Sei sulla pagina 1di 59

Scritti ed altre traduzioni

Jean-Pierre Voyer

Il mio scopo nella vita

Cher Alphonse,
[...]
Benché in un certo modo non lo ignorassi, ho preso
coscienza soltanto ora che il mio unico scopo nella
vita, dopo la lettura del Capitale nel 1962, era di
screditare il “riduzionismo” di Marx. Il termine
riduzionismo non destava in me nessuna eco fino
allora. La conoscevo ma non ne sospettavo
l'importanza. La tua lettera me l'ha rivelata.
Pienamente giustificato nelle scienze della natura, il
riduzionismo non lo è quando si tratta di studiare
l'umanità. Senza il riduzionismo, quelle scienze non
esisterebbero, non vi sarebbe nessuna applicazione di
esse, né l'elettricità, né la bomba atomica, nessun
OGM ecc. Si può dire che il riduzionismo è il principio di
quelle scienze. La replica di Laplace a Napoleone (Dio
è un'ipotesi inutile) lo dimostra bene. Ma non si può
fare a meno di Dio quando si pretende di studiare
l'umanità stessa e non solo la meccanica celeste.
L'errore di Marx è di aver voluto fare a meno del
pensiero per studiare l'umanità. Marx voleva ridurre lo
studio dell'umanità a una sorta di meccanica celeste
malgrado tutti i suoi richiami alla dialettica. Sartre

1
Scritti ed altre traduzioni

direbbe: "Il materialismo è un riduzionismo". Lo disse


nell'eroico (whisky + anfetamine) tentativo anti-
riduzionista della Critica della ragione dialettica.
Dato che l'insieme degli esseri umani, tra tutti gli
insiemi possibili, è il solo che sia una cosa e non
solamente un pensiero, non può essere trattato dal
riduzionismo, giacché, se - contrariamente agli altri
insiemi - è una cosa, lo è perché contiene il pensiero.
L'insieme degli animali è soltanto un pensiero e non
potrebbe esistere prima dell'esistenza del pensiero.
Contrariamente alle specie animali, il genere umano è
una cosa. L'animalità o l'equinità sono dei pensieri e
solamente dei pensieri, l'umanità è una cosa. Prima
dell'esistenza del pensiero, c'erano forse gli animali,
ma certamente non le molteplicità. C'erano forse i
cavalli ma non il genere cavallo. Le molteplicità
esistono soltanto quando esiste il pensiero. Non sono
che pensieri. L'unica molteplicità che non sia
solamente un pensiero è giustamente l'umanità stessa
e ciò perché essa contiene il pensiero. Questo essere
collettivo è l'unico che non dipende da un pensiero
esterno per esistere proprio perché contiene il
pensiero. Non si deve confondere l'esistenza dei cavalli
con l'esistenza delle molteplicità. Sarebbe come dire
che i numeri esistono prima di essere inventati. Non si
deve confondere l'esistenza dei cavalli con l'esistenza
del numero dei cavalli, a meno che i cavalli non
sappiano contare. Swift pretendeva qualcosa del
genere nei suoi celebri Viaggi. I platonici pretendono
che i numeri esistano da sempre, ma i loro numeri

2
Scritti ed altre traduzioni

esistono nel cielo delle idee e noi non abbiamo, in


questo caso, nessun contatto diretto con loro.
Non ho l'impressione che il pensiero sia a
fondamento di ogni cosa ma soltanto la certezza che
non si possa studiare l'umanità astraendo il ruolo del
pensiero come ebbe la presunzione di fare Marx.
Allo stesso modo il mio scopo non consiste nel
concepire le cose quali siano prima che il pensiero
esista, ma soltanto nel non considerare l'umanità per
mezzo del riduzionismo. Il mio programma è molto più
limitato di quello che esponi alla fine della tua lettera.
Prima di domandarmi se la logica esista prima del
pensiero, mi domando quale logica sia all'opera
nell'umanità se non si fa a meno del pensiero come ha
fatto Marx. Per il momento, questa logica è totalmente
sconosciuta. Nell'umanità, ci si imbatte così poco nel
pensiero e nel movimento del pensiero che tutti lo
ignorano, tutti pensano come Locke. E Marx non ha
sistemato le cose. Egli è più l'erede di Locke che di
Hegel. Si può pensare che abbia subito una overdose
di pensiero con Hegel e che per un violento
contraccolpo si sia rivolto nell'altra direzione. Più
seriamente, Marx viveva in un'epoca di furioso
riduzionismo, quello che generalmente viene chiamato
scientismo. Il riduzionismo in fisica è salutare, ma
comincia a divenire scientismo a partire dal momento
in cui si vogliono trarre delle conclusioni al di là della
fisica. Ciascuno vede l'ora con il proprio orologio, il
ciabattino vuole spiegare il mondo per mezzo delle
scarpe. Questo è il riduzionismo scientista. Ridurre

3
Scritti ed altre traduzioni

tutto a una calzoleria! Il mondo contiene la fisica, ma


la fisica non contiene il mondo.
Sinceri saluti.
JPV

Nota:

Il riduzionismo è fallito nella metamatematica. Il


progetto di Hilbert era quello di garantire la solidità
dell'aritmetica attraverso una, considerata facile da
stabilire, "piccola aritmetica" semplificata, cioè di
garantire il complesso per mezzo del semplice. E'
questo progetto che la dimostrazione del 1931 di
Godel è giunta ad annullare. Dio non è semplice. J-V
Girard in Le théorème de Godel (Seuil).

Riduzionismo: Tendenza che consiste nel derivare ciò


che è superiore (il cosciente, il vitale) da ciò che è
inferiore (lo psico-chimico) attribuendo realtà soltanto
ai costituenti più semplici e nel considerare questi
ultimi come più fondamentali (Encyclopédie Hachette).

4
Scritti ed altre traduzioni

(Alle) ortiche

(nota basata su un racconto di Alice Munro)

La festa è paganesimo per eccellenza.


Nietzsche – La volontà di potenza

Il racconto di Alice Munro, Nettles, parla dell'amicizia, e in


particolare di due amicizie. La narratrice quando va a trovare
una vecchia amica, trova un vecchio amico, del tutto
inaspettatamente. Ecco in sostanza il racconto. Poi c'è
soprattutto un ampio contorno (bisogna spiegare chi è l'amica e
chi è l'amico e poi parlare di sé, perché non si può ignorare il
personaggio che è la narratrice). Insomma, così era iniziato il
racconto, due vecchi amici si rivedono per caso. Trascorrono la
notte entrambi a casa dei comuni ospiti e la narratrice fantastica
che lui entri in camera per lei. Non avviene. Il giorno dopo
insieme passano la giornata su un campo da golf
(apparentemente: lui vuole giocare, lei vuole stare con lui).
Arriva un acquazzone, come da copione i due si rifugiano si
accucciano da qualche parte (ecco le ortiche!), ed infine si
baciano (ma niente di eccezionale: Then we kissed and pressed
together briefly.
Poi lui le dice un cosa. Non si erano parlati chissà che cosa
prima (anzi, per niente! eccetto frasi del tipo: Bel tiro! Forse
pioverà... Hai sentito una goccia?). There's something I didn't
mention to you. Il più piccolo dei tre figli dell'uomo è morto,
investito dal padre mentre faceva manovra in retromarcia sul

5
Scritti ed altre traduzioni

vialetto di casa. Our youngest boy was killed last summer. Lui
lo credeva di sopra, a letto. I was the one ran over him. Lui non
dice le solite cose – He didn't say - (del tutto inutili, fa capire
lei che lo comprende al volo). I knew all that. I know that he
was a person who had hit rock bottom. Rock bottom, cioè il
fondamento di pietra dell'esistenza. Lui e sua moglie lo
conoscono, la narratrice, per fortuna, no. Poteva capitare a
chiunque, ma è capitato a loro come se fossero stati scelti one
at a time (picked out specially here and there).
Che dice lei? Che cosa può dire? Ben poco, e di quel poco
traspare un certo aspetto: It is not fair! Sottointendendo (but
meaning also): What has this to do with us? Bene, così in
sostanza finisce il racconto. E l'altra amicizia, quella
femminile? Tutto un gran parlare, si direbbe (during al the
years of our dwindling friendship).

6
Scritti ed altre traduzioni

Ricordi (dolci)
(nota basata su un racconto di Antonia S. Byatt)

I felt the rush of time.


A. S. Byatt

Il titolo afferra solo di lato la storia, poco zuccherosa, di


Antonia S. Byatt. Ti convinci subito che la questione è
tutt'altra; si tratta dei ricordi (quelli della narratrice che li
mescola a quelli di sua madre e di suo padre). Lo zucchero
c'entra poco (il ricordo di una visita alla fabbrica del nonno
dove si fa il fondant, humbug), ma lo zucchero è l'argomento
del primo scritto dell’autrice (The first piece of writing I
remember clearly as mine). I ricordi ci ricordano che niente è
oggettivo, e nella lotta tra i rammemoranti si impone di solito
una versione della storia sulle altre, soccombenti. Ad imporsi è
quella della madre della narratrice, che nell'esordio del
racconto, dice alla figlia: Your father says I am a terrible liar.
But I'm not a liar, am I? I'm not. Ma lo era (but she was)! La
figlia lo sa, ma sa anche che narrare è mentire (floridly and
beautifully). E mente anche lei, narratrice di a careful selection
of things that can be told (accanto ad esse ci sono the long
black shadowsof the things left unsaid), o perlomeno non
ricorda, dimentica, fraintende, o non ha mai saputo certe cose.
Dunque, ritornando alla lotta dei ricordi: il padre ormai in
punto di morte, vuole lasciare alla figlia la sua versione,
finalmente (All my life, I had held it against him that he never

7
Scritti ed altre traduzioni

talked to us). Immagini che la storia proceda su questa


esposizione annunciata. Macché! He talked above all about his
chilhood and particularly, perhaps, though not illuminatingly,
about his father. Ad illuminare sul nonno e sulla nonna, gli zii
e le zie ci pensano i racconti della madre. Anche la morte del
nonno è stata confezionata dalla madre (che dice di esservi
stata presente quando non lo era). Il padre le dice: I should
know. He was my father. I was certainly there. How can I
wrong?
Allora (e solo allora?) lei si rende conto - It was then that I saw
that much of my past might be her confection – che la madre ha
costruito una storia solida che l'estrema volontà del padre non
riesce a far crollare (One challenges the large errors, like that
one. But there are all the other little trivial myths that turn into
memories).
Le storie sono carattere, e i caratteri si ereditano. Now, in
moments of fatigue, I feel my mother's face setting like a mask
in or on my own. E risalendo una generazione, my mother had
come increasingly to resemble her mother.
E dire che questo racconto, un trattato di memoria e genetica, si
era aperto con una scena d'ospedale (When my father was
dying, I came into his hospital room once, and he sat up
against his pillows and looked at me out of his father's face)
dove compare una rassomiglianza inusuale (ma anche
unflattering, perché i ricordi del nonno non erano poi molto
belli).
Alla fine, un po' di giustizia sarà resa al padre, giudice, al suo
desiderio di esattezza (his wish to be exact). Lei dice: I
respected his moral opinions, I hare most of them, I am his
child. Ma che difficoltà a parlare d'amore!We didn't know how
to talk about love. But truthfulness, yes. E questa inibizione fa
sentire il suo peso: la freddezza appresa dalla madre – some
chill I learned from my mother - la paura – I felt notthing, I felt

8
Scritti ed altre traduzioni

fear of feeling - diventa forza di gravità (I could talk to my


father about his father only by not loving him too much).
Infine di Goethe (Zahmen Xenien), l'epigrafe che apre il
racconto, sono i versi che interrogano su quanto di originale ci
sia nel frutto delle generazioni (Was ist denn an dem ganzen
Wicht / Original zu nennen?).

9
Scritti ed altre traduzioni

Guy Debord

Panegirico. Tomo secondo

Libreria Arthème Fayard, Parigi, settembre 1997

"J'ai suivi un plan original, ayant imaginé une méthode


nouvelle d'écrire l'histoire et choisi une voie qui surprendra le
lecteur, une marche et un système tout à fait à moi."
Ibn Khaldoun, Prolégomènes à l'histoire universelle.

Avviso

Di tutte le verità che compongono questo panegirico, si


riconoscerà che la più profonda risiede nella maniera stessa di
farle apparire insieme. Non resta dunque più molto da fare se
non illustrare e commentare l'essenziale che, dopo il primo
tomo, è stato così precisamente riassunto.
Le tome second contient une série de preuves iconographiques.
Les tromperies dominantes de l'époque sont en passe de faire
oublier que la vérité peut se voir aussi dans les images. L'image
qui n'a pas été intentionnellement séparée de sa signification
ajoute beaucoup de précision et de certitude au savoir.
Personne n'en a douté avant les très récentes années. Je me
propose de le rappeler maintenant. L'illustration authentique
éclaire le discours vrai, comme une proposition subordonnée
qui n'est ni incompatible ni pléonastique.
On saura donc enfin quelle était mon apparence à différents
âges ; et quel genre de visages m'a toujours entouré ; et quels

10
Scritti ed altre traduzioni

lieux j'ai habités. Ces circonstances rassemblées et considérées


pourront parfaire le jugement. Et par exemple ma contribution
à l'art extrême du siècle, comme un monument historique bien
particulier, s'y trouvera exposée tout entière : c'est son
excellence, d'avoir pu s'en tenir là.
À cette cohérente documentation s'ajouteront diverses données,
graphologiques par exemple, que l'on devrait tenir pour
superflues. Mais, ainsi, ceux qui veulent croire à l'existence de
diverses méthodes de connaissance plus simples et plus
directes que la science de l'histoire, ou qui du moins font
confiance à l'une ou à l'autre comme technique de vérification,
auront le déplaisir d'être sûrs qu'ils ne découvrent rien à
m'objecter.
Le date più notevoli delle mie opere, dalle quali si potrà
appunto misurarne l'unitarietà, sono menzionate alla fine del
presente tomo. Nel tomo terzo (1), vari dettagli ancora oscuri
saranno spiegati.

Note:
(1) Il terzo tomo come i successivi rimasti allo stato di
manoscritto furono bruciati nella notte del 30 novembre 1994,
secondo la volontà di Guy Debord. (N.d.É.).

11
Scritti ed altre traduzioni

La planète malade di Guy Debord

"Les maîtres de la société sont obligés maintenant de


parler de pollution, et pour la combattre (car ils vivent,
après tout, sur la même planète que nous ; voilà le
seul sens auquel on peut admettre que le
développement du capitalisme a réalisé effectivement
une certaine fusion des classes) et pour la dissimuler :
car la simple vérité des nuisances et des risques
présents suffit pour constituer un immense facteur de
révolte, une exigence matérialiste des exploités, tout
aussi vitale que l'a été la lutte des prolétaires du XIXe
siècle pour la possibilité de manger". (p. 84)

I padroni della società sono obbligati, ora, a parlare di


inquinamento, sia per combatterlo (dato che vivono,
dopotutto, sullo stesso nostro pianeta; il solo senso in
cui si può ammettere che lo sviluppo del capitalismo
ha realizzato effettivamente una certa fusione delle
classi) che per dissimularlo: giacché la semplice verità
delle "nocività" e dei rischi presenti è sufficiente a
costituire un immenso fattore di rivolta, un'esigenza
materialista degli sfruttati, altrettanto vitale della lotta
dei proletari del XIX° secolo per la possibilità di
mangiare".

Il pianeta malato (La planète malade) - inedito del


tredicesimo numero della rivista IS - segna lo
spostamento dell'attenzione di Guy Debord verso il
problema della pollution, dell'inquinamento.

12
Scritti ed altre traduzioni

In un certo senso l'EdN (Enciclopedia delle Nocività)


è stato il più naturale erede dell' IS.

"Les choix terribles du futur proche laissent cette seule


alternative: démocratie totale ou bureaucratie totale".

Debord non usava frequentemente l'espressione


"démocratie totale"...

"Ceux qui doutent de la démocratie totale doivent faire


des efforts pour se la prouver à eux-memes, en lui
donnant l'occasion de se prouver en marchant".

Ecco due volte in poche righe la démocratie totale.

13
Scritti ed altre traduzioni

Specimen
di un inedito ed anonimo
"Libro dei dispiaceri"
(Livre des soucis)

Di certo è stato pubblicato un Libro dei piaceri,


firmato da Raoul Vaneigem… Probabilmente si tratta,
con il Libro dei dispiaceri, di un’opera polemica
interna al post-post-situazionismo…

La gratuità è il disarmo relativo del godimento.

Non c'è più nessuna energia congelata.

Nota 1: Vaneigem, attraverso questa concisa formula,


ha voluto recisamente rinnegare qualsiasi funzione
privilegiata che tratteneva enclos in sé; da esso non
scaturiscono incompiute pulsioni rivoluzionarie, ma
piuttosto un accomplissement de le veritable travail
économique.

Essere ciò che si è, non è necessariamente gioioso.

Nota 2: Altra rettifica di un pensiero di Vaneigem più


volte, in precedenza, espresso.

14
Scritti ed altre traduzioni

La sessualità ridotta ad orgasmo porta con sé


l'impotenza a godere come il marchio indelebile della
castrazione economica, almeno quanto il godimento
porta con sé il sospetto dell'ubiquità dello stesso
modello universale di soddisfazione e insoddisfazione.

La nihilazione avanza più con qualche strano


godimento (jouissance) che attraverso il
dispiegamento della forza delle cose della
civilizzazione.

Je me tiens là au coeur de mon historie individuelle, et


j'ai conscience de préparer l'élimination
historiquement impossible aujourd'hui, de l'Etat et de
sa pensée séparée omniprésente.

Nota 3: La rettifica di Vaneigem, in realtà, è più ampia.


Ma la separatezza, lo spossante rumore
dell'informazione, ci distoglie da ciò che realmente
succede.

I piaceri angosciati e il benessere colpevole sono il


massimo dei piaceri dell'epoca, che gode del senso di
colpa, e non solo ...

Nota 4: Non è più questione ristretta di potere, di


autorità, di prestigio, ma di generalizzazione
democratica della perversione.

Il corpo civilizzato risplende di una galvanizzazione che


lo assimila a una fabbrica di muscoli, di nervi, di sforzi,
di sport, di rendimento, di asetticità, di estetica, di

15
Scritti ed altre traduzioni

vergogna, di tortura, di nevrosi, di esperienza sado-


medicale. Il corpo non è mai stato così fulgido e
statuario (ha superato il suo stesso modello estetico-
divino) come in questi tempi, mentre
contemporaneamente tutti gli altri suoi eccessi, in tutti
gli ordini citati, conoscono una diffusione esponenziale.

Vivere secondo i propri desideri in un mondo virtuale


non è più difficile di qualunque altro piccolo sforzo
quotidiano.

Lo sguardo tattile del godimento non percepisce negli


esseri e nelle cose ciò che essi hanno di vivente, se
non nella misura in cui potrebbe esserne redditizio lo
sfruttamento.

Non posso difendermi dall'impressione che si riproduca


in ciascuno di noi la coazione determinata a uno
sviluppo sociale dei desideri di vita, e all'espansione di
una sessualità creatrice di condizioni storiche
favorevoli al suo progetto.

Nota 5: Nell'ultima citazione estratta si nota la parziale


rettifica, che ne rivolta il senso, di un'affermazione
presente nel primo volume. Vi si trova conferma alla
sensazione che la pulsione verso un certo tipo di
godimento sia uno degli strumenti principali attraverso
cui si rinnova lo spettacolo nello stadio della
nihilazione tipico della società odierna.

16
Scritti ed altre traduzioni

Arthur Rimbaud

La democrazia operaia

Operai
Quella calda mattinata di febbraio. Il Sud inopportuno
venne a sollevare i nostri ricordi di assurdi indigenti, la
nostra giovane miseria.
Henrika aveva una gonna di cotone a quadri bianchi e
bruni, di un tipo che doveva essere indossata nel
secolo passato, una cuffia a nastri, e un foulard di seta.
Era ben più triste che per un lutto. Facemmo un giro
nella periferia. Il tempo era coperto, e quel vento del
Sud risvegliava gli odori cattivi dei giardini devastati e
dei prati disseccati.
Questo non doveva disturbare la mia donna quanto
invece me. In una pozza lasciata dall'inondazione del
mese precedente ai margini di un sentiero abbastanza
alto, lei mi indicò dei piccoli pesci.
La città, con i suoi fumi e i suoi rumori di fabbrica, ci
seguiva molto a lungo per i sentieri. O l'altro mondo,
l'abitazione benedetta dal cielo e dalle ombre! Il Sud
mi ricordava i miserabili incidenti della mia infanzia, le
mie disperazioni d'estate, l'orribile quantità di forza e
di scienza che la sorte ha sempre allontanato da me.
No! Non passeremo l'estate in questo avaro paese

17
Scritti ed altre traduzioni

dove non saremo mai che degli orfani fidanzati. Io


voglio che questo braccio indurito non trascini più una
cara immagine.

Democrazia
"La bandiera va nel paesaggio immondo, e il nostro
patois soffoca il tamburo.
Nei centri noi alimenteremo la più cinica prostituzione.
Noi massacreremo le rivolte logiche.
Ai paesi impepati e inzuppati! - al servizio dei più
mostruosi sfruttamenti industriali o militari.
Arrivederci qui, non importa dove. Coscritti della
benevolenza, noi avremo la filosofia feroce; ignoranti
per la scienza, astuti per i nostri comodi; la morte per
il mondo che va. È la vera marcia. Avanti, strada!"

Barbaro
Ben dopo i giorni e le stagioni, e gli esseri e i paesi,
la bandiera di carne sanguinante sulla seta dei mari e
dei fiori artici; (loro non esistono).
Rimessi dalle vecchie fanfare d'eroismo - che ci
attaccano al cuore e alla testa - lontano dagli antichi
assassini -
Oh! la bandiera di carne sanguinante sulla seta dei
mari e dei fiori artici; (loro non esistono).
Dolcezze!

18
Scritti ed altre traduzioni

I bracieri, gocciolanti alle raffiche di brina, - Dolcezze! -


i fuochi alla pioggia, del vento di diamanti, gettata dal
cuore terrestre, eternamente carbonizzato per noi.
Mondo! -
(Lontano dai vecchi ritiri e dalle vecchie fiamme, che si
intendono, che si sentono).
I bracieri e le schiume. La musica, vortice dei gorghi e
choc dei ghiacci sugli astri.
O dolcezze, o mondo, o musica! E là, le forme, i sudori,
i capelli e gli occhi, fluttuanti. E le lacrime bianche,
bollenti, - o dolcezze! - e la voce femminile arrivata al
fondo dei vulcani e delle grotte artiche.
La bandiera ...

Matinée d'ebbrezza
O mio Bene! O mio Bello! Fanfara atroce dove non
vacillo! Cavalletto fiabesco! Hurrà per l'opera inaudita
e per il corpo meraviglioso, per la prima volta! Così
cominciò sotto il riso dei bambini, così finirà per causa
loro. Questo veleno dovrà restare in tutte le nostre
vene anche quando, tornando la fanfara, saremo
restituiti all'antica disarmonia. Ora, noi così degni di
queste torture! Riuniamo fervidamente questa
promessa sovrumana fatta al nostro corpo e alla
nostra anima creati: questa promessa, questa
demenza! L'eleganza, la scienza, la violenza! Ci è stato
promesso di seppellire nell'ombra l'albero del bene e
del male, di deportare le onestà tiranniche, affinché vi
conducessimo il nostro purissimo amore. Così cominciò

19
Scritti ed altre traduzioni

con qualche disgusto e così finì, - non potendo


afferrare sul posto questa eternità, - così finì con una
vertigine di profumi.
Riso dei bambini, discrezione degli schiavi, austerità
delle vergini, orrore delle figure e degli oggetti di qui,
consacrati siate dal ricordo di questa veglia. Così
cominciava con tanta rozzezza, ecco che così finisce
con degli angeli di fiamma e di ghiaccio.
Piccola veglia d'ebbrezza, santa! Quando ciò non fosse
che per la maschera di cui ci hai gratificato. Noi ti
affermiamo, metodo! Noi non dimentichiamo che tu
hai glorificato ieri ciascuna delle nostre età. Noi
abbiamo fede nel veleno. Noi sappiamo dare la nostra
vita tutta intera tutti i giorni.

Ecco il tempo degli Assassini.

20
Scritti ed altre traduzioni

Paul Celan

Da oscuro a oscuro

Tu hai dato un colpo d'occhio - io vedo il mio buio vivere.


Io lo vedo sul fondo:
anche là è mio e vive.
(...)

"Illeggibilità di questo
mondo. Tutto doppio."

21
Scritti ed altre traduzioni

L'amore della purezza

1.
Una volta avevo immaginato un romanzo orientale di Kafka.
Ce n'era già uno occidentale, ed è "America", ma anche "Il
processo" riguarda l'Occidente ed il suo sistema giudiziario,
come i racconti: "La condanna", "Nella colonia penale" e "La
metamorfosi". "Il castello" invece rivolge una scrupolosa e
alienata attenzione al potere sovrano, all'estraneità dalle
decisioni che lo riguardano, dunque sembrava riflettere
apparentemente sul sistema imperiale più che mitteleuropeo,
europeo orientale. Qualche fantasia kafkiana punta altrove, un
esempio è offerto dal "Desiderio di essere indiano", tra le più
brevi e felici "Meditazioni". Un altro singolare racconto è
"Sciacalli ed arabi", che appartiene alla raccolta "Un medico di
campagna". In questo racconto, uno sciacallo,
sorprendentemente, si spinge sotto il braccio del narratore che
sta dormendo, accampato in un'oasi, in mezzo agli arabi. Gli
parla, "quasi con gli occhi negli occhi".
Il narratore proviene dal lontano settentrione per un breve
viaggio (di fantasia). Cosa vuole lo sciacallo che gli parla,
mentre altri sciacalli lo tengono fermo, affondati i denti nella
giacca e nella camicia, ed altri lo guardano fisso? Vuole
parlargli del conflitto tra sciacalli ed arabi. Questi ultimi sono
da disprezzare, nonostante la loro fredda superbia, perché
uccidono le bestie per mangiarle e disprezzano le carogne.
Essi, solo con la loro presenza, infettano l'aria. Sono sudici:
sudicia è la loro barba orrenda, i loro occhi, e il cavo delle loro

22
Scritti ed altre traduzioni

ascelle è l'inferno. Per questo gli sciacalli amano il deserto.


Vogliamo "purezza, soltanto purezza", dice il vecchio sciacallo,
mentre gli altri singhiozzano e piangono, per cui sarà lui,
l'uomo del Nord, tanto atteso, a compiere giustizia. Gli offrono
una forbice da cucina, coperta di vecchia ruggine.
Appare adesso il capo arabo con una gigantesca frusta. Le
forbici, già deteriorate, fino alla fine dei tempi gireranno per il
deserto, ogni europeo sarà considerato il predestinato e gli
verranno offerte per la grande impresa. Gli sciacalli sono pazzi,
ma sono i nostri cani più belli, conclude l'arabo. Un cammello
morto durante la notte viene portato davanti agli sciacalli. Essi
dimenticano l'odio e gli arabi per l'incantevole odore della
carogna. Come una piccola pompa frenetica ogni sciacallo
succhia il sangue del cammello. Poi interviene ancora il capo
arabo con la frusta ad interrompere la bevuta. "Erano già
mezzo inebriati e svenuti".
Ma non potevano resistere e tornavano alle pozze di sangue
fumante. "Bestie meravigliose non è vero? E come ci odiano!".
Addomesticare l'odio con la forza della necessità è il gioco
dell'arabo. Da questa visione è scomparso il rischio, perché
detenere la sovranità significa saper gestire il rimedio e
padroneggiare il farmaco.

23
Scritti ed altre traduzioni

2.

Walter Benjamin a Gerhard Scholem il 12 giugno 1938.


La lettera avrà come argomento il "Kafka" di Brod. Di questo
libro W. Benjamin rileva come la tesi dell'autore contraddica il
suo stesso atteggiamento, per cui questo discredita la prima,
che oltretutto non è esente da riserve. Per esempio, la bonomia
dell'autore verso l'oggetto della sua biografia finisce con
l'essere crudele e impietosa, essendo quella di chi ha avuto una
ostentata intimità con il santo, togliendo perciò ogni autorità al
contenuto del testo e prospettiva al biografato. Il giudizio di
Benjamin sarà ripreso da Kundera, che non è la prima volta che
esegue un giudizio altrui senza richiamare l'origine del
verdetto, come sulle riserve riguardo l'impegno politico di
Eluard.
Brod è "insensibile", manca di "ritegno", dimostra una
"sorprendente mancanza di tatto", di senso dei limiti e delle
distanze, e questa incapacità si fa addirittura scandalosa quando
l'autore ricorda la volontà di Kafka di distruggere i suoi scritti
inediti. Fortunatamente Benjamin non mette in dubbio che
Kafka sapesse che ciò significava essere sicuri della salvezza
delle carte. Benjamin si limita a rimarcare il "dilettantismo" e
la "faciloneria" di Brod, la sua incapacità di misurare le
tensioni che percorrevano la vita dell'amico, tanto da portarlo a
nutrire una diffidenza istintiva per tutte le interpretazioni che
escano dalla strada di edificazione morale su cui vorrebbe far
incamminare i lettori. Ma Benjamin torna a incolparlo della
confidenza con cui tratta Kafka, sebbene si renda conto che
pure Platone aveva fatto con Socrate qualcosa di analogo, cioè

24
Scritti ed altre traduzioni

l'abbia fatto rivivere, elevandolo a protagonista di quasi tutti i


dialoghi scritti dopo la morte di lui, dandogli la sua voce.
Questi sono alcuni passi interessanti della lettera di Benjamin:
... "Intendo dire che per il singolo questa realtà è ormai quasi
impossibile da percepire, e che il mondo di Kafka, tanto spesso
così sereno e popolato di angeli, è il complemento esatto della
sua epoca che si accinge a sopprimere grandi masse di abitanti
di questo pianeta. L'esperienza corrispondente a quella del
privato cittadino Kafka, da grandi masse verrà forse fatta solo
in occasione di questa loro eliminazione".
"In Kafka non si parla più di saggezza, restano solo i prodotti
della sua disgregazione. Essi sono due: c'è da una parte la
diceria delle cose vere (una sorta di giornale teologico
sussurrato in cui si tratta del malfamato e dell'obsoleto); l'altro
prodotto di questa diatesi è la follia, che certo si è giocata
integralmente il contenuto proprio della saggezza, ma in
compenso preserva la piacevolezza e la distensione di cui la
diceria è sempre priva".
"La follia è l'essenza dei personaggi prediletti da Kafka; da
Don Chisciotte agli assistenti, fino agli animali. (Essere
animale per lui con ogni probabilità significava semplicemente
aver rinunciato, per una sorta di pudore, alla figura e alla
saggezza umana)".
Il cosiddetto "fallimento" di Kafka è sottolineato alla fine di
questa lettera: una volta certo del fallimento totale, tutto, lungo
il cammino, gli riuscì come in sogno. Sono parole
autobiografiche, senza dubbio, queste di Benjamin. Il punto
interrogativo sull'amicizia di Brod, con cui si chiude la lettera,
vorrebbe alludere a ciò che il destinatario non poteva essere

25
Scritti ed altre traduzioni

che sforzarsi di essere con "fervore". Dunque è manifestamente


falso che Benjamin dichiarasse di non capire il significato e il
valore della scelta di Kafka riguardo a questa amicizia.
Infine, a saldo ciò che tutti sanno: l'opera di Kafka è
contrassegnata in senso rigidamente negativo (cioè con forte
nostalgia del positivo), quindi Benjamin inserisce tra parentesi
una valutazione valida per tutto il secolo e non solo per il
praghese: "la sua caratterizzazione negativa sarà
verosimilmente sempre più fruttuosa di quella positiva" (perché
il positivo è il falso per eccellenza).

26
Scritti ed altre traduzioni

3.

In "I testamenti traditi" di Milan Kundera, la parte nona -


"Questa non è casa sua, mio caro" - parla, come anche
diffusamente altrove, di Kafka e di Brod. "Ai miei occhi Max
Brod rimarrà per sempre un mistero", scrive. Brod, con grande
dedizione, si era messo al servizio dei due maggiori artisti
cechi, Kafka e Janacek, vissuti nel paese di Kundera, ed egli
dice di provare sgomento per l'insufficienza dimostrata dalla
comprensione di Brod. "Non riesco a capacitarmi che ci si
stupisca tanto della (supposta) decisione di Kafka di
distruggere l'intera sua opera". Kundera dice che l'opera
potrebbe non piacere più al suo autore, oppure piacergli l'opera
e non il mondo, oppure che l'autore potrebbe essere motivato
dalla certezza interiore della ineluttabile incomprensione di
essa. Ma per Kafka non si tratterebbe di questo. Brod, nella
"Postfazione alla prima edizione del Processo", aveva scritto
che Kafka gli disse di bruciare i propri scritti e che lui,
altrettanto sinceramente, gli avrebbe risposto che non l'avrebbe
fatto. Kundera spiega che la richiesta di Kafka era
perfettamente giustificabile, e che se avesse potuto distruggere
da sé le proprie carte l'avrebbe fatto, ma non gli era possibile,
quando avrebbe dovuto farlo effettivamente, perché si trovava
in sanatorio. Kafka inoltre non voleva distruggere tutto, perché
in una lettera, trovata in un cassetto, insieme ad altre carte,
dopo la sua morte, è scritto che lui considerava validi "La
condanna", "Il fuochista", "La metamorfosi", "Nella colonia
penale", "Un medico di campagna", "Un digiunatore" e pure
"Meditazioni". In sostanza tutto ciò che aveva pubblicato.

27
Scritti ed altre traduzioni

Dunque Kundera sottolinea che Kafka non ha nulla a che


vedere con la leggenda dell'autore deciso a distruggere la
propria opera. Sicuramente è vero. Ma perché Brod avrebbe
sbagliato a salvare tutto il resto? Kundera lo spiega dicendo che
si tratta della "divulgazione dell'intimità altrui" per uno
scrittore come Kafka, la cui indole schiva, Max Brod
conosceva bene. L'aver oltrepassato la soglia del privato, non
appena diventa abitudine e regola, ci ha fatto entrare "in
un'epoca in cui la questione centrale è la sopravvivenza o la
scomparsa dell'individuo". Kundera pone a sproposito la
questione, per via di un dubbio che è stato spazzato via.
Comunque sbaglia la mira quando scrive che ai suoi occhi
"l'indiscrezione di Brod non ha scusanti". Brod non ha mentito
a Kafka, e Kafka non era indifferente alle sorti delle sue carte.
Voleva essere disobbedito, perché voleva essere dispensato
dalla responsabilità riguardo ciò che aveva scritto. Non si
scrive qualcosa che si ritiene sia spaventoso senza
conseguenze. Per questo si affida all'amico il destino delle
carte, sapendo che lui tradirà la consegna rispettando
l'intendimento.
L'autodistruzione delle carte non avvenne, e questo è
l'essenziale. La timidezza di Kafka doveva essere bilanciata
dalla tranquilla impudenza dell'amico. Kundera imputa a Brod
la pubblicazione della "Lettera al padre", invece di rendergli
merito. Kundera immagina un parallelo tra la vergogna di K.
nel finale del "Processo" e quella di Kafka nel sapere
pubblicate le sue cose segrete. Brod avrebbe svergognato
Kafka rendendo pubblici i suoi diari, la sua corrispondenza e i
suoi stessi romanzi, ma la stessa similitudine della vergogna

28
Scritti ed altre traduzioni

non sarebbe stata immaginabile senza il "tradimento" di Brod,


perché solo questo "tradimento" ha liberato l'autore dalla
vergogna che l'assillava.
Il "tradimento" di Brod era la massima aspettativa di Kafka.
Solo il "tradimento" poteva assecondare la realizzazione di un
progetto che non ammetteva che una via. La devozione non ha
avvantaggiato Brod, ma Kundera lo denigra con quella
disinvoltura con cui si umiliano gli stupidi, per i quali la
"devozione" deve essere sentita come un male minore rispetto
al sentimento opposto.

29
Scritti ed altre traduzioni

Bertolt Brecht

Kleines Lied

1.
C'era una volta un uomo
che cominciò a bere
a diciotto anni e -
così in fondo finì :
Crepò a ottant'anni
è chiaro come il sole, perché.
2.
C'era una volta un bambino
crepò molto in fretta
a un anno, e -
così in fondo finì.
Non beveva: è chiaro
e morì a un anno.
3.
Da ciò potete comprendere
che l'alcool non fa male.

30
Scritti ed altre traduzioni

La canzone di Orfeo alle sirene


(Rilkiana)

L'infanzia profonda e promettente,


si fa - poi - silenziosa dalle radici?
Ciò che nella morte
ci allontana non è rivelato?

Siamo sempre sospinti.


Ma il passo del tempo
non è che un'inezia
che sempre permane.

Quello che si sottrae è più tuo.


Timorosi desideriamo un sostegno,
noi troppo giovani per l'antico
e troppo vecchi per ciò che non è mai stato.

La dolcezza del pericolo che matura


sa che abbiamo tempo.
Solo la morte silenziosa sa che siamo
e qual è il suo guadagno, quando presta.

Se una volta era gioia


non era di nessuno.
Cosa c'è di reale in questo?
Che desidera il mutamento?

31
Scritti ed altre traduzioni

Ciò che si chiude nel restare


è già irrigidito.
Lo spirito progettante che governa la terra
niente ama più del punto di svolta.

32
Scritti ed altre traduzioni

J. L. Borges

Ariosto e gli arabi

Nessuno può scrivere un libro. Perché


un libro ci sia veramente,
si richiedono l'aurora e il tramonto,
secoli, armi e il mare che unisce e separa.

Così pensò Ariosto, che al piacere


lento si diede, nell'ozio di camminate
di chiari marmi e pini neri,
di tornare a sognare il già sognato.

L'aria della sua Italia era colma


di sogni, che con le forme della guerra
che in duri secoli affaticò la terra
ordirono la memoria e l'oblio.

Una legione che si perse nelle valli


d'Aquitania cadde in un'imboscata;
così nacque quel sogno di una spada
e del corno che chiama a Roncisvalle.

I suoi idoli e gli eserciti il duro


sassone sopra i campi d'Inghilterra
dilatò in affrettata e turpe guerra
e di quelle cose restò un sogno: Arturo.

33
Scritti ed altre traduzioni

Dalle isole boreali da cui un cieco


sole offusca il mare, arrivò quel sogno
di una vergine addormentata che il suo padrone
attende, entro un cerchio di fuoco.

Chissà se dalla Persia o dal Parnaso


venne quel sogno del cavallo alato
che per l'aria il mago armato
sprona e che s'immerge nel deserto occidente.

Come dal cavallo del mago


Ariosto vide i regni della terra
solcata dalle feste della guerra
e del giovane amore avventuriero.

Come attraverso della tenue bruma d'oro


vide nel mondo un giardino che i suoi confini
dilata in altri intimi giardini
per l'amore di Angelica e Medoro.

Come gli illusori splendori


che all'Indostan fa intravedere l'oppio,
passano per il Furioso gli amori
in un disordine da caleidoscopio.

Né l'amore ignorò né l'ironia


e sognò così, con pudore,
il singolare castello nel quale tutto
è (come in questa vita) una falsità.

Come a tutti i poeti, la fortuna


o il destino gli diede una sorte rara;

34
Scritti ed altre traduzioni

andava per le vie di Ferrara


e allo stesso tempo andava sulla luna.

Scoria dei sogni, indistinto


limo che il Nilo dei sogni lascia,
con essi fu tessuta la matassa
di questo risplendente labirinto,

Di questo enorme diamante nel quale un uomo


può perdersi fortunosamente
per ambiti di musica indolente,
più in là della sua carne e del suo nome.

L'Europa intera si perse. Per opera


di quella ingenua e maliziosa arte,
Milton poté piangere di Brandimarte
la fine e di Dalinda l'angoscia.

L'Europa si perse, però altri doni


diede il vasto sogno alla famosa gente
che abita i deserti dell'Oriente
e la notte riempita di leoni.

Di un re che consegna, allo spuntare del giorno,


la sua regina di una notte all'implacabile
scimitarra, ci racconta il dilettevole
libro che il tempo ammalia ancora.

Ali che sono la brusca notte, crudeli


artigli dai quali pende un elefante,
magnetiche montagne il cui amante
abbraccio spezza i vascelli.

35
Scritti ed altre traduzioni

La terra sostenuta da un toro


e il toro da un pesce; abracadabra,
talismani e mistiche parole
che nel granito aprono caverne d'oro;

questo sognò la saracena gente


che segue le bandiere di Agramante;
questo, che vaghi volti con turbante
sognarono, si impadronì dell'Occidente.

E l'Orlando è ora una sognante


regione che allarga inabitate miglia
di indolenti e oziose meraviglie
che sono un sogno che già nessuno sogna.

Da islamiche arti ridotto


a semplice erudizione, a mera storia,
sta solo, sognandosi. (La gloria
è una delle forme dell'oblio.)

Dal cristallo già pallido l'incerta


luce di una sera di più tocca il volume
e un'altra volta ardono e un'altra si consumano
gli ori che si vantano dalla copertina.

Nella deserta sala il silenzioso


libro viaggia nel tempo. Le aurore
rimangono indietro e le notturne ore
e la mia vita, questo sogno affrettato.

36
Scritti ed altre traduzioni

In autentica paura

Premessa agnoseologica.

Nessuna teoria è insostituibile da un'altra di cui sia la


contraffazione. Questa verità non più delle altre. La moralità
del comunismo è la condizione della sua inesistenza.
L'amoralità del comunismo è la condizione identica alla
precedente. La lingua batte su una nota dell'inconscio? O è solo
umorismo involontario? L'inconoscibilità delle conseguenze
non è tale perché in attesa delle nostre decisioni, né la nostra
indecisione dovrebbe volonterosamente soggiacere a una
presunta inconoscibilità degli errori da cui nasce. La
presunzione della critica non è mai dipesa dal grado di
aderenza di essa alla realtà di cui si faceva interprete nel ruolo
più congeniale, tutt'al più ha saputo rammaricarsi di non
discostarsene abbastanza da non esserne pregiudicata.
L'impensato che la critica si è sforzata di raggiungere è
coinciso con il punto di partenza della teoria critica, senza
dubbio non accorgendosi che di impensato non poteva trattarsi,
e dunque che ciò equivale ad ammettere che non poteva essere
che la constatazione che la dialettica dell'illuminismo non era
stata superata dalla trialettica dello spettacolo. La deriva non
aveva portato avanti che la disillusione sui presupposti del
superamento. L'etica e l'emotività non fanno passi da gigante,
anche se mai qualcuno ha detto che siano immobili, più del
giudizio almeno. La mistificazione è inerente alla critica, non
un pericolo o una deviazione, ma la sua vocazione.

37
Scritti ed altre traduzioni

Siamo in ritardo ma tanto peggio! Mordiamo i morti e


facciamo ai vivi impossibili segnali, cui tuttavia attribuirò un
senso nettamente negativo. La battaglia infuria...Ma noi
lasciamo qui le nostre insegne di cani... Jean-Pierre Duprey
La critica radicale non ha mai avuto, in realtà, un fine pratico
comprensibile, dato che non è stata mai capace di formularne
uno senza contraddirsi. La noia sarà controrivoluzionaria, ma i
teorici non sono meno noiosi di quanto siano mistificatori. La
banalità delle loro pratiche non è maggiore delle pretese dietro
cui nascondono la nullità pratica di ciò che esibiscono.
L'assenza di un obiettivo non è il nulla di fronte alla miseria
della realtà di chi vantava pienezze di piaceri ininterrotti e
sterminati, ma la sua sostanza.
Sbarazzarsi di tutti i luoghi comuni della panacea del
comunismo e di tutto ciò che surrettiziamente utopico vi è nel
pensiero critico è il primo conseguente passo.
Riportare il pensiero critico nel processo di descrizione del
presente, in cui le sue manifestazioni hanno lasciato l'unica
traccia degna di interesse, per quanto dietro ogni descrizione vi
sia un punto di vista dal quale la prospettiva del superamento
prende senso.
Non credere di essere esclusi dalle conseguenze dello
spettacolo del ritorno del politico.
La critica radicale, etimologicamente, deve ritornare ad
occuparsi della vita qual è, senza sperare in niente al di fuori di
ciò che è irragionevolmente disperato, dato che la falsità è la
dimensione costituente della realtà.
Di ciò che è la vita ci rende consapevoli più il tempo, per un
affinamento naturale, che l'intelligenza, per cui se l'adolescenza
ha misurato la sua debolezza sulle pretese della critica radicale,
da molto più tempo si staglia ai nostri occhi l'opposta posizione
in cui si è ritirato l'inganno.

38
Scritti ed altre traduzioni

Il discorso dello spettacolo: il nostro dilagare sarà per sempre


incontenibile, per quanto le parole per sempre non significhino
nulla; il discorso della critica: la nostra fragilità, sappiamo che
non è indistruttibile, il silenzio, senza imbarazzo, ci conosce.
La nihilazione è la soglia dalla quale lo spettacolo è entrato
nello spettacolo della fine interminabile. Alla critica non è
riservato niente, come nelle migliori occasioni che le sono
capitate.
La costituzione positiva della critica radicale, nella dimensione
spettacolare della falsità, si presenta nella pratica
dell'abbandono definitivo dell'eccezionalità pseudoartistica.
Non difenderti dalle nostre chimere, ha detto la critica a chi la
abbracciava, perché non lo sono, non proteggerti dall'inganno
con cui ti nascondo a te stesso, perché sostengo di essere
trasparente al tuo giudizio. Io amo il capovolgimento con il
quale ti rendo strumento di ciò che non sappiamo.

39
Scritti ed altre traduzioni

Observatoire de Téléologie

Sulla storia

A) Definizione della storia


Qui e ora comincia la storia. Lo spontaneo,
l'immediato, il presente sono l'inizio della storia. Il
passato è una prefazione, che, come tutte le prefazioni
è scritta dopo, a cose fatte, nell'avvenire, nella
riflessione, nella mediazione. Il presente comincia la
storia, e il passato dà del tempo a questo inizio.
Questo movimento è il movimento determinante della
storia: il passato è una proiezione del presente, il
passato comincia nel suo avvenire, il presente, e non
l'inverso. La storia è una progressione verso l'origine.
Questa concezione dialettica della storia non è nuova,
poiché Schiller ed Hegel la insegnavano
correntemente. Ma il positivismo materialista ha
imposto dopo agli spiriti un'altra prospettiva della
storia e del tempo: l'inizio della storia è posto in basso
e dietro; il presente è il punto più elevato e il più
avanzato; e l'avvenire è il seguito, come in una linea
punteggiata, di questa scala regolare, infinita e
immutabile. In questa progressione per piani si
disegna la sintesi vettoriale della visione del tempo
veicolata dalle religioni cristiana e musulmana: mentre
per i cristiani il passato è dietro e l'avvenire davanti,
per i musulmani la progressione nel tempo è verticale,
il passato è sotto e l'avvenire sopra. Così, la scala

40
Scritti ed altre traduzioni

trionfale del positivismo economico soddisfa entrambe


queste due visioni nei momenti senza storia, e le
delude altrettanto nei momenti in cui, all'improvviso,
gli esseri umani la fanno.
L'inizio della storia, il presente, è dunque sempre lo
stesso, e sempre cangiante. Ogni nuovo inizio della
storia corregge in apparenza giacché trasforma in
realtà tutto il tempo conosciuto. La notte dei tempi,
l'origine del tempo, è da realizzare. Vale a dire che il
presente sta per produrre l'esordio alla sua fine. In
questo avvenire in cui il presente, l'inizio della storia
conterrà interamente il passato, esso conterrà
interamente l'avvenire. La fine della storia come fine
del tempo è logica a condizione che la storia cominci
qui e ora. Tuttavia, la storia non è, come lascia
supporre il suo inizio, una successione di inizi ciascuno
dei quali annulli il precedente. Al contrario, dato che
ogni particolare inizio storico, ogni presenza attuale
della storia, contraddice la totalità precedente, è a sua
volta contraddetto dalla totalità, questa generalità di
cui la storia è il movimento delle determinazioni. Nel
tempo stesso in cui questa divisione rivela la novità, il
nuovo inizio della storia è a tal punto impregnato del
passato che ne sembra il risultato. Ciò accade soltanto
quando la novità che rivela questa brutale divisione
nel tempo trasforma tutto il passato, quando l'unità del
particolare inizio storico e della totalità precedente si
realizzano nel loro superamento, come determinazione
della totalità derivata dalla sua divisione. Ma, qui e
ora, mai questo movimento si compie in una simile
semplicità astratta e teorica. Poiché in verità qui e ora
è prima di tutto la negazione di un movimento astratto

41
Scritti ed altre traduzioni

che sarebbe infinito. Tutto nella storia è singolare. La


storia può anche essere considerata, da coloro che
vogliono coglierla nel momento in cui appare, come la
singolarità delle singolarità.
Quindi , la negazione dell'eternità è la prima negazione
che proviene dal presente come inizio e fine della
storia. La storia è disputa, qui e ora, non felicità. I
periodi di felicità vi sono presenti come pagine
bianche, se per felicità si intende la felicità religiosa, la
felicità positivista, la felicità economicista, la concordia
priva di discordia. La storia è un conflitto. E' un
conflitto sul suo stesso obbiettivo e, di conseguenza,
nei suoi intervalli, sui mezzi con cui pervenirci. Per
questo qui e ora diviene innanzitutto negazione dei
principali presupposti concernenti la storia.
Sarebbe possibile fornire qui e ora una definizione di
storia. Ma giustamente questa sarebbe l'opposto del
suo concetto, che è la rivelazione negativa di ciò che
se ne dice, di ciò che se ne crede, di ciò che ne è
alienato. Una definizione affermativa coabiterebbe
tranquillamente tra le altre, qali che siano la sua
negatività, la sua giustezza, la sua forza. La situazione
storica oggi impone di unificare l'affermazione della
storia nella negazione delle sue affermazione separate.

42
Scritti ed altre traduzioni

1) La storia è una

Questa esigenza ha come conseguenza immediata una


prima affermazione così inusitata nella nostra epoca
da non poter apparirvi che estremamente ridicola o
esageratamente rigorosa. E' proprio l'affermazione
dell'unità della storia contro la moltitudine di
affermazioni contrarie: non c'è che una storia. Questa
banalità è sostenuta generalmente quanto il suo
contrario, e per di più, certo, dalle stesse persone. Di
fronte alla confusione crescente sui concetti, è di
primaria importanza oggi sostenere con la più
inflessibile intransigenza l'affermazione della storia
come totalità. La storia è unica. Ehi, ci sono diverse
umanità?
Concretamente, questo significa che c'è già
falsificazione a parlare di storia del XVIII secolo, di
storia di Parigi, di storia del corpo umano, di storia del
mio vicino, di storia di un tavolo o di storia della
libertà. Raccontare una storia è un abuso linguistico,
una deviazione pauperistica, in cui uno dei significati
secondari confessa questa impresa: dire una
menzogna. Beninteso, tra una storia e la storia, si
tratta piuttosto di omonimia che di sinonimia. E se
tutto il mondo ne fosse cosciente e distinguesse senza
esitazioni tra una storia separata e la storia, che
sopprime la separazione e che contiene tutte le storie
separate in quanto separate, non sarebbe necessario
proseguire oltre. Ma gli storici di professione, che
dovrebbero essere chiamati nemici della storia, non
contenti di applaudire ogni storia separata, sono
arrivati a ideologizzare le separazioni nella storia

43
Scritti ed altre traduzioni

secondo le loro specializzazioni. Definiscono questa


giustificazione della loro abdicazione, la pluralità della
storia. Pluralità è una scorciatoia per dire democrazia
tra i servitori della democrazia cosiddetta occidentale.
Pluralità è divenuto uno slogan, uno slogan morale,
come per esempio la tolleranza, che contiene un
anatema: coloro che obiettano a questa o quella
pluralità sono dunque dei totalitari, supporters di
qualche tirannia, nemici di ogni democrazia. Questi
intellettuali del genere Tersite sono così poco
contraddetti, sia per disprezzo, sia per apatia, sia per
ignoranza, che le loro concezioni contro la storia si
sono oggi insinuate pressoché unanimemente. Ma ciò
che meglio sostiene il miserabile commercio di questi
che svendono a pezzi sciolti, staccati, è quello che
trapela in ogni storia separata, sia per far
addormentare i bambini, sia a edificazione degli
adolescenti, sia per ingannare i loro genitori, sia per
stuzzicare i vecchi, cioè la storia presente, sia sotto
forma di traccia di un passaggio fugace, sia
nell'organizzazione della sua assenza. In effetti, la
determinazione più paradossale della storia è che
l'assenza di storia sia storia. Così, tutto è storia. Ma i
nemici della storia sono coloro che alimentano
l'amalgama tra l'altero concetto del tutto e il suo
contrario, qualunque cosa, non importa quale. Per loro,
qualunque cosa, non importa quale, è storia. Tra
assenza di storia e storia non c'è più differenza. In
realtà, l'assenza di storia è una determinazione
semplice della storia, come loro unità, che è la loro
verità. Ma le determinazioni dell'assenza di storia non
sono determinazioni della storia. Ora queste

44
Scritti ed altre traduzioni

determinazioni dell'assenza di storia, elevate nella


separazione e nell'indifferenza al rango di
determinazioni della storia, non soltanto dai valletti
della corporazione degli storici autonominatisi tali ma
dai valletti di tutte le altre corporazioni, autorizzati
dall'esempio, finiscono di nascondere l'unicità della
storia in questa sodaglia, in questa prostituzione.
Il miglior esempio di un conflitto pratico tra gli umani
che non sia che indirettamente storico è la guerra del
1939-1945. Questa guerra, detta mondiale, non è che
una conseguenza della disputa storica del 1917-1921,
la lontana repressione del partito sconfitto in quel
dibattito, che ha ha avuto tanta ampiezza quanto è
lontano. Ma è proprio nel 1917-1921 che ci fu un
dibattito sull'umanità, e non nel 1939-1945, quando
non ci fu che un'esecuzione delle conseguenze, cioè
un dibattito all'interno del partito che aveva vinto. In
seguito questo partito ha cercato di sostituire le sue
dispute alle dispute che ci sono nel mondo, la sua
storia particolare alla storia generale dell'umanità. La
falsificazione è aggravata nell'esempio del 1939-1945
dall'amalgama consistente nel far credere che
l'avvenimento che produce l'impressione più forte sia il
più importante. Dopo la guerra del 1939-1945, che è
dunque rimasta l'avvenimento più importante del
secolo per la schiacciante maggioranza di coloro che
stanno per uscirne, questa tecnica che si è
generalizzata è stata uno dei più potenti divisori della
storia nell'intelligenza del partito battuto nel 1921 e
dissanguato nel 1945.
La storia come totalità è generalmente percepita come
un mito. La piccolezza contemporanea ha abdicato in

45
Scritti ed altre traduzioni

pratica davanti alla grandezza dell'oggetto, sebbene,


così come essa confonde il suo inizio e la sua origine,
essa svaluta poveramente la storia come unità delle
storie separate facendola cominciare ... con una S
maiuscola. In più si tratta di una vera alienazione della
logica che appiattisce la storia "universale" in un'altra
storia particolare di più: oggi è esclusivamente dal
particolare che si astrae il generale e non più dal
generale che si determina il particolare; è
dall'avvenimento che si induce la storia e non dalla
storia che si deducono le esigenze e gli imperativi che
fanno sì che un avvenimento la riveli o no. La storia
reale è un tutto di cui la ricchezza e il senso non
stanno nella quantità delle determinazioni, ma nel loro
rapporto con il tutto e che per la brevità e il carattere
straordinario delle sue manifestazioni ne esclude quasi
tutti gli individui, e gli altri pressoché tutte le volte.
Essa ha un inizio e una fine e un contenuto in
movimento: ci sia o non ci sia storia nella libertà, in un
tavolo, dal mio vicino; ci sia o non ci sia storia nel
corpo umano, a Parigi o nel XVIII secolo.
Tuttavia, l'inizio della storia posta come totalità, che ci
possa essere o non essere in ogni istante, è prima di
tutto ogni novità, indeterminata, per l'umanità. Ma la
novità è ciò che si oppone alla totalità esistente, la
rivoluziona. E' adesso l'induzione che è necessaria per
determinare la totalità, nuovamente. E' così che dalla
totalità nuovamente concepita si deduce, come
determinazione della storia, la novità che, durante
l'operazione, smette di esserlo. Ma non c'è niente di
più ingannevole di una novità che sparisce così presto!
Niente di più comune dell'ignoranza, che vieta così

46
Scritti ed altre traduzioni

spesso di scoprire ciò che è nuovo perché permette di


supporre nuovo ciò che non lo è! Niente, infine, di più
limitato in genere della coscienza individuale, che
rifiuta quasi sempre di concepire la totalità cambiata
anche quando ciò che la fonda si rivela rovesciato!
Tanto più che se la coscienza individuale non afferra il
movimento storico come novità, è il movimento storico
che afferra gli individui come anticaglia senza
coscienza. Giacché ogni momento storico è
immediatamente dibattito tra novità e totalità dove
coloro che tacciono e coloro che arrivano in ritardo
sono esposti a tutto il disprezzo a tutta la severità.

47
Scritti ed altre traduzioni

2) La storia è una attività

Come la storia è il dibattito sulla novità, la prima


novità che la storia rivela è la novità del dibattito. Ai
tempi di Erodoto e di Tacito, l'indagine sugli
avvenimenti appariva come la base necessaria di
questo dibattito. Tra coloro che dirigevano questa
indagine, che furono chiamati storici, e coloro che ne
apprendevano lo svolgimento, figuravano coloro che
dirigevano questo dibattito universale. I loro scritti, che
costituivano la memoria degli avvenimenti passati e la
legge degli avvenimenti futuri, erano rispettati quanto
il dibattito stesso, che precede o conclude l'azione. Per
disgrazia l'umanità, che sia o no istruita sulle indagini
del passato, non ne ha mai tenuto conto dato che
l'azione supera la parola nei momenti decisivi di una
disputa. Generalmente questo disprezzo è attribuito
alle passioni che sollevano così furiosamente dei
dibattiti tra gli uomini. La contraddizione tra
l'emozione vissuta e l'emozione descritta e giudicata
ha escluso gli storici antichi dal dibattito di cui hanno
restituito solo un riflesso. Giacché il verbo già non è
più il predicato del dibattito. Giacché lo spirito già
regna sulla coscienza ma non la coscienza sullo spirito.
Giacché diviene già visibilmente falso dire che la storia
inizia con la scrittura.
Nelle sue "Lezioni sulla filosofia della storia" Hegel
permette un bizzarro compromesso: la storia sarebbe
fatta sia da coloro che la raccontano che da coloro che
la fanno. Essendo la storia il movimento dello spirito,
coloro che ne trasmettono coscientemente le
determinazioni, gli storici, contribuirebbero alla storia

48
Scritti ed altre traduzioni

quanto i conquistatori e i fondatori, che ne forniscono,


in qualche modo, la sostanza. E' notevole non tanto
l'imbarazzo di dover giustificare il ruolo determinante
di coloro che narrano la storia quanto la constatazione,
già tanto allontanatasi dagli antichi, che la storia, il
dibattito spirituale dell'umanità, può essere condotto
da altri che non sono coloro che la redigono. Il mondo
di Hegel è già un mondo di dispute dove la parola,
anche quella utilizzata da Hegel, è riconosciuta essere
nient'altro che un mezzo del dibattito.
Oggi, la prima novità del dibattito, le cui conseguenze
sono incalcolabili, conferma il movimento che si vede
indicato all'epoca di Hegel: il dibattito è pratico e
pratico soltanto. Gli uomini veramente non disputano
più a parole. L'ancestrale costume di sanzionare una
disputa con una parola, di dichiarare una guerra o di
stabilire un trattato di pace, è scomparso. Gli uni
utilizzano le parole come un'arma molto particolare,
per paralizzare o disorientare; gli altri, la maggior
parte, incapaci di servirsi delle parole senza
sprofondarvi o inciamparvi, ne sono sempre più
estranei. Perfino tra i banditi e gli analfabeti, il rispetto
per la parola si allenta. E' così che una nuova
espressione, delle nuove espressioni, già si esprimono.
Beninteso, la novità qui non è che la storia sia pratica
e pratica soltanto, e che il fatto di raccontarla, di
commentarla, di analizzarla non è la storia ma
semplicemente una pratica di collegamento,
subordinata alle altre come lo stato maggiore è
subordinato al generalissimo, ma che all'epoca di
Hegel, di Tacito, di Erodoto era già la stessa cosa. Fare
la storia è il miglior modo di raccontarla.

49
Scritti ed altre traduzioni

Inversamente a ciò che la pratica della storia rivela, i


deliri degli storici attuali: per loro, solo gli storici fanno
la storia. La storia è diventata una materia. E questa
materia è scolastica. La storia è una scienza sociale,
cioè un certo numero di specialisti salariati che
ritagliano il passato davanti a un certo numero di
studenti. Nella presente disputa dell'umanità, coloro
che si definiscono storici non hanno neanche la
funzione di stato maggiore al servizio di uno dei due
partiti, ma quella di un'arma paragonabile pressappoco
a quella della seppia: schizzano inchiostro per impedire
la visibilità. Ecco qui qualche opinione di uno degli
innovatori più ammirati di questa setta d'insetti,
Fernand Braudel: "Per me, la storia è la somma di tutte
le storie possibili - una collezione di mestieri e di punti
di vista, di ieri, di oggi, di domani". Tutto ciò che uno
qualunque afferma che sia storia può aggiungersi alla
storia; la storia è un lavoro di specialisti, non l'attività
di tutta l'umanità; non ha importanza quale collezione
di punti di vista vi si incolli, si è lo stesso invitati a dare
credito all'avvenire, cosa che non è di certo più
rischiosa di dare credito a Braudel. "Siamo contro
l'orgogliosa parola unilaterale di Treitschke: Gli uomini
fanno la storia. No, la storia fa gli uomini e forgia il loro
destino." Per rispondere alla prima metà di questa
inversione retorica per studenti, se non sono gli uomini
che fanno la storia, chi è? E per rispondere alla
seconda deploro semplicemente che, se la storia fa gli
uomini, essa disgraziatamente si sia lasciata sfuggire
Braudel nel suo passaggio. Infine cos'è cambiato tra il
1930 e il 1950 nel Bordello intellettuale al quale la
storia si è ridotta? " (...) l'opera eclatante di Ernest

50
Scritti ed altre traduzioni

Labrousse, il contributo più nuovo alla storia degli


ultimi vent'anni." Stupidaggini come la Comune di
Barcellona e la doppia insurrezione di Varsavia, per
non citare che quelle, in un periodo triste quanto
Labrousse. Non meraviglia che coloro che fanno la
storia, quelli che la praticano, come attività generica
degli uomini, non ci pensino proprio ad appropriarsi del
titolo, divenuto ripugnante, di storico! Così, i nemici
della storia, che pretendono di congelarla in una
specialità scienteuse [così nel testo originale],
adempiono alla loro funzione, di cui non hanno più
coscienza, nel dibattito di oggi: separare la storia come
attività, ed anche come possibile, dalla coscienza dei
suoi attori, anch'essi potenziali.

51
Scritti ed altre traduzioni

3) La storia è una attività presente

Dopo aver propagato come prima impressione che la


storia non è una attività, e non è alla portata di tutti, lo
storico di professione ne veicola questa: la storia è il
passato. Per quanto abbastanza poco radicata perché
vaga e generica, questa idea, la più diffusa tra i poveri,
contribuisce potentemente ad annegarli nella
rassegnazione. Lo stesso storico, nella sua erudizione
polverosa o nel suo sapere separato, nelle sue
fissazioni libidinali che stupiscono senza attirare e
raccontano senza comprendere, e nel suo recente
esibizionismo che magnifica la sua ripugnante
vecchiezza, si intromette tra i poveri e la storia come
un decadimento temporale: la sua persona raffigura il
passato.
E' importante qui parlare dello storico un po' più di
quanto meriti, perché, volenti o nolenti, è divenuto
l'autorità intellettuale che garantisce la perdita di
coscienza storica. Lo storico, oggi, è spostato dalla
storia presente in proporzione al suo spostamento dal
terreno del dibattito presente. In verità, succede che
degli storici trattino degli "argomenti di attualità", ma
allora vengono raggelati in mezzo ad argomenti
appartenenti ad un passato che hanno freddato. Così
come contribuiscono a raffreddare l'attualità. Queste
sterili comunelle con il presente agiscono, secondo un
luogo comune, come delle eccezioni, molto rare, che
confermano la regola: la storia è il passato.
Mai, nel loro lavoro sul passato, gli storici tentano di
servirsene per trasformare il presente. Al contrario, la
storia, essendo esclusivamente il passato, conferma il

52
Scritti ed altre traduzioni

presente. Poiché il primo risultato della storia


esclusivamente passata è che la storia non è presente,
è esclusa dal presente. Dopo aver spiegato con la loro
attività che la storia non è una attività, gli storici
spiegano con il loro ritardo che la storia è un ritardo.
Questo risultato è rafforzato da un fatto che non viene
espresso: evidentemente, ogni povero, compreso ogni
storico, sa bene che oggi la storia c'è,
indipendentemente dalla professione: ma questa è la
teoria! Nella sua pratica il povero, compreso lo storico,
verifica quotidianamente il contrario, e altrettanto
bene lo afferma: la storia non c'è più. Senza poterla
esprimere, questo povero ha la vaga sensazione che si
trova volta a volta al di qua e al di là della storia,
nell'infinito. Rinunciando a cambiare il mondo, si
persuade che il mondo non cambia, non cambierà più.
Così gli è molto più difficile identificarsi con gli attori
della storia passata. Gli storici, a seconda della loro
parrocchia, impongono l'uno o l'altro modello il che ha
come conseguenza di giustificare il povero
nell'angustia senza progetto della sua sottomissione:
che gli siano mostrati dei personaggi celebri nel loro
quotidiano e nella loro miseria in maniera che il nostro
spettatore si convinca che gli attori della storia erano
poveri quanto lui, cosa che lo blandisce, o che almeno
sia così ricco da non aver niente da fare; o che già dal
passato più remoto fossero i concetti astratti a far
girare il mondo; qualsiasi cosa facciano gli uomini
inutile darsi da fare, o erano già i poveri che stavano
facendo la storia, nella loro vita quotidiana e nel loro
lavoro, nella loro "sessualità" e nella loro "cultura",
anche senza saperlo, dunque inutile cambiare. In tutti i

53
Scritti ed altre traduzioni

casi, niente di eccitante, niente di grande, niente di


bello: niente da prendere, nemmeno in mano. il
passato non è che un tempo imperfetto, in rapporto al
presente. Di conseguenza è meglio esistere oggi che
nella storia. Nel passato, trattato com'è, il povero
moderno, trattato com'è, scopre solamente che ha
interesse a separare l'oggi e la storia.
In "1984", Orwell critica violentemente la riscrittura
permanente del passato. A questa pratica stalinista si
oppone il credo dell'ideologia dominante oggi, il
principio di una storia obiettiva, di un passato di cui
sarebbe possibile in qualche modo fissare i termini in
maniera definitiva. Al contrario, il passato non viene
soltanto ripensato, ma si scopre e di conseguenza si
modifica alla luce del presente. il dibattito sull'umanità
cambia costantemente argomenti, verbo, campi di
battaglia, armi, protagonisti e prospettive, e dunque
metodi e mezzi d'osservazione, ma anche per
esprimere il passato, tutti necessariamente soggettivi.
Ciò che differenzia questa riscrittura del passato da
quella criticata in "1984" è che quest'ultima è
poliziesca. Distrugge e proibisce quelle che l'hanno
preceduta, il che è ciò che denuncia giustamente
Orwell come eccesso di menzogna, come
annientamento della storia; mentre la riscrittura della
storia passata, che è necessaria al partito che fa la
storia, è il confronto costante di tutte le contraddizioni
della sua operazione, del passato e del presente, della
conoscenza e dell'ignoranza, della novità e del suo
superamento.
Sia reazione alla trasformazione della storia in passato,
sia volontà di ricondurre il paradiso sulla terra, dopo

54
Scritti ed altre traduzioni

Marx, la teoria più radicale avanza l'idea che noi


saremmo ancora nella preistoria. La storia sarebbe
l'avvenire, unicamente l'avvenire. Finiamola con la
preistoria qui e ora. La preistoria è un'invenzione degli
storici per marcare la differenza qualitativa con l'epoca
in cui non esistevano ancora degli storici, dislocata da
Marx per marcare la differenza qualitativa tra la
società comunista realizzata e la nostra. In tutti e due i
casi la preistoria è il tempo che precede la padronanza
del dibattito dell'umanità sull'umanità. poiché la nostra
epoca rivela che la scrittura non è la condizione sine
qua non di questo dibattito, nulla prova ancora che sia
mai esistita un'epoca senza dibattito sull'umanità;
mentre tutto lascia supporre che il momento della
padronanza di questo dibattito sarà il suo silenzio
finale. E' per questo che il dibattito imperfetto e
indistinto che ha luogo qui e ora è davvero tutta la
storia. Trasporla nell'avvenire veicola la stessa
concezione del confinarla nel passato: la credenza in
un tempo eterno. Per gli uni, non c'è più storia, il
presente è eterno, per gli altri, non c'è ancora storia,
l'avvenire è eterno. Per entrambi, il tempo eterno è la
felicità, ed è là che si realizza l'uomo totale. Per conto
mio, non sono credente. La storia ha una fine,
l'umanità anche, e non ci sarà mai l'eternità.

55
Scritti ed altre traduzioni

4) La storia è un gioco

La storia è il momento più breve immaginabile, ora. E


la storia è tutto il tempo misurabile dell'umanità.
Questa estensione impressionante, che pare
infinitamente grande, non esiste che in un istante che
pare infinitamente piccolo. Da queste due grandezze
contraddittorie, la storia trae la sua gravità e
l'inesauribile ricchezza del mondo, uno scoppio di risa
in mezzo a un corteo di miserie.
La fine della storia, la realizzazione dell'umanità, è il
fine della storia. La realizzazione della vita individuale
non è diversa dalla realizzazione della storia: dato che
nessuno nessuna vita individuale si è ancora
realizzata. Il bisogno di questa realizzazione
simultanea dell'individuo e della specie contiene, esso
soltanto, la soddisfazione definitiva chiamata felicità.
Ma la felicità non è che un'idea non verificata, un fine
indeterminato. Ma è questo scopo tuttavia che rende
identica ogni grandezza alla sua vita, e attira gli esseri
umani come un amante, che, per il momento, è ancora
al di là della loro vita. Il loro fine è il solo vero bisogno
che li fa vivere. E' un bisogno che propriamente non è
fatto che dal contrario del bisogno. Altrettanto la
realizzazione della storia è, a sua volta, bisogno
dell'individuo e dell'umanità. E' il bisogno che contiene
e fonda tutti gli altri. La gloria è l'impronta con cui la
storia marca coloro che se ne impadroniscono. Nella
nostra epoca, la poca stima per la gloria, la stessa
scarsa gloria misurano la vastità della rassegnazione
dell'umanità nel realizzarsi.

56
Scritti ed altre traduzioni

Coloro che ambiscono alla gloria, coloro che sanno o


vogliono fare la storia, sanno pure che la storia è un
gioco. Per gli altri, che ne sono i pedoni, la storia è una
successione di catastrofi: la storia è il dibattito di cui
sono il bavaglio, la disputa di cui sono il tampone, la
guerra di cui sono i cadaveri, l'abbraccio di cui sono il
divieto. I giocatori che conoscono questo gioco
estremo che va al di là della loro vita sanno che loro
stessi dovranno andare al di là di sé stessi; e,
probabilmente, questo non basterà. Invece di
scoraggiare, questa esigenza smisurata attira. Non
enumererò le qualità che servono per vincere, giacché
servono tutte. Voglio semplicemente far capire che lo
scopo è la vittoria: che la storia sia corta!
I nemici della storia dicono: che la storia sia lunga; ed
anche: che la storia si fermi! Questo gioco assoluto è il
gioco per padroneggiare la totalità, che appartiene
all'umanità intera, ma anche il conflitto dell'umanità
divisa. In effetti, ciò che rende assoluto il gioco è che
non vi sono altre regole oltre a quelle, tutte e sempre
effimere, che si danno i partecipanti. Il sacro è una
regola del gioco profano, l'infinito è il labirinto
dell'illusione nella storia, l'assoluto stesso non è che la
regola implicita di porre delle regole esplicite.
La storia infine è per la vita ciò che il quotidiano è per
la sopravvivenza, la misura del suo tempo. Il gioco è
l'attività generica dell'uomo, in cui l'intelligenza è
l'unità di cuore e di cervello. Nel suo bisogno di
praticare il gioco, la storia, l'essere umano incontra la
necessità come miseria, come accidente, come
alienazione della sua intelligenza. La nostra epoca
completa il mondo rivelando il lavoro come opposto

57
Scritti ed altre traduzioni

del gioco, la necessità come opposto della vita, il


quotidiano come opposto della ricchezza. La ricchezza
non è mai necessaria. L'umanità può sopravvivere
senza storia. Gli smarrimenti del cuore e dello spirito
possono andare fino all'oblio del cuore e dello spirito,
fino alla rassegnazione. L'amore e il genio si sono
rarefatti, non criticati, nell'inflazione dei loro ersatz, dei
loro surrogati dallo stesso nome. Nel gioco non ci sono
lezioni da imparare più che leggi rispettabili. La
ricchezza pratica, la storia, non ha come unica
esigenza, limite e principio che la volontà degli esseri
umani, cioè il loro gusto del gioco e di finirla.

58
Scritti ed altre traduzioni

5) In definitiva

La storia è il gioco dell'umanità intera e divisa, qui e


ora. Ha come scopo la padronanza e la fine
dell'umanità e del tempo.

59

Potrebbero piacerti anche