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Giovannelli

Questa curiosità della bambina nei confronti della sessualità di tutti gli individui e arrivare ad intuire
che non c’è differenza tra il bianco e il nero, per lo meno per quanto riguarda la corporeità. Poi fa
commenti di altro tipo:
Con me non aveva molta autorità, e credeva che ogni volta che qualcosa andava storto, e mia
madre non sapeva come comportarsi con me, lui stesso ti tratteneva dall’intervenire, lui notava
queste difficoltà ma evitava di entrare direttamente in questa tenzone, ci guardava con un po’ di
pazienza dell’uomo che ascolta litigare due donne, e adesso disse: qual è il problema? Ma lo
sapeva che era stato detto, era come se lui desse lo stesso peso alla mia versione e a quella di
mia madre. Forse anche per evitare di gettare benzina sul fuoco preferisce non intervenire.
Not going anywhere  e invece va; quindi l’uso anche antifrastico del linguaggio. C’è uno iato: da
una parte la legge unwritten dei bianchi e dei genitori che, in buona fede, le vietano di lasciare la
casa, e lei ripete a se stessa  not going anywhere ma di fatto va. E un paio di pagine dopo,
quando uscirà dal cancello e dal giardino e comincerà a dirigersi in un’altra zona, nella zona
pericolosa dell’area mineraria, quella dei negozi alimentari, bazaar, in genere gestiti dagli ebrei,
mentre si sta per dirigere verso questi stores, c’è una bambina che la chiama (dove stai andando?)
e lei risponde  I’m going somwhere.
sia dal punto di vista della parola, degli scambi verbali, ma anche della rappresentazione dello
spazio, dello spazio, dei confini, il senso di claustrofobia, il senso di disagio della bambina che non
riesce ad accettare questa imposizione, anche se la percepisce come una legge inviolabile e
quindi comincerà da qui la sua esplorazione.

È forte anche l’enfasi sul senso di ribellione. Il senso di piacere nuovo che le da il non rispondere
alla madre.
“riuscivo a percepire i miei genitori, stand tall over me  fa riferimento alla bambina che noi
immaginiamo accovacciata, in terra che gioca con il fermaglio e i genitori si avvicinano a lei e lei li
vedi altri, ma to stand tall over somebody vuol dire anche esercitare il senso di potere su qualcuno,
e quindi c’è questa semantizzazione del linguaggio, i genitori che rappresentano l’ autorità che lei
sta sfidando. Ora ce ne andiamo, tutto qui, disse mia madre. Lo dice in maniera fredda e poi c’è
l’espressione della madre con il mento che è come tirato in segno di offesa, questo senso di
tensione.
La porta sul retro è aperta e può essere lasciata da sola, in qualche modo si arrangerà, dice la
madre, se qualcosa le accade, è sua la responsabilità, io non ho intenzione di rovinarmi il
pomeriggio per lei.
Allora Hellen dice dentro di sé: ha esagerato, ha rovinato l’effetto. Tutti sapevamo che io le avevo
rovinato il pomeriggio perché la madre è terrorizzata all’idea di lasciare la figlia sola. La madre era
convinta che qualcosa le sarebbe accaduto, la madre era consapevole del fatto che il suo
procedere verso il cancello era una messa in scena, un’indifferenza ostentata che le costò molto,
più di quanto le valesse la pena, lei si mette in macchina in attesa che il marito mettesse in moto
con lo sguardo rivolto dritto verso di lei e il padre, la tenerezza del padre “andrà tutto bene Nell,
(diminutivo di Hellen), giocherai tranquillamente ma rimanendo nel giardino, disse mio padre
accarezzandomi la testa mentre andava anche lui in macchina, e poi al cancello lui si voltò, come
se mi volesse dire qualcosa anche se in realtà va verso la macchina; e la macchina prese vita nel
momento in cui il padre schiacciò il pulsante dell’accensione, questa macchina che inizia ad
ansimare, obbedendo all’ordine dell’uomo che la guida e poi mio padre mise la marcia, la
macchina scivolò e passò con un fruscio attraverso l’erba fitta sul cordone del marciapiede e la
macchina si incamminò verso la strada, e allora solo quando scomparve, io sollevai lo sguardo:
c’era il sole che illuminava la pineta, e un odore vago di benzina dalla strada ormai vuota dove si
trovava la macchina, allora cominciai a camminare intorno al prato, in equilibrio sui mattoni che
disegnavano il perimetro del quadro ( noi ci immaginiamo questa bambina che si tiene in equilibrio)
e che cominciai a sussurrare più volte, “non andrai da nessuna parte “ e invece io andai avanti,
scavalcai il cancello, andai sulla strada. E poi descrive i rumori e le persone che vede, Sembra al
momento che non accada molto. C’è l’immagine di questo cane (10:27) che fa zig zag per la
strada senza avere una meta precisa, poi in realtà qualcosa accadrà; e poco dopo mentre Hellen
procede ci sarà una vicina di casa che le chiede: dove stai andando? e lei ripeterà più di una volta:
somewhere, I’m going somewhere. Quindi questo è l’inizio del romanzo, un inizio incisivo, inizio in
cui il personaggio ci lascia una precisa impressione sul lettore.
Lei vuole leggere l’epilogo e vedere come la bambina è cambiata, è maturata, e mantiene sempre
una forza decisionale ma sicuramente il tono non è lo stesso.
Ultimo capitolo. Il romanzo è diviso in 3 parti e tanti capitoli. L’ultimo capitolo è breve ed è il 38.
Gordimer guarda alla Bronte anche se raramente fa riferimento alle Bronte come suoi modelli.
Capitolo breve, come Jane Eyre che aveva l’ultimo capitolo breve, il capitolo 30 coincide con il 38
di Jane Eyre, solo che in Jane Eyre il 38 sigla l’integrazione di Jane, il suo social climbing, il
trovare il compagno e la maternità, per Hellen questo non avviene, perché l’uomo che ama (Paul),
rapporto viene interrotto a causa della società, non perché sia bianco, ma perché le tensioni sono
talmente tante che il pubblico finisce per sovrastare il privato.
Leggiamo l’ultima pagina:
Dopo una serie di esperienze, Hellen sente di non avere più l’energia di confrontarsi con un paese
cosi complesso, ha bisogno di andare via per un periodo, decide di lasciare il Sudafrica e decide di
trasferirsi in Inghilterra, almeno temporaneamente, ma il viaggio non viene descritto perché il
romanzo finisce prima che il romanzo inizi, il romanzo si conclude nella notte antecedente alla
partenza. Prima che Hellen prenda la nave per andare in Inghilterra, e non siamo nemmeno sicuri
che questo personaggi accetti di trasferirsi. È solo prefigurato il viaggio.
I must have been very tired that night […] dark. (ha letto l’ultima parte).
Questa atmosfera calda e ovattata  c’è la pioggia e l’umidità che rende tutto incerto.
Ancora non è partita e ci dice  Because I know that I’m coming back here (  ottimismo
realista).
La delusione non è la fine, non è il precipizio ma è l’inizio
L’ultima parola del romanzo non è white ma dark.

Quando leggiamo questo romanzo lo dobbiamo leggere in codice, è un’opera formativa per il
lettore, le parole sono dosate da Gordimer per veicolare quello che per lei resta sempre e
comunque il messaggio cruciale (la dignità della persona). L’ultima parola ce l’ha la darkness, il
nero e questi ragazzini neri che suonano il tamburello e intonano questa canzone, una canzone a
cui loro danno un’intonazione elegiaca, funerea ma non vuole essere minacciosa; il titolo della
canzone “bambola di carta” è molto significativo, sembra quasi che la nuova generazione e il
futuro che intronano un canto funebre per celebrare la morte della prima Hellen, questa bambola di
carta, della prima fase del suo percorso, e che la attendano forse per un ritorno in cui la sua mente
sarà non tanto più aperta (lei ha già compreso) ma più capace di misurarsi con questa realtà così
complessa, nella consapevolezza che non può essere un solo individuo a cambiare le cose, ma
più individui possono.
 la prima parte riguarda questa atmosfera notturna e la pioggia e tutto sembra confondersi, il
mare non è più visibile, si confonde con la pioggia, la luce dei fari delle auto si mescola con questa
nebbiolina, e allora “ mentre misi avanti le mani per entrare in contatto con il calore, allora sentii il
suono debole e delicato che mi risuonava nelle orecchie. Questo suono che si avvicinò. Era il
suono di tamburelli accompagnati da un canto mesto e vidi nella strada la fisionomia accalcata di
ragazzini neri, che cantavano mentre avanzavano sotto la pioggia. Il canto era una canzone nota
di qualche anno prima, ma nella loro versione questo canto sembrava malinconico e triste. Rimasi
immobile, per un minuto, e non dimenticherò mai le mie sensazioni: fui pervasa da un sentimento
di calma, e come se questa calma potesse durare per sempre, come se non scomparisse mai, non
è un momento in cui Hellen perde i sensi, lei ci dice che la sua mente era attiva con un senso
pragmatico, lei pensò: va tutto bene, ora voglio smettere di cedere di nuovo agli autoinganni, I am
not running away  può voler dire anche “non partirò” ( non abbiamo modo di verificarlo ) o anche
 “in effetti non sto scappando”, e questo viaggio non è una vera e propria fuga.
Qualunque cosa fosse quella da cui stavo scappando, forse il rischio dell’amore (questo suo
legame profondo con Paul), o forse il senso di colpa per essere bianca. Il pericolo di realizzare i
miei ideali, qualunque cosa fosse non ho intenzione di fuggire perché so che tornerò qui. Avevo
24 anni e le mie mani tremavano di soddisfazione per il fatto che io riuscii ad accettare LA
DELUSIONE COME UN NUOVO PUNTO DI PARTENZA ANZICHE LA FINE, nella poesia di
Yeats in epigrafe, questa idea viene ripresa, qui Hellen, nonostante la giovane età ha toccato con
mano la verità. La delusione fa parte del vivere e dell’esperienza. A lungo, dopo che rimasi stesa
sul letto, alla mia mente ritornavano anche i suoni di questi menestrelli (non proprio menestrello
perché fa pensare al medioevo) si tratta di suonatori ambulanti che suonavano il tamburello e
queste voci che scomparivano di nuovo nell’oscurità. Addirittura, a lei viene in mente la strofa
finale di Daffodils.
questa è la conclusione del romanzo.
Lei ha letto le fasi iniziali con quelle di chiusura alla luce di questa bildung che è un fallimento, ma
non è un fallimento della persona, la persona ha fatto tutto quello che poteva fare e poi ha trovato
questo ostacolo, un ostacolo che ci vorranno decenni per poterlo superare.
Rapporto con la madre: c’è da dire che la critica si è espressa in vari modi e c’è un filone critico
che ha dato molta importanza (prima ancora che all’aspetto del dialogo interetico) al rapporto fra
Hellen e la madre (visto che è un romanzo autobiografico) e secondo questo filone, anche il fatto
che Hellen alla fine la vediamo in procinto di partire per l’Inghilterra, il filone pessimistico della
critica ha letto il percorso di Hellen come se lei cedesse all’autorità della madre, lei ritorna alla terra
natale della madre di Hellen ma anche Nell Mayers, la madre di Gordimer, nel corso del romanzo il
filone critico ha evidenziato che Hellen si allontanerà dalla mother’s house ma la rottura non è mai
totale. Nei momenti critici della sua vita, sembra che abbia bisogno di confrontarsi con la madre.
Non c’è l’operazione esorcistica che la Woolf compie in To the lighthouse, qui la madre mantiene
un lato sinistro e soprattutto la madre condizionerà Hellen per la vita sentimentale, Hellen sarà
terrorizzata di confidare alla madre ( e inizia non lo fa ) il fatto che ha scelto di andare a convivere
con Paul e più volte esiterà e nel momento in cui trova la forza per dire alla madre che ha compiuto
questo passo, e quindi una convivenza fuori dal matrimonio (siamo negli anni 40 del Sudafrica
bianco) , la madre sostanzialmente la considera come una donna di malaffare, perché ha perso la
verginità prima del matrimonio, perché convive fuori da un gregge di Dio, e questa idea, per quanto
Hellen sia una persona che lotta per ragionare con la sua testa, ci saranno dei momenti nel
romanzo in cui la forza materna tende a tapparle le ali. Questo è un aspetto che ci teneva a
sottolineare.
L’altro aspetto: Partenza per l’Inghilterra, in chiave autobiografica, nel senso che effettivamente,
nel momento in cui Gordimer ha dato alle stampe il romanzo, nel 1953, stava anche per partire per
l’Inghilterra, c’è stato un periodo in cui ha soggiornato in Inghilterra, ma ne è rimasta deluse e in
un’intervista mise in evidenza come la differenza tra l’atteggiamento di sua madre e il proprio.
Mentre la madre di Gordimer che lascia Londra quando aveva solo sei anni,considerò tutta la sua
vita l’Inghilterra come la sua madre patria, Gordimer dice chiaramente che prima di compiere il
viaggio in Inghilterra non era sicura. Poi dopo aver compiuto il viaggio  Lei dice che il viaggio in
Inghilterra mi ha fatto comprendere di essere una colonial, dice che le ha fatto capire di essere un
soggetto coloniale. Ha capito di essere da una parte considerata dagli inglesi come non
propriamente English (Inhilterra degli anni 50) e al tempo stesso ha capito il suo essere colonial, la
sua terra era il Sudafrica. Il termine colonia non è che la fotografi pienamente. Oggi questo termine
è dispregiativo ma il termine colony si è usato al lungo questo termine, quindi dispregiativo perché
indica una sudditanza dall’impero. In questa intervista lei disse: Il mio viaggio in inghilterra mi ha
fatto capire che la mia identità non era un’identità britannica tout court. È interessante ricordare
che il viaggio in inghilterra viene fatto quasi in parallelo a quello che Hellen è in procinto di fare.
Struttura di questo romanzo the lying days presenta una suddivisione triadica (come to the
lighthouse) anche se mentre in to the lighthouse il percorso era circolare con la parte centrale (time
passess) che è la fase del buio e quindi l’idea della ricorsività dei raggi del faro; non è così per the
lying days dove il percorso di una buildung è diacronico e per tappe, e che va in progresso, in
rettilineo. C’è un progresso che si misura attraverso 3 tappe principali, che corrispondono a una
maturazione della protagonista.
Sono 38 capitoli totali di diversa lunghezza e ci sono 3 macrosezioni:
The mine (la miniera)
The sea (il mare)
The city ( la città)
Sono tre sezioni associati a nomi di luoghi e in tutti e tre i casi si tratta di luoghi naturalmente situati
in Sud Africa, più o meno reali. Il luogo al quale Gordimer ha dato un nome fittizio, anche se
corrisponde alla sua cittadina, Springs, è proprio il paesino della comunità mineraria, il luogo dove
abbiamo la Hellen bambina che ha bisogno da uscire da questo mondo ovattato che è fatto
anche di finzione. Nelle altre due parti in cui Hellen apre gli occhi, allora la geografia diventa con
nomi reali. Il mare, the sea, corrisponde ai luoghi della costa del Natal, una parte del Sudafrica,
della parte meridionale, uno dei luoghi più fertili, noto per la coltivazione della canna da zucchero,
infatti c’erano molti braccianti indiani, c’erano molte concentrazioni di indians e di inglesi, da dove
proviene anche Paul, il futuro patner di Hellen, è la zona dove le radici inglesi in Sudafrica sono
state più profonde.
the city  Johannesburg, la città dove la stessa Gordimer avrebbe vissuto
The mine: in questo caso il luogo è riconoscibile ma in realtà non viene chiamato Springs, che
corrisponderebbe al paese in cui lei è nata, che a sua volta è una cittadina non troppo lontana da
Johannesburg, ci troviamo nel nord del Sudafrica, siamo nel vecchio Transvaal, oggi chiamato
Gauteng, cittadina che corrisponde a Springs si chiama nel romanzo Oderton
Oderton è un nome totalmente inventato, perché una cittadina che si chiama Oderto siste sia in
inghilterra nei pressi di Manchester ma anche in California, c’è una cittadina che si chiama così e
un’altra località che si chiama cosi in Austrialia. Ci può essere un disegno dietro a tutto questo?
Forse si. Atwood in the handmaid’s tale, chiama la sua città distopica Illoid, città esistente negli
stati Uniti e in altre parti del mondo, lo stesso fa Gordimer, Oderton non è una citta che esiste
veramente, corrisponde al paesino di Springs, ma esiste in altre parti del mondo, soprattutto in
Inghilterra e USA, che sono le potenze occidentali; questo nome è un nome che rimanda alla
presenza coloniale, allo status coloniale di questa comunità mineraria che è gestita dai bianchi,
l’idea della miniera ricorda lo sfruttamento del territorio. Nelle storie del Transval, c’erano miniere di
carbone ma anche di diamanti e oro, Johannesburg nasce come città in relazione a queste
ricchezze legate agli scavi minerari.
Associamo le tappe a percorsi di vita di Hellen.
The mine: periodo dell’infanzia, periodo quando lei vive questo primo shock epistemico, non
perché subirà violenza. Ma un contatto con la realtà nera, in questi negozietti frequentati da neri,
sarà per lei uno shock, scopre un mondo nuovo, avulso rispetto a quello bianco. Dopo questa fuga,
quando va in questo somewhere, e rimane impaurita anche da questi spazi affollati da queste
grida e colori che si sovrappongono, lei allora ritornerà di nuovo a corsa, lei andrà al tennis club
dove si trovano i genitori e vive questa epifania  lei dice: mi resi conto che appartenevo ai
bianchi, i miei punti fermi erano quelli del mondo bianco, a un primo contatto con il mondo altro poi
si ritrae. Il mondo della miniera, la comunità mineraria gestita dai bianchi, è costruito all’insegna
dello sviluppo separato, abbiamo la comunità bianca blindata con le sue facilities e mezzi di
trasporto e poi abbiamo la comunità nera (minatori) che ha altri tipi di risorse, la quotidianità e gli
ambienti sono distinti, per quanto riguarda il mondo bianco, che è anche radiografato
maggiormente rispetto a quello nero, perché Hellen lo conosce sin da bambina, il mondo nero che
resta misterioso, visto come incarnazione dell’alterità, di tutto ciò che non è bianco. Questo
piccolo mondo borghese della miniera, si caratterizza per i rituali della piccola borghesia europea,
e anche americana, sono come trapiantati in questa enclave del Sudafrica, e quindi abbiamo codici
di comportamento e rituali che vedono i bianchi vivere in un universo a parte, in un universo
autonomo che ha poco di sudafricano e ha molto di europeo, quindi vediamo Hellen che descrive i
modi con cui si vestono le signore, i modi con cui si reca a questo club del tennis, con abiti che
ricordano i colori amati dagli inglesi, l’azzurro e il rosa, oppure il rituale del te, i tea parties dove si
consumano gli scones (riferimento a questa sorta di focaccine che ricordano tutti i rituali britannici)
e poi come la madre si cura della casa, con un arredamento che sembra tardo vittoriano con
tendine ricamate e i centro tavola, un mondo ordinato dove tutto ha una codificazione, come una
casa di bambole, quindi un mondo iperordinato anche in senso gerarchico, non solo per la
distinzione bianchi e neri, ma in maniera quasi parossistica, ingegneristica, come sarebbe stato
tipico dell’apartheid, anche dentro il gruppo bianco ci sono delle leggi non scritte che prevedono
un’ulteriore gerarchia dove posizionati in alto ci sono gli anglofoni, persone di origine britanniche,
sotto ci sono gli afrikaner, gli inglesi hanno considerato gli afrikaneers di matrice contadina,
persone poco raffinate anche se questo valeva per i boeri, non tanto per gli afrikaneers, ma è vero
che nel periodo del 700 e dell’800 negli afrikaneers la matrice contadina prevale, e dopo ci sono
gli ebrei; il rapporto con la juidness (43 min) è un altro elemento con cui Gordimer si confronta, lei
è infatti angloebraica, entrambi i genitori erano ebrei, anche se uno lettone e l’altro inglese.
Gordimer sembra confrontarsi con questo e non identificarsi con la cultura ebraica, non sente di
essere parte, almeno il romanzo lo suggerisce, ma poi viene confermato in altre occasioni, non si
sente parte della comunità ebraica, reale o ideale che sia, e in questo romanzo introduce un suo
doppio, una figura maschile, un giovane ebreo che si innamorerà di Hellen (non ricambiato) e che
diventerà un alter ego e che alla fine del romanzo tornerà in Palestina, tornerà alla sua casa e
Hellen dirà: io ti invidio il tuo essere ebreo, tu hai ritrovato la tua identità, stai ritornando in una
sorta di terra promessa, quella che tu pensi che sia la tua terra, mentre Hellen deve costruirselo
questo legame e non c’è dubbio che il legame per lei resti il Sudafrica. C’è anche questo aspetto di
ebraismo.

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