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• I PROCESSI COGNITIVI (percorso che parte dal singolo stimolo che arriva al nostro cervello fino
all’elaborazione di pensieri più complessi)
- Percezione= come gli individui acquisiscono delle informazioni dall’ambiente esterno
- Ruolo dell’ attenzione= serve per selezionare alcune delle info che provengono dall’ambiente e quindi
focalizzare i propri processi attentivi su alcune informazioni e ignorarle altre.
Come queste informazioni, una volta acquisite nel nostro sistema cervello, possono essere memorizzate.
Apprendere: meccanismi di apprendimento. Alcuni concetti su Intelligenza e pensiero = come elaboriamo le
informazioni.
• PSICOLOGIA
La Psicologia scienza che studia il comportamento umano ed i processi mentali, il loro sviluppo ed il loro
stato normale e patologico, in contesti individuali e di gruppo.
In altri termini, questa definizione ci dice che la Psicologia studia sia il comportamento umano, il
comportamento “manifesto”, ciò che si può vedere direttamente, sia i processi mentali, quei processi non
direttamente osservabili che possono però essere inferiti tramite l’osservazione del comportamento
manifesto. Studiando lo sviluppo di questi processi (come questi evolvono, soprattutto in determinate
tappe della vita delle persone) la Psicologia studia lo stato normale, il funzionamento normale di una
persona, ma anche quello “patologico’, situazioni in cui le persone si comportano in modo diverso/anomalo
rispetto ad uno standard. La Psicologia studia anche come tutto ciò avviene sia in contesti individuali che di
gruppo (Aspetti psico-sociali).
Dicotomia tra “Psicologia” e “Psicologie” = si usa la stessa parola per definire discipline spesso diverse fra
loro. In questo corso ci focalizzeremo soprattutto su Psicologia generale, dello sviluppo e dell’educazione e
sociale.
PSICOLOGIA GENERALE
La psicologia generale studia l’organizzazione del comportamento e delle principali funzioni psicologiche
(percezione – percezione visiva e acustica = raccolta di informazioni dall’ambiente-, attenzione, memoria,
apprendimento, pensiero, ecc.) attraverso cui l’uomo interagisce con l’ambiente – altre persone, ciò che lo
circonda- ed elabora rappresentazioni dell’ambiente e di se stesso.
La Psicologia generale studia le funzioni cognitive di base del nostro cervello, i “software” del cervello, e
comprende anche competenze relative ai metodi e tecniche della ricerca psicologica.
E’ anche chiamata sperimentale, o dei processi cognitivi. Si occupa sostanzialmente dei processi
cognitivi, e perché utilizza il metodo sperimentale. Si fanno gli esperimenti in laboratorio e sulla
base dei dati ottenuti si sviluppano dei modelli e delle teorie sul funzionamento dei processi
cognitivi, che possono essere sottoposte ad ulteriori verifiche sperimentali. (Si cercherà di falsificare
le teorie sviluppate sulla base dell’evidenze empiriche con ulteriori evidenze empiriche che cercano
di migliorare ulteriormente le teorie che sembrano corrispondere meglio alle evidenze in un dato
momento).
Non è lo studio generale dei vari ambiti della psicologia, bensì una materia ben precisa
Riguarda lo studio dei processi generali, di base, della mente
Studia i processi mentali e il comportamento attraverso il metodo sperimentale
Disciplina che studia il funzionamento normale della mente
PSICOLOGIA SOCIALE
La Psicologia sociale studia l’individuo nel suo contesto sociale, studia come i pensieri, i sentimenti e
comportamenti degli individui vengano influenzati dal contesto sociale ( il gruppo sociale, ad esempio
come cambia ad esempio il comportamento di un individuo quando è da solo o quando è con altre persone,
quando si trova in aula con i compagni e quando si trova fuori). Da questo punto di vista sappiamo che il
comportamento delle persone può variare molto a seconda del contesto sociale.
In funzione del contesto in cui una persona si trova, si comporterà in modo diverso. Ad esempio con gli
amici farà emergere un lato di sé, in ambito lavorativo ne farà emergere un altro e così via.
Di particolare interesse per i nostri scopi è una parte specifica della psicologia sociale, ovvero la psicologia
dei gruppi. Quest’ultima si interessa in particolar modo di come il comportamento e il pensiero degli
individui sia modulato dal contesto di gruppo (es. una classe scolastica).
UN PO’ DI TERMINI
Psicologo: laureato in psicologia* (5 anni + tirocinio post-lauream e superamento dell’esame di stato)
Psichiatra: medico laureato in psicologia, specializzato in psichiatria
Psicoterapeuta: psicologo o medico specializzato in psicoterapia
Psicanalista: psicoterapeuta che pratica la psicanalisi
1) PERCEZIONE
(= primo momento, le informazioni raccolte dall’ambiente esterno arrivano ai nostri organi di senso)
Sensazione e percezione
Tutti gli esseri viventi pluricellulari raccolgono degli stimoli ambientali, ossia delle informazioni, delle forme
di energia che arrivano dall’ambiente e quindi provengono dal mondo esterno (radiazioni luminose, onde
sonore, ecc.) ed esistono degli strumenti che gli esseri viventi hanno per raccogliere queste informazioni e
trasformarle. Questi strumenti sono dei tessuti specializzati che, negli organismi più complessi, prendono il
nome di organi di senso.
Gli organi di senso ci permettono di raccogliere le informazioni esterne, ambientali, e trasformarle in una
storta di linguaggio che il nostro cervello può capire, può elaborare, su cui può intervenire.
Primo step: raccogliere delle informazioni che provengono dall’ambiente esterno.
La realtà fisica esterna è molto complessa, molto più di quanto noi possiamo percepire, in quanto i nostri
organi di senso non sono in grado di raccogliere tutte le informazioni che provengono dal mondo esterno,
ne percepiamo solo una parte. Ogni organo di senso è una storta di finestra che fa passare alcuni segnali,
però ne esclude altri perché è incapace di coglierli. I nostri organi di senso riescono a cogliere alcune
informazioni, ma altre no.
Il tipo di informazione che viene elaborata dipende dall’architettura dell’organo di senso in un determinato
organismo. Ogni organismo ha degli organi di senso che hanno delle caratteristiche per cui riescono a
cogliere alcune informazioni, ma altre no. Non rispondono a certi tipi di stimolazione.
Esempio per quanto riguarda la modalità uditiva (le informazioni acustiche che possiamo cogliere o meno):
- se usiamo un fischietto a ultrasuoni (>20.000Hz), un cane lo sente perfettamente perché la sua finestra
per i suoni è più ampia della nostra, mentre noi non sentiamo nulla, non riusciamo a cogliere quel tipo di
informazione. Quel tipo di stimolo è fuori dalla nostra finestra, quindi, non attiva il nostro orecchio, di
conseguenza non arriva nessuna informazione al nostro organo di senso e non evoca nessun tipo di
informazione a livello del nostro cervello, mentre un cane è in grado di captare quell’informazione e
successivamente di elaborarla.
- La nostra capacità di elaborare informazioni dipende dalla capacità dei nostri organi di senso di rilevarle.
Ad esempio, per una persona sorda (non più in grado di cogliere le informazioni acustiche), qualunque
suono presente nell'ambiente è inattivo come stimolo: soggettivamente quello stimolo non esiste. Se noi
parliamo con una persona non udente, quel tipo di stimolo che per noi è udibile in quanto rientra nella
nostra finestra di stimoli percepibili, non rientra invece nella finestra di una persona sorda, quindi da un
punto di vista soggettivo quello stimolo non esisterà.
• Sensazione: detezione di energia fisica proveniente dagli oggetti da parte dei nostri organi di senso e
recettori sensoriali, cioè cellule specializzate che rilevano e traducono gli stimoli in impulsi elettrici che il
cervello utilizza (es. sento qualcosa). [Capacità dei nostri organi di senso e recettori sensoriali di rilevare
un’energia fisica proveniente dall’ambiente. Queste cellule specializzate rilevano e poi traducono gli
stimoli in un linguaggio compatibile con quello del nostro cervello.]
Sostanzialmente la sensazione è quel tipo di informazione che ci permette di rilevare un segnale. Per
esempio, se sento un rumore è perché il mio orecchio è in grado di rilevare che c’è una certa energia
fisica che è arrivata al mio orecchio, il quale riesce a rilevare la presenza di un segnale.
Processo per cui cambiamenti nello stato del mondo provocano cambiamenti nel cervello. Nel mondo
succede qualcosa, e questo qualcosa evoca in qualche modo, grazie alla mediazione dei nostri organi di
senso, un cambiamento nel cervello.
Il triangolo di Kanizsa
Da un punto di vista fisico, in questo caso lo stimolo è un insieme di figure geometriche (cerchi incompleti e
linee spezzate), ciascuna con una sua precisa posizione.
Da un punto di vista percettivo, la descrizione è simile a quella fisica.
Dal punto di vista fisico, questo stimolo è descritto in modo del tutto simile al precedente: un insieme di
figure geometriche, ciascuna con una sua precisa posizione. Dal punto di vista percettivo, le cose sono
cambiate completamente: si vede un triangolo bianco con i vertici sopra tre cerchi neri. Il triangolo bianco
nasconde parzialmente un altro triangolo con i bordi neri. Fisicamente non ci sono né angoli, né cerchi.
Questa è la dimostrazione che la percezione è qualcosa in più della percezione dei singoli elementi, è
qualcosa di globale che emerge da un insieme di elementi e che chiude la somma del contributo dei singoli
elementi.
Due considerazioni fondamentali su questo esempio:
1. Da un punto di vista fisico il triangolo non esiste (è di fatto un’illusione ottica); di conseguenza, gli
oggetti di studio e le corrispondenti descrizioni della fisica e della percezione visiva sono tra loro diversi.
Le informazioni fisiche che arrivano alla mia retina sono sostanzialmente diverse dalla percezione visiva,
quindi dalla descrizione fenomenica che io posso fare di quella configurazione, c’è un gap. Nonostante
l’informazione fisica sia la medesima in entrambi i casi, la quantità di informazione, la
tipologia di informazione che arriva è la stessa, però la disposizione diversa determina una
percezione diversa.
2. Tutti gli esseri umani vedono però un triangolo, per cui questo dato dell'esperienza è un
fatto oggettivo e stabile. Ulteriore conferma del fatto che la percezione visiva sia qualcosa
di studiabile, è un fenomeno stabile che si può studiare in maniera empirica. Il tutto è più della somma
delle singole parti (?)
Il triangolo di Kanizsa: l’esperienza percettiva
La percezione ha come oggetto di studio l'esperienza percettiva, ovvero ciò che noi vediamo (o sentiamo)
così come lo vediamo (o sentiamo). Ciò che noi vediamo così come lo vediamo, può essere chiamato un
"fenomeno", dunque la percezione visiva studia i fenomeni.
L’oggetto di studio della percezione è l’esperienza percettiva delle persone. Ciò che vediamo così come lo
vediamo può essere chiamato un fenomeno. Quindi, la percezione visiva studia i fenomeni.
Credere di percepire le cose esattamente come sono nella realtà – ovvero credere che le proprietà
dell'esperienza (colore, forma, dimensioni, ecc) dipendano direttamente dalle proprietà del mondo – è
detto dai percettologi realismo ingenuo. Lo studio della percezione coincide con il superamento del
realismo ingenuo. Lo studio della percezione coincide quindi col fatto che la realtà percettiva è diversa
dalla realtà oggettiva.
Le figure bistabili (e quelle ambigue in generale) dimostrano che l’attività percettiva è un processo attivo,
dinamico e automatico, nel quale entrano in gioco processi di riorganizzazione e di reinterpretazione.
Stesso stimolo, qualcuno vede una cosa, qualcuno un’altra, solo dopo entrano in funzione i processi che ci
permettono di reinterpretare le informazioni e vedere una soluzione alternativa.
Si tratta di situazioni momentanee, casuali, potenzialmente
influenzate dalle esperienze pregresse.
A parità di condizioni, tendono ad essere vissuti come costituenti un’unità percettiva elementi vicini
piuttosto che lontani. La vicinanza di elementi determina un’unità percettiva, secondo questo principio.
SOLITAMENTECHIARA
SOLITAMENTE CHIARA
SOLITA MENTE CHIARA Il principio di vicinanza è fondamentale per la lettura.
SOLITAMENTE CHI ARA
II. SOMIGLIANZA
Le illusioni ottiche
Che cosa sono le illusioni ottiche?
Le illusioni sono delle situazioni in cui la percezione di uno stimolo da parte di un osservatore non
corrisponde alle proprietà fisiche di tale stimolo.
Effetto “priming”= effetto psicologico per il quale l'esposizione a uno
stimolo influenza la risposta a stimoli successivi. In questo caso il
Professore ha dato un input che ci ha indirizzati sull’idea dell’esistenza di
una “fregatura”, di un’illusione. [min. 37:52]
(Funzioni delle illusioni) Le illusioni sono importanti al fine di creare dele teorie per studiare meglio la
percezione perché:
• Permettono di comprendere il funzionamento normale del sistema percettivo . I casi in cui non c’è
accordo con la realtà sono particolarmente istruttivi per scoprire le leggi dei processi della
percezione normale.
• BALDWIN (1895) affermò che lo studio delle illusioni è, per la comprensione della percezione
“normale”, importante quanto lo studio degli stati patologici lo è per la comprensione del
funzionamento normale del corpo. Come se fosse l’ “anomalia” del sistema percettivo che
mette però in evidenza i suoi meccanismi di funzionamento.
Gli studiosi devono spesso inventarsi delle configurazioni particoli di stimoli per discriminare ad
esmepio fra teorie che hanno predizioni diverse. Ad esempio la teoria A fa una predizione e la B
un’altra, se si riesce a creare una figura che metta in competizione le previsionid delle due
teorie, l’evidenza empirica dopo va a favore di una o dell’altra.
Il grigio sullo sfondo chiaro appare più scuro del grigio sullo sfondo
scuro. Illusione spiegata in termini fisiologici con la teoria
dell’inibizione laterale.
La teoria
dell’inibizione laterale (Hering, 1920)
La percezione del colore di superficie sarebbe il risultato di due processi antagonisti che avvengono a
livello della retina:
a) uno costituito dall'eccitazione del recettore stimolato dalla luce che lo colpisce;
b) l'altro dall'inibizione su di esso ad opera dei recettori adiacenti.
A parità di stimolazione esercitata dal grigio, la differenza di percezione sarebbe derivante dall’inibizione
evocata dal bianco o dal nero. Lo sfondo diverso determinerebbe un diverso livello di inibizione e questo
altererebbe la percezione del grigio. Nel contrasto, i grigi - di luminanza uguale- evocano lo stesso livello
di eccitazione, ma i due sfondi evocano diversi livelli di inibizione, pertanto il livello di inibizione
esercitata dallo sfondo bianco sul suo grigio sarebbe maggiore rispetto a quella esercitata dallo sfondo
nero.
Illusione che deriverebbe più da fenomeni che avvengono a livello periferico – retinico – piuttosto che
da fenomeno di livello più alto, più cognitivo/avanzato.
2. Da inferenze cognitive, che hanno a che fare con ciò che sappiamo del mondo che ci circonda.
L’illusione di Ponzo
Le costanze percettive
La costanza percettiva è la tendenza della percezione a conservare caratteristiche costanti nel tempo e
nello spazio, entro certi limiti, pur al variare oggettivo delle situazioni di stimolazione. Certe carateristiche
vengono quindi mantenute costanti nonostante cambino le situazioni.
La percezione di un oggetto è relativamente indipendente dalla sua immagine retinica, ed è il risultato di un
processo inferenziale legato al contesto e all'esperienza. L’Illusione di Ponzio ne è un esempio. In funzione
del contesto, l’immagine retinica può addirittura essere fuorviante.
Ci sono tre tipologie diverse di costanza percettiva:
• Costanza di grandezza
• Costanza di forma
• Costanza di colore
COSTANZA DI FORMA
Gli oggetti mantengono la medesima forma nonostante cambi la forma della loro immagine retinica.
L’immagine retinica è alle volte ingannevole, non ci basiamo unicamente su di essa.
Nel caso a) so che la forma della porta è costante, ma che questa può variare la sua posizione. Di
conseguenza può variare l’immagine retinica che io ho della porta, in funzione della sua posizione, ma
l’oggetto rimane sempre quello. Quando vedo una porta che si apre non penso che stia cambiando la porta,
nonostante l’informazione che arriva ai miei occhi sia diversa, ma semplicemente ipotizzo la soluzione più
probabile = che lo stesso oggetto stia cambiando posizione. La forma rimane costante, cambia la posizione
dell’oggetto.
b) Se inizio a
inclinare la
scacchiera, la vedo
in un modo
diverso.
Ciononostante, nona b
percepisco un
cambiamento della scacchiera, bensì un cambiamento della posizione della scacchiera, la sua forma rimane
invariata. Nel caso in cui si prenda la stessa immagine eliminando l’elemento della scacchiera, si può
rappresentare sia come lo stesso oggetto che cambia posizione che come oggetti diversi. In questo caso
inizio a perdere informazioni per cui entrambe le posizioni possono essere plausibili.
Se gli indizi di inclinazione vengono progressivamente eliminati, la costanza di forma s’indebolisce fino a
sparire del tutto. L’informazione retinica cambia, ma la forma rimane costante.
Noi siamo propensi a percepire come costante la forma di un oggetto. Quando quello stesso oggetto si
sposta, noi ragionevolmente percepiamo un cambiamento di posizione piuttosto che di forma. Nella nostra
esperienza sappiamo gli oggetti possono essere ruotati, spostati, e possono assumere diverse posizioni, ma
l’oggetto di base resta il medesimo. Quando spariscono gli indizzi fondamentali che ci fanno capire che si
tratta dello stesso oggetto, ovviamente questo principio inizia a vacillare.
COSTANZA DI COLORE
Gli oggetti mantengono il loro colore di superficie (sia acromatico, sia cromatico), nonostante cambi la
quantità o la qualità della luce della loro immagine retinica. Attribuisco il colore di una superficie più chiaro
o più scuro a seconda del cambiamento d’illuminazione piuttosto che al cambiamento della superficie
stessa dell’oggetto.
Esempio Due cartoncini bianchi, uno posto in un ambiente illuminato, l’altro in un
ambiente in ombra, appaiono avere lo stesso colore di superficie, per quanto mostrino
luminosità molto differenti. In questo caso attribuisco automaticamente la differenza a
un cambiamento di illuminazione (luce/ombra) piuttosto che a una differenza dovuta
ad un cambiamento del colore della superficie. Il colore resta costante.
Similmente, riducendo progressivamente la quantità di luce che arriva alle pareti di una
stanza, non si ha mai la sensazione che queste stiano cambiando colore, ma piuttosto che
stia avvenendo un cambiamento d’illuminazione ambientale. Superficie omogenea il cui
colore diverso è dato da una differenza di illuminazione ambientale, ovvero dalle ombre
Di che informazioni dispone il sistema visivo per percepire i
colori nelle diverse modalità? Unicamente della quantità della
luce che, riflessa dalle superfici, raggiunge i recettori retinici
dell’occhio. Tale valore viene definito luminanza, mentre si
definisce riflettanza la proporzione di luce riflessa da una
superficie.
Abbiamo solo un’informazione relativa al colore che arriva ai nostri occhi. Questa è il prodotto tra la
capacità della superficie di riflettere la luce e l’illuminazione ambientale. Questi due aspetti un po’ si
confondono, perché se ho una superficie che riflette poco, ma tanta illminazione, avrò un certo tipo di
luminanza. Paradossalmente, questa può essere riprodotta con una superficie che riflette molto e
un’illuminazione più bassa.
Effetto Gelb
La fonte di luce viene nascosta al soggetto, che giudica il disco
bianco e quello nero come uguali. Se si pone nel raggio di luce un
piccolo pezzo di carta bianca il disco nero viene visto come tale.
Se prendo due dischi, uno biaco e uno nero, nascondo un fascio di
luce molto forte e lo proietto sul disco nero, un osservatore posto
davanti ai dischi e vicino alla fonte di luce nascosta, vedrebbe entrambi
come bianchi. Questo perché il disco nero, con poca capacità di
riflettere la luce, se viene investito da un fascio di luce molto forte
appare come bianco perché è comunque in grado di riflettere una luce sufficiente da farlo percepire
come bianco. Il colore che noi vediamo è quindi dato dalla capacità delle superfici di riflettere un certo
tipo di energia e dall’illuminazione ambientale che arriva ai nostri occhi riflessa da quell’oggetto.
La scacchiera di Adelson
Le caselle A e B sono dello stesso colore. Si tratta di un’illusione ottica condizionata dall’esperienza –
l’informazione della scacchiera – e dell’ombra del cilindro che
ci fa percepire un oggetto chiaro come più scuro e di
conseguenza fortifica l’idea che la casella B sia in realtà più
chiara. Combinazione intelligente di tanti elementi che
rendono l’illusione molto forte. L’llusione sfrutta le regole
applicate dal cervello di fronte ad un’immagine, di
conseguenza i quadrati vengono analizzati all’interno del
contesto della scacchiera e non nella loro singolarità, in base
al colore e alla luminosità assoluti.
2) ATTENZIONE
- Quali sono i processi attentivi? Cos’è l’attenzione?
Un processo cognitivo per cui ci si focalizza e concentra su un determinato aspetto/stimolo per un certo
periodo di tempo (medio-breve), senza farsi distrarre e analizzando tutto ciò che avviene/viene detto/visto,
ecc. Permette di apprendere, è legata alla memorizzazione. Filtro per le informazioni che riceviamo
dall’esterno. L’attenzione è un processo complesso, ha tante sfumature e aspetti che la caratterizzano e
interagiscono fra loro.
Inattentional blindness
Questo fenomeno è noto come inattentional blindness o cecità da disattenzione (Simon & Chabris, 1999).
Gli esperimenti sull'inattentional blindness ci dimostrano che se noi focalizziamo la nostra attenzione in
modo selettivo su alcuni aspetti della scena visiva non riusciamo a percepirne altri.
Il nostro compito è focalzzarci sui passaggi dei ragazzi con la maglia bianca, di conseguenza ignoriamo tutto
ciò che è nero. Uno dei giocatori con la maglia nera esce e viene sostituito da un gorilla che si pone al
centro della scena. Se ci focalizziamo su un certo tipo di informazioni non riusciamo a percepirne altri che in
qualche modo confliggono con ciò che stiamo cercando.
Nonostante i nostri organi di senso registrino quelle informazioni (il gorilla è passato davanti ai nostri occhi,
quell’informazione è arrivata al nostro occhio) noi non le vediamo, non le percepiamo, poiché la nostra
attenzione è focalizzata su altri aspetti/elementi della scena visiva.
Esempio di attenzione selettiva. (The monkey business illusion)
Cos’è l’attenzione?
• è una funzione mentale che ci permette di essere consapevoli di un evento in un dato
momento. Grazie ad essa, noi arriviamo alla consapevolezza di alcune informazioni. Siamo costantemente
assaliti da informazioni ma non abbiamo la capacità di elaborare tutte quelle che arrivano ai nostri organi
di senso. Bisogna dunque “filtrarle” l’attenzione ha questa funzione, ovvero filtra le informazioni e fa
giungere alla nostra consapevolezza solo una parte delle informazioni presenti nell’ambiente in cui ci
troviamo.
• consiste nel controllo, nell’orientamento e nella selezione da parte dell’individuo di una o più forme di
attività, situazioni che si verificano nell’ambiente nel quale ci troviamo. Questo possiamo farlo in maniera
volontaria o automatica.
• può essere diretta volontariamente (a) Attenzione Endogena, “top- down”) o richiamata in modo
automatico (b) dalle caratteristiche dello stimolo Attenzione Esogena, “bottom-up”.
In entrambi i casi è un fenomeno di cui siamo consapevoli.
Esempio: mentre passeggio con un amico, noto un’amica comune. Per fargliela individuare tra la
folla, dico al mio amico di prestare attenzione alla parte sinistra della strada, vicino a un negozio di
abbigliamento. Improvvisamente si sente il rumore di una frenata.
Quali processi attentivi saranno attivati?
Saranno attivati diversi processi attentivi.
Traccia 1
FILTRO
Memoria
Sensoriale Percezione Risposta
Traccia 2
Entrambe le
orecchie vengono investite da queste informazioni/stimoli che arrivano alla memoria sensoriale, vengono
immagazzinate per un brevissimo periodo di tempo, ma subito dopo ci sarebbe un filtro attentivo che non
permetterebbe di percepire a traccia n. 2. Gli stimoli in entrata verrebbero analizzati sulla base delle loro
caratteristiche fisiche, verrebbero comunque introdotti nel nostro sistema cognitivo, immagazzinati
temporaneamente e poi filtrate, in modo che vengano selezionati gli stimoli che passeranno alla fase di
elaborazione più avanzata (arrivano alla nostra consapevolezza) e quelli da escludere.
ATTENZIONE DIVISA
L’attenzione divisa è la capacità di prestare attenzione contemporaneamente a più stimoli. Questa
capacità dipende dalla difficoltà cognitiva del compito e dalla distribuzione delle risorse attentive. Il
“multitasking” è difficile, soprattutto se i compiti sono cognitivamente impegnativi. Ciononostante, non è
impossibile. Ci sono infatti dei compiti che richiedono un livello di attenzione minima e che facciamo in
maniera semi-automatica per cui non ci disturba più di tanto doverci divider/focalizzare tra più compiti.
Ad esempio, un giocatore di scacchi esperto può giocare contro uno inesperto e contemporaneamente
ascoltare della musica, l’attenzione viso-spaziale necessaria negli scacchi non interferisce più di tanto con
l’ascolto della musica, mentre l’inesperto deve concentrarsi esclusivamente sulla partita e qualunque
distrazione gli sarà particolarmente gravosa.
Viene favorita dall’automatizzazione di un compito, conseguentemente alla sua pratica. Ad esempio, nelle
fasi iniziali di apprendimento della guida si è estremamente concentrati, mentre quando l’attività si
automatizza possiamo ascoltare la radio o conversare con i passeggeri senza troppe interferenze sul
compito principale. Guidare implica tutta una serie di procedure che all’inizio vanno fatte in modo
consapevole. L’automatizzazione di una procedure permette di liberare delle risorse attentive per svolgere
altre attività (che non entrino in conflitto con quella principale).
Altro fattore facilitante è la diversità dei segnali. Ad esempio, si può parlare al telefono e guardare la tv
senza volume, ma è alquanto complesso parlare al telefono e seguire quanto detto alla tv ad audio acceso.
In questo caso bisogna fare un cambio continuo da un canale all’altro. Non riesco a sentire due cose in
contemporanea, quindi devo spostare lo focus attentivo, per una breve frazione di secondo, da l’uno
all’altro canale.
Più i segnali sono diversi, più è facile
ATTENZIONE SOSTENUTA
L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere un adeguato livello attentivo durante compiti prolungati
nel tempo.
Esempio: seguire una lezione, guidare a lungo, lavorare alla catena di montaggio, ecc. Attività che
richiedono un sforzo attentivo prolungato e sono difficili da sostenere. Infatti, questo può portare a degli
errori in catena di montaggio o durante la guida, quando si fa per molte ore di seguito.
Il mantenimento dell’attenzione sostenuta senza commettere errori varia (anche) in funzione dalle
caratteristiche dello stimolo.
Se lo stimolo da monitorare è frequente (quanto spesso avviene) ed intenso (quanto è forte lo stimolo), il
mantenimento dell’attenzione sostenuta è facilitato (maggior vigilanza). Al contrario, per stimoli poco
frequenti e di bassa intensità il mantenimento dell’attenzione sostenuta è più difficoltoso.
Attenzione sostenuta a scuola: come migliorarla?
Gli insegnanti dovrebbero trovare delle strategie/modalità per cercare di tenere sempre l’attenzione alta e
facilitare quindi l’attenzione sostenuta (filmati, immagini, domande, tono modulato e non piatto).
Alcune caratteristiche del compito facilitano il mantenimento dell’attenzione sostenuta per tutta la sua
durata:
• salienza: sono più salienti le figure rispetto alle parti scritte, in particolare quelle a colori;
combinare ad esempio testo scritto a immagini e colori accesi.
• interattività: una situazione interattiva migliora le prestazioni attentive, aiuta a regolare la vigilanza
e la motivazione (no lezioni passive);
• difficoltà: il compito proposto deve essere sufficientemente impegnativo da coinvolgere
l’attenzione, ma non troppo complesso (potrebbe sfiduciare, bisogna mettersi nei panni dei propri
studenti al fine di trovare il giusto compromesso).
Distraibilità
Le “distrazioni” sono causate dall’involontario ridirezionamento dell’attenzione da un comportamento
orientato a uno scopo (es: ascoltare la lezione in classe) ad altri aspetti dell’ambiente (es: rumori esterni,
compagni che chiacchierano, ecc.)
Ci si distrae quando il processo di direzionamento dell’attenzione guidato dallo stimolo esterno (bottom-up)
prevale sul processo di focalizzazione dell’attenzione volontario (top-down). È come se entrassero in
conflitto. Abbiamo un sistema esogeno e uno endogeno e col passare del tempo il sistema endogeno perde
di efficacia e quindi è più semplice che ci siano degli stimoli esterni (esogeno) che richiamino l’attenzione
piuttosto che dall’altro scopo (spostamento del focus attentivo). Quando dobbiamo fare un’azione
prolungata nel tempo la mente inizia a vagare – Mind wondering (ci si distrae) – ma questo fenomeno può
essere prevenuto richiamando l’attenzione delle persone, facendo delle pause, ecc.
ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) - (Non affidarsi sempre alle etichette, bensì alle
persone)
Potrebbero esserci delle situazioni in cui ci sono degli alunni con delle difficoltà particolari che hanno un
vero disturbo relativo all’attenzione. Il disturbo del comportamento più diagnosticato nell’infanzia: si stima
che, nel mondo, colpisca tra il 3% e il 5% dei bambini. È caratterizzato da distraibilità, impulsività,
cambiamenti d’umore, irascibilità, ipersensibilità allo stress, difficoltà di pianificazione ed esecuzione dei
compiti, difficoltà relazionali. Attualmente le percentuali di diagnosi sono piuttosto elevate, ma in alcuni
casi si tratta di un disturbo non particolarmente gravoso.
Non esiste una causa certa ma si sospetta abbia una base genetica, altri fattori di rischio sono: fattori
prenatali (fumo in gravidanza, infezioni) e fattori traumatici e ambientali.
Esistono tre sottotipi del disturbo:
1. ADHD con predominanza di disattenzione
2. ADHD con predominanza di iperattività/impulsività
3. ADHD di tipo combinato (sia disattenzione che iperattività)
Tra il 50%-87% dei soggetti con ADHD presenta almeno un altro disturbo psichico in comorbidità (disturbi
d’ansia, dell’umore, di personalità). Possono esserci divers tipolgie di persone e di disturbo. Potrebbero
esserci persone con ADHD con predominanza di disattenzione o persone con predominanza di iperattività e
impulsività. Si può anche avere un tipo di ADHD combinato.
Il trattamento del disturbo prevede diversi interventi, secondo un approccio multimodale:
1. Parent training: strutturare un ambiente familiare che favorisca l’autoregolazione del bambino.
Questo va fatto in funzione della situazione specifica, è un lavoro che dev’esser fatto da
professionisti che lavorano nell’ambito e hanno competenze specifiche.
2. Teacher training: formazione degli insegnanti su strategie e tecniche funzionali, da utilizzare nei
confronti dello studente con ADHD
3. Intervento sul bambino/adolescente: psicoterapia (terapia di tipo psicologico) + trattamento
farmacologico (se necessario)
Si prova a intervenire attraverso più modalità genitori, l’insegnante e il bambino/ragazzo stesso.
3) MEMORIA
Dal punto di vista evolutivo, la memoria si è sviluppata assieme alle altre capacità cognitive, fornendo agli
esseri umani un altro “strumento” per affrontare la complessità dell’ambiente. La memoria è
fondamentale, senza di essa non avremmo consapevolezza di noi stessi.
La memoria organizza l’aspetto temporale del comportamento, determinando i legami per cui un evento
attuale dipende da uno accaduto in precedenza. Si tratta di uno strumento importantissimo che ci permette
di essere consapevoli del nostro passato, presente e futuro.
Esempio: voi oggi siete a lezione perché potete ricordare che nei mesi scorsi avete scelto di frequentare
questo corso
La parola memoria può far supporre che nel nostro cervello esista un sito/una sezione nel quale vengono
raccolti e catalogati i dati. In realtà la memoria non è un elemento statico, inoltre è distribuita in varie
aree del cervello. La memoria è un elemento dinamico, le nostre informazioni sono in continuo
“aggiornamento”, abbiamo una costante perdita di informazioni che vengono in qualche modo integrate e
riorganizzate quando recuperiamo quei ricordi. La memoria è costantemente attiva. Abbiamo una sorta di
“magazzino” ma questo non è immune a dei cambiamenti che possono avvenire ai nostri ricordi.
La memoria è costantemente al lavoro nel guidare i nostri pensieri e le nostre azioni, perché non esiste
azione o condotta che avvenga in assenza di memoria.
La memoria ci permette di collegare eventi del passato al comportamento presente e alla pianificazione
del futuro. Non ci ricordiamo tutto, perché possiamo prestare attenzione solo ad una limitata quantità di
informazioni per volta.Ai nostri organi di senso arrivano tante informazioni, ma solo una parte arriva alla
nostra consapevolezza e viene filtrata dall’attenzione. Di conseguenza, quello che viene immagazzinato in
memoria è una selezione della stimolazione; tale selezione viene fatta sulla base di ciò che ci ha colpiti
sensorialmente, cognitivamente e/o emotivamente. Solo queste informazioni vengono elaborate e passano
quindi nel nostro “archivio”. (attenzione limitata memoria limitata)
Tale “archivio” non serve solo per depositare e recuperare le tracce mnestiche, le informazioni acquisite,
ma viene costantemente modificato sulla base delle nuove informazioni in arrivo.
Esperienza continua e sulla base di questa continuiamo ad aggiornare le informazioni che già possediamo.
Certi ricordi possono essere recuperati senza alcun limite di tempo. Ricordare qualcosa, però, non vuol dire
aprire un file che è stato archiviato nell’hard disk del nostro computer di molti anni fa, che risullterebbe
esattamente uguale. Se recupero un ricordo di molti anni fa non sarà mai così come l’ho memorizzato,
bensì avrà una struttura verosimile/plausibile, ma tanti dettagli non ci saranno più.
Il recupero è l’esito di un percorso di ricostruzione di tracce secondo le stesse chiavi (sensoriale, cognitiva
o emotiva) che avevano portato sia all’immagazzinamento dell’informazione che alla sua successiva
elaborazione in memoria. Queste saranno simili, a volte anche diverse, ma non coincidenti con quelle che
avevo memorizzato .
Non esiste la possibilità dir iaprire una copia fedele di un ricordo e portarlo alla nostra memoria lavoro,
quindi alla nostra consapevolezza, esattamente com’era stato memorizzato. Recuperiamo una parte di
informazioni, ma non tutte.
I meccanismi mnestici
Esistono tre principali categorie di processi:
Per memorizzare le informazioni utilizziamo diversi codici, tanti canali diversi. Questo ci permette di avere
più strade e strumenti per poter fissare le inforazioni e i ricordi.
Diversi formati di memorizzazione di un testo:
codice visivo, ricordando la disposizione delle parole in paragrafi o gruppi, oppure visualizzando le
immagini degli oggetti richiamati dalle parole;
codice acustico-verbale, leggendo ad alta voce o subvocalizzando le parole si converte la scrittura
in codice verbale;
codice semantico, traducendo le parole nel loro significato e usando una connessione logica,
acquisendo quindi i concetti. Questo è quello che fa realmente capire il testo. Permette di creare
connessioni logiche tra concetti.
Altri codici utilizzati per la memorizzazione: tattile, gustativo, olfattivo, emozionale, motorio, propriocettivo;
ecc. Più codici si utilizzano più è probabile che quell’informazione/quell’esperienza arrivi alla memoria a
lungo termine. Poiché esiste una pluralità di codici nei quali un’esperienza può essere tradotta e acquisita
in memoria, ne deriva che essa viene registrata in modo diverso per ogni individuo, quindi l’esperienza
soggettiva è singolare. Ogni esperienza può essere registrata in modo diverso da ogni individuo. Ad
esempio ognuno ha le sue strategie per studiare/acquisire delle informazioni.
Esistono tuttavia leggi di carattere generale che determinano quali segnali entrano nel sistema e come le
configurazioni di stimoli si organizzano nella memorizzazione. Sono stati fatti molti studi sulla memoria e sul
suo funzionamento.
L’elaborazione
Il nuovo segnale, le nuove informazioni che arrivano al nostro sistema vengono collegato con altre
informazioni già incamerate, oppure con mete o propositi di azione rispetto ai quali l’informazione appare
rilevante. Questa operazione di collegamento di iqueste informazioni con altre che già possiedo viene
chiamata elaborazione. L’elaborazione può essere di più tipi: intenzionale oppure incidentale.
Contrapposto al ripasso di mantenimento abbiamo il ripasso elaborativo (Craik e Watkins, 1973), che ha lo
scopo di mantenere l’informazione disponibile per il tempo necessario affinché venga compresa,
organizzata ed integrata con le conoscenze già possedute (es: studio). Questo è il ripasso da fare quando
studiamo, processo che ci permette di ricordare nel tempo e memorizzarle. elaborazione molto più
profonda
La profondità di elaborazione (Craik e Tulving, 1975) è definita come la misura di quanto l’elaborazione si
sposta dagli aspetti superficiali dell’informazione a quelli concettuali. Ci si sofferma sul concetto che la
parola veicola. Tanto più l’elaborazione si focalizza su aspetti relativi al significato, tanto più efficace sarà la
codifica. Per codificare realmente l’informazione dobbiamo rifarci il concetto che viene veicolato da quella
parola/frase/ecc. L’elaborazione semantica è più efficace ai fini del ricordo perché comporta la
rappresentazione di molti particolari relativi all’informazione, che possono costituire altrettanti legami con
le conoscenze già presenti in memoria. Noi dobbiamo creare una sorta di rete e ogni volta che acquisiamo
un’informazione, più riusciamo a collegarla ad altre informazioni che abbiamo, più sarà profonda
l’elaborazione più duraturo sarà quel ricordo.
2. RITENZIONE ED IMMAGAZZINAMENTO
La ritenzione è la stabilizzazione nel tempo dell’informazione acquisita in memoria, in quanto codificata
ed elaborata. Una volta acquisite e codificate, le informazioni devono essere stabilizzate nel tempo.
L'informazione tende a essere persa quando non può essere immagazzinata secondo nessi logici o agganci
che la connettano ad altre informazioni già in memoria, oppure quando non viene periodicamente utilizzata
e recuperata. Questo processo è strettamente legato all’acquisizione.
3. RECUPERO
Recupero dell’informazione archiviata in memoria. Due modalità:
La causa è un’inibizione indotta dal recupero: il richiamo di un elemento appartenente a una data categoria
inibisce temporaneamente il richiamo di altri elementi appartenenti alla stessa categoria.
amnesia retrograda: riguarda gli eventi accaduti prima del danno cerebrale. Questa riguarda
chiunque abbia una lesione cerebrale (dovuta ad esempio ad un incidente, a un ictus, ecc,)
in seguito alla quale la persona non riesce più a ricordare gli eventi accaduti prima del
danno perde una serie di ricordi legati al passato
amnesia anterograda: riguarda l’incapacità di ricordare riguarda eventi che accadono dopo
che il danno si è verificato. Non riescono a consolidare nuovi ricordi. Queste persone
perdono la capacità di trasferire nuovi ricordi dalla memoria a breve termine alla memoria a
lungo termine e viene quindi persa la capacità di acquisire nuove informazioni.
Ebbinghaus
Ebbinghaus (1885) fu il primo ricercatore a studiare la memoria con metodi scientifici.
Egli decise di indagare la memoria con degli stimoli che fossero il più possibile semplici, così da studiarei
meccanismi più basilari della memoria.
Ebbinhaus utilizzò quindi delle sillabe senza senso (trigrammi consonante- vocale-consonante) che
costituiscono stimoli privi di valenza linguistica e che, pertanto, dovrebbero elicitare il meccanismo più
elementare di memorizzazione.
N.ro sillabe
ricordate
tempo
Si evidenzia che, una volta memorizzata una serie di stimoli (es: 16 stimoli), la rievocazione presenta un
numero di sillabe ricordate che decresce rapidamente nelle prime ore dopo l’apprendimento. Dopo un
giorno se ne ricorda solo circa il 30%. Nei giorni successivi il calo continua, ma rallenta (la decrescita, il
numero di sillabe ricordate).
Una memorizzazione basata solamente sulla ripetizione è estremamente dispendiosa, inadatta quindi per
studiare certi materiali, come ad esempio il contenuto di un libro.
Gli stimoli dotati di significato sono elaborabili in strutture e sequenze logiche. Non sono associazioni
passive ma attive, perché gli stimoli vengono collegati logicamente. Al contrario delle sillabe usate da
Ebbinghaus, gli stimoli dotati di significato diventano una sorta di "Gestalt" e costituiscono una chiave sia
per la codifica che per il recupero, ci danno un’informazione, un messaggio, non è una semplice sequenza di
lettere.
Specificità di codifica
Quando ci serve un’informazione, utilizziamo in genere una o più chiavi di accesso a quel ricordo, partendo
da un indizio che ce la/le fornisce. Quando ci serve un’informazione partiamo da un punto e cerchiamo di
ricostruire quel ricordo. La codifica di un’informazione non è univoca, ma specifica rispetto al contesto in
cui è collocata. Un determinato ricordo ha tutto un insieme di informazioni, ricordarne una permette di
accedere alle altre collegate al contesto/alla situazione. Quanto più contesto di codifica e di recupero sono
simili, tanto più il recupero è facilitato.
Ad esempio, come ricordarsi di una persona conosciuta durante una cena?
• Notizie sulla persona: elementi connessi al contenuto da ricordare
• Il ristorante: contesto ambientale
• L’atmosfera: contesto emotivo
• Pensieri e dialoghi (es. impressione personale o discorso a tavola): contesto cognitivo
Il contesto cognitivo si riferisce a tutte quelle conoscenze, associazioni, idee che sono attivate nel momento
della memorizzazione.
Anche lo stato emotivo in cui ci si trova al momento della memorizzazione influisce sul ricordo : se sono
allegro, tenderò ad elaborare gli aspetti piacevoli delle situazioni; al contrario, se sono triste e arrabbiato
tenderò ad elaborare gli aspetti meno piacevoli.
Rievocazione di storie
Per quando riguarda la rievocazione dei ricordi e la memoria episodica, quanto accennato prima riguardo al
processo di ricostruzione effettuato dalla nostra memoria a lungo termine può essere studiato in maniera
efficace tramite la rievocazione di storia. Attraverso il paradigma della rievocazione di storie è stato visto
che le persone tendono ad omettere dei dettagli, soprattutto quelli incoerenti con la comprensione che il
soggetto ha avuto della storia.
Bartlett ha studiato la rievocazione di storie a distanza variabile dal momento della lettura ed ha trovato
che i principali processi di trasformazione attiva del ricordo sono:
omissione di dettagli, specie quelli incoerenti con la comprensione che il soggetto ha avuto della
storia;
razionalizzazione, per rendere la storia più chiara e coerente, anche introducendo elementi non
esistenti che fungono da integrazione e connessione; modifica inconsapevole della storia
alterazione di ordine (sequenza dei fatti) e di rilievo (importanza di questi), in genere in rapporto alle
esperienze personali e in modo più rilevante nel caso di storie poco coerenti e mal strutturate;
distorsioni di tipo affettivo ed emozionale, che rendendo talvolta la rievocazione inattendibile (es:
testimonianza oculare).
La rievocazione in generale degli episodi è sempre falsata da molti elementi e quindi poco attenibili. Fa
parte del nostro essere, non riusciamo a ricostruire alcuni elementi in maniera fedele.
MODELLO COGNITIVISTA
L’approccio cognitivista prevede che ci sia questa analogia tra il cervello e il computer. In qualche modo si
paragona la mente all’ hardware di un computer e i processi cognitivi al software.
L'approccio chiamato Human Information Processing (Neisser, 1967) si basa sull’analogia con il computer:
quest'ultimo funziona seguendo le regole e i limiti dell’hardware e del software, allo stesso modo la
cognizione umana (e quindi anche la memoria) avrebbe regole e limiti che dipendono dalla sua struttura e
dalle informazioni già presenti nel sistema
Il processo di recupero, come abbiamo già detto, non è come quello di un computer, non è sufficiente
aprire un file del passato per ritrovare le stesse informazioni. Come paragone più o meno regge, ma non è
attendibile del tutto.
L’approccio cognitivista propone un modello della memoria a 3 fasi, nel quale la memoria viene concepita
come un processo plurimodulare: tutte le informazioni che giungono al sistema arrivano a dei punti di
controllo, dove hanno luogo delle elaborazioni del segnale che lo rendono più o meno atto ad essere
memorizzato. Il principio generale di organizzazione della memoria è costituito da 3 moduli mnestici (o
“tipi” di memoria) che vediamo di seguito.
Modello della memoria elaborato da Atkinson e Shiffrin (1968)
Registro sensoriale MBT Reiterazione MLT
Componente
visivo, uditivo, Dichiarativa e non
fonologica e Codifica
Stimolo ecc. Attenzione dichiarativa
visuo-spaziale
Recupero
I) REGISTRO SENSORIALE
Il primo modulo registra molte informazioni, ma le trattiene per un tempo molto limitato. È chiamato
registro sensoriale e corrisponde alla capacità di acquisizione e trasmissione del segnale che entra nel
sistema. Le informaizoni che provengono da mondo esterno arrivano ai nostri organi di senso e, anche se
per un tempo limitato, di fatto per questo tempo sono potenzialmente processabili dal nostro cervello.
Queste entrano nel nostro registro sensoriale e se interviene l’attenzione queste informazioni possono poi
transitare dal registro sensoriale alla MBT.
Le informazioni sono difficilmente accessibili quando esiste un’interferenza nei segnali in arrivo e
l’attenzione non è ben focalizzata. Ad esempio quando ci sono più fonti d’informazione che utilizzano lo
stesso canale può essere difficile accedere a questo tipo di informazioni, a meno che non intervenga
l’attenzione. Questa ci permetterebbe di portare tali informaizoni ad uno stadio successivo di elaborazione.
L’informazione che entra nel nostro “sistema” attraverso un organo di senso (occhio, orecchie, ecc.) viene
immagazzinata nel registro sensoriale. Questo conserva per un breve lasso di tempo una registrazione quasi
“letterale” dell’immagine sensoriale. La memoria sensoriale è specifica per ciascuna modalità sensoriale:
vista magazzino iconico < 1 sec (nella modalità visiva le informazioni restano per circa 1 sec)
udito magazzino ecoico ~ 2 sec (nella modalità uditiva le info restano per circa 2 sec)
Tempo molto ristretto in cui queste informazioni possono accedere agli stadi successivi di elaborazione.
Se vogliamo conservare l’informazione dobbiamo trasferirla nel deposito a breve termine. Nel momento in
cui interviene l’attenzione, le informazioni possono essere trasferite al secondo modulo: la MBT.
Nel quotidiano ci possiamo rendere conto della memoria sensoriale quando ad esempio qualcuno ci parla e
poi si rende conto che noi non stiamo ascoltando. Se l’interlocutore ci chiede di ripetere cosa stava dicendo
e la nostra attenzione viene spostata su di esso, a quel probabilmente riusciamo a recuperare ciò che è
successo nei secondi precedenti e potremmo racimolare delle informazioni riguardo a quello che la persona
stesse dicendo, ricostruendone gli ultimi secondi di dialogo.
Memoria dichiarativa
La memoria dichiarativa si divide a sua volta in :
Memoria episodica: riguarda sostanzialmente le esperienze personali. Quando parliamo di
esperienze di vita vissuta, episodi passati, facciamo riferimento alla memoria episodica.
Memoria semantica: dove cataloghiamo tutte le informazioni che noi conosciamo, come se fosse
una “conoscenza enciclopedica”, fondamentale nello studio. Quando studiamo cataloghiamo una
serie di informazioni all’interno della memoria semantica.
Memoria non dichiarativa
Questa si divide in:
Memoria procedurale: include tutta una serie di procedure come guidare una macchina, andare in
bicicletta, ecc.
Condizionamento classico
Apprendimento non associativo
MEMORIA EPISODICA
MEMORIA SEMANTICA
La memoria semantica conserva e immagazzina le parole, i concetti e, in generale, il nostro
sapere, tutto ciò che noi conosciamo e abbiamo studiato.
La memoria semantica è un bagaglio organizzato di conoscenze sul mondo (conoscenza
enciclopedica), svincolate da aspetti situazionali, ovvero non direttamente riferibili al contesto
spazio- temporale di acquisizione. Più questo archivio sarà articolato più sarà facile per noi a fissare
nuovi ricordi e a richiamarli.
Si riferisce a conoscenze astratte e generali ed è organizzata in modo associativo. Informazioni
catalogate, ma anche associate fra di loro. Nella memoria semantica conserviamo nomi, date,
concetti, tutto ciò che conosciamo. È quindi di vitale importanza per lo svolgimento delle attività
quotidiane, che richiedono un continuo richiamo delle conoscenze acquisite.
Ogni volta che svolgiamo le nostre attività, la nostra MBT richiede delle informazioni alla MLT e le
recupera, portandole sul “tavolo” della memoria a breve termine, le utilizza per le azioni da
svolgere e poi le ricolloca nel catalogo da dove le aveva prese.
Ad esempio, in un libro incontriamo molte parole: gran parte di esse è subito comprensibile, altre ci
costringono ad una ricerca nel nostro lessico, altre ancora sono nuove e implementeranno il nostro
bagaglio lessicale.
MEMORIA PROCEDURALE
La memoria procedurale si riferisce alle informazioni di cui facciamo uso nell’attuare un compito.
È una conoscenza tacita, non consapevole. Noi attuiamo una procedura senza esplicitare o sapere
in maniera consapevole quali siano le regole per attuare quella stessa procedura (es. abilità di
guidare la macchina o andare in bicicletta, lo si fa senza saperlo esplicitare).
È una memoria di abilità percettive, motorie e cognitive acquisite in modo implicito, la cui
rievocazione può verificarsi con un comportamento semi-automatico.
Si tratta di una memoria di tipo prettamente motorio. Contiene le procedure, cioè le sequenze
organizzate di azioni, dirette a conseguire uno scopo. (Mentre guidiamo riusciamo a parlare con il
passeggero, l’azione di guidare la facciamo in maniera semi-automatica quindi possiamo prestare
attenzione anche ad altre attività)
È una memoria molto duratura (es. una volta imparato, non ci dimentichiamo come andare in bici).
Molte procedure, anche se le conosciamo e sappiamo eseguirle perfettamente, non possiamo
facilmente descriverle in termini verbali, al contrario di quanto accade per i contenuti della
memoria dichiarativa. (pronunce delle lingue) – [psilinguistica]
4) APPRENDIMENTO
Una definizione ampiamente accettata vede l’apprendimento come il processo con cui si origina o si
modifica un’attività reagendo ad una situazione incontrata, sulla base dell’esperienza, ammesso che le
caratteristiche del cambiamento dell’attività non possano essere spiegate sulla base di tendenze a risposte
innate, di maturazione o di stati temporanei dell’organismo. (Hilgard e Bower, 1966).
Parliamo di apprendimento quando si origina o modifica un’attività per effetto dell’esperienza, di
un’esperienza che abbiamo acquisito, escludendo quelle situaizoni che invece possono essere altrimenti
spiegate sulla base di tendenza innate. Non parliamo realmente di apprendimento per una maturazione
che avviene naturalmente.
Questa definizione distingue tra comportamenti nuovi che si manifestano in un soggetto:
il prodotto di un apprendimento (derivante dall'esperienza)
le modificazioni comportamentali che possono essere spiegate come tendenze innate a fornire
certe risposte (es: comparsa del primo sorriso nel bambino) t. innata =/ apprendimento
il risultato di maturazione (es: capacità di camminare) t. innata =/ apprendimento
gli stati di temporanea alterazione delle condizioni psicofisiche (es: attività sotto l’effetto di alcol o
droghe)
Escludendo alcune di queste situazioni, parliamo di apprendimento quando questo deriva di fatto da
un’esperienza. L’apprendimento si riferisce all’acquisizione non solo di nuove conoscenze e capacità, ma
anche di atteggiamenti, valori e abitudini. Riguarda tutta la sfera dell'individuo e non solo l’ambito delle
conoscenze e della capacità esecutive. L’apprendimento è ampio, apprendiamo anche semplicemente
guardando il comportamento delle persone vicine a noi (= in una situazione sociale nuova capiamo come
comportarci osservando).
L’apprendimento, più sinteticamente, può essere definito come la modificazione più o meno permanente di
un comportamento sulla base di un'esperienza.
Le condotte acquisite sono comunque sempre passibili di ulteriori modificazioni. Quando apprendiamo una
cosa possiamo comunque modificarla in funzione di nuove esperienze; siamo flessibili. Come abbiamo visto
nella memoria a breve termine, se non esercitati o ripetuti, i comportamenti appresi possono andare persi
con il trascorrere del tempo, per effetto dell’oblio nella MLT.
Tutti i processi cognitivi sono strettamente correlati tra loro, lavorano in simbiosi.
L’apprendimento associativo
L’apprendimento di tipo associativo per contingenza temporale è la forma, la tipologia più elementare di
apprendimento. Questo si basa sulla legge della contiguità.
La legge della contiguità afferma che due eventi o stimoli che si verificano molto vicini nel tempo tendono
a venire associati fra loro. Quando ci sono due eventi che si verificano in tempi ravvicinati l’uno con l’altro
nio tendiamo a percepire questi eventi come associati tra loro. (Una sorta di applicazione del Principio di
vicinanza della Gestalt, due eventi vicini tra loro vengono percepiti come una sorta di unità).
Rientrano nella categoria dell’apprendimento associativo:
• il condizionamento classico (o pavloviano)
• il condizionamento operante (o skinneriano)
Il comportamento dell’animale riguarda risposte fisiologiche di tipo riflesso (es: salivazione, chiusura delle
palpebre), cioè comportamenti automatici – mediati dal sistema nervoso – che vengono evocati da
specifici stimoli.
In questo caso, quindi, l’apprendimento consiste nell’emettere tali risposte riflesse (che normalmente
verrebbero emesse in presenza di uno stimolo incondizionato) a seguito di stimoli condizionati, vale a dire
stimoli che per loro natura non sarebbero idonei a scatenarle. Di base, il campanello di per sé non induce la
salivaizone nel cane se noi non lo condizioniamo prima. Questo induce la salivazione solo dopo che il cane
ha associato il suono al cibo apprendimento associativo risposta condizionata.
Lo SC (campanello) assume il valore di anticipazione dello SI (cibo) e produce un’analoga risposta
comportamentale di tipo automatico.
Affinché si produca il condizionamento, lo SC deve precedere lo SI (se l’ordine è inverso non si crea
associazione, mancherebbe l’elemento anticipatorio, caratteristica fondamentale del condizionamento
pavloviano). L’intervallo ideale è di pochi secondi; più esso è lungo, più è difficile ottenere il
condizionamento.
Se cessano le associazioni SC-SI, la risposta condizionata sarà sempre meno costante, sino a esaurirsi. Se
smetto di associare i due stimoli, la risposta sarà meno costante. Se ad un certo punto presento solo il
suono del campanello, la risposta automatica verrà meno. La curva dell’estinzione è simile a quella
dell’oblio. La ripresentazione dell’associazione determina un recupero molto rapido dalla RC
(riacquisizione).
Se si lascia riposare il
cane e lo si sottopone di nuovo al test, la risposta di salivazione ricompare. Questo recupero spontaneo
evidenzia che una risposta estinta non viene completamente persa; anche se il soggetto smette di
rispondere, non dimentica la risposta appresa.
Se si lascia riposare il cane e lo si sottopone di nuovo al test, la risposta di salivazione ricompare. Questo
recupero spontaneo evidenzia che una risposta estinta non viene completamente persa; anche se il
soggetto smette di rispondere, non dimentica la risposta appresa, rimane sempre una traccia amnestica.
Quando noi dimentichiamo le cose, non è che le dimentichiamo completamente. Magari non riusciamo ad
accedervi in quel momento, però di fatto, da qualche parte del cervello queste informazioni ci sono. Se
“riaggiorno” quelle informazioni sono infatti subito in grado di recuperarle. Questo discorso vale anche per i
fenomeni di apprendimenti associativo apprendimento classico. Infatti, riproponendo l’associazione
campanello-cibo l’animale riacquisisce in maniera rapida l’associazione e quindi la risposta al solo SC
riemerge in tempi rapidi.
Il valore adattivo della propensione a questo tipo di condizionamento è evidente; evitare situazioni
spiacevoli=questione di sopravvivenza.
Se ad uno SC viene associato un ulteriore SC, si parla di condizionamento di secondo ordine (di ordine
superiore). Se ho due stimoli concatenati, SC1 e SC2 evocheranno una RC ancora più forte del solo primo
solo, che comunque già evocherebbe di per sé una risposta.
E’ possibile concatenare più stimoli in modo che lo stimolo 2 condizioni l’1, che a sua volta condiziona una
risposta condizionata. Si può creare una catena di eventi che vanno poi a determinare una risposta
condizionata:
SC2 SC1 RC
La risposta condizionata può comparire anche per stimoli simili allo SC originale, ma non identici. Potrei
avere una campanella con suono un po’ diverso rispetto a quello usato per condizionare il cane, e quel tipo
di suono potrebbe comunque evocare una risposta, soprattutto nelle fasi iniziali. Stimolo simile risposta
simile, si tratta comunque sempre di un processo automatico.Quando la RC tende a comparire anche per
stimoli analoghi allo SC originale (es. campanella con un suono un po' diverso), si parla invece di
generalizzazione dello stimolo. Tanto più uno stimolo è simile a quello originale, tanto più forte è la
risposta. È un processo automatico.È possibile anche condizionare a non rispondere a stimoli simili allo SC,
pur continuando a rispondere allo SC (addestramento alla discriminazione).
Potremmo addestrare il cane a rispondere soltanto ad un tipo preciso di stimolo. (Ad esempio se diamo
diversi tipi di stimolazione e facciamo in modo che l’associazione tra SC e SI avvenga solo per certi tipi di
stimoli e non altri, magari simili).
La tecnica del rinforzo intervallato, invece, prevede una premiazione non continua, alternata, della
risposta corretta. Tale alternanzaale fa si che l’apprendimento sia più lento, però nel momento in cui
apprendo l’associazione, la tecnica è molto forte. Questa mantiene più elevata l’attesa e la
motivazione del soggetto e quindi la risposta è più forte e l’apprendimento è più resistente
all'estinzione, pur essendo più lento il suo ottenimento. (es. le slot machines)
In ogni caso, il rinforzo deve essere sempre coerente, cioè si deve premiare o punire sempre lo
stesso comportamento, altrimenti il soggetto passa dalla confusione iniziale ad uno stato di
"inaiutabilità appresa" (learned helplessness).
Un’educazione incoerente e contraddittoria, ad esempio, può portare ad effetti negativi sul
comportamento del bambino. Allo stesso modo, in ambito scolastico, è importante che il docente
applichi "rinforzi" e "punizioni" in modo coerente. Trovare un sistema di regole condiviso che possa
decidere che determinati rinforzi e punizioni possano essere somministrati a seconda delle
situazioni che si verificano e applicarle in modo coerente è sicuramente un metodo valido.
La tecnica del modellamento (shaping) prevede il premio di un comportamento che, la prima volta,
si avvicina approssimativamente a quello desiderato, per poi premiare via via solo le esecuzioni che
progrediscono nella direzione corretta. Tecnica da utilizzare anche con ragazzi/e con deficit o
disturbi, che possono avere più difficolta di altri. In questo caso, premiare anche un risultato che
magari non è ancora tanto buono, ma va nella direzione giusta, porta a progredire nella direzione
corretta. (Il voto stesso può essere un rinforzo, premiare con un voto sufficiente una prestazione
mediocre che però va nella direzoine giusta da parte di una persona che ha una certa difficoltà può
essere incentivante a continuare a studiare e migliorarsi ulteriormente)
Tale tecnica è quella usata (più o meno consapevolmente) con i bambini per insegnare loro a
camminare, parlare, scrivere, ecc, ma anche ad esempio le attività sportive (nonché con gli animali
da circo, che apprendono sequenze motorie che non fanno parte del loro repertorio naturale).
Per il condizionamento operante il meccanismo di base non starebbe nella semplice associazione o
contiguità, bensì nel valore dato al rinforzo. In pratica, la comparsa di un rinforzo positivo o negativo
segnalerebbe al soggetto la qualità positiva o negativa della sua condotta: l’associazione, quindi, non
sarebbe meccanica ma logica, pur se di tipo elementare.
Il condizionamento operante è un meccanismo universale, ampio e ubiquitario, interviene anche
nell’apprendimento di compiti complessi. Quando si risolve un problema, la soddisfazione stessa può
essere considerata un rinforzo. Nel momento in cui veniamo a capo da una situazione complessa
gratificazione = rinforzo che ci sprona a fare meglio.
[Responsabilizzare gli studenti dando loro il compito di auto-organizzarsi per un test o un’interrogazione ed
eventualmente fare delle sostituzione nel caso qualcuno mancasse/fosse impossibilitato a presentarsi quel
giorno, ad esempio mettendo una persona di “riserva” che si prepara comunque. Bisogna fare fede al patto
preso col docente. Il docente e gli studenti devono fare un “patto di alleanza”. Il docente espone le sue
necessità, gli studenti le loro, e insieme (ma prevalentemente gli studenti) tirano fuori dei compromessi, un
regolamento da mantenere, un’organizzazione. Se sono gli studenti a proporre le regole, dopo è più
semplice che le rispettino. ]
Schema p.39 1:04:30
molti errori per 10gg, ma drastica riduzione dopo l’undicesimo giorno. Per i primi 10gg, quindi,
comportamento analogo a gruppo 1, poi simile a gruppo 2.
Per il terzo gruppo, la mappa spaziale costruita vagando per il labirinto è stata utilizzata quando si è
profilato uno scopo da realizzare. In questo caso, il rinforzo si è dimostrato utile affinché si manifestasse un
comportamento (e non affinché lo si apprendesse).La conoscenza appresa può rimanere latente in
mancanza di motivazione specifica.
Albert Bandura (1969, 1971) coniuga le istanze del comportamentismo con le posizioni della psicologia
cognitivista. Secondo la teoria dell’apprendimento sociale si apprende anche in modo indiretto, osservando
un modello e cercando di imitarlo.
Affinché sia efficace, l’apprendimento osservativo (o vicario) richiede che siano attivi alcuni processi
cognitivi:
che si presti attenzione al modello e alle conseguenze di quanto osservato.
che ci si rappresenti in memoria la sequenza di azioni che il modello compie;
che si sia in grado di riprodurre la sequenza a livello motorio;
che vi sia una certa motivazione
Se il modello riceve rinforzi, questi avranno un effetto sull’apprendimento dell’osservatore, il quale vorrà
compiere la stessa azione per essere anch’egli ricompensato. Modelli cui viene assegnato uno status
elevato, più autorevoli, più simili al soggetto, sono maggiormente imitati.
Una differenza fondamentale con il condizionamento operante sta nel riconoscimento del ruolo centrale
dei processi mentali nella pianificazione delle azioni.
Approccio cognitivistico
Il cognitivismo esalta il ruolo attivo del soggetto nell’elaborazione della realtà circostante, dando rilievo ai
processi interni di elaborazione e rappresentazione.
Il cognitivismo sottolinea l’interrelazione tra diversi processi cognitivi nell’apprendimento. Ad esempio,
imparare a leggere implica l’integrazione di abilità linguistiche, mnestiche e percettive; imparare a guidare
richiede l’integrazione di capacità visuo-motorie ed attentive; ecc.
Vi è una forte associazione tra lo studio dell’apprendimento e quello della memoria, in quanto per poter
imparare è necessario codificare, immagazzinare, integrare e ricordare informazioni. Anche le nostre
pregresse conoscenze influenzano l'apprendimento. Da un lato, le conoscenze già possedute (schemi,
concetti, teorie, ecc) influenzano l’acquisizione di nuove conoscenze (processi top-down); dall’altro, la
realtà percepita attiva processi cognitivi di apprendimento o di revisione di schemi precedenti (processi
bottom-up).
In ambito scolastico dobbiamo ricordare che lo studente ha un ruolo attivo e non passivo
nell'apprendimento: elabora attivamente informazioni L'utilizzo di strategie (schemi, mappe concettuali,
rielaborazione di informazioni, collegamenti tra argomenti) è alla base dell'apprendimento e del suo
miglioramento. La stessa consapevolezza sull'uso di strategie è funzionale all'apprendimento (rendere
espliciti metodi funzionali).
5) PENSIERO
Con il termine pensiero si fa riferimento a quell’attività mentale che comprende diversi processi, quali
ragionare, immaginare, ipotizzare, scegliere, ecc.
Questi processi permettono di elaborare delle informazioni, risolvere dei problemi e prendere delle
decisioni nella nostra vita quotidiana.
Le ricerche in questo ambito consistono nel verificare fino a che punto le persone seguono le leggi della
logica. Tali leggi servono da criterio di riferimento per valutare le tappe del pensiero umano nel percorso
che va dalla raccolta dei dati disponibili alla soluzione scelta per (tentare di) risolvere un problema.
Nel caso di situazioni semplici le persone dimostrano di non avere alcun problema a ragionare secondo la
logica. Tuttavia, basta mutare di poco le condizioni (es. introdurre delle proposizioni negative e/o rendere
più complesso il materiale da elaborare) e molti arrivano a conclusioni illogiche.
Ogni carta riporta una lettera su una faccia e un numero sull’altra.
E F 7 4
Il compito consiste nel girare meno carte possibili per mettere alla prova la seguente regola: “se una carta
ha una vocale su una faccia, deve avere un numero dispari sull’altra” (Wason, 1966).
Entrambi i modelli sono coerenti con le premesse, ma il fatto che uno dei due sia privilegiato indica che la
costruzione dei modelli mentali determina risultati che non coincidono necessariamente con quelli
dell'economicità o della correttezza logica.
La costruzione di un modello mentale vincola ragionamenti, inferenze e decisioni basati sul modello stesso.
Applicando la Teoria dei Modelli
Condizione 1 Condizione 2 Mentali (Johnson-Laird, 1983):
Stasera ti andrebbe di: Stasera ti andrebbe di:
Andare al cinema? Nel primo caso abbiamo un
Andare al cinema? modello esplicito (cinema) e un
Andare a cena fuori?
Fare qualcos'altro? modello implicito (altro); nel
Andare al bowling?
Fare altro? secondo caso vengono esplicitati
più modelli.
Il fatto di rendere espliciti più
modelli fa abbassare la percentuale di scelta del cinema. Ciò è irrazionale (le opzioni "cena fuori" e
"bowling" sarebbero comprese in "altro" nella condizione 1) e significa che le opzioni implicite non vengono
Gli Stati Uniti stanno per affrontare un’insolita malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta
debbano morire 600 persone. Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. Si
assume che le stime scientifiche esatte siano le seguenti:
due coppie sono equivalenti, ma le persone a cui viene proposta la prima coppia scelgono in maggioranza il
programma A, mentre quelle a cui viene presentata la seconda coppia preferiscono il programma D.
Vengono elaborati due frame diversi: la prima coppia viene elaborata in termini di vite salvate, cioè di
guadagno, per cui si preferisce l'opzione A (evitamento del rischio, tipico del dominio dei guadagni); la
seconda coppia, invece, viene elaborata in termini di vite perdute, cioè di perdite, quindi si preferisce
l’opzione D (ricerca del rischio, tipica del dominio delle perdite).
Le euristiche
Nel pensiero quotidiano le persone non mettono in atto processi molto elaborati tra i dati di partenza e le
conclusioni. Per affrontare i problemi di ogni giorno, infatti, facciamo solitamente ampio affidamento sui
ricordi personali di situazioni analoghe che si sono già presentate.
Il pensiero quotidiano, quindi, è spesso diverso dal pensiero logico propriamente detto, che invece usa
processi razionali.I processi di pensiero a cui ci affidiamo normalmente nel quotidiano sono chiamati
euristiche. A causa dei vincoli di tempo e capacità cui il sistema cognitivo deve sottostare, abbiamo infatti
bisogno di "scorciatoie": le euristiche sono procedure rapide, che semplificano (inconsapevolmente) la
presa di decisioni.
Le euristiche consentono di risparmiare tempo e risorse cognitive e costituiscono quindi delle scorciatoie,
ma non garantiscono la soluzione migliore/corretta, comportando il rischio di errori. Bisogna anche
considerare che i problemi quotidiani sono spesso complessi e mal definiti (es: scegliere la meta di un
viaggio), quindi le regole della logica non sono sempre applicabili.
Le euristiche semplificano il problema e portano rapidamente ad una soluzione, tuttavia comportano
tendenze sistematiche di errore (bias di ragionamento).
Le due euristiche più comuni sono quella della rappresentatività e quella della disponibilità.
- Luca è un musicista che indossa sempre jeans larghi e strappati, ha numerosi piercing, tatuaggi e i
capelli a forma di cresta. È più probabile che sia un cantante rock oppure un tenore?
- Jack è un uomo di 45 anni; è sposato e ha 4 figli. Non si interessa di argomenti sociali né politici e
passa gran parte del suo tempo libero in hobby come i rompicapo matematici, il bricolage e la vela.
(Kahneman e Tversky, 1972)
- La probabilità che Jack sia uno dei 30 ingegneri nel campione di 100 è di __ %
- La probabilità che Jack sia uno dei 70 ingegneri nel campione di 100 è di __ %
Nonostante la diversa probabilità di base, nei due casi la stima è molto simile (e molto alta): questo
perché, nel pensiero comune, la descrizione proposta è rappresentativa di un ingegnere.
Problem solving
Giudicare se, nel vocabolario, sono più frequenti le parole che iniziano con R (o L, N, V) o quelle che hanno R
(o L, N, V) come terza lettera. (Kahneman e Tversky, 1973)
La probabilità viene sempre giudicata più alta per la prima posizione, contrariamente al dato oggettivo.
Il procedimento cognitivo naturale per fornire la risposta prevede l’evocare il maggior numero di parole
possibili contenenti le lettere richieste e confrontarle, ma spontaneamente si evoca una parola partendo da
quella iniziale e quindi se ne evocano di più.
Il problem solving può essere definito come l’”arte di risolvere problemi”, siano essi di natura personale o
delle organizzazioni di cui facciamo parte (aziende, enti, comunità, ecc).
Se abbiamo un problema del quale non riusciamo a trovare la soluzione, continuare a utilizzare gli stessi
schemi di pensiero – che si sono rivelati insufficienti a questo scopo – non potrà mai sbloccare la situazione.
Per risolvere il problema è necessario vedere qualcosa che ancora non abbiamo considerato, aprire la
mente a possibilità che ancora non abbiamo esplorato.
Il problem solving, quindi, si basa sull'acquisizione delle capacità di visione d'insieme, per cogliere i
collegamenti e le interdipendenze tra le parti che compongono il fenomeno indagato.
Es: “in una provetta sono contenuti germi il cui numero raddoppia ogni minuto. Con tale velocità di
riproduzione, la provetta sarà piena in un'ora. Quanto tempo occorre affinché la provetta sia piena per
metà?”
Risolvere tale problema partendo dalle condizioni iniziali e cercando di prevedere cosa succede al
trascorrere del tempo non è affatto semplice. Il problema diventa però banale se si ragiona a ritroso: se i
germi raddoppiano ogni minuto e la provetta è piena in un'ora, essa sarà piena per metà esattamente un
minuto prima. La risposta, quindi, è 59 minuti. Come si vede, è sufficiente un cambiamento di prospettiva
per semplificare drasticamente il problema.
Insight
Il termine insight, proposto da Koehler, indica il momento in cui la situazione si riorganizza ai nostri occhi e
diventa “trasparente”: il soggetto ristruttura gli elementi a propria disposizione e risolve il problema. In
termini popolari, l'insight è l’illuminazione che ci porta alla soluzione.
Collegate i 9 punti con 4 segmenti di retta senza staccare la matita dal foglio e
senza percorrere un tratto già percorso. (Maier, 1930)
La difficoltà nel trovare la soluzione è determinata dalla fissazione, tendenza psicologicamente forte, che in
questo caso si manifesta nel concentrarsi all’interno dell’area del quadrato senza considerare la possibilità
di uscire da essa.
1. Sviluppo affettivo
2. Sviluppo emotivo
3. Sviluppo cognitivo
1. SVILUPPO AFFETTIVO
Le emozioni del bambino regolano l'interazione con il caregiver (la madre)
Gli scambi emotivi tra madre e bambino sono essenziali per lo sviluppo
In passato si pensava che il legame affettivo con la madre fosse solo strumentale alla gratificazione di
bisogni primari es. cibo
Siamo sicuri che l'attaccamento derivi solo dalla soddisfazione dei bisogni primari?
Studi di Konrad Lorenz imprinting
Studi di Harry Harlow attaccamento nelle scimmie
Imprinting
Secondo l'etologo Lorenz (1935) gli animali sarebbero programmati alla nascita per apprendere
e memorizzare la figura del proprio caregiver.
Periodo critico (prime ore/giorni di vita) in cui certi animali seguono il primo oggetto in
movimento. Il fine sarebbe quello di mantenersi vicino alla madre e quindi garantirsi la
sopravvivenza
Le scimmie tendono a stare con la madre di pezza (calda e accogliente). Vanno dalla mamma di
ferro solo per nutrirsi. Quando si sentono minacciate corrono dalla madre di pezza, l'unica in
grado di dare conforto.
La scoperta di Harlow (fine anni '50) confuta ciò che si ipotizzava sul legame madre – bambino.
Non si tratta solo di soddisfare la fame e la sete, il legame va oltre. Il contatto continuo con la
madre garantisce protezione e sicurezza, specialmente nei momenti di paura.
Secondo la Teoria dell'Attaccamento proposta da John Bowlby (fine anni '60), l’attaccamento del bambino
alla madre ha una base innata, centrata sulla necessità di stabilire uno stretto contatto fisico.
L'attaccamento sarebbe un bisogno non meno importante del cibo. L'affetto del bambino per la propria
madre è determinato da una motivazione intrinseca, derivante dal bisogno di contatto e di conforto.
Esistono schemi pre-programmati di attaccamento del bambino alla madre (es: aggrapparsi, piangere,
sorridere) e risposte pre- programmate della madre verso il bambino (es: accorrere con prontezza,
decodificare il tipo di pianto, consolare).
I comportamenti di attaccamento si manifestano soprattutto quando l’ambiente è reputato pericoloso, sia
per una fonte reale esterna che per la sola assenza momentanea della madre. Il bambino percepisce la
pericolosità dell’ambiente quando comincia ad esplorarlo e ad elaborare cognitivamente le informazioni
che provengono da esso.
La vicinanza alla madre e l’esplorazione dell’ambiente sono i due poli opposti del processo di attaccamento.
(sicurezza) (ignoto)
Quando il bambino esplora l'ambiente, la risposta di protezione da parte della madre tranquillizza il
bambino, che può tornare ad esplorare.
Quando la madre è assente e non può accorrere in aiuto del figlio (oppure quando essa non risponde in
maniera appropriata) si verifica l’ansia da separazione.
Mary Ainsworth ha sviluppato il paradigma della strange situation e ha individuato 4 stili di attaccamento:
1. LEGAME SICURO
madre: “base sicura”, perché risponde alle richieste e supporta in episodi di stress.
bambino: si sente libero di esplorare l’ambiente sia in presenza che in assenza della madre; in
sua assenza può dare segni di sconforto e piangere, ma quando ritorna va a salutarla e poi
riprende a giocare/esplorare.
rappresentazione interna della relazione : modello mentale del sé come persona che si aspetta di
essere amata e, contemporaneamente, si aspetta dagli altri aiuto in caso di necessità.
ripercussioni sulla vita adulta: persona autonoma, in grado di valutare razionalmente le
esperienze del passato; si riconosce l’importanza dell’attaccamento, ma ormai si è indipendenti
da esso.
2. SVILUPPO EMOTIVO
Oltre allo sviluppo affettivo, nel contesto relazionale si va incontro anche allo sviluppo emotivo,
caratterizzato da 3 punti fondamentali:
1. la consapevolezza del proprio stato emotivo
2. controllare e modulare l’espressione delle proprie emozioni (differenze tra culture)
3. riconoscere correttamente le emozioni nelle altre persone
Le emozioni sono reazioni soggettive ad un evento saliente, caratterizzate da cambiamenti fisiologici,
esperienziali e comportamentali (Sroufe 1996).
Le emozioni sono legate a:
evento scatenante (es: un rumore improvviso genera paura)
componente fisiologica (es: accelerazione del battito cardiaco)
componente esperienziale (es. l’esperienza privata che ognuno di noi ha nel momento in cui
sperimenta un’emozione)
cambiamento comportamentale manifesto (es: cambiamenti della voce o gesti particolari)
Attaccamento ed emozioni
Il modo in cui i genitori reagiscono alla manifestazione delle emozioni dei bambini è decisivo per il loro
sviluppo.
- Madri sensibili bambini in grado di regolare ed esprimere adeguatamente le emozion
- Madri insensibili o incoerenti bambini con scarse capacità di regolare ed esprimere adeguatamente le
emozioni.
Bambini con attaccamento sicuro: hanno imparato che, se manifestano le emozioni, le madri
rispondono adeguatamente in funzione di ciò che viene espresso dai bambini stessi.
Bambini con attaccamento ansioso-ambivalente : hanno raccolto manifestazioni incoerenti e
incostanti quando esprimevano le loro emozioni. Di conseguenza sviluppano reazioni emotive
esagerate soprattutto per il dolore e la rabbia, nel tentativo disperato di attirare l’attenzione.
Bambini con attaccamento ansioso-evitante : hanno raccolto svariati rifiuti delle loro manifestazioni
emotive, in particolare delle emozioni negative verso le quali le madri sono meno reattive. Di
conseguenza tali bambini nascondono la sofferenza per paura del rifiuto o del rimprovero. Simile la
situazione per le emozioni positive: molto spesso, infatti, la madre non risponde nemmeno ad esse.
Competenza emotiva: abilità di gestire le proprie emozioni e riconoscere e affrontare le emozioni altrui.
- Capacità di comprendere che lo stato emotivo interiore non corrisponde necessariamente a quello
Anche da adulti ci capita di non saper modulare le nostre emozioni!
La competenza emotiva è condizionata da …
… influenze interpersonali, ossia le relazioni con i genitori e con i pari
… influenze ecologiche, ossia l’ambiente più esteso in cui si cresce
… influenze biologiche e genetiche
La competenza emotiva è strettamente associata alla competenza sociale:
maggiore competenza nel controllo delle emozioni
maggiore capacità di segnalare come ci si sente
maggiore precisione nell’identificare le proprie e altrui emozioni
maggiore capacità di gestire e affrontare la rabbia in maniera costruttiva
miglior rapporto con gli atri
3. SVILUPPO COGNITIVO
PIAGET
Secondo Jean Piaget il bambino non è un passivo recettore di pressioni ambientali (comportamentismo) né
il veicolo di idee innate (innatismo), bensì un attivo costruttore delle proprie conoscenze.
Tale costruzione avviene attraverso una continua interazione con l'ambiente.
Classificazione: capacità di classificare gli oggetti in gruppi in base a certi criteri e di individuare la
relazione tra i gruppi.
Comprensione del fenomeno della conservazione: comprensione del fatto che le caratteristiche
essenziali degli oggetti non vengono modificate dai cambiamenti nel loro aspetto superficiale (es:
conservazione dei liquidi).
Livello culturale
Lo sviluppo del bambino si basa sulla trasmissione della saggezza accumulata dalle generazioni precedenti,
trasmessa attraverso l’interazione con i caregiver. In particolare, ogni società ha perfezionato degli
strumenti culturali per portare avanti le proprie tradizioni, che devono essere tramandate da una
generazione all’altra. Grazie a questi strumenti, i bambini imparano a comprendere come funziona il
mondo.
Strumenti culturali:
- tecnologici (libri, computer, penne, orologi, ecc)
- psicologici (linguaggio, teorie, valori, ecc)
Lo strumento culturale di maggior valore è il linguaggio, che ha un’importanza fondamentale nello sviluppo
cognitivo. Fin dall’inizio della vita il linguaggio ha funzione comunicativa verso l’esterno e successivamente
si interiorizza e diventa pensiero. (Piaget, invece, sosteneva che nei primi anni il linguaggio è egocentrico,
ossia non ha funzione comunicativa)
Livello interpersonale
Lo sviluppo cognitivo del bambino ha luogo essenzialmente grazie al supporto dell’adulto. Il bambino
raggiunge i progressi massimi quando opera con un tutor più progredito piuttosto che quando opera da
solo.
Zona di sviluppo prossimale: rappresenta la distanza tra ciò che un bambino può conseguire senza
l’assistenza di altre persone e ciò che può ottenere con l’aiuto di una persona più esperta. Quanto accade
nella ZSP non riguarda solo le attività didattiche ma anche altri tipi di interazione (es: gioco, conversazioni),
che hanno un potenziale analogo di incremento della conoscenza dei bambini.
Livello individuale
Costruttivismo sociale: orientamento secondo il quale l’apprendimento del bambino è basato sullo sforzo
attivo di comprendere il mondo, incrementato dall’aiuto di altre persone.
Sforzo individuale incrementato dal supporto sociale.
Da Vygotskii . . .
In che modo gli adulti possono sostenere i bambini nelle loro acquisizioni?
Scaffolding: guida e supporto forniti dagli adulti ai bambini nella zona di sviluppo prossimale per
identificare il genere di azioni necessarie per favorire l’apprendimento.
Regole fondamentali per uno scaffolding efficace:
quando il bambino fa fatica, il tutor dovrebbe subito dare aiuto;
quando il bambino riesce nel compito, il tutor dovrebbe ridurre il suo aiuto
Aspetti fondamentali che caratterizzano una relazione di tutoring efficace:
i tutor fanno da ponte tra conoscenze già acquisite e nuove conoscenze da acquisire;
offrendo una guida, i tutor forniscono un sostegno alla capacità di problem solving del bambino;
il tutor aiuta il bambino a risolvere compiti complessi che all’inizio potevano sembrare fuori della
sua portata;
il tutor aiuta il bambino a sentirsi responsabile dei risultati che ottiene.
La capacità di dare e ricevere aiuto dipende da tre fattori:
• sensibilità dall’adulto di sintonizzarsi con i bisogni del bambino. Un adulto privo di sensibilità può
sovraccaricare il bambino, esercitare un controllo eccessivo su ciò che fa o sottovalutare le sue
capacità creando in lui noia;
• il tipo di attaccamento può influenzare il modo in cui i bambini riescono a trarre profitto dagli
insegnamenti ricevuti sia dai genitori che da altri tutor;
• i bambini si differenziano nelle loro capacità di ricevere aiuto.
MOTIVAZIONE
Cos’è la motivazione?
Il processo che regola ogni comportamento diretto ad un obiettivo specifico, determinandone l’avvio, la
direzione, il mantenimento e l’eventuale declino.
La motivazione spiega cosa spinge una persona (o un gruppo) a fare certe cose e a rifiutarsi di farne altre.
Comprendere la motivazione alla base di un determinato comportamento significa capirne il perché (sia che
si tratti di noi stessi che di qualcun altro).
È difficile studiare empiricamente la motivazione perché:
lo stesso comportamento può derivare da motivazioni diverse
la stessa motivazione può portare a comportamenti diversi
esistono differenze individuali, situazionali e temporali
a volte non si è (pienamente) consapevoli delle motivazioni
fenomeno complesso determinato da molteplici variabili
La motivazione intrinseca porta ad intraprendere un'attività per proprio piacere, piuttosto che per un
incentivo esterno. I rinforzi tendono ad agire negativamente sulla memoria intrinseca. Questa è rafforzata
dalla percezione di competenza e dall’eccitamento per una sfida.
La motivazione estrinseca è finalizzata all'ottenimento di ricompense esterne, quali denaro, voti o altri tipi
di incentivi.
La Piramide dei bisogni di Maslow
Attribuzioni causali
Secondo Weiner (1972), le persone ricercano sempre le cause di un evento per poterlo spiegare. La
spiegazione che ci si dà per interpretare un successo o un insuccesso influenza le azioni future.
Locus of control (Rotter, 1954)
interno: fattori individuali, motivazione, abilità
esterno: fattori ambientali, caso
Le persone con locus of control interno sono convinte che il proprio destino sia nelle proprie mani. I
successi e i fallimenti dipendono sa se stessi.
Le persone con locus of control esterno sono convinte che il proprio destino sia nelle mani di eventi
esterni. I successi e i fallimenti dipendono da eventi casuali, da altre persone, dalla fortuna.
Le attribuzioni causali influenzano la formazione dei propositi e l’erogazione degli sforzi (Rotter, 1954).
Attribuzioni causali p. 11 schema
Orientamento al compito e orientamento al sé
Nicholls (1992) propone la distinzione tra due tipi di obiettivi correlati alla costruzione del livello di
competenza individuale in ogni situazione, quindi due orientamenti motivazionali:
orientamento al compito
orientamento al sé
Sono due dimensioni indipendenti, quindi si può essere molto orientati in una sola “direzione” e non
nell'altra, oppure poco (o molto) in entrambe.
Orientamento al compito
Ricerca dello sviluppo di abilità
Desiderio di mostrare competenza
Priorità al confronto con se stessi
La percezione della competenza dipende dai progressi effettivi
Correlazione negativa con il desiderio di imbrogliare e di offrire un'immagine di sé migliore di quella
reale
Orientamento al sé
Dimostrazione dell'abilità in confronto agli altri
La percezione della riuscita dipende dal confronto competitivo
Ricerca di riconoscimenti positivi
Ricerca di acquisizione di status
Correlazione positiva con il desiderio di imbrogliare e di offrire un'immagine di sé migliore di quella
reale
Le persone maggiormente orientate al compito ritengono che il successo derivi principalmente
dall'impegno individuale e hanno come obiettivo l'apprendimento di nuove abilità/conoscenze.
Le persone maggiormente orientate al sé, invece, ritengono che il successo sia determinato principalmente
dalle proprie abilità individuali e dal proprio talento e hanno come obiettivo la supremazia sugli altri.
L’Autoefficacia
L'autoefficacia (Bandura, 1997) è il grado di convinzione che una persona ha rispetto alla propria capacità di
gestione di quella situazione specifica. È la percezione di essere all’altezza della situazione da affrontare.
Fa riferimento a quanto una persona si ritiene competente/capace, quindi efficace, in un determinato
ambito. L’autoefficacia è specifica per attività/compito.
Tre aspetti importanti (Caprara, 1996):
l’autoefficacia può essere rafforzata
l’autoefficacia sulla quale si può intervenire è specifica per una determinata classe di compiti
modificare l’autoefficacia comporta mutamenti nella prestazione, nell’umore, nell’impegno, nel
benessere
Per fattire di rischio si intende una specifica condizione che risulta statisticamente associata a una malattia
e che pertanto si ritiene possa concorrere alla sua patogenesi, favorirne lo sviluppo o accelerarne il
decorso. Fattori che aumentano la probabilità che questa malattia emerga, o che venga
accelerata/accentuata, anche quando magari, in condizioni diverse, non emergerebbe nella stessa maniera:
due o più anestesie generali prima del quarto anno di vita
sesso biologico: i maschi hanno una maggior probabilità di essere diagnosticati come DSA rispetto
alle femmine (rischio 2,5 volte maggiore)
una storia genitoriale di alcolismo/uso di sostanze può far emergere dei fattori che vanno ad
influire sullo sviluppo di questi disturbi
familiarità (casi in famiglia diagnosticati con DSA)
Rilevanza del fenomeno in Italia
Prevalenza attorno al 2-2,5% della popolazione in età evolutiva in Italia (ma si ritiene che sia una
sottostima). Le conseguenza di questo fenomeno, soprattutto in caso di una mancata diagnosi, è il rischio di
abbandono scolastico e anche una bassa realizzazione delle potenzialità sociali e lavorative. Abbiamo il
rischio sulle persone che vengono diagnosticate, se non trattate adeguatamente, o ancora peggio se le
persone non vengono diagnosticate e non vengono quindi supportate.
Una volta identificato un determinato disturbo possiamo supportare le persone che ce l’hanno facendo in
mondo di metterle nelle stesse condizioni di colore che non hanno quel tipo di disturbo.
E’ importante riuscire a rilevare questi fenomeni per poter aiutare le persone a sviluppare al massimo le
loro potenzialità.
Da un punto di vista diagnostico ci possono essere delle differenze. Il dato medio in Italia è in realtà
influenzato anche dalle diagnosi che vengono fatte in maniera non uniforme su tutto il territorio nazionale.
Questo può essere un problema nel momento in cui non c’è una sufficiente attenzione a determinati stati di
difficoltà, quindi non vi si può porre rimedio.
TIPOLOGIE DI DSA
Esistono diverse tipologie di DSA, quelle che studieremo sono tra le più comuni/rilevanti.
Sulla base del deficit funzionale coinvolto, si distinguono le seguenti condizioni cliniche:
- DISLESSIA (decodifica del testo scritto)
- DISORTOGRAFIA (codifica fonologica e competenza ortografica)
- DISGRAFIA (abilità grafo-motoria)
- DISCALCULIA (comprendere e operare numeri)
Per quanto riguarda i disturbi della scrittura, questi possono interessare diversi livelli di competenza:
componente linguistica Disortografia: deficit nei processi di cifratura
componente motoria Disgrafia: deficit nei processi di realizzazione grafemi
DISLESSIA
Disturbo specifico nell’automatizzazione funzionale dell’abilità di lettura decifrativa, la capacità di tradurre
dei simboli – le lettere – in parole, in una lettura.
Caratteristiche principali:
lettura lenta, stentata e con errori
espressività tendenzialmente poco accentuata, soprattutto nelle fasi iniziali, perché non si riesce a
integrare da un punto di vista funzionale il significato delle parole, che tuttavia migliora con la
crescita, anche se permane una lentezza eccessiva
difficoltà con le lingue straniere
problemi di memoria a breve termine = memoria di lavoro debole (può risultare deficitaria)
Come Leggiamo
Al fine di capire quali meccanismi stanno alla base, bisogna capire come noi leggiamo.
Da un punto di vista della psicolinguistica esiste, per quanto riguarda la lettura e non solo, un modello a
due vie di Coltheart che indica due sistemi diversi che ci porterebbero ad una lettura fluida, sia di parole
che conosciamo e che non.
1) Via fonologica: Lettura mediante regole di conversione grafema - fonema
Ci permette di tradurre un grafema in fonema= ogni lettera corrisponde a un suono. Non è una via molto
efficiente, ma è necesseria in certe situazioni.
- procede lentamente in quanto consiste in un’analisi lettera per lettera delle parole da leggere
- tuttavia, il vantaggio è che ci permette di leggere nonparole, parole nuove o conosciute
2) Via lessicale: Lettura mediante analisi globale della parola a recupero diretto della corrispondente
forma fonologica. Non leggiamo lettera per lettera ma percepiamo la parola nella sua unità. Questo ci
permette
- lettura veloce (automatizzazione lettura)
- recupero di alte info sulla aprola (accento)
Nelle prime fasi dell’apprendimento noi ci basiamo sulla via fonologica, i bambini quando imparano
fanno l’analisi lettera per lettera, ma successivamente si utilizza prevalentemente una lettura per via
lessicale. Per chi soffre di dislessia, il problema risulta ovviamente nella via lessicale, ossia nella capacità
di cogliere la parola nel suo complesso e dover quindi procedere con un’analisi più specifica, lettera per
lettera. Inoltre, nella dislessia sarebbe deficitaria la via lessicale poiché la lettura lenta è il tratto
distintivo di questo dsa. Tuttavia, la lingua italiana ci agevole perché c’è un buon grado di
corrispondenza tra la forma scritta e quella orale. Gran parte delle parole possono essere lette sulla base
di regole di conversione grafema-fonema. (Nelle lingue straniere in cui non c’è questa corrispondenza,
la lettura diventa più difficile)
Evoluzione velocità
2,77
3 normolettori
2,26 2,13
2,43 velocità, in termini
1,83 dislessici
2 1,53 assoluti si mantiene e
1,23
1 0,63
0,93 aumenta
0 1,63 2,89
2 EL 3 EL 4 EL 5 EL 1 2
MEDIA sill/sec
MEDIA sill/sec
Il gap tra i ragazzi con dislessia e i normolettori permane nonostante ci sia un miglioramento.
Tipologie di errori
Errori fonologici o visivi/lessicali
incapacità di distinguere lettere simili per la forma (m e n; b e d; b e p) o per il suono (d e t; b e p);
inversione di lettere nell’ambito di una sillaba (lad per dal; id per di);
omissione di lettere o sillabe nell’ambito di una parola (doni per domani);
sostituzione di intere parole (auto alposto di aereo)
salti di riga
Le capacità cognitive di elaborazione dei concetti sono intatte, si tratta di un disturbo specifico in
un’abilità specifica, non di un disturbo intellettivo.
SCUOLA
- Identifica casi sospetti DSA
- Esegue interventi di potenziamento (4-6 mesi)
- Comunicazione scritta dei casi “resistenti” alla famiglia
Se vengono notate difficoltà specifiche di questo tipo, la scuola deve intervenire con delle attività di
potenziamento (4-6 mesi) in cui si può vedere se si tratta davvero di un dsa, o soltanto di una fase. Nella
stessa classe si possono trovare ragazzi che hanno sostanzialmente 1 anno di differenza (nati e
gennaio/dicembre) quindi magari a qualcuno nato prima si sta chiedendo un po’ troppo, inoltre lo
sviluppo non è lineare, non tutti raggiungono le stesse capacità/abilità cognitive allo stesso momento. Se
invece non si ottengono risultati di miglioramento, allora ci si confronta con gli altri insegnanti e si
procede con una comunicazione alla famiglia che c’è questo tipo di difficoltà.
FAMIGLIA
- Si rivolge al pediatra per poter intraprendere approfondimento diagnostico
- Contatta i servizi di neuropsichiatria infantile
La famiglia si rivolge a un pediatra per approfondire una diagnosi neuropsichiatria infantile e
eventualmente viene fatta una diagnosi, ecc. Sapere COME comportarsi quando in classe ci sono
ragazzi/e che hanno questo tipo di disturbo.
SERVIZI SANITARI
- Esegue valutazione ed effettua diagnosi
- Rilascia una certificazione
Sono strumenti didattici e tecnologici che Interventi che permettono di svolgere con alcuni
sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta accorgimenti o non svolgere le prestazioni che
nell’abilità deficitaria: risultano particolarmente difficili a causa del
proprio DSA:
Sintesi vocale
Registratore Tempi supplementari (circa +30%)
Computer e correttore ortografico Interrogazioni programmate
Calcolatrice Interrogazioni orali vs scritte
Tabelle, formulari, mappe concettuali Valutazione contenuto e non forma
Dispensa da lettura ad alta voce
Dovremo dare/adottare misure che permettono un riequilibrio delle capacità del ragazzo/a che ha questo
tipo di disturbo e in qualche modo portarlo ad allinearsi con coloro che non hanno questo tipo di disturbo e
avere la loro stessa possibilità/base di partenza.
NON è una FACILITAZIONE, serve semplicemente per metterli allo stesso livello. Si tratta di trovare dei
sistemi per facilitare l’apprendimento per quello che è il loro disturbo, ma NON è un vantaggio.
Suggerimenti per la didattica
- Rafforzare la consapevolezza di potercela fare da soli (vedi autoefficacia, strategia motivazione). Fare in
modo che ci sia un traguardo che viene raggiunto da questi ragazzi, quindi l’idea che con un certo impegno
riesco a raggiungere un piccolo traguardo che serve a dar rinforzo e quindi mi aumenta la consapevolezza di
poter avere comunque determinate abilità.
- Rafforzare l’indipendenza offrendo la possibilità di informarsi, apprendere e comunicare utilizzando forme
alternative (bisogna essere in qualche modo creativi). Ad esempio utilizzare dei testi che offrono
illustrazioni grafiche e non testuali, offrire la possibilità di apprendere tramite canali alternativi o di
comunicare tramite metodi diversi, qualsiasi mezzo che possa raggirare questo tipo di difficoltà.
- Accesso all’apprendimento mediante vie alternative alla letto-scrittura
Gruppi primari
Gruppi nei quali siamo strettamente associati agli altri membri, come la famiglia e gli amici.
Sono definiti gruppi primari quei gruppi nei quali siamo strettamente associati agli altri membri,
come la famiglia e gli amici.
I gruppi primari prevedono maggior interazione faccia a faccia, maggiore cooperazione e sentimenti
più profondi di appartenenza.
Gruppi secondari
Si tratta di gruppi più ampi e meno personali, come ad esempio gli operai di un’azienda, sono
generalmente organizzati attorno a una specifica attività o al completamento di un compito.
Il gruppo secondario è limitato allo scopo, all’obiettivo condiviso dai membri del gruppo.
GRUPPI: DEFINIZIONI
Definire il termine “gruppo” è d’uso molto comune e il senso dell’utilizzo quotidiano differisce almeno in
parte dalle principali definizioni degli studiosi; il suo senso non è necessariamente coincidente col senso che
viene utilizzato dagli psicologi.
“Se è vero che ogni gruppo è una aggregazione di persone, ogni aggregazione di persone non è
necessariamente un gruppo” (McGrath, 1984). Il fatto che ci siano più persone assieme non è sufficiente
per dire che si tratta di un gruppo, in questo caso. Ad esempio, delle persone che fanno la fila alla posta
sono un gruppo, ma non condividono niente, quindi si parla in realtà di aggregazione di persone.
“Non è sempre facile distinguere in modo netto fra gruppo e non gruppo. Sono frequenti ‘casi intermedi’
fra aggregati e gruppi, nei quali le interazioni fra i membri sono anche molto diverse.” (De Grada, 1999).
Gruppo non sociale (aggregato)
Nella sua forma più semplice un gruppo non sociale può essere definito come un insieme di
persone che stanno nello stesso posto nello stesso momento. Secondo questa definizione non è
necessario che le persone interagiscano tra loro per essere considerate un gruppo, basta che
stiano insieme.
Esempi: persone in coda alla posta, passeggeri in un aereo, persone dentro un cinema.
Anche i gruppi non sociali possono influenzare i comportamenti degli individui.
Gruppo sociale
Un gruppo di due o più persone che interagiscono tra loro e sono interdipendenti, nel senso che i
loro bisogni e i loro scopi fanno sì che dipendano uno dall’altro.
- Cooperazione ed interazione
- Obiettivi comuni (gli individui condividono obiettivi e scopi comuni e formano un gruppo per
svolgere una funzione)
- Senso di appartenenza (percepiscono o credono di far parte di un gruppo)
- Interdipendenza tra i membri (cioè ogni membro può influenzare ed essere influenzato dagli altri;
influenza “concettuale” che può riguardare tutta una serie di opinioni, ragionamenti, ecc.)
Esempi: famiglia, amici, classe, squadra, giunta comunale, partito politico, congregazione religiosa.
Caratteristiche di un gruppo
Più queste caratteristiche sono presente, più un gruppo può definirsi come un vero gruppo sociale:
- relazioni affettive (che si sviluppano all’interno di un gruppo e che ne sono il collante)
- interazione prolungata
- percezione del gruppo come un’unità a sé stante
- obiettivi comuni
- norme interne
- presenza di ruoli
STATUS: livello sociale che riflette importanza, centralità e potere di un membro verso gli altri membri
del gruppo, è il “prestigio” che una persona ha all’interno di un gruppo.
“Si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo, unitamente alla valutazione di tale
Lo status esprime:
- il grado con cui un individuo contribuisce al raggiungimento del successo; il grado con cui una persona
facilita il raggiungimento del successo di quel gruppo.
- quanto potere o controllo un individuo ha sui risultati del gruppo
- quanto un individuo può influenzare le opinioni degli altri membri del gruppo. Uno status elevato sarà
associato ad una persona che contribuisce attivamente al raggiungimento del successo di un
determinato gruppo, che ha un riconoscimento.
posizione in una scala di prestigio.” (Scilligo, 1973) L’idea è che si abbia una sorta di scala di prestigio
dove ci sono persone che occupano le posizioni più alte, la cui opinione ha un peso maggiore, e altre
che occupano le posizioni più basse, la cui opinione ha peso minore.
Lo status sociale definisce il pattern generale di influenza sociale fra i membri del gruppo.” (Levine e
Moreland, 1990) L’influenza che può derivare da una persona che ha uno status elevato sarà
sicuramente maggiore di una persona che ha uno status basso. La capacità di influenzare gli altri
membri sarà diversa in funzione del prestigio che una persona ha all’interno di quel gruppo.
Caratteristiche di status
Attributi che forniscono un’indicazione indiretta delle capacità dell’individuo rispetto all’obiettivo
del gruppo; ci sono persone con determinate caratteristiche che sono più ascoltate rispetto ad
altre in un certo contesto. Ad esempio:
età
genere
etnia
livello di educazione
attraenza fisica (capacità di esercitare attrazione fisica)
I membri di un gruppo con status più elevato tendono a:
parlare più degli altri, esprimere più critiche, dare ordini e interrompere gli altri (comportamento
verbale) (Weisfeld & Weisfeld, 1984; Skvoretz, 1988);
parlare con voce più ferma e senza esitazioni, mantenere più a lungo il contatto visivo con gli altri,
avere una postura eretta (comportamento non verbale) (Harper, 1985).
Tendenzialmente, chi ha uno status più elevato in un determinato gruppo tende a parlare più degli altri, a
fare critiche più spesso, a interrompere gli altri mentre parlano, si sente più “legittimato” ad esprimere
anche dei contrasti in virtù dello status più elevato che questa persona ha rispetto agli altri. Ci sono una
serie di comportamenti verbali e non verbali che contribuiscono a mantenere questa situazione di
asimmetria relazionale all’interno del contesto di gruppo.
Le differenziazioni di status seguono una logica di posizione sociale e caratterizzano tutti i gruppi (anche
quelli animali; si pensi ad esempio all’ordine ‘naturale’ con cui i membri del branco si avvicinano alla preda
per mangiarla). Il sistema di status non è immutabile: si può cambiare. In precedenza abbiamo infatti
parlato di alcuni comportamenti che potrebbero incentivare il proprio status.
Inoltre, per esempio, se un membro di status elevato deve lasciare il gruppo ci sono due possibilità:
I) un membro di status intermedio “sale di grado”
II) il vertice viene rimpiazzato con l’entrata di un membro esterno
Lo status è qualcosa di legato a ciascun gruppo. Per esempio, io potrei avere lo status più elevato in un
gruppo e minore in un altro. Non è qualcosa di intrinseco in una persona, è contestuale, dipende dal gruppo
e dalla situazione.
Le ricerche sullo status evidenziano:
Legame status-autostima: le persone che tendenzialmente hanno lo status più elevato all’interno di
un gruppo hanno in genere anche una maggiore autostima rispetto ai membri con status più basso
Legame status-giudizio: A parità di prestazioni, i membri con status più elevato vengono giudicati più
positivamente dai membri con status più basso, il che contribuisce a consolidare la fiducia in sé e la
percezione positiva del proprio valore. E’ una sorta di forma per mantenere lo “status quo”.
Status e conformità nei gruppi
Lo status può determinare fenomeni di conformità (adeguamento) dei comportamenti di alcuni membri
alle attese/aspettative del gruppo, anche a rischio di svolgere prestazioni ad un livello più basso di quanto
si potrebbe realmente fare.
Esempio: membri abituati ad avere un ruolo di secondo piano e con status basso in un gruppo sociale (es:
tra amici) rischiano di avere scarse prestazioni quando si trovano in altri contesti (es: in classe) con gli stessi
(o altri) membri, pur avendo maggiori capacità e potenzialità. Quindi se io all’interno del mio gruppo di
amici ho lo status basso potrei avere questo stesso status basso anche all’interno del contesto classe e
conseguentemente potrei rendere meno di quello che realmente potrei. IO avrei maggiori potenzialità, ma
siccome sono abituato a stare in disparte e non dire la mia, perché così faccio nel gruppo di amici, potrei
replicare la stessa dinamica anche nel contesto scolastico. Questo potrebbe inibire la mia capacità di
esprimere le potenzialità che realmente ho. Questo è ulteriormente incentivato se nella classe sono
presente degli amici facenti parte del gruppo in cui io uno status basso, i quali magari hanno status più
elevati.
Adeguamento = mancata espressione del mio massimo potenziale
I docenti devono essere attenti a individuare le situazioni in cui qualcuno ha delle potenzialità ma non le
esprime perché magari è coinvolto in dinamiche particolari. Potrebbe essere un’occasione persa per la
persona in questione se viene trascinato in un sottogruppo che ha le sue dinamiche/da determinate
situazioni. In questo caso si può lavorare sul “piccolo gruppo”. I piccoli gruppi di 4-5 persone sono
tendenzialmente molto funzionali e permettono di lavorare in classe scombinando quelle dinamiche che si
creano naturalmente. Una volta che il docente si è creato una sorta di “mappatura” di quelle che sono le
relazioni del suo gruppo classe, può “giocare” a scombinarle e ricombinarle. In questo modo ci si potrebbe
render conto di alcune dinamiche disfunzionali e si potrebbe provare a romperle creando dei gruppi di
lavoro più funzionali.
Tipologie di Ruoli
I ruoli sono definiti dalla collocazione che i singoli membri occupano all’interno dei gruppi e possono essere
formali o informali.
RUOLI FORMALI: prescritti dalla natura e dalla struttura del gruppo, sono insiti nella formalità del gruppo in
un contesto definito e strutturato. Ad esempio, nella scuola sono il preside, l’insegnante, lo studente, ecc.
RUOLI INFORMALI: emergono ed evolvono dalle interazioni fra i membri del gruppo. I membri del gruppo,
nell’interagire fra loro, fanno emergere ulteriori ruoli, non formali, ma caratteristici e facilmente osservabili:
Leader: colui che conduce il gruppo e che ha lo status più elevato, ruolo informale specifico, è colui
che più di tutti determina e regola le attività del gruppo stesso.
Mediatore: ruolo “diplomatico”, soprattutto in caso di dissidi/scontri/ dispute fra i membri ci sarà
qualcuno che cercherà di mediare fra più posizioni per risolvere i conflitti. DI solito le persone con
questa capacità di mediare sono persone che possono svolgere questa funziona sia internamente al
gruppo, fra i membri stessi, che “esternamente” fra i vari gruppi, trovano dei compromessi;
mediazione razionale.
Capro espiatorio: colui che si sacrifica (o viene sacrificato) per risolvere conflitti interni/per il bene
comune.
Giullare: persona che “la butta sul ridere”, usa l’ironia per spezzare delle situazioni di tensione,
facilita la risoluzione dei conflitti attraverso uno strumento diverso (rispetto ad esempio al
Mediatore), ruolo socio-emozionale.
Leader dell’opposizione: colui che si oppone e che usa pensiero divergente. Status elevato al pari, o
quasi, del leader, e che ha in genere il suo gruppo di “seguaci” e che si pone in contrapposizione al
leader sviluppando un pensiero divergente. Non ha necessariamente un’accezione negativa, è colui
che pezza il “pensiero di gruppo”. Egli si oppone al leader, ha il “potere” di mettere in discussione
alcune idee del leader in quanto anch’egli ha lo status elevato, può far analizzare un problema da
una prospettiva diversa, porta spesso a una crescita del gruppo.
All’interno di un gruppo esistono tutte queste dinamiche che portano alla sua crescita e alla crescita del
risultato che quel gruppo può esprimere. Osservabile tanto all’interno di un gruppo di lavoro quanto
all’interno di un qualsiasi gruppo in contesto di classe o sottogruppo, con modalità diverse. Una classe sarà
strutturata per avere delle figure di questo genere in cui si svilupperanno determinate dinamiche e
l’insegnante potrà “manipolare” queste dinamiche creando dei gruppi diversi e mischiandoli, in modo da
poter successivamente riaggiustare i gruppi in funzione di alcuni ruoli che vorremmo far emergere, o nel
caso in cui si voglia caricare o togliere determinate responsabilità a determinate persone. Se ad esempio si
crea un gruppo con gli alunni che sono tendenzialmente più passivi o in disparte, non necessariamente
meno bravi, e si dà loro un compito, tra loro qualcuno dovrà emergere e proporre una soluzione all’interno
di quel contesto per raggiungere lo scopo del gruppo. (= “palestra” per mettere all’opera anche chi di solito
non tende a collaborare molto.)
Scopi e responsabilità: chiarezza su obiettivi e responsabilità del gruppo e dei singoli membri.
Chiaro anche dal punto di vista pratico/comportamentale.
Responsabilità comportamentali: chiarezza sui comportamenti necessari per soddisfare le
responsabilità individuali di uno specifico ruolo nel gruppo. Se non si hanno delle chiare mansioni c’è
il rischio che la responsabilità non è individuata chiaramente in una persona e si creano dei
malfunzionamenti a livello di funzionalità di una determinata organizzazione.
Valutazione della performance: chiarezza su come verrà valutata la performance relativa ad un
singolo ruolo. Utilizzabile anche nel momento in cui si assegnano dei compiti (si creano magari
gruppi di lavoro) per creare/svolgere un esercizio, anche da questo punto di vista potrebbe essere
utile condividere con gli studenti i parametri utilizzati per valutare gli studenti, così da far capire loro
quali sono gli aspetti che riteniamo importanti e sui quali quindi loro dovranno lavorare per
raggiungere una valutazione positiva. Valutazione usata in modo strumentale al fine di spingere su
alcuni aspetti specifici del loro compito per eseguire una performance che riteniamo adeguata.
Conseguenza delle responsabilità tradite: chiarezza sulle conseguenze del fallimento di un
singolo ruolo. Le sanzioni previste se non si porta a termine il proprio ruolo. Chiarezza che
determina una maggior successo della gestione organizzativa del gruppo.
II) Accettazione di ruolo nei gruppi
L’accettazione di ruolo all’interno di un’organizzazione, una classe, migliora la struttura e la prestazione
del gruppo.
Tale accettazione dipende da:
opportunità di utilizzare abilità e competenze specifiche;
riconoscimento del ruolo dall'individuo e dagli altri; se ad esempio si stabilisce chi è il “capoclasse”,
può stabilirlo l’insegnante o la classe, quel ruolo deve essere condiviso da tutti, se non è riconosciuto
dallo stesso individuo che magari non si sente “all’altezza” di quel ruolo o non è riconosciuto dagli
altri, allora quel ruolo sarà inutile, non funzionale all’ottenimento dello scopo che si vuole
raggiungere.
significato e scopo del ruolo (sentirsi utili e condividere scopi);
autonomia e opportunità di lavorare in modo indipendente.
LE NORME DI GRUPPO
In ogni gruppo esistono delle norme che definiscono i comportamenti consentiti e quelli non consentiti
all’interno del gruppo stesso. Ogni gruppo ha delle norme che stabiliscono quindi i comportamenti
ammissibili e non all’interno di quel contesto sociale.
“Una norma definisce […] il limite al di là del quale un certo comportamento può essere biasimato, tramite
disapprovazione o altre sanzioni, a seconda della gravità della violazione” (Sherif, 1984).
Non tutte le norme sono uguali.
Le NORME specificano come si devono comportare tutti i membri del gruppo, anche coloro che hanno
uno status elevato, e anzi loro a maggior ragione, devono rispettare le norme.
Le norme sono “scale di valori” che definiscono ciò che è accettabile e non accettabile all’interno di un
gruppo (comunità, organizzazione, ecc.).
Levine e Moreland (1990) definiscono le norme come “aspettative condivise” dai membri sul modo in cui
essi dovrebbero comportarsi. Aspettative condivise su come le persone appartenenti a quel gruppo
dovrebbero comportarsi.
Le norme sono un prodotto collettivo e non includono solo regole comportamentali, ma anche una serie di
modalità espressive (ad esempio linguaggio tecnico o gergale), abbigliamento (ad esempio giacca e cravatta
vs maglietta e felpa), ecc. che sono definite da quella collettività, da quel gruppo. A seconda del tipo di
contesto sarà preferibile usare und determinato tipo di linguaggio, di abbigliamento, ecc. Anche le tipologie
di abbigliamento fanno in qualche modo parte di una norma che viene stabilita in maniera informale
all’interno di un gruppo di persone.
Tipologie di norme
Le norme possono essere classificate in più tipologie:
ESPLICITE: nei gruppi formali; sono esplicitamente condivise da tutti i membri (esempio:
regolamento scritto); regolamenti identificati in forma scritta e che sono esplicitati nei gruppi
formali. Es. gruppo formale = classe, formalmente definita, ad una determinata classe appartengono
determinate persone poiché così è stato deciso. Gruppi formali-norme esplicite, regale condivise in
forma scritta e esplicitamente dichiarate.
IMPLICITE: nei gruppi formali ed informali; non sono scritte né espresse in modo diretto/esplicito,
ma hanno comunque un impatto sul comportamento dei membri (esempio: come vestirsi per
andare a un matrimonio o al supermercato). Le persone che appartengono a un determinato gruppo
(che sia formalmente definito o meno) sviluppano delle regole non scritte, alle quali ci si attiene
comunque. Il mondo è pieno di norme implicite che derivano dalla nostra società, dall’esperienza
comune.
Esempio: non andiamo vestiti allo stesso modo ad un matrimonio e al supermercato, sono due
contesti diversi e sappiamo che ognuno è caratterizzato da un abbigliamento più adeguato, benché
non ci sia una norma esplicita che mi vieta di andare ad un matrimonio ad esempio coi pantaloncini
corti. E’ una norma implicita condivisa che in determinato contesti ci si comporta in un determinato
modo.
Esempio: essere sostenitori di un partito politico può prevedere come norma sociale implicita
"sostenere sempre il proprio partito e manifestare ostilità per gli altri partiti in ogni occasione".
Sostanzialmente bisogna supportare il nostro in-group e manifestare ostilità nei confronti dell’out-
group. Le norme di un gruppo non sono necessariamente condivise dagli altri gruppi di cui uno fa
parte, come la famiglia, la classe o la società sportiva.
La mia aderenza a un determinato gruppo avrà delle norme ma non necessariamente tutti i gruppi di
cui faccio parte hanno le stesse norme. Anzi, è probabile che ogni gruppo a cui io afferisco abbia le
sue norme e che queste siano tra loro diverse.
CENTRALI: si riferiscono a questioni importanti per quel gruppo, che hanno conseguenze per il
gruppo, anche gravi, per la sua esistenza o funzionamento (ad esempio, in ambito sportivo, non
andare in discoteca la sera prima della partita); se queste norme vengono violate si mette in crisi il
funzionamento del gruppo stesso/ la sua esistenza. (“Regole più importanti”
PERIFERICHE: riguardano questioni considerate dal gruppo come più marginali. La violazione di
queste norme non porta a delle sanzioni così gravi come la violazione delle norme centrali.
Esempio: se appartengo ad una squadra di calcio, la sera prima della partita non posso andare a
ballare e bere, non è ammissibile (=norma centrale, la sera prima della partita devo andare a
dormire presto); una norma periferica potrebbe essere che se il giovedì sera dopo allenamento ci si
ferma tutti insieme a cena tra compagni e per quanto ci si debba adeguare a quello che fanno gli
altri, se una sera ogni tanto non mi fermo perché ho un impegno, non vengo sanzionato. (= norma
periferica). (“Regola meno importante”)
Per una norma, l’essere implicita/esplicita non è per forza legato a centrale/periferica. In un gruppo di amici
è una regola centrale non mancare di rispetto all’altro, indipendentemente dall’essere implicita/esplicita.
Sono due livelli diversi di catalogazione.
Specialmente:
In situazioni sociali nuove: in genere si osserva cosa fanno gli altri e ci si comporta di conseguenza, si
adeguino a quel tipo di situazione.
In determinate tappe dello sviluppo: gli adolescenti, ad esempio, sono maggiormente influenzabili
dal comportamento dei pari.
Tipologie di Leader
Sono state fatte parecchie definizioni diverse di Leader, ne analizzeremo due tipologie particolari
I) Leader accentratore o autoritario
Tiene per sé tutte le responsabilità
Tiene per sé tutto il potere, ha difficoltà a delegare, a fornire delle deleghe a delle persone senza
esercitare un controllo diretto sui vari compiti da eseguire
Tiene per sé tutte le informazioni più importanti, non condivide col gruppo le informazioni
importanti. Simmetria marcata tra Leader e gli altri collaboratori/membri del team e del gruppo.
Dà ordini, non concorda le azioni da compiere; dirige in maniera molto direttiva i compiti da
svolgere.
Trasferisce i compiti e stabilisce le regole in maniera molto netta, mantenendo il controllo ma senza
negoziazioni.
Controlla il rispetto delle regole e l'esecuzione dei compiti; presenza costante.
Non interviene attivamente nella formazione (non supporta i nuovi arrivati), si aspetta che questi si
attengano alle regole e facciano ciò che deve essere fatto.
Modello molto verticistico
II) Leader partecipativo o autorevole (più efficace, riesce a far funzionare meglio il gruppo)
Coinvolge il team nei problemi, meno autoritario, cerca il consenso del gruppo senza imporle. Le propone
cercando un consenso unisono. Nell’attuare delle strategie cerca il consenso del gruppo attraverso il
confronto. Sa motivare e sa trasferire responsabilità, valorizza le competenze di ciascuno e gratifica le
persone. Attraverso questo lavoro motivi le persone a sentirti parte di un gruppo e responsabili di
determinate attività. Assegna obiettivi specifici, ma allo stesso tempo chiede e stimola suggerimenti, chiede
che vengano avanzate delle proposte che possano aiutare il gruppo a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Interviene attivamente nella formazione (supporta i nuovi arrivati).
Coinvolge nei problemi
Nell’attuazione delle strategie cerca il consenso del gruppo
Sa motivare
Sa trasferire responsabilità
Assegna obiettivi specifici
Chiede e stimola suggerimenti
Controlla e verifica il raggiungimento degli obiettivi
Interviene attivamente nella formazione (supporta i nuovi arrivati)
Due tipologie di Leadership ideali, tra loro diverse. La seconda tende ad essere molto più efficace.
Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader:
– Leader centrato sul compito: esercitare la Leadership essenzialmente sulla realizzazione del compito e
sull’organizzazione del lavoro di gruppo.
– Leader centrato sulle relazioni: presta attenzione ai sentimenti dei membri del gruppo; è teso ad
assicurare armonia nel gruppo, una soddisfazione dal punto di vista sociale e relazionale tra i membri del
gruppo stesso.
I due ruoli sono complementari e possono essere svolti dalla stessa persona, ma anche da due persone
diverse. Possono esserci leadership
All’interno di un gruppo classe bisognerà dimostrare ai ragazzi che lo studio avrà una ricaduta su
quello che sarà il loro futuro, bisogna far veder loro le opportunità in quello che stanno facendo.
• Stimolare la creatività
( leader di opposizione ruolo importante in quanto permette di rompere gli schemi e portare
punti di vista diversi..)
- ricerca il confronto tra i diversi punti di vista: non inibisce punti di vista alternativi ma crea un
confronto tra punti di vista diversi. Dimostra ai ragazzi che gli stessi problemi possono essere
analizzati da più punti di vista diversi.
- facilita la rottura degli schemi consolidati
- valorizza il gruppo come strumento di analisi/risoluzione dei problemi
- stimolare la produzione di idee alternative e verificare tutte le proposte fornite
• Delegare
- Assegnare mandati sulla base delle competenze e delle potenzialità, che permette alle persone
che ricevono l’incarico di sentirsi responsabili e avere la fiducia del leader stesso. Se un leader mi
affida un compito è perché mi ritiene capace di farlo fiducia del leader = grande motivazione
- fornire risorse e mezzi adeguati garantendo il proprio appoggio
- fissare i criteri di valutazione del risultato
- garantire il feedback sui risultati e sui comportamenti
- consentire il lavoro in autonomia. Nel momento in cui viene assegnato un determinato compito
è importante che questo sia portato avanti in autonomia senza troppe interferenze.
Termine della parte sulle dinamiche sociali dei gruppi. Gli aspetti psico-sociali, soprattutto quelli di gruppo,
possono influire sul lavoro che dovremo svolgere in quanto insegnanti. Saremo immersi i un ambiente
sociale e avremo qualche strumento per leggere meglio le situazioni con le quali ci confronteremo e capire
meglio le dinamiche che coinvolgono le persone con le quali dovremo lavorare (sia alunni che colleghi).
Gruppi e bullismo
Studi pioneristici di Dan Olweus svolti nei paesi scandinavi. Uno studente è oggetto di azioni di bullismo,
ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni
offensive messe in atto da parte di uno o più compagni (Olweus, 1986; 1991).
Il bullismo è un tipo di comportamento aggressivo in cui un individuo attacca, umilia e/o esclude
ripetutamente una persona relativamente impotente (Salmivalli, 2010)
comportamento aggressivo (aggressività esercitata da qualcuno nei confronti di qualcun altro)
continuità temporale
fenomeno di gruppo (bullo, bullizzato, “spettatori” pubblico..), in genere.
varie forme (fisica, verbale, o indiretta=esclusione/isolamento di qualcuno in un contesto di classe)
asimmetria di potere o di forza. Minor forza = status basso; maggior forza = status alto
Differenze di status: bullo=status alto; bullizzato=status basso
Norme di gruppo: si possono sviluppare delle norme per cui diventa “normale” vessare una persona. Si
assume che sia normale che ci sia il ragazzo A che umilia/bullizza il ragazzo B
Ruoli diversi: bullo, vittima, complici, osservatori. Ci aspettiamo comportamenti diversi da ciascuno.
Diverse tipologie di bullismo
• Bullismo diretto: si manifesta attraverso attacchi verbali/fisici nei confronti della vittima, più diffuso
tra i maschi
• Bullismo indiretto: consiste in una forma di isolamento sociale e in un’intenzionale esclusione dal
gruppo; più diffuso tra le femmine
- di iniziazione: forme di nonnismo, azioni di “coraggio” atte a consentire l’inserimento in un gruppo
(es. rubare/danneggiare qualcosa a scuola).
• Bullismo di iniziazione: forme di nonnismo, ovvero azioni “di coraggio” atte a consentire
l’inserimento in un gruppo (es: rubare/danneggiare qualcosa a scuola).
Il/la bullo/a è, di norma, un individuo aggressivo anche nei confronti degli adulti. Non rispetta le regole (es:
ritarda spesso a scuola, non svolge i compiti, ha risultati al di sotto della media), ma possiede un certo
carisma che lo porta ad essere rispettato e, a volte, anche imitato.
Il bullo non agisce quasi mai di nascosto, ma apertamente nel contesto sociale, in quanto lo scopo primario
non è tanto il danneggiare la vittima in sé, ma mostrare la propria supremazia, acquisendo così rispetto
mediato dalla paura. Status più elevato/rispetto provocato dalla paura.
Principali caratteristiche per le quali gli studenti sono vittime di bullismo:
aspetto fisico
orientamento sessuale reale o percepito
etnia
risultati scolastici (paradossalmente positivi)
Chiunque può essere considerato come “diverso” dal gruppo sociale di riferimento per una, o più, di queste
caratteristiche, diventando una potenziale vittima.
Si tratta di fattori che aumentano la possibilità di essere vittime di bullismo.
Bullo/i e vittima sono direttamente coinvolti; i cosiddetti bystanders, invece, possono assumere
comportamenti diversi:
incoraggiare il bullo, diventarne in qualche modo complici
osservare passivamente
disapprovare il bullismo e/o aiutare la vittima
Le persone possono decidere di supportare/aiutare la vittima o avere un comportamento più passivo.
La frequenza del bullismo aumenta durante gli anni della scuola media e diminuisce nel corso degli anni
della scuola superiore (Espelage & Horne, 2008). Non sempre il genere è un predittore significativo, sia
maschi che femmine possono essere coinvolti in entrambi i ruoli.
Cyberbullismo
Forma di bullismo attuata mediante Internet/social network/sistemi di messaggistica.
Forma di bullismo ancora più pericolosa e difficile da gestire.
Consiste nella condivisione di contenuti negativi per mettere in cattiva luce la reputazione di un
coetaneo, inventando o creando situazioni scabrose o evidenziando eventuali caratteristiche
negative (es: è brutto/a, puzza, veste male, vive in un brutto posto, è stupido, non ha successo con
le ragazze/con i ragazzi, è ancora vergine, ecc.).
Il cyberbullismo si può sviluppare anche a seguito di episodi di bullismo “concreto” (fisico, con atti
di sopraffazione) che vengono ripresi e condivisi tramite i social.
Forma particolarmente pericolosa: atto di bullismo concreto ripreso e condiviso, arrecando ulteriore
danno alla vittima. Il fatto di filmare l’episodio e condividerlo rende consapevole anche chi non era
presenta, fa quindi perdurare l’atto di bullismo nel tempo e perpetrare l’umiliazione della persona a
lungo termine.
Spesso i filmati non sono realizzati dal bullo stesso, ma da altre persone presenti al momento;
costoro credono che il loro gesto sia molto meno grave dell’episodio di bullismo in sé, ma la
condivisione può avere conseguenze ancora più pesanti per la vittima.
Buonasera Silvija,
sono Francesca , una studentessa al terzo anno del corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere
all'Università di Trieste
.
Ho letto che sta cercando qualcuno che possa aiutare suo figlio con il francese e ho deciso di scriverLe in
quanto studentessa di Lingua e Letteratura francese. Inoltre, come suo figlio, anche io ho frequentato un
Liceo Linguistico, presso cui ho conseguito il diploma binazionale italo-francese. Ho un livello di francese B2
e a breve comincerò un tirocinio presso l'Alliance française di Trieste.
Nel caso in cui fosse interessata, sarei felice di poter aiutare suo figlio a superare le difficoltà che ha
incrociato con questa lingua.
Nel caso in cui fosse interessata, sarei felice di poter aiutare suo figlio a superare le difficoltà che ha
incrociato con questa lingua.
Per qualsiasi informazione, mi contatti senza problemi.
Cordialmente,
Francesca