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ISSN 0391-187X

r i v i st a b i m est r al e d i d o t t r i n a,
g i u r i sp r u d en za e l eg i s lazi o n e

d i r et t a d a
Gi o v a n n i I u d i ca – U g o Ca r n e v a l i

| estratto
LA PREVEDIBILITÀ DEL
DANNO: UN DIBATTITO
APERTO
di Gaetano Anzani
questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

65 LA PREVEDIBILITÀ DEL DANNO: UN DIBATTITO APERTO (*)

di Gaetano Anzani – Dottore di ricerca in diritto privato

La regola posta dall’art. 1225 c.c. è tuttora controversa sotto molti profili e finanche la sua ratio non
è pacifica. Il criterio della prevedibilità del danno come limite al risarcimento, inoltre, non segna
chiaramente la distinzione tra responsabilità da inadempimento e responsabilità da fatto illecito.
The rule set by the article 1225 of the Italian civil code is still debated regarding many points of view and even its
ratio is questionable. Moreover, the foreseeability of the damage as a limit for compensation is not a clear
distinctive feature between the liability arising out of a non-fulfillment and the liability in tort.

Sommario 1. L’art. 1225 c.c. come regola attinente alla causalità giuridica ai fini della responsabilità
da inadempimento. Cenni storici e comparatistici. — 2. I contrasti sulla « extracontrattualizzazione »
dell’inadempimento doloso, sui caratteri del dolo e sull’onere probatorio. — 2.1. Il problema della
rilevanza della colpa grave. — 3. Decorso causale e prevedibilità del danno. — 4. La ratio dell’art. 1225
c.c. — 5. Critica ad alcune riletture dell’art. 1225 c.c. — 6. Prevedibilità del danno versus prevedibilità
dell’ammontare del risarcimento. — 7. L’omesso richiamo all’art. 1225 c.c. ai fini della responsabilità
aquiliana.

1. L’ART. 1225 C.C. COME REGOLA ATTINENTE ALLA CAUSALI-


TÀ GIURIDICA AI FINI DELLA RESPONSABILITÀ DA INADEM-
PIMENTO. CENNI STORICI E COMPARATISTICI
L’art. 1225 c.c., dettato per la responsabilità da inadempimento, dispone che sia risarcibile
esclusivamente il danno che il debitore, già al tempo del sorgere dell’obbligazione, potesse
prevedere come conseguenza di un inadempimento colposo: a questo proposito, dunque, il
danno viene inteso dal legislatore non come evento lesivo, bensì come pregiudizio derivan-
te dalla lesione dell’interesse creditorio.
Le ordinarie regole di causalità, che valgono pure per la responsabilità da fatto illecito ai
sensi dell’art. 2056 c.c., non subiscono invece alcun temperamento se l’inadempienza sia
stata dolosa.
La necessaria prevedibilità del danno delimita pertanto la sola causalità giuridica, per-
ché la causalità materiale è retta dai principi del diritto penale (1). Se infatti l’art. 1225 c.c.

(*) Contributo approvato dai Referee.


(1) Parte della dottrina avversa la suddivisione del processo eziologico nella causalità materiale e nella causa-
lità giuridica. Alcuni propendono per l’unicità del nesso causale: CARNELUTTI [Perseverare diabolicum (a proposito
del limite della responsabilità per danni), in Foro it., 1952, IV, 97] e DE CUPIS (Il danno. Teoria generale della
responsabilità civile, I, Milano, 1979, 214 ss.), i quali risolvono il danno nella lesione dell’interesse protetto; nonché
BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Prolegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti d’obbligazio-
ne, Milano, 1953, 134 ss.; FORCHIELLI, Il rapporto di causalità nell’illecito civile, Padova, 1960, 21 ss.; P. TRIMARCHI,
Causalità e danno, Milano, 1967, passim; MAZZAMUTO, Le nuove frontiere della responsabilità contrattuale, in

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disciplinasse l’imputazione causale dell’evento lesivo, la causalità civile assumerebbe for-


me diverse a seconda che rilevi un inadempimento o un illecito aquiliano (2).
La regola secondo cui il danno cagionato con colpa è risarcibile solo in quanto prevedi-
bile dall’agente ha radici che affondano nell’esegesi del tardo diritto romano compiuta nel
XVI secolo dal Molineo, la cui impostazione fu rielaborata dal Pothier (3).
L’insegnamento del Pothier venne recepito nell’art. 1150 del Code Napoléon in materia
di contratti, con una formulazione che ha però lasciato ampio spazio alla successiva dottrina
francese (4).
Per il fascino del Pothier e del Code, ma con la mediazione del Domat, la regola sulla

Europa dir. priv., 2014, 785 ss. Altri negano quantomeno la rigidità della distinzione ed ammettono reciproche
contaminazioni: per tutti, PUCELLA, La causalità « incerta », Torino, 2007, 214 ss.
L’esistenza di due nessi causali idealmente autonomi, però, è stata dimostrata da GORLA, Sulla cosiddetta
causalità giuridica: « fatto dannoso e conseguenze », in Riv. dir. comm., 1951, I, 405, spec. 410.
(2) ROLFI, Brevi note sulla prevedibilità del danno da inadempimento, nota a Cass. civ., 15 maggio 2007, n.
11189, in Corr. giur., 2008, 707 ss.
(3) In prospettiva storica e comparatistica, LUPOI, Il dolo del debitore nel diritto italiano e francese, Milano, 1969,
passim, ma spec. 347 ss.; nonché GNANI, Sistema di responsabilità e prevedibilità del danno, Torino, 2008, 4 ss.
Molineo, che desunse la regola sulla prevedibilità dalla costituzione di Giustiniano De sententiis quae pro eo quod
interest proferuntur del 531 d.C., riteneva che essa, nell’eventualità dell’inadempienza a contratti aventi un oggetto
in grado di rappresentare un parametro per determinare con certezza il danno (casus certi), ispirasse il criterio del
risarcimento in duplum, ossia in misura pari al doppio del valore della cosa, ma che dovesse inoltre governare il
criteriodiliquidazionediscrezionaledeldanno,cum competenti moderatione,inqualunquealtraipotesiperlaquale
mancasse un parametro ex ante per la sua commisurazione (casus incerti), ovvero per le residue ipotesi di respon-
sabilità sia contrattuale sia extracontrattuale. L’Autore riferiva quindi il nucleo concettuale della sua impostazione
soprattutto alla responsabilità da inadempimento con riguardo ai danni prevedibili al tempo del contratto, sulla base
della presunzione di accettazione tacita da parte del debitore del rischio di dover corrispondere un risarcimento di
pari importo in caso di inadempienza, ma considerava vigente il medesimo canone di delimitazione dell’obbliga-
zione risarcitoria, che non costituiva un’eccezione, anche per la responsabilità da fatto illecito con riguardo ai danni
prevedibilialtempodellacondottalesiva.Uncompletorisarcimentosarebbespettatosoltantoincasodidolus malus,
caratterizzato da animus nocendi, che avrebbe sempre integrato un illecito aquiliano pure nel contesto dell’attua-
zione di un contratto. V. MOLINEO, Tractatus de eo quod interest, Venezia, 1574.
La regola elaborata dal Molineo venne accolta dal Pothier, secondo cui il debitore non rimproverabile per dolo
avrebbe dovuto risarcire solo il danno inerente alla « cosa » oggetto dell’obbligazione inadempiuta e non quello
cagionato ad altri beni del creditore, a meno che avesse accettato di dover rispondere anche di quest’ultimo: il
debitore soltanto in colpa, in assenza della volontaria sottoposizione al rischio di una maggiore responsabilità,
avrebbe dovuto risarcire il danno emergente, ma non il lucro cessante causato dall’inadempimento. L’imposta-
zione del Pothier, però, si atteggiava in modo differente per alcuni aspetti che avrebbero avuto importanti ricadute
sistematiche. Pothier ammetteva che il debitore dovesse talvolta rispondere di danni « estrinseci », ossia a beni
diversi da quello oggetto della prestazione, e che a tale ipotesi andasse egualmente applicato il canone limitativo
della prevedibilità. Inoltre, e soprattutto, l’Autore non parlava di prevedibilità in materia di responsabilità extra-
contrattuale, non riconduceva l’inadempimento doloso ad un illecito aquiliano e non forniva una definizione
generale di dolo che consentisse di ricostruirlo senza equivoci come dolo specifico. V. POTHIER, Trattato delle
obbligazioni, II ed. italiana, Livorno, 1841, 105 ss.
(4) La disposizione codificata non distingue tra danni intrinseci ed estrinseci, non definisce il dolo del debitore
necessario per accedere ad un risarcimento integrale del creditore e non esplicita la ratio da cui è informata. Sotto
quest’ultimo profilo, agli interpreti è stato dunque lasciato spazio per ricostruire, in termini innovativi, sia la
funzione della regola sulla prevedibilità sia il complessivo sistema della responsabilità civile.
Una corrente della dottrina francese, discostandosi dal dogma volontaristico, iniziò in effetti a concepire la
responsabilità da inadempimento e la responsabilità da fatto illecito come specie, sottoposte a regimi parzialmente
distinti, di un istituto comunque unitario e deputato in prevalenza a compensare il danneggiato, senza più
giustificare l’obbligo risarcitorio con l’accettazione esplicita o implicita della sua assunzione da parte del respon-
sabile. In questa prospettiva, l’integralità del risarcimento diveniva la regola, ed il suo contenimento nella misura
del danno prevedibile nella sola ipotesi di inadempimento colposo diveniva un’eccezione. Ma questa eccezione era

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prevedibilità transitò nel common law americano e da qui in quello inglese, quantunque
negli ordinamenti di cultura anglosassone lo stato soggettivo del debitore inadempiente sia
tendenzialmente irrilevante e si abbia solo la costituzione di una barriera oggettiva al
novero dei danni risarcibili in virtù dei criteri della remoteness of damage e della contem-
plation rule. Analoghe regole, con qualche distinguo sotto alcuni profili, sono poi presenti
anche nella Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di beni
mobili non di consumo e nei P.I.C.C. (testi nei quali il dolo del debitore non rileva nemmeno
come eccezione alla regola), nei P.E.C.L. e nell’Avant-projet francese (testi nei quali la
colpa grave è equiparata al dolo), nonché nel Code Européen (5).
La regola sulla prevedibilità del danno ha subito un’evoluzione diacronica pure nell’or-
dinamento italiano, in cui l’art. 1225 c.c. differisce dal corrispondente art. 1228 del Codice
civile del 1865 già nella formulazione. Da un lato, la previgente disposizione faceva riferi-
mento alla prevedibilità del danno in termini soggettivi e concreti, mentre l’attuale art. 1225
c.c. richiama l’idea della previsione possibile secondo l’apprezzamento dell’uomo di nor-
male diligenza (tanto che la frase è costruita impersonalmente, cosicché soggetto non è il
solo debitore inadempiente). Dall’altro, sebbene il vecchio art. 1228 – a differenza dell’art.
1150 del Code – figurasse nel titolo dedicato alle obbligazioni ed ai contratti in generale
anziché in un titolo dedicato ai soli contratti, il legislatore del 1865 si riferiva al danno
preveduto o prevedibile al tempo del contratto, mentre il Codice vigente si riferisce al danno

incongruente tanto per il presupposto estraneo alla sfera del danneggiato, ovvero il tipo di elemento soggettivo del
danneggiante-debitore, quanto per l’irrilevanza di ogni graduazione della colpevolezza del danneggiante nella
responsabilità da fatto illecito. L’unico modo per restituire coerenza alla regola della prevedibilità, quindi, era
assegnarle l’innovativa ratio di non dissuadere dalle contrattazioni in virtù della possibilità riconosciuta al con-
trante-debitore di programmare il rischio economico di un inadempimento.
Un’altra corrente della dottrina francese, fedele al dogma della volontà, ripropose invece la tesi di un’irriduci-
bile distinzione tra le due specie di responsabilità civile, tanto da giungere a negare l’idea stessa di responsabilità
con riguardo alle conseguenze dell’inadempimento. Quest’ultimo, infatti, avrebbe solo l’effetto di tradurre in un
equivalente monetario l’obbligazione originaria inadempiuta: e la regola della prevedibilità del danno, lungi dal
limitare il contenuto di una diversa obbligazione risarcitoria, servirebbe a garantire piena corrispondenza tra
soddisfazione mediante adempimento e soddisfazione per equivalente.
In entrambe le suddette impostazioni, comunque, il dolo generico sarebbe sufficiente per il risarcimento del
danno imprevedibile da inadempimento, anche se con argomentazioni divergenti. Nella prima prospettiva, la
regola sulla prevedibilità sarebbe un’eccezione di stretta interpretazione ed il dolo riaffermerebbe la regola
generale della compensazione integrale. Nella seconda prospettiva, il dolo del debitore inadempiente darebbe
luogo, se non ad una pena privata, ad un illecito extracontrattuale disciplinato però contrattualmente, sicché
rileverebbe la nozione di dolo come semplice rifiuto di adempiere che viene ormai accolta per le obbligazioni.
In proposito, GNANI, op. cit., 12 ss.
(5) MONATERI, Cumulo di responsabilità contrattuale e extracontrattuale (analisi comparata di un problema),
Padova, 1989, 192 ss.; DEPETRO, La prevedibilità come criterio d’individuazione del danno risarcibile, in Nuova
giur. civ. comm., 1991, II, 62; FERRARI, Prevedibilità del danno e contemplation rule, in Contratto impr., 1993, 760;
WHINCUP (trad. it. di Stoppa), Risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale nel diritto inglese, in Riv.
dir. civ., 1993, I, 111; ROMEO, Inadempimento doloso e risarcimento del danno imprevedibile, in questa Rivista,
2004, 972; MAIOLO, Prevedibilità e danno risarcibile, nota a Cass. civ., 30 gennaio 2007, n. 1956, in Nuova giur. civ.
comm., 2007, I, 1127; GIANNINI, Il tempo della prevedibilità del danno da inadempimento di contratto preliminare,
nota a Cass. civ. n. 1956/2007, in questa Rivista, 2008, 175; GNANI, op. cit., 206 ss.; TESCARO, La prevedibilità del
danno tra Codice civile e Convenzione di Vienna, in Contratto impr. Europa, 2014, 690.

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preveduto o prevedibile al tempo in cui è sorta l’obbligazione, in modo da estendere espres-


samente l’operatività dell’art. 1225 c.c. alle obbligazioni di fonte non contrattuale (6).
Orbene, il dibattito sull’art. 1225 c.c. è ancora aperto e vi risuonano gli echi del passa-
to (7).

2. I CONTRASTI SULLA « EXTRACONTRATTUALIZZAZIONE »


DELL’INADEMPIMENTO DOLOSO, SUI CARATTERI DEL DOLO
E SULL’ONERE PROBATORIO
Sotto l’abrogato Codice civile, era diffusa l’opinione secondo cui l’inadempimento doloso
avrebbe rappresentato uno sconfinamento nell’illecito aquiliano, ed il dolo veniva in effetti
ricostruito come volontà di cagionare danno al creditore; ma questa nozione delittuale fu
abbandonata per vedere nel dolo la volontà di non adempiere, spesso accompagnata dalla
mera consapevolezza del pregiudizio. Sotto il Codice vigente, però, una parte della dottrina,
nel solco della giurisprudenza, ha riproposto il carattere di illecito civile insito nell’inadem-
pimento doloso allo scopo di riconoscere che esso, almeno in alcune ipotesi, farebbe sor-
gere l’azione extracontrattuale, così da dar luogo ad un concorso di responsabilità (8).
D’altronde, l’«extracontrattualizzazione» dell’inadempimento realizzata dal dolo del
debitore spiegherebbe come mai, in questa evenienza, la disciplina dei due tipi di respon-
sabilità civile marci in parallelo (9).
Tra gli Autori che connettono la responsabilità per i danni imprevedibili alla gravità
della condotta idonea ad integrare un illecito doloso, poi, v’è chi ritiene che, per definire un
siffatto illecito, bisognerebbe appellarsi «a quei raggiri, false dichiarazioni e a ogni attività
ingannatoria perpetrati al tempo in cui sorge l’obbligazione e tali da influire sul rapporto
obbligatorio» (10).
Eppure alla regola che impone al debitore il risarcimento dei danni imprevedibili viene
spesso assegnata un’indole sanzionatoria (11)(che sarebbe ancor più vistosa nel Code Eu-
ropéen (12)), specialmente quando si reputa rilevante il solo dolus malus, sicché «interpre-
tarla come una sorta di «trasformazione» della responsabilità debitoria in responsabilità

(6) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, sub artt. 1218-1229,
Bologna-Roma, 1967, 313 ss.; DI GRAVIO, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Milano, 1999, 142 ss.,
158 ss., 162 ss.; ROMEO, op. cit., 983; SANTOLINI, Inadempimento e risarcimento del danno prevedibile ex art. 1225
c.c., in Danno resp., 2007, 1023.
(7) Per una panoramica, GNANI, op. cit., 24 ss.
(8) DE LORENZI, voce Inadempimento doloso, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IX, Torino, 1993, 363 ss.; DEPETRO, op.
cit., 67 ss.
(9) FRANZONI, L’illecito, in Tratt. della resp. civ., dir. da Franzoni, II ed., I, Milano, 2010, 1343 ss.; ID., Il danno
risarcibile, in Tratt. della resp. civ., dir. da FRANZONI, II ed., II, Milano, 2010, 10 ss.
(10) Così VISINTINI, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (una distinzione in crisi?), in Rass. dir.
civ., 1983, 1083 ss. V. anche EAD., Trattato breve della responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento. Danno
risarcibile, III ed., Milano, 2005, 704 ss.
Nella dottrina francese, quest’accezione di dolo veniva accolta in generale, ma respinta con riguardo alla
necessaria prevedibilità del danno risarcibile, da BAUDRY-LACANTINERIE-BARDE, Delle obbligazioni, in Trattato di
Diritto Civile diretto da G. Baudry-Lacantinerie, vol. I, trad. sulla III ed. orig. in corso di stampa da una Società di
Giuristi, a cura di BONFANTE-PACCHIONI-SRAFFA, Milano, s.d., 144 ss., 533 ss.
(11) Già GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, VII ed., II, Firenze, 1907, 145 ss.; nonché
MONATERI, op. cit., 309 ss.
(12) Nel Code Européen, dove la responsabilità contrattuale è concepita in termini oggettivi, il comma 4 dell’art.
162 equipara la colpa al dolo ai fini della risarcibilità dei danni imprevedibili, ma tale equiparazione discende dalla

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aquiliana significa implicitamente dare per presupposto che quest’ultima costituisca tutto-
ra la sanzione civile di un comportamento riprovevole» (13).
Al contrario, la moderna responsabilità da fatto illecito non assolve più ad una funzione
sanzionatoria ed il dolo generico — salve alcune eccezioni — è ormai avvertito come suffi-
ciente anche ai fini dell’art. 2043 c.c. (14). Se davvero il dolo extracontrattualizza l’inadempi-
mento, è allora preferibile la tesi secondo cui, rispetto all’art. 1225 c.c., «rileva non tanto la
colpa nell’inadempimento, quanto l’elemento qualificante la species contrattuale di respon-
sabilità ...», nel senso che «si tien conto della presenza dell’obbligo primario, nel suo usuale
significato economico. Quando invece l’inadempimento sia doloso, alla species contrattuale
si sostituisce il genus aquiliano», ma il dolo va inteso come semplice coscienza e volontà del-
l’inadempimento (15). Il debitore che abbia deciso di contrarre e che si renda inadempiente
senza dolo non è «esposto a rischi non conteggiabili ... Ma una tale importanza dell’elemento
qualificante la species contrattuale deve venir meno quando sia lo stesso debitore che, ri-
fiutando l’esatto adempimento, mostra di rifiutare l’obbligo primario» (16).
Secondo l’opinione maggioritaria, tuttavia, il dolo menzionato dall’art. 1225 c.c. non
integra di per sé un illecito aquiliano e non può coincidere con la macchinazione decettiva
ritenuta indispensabile ai sensi degli artt. 1439 e 1440 c.c., perché il dolo contrattuale, quale
vizio del consenso, «è riguardato non tanto dal punto di vista di chi lo perpetra, ma,
soprattutto, di chi lo subisce». Inoltre, «[n]essun rilievo, ai fini dell’applicabilità dell’art.
1439 cod. civ., ha la sussistenza di un pregiudizio a carico del soggetto vittima dell’inganno,
poiché oggetto di tutela è l’autonomia contrattuale in sé considerata», mentre l’art. 1225 c.c.
tutela l’interesse del creditore all’adempimento ed il pregiudizio da risarcire non è arrecato
dal dolo in sé, bensì dall’inadempimento (17).
Pertanto, il dolo generico è ritenuto sufficiente alla compiuta risarcibilità dei danni da
inadempimento secondo il regime della responsabilità contrattuale (18).
Sia la tesi per la quale rileverebbe un dolo specifico sia quella per la quale rileverebbe
un dolo generico, però, non si sottraggono alla critica secondo cui l’art. 1225 c.c. considera
solo lo stato soggettivo del debitore rispetto al mancato o inesatto adempimento (danno-
evento) e non lo stato soggettivo riferibile al pregiudizio che ne derivi (danno-conseguen-
za), sicché il requisito della volontarietà/consapevolezza del danno non dovrebbe essere
richiesto (19).
L’attrazione dell’inadempimento doloso nell’orbita della responsabilità aquiliana, poi, è
inconcepibile per chi nega in generale che l’inadempimento sia una peculiare ipotesi di
illecito e ravvisa nella responsabilità contrattuale solo «un modo di manifestarsi della

generale irrilevanza sia del dolo sia della colpa tra i presupposti costitutivi della responsabilità da inadempimento,
che viene semplicemente aggravata dalla ricorrenza di un qualunque stato soggettivo.
(13) Così GIARDINA, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. Significato attuale di una
distinzione tradizionale, Milano, 1993, 156 ss.
(14) GNANI, op. cit., 214 ss.
(15) Così GNANI, op. cit., 214.
(16) Così GNANI, op. cit., 219 ss., 232.
(17) Così DI GRAVIO, op. cit., 228.
(18) In dottrina, tra gli altri, BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, III, L’attuazione, Milano, rist. 1964,
301; DI GRAVIO, op. cit., 230 ss.
In giurisprudenza, Cass. civ., 17 maggio 2012, n. 7759; e Cass. civ., 16 ottobre 2008, n. 25271, in Jurisdata.
(19) PRUSSIANI, Il dolo nell’inadempimento, in Contratto impr., 2016, 961 ss.

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OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

stessa obbligazione», così com’era stata conformata dall’autonomia negoziale. Proprio l’art.
1225 c.c. attesterebbe che la responsabilità contrattuale «non è la risposta dell’ordinamento
ad un illecito; se così fosse stato, il legislatore, nel valutarne le conseguenze, avrebbe avuto
riguardo solo al momento nel quale l’illecito è stato perpetrato, e nessuno spazio sarebbe
residuato per considerazioni relative a momenti anteriori» (20). Se gli artt. 1223 e 1225 c.c.
venissero letti congiuntamente, si potrebbe dunque dire che «ogni volta che si contragga
un’obbligazione si assume, salvo diversa previsione di legge o diversa convenzione, anche
l’obbligo di farsi carico di ogni prevedibile conseguenza immediata e diretta dell’eventuale
inadempimento» (21). Ciò varrebbe altresì per l’inadempimento ad obbligazioni di fonte non
contrattuale, come quelle del gestore d’affari, di colui che è tenuto ad una ripetizione
d’indebito o dell’arricchito senza causa, giacché in queste ipotesi è sempre isolabile una
fase in cui l’obbligato è in grado di valutare l’obbligazione assunta ed il rischio del relativo
inadempimento (22). Insomma, l’art. 1225 c.c., come risulterebbe dal suo omesso richiamo
per la responsabilità extracontrattuale, poggerebbe su un principio squisitamente volon-
taristico, ancorché nella sola accezione di legame inscindibile tra consapevolezza dell’as-
sunzione di un’obbligazione e necessità di risarcire i danni cagionati con il suo inadempi-
mento (pur in mancanza della reale volontà di accollarsi l’obbligo risarcitorio) (23). Pertanto,
anche in questa prospettiva, è ovvio che la prevedibilità del danno risarcibile debba risalire
al tempo del sorgere dell’obbligazione primaria, perché l’obbligo risarcitorio nascerebbe
contestualmente all’obbligo inadempiuto e dovrebbe avere un contenuto determinabile ab
origine (24). Se poi un rapporto contrattuale si protraesse nel tempo e le parti modificassero
il primigenio accordo negoziale, allora la modifica quantomeno parziale delle reciproche
prestazioni comporterebbe la riconsiderazione dell’obbligo risarcitorio da inadempimento,
sicché la prevedibilità del danno andrebbe riformulata con riferimento all’epoca della
modifica (25). Inoltre, la cessione del credito farebbe acquisire al cessionario «quella com-
plessa situazione che avrà in sé anche la misura massima dell’obbligazione risarcitoria,
connessa all’originaria prevedibilità del danno ad opera del debitore», giacché questi,
rimasto estraneo al negozio traslativo, non potrebbe veder peggiorata la propria esposizio-
ne ad una responsabilità da inadempimento, altrimenti risulterebbe violato il principio di
indifferenza della cessione per il debitore (26).
La dimostrazione del dolo del debitore, che non è presunto ex lege, spetta al creditore.
Eppure l’onere probatorio dev’essere rapportato alla natura soggettiva del thema proban-
dum, giacché la prova non può investire frontalmente il dolo, ma deve giovarsi di quegli
elementi fattuali che depongano ragionevolmente per la sua sussistenza secondo le circo-
stanze e la comune esperienza. La consapevolezza della mancanza o dell’inesattezza della
prestazione da parte del debitore sono indizi sufficienti a dimostrare per presunzioni
semplici la volontarietà dell’inadempimento (27).

(20) Così DI GRAVIO, op. cit., 95 ss.


(21) Così DI GRAVIO, op. cit., 99.
(22) Così DI GRAVIO, op. cit., 108 ss.
(23) DI GRAVIO, op. cit., 134 ss., 139 ss.
(24) DI GRAVIO, op. cit., 147 ss.
(25) DI GRAVIO, op. cit., 153.
(26) Così DI GRAVIO, op. cit., 178 ss.
(27) BIANCA, op. cit., 312; DI GRAVIO, op. cit., 244 ss.

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2.1. Il problema della rilevanza della colpa grave


Dolo e colpa grave non sono equiparabili al di fuori dei casi previsti dalla legge, perché la
necessità dell’uno o la sufficienza dell’altra riflettono un diverso modo di risolvere il con-
flitto di interessi tra danneggiante e danneggiato (28).
Ai fini della risarcibilità dei danni imprevedibili da inadempimento, la colpa grave non
è ritenuta equiparabile al dolo (29) sia dalla più copiosa e recente giurisprudenza (30) sia da
una parte della dottrina. Il debitore gravemente negligente, infatti, non mostra di rifiutare
l’obbligo primario (31).
La risarcibilità dei danni imprevedibili si spiega in caso di dolo, in quanto «la volontà di
non adempiere del debitore non può far considerare sopravvenienze ... le conseguenze
dannose patite dal creditore, ancorché originariamente inattese» (32). Se dunque tale risar-
cibilità non dipende dalla maggiore riprovevolezza dello stato soggettivo del debitore ina-
dempiente, la colpa grave non può essere equiparata al dolo (33).
La risarcibilità dei danni imprevedibili, d’altro canto, sembra ammessa dall’art. 1225 c.c.
solo come eccezione alla regola (34).
Nondimeno, un illustre Autore ritiene che il ragionamento incardinato sul rapporto
regola/eccezione sia in tal caso un fraintendimento e vada invertito. Regola sarebbe infatti
l’integrale risarcimento del danno, entro l’unico limite della causalità immediata e diretta di
cui all’art. 1223 c.c., mentre eccezione sarebbe la moderazione del risarcimento per la
minore disdicevolezza di un contegno solo colposo del danneggiante ai sensi dell’art. 1225
c.c., che fissa un «limite del limite». Se per ragioni di equità l’art. 1225 c.c. restringe
l’ordinaria causalità giuridica, non corrisponderebbe più ad equità che ad avvantaggiarsi di
siffatta limitazione di responsabilità sia il debitore imputabile per una colpa collimante con
il dolo (dolo proxima). Insomma, «[v]ero è che, apparentemente, il legislatore ha fatto salva
la regola solo ove ricorra dolo del debitore; ma il carattere logico dell’interpretazione induce
a tener ferma la stessa regola ogniqualvolta manchi adeguata giustificazione per l’applica-
zione dell’eccezione» (35).

Sui requisiti minimi e sulla prova del dolo, già GIORGI, op. cit., II, 64 ss., 68 ss.; nonché FRANZONI, L’illecito, cit., 390
ss.
In merito all’art. 1892 c.c., VISINTINI, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 65 ss.
(28) FRANZONI, op. ult. cit., 387 ss. Contra, già GIORGI, op. cit., II, 63 ss.
In prospettiva storica e comparatistica, LUPOI, op. cit., 169 ss., 240 ss., 376 ss.
(29) Una definizione di colpa grave si rinviene nella massima di Cass. civ., 29 ottobre 1970, n. 2260, in Giust. civ.
Rep., 1970, 3144, n. 83.
(30) La regola contraria è ritenuta applicabile solo laddove sia prevista da discipline settoriali: cfr. la massima
di Cass. civ., 16 settembre 1980, n. 5269 (in Giust. civ., 1980, I, 2373), a cui Cass. civ., 24 marzo 2004, n. 5910 (in
Jurisdata) sembra erroneamente attribuire una portata generale con riguardo ad una fattispecie concreta nella
quale, comunque, è stato ravvisato il dolo generico del debitore.
(31) GNANI, op. cit., 224 ss.
(32) Così DI GRAVIO, op. cit., 185 ss., spec. 187.
(33) DI GRAVIO, op. cit., 201 ss.
(34) In giurisprudenza, Cass. civ., 10 dicembre 1956, n. 4398, in Foro it., 1957, I, 389, con nota di DE CUPIS.
Contra, App. Napoli, 27 marzo 1946, in Rep. Foro it., 1947, voce Trasporto (contratto di), 1307, n. 48.
In dottrina, BARASSI, op. cit., III, 301 ss.
(35) Così DE CUPIS, Sulla determinazione del risarcimento nell’ipotesi di colpa grave del debitore, nota a Cass.
civ. n. 4398/1956, cit. V. anche ID., Il problema giuridico del « quantum respondeatur », in Riv. dir. civ., 1967, I, 520.

⎪ P. 6 1 2 responsabilità civile e previdenza – n. 2 – 2017


questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

3. DECORSO CAUSALE E PREVEDIBILITÀ DEL DANNO


La dottrina e la giurisprudenza spesso non distinguono i canoni che presiedono all’accer-
tamento dell’eziologia del danno da quelli che servono a stabilire se esso fosse prevedibile,
tanto che specialmente nella risoluzione di una concreta fattispecie, tramite l’ambivalente
ausilio dell’id quod plerumque accidit, non è rara la sovrapposizione dei concetti di preve-
dibilità e di regolarità causale (36). Occorre però evitare ogni commistione ed assegnare alla
prevedibilità una funzione affatto autonoma, che al più interferisce con quella svolta dalla
causalità disciplinata dall’art. 1223 c.c. (37).
È vero che, secondo i dettami della «causalità adeguata», il nesso eziologico sussiste se
siano prevedibili gli esiti dell’atto illecito. Tuttavia, anche in questo senso la prevedibilità
rimane un predicato del danno-evento ed attiene alla causalità materiale, mentre la preve-
dibilità contemplata dall’art. 1225 c.c. è un predicato del danno-conseguenza ed attiene alla
causalità giuridica (38). E peraltro non è affatto scontato che la causalità adeguata sia un’af-
fidabile teoria eziologica «di copertura», perché nell’accertamento della causalità materiale
questo ruolo dovrebbe piuttosto spettare alla «causalità scientifica» (39).
La Corte di cassazione, invero, ha seccamente affermato che «[d]i una conseguenza
imprevedibile del fatto illecito non può dirsi, per ciò solo, che non sia una “conseguenza”.
Cessano di essere “conseguenze” solo gli sviluppi causali del tutto anomali» (40).
D’altronde, l’ordinamento tedesco subordina la risarcibilità del danno solo alla sussi-
stenza della causalità giuridica e non alla sua prevedibilità (41).
La compenetrazione tra regolarità causale e prevedibilità, invece, sembra caratterizzare
nel common law il criterio di foreseeability, che tuttavia si atteggia diversamente per le due
specie di responsabilità. In materia di responsabilità extracontrattuale, la foreseeability dà
nella sostanza veste al criterio della causalità giuridica, seppure secondo i dettami della
causalità adeguata, ed esclude dal novero dei danni risarcibili solo quelli del tutto impre-
vedibili da un reasonable man. In materia di responsabilità contrattuale, essa si declina più
restrittivamente nella contemplation rule, che ammette la risarcibilità delle conseguenze
anomale dell’inadempimento solo purché siano originate da «speciali circostanze» delle
quali il debitore fosse a conoscenza (42).

(36) In dottrina, BELLINI, L’oggetto della prevedibilità del danno ai fini dell’art. 1225 cod. civ., nota ad App.
Firenze, 3 settembre 1953, in Riv. dir. comm., 1954, II, 371 ss.; DE LORENZI, op. cit., 366 ss.
In giurisprudenza, Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4236, in Giur. it., 1983, I, 424, con nota di PERFETTI.
(37) Nella dottrina italiana, a proposito del Codice previgente, già GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto
moderno italiano, VII ed., V, Firenze, 1909, 220 ss.; a proposito del Codice vigente, DI GRAVIO, op. cit., 163 ss.; GNANI,
op. cit., 199 ss.
Nella dottrina francese, già BAUDRY-LACANTINERIE-BARDE, op. cit., I, 539 ss.; ancor prima del Code, POTHIER, op. cit.,
108 ss.
(38) MOROZZO DELLA ROCCA, Inadempimento del preliminare e prevedibilità del danno, nota a Cass. civ. n.
1956/2007, in Corr. giur., 2008, 1150.
Sulle tendenze dottrinali e giurisprudenziali a fondere causalità materiale e causalità giuridica, in generale
ROSSELLO, Il danno evitabile. La misura della responsabilità tra diligenza ed efficienza, Padova, 1990, 9 ss.
(39) PADOVANI, Diritto penale, Milano, 1999, 162 ss.
(40) Così Cass. civ., 16 ottobre 2015, n. 20932, in www.olympus.uniurb.it.
(41) GNANI, op. cit., 150 ss.
(42) GNANI (op. cit., 136 ss.), il quale osserva che nei sistemi continentali la prevedibilità apporta una deroga alla
regola del pieno risarcimento, mentre nel common law la contemplation rule amplia il risarcimento con la
possibilità di ricomprendervi non solo i general damages, ma anche i danni anomali.

responsabilità civile e previdenza – n. 2 – 2017 P. 6 1 3 ⎪


questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

Su quest’ultimo piano, in particolare, si applica la regola enunciata dal giudice Baron


Alderson della Court of Exchequer inglese nello storico precedente giudiziario di Hadley v.
Baxendale, la quale può scindersi in una prima proposizione, che richiede un’indagine
obiettiva, ed in una seconda proposizione, che richiede un’indagine soggettiva. Anzitutto,
sono risarcibili i danni che fossero «“naturali” o “usuali” — ossia danni che ogni persona
ragionevole si aspetterebbe in tali circostanze». Tuttavia, è permesso altresì «il risarcimen-
to di danni che sono per definizione inusuali, anormali o eccezionali, ma, ciò nonostante,
tali da essere — o tali per cui avrebbero dovuto essere — previsti in quelle speciali circo-
stanze da quelle due parti contraenti». In entrambi i casi, i danni improbabili sono comun-
que «troppo remoti» e, pertanto, irrisarcibili (43).
La necessità di non confondere prevedibilità e regolarità causale, d’altronde, riposa su
almeno due forti argomentazioni.
In primo luogo, considerato che — secondo l’estensiva interpretazione data all’art. 1223
c.c. — sono danni risarcibili non solo quelli immediati e diretti, bensì anche quelli mediati ed
indiretti che siano conseguenze «normali» — id est, rispondenti a regolarità causale —
dell’evento lesivo (44), la confusione di piani introdurrebbe un’arbitraria cesura tra respon-
sabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale sotto il profilo della regola generale
in materia di causalità giuridica. La coincidenza tra normalità e prevedibilità del danno,
infatti, sarebbe esplicitata dal legislatore soltanto in area contrattuale, così da poter attri-
buire rilevanza a danni sì mediati ed indiretti, ma prevedibili e quindi normali. In area
extracontrattuale, al contrario, in mancanza del richiamo all’art. 1225 c.c. da parte dell’art.
2056 c.c., l’impossibilità di avvalersi dell’elastico criterio della prevedibilità nell’accerta-
mento eziologico costringerebbe l’interprete a negare risarcibilità a danni sì prevedibili, e
quindi — in questa prospettiva — normali, ma mediati ed indiretti (45).
In secondo luogo, i giudizi di prevedibilità e di regolarità causale del danno, stante il
dettato legislativo, hanno referenti temporali differenti. La prevedibilità, infatti, dev’essere
accertata ex ante con riguardo all’epoca del sorgere dell’obbligazione, mentre la regolarità
causale dev’essere determinata ex post con riguardo all’epoca dell’inadempimento (46).
In passato, anche per la perdurante influenza dell’orientamento consolidatosi rispetto
alla diversa formulazione del previgente art. 1228, prevaleva un’applicazione soggettiva-
mente orientata del criterio della prevedibilità, che consiste nel valutare se il concreto
debitore possa davvero prevedere i pregiudizi derivanti dall’inadempimento. Attualmente,

(43) Così WHINCUP (op. cit., 114), il quale, nel prosieguo della trattazione, riporta che la giurisprudenza di
common law ha poi maggiorato i profili di oggettività della contemplation rule con l’inasprimento del tasso di
probabilità richiesto: ad esempio, nel caso Koufos v. Czarnikow, la House of Lords escluse qualunque responsa-
bilità contrattuale per eventi che fossero in concreto « prevedibili quali una reale possibilità » ove questi accades-
sero solo in un’esigua minoranza di ipotesi.
(44) DE CUPIS, Il danno, cit., I, 218 ss.; BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, Diritto Civile, III, Obbligazioni e
contratti, Torino, 1992, 154 ss.; FRANZONI, Il danno risarcibile, cit., 16 ss.
(45) PERFETTI, Brevi note sul nesso causale e la prevedibilità del danno (nota a Cass. civ. n. 4236/1982), cit., 427
ss.
(46) In dottrina, GORLA, op. cit., 418.
La validità almeno in astratto di questa argomentazione è riconosciuta anche da BIANCA (op. cit., 314 ss.), il quale
però giunge a superarla attraverso la collocazione del giudizio di prevedibilità nel momento dell’inadempimento.
Pur sull’errata premessa della coincidenza tra lesione dell’interesse protetto e danno risarcibile, e quindi anche
tra causalità materiale e causalità giuridica, v. inoltre DE CUPIS, op. ult. cit., I, 237 ss.
In giurisprudenza, Cass. civ., 26 maggio 1989, n. 2555, in Giur. it., 1989, I, sez. 1, 1696, con nota di DELL’UTRI.

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questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

in armonia con la lettera dell’art. 1225 c.c., viene invece prediletta quell’interpretazione
secondo la quale la prevedibilità consiste in un giudizio di probabile rappresentazione del
danno in base all’apprezzamento di un debitore astratto, che però va fondato sulla specifi-
cità delle circostanze (come la qualifica professionale del creditore (47)) e sulle informazioni
possedute dal debitore (48). In quest’ultimo senso, il giudizio di prevedibilità — al di là
dell’astrattezza del modello di debitore da impiegare — è quindi in ogni caso principalmen-
te concreto.
Una parte della dottrina, tuttavia, assegna agli artt. 1223 e 1225 c.c. due ambiti operativi
del tutto distinti e, pertanto, ritiene che l’applicazione del secondo non presupponga quella
delprimo.L’art.1223c.c.servirebbeadeterminareidannichesonoconseguenzadiunevento
lesivo a prescindere dalle caratteristiche della fattispecie dannosa, ed è suscettibile di ap-
plicazione in qualunque ipotesi di responsabilità. L’art. 1225 c.c., invece, attraverso una va-
lutazione incentrata sul significato economico dell’obbligo primario, servirebbe a determi-
nare il danno quale traduzione economica per equivalente del valore d’uso o di scambio della
prestazione in ragione dell’interesse creditorio all’adempimento; il che spiegherebbe come
mai la sua applicazione sia stata legislativamente circoscritta alla sola area della responsa-
bilità da inadempimento: in assenza della preventiva assunzione del relativo rischio da parte
del responsabile, sarebbero irrisarcibili i danni estranei al significato economico della pre-
stazione. L’applicabilità dell’art. 1225 c.c., dunque, escluderebbe quella residuale dell’art.
1223 c.c. in considerazione unicamente della particolarità della fattispecie di responsabilità,
perché le due disposizioni potrebbero in concreto assolvere alla medesima funzione con ri-
guardo sia all’an sia al quantum del danno risarcibile (49). Ad esempio, laddove il bene o il
servizio oggetto della prestazione abbiano un corrispettivo standard non influenzato dal-
l’interesse del creditore all’adempimento, come in ipotesi di tariffe prefissate, l’impossibilità
di porre a carico del debitore un rischio da inadempimento maggiore di quello proporzionato
al corrispettivo spettantegli per l’esecuzione della prestazione — nonostante la natura con-
trattuale della responsabilità — implicherebbe l’applicazione dell’art. 1223 c.c. in alternativa
a quella dell’art. 1225 c.c. (50). Inoltre, la mancanza di un obbligo primario dotato di un valore
di scambio o d’uso a cui collegare la previsione dell’eventuale danno risarcibile svelerebbe
l’incongruenza della «responsabilità da contatto sociale qualificato», almeno qualora serva
a giustificare l’applicazione dell’art. 1225 c.c. (51).
La prevedibilità del danno, al pari della sua esistenza, integra un elemento costitutivo
della pretesa al risarcimento ed impone al creditore un onere probatorio ulteriore. La prova
deve investire la conoscenza o la conoscibilità ex latere debitoris delle circostanze che

(47) Si pensi alla giurisprudenza anteriore a Sez. Un. civ., 16 luglio 2008, n. 19499 (in Corr. giur., 2008, 1555, con
nota di DI MAJO), in riferimento al comma 2 dell’art. 1224 c.c., con riguardo alla prova del « danno da svalutazione
monetaria » subito dal creditore quale danno maggiore rispetto a quello compensato dagli interessi moratori: cfr.
Cass. civ., 2 agosto 2004, n. 14767, in Danno resp., 2005, 1113, con nota di DELLACHÀ.
(48) Per opportuni riferimenti dottrinali, v. la nota 6.
In giurisprudenza, Cass. civ. n. 11189/2007, cit., 704.
(49) GNANI, op. cit., 168 ss., 178 ss., 183 ss.
(50) GNANI, op. cit., 197 ss.
(51) GNANI, op. cit., 179 ss.

responsabilità civile e previdenza – n. 2 – 2017 P. 6 1 5 ⎪


questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

incidono normalmente sulla produzione del pregiudizio, ma la dimostrazione di dati non


esorbitanti dall’ordinarietà può essere raggiunta per presunzioni (52).

4. LA RATIO DELL’ART. 1225 C.C.


L’eccezione opponibile ai sensi dell’art. 1225 c.c. consente ad entrambe le parti il calcolo del
rischio insito nell’assunzione di un’obbligazione, da un lato per non scoraggiare l’iniziativa
imprenditoriale e le attività professionali (53), dall’altro per rimettere alle stesse parti la
scelta di avvalersi di clausole di esonero da responsabilità o per rendere praticabili mecca-
nismi assicurativi razionali, a beneficio dell’efficienza dell’intero sistema economico (54).
Già nella tradizione giuridica francese, d’altronde, la regola sulla risarcibilità dei soli
danni prevedibili in caso di inadempimento colposo veniva ricostruita come il risultato di
una convenzione tacita tra le parti (55). E questa impostazione continua ad influenzare una
parte della dottrina italiana (56). Tuttavia, il limite al pieno risarcimento che spetterebbe
secondo l’applicazione del solo nesso di causalità giuridica non deriva dalla volontà dei
contraenti, ma da una norma giuridica che attua una politica legislativa e che, grazie al
contenimento del danno risarcibile in ambito contrattuale sulla base del criterio della
prevedibilità, permette in generale l’accoglimento di una concezione soggettiva e concreta
del pregiudizio da risarcire in favore del danneggiato (57).
Il danno, peraltro, può diventare prevedibile anche sulla base delle informazioni fornite
dal creditore al debitore nel momento in cui questi assume l’obbligazione. In proposito, sul
piano comparatistico, si noti che, nel contesto di un ordinamento in cui non è contemplata
la limitazione del risarcimento al danno prevedibile dal debitore poi resosi inadempiente, il
§ 254 BGB stabilisce che il concorso di colpa del danneggiato, tale da escludere o ridimen-
sionare l’obbligo risarcitorio, possa, tra l’altro, ridursi «al fatto che egli ha omesso di richia-
mare l’attenzione del debitore sul pericolo di un danno insolitamente grave, pericolo che il
debitore non conosceva né era tenuto a conoscere».
L’informativa data al debitore su un particolare ed «anomalo» interesse del creditore
all’adempimento, tuttavia, andrebbe ritenuta inidonea a risarcire il danno divenuto solo in
concreto prevedibile ogni qual volta il corrispettivo da corrispondere al debitore per la
prestazione sia determinato in misura standard ed insuscettibile di incremento, come in
presenza di sistemi tariffari. In caso contrario, infatti, si avrebbe come effetto macroecono-
mico l’innalzamento generalizzato del costo dei beni o dei servizi oggetto di talune tipologie
di prestazioni, per le quali sussiste l’interesse pubblico o collettivo a prezzi calmierati (58).

(52) In dottrina, BIANCA, op. cit., 320 ss. V. anche DEPETRO, op. cit., 66; DI GRAVIO, op. cit., 244 ss.; PINORI, La regola
della c.d. causalità giuridica. Le conseguenze immediate e dirette e i danni prevedibili, in Tratt. della resp. contr.,
dir. da Visintini, III, Il risarcimento del danno contrattuale. La responsabilità per ritardo e per fatto degli
ausiliari, Padova, 2009, 356 ss.
In giurisprudenza, la massima di Trib. Milano, 10 maggio 2014, 6045, C.R. s.r.l. c. P.I. s.r.l., in Jurisdata.
(53) GNANI, La prevedibilità del danno nella sistematica della responsabilità, in Danno resp., 2009, 359 ss.
(54) ZENO ZENCOVICH, Una commedia degli errori? La responsabilità medica fra illecito e inadempimento, in
Riv. dir. civ., 2008, I, 316.
(55) BAUDRY-LACANTINERIE-BARDE, op. cit., I, 533; ID., Delle obbligazioni, in Trattato di Diritto Civile diretto da G.
Baudry-Lacantinerie, vol. IV, cit., 602.
(56) DI GRAVIO, op. cit., 126 ss.
(57) GNANI, Sistema di responsabilità e prevedibilità del danno, cit., 166 ss.
(58) GNANI, op. ult. cit., 197 ss.

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questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

La ratio di politica economica dell’art. 1225 c.c., del resto, trova una sponda sistematica
in taluni rimedi stricto sensu contrattuali che preservano l’originario equilibrio patrimo-
niale tra i contraenti, com’è ad esempio riscontrabile nell’istituto della risoluzione per
eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c. (59).
Non tutte le obbligazioni hanno titolo in un contratto, ma la misura della diligenza del
debitore dipende, pur sempre, dalla rappresentazione dei vantaggi e dei costi derivanti
dall’esatta ovvero dall’inesatta esecuzione della prestazione nelle circostanze apparenti o
prevedibili al sorgere del rapporto (60).
Lo scopo di salvaguardare interessi che sono anche generali non è frustrato nell’ipotesi
in cui il debitore dolosamente inadempiente debba risarcire un danno non proporzionato
alla normale utilità della prestazione, «poiché il dolo converte l’inadempimento in voluto
strumento di danno e rende quindi irrilevante la considerazione della prestazione dovuta
come strumento di interesse del creditore» (61). Da un lato, il comportamento doloso del-
l’obbligato rientra nel dominio della sua volontà e non intralcia lo sviluppo delle relazioni
economiche. Dall’altro, il dolo dell’assicurato esclude l’obbligo di manleva dell’assicuratore
ai sensi degli artt. 1900 e 1917 c.c. (62).
L’art. 1225 c.c. è figlio del disfavore con il quale nei sistemi dell’Europa continentale viene
considerato l’inadempimento doloso, le cui molteplici ragioni sono le seguenti: 1) l’esigenza
di suggellare la vincolatività del contratto e, quindi, la certezza dei rapporti giuridici, poiché
questa mancherebbe se il debitore potesse realizzare un vantaggio con l’esecuzione della
prestazione in favore di un terzo anziché dell’originario creditore; 2) l’obiettivo di assicurare
correttezza nei traffici e nei commerci, poiché la maggiore probabilità di un inadempimento
non consentirebbe agli operatori di costruire sofisticate trame economiche intorno a singoli
affari; 3) il desiderio di moralizzare il mercato; 4) la necessità di non aggravare i costi dell’o-
perazione, poiché in previsione di reciproci inadempimenti le parti, se volessero sostenerne
il peso economico, potrebbero predisporre rimedi contrattuali (ad esempio, la clausola pe-
nale o il recesso) oppure ricorrere a forme di garanzia o di assicurazione; 5) il fatto che il
soddisfacimento dell’interesse creditorio per equivalente, almeno in linea di principio, è
un’evenienza soltanto residuale rispetto a quello in forma specifica (63).
Per contro, nei sistemi anglosassoni, dove è divenuto basilare il dictum di Holmes
secondo il quale «the duty to keep a contract at common law means a prediction that you
must pay damages if you do not keep it — and nothing else », sono avvertite le seguenti
molteplici ragioni che rendono indifferente l’intenzionalità dell’inadempimento: 1) la re-
sponsabilità non discende dalla colpa dell’inadempiente; 2) sull’atteggiamento moralistico
prevale quello pragmatico, in conformità al quale ogni affare comporta il rischio degli
inadempimenti altrui (assumption of risk), che sono giustificabili anche in quanto inadem-

(59) DI GRAVIO, op. cit., 100 ss.; TUCCARI, La prevedibilità del danno come criterio di equilibrio contrattuale, in
Nuova giur. civ. comm., 2012, II, 578 ss.
(60) MOROZZO DELLA ROCCA, op. cit., 1150.
(61) Così, spec. alla pag. 309, BIANCA, op. cit., 308 ss.
(62) « La regola stabilita nell’art. 1900 ... esprime un principio generale dell’ordinamento, al quale non può
sfuggire nemmeno il patto di traslazione dell’onere economico del danno » (così BENATTI, voce Clausole di esonero
dalla responsabilità, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, 403).
(63) ALPA-GIAMPIERI, Analisi economica del diritto e analisi del metodo: la questione del danno contrattuale, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 718 ss.

responsabilità civile e previdenza – n. 2 – 2017 P. 6 1 7 ⎪


questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

pimenti efficienti (efficient breach of contract); 3) le regole del mercato postulano la mi-
gliore distribuzione delle risorse e, quindi, non sanzionano l’inadempiente, il quale può
essere chiamato a rispondere dell’inadempimento solo attraverso meccanismi interni; 4) la
parte che non vuole assumere rischi può avvalersi a proprie spese di appositi istituti (come
la clausola penale) (64).
Nell’analisi economica del diritto, la limitazione del risarcimento dovuto dal debitore ai
danni prevedibili sopportati dal creditore, oltre a poter essere letta quale correttivo ad una
responsabilità che l’interprete voglia ricostruire ad imputazione oggettiva, è una soluzione
intermedia tra due esigenze antagonistiche. In primo luogo, la prevenzione degli inadem-
pimenti e dei danni che ne derivano implica che la responsabilità venga affermata e che
l’intero danno prodottosi nella sfera del creditore sia posto a carico del debitore. In secondo
luogo, l’attenuazione della «scossa» finanziaria subita da ciascuna delle parti in caso di
inadempimento — che comporta certamente un danno per il creditore, ma altresì, di solito,
la perdita del corrispettivo e la vanificazione delle spese sostenute nel tentativo di adem-
pimento per il debitore — implica che la responsabilità venga negata, in modo che l’ineffi-
cienza della fallita operazione economica sia ripartita fra creditore e debitore (65).

5. CRITICA AD ALCUNE RILETTURE DELL’ART. 1225 C.C.


La sedimentata interpretazione dell’art. 1225 c.c. è avversata da una parte della dottrina e,
sulla sua scia, da una sparuta giurisprudenza, le quali obiettano che la collocazione della
prevedibilità del danno al tempo del sorgere dell’obbligazione, laddove tra nascita e attua-
zione del rapporto decorra un lungo intervallo, esonera spesso il debitore da qualsivoglia
responsabilità. La ratio della disposizione, sia pure attraverso un’operazione ermeneutica
destinata a scontrarsi con il suo tenore letterale, starebbe invece nella commisurazione
della responsabilità del debitore inadempiente ai vantaggi che un’esatta prestazione avreb-
be normalmente arrecato al creditore. L’accertamento della prevedibilità del danno, quindi,
dovrebbe essere effettuato con riferimento al sorgere — non dell’obbligazione, bensì —
dell’«attualità» dell’obbligazione, giacché il debitore, di fronte all’impellente alternativa tra
adempiere e non adempiere, può avere un’aggiornata consapevolezza delle conseguenze
nocive della mancata o inesatta prestazione (66).
Peraltro, taluno ha precisato che il risarcimento del danno a carico del debitore inadem-
piente è suscettibile di incremento, fino a ricomprendere i pregiudizi da lui man mano

(64) ALPA-GIAMPIERI, op. cit., 719 ss.


(65) TRIMARCHI, Sul significato economico dei criteri di responsabilità contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1970, 516.
PARISI-CENINI (Interesse positivo, interesse negativo e incentivi nella responsabilità contrattuale: un’analisi
economica e comparata, in Riv. dir. civ., Suppl. ann. di studi e ricerche, 2008, 234 ss.) ritengono inoltre necessario
che le spese sostenute dal creditore per il fatto di confidare nell’adempimento siano contenute entro limiti di
ragionevolezza già prima dell’inadempimento, a pena della loro irrisarcibilità. Secondo alcuni, una norma idonea
a tale scopo potrebbe essere rinvenuta nell’art. 1227, comma 2, c.c. Questa disposizione viene solitamente riferita
soltanto ai pregiudizi verificatisi dopo l’inadempimento, ma un’interpretazione estensiva potrebbe farvi rientrare
quelli derivanti dall’eccessivo affidamento del creditore in una fase in cui l’inadempimento non si è ancora
verificato, giacché l’ordinaria diligenza imporrebbe al creditore di non aumentare il rischio di una responsabilità
più costosa a carico del debitore.
(66) In dottrina, BIANCA, op. cit., 314 ss.
In giurisprudenza, Cass. civ., 21 maggio 1993, n. 5778, in Giust. civ., 1993, I, 2963, con nota di COSTANZA; Cass. civ.
n. 1956/2007, cit.

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questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

prevedibili, solo qualora egli possa adempiere senza alcun aggravio di sforzo rispetto al
momento dell’assunzione dell’obbligazione (67).
L’adesione al suddetto filone ermeneutico, tuttavia, vanificherebbe l’interesse — che,
come s’è detto, è anche generale — ad una calcolabilità del rischio dell’inadempimento che
sia contestuale all’assunzione del vincolo obbligatorio. Grazie all’interpretazione letterale
dell’art. 1225 c.c., infatti, il debitore, anche sulla base dei dati forniti dal creditore a proposito
di rischi anomali, speciali o conosciuti soltanto da lui («informazione asimmetrica»), può
tanto calibrare l’impegno dovuto per un’esatta esecuzione della prestazione alla gravità
dell’eventuale responsabilità, quanto pretendere un corrispettivo adeguato (68).
La tesi in questione, inoltre, minimizza l’inadempimento doloso. Ed invero «ogni qual
volta il danno, imprevedibile ab origine, continui ad essere imprevedibile al tempo dell’i-
nadempimento — o perché si doveva adempiere contestualmente alla stipula o perché non
vi fu alcuna conoscibilità sopravvenuta — svanisce qualsiasi differenza tra debitore in dolo
e debitore senza dolo: entrambi dovranno il solo danno prevedibile» (69).
Va ancora osservato che la valutazione del rischio di un inadempimento pregiudizievo-
le, soprattutto quando tra genesi ed esecuzione dell’obbligazione dovrà intercorrere un
notevole lasso temporale, è possibile per lo stesso creditore, che per giunta non solo richie-
de nel proprio interesse al debitore di assumere l’obbligo suscettibile di violazione, ma può
premunirsi contro l’inadempimento mediante alcuni strumenti negoziali, tra i quali le pene
private (70). D’altronde, ai sensi dell’art. 1384 c.c., finanche la congruità della clausola penale
è da valutare con riguardo all’interesse per l’adempimento nutrito dal creditore nel mo-
mento della stipulazione del contratto (71), a dispetto di una minoritaria corrente giurispru-
denziale che si allontana dal dato positivo (72).
L’interpretazione adeguatrice dell’art. 1225 c.c., poi, suscita le perplessità di un altro
Autore (73), «perché farebbe giocare in favore del debitore inadempiente la sua ignoranza
della situazione del creditore, il che non sembra opportuno: sembra giusto che chi decide di
non adempiere si assuma il rischio di aver sbagliato i conti». D’altra parte, «questa consi-
derazione non può giustificare l’attribuzione al creditore anche di quelle utilità che, essen-
do fuori dalla normalità e per lui stesso del tutto imprevedibili, costituiscano un premio di
lotteria, piuttosto che il giusto compenso per le sue attività di organizzazione imprendito-
riale»: l’assegnazione di un lucro del tutto aleatorio potrebbe anzi frenare l’inadempimento
efficiente. La responsabilità civile dovrebbe sempre mantenersi fedele sia ad una funzione
reintegrativa, secondo cui il risarcimento non può oltrepassare il danno e neppure può
garantire il danneggiato contro rischi ai quali sarebbe stato esposto anche in assenza
dell’illecito, sia ad una funzione sanzionatoria, secondo cui la congruità del risarcimento

(67) DI GRAVIO, op. cit., 205 ss.


(68) TRIMARCHI, op. ult. cit., 520; BETTI, op. cit., I, 144 ss.; ROSSELLO, Il danno evitabile, cit., 25; ID., Responsabilità
contrattuale ed aquiliana: il punto sulla giurisprudenza, in Contratto impr., 1996, 646.
(69) Così GNANI, op. ult. cit., 213.
(70) ROMEO, op. cit., 996 ss.
Sulle potenzialità e sui limiti delle pene private, v. i contributi in Le pene private, a cura di BUSNELLI-SCALFI,
Milano, 1985.
(71) Ex multis, Cass. civ., 5 agosto 2003, n. 11710, in Danno resp., 2003, 336, con nota di ANDREANI.
(72) Cfr. la massima di Cass. civ., 6 dicembre 2012, n. 21994, in Giust. civ., 2013, 91.
(73) Le citazioni seguenti sono tratte da TRIMARCHI, Causalità giuridica e danno, in VISINTINI (a cura di), Risar-
cimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984, 7, ma anche 1 ss.

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questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

sarebbe da valutare in base allo scopo della norma violata. Ciò premesso, si ritiene semmai
possibile leggere l’art. 1225 c.c. nel senso di far rispondere il debitore inadempiente con
dolo «delle conseguenze normalmente prevedibili, dal punto di vista [non del debitore,
bensì] del creditore, nel momento dell’inadempimento, anche se furono imprevedibili nel
momento in cui l’impegno fu assunto».
Quest’ultima tesi, sebbene sia più perspicua della precedente, pecca però egualmente di
deviazione dalla legge, che l’interprete non può mai stravolgere.
Talvolta un’applicazione testuale dell’art. 1225 c.c., allorquando tra attualità del dover
adempiere e costituzione del vincolo obbligatorio intercorra molto tempo, farebbe smarrire
il senso equitativo della disposizione, perché tutelerebbe «oltre misura il debitore che, a un
certo punto, pur vedendo il danno che minaccia il creditore, non si cura di mettere la
diligenza che gli è richiesta per fare fronte all’impegno. Ma questo è un ambito di valuta-
zione pratica dove non resta che affidarsi all’avvertenza del giudice» (74).
L’art. 1225 c.c. non effettua invero alcuna diversificazione dei vincoli obbligatori in base
al momento in cui il debitore dovrà adempiere. Per di più, proprio l’interpretazione che
predilige la considerazione del danno prevedibile al tempo dell’adempimento potrebbe
favorire comportamenti opportunistici del debitore, il quale allora potrebbe non impiegare
la diligenza richiesta nel caso in cui valuti il vantaggio patrimoniale conseguibile con
l’inadempimento maggiore del danno da risarcire al creditore (75).

6. PREVEDIBILITÀ DEL DANNO VERSUS PREVEDIBILITÀ DEL-


L’AMMONTARE DEL RISARCIMENTO
Parte della giurisprudenza ritiene che l’art. 1225 c.c. delimiti il nesso di causalità giuridica
con riguardo al pregiudizio risarcibile considerato nella sua essenza ontologica, così da
incidere sull’an del pregiudizio rilevante (76).
Altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che l’art. 1225 c.c. delimiti il montante
del risarcimento da versare al danneggiato, così da fissare un tetto al quantum del risarci-
mento, che potrebbe non coincidere con l’esatto equivalente pecuniario del danno (77).
In questo contrasto giurisprudenziale è percepibile l’eco di una perdurante disputa
accademica, già accesa a proposito sia del Code Civil francese sia del Codice civile italiano
del 1865 (78).
Invero, l’art. 1366 dell’Avant-projet differisce dalla corrispondente regola del vigente
Code, più che per l’aggiunta dell’avverbio raisonnablement all’aggettivo prévisibles, per
aver riportato la prevedibilità alle «conseguenze dell’inadempimento». Si chiarisce cioè —
onde dissipare i dubbi emersi anche in Francia de jure condito — che la nuova disposizione

(74) Così BARBERO, Il sistema del Diritto Privato. Prima edizione dopo la scomparsa dell’Autore, a cura di
LISERRE-FLORIDIA, Torino, 1988 (rist. 1990), 618.
(75) ROSSI, Prevedibilità del danno, in Il danno contrattuale, opera dir. da Costanza, Bologna, 2014, 84.
(76) Trib. Milano, 19 marzo 1978, in Banca borsa tit. cred., 1978, II, 454, con nota di MOLLE.
(77) Cass. civ. n. 11189/2007, cit.; Cass. civ., 22 maggio 2003, n. 16091, in Danno resp., 2004, 855, con nota di
MANZA; App. Firenze, 3 settembre 1953, cit., 362; la massima di Trib. Milano, 10 maggio 2014, 6045, cit.
(78) Nel senso della delimitazione della causalità giuridica, nella dottrina italiana BARASSI, op. cit., III, 475; nella
dottrina francese BAUDRY-LACANTINERIE-BARDE, op. cit., I, 535 ss.
Nel senso della delimitazione del montante risarcitorio, già GIORGI, op. cit., II, 187 ss.; nonché GORLA, op. cit., 420;
DE CUPIS, op. ult. cit., I, 384 ss.; DI GRAVIO, op. cit., 161 ss. Ancor prima del Code, POTHIER, op. cit., 107 ss.
Per maggiori approfondimenti, BELLINI, op. cit., 318 ss. e 372 ss.; DEPETRO, op. cit., 65 ss.; PINORI, op. cit., 352 ss.

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questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

delimiterebbe a priori non l’importo monetario dell’obbligo risarcitorio, bensì i capi di


pregiudizio per i quali è ammesso il risarcimento (79).
Ad ogni modo, l’ultimo dei due suddetti orientamenti della giurisprudenza italiana è
forse condivisibile per ragioni vuoi sistematiche vuoi di opportunità (80).
Quanto alle prime, esistono molte ipotesi settoriali di contenimento ex lege dell’importo
dovuto dal responsabile a titolo di risarcimento (ad esempio, a favore del vettore marittimo
o aeronautico).
Quanto alle seconde, nel contratto di assicurazione che copre la responsabilità civile
dell’assicurato verso terzi viene apposto un massimale all’obbligazione indennitaria del-
l’assicuratore ex art. 1917 c.c.

7. L’OMESSO RICHIAMO ALL’ART. 1225 C.C. AI FINI DELLA RE-


SPONSABILITÀ AQUILIANA
L’art. 1225 c.c. non è richiamato dall’art. 2056 c.c. per la responsabilità aquiliana.
Nella Relazione al Codice Civile si asserisce che, in tal modo, non è stato accolto il
principio di commisurare il risarcimento al grado della colpa (81).
Tuttavia, il legislatore che avesse davvero perseguito questa finalità avrebbe dovuto
riferirsi alla prevedibilità dell’evento lesivo, non del conseguente danno, perché «il princi-
pio stesso della colpa esige che si risponda soltanto per l’evento prevedibile ... [ed] il fortuito
... da sempre sta al di là della linea della responsabilità». La risarcibilità dei danni impre-
vedibili cagionati senza dolo, per di più, contrasta con il significato della colpa «come
mancata adozione delle misure idonee ad evitare il danno quando esse abbiano un costo
inferiore a quest’ultimo» (82).
Se la Relazione al Codice Civile venisse intesa alla lettera, poi, si avrebbe un incoerente
sistema binario di responsabilità in cui, inaspettatamente, la responsabilità contrattuale
assolverebbe ad una funzione sanzionatoria e quella extracontrattuale ad una funzione
compensativa (83).
Le ragioni della mancata estensione dell’art. 1225 c.c. all’area aquiliana, dunque, sono
da ricercare altrove.
Anzitutto, la responsabilità debitoria è forgiata sul diritto di credito rimasto insoddisfat-
to e garantisce il soddisfacimento succedaneo dell’interesse sotteso, giacché il sistema pone
il creditore nella situazione in cui si sarebbe trovato se il debitore avesse adempiuto, ma nei
limiti dell’aspettativa del creditore, che non vi è motivo di tutelare maggiormente. La
responsabilità aquiliana, invece, pone il danneggiato nella medesima situazione in cui si
sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato (84).
Nell’ambito della responsabilità da fatto illecito, inoltre, il legislatore non poteva richie-
dere la prevedibilità del danno alla stessa stregua di quanto sancito nell’art. 1225 c.c.,

(79) MACCARI, Concorso improprio di responsabilità: Avant-projet francais de réforme du droit des obliga-
tions, in questa Rivista, 2009, 255, nt. 35.
(80) Per una rassegna, FRANZONI, op. ult. cit., 148 ss.
(81) V. il n. 801.
(82) Così C. CASTRONOVO, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa dir.
priv., 2004, 108. V. anche ID., La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006, 593 ss.
(83) GNANI, op. ult. cit., 44 ss.
(84) In senso analogo, ROSSELLO, Responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., 645; MONATERI, op. cit., 306 ss.

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questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

perché (di solito) manca un riferimento temporale oggettivo preesistente all’illecito, quale il
sorgere di un’obbligazione primaria (85) o, comunque, di un previo rapporto ancorché non
tipicamente obbligatorio (86). Per altro verso, non solo il principio di commisurare il risar-
cimento al grado di colpevolezza del danneggiante, quantomeno in generale, non è stato
accolto nella responsabilità aquiliana, ma in funzione di questa neppure sarebbe possibile
un ragionamento in termini di rischio di eventi pregiudizievoli assunto dal danneggiato, o di
rischio «normale» da lasciare a suo carico, poiché egli è del tutto «passivo» ed estraneo alla
genesi di tale rischio (87).
D’altro canto, in campo contrattuale la limitazione di responsabilità è «più apparente
che reale, in quanto nel momento in cui sorge l’obbligazione il debitore può astrattamente
prefigurarsi i danni che possono conseguire all’eventuale inadempimento, sicché i danni
imprevedibili sono quelli inconsueti e anomali rispetto alla utilità che la prestazione è
normalmente idonea a realizzare». Nel campo extracontrattuale, invece, può sembrare che
«la limitazione di responsabilità ai danni imprevedibili avrebbe ... vanificata la possibilità
del risarcimento[,] giacché prima che il fatto illecito sia commesso non [sarebbe] astratta-
mente prevedibile il danno che ne può conseguire» (88).
Sotto il profilo della prevedibilità del danno, ad ogni modo, il divario tra le due specie di
responsabilità sarà tanto minore quanto più rigidi siano i canoni per l’affermazione del nesso
eziologico tra evento lesivo e conseguenti pregiudizi, posto che ai fini del risarcimento il re-
quisito della prevedibilità si atteggia a filtro ulteriore rispetto alla causalità giuridica (89). La
prevedibilità di cui si discorre, infatti, esula comunque dalla struttura dell’illecito, perché
finanche in caso di inadempimento doloso «il debitore risarcirà sì i danni imprevedibili, ma
che siano pur sempre conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento ...» (90).
Coloro che vedono nella prevedibilità del danno una specificazione del paradigma
eziologico della causalità adeguata, d’altronde, concludono che le due forme di responsa-
bilità non si distanziano, almeno qualora sortiscano da una condotta colposa.
Oltretutto, sia l’art. 1225 c.c. a proposito della responsabilità da inadempimento sia il suo
mancato richiamo a proposito della responsabilità da fatto illecito, in caso di dolo, potreb-
bero paradossalmente esprimere il medesimo principio dell’integralità del risarcimento (91),
anche nell’improprio senso di ricomprendervi i pregiudizi più indiretti, magari per una
sorta di responsabilità aggravata e con la complicità di certi impieghi giurisprudenziali dei
criteri legali di determinazione e liquidazione del danno (che sono orientabili verso un
risultato discrezionale) (92).

(85) GORLA, op. cit., 419 ss.; DE CUPIS, op. ult. cit., I, 291 ss.
(86) BIGLIAZZI GERI, Interessi emergenti, tutela risarcitoria e nozione di danno, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 42.
(87) BIANCA, op. cit., 308.
(88) Così MAJELLO, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in Rass. dir. civ., 1988, 117
ss.
(89) Tuttavia, « ben può darsi che il danno prevedibile superi quello che sia stato conseguenza immediata e
diretta dell’inadempimento; ed in tal caso, ovviamente, il risarcimento dovrà accordarsi nei limiti del secondo »
(così DI GRAVIO, op. cit., 169).
(90) Così Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21619, in Corr. giur., 2008, 35, con nota di BONA.
(91) Già GIORGI, op. cit., V, 265 ss.
(92) CENDON, Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Torino, 1974, spec. 77 ss.; ID., Danno imprevedibile
e illecito doloso, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, cit., 23; VISINTINI, Trattato breve
della responsabilità civile, cit., 249 ss.

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questioni
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 65

Quest’ultima traccia viene sviluppata in modo trasparente nell’art. 1371 dell’Avant-


projet, applicabile sia in area contrattuale sia in area extracontrattuale, ove si stabilisce che
«[c]hi ha deliberatamente causato un danno, in particolare se ha agito per procurare a sé o
ad altri un profitto, può essere condannato, oltre al risarcimento danni compensativo, al
risarcimento danni punitivo che il giudice ha la facoltà di destinare, in parte, al Tesoro. La
decisione del giudice di concedere un risarcimento punitivo deve essere specificamente
motivata ed il suo ammontare distinto da quello degli altri risarcimenti concessi al danneg-
giato. Il risarcimento punitivo non è assicurabile».
Viceversa, talvolta neanche in ambito extracontrattuale la giurisprudenza addossa i
danni imprevedibili al danneggiante che sia stato solo in colpa, giacché il limite della
prevedibilità del danno viene surrettiziamente recuperato per mezzo della prevedibilità
dell’evento lesivo. La funzione sanzionatoria del risarcimento è infatti ormai svilita, perché
risulta di gran lunga sopravanzata da quella compensativa (93).
Secondo una parte della dottrina, il mancato rinvio all’art. 1225 c.c. ad opera dell’art.
2056 c.c. dovrebbe denunciare soltanto «che alla responsabilità aquiliana necessita una
regola propria, ... che, non dettata dal legislatore, deve essere trovata dall’interprete»; e
costui, in considerazione della funzione perlopiù compensativa o riparatoria attualmente
assolta da questo regime di responsabilità, ben potrebbe risalire ad una norma identica a
quella sancita nell’art. 1225 c.c. (94). Bisogna però aggiungere che, in caso di lesione di un
expectation interest, l’acquisita risarcibilità del pregiudizio nella misura dell’«interesse
positivo» in ambedue le aree di responsabilità civile, idea avversata dall’appena menzio-
nata dottrina (95), consiglia ancor di più l’applicazione della regola sulla prevedibilità di cui
all’art. 1225 c.c., o di una regola analoga ricostruita dall’interprete, anche per i danni da fatto
illecito. Il che è un’ulteriore ragione sistematica a sostegno del riavvicinamento delle due
specie di responsabilità.
La progressiva uniformazione giurisprudenziale dei limiti alla risarcibilità del danno,
sia esso contrattuale ovvero extracontrattuale, è poi una costante anche nell’ordinamento
francese (96) e nel common law (97).
Del resto, l’art. 3:201 dei P.E.T.L. attesta che ogni sistema di responsabilità abbisogna di
un qualche criterio per contenere i danni risarcibili, che all’uopo molti criteri sono fungibili,
e che quello della prevedibilità del danno «da parte di persona ragionevole al momento
dello svolgimento dell’attività» risultata lesiva non è inconciliabile con il regime aquiliano.
Va pertanto condiviso l’approccio di quella dottrina che si è proficuamente chiesta «se
l’art. 1225 c.c. possa al contempo veicolare ... un significato di prevedibilità astratto ... dal

Nella dottrina francese, in merito alla maggiore elasticità della giurisprudenza nell’applicazione delle regole
sulla causalità giuridica in ambito aquiliano, BAUDRY-LACANTINERIE-BARDE, op. cit., IV, 602 ss.
(93) GIARDINA, op. cit., 11, 157 ss.
(94) Così CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., 594.
Sotto il Codice previgente, già CARNELUTTI (Appunti sulle obbligazioni, II, Distinzione tra colpa contrattuale e
colpa extracontrattuale, in Riv. dir. comm., 1915, 626 ss.) riteneva che la regola sulla prevedibilità fosse applicabile
in via analogica alla responsabilità extracontrattuale.
(95) CASTRONOVO, Le due specie della responsabilità civile, cit., 90 ss., 109 ss. V. anche ID., La nuova responsa-
bilità civile, cit., 595 ss.
(96) MONATERI, op. cit., 118 ss.
(97) WHINCUP, op. cit., 123; nonché MORELLO, Profili comparatistici, in Risarcimento del danno contrattuale ed
extracontrattuale, cit., 175.

responsabilità civile e previdenza – n. 2 – 2017 P. 6 2 3 ⎪


questioni
65 OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

particolarismo tecnico della responsabilità contrattuale, e capace di coinvolgere le ipotesi di


responsabilità ex artt. 2047-2054 c.c.» (98). Gli artt. 2047 ss. c.c., infatti, sono stati ormai
affrancati dalla forza unificante dell’art. 2043 c.c., sicché non può parlarsi di un’indistinta
responsabilità extracontrattuale da contrapporre alla responsabilità contrattuale secondo
una rigida logica binaria. Se in materia di responsabilità contrattuale la regola enunciata
nell’art. 1225 c.c. è giustificata dalla peculiarità consistente nella violazione di una prece-
dente obbligazione, rappresentativa di un impegno connotato da un determinato significato
economico, la stessa regola potrebbe del pari giustificarsi anche in materia di responsabilità
extracontrattuale in relazione a quelle fattispecie dannose speciali che – rispetto alla fatti-
specie generale dell’art. 2043 c.c. – presentino la peculiarità di scaturire da una preesistente
situazione tipica anteriore alla lesione dell’interesse protetto, come lo svolgimento di un’at-
tività pericolosa, il trattamento di dati personali, la circolazione stradale o l’immissione sul
mercato di un prodotto difettoso (99). D’altronde, la responsabilità da illecito aquiliano è il
genus da cui, fermo il tratto comune dell’«ingiustizia», si distaccano tutte le ipotesi speciali
di responsabilità, compresa quella da inadempimento; e mentre la funzione della respon-
sabilità ex art. 2043 c.c., che s’incentra sulla colpa del responsabile, è tendenzialmente
incompatibile con una limitazione prefissata dei danni risarcibili, il principio della ripara-
zione integrale del danno, laddove il criterio d’imputazione non sia la colpa, può subire
temperamenti in ragione delle particolarità di previsioni speciali di responsabilità (salva
un’apposita informativa rivolta all’agente dal potenziale danneggiato sulla possibilità di
determinate conseguenze pregiudizievoli) (100). Tuttavia, «parimenti a quanto accade per la
responsabilità contrattuale, gli artt. 2047 ss. c.c. partecipano del limite di prevedibilità sol
quando si possa individuare un’esigenza di rilievo generale, meritevole di essere persegui-
ta, sottesa al fatto dannoso e prevalente rispetto all’interesse individuale di piena ripara-
zione» (101); ma questa esigenza, a differenza di quanto vale per la responsabilità contrat-
tuale, non può essere di natura meramente economica ed attenere allo sviluppo del mer-
cato, perché ciò contrasterebbe con la solidarietà ex art. 2 Cost. e con i limiti posti
all’iniziativa economica privata dall’art. 41 Cost.: da un lato, l’attività a cui ricollegare la
regola della prevedibilità del danno, pur rischiosa, dev’essere fortemente utile alla collet-
tività per il fatto di rispondere a bisogni generali; dall’altro lato, devono in ogni caso rima-
nere integralmente risarcibili i danni derivanti dalla lesione di diritti inviolabili della per-
sona, che sono bilanciabili solo con interessi altrui egualmente attinenti alla persona (102).
L’art. 1225 c.c., più che una genuina eccezione, costituisce comunque soltanto una
compressione apportata a norme generali tanto della responsabilità contrattuale quanto di
quella extracontrattuale, sicché il concetto di danno risarcibile non è eterogeneo nei due
regimi (103).

(98) Così GNANI, op. ult. cit., 41.


(99) GNANI, op. ult. cit., 41 ss., 118 ss., 159 ss.
(100) GNANI, op. ult. cit., 105 ss., 111 ss., 247 ss.
(101) Così GNANI, op. ult. cit., 249.
(102) GNANI, op. ult. cit., 250 ss.
(103) Contra, TURCO, Brevi considerazioni sul principio di prevedibilità del danno come profilo distintivo fra
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 93.

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