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PIEDE DIABETICO

LEZIONE 5

Il diabete è una patologia complessa, in quanto ci sono diversi cofattori. La patologia non inizia o finisce con
le lesioni ulcerative, a volte non ci sono neanche. Dedicandosi solo alla cura della lesione e non mettendo a
posto le cause che hanno causato la lesione è irrealistico pensare di aver successo nella guarigione. Ad
esempio:

- nella patologia ischemica se non si ripristina il circolo distrettuale (non si riporta il sangue al piede)
è inutile curare la lesione;
- nella patologia neuropatica se non si scarica la lesione è inutile curarla.

L’atteggiamento più frequente è quello di proclastinare le cure eziologiche dedicandosi in primis alla
lesione. Questo è un atteggiamento negativo nei confronti del paziente, poiché si ha un ritardo della presa
in carico del problema che in realtà ha creato la lesione. La lesione comunque esiste e bisogna capire quali
siano i problemi legati ad essa (la fisiologia e la patologia delle lesioni croniche del piede diabetico) poiché il
diabete è una patologia multifattoriale. Le lesioni di solito tendono a guarire. Le lesioni possono però essere
mantenute attive, la situazione può cronicizzare in alcuni pazienti; ciò avviene per il fatto che si sviluppa un
circolo vizioso che mantiene la lesione aperta (ad esempio la continuità di carico nella patologia
neuropatica che determina un’infiammazione che da acuta diventa cronica e quindi crea una condizione di
difficoltà alla riparazione e la lesione si mantiene).

La lesione cronica prima si diceva che era una lesione che stava lì da più di 3 settimane, ora è cronica una
lesione che non tende ad evolvere secondo il normale processo di riparazione dei tessuti. Questo vuol dire
che c’è una fisiologia della riparazione tissutale e che la cronicità è la patologia della riparazione.

Ci può essere un’alterazione nella velocità di riparazione (ad esempio con l’età), un’alterata riparazione
legata o ad un blocco della progressione verso la guarigione (deve seguire delle fasi che devono essere in
sequenza) o un disordine sequenziale nell’organizzazione temporale delle fasi della guarigione.

La riparazione tissutale si ha abbastanza avanti nella scala filogenetica, non avviene negli organismi
unicellulari e pluricellulari fino a un certo livello.

La riparazione tissutale è la capacità di ricostituire l’integrità tissutale entro certi limiti, è un processo
fisiologico dinamico che coinvolge diversi componenti: la componente cellulare sia ematica sia
parenchimale, i mediatori solubili e la matrice extracellulare. Noi possiamo solo creare le condizioni per cui
la lesione si ripari da sé.

Le fasi della riparazione tissutale sono:

- la flogosi in cui si ha emostasi, infiammazione e liberazione di citochine (mediatori solubili);


- la fase proliferativa o di neoformazione (la riparazione vera e propria) in cui si ha la formazione di
nuovi vasi, deposizione e formazione di nuova matrice e alla fine la riepitelizzazione;
- il rimodellamento in cui si ha una riduzione della massa cellulare, riorganizzazione della matrice
necessaria per ricostituire l’integrità del tessuto andato perduto.

In una soluzione di continuo a tutto spessore in un primissimo momento dei vasi vengono interrotti e
quindi c’è emorragia, arriva sangue che finisce nella cavità e, come succede quando questo perde contatto
con la parete vasale, vengono attivati i fenomeni della coagulazione e la prima cosa che succede è che il
fibrinogeno (molecola solubile del sangue, più alta se si ha uno stato infiammatorio), attivato dai fattori
della coagulazione, polimerizza e fa delle catene insolubili cioè la fibrina che è il risultato dell’aggregazione
delle molecole di fibrinogeno che formano una sorta di rete di filamenti che anche fisicamente bloccano ed
intrappolano le cellule che escono dai vasi che in quel momento per la maggior parte sono globuli rossi e
piastrine.

Le piastrine appena arrivano in contatto con questa situazione si ammassano, si degranulano, liberano
citochine e fattori di crescita ma soprattutto formano un tappo fisico che si chiama trombo piastrinico.
Questo agglomerato di piastrine che blocca, tappa il buco e intrappola all’interno i globuli rossi che a loro
volta si rompono, anche morfologicamente ha un aspetto di tappo rosso che diventa più scuro col tempo
perché il ferro si degrada in Fe3+ e Fe2+. Il trombo poi si trasforma in coagulo quando i globuli rossi si
rompono. Questo serve fondamentalmente a tappare temporaneamente il buco che si è creato e a
bloccare l’emorragia. A questo punto le piastrine si sono degranulate. Le piastrine sono frammenti di cellule
più grandi, i megacariociti, che ad un certo punto si sfanno e lasciano andare questa specie di sacchetti, le
piastrine, che contengono i mediatori e, aprendosi e sfaldandosi, lasciano in giro i mediatori. Questi hanno
attività su altre cellule, quando le piastrine si degranulano inizia il processo infiammatorio perché questi
fattori richiamano lì le cellule della serie bianca che promuovono la vasodilatazione già attivata dal riflesso
asso-assonale, potenziato dai fattori liberati dalle piastrine. Nel focolaio della lesione arrivano le cellule
della serie bianca che rispondono alla chemiotassi (movimento indotto dal richiamo di certe molecole,
attraverso cui i leucociti si muovono in ragione del gradiente di concentrazione). Questi mediatori fanno sì
che le cellule della serie bianca arrivino in quel distretto, tendano a concentrarsi in quella zona, escano dai
vasi (diapedesi) e migrino all’interno del tessuto verso la sede della lesione, costituendo l’infiltrato
infiammatorio. I ruoli dell’infiltrato infiammatorio sono diversi:

- anche semplicemente per l’aumento del numero di cellule per unità di volume, cioè aumenta di
molto la densità del tessuto, si crea un ostacolo fisico alla diffusione dell’infezione perché la densità
cellulare del tessuto è molto maggiore (riduce la diffusione dell’infezione);
- le cellule hanno funzione difensiva nei confronti dei batteri, perché hanno funzioni
immunocompetenti, spostandosi verso la zona della lesione si interfacciano con i macrofagi (cellule
residenti nel tessuto) che gli presentano l’antigene e i linfociti B ci costruiscono gli anticorpi, i
linfociti T helper sviluppano delle molecole che riconoscono l’antigene e ci si vanno a legare e poi
arrivano i linfociti T killer o suppressor che mangiano il batterio, lo tirano dentro e ci spruzzano
ossido nitrico, uccidendolo.

Da questo contesto di cellularità aumentata si passa ad un contesto in cui i leucociti distruggono i batteri
ma vanno anche loro stessi incontro a lisi e formano il pus (materiale amorfo). Nel frattempo questo
contesto che sta diventando liquido verso l’interno, per evaporazione verso l’esterno tende a seccare e a
formare un’escara (un materiale amorfo costituito da fibrina, residui cellulari, leucociti e un po’ di sporco
che sta lì a tappare il buco).

I leucociti mentre stanno morendo liberano delle citochine che hanno la funzione di attrarre e di attivare
nel contesto della lesione altri elementi cellulari in modo che si possa passare della fase infiammatoria
(zona rossa dovuta a vasodilatazione per attività neurologica e per le citochine liberate dalle piastrine,
gonfia, calda e rossa per maggior apporto di sangue e aumentato metabolismo di queste cellule), che serve
per detergere la lesione e contrastare le possibili aggressioni che ci sono e di ripulirla dai possibili agenti
aggressivi (batteri, corpi estranei), alla fase successiva.

Una volta che ci siamo liberati di questo pus che è liquido e viene evacuato per gravità, possiamo passare
alla fase riparativa: i fibroblasti e le cellule endoteliali vengono attivati dai leucociti, disgregati all’interno
della lesione e che hanno liberato le citochine. I fibroblasti ci sono già ma vengono attivati in questa
circostanza da mediatori che hanno una funzione di repressione o derepressione dei geni del fibroblasta,
che cambia completamente di forma, da sferico diventa fusiforme, inizia a produrre proteine e collagene.
Nella prima fase mentre la fibrina si polimerizza un’altra cosa che succede nel contesto della lesione è che
sono presenti delle molecole che di solito si trovano nel plasma e tendono ad accumularsi lì ed hanno la
funzione di matrice provvisoria, sono tutte molecole che tendono a formare delle reti spontaneamente ed
hanno come funzione quella di costruire un’impalcatura provvisoria in cui si vanno a piazzare le piastrine.
Nella fase in cui il pus non c’è più questa rete provvisoria va sostituita con una rete di matrice definitiva,
che sia più simile a quella che c’era prima. La rete definitiva è costituita da due molecole ma soprattutto da
collagene costituito da tre aminoacidi messi insieme dai ribosomi che hanno la capacità di organizzarsi, per
la loro natura chimica, in eliche. Queste tendono ad agglomerarsi alle altre e tendono a formare una
struttura elicoidale talmente ben organizzata che al microscopio elettronico si vedono delle bande e ciò
significa che in quel posto c’è sempre lo stesso aminoacido. Questa cosa è importante perché le fibre di
collagene che ci tengono insieme hanno questa struttura elicoidale. Ci sono 10 tipi di collagene diverso,
organizzato in maniera, struttura e densità diverse.

Il fibroblasto produce collagene che a sua volta traduce un’altra citochina che chiama le cellule staminali
della linea vascolare che arrivano lì e iniziano a differenziarsi in nuovi vasi.

Da una fase di detersione della lesione si ricomincia a produrre roba, i fibroblasti producono la matrice ed
iniziano a moltiplicarsi per riempire i buchi, chiamano le cellule endoteliali che formano dei vasi (formano
dei cordoni solidi che poi si bucano nel mezzo, muoiono le cellule centrali dei tubuli per apoptosi, questi
tubuli seguendo le citochine vanno verso il centro della lesione).

Angiogenesi e fibrogenesi dal fondo della lesione portano in superficie il tessuto.

Il tessuto costituito dai vasi, fibroblasti e matrice è il tessuto di granulazione che riempie il difetto di
sostanza che si è venuto a creare con la lesione e la successiva fase infiammatoria.

Dopo la “fase di occupazione dello spazio vuoto” si inizia a pensare anche a rivestire questo spazio con
qualcosa di più specializzato: i cheratinociti che iniziano a proliferare dai margini perché i fibroblasti hanno
mandato delle citochine ai cheratinociti per attivarli e questi si spingono verso il centro. Avviene anche
perché i fibroblasti che davanti non hanno niente sono portati ad avere un’attività proliferativa maggiore
rispetto agli altri (situazione fisica meccanica) e piano piano i cheratinociti rivestiranno tutta la lesione dopo
che il tessuto di granulazione sarà arrivato al giusto livello. Il risultato sarà una cicatrice che cerca di mimare
il tessuto originario.

La riepitelizzazione della lesione non avviene solo dai bordi ma anche dal fondo della lesione o meglio dalla
base degli annessi cutanei che sono rimasti dentro il tessuto granuleggiante. La struttura della cute
presenta delle ghiandole sebacee, sudoripare che sono all’interno del tessuto sottocutaneo e sono
costituite da cellule epiteliali. Si trovano lì perché così ci arrivano meglio i vasi e possono avere un
metabolismo più rapido. Queste cellule, in caso di lesione, possono proliferare dal fondo formando delle
isole per la riepitelizzazione. Questo può avvenire se la lesione è più superficiale rispetto a dove si trovano
le ghiandole.

Il tessuto di granulazione formato da fibroblasti, vasi e matrice è uguale in tutte le sue parti e quindi ne
consegue che è meno speciallizzato ed adeguato alla funzione rispetto al tessuto originario e allora cerca di
adattarsi. Nella fase di rimodellamento i fibroblasti vanno incontro ad apoptosi, si attivano dei geni che
attivano dei sistemi enzimatici chiamati caspasi che uccidono le cellule perché si deve ridurre il numero di
cellule per cm cubo all’interno del tessuto. Il tessuto di granulazione è ricco di elementi cellulari, ciò non è
funzionale per un tessuto di rivestimento poiché sarebbe poco resistente. Le cellule vanno quasi tutte
incontro ad apoptosi a parte i miofibroblasti che sono un incrocio tra miociti e fibroblasti che contengono
filamenti di actina, molecole contrattili, e che presentano sulla superficie le integrine che sono strutture
proteiche che sono in grado di interagire con le altre integrine che si trovano sulle molecole di collagene.
Grazie ai filamenti di actina sono in grado di contrarsi ed organizzare le grosse fibre collagene secondo le
linee di forza che in quella zona vengono ad esercitarsi.
Questa situazione porta da un tessuto ricco di elementi cellulari ad uno quasi privo di cellule rispetto ai
circostanti, ricco di tessuto fibroso che può portare ad aderenze perché la cicatrice perde acqua, è più rigida
e meno elastica.

Solo nelle fasi embrionali le cicatrici non si formano e si guarisce con tessuto normale.

Le cicatrici possono essere difettose per difetto nel caso in cui non si formino bene o per eccesso (cheloide),
si hanno cicatrici ipertrofiche, coinvolge una parte di tessuto maggiore producendo delle modificazioni
strutturali. Fisiologicamente se la lesione è superficiale la guarigione avviene in circa dieci giorni, venti
giorni se la lesione è profonda o è estesa. Ci sono lesioni che non evolvono, non seguono questa
evoluzione, cronicizzano e questo è dovuto a determinati fattori.

La lesione acuta è caratterizzata da elevata attività mitogena, cioè le cellule tendono a proliferare, basse
citochine proinfiammatorie, proteasi basse.

Nella lesione cronica le cellule tendono a non proliferare, permane uno stato di infiammazione a bassa
intensità cronica, non si progredisce verso le fasi successive, ci sono molte proteasi in giro (enzimi prodotti
dalle cellule infiammatorie che rompono i fattori di crescita, soprattutto quelli pro proliferativi).

Anche dal punto di vista strutturale e biomolecolare si possono trovare dei markers che ci dicono se la
lesione andrà incontro a riparazione o meno. Ci sono anche markers clinici: se la lesione in 4 settimane non
ha ridotto di almeno il 50% la sua superficie per definizione è poco evolutiva.

I markers cellulari sono i tipi di cellule che si trovano nella lesione.

Ci sono markers biomolecolari come ad esempio la β catenina che ha la funzione di trasmissione delle
informazioni dalla membrana al nucleo delle cellule e che in certe situazioni non viene espressa come
dovrebbe, non richiama le cellule staminali in maniera adeguata per riparare la lesione.

Ci sono anche fattori sistemici che possono ostacolare la progressione della lesione: l’incapacità del
paziente di nutrirsi adeguatamente, il diabete (alterato metabolismo delle cellule), malattie del sistema
connettivo (collagenopatie), artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico.

Ci sono anche terapie che interagiscono con la riparazione tissutale: gli steroidi (cortisone) che si usano per
curare le patologie autoimmunitarie, hanno un effetto di depressione sulla sintesi proteica generalizzato, gli
effetti antinfiammatori degli steroidi sono dati dal blocco di produzione delle citochine; gli
immunosoppressori citostatici sono farmaci che bloccano la proliferazione cellulare.

Ci possono essere anche fattori locali che interagiscono con la riparazione tissutale (il diabete li produce
tutti): ischemia, infezione, edema, traumi ripetuti.

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