altra molecola.
Particolarmente colpiti da questo processo patologico sono i neuroni colinergici6, specialmente quelli delle aree
corticali, sottocorticali e, tra queste ultime, le aree ippocampali, che come sappiamo svolgono un ruolo
fondamentale nell'apprendimento e nei processi di memorizzazione; perciò la distruzione dei neuroni di queste
zone è ritenuta essere la causa principale della perdita di memoria dei malati.

CLASSIFICAZIONE
CLASSIFICAZIONE IN FORME
Una prima importante distinzione può essere fatta tra forme sporadiche e forme famigliari.
-Le forme più frequenti (circa il 90-95%) sono sporadiche, cioè si manifestano in un solo individuo in famiglia
e non presentano familiarità.
-Nelle forme famigliari (5-10% circa) sono colpiti dalla malattia più membri della stessa famiglia. Esse sono
causate da un gene alterato che si trasmette alle generazioni successive; spesso hanno un esordio precoce: prima
dei 65 anni.
In generale, sono trasmesse con modalità di tipo autosomico dominante: ciò significa che il 50% dei figli del
genitore portatore della mutazione ha la possibilità di ereditarla e di manifestare i sintomi in età adulta.

CLASSIFICAZIONE IN STADI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER– GDS -


(SCALA DI BARRY REISBERG)
La scala più utilizzata per la stadiazione clinica della Malattia di Alzheimer è la Global Deterioration Scale (GDS).
Questa scala è utilizzata per valutare la gravità del decadimento cognitivo e per monitorare nel tempo il decorso
progressivo della Malattia di Alzheimer. La GDS individua 7 stadi distinti, a gravità crescente, di deterioramento
cognitivo: da “nessun declino” a “declino molto severo”.

Stadio I: nessun declino delle funzioni cognitive. Difetto di memoria non riferito dal paziente, né riscontrato dal
medico nell’indagine.

Stadio II: declino molto lieve delle funzioni cognitive. Il paziente riferisce difetti della memoria, più
frequentemente:
-non ricorda dove vengono messi oggetti, o i nomi dei familiari
-nell’indagine il medico non riscontra prove oggettive di perdita di memoria
-nessuna lacuna sul lavoro o nelle situazioni sociali
-preoccupazione adeguata per i sintomi presenti.

Stadio III: declino lieve delle funzioni cognitive. Comparsa di lacune ben definite:
-il paziente si può perdere trovandosi in un luogo non familiare
-difficoltà a ricordare ciò che il paziente legge
-minor rendimento sul lavoro
-il paziente comincia a manifestare una certa rinuncia nelle attività giornaliere
-le persone vicine notano nel paziente difficoltà nel trovare le parole e ricordare i nomi
-durante l’indagine del medico il paziente può manifestare mancanza di concentrazione, difetti di memoria
associati ad ansietà lieve o moderata

Stadio IV: declino moderato delle funzioni cognitive. Durante l’indagine del medico si possono manifestare:
-ridotta conoscenza degli eventi attuali e recenti, difetti nella memoria di fatti riguardanti la storia personale, difetti
di concentrazione e ridotta capacità di svolgere compiti complessi
-diminuite capacità nel viaggiare, nella gestione del denaro ecc.
-insorgenza di meccanismi di “difesa” come la rinuncia nelle situazioni impegnative e il diniego
-ridotte risposte affettive.

Stadio V: declino moderatamente severo delle funzioni cognitive. Durante il colloquio con il medico il paziente:
-presenta difficoltàà a ricordare elementi rilevanti come il proprio indirizzo o numero di telefono, difficoltà di
concentrazione (per esempio contare all’indietro).
-comincia ad avere bisogno di assistenza
-manifesta disorientamento temporo-spaziale, difficoltà nel vestirsi, nella cura personale, nei pasti.

6 è una classe di recettori transmembrana che trasduce il segnale in seguito al legame con l'acetilcolina.
Stadio VI: declino severo delle funzioni cognitive
-il paziente risulta per lo più ignaro di tutti gli avvenimenti recenti e delle esperienze della propria vita,
conservando solo qualche cognizione del proprio ambiente, dell’anno, della stagione ecc. Può presentare difficoltà
nel contare e l’incapacità di prendere decisioni, associate a perdita di forza e di volontà
-il paziente necessita di assistenza nella vita quotidiana, durante viaggi o spostamenti in luoghi familiari
-il soggetto presenta disturbi della minzione, frequentemente incontinenza e cambiamenti emotivi e della
personalità: comportamenti maniacali, ossessivi o ripetitivi, violenti, sintomi di ansietà e agitazione
-il paziente mantiene la capacità di distinguere le persone familiari da quelle non familiari.

Stadio VII: declino molto severo delle funzioni cognitive:


-perdita delle capacità verbali: il paziente si esprime solo con brontolii
-incontinenza urinaria
-perdita delle fondamentali capacità psicomotorie come camminare e mangiare
-necessità di assistenza continua per il mantenimento della cura della persona
-frequenti sintomi e segni neurologici.

SINTOMI

La malattia di Alzheimer è caratterizzata da un andamento lento e progressivo, variabile da individuo ad


individuo.
Le manifestazioni sintomatologiche, con il progredire della malattia, sono sempre più gravi:
-la perdita di memoria è tale da indurre l’individuo a porre ripetutamente le stesse domande;
-i deficit cognitivi compromettono le capacità dell’individuo di seguire delle indicazioni, di orientarsi, di curare la
propria persona nell’igiene e nella nutrizione, andando a compromettere significativamente la propria autonomia.
La sintomatologia nella malattia di Alzheimer comprende:
Deficit mnesici: la perdita della memoria all’esordio della malattia si manifesta con lievi lacune per diventare
progressivamente sempre più importante; il paziente è incapace di ricordare fatti recenti; per esempio, dimentica
nomi, numeri di telefono, cosa ha mangiato, dove ha riposto un oggetto (amnesia anterograda7).

7tipo di amnesia (disturbo della memoria a lungo termine) dove il paziente è fortemente, se non totalmente, limitato a
memorizzare nuove informazioni a partire dal momento in cui il problema si è manifestato.
Disorientamento temporale e spaziale: caratteristico è il wandering cioè il vagare senza meta.
Deficit intellettivi: compromissione delle capacità di giudizio, ragionamento, risoluzione dei problemi.
Anomia: progressiva compromissione del linguaggio con difficoltà a “trovare la parola giusta” con frequenti pause,
eloquio povero, frequenti frasi stereotipate.
Aprassia: difficoltà ad utilizzare correttamente gli oggetti e ad autogestire la propria quotidianità, come vestirsi,
scrivere, utilizzare le chiavi.
Agnosia: difficoltà a riconoscere familiari ed amici, cibi o bevande.
Alessia e agrafia: incapacità di leggere e di scrivere.
Acalculia: incapacità di effettuare semplici operazioni matematiche.
Afasia: incapacità di comprendere il linguaggio parlato e incapacità di parlare. Disturbi
comportamentali/cambiamenti del tono dell’umore (ansia, depressione, agitazione, paranoia, sospettosità,
aggressività, apatia, inversione sonno-veglia, ecc.)
Incontinenza urinaria.

EPIDEMIOLOGIA ED INCIDENZA
A causa dell’invecchiamento della popolazione, la demenza di Alzheimer rappresenta una patologia in continuo
aumento e di grande interesse per i sistemi sociosanitari, essendo una malattia altamente invalidante, a grande
impatto sulle famiglie e sui servizi assistenziali.
Da quanto riportato dall’ADI (Alzheimer’s Disease International), la demenza di Alzheimer rappresenta il 50-
60% delle demenze, colpendo circa 24/28 milioni di persone nel mondo, con circa 5 milioni di nuovi malati ogni
anno. In Europa la demenza di Alzheimer rappresenta il 54% di tutte le demenze, con una incidenza nella
popolazione con più di 65 anni del 4,4%.
Le donne risultano più colpite da questa patologia, con valori che vanno dallo 0,7% per la classe d’età 65-69 anni
al 23,6% per le ultranovantenni.
La percentuale per gli uomini risulta rispettivamente pari a 0,6% e a 17,6% nelle due classi di età. Secondo lo
studio ILSA del CNR, in Italia la demenza interessa il 6,4% delle persone oltre i 65 anni.
In questi dati, che sono già di per se molto allarmanti, non sono considerati tutti i casi al mondo non censiti quindi
le percentuali sono sicuramente maggiori.

PREVENZIONE
STILE DI VITA E FATTORI DI RISCHIO
-Fattori di rischio cardiovascolare: Il cervello è nutrito da una delle più ricche reti di vasi sanguigni
del corpo. Tutto ciò che danneggia i vasi sanguigni ovunque nel corpo, può danneggiare i vasi sanguigni
nel cervello, privando le cellule cerebrali di cibo e ossigeno vitali. I cambiamenti dei vasi sanguigni nel
cervello sono legati alla demenza vascolare. Essi sono spesso presenti con i cambiamenti provocati da
altri tipi di demenza, tra cui il morbo di Alzheimer e la demenza da corpi di Lewy8.
Si può aiutare a proteggere il cervello con alcune delle stesse strategie che proteggono il cuore, non
fumare, mantenere un peso sano, e prendere misure per controllare la pressione sanguigna, il colesterolo
e gli zuccheri nel sangue, accertandosi che rientrino nei limiti raccomandati.
- Esercizio fisico: L’esercizio fisico regolare può aiutare a ridurre il rischio di alcuni tipi di demenza.
Le prove suggeriscono che l’esercizio può avvantaggiare direttamente le cellule cerebrali, aumentando
il flusso di sangue e di ossigeno al cervello.
- Dieta: Quello che si mangia può avere il massimo impatto sulla salute del cervello.
Le migliori prove disponibili suggeriscono modelli di alimentazione positivi per il cuore, come, ad
esempio, una dieta mediterranea, che protegge anche il cervello. Essa comprende poca carne rossa,
predilige cereali integrali, frutta, verdura, pesce, crostacei, noci, olio d'oliva e altri grassi sani.
E’ importante “mantenere in forma” il cervello; a tale proposito l’Alzheimer’s Association (importante
associazione degli USA) suggerisce alcune regole:

8 (o DLB) è una malattia neurodegenerativa, una forma di demenza simile alla malattia di Alzheimer, ma ad esordio più precoce,
e correlata spesso a quella di Parkinson e a sindromi parkinsoniane, anche se a volte la demenza parkinsoniana pura, che insorge
in alcuni malati, può essere distinta (tuttavia lo stretto legame ha cominciato ad emergere solo negli ultimi anni).
• Prevenire costantemente malattie cardiache, diabete, ipertensione e ictus (fattori che possono
aumentare il rischio di Alzheimer);
• tenere nella normalità peso, glicemia e colesterolo;

• assumere una dieta povera di grassi e ricca di antiossidanti. A tale proposito sembra che le verdure e
i frutti di colore scuro (ricchi di antiossidanti protettivi, responsabili del loro colore acceso) possano
essere un aiuto per il mantenimento dell'efficacia cognitiva; tra le prime ci sono la rucola, il cavolo
nero, i ravanelli, i cavolini di Bruxelles, il cavolo cinese, la rapa, la melanzana, il peperone, gli spinaci
e la cipolla. Per quanto riguarda la frutta: mirtilli, lamponi, ciliegie, more, prugne, uva, arance e
fragole.
• Svolgere attività fisica, come camminare per 30 minuti al giorno, aumenta l’ossigenazione al cervello.
• Mantenere il cervello attivo e impegnato aumenta la sua vitalità, quindi è importante leggere, scrivere, giocare,
imparare cose nuove, fare cruciverba.

• Avere rapporti sociali che occupino il tempo libero, con attività che richiedono sforzo fisico e mentale:
socializzare, conversare, fare volontariato, frequentare un circolo, ritornare sui banchi di scuola.

• Evitare i traumi: usare il casco se si va in bicicletta e diminuire i rischi per le cadute.


• Non fumare, non usare droghe e limitare il consumo di alcolici.

• I componenti di una dieta mediterranea, che comprendono frutta e verdura, pane, grano e altri cereali, olio
d'oliva, pesce e vino rosso, possono singolarmente o tutti insieme ridurre il rischio e ritardare il decorso della
malattia di Alzheimer. I loro benefici effetti cardiovascolari sono stati proposti come meccanismo di azione.
• Esistono prove limitate che un consumo, da lieve a moderato, di alcool, soprattutto vino rosso, sia associato a
un minor rischio di Alzheimer.

• L’utilizzo a lungo termine di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) è associato a una ridotta
probabilità di sviluppare Alzheimer.
• Studi post-mortem umani, studi su modelli animali, o in studi in vitro, supportano l'ipotesi che i FANS possano
ridurre l'infiammazione correlata alle placche amiloidi.

• Tuttavia, studi riguardanti il loro uso come trattamento palliativo non sono riusciti a dimostrare risultati positivi,
mentre nessun processo di prevenzione è stato realizzato.
• La curcumina del curry ha mostrato una certa efficacia nel prevenire i danni cerebrali, nei modelli di topo, in
virtù delle sue proprietà anti-infiammatorie.
• La terapia ormonale sostitutiva, anche se utilizzata in passato, non è più ritenuta efficace per prevenire la
demenza e in alcuni casi può anche esserne ritenuta responsabile.

TERAPIE CONVENZIONALI
TERAPIA FARMACOLOGICA
Come abbiamo gia detto nell'Alzheimer si ha diminuzione dei livelli di acetilcolina, un'ipotesi terapeutica è stata
quella di provare a ripristinarne i livelli fisiologici.
Sono a disposizione farmaci inibitori reversibili dell'acetilcolinesterasi9, che hanno una bassa affinità per l'enzima
presente in periferia, e che sono sufficientemente lipofili da superare la barriera emato-encefalica (BEE10), e agire
quindi di preferenza sul sistema nervoso centrale. Tra questi, la tacrina, il donepezil, la fisostigmina, la

9 E’ un enzima appartenente alla classe delle idrolasi che catalizza la seguente reazione: acetilcolina + H2O → colina + acetato.
L'enzima è normalmente presente nell'organismo dei mammiferi localizzato nella membrana post-sinaptica delle giunzioni
colinergiche. La sua funzione è quella di idrolizzare l'acetilcolina scindendola in colina e acido acetico.
10 La barriera emato-encefalica (BEE) è una unità anatomico-funzionale realizzata dalle particolari caratteristiche delle cellule
endoteliali che compongono i vasi del sistema nervoso centrale e ha principalmente una funzione di protezione del tessuto
cerebrale dagli elementi nocivi presenti nel sangue, pur tuttavia permettendo il passaggio di sostanze necessarie alle funzioni
metaboliche.
galantamina e la neostigmina sono stati i capostipiti, ma l'interesse farmacologico è attualmente
maggiormente concentrato su rivastigmina e galantamina, il primo perché privo di importanti interazioni
farmacologiche, il secondo poiché molto biodisponibile e con emivita di sole sette ore, tale da non causare
facilmente effetti collaterali.
Un'altra e più recente linea d'azione prevede il ricorso a farmaci che agiscano direttamente sul sistema
glutamatergico 11 , come la memantina. La memantina ha dimostrato un'attività terapeutica, moderata ma
positiva, nella parziale riduzione del deterioramento cognitivo in pazienti con Alzheimer da moderato a grave.

TERAPIE NON FARMACOLOGICHE


Possono risultare utili nel trattamento del paziente affetto da malattia di Alzheimer quegli interventi che agiscono
sulla sfera cognitiva, comportamentale, relazionale ed emotiva, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del
paziente, ridurre la sua disabilità, cercando di rallentare il decorso della malattia e potenziando le sue residue
capacità intellettive, sensoriali ed affettive.
Per raggiungere l’obiettivo sarà fondamentale il ruolo della famiglia, il cui coinvolgimento risulta necessario, non
solo come sostegno affettivo e psicologico, ma anche come parte integrante di un percorso terapeutico, per
affrontare una malattia inesorabilmente progressiva ed invalidante. La riabilitazione cognitiva potrà essere
effettuata con varie tecniche: dalla terapia occupazionale, alla terapia di riattivazione globale, alla musicoterapia.
-Terapia occupazionale: ha come obiettivo quello di cercare di risolvere problemi pratici che si possono
incontrare nella vita quotidiana; il terapista occupazionale suggerirà ausili per agevolare le attività della vita
quotidiana, istruirà anche il caregiver12.
-Terapia di riattivazione globale: ha come scopo quello di stimolare la memoria del paziente, attraverso
argomenti sia del passato che attuali, e di rimotivarlo attraverso la discussione di argomenti legati alla sua vita
attuale.
-Musicoterapia: ha lo scopo di promuovere la comunicazione, le relazioni e l’apprendimento, attraverso
l’utilizzo di elementi sonoro-musicali.
In linea generale è importante mantenere inalterato il luogo in cui vive il paziente (casa, mobilio) in modo da
favorirne l’orientamento spaziale, mettendo nel contempo in sicurezza tutti quegli ambienti (cucina, bagno,..) che
possono rappresentare un pericolo per la persona malata.

CENNI STORICI
PRIMO CASO DI MORBO DI ALZHEIMER: STORIA E INTERVISTA AD
AUGUSTE DETER

11 Sistema composto da acido glutammico che non è un amminoacido essenziale negli esseri umani.

Le principali fonti alimentari di acido glutammico sono il glutine (25% di acido glutammico in peso) e la caseina del latte animale
(20-23%), legato agli altri amminoacidi o libero a seguito di pastorizzazione del latte, raffinazione e cottura del grano,
fermentazione naturale dei formaggi.

Oltre al suo ruolo di costituente delle proteine, nel sistema nervoso è anche un neurotrasmettitore eccitatorio e un precursore
dell'acido γ-amminobutirrico (GABA:principale neurotrasmettitore inibitorio nei mammiferi, del sistema nervoso centrale.
Responsabile nella regolazione dell'eccitabilità neuronale in tutto il sistema nervoso)

L'acido glutammico non attraversa la barriera ematoencefalica quindi, per giungere al cervello, dove viene usato per la sintesi
proteica, viene convertito in glutammina.

Si ipotizza che l'acido glutammico sia coinvolto nel cervello in funzioni cognitive quali l'apprendimento e la memoria, benché
l'accumulo nel lungo termine o molto più raramente l'assunzione in quantità eccessive possano causare danni neuronali da
eccitotossicità tipici di sclerosi progressive e della malattia di Alzheimer.

Il sale sodico dell'acido glutammico, il glutammato monosodico o glutammato di sodio (MSG–Mono sodium glutamate), è
ampiamente usato nell'industria alimentare come esaltatore di sapidità. Nell'Unione europea, il glutammato monosodico viene
classificato come additivo alimentare (e identificato con il codice E621) ed esistono delle direttive che ne regolamentano l'utilizzo
negli alimenti.

Le proteine animali o vegetali idrolizzate possono contenere glutammato libero se questo era presente in forma legata: l'idrolisi
comporta la separazione delle catene di aminoacidi presenti, incluso l'eventuale glutammato legato.

12
termine anglosassone che indica “colui che si prende cura” e si riferisce a tutti i familiari che assistono un loro congiunto
ammalato e/o disabile.
Auguste Deter nacque il 16 maggio 1850. Deter era il cognome acquisito dal marito, Karl Deter, sposato nel 1873.
Dal loro matrimonio nacque una figlia. Sul finire degli anni 1890, a poco più di 40 anni, Auguste iniziò a
manifestare problemi di memoria e disturbi del comportamento, che non aveva mai mostrato prima. Il 18 marzo
del 1901, secondo il racconto del marito, Auguste all'improvviso lo accusò di essere uscito con una vicina e per i
giorni successivi manifestò irritazione nei confronti di entrambi.
Karl lavorava nelle ferrovie e non era in grado di prendersi cura di Auguste. Decise così di trasferirla in un istituto
per malattie mentali. Il 25 novembre del 1901 l'accolse la Clinica Psichiatrica Irrenanstalt di Francoforte sul Meno,
dove lavorava Alois Alzheimer (psichiatra e psicologo tedesco) assieme a un valido gruppo di ricercatori tra i quali
gli italiani Gaetano Perusini (brillante neurologo e psichiatra udinese) e Francesco Bonfiglio (neurologo e psichiatra
italiano).
Durante la permanenza all'istituto venne sottoposta regolarmente a esame clinico e a trattamenti di sedazione,
senza il ricorso a contenzioni. Tutto fu minuziosamente annotato nella sua cartella
clinica.

La cartella clinica di Auguste D. 26 novembre 1901


“Come si chiama?”
“Auguste”
“Cognome?”
“Auguste”
“Come si chiama suo marito?”
“Credo Auguste”
“Suo marito?”
“Ah, mio marito...”
“È sposata?”
“Con Auguste”
(Queste stesse parole si ritrovano nell'opera corale Alzheimer's Stories, composta da Robert Cohen su libretto di Herschel Garfein.)

Il clinico comprese la peculiarità di un tale tipo di comportamento e continuò a esaminarla nei giorni successivi.
“Scriva “Signora Auguste D.”
Lei scrive “Signora”, e intanto ha dimenticato il resto. Se le si dice ogni singola parola, lei le scrive. Invece di
“Auguste” scrive “Augusa”.
Nello scrivere dice ripetutamente: “Mi sono, per così dire, persa”.
Alzheimer definisce il suo comportamento “disturbo amnestico di scrittura”.
Il suo colloquio clinico ricorda l'esame che si effettua, oggi in modo standardizzato, per rilevare il declino cognitivo.
“In che anno stiamo?”
“Mille ottocento...”
“Che mese?”
“Secondo mese”
"Durante il ricovero i suoi gesti mostravano una completa incapacità. Era disorientata nel tempo e
nello spazio. Ogni tanto diceva che non capiva niente, che si sentiva confusa e totalmente persa.
Nelle sue conversazioni usava spesso frasi confuse, singole espressioni parafasiche (come 'lattiera'
invece che 'tazza'), a volte smetteva del tutto di parlare.
La regressione mentale avanzava costantemente. La paziente morì dopo quattro anni e mezzo di
malattia. Nell'ultimo periodo era completamente apatica e restò confinata a letto in posizione fetale,
era incontinente e sebbene ricevesse cure e attenzioni soffrì di decubito."
Morì l'8 aprile del 1906
Alzheimer reputò il caso di Auguste Deter di rilevanza scientifica e lo presentò al Congresso della Società di
Psichiatria a Tubinga nel 1907.
Fu accolto con freddezza e il presidente commentò: “Signor collega Alzheimer, allora la ringrazio per la sua
esposizione, evidentemente non c'è bisogno di discussione.”
Il 1 marzo del 1903 Alzheimer aveva lasciato la Clinica di Francoforte per trasferirsi per qualche mese ad
Heidelberg, dove già si trovava il collega Franz Nissl e successivamente a Monaco, nella Clinica di Emil Kraepelin.
Il suo lavoro a Francoforte fu continuato da un valido collaboratore, Gaetano Perusini.
Perusini continuò a studiare Auguste e altri pazienti che presentavano analoghe manifestazioni cliniche. E
omogeneo era anche il quadro neuropatologico, caratterizzato da atrofia corticale, depositi di “un prodotto
metabolico patologico” nelle placche e degenerazione neurofibrillare.
Nel 1910 descrisse le caratteristiche cliniche e neuropatologiche di Auguste e di altri tre casi in un articolo
pubblicato sulla rivista curata da Nissl e Alzheimer (Ueber klinisch und histologisch eigenartige psychisce
Erkrankung das spaeteren Lebenshalters), corredato di disegni e tavole.
Il caso di Auguste è nella serie di Perusini ma non in quella di Fauller, pubblicata nel 1907. Solomon Carter
Fauller era tra i cinque ricercatori stranieri selezionati nel 1904 da Alzheimer per il suo laboratorio clinico e
sperimentale. Era uno psichiatra afroamericano, nato in Liberia nel 1872 ed era il nipote di uno schiavo americano
che aveva comprato la libertà ed era emigrato in Africa. A Fauller si deve la prima pubblicazione in inglese, nel
1907, dei casi studiati da Alzheimer e dal suo gruppo, assieme ad altri casi eterogenei. A Perusini la prima
pubblicazione omogenea ed esaustiva, che includeva il caso di Auguste.
Fu Emil Kraepelin a introdurre il termine malattia di Alzheimer (Alzheimerische Krankeheit) nel 1910, alla pagina
627 dell'ottava edizione del suo trattato di Psichiatria.
E tale è rimasta la denominazione, nonostante il contributo fondamentale di Gaetano Perusini. Tornato in Italia
nel 1911, continuò le sue ricerche, conseguì la libera docenza in clinica delle malattie nervose e mentali e nel 1913
divenne assistente nell'ospedale psichiatrico di Mombello. Arruolatosi volontario nella I Guerra Mondiale, morì
l'8 dicembre 1915 per le conseguenze dell'esplosione di una granata.
Alois Alzheimer morirà 11 giorni dopo.
A febbraio del 2013, in un articolo pubblicato su The Lancet Neurology, Ulrich Müller, Pia Winter e Manuel B.
Graeber hanno dimostrato definitivamente la validità delle pioneristiche ricerche di Alois Alzheimer, di Gaetano
Perusini e del gruppo di Francoforte.
Una storia straordinaria: prima,nel 1995, Konrad Maurer, Stephan Volk e Hector Gerbaldo ritrovarono le
cartelle cliniche di Auguste Deter, poi, nel 1997, furono avventurosamente ritrovati, nell'Università di Monaco, i
vetrini con i campioni di tessuto cerebrale. I risultati delle analisi neuropatologiche sono stati pubblicati da
Graeber e collaboratori nel 1998.
Diagnosi confermata. Quello che restava da capire era dunque la causa di un esordio così precoce e di una tale
aggressività del quadro istopatologico. E recentemente la risposta è stata trovata nella mutazione in un gene, la
presenilina 1, che codifica per la proteina precursore della formazione delle placche di amiloide.

Il progresso tecnologico, le nuove sofisticate tecniche di analisi istopatologica e genetica, la passione di alcuni
scienziati hanno quindi dato l'opportunità di confermare a 100 anni di distanza il lavoro pioneristico di quei clinici-
scienziati, guidati da Alois Alzheimer. Essi colsero la particolarità dei disturbi cognitivi e comportamentali
manifestati da Auguste Deter, li annotarono minuziosamente e con grande abilità ne analizzarono il tessuto
corticale con le tecniche più innovative per l'epoca. In tal modo, dimostrarono la complementarietà dell'esame
psicologico clinico e dell'indagine neuropatologica nello studio delle malattie psichiatriche, superando i vincoli
delle due opposte scuole, quella organicista13 e quella psicoanalitica.14

DEMENZA E ALZHEIMER NELLA VISIONE OLISTICA


METAMEDICINA
Per una visione olistica delle demenze e nello specifico nella demenza di Alzheimer mi affido agli studi della
dottoressa Claudia Rainville, autrice, conferenziera e psicoterapeuta, fondatrice dell’approccio di
Metamedicina.15
Nelle sue pubblicazioni la dottoressa Rainville sostiene che spesso dietro al morbo di Alzheimer vive un stato di
rinuncia profonda al proprio essere, spesso può sopraggiungere quando non si vede una via d’uscita da una
situazione particolarmente dolorosa.
C’è una similitudine tra autismo nei bambini che è un fuggire, rifugiarsi in un mondo immaginario per limitare
gli scambi col mondo esterno e l’Alzheimer nelle persone anziane.
Nel bambino nel primo anno di vita si pensa che il trauma legato alla malattia possa risalire al periodo nella fase
fetale, mentre nel bambino più grande o nell’adulto è quasi sempre collegato ad una grande sofferenza che lo fa
rinchiudere in un mondo suo per fuggire alla realtà che lo fa soffrire.
Possiamo dire che la malattia colpisce soprattutto le persone che non si sentono più in grado di affrontare le
difficoltà del loro quotidiano o che devono confrontarsi con una situazione senza vie di uscita. Poiché, di fatto,
non sono pronte a morire ma non riescono più a sopportare una situazione per loro penosa, il morbo di Alzheimer
diventa per essi una via di uscita.

13Si definisce organicismo ogni dottrina filosofica, politica o sociologica che interpreti il mondo, la natura o la società in analogia
ad un organismo vivente.

14 Tratto da:

Konrad Maurer, Stephan Volk, Hector Gerbaldo (1997). Auguste D. and Alzheimer’s disease. Lancet 349: 1546- 49

Konrad Maurer, Ulrike Maurer. Alzheimer, La vita di un medico la carriera di una malattia, Manifestolibri, Roma, 1999

Matteo Borri, Storia della malattia di Alzheimer, Il Mulino, Bologna, 2012

Pubblicato da neuropsicolab

http://neuropsicolab.blogspot.com/2014/03/misono-per-cosi-dire-persa.html

https://alzheimer.neurology.ucla.edu/pubs/alzheimerLancet.pdf

15La metamedicina è una branca delle medicine olistiche che non entra in conflitto con la medicina tradizionale bensì funge da
strumento complementare ad essa e asserisce l’esistenza di una correlazione fra sintomo e causa profonda aiutandoci a
comprendere l’origine mentale ed emozionale delle malattie.
VISIONE AYURVEDICA

COME LA MEDICINA AYURVEDICA GUARDA ALL’ALZHEIMER


La medicina ayurvedica è un sistema di medicina tradizionale originaria dell'India e i professionisti ayurvedici
hanno sviluppato una serie di preparazioni medicinali e procedure chirurgiche per il trattamento di vari disturbi.
Un intero corpus di letteratura nei testi ayurvedici si occupa del sistema nervoso e dei disturbi ad esso associati.
Si pensava che i disordini del sistema nervoso, chiamati VataVyadhi in sanscrito, fossero causati dagli squilibri di
Vata, l'umore biologico dell'aria, l'energia che si muove attraverso il cervello e i nervi (gli antichi consideravano gli
impulsi nervosi come una specie di vento o aria che viaggia attraverso il corpo) controllando le funzioni sia
volontarie che involontarie. Quindi, le alterazioni di Vata comportano sempre qualche debolezza, disturbo o
ipersensibilità del sistema nervoso. In questi testi sono inclusi riferimenti diretti alla perdita di memoria associata
all'età, alle cure preventive e agli interventi terapeutici.
Non esiste una condizione come descritta nell'Ayurveda, che può essere clinicamente equiparata al morbo di
Alzheimer.
Nei classici ayurvedici troviamo lo Smṛtināsha (perdita di memoria) che è menzionato tra i sintomi prodromici16 del
jarā (invecchiamento).
In Jarāvasthā (vecchiaia), che inizia dai 60 anni secondo Charaka, smṛti (memoria) e altre facoltà mentali, si
deteriorano gradualmente in modo naturale.
Secondo Vāgbhaṭa (As.Sam.Sha 8/25) e Sharṅgadhara (Prathama Khaṇḍa 6/20), le funzioni della mente e il declino di
Buddhi iniziano a declinare dalla nona decade di vita. La funzione mentale diminuisce all'undicesima decade di
vita secondo Sharṅgadhara.
Smṛtibhramsha (memoria disturbata) è descritto come un sintomo in cui smṛti (memoria) è viziato da rajas17 (passione)
e tamas18 (oscurità).
Pertanto, la demenza senile può essere interpretata come Jarājanya Smṛtibhramsha secondo i principi ayurvedici
quindi “disturbi della memoria per mezzo della vecchiaia”.
Secondo l'Ayurveda, l'apprendimento o l'acquisizione della conoscenza è il risultato di successive e complesse
interazioni e coordinamento tra atma (anima), indriya (organi cognitivi), mana (psiche) e Indriyartha (organi di senso).

16 manifestazione morbosa, senza carattere specifico, che precede l’insorgenza dei sintomi caratteristici di una malattia.

17
dalla radice rañj: “colorato”, “dinamico”. Dona instabilità, attività, desiderio. Indica la componente che mette in moto la
manifestazione.

18“oscurità”. Conferisce torpore, ignoranza, indolenza. È la componente che tende a ostacolare il dinamismo della
manifestazione.
Il funzionamento di questi fattori è governato dai tridosha (costituzioni umane) Vata, Pitta e Kapha, e Triguna
(costituzioni mentali) Sattva, Raja e Tama, in uno specifico coordinamento ed equilibrio.
Qualsiasi disturbo in questi Tridosha e Triguna causeranno un funzionamento disordinato di Indriya, (organi
cognitivi e motori) Mana (psiche) e Buddhi (intelletto) che porta alla memoria compromessa.

Gli acharya dell’Ayurveda (maestri spirituali, guru) ritengono che Jarā (senilità) sia una malattia naturale (Svābhāvika
vyādhi).
La senilità precoce può essere prevenuta con l'assunzione regolare di farmaci Rasāyana o Vayasthāpana (promotore
della longevità). Si suggerisce di introdurre i farmaci Rasāyana durante le fasi giovani e intermedie della vita.
I classici ayurvedici documentano il declino decennale degli individui e hanno sottolineato ulteriormente che il
declino dell'intelligenza e della memoria inizia alla fine del 40°anno di vita.19
Recentemente sono stati condotti studi meccanicistici sul ruolo di queste erbe nei disturbi del sistema nervoso e
nelle demenze, compresa la demenza associata ad Alzheimer.
In effetti, diversi studi scientifici hanno descritto l'uso di varie piante medicinali ayurvediche chiamate "nervini" e
dei loro costituenti, per rafforzare l'attività funzionale del sistema nervoso e il ripristino della memoria.
Studi fitochimici hanno dimostrato la presenza di molti composti preziosi, come lignani, flavonoidi, tannini,
polifenoli, tri terpeni, steroli e alcaloidi, che mostrano un ampio spettro di attività farmacologiche, tra cui
antinfiammatorie, anti amiloidogeniche, anti-colinesterasi, effetti ipolipidici e antiossidanti.
L’Ayurveda suggerisce Nasya karma (somministrazione nasale) per tutti i Jatrugataroga (malattie della testa e del collo)
che possono avere un effetto terapeutico benefico nei pazienti di AD.
Alcune delle importanti erbe per migliorare la memoria menzionate nell'antica letteratura ayurvedica sono
elencate nella [Tabella 1].

Le erbe indicate nel trattamento di Vātavyādhi (disturbi del sistema nervoso) che possono aiutare a ripristinare la
memoria in declino sono elencate nella tabella 2.

19
Jour. di Ayurveda e medicina olistica
Volume II, Numero IX
MALATTIA DI ALZHEIMER: UNA PROSPETTIVA AYURVEDICA
Dileepkumar KJ 1 Shreevathsa S 2 Bharathi Hiremath 3 Shivappa Pujari 4
Alcune piante medicinali e le loro combinazioni menzionate nella medicina ayurvedica medica sono state
valutate in vari studi sperimentali per la loro proprietà di miglioramento della memoria sono elencate nella tabella
3.

TRATTAMENTO AYURVEDICO RASAYANA

Il trattamento Rasayana è considerato una scelta appropriata. Come funziona?

Possibile meccanismo d'azione dei farmaci Rasayana:

▪ Azione neutriceutica, che nutre e mantiene la vita cellulare;


▪ Azione rigenerativa, che incoraggia la crescita di nuove cellule;
▪ Azione immuno-modulante, che previene ricorrenti infezioni, le quali espellono le cellule danneggiate;
▪ Azione antiossidante, che elimina la sostanza tossica metaboliti e inquinanti;
▪ Azione adattogena, che mantiene l'equilibrio tra la mente e corpo.

Si può, pertanto, ipotizzare che Rasayana agisca a livello subcellulare.


Le erbe Brahmi, Mandookaparni, Shankhapushpi, Jyotishmati, Ashwagandha, Jatamansi, Madhuyashti, Guduchi e altre, hanno
il potenziale per fornire un significativo miglioramento della memoria e della capacità di apprendimento degli
anziani affetti da morbo di Alzheimer.
Tutti questi farmaci migliorano le funzioni cerebrali, sensoriali e motorie come risultato delle loro proprietà
medhya (tonico sistema centrale/promotore dell’intelligenza) e quindi può aiutare nella gestione di vari disturbi
cognitivi in particolare nell’Alzheimer.20 21
Dalla tabella 3, le erbe che sono state sottoposte a una valutazione approfondita per la loro attività nella gestione
della demenza sono riassunte di seguito.

ERBE AYURVEDICHE E RELATIVI STUDI CLINICI

Ashwagandha (Withania somnifera)


L'Ashwagandha è ampiamente utilizzato nell'Ayurveda come tonico nervoso, afrodisiaco e "adattogeno"22 e aiuta
il corpo ad adattarsi allo stress.
Fa parte della famiglia delle solanacee (solanaceae) e la radice è la parte ampiamente utilizzata. È classificato come
un rasayana (ringiovanente) e si ritiene che possieda
• attività antiossidante,
• attività di eliminazione dei radicali liberi e
• capacità di sostenere un sistema immunitario sano.

A differenza di altri adattogeni, che tendono ad essere stimolanti, l'Ashwagandha ha un effetto calmante e quindi
può essere particolarmente indicato nelle persone con morbo di Alzheimer.
Un estratto alcaloide totale della radice di Ashwagandha ha mostrato un effetto calmante sul sistema nervoso
centrale in diverse specie di mammiferi, suggerendo l'uso di questa erba per produrre rilassamento. Un recente
studio in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo23sugli effetti di Ashwagandha sullo stress ha scoperto

20 Jour. di Ayurveda e medicina olistica


Volume II, Numero IX
https://pdfs.semanticscholar.org/a544/5d66046ffb286ce79b0319afeb737771bead.pdf
21 https://ujconline.net/wp-content/uploads/2013/09/3-UJAHM-16257-Rv.pdf
22 Si definisce adattogena qualsiasi sostanza, farmaco o rimedio erboristico in grado di aumentare in maniera aspecifica la

resistenza dell'organismo a stress di varia natura, sia fisica che psichica.

23 studi sperimentali che permettono di valutare l'efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione
Questo tipo di studio si caratterizza per essere:
1. sperimentale (trial): le modalità di assegnazione dei soggetti alla popolazione da studiare vengono stabilite dallo
sperimentatore. Una volta reclutata la popolazione, sulla base di tutte le variabili di significato prognostico noto considerate dal
ricercatore (natura e gravità della malattia, età, parità...), si verifica l'effetto di un trattamento (ad esempio, la somministrazione
di un farmaco) confrontandolo con l'effetto di un altro diverso trattamento (ad esempio, un altro farmaco, nessun farmaco o un
placebo).
2. controllato (controlled): i soggetti coinvolti nello studio sono suddivisi in due gruppi: il gruppo o braccio sperimentale che
riceve il trattamento, e il gruppo o braccio di controllo che riceve un diverso o nessun trattamento. Se la sperimentazione è
eseguita correttamente (punto 1), i due gruppi risultano il più possibile omogenei, almeno per tutte le variabili considerate, e
quindi comparabili.
3. randomizzato (randomized): l'assegnazione del trattamento ai soggetti deve avvenire con un metodo casuale (random). La
randomizzazione aumenta la probabilità che altre variabili, non considerate nel disegno dello studio, si distribuiscano in maniera
uniforme nel gruppo sperimentale e in quello di controllo. In questo modo, le differenze eventualmente osservate tra i due gruppi
possono essere attribuite al trattamento.
La randomizzazione da sola non garantisce però che i gruppi così generati siano perfettamente identici e che le differenze
osservate non siano dovute a sbilanciamenti casuali tra i gruppi. L'analisi statistica tiene conto di questa possibilità e la quantifica
nella presentazione dei risultati.
La randomizzazione può essere eseguita con diverse modalità. Il metodo più rigoroso implica l'applicazione di protocolli precisi,
in modo che lo sperimentatore non possa prevedere il trattamento assegnato a ciascun paziente (serie numerata di buste chiuse,
attribuzione telefonica da un ufficio centrale indipendente dalla sede di sperimentazione, uso di apposite tavole di numeri
casuali...). Si parla invece di "quasi-randomizzazione" quando il metodo applicato non garantisce una casualità assoluta e non
può quindi essere esclusa una eventuale interferenza dello sperimentatore (ad esempio, quando l'attribuzione si effettua
alternando i pazienti, oppure basandosi sulla data di nascita o sul numero di cartella clinica).
che riduceva i sintomi di stress e incapacità di concentrazione e invertiva l'oblio in modo dose-dipendente24, e 500
mg / die erano più che efficaci. Non sono stati trovati ulteriori effetti avversi.

L'ashwagandha contiene composti steroidei di grande interesse per i ricercatori, come i lattoni steroidi di tipo
ergostano, inclusi i witanolidi da A a Y, il deidrowitanolide R, i withasomniferin A, i withasomidienone, i
withasomniferols dalla A alla C, la withaferin A e il withanone.

Altri componenti includono i fitosteroli sitoindosides da VII a X e beta-sitosterolo e alcaloidi (ad esempio,
ashwagandhine, cuscohygrine, tropine, pseudotropine, isopelletierine e anaferine), una varietà di aminoacidi
(incluso il triptofano,precursore della serotonina) e elevate quantità di ferro. Un sottoinsieme di questi componenti
(withanamides) ha dimostrato di eliminare i radicali liberi generati durante l'inizio e la progressione del morbo di
Alzheimer.
La morte delle cellule neuronali innescata dalle placche amiloidi è stata bloccata anche dai witanamidi.
Studi di modellistica molecolare hanno mostrato che le witanamidi A e C si legano in modo univoco al motivo
attivo del beta-amiloide (Aβ 25-35) e prevengono la formazione di fibrille (neurofilamenti amiloidali).

Nel sistema nervoso centrale, è stato riportato che Ashwagandha aumenta la memoria e l'apprendimento.
È stato scoperto che gli estratti acquosi di questa erba aumentano l'attività colinergica, inclusi aumenti del
contenuto di acetilcolina e dell'attività della colineacetil transferasi nei ratti e questo potrebbe in parte spiegare gli
effetti di miglioramento della cognizione e di miglioramento della memoria.
Inoltre, recenti rapporti hanno fornito informazioni interessanti sulla capacità di questa erba di stimolare la
crescita dei processi neuronali (neuriti).

Il trattamento con l'estratto di metanolo di Ashwagandha ha causato la crescita dei neuriti in modo dose-dipendente
nel tempo nelle cellule di neuroblastoma25 umano.
È stato scoperto che i livelli di due marcatori dendritici, MAP2 e PSD-95, sono notevolmente aumentati nelle
cellule trattate con Ashwagandha, suggerendo che stimola la formazione di dendriti26.
In un'estensione dello studio di cui sopra, lo stesso gruppo di ricerca ha trattato neuroni corticali di ratto in coltura
con peptide amiloide che hanno indotto atrofia assonale e dendritica e perdita di stimoli pre e post-sinaptici.
Il successivo trattamento con un estratto di metanolo di Ashwagandha ha indotto una significativa rigenerazione di
assoni e dendriti.
Oltre alla ricostruzione di pre e post sinapsi nei neuroni, gli estratti di metanolo di Ashwagandha hanno invertito il
deficit di memoria indotto dal peptide amiloide nei topi.
Questi effetti in vivo di Ashwagandha sono stati mantenuti anche dopo l'interruzione della somministrazione del
farmaco.
Allo stesso modo, studi preliminari di questo laboratorio hanno rivelato una neurogenesi significativa nella regione
del giro dentato solo nei topi mhAPPJ20 - topi che esprimono la forma mutante della proteina precursore
dell'amiloide umana (APP) portante entrambe le mutazioni svedese (K670N / M671L) e Indiana (V717F) - che
sono stati alimentati con una dieta contenente l'intera erba (polvere di radice di Ashwagandha, 2,5 g / kg di peso
corporeo) rispetto ai topi mhAPPJ20 che hanno ricevuto solo cibo normale (dati non pubblicati). Sebbene i dati
sopra menzionati siano abbastanza promettenti per l'uso dell'Ashwagandha come agente anti-Alzheimer, è
necessario condurre ulteriori studi clinici a supporto del suo uso terapeutico.
Mentre l'erba è stata usata con successo nella medicina ayurvedica per secoli, uno studio sistematico della tossicità
acuta o cronica di questa erba o dei suoi vari componenti è ancora carente e sono giustificati ulteriori studi per
confermare il significato terapeutico di questa erba.

La randomizzazione può anche essere condotta per gruppi di pazienti, in questo caso si parla di randomizzazione per cluster.
Quando possibile, né lo sperimentatore né i soggetti coinvolti sono a conoscenza del trattamento assegnato (cioè entrambi sono
in cieco, da cui il termine "doppio cieco") per ridurre la probabilità che ne siano influenzati. I pazienti potrebbero comportarsi in
maniera diversa a seconda del gruppo al quale appartengono e gli operatori sanitari potrebbero valutare diversamente le loro
condizioni (ad esempio in senso migliorativo se hanno molte aspettative nel trattamento sperimentale).
Lo studio clinico controllato randomizzato è uno studio prospettico, quindi la sperimentazione viene condotta parallelamente
nei due gruppi e i risultati ottenuti vengono analizzati alla fine dello studio.
24 Si dice di una manifestazione o effetto derivante dall'assunzione di una sostanza (in genere un farmaco) che si manifesta in

misura proporzionale alla dose di sostanza assunta. In altre parole, l'effetto tende ad aumentare con la concentrazione della
sostanza nei tessuti e nel sangue.

25 è una forma tumorale pediatrica che origina da alcune particolari cellule del sistema nervoso periferico.

26sono le fibre minori che si ramificano a partire dal neurone, che trasportano il segnale nervoso in direzione centripeta (verso il
soma, il corpo cellulare del neurone).
STUDIO CLINICO SULL’ASHWAGANDHA

Lo studio, condotto dai ricercatori del National Brain Research Centre (NBRC) di Manesar (India), e pubblicato
sul Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), ha permesso di scoprire come un estratto di
Ashwagandha fosse attivo già nel giro di 30 giorni nel migliorare le condizioni di un gruppo di topi
che presentavano sintomi come quelli dell’Alzheimer.

Ai topi è stato somministrato giornalmente questo estratto che è parso aumentare la sintesi di una proteina da
parte del fegato che, fungendo da guida, aiutava a rimuovere la placca amiloide dal cervello.
Il processo, secondo gli scienziati, avviene in modo sorprendente grazie a un componente di questa proteina che
fa letteralmente scivolare via dal cervello la placca, per farla arrivare nel sangue per essere infine smaltita come
scoria.
«E' come un aspirapolvere che fa pulizia del cervello per liberarlo dalla placca amiloide non desiderata», ha
commentato il dottor Vijayalakshmi Ravindranath, neuroscienziato senior presso l’Indian Institute of Science di
Bangalore, che ha avviato lo studio, mentre era direttore del NBRC.

I risultati hanno superato le aspettative dei ricercatori, i quali sanno che allo stato attuale la possibilità di prevenire
o trattare la placca amiloide è tra i migliori approcci nel combattere l’Alzheimer.
Sebbene lo studio sia stato condotto su modello animale, e non sia ancora pronto per la sperimentazione sugli
esseri umani, i ricercatori forti dei risultati nutrono buone speranze che si possano ottenere risultati positivi
sull’uomo. Se le aspettative saranno premiate da altri studi, per le persone colpite da una malattia devastante come
l’Alzheimer si aprono prospettive migliori.27

Haridrā (Curcuma longa)


La curcuma è una pianta erbacea rizomatosa della famiglia dello zenzero, Zingiberaceae. Derivata dal rizoma e
dalla radice, la curcuma viene utilizzata come spezia e colorante e nella medicina tradizionale in Asia.
Si ritiene che i componenti attivi siano l'olio di turmerone e i curcuminoidi solubili in acqua, compresa la
curcumina.
La curcuma è antinfiammatoria, antisettica e antibatterica ed è stata a lungo utilizzata nel sistema di medicina
indiana perché questa è una spezia versatile che aiuta a disintossicare il fegato, bilanciare i livelli di colesterolo,
combattere le allergie, stimolare la digestione e aumentare l’immunità.
Nella Caraka Samhitā, Haridrā è stata classificata come erba curativa delle malattie della pelle (Kuṣṭhaghna), anti-
obesità e scarificante 28 (Lekhanīya), antidoto all'avvelenamento (Viśaghna) ed è stata raccomandata per il
trattamento di ittero, tosse, asma, senilità e visione alterata.
Studi epidemiologici mostrano un'incidenza inferiore di 4,4 volte di Morbo di Alzheimer nei paesi del sud-est
asiatico in cui la curcuma viene comunemente usata come spezia dietetica.
Altri studi indicano che la proprietà antinfiammatoria non steroidea della curcuma è associata a un ridotto rischio
di Morbo di Alzheimer. Infatti, se somministrata a topi anziani con depositi di placca avanzati simili a quelli
dell'Alzheimer, la curcumina riduce la quantità di deposizione della placca. Ha ridotto il danno ossidativo e ha
invertito la patologia amiloide in un topo transgenico con M.di Alzheimer. L'iniezione diretta di curcumina nel
cervello dei topi con MA non solo ha ostacolato l'ulteriore sviluppo della placca ma ha anche ridotto i livelli della
placca stessa.
I sintomi di MA caratterizzati da infiammazione e ossidazione sono stati inoltre attenuati dalle potenti proprietà
antiossidanti e antinfiammatorie della curcumina. Inoltre, una bassa dose di curcuma (160 parti per milione o
ppm) ha ridotto i livelli di citochine pro infiammatorie (molecole messaggere che interagiscono sulla
comunicazione tra cellule diverse) che sono collegate alle cascate neuro infiammatorie coinvolte nella patogenesi
della placca neuritica.
Gli studi di tossicità sono stati condotti dal National Cancer Institute somministrando oleoresina di curcuma
(estratto organico di curcuma) nei mangimi a gruppi di ratti e topi maschi e femmine per 13 settimane e per 2
anni. Non ci sono risultati clinici acuti o cronici correlati alla tossicità in ratti o topi trattati con 2.000, 10.000 o
50.000 ppm di oleoresina di curcuma.
Grazie ai risultati promettenti nei modelli animali, sono già in corso studi clinici sulla supplementazione orale di
curcumina in pazienti con Alzheimer precoce. Inoltre, i risultati di uno studio clinico randomizzato di sei mesi,
controllato con placebo, in doppio cieco, sulla curcumina in 27 pazienti con MA hanno scoperto che l'integrazione

27 https://www.lastampa.it/salute/2012/02/02/news/dalla-medicina-ayurvedica-una-speranza-per-l-alzheimer-1.36497864

28 in medicina: che incide leggermente gli strati superficiali della cute o della mucosa.
orale con un massimo di 4 g / die di curcumina era sicura. Sono necessari studi più ampi e controllati per
determinare se l'integrazione di curcumina orale è realmente efficace nel trattamento in pazienti affetti da
Alzheimer.

Brahmi (Bacopa monnieri)


Brahmi (noto anche come Bacopa) è una pianta rampicante dal sapore amaro trovata in aree umide e paludose ed
è comunemente usata nella medicina ayurvedica come tonico nervoso, diuretico e cardiotonico e come agente
terapeutico contro epilessia, insonnia, asma e reumatismi. I costituenti principali di Bacopa monnieri (BM) sono
saponine e bacosaponine tri terpeniche che includono bacopasidi da III a V, bacosidi A e B e bacosaponine A, B
e C.
Altri glicosidi saponinici comprendono i judesubides bisdesmosides bacopasaponins D, E e F. Altri componenti
includono alcaloidi, steroli vegetali, acido betulico, polifenoli e composti solfidrilici che conferiscono attività
antiossidante.
Tradizionalmente, la BM veniva utilizzata per migliorare la memoria e la funzione cognitiva. Gli estratti BM sono
stati ampiamente studiati per i loro effetti neurofarmacologici e le loro azioni nootropiche. Nell’ippocampo, la BM
migliora l'attività della proteina chinasi che può contribuire alla sua azione nootropica. BM ha anche inibito la
degenerazione colinergica.

Un team di ricercatori ha anche riferito che un estratto standardizzato di BM ha invertito i deficit cognitivi indotti
dalle colchicine e dall'acido ibotenico somministrati per via intracerebroventricolare nel nucleo basalis
magnocellularis.
BM estrae i neuroni protetti dalla morte cellulare indotta dalla beta-amiloide sopprimendo l'attività
dell'acetilcolinesterasi29 cellulare. Inoltre, i neuroni trattati con estratto di BM hanno espresso un livello inferiore
di specie reattive dell'ossigeno, suggerendo che Brahmi ha frenato lo stress ossidativo intracellulare.
Una composizione fitochimica arricchita di BM è stata valutata per la sicurezza e la tolleranza a breve termine in
volontari adulti sani. Un esame dettagliato dei parametri clinici, ematologici, biochimici ed elettrocardiografici
non ha rivelato alcun effetto indesiderato in nessuno dei volontari che hanno ricevuto la somministrazione orale
di una singola capsula contenente l'erba arricchita per 30 giorni (300 mg per i primi 15 giorni e 450 mg per i
successivi 15 giorni). Sulla base dello studio summenzionato e di altri studi clinici condotti per stabilire l'efficacia
della BM nei disturbi della memoria e dell'attenzione, la BM è stata ora introdotta nel mercato indiano per il
trattamento dei disturbi della memoria e dei deficit dell'attenzione. Questi studi clinici con Bacopa fungono da
modello per la via da seguire per altre erbe per accertare il loro intervallo di dosaggio efficace, il tempo necessario
per raggiungere i livelli terapeutici e i loro effetti a lungo termine.

Shankhpushpi (Convolvulus pluricaulis)


Sono state descritte varie specie di Shankapushpi, tra cui Convolvulus pluricaulis (CP), Convolvulus microphyllus,
Evolvulus alsinoides e Clitoria ternatea (CT). Shankhpushpi è una pianta comune in India, dove l'intera pianta
viene utilizzata in varie formule come tonico nervino per il miglioramento della memoria e della funzione
cognitiva.
Una vasta gamma di metaboliti secondari, inclusi triterpenoidi, glicosidi flavonol, antociani e steroidi, è stata
isolata e può essere responsabile delle proprietà nootropiche e di potenziamento della memoria della pianta
Shankhpushpi oltre ad altre attività farmacologiche.
Si ritiene che Shankhpushpi calma i nervi regolando la produzione di ormoni dello stress, adrenalina e cortisolo.
È anche raccomandato per disturbi nervosi come stress, ansia, affaticamento mentale e insonnia. L'estratto
etanolico di CP e il suo acetato di etile e le sue frazioni acquose hanno migliorato significativamente
l'apprendimento e la memoria nei ratti. L'estratto etanolico di CP possiede anche una significativa attività
antiossidante quando testato in vitro.
Un estratto etanolico di tutta la pianta, quando somministrato a gerbilli 30 nutriti con colesterolo, ha ridotto
significativamente il colesterolo sierico, il colesterolo LDL, i trigliceridi e i fosfolipidi.
Un potenziamento della memoria dose-dipendente è stato osservato nei topi a cui sono stati somministrati estratti
di CP. Allo stesso modo, la somministrazione di estratti di CP per 7 giorni ha migliorato la memoria nei topi
anziani. Le regioni dell'ippocampo associate alle funzioni di apprendimento e memoria hanno mostrato un
aumento dose-dipendente dell'attività dell'acetilcolina esterasi nell'area CA1 e CA331 con trattamento CP.

29(AChE) è un enzima appartenente alla classe delle idrolasi che catalizza la seguente reazione: acetilcolina + H2O → colina +
acetato. L’enzima è normalmente presente nell'organismo dei mammiferi localizzato nella membrana post-sinaptica delle
giunzioni colinergiche. La sua funzione è quella di idrolizzare l'acetilcolina scindendola in colina e acido acetico.

30 una specie di topi


31 CA1 CA3 sono aree dell’ippocampo.
In particolare, la somministrazione di estratto acquoso di radice di CT a cuccioli di ratto neonati ha comportato
un miglioramento della ritenzione e delle prestazioni di apprendimento spaziale, indicando la proprietà di CT
della memoria. Inoltre, è stato osservato un aumento significativo del contenuto di acetilcolina nell'ippocampo dei
ratti trattati con CT rispetto ai controlli fatti su topi di età corrispondente non trattati. L'aumento del contenuto
di acetilcolina nell'ippocampo può essere la base neurochimica per il loro miglioramento dell'apprendimento e
della memoria. È stato osservato un aumento significativo delle intersezioni dendritiche, dei punti di ramificazione
e dei processi dendritici derivanti dal soma dei neuroni nella regione amigdale nei ratti trattati con CT rispetto ai
controlli fatti su topi di età corrispondente non trattati suggerendo che la TC migliora la memoria aumentando la
crescita funzionale di neuroni.

Maṇḍūkaparṇī (Centella asiatica)


È una pianta erbacea perenne, appartenente alla Famiglia delle Apiacee e diffusa nelle regioni umide tropicali e
subtropicali di India e Sud America.
Nel sistema di medicina ayurvedica, la Maṇḍūkaparṇī è una delle erbe importanti per il ringiovanimento delle cellule
nervose e cerebrali e si ritiene che sia in grado di aumentare l'intelligenza, la longevità e la memoria.

I derivati di asiaticoside (saponina in grado di migliorare la circolazione venosa stimolando i fibroblasti), inclusi
acido asiatico e asiaticoside, hanno dimostrato di ridurre la morte cellulare indotta da perossido di idrogeno, ridurre
le concentrazioni di radicali liberi e inibire la morte cellulare beta-amiloide in vitro, suggerendo un possibile ruolo
per Maṇḍūkaparṇī nel trattamento e nella prevenzione di AD e tossicità beta-amiloide. Gli estratti di centella hanno
invertito la patologia beta-amiloide nel cervello dei topi e hanno modulato i componenti della risposta allo stress
ossidativo.
Maṇḍūkaparṇī è molto apprezzato nei trattati ayurvedici come farmaco Medhya (promozione della memoria e
dell'intelletto) e vayassthāpana (anti-invecchiamento). A Bhāvaprakāsha è stato affermato che Maṇḍūkaparṇī e Brāhmī
svolgono attività farmacologiche molto simili.
Uno studio clinico in doppio cieco che ha coinvolto 30 bambini con ritardo mentale (età, 7-8 anni) che hanno
ricevuto il farmaco (pianta intera, essiccata all'ombra) per 3 mesi, ha mostrato una migliore funzione cognitiva.
L'acido asiatico, il principale componente triterpinoide di C. asiatica ha dimostrato di ridurre la morte cellulare
indotta dal perossido di idrogeno e di ridurre la concentrazione intracellulare di radicali liberi.

L' acido asiatico è stato brevettato (Hoechst Aktiengesellschaft) come agente terapeutico per il trattamento della
demenza e questo composto e alcuni analoghi sintetici correlati hanno dimostrato di proteggere i neuroni corticali
in coltura dalla tossicità dell'eccitazione indotta dal glutammato. L'estratto acquoso della pianta a una dose di 300
mg / kg ha ridotto le convulsioni provocate dal pentilenetetazolo nei ratti, indicando così un'azione antiepilettica
dell’erba. L'attività di potenziamento della memoria di C. asiatica può essere dovuta all'attività di inibizione
dell'acetilcolinesterasi dell'acido asiatico e dell'acido betulinico che può essere un potenziale vantaggio per il
trattamento sintomatico dell'AD.

Jyotishmati (Celastrus paniculatus)


Jyotishmati è un'erba medicinale preziosa venerata per i suoi effetti sul cervello ed è stata usata per secoli in
Ayurveda per affinare la memoria e migliorare la concentrazione e la funzione cognitiva.
Gli estratti acquosi di semi di CP hanno proprietà di miglioramento della cognizione e proprietà antiossidanti. CP
estrae le cellule neuronali protette dalla tossicità indotta da H2O2 in parte grazie alle loro proprietà antiossidanti
e alla loro capacità di indurre enzimi antiossidanti. Gli estratti di CP hanno anche protetto le cellule neuronali
dalla tossicità indotta dal glutammato modulando la funzione del recettore del glutammato. Inoltre, il CP estrae
le cellule neuronali protette in virtù delle loro proprietà di eliminazione dei radicali liberi, riducendo la
perossidazione lipidica32 e anche dalla loro capacità di indurre l'enzima antiossidante catalasi. Inoltre, gli estratti
acquosi di semi di CP hanno un'attività colinergica dose-dipendente, migliorando così le prestazioni della
memoria.

Jatamansi (Nardostachys jatamansi)


Simile alla sua relativa valeriana occidentale, Jatamamsi è sicuro e bilanciato nei suoi effetti. La pianta ha una ricca
storia di uso medicinale, è conosciuta in Italia con il nome di Nardo ed è molto apprezzata nel sistema di medicina
ayurvedica.
I rizomi e le radici della pianta hanno un valore medicinale e, pertanto, sono stati al centro degli studi chimici.
Contengono una varietà di sesquiterpeni33 e cumarine. Il sedativo sesquiterpene valeranone, che si trova anche nella

32 La perossidazione lipidica può essere descritta come un processo in cui agenti ossidanti come specie reattive all’ossigeno
(ROS) e radicali liberi attaccano i lipidi contenenti doppi legami ed in particolare gli acidi grassi polinsaturi.
33 fanno parte dei terpeni e hanno proprietà tranquillizzanti, calmanti, sedative.
valeriana, è un componente importante dell'olio essenziale di radice. Altri terpenoidi includono spirojatamolo,
nardostachisina, jatamoli A e B e calarenolo.
Jatamansi è la cumarina predominante.
Gli studi sul suo ruolo nel sistema nervoso centrale hanno rivelato che gli estratti di Nardostachys jatamansi (NJ)
hanno alleviato tutti i sintomi della sindrome da affaticamento cronico (CFS) nei ratti. CFS ha innescato aumenti
dei livelli di perossidazione lipidica, nitriti e superossido dismutasi e bassi livelli di catalasi sono stati tutti invertiti
dagli estratti di NJ.
I dati indicano la potente proprietà antiossidante di NJ. Allo stesso modo, un estratto alcolico di questa pianta
somministrato a topi sia giovani che anziani ha migliorato significativamente l'apprendimento e la memoria e ha
anche invertito l'amnesia indotta da diazepam e scopolamina. Inoltre, ha invertito l'amnesia indotta
dall'invecchiamento a causa del naturale invecchiamento dei topi, suggerendo che i composti di questa pianta
possono rivelarsi utili per ripristinare la memoria negli individui più anziani e nei pazienti con demenza associata
all'età.

Guggulu (Commiphora wightii)


Guggulu è una resina oleogena che trasuda dalle fessure e dalle fessure nella corteccia o dalle incisioni di diverse
specie vegetali, tra cui Commiphora mukul, C. molmolo, C. abyssinica, C. Burseraceae e C. whighitii .
La resina oleogum di guggulu è una miscela di:

• gomma idrosolubile dal 30% al 60%


• resine solubili in alcool dal 20% al 40%
• oli volatili all'8% circa.

I componenti idrosolubili comprendono mucillagini, zuccheri e proteine.


I componenti solubili in alcool includono gli acidi merciforici, l'acido commiphorinic e gli heerabomyrrhols.
Tra i costituenti volatili vi sono terpeni, sesquiterpenoidi, aldeide cuminica, eugenolo e steroidi chetonici Z-E-
guggulsterone e guggulsteroli I, II e III.

Guggulu contiene anche acidi ferulici (proprietà antiossidante), fenoli e altri acidi aromatici non fenolici che sono
potenti spazzini dei radicali superossido (un tipo di radicale libero) e che potrebbero potenzialmente essere
importanti per il trattamento di AD e altre malattie ossidative legate allo stress.
La resina gengivale è stata utilizzata per migliaia di anni nel trattamento di artrite, infiammazione, obesità e
disturbi del metabolismo lipidico.
Nei modelli animali e nell'uomo, la somministrazione di guggulipid ha mostrato di ridurre significativamente sia
i livelli sierici di colesterolo LDL che i livelli di trigliceridi.

La comprensione del meccanismo d'azione per l'attività ipolipidemica è stata fornita dalla dimostrazione che
guggulu è un antagonista efficace del recettore farnesoide × recettore dell'acido biliare.
Dati epidemiologici e biochimici suggeriscono un legame tra colesterolo, elaborazione APP (Amyloid Precursor
Protein)34 e MA.
Questi studi indicano che c'è una ridotta prevalenza di MA associata all'uso di farmaci per abbassare il colesterolo.
La diminuzione dei livelli di colesterolo neuronale, a sua volta, inibisce il percorso amiloidogenico che forma la
beta-amiloide, possibilmente rimuovendo l'APP dai microdomini di membrana arricchiti con colesterolo e
sfingolipidi.
Queste intriganti relazioni sollevano le speranze che le strategie per abbassare il colesterolo possano influenzare
la progressione del MA. Un recente studio ha dimostrato che il gugulipid ha un effetto protettivo significativo
contro il modello di demenza indotto da streptozotocina 35 ; l'effetto può essere attribuito alla sua attività di
abbassamento del colesterolo, antiossidante e anti-acetilcolina esterasi.
Queste osservazioni suggeriscono che il gugulipid è un potenziale farmaco anti-demenza.

METODI DI SOMMINISTRAZIONE DI ERBE AYURVEDICHE


La più grande sfida alla consegna di farmaci nel sistema nervoso centrale è bypassare la barriera emato-encefalica
(BEE) in quanto limita l'accesso al sistema nervoso centrale.

34 è una proteina transmembrana costituita da 770 amminoacidi; è nota per essere il precursore della beta amiloide, proteina che
sembra essere coinvolta nell'eziopatogenesi della malattia di Alzheimer (AD)
35 è un agente antineoplastico alchilante naturale che è particolarmente tossico per le cellule beta del pancreas che producono
insulina nei mammiferi. È usato in medicina per il trattamento di alcuni tumori delle isole di Langerhans e utilizzato nella ricerca
medica per produrre un modello animale per l' iperglicemia in grandi dosi, così come il diabete di tipo 2 o il diabete di tipo 1 a
più dosi basse.
Per decenni, la BEE ha impedito l'uso di molti agenti terapeutici per il trattamento di malattie e lesioni correlate
al cervello, tra cui MA, ictus, tumore al cervello, trauma cranico e altri disturbi del sistema nervoso centrale.

L'Ayurveda si basa su alcuni nuovi metodi di somministrazione delle erbe o dei loro preparati (o entrambi) per
trattare i disturbi del SNC (sistema nervoso centrale).
Tuttavia, mancano studi adeguati per dimostrare se queste erbe o i loro componenti somministrati per via orale,
o in qualche altro modo, attraversano la BEE e raggiungono il sistema nervoso centrale.
Un nuovo metodo di somministrazione a base di erbe, chiamato "Nasya", prevede la somministrazione intra nasale
di polveri di erbe secche o oli medicati ed è un metodo pratico, non invasivo, rapido e semplice per trasportare gli
agenti terapeutici nel sistema nervoso centrale.
L'uso di oli medicati, che richiedono che le erbe siano cotte in quattro parti di olio e 16 parti di acqua a
fuoco basso, fino a quando tutta l'acqua non evapori, assicura il trasporto di molecole lipofile e liposolubili
attraverso la membrana BEE, dove i composti idrofili dimostrano permeazione minima.
La somministrazione intra nasale offre numerosi vantaggi per la somministrazione di farmaci nel sistema nervoso
centrale e l'interesse per questa via di somministrazione non invasiva è aumentato.
La consegna è rapida, bypassa la BEE e mira direttamente al sistema nervoso centrale, riducendo così l'esposizione
sistemica e gli effetti collaterali.
Un secondo, semplice metodo di somministrazione prevede l'applicazione dell'olio medicato sul corpo e
il massaggio delle aree con colpi di mano delicati o profondi.
Non è chiaro se questa tecnica faciliti il trasporto e il movimento dei componenti vegetali attraverso la BEE. Prove
indirette di recenti studi ne indicano un’alta possibilità.
Significativi cambiamenti di attivazione funzionale del cervello insieme ad un aumento del flusso sanguigno
cerebrale sono stati osservati nei partecipanti che hanno ricevuto un massaggio.
Il massaggio ha ridotto i livelli di cortisolo sierico correlato allo stress, arginina vasopressina e cromogranina A
della proteina dello stress salivare con concomitanti aumenti dei linfociti circolanti e del flusso sanguigno cerebrale
regionale.
Si è tentati di ipotizzare che, oltre ai suddetti cambiamenti ormonali, l'applicazione di olio medicato, seguita da
un leggero massaggio, potrebbe rilassare le giunzioni strette tra le cellule endoteliali nei vasi del sistema nervoso
centrale e facilitare l'ingresso di soluti e altri componenti nel sistema nervoso centrale.

L'Ayurveda si affida anche a diverse terapie di oleazione transcranica per i disturbi del sistema nervoso che
non sono sistemiche e non invasive.
Procedure come:
Shirodhara (leggero gocciolamento dell'olio medicato sulla fronte),
Shirobasti (uno speciale cappuccio di pelle viene posizionato sopra la testa rasata di un paziente e l'olio medicato
viene versato e trattenuto sulla testa per 30-45 minuti),
ShiroAbhyanga (l'olio medicato viene spalmato sulla testa seguito da un leggero massaggio) e
ShiroSeka (l'olio medicato viene versato sulla testa in un flusso continuo) può anche influenzare i livelli di flusso
sanguigno ormonale e cerebrale ad un livello simile a quello del massaggio ayurvedico come menzionato sopra.

Mentre mancano studi scientifici sulla permeazione dei componenti a base di erbe nel sistema nervoso centrale
attraverso terapie di oleazione transcranica, i recenti lavori indicano ancora una volta che le cellule endoteliali
facilitano l'ingresso dei soluti attraverso il lobo frontale e la corteccia prefrontale.
L'aromaterapia, un altro metodo popolare nel sistema ayurvedico, prevede l'uso di materiali vegetali volatili
noti come oli essenziali a scopi curativi per alterare l'umore e la funzione cognitiva di una persona. Gli olii
essenziali vengono incorporati per inalazione di vapore o applicati localmente su viso e braccia. L'aromaterapia
utilizzata con il massaggio può aiutare a calmare le persone agitate con demenza.
Vi sono alcune prove preliminari che l'aromaterapia con vari oli essenziali possa avere qualche potenziale per
migliorare la funzione cognitiva, specialmente nei pazienti con MA.36
Abbreviazioni
MA: morbo di Alzheimer;
BEE: barriera emato-encefalica;
BM: Bacopa monnieri ;
CFS: sindrome da affaticamento cronico;
SNC: sistema nervoso centrale;
CP: Convolvulus pluricaulis ;
CT: Clitoria ternatea ;
LDL: lipoproteine a bassa densità;
NJ: Nardostachys jatamansi ;
ppm: parti per milione.

36 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3506936/
L'industria farmaceutica sta affrontando serie sfide poiché il processo di scoperta di farmaci per le malattie
neurodegenerative sta diventando estremamente costoso, più rischioso e criticamente inefficiente.
Si sta assistendo a un passaggio significativo da un approccio farmacologico a target singolo a un approccio multi-
target, in particolare per le sindromi da malattie croniche e complesse.
Gli approcci basati sulla farmacologia inversa (dalla clinica al capezzale) offrono anche efficienti piattaforme di
sviluppo per formulazioni a base di erbe.
Il sistema di medicina ayurvedica ha ottenuto un crescente riconoscimento negli ultimi anni per quanto riguarda
le opzioni dietetiche e terapeutiche.

Lo sviluppo iniziale di integratori a base di erbe ayurvediche richiedeva solo informazioni aneddotiche o
epidemiologiche (o entrambe) senza una comprensione del modo di agire.
L'industria della medicina ayurvedica ha fatto molta strada da quando era considerato superfluo testare le
formulazioni ayurvediche prima dell'uso, a diversi studi randomizzati, in doppio cieco e controllati e
all'introduzione di linee guida di buone pratiche di fabbricazione per l'industria.
Ha adottato un approccio scientifico e qualitativo più rigoroso per fornire "prove concettuali" e una "modalità di
azione".
Vale la pena sottolineare che, mentre la terapia ayurvedica è stata prescritta per secoli per le malattie
neurodegenerative (comprese le demenze), solo recentemente sono stati condotti studi meccanicistici
occidentali sul MA; tuttavia, questi studi meccanicistici indicano gli stessi meccanismi affrontati dalla terapia
ayurvedica (ad esempio, aumento dei fattori di crescita nervosa e dei fattori neurotrofici e riduzione
dell'infiammazione e del danno ossidativo), fornendo un forte supporto alla terapia a base di erbe per l'Alzheimer.
Si spera che la solida base di conoscenze dell'Ayurveda unita alle scienze combinatorie e alle tecniche di screening
ad alta produttività miglioreranno la facilità con cui i prodotti e le formulazioni ayurvedici possono essere utilizzati
nelle campagne di scoperta di droghe e nel processo di sviluppo, fornendo così nuovi contatti funzionali per l'AD
e altre malattie neurodegenerative associate all’età.

TERAPIE DI SUPPORTO E SPERIMENTALI


APPRENDERE UNA NUOVA LINGUA: L'ESEMPIO DEL SANSCRITO

Leggendo un’intervista del dottor Antonio Morandi, (del 17/05/2018) neurologo ed esperto di Ayurveda, ho
piacevolmente scoperto che secondo lui l’apprendimento di nuove lingue plasma il cervello e rimodula la
percezione della realtà.
Lui afferma che anche nell’adulto, l’apprendimento di lingue straniere sia accompagnato da un cambiamento
strutturale delle regioni del cervello, coinvolte nel linguaggio, e da un aumento di volume della loro materia grigia.
Questi cambiamenti sottendono, ovviamente, una variazione a livello microstrutturale e cioè dei neuroni, delle
cellule gliali37e delle loro connessioni sinaptiche38.
In particolare, è stato osservato che proprio l’ippocampo e aree del lobo temporale sinistro sono strutture che si
sono rivelate importanti per l’apprendimento di una nuova lingua.
Come già accennato, l’ippocampo è cruciale per la formazione delle memorie a breve ed a lungo termine, ma è
anche noto come quella struttura principalmente affetta nella malattia di Alzheimer.
A tal riguardo è interessante notare che le persone bilingue tendono ad avere un inizio ritardato della
malattia di Alzheimer rispetto alle persone monolingue.
Come se l’aumento di volume dell’ippocampo indotto dal bilinguismo svolgesse un ruolo protettivo nei confronti
della neuro degenerazione.
Le diverse lingue manifestano le infinite capacità di adattamento del genere umano e presentano caratteristiche
particolari, sia dal punto di vista strutturale che logico.
Il modo di formare i vocaboli, le regole grammaticali e sintattiche costituiscono gli elementi fondanti di una lingua.
Considerando la stretta relazione che esiste fra cervello e linguaggio, è ragionevole affermare che una lingua
esprima nella sua struttura lo schema funzionale del sistema cognitivo cui appartiene.
Quindi imparare una nuova lingua implicherebbe la possibilità di assimilare anche un diverso sistema di
elaborazione del pensiero e quindi di percezione della realtà.

IL SANSCRITO
Il sanscrito è una tra le 7000 lingue al mondo con caratteristiche strutturali particolari.

37 cellule che assieme ai neuroni formano il sistema nervoso

38 struttura specializzata che consente la comunicazione tra neuroni


Ha una struttura grammaticale complessa e completa e la caratteristica principale, che differenzia il Sanscrito
dalle lingue moderne, risiede nel fatto che le sue parole sono per la maggior parte costituite da radici verbali e non
rappresentano oggetti ma le loro proprietà. Questa caratteristica porta a una mancanza di univocità fra parola ed
oggetto, se non in pochissimi casi, come ad esempio per i numeri.
La realtà descritta dal Sanscrito quindi è dinamica e non imprigionata nella staticità dell’oggetto. Ad esempio,
una parola sanscrita per indicare un “albero” è vṛkṣa che letteralmente vuol dire “qualcosa che viene tagliato e
cade”: appare ovvio che questa proprietà di cadere quando tagliato può essere applicata anche ad altre entità che
non siano un albero. Le parole quindi cambiano in relazione alla proprietà che maggiormente rappresenta la
funzione dell’oggetto considerato. Infatti, se vogliamo porre l’attenzione sul fatto che l’albero ha radici che
traggono i nutrienti dal terreno, si userà la parola pādapa che significa “qualcosa che beve usando i piedi”.
Sulla base di questa logica, una parola sanscrita può essere coniata da chiunque sulla base delle proprietà di un
oggetto, anche se sconosciuto. Le parole si formano secondo un algoritmo specifico chiamato vyākaraṇa che mette
insieme morfemi indicanti proprietà semplici per formare aggregati complessi. Quindi il numero di parole che si
possono formare in Sanscrito è virtualmente infinito.
L’aspetto peculiare del Sanscrito in pratica è che grammatica e semantica sono fusi in una entità coerente e non
sono separate come nelle altre lingue.
Quanto detto è indice della complessità e diversità del modello cognitivo che corrisponde alla lingua Sanscrita, e
che descrive un mondo interconnesso e in continuo cambiamento. Un mondo descritto attraverso la lingua
Sanscrita acquista sicuramente dimensioni diverse, e infatti la scienza vedica descrive una realtà molto più vicina
a quella descritta dalla moderna fisica quantistica a cui concettualmente si avvicina. 39

STUDI CLINICI: ISPIRAZIONI ED ASPIRAZIONI


Studio clinico sul FIBRINOGENO
Gli scienziati dei Gladstone Institutes, guidati dalla ricercatrice senior Katerina Akassoglou PhD, hanno
dimostrato per la prima volta che una proteina di coagulazione del sangue chiamata fibrinogeno è responsabile di
una serie di eventi molecolari e cellulari, che possono distruggere le connessioni tra i neuroni nel cervello e
provocare il declino cognitivo.

La Akassoglou e il suo team hanno usato una tecnologia di scansione all'avanguardia per studiare sia il cervello
dei topi che il cervello umano di pazienti con MA.
Hanno anche prodotto la prima scansione tridimensionale che mostra le perdite nella barriera emato-encefalica
presenti nel MA.
Nel loro studio, pubblicato sulla rivista scientifica Neuron, i ricercatori hanno scoperto che il
fibrinogeno, dopo essere fuoriuscito dal sangue nel cervello, attiva le cellule immunitarie cerebrali e
le induce a distruggere importanti connessioni tra i neuroni. Queste connessioni, chiamate sinapsi,
sono fondamentali per la comunicazione dei neuroni tra loro.

Studi precedenti hanno dimostrato che l'eliminazione delle sinapsi provoca perdita di memoria, una
caratteristica comune nella malattia di Alzheimer e altre forme di demenza.
Gli scienziati hanno dimostrato che, impedire al fibrinogeno di attivare le cellule immunitarie del
cervello, protegge i topi portatori di MA dalla perdita di memoria.

"Abbiamo scoperto che le perdite di sangue nel cervello possono causare l'eliminazione delle connessioni neuronali che sono importanti
per le funzioni di memoria", spiega la Akassoglou, che è anche professoressa di neurologia all'Università della
California di San Francisco (UCSF).
"Questo potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla causa e alla possibile cura del declino cognitivo nel MA e in altre malattie
neurologiche".

Il team ha dimostrato che il fibrinogeno può avere questo effetto anche nel cervello privo di placche amiloidi, che
sono al centro di diverse strategie di trattamento che hanno fallito in ampi studi clinici. I ricercatori hanno
dimostrato che, l'iniezione di quantità estremamente piccole di fibrinogeno in un cervello sano, causa lo stesso tipo
di attivazione delle cellule immunitarie e la perdita delle sinapsi che si vedono nel MA.

39 https://www.scienzaeconoscenza.it/blog/neuroscienze-cervello/cervello-linguaggio
"Tradizionalmente, l'accumulo di placche di amiloide nel cervello è stato visto come la radice della
perdita di memoria e del declino cognitivo nel MA", dice Mario Merlini, primo autore dello studio e
ricercatore nel laboratorio della Akassoglou ai Gladstone.

"Il nostro lavoro identifica un colpevole alternativo che potrebbe essere responsabile della distruzione
delle sinapsi".

I dati degli scienziati aiutano a spiegare i risultati di recenti studi sull'uomo in cui le persone
anziane con patologia vascolare hanno mostrato tassi di declino cognitivo simili a coetanei con
patologia amiloide. Tuttavia, i pazienti con entrambi i tipi di patologia avevano un declino
cognitivo molto peggiore e più rapido. Altri studi hanno anche identificato la patologia vascolare
come un forte predittore del declino cognitivo che può agire indipendentemente dalla patologia
dell'amiloide.

"Visti i dati umani che dimostrano che i cambiamenti vascolari sono precoci e additivi dell'amiloide, una conclusione di quei studi è
che i cambiamenti vascolari possono dover essere mirati con terapie separate, se vogliamo garantire la massima protezione contro la
distruzione delle connessioni neuronali che porta al declino cognitivo", dice la Akassoglou.

È interessante notare che la Akassoglou e i suoi colleghi hanno sviluppato di recente un anticorpo
che blocca l'interazione tra fibrinogeno e una molecola sulle cellule immunitarie del cervello. In
uno studio precedente, hanno mostrato che questo anticorpo ha protetto il topo portatore di MA
da infiammazione cerebrale e danno neuronale.

"Questi risultati eccitanti migliorano enormemente la nostra comprensione dei contributi che la patologia vascolare e l'infiammazione
del cervello apportano alla progressione del MA", ha detto Lennart Mucke MD, co-autore dello studio e direttore del Gladstone
Institute of Neurological Disease. "I meccanismi identificati dal nostro studio possono anche essere al lavoro in una serie di altre
malattie che combinano perdite nella barriera emato-encefalica con il declino neurologico, tra cui la sclerosi multipla, il trauma
cranico e l'encefalopatia traumatica cronica. Ha implicazioni terapeutiche di vasta portata".40

STUDIO CLINICO SULL’EFFICACIA DEL CAMBIO DELLO STILE DI VITA

Un nuovo studio ha trovato che interventi personalizzati di stile di vita non solo fermano il
declino cognitivo nelle persone a rischio di morbo di Alzheimer (MA), ma aumentano realmente
la loro memoria e la capacità di pensiero entro 18 mesi.

"I nostri dati mostrano un miglioramento cognitivo reale", ha detto il Dott. Richard Isaacson, neurologo e fondatore della
Clinica Prevenzione dell'Alzheimer del NewYork-Presbyterian e del Weill Cornell Medical Center.
"Questo è il primo studio in un ambulatorio del mondo reale che dimostra che la gestione clinica individualizzata può migliorare la
funzione cognitiva e anche ridurre il rischio di MA e quello cardiovascolare".
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Alzheimer's and Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association.

40Pubblicato: 7 Feb 2019


https://www.alzheimer-riese.it/contributi-dal-mondo/ricerche/7792-scoperto-nuovo-colpevole-del-declino-cognitivo-nell-
alzheimer
Il Dott. Rudy Tanzi, professore di neurologia di Harvard, condirettore dell'Henry e Allison McCance Center for
Brain Health del Massachusetts General Hospital di Boston, non coinvolto nello studio, ha detto:

"Abbiamo bisogno di più di questo tipo esatto di sperimentazione clinica. Abbiamo passato così tanto tempo ad aspettare gli esperimenti
sui farmaci, ma in effetti c'è molto che possiamo fare per mantenere la salute del cervello con il nostro stile di vita".

"Ma è difficile convincere il pubblico a fare ciò, se mancano studi clinici a confermare che il sonno e la dieta e l'esercizio fisico e la
meditazione servono. Il modo in cui questo studio è stato progettato e realizzato è una grande guida per il futuro".

RIDURRE IL RISCHIO È LA CHIAVE

Il MA inizia nel cervello circa 20 o 30 anni prima che i sintomi emergono. Si stima che circa 47 milioni di
americani vivano attualmente con questo tipo di MA preclinico. Nessun farmaco esiste per aiutarli.
Alcuni possono sperimentare segni sottili di perdita cognitiva; altri sono ancora ciechi alla crescita delle placche e
dei grovigli devastanti destinati per rubare i loro ricordi.

Stanno aumentando le evidenze 41 che alcuni cambiamenti allo stile di vita, come la dieta, l'esercizio fisico e
l'allenamento del cervello, potrebbero rallentare il declino mentale, forse anche proteggerci dalla demenza
conclamata. Ma una taglia unica va bene per tutti? Oppure ognuno di noi ha bisogno di un piano d'azione unico
su misura per i suoi specifici fattori di rischio?
Isaacson ha scommesso su quest'ultima possibilità.
Dal 2013, i clienti della Clinica Prevenzione dell'Alzheimer sono sottoposti a batterie di test fisici e mentali. Sono
eseguite scansioni MRI (Magnetic Resonance Imaging) per verificare la presenza di segni precoci di accumulo di
placca amiloide. Sono documentati i problemi attuali e passati di medicina, la genetica, la storia familiare, i modelli
nutrizionali, le abitudini di esercizio, i livelli di stress e gli schemi del sonno.

Viene anche loro chiesto se vogliono partecipare a uno studio. "Il nostro studio è stato progettato per esaminare gli effetti di
un intervento di stile di vita sulla funzione cognitiva", ha detto Isaacson. "La funzione cognitiva scema? Può rimanere la stessa o è
possibile che migliori?”
Isaacson e il suo team sono riusciti ad arruolare 154 pazienti tra i 25 e i 86 anni, tutti con una storia di MA nella
loro famiglia.
La maggior parte di loro non aveva ancora perdite di memoria, ma avevano delle prestazioni preoccupanti nei
test cognitivi.

Un piccolo gruppo di 35 è stato diagnosticato con lieve decadimento cognitivo (MCI, mild cognitive
impairment/decadimento cognitivo lieve) definito dall'Alzheimer's Association come un insieme di
"cambiamenti cognitivi che sono abbastanza gravi da essere notati dalla persona interessata,
dai familiari e dagli amici, ma che non influenzano la capacità dell'individuo di svolgere le
attività quotidiane".

Sulla base di tali risultati, ogni persona ha avuto un piano personalizzato di prescrizioni. Su quasi 50 interventi
basati sull'evidenza, ogni persona ha avuto in media 21 comportamenti di stile di vita da implementare.

"L'attività fisica e l'alimentazione erano di gran lunga le due cose più importanti sulla lista, ma quelli sono anche stati personalizzati
per ogni individuo", ha detto Isaacson.
Per l'attività fisica, per esempio, il programma potrebbe raccomandare l'allenamento aerobico ad intervalli per
una persona, mentre a un'altra potrebbe essere raccomandata una palla per l'equilibrio o l'allenamento ai pesi su
tavola verticale.
"All'interno dell'intervento dietetico, potremmo dire di consumare caffè con caffeina solo prima delle 14 per proteggere il sonno. Nessun
carboidrato per 12 o più ore al giorno, che è il protocollo di digiuno intermittente", ha detto Isaacson.
Il programma comprende l'assunzione di alcol, di prodotti lattiero-caseari, di sali minerali e vitamine, suggerimenti
per l'igiene del sonno, l'istruzione per imparare qualcosa di nuovo, l'ascolto di musica, la meditazione, la
consapevolezza, e altro ancora.

41 studio clinico: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25771249


I RISULTATI DANNO SPERANZA

Isaacson ha trovato che le persone con diagnosi di MCI, che hanno seguito almeno il 60% dei cambiamenti di
comportamento (cioè in media più di 12 raccomandazioni su 21), avevano una migliore memoria e capacità di
pensiero migliore appena18 mesi più tardi.
Quelli con MCI che hanno seguito meno del 60% dei comportamenti personalizzati non hanno mostrato alcun
miglioramento, e, in realtà, hanno continuato a declinare.

"Abbiamo bisogno di più ricerca, di più medici e specialisti che lo fanno", ha detto. "Ma penso che questo modello sia un piano
d'azione per medici e pazienti per lavorare insieme e migliorare la salute del cervello. È prevedibile un giorno in cui le persone vanno dal
loro medico e invece di sentire che non c'è niente da fare, il medico dice, «Beh, potremmo non avere le risposte perfette, ma qui ci sono 21
cose che puoi fare sulla base del tuo rischio individuale, per proteggere la salute del tuo cervello”.42

MEDITAZIONE (STUDIO CLINICO)


Un gruppo di ricerca guidato dal Dr. Kim Innes, un professore della West Virginia University School of Public
Health, ha scoperto che un semplice programma di meditazione o ascolto di musica può influenzare alcuni
marcatori dell’invecchiamento cellulare e della malattia di Alzheimer negli anziani che riferiscono una perdita di
memoria.
I risultati dello studio, riportati nel Journal of Alzheimer’s Disease, suggeriscono anche che questi cambiamenti
possono essere direttamente correlati ai miglioramenti della memoria e della cognizione, del sonno, dell’umore e
in generale della qualità di vita della persona. Sessanta anziani con declino cognitivo soggettivo hanno partecipato
a questo studio.
Il declino cognitivo soggettivo oltre ad essere stato collegato ad un aumentato rischio di demenza e associato ad
alcuni cambiamenti neuropatologici coinvolti nello sviluppo della malattia di Alzheimer, può rappresentare una
finestra temporale importante per l’intervento terapeutico.
Ciascun partecipante alla ricerca è stato assegnato in modo casuale a un programma di meditazione
per principianti o a un programma di ascolto musicale, esercitandosi 12 minuti ogni giorno per 12
settimane.
All’inizio della ricerca e dopo 3 mesi, sono stati raccolti campioni di sangue di tutti i partecipanti e sono stati
misurati due marcatori di invecchiamento cellulare: la lunghezza dei telomeri e l’attività della telomerasi. (I
telomeri fungono da protezioni sui cromosomi; la telomerasi è un enzima responsabile della lunghezza dei
telomeri).

Sono stati anche valutati i livelli ematici di specifici peptidi beta-amiloidi comunemente associati all’Alzheimer.
Inoltre, è stata valutata la memoria e la funzione cognitiva, lo stress, il sonno, l’umore e la qualità di vita. Tutti i
partecipanti sono stati seguiti per un totale di 6 mesi.
Dopo il completamento del programma della durata di 3 mesi, il gruppo di meditazione ha mostrato un
significativo aumento del peptide beta-amiloide (Aβ40) rispetto al gruppo musicale.
L’aumento dei livelli di beta amiloide era correlato a miglioramenti della memoria e delle funzioni cognitive,
dell’umore, del sonno e della qualità di vita a 3 e 6 mesi. L’attività della telomerasi, così come la lunghezza dei
telomeri, aumentava sia nei gruppi di meditazione che in quelli di ascolto musicale, sebbene gli aumenti fossero
significativi solo tra i partecipanti che avevano valori più bassi all’inizio dello studio e che hanno praticato più
frequentemente nel corso del programma. Inoltre, tali aumenti erano associati a miglioramenti in alcuni esiti
cognitivi e psicosociali.
Infine, entrambi i gruppi sono migliorati significativamente nella memoria e nella funzione cognitiva, oltre che nel
sonno e in generale a livello psicologico, sebbene i miglioramenti dello stress, dell’umore e della qualità di vita
fossero sostanzialmente maggiori nel gruppo di meditazione. Questi miglioramenti sono stati per di più mantenuti
o ulteriormente rafforzati a distanza di sei mesi, ben tre mesi dopo la conclusione della ricerca.43

42 Pubblicazione del 4 Nov 2019


https://www.alzheimer-riese.it/contributi-dal-mondo/ricerche/8548-provato-che-cambi-allo-stile-di-vita-migliorano-la-
cognizione-di-persone-a-rischio-di-alzheimer
43 https://neurosciencenews.com/alzheimers-music-aging-10183/
LE ONDE CEREBRALI
Nel cervello ogni momento è caratterizzato da infiniti processi bioelettrici. Un enorme numero di segnali viaggia
continuamente da un neurone all’altro portando con sé determinate informazioni. Alcuni di questi segnali possono
essere registrati e riportati su un elettroencefalogramma (EEG) come delle onde.
Sin dalla fine del 1800 si è iniziato a capire come le onde impresse in un EEG rappresentassero diverse attività
cerebrali.

I DIVERSI TIPI DI ONDE CEREBRALI


Nell’elettroencefalogramma di una persona normale sono state identificate quattro bande di frequenza, ognuna
registrata in precise circostanze.
A fine ‘800 Hans Berger, un medico tedesco, iniziò a proporre l’associazione tra alcune attività cerebrali e
precise tipologie di onde.

Quando una persona si trova in fase di veglia e con gli occhi chiusi il tracciato encefalografico è dominato dalla
presenza della banda α (ALPHA), caratterizzata da onde di frequenza compresa tra gli 8 e 13 Hz ed un’ampiezza
normalmente inferiore ai 50 microvolt (μV).
Nel momento in cui il soggetto apre gli occhi le onde α scompaiono per lasciare spazio alle β (BETA), delle onde
a frequenza molto maggiore, fino a 30-35 Hz, ed ampiezza compresa tra 25 e 30 μV.
Durante la veglia, nel passaggio tra veglia e sonno e in alcune fasi del sonno sono registrabili le onde θ (TETHA),
caratterizzate da una bassa frequenza (4-8 Hz).
Durante il sonno, invece, sono evidenziabili le onde δ (DELTA), delle onde a frequenza inferiore ai 4 Hz e di
grande ampiezza (fino a 200 μV). La loro presenza in un tracciato di un adulto sveglio deve essere un segnale di
allarme poiché sicuramente patologico.

Esistono anche dei ritmi a frequenza molto alta (intorno ai 40 Hz), denominati attività γ (GAMMA), che sono
ritenuti la base della percezione e della coscienza.
Le gamme sono anche le onde di frequenza più elevate con la più piccola ampiezza e sono associate a sensazioni
di soddisfazione e al miglioramento del funzionamento cognitivo, come la conservazione della memoria,
l'elaborazione dei dati e l'attenzione di base.
Poiché le onde gamma hanno una frequenza così elevata, il movimento rapido crea una scansione del cervello
che aiuta a collegare le informazioni e migliorare la cognizione. Sembrerebbe anche che coloro i quali hannp
attività ad alta gamma di onde cerebrali abbiano i punteggi più alti del QI e siano spesso accademici, atleti e anche
musicisti di talento.
Ma da dove originano?

Queste cellule comunicano tra loro attraverso segnali elettrici.


I dendriti di ciascun neurone ricevono moltissimi segnali eccitatori (EPSP) ed inibitori (IPSP).
Immaginiamo di avere davanti un dendrite e di potergli somministrare uno stimolo elettrico eccitatorio (EPSP).
Nel punto in cui lo stimolo entra del dendrite si indurrà una depolarizzazione e quella regione risulterà
elettronegativa. Successivamente la corrente fluirà lungo il dendrite fino a quando non lo abbandonerà in un
punto di uscita. Questo punto sarà allora elettropositivo.
Si è creato quello che si definisce un dipolo i cui poli negativo e positivo sono rispettivamente nel punto di ingresso
ed uscita della corrente.
Quando molti neuroni si trovano in sincronia si generano dei dipoli così grandi da poter essere registrati a distanza.
Le onde cerebrali originano dunque dai grandi neuroni piramidali della corteccia cerebrale, soprattutto
da quelli degli strati più superficiali, dal momento che i dipoli provenienti da quelli posti più in profondità non
riescono a raggiungere la superficie.
Poter valutare l’attività cerebrale permette di individuare delle alterazioni precise che possono indicare la presenza
di una patologia. L’epilessia è certamente una delle patologie meglio studiate attraverso i tracciati EEG. Anche
altre patologie, tra cui il morbo di Alzheimer e la schizofrenia, causano alterazioni valutabili con questo
strumento.44

ONDE GAMMA, MEMORIA E ATTENZIONE (STUDIO CLINICO 1)


Lo Scienziato vincitore del premio Nobel, Sir Francis Crick ritiene che la frequenza di 40 Hz possa essere la chiave
dell'atto cognitivo. Il controllo della cognizione è una pratica preziosa che gli individui possono utilizzare per
mantenere la stabilità emotiva.
I ricercatori hanno condotto uno studio45 per monitorare il ruolo delle onde cerebrali gamma in situazioni che
hanno suscitato una risposta emotiva.
Hanno registrato un elettroencefalogramma (EEG) di 15 soggetti diversi che hanno poi sperimentato una varietà
di emozioni.
Hanno quindi classificato i tipi di onde che hanno osservato e li hanno collegati alla capacità di ciascun soggetto
di regolare sia la loro attenzione che le loro emozioni.

I ricercatori hanno scoperto che coloro i cui cervelli emettevano onde gamma all'inizio dell'esperimento erano più
bravi sia a gestire le proprie emozioni sia a riorientare le proprie menti.
Altri studi46 hanno dimostrato che le onde cerebrali gamma sono anche strettamente associate all'elaborazione e
all'attenzione dei dati, poiché le frequenze gamma sono collegate al processo sensoriale.
Molti nella comunità scientifica suggeriscono che l'attività delle onde gamma incide molto anche sulla memoria,
ma principalmente a breve e lungo termine.
I ricercatori di questo esperimento hanno sostenuto la teoria precedentemente menzionata, secondo cui le attività
di attenzione (come la meditazione) attivavano le onde cerebrali gamma negli individui, confermando l'influenza
positiva della meditazione.

ONDE GAMMA 40HZ, LUCI E SUONI (STUDIO CLINICO 2)


E’ stato scoperto un trattamento non invasivo, che comporta l'induzione di onde cerebrali chiamate 'oscillazioni
gamma’, che ha ridotto notevolmente il numero di placche amiloidi che si trovano nel cervello di topi con MA.
Le placche sono state ripulite in ampie aree del cervello, comprese le aree critiche per funzioni cognitive come
l'apprendimento e la memoria.
"Quando uniamo la stimolazione visiva e uditiva per una settimana, vediamo l'impegno della corteccia prefrontale
e una riduzione molto drastica di amiloide", dice Li-Huei Tsai, direttrice del Picower Institute for Learning and
Memory del MIT e autrice senior dello studio.47

MIGLIORAMENTO DELLA MEMORIA


I neuroni del cervello generano segnali elettrici che si sincronizzano per formare onde cerebrali in diverse gamme
di frequenza. Precedenti studi hanno suggerito che i malati di MA presentano alterazioni nelle oscillazioni della
frequenza gamma, che vanno da 25 a 80 hertz (cicli al secondo) e si ritiene che contribuiscano a funzioni cerebrali
come l'attenzione, la percezione e la memoria.

44 https://sciencecue.it/viaggio-sistema-nervoso-onde-cerebrali/15562/

45https://translate.google.com/translate?depth=1&rurl=translate.google.com&sl=auto&sp=nmt4&tl=it&u=https://www.ncbi.

nlm.nih.gov/pubmed/22254657&xid=17259,15700021,15700186,15700190,15700256,15700259,15700262,15700265,15700271,15700
283

46https://www.researchgate.net/publication/6331983_Human_gamma-

frequency_oscillations_associated_with_attention_and_memory

47Anthony Martorell, laureato del MIT e Abigail Paulson, laureato del Georgia Tech, sono i primi autori dello studio, comparso
su Cell il 14 marzo 2019.
Nel 2016, la Tsai e i suoi colleghi hanno riferito per la prima volta gli effetti benefici del ripristino delle oscillazioni
gamma nel cervello di topi geneticamente predisposti a sviluppare i sintomi di MA. In quello studio, i ricercatori
hanno usato gli impulsi di luce LED a 40 hertz, somministrato per un'ora al giorno.
Hanno scoperto che questo trattamento riduceva i livelli di placche di amiloide-beta e di un altro marcatore
patogeno correlato al MA, la proteina tau fosforilata. Il trattamento ha inoltre stimolato l'attività delle microglia48,
le cellule immunitarie che eliminano i detriti cellulari.

In quello studio, i miglioramenti generati dalla luce pulsante erano limitati alla corteccia visiva. Nel loro nuovo
studio, i ricercatori hanno cercato di esplorare se potevano raggiungere altre regioni del cervello, come quelle
necessarie per l’apprendimento e la memoria, usando stimoli sonori.
Hanno scoperto che l’esposizione a 40 hertz un’ora al giorno, per sette giorni, ha ridotto
drasticamente la quantità di amiloide-beta nella corteccia uditiva (che elabora il suono) e
nell’ippocampo, un sito cruciale per la memoria situato vicino al corteccia uditiva.

"Quello che abbiamo dimostrato qui è che possiamo usare una modalità sensoriale completamente diversa per indurre oscillazioni gamma
nel cervello. E in secondo luogo, questa frequenza gamma indotta dalla stimolazione uditiva può ridurre la patologia dell'amiloide e
della proteine tau non solo nella corteccia sensoriale ma anche nell'ippocampo", dice la Tsai, che è una delle fondatrici dell'Aging
Brain Initiative del MIT (Massachusetts Institute of Technology, Cambridge).

I ricercatori hanno anche testato l'effetto della stimolazione uditiva sulle capacità cognitive dei topi. Hanno
scoperto che dopo una settimana di trattamento, i topi si sono comportati molto meglio durante la navigazione in
un labirinto che richiedeva loro di ricordare i punti chiave. Inoltre, erano in grado di riconoscere meglio gli oggetti
che avevano incontrato in precedenza.
Hanno anche scoperto che il trattamento uditivo ha indotto cambiamenti non solo nelle microglia, ma anche nei
vasi sanguigni, forse quello che facilitava l'eliminazione dell'amiloide.

EFFETTO COMBINATO LUCE - SUONO DI STESSA FREQUENZA


I ricercatori hanno quindi deciso di provare a combinare la stimolazione visiva con quella uditiva e, con loro
sorpresa, hanno scoperto che questo duplice trattamento ha un effetto ancora maggiore rispetto ai due singoli. Le
placche amiloidi sono state ridotte in una porzione molto più grande del cervello, compresa la corteccia
prefrontale, dove si svolgono funzioni cognitive superiori.
Anche la risposta delle microglia era molto più forte. "Queste microglia si accumulano le une sulle altre attorno alle placche",
dice la Tsai. "È molto drammatico".

I ricercatori hanno scoperto che se trattano i topi a settimane alternate, molti degli effetti positivi svaniscono,
suggerendo che il trattamento deve essere somministrato continuamente per mantenere i benefici.
In uno studio in corso, i ricercatori stanno ora analizzando come le oscillazioni gamma influenzano tipi specifici
di cellule cerebrali, nella speranza di scoprire i meccanismi molecolari alla base dei fenomeni che hanno osservato.
La Tsai dice che spera anche di esplorare perché è proprio la frequenza specifica che usano, 40 hertz, ad avere
un impatto così profondo.
Il trattamento combinato visivo e uditivo è già stato testato su volontari sani, per valutarne la
sicurezza, e ora i ricercatori stanno iniziando ad arruolare pazienti con Morbo di Alzheimer di
stadio iniziale per studiare i possibili effetti sulla malattia.

"Sebbene esistano differenze importanti tra le specie, c'è motivo di essere ottimisti sul fatto che questi metodi possano fornire interventi
utili per gli esseri umani", afferma Nancy Kopell, professoressa di matematica e statistica dell'Università di Boston,
che non è stata coinvolta nella ricerca. "Questo studio e gli studi correlati hanno il potenziale di avere un enorme impatto clinico
nel MA e su altri problemi che coinvolgono l'infiammazione del cervello".49

48Le cellule della microglia sono un tipo di cellule gliali che si occupano della prima e principale difesa immunitaria attiva nel
sistema nervoso centrale (SNC). Le microglia costituiscono il 20% della popolazione totale di cellule gliali all'interno del cervello.
A differenza degli astrociti, le singole cellule della microglia sono distribuite, nel cervello e nel midollo spinale, in larghe regioni
che non si sovrappongono tra di loro.[1] Le microglia si muovono costantemente e analizzano il SNC in cerca di neuroni
danneggiati, placche e agenti infettivi.[2] Il cervello e il midollo spinale sono considerati organi “immuno-privilegiati” in quanto
sono separati dal resto del corpo da una serie di cellule endoteliali conosciute come la Barriera Emato-Encefalica.

49https://www.alzheimer-riese.it/contributi-dal-mondo/ricerche/7897-stimolazione-dell-onda-cerebrale-puo-migliorare-i-
sintomi-di-alzheimer
PROMUOVERE LA PRODUZIONE DI ONDE GAMMA CON LA MEDITAZIONE
Una tendenza per alcuni e uno stile di vita per altri, la meditazione può venire in una varietà di pratiche.
Considerato "allenamento mentale" da alcuni, la meditazione di base è il processo di calmare la mente al fine di
ottenere un rilassamento profondo, una liberazione emotiva e una coscienza superiore.
Fisiologicamente, la meditazione ha effetti significativi sul cervello, in particolare promuove le "oscillazioni della
banda gamma" e la sincronia.

Al fine di valutare quantitativamente gli effetti della meditazione, un gruppo di ricercatori dell'Università di
Princeton ha condotto uno studio per misurare la relazione tra onde cerebrali gamma e meditazione.
Hanno misurato l'EEG di base (elettroencefalogramma) in due diverse popolazioni (meditatori a lungo termine e
non meditatori) prima di una sessione di meditazione e hanno scoperto alcuni risultati sorprendenti.
Coloro che meditavano regolarmente avevano una quantità maggiore e più frequente di onde cerebrali
gamma, anche in uno stato di riposo, non meditativo.
Questi ricercatori hanno concluso che lo stato di riposo del cervello può effettivamente essere influenzato dalla
meditazione a lungo termine, una pratica che può influenzare positivamente tutti gli aspetti della vita di un
individuo.

Detto questo sappiamo che, a volte, potrebbe essere difficile padroneggiare la pratica della meditazione, quindi si
potrebbe facilitare la promozione di queste onde a 40 Hz con l’utilizzo dei battiti binaurali.
I battiti binaurali sono, come suggerisce il loro nome, ritmi uditivi che consistono in due diversi
toni di frequenze diverse che vengono riprodotti uno in un orecchio ed uno nell’altro orecchio
dell’ascoltatore.
Il processo avviene quindi all'interno del cervello ed è causato da una naturale risposta fisiologica.
Dopo aver ascoltato i due toni contemporaneamente, il cervello interpreta i toni inviati alle
orecchie sinistra e destra come un solo tono. Il singolo tono interpretato è uguale nella misura
(Hertz) alla differenza tra i toni della sorgente.

Ad esempio, se una frequenza sonora di 210 Hz viene inviata all'orecchio sinistro e una 220 Hz all'orecchio destro,
il cervello elaborerà e interpreterà i due suoni come una frequenza di 10 Hz. Il cervello quindi viene invitato a
seguire la nuova frequenza (10 Hz), producendo onde cerebrali alla stessa frequenza di Hertz (Hz). Il termine
tecnico per questo processo è "frequenza che segue la risposta".
L'uso di battiti binaurali per aumentare naturalmente la produzione di onde cerebrali gamma può migliorare la
memoria a lungo termine e stimolare le funzioni di elaborazione dei dati nel cervello.
Inoltre, le onde a 40 Hz evocano un effetto terapeutico poiché ascoltandole vengono migliorate le connessioni tra
i neuroni.50

YOGA E ALZHEIMER
La ricerca che segue dimostra come la respirazione yoga e l'esercizio fisico possono aiutare a prevenire e curare
la malattia.

PRANAYAMA: La respirazione Yoga può aiutare a prevenire l’Alzheimer


La respirazione yogica (chiamata anche Pranayama) è una raccolta di tecniche per regolare la respirazione
volontariamente. Il Pranayama induce una forte risposta di rilassamento attraverso la stimolazione vagale e
parasimpatica. Tali risposte sono causalmente legate a rapidi cambiamenti nell'espressione genica, in particolare
a quei geni che controllano lo stress, l'infiammazione e il metabolismo. La saliva è una fonte nota di FCN51 (il

50 https://www.binauralbeatsmeditation.com/benefits-gamma-waves/
51 Il fattore di crescita nervoso (FCN), o in inglese nerve growth factor (NGF), è una piccola proteina segnale coinvolta nello

sviluppo del sistema nervoso nei vertebrati, ed è composta da due unità di 118 aminoacidi.I
indirizza e regola la crescita degli assoni, tramite meccanismi di segnalazione cellulare, è inoltre prodotta nei momenti
rigenerativi e per questo è molto utile nelle prime fasi dello sviluppo embrionale permettendo la creazione del cervello. È
studiata ancora oggi per trovare la cura ad alcune delle più gravi malattie che colpiscono il sistema nervoso, come la sclerosi
FCN è una proteina chiave nel sistema nervoso che protegge i neuroni cerebrali) e, per inciso, Yoga e rilassamento
stimolano la salivazione.
La saliva (0,75–1,5 L / giorno nell'uomo) contiene numerose molecole biologicamente attive che possono essere
potenzialmente utili come marker diagnostici e come indizi terapeutici. La secrezione salivare regola i sistemi
digestivo, nervoso, immunitario e respiratorio.

Uno studio del 2015 pubblicato sul International Psychogeriatrics ha scoperto che la respirazione yoga aumenta
il Fattore di Crescita Nervoso (FCN), una proteina che è significativamente ridotta nelle persone con Alzheimer.
Recenti studi clinici suggeriscono che la somministrazione del FCN può aiutare a curare l'Alzheimer.
I ricercatori della Medical University of South Carolina hanno somministrato la «Respirazione Yoga» o il
«Controllo Attenzionale» a 20 volontari, e hanno usato i loro campioni di saliva per misurare il FCN.

Il gruppo di Respirazione Yoga ha partecipato a un programma di 20 minuti di respirazione yoga


compresi di 10' di canto «Om» e 10' di un esercizio di regolazione di respirazione yoga specificato
in un testo yoga antico chiamato Thirumanthiram.
Il gruppo di «Controllo Attenzionale» ha letto in silenzio per 20 minuti.
I ricercatori hanno scoperto che il 60 per cento dei campioni del gruppo yoga ha mostrato un
marcato aumento dei livelli di FCN. "Essendo un esercizio sistematico, la respirazione yoga può
essere uno strumento potente per prevenire e/o gestire malattie neurodegenerative come
l'Alzheimer", spiega il ricercatore Dr Sundara Balasubramanian, biochimico e professore
assistente di ricerca alla Medical University of South Carolina.

“Yoga da Sedia” (chair yoga)


Uno studio pubblicato nel 2014 su Research in Gerontology Nursing ha scoperto che lo «Chair Yoga» (yoga da
sedia) aiuta a migliorare l'equilibrio e la qualità della vita nei malati di Alzheimer.
I ricercatori hanno somministrato il programma «Sit 'N Fit» (siediti e stai in forma) di «Chair
Yoga» a nove pazienti anziani affetti da Alzheimer, per otto settimane. Il programma di sessioni
(2 alla settimana di 50' ciascuna) includeva 10' di esercizi di respirazione, 20' di posture yoga in una
sedia, 5' di posture di equilibrio e 10' di rilassamento e meditazione.

I ricercatori hanno trovato che i partecipanti avevano miglioramenti significativi dell'equilibrio e miglioramenti
variabili nella velocità di cammino e dell'andatura. Gli autori dello studio hanno concluso: "Sono stati osservati
cambiamenti positivi in tutte le misurazioni fisiche”.52

INVERTIRE IL DECLINO COGNITIVO È POSSIBILE


Nel 2014, per la prima volta, i ricercatori della UCLA53 hanno sviluppato un programma in grado di invertire la
perdita di memoria.
Non si tratta di un farmaco o di una procedura, ma di un nuovo approccio completo e personalizzato per il
trattamento della perdita di memoria associata alla malattia di Alzheimer.

Nel rapporto del Direttore dell’Easton Center dell’UCLA, il Dr. Dale E. Bredesen, Professore Ordinario di
Neurologia, spiega come il morbo di Alzheimer sia una malattia complessa influenzata da molteplici fattori tra cui

laterale amiotrofica (SLA) e la malattia di Alzheimer. Grazie alla scoperta dell'NGF, sono stati individuati altri fattori di crescita
oggi studiati per la cura dei tumori, in quanto è stato dimostrato che accrescono il tumore stesso.
L'NGF fu scoperto negli anni '50 dall'italiana Rita Levi-Montalcini, che per circa trent'anni proseguì le ricerche su questa
molecola proteica e sul suo meccanismo d'azione, per le quali nel 1986 è stata insignita del Premio Nobel per la medicina
insieme allo statunitense Stanley Cohen. Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta del NGF all'inizio degli anni
cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In
precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti
dell'organismo».
52studio pubblicato sulla rivista CELL

COPYRIGHT: © International Psychogeriatric Association 2014


Riferimenti:
https://www.alzheimer-riese.it/contributi-dal-mondo/ricerche/5288-i-due-tipi-di-benefici-dello-yoga-per-l-alzheimer
53Università della California, Los Angeles (University of California, Los Angeles, conosciuta anche come UCLA) è
un'università pubblica e di ricerca statunitense tra le più importanti e prestigiose al mondo, che si trova a Los Angeles in
California all'interno dell'area residenziale di Westwood.
il sonno, la dieta, l’esercizio fisico. “Tutti questi fattori – ma anche altri – contribuiscono all’equilibrio nella
plasticità cerebrale”.
Dieci pazienti con perdita di memoria, alcuni dei quali confermati per Alzheimer dalle scansioni cerebrali, hanno
partecipato a un piccolo studio della UCLA chiamato MEND (Metabolic Enhancement for NeuroDegeneration).
Nel protocollo UCLA, i pazienti hanno modificato lo stile di vita in modo radicale, evitando i carboidrati semplici,
il glutine e gli alimenti trasformati, aumentando l’assunzione di pesce, prendendo parte a lezioni di yoga e di
meditazione e ascoltando musica per la riduzione dello stress. Inoltre, hanno aumentato le ore di sonno, hanno
assunto curcumina, ashwagandha, bacopa monnieri, melatonina, vitamina B-12, vitamina D-3, olio di pesce
e altri micronutrienti.

Nell’arco di sei mesi, nove pazienti hanno avuto un notevole miglioramento della memoria.
Solo un paziente, alle prese con le ultime fasi del morbo di Alzheimer, non ha mostrato miglioramenti.
Secondo i ricercatori della UCLA i risultati suggeriscono che, almeno nella fase iniziale, cambiando i processi
metabolici di una persona si può ripristinare la memoria e le funzioni cognitive.
Sei dei pazienti trattati, che in precedenza hanno dovuto interrompere la loro attività lavorativa, sono stati in
grado di riprendere il proprio lavoro.
Il declino cognitivo di alcuni dei pazienti trattati è stato completamente bloccato.
Gli autori dello studio hanno seguito alcuni pazienti per altri due anni e mezzo, constatando che i miglioramenti
di memoria sono rimasti stabili.
Sono in corso progetti per condurre studi più ampi su questo programma terapeutico.
Riporto la storia di un paziente ed il programma terapeutico come esempio del tipo di lavoro svolto durante il
protocollo.

Storia Paziente 1
Un imprenditore di 69 anni, con una perdita della memoria lenta ma progressiva di circa 11 anni, acceleratasi
negli ultimi uno o due anni.
Nel 2002, all'età di 58 anni, non era stato in grado di ricordare la combinazione del lucchetto sul suo armadietto,
e sentì che questa cosa era per lui fuori dal comune.
Ha notato che ha avuto difficoltà a riconoscere progressivamente i volti al lavoro (prosopagnosia) ed i suoi assistenti
gli suggerivano il programma giornaliero.
Aveva una capacità di calcolo veloce molto spiccata.
Ha iniziato il programma terapeutico e dopo le sei mesi, sua moglie, i suoi colleghi e tutti hanno notato
miglioramento. Ha perso 10 chili.
Fu in grado di riconoscere volti al lavoro a differenza di prima, è stato in grado di ricorda il suo programma
giornaliero ed è stato in grado di procedere nel lavoro senza difficoltà. È stato anche notato per essere più veloce
con le sue risposte.
La sua capacità di calcolo rapido, che aveva perso durante il suo progressivo declino cognitivo, tornò.
Sua moglie ha sottolineato, nonostante chiaramente vengono mostrati miglioramenti, l'effetto più sorprendente è
stato che il declino cognitivo, rispetto al precedente anno o due, era stato completamente bloccato. (Vedi tab 1)
Programma terapeutico

Il paziente ha seguito il seguente sistema terapeutico:

1. ha digiunato per un minimo di tre ore tra cena e ora di andare a letto, e per un minimo di 12 ore tra
cena e colazione (digiuno intermittente);
2. ha eliminato carboidrati semplici e alimenti trasformati dalla sua dieta;
3. ha aumentato il consumo di frutta e verdura e consumo limitato di pesce non di allevamento, carne di
manzo occasionalmente o pollo biologico;
4. ha preso i probiotici;
5. ha preso olio di cocco;
6. ha iniziato una intensa attività fisica, nuoto 3-4 volte a settimana, ciclismo due volte a settimana, e corsa
una volta alla settimana;
7. ha preso melatonina 0,5 mg PO qhs, e ha cercato di dormire intorno alle 8 ore per notte come il
programma avrebbe richiesto;
8. ha assunto erbe Bacopa monniera 250mg, Ashwagandha 500mg e 400 mg di curcuma ogni giorno;
9. ha assunto metilcobalamina 1 mg, metiltetraidrofolato 0,8 mg e piridossina-5- fosfato 50mg al giorno;
10. ha preso citicolina 500mg PO bid;
11. ha assunto vitamina C 1 g al giorno, vitamina D3 5000 UI al giorno, vitamina E 400 UI al giorno, CoQ
10 200mg al giorno, Zn picolinate 50mg al giorno e acido α-lipoico 100mg al giorno;
12. ha preso DHA (docosaesaenoico acido) 320mg e EPA (acido eicosapentaenoico) 180mg al giorno.54

(vedi tab 2 per i casi dei 10 pazienti)55

54 Fonte: Reversal of cognitive decline: A novel therapeutic program

https://www.aging-us.com/article/100690/text

55 Recentemente un gene che codifica una proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo (ApoE) è stato identificato come
associabile al morbo di Alzheimer. Il locus dell’ApoE sul cromosoma 19 è un gene che esiste, nella popolazione, in tre differenti
forme o alleli (ApoE 2, 3, 4); ogni individuo ha due copie del gene, quindi vi possono essere diverse combinazioni, ognuna delle
quali influenza in modo diverso la predisposizione dell'individuo al morbo di Alzheimer.
In particolare il genotipo dell’ApoE è collegato all’età del primo attacco del morbo di Alzheimer.
Dallo studio dei risultati di un’analisi sui rapporti tra genotipo dell’ApoE, età e distribuzione del primo attacco del morbo
possiamo trarre molte informazioni. Prima di tutto possiamo constatare che l’insorgere del morbo di Alzheimer in età precoce è
associato alla presenza di uno o due alleli ApoE4. L’analisi evidenzia il rischio relativo di insorgenza del morbo di Alzheimer
per ogni particolare genotipo alle diverse età; questo è importante perché per ogni individuo i sintomi di demenza si possono
presentare ad una particolare età. Per esempio un individuo di 75 anni (genotipo ApoE4/4) ha approssimativamente il 20% di
speranza di non ammalarsi; con ApoE3/4 il 40%; con ApoE3/3 oppure ApoE2/4 il 55%; con ApoE2/3 l'80%.
I dati variano a seconda dell’etnicità, quindi l’accuratezza delle stime si potrà valutare solo con ulteriori studi epidemiologici.
CONCLUSIONI PERSONALI
Questa ricerca è nata da un’esperienza personale avendo avuto la “possibilità” di essere accanto a mia nonna
affetta dal Morbo Di Alzheimer per più di 10 anni.
Questa esperienza mi dice che l’Alzheimer ruba i ricordi ai malati, ruba i volti, i luoghi e gli amici e cancella con
un colpo di spugna tutto ciò che si è stati; l’Alzheimer è una ladra di dignità.
Ruba la persona amata a chi se la vede “svanire” giorno dopo giorno davanti ai suoi occhi, ne ruba i gesti, le
carezze, le parole, la personalità, ed è così che in questa “guerriglia della mente si fanno due vittime” con un solo
colpo.
Avevo 18 anni quando nonna si ammalò e l’ho guardata consumarsi lentamente, volatilizzarsi.
La sua essenza l’ha abbandonata ogni giorno che passava, ed ogni giorno è stata schiava e vittima della sua mente
e allo stesso tempo libera di “vagare” come voleva.
E così se ne è andata ed io sono rimasta senza di lei anche quando lei ancora c’era e questo crea un vuoto che fa
paura, perché la guardi negli occhi e vedi che ormai sono persi nel nulla, le parli ma non ti risponde, le sorridi ma
tu non esisti più per lei.
Ed è cosi che tu rimani lì, sapendo che lei ha bisogno di te e tu di lei e che tu puoi fare ancora qualcosa per lei,
invece lei non fare più niente per te, perché chissà se è consapevole che è ancora viva?
Questo è l’Alzheimer per chi lo vive. L’Alzheimer fa paura, è devastante e distruttivo; deve esserci qualcosa che
possiamo fare?
!
Alla luce delle informazioni che ho rinvenuto, credo personalmente che potremmo fare molto per migliorare le
condizioni dei malati di Alzheimer, importantissima è la prevenzione, lo stile di vita e il tempestivo intervento
nelle prime fasi della malattia.
Credo che le cure complementari aiutino davvero tanto e siano anche in qualche modo maggiormente efficaci
rispetto alla terapia farmacologica che, oramai è provato, porti solo un rallentamento del progredire della malattia,
ma non un ripristino delle facoltà cognitive che invece può avvenire adottando uno stile di vita sano, assumendo
erbe ayurvediche, vitamine, aumentando l’attività fisica, facendo una dieta mediterranea equilibrata, utilizzando
il digiuno intermittente, utilizzando frequenze visive e sonore a 40hz, musicoterapia, yoga e meditazione (ed altri).

Immagino che dietro la scelta di non insistere su un protocollo di cure alternative e non farmacologhe, ci siano
interessi economici mondiali che ne impediscano la realizzazione.
Da questa ricerca nascerà una sperimentazione sul campo, in collaborazione con altre figure che hanno il mio
stesso interesse morale nel trovare delle risposte, ma soprattutto delle soluzioni reali a problemi importanti come
quello delle demenze, in particolare quella di Alzheimer.
Io continuo a sperare in un futuro diverso, dove si faranno prima gli interessi del malato che quelli delle lobby
farmaceutiche e finalmente potremmo accedere, tutti, alle migliori cure che inducano l’intero sistema alla
guarigione; cure che implichino l’attenzione al corpo alla mente e allo spirito, come ci insegna l’ayurveda perché,
di certo, non siamo “quarti di carne da macello” bensì la manifestazione della grandezza dell’universo incarnata
in un corpo, che racchiude in sé la magia dello spirito e la grandezza dell’intelletto.

RINGRAZAMENTI
Ringrazio Lele che mi accompagna e mi è accanto nel mio entusiasmo misto a caos ormai da tanti anni.
Le mie compagne di corso per la condivisione di momenti belli, intensi a volte difficili ma estremamente importanti
per il mio cammino.
Ringrazio Anna per i suoi abbracci e la sua accoglienza (e per essere più bassa di me), Vittorina per la sua dolcezza,
Eleonora per la sua mistica visione della vita, Roby per il suo “meraviglioso mondo di Amelie" che porta sempre
con sé.
Ringrazio Tina e Libero che mi hanno supportato e sopportato, che ironizzano su di me ed insieme a me, ma
Libero in particolare per la stima da lui ricevuta, oltre al bagaglio di informazioni e nozioni che ha cercato di
trasmettermi.
Ringrazio Sara sempre vicina, anche a tanti km di distanza.
Ringrazio la mia famiglia acquisita, i ragazzi dei DUSTY ROADS -Valdo, Giuseppe, Enrico, Adriano, Dario e
Giorgia- che mi apprezzano e mi amano immensamente e nel tempo e ormai da tempo mi hanno accolta nelle
loro vite miscelando il mio mondo con il loro.
Ringrazio tutti gli ospiti della casa di cura Villa Sila che negli anni hanno condiviso con me le loro vite centenarie
facendomi un regalo davvero unico ed ispirando i miei progetti per il futuro.
E poi lei, colei alla quale questa tesina è ispirata, Nonna Francesca, la donna che mi ha dato e trasmesso sensibilità
emotiva, cura e amore e che rivedo in tante parti di me.
DEFINIZIONE 2
OSSERVARE LE DEMENZE PER COMPRENDERE L’ALZHEIMER
2
CAUSE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER 3
Placche amiloidi 3
Proteina Tau 3

CLASSIFICAZIONE 4
CLASSIFICAZIONE IN FORME 4
CLASSIFICAZIONE IN STADI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER– GDS - (scala di
Barry Reisberg) 4

SINTOMI 5
Epidemiologia ed incidenza 6
Prevenzione 6
STILE DI VITA E FATTORI DI RISCHIO 6

TERAPIE convenzionali 7
TERAPIA FARMACOLOGICA 7
TERAPIE NON FARMACOLOGICHE 8

CENNI STORICI 8
PRIMO CASO DI MORBO DI ALZHEIMER: STORIA E INTERVISTA AD AUGUSTE
DETER 8

DEMENZA E ALZHEIMER NELLA VISIONE OLISTICA 11


METAMEDICINA 11

VISIONE AYURVEDICA 12
COME LA MEDICINA AYURVEDICA GUARDA ALL’ALZHEIMER 12
Trattamento ayurvedico RASAYANA 15
ERBE AYURVEDICHE E RELATIVI STUDI CLINICI 16
Ashwagandha (Withania somnifera) 16

Studio Clinico sull’Ashwagandha 18


Haridrā (Curcuma longa) 18

Brahmi (Bacopa monnieri) 19

Maṇḍūkaparṇī (Centella asiatica) 20

Jyotishmati (Celastrus paniculatus) 20


Jatamansi (Nardostachys jatamansi) 20
Guggulu (Commiphora wightii) 21

METODI DI SOMMINISTRAZIONE DI ERBE AYURVEDICHE 21

TERAPIE DI SUPPORTO E SPERIMENTALI 23


APPRENDERE UNA NUOVA LINGUA: L'esempio del Sanscrito 23
IL SANSCRITO 23

STUDI CLINICI: ISPIRAZIONI ED ASPIRAZIONI 24


Studio clinico sul FIBRINOGENO 24
Studio clinico sull’efficacia del cambio dello stile di vita 25
Ridurre il rischio è la chiave 26
I risultati danno speranza 27

Meditazione (studio clinico) 27

le onde cerebrali 28
I diversi tipi di onde cerebrali 28

Onde gamma, memoria e attenzione (studio clinico 1) 29


Onde Gamma 40Hz, luci e suoni (studio clinico 2) 29
-Miglioramento della memoria 29
-Effetto combinato luce - suono di stessa frequenza 30

YOGA E ALZHEIMER 31
PRANAYAMA: La respirazione Yoga può aiutare a prevenire l’Alzheimer 31
“Yoga da Sedia” (chair yoga) 32
INVERTIRE IL DECLINO COGNITIVO E’ POSSIBILE 32

CONCLUSIONI PERSONALI 36
RINGRAZAMENTI 36
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Titolo:
Oggetto:
Autore: Libero Gentili
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Data creazione: 19/01/20 21:33:00
Numero revisione: 2
Data ultimo salvataggio: 19/01/20 21:33:00
Autore ultimo salvataggio: Libero Gentili
Tempo totale modifica 0 minuti
Data ultima stampa: 19/01/20 21:33:00
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Numero caratteri: 124.738 (circa)

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