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Corso di Laurea in

Statistica Matematica e trattamento Informatico dei Dati

Appunti di Analisi Matematica 2

Francesca Astengo

Università di Genova, A.A. 2006/2007


Questi sono alcuni appunti che ho preparato durante lo svolgimento delle lezioni del cor-
so di Analisi 2 nell’A.A. 2006/2007. Alcune parti sono tratte da precedenti dispense del
Prof. Saverio Giulini.

Ci saranno numerosi errori e sarò grata a chi vorrà segnalarmeli.

Buono studio.
Indice

Capitolo 1. Polinomi di Taylor e convessità 1


1. Confronto locale di funzioni 1
2. Derivate di ordine successivo 3
3. Formula di Taylor con resto di Peano 5
4. Formula di Taylor con resto di Lagrange 11
5. Concavità e convessità 13
6. Il metodo delle secanti e il metodo di Newton o delle tangenti 17
7. Polinomi di interpolazione 20
8. Esercizi 27
Capitolo 2. Serie numeriche 29
1. Brevi richiami sulle successioni 29
2. Le serie numeriche 30
3. Serie a termini non negativi 35
4. Approssimazioni 40
5. Serie assolutamente convergenti 41
6. Serie di Leibniz 43
7. Esercizi 46
Capitolo 3. Serie di funzioni 47
1. Serie di Taylor 47
2. Serie di funzioni e serie di potenze 49
3. Esercizi 51
Capitolo 4. Il calcolo integrale 53
1. Calcolo di aree 53
2. I teoremi fondamentali 57
3. Calcolo di primitive 60
4. Il metodo dei trapezi 66
5. Integrali impropri 71
6. Applicazioni alle serie numeriche 82
7. Esercizi 84
Bibliografia 89

i
CAPITOLO 1

Polinomi di Taylor e convessità

In questo capitolo completiamo lo studio del grafico di una funzione aggiungendo le infor-
mazioni su convessità e concavità.

Rimandiamo al corso di Analisi 1 per la definizione di limite, di derivata, le derivate delle fun-
zioni fondamentali e i teoremi fondamentali sui limiti (ad es. limitatezza locale, permanenza
del segno, confronto) e sulle funzioni derivabili (ad es. Rolle, Lagrange, Hôpital).

1. Confronto locale di funzioni

Siano f e g due funzioni definite sullo stesso intervallo I e sia x0 un punto di tale intervallo,
oppure un estremo, eventualmente anche ±∞.

Definizione 1.1. Si dice che


f = O(g) x → x0
(e si legge f è O-grande di g per x tendente a x0 ) se per un’opportuna costante M > 0 e un
intorno V di x0
|f (x)| ≤ M |g(x)| ∀x ∈ V, x 6= x0 .

In termini più semplici, la condizione vuol dire che vicino al punto x0 la funzione f si può
controllare con la funzione g.

Osserviamo che se limx→x0 f (x)/g(x) esiste finito, allora f = O(g) per x → x0 , per il teorema
di limitatezza locale.

ZEsempio 1.1. Utilizzando l’osservazione è immediato verificare che


x = O(x2 ) x → +∞
x2 = O(x) x→0
sin x = O(x) x→0
x = O(sin x) x → 0.

Invece x non è O(x2 ) per x → 0.


1
2 Capitolo 1

Un esempio più difficile si ottiene confrontando le funzioni 1 e sin x per x → +∞: siccome
| sin x| ≤ 1 per ogni x, si ha sin x = O(1), x → +∞, (anche se non esiste limx→+∞ sin x/1).
Invece 1 non è O(sin x), x → +∞, perché in ogni intervallo del tipo (a, +∞) ci sono (infiniti)
punti in cui il seno si annulla. ©

Definizione 1.2. Si dice che


f = o(g) x → x0
(e si legge f è o-piccolo di g per x tendente a x0 o anche f è trascurabile rispetto a g per x
tendente a x0 ) se esiste una funzione h, definita su I tale che
f (x) = g(x) h(x) ∀x ∈ I, e lim h(x) = 0.
x→x0

In termini più semplici, la condizione vuol dire che vicino al punto x0 la funzione f è molto
più piccola della funzione g.

Osserviamo che se g(x) 6= 0 almeno in un intorno di x0 , la condizione diventa equivalente a


richiedere che limx→x0 f (x)/g(x) = 0.

Ovviamente, se f = o(g) per x → x0 , allora f = O(g) per x → x0 .

ZEsempio 1.2. È immediato verificare che


x = o(x2 ) x → +∞
2 x→0
x = o(x)
sin x = o(1) x→π
log x = o(x) x → +∞.
Invece x non è o(x2 ) per x → 0. ©

Se f e g sono entrambi infinitesimi per x → x0 , dire che f = o(g) per x → x0 significa che
g ha ordine di infinitesimo maggiore di quello di f ; f = O(g) per x → x0 significa che g ha
ordine di infinitesimo maggiore o uguale a quello di f .

L’utilizzo del simbolo o-piccolo è comodo ad esempio quando si vogliono calcolare limiti.
Infatti, si può facilmente controllare che i termini trascurabili si possono eliminare, come
prescritto dal

Teorema 1.3 (Principio di eliminazione dei termini trascurabili). Se h = o(f ) e k = o(g)


per x → x0 , allora
f (x) + h(x) f (x) + o(f ) f (x)
lim = lim = lim .
x→x0 g(x) + k(x) x→x0 g(x) + o(g) x→x0 g(x)
1.2 – Derivate di ordine successivo 3

x2 +sin(log x)
ZEsempio 1.4. Calcolare limx→+∞ 2x2 −1
.

La funzione è sicuramente definita per x > 1, quindi ha senso calcolarne il limite a +∞.
Inoltre, per x → +∞, 1 = o(x2 ) e sin(log x) = o(x2 ). Quindi
x2 + sin(log x) x2 + o(x2 ) x2 1
lim = lim = lim = .
x→+∞ 2x2 − 1 x→+∞ 2x2 + o(x2 ) x→+∞ 2x2 2
©

2. Derivate di ordine successivo

Sia f una funzione derivabile in tutti i punti di un intervallo aperto I. Allora, per ogni
punto x in I sappiamo cosa significa f ′ (x). Possiamo quindi pensare alla derivata f ′ come a
una nuova funzione definita sull’intervallo I e chiederci se questa nuova funzione sia ancora
derivabile in qualche punto di questo intervallo.

Se f ′ risulta derivabile in x0 , la derivata di f ′ in x0 si chiama derivata seconda (o di ordine


due) di f in x0 e si denota con f ′′ (x0 ). In questo caso, si dice che f è derivabile due volte in
x0 . L’usuale derivata f ′ talvolta si chiama anche derivata prima.

Ovviamente il procedimento si può iterare: se f ′ è una funzione derivabile in tutti i punti


di un intervallo aperto I, allora è definita in I la funzione f ′′ e possiamo chiederci se questa
funzione risulta a sua volta derivabile in qualche punto dell’intervallo I. La derivata della
derivata seconda di f si chiama derivata terza di f e si indica con f ′′′ . E cosı̀ via, si parla
(qualora esistano) di derivata quarta f IV , quinta f V , . . .. Una derivata di ordine n (generico)
si indica col simbolo f (n) .

Definizione 1.3. Si dice che f è una funzione di classe C n su un intervallo I (in simboli
f ∈ C n (I)) se f è derivabile n volte in tutti i punti dell’intervallo I e la derivata di ordine n
è continua in I.
Si dice che f è una funzione di classe C ∞ su un intervallo I se f ha derivate di ogni ordine
in tutti i punti dell’intervallo I.

(Quando l’intervallo è chiuso, negli estremi sinistri si considerano le derivate sinistre e negli
estremi destri si considerano le dervate destre)

Siccome una funzione derivabile è anche continua, valgono le inclusioni


C 0 (I) ⊃ C 1 (I) ⊃ C 2 (I) ⊃ . . . ⊃ C ∞ (I).
ZEsempio 1.5. La funzione f (x) = sin x è derivabile in tutti i punti del suo dominio R
e f ′ (x) = cos x. Anche f ′ è derivabile in tutti i punti del suo dominio R; quindi f è
derivabile ovunque due volte e f ′′ (x) = (cos x)′ = − sin x. Ripetendo lo stesso ragionamento,
4 Capitolo 1

f ′′′ (x) = − cos x e f IV (x) = sin x = f (x). Quindi f è derivabile di ogni ordine in ogni punto
e le sue derivate sono ciclicamente quelle scritte. La funzione sin x è in C ∞ (R). ©

Una conseguenza della regola di Hôpital ci permette di stabilire abbastanza facilmente se una
funzione definita congiungendo tratti di funzioni derivabili è derivabile nei punti di giunzione.
Inoltre ci mostra che la derivata di una funzione non può avere discontinuità “a salto”.

Proposizione 1.6 (corollario della regola di Hôpital). Sia x0 un punto dell’intervallo aperto
I e sia f continua in I e derivabile in I \ {x0 }. Se esiste
lim f ′ (x) = ℓ
x→x0

e è finito, allora f è derivabile in x0 e f ′ (x0 ) = ℓ.


Viceversa, se f è derivabile in I, allora f ′ non può avere discontinuità a salto in I.

Dimostrazione. Siccome f è continua in x0 , il limite del rapporto incrementale in x0


si presenta in forma indeterminata “0/0”; la derivata della funzione a denominatore è 1 e
per ipotesi esiste limx→x0 f ′ (x). Quindi per la regola di Hôpital
lim f (x) − f (x0 )x − x0 = lim f ′ (x) = ℓ,
x→x0 x→x0

cioè f è derivabile in x0 e f ′ (x0 ) = ℓ.

Viceversa, sia f derivabile in tutti i punti di I, in particolare x0 e supponiamo che esistano


lim f ′ (x) = ℓ1 lim f ′ (x) = ℓ2 .
x→x+
0 x→x−
0

Vogliamo mostrare che ℓ1 e ℓ2 sono finiti e uguali a f ′ (x0 ).

Per ipotesi
f ′ (x0 ) = lim+ f (x) − f (x0 )x − x0 .
x→x0

D’altra parte il limite della riga precedente, utilizzando la regola di Hôpital come prima,
deve anche essere uguale a
lim+ f ′ (x) = ℓ1 .
x→x0

Quindi f ′ (x0 ) = ℓ1 e ℓ1 è finito. Analogamente ragionando su x → x−


0 si ottiene che anche

ℓ2 è finito e uguale a f (x0 ). 
ZEsempio 1.7. Utilizzando il corollario, mostriamo che la funzione
(
x2 x≥0
g(x) = 2
−x x < 0
è derivabile una sola volta in x = 0.
1.3 – Formula di Taylor con resto di Peano 5

La funzione g, continua su R, è anche derivabile una volta in tutti i punti x 6= 0 e la sua


derivata è (
2x x>0
g ′ (x) =
−2x x < 0.
Siccome g ′ è prolungabile per continuità anche in x = 0, allora g è derivabile anche in 0 e
g ′ (0) = 0. La funzione (
2x x≥0
g ′(x) =
−2x x < 0
è continua, derivabile se x 6= 0 e quindi g è senz’altro derivabile due volte se x 6= 0 e
(
2 x>0
g ′′ (x) =
−2 x < 0.
Siccome g ′′ ha una discontinuità a salto in x = 0, g ′ non è derivabile in x = 0, quindi g non
è derivabile due volte se x = 0. Quindi g ∈ C 1 (R) e g 6∈ C 2 (R).

Consideriamo ora (
x2 sin x1 x 6= 0
h(x) =
0 x=0
La funzione h è derivabile in x = 0, perché
h(x) − h(0)
lim = lim x sin x1 = 0 quindi h′ (0) = 0.
x→0 x−0 x→0

D’altra parte, se x 6= 0,
h′ (x) = 2x sin x1 − cos x1
e quindi non esiste limx→0 h′ (x).

L’esempio della funzione (derivabile ovunque ma con derivata discontinua in x = 0) h mostra


che una derivata può avere punti di discontinuità di seconda specie. ©

3. Formula di Taylor con resto di Peano

Sinora abbiamo visto due livelli di approssimazione per una funzione f in un intorno del
punto x0 interno al dominio di f :

Livello 0 f continua f (x) = f (x0 ) + o(1) con x → x0


Livello 1 f derivabile f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ) con x → x0 .

Ci si chiede se è possibile migliorare il livello di approssimazione quando la funzione è più


regolare. L’idea che si può seguire è la seguente: al livello 0 si è approssimata la funzione con
il miglior polinomio di grado 0 possibile, e cioè con la costante f (x0 ); al livello 1 si è scelta
come funzione approssimante il miglior polinomio di grado 1, cioè f (x0 )+f ′ (x0 )(x−x0 ), dove
6 Capitolo 1

il termine “migliore” significa che, usando un qualsiasi altro polinomio di grado 1, passante
per (x0 , f (x0 )), il resto sarebbe andato a 0 come (x − x0 ) e non più velocemente. Tuttavia
approssimare con un polinomio di primo grado, che graficamente corrisponde a una retta, ci
permette di avere informazioni sul crescere e decrescere (locale) della funzione, ma non sul
fatto che il suo grafico sia concavo verso l’alto o verso il basso (le rette infatti non presentano
“concavità”). Si possono estendere questi risultati usando come funzione approssimante un
polinomio di grado superiore al primo, in modo di avere più informazioni? La risposta a
questa domanda è, come vedremo adesso, affermativa.

Definizione 1.4. Sia f una funzione definita su un intervallo I e sia x0 un punto di I in


cui f è derivabile almeno n volte. Il polinomio
f ′′ (x0 ) f (n) (x0 )
Tn,x0 (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )2 + · · · + (x − x0 )n
2! n!
n
X f (k) (x0 )
= (x − x0 )k
k!
k=0
si chiama polinomio di Taylor di grado n della funzione f centrato nel punto x0 .

Osserviamo che il polinomio di Taylor è caratterizzato dall’avere in comune con la funzione


f il valore di tutte le derivate fino all’ordine n nel punto x0 , ovvero:

f (x0 ) = Tn,x0 (x0 ), f ′ (x0 ) = Tn,x



0
(x0 ), f ′′ (x0 ) = Tn,x
′′
0
(x0 ),
..., f (n) (x0 ) = Tn,x
(n)
0
(x0 ).

Nei prossimi esempi ricaviamo i polinomi di Taylor delle funzioni esponenziale, seno, coseno
centrati in x0 = 0. Quando un polinomio di Taylor è centrato in 0 si chiama anche polinomio
di McLaurin e si indica più brevemente con Tn .

ZEsempio 1.8. a) Iniziamo dalla funzione esponenziale.


8

f
7 T1
T
T
2
3
f (x) = ex e x0 = 0.
6 T
4
T
5
5
Tutte le derivate sono uguali: f (n) (x) = ex
4
e f (n) (0) = 1 per ogni n. Quindi
3

x2 xn
2 Tn (x) = 1 + x + 2
+···+ n!
1

−1
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2
1.3 – Formula di Taylor con resto di Peano 7

4 b) f (x) = sin x e x0 = 0. Le derivate so-


3
no: f ′ (x) = cos x, f ′′ (x) = − sin x, f ′′′ (x) =
cos x, f (iv) (x) = sin x, f (v) (x) = cos x, f (vi) (x) =
f
T1
T
2 3
T
5
sin x, f (vii) (x) = cos x, f (viii) (x) = sin x, e cosı̀
1
via. Ne segue che f (n) (0) = 0 se n è pari, men-
0 tre vale alternativamente +1 o 1 se n è dispari
−1
e quindi
3 x2n+1
T2n+1 (x) = x − x3! + · · · + (−1)n (2n+1)! .
−2
Si osservi che gli unici termini che sono diversi
−3
da 0 sono quelli relativi alle potenze dispari (e
−4
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4
infatti la funzione seno è una funzione dispari).

1
c) f (x) = cos x e x0 = 0. Le derivate: f ′ (x) =
0.5
sin x, f ′′ (x) = cos x, f ′′′ (x) = sin x, f (iv) (x) =
cos x, e cosı̀ via. Ne segue che f (n) (0) = 0 se
0 n è dispari, mentre vale alternativamente +1 o
f
T2
T4
−1 se n è pari. Infine
2 x2n
T2n (x) = 1 − x2! + · · · + (−1)n (2n)!
T6
−0.5
.
−1
Si osservi che gli unici termini che sono diversi
da 0 sono adesso quelli relativi alle potenze pa-
−1.5 ri (e infatti la funzione coseno è una funzione
pari).
−2
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4

Il significato del prossimo teorema è il fatto che il polinomio di Taylor è quell’unico polinomio
di grado n che meglio approssima la funzione f vicino al punto x0 . Ricordiamo che la
notazione o(x−x0 )n indica una funzione che, per x → x0 è un infinitesimo di ordine maggiore
di n.

Teorema 1.9 (Formula di Taylor con resto di Peano). Sia f una funzione definita su un
intervallo I e sia x0 un punto di I in cui f è derivabile almeno n volte. Allora
f (x) − Tn,x0 (x) = o(x − x0 )n x → x0 .
Viceversa, se p è un polinomio di grado n tale che f (x) − p(x) = o(x − x0 )n per x → x0 ,
allora p = Tn,x0 .

Dimostrazione. Occupiamoci solo del caso n = 2. Il ragionamento nel caso generale è


analogo. In questo caso la funzione f è derivabile in un intorno di x0 e la funzione derivata
è ulteriormente derivabile nel punto x0 .
8 Capitolo 1

Verifichiamo inizialmente che f (x) − T2,x0 (x) è un infinitesimo di ordine maggiore di 2 per
x → x0 . Questo equivale a verificare che
f (x) − T2,x0 (x)
lim = 0,
x→x0 (x − x0 )2
o, equivalentemente, che
f (x) − f (x0 ) − f ′ (x0 )(x − x0 ) f ′′ (x0 )
(1.1) lim = .
x→x0 (x − x0 )2 2
D’altra parte, il limite da calcolare si presenta in forma indeterminata 00 . Infatti

lim f (x) − f (x0 ) − f ′ (x0 )(x − x0 ) = 0


x→x0

lim (x − x0 )2 = 0
x→x0

e la derivata del denominatore è 2(x − x0 ) 6= 0 se x 6= x0 . Quindi per la regola dell’Hôpital


il limite che desideriamo calcolare è uguale a
f ′ (x) − f ′ (x0 ) 1 f ′ (x) − f ′ (x0 ) 1
lim = lim = f ′′ (x0 ),
x→x0 2(x − x0 ) 2 x→x0 x − x0 2
perché quest’ultimo limite è il limite del rapporto incrementale di f ′ e f ′ è derivabile in x0 .
Quindi anche il limite di partenza vale 21 f ′′ (x0 ), ovvero vale (1.1).

Verifichiamo ora che la scelta di T2,x0 è ottimale, ovvero che se p(x) è un polinomio di grado 2
tale che f (x)−p(x) = o(x−x0 )2 per x → x0 , allora necessariamente p = T2,x0 . Per comodità,
ordiniamo il polinomio p secondo potenze di (x − x0 ), ossia p(x) = a(x − x0 )2 + b(x − x0 ) + c.
Si ha
f (x) − p(x)
0 = lim
x→x0(x − x0 )2
f (x) − a(x − x0 )2 − b(x − x0 ) − c
= lim
x→x0 (x − x0 )2
f (x) − b(x − x0 ) − c
= lim − a,
x→x0 (x − x0 )2
quindi
f (x) − b(x − x0 ) − c
(1.2) lim =a
x→x0 (x − x0 )2
Siccome il denominatore tende a 0 per x → x0 , affinché valga (1.2), l’unica speranza è che
anche il numeratore tenda a 0 per x → x0 . Questo accade solo se c = f (x0 ). A questo punto,
come prima possiamo applicare la regola dell’Hôpital e concludere che, se esiste, deve valere
a anche il
f ′ (x) − b
lim .
x→x0 2(x − x0 )
1.3 – Formula di Taylor con resto di Peano 9

Di nuovo, siccome il denominatore tende a 0, deve tendere a 0 anche il numeratore, ossia


b = f ′ (x0 ). A questo punto, siccome f ′ è derivabile in x0 ,
f ′ (x) − f ′ (x0 ) 1
a = lim = f ′′ (x0 ).
x→x0 2(x − x0 ) 2
Abbiamo quindi determinato i coefficienti a, b, c univocamente e ottenuto che p = T2,x0 . 

Quindi ad esempio con le derivate seconde si può arrivare ad un secondo livello di approssi-
mazione. Infatti se la funzione f è derivabile due volte nel punto x0 si ha che
1
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + f ′′ (x0 )(x − x0 )2 + o(x − x0 )2 ,
2
2
dove, al solito, o(x − x0 ) indica un errore che, per x → x0 è un infinitesimo di ordine
maggiore di 2.

A questo punto il polinomio approssimante di secondo grado rappresenta la parabola che più
si avvicina al comportamento del grafico della funzione f nei pressi del punto (x0 , f (x0 )), e
è caratterizzato dall’avere, nel punto x0 , lo stesso valore, la stessa derivata prima e la stessa
derivata seconda della funzione f . È quindi naturale che le proprietà di convessità di tale
parabola si riflettano sulle analoghe proprietà della funzione f . Questo è proprio quello che
succede. Vediamo una spiegazione teorica di quanto appena affermato nel caso particolare
in cui la funzione ha derivata prima nulla in x0 e derivata seconda positiva. Il polinomio
approssimante diviene f (x0 ) + 12 f ′′ (x0 )(x − x0 )2 , il cui grafico è una parabola con il minimo
proprio in x0 ; è naturale ritenere che anche f presenti un punto di minimo relativo in x0 e
infatti, raccogliendo (x − x0 )2
1
f (x) − f (x0 ) = f ′′ (x0 )(x − x0 )2 + o(x − x0 )2
2  
2 1 ′′ o(x − x0 )2
= (x − x0 ) f (x0 ) + .
2 (x − x0 )2
Siccome (x − x0 )2 ≥ 0 e, per x → x0 il termine in parentesi tonda tende a 21 f ′′ (x0 ) > 0, allora
per il teorema di permanenza del segno possiamo affermare che esisterà un intorno di x0 in
cui il termine in parentesi tonda è non negativo. Questo vuol dire quindi che in tale intorno
di x0 si ha f (x) − f (x0 ) ≥ 0, cioè f (x) ≥ f (x0 ), ossia il punto x0 è di minimo relativo per f .
ZEsempio 1.10. Sia f la funzione f (x) = 1
1+x2
−cos x. Dire se 0 è un punto di estremo relativo
per f e specificarne il tipo.

Scriviamo il polinomio di Taylor di f centrato in x0 = 0 di ordine 2. Esso è


x2 x2
1 − x2 − 1 + =− .
2 2
2
Il grafico di f in un intorno dell’origine assomiglia a quello della parabola − x2 che presenta
in 0 un massimo relativo.

Pertanto 0 è un punto di massimo relativo. ©


10 Capitolo 1

ZEsempio 1.11. Sia f la funzione f (x) = 1


1+x2
− 2 cos x + 1. Si desidera determinare il segno
di f in un intorno di 0.

Il primo polinomio non nullo di f è quello di ordine 4 e è dato da


 
2 4 x2 x4 11
(1 − x + x ) − 2 1 − + + 1 = x4 .
2 24 12
11 4
Quindi il grafico di f assomiglia vicino a 0 a quello di 12 x , che presenta un minimo in 0 e
altrove è positiva. Possiamo quindi concludere che esiste un intorno di 0 in cui f (x) ≥ 0. ©

Un’altra applicazione importante dei polinomi di Taylor è l’essere un criterio utilissimo per
poter calcolare limiti.
ZEsempio 1.12. Calcolare √
cos x − 1 − x2
lim .
x→0 x4
Scriviamo il polinomio di McLaurin del numeratore di grado più piccolo possibile, ma in
modo che il polinomio non sia nullo. In questo caso si vede facilmente che occorre scegliere
grado 4 e
√ 1
cos x − 1 − x2 = x4 + o(x4 ).
6
Pertanto il limite da calcolare è
1 4
6
x + o(x4 ) 1
lim 4
= .
x→0 x 6
©
ZEsempio 1.13. Calcolare, al variare di a ∈ R l’ordine di infinitesimo di
f (x) = ex − cos x − a log(1 + x).
Scriviamo i primi due termini di McLaurin

1
f (x) = (1 − a)x + 1 + a x2 + o(x2 ).
2
Se 1 − a 6= 0, cioè se a 6= 1, la funzione f si comporta come il polinomio di primo grado
(1 − a)x, quindi è un infinitesimo di ordine uno. Se 1 − a = 0, cioè se a = 1, la funzione f si
comporta come il polinomio di secondo grado 23 x2 , quindi è un infinitesimo di ordine 2. ©

In tutti gli esempi considerati si è presa l’origine come punto iniziale. Nulla vieta, ovviamente,
di utilizzare, a seconda delle esigenze, punti diversi dall’origine come centro del polinomio.
ZEsempio 1.14. Calcolare limx→π sin(x−π)
x+x−π
3 . Occorre conoscere il polinomio di Taylor di sin x

centrato in π e scriviamo quello di grado 3. Calcolando qualche derivata, otteniamo


1
T3,π (x) = −x + π + (x − π)3 .
6
1.4 – Formula di Taylor con resto di Lagrange 11

Quindi
sin x + x − π −x + π + 61 (x − π)3 + x − π + o(x − π)3
lim = lim
x→π (x − π)3 x→π (x − π)3
1
6
(x − π)3 1
= lim = .
x→π (x − π)3 6
Al polinomio di Taylor si poteva anche arrivare conoscendo quello centrato in x = 0. Infatti,
utilizzando le formule di trigonometria
sin x = sin(x − π + π) = − sin(x − π);
inoltre se x → π, allora y = x − π → 0. D’altra parte, se y → 0, sin y = y − y 3 /6 + o(y 3).
Quindi sostituendo
 
1 3 1
sin x = − sin(x − π) = − sin y = − y − y + o(y ) = −(x − π) + (x − π)3 + o(x − π)3 .
3
6 6
Per l’unicità del polinomio di Taylor, T3,π (x) = −(x − π) + 61 (x − π)3 . ©

Con Maple si ottiene lo sviluppo (=polinomio+resto) di Taylor di f centrato in x0 di grado


n − 1 con il comando
taylor(f (x), x = x0 , n).
Qualora si desideri convertirlo a un polinomio (per esempio, per poterlo disegnare) immettere
il comando
convert(sviluppo di f (x),polynom).

Ad esempio lo sviluppo di Taylor della funzione esponenziale centrato in x = 0 di grado


3 e il rispettivo polinomio si ottengono coi comandi
> sviluppo:= taylor(exp(x),x=0,4);
1 2 1 3
x + x + O(x4 )
sviluppo := 1 + x +
2 6
> polinomio:= convert(sviluppo,polynom);
1 1
polinomio := 1 + x + x2 + x3
2 6

Si noti che Maple adopera il resto in forma O-grande.

4. Formula di Taylor con resto di Lagrange

Quando si desidera avere stime su un intervallo prefissato, non un intervallo “misterioso”


intorno a x0 , è più utile utilizzare la seguente forma del resto, più quantitativa. Questo è
utile, ad esempio, quando si vuole fornire una stima numerica dell’errore. Più precisamente,
(anche se non nelle ipotesi migliori possibili)
12 Capitolo 1

Teorema 1.15 (Formula di Taylor con resto di Lagrange). Sia f una funzione di classe
C n+1 su un intervallo I e siano x e x0 due punti di I. Allora esiste un punto ξ, compreso
tra x e x0 tale che
f (n+1) (ξ)
f (x) − Tn,x0 (x) = (x − x0 )n+1 .
(n + 1)!

Ne segue facilmente che l’errore soddisfa la seguente stima


|x − x0 |n+1
|f (x) − Tn,x0 (x)| ≤ max |f (n+1) (t)|.
(n + 1)! t∈(x0 ,x)
ZEsempio 1.16. Approssimare il numero e con un numero razionale a meno di 10−4 .

Possiamo pensare che e = e1 , ovvero e = f (1) dove f è la funzione esponenziale f (x) = ex .


Quindi approssimiamo f (1) con un polinomio di McLaurin di grado opportuno Tn calcolato
in 1. L’errore commesso sarà f (1) − Tn (1) e, per il Teorema 1.15 sul resto di Lagrange, con
x0 = 0, x = 1,
1 3
|f (1) − Tn (1)| ≤ max |et | ≤ .
(n + 1)! t∈(0,1) (n + 1)!
Nell’ultimo passaggio abbiamo usato il fatto che 2 < e < 3. Occorre quindi trovare n in
3
modo che (n+1)! < 10−4 e non è difficile pensare che basta scegliere n = 7. Quindi, a meno
di 10−4 ,

e ≃ T7 (1)
1 1 1 1 1 1
=1+1+ + + + + +
2 3! 4! 5! 6! 7!
= 2.718253968

Dimostrazione. Diamo un’idea della dimostrazione nel caso n = 1. Sia f di classe


2
C siano fissati due punti distinti x0 e x in I (il caso in cui x = x0 è banalmente vero per
qualsiasi punto ξ ∈ I).

Scriviamo la funzione g, differenza tra f e la funzione il cui grafico è la parabola passante


per i punti (x, f (x)), (x0 , f (x0 )) e avente come tangente in quest’ultimo punto una retta di
coefficiente angolare f ′ (x0 ). In formule

g(t) = f (t) − a (t − x0 )2 + b (t − x0 ) + c ∀t ∈ I

dove, come è facile calcolare,


f (x) − f (x0 ) − f ′ (x0 )(x − x0 )
c = f (x0 ) b = f ′ (x0 ) a= .
(x − x0 )2
1.5 – Concavità e convessità 13

Siccome f è di classe C 2 e un polinomio anche, anche g è di classe C 2 . Inoltre, per la scelta


fatta,
g(x0 ) = 0 g(x) = 0 g ′(x0 ) = 0;
per il teorema di Rolle (o quello di Lagrange) possiamo dire che esiste un punto z tra x0 e x
tale che g ′(z) = 0. Applicando di nuovo il teorema di Rolle (o di Lagrange) a g ′ , possiamo
dire che esiste un punto ξ compreso tra x0 e z (quindi tra x0 e x) tale che g ′′ (ξ) = 0.
Calcoliamo g ′′ :

g ′ (t) = f ′ (t) − 2a (t − x0 ) + b quindi g ′′(t) = f ′′ (t) − 2a.

Dire che g ′′ (ξ) = 0 significa quindi che f ′′ (ξ) = 2a = 2 f (x)−f (x(x−x
0 )−f (x0 )(x−x0 )
0)
2 . Riordinando i
termini si ottiene la tesi
1
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + f ′′ (ξ) (x − x0 )2 .
2


Un’altra importante applicazione della formula di Taylor con resto di Lagrange è allo studio
degli intervalli di convessità e concavità di una funzione.

5. Concavità e convessità

Una funzione f si dice convessa (concava) su un intervallo I se il suo grafico presenta la


concavità verso l’alto (risp. verso il basso), cioè se comunque scelti due punti x1 e x2 in I,
nell’intervallo di estremi x1 e x2 il grafico di f sta sotto (risp. sopra) la retta congiungente
i due punti (x1 , f (x1 )), (x2 , f (x2 )). Nella figura è illustrata la situazione nel caso di una
funzione convessa.

f(x)
secante1
secante2

Si può dimostrare che una funzione convessa o concava in I è necessariamente continua


nei punti interni all’intervallo I. Ma se f è derivabile la definizione di convessità (risp.
concavità) è equivalente a richiedere che comunque scelti un punto x0 in I, il grafico di f
stia, nell’intervallo I, sopra (risp. sotto) la retta tangente al grafico nel punto (x0 , f (x0 )).
14 Capitolo 1

f(x)
tangente

f(x)
tangente

f convessa f concava

Osserviamo ora che data una generica parabola di equazione y = ax2 + bx + c, il suo grafico
presenta la concavità verso l’alto o il basso a seconda che il segno di a sia positivo oppure
negativo. Inoltre la derivata seconda di f (x) = ax2 + bx + c è f ′′ (x) = 2a. Possiamo quindi
affermare che per le parabole la concavità è rivolta verso l’alto o il basso a seconda che la
derivata seconda sia positiva o negativa. Questo fatto ha validità generale, non solo per le
parabole.
Teorema 1.17. Sia f è derivabile due volte in I. Sono equivalenti:
a) f ′′ (x) ≥ 0 per ogni x in I
b) f è convessa in I.

E analogamente la concavità è quivalente a f ′′ (x) ≤ 0 per ogni x in I.

Dimostrazione. “Da a) segue b)”: questo fatto è conseguenza della formula di Taylor
con n = 1 e resto in forma di Lagrange, ossia del Teorema 1.15. Sia x0 un punti arbitrario
dell’intervallo e mostriamo che il grafico della funzione f sta al di sopra di quello della retta
tangente a f in x0 . Infatti la differenza tra f e il polinomio di Taylor del primo ordine, che
altro non è che la retta tangente, è del tipo
1
f (x) − (f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 )) = f ′′ (ξ)(x − x0 )2 ,
2
dove ξ è un punto nell’intervallo di estremi x0 e x. Per ipotesi f ′′ (ξ) ≥ 0. Allora, poiché
anche (x − x0 )2 ≥ 0, si ha
f (x) − (f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 )) ≥ 0.
Quindi f è convessa.

“Da b) segue a)” Supponiamo che f sia convessa in I. Allora per ogni x0 in I si ha
(1.3) f (x) ≥ f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ).
1.5 – Concavità e convessità 15

D’altra parte per la formula di Taylor con n = 2 e resto in forma di Peano, ossia per il
teorema 1.9,
1
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + f ′′ (x0 )(x − x0 )2 + o(x − x0 )2 .
2
′′
Per assurdo, se fosse f (x0 ) < 0, allora esisterebbe un intorno di x0 in cui il grafico di f
assomiglia a quello della parabola f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + 21 f ′′ (x0 )(x − x0 )2 , che ha concavità
rivolta verso il basso. Ma allora non potrebbe valere la (1.3). 

I punti in cui “cambia la convessità” sono detti punti di flesso e, più precisamente: si dice
che x0 è punto di flesso ascendente se il grafico della funzione sta sotto a quello della retta
tangente prima di x0 e invece sta sopra a quello della retta tangente dopo x0 . Si dice che x0 è
punto di flesso discendente se il grafico della funzione sta sopra a quello della retta tangente
prima di x0 e invece sta sotto a quello della retta tangente dopo x0 .

f(x)
f(x)
tangente
tangente

flesso ascendente flesso discendente

Una conseguenza di quanto visto è che


Corollario 1.18. Sia f è derivabile due volte in x0 . Se x0 è un punto di flesso allora
f ′′ (x0 ) = 0.
ZEsempio 1.19. Se f ′′ (x0 ) = 0, non è detto che x0 sia un punto di flesso, come mostra l’esempio
di f (x) = x4 con x0 = 0. ©

Quello che rimane vero è che il grafico assomiglia a quello del polinomio di Taylor centrato
in x0 . Quindi se f è derivabile tre volte e f ′′ (x0 ) = 0,
1
f (x) ≃ f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + f ′′′ (x0 )(x − x0 )3
6
Il grafico della cubica a secondo membro ha un flesso ascendente in x0 se f ′′′ (x0 ) > 0;
discendente se f ′′′ (x0 ) < 0. (Indecidibile se f ′′′ (x0 ) = 0, dovremmo scrivere un altro termine
del polinomio di Taylor).
16 Capitolo 1

ZEsempio 1.20. Studiare il grafico di f (x) = −5x2 + 2x2 log x.

Innanzi tutto, la funzione è definita per x > 0. Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio:
lim f (x) = lim x2 (−5 + 2 log x) = +∞, lim f (x) = 0,
x→+∞ x→+∞ x→0+

perché il logaritmo ha ordine di infinito minore di 1/x2 per x → 0+ . Allora f è prolungabile


in 0 a una funzione g continua: basta porre
(
f (x) x > 0
g(x) =
0 x = 0.
La funzione f è composta di funzioni infinitamente derivabili e quindi infinitamente derivabile
per x > 0. La derivata prima, per x > 0 è
f ′ (x) = −8x + 4x log x = 4x(−2 + log x).
Allora f ′ (x) = 0 se e solo se log x = 2, cioè x = e2 . Inoltre f ′ (x) < 0 se x ∈ (0, e2 ), f ′ (x) > 0
se x ∈ (e2 , +∞). Notiamo anche che limx→0+ f ′ (x) = 0, quindi g è anche derivabile in 0 e la
sua derivata in 0 è 0.

Pertanto f è decrescente su (0, e2 ] e crescente su [e2 , +∞) e presenta un minimo (assoluto) in


x = e2 ; f (e2 ) = −e4 . Siccome f è continua, per il Teorema dei Valori Intermedi l’immagine
di f contiene tutti i valori in [−e4 , +∞).

Infine, per determinare intervalli di concavità e convessità, studiamo il segno della derivata
seconda:
f ′′ (x) = −4 + 4 log x = 4(log x − 1).
Quindi f ′′ (x) = 0 per log x = 1, cioè per x = e; f ′′ (x) > 0 per x > e; f ′′ (x) < 0 per
0 < x < e. Possiamo concludere che f è convessa sull’intervallo [e, +∞) e concava su (0, e].
Il punto e è un punto di flesso ascendente.
60

40

20

−20

−40

−60
0 2 4 6 8 10 12 14 16

Nella figura in rosso abbiamo disegnato la retta tangente al grafico di f nel punto e. ©
1.6 – Il metodo delle secanti e il metodo di Newton o delle tangenti 17

6. Il metodo delle secanti e il metodo di Newton o delle tangenti

Molto spesso non è possibile determinare in modo esatto le ascisse dei punti in cui una
funzione si annulla: ad esempio nel caso della funzione f (x) = x + ex è immediato che i limiti
al tendere di x a −∞ e +∞ sono rispettivamente −∞ e +∞ e che la funzione è strettamente
crescente (f ′ (x) = 1 + ex > 0), quindi esiste un unico punto in cui la funzione si annulla.
Ma quanto a determinarlo esplicitamente, è tutta un’altra questione; possiamo, localizzarlo
un po’ meglio, tra −1 e 0, ad esempio, osservando che f (−1) = −1 + e−1 = −0.632 . . . e
f (0) = 1; possiamo giungere a stabilire quali sono le prime cifre decimali del punto in cui la
funzione si annulla, con il metodo di dicotomia introdotto nel teorema degli zeri, ma è un
metodo molto lento: necessita, in questo caso, di 11 passaggi per arrivare a 3 cifre decimali
esatte!

Il nostro scopo in questa sezione sarà di introdurre metodi assai più efficienti per la determi-
nazione numerica (approssimata) degli zeri di una funzione. Entrambi i metodi richiedono
che la funzione mantenga lo stesso tipo di convessità nell’intervallo preso in considerazione
e permettono in genere di approssimare con molta velocità il punto in cui la funzione si
annulla.

Illustreremo per primo il metodo delle secanti. Supponiamo, ad esempio, che la funzione
sia continua, convessa e tale che f (a) < 0 e f (b) > 0. L’equazione della retta che passa per
gli estremi (a, f (a)) e (b, f (b)) del grafico è y = f (b) + f (b)−f
b−a
(a)
(x − b).

Tale retta taglia l’asse delle x in un punto in cui la funzione assume ancora valore negativo,
la cui ascissa x1 si può facilmente trovare, ponendo y = 0 nella precedente equazione, e cioè
a−b
x1 = b − f (a)−f (b)
f (b).
A questo punto si ripete l’operazione con la nuova
coppia di punti (x1 , f (x1 )) e (b, f (b)) e si ottiene
il nuovo punto x2 = b − f (xx11)−f
−b
(b)
f (b). Si procede
in tal modo, ottenendo la successione di punti

xn−1 − b
xn = b − f (b)
f (xn−1 ) − f (b)

che tende assai rapidamente al punto in cui f


x1 x2 x3 si annulla: nella figura sottostante si vedono i
b b b

a b primi tre punti della successione approssimante.


Possiamo pensare x0 = a.

Nello stesso modo si opera nel caso di f continua, concava e tale che f (a) > 0 e f (b) < 0.
18 Capitolo 1

Negli altri due casi (cioè funzione f convessa e tale


che f (a) > 0 e f (b) < 0 oppure f concava e tale
che f (a) < 0 e f (b) > 0) si lascia fisso il primo
estremo e la successione che si ottiene adoperando
lo stesso metodo è definita induttivamente da
xn−1 − a
x3 x2 x1 xn = a − f (a)
b b b f (xn−1 ) − f (a)
a b
con x0 = b.

Consideriamo ora il caso delle soluzioni dell’equazione f (x) = x + ex = 0. Tale funzione ha


derivata seconda ex > 0 e f (−1) = −1 + e − 1 < 0 e f (0) = 1 > 0: è dunque convessa
e dobbiamo applicare la prima delle due formule date, tenendo come punto fisso il secondo
estremo. Si notino le prime due assegnazioni: scriviamo −1. e 0. (il punto dopo la cifra!)
perché intendiamo avere come output cifre decimali. Provate a vedere cosa succede senza il
punto.

> a:=-1.:
b:=0.:
f:=x->x+exp(x):

> x[0]:=a:
for n from 1 to 10 do
x[n]:=b-f(b)*(x[n-1]-b)/(f(x[n-1])-f(b));
end do;
x1 := −.6126998367
x2 := −.5721814119
x3 := −.5677032140
x4 := −.5672055524
x5 := −.5671502144
x6 := −.5671440603
x7 := −.5671433763
x8 := −.5671432997
x9 := −.5671432912
x10 := −.5671432906

Come si vede dalla risposta di Maple i valori si stabilizzano assai rapidamente: al terzo passo
le prime tre cifre decimali sono esatte, al settimo sono già sei (con il metodo di dicotomia
servirebbero rispettivamente 11 e 21 passi per ottenere la stessa precisione). Chi frequenterà
il corso di Calcolo Numerico, quantificherà l’ordine di convergenza di questa successione.
1.6 – Il metodo delle secanti e il metodo di Newton o delle tangenti 19

Logicamente molto simile è il metodo delle tangenti (o di Newton) che, come dice il nome,
sfrutta la tangente invece della secante.

Analogamente al caso precedente, si parte dalla retta tangente al grafico nel primo estremo
se f è continua, convessa e tale che f (a) > 0 e f (b) < 0, oppure continua, concava e tale
che f (a) < 0 e f (b) > 0. L’equazione della retta tangente è y = f (a) + f ′ (a)(x − a) che
taglia l’asse delle x in un punto in cui la funzione assume valore positivo, la cui ascissa si
può facilmente trovare, ponendo y = 0 nella precedente equazione, e cioè x1 = a − ff′(a) (a)
. A
questo punto si ripete l’operazione partendo dal punto (x1 , f (x1 )) e si ottiene il nuovo punto
x2 = x1 − ff′(x 1)
(x1 )
e cosı̀ via, ottenendo la successione di punti
f (xn−1 )
xn = xn−1 −
f ′ (xn−1 )
che, come si può osservare nella figura a sinistra, converge in modo estremamente veloce.

Negli altri due casi (cioè f concava e tale che f (a) > 0 e f (b) < 0 oppure convessa e tale che
f (a) < 0 e f (b) > 0) si parte dal secondo estremo x1 = b − ff′(b)(b)
ma poi la formula coincide:
f (xn−1 )
xn = xn−1 − .
f ′ (xn−1 )
Guardate la figura a destra.

b b b b

a = x0 x1 x2 b a x2 x1 b = x0

Torniamo all’equazione f (x) = x + ex = 0. La figura è tipo quella a destra, quindi come già
detto dovremo partire dal secondo estremo.

> a:=-1.:
b:=0.:
f:=x->x+exp(x):

> g:=D(f):
Digits := 30;

> x[0]:=b:
20 Capitolo 1

for n from 1 to 10 do
x[n]:=x[n-1]-f(x[n-1])/g(x[n-1]);
end do;

x1 := −.500000000000000000000000000000
x2 := −.566311003197218153041649151382
x3 := −.567143165034862212786512096660
x4 := −.567143290409781028699576649415
x5 := −.567143290409783872999968662209
x6 := −.567143290409783872999968662210
x7 := −.567143290409783872999968662211
x8 := −.567143290409783872999968662210
x9 := −.567143290409783872999968662211
x10 := −.567143290409783872999968662210

Al quarto passo si ottiene praticamente il valore esatto, se ci limitiamo a guardare 10 cifre


come prima; per vedere qualche differenza tra le varie approssimazioni ne richiedo 30, ma
siamo al limite della precisione di Maple (si noti che le ultime tre approssimazioni sono da
considerarsi errate, perché per costruzione la successione (xn ) deve essere decrescente, mentre
x8 < x7 ).

In generale (a meno che f ′ non si annulli nello zero cercato) il metodo di Newton converge
più rapidamente. Tuttavia il metodo di Newton richiede che a ogni passo si valutino sia f
sia la sua derivata, mentre il metodo delle secanti richiede solo valutazioni della funzione f .
Questo comporta che in pratica il metodo delle secanti possa essere più veloce.

7. Polinomi di interpolazione

Se, come spesso accade, la funzione f ha derivate di qualsiasi ordine in tutti i punti del-
l’intervallo I, si possono scrivere i polinomi di Taylor di ogni grado. Ci aspettiamo che al-
l’aumentare del grado migliori il livello dell’approssimazione; ma, in genere e come vedremo
negli esempi, questo accade solo vicino al punto x0 .

In altre parole, osservando i grafici dell’esempio 1.8, al crescere di n non solo migliora il grado
di approssimazione, ma anche si estende la regione in cui tale approssimazione è buona. Nel
prossimo esempio vediamo come l’approssimazione dei polinomi di Taylor per alcune funzioni
è un fatto semplicemente locale.

ZEsempio 1.21. Sia f (x) = 1/(1 − x) e x0 = 0.


1.7 – Polinomi di interpolazione 21

1 2 2·3 4!
Le derivate sono: f ′ (x) = (1−x) ′′ ′′′
2 , f (x) = (1−x)3 , f (x) = (1−x)3 , f
(iv)
(x) = (1−x)4 , e cosı̀ via
(n) n! ′ ′′ ′′′ (n)
f (x) = (1−x)n+1 . Ne segue che f (0) = 1, f (0) = 1, f (0) = 2, f (0) = 3!, f (0) = n! e

Tn (x) = 1 + x + x2 + x3 + · · · + xn .

Un altro esempio è dato dalla funzione g(x) = log(1 + x), che ha polinomio di Mclaurin

x2 x2 xn
Tn (x) = x − + + · · · + (−1)n .
2 3 n!

Nelle figure che seguono, a sinistra vedete la situazione per f a destra per g.
6 3

5
f
T 2
1
T
4 2
T
3
T
4
3 1

2
0
1 g
T
1
T
2
0 −1 T3
T
4

−1
−2
−2

−3 −3
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

Come si può vedere dalle figure precedenti, il grado di approssimazione peggiora sensibilmente
al crescere di n quando x è al di fuori dell’intervallo [−1, 1]. Si potrebbe essere indotti a
pensare che questo comportamento dipende dal fatto che le funzioni f e g tendono a infinito
per x → −1.

h
Non è una buona spiegazione! Guardate questo
T2

1.5
T4
T6
esempio: ora sostituiamo −x2 nella funzione
f al posto della variabile x, otteniamo che il
1 polinomio di Taylor di h(x) = 1/(1 + x2 ) è

T2n (x) = 1 − x2 + x4 − x6 + · · · + (−1)n x2n .


0.5

Anche questi polinomi funzionano bene solo se


−0.5 −1 < x < 1, anche se la funzione h è infinite
volte derivabile.
−1
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

©
22 Capitolo 1

Una spiegazione spero esauriente seguirà quando parleremo di serie e serie di Taylor. Per ora
accontentiamoci di pensare che se vogliamo approssimare tramite polinomi la funzione h(x) =
1/(1+x2 ) su tutto l’intervallo [−2, 2], il polinomio di Taylor non è la migliore soluzione, perché
tale polinomio cessa di fornire buone approssimazioni al di fuori dell’intervallo [−1, 1].

Una soluzione può essere quella dei polinomi interpolanti che vedremo in questa sezione.

Sia f : [a, b] → R una funzione e siano assegnati n + 1 punti distinti, che indichiamo con
x0 , . . . , xn , dell’intervallo chiuso e limitato [a, b]. Per capire meglio come può essere fatto il
grafico di f , cerchiamo di approssimare la funzione f con un polinomio P passante per i
medesimi punti, ossia tale che
P (xi ) = f (xi ) ∀i = 0, 1, . . . , n.
Siccome le funzioni polinomiali sono molto più facili da trattare, questo procedimento do-
vrebbe, in qualche caso, semplificarci la vita.

Per comodità, supponiamo che


x0 < x1 < · · · < xn .
Teorema 1.22. Esiste un unico polinomio P di grado n tale che
P (xi ) = f (xi ) ∀i = 0, 1, . . . , n.
Questo polinomio è dato da
n
X
P (x) = f (xi ) Li (x)
i=0
dove gli n + 1 polinomi Li sono definiti da
n
Y x − xk
Li (x) =
k=0
xi − xk
k6=i

e costituiscono una base dei polinomi di grado n.

Dimostrazione. I polinomi Li sono di grado n e verificano


(
1 se i = j,
Li (xj ) =
0 se i 6= j.
Quindi i polinomi Li sono n + 1 e inoltre sono linearmente indipendenti. Siccome i polinomi
di grado n sono uno spazio vettoriale di dimensione n + 1, allora i polinomi Li costituiscono
una base dei polinomi di grado n.

Cerchiamo allora un polinomio di grado n tale che P (xi ) = f (xi ) per ogni i = 0, 1, . . . , n.
Necessariamente n
X
P (x) = ci Li (x)
i=0
per certi coefficienti reali ci e inoltre P (xi ) = f (xi ) accade se e solo se ci = f (xi ).
1.7 – Polinomi di interpolazione 23

Oppure, più semplicemente, un polinomio P di grado n ha la forma


n
X
P (x) = ai xn
i=0

per certi coefficienti reali ai . Richiedere che P (xi ) = f (xi ) è equivalente a richiedere che gli
ai siano soluzioni del sistema lineare
Pn n
 i=0 ai x0 = f (x0 )

..
 .
Pn n
i=0 ai xn = f (xn )

che in forma matriciale si scrive


     
1 x1 . . . xn0 a0 f (x0 )
Ma = Y dove M =  ... ... .. 
. a =  ...  Y =  ...  .
1 xn . . . xnn an f (xn )
Q
Non è difficile provare che il determinante di M vale i<j (xj − xi ) e quindi è diverso da
zero se i punti xi sono distinti. Ma allora il sistema ha un’unica soluzione, che è il polinomio
interpolante cercato. 
ZEsempio 1.23. Consideriamo sull’intervallo [−1, 2] la funzione f (x) = ex .
a) Scelti i punti −1, 0 scriviamone il polinomio interpolante di grado 1;
b) scelti i punti −1, 0, 1 scriviamone il polinomio interpolante di grado 2;
c) scelti i punti −1, 0, 1, 2 scriviamone il polinomio interpolante di grado 3.

a) Cerchiamo il polinomio P1 di grado 1 della forma a0 + a1 x in modo che


(
f (−1) = e−1 = P1 (−1) = a0 − a1
quindi a0 = 1 a1 = 1 − e−1
f (0) = 1 = P1 (0) = a0

e P1 (x) = 1 + (1 − e−1 )x.

b) Cerchiamo il polinomio P2 di grado 2 della forma a0 + a1 x + a2 x2 in modo che


 
−1

 f (−1) = e = P 2 (−1) = a 0 − a 1 + a2 a0 = 1

f (0) = 1 = P2 (0) = a0 quindi a1 = e−1/e
2

f (1) = e = P (1) = a + a + a 
a = −1 + e+1/e
2 0 1 2 2 2
e−1/e e+1/e
e P2 (x) = 1 + 2
x + (−1 + 2
)x2 .

c) Cerchiamo il polinomio P3 di grado 3 della forma a0 + a1 x + a2 x2 + a3 x3 in modo che


 
−1

 f (−1) = e = P 3 (−1) = a 0 − a 1 + a 2 − a3 
a0 = 1

f (0) = 1 = P (0) = a 
a = e − 1 e2 − 1 e−1 − 1
3 0 1 6 3 2
quindi 1 1

 f (1) = e = P 3 (1) = a0 + a1 + a2 + a3 
a2 = 2
e − 1 + 2e

 

f (2) = e2 = P3 (2) = a0 + 2a1 + 4a2 + 8a3 a3 = 61 e2 − 21 e + 21 − 6e
1
24 Capitolo 1

e P3 (x) ha l’(orribile) espressione


  
1 + e − 16 e2 − 13 e−1 − 1
2
x+ 1
2
e −1+ 1
2e
x2 + 1 2
6
e − 12 e + 12 − 1
6e
x3 .

I grafici della funzione e dei tre polinomi trovati sono:

f(x)=ex
3 P1(x)
P2(x)
P3(x)

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2

Dall’esempio fatto, l’approssimazione sembra migliorare al crescere del numero di punti scelti.

Ma quanto buona è l’approssimazione ottenuta? Iniziamo a ragionare dal caso più semplice:
quello in cui scegliamo due punti x0 e x1 e approssimiamo la funzione con il suo polinomio
P interpolante di grado uno, che è la retta passante per i punti (x0 , f (x0 )) e (x1 , f (x1 )).

Sappiamo che la differenza f (x) − P (x) è nulla per x = x0 , x1 e desideriamo ora valutare
la differenza f (x) − P (x) per un altro x in [a, b], che pensiamo fissato. Approssimiamo la
funzione (ignota) della variabile t
f (t) − P (t)
considerando il suo polinomio interpolante P̃ di grado due per i punti x, x1 , x2 , ossia il
polinomio
(t − x0 )(t − x1 )
P̃ (t) = (f (x) − P (x)).
(x − x0 )(x − x1 )
Imitando la dimostrazione del Teorema di Lagrange, introduciamo una nuova funzione au-
siliaria gx della variabile t, che coincida con la differenza tra la funzione f (t) − P (t) e il suo
1.7 – Polinomi di interpolazione 25

polinomio interpolante P̃ (t), ossia


(t − x0 )(t − x1 )
gx (t) = f (t) − P (t) − (f (x) − P (x)).
(x − x0 )(x − x1 )
La funzione gx ha la stessa regolarità di f e è nulla nei punti x, x1 , x0 . Se supponiamo che f
sia di classe C 2 , applicando due volte il teorema di Rolle, possiamo concludere che esiste un
punto c in (a, b) tale che gx′′ (c) = 0. Siccome la derivata seconda di un polinomio di grado
uno è zero, si ha
gx′′ (t) = f ′′ (t) − P ′′ (t) − P̃ ′′ (t)
2
= f ′′ (t) − (f (x) − P (x)).
(x − x0 )(x − x1 )
Allora dire che esiste un punto c in (a, b) tale che gx′′ (c) = 0 vuol dire che esiste un punto c
in (a, b) tale che
2
f ′′ (c) = (f (x) − P (x)),
(x − x0 )(x − x1 )
o anche
(x − x0 )(x − x1 ) ′′
f (x) − P (x) = f (c).
2
L’ultima equazione scritta vale anche nei casi x = x0 , x1 (si riduce all’identità 0 = 0).

Riassumendo, abbiamo verificato che:

Teorema 1.24. Dati due punti distinti x0 e x1 dell’intervallo [a, b] e una funzione f di
classe C 2 sull’intervallo [a, b], possiamo formare il polinomio P interpolante di grado uno e
per ogni x in [a, b] esiste un punto c in (a, b) tale che
(x − x0 )(x − x1 ) ′′
f (x) − P (x) = f (c).
2
In particolare quindi possiamo stimare l’errore commesso con
|(x − x0 )(x − x1 )|
|f (x) − P (x)| ≤ max |f ′′ (c)|.
2 c∈[a,b]

In generale valgono:
Teorema 1.25. Supponiamo che f sia di classe C n+1 sull’intervallo [a, b]. Allora per ogni
x in [a, b] esiste ξ in [min(x, x0 ), max(x, xn )] tale che
(x − x0 ) · · · (x − xn ) (n+1)
f (x) − P (x) = f (ξ).
(n + 1)!
Corollario 1.26. Sia f una funzione di classe C n+1 sull’intervallo [a, b]. Allora
|(x − x0 ) · · · (x − xn )|
|f (x) − P (x)| ≤ max |f (n+1) (x)|.
(n + 1)! x∈[a,b]
26 Capitolo 1

Ma la dimostrazione di questi risultati non aggiunge alcun ingrediente interessante.

Riprendiamo l’esempio 1.23: notiamo che le derivate della funzione esponenziale sono limitate
sull’intervallo [−2, 2] e inoltre la distanza tra x e ciascuno dei punti prescelti xj è al più 4.
Allora la differenza tra ex e un suo polinomio interpolante Pn di grado n si controlla in questo
modo:
4n+1 4n+1
|ex − Pn (x)| ≤ max |ex | ≤ M .
(n + 1)! x∈[a,b] (n + 1)!

Siccome il fattoriale ha ordine di infinito superiore a 4n ne concludiamo che Pn (x) → ex


quando n → ∞.

ZEsempio 1.27. In generale non è detto che l’approssimazione migliori in tutti i punti!
Consideriamo la funzione
1
f (x) = su [−2, 2]
1 + x2

e interpoliamola considerando punti equispaziati di 2 unità, 1 unità, 1/2 e quindi polinomi


di gradi 2, 4, 8 rispettivamente. Con Maple

with(CurveFitting):
> a:=PolynomialInterpolation([-2,0,2],[1/5,1,1/5],x):
> p2:=collect(a,x);
> b:=PolynomialInterpolation([-2,-1,0,1,2],[1/5,1/2,1,1/2,1/5],x):
> p4:=collect(b,x);
> c:=PolynomialInterpolation([-2, -3/2, -1, -1/2, 0, 1/2, 1, 3/2, 2],
[1/5, 4/13, 1/2, 4/5, 1, 4/5, 1/2,4/13, 1/5],x):
> p8:=collect(c,x);
> plot([1/(1+x^2),a,b,c],x=-2..2);

In questo modo otteniamo

1 1 4 3 2
P2 (x) = − x2 + 1 P4 (x) = x − x +1
5 10 5

e, dulcis in fundo,

3547450783405661 8 3769166457368519 6
P8 (x) = x − x
144115188075855872 18014398509481984

2833803457837733 4 307 2
+ x − x +1
4503599627370496 325
1.8 – Esercizi 27

1
Nel disegno, il grafico della funzione f è
quello in nero e il polinomio di grado due
0.9
è in blu.
0.8

Ci accorgiamo che il polinomio P8 (quello


0.7
in rosso), in vicinanza degli estremi −2 e
0.6
2, approssima la funzione peggio del poli-
0.5 nomio di grado 4 (quello in verde). Questo
strano comportamento prende il nome di
0.4
fenomeno di Runge. Questo fatto negativo
0.3 può essere superato con una scelta oppor-
0.2
tuna dei punti per cui far passare il poli-
nomio interpolante, ma questo esula dagli
0.1
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 scopi che ci siamo prefissi.

In sintesi, il metodo ora descritto permette di descrivere il grafico di una funzione in un certo
intervallo fissato, purché la funzione sia sufficientemente regolare. Adopereremo i polinomi
interpolanti nel calcolo di integrali definiti.

8. Esercizi

1. Studiare il segno di f (x) = ex + log 1−x


e
in un intorno di 0.

2. Calcolare l’ordine di infinitesimo di cos(2x) + log(1 + 4x2 ) per x → 0.


2 h(x)
3. Sia h(x) = sin(x2 ) + a log(2 − ex ), con a ∈ R. Calcolare limx→0 x4
al variare di a ∈ R.

4. Sia f (x) = log(cos x) + 3 sin2 (αx). Per quali valori di α la funzione f (x) è un infinitesimo di
ordine 3 per x → 0? Per quali valori di α la funzione f (x) ha un minimo oppure un massimo
in 0?

5. Sia
f (x) = ex−tg x − 2.
a) Determinare il dominio di f e i limiti agli estremi del dominio.
b) Determinare massimi e minimi (assoluti e relativi) di f su tutto il dominio.
c) Determinare l’immagine di f .
d) Disegnare uno (o più) grafici qualitativi di f con Maple.
e) Dire quante soluzioni ha l’equazione f (x) = 0 e approssimare quella nell’intervallo (− π2 , π2 )
28 Capitolo 1

a meno di 10−4 .
f ) Dire se esiste ed eventualmente calcolare limx→±∞ f (x).

6. Sia
x2 ex
f (x) = .
x+6
a) Determinare il dominio di f e i limiti agli estremi del dominio.
b) Determinare massimi e minimi (assoluti e relativi) di f .
c) Determinare l’immagine di f .
d) Disegnare uno (o più) grafici qualitativi di f con Excel o MatLab.
e) Approssimare a meno di 1/1000 la radice dell’equazione f (x) = 1 con x ∈ [1, 2].

7. Siano a ∈ R e
f (x) = ex − 1 − a x.
a) Determinare il dominio di f e i limiti agli estremi del dominio, al variare di a ∈ R.
b) Approssimare a meno di 10−4 gli zeri di f con a = 2.
c) Determinare il dominio di g(x) = log(ex − 1 − 2x).
d) Determinare il numero di zeri di f al variare di a ∈ R.

8. Sia b ∈ R e √
f (x) = 1 + bx − sin x − cos x.
Studiare il segno di f in un intorno di 0, al variare di b ∈ R.

9. Sia
log x + 1
f (x) = .
log x − 1
a) Determinare il dominio di f e i limiti agli estremi del dominio.
b) Determinare gli intervalli di monotonia di f .
c) Determinare gli intervalli di concavità e di convessità di f .
CAPITOLO 2

Serie numeriche

1. Brevi richiami sulle successioni

Ricordiamo che una successione reale è una funzione definita da N, eventualmente privato
di un numero finito di elementi, a R.

a2 b
Solitamente si indica una successione con la “lista”
dei suoi valori: (an )n∈N . Il valore an si chiama n-esimo
a1 b termine della successione.
a4 b

a3 b

Graficamente possiamo rappresentare una successione


1 2 3 4 come in figura.

Una successione importante in probabilità è la successione geometrica di parametro p, con


0 < p < 1. In formule, è la successione i cui termini sono pn con n ≥ 1. Pensate di lanciare
ripetutamente una moneta e che la probabilità che esca “testa” in un singolo lancio sia p.
Ovviamente il risultato di un lancio non influenza il successivo. Il termine pn rappresenta la
probabilità di avere esattamente n volte “testa” in n lanci consecutivi.

Sia (an )n∈N una successione e sia ϕ : N → N una successione di numeri naturali strettamente
crescente. Indichiamo con nk = ϕ(k). Allora la successione (ank )k∈N si chiama successione
estratta o sottosuccessione della successione data.

In pratica, questo significa scegliere, senza variarne l’ordine, infiniti termini della successione
di partenza, immagazzinandoli in una nuova “lista”. Ad esempio, immaginiamo di scegliere
per primo il termine a2 e immagazziniamo questo valore come primo termine ponendo b1 =
a2 . Ora operiamo una seconda scelta; sono a nostra disposizione tutti i termini a partire
da a3 ; scegliamo ad esempio a10 e poniamo b2 = a10 . Ora operiamo una terza scelta; sono
a nostra disposizione tutti i termini a partire da a11 ; scegliamo ad esempio a20 e poniamo
b3 = a20 . E cosı̀ via. La successione estratta è la b1 , b2 , b3 , . . .

ZEsempio 2.1. Sia (a√n )n∈N la√ successione



definita

da an = cos(nπ/4). Come “lista” di elementi

la successione è 1, 2 , 0, − 2 , −1, − 2 , 0, 2 , 1, 22 , 0, . . .
2 2 2 2

Sia nk = 2k. Allora l’estratta, cosiddetta di posto pari è la successione 1, 0, −1, 0, 1, 0, . . ..


29
30 Capitolo 2

Se invece nk =

2k +

1 stiamo
√ √ √
considerando la cosiddetta estratta di posto dispari, ovvero la
successione: 2 , − 2 , − 2 , 2 , 22 , . . .
2 2 2 2
©

Supponiamo ora che

lim an = ℓ.
n→∞

Ovviamente selezionando infiniti termini dalla successione (an )n∈N , purché rispettando l’or-
dine, non si varia il carattere della successione, ossia anche

lim ank = ℓ.
n→∞

In figura, immaginiamo di scegliere dalla successione (an )n∈N (che converge a 0) i termini
circolettati di verde.

b b b
b
b b b
b
b
1 2 3 4 5
b
6 7 8 9
b 10 11 12 13 14 15
b

Anche i termini circolettati di verde tendono a zero.

Può invece succedere che una successione non abbia limite, mentre una sua estratta lo abbia.
Una successione che non ha limite è an = cos(nπ/4) definita nell’esempio 2.1. Considerate
nk = 2 + 4k. È facile controllare che (ank )k∈N è la successione costantemente nulla, quindi
convergente (a 0).

In sintesi: se (an )n∈N è una successione che ha limite ℓ (finito o infinito) allora il limite di
una sua qualsiasi estratta è ancora uguale a ℓ.

2. Le serie numeriche

Per comodità, solitamente in quanto segue le successioni saranno definite su N \ {0}, ossia a
partire da 1.
2.2 – Le serie numeriche 31

Data una successione (an )n≥1 , possiamo formare un’altra successione, che indicheremo soli-
tamente con (sn )n≥1 , delle somme parziali o delle ridotte, dove

n
X
s1 = a1 sn = ak = a1 + · · · + an .
k=1

Il termine sn , in cui sommiamo i primi n termini della successione (an ), si chiama ridotta di
ordine n.

Graficamente, possiamo pensare alla ridotta di ordine n, ad esempio 3, come all’area della
regione disegnata nella figura a sinistra (o equivalentemente in quella a destra): è la somma
di tre rettangoli, tutti di base 1 e altezze rispettivamente a1 , a2 , a3 . Al solito, i pallini rossi
indicano il grafico della successione.

b b

b b
b b

1 2 3 4 0 1 2 3

Ora immaginiamo di voler sapere se continuando a sommare le aree di questi rettangoli


otteniamo un poligono di area finita oppure no.

Un’altra motivazione allo studio delle somme infinite deriva dalla probabilità. Pensiamo di
comprare ogni anno un biglietto della lotteria. Se la lotteria stampa e vende un milione di
biglietti ogni anno, la probabilità che il nostro venga estratto è pari a p = 10−6 (supponendo
che la lotteria sia onesta, ossia che tutti i biglietti abbiano la stessa probabilit di essere
estratti). La probabilità di vincere esattamente la prima volta che acquistiamo il biglietto
è ovviamente p; di perdere il primo anno ma vincere il secondo anno è più piccola e pre-
cisamente (1 − p)p; al terzo anno è (1 − p)2 p; e cosı̀ via, la probabilità di prima vincita
all’ennesimo anno è (1 − p)n−1 p. Quindi la probabilità che si vinca entro l’ennesimo anno è
la somma di tali probabilità. In formule, T è la variabile aleatoria che misura l’anno in cui
si vince e abbiamo detto che

n
X
n−1
P(T = n) = (1 − p) p P(T ≤ n) = (1 − p)k−1 p.
k=1

Come è facile controllare, la probabilità di aver vinto entro l’ennesimo anno aumenta. Sup-
ponendo di continuare imperterriti a tentare la sorte, ci chiediamo cosa può accadere quando
n diventa molto grande.
32 Capitolo 2

Ci accorgeremo di un risultato sorprendente: sicuramente vinceremo. Il problema è il tempo


medio di attesa per la vincita (ossia il valore atteso di T ) che è

X ∞
X
E(T ) = n P(T = n) = n (1 − p)n−1 p.
n=1 n=1

Scopriremo che è finito, ma pari a un milione di anni (il che dovrebbe bastare a sconsigliare
dallo spendere i soldi del biglietto).

Definizione 2.1. Sia data una successione reale (an )n≥1 . Una serie è una somma formale
X∞
an .
n=1
Si dice che questa serie è convergente e ha per somma s ∈ R se la successione delle ridotte
(sn ) converge a s. Se la successione delle ridotte diverge, anche la serie si dice divergente.
Se la successione delle ridotte non ha limite, la serie si dice indeterminata.

Non tutte le successioni in generale “partono dall’indice 1”. Se abbiamo una successione che

P
parte dall’indice p, con p ∈ N della forma (an )n≥p , la serie an ha lo stesso significato di
n=p

P
bn , dove bn = ap+n−1 .
n=1

ZEsempio 2.2. La serie geometrica di ragione 12 : si consideri la successione definita da


1
an = ∀n ∈ N.
2n

P ∞
P
1 1 1
La serie geometrica di ragione 2
è 2n
= 2n−1
. La successione delle ridotte è data da
n=0 n=1
n n−1
1 X 1 X 1
(2.1) s1 = a0 = 1 s2 = 1 + ... sn = n−1
= .
2 k=1
2 k=0
2n
Più in generale, dato x ∈ R, possiamo considerare la serie geometrica di ragione x, data da

P ∞
P
xn = xn−1 , dove, se x = 0, poniamo 00 = 1.
n=0 n=1

È facile notare che, nel caso x = 1, la successione delle ridotte è sn = n, pertanto divergente.
Quindi la serie geometrica di ragione 1 diverge a ∞.

Se invece x 6= 1, allora
n−1
X 1 − xn
sn = xn = .
k=0
1−x
Quindi, ricordando che se |x| < 1 si ha limn→∞ xn = 0, otteniamo che la serie geometrica
1
di ragione x, con |x| < 1, è convergente e ha per somma 1−x . Inoltre, se x > 1, allora si
2.2 – Le serie numeriche 33

ha limn→∞ xn = ∞, quindi la serie geometrica di ragione x, con x > 1, è positivamente


divergente. Se invece x ≤ −1, la successione (xn ) non ha limite, quindi la serie geometrica
di ragione x, con x ≤ −1, è indeterminata. Riassumendo:
 1

 1−x
se − 1 < x < 1


∞ 

X
n
x = ∞ se x ≥ 1
n=0






indeterminata se x ≤ −1.
©

P
ZEsempio 2.3. Le serie telescopiche. Studiare la convergenza di 1
n(n+1)
. Si noti che
n=1
1 1 1
n(n+1)
= n
− .
Quindi la ridotta di ordine n diventa
n+1
n n  
X 1 X 1 1
sn = = −
k(k + 1) k k+1
k=1 k=1
       
1 1 1 1 1 1 1
= 1− + − + − +···+ −
2 2 3 3 4 n n+1
1
=1− −→ 1.
n+1
Quindi la serie data è convergente e ha somma 1. Questo esempio è il prototipo di una classe
di serie che si chiamano serie telescopiche.

P
Una serie che si possa scrivere come (bn − bn+1 ), dove (bn ) è una successione reale si dice
n=1
telescopica. Per una tale serie la ridotta di ordine n risulta
Xn
(bk − bk+1 ) = b1 − bn+1 ,
k=1

perché tutti gli altri addendi si elidono. Quindi, se esiste finito limn→∞ bn = ℓ, la serie
telescopica è convergente e ha somma b1 − ℓ. ©


P
Teorema 2.4. Sia an una serie convergente. Allora
n=1
lim an = 0.
n→∞

Dimostrazione. Sia ℓ ∈ R la somma della serie, ovvero, detta (sn ) la successione delle
ridotte, si ha limn→∞ sn = ℓ. Ma allora per n → ∞
an = sn − sn−1 −→ ℓ − ℓ = 0.

34 Capitolo 2

Questo criterio ci aiuta a stabilire facilmente quando una serie non converge, come nel pros-
simo esempio. In quello successivo invece vediamo che ci possono essere serie non convergenti
il cui termine generale è infinitesimo.

P 
ZEsempio 2.5. Dire se è convergente n sin 1
n
. Siccome
n=1
 
1
lim n sin =1
n→∞ n
la serie data non converge. ©

ZEsempio 2.6. La serie armonica: si consideri la successione definita da


1
an = ∀n = 1, 2, . . . .
n
P∞ 1
La serie armonica è . Notiamo che potrebbe essere una serie convergente, perché
n=1 n
limn→∞ n1 = 0. Tuttavia, questo non è sufficiente: mostriamo che la serie armonica diverge.
La successione delle ridotte è data da
n
1 X 1
s1 = a1 = 1 s2 = 1 + ... sn = .
2 k
k=1

La successione delle ridotte è monotona crescente, quindi o diverge positivamente o converge.


Per assurdo, se la serie armonica fosse convergente, ossia per un certo ℓ finito
lim sn = ℓ,
n→∞

allora ogni estratta della successione delle ridotte dovrebbe avere limite ℓ. In particolare
consideriamo due estratte: s2n e s2n+1 . Si dovrebbe avere
lim (s2n+1 − s2n ) = ℓ − ℓ = 0.
n→∞

D’altra parte,
n+1
2X 2n
1 X1
s2n+1 − s2n = −
k=1
k k=1 k
n+1
2X
1
=
k=2n +1
k
1
≥ (2n+1 − 2n ) ,
2n+1
dove abbiamo minorato l’ultima somma col termine più piccolo per il numero degli addendi.
Ma allora
1 1 1
0 = lim (s2n+1 − s2n ) ≥ lim (2n+1 − 2n ) n+1 = 0 ≥ ????
n→∞ n→∞ 2 2 2
Abbiamo ottenuto un assurdo. Allora la serie armonica diverge. ©
2.3 – Serie a termini non negativi 35

Il carattere di una serie (convergenza, divergenza, indeterminazione) rimane lo stesso se si


alterano i termini corrispondenti a un numero finito di indici, perché le ridotte, da un certo
ordine in poi, differiranno per una costante. Ad esempio, consideriamo la successione
bn = 0 se n = 0, 1, . . . , 10; bn = 1/2n altrimenti.
Essa differisce dalla successione geometrica di ragione 1/2 per i primi 11 termini. Chiamiamo
(σn ) la successione delle ridotte di (bn ) e (sn ) la successione delle ridotte della geometrica di
ragione 1/2 come nella formula (2.1). Ovviamente, per n → ∞
1 1 − 2111
σn = sn − s11 −→ − s 11 = 2 − = 2−10 .
1 − 21 1 − 12

P ∞
P 1
e quindi bn ha lo stesso carattere di 2n
.
n=0 n=0

Dalla linearità dell’operazione di limite si ricava facilmente la linearità delle serie:


P ∞
P
(1) se an e bn sono serie convergenti e hanno somma sa e sb rispettivamente,
n=1 n=1
P∞
allora anche (an + bn ) è convergente e la sua somma è sa + sb ;
n=1

P ∞
P
(2) se c ∈ R e an è una serie convergente di somma sa , allora c an è convergente
n=1 n=1
e la sua somma è c sa ;

P ∞
P ∞
P
(3) se an e bn sono serie positivamente divergenti, allora anche (an + bn ) è
n=1 n=1 n=1
positivamente divergente;

P ∞
P
(4) se c > 0 e an è una serie positivamente divergente, allora c an è positivamente
n=1 n=1
divergente;

P ∞
P
(5) se c < 0 e an è una serie positivamente divergente, allora c an è negativamente
n=1 n=1
divergente.

3. Serie a termini non negativi


P
Una serie an si dice a termini non negativi se an ≥ 0 per ogni n. Per una tale serie, la
n=1
successione delle ridotte è sempre crescente, perché per ogni n ≥ 1
n+1
X n
X
sn+1 = ak = ak + an+1 ≥ sn .
k=1 k=1

Quindi, siccome una successione crescente ammette sempre limite (o diverge a ∞ oppure,
se è superiormente limitata, converge all’esremo superiore supn sn ), le serie a termini non
negativi non possono essere indeterminate. Per questo tipo di serie si hanno alcuni facili
criteri.
36 Capitolo 2

Teorema 2.7 (Criterio del confronto). Siano (an )n≥1 e (bn )n≥1 due successioni tali che
0 ≤ an ≤ bn ∀n ≥ 1.
Allora:

P ∞
P
i) se la serie bn è convergente, allora anche la serie an è convergente;
n=1 n=1
P∞ ∞
P
ii) se la serie an è divergente, allora anche la serie bn è divergente.
n=1 n=1

Dimostrazione. Nelle nostre ipotesi è facile e graficamente ovvio che valga la disegua-
glianza
Xn X n
ak ≤ bk .
k=1 k=1

In figura, abbiamo indicato con un pallino rosso il gra-


r r
fico della successione (an )n∈N e con un quadrato blu il
grafico della successione (bn )n∈N . Il confronto tra le
r
b b r somme delle aree dei rettangoli generati dalle due suc-
r
b b cessioni fornisce la diseguaglianza cercata: l’area della
b

regione tratteggiata è banalmente maggiore o uguale


0 1 2 3 4 5 all’area della regione gialla.

Nel caso i) basta controllare che la successione delle ridotte di (an ) è superiormente limitata,
il che segue facilmente da
Xn Xn X∞
ak ≤ bk ≤ bk che è la somma (un numero finito) della serie.
k=1 k=1 k=1

Nel caso ii) basta notare che


n
X n
X
ak ≤ bk
|k=1
{z } k=1
−→∞
n
P
quindi lim bk = +∞. 
n→∞ k=1


P
ZEsempio 2.8. La serie √1
n
è (positivamente) divergente, perché è a termini non negativi
n=1
e inoltre ciascun termine si minora con il rispettivo termine della serie armonica, che è
divergente:

1 1 X 1
≤√ ∀n ≥ 1 e = ∞.
n n n=1
n
©
2.3 – Serie a termini non negativi 37

Questo criterio funziona anche se la maggiorazione è vera da un certo punto in poi, in


particolare se le successioni (an )n≥1 e (bn )n≥1 hanno lo stesso comportamento all’infinito.

Corollario 2.9. Siano (an )n≥1 e (bn )n≥1 due successioni a termini positivi e tali che esista

P
finito e non nullo il limn→∞ abnn . Allora: la serie an è convergente (rispett. divergente) se
n=1

P
e solo se la serie bn è convergente (rispett. divergente).
n=1


P
ZEsempio 2.10. La serie 1
n2
è convergente. Infatti è a termini non negativi. Inoltre la serie
n=1

P 1
n(n+1)
è telescopica e convergente e vale
n=1

1/n2
lim = 1.
n→∞ 1/n(n + 1)

Più in generale, nel prossimo esempio trattiamo la sommabilità delle successioni di questo
tipo. Ci saranno utili in seguito, come “campioni” di infinitesimo.


P
ZEsempio 2.11. La serie armonica generalizzata è una serie del tipo 1

, dove α è un
n=1
numero reale. Per ogni valore di α è una serie a termini positivi e abbiamo già visto che per
α = 1 la serie risulta divergente.

Quindi, per confronto, tutte le serie armoniche generalizzate corrispondenti a α ≤ 1 sono


divergenti.

Abbiamo anche visto che per α = 2 la serie risulta convergente, quindi per confronto tutte le
serie armoniche generalizzate corrispondenti a α ≥ 2 sono convergenti. Ci manca solo sapere
cosa succede se 1 < α < 2.
∞ 
P 
1 1
Per un motivo che sarà chiaro fra poco, consideriamo la serie nα−1
− (n+1)α−1
. Si tratta
n=1
1
di una serie telescopica convergente, perché quando α > 1 si ha limn→∞ nα−1
= 0.

Ora confrontiamo asintoticamente i termini di questa nuova serie e della serie armonica
generalizzata. Per facilitare il compito, passiamo alla variabile continua e cosı̀ potremo
38 Capitolo 2

applicare un po’ di sostituzioni e la regola di Hôpital.


1 1
xα−1
−(x+1)α−1 (x + 1)α−1 − xα−1
lim 1 = lim xα
x→+∞

x→+∞ xα−1 (x + 1)α−1
(1 + x1 )α−1 − 1
= lim x2α−1
x→+∞ x2α−2 (1 + x1 )α−1
(1 + t)α−1 − 1
= lim = α − 1.
t→0 t
∞ 
P 
1 1
Quindi per il confronto asinotico, siccome la serie nα−1
− (n+1)α−1
è convergente per
n=1
α > 1, allora lo è anche la serie armonica generalizzata per α > 1. ©

Teorema 2.12 (Criterio del rapporto). Sia (an )n∈N una successione a termini positivi tale
che esista
an+1
lim = ℓ.
n→∞ an


P
i) Se ℓ < 1, allora la serie an è convergente e limn→∞ an = 0;
n=0

P
ii) se ℓ > 1, allora la serie an è divergente e limn→∞ an = +∞.
n=0

Dimostrazione. Analizziamo il caso i). Sia ℓ < m < 1. Da un certo N in poi si ha


aN +1 < m aN
aN +2 < m aN +1 < m2 aN
aN +3 < m aN +2 < m3 aN
..
.
aN +k < mk aN con k = 0, 1, . . .
Ma allora da un certo punto in poi i termini sono dominati dai termini di una serie geometrica
di ragione m < 1, quindi convergente. Allora per il criterio del confronto la serie di partenza
è convergente e quindi limn→∞ an = 0.

Con analoghi ragionamenti si prova ii). Infatti, se ℓ > M > 1. Da un certo N in poi si ha
aN +1 > M aN
aN +2 > M aN +1 > M 2 aN
aN +3 > M aN +2 > M 3 aN
..
.
aN +k > M k aN con k = 0, 1, . . .
2.3 – Serie a termini non negativi 39

Ma allora da un certo punto in poi i termini sono minorati dai termini di una serie geometrica
di ragione M > 1, quindi il termine generale è positivamente divergente e la serie di partenza
è positivamente divergente. 

ZEsempio 2.13. Nel caso in cui ℓ = 1, il criterio del rapporto non permette di concludere
nulla. Si considerino ad esempio le serie armoniche generalizzate con α = 1 e α = 2. Una è
divergente, l’altra è convergente, ma per entrambe il limite del rapporto è 1. ©

P xn
ZEsempio 2.14. La serie esponenziale. Per quali x > 0 è convergente la serie n!
?
n=0
x
Vedremo in seguito che questa serie è convergente per ogni x in R e la sua somma è e .

xn
Sia an = n!
; allora an > 0 e possiamo applicare il criterio del rapporto:

xn+1
an+1 (n+1)! x
= xn = −→ 0 ∀x > 0.
an n!
n+1

La serie esponenziale è convergente per ogni x > 0.

Osserviamo che in particolare per ogni x > 0 vale

xn
lim = 0.
n→∞ n!

Questo fatto è banale quando x ≤ 1, ma per x > 1 no; il limite precedente ci fa osservare
che per n → ∞ l’ordine di infinito di n! è maggiore di quello di xn . ©

Il criterio del rapporto non si usa quando an è una funzione razionale di n, perché si otterrebbe
ℓ = 1. Può essere utile soprattutto quando ci sono i fattoriali.

P
ZEsempio 2.15. Dire se converge n!
nn
.
n=0

Si tratta di una serie a termini positivi. Proviamo col criterio del rapporto:

(n+1)!  n  n
an+1 (n+1)n+1 nn n 1 1
= n!
= (n + 1) = = 1− −→ < 1.
an nn
(n + 1)n+1 n+1 n+1 e

n!
Quindi la serie data è convergente. Questo dice anche che limn→∞ nn
= 0, ossia che l’ordine
di infinito del fattoriale è minore di quello di nn . ©

Analogo al criterio del rapporto è il


40 Capitolo 2

Teorema 2.16 (Criterio della radice). Sia (an )n∈N una successione a termini non negativi
tale che esista

lim n an = ℓ.
n→∞


P
i) Se ℓ < 1, allora la serie an è convergente;
n=0

P
ii) se ℓ > 1, allora la serie an è divergente.
n=0

∞ 
P n
ZEsempio 2.17. Dire se è convergente 1
log n
. È una serie a termini non negativi; inoltre
n=2
s n  
n 1 1
= −→ 0.
log n log n
Allora la serie di partenza è convergente per il criterio della radice. ©


Si noti che se esiste limn→∞ an+1
an
= ℓ, allora anche limn→∞ n an = ℓ. Infatti, se il limite del
rapporto è ℓ, fissiamo ε > 0. Allora esiste N tale che per n = N + p con p = 0, 1, . . . vale
(ℓ − ε)p aN < an < (ℓ + ε)p aN .
Quindi sempre per n = N + p con p = 0, 1, . . . vale

((ℓ − ε)p aN )1/n < n an < ((ℓ + ε)p aN )1/n .
Passando al limite per p → ∞ nella precedente relazione otteniamo a sinistra ℓ − ε e a destra
ℓ + ε. Ne segue che definitivamente

ℓ − 2ε ≤ n an ≤ ℓ + 2ε.

Per l’arbitrarietà di ε > 0, limn→∞ n an = ℓ.

Anche qui nel caso ℓ = 1 non si può dire nulla (usare le serie armoniche generalizzate come
nel criterio del rapporto).

4. Approssimazioni

In generale, calcolare la somma di una serie è un problema abbastanza difficile, tranne in


alcuni casi particolari (serie geometriche, telescopiche). È quindi utile saper approssimare la
somma di una serie.

Vediamo come approssimarela somma di serie positive la cui convergenza si può determinare
con il criterio del rapporto o, più in generale, serie il cui termine generale an soddisfa, almeno
definitivamente, una stima del tipo
0 ≤ an ≤ K r n , con K > 0, 0 < r < 1.
2.5 – Serie assolutamente convergenti 41

Possiamo pensare di fissare un certo errore E o precisione della stima, troncare la serie a un
certo indice N, da determinare, e trattare la “coda” come errore. In formule:

X N
X ∞
X
an = an + an .
n=1 n=1 n=N +1
| {z } | {z }
ridotta, sN che dà l’approssimazione coda, che per N opportuno deve essere<E

In questo caso la “coda” della serie può essere stimata tramite una serie geometrica. Più
precisamente:

X ∞
X
0 ≤ s − sN = an ≤ K rn
n=N +1 n=N +1
X∞ ∞
X
n N +1
=K r =Kr rn
n=N +1 n=0
N +1
Kr
= .
1−r

K r N+1
Bisognerà quindi determinare N in modo che 1−r
sia minore dell’errore richiesto.

P 1
ZEsempio 2.18. Approssimare a meno di 10−4 la somma di n!
. Come già anticipato, la
n=0
somma di questa serie è e. Si ha per n ≥ 2
 n
1 1 11 1 11 1 1
= = ··· ≤ ··· = 2 .
n! 1 · 2···n 23 n 22 2 2
Dobbiamo quindi determinare N in modo che
N +1
2 21
< 10−4
1 − 21

e possiamo prendere N = 15. Da cui la somma è circa 1.7182. Da notare è che la velocità
con cui questa serie converge a e è molto interessante, soprattutto se paragonata con la
velocità con cui la successione bn = (1 + n1 )n tende (crescendo) a e. Con lo stesso numero
di iterazioni: b15 = 2.632878718, non ha nemmeno una cifra decimale esatta. La prima cifra
decimale esatta fa capolino dopo 74 passi b74 = 2.700139679. ©

5. Serie assolutamente convergenti

Cosa possiamo dire se una serie non è a termini non negativi? Ci sono alcune serie che sono
facilmente trattabili e sono quelle assolutamente convergenti.
42 Capitolo 2


P
Definizione 2.2. Una serie an si dice assolutamente convergente se è convergente la
n=1

P
serie |an |.
n=1

La loro importanza è dovuta in parte al seguente criterio e alle sue conseguenze.

Teorema 2.19. Se una serie è assolutamente convergente, allora essa è convergente.

Dimostrazione. Si ha −|an | ≤ an ≤ |an |, quindi 0 ≤ an + |an | ≤ 2|an |. Poiché


2|an | è termine generale di una serie convergente, allora per il criterio del confronto anche
P∞ P∞
(an + |an |) è convergente, diciamo a ℓ. Chiamiamo ℓ′ la somma di |an |. Per n → ∞
n=1 n=1
n
X n
X n
X
ak = (ak + |ak |) − |ak | −→ ℓ − ℓ′ ,
k=1 k=1 k=1

P
ovvero la serie an è convergente. 
n=1

P
ZEsempio 2.20. La serie sin n
n2
è convergente. Infatti essa è assolutamente convergente,
n=1
n ∞
P
perché sin
n2
≤ 1
n2
e la serie 1
n2
è convergente. ©
n=1

P xn
ZEsempio 2.21. La serie esponenziale n!
è assolutamente convergente per ogni x in R.
n=0
Infatti è banalmente convergente se x = 0. D’altra parte, usando il criterio del rapporto, è
P∞
|x|n
facile concludere che n!
è convergente per ogni x. ©
n=0

Combinando il Teorema 2.19, il Corollario 2.9 e l’esempio 2.11 delle serie armoniche genera-
lizzate otteniamo l’usatissimo

Teorema 2.22 (Criterio dell’ordine di infinitesimo). Sia (an )n∈N una successione infinitesi-

P
ma di ordine α. Se α > 1, allora la serie an è assolutamente convergente. Se α ≤ 1 e la
n=0

P
serie è a termini positivi, allora la serie an è positivamente divergente.
n=0


P 
ZEsempio 2.23. La serie 1 − cos n1 è assolutamente convergente, perché 1 − cos n1 è
n=1
infinitesimo di ordine 2 per n → ∞. ©
2.6 – Serie di Leibniz 43

Un esempio di serie convergente, non a termini positivi, ma il cui termine generale sia un
infinitesimo di ordine uno, è nella prossima sezione.

Le serie assolutamente convergenti sono soprattutto “famose” all’interno delle serie conver-
genti, perché la loro somma non varia quando permutiamo l’ordine degli addendi (anche
infiniti addendi). Senza addentrarci maggiormente nell’argomento, qui precisiamo solo che
riordinando in maniera opportuna i termini di una serie convergente ma non assolutamente
convergente si può ottenere una nuova serie con somma diversa dalla serie di partenza. Anzi,
comunque fissato ℓ (reale o anche infinito) è possibile trovare un opportuno riordinamento
che abbia ℓ come somma (se ℓ = ±∞ si intende che il riordinamento diverge positivamente o
negativamente). E è anche possibile riordinare in modo da ottenere una serie indeterminata.
Ciò comunque esula dagli scopi di questo corso.
P
Associare i termini invece è una proprietà “abbastanza ben funzionante”. Ovvero, se ∞ n=0 an
è una serie convergente (risp. divergente), allora associando i termini si ottiene ancora una
serie convergente, sempre alla stessa somma (risp. divergente). Tanto per fissare le idee,
pensiamo di associare i termini della serie di partenza a due a due, ottenendo una nuova
P
serie ∞ n=0 bn , con

b1 = a1 + a2 b2 = a3 + a4 b3 = a5 + a6 . . . bn = a2n−1 + a2n .
Pn P
Siano sn = k=1 ak e s′n = nk=1 bk le successioni delle ridotte. Allora è facile vedere che
s′n = s2n , ovvero la successione (s′n ) è estratta da (sn ) e quindi ha lo stesso limite.

Invece se la serie è indeterminata, la proprietà associativa non vale. Ad esempio, la serie


P∞
(−1)n è indeterminata, mentre la serie che otteniamo associando insieme due termini
n=0
consecutivi a partire dal secondo in questo modo
X∞ ∞
X
2n 2n+1
−1 + (1 − 1) + (1 − 1) + . . . = −1 + ((−1) + (−1) ) = −1 + 0 = −1
n=1 n=1
è convergente e ha somma −1. Oppure, associando in modo differente

X
(−1 + 1) + (−1 + 1) + (−1 + 1) + . . . = 0 = 0,
n=1
di nuovo otteniamo una serie convergente, ma con somma 0.

6. Serie di Leibniz

Una serie di Leibniz o serie a segni alterni è una serie che si può scrivere nella forma

X
(−1)n−1 an con an > 0 ∀n
n=1

P
(oppure anche (−1)n an ).
n=1
44 Capitolo 2

Teorema 2.24. Sia (an ) una successione on negativa, decrescente, infinitesima. Allora la

P
serie (−1)n−1 an converge. Inoltre, se s è la somma della serie e (sn ) la successione delle
n=1
ridotte, si ha
0 ≤ s − sn ≤ an+1 se n è pari
−an+1 ≤ s − sn ≤ 0 se n è dispari

Dimostrazione. Consideriamo i casi in cui abbiamo un numero dispari di addendi, ad


esempio 2m − 1 e 2m + 1. Si ha
s2m+1 = s2m−1 + (−1)2m−1 a2m + (−1)2m a2m+1 = s2m−1 − a2m + a2m+1 ≤ s2m−1 ,
perché, siccome la successione (an ) è decrescente, a2m+1 − a2m ≤ 0. Questo vuol dire che la
successione (s2m+1 ) è decrescente.

Analogamente, se consideriamo i casi in cui abbiamo un numero pari di addendi, ad esempio


2m e 2m + 2, si ha
s2m+2 = s2m + a2m+1 − a2m+2 ≥ s2m .
Questo vuol dire che la successione (s2m ) è crescente. Inoltre, siccome (an ) è non negativa,
s2m ≤ s2m + a2m+1 = s2m+1 ≤ s2m−1 ≤ . . . s1 .
Nel disegno vediamo il grafico della successione (sn ) con le proprietà che abbiamo appena
stabilito:

s1 b

s3 b

s2m−1 b

s2m+1 b

s
b
s2m+2
s2m b

s4 b

s2 b

1 2 3 4 2m−1 2m 2m+1 2m+2

In particolare, (s2m ) è crescente e limitata dall’alto da s1 , mentre (s2m+1 ) è decrescente e


limitata dal basso da s2 ; comunque entrambe sono convergenti.
2.6 – Serie di Leibniz 45

Sia s = limm→∞ s2m . Allora, siccome (an ) è infinitesima, anche

lim s2m+1 = lim s2m + a2m+1 = s.


m→∞ m→∞

Infine s2m ≤ s ≤ s2m+1 da cui


0 ≤ s − s2m ≤ s2m+1 − s2m = a2m+1
0 ≤ s2m+1 − s ≤ s2m+1 − s2m+2 = a2m+2 .

Quindi per n pari oppure dispari

0 ≤ |s − sn | ≤ an+1 −→ 0,

P
ovvero (−1)n−1 an = limn→∞ sn = s. 
n=0


P
ZEsempio 2.25. (−1)n n1 è una serie convergente per il criterio appena visto. Si noti che non
n=1
è assolutamente convergente e che il termine generale è un infinitesimo di ordine uno. Qualora
si desideri determinarne la somma a meno di 10−3, è sufficiente ricordare che la ridotta di
1
ordine n approssima la somma della serie a meno di n+1 . Pertanto occorre prendere n = 1001
−3
e, a meno di 10 , la somma della serie è −0, 693. Tale approssimazione è per difetto.

La somma di questa serie si potrebbe calcolare con un po’ di fatica e è − log 2. Tuttavia la
velocità di convergenza è molto lenta e questo non fornisce un buon metodo per approssimare
− log 2. ©

ZEsempio 2.26. La proprietà di decrescenza della successione (an ) è fondamentale. Si consideri


ad esempio la serie a segni alterni

1 1 1 1 1 1 X
2
− + 2
− + 2
− + . . . = (−1)n−1 an
1 1 2 2 3 3 n=1

dove
(
1/k se n = 2k è pari
an =
1/k 2 se n = 2k − 1 è dispari

È facile vedere che limn→∞ an = 0 e che (an ) non è decrescente.

Mostriamo che la serie non converge guardando le somme parziali di ordine pari.
2n n n
X X 1 X 1
s2n = ak = 2
− −→n→∞ −∞,
k=1 k=1
k k=1
k

P ∞
P
perché la serie 1
n
diverge e la serie 1
n2
converge. ©
n=1 n=1
46 Capitolo 2

7. Esercizi

1) Dire se sono convergenti le seguenti serie:


∞ ∞ ∞ ∞
X n+5 X n X 1 X 1
; ; sin ; ,
n=1
n3 − 2n + 3 n=1
2n − 1 n=1
n2 n=2
(log(log n)) n

∞ ∞ ∞ ∞ ∞  
X 1 X (−1)n X 1 + n! X 1 X n
n
; n−n
; ; 3 ; log ;
n=1
n e n=1
2 n=0
(1 + n)! n=2
log n n=1
n + 1
∞ ∞ ∞ ∞
X n4 X 2n+1 X 1 + (−1)n X 1
; ; √ ; .
n=0
n! n=1
nn n=1
n n=1
πn +5

2) Dire se le seguenti serie sono convergenti e eventualmente approssimarne la somma a meno


di 10−5 ∞ ∞ ∞
X 1 X (−1)n X (−1)n
; √ .
n=1
2n n! n=1
n n=1
3n

3) Dire se sono convergenti e eventualmente calcolare la somma di


∞ ∞ ∞ ∞
X 1 X 3 + 2n X 1 X 1
n
; n+2
; ; .
n=1
3 n=1
2 n=1
(2n − 1)(2n + 1) n=2
log n

4) Per quali x in R sono assolutamente convergenti o convergenti o divergenti le seguenti


serie
∞ ∞  n ∞ ∞
X (x − 5)n X
2 x X xn X (4x + 1)n
; (n + 1) ; √ ; .
n=1
n 3n n=0
x+2 n=0
n+1 n=1
n3
CAPITOLO 3

Serie di funzioni

Una serie di funzioni è un’espressione del tipo


X∞
fn (x)
n=1

dove le fn sono funzioni di una variabile reale a valori reali e hanno un dominio comune I.

In questo capitolo ci occupiamo essenzialmente di due tipi di serie di funzioni: le serie di


Taylor e le serie di potenze.

1. Serie di Taylor

Abbiamo visto che se f (x) è una funzione reale, definita in un intervallo (a, b), x0 è un
punto di (a, b) e f (x) è derivabile n volte in x0 , allora alla funzione f possiamo associare il
polinomio di Taylor centrato in x0 e di ordine n, dato da
f (n) (x0 )
f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + · · · + (x − x0 )n .
n!
Abbiamo visto che questo è il polinomio che approssima la funzione f (x) in un intorno del
punto x0 a meno di un infinitesimo di ordine superiore a (x − x0 )n , ovvero
h (n)
i
f (x) − f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + · · · + f n!(x0 ) (x − x0 )n
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n

Numericamente una stima dell’errore è data dalla formula di Taylor con resto di Lagrange:
se f (x) è derivabile con continuità in (a, b) e la derivata di ordine n + 1 esiste in (a, b) \ {x0 },
allora per ogni x in (a, b) esiste un punto ξ nell’intervallo di estremi x0 e x tale che
f (n) (x0 ) f (n+1) (ξ)
(3.1) f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + · · · + (x − x0 )n + (x − x0 )n+1 .
n! (n + 1)!
In forma più compatta, possiamo scrivere il polinomio di Taylor di f (x) centrato in x0 e di
ordine n come
n
X f (k) (x0 )
(x − x0 )k ,
k=0
k!
dove intendiamo che f (0) (x0 ) = f (x0 ).
47
48 Capitolo 3

Nel caso in cui f (x) sia derivabile infinite volte in un intervallo (a, b), appare naturale
associare alla funzione f (x) la serie

X f (k) (x0 )
(3.2) (x − x0 )k ,
k=0
k!

di cui il polinomio di Taylor di ordine n costituisce la ridotta (di ordine n + 1). Questa serie
prende il nome di serie di Taylor di f (x) centrata in x0 . Quando x0 = 0, talvolta si parla di
serie di Mac Laurin di f (x).

Due sono le domande che ci poniamo a questo punto: la serie definita dalla formula (3.2)
è convergente per ogni x ∈ (a, b)? Se la serie (3.2) è convergente in x ∈ (a, b), la somma
della serie è f (x)? Se la risposta a entrambe le domande precedenti è sı̀, allora f (x) si dice
sviluppabile in serie di Taylor centrata in x0 nell’intervallo (a, b).

ZEsempio 3.1. La funzione definita da


1
f (x) =
1−x
è derivabile infinite volte in (−∞, 1) e inoltre f (k) (0) = k! per ogni k. La serie di Mac Laurin
di f (x) è la serie geometrica di ragione x

X
xk ,
k=0

quindi convergente per |x| < 1 e lı̀ f (x) coincide con la somma della sua serie di Mac Laurin.
Questo fornisce un esempio in cui l’intervallo di convergenza è più piccolo di quello dove la
funzione risulta derivabile infinite volte. ©

ZEsempio 3.2. La funzione definita da


( 2
e−1/x per x 6= 0
f (x) =
0 per x = 0

è derivabile infinite volte in R e inoltre f (k) (0) = 0 per ogni k. La serie di Mac Laurin di
f (x) è nulla, quindi convergente. Tuttavia f (x) non coincide con la somma della sua serie
di Mac Laurin a meno che x = 0. ©

Teorema 3.3. Se la funzione f (x) è derivabile infinite volte in un intervallo (a, b) e se


esistono due numeri reali L, M tali che
|f (n) (x)| ≤ M Ln ∀x ∈ (a, b), ∀n ∈ N,
allora per ogni x0 ∈ (a, b) la funzione f (x) è sviluppabile in serie di Taylor centrata in x0
nell’intervallo (a, b).

Dimostrazione. Basta ricordare la formula di Taylor con resto di Lagrange (3.1) e far
vedere che il resto di Lagrange tende a 0 per n → ∞. 
3.2 – Serie di funzioni e serie di potenze 49

Da questo Teorema ricaviamo che sono sviluppabili in serie di Mac Laurin le funzioni ex ,
sin x, cos x in ogni intervallo che contiene l’origine. Si ha per ogni x in R

x x2 xn X xk
e =1+x+ +···+ +··· =
2! n! k=0
k!

x3 x2n+1 X x2k+1
sin x = x − + · · · + (−1)n +··· = (−1)k
3! (2n + 1)! k=0
(2k + 1)!

x2 n x
2n X
k x
2k
cos x = 1 − + · · · + (−1) +··· = (−1) .
2! (2n)! k=0
(2k)!

2. Serie di funzioni e serie di potenze

Le serie di Taylor sono particolari serie di potenze, ovvero serie della forma
X∞
an (x − x0 )n ,
n=0

con an ∈ R.

A meno della traslazione t = x − x0 , ci possiamo ricondurre a avere una serie della forma

X X∞
an (x − x0 )n = an tn
n=0 n=0

ovvero una serie centrata in 0. Per semplicità quindi ci limitiamo a considerare il caso x0 = 0.
Illustriamo brevemente, senza dimostrare, alcuni fatti relativi alle serie di potenze.

P
Teorema 3.4 (Teorema di Abel). Se la serie di potenze an xn converge in x̃ 6= 0, allora
n=0
essa converge assolutamente in ogni x tale che |x| < |x̃|.

Quindi ogni serie di potenze (e quindi anche ogni serie di Taylor) si può inquadrare in uno
di questi tre casi:


P
1) la serie di potenze an xn converge solo per x = 0;
n=0

P
2) la serie di potenze an xn converge per ogni x in un intervallo della forma (−ρ, ρ),
n=0
con ρ > 0, e non converge se |x| > ρ;

P
3) la serie di potenze an xn converge per ogni x reale.
n=0

P
Definizione 3.1. Data una serie di potenze an xn , si dice raggio di convergenza il numero
n=0
reale ρ nel caso 2), 0 nel caso 1), e ∞ nel caso 3).
50 Capitolo 3


P xn
ZEsempio 3.5. La serie esponenziale n!
ha raggio di convergenza ∞. La serie geometrica
n=0

P ∞
P
xn ha raggio di convergenza 1. La serie n! xn ha raggio di convergenza 0. ©
n=0 n=0

All’interno dell’intervallo di convergenza di una serie di potenze, si possono scambiare le


operazioni di passaggio al limite, derivazione e integrazione. È quello che dice il seguente

P
Teorema 3.6. Sia an xn una serie di potenze con raggio di convergenza ρ > 0 (anche
n=0
∞) e somma f (x) in (−ρ, ρ). Allora f (x) è continua e derivabile in (−ρ, ρ) e si ha

X

f (x) = n an xn−1 ,
n=1
Z x ∞ ∀x ∈ (−ρ, ρ).
X an
f (t) dt = xn−1 ,
0 n=0
n+1
R1 2
ZEsempio 3.7. Approssimare 0 e−t dt a meno di 10−6 . Nella serie esponenziale, che ha raggio
di convergenza infinito, poniamo x = −t2 . Abbiamo
Z 1 Z 1X∞ ∞ Z 1
−t2 (−t2 )n X (−t2 )n
e dt = dt = dt
0 0 n=0 n! n=0 0 n!
∞ 8
X 1 n
X 1
= (−1) ≃ (−1)n = 0.74682
n=0
(2n + 1) n! n=0 (2n + 1) n!
©

P
ZEsempio 3.8. Calcolare la somma della serie n
2n
. Si tratta di una serie a termini positivi,
n=1
convergente per il criterio del rapporto. Possiamo pensare a tale serie come alla serie di
P∞
potenze n xn , che ha raggio di convergenza 1, valutata in x = 21 . Si ha
n=1

∞ ∞ ∞
!′  ′
X
n
X
n−1
X
n 1 x
nx = x nx =x x =x = .
n=1 n=1 n=0
1−x (1 − x)2
1
Calcolando primo e ultimo membro della formula precedente per x = 2
otteniamo
∞ 1
X n 2
n
= 1 2 = 2.
n=1
2 (1 − 2
)
©


P 1
A partire dalla serie geometrica tn = 1−t
, che ha raggio di convergenza 1, possiamo
n=0
costruire altri sviluppi in serie di Mac Laurin, che avranno sempre raggio di convergenza 1.
3.3 – Esercizi 51

Innanzi tutto poniamo t = −x e otteniamo



1 X
= (−1)n xn |x| < 1.
1 + x n=0
Integrando nell’intervallo (0, x) otteniamo
∞ ∞
X xn+1 X xn
log(1 + x) = (−1)n = (−1)n−1 |x| < 1.
n=0
n + 1 n=1 n

P
Se nella serie geometrica tn poniamo t = −x2 , otteniamo
n=0

1 X
= (−1)n x2n |x| < 1.
1 + x2 n=0

Integrando nell’intervallo (0, x) otteniamo



X x2n+1
arctan x = (−1)n |x| < 1.
n=0
2n + 1

3. Esercizi

1) Calcolare la somma di
∞ ∞ ∞ ∞
X 1 X 1 X 1 X 1
n n
; n(n − 1) n ; ; (−1)n−1 .
n=0
n! 2 n=2
3 n=2
n(n − 1) 2n n=3
n 22n
CAPITOLO 4

Il calcolo integrale

Il problema che affrontiamo in questo capitolo è il calcolo di aree di alcune regioni del piano.
Iniziamo il capitolo spiegando a quali regioni piane siamo interessati. Questi argomenti sono
in relazione con il calcolo di funzione di ripartizione, valore atteso e varianza di variabili
aleatorie continue.

1. Calcolo di aree

Sia f una funzione limitata e non negativa nel-


f (x) a<x<b
l’intervallo [a, b]. Si desidera calcolare l’area del-
la regione colorata in rosso in figura, ossia della
regione compresa tra l’asse delle ascisse, le rette
x = a, x = b e il grafico della funzione f (x).
a b

Iniziamo a dividere l’intervallo [a, b] in n sottointervalli: dapprima scegliamo n + 1 punti a


caso nell’intervallo [a, b] in modo che a = x0 < x1 < . . . < xn = b. Questo procedimento ci
permette di partizionare l’intervallo iniziale [a, b] in n sottointervalli del tipo [xi−1 , xi ], che
si toccano solo agli estremi. Per comodità, indichiamo con P l’insieme contenente gli n + 1
punti scelti e lo chiamiamo partizione dell’intervallo [a, b].

In ciascun sottointervallo del tipo [xi−1 , xi ] ap-


prossimiamo per difetto l’area della regione che
ci interessa con l’area del rettangolo che ha stessa
base ma altezza mi = inf {f (x) : x ∈ [xi−1 , xi ]}.
Sommando le aree degli n rettangoli della parti-
zione P scelta otteniamo un’approssimazione per
x0 = a x1 x2 x3 x4 = b
difetto dell’area che desideriamo valutare.
53
54 Capitolo 4

Tale approssimazione si chiama somma inferiore relativa alla partizione P , si indica con
s(f, P ) e si ha
n
X
s(f, P ) = mi (xi − xi−1 ).
i=1
Analogamente possiamo pensare di approssimare l’area della regione in figura per ecces-
so: sull’i-esimo sottointervallo i valori della funzione sono più piccoli del valore Mi =
sup {f (x) : x ∈ [xi−1 , xi ]}. La somma superiore relativa alla stessa partizione è la somma
delle aree dei rettangoli di stessa base ma altezza Mi . La indichiamo con S(f, P ); quindi
n
X
S(f, P ) = Mi (xi − xi−1 ).
i=1

Si noti che al crescere del numero di punti della partizione, la somma inferiore cresce e la
somma superiore decresce.
Infatti, se pensiamo, come in figura, di aggiungere
un punto tra x1 e x2 alla partizione iniziale, allora
l’approssimazione del basso contempla anche l’a-
rea del rettangolo verde. Questo accade perché
[x1 , y] e [y, x2 ] sono contenuti in [x1 , x2 ], quindi

inf {f (x) : x ∈ [x1 , x2 ]} ≤ inf {f (x) : x ∈ [x1 , y]}


x0 = a x1 y x2 x3 x4 = b
inf {f (x) : x ∈ [x1 , x2 ]} ≤ inf {f (x) : x ∈ [y, x2]}.

Quindi, se P e Q sono due partizioni dell’intervallo [a, b] e P ⊆ Q


s(f, P ) ≤ s(f, Q) ≤ S(f, Q) ≤ S(f, P ).

Indichiamo con s(f ) e S(f ) rispettivamente l’integrale inferiore e l’integrale superiore di f


definiti da
s(f ) = sup {s(f, P ) : P partizione di [a, b] }
S(f ) = inf {S(f, P ) : P partizione di [a, b] } .
Ovviamente s(f ) e S(f ) sono due numeri reali, compresi tra m(b − a) e M(b − a), dove
m = inf {f (x) : x ∈ [a, b]} e M = sup {f (x) : x ∈ [a, b]}.

Definizione 4.1. La funzione f si dice integrabile (secondo Riemann) in [a, b] se i due


procedimenti di approssimazione forniscono lo stesso risultato, ossia s(f ) = S(f ). In tal
caso si chiama
Rb integrale definito tra a e b della funzione f tale valore comune e si indica col
simbolo a f (x) dx.

Tutte le considerazioni che abbiamo sinora svolto continuano ad avere senso anche se f non
è necessariamente positiva, con la convenzione che aree di regioni che stanno nel terzo o
4.1 – Calcolo di aree 55

quarto quadrante contino come negative. In questo modo, l’integrale diventa un modo di
rendere “continuo” il processo di somma.
3

1
ROssia:
4
se la funzione f ha il grafico in figura, allora
0
f (x) dx = 2+1−0.5+1.5, ovvero l’integrale di f
0
sull’intervallo [0, 4] è un modo (un po’ complicato)
di sommare i valori 2, 1, −0.5, 1.5.

−1
0 1 2 3 4

Non tutte le funzioni sono integrabili, come mostra il seguente esempio.

ZEsempio 4.1. La funzione di Dirichlet


(
0 x ∈ [0, 1] \ Q
D(x) =
1 x ∈ [0, 1] ∩ Q

non è integrabile sull’intervallo [0, 1]. Infatti, comunque si scelga una partizione P dell’in-
tervallo [0, 1], risulta
s(D, P ) = 0 S(D, P ) = 1.
Quindi s(D) = 0 e S(D) = 1. ©

Tuttavia, un teorema importante garantisce che se f è continua su [a, b], allora f è integrabile
in [a, b]. Quindi la maggior parte delle funzioni che conosciamo risultano integrabili. Questo
teorema, che non dimostriamo, si basa sull’idea che se f è continua allora oscilla poco, ossia
è possibile partizionare l’intervallo [a, b] in modo che la differenza tra il valore massimo e il
valore minimo di f su un dato sottointervallo (del tipo [xi−1 , xi ] individuato dalla partizione
scelta) sia piccola a piacere.

Le seguenti proprietà dell’integrale definito sono “graficamente ovvie”.

Proprietà. Siano f e g funzioni integrabili su [a, b]. Allora

1- Additività dell’integrale definito.


Se a ≤ c ≤ b allora f è integrabile su [a, c] e su
[c, b] e
Z b Z c Z b
f (x) dx = f (x) dx + f (x) dx.
a a c

a c b
56 Capitolo 4

2- Linearità dell’integrale definito.


Siano λ e µ due numeri reali, allora
Z b Z b Z b
(λf (x) + µg(x)) dx = λ f (x) dx + µ g(x) dx.
a a a

f (x)

0
(Nella figura il caso di λ = −1, µ = 0; gli integrali
differiscono per il segno)
−f (x)

g(x)
3- Monotonia dell’integrale definito..
Se sull’intervallo [a, b] vale f (x) ≤ g(x), allora
Z b Z b
f (x) dx ≤ g(x) dx.
a a
f (x)

a b

4- Proprietà della media. Se inoltre f è continua e indichiamo con m il minimo e con M


il massimo di f sull’intervallo [a, b], allora
Z b
m(b − a) ≤ f (x) dx ≤ M(b − a).
a

Il valore
Z b
1
f (x) dx
b−a a

si chiama valor medio di f e rappresenta l’altezza di un rettangolo che ha per base l’intervallo
[a, b] e area uguale a quella della regione tratteggiata nella prima figura. Per il Teorema dei
valori intermedi esiste α in [a, b] tale che
Z b
1
f (α) = f (x) dx.
b−a a

Ra
Notiamo che dalla additività dell’integrale (con a = c) segue che a
f (x) dx = 0.
4.2 – I teoremi fondamentali 57

Rb Rb
Inoltre combinando la monotonia e la linearità si ottiene − a
|f (x)| dx ≤ a
f (x) dx ≤
Rb
a
|f (x)| dx, ossia
Z b Z b


f (x) dx ≤ |f (x)| dx.
a a

Per consistenza con la proprietà 1), si pone


Z a Z b
f (x) dx = − f (x) dx.
b a

Nella prossima sezione vediamo come calcolare gli integrali definiti.

2. I teoremi fondamentali

Data una funzione f integrabile sull’intervallo [a, b], possiamo considerare la funzione inte-
grale If definita per ogni x in [a, b] da
Z x
If (x) = f (t) dt.
a
Rb
Ovviamente If (a) = 0 e If (b) = a
f (t) dt.

Teorema 4.2 (Teorema fondamentale del calcolo integrale). Se f è continua in [a, b], la
funzione integrale If di f risulta derivabile in (a, b) e la sua derivata è
(If )′ (x) = f (x) ∀x ∈ (a, b).

Dimostrazione. Sia x0 un punto fissato dell’intervallo (a, b). Calcoliamo il rapporto


incrementale di If in x0 e usiamo l’additività dell’integrale
Rx Rx Rx Ra Z x
If (x) − If (x0 ) a
f (t) dt − a 0 f (t) dt a
f (t) dt + x0 f (t) dt 1
= = = f (t) dt.
x − x0 x − x0 x − x0 x − x0 x0
Siccome f è continua, per la proprietà della media esiste αx,x0 compreso tra x0 e x tale che
Z x
1
f (t) dt = f (αx,x0 ).
x − x0 x0
Quando x si avvicina a x0 , anche αx,x0 si avvicina a x0 . Quindi
If (x) − If (x0 )
lim = lim f (αx,x0 ) = f (x0 ).
x→x0 x − x0 x→x0

Questo vuol dire che If è derivabile in x0 e che la sua derivata in tale punto è f (x0 ) e il
teorema è dimostrato. 
58 Capitolo 4

Definizione 4.2. Sia f una funzione definita sull’intervallo I. Si dice che una funzione F
definita su I è primitiva di f se F ′ (x) = f (x) per ogni x in I.

Una importante conseguenza del Teorema 4.2 è che ogni funzione continua f in un intervallo
[a, b] ammette una primitiva: la funzione If . In particolare, If (x) è quella primitiva di f (x)
che si annulla per x = a.

Ricordando anche il corollario della regola di Hôpital (Proposizione 1.6), affinché una funzione
possa ammettere una primitiva sull’intervallo I, non deve presentare discontinuità a salto.

Per analogia con il caso della Rfunzione integrale di una funzione continua, si indica con il
simbolo di integrale indefinito f (x) dx l’insieme di tutte le primitive di f , ovvero
Z
(4.1) f (x) dx = {F (x) : F primitiva di f } .

È evidente che se F è primitiva di f sull’intervallo


I, allora anche ogni traslata verticalmente di F è
una primitiva di f ; in particolare una funzione ha
infinite primitive.

Nel disegno, la funzione F (x) = x2 è una primitiva


di f (x) = 2x, ma anche tutte le funzioni del tipo
x2 + k con k costante reale sono ancora primitive
di f (x).

Ma queste sono tutte le primitive di f :

Teorema 4.3. Se F e G sono primitive della funzione f sull’intervallo I, allora F e G


differiscono per una costante.

Dimostrazione. Infatti F ′ (x) = G′ (x) = f (x) per ogni x in I. Quindi F (x) − G(x) è
una funzione con derivata nulla sull’intervallo I. Ma allora per una conseguenza del Teorema
di Lagrange, F (x) − G(x) è costante in I; il che vuol dire che esiste una costante k in R tale
che F (x) = G(x) + k per ogni x in I. 

Spesso nella (4.1) si omettono le parentesi graffe e si scrive più semplicemente


Z
f (x) dx = F (x) + k, k ∈ R,
4.2 – I teoremi fondamentali 59

dove F è una qualche primitiva fissata di f .


ZEsempio 4.4. Calcolare
R3 una primitiva di x; calcolare quella primitiva che si annulla in 1;
infine, calcolare 2 x dx.

Abbiamo appena constatato che x2 è una primitiva di 2x; dovrebbe essere facile convenire
che x2 /2 è una primitiva di x. Quindi tutte le primitive di x sono
Z
x2
x dx = +k k ∈ R.
2
Quella particolare primitiva F tale che F (1) = 0 sarà quindi di questo tipo; basta trovare il
2
valore di k: occorre che 0 = 1/2 + k, quindi F (x) = x 2−1 .
Rx
Notiamo infine che, per il Teorema fondamentale, anche If (x) = 2 t dt è una primitiva di
2
f (x) = x. Ma allora anche If sarà del tipo x2 + k per una opportuma costante k. Siccome
2
If (2) = 0, deve risultare 0 = If (2) = 2 + k, quindi k = −2. Ne deriva che If (x) = x2 − 2. In
particolare per x = 3 Z 3
9 5
t dt = If (3) = − 2 = .
2 2 2
©

Il ragionamento
Rb del precedente esempio ha validità generale: ecco una facile regola di calcolo
per a f (x) dx una volta che si conosca una primitiva arbitraria F di f .

Teorema 4.5. Sia f una funzione continua sull’intervallo [a, b] e sia F una sua primitiva.
Allora Z b
f (x) dx = F (b) − F (a).
a

Dimostrazione. Siccome F e If sono entrambe primitive di f , allora esse differiscono


per per una costante k, ovvero
(4.2) If (x) + k = F (x).
Siccome If (a) = 0, per x = a avremo che k = F (a). Per x = b nella formula (4.2) avremo
invece If (b) + k = F (b). Ma allora
Z b
If (b) = f (x) dx = F (b) − k = F (b) − F (a).
a


Spesso nelle applicazioni risulta comodo indicare la differenza F (b)−F (a) mediante il simbolo
b

F (x) = F (b) − F (a).
a
60 Capitolo 4

R2
ZEsempio 4.6. Calcolare 0
x3 dx.

x4
Una primitiva di x3 è 4
. Pertanto
Z 2 2
3 x4 24 04
x dx = = − = 4.
0 4 0 4 4
©

Vista l’importanza di saper costruire primitive di funzioni, nella prossima sezione proponiamo
alcuni metodi per poterle calcolare abbastanza agevolmente.

3. Calcolo di primitive

Anticipiamo subito che non ci sono regole generali per calcolare primitive, tranne per classi
di funzioni particolari. Il punto di partenza sono le primitive “fondamentali” del prossimo
esempio e/o della tabella.
ZEsempio 4.7. i) Una primitiva di f (x) = 1 su R è la funzione F (x) = x; tutte le primitive
sono quindi della forma x + k, per un qualche k reale.

xn+1
ii) Sia n = 1, 2, . . .. Una primitiva di f (x) = xn su R è la funzione F (x) = n+1
; tutte le
primitive sono quindi della forma
xn+1
+ k,
n+1
per un qualche k reale.

iii) Una primitiva di f (x) = x1 su I = (0, +∞) è F (x) = log x. Tutte le primitive di f su
(0, +∞) sono quindi della forma log x + k, per un qualche k reale.

iv) Una primitiva di f (x) = x1 su J = (−∞, 0) è F (x) = log(−x). Tutte le primitive di f


su (−∞, 0) sono quindi della forma log(−x) + k, per un qualche k reale.
È uso comune dire che la generica primitiva di x1 è della forma log |x| + k, tralasciando di
specificare quale intervallo si stia considerando. Più corretto sarebbe scrivere
Z (
1 log x + k1 x>0
dx =
x log(−x) + k2 x < 0,
con k1 , k2 ∈ R. ©
4.3 – Calcolo di primitive 61

Tabella 1. Primitive delle funzioni elementari

R
f (x) f (x) dx

1
xα α 6= −1 xα+1 + k
α+1
1
log |x| + k
x
1
1+x2
arctg x + k

1
√ arcsin x + k
1 − x2

ex ex + k

sin x − cos x + k

cos x sin x + k

1
tg x + k
cos2 x
1
cotg x + k
sin2 x

Introduciamo ora alcune “regole” per poter utilizzare e combinare le primitive già note.

Proposizione 4.8 (Linearità dell’integrale). Siano f e g funzioni continue su un intervallo


I e sia a un numero reale. Allora per ogni x in I
Z Z Z

f (x) + g(x) dx = f (x) dx + g(x) dx
Z Z
a f (x) dx = a f (x) dx.

Dimostrazione. La verifica è molto semplice: se F (x) è una primitiva di f (x) e G(x)


è una primitiva di g(x), allora F (x) + G(x) è una primitiva di f (x) + g(x), per la regola di
derivazione della somma di due funzioni: (F (x) + G(x))′ = F ′ (x) + G′ (x) = f (x) + g(x).
Analogamente, per la regola di derivazione di un prodotto per una costante si ha (aF (x))′ =
aF ′ (x) = af (x). 

ZEsempio 4.9. Calcolare primitive di f (x) = x4 − 5x.


62 Capitolo 4

Per la linearità dell’integrale


Z Z Z
4 4 x4 x2
(x − 5x) dx = x dx − 5 x dx = − 5 + k,
4 2

al variare di k in R. ©

Proposizione 4.10 (Integrazione per parti). Siano f, g ∈ C 1 (I), I intervallo; allora


Z Z
f (x) g (x) dx = f (x) g(x) − f ′ (x) g(x) dx

∀x ∈ I

e per ogni [a, b] ⊂ I si ha


Z b b Z b


f (x) g (x) dx = f (x) g(x) − f ′ (x) g(x) dx ∀x ∈ I.
a a a

Dimostrazione. La prima formula segue notando che la derivata del secondo membro
è la funzione integranda al primo membro. Infatti, dalla regola di derivazione del prodotto
di due funzioni otteniamo
 Z ′

f (x) g(x) − f (x) g(x) dx = f ′ (x) g(x) + f (x) g ′ (x) − f ′ (x) g(x) = f (x) g ′ (x).

La seconda formula è diretta applicazione del teorema 4.5. 

ZEsempio 4.11. Calcolare


Z Z 6 Z Z
x 2
a) x e dx b) log x dx c) x log x dx d) ex sin x dx.
5

a) Si usi integrazione per parti con f (x) = x e g ′ (x) = ex . Si ottiene


Z Z
x x
x e dx = x e − ex dx = x ex − ex + k,

al variare di k in R.

b) Si usi integrazione per parti con f (x) = log x e g ′ (x) = 1.

Z 6
6 Z 6 Z 6
1
log x dx = x log x − x dx = 6 log 6 − 5 log 5 −
x
1 dx = 6 log 6 − 5 log 5 − 1
5 5 5 5
4.3 – Calcolo di primitive 63

c) Si usi integrazione per parti due volte. La prima volta con f (x) = log2 x e g ′ (x) = x. La
seconda volta con f (x) = log x e g ′ (x) = x.
Z Z Z
2 x2 2 x2 1 x2 2
x log x dx = 2 log x − 2
(2 log x x ) dx = 2 log x − x log x dx
Z
x2 2 x2 2
= 2 log x − 2 log x + x2 x1 dx
x2 x2 x2
= 2
log2 x − 2
log x + 4
+ k,
al variare di k in R.

d) Si usi integrazione per parti due volte. La prima volta con f (x) = sin x e g ′ (x) = ex . La
seconda volta con f (x) = cos x e g ′(x) = ex .
Z Z
e sin x dx = e sin x − ex cos x dx
x x

Z
= e sin x − e cos x − ex sin x dx.
x x

Ma allora, a meno di una costante k,


Z
2 ex sin x dx = ex sin x − ex cos x + k

quindi, a meno di una costante c,


Z
1
ex sin x dx = (ex sin x − ex cos x) + c.
2
©

Teorema 4.12 (Integrazione per sostituzione). Siano I, J intervalli, f continua in I e


ϕ : J → I di classe C 1 (J); allora
Z Z


f (ϕ(x)) ϕ (x) dx = f (y) dy .
y=ϕ(x)

Quindi per ogni [a, b] ⊂ J si ha


Z b Z ϕ(b)

f (ϕ(x)) ϕ (x) dx = f (y) dy.
a ϕ(a)

Dimostrazione. La prima formula segue notando che la derivata del secondo membro è
la funzione integranda al primo membro. Dobbiamo controllare che: se F è una primitiva di
f , allora F (ϕ(x)) è una primitiva di f (ϕ(x)) ϕ′ (x). Dalla regola di derivazione della composta
di due funzioni otteniamo
(F (ϕ(x)))′ = F ′ (ϕ(x)) ϕ′ (x) = f (ϕ(x)) ϕ′(x).

64 Capitolo 4

La presenza del simbolo “dx” consente di rendere un po’ più automatica la sostituzione in
un integrale. In pratica, si pone y = ϕ(x), si scrive dy/dx = ϕ′ (x) e quindi (come se fosse
un vero quoziente) dy = ϕ′ (x) dx.
ZEsempio 4.13. Calcolare
Z Z π/4 Z
sin x x
a) e3x dx b) dx c) dx.
0 cos x x2 +1

a) Per sostituzione, si ponga y = 3x da cui x = y/3 e quindi dx = dy/3. Si ottiene quindi


Z Z
dy 1 1
e dx = ey
3x
= ey + c = e3x + c,
3 3 3
al variare di c ∈ R.

b) Per sostituzione, si ponga√y = cos x e quindi dy = − sin x dx. Si noti che, se x varia tra 0
e π/4 allora y varia tra 1 e 2/2. Quindi
Z π/4 Z √2/2 √2/2
sin x 1

dx = − dy = − log y = log 2.
0 cos x 1 y
1

c) Per sostituzione, si ponga y = x2 + 1 e quindi dy = 2x dx. Allora


Z Z
x 1 dy 1 1
2
dx = = log |y| + c = log(x2 + 1) + c,
x +1 y 2 2 2
al variare di c ∈ R. ©

Più in generale, verificate che se f (x) è una funzione di classe C 1 e mai nulla sull’intervallo
I, allora Z ′
f (x)
dx = log |f (x)| + c c ∈ R x ∈ I.
f (x)
ZEsempio 4.14.Z Calcolare Z Z
1 1 1
a) 2
dx b) 2
dx c) 2
dx.
x − 7x + 6 x + 2x + 4 x (x + 1)
Il metodo consiste nel decomporre la funzione in funzioni razionali più semplici, in base alle
eventuali radici del denominatore.

Con il termine funzioni razionali “semplici” intendiamo funzioni ad esempio dei tipi:

1
i) x+a
con a ∈ R (una primitiva è log |x + a|);

1 (x+a)−n+1
ii) (x+a)n
con a ∈ R, n ∈ {2, 3, . . .} (una primitiva è −n+1
);

1
iii) x2 +1
(una primitiva è arctg x);
4.3 – Calcolo di primitive 65

x (x2 +1)−n+1
iv) (x2 +1)n
con n ∈ {2, 3, . . .} (una primitiva è 2(−n+1)
);

1
v) (x2 +1)n
con n ∈ {2, 3, . . .} (per una primitiva rimandiamo al testo [2]).

Un fatto importante è che ogni funzione razionale si può decomporre nella somma di un
polinomio più una combinazione lineare di funzioni dei tipi sopra citati o che si riconduco-
no a questi tipi tramite semplici sostituzioni. Vediamo negli esempi come ottenere questo
obiettivo. Il punto di partenza sono le radici del denominatore.

Nel caso a), x2 −7x+6 è un polinomio di grado due con esattamente due radici (di molteplicità
uno): 1 e 6. Allora x2 − 7x + 6 = (x − 6)(x − 1). Cerchiamo A, B ∈ R in modo che
1 1 A B
= = + .
x2 − 7x + 6 (x − 6)(x − 1) x−6 x−1
A B A(x−1)+B(x−6)
Siccome x−6
+ x−1
= (x−6)(x−1)
, questi numeri A, B devono verificare
A(x − 1) + B(x − 6) = 1 ∀x ∈ R.
Quindi A = 1/5 e B = −1/5 e
Z Z Z
1 1 1 1 1 1 1
dx = dx − dx = log |x − 6| − log |x − 1| + k,
x2 − 7x + 6 5 x−6 5 x−1 5 5
al variare di k in R. Si ricordi che questa formula ha senso in un intervallo, che non contiene
i punti 1, 6. Quindi ad esempio nell’intervallo (1, 6)
Z
1 1 1
2
dx = log(6 − x) − log(x − 1) + k,
x − 7x + 6 5 5
al variare di k in R.

b) Il polinomio di grado due x2 + 2x + 4 non ha radici reali. Possiamo però scrivere


   2 
2 2 (x+1)2 x+1
x + 2x + 4 = (x + 1) + 3 = 3 3
+1 =3 √
3
+1 .

x+1

Quindi, ponendo y = otteniamo dx = 3 dy e
√ ,
3
Z Z √
Z
1 1 3 1
2
dx =   dx = 3
dy
x + 2x + 4 x+1
2 y2 +1
3 √
3
+1
√ √  
3 3 x+1
= 3
arctg y +k = 3
arctg √
3
+ k,
al variare di k in R.

c) Il polinomio di grado tre x2 (x+1) ha due radici reali: −1 e 0 quest’ultima con molteplicità
doppia. Proviamo a determinare A, B, C ∈ R in modo che
1 A B C
2
= + 2+ .
x (x + 1) x x x+1
66 Capitolo 4

Con semplici calcoli, ci accorgiamo che A, B, C devono soddisfare


Ax(x + 1) + B(x + 1) + Cx2 = 1,
quindi A = −1, B = 1, C = 1. Da cui
Z Z Z Z
1 1 1 1 1
2
dx = − dx + 2
dx + dx = − log |x| − + log |x + 1| + k,
x (x + 1) x x x+1 x
al variare di k in R. ©
R2
ZEsempio 4.15. Un esercizio importante è il seguente. Calcolare −2
|x − 1| dx.

L’esercizio è immediato quando si conside-


ri il grafico di |x − 1|: si tratta di sommare
le aree di due triangoli, uno di base 3 e al-
|x − 1| tezza 3, l’altro di base 1 e altezza 1. Quindi
l’integrale proposto vale 5.

−2 0 1 2

Volendo invece trovare una primitiva di |x − 1| sull’intervallo [−2, 2], possiamo procedere in
questo modo (che si adatta a tutte le funzioni del tipo |f (x)|). Notiamo che
( Z ( 2
x
x−1 x≥1 − x + c1 x≥1
|x − 1| = quindi |x − 1| dx = 2 x2
−x + 1 x < 1 − 2 + x + c2 x < 1,
dove c1 e c2 vanno scelti in modo che la funzione a destra risulti derivabile in tutti i punti
(quindi anche continua in 1). Questo accade se c1 − 21 = 21 + c2 , ossia se c2 = c1 − 1. Allora
Z ( 2 ( 2
x x
2
− x + c1 x≥1 −x x≥1
|x − 1| dx = x2 = c1 + 2 x 2
− 2 + x − 1 + c1 x < 1, − 2 + x − 1 x < 1,
R2  
x2 x2
L’integrale proposto vale quindi −2 |x − 1| dx = 2 − x − − 2 + x − 1 = 2−2−
x=2 x=−2
(−1 − 2 − 1) = 4.
R2 R1 R2
Si poteva anche procedere scrivendo −2
|x − 1| dx = −2
(1 − x) dx + 1
(x − 1) dx . . .. ©

4. Il metodo dei trapezi

Il Teorema fondamentale afferma in particolare che se f è una funzione continua, allora essa
ammette sempre primitiva. Tuttavia non è sempre facile né sempre possibile esprimere tale
primitiva in termini di funzioni elementari.
4.4 – Il metodo dei trapezi 67

Ad esempio si dimostra che le funzioni


2 sin x ex
ea x a 6= 0, , ,...
x x
non hanno primitive esprimibili tramite funzioni elementari.
Rb
Si può trovare un valore approssimato dell’integrale definito a f (x) dx usando una somma
superiore (oppure una somma inferiore) relative a una certa partizione. In tal modo appros-
simiamo la funzione f su ciascun intervallo individuato dalla partizione con il suo valore
massimo (oppure con il suo valore minimo).

Un risultato più soddisfacente si ottiene approssimando f tramite spezzate. In questo


consiste il metodo dei trapezi, che ora descriviamo.

Dividiamo il segmento [a, b] in N parti uguali, ciascuna di ampiezza h = (b − a)/N; questo


vuol dire che scegliamo una partizione dell’intervallo [a, b] della forma

b−a
(4.3) a = x0 < x1 < . . . < xN = b con xi = a + ih e h = .
N

f(x)
spezzata

Dividiamo quindi la regione di piano compresa


sotto il grafico di f in N strisce, sempre di am-
piezza h. Approssimiamo quindi l’area di ciascu-
na di queste strisce mediante quella del trapezio
corrispondente. In figura la situazione prendendo
N = 4 sottointervalli dell’intervallo [a, b].
x0 = a x1 x2 x3 x4 = b

In formule, nella striscia compresa tra xi e xi+1 approssimiamo il grafico della funzione con
quello della retta passante per i punti (xi , f (xi )) e (xi+1 , f (xi+1 )). Otteniamo quindi un
trapezio, la cui area è data da semisomma delle basi per altezza, quindi da:
1 
f (xi ) + f (xi+1 ) h
2
La somma delle aree di questi trapezi fornisce l’approssimazione dell’integrale definito che
stiamo cercando.
N −1
hX 
f (xi ) + f (xi+1 )
2 i=0

Nella maggior parte dei casi, la stima migliora al crescere di N: notiamo che su ciascun
intervallo abbiamo sostituito alla funzione il polinomio interpolante passanti per gli estremi,
ossia abbiamo sostituito nell’i-esimo intervallo la funzione con il polinomio Pi di grado 1.
68 Capitolo 4

Quanto vale l’errore?


Z b N
X −1 Z xi+1
f (x) dx = f (x) dx
a i=0 xi
N
X −1 Z xi+1 N
X −1 Z xi+1
= Pi (x) dx + (f (x) − Pi (x)) dx
i=0 xi i=0 xi
N −1 N −1 Z xi+1
hX X
= (f (a + ih) + f (a + (i + 1)h)) + (f (x) − Pi (x)) dx
2 i=0 i=0 x i

D’altra parte per il teorema 1.24 su ciascun intervallo (xi , xi+1 ) l’errore f (x) − Pi (x) si
controlla con la derivata seconda della funzione f per il polinomio di grado due dato da
1
2
(x − xi )(xi+1 − xi ):

NX−1 Z xi+1 N −1 Z xi+1
X
(f (x) − Pi (x)) dx ≤ |f (x) − Pi (x)| dx

i=0 xi i=0 xi
N −1 Z
max{|f ′′(t)| : t ∈ [a, b]} X xi+1
≤ (x − xi )(xi+1 − x) dx.
2 i=0 xi

Con la sostituzione t = x − xi e ricordando dalla (4.3) che xi+1 = xi + h, scopriamo che gli
integrali della formula precedente sono tutti uguali e valgono
Z xi+1 Z h Z h
(x − xi )(xi+1 − x) dx = t(h − t) dt = (ht − t2 ) dt
xi 0 0
2 3 h
t t h3 h3 h3
=h − = − = .
2 3 0 2 3 6
Quindi, ricordando le relazioni (4.3)

NX−1 Z xi+1 N h3
max{|f ′′ (t)| : t ∈ [a, b]}

(f (x) − Pi (x)) dx ≤

i=0 xi
12
(b − a)3
= 2
max{|f ′′ (t)| : t ∈ [a, b]}.
12 N
Riassumendo:

Teorema 4.16. Sia f : [a, b] → R una funzione di classe C 2 , N un numero naturale positivo,
h = (b − a)/N. Allora
Z b N −1
hX
f (x) dx ≃ (f (a + ih) + f (a + (i + 1)h)) ,
a 2 i=0
nel senso che
Z
b N −1 (b − a)3
hX
max{|f ′′ (t)| : t ∈ [a, b]}.

f (x) dx − (f (a + ih) + f (a + (i + 1)h)) ≤
a 2 i=0 12 N 2
4.4 – Il metodo dei trapezi 69

R1
ZEsempio 4.17. Usiamo il metodo dei trapezi per approssimare l’integrale definito 0
ex dx.

In modo grossolano, dividiamo l’intervallo [0, 1] in ad esempio N = 10 sottointervalli, cia-


scuno di ampiezza h = 1/10 = 0.1. Usando un foglio di Maple, possiamo scrivere ad
esempio

> n:=10:a:=0:b:=1:
> h:=(b-a)/n:
> f:=x->exp(x):
> int_appr:=0:
for j from 0 to n-1 do
int_appr:=int_appr+h*(f(a+j*h)+f(a+(j+1)*h))/2:
od:
int_appr;

Maple risponde con il risultato

7 9
1
20
+ 1
10
e1/10 + 1
10
e1/5 + 1
10
e3/10 + 1
10
e2/5 + 1
10
e1/2 + 1
10
e3/5 + 1
10
e 10 + 1
10
e4/5 + 1
10
e 10 + 1
20
e1

Per ottenere il risultato in formato virgola mobile scriviamo convert(%,float); e otteniamo


il risultato cercato: il valore approssimato dell’integrale risulta 1.719713491.

Confrontiamo la nostra approssimazione con il vero valore dell’integrale, che in questo caso
è semplice da calcolare: e − 1. L’errore commesso è quindi: e − 1 − 1.719713491 (cioè circa
−0.001431663); il risultato è molto buono, considerato che abbiamo usato solo N = 10
sottointervalli.

Più significativo è capire a priori in quanti intervalli avremmo dovuto suddividere [0, 1] per
ottenere un valore approssimato, ad esempio a meno di 10−3 . Siccome la derivata seconda
della funzione ex è la funzione stessa, sull’intervallo [0, 1], tale derivata seconda al massimo
vale e < 3. Se scegliamo N sottointervalli l’errore si può quindi controllare con

3 1
2
= .
12 N 4 N2

Il problema è determinare N in modo che questo errore sia minore della precisione scelta, in
questo caso 10−3 . Risulta 4 N1 2 < 10−3 se N 2 > 250, quindi potremmo scegliere ad esempio
N = 16. ©
70 Capitolo 4

Il metodo dei trapezi fornisce una stima accurata,


purché la funzione non abbia accelerazioni e dece-
1

lerazioni troppo brusche. Nell’esempio della figura


accanto, la funzione f (x) = sin(1/x) nell’interval-
0
lo [0.1, 0.85]. Si sono scelti n = 15 sottointerval-
li (h = 0.05). Pur avendo scelto sottointervalli
molto piccoli, la spezzata non approssima bene la
funzione nel primo sottointervallo. Possiamo con-
−1
f(x)
trollare che la derivata seconda di questa funzione
spezzata
è molto grossa vicino a zero.
R2
ZEsempio 4.18. Approssimare 1
log(x2 + 1) dx a meno di 10−5 .

1−x 2
Sia f (x) = log(x2 + 1). Allora f ′′ (x) = 2 (1+x 2 )2 e, siccome sull’intervallo [1, 2] valgono
2 2
1 + x ≥ 2, |1 − x | ≤ 3, otteniamo
3 3
|f ′′ (x)| ≤ 2 = ∀x ∈ [1, 2].
4 2
(In realtà si potrebbe notare dallo studio del grafico di f ′′ che |f ′′ (x)| ≤ 1/4, ma occorrereb-
bero troppi conti).

Quindi per ottenere una stima a meno di 10−5 dobbiamo dividere l’intervallo [1, 2] in N
sottointervalli con N tale che
(b − a)3 ′′ −5 (2 − 1)3 3
max{|f (t)| : t ∈ [a, b]} < 10 in questo caso < 10−5 ,
12 N 2 12N 2 2
quindi ad esempio N = 150 (ma basterebbe N = 112).

Con Maple scriviamo un file che implementi il metodo dei trapezi, facendo calcolare il numero
di intervalli necessari con un ciclo while iniziale.

> f:=x->log(x^2+1):
> a:=1: b:=2:
> prec=10^(-5): # precisione
> Max=3/2: # stima della derivata seconda, che potremmo migliorare usando
> plot(D(D(f)), a..b);
> N:=1; # calcolo numero intervalli necessari con ciclo while
> while ((b-a)^3)*Max/(12*( n^2))>= prec do
n:=n+1:
od:
n;
> h:=(b-a)/n: # passo
> int_appr:=0: # inizializzazione valore approssimato
> for j from 0 to n-1 do
int_appr:=int_appr+h*(f(a+j*h)+f(a+(j+1)*h))/2:
4.5 – Integrali impropri 71

od:
> convert(int_appr,float);

In risposta otteniamo 1.169228424 e il valore richiesto è quindi circa 1.1692. ©

5. Integrali impropri

Supponiamo di dover studiare la funzione integrale


Z x t
e
F (x) = dt.
0 t+1

L’interesse risiede nel fatto che la funzione integranda non ha primitive esprimibili in forma
elementare, quindi stiamo effettivamente studiando una “nuova” funzione.

e t
La funzione integranda f (t) = t+1 è definita se t 6= −1 e ivi continua. In particolare risulta
quindi integrabile su ogni intervallo contenuto in R\{−1}. Allora, se 0 e x sono gli estremi di
un intervallo contenuto in R \ {−1}, ha senso calcolare l’integrale della formula che definisce
F (x). Ossia se x è in (−1, +∞), possiamo assegnare un valore a F (x), quindi il dominio di
F (x) contiene l’intervallo (−1, +∞). A questo punto, possiamo calcolare i limiti agli estremi
di questo intervallo. Questo ci porta a considerare (idealmente) l’integrale di f sull’intervallo
illimitato [0, +∞) oppure l’integrale di f sull’intervallo (−1, 0] che è limitato, ma f non è
limitata su (−1, 0]. Le domande che ci poniamo sono: sappiamo calcolare questi limiti? Se
no, sappiamo almeno stabilire se esistono e se sono finiti?

L’integrale improprio, che introduciamo in questa sezione, è una estensione dell’integrale


usuale nei casi in cui ci si trovi a integrare in qualche senso su un intervallo illimitato oppure
una funzione ilimitata su un intervallo limitato.

Tratteremo in dettaglio il caso dell’intervallo illimitato; riportiamo le principali considera-


zioni per il caso di funzione non limitata su intervallo limitato.

5.1. Caso intervallo illimitato. Sia f una funzione integrabile su ogni intervallo li-
mitato contenuto in [0, +∞); ad esempio sia f continua sull’intervallo [a, +∞). Allora per
Rb
ogni b in [a, +∞) ha senso calcolare a f (x) dx .

Definizione 4.3. Si dice che f è integrabile in senso improprio su [a, +∞) se esiste finito il
Rb
limb→+∞ a f (x) dx. In tal caso si dice che l’integrale è convergente e si pone
Z +∞ Z b
f (x) dx = lim f (x) dx.
a b→+∞ a
72 Capitolo 4

Nel caso il limite risulti +∞ [rispettivamente −∞] si dice che l’integrale improprio diverge
a +∞ [rispettivamente a −∞]. In tutti gli altri casi diciamo semplicemente che l’integrale
improprio non converge. Analogo è il caso in cui si considerano funzioni continue su se-
miintervalli infiniti a sinistra (del tipo (−∞, b]): si pone, quando il limite a destra esiste
finito
Z b Z b
f (x) dx = lim f (x) dx.
−∞ a→−∞ a

R +∞ R0
Infine si dice che −∞ f (x) dx è convergente se sono separatamente convergenti −∞ f (x) dx
R +∞
e 0 f (x) dx. Si pone
Z +∞ Z 0 Z +∞
f (x) dx = f (x) dx + f (x) dx.
−∞ −∞ 0

ZEsempio 4.19. Dire se sono convergenti ed eventualmente calcolare i seguenti integrali:


Z +∞ Z +∞ Z +∞
−x 1
a) e dx b) dx a > 0 c) sin x dx.
0 1 xa 0

a) Una primitiva di e−x è la funzione −e−x . Pertanto


Z b b

lim e dx = lim −e = lim (−e−b + 1) = 1.
−x −x
b→+∞ 0 b→+∞ b→+∞
0

Questo vuol dire che l’integrale improprio in a) è convergente e vale 1.

b) Se a 6= 1 una primitiva di 1/xa è x−a+1 /(−a + 1); se a = 1 invece una primitiva è log x.
Quindi
 b  −a+1
x−a+1 b −1
Z b 

 −a+1 se a =
6 1 
 −a+1
se a =
6 1
1 1
a
dx = =
1 x 
 
log b
 b
log x|1 se a = 1 se a = 1

Nel caso a = 1, passando al limite per b tendente a infinito otteniamo che l’integrale impropio
è divergente a +∞. Lo stesso succede se 0 < a < 1. Invece se a > 1 l’integrale improprio
risulta convergente (e vale 1/(a − 1)). Riassumendo
Z +∞ (
1 è convergente se a > 1
a
dx
1 x è divergente se 0 < a ≤ 1.

c) Una primitiva di sin x è − cos x. Pertanto


Z b
sin x dx = − cos x|b0 = − cos b + 1.
0

Poiché limb→+∞ cos b non esiste, l’integrale improprio proposto non è convergente. ©
4.5 – Integrali impropri 73

Nella maggior parte dei casi interessa stabilire se un integrale improprio dato risulta con-
vergente o divergente o non convergente e eventualmente fornire un’approssimazione del suo
valore.

Gli integrali impropri di funzioni non negative (o non positive) sono più facili da trattare.

Infatti se f (x) ≥ 0 e a ≤ b1 ≤ b2 , allora


Z b1 Z b2
f (x) dx ≤ f (x) dx,
a a

ovvero la funzione integrale risulta crescente.

a b1 b2

Rb
Per il teorema sul limite delle funzioni monotone il limb→+∞ a f (x) dx esiste sempre e può
essere finito (integrale convergente) oppure +∞ (integrale divergente). In altre parole, non
capita mai quanto visto nell’esempio c).

Un criterio basilare per stabilire la convergenza o divergenza è il seguente.

Teorema 4.20 (Teorema del confronto). Siano f e g funzioni continue sull’intervallo [a, +∞)
con 0 ≤ f (x) ≤ g(x) per ogni x in [a, +∞).
R +∞ R +∞
i) Se a g(x) dx è convergente, allora anche a f (x) dx è convergente.
R +∞ R +∞
ii) Se a f (x) dx è divergente, allora anche a g(x) dx è divergente.

La spiegazione del teorema è facilmente illustrata


nella figura accanto: se l’area della regione più
grande è finita, a maggior ragione è finita l’area
g(x)
f(x)
della regione più piccola; viceversa, se l’area della
regione più piccola è infinita, a maggior ragione
risulta infinita quella della regione più grande. Più
formalmente:

Rb
Dimostrazione. Supponiamo che valga i). Siccome f è non negativa, limb→+∞ a
f (x) dx
esiste. Dobbiamo stabilire se è finito oppure no.
74 Capitolo 4

Per l’ipotesi f (x) ≤ g(x) per ogni x in [a, +∞) e la monotonia dell’integrale definito, per
ogni b ≥ a vale
Z b Z b
f (x) dx ≤ g(x) dx.
a a
Per il teorema del confronto dei limiti si ha
Z b Z b Z +∞
lim f (x) dx ≤ lim g(x) dx = g(x) dx.
b→+∞ a b→+∞ a a

Rb
Supponiamo che valga ii). Siccome g è non negativa, limb→+∞ a
g(x) dx esiste. Dobbiamo
stabilire se è finito oppure no.

Per l’ipotesi f (x) ≤ g(x) per ogni x in [a, +∞) e la monotonia dell’integrale definito, per
ogni b ≥ a vale
Z b Z b
f (x) dx ≤ g(x) dx.
a a
Per il teorema del confronto dei limiti si ha
Z b Z b
+∞ = lim f (x) dx ≤ lim g(x) dx.
b→+∞ a b→+∞ a

Si noti che nel Teorema 4.20 (del confronto) non è necessario che la maggiorazione 0 ≤
f (x) ≤ g(x) valga su tutto l’intervallo [a, +∞), ma è sufficiente che valga da un certo punto
in poi.
R +∞
Infatti se f è una funzione continua sull’intervallo [a, +∞) e a < c, vale: a f (x) dx
R +∞ R +∞ Rc R +∞
convergente se e solo se c f (x) dx è convergente e a f (x) dx = a f (x) dx+ c f (x) dx.

Il criterio appena enunciato ci permette di concludere qualcosa anche per funzioni non
necessariamente non negative:

R +∞
Corollario 4.21. Sia f una funzione continua sull’intervallo [a, +∞). Se a
|f (x)| dx è
R +∞
convergente, anche a f (x) dx è convergente.

Dimostrazione. Indichiamo con f + la parte positiva di f e con f − la parte negativa,


in modo che f = f + − f − . In formule
( (
f (x) se f (x) ≥ 0 −f (x) se f (x) ≤ 0
f + (x) = f − (x) =
0 altrimenti 0 altrimenti
Nelle figure seguenti potete confrontare f (x) con |f (x)|, f + (x) e f − (x).
4.5 – Integrali impropri 75

5 5
f(x) |f(x)|

4 4

3 3

2 2

1 1

0 0

−1 −1

−2 −2
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3
5 5
+ −
f (x) f (x)

4 4

3 3

2 2

1 1

0 0

−1 −1

−2 −2
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

La parte positiva f + e la parte negativa f − di f sonoR funzioni non negative Red entrambe più
b b
piccole di |f (x)|. Ma allora esistono finiti limb→+∞ a f + (x) dx e limb→+∞ a f − (x) dx. Ne
segue che esiste finito
Z b Z b Z b
+
lim f (x) dx = lim f (x) dx − lim f − (x) dx.
b→+∞ a b→+∞ a b→+∞ a

In sintesi, per studiare la convergenza di un integrale improprio, basta saper confrontare la


funzione data con funzioni di cui è noto il comportamento dell’integrale improprio, come le
funzioni dell’esempio 4.19 a) e b).

Si può facilmente verificare che “da un certo punto in poi f (x) si comporta come 1/xa ”
calcolando l’ordine di infinitesimo di f (x) (o un limite) per x → +∞ .

Corollario 4.22. Sia f una funzione continua su [c, +∞).


R +∞
i) Se per un qualche a > 1 risulta limx→+∞ xa f (x) = ℓ ∈ R, allora c |f (x)| dx è
convergente.
ii) Se f (x)R ≥ 0 e per un qualche a con 0 < a ≤ 1 risulta limx→+∞ xa f (x) = ℓ ∈ R \ {0},
+∞
allora c f (x) dx è divergente.
76 Capitolo 4

La spiegazione di questo criterio è contenuta nella definizione di limite.

Ne deduciamo
R +∞ che se, per x → +∞, la funzione f è un infinitesimo di ordine α con α > 1,
allora c |f (x)| dx è convergente. Se f (x) ≥ 0 e se, per x → +∞, la funzione f è un
R +∞
infinitesimo di ordine α con α ≤ 1, allora c f (x) dx è divergente.
ZEsempio 4.23. Lo scopo di questo esempio è mostrare che nulla si può concludere nel caso
a = 1, ℓ = 0 (che corrisponde a dire f infinitesima, per x → +∞, di ordine non ben precisato
maggiore di uno).

Valutare la convergenza degli integrali impropri


Z +∞ Z +∞
1 1
dx e dx.
2 x log x 2 x log2 x
1 1
Si noti che le funzioni x log x
e x log2 x
entrambe soddisfano le ipotesi del criterio con a = 1,
ℓ = 0.

Mediante la sostituzione y = log x, dy = dx/x, otteniamo


Z b Z log b
1 1
lim dx = lim dy = +∞
b→+∞ 2 x log x b→+∞ log 2 y
Z b Z log b
1 1 1
lim 2 dx = lim 2
dy = ,
b→+∞ 2 x log x b→+∞ log 2 y log 2
ossia il primo integrale è divergente e il secondo è invece convergente. ©
R +∞
ZEsempio 4.24. a) 5 exx dx è convergente. Infatti, si ha
xa+1
lim =0
x→+∞ ex

per ogni a, in particolare per a = 2.


R +∞ 1 x+1

b) 1 x
log dx è convergente. Infatti per a > 1,
x+2
  x+1

xa x+1 log x+2
lim log = lim
x→+∞ x x+2 x→+∞ x1−a
e, usando la regola dell’Hôpital,
 
x+2 x+2−(x+1)
x+1 (x+2)2 xa
lim = lim
x→+∞ (1 − a) x−a x→+∞ (1 − a)(x + 2)(x + 1)

e quest’ultimo limite vale −1 per a = 2 (per a > 2 viene ∞, per 0 < a < 2 viene 0). ©
ZEsempio 4.25. Lo scopo di questo esempio è mostrare che un integrale improprio può essere
convergente senza che la funzione integranda sia infinitesima (il limite potrebbe non esistere,
come in questo caso).
R +∞
Verificare che π 2 /4
sin(x2 ) dx è convergente.
4.5 – Integrali impropri 77

Utilizziamo innanzi tutto la sostituzione t = x2 e dopo integriamo per parti. Otteniamo:


Z +∞ Z b Z √b
sin(t)
sin(x2 ) dx = lim sin(x2 ) dx = lim √ dt
π 2 /4 b→+∞ π 2 /4 b→+∞ π/2 2 t
√b Z √b !
cos(t) 1 cos(t)
= lim − √ − dt
b→+∞ 2 t π/2 4 π/2 t3/2
√ Z √b !
cos( b) 1 cos(t)
= lim − √ − dt
b→+∞ 24b 4 π/2 t3/2
Z √b Z
1 cos(t) 1 +∞ cos(t)
= lim − dt = − dt
b→+∞ 4 π/2 t3/2 4 π/2 t3/2
e l’ultimo integrale scritto è convergente, perché vale la i) del Corollario 4.22 con a = 3/2.

Rispetto alla funzione sin x (dell’esempio 4.19 c), integrale improprio non convergente), la
funzione sin x2 presenta oscillazioni più veloci ed è questo che le permette di avere integrale
improprio convergente. ©
R +∞
ZEsempio 4.26. Scopo di questo esercizio è mostrare che può accadere che a |f (x)| dx
R +∞
sia divergente ma a f (x) dx sia convergente (ovviamente f non avrà segno costante).
RPossiamo scegliere la funzione dell’esempio precedente:
R f (x) = sin(x2 ). Abbiamo visto che
+∞ +∞
π2
sin(x2 ) dx è convergente. Mostriamo ora che π2 | sin(x2 )| dx non è convergente, quindi,
siccome | sin(x2 )| ≥ 0, l’integrale sarà divergente. Per ogni numero naturale N ≥ 2 si ha,
con la sostituzione t = x2 ,
Z N 2 π2 Z Nπ N −1 Z (k+1)π
2 | sin(t)| X | sin(t)|
| sin(x )| dx = √ dt = √ dt.
π2 π 2 t k=1 kπ
2 t
Ancora, siccome l’integranda è non negativa,
Z N 2 π2 N −1 Z kπ+3π/4 N −1 √ Z kπ+3π/4
X | sin(t)| X 2 1
| sin(x2 )| dx ≥ √ dt ≥ √ dt.
π2 2 t 4 kπ+π/4 t
k=1 kπ+π/4 k=1

Infine, siccome la funzione 1/ t è decrescente,
Z N 2 π2 √ N −1
2 2Xπ 1
| sin(x )| dx ≥ p .
π2 4 k=1 2 kπ + 3π/4
Se N → +∞, la serie che otteniamo a secondo membro è divergente, quindi per confronto
R N 2 π2
π2
| sin(x2 )| dx → +∞ e l’integrale proposto non può convergere. ©
ZEsempio 4.27. Dire Rse converge ed in caso affermativo approssimare a meno di 1/100
+∞ 2
l’integrale improprio 0 e−x dx.

L’integrale improprio è convergente, perché


2
e−x ≤ e−x ∀x ≥ 1
R +∞
e, come visto nell’esempio 4.19 a) l’integrale improprio 0 e−x dx è convergente.
78 Capitolo 4

Cerchiamo ora di stimare l’integrale improprio di partenza.


R +∞
Innanzi tutto, se un integrale improprio a f (x) dx è convergente, allora “da un certo punto
R +∞
M in poi” M f (x) dx è molto piccolo. Dividiamo in due parti l’intervallo [0, +∞), ossia
per un certo M da determinare [0, +∞) = [0, M] ∪ [M, +∞).
Si avrà
1

Z +∞ Z M Z +∞
−x2 −x2 2
0.8

−x
e dx = e dx + e−x dx.
e
0.6 e−x
2
0 0 M

0.4 Stimiamo separatamente ciascun integrale a se-


0.2
condo membro a meno di 1/200. Sommando le
due stime, otterremo una stima dell’integrale cer-
0

cato, in cui l’errore è minore della somma dei due


−0.2
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 errori, cioè 1/100, come richiesto.

Iniziamo dal secondo integrale. Se M è grande, il secondo integrale sarà molto piccolo e
quindi trascurabile; precisamente si ha che

Z +∞ Z +∞
−x2 1
e dx ≤ e−x dx = e−M <
M M 200

per M = 6.
R6 2
Quindi ci resta da approssimare 0 e−x dx a meno di 1/200. Possiamo farlo con il metodo
dei trapezi o con le serie di Taylor.

L’errore nell’approssimazione dei trapezi si controlla con il Teorema 4.16.


1
2
Sia f (x) = e−x . Dal grafico di f ′′ (x) otteniamo
0.5
che |f ′′ (x)| ≤ 2 su [a, b] = [0, 6], quindi dobbiamo
0
prendere N in modo che

−0.5 b−a ′′ 1
max |f (x)| ≤
12N 2 200
−1


−1.5
ossia N ≥ 60 2 (ad esempio N = 120 e quin-
di h = 0.05). Utilizzando il metodo dei trapezi
−2
0 1 2 3 4 5 6 otteniamo 0.886226925.

Oppure usando le serie di Taylor: è noto che


−x2
X (−x2 )n
e =
n=0
n!
4.5 – Integrali impropri 79

e che la convergenza è uniforme su ogni intervallo limitato. Allora


Z 6 Z 6X ∞ ∞ Z 6 ∞
−x2 (−x2 )n X (−1)n 2n X (−1)n 62n+1
e dx = dx = x dx = .
0 0 n=0 n! n=0 0 n! n=0
n! 2n + 1
L’ultima serie si stima con una opportuna ridotta, come spiegato nel capitolo sulle serie
numeriche ad esempio nel Teorema di Leibniz 2.24 (97 termini).
R +∞ 2 R6 2
Concludendo: abbiamo 6 e−x dx ≃ 0 a meno di 1/200 0 e−x dx ≃ 0.88 a meno di 1/200
R +∞ 2
quindi 0 e−x dx ≃ 0 + 0.88 = 0.88 a meno di 1/100.

Il prossimo annoR attraverso integrali


p π doppi, calcoleremo esplicitamente questo integrale e
+∞ −x2
mostreremo che 0 e dx = 4 . ©

5.2. Caso intervallo limitato. Sia f una funzione continua sull’intervallo [a, c), ma
Rb
non limitata. Allora per ogni b in [a, c) ha senso calcolare a f (x) dx .

Definizione 4.4. Si dice che f è integrabile in senso improprio su [a, c) se esiste finito il
Rb
limb→c− a f (x) dx. In tal caso si dice che l’integrale è convergente e si pone
Z c Z b
f (x) dx = lim− f (x) dx.
a b→c a

Nel caso il limite risulti +∞ [rispettivamente −∞] si dice che l’integrale improprio diverge
a +∞ [rispettivamente a −∞]. In tutti gli altri casi diciamo semplicemente che l’integrale
improprio non converge.

Analogo è il caso in cui si considerano funzioni continue ma non limitate su intervalli aperti
a sinistra (del tipo (c, b]): si pone, quando il limite a destra esiste finito
Z b Z b
f (x) dx = lim+ f (x) dx.
c a→c a

Infine, supponiamo che f sia una funzione continua ma non limitata sull’intervallo I (limitato
oppure non limitato) che possa essere diviso in un numero finito di sottointervalli I1 , . . . , Im
tali che: o Ik è limitato o altrimenti f è limitata su Ik .
R
Allora si dice che I f (x) dx è convergente se sono convergenti tutti gli integrali impropri sui
vari intervalli Ik per ogni k = 1, . . . , m.
R Pm R
Si pone I
f (x) dx = k=1 Ik
f (x) dx.
R1
ZEsempio 4.28. Dire se sono convergenti ed eventualmente calcolare 1
0 xa
dx, al variare di
a>0.
80 Capitolo 4

Le funzioni 1/xa non sono limitate per x → 0+ . Si tratta dunque di integrali impropri.

Se a 6= 1 una primitiva di 1/xa è x−a+1 /(−a + 1); se a = 1 invece una primitiva è log x.
Quindi
 1  −a+1
x −a+1 1−ε
Z 1 

 −a+1 se a =
6 1 
 −a+1 se a 6= 1
1 ε
a
dx = =
ε x 
 
− log ε se a = 1
 log x|1 se a = 1
ε

Nel caso a = 1, passando al limite per ε tendente a 0+ otteniamo che l’integrale impropio
è divergente a +∞. Lo stesso succede se a > 1. Invece se 0 < a < 1 l’integrale impropio
risulta convergente (e vale 1/(1 − a)). Riassumendo
Z 1 (
1 è convergente se 0 < a < 1
a
dx
0 x è divergente se a ≥ 1.
©

f(x)
g(x)

Considerazioni analoghe a quelle svolte nella se-


zione precedente mostrano che le opportune va-
riazioni del Teorema 4.20 del confronto e succes-
sivo Corollario 4.21 sono ancora valide. La figura
accanto dovrebbe aiutare a scrivere tali variazioni.
c b

Alla luce dell’esempio appena svolto, il Corollario 4.22 diventa

Corollario 4.29. Sia f una funzione continua sull’intervallo [b, c) ma ivi illimitata.

a
R c per un qualche a, 0 < a < 1 risulta limx→c− (c − x) f (x) = ℓ ∈ R, allora
i) Se
b
|f (x)| dx è convergente.
ii) Se f (x)R ≥ 0 e per un qualche a con a ≥ 1 risulta limx→c− (c − x)a f (x) = ℓ ∈ R \ {0},
c
allora b f (x) dx è divergente.

ZEsempio 4.30. Studiare il grafico della funzione integrale


Z x
log |t|
F (x) = 3
dt.
2 (t + 1)

L’unico punto delicato è il dominio della funzione integrale. Ovviamente possiamo assegnare
log |t|
un valore a F (x) quando la funzione (t+1) 3 è integrabile sull’intervallo [1, x] (oppure [x, 1]), ma

possiamo anche assegnare un valore quando l’integrale è un integrale improprio convergente.


4.5 – Integrali impropri 81

log |t|
In questo caso, la funzione integranda f (t) = (t+1) 3 è definita e continua su (−∞, −1) ∪

(−1, 0) ∪ (0, ∞). Siccome il punto base è 2, allora possiamo dire che (0, ∞) è senz’altro
contenuto nel dominio di F . Tuttavia il dominio può essere più grande.

RCi0 chiediamo
log |t|
inizialmente se 0 è nel dominio di F . Questo accade se e solo se l’integrale
log |t|
2 (t+1)3
dt è convergente. Siccome limt→0 (t+1) 3 = ∞ di ordine più piccolo di ogni potenza,
R0
allora l’integrale 2 f (t) dt è convergente e 0 sta nel dominio di F .

Se poi prendiamo x in (−1, 0), possiamo scrivere


Z x Z 0 Z x
log |t| log |t| log |t|
F (x) = dt = dt + dt
2 (t + 1)3 2 (t + 1)3 0 (t + 1)3

e ciascuno degli integrali sopra scritti è convergente. Quindi (−1, ∞) è contenuto nel dominio
di F .
R −1 log |t|
Ci chiediamo ora se anche −1 è nel dominio di F . Questo ammonta a chiedersi se 0 (t+1) 3 dt
log |t| R −1
è convergente. Siccome limt→−1 (t+1) 3 = ∞ di ordine 2, allora l’integrale 0
f (t) dt non è
convergente e −1 non sta nel dominio di F . A questo punto, per l’additività dell’integrale,
non avrà senso chiedersi se punti minori di −1 stanno nel dominio di F .

Quindi dom F = (−1, ∞). “Calcoliamo” ora i limiti agli estremi del dominio. Siccome
log |t|
limt→−1+ (t+1) 3 = −∞ e tenendo conto dell’orientamento dell’intervallo,

Z x
lim f (t) dt = +∞.
t→−1+ 1

Ci chiediamo ora cosa succede del limx→+∞ F (x). R +∞La domanda equivale a calcolare o almeno
a chiedersi se esite finito l’integrale improprio 1 f (t) dt. Siccome

lim f (t) dt = 0
t→+∞

R +∞
di ordine maggiore di 2, possiamo dire che l’integrale improprio 1
f (t) dt è convergente,
ossia
lim F (x) esiste finito.
x→+∞

Infine, per il teorema 4.2, la funzione integrale F risulta senz’altro derivabile nei punti dove
f è continua e in questi punti la derivata di F (x) è f (x). Quindi

log |x|
F ′ (x) = ∀x ∈ (−1, 0) ∪ (0, ∞)
(x + 1)3

e F non è derivabile in 0, perché limx→0 F ′ (x) = ∞. Da qui si va avanti come al solito per
lo studio di intervalli di monotonia.
82 Capitolo 4

0.5
f(t)

0
0.8

−0.5

0.6
−1

−1.5 0.4

−2
0.2

−2.5

0
−3

−3.5 −0.2
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

Nella figura a sinistra c’è il grafico di f e a destra il grafico di F . ©

6. Applicazioni alle serie numeriche

Teorema 4.31 (Criterio integrale). Sia f : [1, ∞) → R una funzione positiva e decrescente.
Allora:

P R∞
i) la serie f (n) è convergente se e solo se l’integrale improprio 1
f (x) dx è con-
n=1
vergente;
P∞ R∞
ii) la serie f (n) è divergente se e solo se l’integrale improprio 1 f (x) dx è diver-
n=1
gente.

Dimostrazione. Usare il criterio del confronto per i limiti, ricordando che

1 2 3 4 1 2 3 4
Z n+1 n
X n
X Z n
f (x) dx ≤ f (k) f (k) ≤ f (x) dx
1 1 
k=1 k=2

ZEsempio 4.32. Con il criterio integrale è facile notare cheR la serie armonica generalizzata
P∞ 1 ∞ 1
n=1 nα è convergente se e solo se lo è l’integrale improprio 1 xα dx e quindi, come abbiamo
visto nell’esempio 4.19 se e solo se α > 1. Forse ricordate che avevamo fatto molta più fatica
nell’esempio 2.11.
P 1 P 1
Altri esempi sono costituiti da n log n
e n log2 n
, rispettivamente divergente e convergente
per il criterio integrale e l’esempio 4.23. ©
4.6 – Applicazioni alle serie numeriche 83

In generale, calcolare la somma di una serie è un problema abbastanza difficile, tranne in


alcuni casi particolari (serie geometriche, telescopiche). È quindi utile saper approssimare la
somma di una serie.

P
Supponiamo di voler approssimare an , dove an è della forma an = f (n) con f : [1, ∞) → R
n=1 R∞
una funzione positiva, decrescente di integrale improprio 1 f (x) dx convergente (come nel

P
criterio integrale). Allora la serie f (n) è convergente. Desideriamo stimare la sua somma
n=1
s a meno di un errore E (ad esempio E = 10−2 ). Inizialmente possiamo pensare di troncare
la somma a un certo indice N, da determinare, e trattare la “coda” come errore. In formule:

X N
X ∞
X
f (n) = f (n) + f (n) .
n=1 n=1 n=N +1
| {z } | {z }
ridotta, sN che dà l’approssimazione coda, che per N opportuno deve essere<E

Ricordando che, come nel criterio integrale,


Z ∞ ∞
X Z ∞
f (x) dx ≤ s − sN = f (n) ≤ f (x) dx,
N +1 n=N +1 N

abbiamo che Z Z
∞ ∞
sN + f (x) dx ≤ s ≤ sN + f (x) dx.
N +1 N
R N +1
Abbiamo cosı̀ determinato un intervallo di ampiezza N f (x) dx in cui si trova la somma
s della serie. Se prendiamo il punto medio di questo intervallo, avremo una approssimazione
s∗N della somma della serie (migliore di quella che potrebbe darci sN ).

Riassumendo, se poniamo
Z ∞
1
s∗N = sN + (IN +1 + IN )
2
IN = f (x) dx
N

allora l’errore commesso è

|s − s∗N | ≤ 12 (IN − IN +1 ) . b

sN + IN +1 s∗N sN + IN
Occorre determinare N in modo che questo sia
minore di E (ad es. 10−2 ).


P
ZEsempio 4.33. Approssimare a meno di 10−4 la somma di 1
n2
.
n=1

Usiamo il trucchetto precedente. Si ha IN = N1 e la stima fornita da s∗N dà un errore


dell’ordine di 21 (IN − IN +1 ) = 2N (N1 +1) . Abbiamo 2N (N1 +1) < 10−4 ad esempio per N = 71.
Con Maple possiamo scrivere una variazione dei comandi
84 Capitolo 4

> ridotta:=convert(sum(1/k^2,k=1..71),float);
> int_infinito:=n->1/n;
> approssimazione:=ridotta+0.5*(int_infinito(71)+int_infinito(72));

Il risultato che otteniamo è 1.6449, con quindi due cifre decmali esatte.

Notiamo che il metodo “ingenuo” di usare solo la stima dall’alto fornita dal criterio integrale
ci avrebbe obbligati a molte iterazioni in più: siccome si tratta di una serie a termini positivi
e convergente, possiamo approssimare (per difetto) la somma della serie con una opportuna
ridotta di ordine N. Il problema è determinare N in modo che l’errore commesso sia più
piccolo di 10−4 . In formule:
∞ N ∞
X 1 X 1 X 1
= + .
n=1
n2 n=1
n2 n=N +1
n2
| {z } | {z }
ridotta, che dà l’approssimazione resto, che per N opportuno deve essere<10−4

Cerchiamo allora di determinare N, in modo che il resto sia minore di 10−4 . La stima
dall’alto del criterio integrale ci dice che
∞ Z ∞
X 1 dx 1
0≤ 2
≤ 2
= .
n=N +1
n N x N
1
Pertanto N dovrà essere scelto abbastanza grande, in modo che N
< 10−4 , quindi almeno
N = 10001. ©

7. Esercizi

1. Calcolare
Z Z Z Z
2 x+5 −x 1
(x − x ) dx; dx; x e dx; (∗) 2
dx;
x−5 x + 3x + 2
Z p Z Z Z Z
3 2 2 1
(x + 1) dx; xarctg x dx sin x dx; ; log(2x + 1) dx;
(x − 2)2 + 1
Z
−2x dx
p sull’intervallo (0, +∞) (con la sostituzione 1 + x2 = y 2 );
2
1 + x + (1 + x ) 2 3/2
Z Z Z
5x−1
(∗) log(x(1 + x)) dx sull’intervallo (0, +∞); e dx; tg (2x) dx;
Z Z
1 6 1
√ √ dx (con la sostituzione x = y ); (∗) dx;
x+ x 3
4 + x2
Z Z
3 2 x
x sin(x ) dx; dx.
(x + 1)3

2. Calcolare l’area della regione di piano delimitata dall’asse delle ascisse, dalle rette verticali
x = 1 e x = 4 e dal grafico della funzione f (x) = |x − 2|.
4.7 – Esercizi 85

p
3. Calcolare la media sull’intervallo [−1, 1] della funzione f (x) = |x|.

4. Calcolare la media sull’intervallo [0, π] della funzione f (x) = cos x e di g(x) = | cos x|.

5. Calcolare i seguenti integrali definiti e approssimarli tramite il metodo dei trapezi a meno di
10−4 :
Z π Z 1
2x
e sin x dx; arcsin x dx (con la sostituzione x = sin y);
0 0
Z 5 Z 2  Z 4
√ 3 1 1
3 4 + x dx; x + 2 − 3 dx; (∗) log((1 − x)(2 − x)) dx;
−3 1 x x 3
Z 1 Z 10 Z π/2 Z 3 √
ex 1 √
x
dx; 2x − 1
dx; cos x 1 + sin x dx; x 2 + x2 dx
2 + e e
Z0 e 2 0 1
log x √
√ dx (con la sostituzione y = x).
1 x

6. Discutere la convergenza del seguente integrale:


Z +∞
arctg x
dx
0 1 + x2
e, qualora converga, calcolarlo.

7. Discutere la convergenza di
Z +∞ Z 5
|x − log x| log x 1 − 3x
dx e √ dx.
0 ex − e 4 x−2

8. Sia

1 − 3 cos x
f (x) = √ ,
log(1 + 5 x)
Studiare la convergenza di
Z 1 Z +∞
f (x) f (x)
dx e dx.
0 x2 2 x2

9. Dire se le seguenti serie sono convergenti e eventualmente approssimarne la somma a meno


di 10−5
∞ ∞ ∞ ∞
X 1 X 1 X 1 X 1
3
; 2
; n 2 n
.
n=1
n n=1
n +4 n=1
2 n n=2
3 log n

10. a) Dire se è convergente e in caso affermativo approssimare a meno di 1/100 l’integrale


improprio
Z +∞
e−2x log x dx.
2
86 Capitolo 4

Traccia: sia g(x) = e−2x log x


i) Spiegare perché
0 ≤ e−2x log x ≤ e−x ∀x ≥ 2
e dedurne che ... R +∞
ii) Determinare b > 2 tale che b e−x dx < 1/200.
Rb
iii) Approssimare con il metodo dei trapezi 2 g(x) dx a meno di 1/200.
Si ricorda che: dati a, b ∈ R, a < b, g una funzione di classe C 2 ([a, b]) n = 1, 2, . . ., allora, posto
h = (b − a)/n si ha
Z
b n (b − a)3
hX
max{|g′′ (x)| : x ∈ [a, b]}.

g(x) dx − (g(a + (i − 1)h) + g(a + ih)) <
a 2 12n2
i=1
In questo caso si ha
(∗) max{|g′′ (x)| : x ∈ [a, b]} ≤ 0, 18 e quindi bisogna scegliere n ≥ . . .
iv) Scrivere il valore approssimato cosı̀ ottenuto dell’integrale improprio
Z +∞ Z b Z +∞
g(x) dx = g(x) dx + g(x) dx ≈ .....
2 2 b
v) Verificare la stima (∗).
R2 log2 x
R1
b) Si calcoli 1 x
dx, 0
arctg x dx.

11. Sia
2 +x 
f (x) = e−x (−2x + 1)2 − 2 .
a) Determinare il dominio di f e i limiti agli estremi del dominio.
b) Determinare massimi e minimi (assoluti e relativi) di f su tutto il dominio e di f ristretta
all’intervallo [0, 1].
c) Determinare l’immagine di f .
d) Disegnare uno (o più) grafici qualitativi di f .
Z 1
2
−4
e) Approssimare a meno di 10 l’integrale e−x +x dx.
0

12. Discutere, al variare di α ∈ R+ , la convergenza di:


Z +∞ Z +∞
sin2 x 1
I1 = dx e I2 = dx.
−1 |x|α (1 + x)α 0 |e3x − 1|α
Calcolare inoltre I2 per α = 1/2.

13. Provare che la funzione Z x


−|x|3 1
g(x) = cos x + e dt
0 3 + t100
è definita su tutto R e ha infiniti zeri.

14. Discutere la convergenza di:


Z +∞
ex − 1 − sin x
dx.
0 eπx − 1 − sin(πx)
4.7 – Esercizi 87

15. Dire per quali α ∈ R esiste finito:


Z +∞
1
√ logα (x + 2) dx.
1 x2 −1

16. Calcolare Z 1
1
p dx.
−1 |x|(x − 4)

17. Studiare la funzione

18. (difficile) Sia Z x


π/4 − arctan t
f (x) = dt;
−1 (4 + t)(2 + t)
(i) determinare il dominio di f , i punti critici di f e il loro tipo;
(ii) dire se limx→+∞ f (x) esiste e se è finito.

19. Data Z x h i
1
F (x) = e t2 −2t−8 − log2 (t + 2) dt,
0
trovare il numero di punti in cui la tangente al grafico di F è orizzontale.
Bibliografia

[1] R. A. Adams. Calcolo Differenziale vol. 1. CEA, Milano, 2003.


[2] A. Bacciotti e F. Ricci. Analisi matematica, vol. 1. Liguori, Napoli, 1994.
[3] M. Bramanti, C. D. Pagani e S. Salsa. Matematica. Calcolo infinitesimale e Algebra lineare. Zanichelli,
Bologna, 2004.
[4] P. Marcellini e C. Sbordone. Istituzioni di matematica e applicazioni. Liguori, Napoli, 1985.
[5] F. Parodi e T. Zolezzi. Appunti di Analisi Matematica. ECIG, Genova, 2002.

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