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Percorso formativo 24 CFU

PSICOLOGIA PER L’INSEGNAMENTO


PROGRAMMA
Parte I: I Psicologia generale, processi cognitivi (Percezione, Attenzione, Memoria, Apprendimento, Intelligenza,
Pensiero)
Parte II: Psicologia dello sviluppo (Sviluppo cognitivo, sviluppo affettivo, disturbi dell'apprendimento = problematiche
che alcuni studenti potrebbero avere come relazionarci a questi studenti)
Parte III: La psicologia sociale e dei gruppi (Gruppo, Leadership, Ruoli, Status, Norme, Stereotipi, Bullismo)

• I PROCESSI COGNITIVI (percorso che parte dal singolo stimolo che arriva al nostro cervello fino
all’elaborazione di pensieri più complessi)
- Percezione= come gli individui acquisiscono delle informazioni dall’ambiente esterno
- Ruolo dell’ attenzione= serve per selezionare alcune delle info che provengono dall’ambiente e quindi
focalizzare i propri processi attentivi su alcune informazioni e ignorarle altre.
Come queste informazioni, una volta acquisite nel nostro sistema cervello, possono essere memorizzate.
Apprendere: meccanismi di apprendimento. Alcuni concetti su Intelligenza e pensiero = come elaboriamo le
informazioni.

• PSICOLOGIA
La Psicologia scienza che studia il comportamento umano ed i processi mentali, il loro sviluppo ed il loro
stato normale e patologico, in contesti individuali e di gruppo.
In altri termini, questa definizione ci dice che la Psicologia studia sia il comportamento umano, il
comportamento “manifesto”, ciò che si può vedere direttamente, sia i processi mentali, quei processi non
direttamente osservabili che possono però essere inferiti tramite l’osservazione del comportamento
manifesto. Studiando lo sviluppo di questi processi (come questi evolvono, soprattutto in determinate
tappe della vita delle persone) la Psicologia studia lo stato normale, il funzionamento normale di una
persona, ma anche quello “patologico’, situazioni in cui le persone si comportano in modo diverso/anomalo
rispetto ad uno standard. La Psicologia studia anche come tutto ciò avviene sia in contesti individuali che di
gruppo (Aspetti psico-sociali).
Dicotomia tra “Psicologia” e “Psicologie” = si usa la stessa parola per definire discipline spesso diverse fra
loro. In questo corso ci focalizzeremo soprattutto su Psicologia generale, dello sviluppo e dell’educazione e
sociale.

PSICOLOGIA GENERALE
La psicologia generale studia l’organizzazione del comportamento e delle principali funzioni psicologiche
(percezione – percezione visiva e acustica = raccolta di informazioni dall’ambiente-, attenzione, memoria,
apprendimento, pensiero, ecc.) attraverso cui l’uomo interagisce con l’ambiente – altre persone, ciò che lo
circonda- ed elabora rappresentazioni dell’ambiente e di se stesso.
La Psicologia generale studia le funzioni cognitive di base del nostro cervello, i “software” del cervello, e
comprende anche competenze relative ai metodi e tecniche della ricerca psicologica.
 E’ anche chiamata sperimentale, o dei processi cognitivi. Si occupa sostanzialmente dei processi
cognitivi, e perché utilizza il metodo sperimentale. Si fanno gli esperimenti in laboratorio e sulla
base dei dati ottenuti si sviluppano dei modelli e delle teorie sul funzionamento dei processi
cognitivi, che possono essere sottoposte ad ulteriori verifiche sperimentali. (Si cercherà di falsificare
le teorie sviluppate sulla base dell’evidenze empiriche con ulteriori evidenze empiriche che cercano
di migliorare ulteriormente le teorie che sembrano corrispondere meglio alle evidenze in un dato
momento).
 Non è lo studio generale dei vari ambiti della psicologia, bensì una materia ben precisa
 Riguarda lo studio dei processi generali, di base, della mente
 Studia i processi mentali e il comportamento attraverso il metodo sperimentale
 Disciplina che studia il funzionamento normale della mente

PSICOCOLOGIA DELLO SVILUPPO


La Psicologia dello sviluppo studia l’evoluzione e lo sviluppo della mente umana nell’arco di vita, dalla
nascita alla morte (sostanzialmente studia come si modificano i nostri processi cognitivi, l’evoluzione, le
varie tappe della capacità di elaborare delle informazioni).
In particolare, si occupa dello studio dei cambiamenti, dell’evoluzione, che si verificano nell’uomo, nelle
varie stagioni della vita, sia a livello emotivo e affettivo che cognitivo e comportamentale. Quindi studia
come si sviluppano le emozioni, le relazioni umane, nell’arco della vita. Noi ci concentreremo nell’arco di
vita dell’adolescenza, che ci interessa maggiormente.

PSICOLOGIA SOCIALE
La Psicologia sociale studia l’individuo nel suo contesto sociale, studia come i pensieri, i sentimenti e
comportamenti degli individui vengano influenzati dal contesto sociale ( il gruppo sociale, ad esempio
come cambia ad esempio il comportamento di un individuo quando è da solo o quando è con altre persone,
quando si trova in aula con i compagni e quando si trova fuori). Da questo punto di vista sappiamo che il
comportamento delle persone può variare molto a seconda del contesto sociale.
In funzione del contesto in cui una persona si trova, si comporterà in modo diverso. Ad esempio con gli
amici farà emergere un lato di sé, in ambito lavorativo ne farà emergere un altro e così via.
Di particolare interesse per i nostri scopi è una parte specifica della psicologia sociale, ovvero la psicologia
dei gruppi. Quest’ultima si interessa in particolar modo di come il comportamento e il pensiero degli
individui sia modulato dal contesto di gruppo (es. una classe scolastica).
UN PO’ DI TERMINI
Psicologo: laureato in psicologia* (5 anni + tirocinio post-lauream e superamento dell’esame di stato)
Psichiatra: medico laureato in psicologia, specializzato in psichiatria
Psicoterapeuta: psicologo o medico specializzato in psicoterapia
Psicanalista: psicoterapeuta che pratica la psicanalisi

PARTE I: PSICOLOGIA GENERALE, I PROCESSI COGNITIVI


Benché per motivi didattici noi studieremo i processi cognitivi un po’ “scomposti” fra loro, in realtà questi
sono in continua interazione fra loro.
Vedremo come il nostro cervello è in grado di acquisire delle informazioni dall’ambiente esterno, quali sono
le modalità che il nostro cervello utilizza per acquisire queste informazioni, come le elabora, come queste
vengano filtrate dall’attenzione (un altro processo cognitivo che interviene sulla raccolta delle informazioni)
e come queste possano infine essere memorizzate, apprese ed elaborate attraverso una serie di processi.
CI sono anche degli schemi ricorrenti di funzionamento di alcuni processi.

1) PERCEZIONE
(= primo momento, le informazioni raccolte dall’ambiente esterno arrivano ai nostri organi di senso)

 Sensazione e percezione
Tutti gli esseri viventi pluricellulari raccolgono degli stimoli ambientali, ossia delle informazioni, delle forme
di energia che arrivano dall’ambiente e quindi provengono dal mondo esterno (radiazioni luminose, onde
sonore, ecc.) ed esistono degli strumenti che gli esseri viventi hanno per raccogliere queste informazioni e
trasformarle. Questi strumenti sono dei tessuti specializzati che, negli organismi più complessi, prendono il
nome di organi di senso.
Gli organi di senso ci permettono di raccogliere le informazioni esterne, ambientali, e trasformarle in una
storta di linguaggio che il nostro cervello può capire, può elaborare, su cui può intervenire.
Primo step: raccogliere delle informazioni che provengono dall’ambiente esterno.
La realtà fisica esterna è molto complessa, molto più di quanto noi possiamo percepire, in quanto i nostri
organi di senso non sono in grado di raccogliere tutte le informazioni che provengono dal mondo esterno,
ne percepiamo solo una parte. Ogni organo di senso è una storta di finestra che fa passare alcuni segnali,
però ne esclude altri perché è incapace di coglierli. I nostri organi di senso riescono a cogliere alcune
informazioni, ma altre no.
Il tipo di informazione che viene elaborata dipende dall’architettura dell’organo di senso in un determinato
organismo. Ogni organismo ha degli organi di senso che hanno delle caratteristiche per cui riescono a
cogliere alcune informazioni, ma altre no. Non rispondono a certi tipi di stimolazione.
Esempio per quanto riguarda la modalità uditiva (le informazioni acustiche che possiamo cogliere o meno):
- se usiamo un fischietto a ultrasuoni (>20.000Hz), un cane lo sente perfettamente perché la sua finestra
per i suoni è più ampia della nostra, mentre noi non sentiamo nulla, non riusciamo a cogliere quel tipo di
informazione. Quel tipo di stimolo è fuori dalla nostra finestra, quindi, non attiva il nostro orecchio, di
conseguenza non arriva nessuna informazione al nostro organo di senso e non evoca nessun tipo di
informazione a livello del nostro cervello, mentre un cane è in grado di captare quell’informazione e
successivamente di elaborarla.
- La nostra capacità di elaborare informazioni dipende dalla capacità dei nostri organi di senso di rilevarle.
Ad esempio, per una persona sorda (non più in grado di cogliere le informazioni acustiche), qualunque
suono presente nell'ambiente è inattivo come stimolo: soggettivamente quello stimolo non esiste. Se noi
parliamo con una persona non udente, quel tipo di stimolo che per noi è udibile in quanto rientra nella
nostra finestra di stimoli percepibili, non rientra invece nella finestra di una persona sorda, quindi da un
punto di vista soggettivo quello stimolo non esisterà.

• Sensazione: detezione di energia fisica proveniente dagli oggetti da parte dei nostri organi di senso e
recettori sensoriali, cioè cellule specializzate che rilevano e traducono gli stimoli in impulsi elettrici che il
cervello utilizza (es. sento qualcosa). [Capacità dei nostri organi di senso e recettori sensoriali di rilevare
un’energia fisica proveniente dall’ambiente. Queste cellule specializzate rilevano e poi traducono gli
stimoli in un linguaggio compatibile con quello del nostro cervello.]
Sostanzialmente la sensazione è quel tipo di informazione che ci permette di rilevare un segnale. Per
esempio, se sento un rumore è perché il mio orecchio è in grado di rilevare che c’è una certa energia
fisica che è arrivata al mio orecchio, il quale riesce a rilevare la presenza di un segnale.

 Processo per cui cambiamenti nello stato del mondo provocano cambiamenti nel cervello. Nel mondo
succede qualcosa, e questo qualcosa evoca in qualche modo, grazie alla mediazione dei nostri organi di
senso, un cambiamento nel cervello.

• Percezione: si tratta di un passo avanti rispetto alla sensazione, ovvero il riconoscimento e


l’interpretazione degli stimoli registrati dai nostri sensi. Quando parliamo di percezione noi stiamo già
dando un’interpretazione, stiamo riconoscendo che quel tipo di informazione acustica arrivata al mio
orecchio ha un significato. Per esempio, il fatto di sentire una voce, di riconoscere un suono in quanto
voce, è possibile grazie alla percezione  Attraverso la percezione percepisco che un dato stimolo
acustico corrisponde ad una voce umana, interpreto quel tipo di stimolo acustico che arriva ai miei organi
di senso, in questo caso all’orecchio.
 Processo per cui cambiamenti nel cervello danno vita all’esperienza del mondo reale. Grazie alla
percezione noi diamo un significato agli stimoli in input, in ingresso nel nostro sistema. Questi stimoli
acquistano significato grazie al processo della percezione.
La percezione di un oggetto/evento è molto più ricca della rispettiva sensazione. La sensazione è
un’informazione che ci permette di rilevare che sta succedendo qualcosa, la percezione è dare un
significato a quel qualcosa che sta succedendo, una sorta di “valore aggiunto”. Questo valore aggiunto
deriva dai processi cerebrali che integrano le informazioni* e le elaborano, utilizzano le conoscenze già
acquisite e ci permettono di comprendere ciò che accade attorno a noi.
* ad esempio quando sentiamo una persona parlare tendenzialmente integriamo l’info acustica con
quelle visive = 2 canali d’informazione che arrivano ai nostri organi di senso e il nostro
cervello è in grado di integrare queste informazioni, le elabora e dà un significato a quelle
parole – perché conosciamo la lingua intanto, quindi abbiamo un’esperienza pregressa con
quelle informazioni, e riusciamo a integrare le informazioni acustiche e visive, questo ci
permette di dare un significato a quel tipo di evento.
Questo “valore aggiunto” deriva dai processi cerebrali che integrano e elaborano le informazioni,
utilizzano le conoscenze già acquisite e ci permettono di comprendere ciò che accade attorno a noi.

 La psicologia della percezione (psicologia sperimentale)


I primi psicologi sperimentali hanno tentato di spiegare la percezione visiva nei termini di una
corrispondenza puntuale tra le informazioni dell’ambiente che arrivano ai nostri organi di senso (stimolo
distale) e la nostra esperienza soggettiva (percetto).
In altri termini, all’inizio si pensava ci fosse una sorta di corrispondenza biunivoca, che il nostro cervello
fosse in grado di avere una sorta di “copia” fedele della realtà oggettiva. In realtà sappiamo che c’è una
differenza tra le informazioni in input (in ingresso) e la nostra esperienza soggettiva, e ci sono state
numerose evidenze empiriche che hanno messo in discussione questo tipo di approccio, il fatto che ci sia
corrispondenza tra informazioni sensoriali ed esperienza soggettiva.
Quindi quando parliamo di informazioni che arrivano ai nostri organi di senso parliamo di stimolo distale, e
quando parliamo di esperienza soggettiva parliamo di percetto, qualcosa di più elaborato.
Chi ha messo in discussione questo tipo di approccio è stata la scuola della Psicologia di Gestalt, con una
serie di esperimenti e leggi che ancora oggi sono valide e importanti per la percezione, che oggi vedremo.
Esperimento fatto a inizio ‘900 da Wertheimer, un importante esponente della scuola di psicologia della
Gestalt. L’assunzione di base della Psicologia della Gestalt era che l’esperienza cosciente non poteva essere
considerata una semplice somma delle parti che la costituiscono: “il tutto è più della somma delle parti”.
Nel 1912 Wertheimer pubblicò il suo celebre lavoro sul movimento stroboscopico, che segnò l’inizio
formale della Psicologia della Gestalt, e dimostrò che è possibile percepire qualcosa anche in assenza di
una stimolazione diretta (in questo caso un movimento apparente). Le persone che venivano esposte a
questi punti luminosi che si accendevano e si spegnevano riferivano di vedere un movimento quando in
realtà non c’era. Questa osservazione è stata uno dei principi della psicologia della Gestalt, per cui si è
sviluppata l’idea che la percezione non è la semplice somma delle singole parti, ma la percezione di un
oggetto/fenomeno è più della somma delle singole parti. La percezione complessiva che le persone hanno
di un determinato fenomeno è superiore alla singola somma degli elementi che compongono quel
fenomeno. Questo è stato uno dei primi lavori che ha dimostrato ciò.

Il triangolo di Kanizsa
Da un punto di vista fisico, in questo caso lo stimolo è un insieme di figure geometriche (cerchi incompleti e
linee spezzate), ciascuna con una sua precisa posizione.
Da un punto di vista percettivo, la descrizione è simile a quella fisica.
Dal punto di vista fisico, questo stimolo è descritto in modo del tutto simile al precedente: un insieme di
figure geometriche, ciascuna con una sua precisa posizione. Dal punto di vista percettivo, le cose sono
cambiate completamente: si vede un triangolo bianco con i vertici sopra tre cerchi neri. Il triangolo bianco
nasconde parzialmente un altro triangolo con i bordi neri. Fisicamente non ci sono né angoli, né cerchi.
Questa è la dimostrazione che la percezione è qualcosa in più della percezione dei singoli elementi, è
qualcosa di globale che emerge da un insieme di elementi e che chiude la somma del contributo dei singoli
elementi.
Due considerazioni fondamentali su questo esempio:
1. Da un punto di vista fisico il triangolo non esiste (è di fatto un’illusione ottica); di conseguenza, gli
oggetti di studio e le corrispondenti descrizioni della fisica e della percezione visiva sono tra loro diversi.
Le informazioni fisiche che arrivano alla mia retina sono sostanzialmente diverse dalla percezione visiva,
quindi dalla descrizione fenomenica che io posso fare di quella configurazione, c’è un gap. Nonostante
l’informazione fisica sia la medesima in entrambi i casi, la quantità di informazione, la
tipologia di informazione che arriva è la stessa, però la disposizione diversa determina una
percezione diversa.
2. Tutti gli esseri umani vedono però un triangolo, per cui questo dato dell'esperienza è un
fatto oggettivo e stabile. Ulteriore conferma del fatto che la percezione visiva sia qualcosa
di studiabile, è un fenomeno stabile che si può studiare in maniera empirica. Il tutto è più della somma
delle singole parti (?)
Il triangolo di Kanizsa: l’esperienza percettiva
La percezione ha come oggetto di studio l'esperienza percettiva, ovvero ciò che noi vediamo (o sentiamo)
così come lo vediamo (o sentiamo). Ciò che noi vediamo così come lo vediamo, può essere chiamato un
"fenomeno", dunque la percezione visiva studia i fenomeni.
L’oggetto di studio della percezione è l’esperienza percettiva delle persone. Ciò che vediamo così come lo
vediamo può essere chiamato un fenomeno. Quindi, la percezione visiva studia i fenomeni.
Credere di percepire le cose esattamente come sono nella realtà – ovvero credere che le proprietà
dell'esperienza (colore, forma, dimensioni, ecc) dipendano direttamente dalle proprietà del mondo – è
detto dai percettologi realismo ingenuo. Lo studio della percezione coincide con il superamento del
realismo ingenuo. Lo studio della percezione coincide quindi col fatto che la realtà percettiva è diversa
dalla realtà oggettiva.

La Psicologia della Gestalt


La Gestalt è una scuola di percettologi che si è occupata dello studio di una serie di fenomeni legati alla
percezione visiva, e soprattutto ha sviluppato una serie di leggi che ancora oggi riconosciamo come dei
principi importanti nell’ambito della percezione, e che andremo a vedere.
Secondo la scuola della Gestalt, la percezione non deriva da un processo gerarchico di scomposizione
dell’immagine nei suoi elementi più semplici:
“Il tutto è più della somma delle parti”
- la percezione è intesa come un processo olistico che considera la scena visiva nel suo insieme (non le
singole parti, non un “puzzle” di pezzi, ma un quadro complessivo di informazioni che dà vita all’esperienza
percettiva)
- normalmente non vediamo margini e/o contrasti o informazioni specifiche e dettagliate della scena visiva,
ma vediamo figure organizzate su uno sfondo (lo studio della figura dello sfondo è stato studiato
nell’ambito della percezione)
I principi della Gestalt permettono di capire come i singoli elementi presenti nell’ambiente vengono
organizzati organizzazione percettiva - in modo da percepire forme ed oggetti.
 L’organizzazione figura/sfondo
SI tratta di un concetto centrale nella Gestalt e in generale nell’ambito percettivo. La figura di Rubin
(1921) è costituita da aree bianche e nere omogenee, contigue e poste sullo stesso piano.
- Tipicamente, si vede un vaso nero su uno sfondo bianco.
- Tuttavia, seguendo i contorni del vaso, è possibile notare che essi costituiscono anche i profili di due
volti bianchi su uno sfondo nero.
A questo punto si ha una sorta di inversione figura/sfondo in cui i volti - parte bianca - diventano figura
e il vaso - parte nera – diventa sfondo. Questi ultimi sono invisibili, nonostante siano presenti nelle
condizioni di stimolazione ed emergano dopo opportuno suggerimento. A secondo del focus attentivo
si riesce a vedere meglio una parte o l’altra dell’immagini. Dipende quindi da come noi organizziamo
queste informazioni, dalla nostra attenzione che ci permette di vedere determinati elementi a discapito
degli altri.
Le due immagini non sono visibili contemporaneamente: quando si percepisce una, l'altra non è
visibile; il risalto che assume una delle due immagini causa la perdita del carattere di “figura” dell'altra,
che diventa “sfondo”, nonostante la stimolazione retinica resti immutata. In altre parole,
l’informazione, lo stimolo che arriva alla mia retina è la stesso; nonostante
l’informazione visiva sia sempre quella, io riesco a vedere due cose diverse con una
stessa immagine, a seconda del mio focus attentivo.

- Nelle cosiddette figure bistabili, assume rilevanza anche l'impostazione soggettiva


dell'osservatore, che determina la segregazione figura/sfondo sulla base di uno
spostamento dell'attenzione (Kanizsa, 1975).

Le figure bistabili (e quelle ambigue in generale) dimostrano che l’attività percettiva è un processo attivo,
dinamico e automatico, nel quale entrano in gioco processi di riorganizzazione e di reinterpretazione.
Stesso stimolo, qualcuno vede una cosa, qualcuno un’altra, solo dopo entrano in funzione i processi che ci
permettono di reinterpretare le informazioni e vedere una soluzione alternativa.
Si tratta di situazioni momentanee, casuali, potenzialmente
influenzate dalle esperienze pregresse.

I principi di organizzazione formale


La Psicologia della Gestalt ha stipulato questa serie di leggi, di principi, secondo i quali noi organizziamo le
ifnormazioni che ci arrivano dall’ambiente, quindi prettamente le informazioni visive.
Vicinanza Si tratta di fattori che favoriscono il
Somiglianza raggruppamento o l'unificazione degli
Destino comune
elementi percettivi.
Buona continuazione (o continuità di
Questi elementi vengono percepiti come un
direzione)
Chiusura insieme unitario. Questi aiutano a organizzare
Pregnanza (o buona forma) le informazioni in un certo modo piuttosto che
Esperienza passata in un altro.
I. VICINANZA

A parità di condizioni, tendono ad essere vissuti come costituenti un’unità percettiva elementi vicini
piuttosto che lontani. La vicinanza di elementi determina un’unità percettiva, secondo questo principio.
SOLITAMENTECHIARA
SOLITAMENTE CHIARA
SOLITA MENTE CHIARA Il principio di vicinanza è fondamentale per la lettura.
SOLITAMENTE CHI ARA

II. SOMIGLIANZA

A parità di condizioni, tendono a unificarsi/raggrupparsi tra di loro elementi che


possiedono un qualche tipo di somiglianza. Tendiamo a raggruppare elementi
con caratteristiche simili in unità percettive.

III. DESTINO COMUNE


Parti del campo visivo che si muovono insieme, o in modo simile, o che
comunque si muovono a differenza di altre parti del campo, tendono a costituirsi come unità segregate.
IV. BUONA CONTINUAZIONE (o continuità di direzione)
- Formano un’unità percettiva elementi che, quando connessi, formano una linea retta o una linea che
curva gradualmente.
Due linee ondulate che si cinrociano. Le vediamo così per effetto della buona continuazione, per questo
motivo la seconda immagine ( due linee che si intersecano) tende ad essere più fluida rispetto all’ultima.
- Elementi che presentano una direzione comune o una regolarità tendono ad essere percepiti come
appartenenti allo stesso oggetto. “Profilo di un castello” regolare con una linea curva sopra, sempre per il
principio della buona continuazione.
V. CHIUSURA
A parità di altre condizioni, viene vissuta come un’unità percettiva una zona chiusa piuttosto che aperta.
VI. PREGNANZA (o buona forma)
Il campo percettivo si segmenta in modo che ne risultino unità e oggetti percettivi per quanto
possibile equilibrati, armonici, costruiti secondo un medesimo principio in tutte le loro parti, che
in tal modo “si appartengono” reciprocamente.
VII. ESPERIENZA PASSATA
A parità delle altre condizioni, la percezione avviene
anche in funzione delle nostre esperienze passate,
favorendo la costituzione di oggetti con i quali abbiamo più familiarità piuttosto che di
forme sconosciute o poco familiari.
Immagine ambigua nella quale il dalmata è mascherato, ma
grazie all’esperienza passata che noi abbiamo, dopo un po’
riusciamo a interpretare e riorganizzare gli elementi in modo da
dar vita ad un’immagine che conosciamo, ovvero un dalmata.
Conflitto fra leggi
Le leggi possono andare anche in conflitto fra loro. Nel caso in cui ci siano delle situazioni conflittuali tra le
leggi, quale soluzione percettiva emerge? In questi casi si impone il principio che dà origine alla soluzione
più semplice: il principio di parsimonia.
Esempio vicinanza vs chiusura. Inizialmente nella figura si vedono tre coppie di linee verticali (p. vicinanza),
ma una volta aggiunti altri elementi si vedono invece due finestre, poiché prevale il principio di chiusura in
aggiunta anche all’esperienza passata.
Termine parte relativa alla Gestalt, altri elementi sulla percezione.

Le illusioni ottiche
Che cosa sono le illusioni ottiche?
Le illusioni sono delle situazioni in cui la percezione di uno stimolo da parte di un osservatore non
corrisponde alle proprietà fisiche di tale stimolo.
Effetto “priming”= effetto psicologico per il quale l'esposizione a uno
stimolo influenza la risposta a stimoli successivi. In questo caso il
Professore ha dato un input che ci ha indirizzati sull’idea dell’esistenza di
una “fregatura”, di un’illusione. [min. 37:52]
(Funzioni delle illusioni) Le illusioni sono importanti al fine di creare dele teorie per studiare meglio la
percezione perché:
• Permettono di comprendere il funzionamento normale del sistema percettivo . I casi in cui non c’è
accordo con la realtà sono particolarmente istruttivi per scoprire le leggi dei processi della
percezione normale.
• BALDWIN (1895) affermò che lo studio delle illusioni è, per la comprensione della percezione
“normale”, importante quanto lo studio degli stati patologici lo è per la comprensione del
funzionamento normale del corpo. Come se fosse l’ “anomalia” del sistema percettivo che
mette però in evidenza i suoi meccanismi di funzionamento.
Gli studiosi devono spesso inventarsi delle configurazioni particoli di stimoli per discriminare ad
esmepio fra teorie che hanno predizioni diverse. Ad esempio la teoria A fa una predizione e la B
un’altra, se si riesce a creare una figura che metta in competizione le previsionid delle due
teorie, l’evidenza empirica dopo va a favore di una o dell’altra.

• Sono uno strumento utile per la verifica delle teorie


• Permettono il confronto tra teorie diverse
• Suggeriscono nuovi esperimenti, nuove spiegazioni, nuove illusioni

Le cause delle illusioni


Da un punto di vista scientifico interessanoi processi che determinano quelle illusioni e non le illusioni in sé.
La percezione di illusioni visive può essere infatti determianta, oltre ai fattori già visti:
1. Da fenomeni fisiologici, strettamente legati all’elaborazione nervosa dello stimolo
Il contrasto simultaneo

Il grigio sullo sfondo chiaro appare più scuro del grigio sullo sfondo
scuro. Illusione spiegata in termini fisiologici con la teoria
dell’inibizione laterale.

La teoria
dell’inibizione laterale (Hering, 1920)
La percezione del colore di superficie sarebbe il risultato di due processi antagonisti che avvengono a
livello della retina:
a) uno costituito dall'eccitazione del recettore stimolato dalla luce che lo colpisce;
b) l'altro dall'inibizione su di esso ad opera dei recettori adiacenti.
A parità di stimolazione esercitata dal grigio, la differenza di percezione sarebbe derivante dall’inibizione
evocata dal bianco o dal nero. Lo sfondo diverso determinerebbe un diverso livello di inibizione e questo
altererebbe la percezione del grigio. Nel contrasto, i grigi - di luminanza uguale- evocano lo stesso livello
di eccitazione, ma i due sfondi evocano diversi livelli di inibizione, pertanto il livello di inibizione
esercitata dallo sfondo bianco sul suo grigio sarebbe maggiore rispetto a quella esercitata dallo sfondo
nero.
Illusione che deriverebbe più da fenomeni che avvengono a livello periferico – retinico – piuttosto che
da fenomeno di livello più alto, più cognitivo/avanzato.
2. Da inferenze cognitive, che hanno a che fare con ciò che sappiamo del mondo che ci circonda.
L’illusione di Ponzo

La barra nera in alto appare molto più grande di quella in basso.


L'illusione è determinata dall’interpretazione prospettica
dell’immagine.

In questo caso la nostra interpretazione in termini prospettici


favorisce l'illusione. (lontananza/vicinanza dell’oggetto)
Per effetto della prospettiva, gli oggetti più lontani hanno un immagine retinica più piccola di quelli vicini
di identiche dimensioni. Se oggetti lontani hanno la stessa immagine retinica di un oggetto vicino vuol
dire che sono più grandi. L’informazione, la dimensione retinica di un oggetto, più si allontana più
diventa piccola. Noi percepiamo l’oggetto come più lontano, non come più piccolo. Quindi questo
determina l’illusione = la chiave prospettica determina una diversa dimensione. In questo caso,
l’immagine retinica di un oggetto con la stessa dimensione dovrebbe essere più piccola, ma avendo la
stessa dimensione fisica abbiamo l’illusione che lo stesso oggetto, più lo portiamo avanti più diventa
grande.

Le costanze percettive
La costanza percettiva è la tendenza della percezione a conservare caratteristiche costanti nel tempo e
nello spazio, entro certi limiti, pur al variare oggettivo delle situazioni di stimolazione. Certe carateristiche
vengono quindi mantenute costanti nonostante cambino le situazioni.
La percezione di un oggetto è relativamente indipendente dalla sua immagine retinica, ed è il risultato di un
processo inferenziale legato al contesto e all'esperienza. L’Illusione di Ponzio ne è un esempio. In funzione
del contesto, l’immagine retinica può addirittura essere fuorviante.
Ci sono tre tipologie diverse di costanza percettiva:
• Costanza di grandezza
• Costanza di forma
• Costanza di colore

COSTANZA DI GRANDEZZA (illusione di Ponzio)


Gli oggetti mantengono la stessa grandezza nonostante cambi la dimensione della loro immagine retinica.
L'informazione retinica che arriva ai nostri occhi della persona in fondo con la maglia
bianca è molto piccola rispetto a chi si trova in primo piano. Tuttavia, noi non vediamo
queste persone più piccole rispetto alle altre, le percepiamo più lontane. L’immagine
percepita, la dimensione percepita di un oggetto in questo caso rimane costante
(costante di grandezza) , ciò che varia è la vicinanza/lontananza.
Lo stesso principio è appllicabile alla fotografia delle automobili.
La grandezza rimane costante finché abbiamo degli indizi che ci danno l’idea di
distanza. Nel momento in cui si eliminasse il contorno (gli indizi) allora la
costanza di grandezza verrebbe meno. 4
Per effetto della costanza di grandezza, un uomo viene 9
visto più lontano e non più piccolo. Infatti, le variazioni
registrate di grandezza sono percepite come variazioni di
distanza, mentre la grandezza percepita si mantiene
costante. La dimensione retinica è giustificata dalla
lontananza, quindi non disturba. Mentre se si sposta
a b
l’immagine in primo piano, questa diventa innaturale;
emerge una differenza di dimensione perché viene meno l’indizio di lontananza/vicinanza.
Lo stesso principio è applicabile all’altra immagine. Situazione di prospettiva, (a) ci sono dei cilindri lungo un
corridoio, l’ultimo non lo vediamo più piccolo del primo, ma più lontano; non percepisco che abbia una
dimensione più piccola, ipotizzo abbiano la stessa dimensione. Se lo prendo portandolo in prima fila vedo
che c’è una differenza, ma nella dimensione prospettica si vedono come aventi la stessa dimensione. Se
invece prendo lo stesso elemento con la stessa grandezza fisica e lo metto in prospettiva mantenendo
costante la grandezza (b) ho l’illusione che ricalca il principio di quella di Ponzio, in cui l’ultimo cilindro viene
percepito come più grande perché viene replicata la sua grandezza fisica e viene “violato” il principio
dell’uguaglianza. Lo si percepisce come più grande a parità di dimensione perché è più lontano.
Se gli indizi di distanza (informazioni contestuali) vengono progressivamente eliminati, la costanza di
grandezza s’indebolisce fino a sparire del tutto. Il sole e la luna sembrano avere circa la stessa dimensione
in quanto non ci sono indizi riguardo alla reale distanza dei due oggetti dall’osservatore. Se potessimo
stimare correttamente le distanze della luna e del sole, quest’ultimo apparirebbe 400 volte più grande.
 Stanza di Ames
Stanza costruita con una pianta particolare. Assumendo che la stanza sia vuota, da un punto
particolare di questa, l’osservatore la vede come normalissima. Tuttavia, la pianta è costruita in
maniera estremamente anomala, infati un lato è rialzato e uno abbassato, per cui la persona che sta
su quel lato sarebbe in realtà molto vicina all’osservatore, mentre quella che sta sul lato opposto
sarebbe invece piuttosto lontana. Le finestre (indizio di “normalità”) sono in realtà storte, non in
maniera casuale, ma hanno una forma tale per cui per l’osservatore dal punto “normale” queste
appaiano dritte, normali. Però, nel momento in cui facciamo entrare un’altra persona nella stanza,
essendo un lato più basso perché da una parte il pavimento è rialzato e dall’altra il soffitto
abbassato, questa sembra un gigante. Chi si mette in centro sembrerà invece normale e sull’altro
lato sembrerà piccolissima.
E’ una stanza che ci mette in condizione di vedere ciò
che non è. Vediamo una dimensione distorta perché
abbiamo una serie di indizi percettivi di informazioni
sulla distanza che sono manipolati in modo da
alterare la dimensione di una
persona reale che entra in quel contesto 
manipolazione di indizi di distanza
(Ruolo dell’esperienza passata e anche di irregolarità
delle forme)

COSTANZA DI FORMA
Gli oggetti mantengono la medesima forma nonostante cambi la forma della loro immagine retinica.
L’immagine retinica è alle volte ingannevole, non ci basiamo unicamente su di essa.
Nel caso a) so che la forma della porta è costante, ma che questa può variare la sua posizione. Di
conseguenza può variare l’immagine retinica che io ho della porta, in funzione della sua posizione, ma
l’oggetto rimane sempre quello. Quando vedo una porta che si apre non penso che stia cambiando la porta,
nonostante l’informazione che arriva ai miei occhi sia diversa, ma semplicemente ipotizzo la soluzione più
probabile = che lo stesso oggetto stia cambiando posizione. La forma rimane costante, cambia la posizione
dell’oggetto.
b) Se inizio a
inclinare la
scacchiera, la vedo
in un modo
diverso.
Ciononostante, nona b
percepisco un
cambiamento della scacchiera, bensì un cambiamento della posizione della scacchiera, la sua forma rimane
invariata. Nel caso in cui si prenda la stessa immagine eliminando l’elemento della scacchiera, si può
rappresentare sia come lo stesso oggetto che cambia posizione che come oggetti diversi. In questo caso
inizio a perdere informazioni per cui entrambe le posizioni possono essere plausibili.
Se gli indizi di inclinazione vengono progressivamente eliminati, la costanza di forma s’indebolisce fino a
sparire del tutto. L’informazione retinica cambia, ma la forma rimane costante.
Noi siamo propensi a percepire come costante la forma di un oggetto. Quando quello stesso oggetto si
sposta, noi ragionevolmente percepiamo un cambiamento di posizione piuttosto che di forma. Nella nostra
esperienza sappiamo gli oggetti possono essere ruotati, spostati, e possono assumere diverse posizioni, ma
l’oggetto di base resta il medesimo. Quando spariscono gli indizzi fondamentali che ci fanno capire che si
tratta dello stesso oggetto, ovviamente questo principio inizia a vacillare.
COSTANZA DI COLORE
Gli oggetti mantengono il loro colore di superficie (sia acromatico, sia cromatico), nonostante cambi la
quantità o la qualità della luce della loro immagine retinica. Attribuisco il colore di una superficie più chiaro
o più scuro a seconda del cambiamento d’illuminazione piuttosto che al cambiamento della superficie
stessa dell’oggetto.
Esempio Due cartoncini bianchi, uno posto in un ambiente illuminato, l’altro in un
ambiente in ombra, appaiono avere lo stesso colore di superficie, per quanto mostrino
luminosità molto differenti. In questo caso attribuisco automaticamente la differenza a
un cambiamento di illuminazione (luce/ombra) piuttosto che a una differenza dovuta
ad un cambiamento del colore della superficie. Il colore resta costante.
Similmente, riducendo progressivamente la quantità di luce che arriva alle pareti di una
stanza, non si ha mai la sensazione che queste stiano cambiando colore, ma piuttosto che
stia avvenendo un cambiamento d’illuminazione ambientale. Superficie omogenea il cui
colore diverso è dato da una differenza di illuminazione ambientale, ovvero dalle ombre
Di che informazioni dispone il sistema visivo per percepire i
colori nelle diverse modalità? Unicamente della quantità della
luce che, riflessa dalle superfici, raggiunge i recettori retinici
dell’occhio. Tale valore viene definito luminanza, mentre si
definisce riflettanza la proporzione di luce riflessa da una
superficie.

Abbiamo solo un’informazione relativa al colore che arriva ai nostri occhi. Questa è il prodotto tra la
capacità della superficie di riflettere la luce e l’illuminazione ambientale. Questi due aspetti un po’ si
confondono, perché se ho una superficie che riflette poco, ma tanta illminazione, avrò un certo tipo di
luminanza. Paradossalmente, questa può essere riprodotta con una superficie che riflette molto e
un’illuminazione più bassa.
 Effetto Gelb
La fonte di luce viene nascosta al soggetto, che giudica il disco
bianco e quello nero come uguali. Se si pone nel raggio di luce un
piccolo pezzo di carta bianca il disco nero viene visto come tale.
Se prendo due dischi, uno biaco e uno nero, nascondo un fascio di
luce molto forte e lo proietto sul disco nero, un osservatore posto
davanti ai dischi e vicino alla fonte di luce nascosta, vedrebbe entrambi
come bianchi. Questo perché il disco nero, con poca capacità di
riflettere la luce, se viene investito da un fascio di luce molto forte
appare come bianco perché è comunque in grado di riflettere una luce sufficiente da farlo percepire
come bianco. Il colore che noi vediamo è quindi dato dalla capacità delle superfici di riflettere un certo
tipo di energia e dall’illuminazione ambientale che arriva ai nostri occhi riflessa da quell’oggetto.
 La scacchiera di Adelson
Le caselle A e B sono dello stesso colore. Si tratta di un’illusione ottica condizionata dall’esperienza –
l’informazione della scacchiera – e dell’ombra del cilindro che
ci fa percepire un oggetto chiaro come più scuro e di
conseguenza fortifica l’idea che la casella B sia in realtà più
chiara. Combinazione intelligente di tanti elementi che
rendono l’illusione molto forte. L’llusione sfrutta le regole
applicate dal cervello di fronte ad un’immagine, di
conseguenza i quadrati vengono analizzati all’interno del
contesto della scacchiera e non nella loro singolarità, in base
al colore e alla luminosità assoluti.

2) ATTENZIONE
- Quali sono i processi attentivi? Cos’è l’attenzione?
Un processo cognitivo per cui ci si focalizza e concentra su un determinato aspetto/stimolo per un certo
periodo di tempo (medio-breve), senza farsi distrarre e analizzando tutto ciò che avviene/viene detto/visto,
ecc. Permette di apprendere, è legata alla memorizzazione. Filtro per le informazioni che riceviamo
dall’esterno. L’attenzione è un processo complesso, ha tante sfumature e aspetti che la caratterizzano e
interagiscono fra loro.

Inattentional blindness
Questo fenomeno è noto come inattentional blindness o cecità da disattenzione (Simon & Chabris, 1999).
Gli esperimenti sull'inattentional blindness ci dimostrano che se noi focalizziamo la nostra attenzione in
modo selettivo su alcuni aspetti della scena visiva non riusciamo a percepirne altri.
Il nostro compito è focalzzarci sui passaggi dei ragazzi con la maglia bianca, di conseguenza ignoriamo tutto
ciò che è nero. Uno dei giocatori con la maglia nera esce e viene sostituito da un gorilla che si pone al
centro della scena. Se ci focalizziamo su un certo tipo di informazioni non riusciamo a percepirne altri che in
qualche modo confliggono con ciò che stiamo cercando.
Nonostante i nostri organi di senso registrino quelle informazioni (il gorilla è passato davanti ai nostri occhi,
quell’informazione è arrivata al nostro occhio) noi non le vediamo, non le percepiamo, poiché la nostra
attenzione è focalizzata su altri aspetti/elementi della scena visiva.
Esempio di attenzione selettiva. (The monkey business illusion)

Cos’è l’attenzione?
• è una funzione mentale che ci permette di essere consapevoli di un evento in un dato
momento. Grazie ad essa, noi arriviamo alla consapevolezza di alcune informazioni. Siamo costantemente
assaliti da informazioni ma non abbiamo la capacità di elaborare tutte quelle che arrivano ai nostri organi
di senso. Bisogna dunque “filtrarle” l’attenzione ha questa funzione, ovvero filtra le informazioni e fa
giungere alla nostra consapevolezza solo una parte delle informazioni presenti nell’ambiente in cui ci
troviamo.

• consiste nel controllo, nell’orientamento e nella selezione da parte dell’individuo di una o più forme di
attività, situazioni che si verificano nell’ambiente nel quale ci troviamo. Questo possiamo farlo in maniera
volontaria o automatica.

• può essere diretta volontariamente (a)  Attenzione Endogena, “top- down”) o richiamata in modo
automatico (b) dalle caratteristiche dello stimolo  Attenzione Esogena, “bottom-up”.
In entrambi i casi è un fenomeno di cui siamo consapevoli.

a) Possiamo decidere di focalizzare la nostra attenzione volontariamente su un determinato fenomeno


che si sta svolgendo nell’ambiente in cui ci troviamo. Attenzione che noi, in maniera volontaria,
cerchiamo di dirigere verso un determinato fenomeno.
b) La nostra attenzione può essere richiamata in maniera automatica da uno stimolo che magari è
saliente per noi, o è particolarmente intenso o interessante. Attenzione richiamata da un evento esterno.
Esempio: situazione in cui viene richiamato il nostro nome; siamo per strada e sentiamo un suono forte di
una frenata.

L’attenzione svolge due funzioni fondamentali:


 mettere in evidenza alcune informazioni: ci permette di rendere certe informazioni salienti a livello
di consapevolezza.
 escluderne altre: esclude una serie di informazioni che giungono ai nostri organi di senso e vengono
filtrate ed escluse dalla nostra consapevolezza.
Se non esistesse questa duplice funzione dell’attenzione, cioè di scegliere ed escludere, saremmo
sommersi dalla marea di stimoli che arrivano al cervello. Avremmo un sistema collassato.
Esempi di situazioni in cui l’attenzione è essenziale: uno studente a lezione; un chirurgo durante
un’operazione; un operaio che lavora in catena di montaggio; un autista al volante, anche in questo caso
bisogna essere attenti a ciò che avviene nel traffico, però qui spesso riusciamo a svolgere in parallelo più
cose, ad esempio mentre guidiamo riusciamo a parlare con la persona seduta di fianco a noi. Questo si può
fare perché una delle due attività, ovvero la guida, è fortemente automatizzata, soprattutto se svolgo un
percorso abituale (casa-lavoro/lavoro-casa). Sono tutte attività diverse che in qualche modo sfruttano
alcune caratteristiche dell’attenzione in modo diverso.
L’attenzione in qualche modo è flessibile, infatti a seconda del contesto e della situazione riusciamo
comunque a svolgere abbastanza bene questi compiti.
È difficile definire in modo univoco l’attenzione, perché essa riguarda una varietà di fenomeni diversi tra
loro.

Esempio: mentre passeggio con un amico, noto un’amica comune. Per fargliela individuare tra la
folla, dico al mio amico di prestare attenzione alla parte sinistra della strada, vicino a un negozio di
abbigliamento. Improvvisamente si sente il rumore di una frenata.
Quali processi attentivi saranno attivati?
Saranno attivati diversi processi attentivi.

Diversi tipi di attenzione


Per individuare una persona tra la folla è necessario selezionare le informazioni rilevanti per questa ricerca,
uso dell’attenzione selettiva, ignorando quindi alcuni stimoli (es: vetrine) a favore di altri. Gli stimoli
irrilevanti sono quindi da escludere, focalizzando invece la mia ricerca su alcune categorie/aspetti che
aumentano l’efficacia della mia selezione.
Le aspettative riguardo a quello che stiamo cercando possono aumentare l’efficienza della selezione. Ad
esempio, io so come è fatta la mia amica, quindi so che in mezzo alla folla devo cercare una persona con
una determinata altezza, corporatura, i capelli di un certo colore, ecc. Questo tipo di informazioni mi facilita
la ricerca in mezzo alla folla.
Il fatto che il rumore della frenata causi distrazione indica che l’attenzione può essere attratta in modo
automatico. Benché io stia cercando di dirigere la mia attenzione verso una situazione, un elemento
esterno può portare automaticamente la mia attenzione da un tipo di ricerca di informazioni ad un altro.
Inoltre, per trovare quello che stiamo cercando, dobbiamo riuscire a mantenere per un tempo sufficiente
la nostra attenzione sulla ricerca, ma dopo qualche minuto diventerà più difficile non distrarsi: mantenersi
concentrati su quello che stiamo facendo non è facile e richiede uno sforzo di volontà per farlo (attenzione
sostenuta).
Spesso siamo in grado di svolgere più compiti contemporaneamente; il nostro amico, ad esempio, mentre
eseguiva la sua ricerca continuava a camminare e a chiacchierare con noi (attenzione divisa). Camminare è
un comportamento automatizzato, chiaccherare è un’attività non troppo impegnativa, quindi è possibile
portare avanti i compiti insieme. Talvolta ciò non è possibile, in quanto certi compiti interferiscono tra loro.
Ci sono determinate condizioni in cui non riusciamo a eseguire due compiti in contemporanea. Di solito, più
i compiti sono simili, più è difficile, o più sono impegnativi dal punto di vista cognitivo, non automatizzati,
più diventa difficile portarne avanti due in contemporanea.
ATTENZIONE SELETTIVA
L’attenzione selettiva è la capacità di selezionare una o più fonti della stimolazione in presenza di
informazioni in competizione tra loro. Quando abbiamo più informazioni che giungono ai nostri organi di
senso, l’attenzione selettiva è quel meccanismo che ci permette di selezioanare le informazioni per me
rilevanti ed escludere quelle che non lo sono.
 L’attenzione selettiva è quindi la capacità di concentrarsi sull’oggetto che ci interessa e di elaborare in
modo privilegiato le informazioni rilevanti per gli scopi che perseguiamo.
L’informazione cui si presta attenzione è selezionata ed elaborata in modo più efficiente e ha accesso alla
coscienza, ovvero diveniamo consapevoli di questa informazione. Finché riusciamo a focalizzarci su un
elemento e selezionare in maniera curata quel tipo di informazione, di questa noi siamo consapevoli.
L’attenzione selettiva può riguardare diversi fenomeni:
 informazione in una data modalità sensoriale (visiva, acustica, ecc)
 informazione presente in una certa zona (attenzione spaziale)
 specifiche caratteristiche (selettiva per colore o per forma)
 classi o categorie (es: persone o edifici)
 movimenti del corpo (attenzione motoria, mi focalizzo in maniera selettiva su un determinato
movimento, una posizione, ecc.)
Possiamo selettivamente focalizzarci su informazioni molto specifiche che riguardano diversi
ambiti/settori.
L’effetto “Cocktail Party”
Riguarda l’abilità di focalizzarsi su uno specifico stimolo uditivo mentre si è immersi in un ambiente ricco di
altri stimoli simili (Cherry 1953).
Esempio: siamo ad una festa, parliamo con una persona e ad un certo punto ci sono altre persone vicino a
noi che fanno un altro discorso. Vi rendete conto che il discorso che stanno facendo i vostri vicini vi colpisce
per qualche motivo. A quel punto, nonostante ci sia una situazione confusa, noi riusciamo ad escludere una
serie di informazioni e focalizzarci in maniera selettiva su ciò che ci interessa. Riusciamo comunque a
selezionare un tipo di informazione nonostante l’ambiente ricco di stimoli.
Questo fenomeno può essere studiato con il paradigma
dell’ascolto dicotico, che ci permette di capire come
usiamo questi filtri attentivi. Questo paradigma consiste
nel presentare a un soggetto due tracce audio diverse
(informazioni diverse) ai due orecchi, invitandolo a
concentrarsi su una sola delle due conversazioni. Al
partecipante vengono poste delle domande su entrambe
le storie.
Le persone sono in grado di riferire molti dettagli relativi
alla traccia su cui si sono focalizzati, mentre dell’altra non
elaborano quasi nulla (contenuto del discorso, genere del
narratore, lingua,…).
• “La Teoria del Filtro” (Broadbent, 1958)
Basandosi su questi studi, Broadbent (1958) ha elaborato la propria teoria relativa a questo fenomeno
(attenzione selettiva) e ha ipotizzato che ci sia una sorta di un filtro che blocca l‘elaborazione del messaggio
da ignorare, permettendo solo alle informazioni alle quali si presta attenzione di accedere alla
consapevolezza.
Questa teoria sostiene un modello di selezione precoce dell’informazione, poiché il filtro seleziona gli
stimoli in entrata a un livello precoce di elaborazione dell’informazione uditiva.
Filtro precoce che interviene all’inizio della catena di eventi che dopo portano alla consapevolezza di queste
informazioni.
1. Gli stimoli in entrata (in entrambe le orecchie) vengono analizzati sulla base delle loro caratteristiche
fisiche e immagazzinati temporaneamente.
2. Un filtro seleziona lo stimolo che può accedere ad uno stadio di elaborazione più sofisticato.
3. Lo stimolo selezionato viene elaborato dal sistemapercettivo e guida la risposta.

Traccia 1

FILTRO
Memoria
Sensoriale Percezione Risposta
Traccia 2

Entrambe le
orecchie vengono investite da queste informazioni/stimoli che arrivano alla memoria sensoriale, vengono
immagazzinate per un brevissimo periodo di tempo, ma subito dopo ci sarebbe un filtro attentivo che non
permetterebbe di percepire a traccia n. 2. Gli stimoli in entrata verrebbero analizzati sulla base delle loro
caratteristiche fisiche, verrebbero comunque introdotti nel nostro sistema cognitivo, immagazzinati
temporaneamente e poi filtrate, in modo che vengano selezionati gli stimoli che passeranno alla fase di
elaborazione più avanzata (arrivano alla nostra consapevolezza) e quelli da escludere.

ATTENZIONE DIVISA
L’attenzione divisa è la capacità di prestare attenzione contemporaneamente a più stimoli. Questa
capacità dipende dalla difficoltà cognitiva del compito e dalla distribuzione delle risorse attentive. Il
“multitasking” è difficile, soprattutto se i compiti sono cognitivamente impegnativi. Ciononostante, non è
impossibile. Ci sono infatti dei compiti che richiedono un livello di attenzione minima e che facciamo in
maniera semi-automatica per cui non ci disturba più di tanto doverci divider/focalizzare tra più compiti.
Ad esempio, un giocatore di scacchi esperto può giocare contro uno inesperto e contemporaneamente
ascoltare della musica, l’attenzione viso-spaziale necessaria negli scacchi non interferisce più di tanto con
l’ascolto della musica, mentre l’inesperto deve concentrarsi esclusivamente sulla partita e qualunque
distrazione gli sarà particolarmente gravosa.
Viene favorita dall’automatizzazione di un compito, conseguentemente alla sua pratica. Ad esempio, nelle
fasi iniziali di apprendimento della guida si è estremamente concentrati, mentre quando l’attività si
automatizza possiamo ascoltare la radio o conversare con i passeggeri senza troppe interferenze sul
compito principale. Guidare implica tutta una serie di procedure che all’inizio vanno fatte in modo
consapevole. L’automatizzazione di una procedure permette di liberare delle risorse attentive per svolgere
altre attività (che non entrino in conflitto con quella principale).
Altro fattore facilitante è la diversità dei segnali. Ad esempio, si può parlare al telefono e guardare la tv
senza volume, ma è alquanto complesso parlare al telefono e seguire quanto detto alla tv ad audio acceso.
In questo caso bisogna fare un cambio continuo da un canale all’altro. Non riesco a sentire due cose in
contemporanea, quindi devo spostare lo focus attentivo, per una breve frazione di secondo, da l’uno
all’altro canale.
Più i segnali sono diversi, più è facile

ATTENZIONE SOSTENUTA
L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere un adeguato livello attentivo durante compiti prolungati
nel tempo.
Esempio: seguire una lezione, guidare a lungo, lavorare alla catena di montaggio, ecc. Attività che
richiedono un sforzo attentivo prolungato e sono difficili da sostenere. Infatti, questo può portare a degli
errori in catena di montaggio o durante la guida, quando si fa per molte ore di seguito.
Il mantenimento dell’attenzione sostenuta senza commettere errori varia (anche) in funzione dalle
caratteristiche dello stimolo.
Se lo stimolo da monitorare è frequente (quanto spesso avviene) ed intenso (quanto è forte lo stimolo), il
mantenimento dell’attenzione sostenuta è facilitato (maggior vigilanza). Al contrario, per stimoli poco
frequenti e di bassa intensità il mantenimento dell’attenzione sostenuta è più difficoltoso.
Attenzione sostenuta a scuola: come migliorarla?
Gli insegnanti dovrebbero trovare delle strategie/modalità per cercare di tenere sempre l’attenzione alta e
facilitare quindi l’attenzione sostenuta (filmati, immagini, domande, tono modulato e non piatto).
Alcune caratteristiche del compito facilitano il mantenimento dell’attenzione sostenuta per tutta la sua
durata:
• salienza: sono più salienti le figure rispetto alle parti scritte, in particolare quelle a colori;
combinare ad esempio testo scritto a immagini e colori accesi.
• interattività: una situazione interattiva migliora le prestazioni attentive, aiuta a regolare la vigilanza
e la motivazione (no lezioni passive);
• difficoltà: il compito proposto deve essere sufficientemente impegnativo da coinvolgere
l’attenzione, ma non troppo complesso (potrebbe sfiduciare, bisogna mettersi nei panni dei propri
studenti al fine di trovare il giusto compromesso).
Distraibilità
Le “distrazioni” sono causate dall’involontario ridirezionamento dell’attenzione da un comportamento
orientato a uno scopo (es: ascoltare la lezione in classe) ad altri aspetti dell’ambiente (es: rumori esterni,
compagni che chiacchierano, ecc.)
Ci si distrae quando il processo di direzionamento dell’attenzione guidato dallo stimolo esterno (bottom-up)
prevale sul processo di focalizzazione dell’attenzione volontario (top-down). È come se entrassero in
conflitto. Abbiamo un sistema esogeno e uno endogeno e col passare del tempo il sistema endogeno perde
di efficacia e quindi è più semplice che ci siano degli stimoli esterni (esogeno) che richiamino l’attenzione
piuttosto che dall’altro scopo (spostamento del focus attentivo). Quando dobbiamo fare un’azione
prolungata nel tempo la mente inizia a vagare – Mind wondering (ci si distrae) – ma questo fenomeno può
essere prevenuto richiamando l’attenzione delle persone, facendo delle pause, ecc.

ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) - (Non affidarsi sempre alle etichette, bensì alle
persone)
Potrebbero esserci delle situazioni in cui ci sono degli alunni con delle difficoltà particolari che hanno un
vero disturbo relativo all’attenzione. Il disturbo del comportamento più diagnosticato nell’infanzia: si stima
che, nel mondo, colpisca tra il 3% e il 5% dei bambini. È caratterizzato da distraibilità, impulsività,
cambiamenti d’umore, irascibilità, ipersensibilità allo stress, difficoltà di pianificazione ed esecuzione dei
compiti, difficoltà relazionali. Attualmente le percentuali di diagnosi sono piuttosto elevate, ma in alcuni
casi si tratta di un disturbo non particolarmente gravoso.
Non esiste una causa certa ma si sospetta abbia una base genetica, altri fattori di rischio sono: fattori
prenatali (fumo in gravidanza, infezioni) e fattori traumatici e ambientali.
Esistono tre sottotipi del disturbo:
1. ADHD con predominanza di disattenzione
2. ADHD con predominanza di iperattività/impulsività
3. ADHD di tipo combinato (sia disattenzione che iperattività)
Tra il 50%-87% dei soggetti con ADHD presenta almeno un altro disturbo psichico in comorbidità (disturbi
d’ansia, dell’umore, di personalità). Possono esserci divers tipolgie di persone e di disturbo. Potrebbero
esserci persone con ADHD con predominanza di disattenzione o persone con predominanza di iperattività e
impulsività. Si può anche avere un tipo di ADHD combinato.
Il trattamento del disturbo prevede diversi interventi, secondo un approccio multimodale:
1. Parent training: strutturare un ambiente familiare che favorisca l’autoregolazione del bambino.
Questo va fatto in funzione della situazione specifica, è un lavoro che dev’esser fatto da
professionisti che lavorano nell’ambito e hanno competenze specifiche.
2. Teacher training: formazione degli insegnanti su strategie e tecniche funzionali, da utilizzare nei
confronti dello studente con ADHD
3. Intervento sul bambino/adolescente: psicoterapia (terapia di tipo psicologico) + trattamento
farmacologico (se necessario)
Si prova a intervenire attraverso più modalità genitori, l’insegnante e il bambino/ragazzo stesso.

3) MEMORIA
Dal punto di vista evolutivo, la memoria si è sviluppata assieme alle altre capacità cognitive, fornendo agli
esseri umani un altro “strumento” per affrontare la complessità dell’ambiente. La memoria è
fondamentale, senza di essa non avremmo consapevolezza di noi stessi.

 La memoria organizza l’aspetto temporale del comportamento, determinando i legami per cui un evento
attuale dipende da uno accaduto in precedenza. Si tratta di uno strumento importantissimo che ci permette
di essere consapevoli del nostro passato, presente e futuro.
Esempio: voi oggi siete a lezione perché potete ricordare che nei mesi scorsi avete scelto di frequentare
questo corso

La parola memoria può far supporre che nel nostro cervello esista un sito/una sezione nel quale vengono
raccolti e catalogati i dati. In realtà la memoria non è un elemento statico, inoltre è distribuita in varie
aree del cervello. La memoria è un elemento dinamico, le nostre informazioni sono in continuo
“aggiornamento”, abbiamo una costante perdita di informazioni che vengono in qualche modo integrate e
riorganizzate quando recuperiamo quei ricordi. La memoria è costantemente attiva. Abbiamo una sorta di
“magazzino” ma questo non è immune a dei cambiamenti che possono avvenire ai nostri ricordi.

 La memoria è costantemente al lavoro nel guidare i nostri pensieri e le nostre azioni, perché non esiste
azione o condotta che avvenga in assenza di memoria.
 La memoria ci permette di collegare eventi del passato al comportamento presente e alla pianificazione
del futuro. Non ci ricordiamo tutto, perché possiamo prestare attenzione solo ad una limitata quantità di
informazioni per volta.Ai nostri organi di senso arrivano tante informazioni, ma solo una parte arriva alla
nostra consapevolezza e viene filtrata dall’attenzione. Di conseguenza, quello che viene immagazzinato in
memoria è una selezione della stimolazione; tale selezione viene fatta sulla base di ciò che ci ha colpiti
sensorialmente, cognitivamente e/o emotivamente. Solo queste informazioni vengono elaborate e passano
quindi nel nostro “archivio”. (attenzione limitata  memoria limitata)
Tale “archivio” non serve solo per depositare e recuperare le tracce mnestiche, le informazioni acquisite,
ma viene costantemente modificato sulla base delle nuove informazioni in arrivo.
Esperienza continua e sulla base di questa continuiamo ad aggiornare le informazioni che già possediamo.

Certi ricordi possono essere recuperati senza alcun limite di tempo. Ricordare qualcosa, però, non vuol dire
aprire un file che è stato archiviato nell’hard disk del nostro computer di molti anni fa, che risullterebbe
esattamente uguale. Se recupero un ricordo di molti anni fa non sarà mai così come l’ho memorizzato,
bensì avrà una struttura verosimile/plausibile, ma tanti dettagli non ci saranno più.
Il recupero è l’esito di un percorso di ricostruzione di tracce secondo le stesse chiavi (sensoriale, cognitiva
o emotiva) che avevano portato sia all’immagazzinamento dell’informazione che alla sua successiva
elaborazione in memoria. Queste saranno simili, a volte anche diverse, ma non coincidenti con quelle che
avevo memorizzato .
Non esiste la possibilità dir iaprire una copia fedele di un ricordo e portarlo alla nostra memoria lavoro,
quindi alla nostra consapevolezza, esattamente com’era stato memorizzato. Recuperiamo una parte di
informazioni, ma non tutte.
I meccanismi mnestici
Esistono tre principali categorie di processi:

 fase di acquisizione e codificazione


 fase di ritenzione e immagazzinamento
 recupero

1. ACQUISIZIONE E CODIFICAZIONE (come acquisire informazioni e codificarle/ memorizzarle)


Processo di ricezione del segnale e traduzione in una rappresentazione interna registrabile in memoria.
Quando le informazioni giungono alla nostra consapevolezza, queste vengono elaborate dai nostri organi di
senso e superano il filtro dell’attenzione, per poter poi essere memorizzate.
Dall’enorme massa di materiale in arrivo, viene selezionato quello saliente e poi viene compiuto un lavoro
di etichettatura per classi di caratteristiche (sensoriali, cognitive ed emozionali) in modo da strutturare
l’esperienza e registrarla.
“Archiviamo” le informazioni per categoria  molto importante per la fase di recupero.

Per memorizzare le informazioni utilizziamo diversi codici, tanti canali diversi. Questo ci permette di avere
più strade e strumenti per poter fissare le inforazioni e i ricordi.
Diversi formati di memorizzazione di un testo:

 codice visivo, ricordando la disposizione delle parole in paragrafi o gruppi, oppure visualizzando le
immagini degli oggetti richiamati dalle parole;
 codice acustico-verbale, leggendo ad alta voce o subvocalizzando le parole si converte la scrittura
in codice verbale;
 codice semantico, traducendo le parole nel loro significato e usando una connessione logica,
acquisendo quindi i concetti. Questo è quello che fa realmente capire il testo. Permette di creare
connessioni logiche tra concetti.

Altri codici utilizzati per la memorizzazione: tattile, gustativo, olfattivo, emozionale, motorio, propriocettivo;
ecc. Più codici si utilizzano più è probabile che quell’informazione/quell’esperienza arrivi alla memoria a
lungo termine. Poiché esiste una pluralità di codici nei quali un’esperienza può essere tradotta e acquisita
in memoria, ne deriva che essa viene registrata in modo diverso per ogni individuo, quindi l’esperienza
soggettiva è singolare. Ogni esperienza può essere registrata in modo diverso da ogni individuo. Ad
esempio ognuno ha le sue strategie per studiare/acquisire delle informazioni.

Esistono tuttavia leggi di carattere generale che determinano quali segnali entrano nel sistema e come le
configurazioni di stimoli si organizzano nella memorizzazione. Sono stati fatti molti studi sulla memoria e sul
suo funzionamento.

L’elaborazione
Il nuovo segnale, le nuove informazioni che arrivano al nostro sistema vengono collegato con altre
informazioni già incamerate, oppure con mete o propositi di azione rispetto ai quali l’informazione appare
rilevante. Questa operazione di collegamento di iqueste informazioni con altre che già possiedo viene
chiamata elaborazione. L’elaborazione può essere di più tipi: intenzionale oppure incidentale.

• Elaborazione intenzionale: cercare volontariamente e consapevolmente strategie per ricordare; es:


per tenere a mente la lista della spesa.Cerchiamo in maniera volontaria di ricordare tutta una serie
di informazioni e di tenerle a mente in maniera consapevole/intenzionale.
• Elaborazione incidentale: memorizzare in modo involontario ed inconsapevole, rendendosene
(eventualmente) conto a posteriori; es: ricordare i mobili della casa di un amico. Può darsi che non
riusciamo liberamente a recuperare un certo tipo di informazione, ma qualcosa che vediamo ad
esempio ci ricorda altre cose.
Soprattutto a livello scolastico, l’elaborazione che maggiormente ci interessa è quella intenzionale.
Il processo di elaborazione intenzionale parte da una forma di ripasso di mantenimento (o reiterazione,
ripetizione, rehearsal) del materiale in formato visuo-spaziale o fonologico, a seconda che si tratti
rispettivamente di immagini o parole. È una ripetizione meccanica che in genere ha lo scopo di mantenere
l’informazione disponibile in memoria quando serve per svolgere altri compiti (es: numero di telefono).
Tuttavia non si tratta di una strategia per ricordare qualcosa a lungo termine. - elaborazione superficiale
degli stimoli

Contrapposto al ripasso di mantenimento abbiamo il ripasso elaborativo (Craik e Watkins, 1973), che ha lo
scopo di mantenere l’informazione disponibile per il tempo necessario affinché venga compresa,
organizzata ed integrata con le conoscenze già possedute (es: studio). Questo è il ripasso da fare quando
studiamo, processo che ci permette di ricordare nel tempo e memorizzarle.  elaborazione molto più
profonda

La profondità di elaborazione (Craik e Tulving, 1975) è definita come la misura di quanto l’elaborazione si
sposta dagli aspetti superficiali dell’informazione a quelli concettuali. Ci si sofferma sul concetto che la
parola veicola. Tanto più l’elaborazione si focalizza su aspetti relativi al significato, tanto più efficace sarà la
codifica. Per codificare realmente l’informazione dobbiamo rifarci il concetto che viene veicolato da quella
parola/frase/ecc. L’elaborazione semantica è più efficace ai fini del ricordo perché comporta la
rappresentazione di molti particolari relativi all’informazione, che possono costituire altrettanti legami con
le conoscenze già presenti in memoria. Noi dobbiamo creare una sorta di rete e ogni volta che acquisiamo
un’informazione, più riusciamo a collegarla ad altre informazioni che abbiamo, più sarà profonda
l’elaborazione più duraturo sarà quel ricordo.

2. RITENZIONE ED IMMAGAZZINAMENTO
La ritenzione è la stabilizzazione nel tempo dell’informazione acquisita in memoria, in quanto codificata
ed elaborata. Una volta acquisite e codificate, le informazioni devono essere stabilizzate nel tempo.
L'informazione tende a essere persa quando non può essere immagazzinata secondo nessi logici o agganci
che la connettano ad altre informazioni già in memoria, oppure quando non viene periodicamente utilizzata
e recuperata. Questo processo è strettamente legato all’acquisizione.

3. RECUPERO
Recupero dell’informazione archiviata in memoria. Due modalità:

 Rievocazione: riprodurre/riproporre in modo volontario l’informazione registrata in memoria. Ad


esempio quando si fa un’interrogazione o una domanda aperta ad uno scritto. Lo studente deve
sforzarsi per produrre qualcosa recuperandolo dalla propria memoria a lungo termine.  processo
più compesso che richiede un maggiore sforzo, più difficile da un punto di vista cognitivo.
Può essere fatta più facilmente se io ho una connessione stabile tra quelle informazioni acquisite e
le altre connessioni che possedevo, se ho avuto un’elaborazione profonda (se ho studiato la
tematica in maniera approfondita) e ho quindi consolidato un ricordo in modo più duraturo.
 Riconoscimento: rendersi conto di avere già avuto contatto con un dato stimolo attraverso un
confronto fra lo stimolo che ci è proposto e le informazioni presenti in memoria. Si tratta ad
esempio di fare un conronto tra un input che ho atraverso il test e le informaizoni presenti nella mia
memoria. (Meccanismo su cui sono basate le domande a risposta multipla) 

I fallimenti della memoria


La memoria può fallire durante ciascuno dei 3 processi. Il non ricordare qualcosa, infatti, può dipendere dal
fatto che:
 vi abbiamo prestato scarsa attenzione al momento della stimolazione (difetto di acquisizione);
 che eravamo impegnati contemporaneamente in altre cose che si sono sovrapposte e ne hanno
impedito la registrazione (difetto di ritenzione); acquisisco l’informazione ma non riesco a trasferirla
nella memoria a lungo termine.
 che non abbiamo usato la strategia migliore per ritrovare il ricordo (difetto di recupero). Ho
acquisito e memorizzato l’informazione ma non riesco a recuperarla.
Es. Il fenomeno “sulla punta della lingua” (tip of the tongue) consiste nella difficoltà di rievocare una
specifica informazione ben conosciuta.

La causa è un’inibizione indotta dal recupero: il richiamo di un elemento appartenente a una data categoria
inibisce temporaneamente il richiamo di altri elementi appartenenti alla stessa categoria.

I disturbi della memoria


I disturbi della memoria compaiono frequentemente nei casi di lesione cerebrale. La perdita della
memoria viene chiamata amnesia.
L’amnesia si classifica soprattutto in due modi, prendendo come riferimento il momento in cui il
danno cerebrale si è verificato:

 amnesia retrograda: riguarda gli eventi accaduti prima del danno cerebrale. Questa riguarda
chiunque abbia una lesione cerebrale (dovuta ad esempio ad un incidente, a un ictus, ecc,)
in seguito alla quale la persona non riesce più a ricordare gli eventi accaduti prima del
danno  perde una serie di ricordi legati al passato
 amnesia anterograda: riguarda l’incapacità di ricordare riguarda eventi che accadono dopo
che il danno si è verificato. Non riescono a consolidare nuovi ricordi. Queste persone
perdono la capacità di trasferire nuovi ricordi dalla memoria a breve termine alla memoria a
lungo termine e viene quindi persa la capacità di acquisire nuove informazioni.
Ebbinghaus
Ebbinghaus (1885) fu il primo ricercatore a studiare la memoria con metodi scientifici.
Egli decise di indagare la memoria con degli stimoli che fossero il più possibile semplici, così da studiarei
meccanismi più basilari della memoria.
Ebbinhaus utilizzò quindi delle sillabe senza senso (trigrammi consonante- vocale-consonante) che
costituiscono stimoli privi di valenza linguistica e che, pertanto, dovrebbero elicitare il meccanismo più
elementare di memorizzazione.

Dai dati ricavò la cosiddetta curva dell’oblio, di forma asintotica:

N.ro sillabe
ricordate

tempo

Si evidenzia che, una volta memorizzata una serie di stimoli (es: 16 stimoli), la rievocazione presenta un
numero di sillabe ricordate che decresce rapidamente nelle prime ore dopo l’apprendimento. Dopo un
giorno se ne ricorda solo circa il 30%. Nei giorni successivi il calo continua, ma rallenta (la decrescita, il
numero di sillabe ricordate).
Una memorizzazione basata solamente sulla ripetizione è estremamente dispendiosa, inadatta quindi per
studiare certi materiali, come ad esempio il contenuto di un libro.
Gli stimoli dotati di significato sono elaborabili in strutture e sequenze logiche. Non sono associazioni
passive ma attive, perché gli stimoli vengono collegati logicamente. Al contrario delle sillabe usate da
Ebbinghaus, gli stimoli dotati di significato diventano una sorta di "Gestalt" e costituiscono una chiave sia
per la codifica che per il recupero, ci danno un’informazione, un messaggio, non è una semplice sequenza di
lettere.

Studiare le singole sillabe sarebbe un po’ come


immaginarci il triangolo di Kanizsa scomposto nei suoi
singoli elementi. In realtà noi ci ricordiamo la parola nel
suo complesso, che dà vita ad un’informazione più
Lo tri go an Triangolo complessa.

Sillabe vs parole. Metafora Gestalt

Specificità di codifica
Quando ci serve un’informazione, utilizziamo in genere una o più chiavi di accesso a quel ricordo, partendo
da un indizio che ce la/le fornisce. Quando ci serve un’informazione partiamo da un punto e cerchiamo di
ricostruire quel ricordo. La codifica di un’informazione non è univoca, ma specifica rispetto al contesto in
cui è collocata. Un determinato ricordo ha tutto un insieme di informazioni, ricordarne una permette di
accedere alle altre collegate al contesto/alla situazione. Quanto più contesto di codifica e di recupero sono
simili, tanto più il recupero è facilitato.
Ad esempio, come ricordarsi di una persona conosciuta durante una cena?
• Notizie sulla persona: elementi connessi al contenuto da ricordare
• Il ristorante: contesto ambientale
• L’atmosfera: contesto emotivo
• Pensieri e dialoghi (es. impressione personale o discorso a tavola): contesto cognitivo
Il contesto cognitivo si riferisce a tutte quelle conoscenze, associazioni, idee che sono attivate nel momento
della memorizzazione.
Anche lo stato emotivo in cui ci si trova al momento della memorizzazione influisce sul ricordo : se sono
allegro, tenderò ad elaborare gli aspetti piacevoli delle situazioni; al contrario, se sono triste e arrabbiato
tenderò ad elaborare gli aspetti meno piacevoli.
Rievocazione di storie
Per quando riguarda la rievocazione dei ricordi e la memoria episodica, quanto accennato prima riguardo al
processo di ricostruzione effettuato dalla nostra memoria a lungo termine può essere studiato in maniera
efficace tramite la rievocazione di storia. Attraverso il paradigma della rievocazione di storie è stato visto
che le persone tendono ad omettere dei dettagli, soprattutto quelli incoerenti con la comprensione che il
soggetto ha avuto della storia.
Bartlett ha studiato la rievocazione di storie a distanza variabile dal momento della lettura ed ha trovato
che i principali processi di trasformazione attiva del ricordo sono:
 omissione di dettagli, specie quelli incoerenti con la comprensione che il soggetto ha avuto della
storia;
 razionalizzazione, per rendere la storia più chiara e coerente, anche introducendo elementi non
esistenti che fungono da integrazione e connessione; modifica inconsapevole della storia
 alterazione di ordine (sequenza dei fatti) e di rilievo (importanza di questi), in genere in rapporto alle
esperienze personali e in modo più rilevante nel caso di storie poco coerenti e mal strutturate;
 distorsioni di tipo affettivo ed emozionale, che rendendo talvolta la rievocazione inattendibile (es:
testimonianza oculare).
La rievocazione in generale degli episodi è sempre falsata da molti elementi e quindi poco attenibili. Fa
parte del nostro essere, non riusciamo a ricostruire alcuni elementi in maniera fedele.

MODELLO COGNITIVISTA
L’approccio cognitivista prevede che ci sia questa analogia tra il cervello e il computer. In qualche modo si
paragona la mente all’ hardware di un computer e i processi cognitivi al software.
L'approccio chiamato Human Information Processing (Neisser, 1967) si basa sull’analogia con il computer:
quest'ultimo funziona seguendo le regole e i limiti dell’hardware e del software, allo stesso modo la
cognizione umana (e quindi anche la memoria) avrebbe regole e limiti che dipendono dalla sua struttura e
dalle informazioni già presenti nel sistema

Input (stimolo)  Elaborazione dell’input  Processi di immagazzinamento  Processi di recupero

Il processo di recupero, come abbiamo già detto, non è come quello di un computer, non è sufficiente
aprire un file del passato per ritrovare le stesse informazioni. Come paragone più o meno regge, ma non è
attendibile del tutto.
L’approccio cognitivista propone un modello della memoria a 3 fasi, nel quale la memoria viene concepita
come un processo plurimodulare: tutte le informazioni che giungono al sistema arrivano a dei punti di
controllo, dove hanno luogo delle elaborazioni del segnale che lo rendono più o meno atto ad essere
memorizzato. Il principio generale di organizzazione della memoria è costituito da 3 moduli mnestici (o
“tipi” di memoria) che vediamo di seguito.
Modello della memoria elaborato da Atkinson e Shiffrin (1968)
Registro sensoriale MBT Reiterazione MLT

Componente
visivo, uditivo, Dichiarativa e non
fonologica e Codifica
Stimolo ecc. Attenzione dichiarativa
visuo-spaziale
Recupero

Oblio per decadimento Oblio per decadimento Oblio per


o interferenza o interferenza interferenza o per
l’andare del
tempo
Questo costituisce la base di quello che oggi noi crediamo sia valido relativamente al funzionamento della
memoria (come struttura generale di base). Ci sono state però delle evoluzioni successive relative al
secondo modulo.
Come funziona? L’idea è che ci siano questi tre “magazzini”/macroaree: Registro sensoriale, Memoria a
breve termine e Memoria a lungo termine. Abbiamo degli stimoli in ingresso, delle informazioni ambientali
che colpiscono i nostri organi di senso e vanno a riempire il registro sensoriale (specifico per ogni modalità,
registro sensoriale come dei magazzini ampi con grande capacità di incamerare le informazioni, ma le
informazioni che arrivano qui decadono dopo pochi secondi se non c’è il processo attentivo). Grazie
all’attenzione, una parte di queste informazioni passa alla nostra consapevolezza. Senza l’attezione, le
informazioni vanno perse. Nel registro sensoriale possiamo avere un oblio per decadimento o per
interferenza. Invece, le informazioni che arrivano al nostro registro sensoriale e vengono trattenute, grazie
all’attenzione, possono essere traslate ad un livello di elaborazione più alto e quindi trasferite alla memoria
a breve termine (memoria di lavoro). In queso secondo stadio avremmo una capacità di incamerare delle
informazioni piuttosto limitata, pochi elementi possono essere memorizzati. La nostra memoria a breve
termine può tenere fino a 7 elementi, di più potrebbero sfuggire. Anche in questo caso, se smettiamo di
reitare/ripetere gli elementi memorizzati, potrebbe presentarsi un oblio per decadimento o interferenza
che va a congliffere con la MBT. Per mantenere quindi delle informazioni nella memoria a breve termine
dobbiamo utilizzare la strategia del ripasso elaborativo, ossia della reiterazione. Infine, se usiamo le parole
della MBT e colleghiamo quelle informazioni, ripetendole, ad altre conoscenze già acquisite e fisse nella
MLT riusciamo a codificare queste informazioni e ad acquisirle, consolidarle, e trasferirle dalla MBT alla
MLT. Inoltre, la Memoria a lungo termine (l’archivio) ha diversi “sotto-magazzini”.
L’oblio per decadimento del Registro sensoriale differisce da quello che può presentarsi nella MBT, il primo
si presenta dopo pochi secondi se le informazioni non vengono elaborate a livello attentivo, mentre la MBT
ha una durata maggiore. Se non continuo a reiterare l’elemento da memorizzare la MBT lo trattiene
comunque per 20-30 secondi. (differenza temporale)

I) REGISTRO SENSORIALE
Il primo modulo registra molte informazioni, ma le trattiene per un tempo molto limitato. È chiamato
registro sensoriale e corrisponde alla capacità di acquisizione e trasmissione del segnale che entra nel
sistema. Le informaizoni che provengono da mondo esterno arrivano ai nostri organi di senso e, anche se
per un tempo limitato, di fatto per questo tempo sono potenzialmente processabili dal nostro cervello.
Queste entrano nel nostro registro sensoriale e se interviene l’attenzione queste informazioni possono poi
transitare dal registro sensoriale alla MBT.
Le informazioni sono difficilmente accessibili quando esiste un’interferenza nei segnali in arrivo e
l’attenzione non è ben focalizzata. Ad esempio quando ci sono più fonti d’informazione che utilizzano lo
stesso canale può essere difficile accedere a questo tipo di informazioni, a meno che non intervenga
l’attenzione. Questa ci permetterebbe di portare tali informaizoni ad uno stadio successivo di elaborazione.
L’informazione che entra nel nostro “sistema” attraverso un organo di senso (occhio, orecchie, ecc.) viene
immagazzinata nel registro sensoriale. Questo conserva per un breve lasso di tempo una registrazione quasi
“letterale” dell’immagine sensoriale. La memoria sensoriale è specifica per ciascuna modalità sensoriale:
 vista  magazzino iconico < 1 sec (nella modalità visiva le informazioni restano per circa 1 sec)
 udito  magazzino ecoico ~ 2 sec (nella modalità uditiva le info restano per circa 2 sec)
Tempo molto ristretto in cui queste informazioni possono accedere agli stadi successivi di elaborazione.
Se vogliamo conservare l’informazione dobbiamo trasferirla nel deposito a breve termine. Nel momento in
cui interviene l’attenzione, le informazioni possono essere trasferite al secondo modulo: la MBT.
Nel quotidiano ci possiamo rendere conto della memoria sensoriale quando ad esempio qualcuno ci parla e
poi si rende conto che noi non stiamo ascoltando. Se l’interlocutore ci chiede di ripetere cosa stava dicendo
e la nostra attenzione viene spostata su di esso, a quel probabilmente riusciamo a recuperare ciò che è
successo nei secondi precedenti e potremmo racimolare delle informazioni riguardo a quello che la persona
stesse dicendo, ricostruendone gli ultimi secondi di dialogo.

II) MEMORIA A BREVE TERMINE


Il secondo modulo trattiene le informazioni per un periodo maggiore (15-30 sec), ma la sua capacità è
limitata. Quest’ultima caratteristica distingue fortemente il registro sensoriale dalla MBT. Mentre il Registro
sensoriale acquisisce tantisisme informazioni per un periodo molto breve, la memoria a breve termine può
contenere poche informazioni per un periodo comunque breve (sempre maggiore del primo modulo).
Ciononostante, questa è il “cuore pulsante” del nostro cervello, è il meccanismo che ci permette di
elaborae le informazioni, ci permette di mettere insieme le informazioni immagazzinate nella MLT con
quelle che stiamo acquisendo dall’ambiente ed elaborare le informazioni nel presente e fornire ad esempio
un output nel momento in cui sto parlando.  capacità e durata brevi
Viene detto memoria a breve termine o memoria di lavoro. La durata non supera di norma i 15-30 secondi
e gli elementi che possono essere memorizzati sono 7 ± 2. In media, siamo in grado di mantenere circa 7
elementi nella nostra memoria a breve termine. Il numero assoluto di elementi aumenta se essi vengono
organizzati in gruppi (chunks). Se organizziamo le informazioni in unità/gruppi riusciamo a migliroare la
nostra capacità di memoria e aumentare gli elementi ed estendere la nostra memoria di lavoro  questi
gruppi si chiamano “chunks”= unità di informazione.
Se non interviene un’elaborazione attiva, il segnale viene dimenticato. Possiamo mantenere in vita le
informazioni presenti nella memoria a breve termine per un po’, ma se dopo non cerchiamo di elaorare
attivamente, in maniera intenzionale, di consolidare l’informazione nella nostra memoria, allora questa si
perde.
Nella memoria a breve termine si elaborano i processi mentali coscienti.La nostra consapevolezza I,
l’informazione che stiamo elaborando in un dato momento la stiamo elaborando a livello di MBT.
Esempio: leggiamo un libro/guardiamo un film, quelle informazioni le acquisiamo attraverso la MBT.
Se vi si presta costantemente attenzione oppure la si ripete, l’informazione verrà conservata per un tempo
indefinito, come avviene quando si guarda un numero di telefono e lo si ripete mentre si attraversa la
stanza per arrivare all’apparecchio. Quando abbiamo delle informazioni, es. numero di telefono e le
ripetiamo costantemente, riusciamo a manterle in vita nella nostra memoria per un certo intervallo di
tempo. Nel momento in cui smettiamo di ripetere o veniamo interrotti, l’informazione svanisce. Mentre se
protratta nel tempo, la ripetizione può portare all’elaborazione di quell’informazionee quindi farla passare
dalla MBT alla MLT.
Ognuno di noi esercita un buon controllo su quello che vogliamo ripetere o su ciò cui dedichiamo
l’attenzione. Riusciamo a intervenire sulla MBT, ne abbiamo il controllo, tranne ovviamente se ci sono delle
interferenze.
La capacità del deposito a breve termine può essere aumentata tramite l’uso di chunks (unità di
informazione). Possiamo raggruppare le informazioni in unità = strategia che ci permette di codificare
meglio le informazoni e aumentare le capacità della nostra memoria. Ricordare le informazioni diviene
ancora più facile se riusciamo ad associare loro anche un significato. Tuttavia, resta il limite delle 7 unità.
Anche se raggruppo le informazioni in unità più ampie, tendenzialmente non riesco comunque a superare
questo numero.
Esempio: possibilità di codificare una sequenza di numeri ascoltati (5-3-7-4-1-9) in unità più ampie (53-74-
19).
• Miller e “The Magical number seven, plus or minus 2”
Un ricercatore che ha svolto un ruolo determinante nella ricerca di questa capacità è George Miller (1956),
che ha riportato i risultati del suo lavoro sperimentale in un articolo dal titolo “The magical number seven,
plus or minus two”.
In questo articolo, Miller ha dimostrato che la MBT sembra contenere 7 (± 2) elementi o raggruppamenti,
indipendentemente dalle loro dimensioni.
La capacità della MBT è influenzata dalla capacità dei soggetti di “raggruppare in pezzi” o “ricodificare”
l’informazione in unità di livello superiore.
La capacità di costruire raggruppamenti di informazione consente di aumentare le capacità di
contenimento dell’informazione.

• Baddeley e la “Working memory”


Nel 1986, Baddeley) ha proposto di sostituire il concetto di MBT con quello di memoria di lavoro o working
memory, più articolato di quello di Atkinson e Shiffrin del ’68. Baddeley parla della memoria di lavoro come
di un sistema gerarchico deputato al mantenimento e all’elaborazione temporanea delle informazioni
durante l’esecuzione di vari compiti cognitivi. Il sistema di memoria di lavoro secondo Baddeley sarebbe
organizzato in tre elementi principali:
 Il Sistema esecutivo centrale che coordina le attività e mette a lavoro altri due sistemi, organizza il
lavoro e le risorse necessarie per svolgere il proprio funzionamento.
 Il Ciclo fonologico
 Il Taccuino visuo-spaziale

La Componente fonologica è deputata al mantenimento e all’elaborazione di


informazioni verbali. Componente importante sia per la comprensione
linguistica che per fare i calcoli a mente, quindi le abilità matematiche.
All’interno di questa componente, Baddeley ha distinto tra un magazzino
passivo ed un processo articolatorio, connessi rispettivamente con la
percezione del linguaggio, più legati alla comprensione, e con la sua
produzione, processo articolatorio legato alla produzione del linguaggio.
 Sottosistema che elabora le informazioni
Componente visuo-spaziale, invece, è deputata al mantenimento e
all’elaborazione dell’informazione visiva e spaziale. È importante nella lettura,
nella formazione di immagini mentali e nella pianificazione motoria. Questi
aspetti visuo-spaziali sarebbero elaborati da quest’altro magazzino.
(Questi due sono sotto-magazzini ciascuno specializzato nell’elaborazione di
certi aspetti, processi.)
L’Esecutore centrale è una sorta di controllore che coordina i due
sottosistemi, monitorando le operazioni in corso e pianificando quelle da
svolgere.Ha il compito di selezionare le strategie più adatte per il tipo di
compito in base alle esigenze contingenti e alle esperienze passate, ma anche di dosare le risorse
necessarie ad un sistema e all’altro, soprattutto in situazioni dove dobbiamo svolgere compiti più complessi
o in situazioni di “dual task”(due compiti in contemporanea).
Fornisce inoltre le risorse di elaborazione necessarie ai processi di codifica dell’informazione in entrata
nonché, essendo in rapporto diretto con la MLT, alla selezione degli item (le informazioni presenti nella
memoria a lungo termine) che devono essere richiamati per poter eseguire determinati compiti.
Esempio: quando svolgiamo delle operazioni di lettura o in matematica dobbiamo costantemente
richiamare dalla MLT una serie di competenze, regole, ecc. che abbiamo appreso – il SEC sarebbe quello
che richiama dalla MLT queste procedure e che coordina e mette queste informazioni a disposizione -.

III) MEMORIA A LUNGO TERMINE ( “Archivio” )


Il terzo modulo trattiene i dati senza limiti di tempo e viene denominato memoria a lungo termine.
È il risultato della registrazione stabile di quanto transitato per la MBT e di quanto è stato elaborato nella
memoria a breve termine. Non tutte le informazioni che arrivano in MBT transitano nella memoria a lungo
termine, ma sicuramente tutte le informazioni che abbiamo nella memoria a lungo termine devono essere
in qualche momento transitate per la memoria a breve termine.
Quando recuperiamo un’informazione dalla memoria a lungo termine significa che stiamo
essenzialmente trasferendo di nuovo l’informazione alla memoria a breve termine, dove possiamo
elaborarla a livello cosciente. La nostra memoria, il nostro archivio, dove noi raccogliamo tutte le nostre
informazioni, ma nel momento in cui dobbiamo lavorare su quelle informazioni noi andiamo nella memoria
a lungo termine e recuperiamo il faldone relativo alle informazioni che ci servono in quel determinato
momento e lo mettiamo sul nostro tavolo. La memoria a lungo termine ha sostanzialmente un duplice
ruolo:
 da un lato archivia le informazioni
 dall’altro fornisce il materiale alla memoria a breve termine nel momento in cui dobbiamo operare
su delle conoscenze che già abbiamo, o rievocare degli episodi che abbiamo catalogato nella nostra
memoria.
Il meccanismo più comune per trasferire un’informazione nella MLT consiste nella semplice ripetizione; un
altro meccanismo, più efficace e più economico, consiste nella ricodificazione del segnale in termini
semantici o di significato.
La MLT è la componente che conserva tutte le informazioni che abbiamo appreso.
In questa parte della memoria custodiamo vari tipi di informazioni: il nostro nome e quello degli amici, le
parole e il loro significato, le esperienze felici ed infelici, come si va in bicicletta, ecc.
Quanto più a lungo un elemento rimane nella MBT, tanto maggiori saranno le probabilità che passi alla
MLT. Quando trasferiamo un’informazione nuova dalla MBT alla MLT, stiamo attuando un processo di
memorizzazione. Quando recuperiamo un’informazione dalla MLT significa che stiamo, essenzialmente,
trasferendo di nuovo l’informazione alla MBT, dove possiamo elaborarla a livello cosciente.
L’informazione trasferita alla MLT vi resta (potenzialmente) per sempre, per un tempo indefinito
 Anche la semplice ripetizione può consentire un trasferimento alla MLT
 Per una memorizzazione più efficiente, i materiali nuovi devono essere codificati, strutturati ed
interpretati affinché possano crearsi delle connessioni tali da permettere una memorizzazione
duratura di queste informazioni.
 Il recupero delle informazioni è legato a come queste sono state codificate. Se ricordo un
episodio, le informazioni che sono legate ad esso aiuteranno a recuperare altre informazioni
associate a quel tipo di contesto/conoscenze che ho acquisito.
 Immagazzinare e recuperare informazioni richiede tempo e “fatica”.
 Se il materiale ha un senso, è più facile da immagazzinare e recuperare. Quando memorizziamo le
informazioni è importante catalogare il materiale in funzione della categoria a cui quel materiale
appaetiene  organizzare le informazioni secondo un determinato senso facilita sia la
memorizzazione che il recupero.

Le componenti della memoria


La Memoria a lungo termine è come se fosse un grande magazzino composto da più stanze nelle quali sono
catalogate informazioni diverse.
Una prima distinzione si può fare tra Memoria dichiarativa e Memoria non dichiarativa. La prima è una
memoria che contiene informazioni e che possiamo “verbalizzare”, di cui possiamo parlare; la seconda è
una memoria dove si trovano delle informazioni che sono in qualche modo implicite, che fanno riferimento
a delle memorie motorie/implicite.

Memoria dichiarativa
La memoria dichiarativa si divide a sua volta in :
 Memoria episodica: riguarda sostanzialmente le esperienze personali. Quando parliamo di
esperienze di vita vissuta, episodi passati, facciamo riferimento alla memoria episodica.
 Memoria semantica: dove cataloghiamo tutte le informazioni che noi conosciamo, come se fosse
una “conoscenza enciclopedica”, fondamentale nello studio. Quando studiamo cataloghiamo una
serie di informazioni all’interno della memoria semantica.
Memoria non dichiarativa
Questa si divide in:
 Memoria procedurale: include tutta una serie di procedure come guidare una macchina, andare in
bicicletta, ecc.
 Condizionamento classico
 Apprendimento non associativo
 MEMORIA EPISODICA

La memoria episodica conserva i ricordi riferiti a situazioni, eventi e


persone; alcuni sono di routine, altri si ripetono alcune volte nel corso della vita, altri ancora sono
unici. (fenomeni con una frequenza +- elevata, eventi unici/episodi particolari)
Questa è responsabile dell’immagazzinamento e del richiamo di informazioni e avvenimenti esperiti
direttamente dal soggetto, collocabili nel contesto spazio-temporale in cui si è realizzata
l’acquisizione. La memoria episodica è organizzata cronologicamente. Tendenzialmente, ciascuno
di noi ha la capacità di organizzare nel tempo le informazioni che ci sono capitate nella vita e
ricordare anche episodi specifici. La memoria episodica fa riferimento all’organizzazione degli
eventi che ci sono capitati in prima persona e di cui abbiamo avuto un’esperienza diretta.
Sottosistemi della memoria episodica:

- Memoria autobiografica: aspetti personali riguardanti il passato (esperienze vissute).


- Memoria prospettica: tipo di memoria che programma le nostre azioni future, quelle che
dovranno essere compiute a distanza di tempo e alla rievocazione delle stesse. Può essere
- time-based (compiere un’azione ad una determinata ora, o dopo un tot di tempo a partire dal
momento in cui formula l’intenzione)
- event-based (compiere un’azione all’avvenire di un dato evento)
Questo tipo di memoria mi ricorda che in un determinato momento devo compiere una certa
azione.

 MEMORIA SEMANTICA
La memoria semantica conserva e immagazzina le parole, i concetti e, in generale, il nostro
sapere, tutto ciò che noi conosciamo e abbiamo studiato.
La memoria semantica è un bagaglio organizzato di conoscenze sul mondo (conoscenza
enciclopedica), svincolate da aspetti situazionali, ovvero non direttamente riferibili al contesto
spazio- temporale di acquisizione. Più questo archivio sarà articolato più sarà facile per noi a fissare
nuovi ricordi e a richiamarli.
Si riferisce a conoscenze astratte e generali ed è organizzata in modo associativo. Informazioni
catalogate, ma anche associate fra di loro. Nella memoria semantica conserviamo nomi, date,
concetti, tutto ciò che conosciamo. È quindi di vitale importanza per lo svolgimento delle attività
quotidiane, che richiedono un continuo richiamo delle conoscenze acquisite.
Ogni volta che svolgiamo le nostre attività, la nostra MBT richiede delle informazioni alla MLT e le
recupera, portandole sul “tavolo” della memoria a breve termine, le utilizza per le azioni da
svolgere e poi le ricolloca nel catalogo da dove le aveva prese.
Ad esempio, in un libro incontriamo molte parole: gran parte di esse è subito comprensibile, altre ci
costringono ad una ricerca nel nostro lessico, altre ancora sono nuove e implementeranno il nostro
bagaglio lessicale.

 MEMORIA PROCEDURALE
La memoria procedurale si riferisce alle informazioni di cui facciamo uso nell’attuare un compito.
È una conoscenza tacita, non consapevole. Noi attuiamo una procedura senza esplicitare o sapere
in maniera consapevole quali siano le regole per attuare quella stessa procedura (es. abilità di
guidare la macchina o andare in bicicletta, lo si fa senza saperlo esplicitare).
È una memoria di abilità percettive, motorie e cognitive acquisite in modo implicito, la cui
rievocazione può verificarsi con un comportamento semi-automatico.
Si tratta di una memoria di tipo prettamente motorio. Contiene le procedure, cioè le sequenze
organizzate di azioni, dirette a conseguire uno scopo. (Mentre guidiamo riusciamo a parlare con il
passeggero, l’azione di guidare la facciamo in maniera semi-automatica quindi possiamo prestare
attenzione anche ad altre attività)
È una memoria molto duratura (es. una volta imparato, non ci dimentichiamo come andare in bici).
Molte procedure, anche se le conosciamo e sappiamo eseguirle perfettamente, non possiamo
facilmente descriverle in termini verbali, al contrario di quanto accade per i contenuti della
memoria dichiarativa. (pronunce delle lingue) – [psilinguistica]

4) APPRENDIMENTO
Una definizione ampiamente accettata vede l’apprendimento come il processo con cui si origina o si
modifica un’attività reagendo ad una situazione incontrata, sulla base dell’esperienza, ammesso che le
caratteristiche del cambiamento dell’attività non possano essere spiegate sulla base di tendenze a risposte
innate, di maturazione o di stati temporanei dell’organismo. (Hilgard e Bower, 1966).
Parliamo di apprendimento quando si origina o modifica un’attività per effetto dell’esperienza, di
un’esperienza che abbiamo acquisito, escludendo quelle situaizoni che invece possono essere altrimenti
spiegate sulla base di tendenza innate. Non parliamo realmente di apprendimento per una maturazione
che avviene naturalmente.
Questa definizione distingue tra comportamenti nuovi che si manifestano in un soggetto:
 il prodotto di un apprendimento (derivante dall'esperienza)
 le modificazioni comportamentali che possono essere spiegate come tendenze innate a fornire
certe risposte (es: comparsa del primo sorriso nel bambino)  t. innata =/ apprendimento
 il risultato di maturazione (es: capacità di camminare)  t. innata =/ apprendimento
 gli stati di temporanea alterazione delle condizioni psicofisiche (es: attività sotto l’effetto di alcol o
droghe)
Escludendo alcune di queste situazioni, parliamo di apprendimento quando questo deriva di fatto da
un’esperienza. L’apprendimento si riferisce all’acquisizione non solo di nuove conoscenze e capacità, ma
anche di atteggiamenti, valori e abitudini. Riguarda tutta la sfera dell'individuo e non solo l’ambito delle
conoscenze e della capacità esecutive. L’apprendimento è ampio, apprendiamo anche semplicemente
guardando il comportamento delle persone vicine a noi (= in una situazione sociale nuova capiamo come
comportarci osservando).
L’apprendimento, più sinteticamente, può essere definito come la modificazione più o meno permanente di
un comportamento sulla base di un'esperienza.
Le condotte acquisite sono comunque sempre passibili di ulteriori modificazioni. Quando apprendiamo una
cosa possiamo comunque modificarla in funzione di nuove esperienze; siamo flessibili. Come abbiamo visto
nella memoria a breve termine, se non esercitati o ripetuti, i comportamenti appresi possono andare persi
con il trascorrere del tempo, per effetto dell’oblio nella MLT.
Tutti i processi cognitivi sono strettamente correlati tra loro, lavorano in simbiosi.

L’apprendimento associativo
L’apprendimento di tipo associativo per contingenza temporale è la forma, la tipologia più elementare di
apprendimento. Questo si basa sulla legge della contiguità.
La legge della contiguità afferma che due eventi o stimoli che si verificano molto vicini nel tempo tendono
a venire associati fra loro. Quando ci sono due eventi che si verificano in tempi ravvicinati l’uno con l’altro
nio tendiamo a percepire questi eventi come associati tra loro. (Una sorta di applicazione del Principio di
vicinanza della Gestalt, due eventi vicini tra loro vengono percepiti come una sorta di unità).
Rientrano nella categoria dell’apprendimento associativo:
• il condizionamento classico (o pavloviano)
• il condizionamento operante (o skinneriano)

IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO O PAVLOVIANO


Pavlov, uno scienziato russo - un fisiologo - che all’inizio del 900 ha scoperto il Condizionamento classico. Il
condizionamento classico consiste nell’associazione di una risposta riflessa ad un determinato stimolo; di
conseguenza, viene chiamato anche condizionamento rispondente.
All'inizio del 1900 Pavlov notò che i cani reagivano con la salivazione anche a stimoli che in natura non
suscitano risposte secretive (es: suono di un campanello), purché venissero associati temporalmente per un
certo numero di presentazioni alla comparsa della ciotola di cibo.
Pavlov aveva notato che i suoi cani presentavano questo tipo di comportamento (salivazione) anche
davanti a comportamenti neutri. Egli studiò questo fenomeno in maniera sistematica e si rese conto che
l’aspetto importante è l’associazione temporale. Quando c’era uno stimolo neutro che veniva associato ad
uno stimolo con una certa valenza, come il cibo, i cani iniziavano a presentare quel comportamento tipico
(salivazione) nel momento in cui vedono il cibo, anche in presenza del solo stimolo che poi prevedeva
l’erogazione del cibo. L’animale, quindi, aveva appreso la relazione fra suono e arrivo del cibo e reagiva di
conseguenza (secrezione psichica). Lui aveva fatto un esperiemnto in cui suonava il campanello e poi
presentava il cibo, e dopo un po’ di tempo il cane aveva imparato l’associazione tra campanello e cibo.
Bastava quindi suonare il campanello per osservare nei cani il comportamento involontario e automatico
che i cani esibivano normalmente davanti al cibo.

Ci sono diverse tipologie di stimoli:


 Lo stimolo che in natura evoca una risposta riflessa (es: il cibo) si chiama stimolo incondizionato
(SI). Si tratta di uno stimolo che in maniera incondizionata produce una determianta risposta.
 La risposta riflessa naturale (es: la salivazione) si chiama risposta incondizionata (RI). In situazioni
normali, uno stimolo incondizionato come il cibo determina una risposta incondizionata come la
saliva.
 Lo stimolo in stretta contiguità temporale (es: il campanello) a quello incondizionato si chiama
stimolo condizionato (SC). Uno stimolo inizialmente neutro, ma che una volta determinata
l’associazione tra questo stimolo inizialmente neutro e lo stimolo incondizionato prende il nome di
stimolo condizionato.
 La risposta appresa per associazione (es: la salivazione prodotta al solo suono del campanello) si
chiama risposta condizionata (RC). Risposta evocata in funzione di uno stimolo condizionato.
La misura dell’apprendimento (come osserviamo l’apprendimento) è data dalla comparsa della RC
(salivazione) di seguito alla sola presenza dello SC (campanello); è data dalla comparsa della salivazione ins
eguito al solo suono del campanello. Il numero di associazioni necessarie per ottenere un condizionamento
varia a seconda dello SC e della specie. Diversi tipi di animali possono produrre diversi tipi di risposta.
La curva dell’apprendimento ha un profilo tipico: con le prime associazioni si ha un brusco aumento , che
poi prosegue con minore rapidità. Tendenzialmente si impara in fretta ad associare lo stimolo inizialmente
neutro, poi condizionato, con lo stimolo incondizionato. Una volta che l’associazione si è consolidata, la
forza del condizionamento può aumentare fino a raggiungere una sorta di “effetto tetto” per cui oltre un
certo punto posso continuare a presentare questa associazione, ma non avrò più di tanto un certo tipo di
risposta.
Forza del
condizionamento

N° di associazioni ripetute SC-SI

Il comportamento dell’animale riguarda risposte fisiologiche di tipo riflesso (es: salivazione, chiusura delle
palpebre), cioè comportamenti automatici – mediati dal sistema nervoso – che vengono evocati da
specifici stimoli.
In questo caso, quindi, l’apprendimento consiste nell’emettere tali risposte riflesse (che normalmente
verrebbero emesse in presenza di uno stimolo incondizionato) a seguito di stimoli condizionati, vale a dire
stimoli che per loro natura non sarebbero idonei a scatenarle. Di base, il campanello di per sé non induce la
salivaizone nel cane se noi non lo condizioniamo prima. Questo induce la salivazione solo dopo che il cane
ha associato il suono al cibo  apprendimento associativo  risposta condizionata.
Lo SC (campanello) assume il valore di anticipazione dello SI (cibo) e produce un’analoga risposta
comportamentale di tipo automatico.
Affinché si produca il condizionamento, lo SC deve precedere lo SI (se l’ordine è inverso non si crea
associazione, mancherebbe l’elemento anticipatorio, caratteristica fondamentale del condizionamento
pavloviano). L’intervallo ideale è di pochi secondi; più esso è lungo, più è difficile ottenere il
condizionamento.
Se cessano le associazioni SC-SI, la risposta condizionata sarà sempre meno costante, sino a esaurirsi. Se
smetto di associare i due stimoli, la risposta sarà meno costante. Se ad un certo punto presento solo il
suono del campanello, la risposta automatica verrà meno. La curva dell’estinzione è simile a quella
dell’oblio. La ripresentazione dell’associazione determina un recupero molto rapido dalla RC
(riacquisizione).

Se si lascia riposare il
cane e lo si sottopone di nuovo al test, la risposta di salivazione ricompare. Questo recupero spontaneo
evidenzia che una risposta estinta non viene completamente persa; anche se il soggetto smette di
rispondere, non dimentica la risposta appresa.
Se si lascia riposare il cane e lo si sottopone di nuovo al test, la risposta di salivazione ricompare. Questo
recupero spontaneo evidenzia che una risposta estinta non viene completamente persa; anche se il
soggetto smette di rispondere, non dimentica la risposta appresa, rimane sempre una traccia amnestica.
Quando noi dimentichiamo le cose, non è che le dimentichiamo completamente. Magari non riusciamo ad
accedervi in quel momento, però di fatto, da qualche parte del cervello queste informazioni ci sono. Se
“riaggiorno” quelle informazioni sono infatti subito in grado di recuperarle. Questo discorso vale anche per i
fenomeni di apprendimenti associativo  apprendimento classico. Infatti, riproponendo l’associazione
campanello-cibo l’animale riacquisisce in maniera rapida l’associazione e quindi la risposta al solo SC
riemerge in tempi rapidi.

• Condizionamento classico avversativo


Nel condizionamento classico possono essere condizionate anche risposte prodotte a seguito di
stimoli incondizionati spiacevoli o dolorosi (es. scossa elettrica); in questo caso si parla di
condizionamento avversivo o avversativo. Le risposte riflesse variano da specie a specie; ad
esempio i gatti inarcano la schiena e soffiano, i cani abbaiano e digrignano i denti, gli uomini
aumentano la sudorazione e provano emozioni negative.
La procedura alla base del condizionamento è identica  stimoli associati tra loro.
Il condizionamento avversativo presenta alcune peculiarità:
 talvolta è sufficiente un singolo accoppiamento SC-SI per produrre la RC (se l’impatto è
particolarmente negativo).
 l’intervallo di tempo tra SC e SI può essere molto variabile

Il valore adattivo della propensione a questo tipo di condizionamento è evidente; evitare situazioni
spiacevoli=questione di sopravvivenza.
Se ad uno SC viene associato un ulteriore SC, si parla di condizionamento di secondo ordine (di ordine
superiore). Se ho due stimoli concatenati, SC1 e SC2 evocheranno una RC ancora più forte del solo primo
solo, che comunque già evocherebbe di per sé una risposta.
E’ possibile concatenare più stimoli in modo che lo stimolo 2 condizioni l’1, che a sua volta condiziona una
risposta condizionata. Si può creare una catena di eventi che vanno poi a determinare una risposta
condizionata:

SC2 SC1  RC
La risposta condizionata può comparire anche per stimoli simili allo SC originale, ma non identici. Potrei
avere una campanella con suono un po’ diverso rispetto a quello usato per condizionare il cane, e quel tipo
di suono potrebbe comunque evocare una risposta, soprattutto nelle fasi iniziali. Stimolo simile risposta
simile, si tratta comunque sempre di un processo automatico.Quando la RC tende a comparire anche per
stimoli analoghi allo SC originale (es. campanella con un suono un po' diverso), si parla invece di
generalizzazione dello stimolo. Tanto più uno stimolo è simile a quello originale, tanto più forte è la
risposta. È un processo automatico.È possibile anche condizionare a non rispondere a stimoli simili allo SC,
pur continuando a rispondere allo SC (addestramento alla discriminazione).
Potremmo addestrare il cane a rispondere soltanto ad un tipo preciso di stimolo. (Ad esempio se diamo
diversi tipi di stimolazione e facciamo in modo che l’associazione tra SC e SI avvenga solo per certi tipi di
stimoli e non altri, magari simili).

Apprendimento per prove ed errori


Si tratta di una sorta di precursore di ciò che Pavlov ha studiato in seguito.
Thorndike studiò le modalità con cui gli animali imparavano ad uscire da una gabbia ( puzzle box), la quale
poteva essere aperta premendo una leva con la zampa.Gli esperimenti erano condotti su gatti deprivati di
cibo, il quale veniva posto all’esterno della gabbia.
I gatti producevano comportamenti casuali (graffiare le sbarre, scavare il pavimento, miagolare, ecc.) finché
casualmente ( adottando una procedura chiamata “per prove ed
errori”, o “trials and errors”) colpivano la leva. Dopo 20/30 prove, i
gatti riuscivano a trovare velocemente la soluzione e a raggiungere il
cibo. Nell’apprendimento per prove ed errori non c’è un “intervento
intelligente” da parte del soggetto nel trovare la soluzione: si procede
a caso fino al raggiungimento dello scopo. Però, la volta successiva, è
probabile che il comportamento che mi ha condotto alla soluzione venga adottato  aumenta la
probabilità che io metta di nuovo in atto quel comportamento che ha prodotto un effetto positivo.
Da qui è stata sviluppata la seguente legge:
Legge dell’effetto = le azioni che producono effetti soddisfacenti hanno più probabilità di essere ripetute
quando si presenta la stessa situazione e quindi di essere apprese.
Se adotto una strategia, e questa funziona, sarò portato in futuro ad utilizzarlo nuovamente per ottenere
simili effetti in situazioni analoghe.
Le azioni che producono effetti spiacevoli o sono prive di effetti, invece, hanno sempre meno probabilità di
essere ripetute e quindi apprese.
CONDIZIONAMENTO OPERANTE O SKINNERIANO
Le scoperte di Thorndike ("apprendimento per prove ed errori" e "legge dell'effetto") costituiscono la base
di partenza del condizionamento operante o skinneriano.. Skinner fu uno dei massimi esponenti del
comportamentalismo, una corrente psicologica sviluppatasi all’inizio del novecento, e durata fino a metà
secolo circa, la quale sostanzialmente si focalizzava sul comportamento manifesto (pensava che non ci
fosse un itnervento cognitivo, questa corrente mriava a studiare in modo sperimentale il solo
comportamento manifesto senza alcun aspetto cognitivo?
Skinner si focalizza sul rinforzo, principio chiave del condizionamento operante. Parte da Thorndike e
vuole studiare il concetto del Rinforzo,quell’elemento che favorisce la ripetizionedi quel comportamento
rivelatosi efficace.
Il condizionamento operante è chiamato così perché a venir condizionate sono le operazioni, ossia le
azioni dei muscoli volontari (a differenza di Pavlov). Non viene più condizionato un comportamento riflesso
(Pavlov), bensì i comportamenti volontari.
La tipica situazione di ricerca prevedeva l’utilizzo della cosiddetta gabbia di Skinne (Skinner box), nella quale
veniva posto l’animale a digiuno da molte ore, quindi alla ricerca di cibo (deprivazione del cibo = costante
che serve per tenere alta la motivazione affinché gli animali possano esibire un determinato
comportamento). Il cibo viene reso disponibile solo quando l’animale preme l’unica leva funzionante.
L’animale, muovendosi in modo casuale, prima o poi preme la leva giusta. Dopo averlo fatto alcune volte
per caso, si dirigerà senza esitazione verso quella leva: ha appreso questa operazione, che viene chiamata
operazione condizionata.
Inizialmente abbiamo una situazione come quella descritta da Thorndike, in cui l’animale si muove
casualmente, prima o poi preme la leva giusta, e dopo averlo fatto più volte per caso apprende che quella è
la leva corretta. Così, l’animale apprende che quell’operazione fornisce il rinforzo. Dopo un certo numero di
ripetizioni, quindi, l’animale preme la leva e sa che otterrà il cibo. Il fatto di premere quella leva determina
un rinforzo.
/disegno Snikker Box (p.29)
• Un premio (es: il cibo) che incoraggia la ripetizione del comportamento è chiamato rinforzo
positivo. Quando forniamo qualcosa che aumenta la probabilità che il comportamento venga
messo in atto si parla di rinforzo positivo.
• La soppressione di uno stimolo negativo (es: scossa elettrica periodica), invece, è chiamata
rinforzo negativo. Si parla della soppressione di qualcosa di spiacevole, è sempre un rinforzo.
• Se si vuole inibire un comportamento, diminuendo la probabilità che venga emesso, si può usare
una punizione (es: scossa elettrica). Come per i rinforzi, anche la punizione può essere in termini
negativi, cioè sottraendo qualcosa di gratificante.
Ricordare bene:
• Rinforzo (positivo o negativo)  aumenta la probabilità che un comportamento venga emesso.
- Rinforzo positivo= ti dò il cibo
- Rinforzo negativo = ti tolgo una scossa che ti dà fastidio (sempre un rinforzo)
• Punizione (positiva o negativa)  diminuisce la probabilità che un comportamento venga emesso.
- Punizione positiva = ti do una scossa elettrica (negativa, limita le probabilità che tu metta in atto
quel comportamento)
Punizione negativa = ti sequestro il cellulare ( ti privo di qualcosa che ti piace)

I termini "positivo" o "negativo" si riferiscono al "dare" o "togliere" qualcosa di piacevole/spiacevole.


A parità di tempo, il rinforzo risulta più efficace nel promuovere apprendimento rispetto alla punizione.
Da ciò ne consegue che è meglio far imparare un comportamento alternativo tramite rinforzo che usare
una punizione.
Anche da un punto di vista educativo è stato visto che è sempre meglio fornire un comportamento
alternativo piuttosto che usare la punizione.
Principio di Premack (1965): premiare a condizione che ... (es: se fai i compiti puoi uscire); un’attività
piacevole può agire come rinforzo per un’attività spiacevole.
es: se non prendi la medicina, allora X (punizione)  meno efficace se prendi la medicina, allora Y (rinforzo)
 più efficace
Ad esempio, in un contesto scolastico ci sarannod delle situazioni in cui bisogna stabilire una sorta di “piano
di convivenza” con gli studenti, un compromesso su alcune situazioni. E’ importante essere coerenti su
questo punto. Si potrebbe concordare con gli studenti una sorta di “codice”, di regolamento, e nel
momento in cui si crea insieme gli studenti diventano consapevoli della situazione e determinate situazioni
possono risultare premiali o punitive. Es. chi disturba riceve più compiti (punizione), mentre se tutta la
classe sta attenta e in silenzio, partecipa, si danno meno compiti (rinforzo).
I rinforzi possono essere primari o secondari, sulla base dei bisogni cui si riferiscono:
 I rinforzi primari riguardano la sopravvivenza dell’individuo ( cibo, acqua, sonno, temperatura, ecc.);
il valore non è appreso, ma è innato per la specie, per gli esseri viventi.
 I rinforzi secondari non sono stimoli che hanno a che fare direttamente con la sopravvivenza
dell’individuo. Sono stimoli che inizialmente non hanno valore ma lo acquisiscono con l’esperienza,
con la crescita degli individui; acquisiscono significato con l’esperienza.
Spesso sono legati alla cultura e servono in genere per controllare e modificare il comportamento
umano (es: giudizio sociale, apprezzamento, denaro, ecc).
Nel condizionamento classico lo stimolo condizionato doveva precedere lo SI affinché ci fosse
apprendimento. In questo caso invece, affinchè ci sia apprendimento è necessario che il Rinforzo segue, e
non preceda, immediatamente l’azione del soggetto. Come per il condizionamento classico, anche per
quello operante è importante il fattore tempo.
Azione del soggetto  Rinforzo  apprendimento
Se si cessa di rinforzare il comportamento bersaglio, esso si estinguerà dopo un tempo variabile a seconda
del comportamento in oggetto e della specie. Se il rinforzo viene fornito nuovamente, il riapprendimento
sarà rapido. Così come nel Condizionamento classico, se noi per nc erto numero di rep. Mostriamo solo il
suono della campanella senza l’associazione del cibo, l’associazione dopo un po’ si estingue.
In questo caso, se noi cessiamo di rinforzare un dato comportamento, questo dopo un po’ cessa di avere
una valenza e non viene più messo in atto.
Il Rinforzo può essere somministrato in modi diversi:
 La tecnica del rinforzo continuo prevede un rinforzo positivo constante: tutte le volte che compare il
comportamento, viene dato il premio. È utile quando si deve addestrare un soggetto a modificare
gradualmente un comportamento.

 La tecnica del rinforzo intervallato, invece, prevede una premiazione non continua, alternata, della
risposta corretta. Tale alternanzaale fa si che l’apprendimento sia più lento, però nel momento in cui
apprendo l’associazione, la tecnica è molto forte. Questa mantiene più elevata l’attesa e la
motivazione del soggetto e quindi la risposta è più forte e l’apprendimento è più resistente
all'estinzione, pur essendo più lento il suo ottenimento. (es. le slot machines)

In ogni caso, il rinforzo deve essere sempre coerente, cioè si deve premiare o punire sempre lo
stesso comportamento, altrimenti il soggetto passa dalla confusione iniziale ad uno stato di
"inaiutabilità appresa" (learned helplessness).
Un’educazione incoerente e contraddittoria, ad esempio, può portare ad effetti negativi sul
comportamento del bambino. Allo stesso modo, in ambito scolastico, è importante che il docente
applichi "rinforzi" e "punizioni" in modo coerente. Trovare un sistema di regole condiviso che possa
decidere che determinati rinforzi e punizioni possano essere somministrati a seconda delle
situazioni che si verificano e applicarle in modo coerente è sicuramente un metodo valido.

 La tecnica del modellamento (shaping) prevede il premio di un comportamento che, la prima volta,
si avvicina approssimativamente a quello desiderato, per poi premiare via via solo le esecuzioni che
progrediscono nella direzione corretta. Tecnica da utilizzare anche con ragazzi/e con deficit o
disturbi, che possono avere più difficolta di altri. In questo caso, premiare anche un risultato che
magari non è ancora tanto buono, ma va nella direzione giusta, porta a progredire nella direzione
corretta. (Il voto stesso può essere un rinforzo, premiare con un voto sufficiente una prestazione
mediocre che però va nella direzoine giusta da parte di una persona che ha una certa difficoltà può
essere incentivante a continuare a studiare e migliorarsi ulteriormente)
Tale tecnica è quella usata (più o meno consapevolmente) con i bambini per insegnare loro a
camminare, parlare, scrivere, ecc, ma anche ad esempio le attività sportive (nonché con gli animali
da circo, che apprendono sequenze motorie che non fanno parte del loro repertorio naturale).
Per il condizionamento operante il meccanismo di base non starebbe nella semplice associazione o
contiguità, bensì nel valore dato al rinforzo. In pratica, la comparsa di un rinforzo positivo o negativo
segnalerebbe al soggetto la qualità positiva o negativa della sua condotta: l’associazione, quindi, non
sarebbe meccanica ma logica, pur se di tipo elementare.
Il condizionamento operante è un meccanismo universale, ampio e ubiquitario, interviene anche
nell’apprendimento di compiti complessi. Quando si risolve un problema, la soddisfazione stessa può
essere considerata un rinforzo. Nel momento in cui veniamo a capo da una situazione complessa 
gratificazione = rinforzo che ci sprona a fare meglio.
[Responsabilizzare gli studenti dando loro il compito di auto-organizzarsi per un test o un’interrogazione ed
eventualmente fare delle sostituzione nel caso qualcuno mancasse/fosse impossibilitato a presentarsi quel
giorno, ad esempio mettendo una persona di “riserva” che si prepara comunque. Bisogna fare fede al patto
preso col docente. Il docente e gli studenti devono fare un “patto di alleanza”. Il docente espone le sue
necessità, gli studenti le loro, e insieme (ma prevalentemente gli studenti) tirano fuori dei compromessi, un
regolamento da mantenere, un’organizzazione. Se sono gli studenti a proporre le regole, dopo è più
semplice che le rispettino. ]
Schema p.39 1:04:30

Comportamentismo intenzionale di Tolman


Tolman, da un punto di vista storico, è stato un “ponte” tra l’approccio
comportamentalista e quello cognitivista. E’ stato colui che ha iniziato a
vedere come la parte cognitiva iniziava ad essere preponderante, ad
occupare un ruolo che non era affatto marginale. Il comportamento
manifesto non poteva da solo spiegare tutti gli aspetti psicologici studiati. Il
comportamento solo non basta più, bisogna fare anche delle inferenze
cognitive. Questo lo vediamo principalmente grazie agli studi di Tolman
sull’apprendimento mappe spaziali, sull’apprendimento cognitivo dello spazio. Tolman mette in evidenza
come lo spazio fisico possa essere rappresentato mentalmente dalle cavie.
I teorici S-O-R (Stimolo, Organismo, Risposta) ritengono che ci sia una mediazione mentale tra stimolo e
risposta.
Assunti di base:
 ogni comportamento che può essere appreso fa riferimento a un’azione o serie di azioni finalizzate
ad uno scopo, comportamento intenzionale che implica la rappresentazione di un obiettivo. Nel
momento in cui si parla di rappresentazione di qualcosa inevitabilmente parliamo di inferenze
cognitive che dobbiamo fare.
 esistono delle variabili intervenienti – costrutti ipotetici – responsabili della mediazione tra stimolo e
risposta; si tratta di caratteristiche dei soggetti (es: intelligenza, natura ed intensità dei bisogni da
soddisfare, ecc). Per Skinner e Pavlov  1 sola risposta, niente in mezzo
Per Tolman  stimolo, organismo, risposta. L’organismo è l’essere intelligente che mette qualcosa
di suo (media la relazione causa-effetto tra stimolo e risposta; si tratta di caratteristiche
dell’individuo). Organismo che ha un ruolo attivo e non è un mero esecutore di risposte a stimoli.
Tolman parla di mappa cognitiva: la rappresentazione mentale della meta e dello spazio che porta ad
essa. Si tenterà di raggiungere la metà secondo il percorso più semplice e meno dispendioso (principio del
minimo sforzo). Tolman metteva dei topolini all’interno di labirinti e osservava il loro comportamento
studiando come questi si potevano rappresentare gli spazi, lasciandoli liberi di esplorare. Metteva il cibo in
una zona per motivarli ad andare là, e quando non c’era nessun blocco, questi andavo dritti dove c’era il
cibo.Tolman e Honzik (1930a): quando tutti i percorsi erano aperti, i ratti percorrevano quello più breve. La
manipolazione sperimentale prevedeva però degli ostacoli se questo veniva bloccato in A, sceglievano il
secondo più breve; se il blocco era in B, i ratti tornavano indietro e prendevano il terzo percorso. I ratti,
quindi non agivano meccanicamente, bensì sulla base di una rappresentazione dello spazio, una mappa
cognitiva che veniva “consultata” e favoriva un comportamento parsimonioso ed efficace (quindi
intelligente).
Apprendimento latente: si può apprendere anche senza rinforzi per far fronte ad una situazione
problematica, ma il comportamento non viene esibito se non si individua uno scopo da raggiungere.
Tolman e Honzik (1930b): ratti posti una volta al giorno in un labirinto molto complesso; tre gruppi:
• Gruppo 1: nessun rinforzo all’uscita  lenta riduzione degli errori nel tempo
• Gruppo 2: rinforzo all’uscita  rapida riduzione degli errori nel tempo
• Gruppo 3: nessun rinforzo per 10gg, all’undicesimo giorno rinforzo all’uscita

 molti errori per 10gg, ma drastica riduzione dopo l’undicesimo giorno. Per i primi 10gg, quindi,
comportamento analogo a gruppo 1, poi simile a gruppo 2.
Per il terzo gruppo, la mappa spaziale costruita vagando per il labirinto è stata utilizzata quando si è
profilato uno scopo da realizzare. In questo caso, il rinforzo si è dimostrato utile affinché si manifestasse un
comportamento (e non affinché lo si apprendesse).La conoscenza appresa può rimanere latente in
mancanza di motivazione specifica.
Albert Bandura (1969, 1971) coniuga le istanze del comportamentismo con le posizioni della psicologia
cognitivista. Secondo la teoria dell’apprendimento sociale si apprende anche in modo indiretto, osservando
un modello e cercando di imitarlo.
Affinché sia efficace, l’apprendimento osservativo (o vicario) richiede che siano attivi alcuni processi
cognitivi:
 che si presti attenzione al modello e alle conseguenze di quanto osservato.
 che ci si rappresenti in memoria la sequenza di azioni che il modello compie;
 che si sia in grado di riprodurre la sequenza a livello motorio;
 che vi sia una certa motivazione
Se il modello riceve rinforzi, questi avranno un effetto sull’apprendimento dell’osservatore, il quale vorrà
compiere la stessa azione per essere anch’egli ricompensato. Modelli cui viene assegnato uno status
elevato, più autorevoli, più simili al soggetto, sono maggiormente imitati.
Una differenza fondamentale con il condizionamento operante sta nel riconoscimento del ruolo centrale
dei processi mentali nella pianificazione delle azioni.

Apprendimento per insight


L’apprendimento non è sempre lento come nel caso del condizionamento, ma può consistere in una rapida
comprensione della soluzione del problema.
Koehler e la psicologia della Gestalt chiamarono insight questa comprensione immediata e improvvisa
corrispondente a una ristrutturazione del problema, in contrapposizione all’avvicinamento lento per prove
ed errori che prevede una progressione passo dopo passo, in maniera più o meno lineare, verso la
soluzione.
Koehler (1925) condusse degli esperimenti con gli scimpanzé; una banana era appesa al soffitto in posizione
irraggiungibile saltando, ed erano presenti delle cassette di legno. Dopo una fase iniziale di tentativi
saltando, alcuni scimpanzé presero le cassette e le sovrapposero sotto la banana, riuccendo così a
raggiungerla agevolmente. La condotta intelligente dimostrata è un caso tipico di apprendimento cognitivo
o concettuale. La soluzione del problema è avvenuta tramite costruzione di immagini mentali e
ristrutturazione del significato funzionale di un oggetto.
In un secondo esperimento gli scimpanzé vennero lasciati nella gabbia senza le cassette ma con lo
sperimentatore: quelli che avevano “superato” il primo esperimento, portarono per mano lo
sperimentatore fin sotto la banana e lo utilizzarono come “scala”.
Importante caratteristica dell’apprendimento concettuale è la trasformazione del significato di un oggetto e
l’acquisizione della capacità di trasferire tale trasformazione ad altri oggetti o situazioni.
https://www.youtube.com/watch?v=FwDhYUlbxiQ
L’insight è la capacità di ristrutturare in modo radicalmente nuovo gli elementi della situazione
problematica, dando ad essi un nuovo significato funzionale alla soluzione del problema. La ristrutturazione
corrisponde alla creazione di un’immagine mentale del tutto nuova dei rapporti tra i dati del problema e
delle loro relazioni reciproche. La ristrutturazione, quindi, rappresenta un comportamento intelligente,
tramite cui l’ambiente viene analizzato e reinterpretato al fine di raggiungere uno scopo.
La ristrutturazione può avvenire anche nel corso di tentativi ed errori; dipende dalla natura del problema e
da come viene presentato, per esempio dal fatto che tutti gli elementi atti alla risoluzione del problema
siano presenti e visibili o meno.

Approccio cognitivistico
Il cognitivismo esalta il ruolo attivo del soggetto nell’elaborazione della realtà circostante, dando rilievo ai
processi interni di elaborazione e rappresentazione.
Il cognitivismo sottolinea l’interrelazione tra diversi processi cognitivi nell’apprendimento. Ad esempio,
imparare a leggere implica l’integrazione di abilità linguistiche, mnestiche e percettive; imparare a guidare
richiede l’integrazione di capacità visuo-motorie ed attentive; ecc.
Vi è una forte associazione tra lo studio dell’apprendimento e quello della memoria, in quanto per poter
imparare è necessario codificare, immagazzinare, integrare e ricordare informazioni. Anche le nostre
pregresse conoscenze influenzano l'apprendimento. Da un lato, le conoscenze già possedute (schemi,
concetti, teorie, ecc) influenzano l’acquisizione di nuove conoscenze (processi top-down); dall’altro, la
realtà percepita attiva processi cognitivi di apprendimento o di revisione di schemi precedenti (processi
bottom-up).
In ambito scolastico dobbiamo ricordare che lo studente ha un ruolo attivo e non passivo
nell'apprendimento: elabora attivamente informazioni L'utilizzo di strategie (schemi, mappe concettuali,
rielaborazione di informazioni, collegamenti tra argomenti) è alla base dell'apprendimento e del suo
miglioramento. La stessa consapevolezza sull'uso di strategie è funzionale all'apprendimento (rendere
espliciti metodi funzionali).

5) PENSIERO
Con il termine pensiero si fa riferimento a quell’attività mentale che comprende diversi processi, quali
ragionare, immaginare, ipotizzare, scegliere, ecc.
Questi processi permettono di elaborare delle informazioni, risolvere dei problemi e prendere delle
decisioni nella nostra vita quotidiana.
Le ricerche in questo ambito consistono nel verificare fino a che punto le persone seguono le leggi della
logica. Tali leggi servono da criterio di riferimento per valutare le tappe del pensiero umano nel percorso
che va dalla raccolta dei dati disponibili alla soluzione scelta per (tentare di) risolvere un problema.
Nel caso di situazioni semplici le persone dimostrano di non avere alcun problema a ragionare secondo la
logica. Tuttavia, basta mutare di poco le condizioni (es. introdurre delle proposizioni negative e/o rendere
più complesso il materiale da elaborare) e molti arrivano a conclusioni illogiche.
 Ogni carta riporta una lettera su una faccia e un numero sull’altra.

E F 7 4

Il compito consiste nel girare meno carte possibili per mettere alla prova la seguente regola: “se una carta
ha una vocale su una faccia, deve avere un numero dispari sull’altra” (Wason, 1966).

- Quante carte dovrò girare? Quali?


E e 4 risposte corrette; “se una carta ha una vocale su una faccia, deve avere un numero dispari sull’altra”
(Wason, 1966).
La maggioranza dei partecipanti verifica la regola solo in senso positivo, girando la carta E. Alcuni girano la
7, ma trovarvi una consonante NON falsificherebbe la regola (in quanto essa non fa affermazioni sulle
consonanti e non è implicata una relazione biunivoca). Solo una minoranza, correttamente, gira la 4 per
falsificare la regola.
Una spiegazione per una prestazione così modesta dal punto di vista logico è che la maggior parte delle
persone tende a verificare le ipotesi attraverso la ricerca di conferme e non attraverso la loro falsificazione.
A questo proposito, Johnson-Laird (1983) propone la Teoria dei Modelli Mentali: il ragionamento dipende
dal modo in cui vengono costruiti e manipolati i modelli (o rappresentazioni) mentali del contenuto delle
premesse.
Nel caso delle carte, i modelli espliciti erano “vocale” e “numero dispari”.
 Immaginate di lavorare alle poste e di dover controllare la seguente regola: “se una busta è chiusa deve
avere un francobollo da 50, altrimenti bisogna comminare una multa”.
SI girano la seconda e la terza busta.
Con problemi tratti dal mondo reale,
la prestazioni migliorano di molto. Il
50 25
riferimento concreto suggerito dal
problema permette una più facile
manipolazione mentale dei dati. Tutta la nostra attività mentale, infatti, si fonda sulla manipolazione
astratta di immagini o espressioni che hanno un’origine concreta.
 La legge dice che solo chi è maggiorenne può bere alcolici. Tu
sei un poliziotto che deve far rispettare la legge. Il proprietario
ti dice: "Chi sta bevendo birra in questo momento è
maggiorenne". Supponendo che dietro ogni maglietta ci sia
scritta la vera età dei clienti, chi devi far voltare per verificare
la veridicità di quello che ha detto il proprietario? Il numero 1
e il numero 3.
Il nostro pensiero è caratterizzato da automatismi. Questi
possono favorire errori di valutazione e soluzioni poco economiche.
“Sotto un ponte nuotano due anatre davanti a due anatre, due anatre dietro a due anatre, e due anatre in
mezzo. Quante anatre nuotano sotto il ponte?”

La maggior parte delle persone risponde 6;


presumibilmente, il modello costruito è simile a questo

ma ne esiste anche uno più economico

Entrambi i modelli sono coerenti con le premesse, ma il fatto che uno dei due sia privilegiato indica che la
costruzione dei modelli mentali determina risultati che non coincidono necessariamente con quelli
dell'economicità o della correttezza logica.
La costruzione di un modello mentale vincola ragionamenti, inferenze e decisioni basati sul modello stesso.
Applicando la Teoria dei Modelli
Condizione 1 Condizione 2 Mentali (Johnson-Laird, 1983):
Stasera ti andrebbe di: Stasera ti andrebbe di:
 Andare al cinema? Nel primo caso abbiamo un
 Andare al cinema? modello esplicito (cinema) e un
 Andare a cena fuori?
 Fare qualcos'altro? modello implicito (altro); nel
 Andare al bowling?
 Fare altro? secondo caso vengono esplicitati
più modelli.
Il fatto di rendere espliciti più
modelli fa abbassare la percentuale di scelta del cinema. Ciò è irrazionale (le opzioni "cena fuori" e
"bowling" sarebbero comprese in "altro" nella condizione 1) e significa che le opzioni implicite non vengono

Effetto di incorniciamento (framing)


Le persone tendono ad evitare potenziali perdite e a perseguire condotte che restituiscano un guadagno.
Inoltre, gli individui tendono anche a rifiutare opzioni rischiose e preferire opzioni certe. L’atteggiamento
nei confronti del rischio, tuttavia, dipende largamente dal modo in cui i problemi vengono descritti. Il
termine frame sta ad indicare il modo in cui un problema è "incorniciato", ovvero come questo viene
descritto. Il frame mette in risalto gli esiti di una scelta associata ad un problema da una specifica
prospettiva (o dalla prospettiva opposta).
Le Problema della malattia asiatica (Tversky e Kahneman, 1981

Gli Stati Uniti stanno per affrontare un’insolita malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta
debbano morire 600 persone. Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. Si
assume che le stime scientifiche esatte siano le seguenti:

Programma A: 200 persone saranno salvate


Programma B: 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi

Programma C: 400 persone moriranno


Programma D: 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità muoiano 600 persone

due coppie sono equivalenti, ma le persone a cui viene proposta la prima coppia scelgono in maggioranza il
programma A, mentre quelle a cui viene presentata la seconda coppia preferiscono il programma D.
Vengono elaborati due frame diversi: la prima coppia viene elaborata in termini di vite salvate, cioè di
guadagno, per cui si preferisce l'opzione A (evitamento del rischio, tipico del dominio dei guadagni); la
seconda coppia, invece, viene elaborata in termini di vite perdute, cioè di perdite, quindi si preferisce
l’opzione D (ricerca del rischio, tipica del dominio delle perdite).

Le euristiche
Nel pensiero quotidiano le persone non mettono in atto processi molto elaborati tra i dati di partenza e le
conclusioni. Per affrontare i problemi di ogni giorno, infatti, facciamo solitamente ampio affidamento sui
ricordi personali di situazioni analoghe che si sono già presentate.
Il pensiero quotidiano, quindi, è spesso diverso dal pensiero logico propriamente detto, che invece usa
processi razionali.I processi di pensiero a cui ci affidiamo normalmente nel quotidiano sono chiamati
euristiche. A causa dei vincoli di tempo e capacità cui il sistema cognitivo deve sottostare, abbiamo infatti
bisogno di "scorciatoie": le euristiche sono procedure rapide, che semplificano (inconsapevolmente) la
presa di decisioni.
Le euristiche consentono di risparmiare tempo e risorse cognitive e costituiscono quindi delle scorciatoie,
ma non garantiscono la soluzione migliore/corretta, comportando il rischio di errori. Bisogna anche
considerare che i problemi quotidiani sono spesso complessi e mal definiti (es: scegliere la meta di un
viaggio), quindi le regole della logica non sono sempre applicabili.
Le euristiche semplificano il problema e portano rapidamente ad una soluzione, tuttavia comportano
tendenze sistematiche di errore (bias di ragionamento).
Le due euristiche più comuni sono quella della rappresentatività e quella della disponibilità.

 Euristica della rappresentatività


L’euristica della rappresentatività è una scorciatoia di pensiero che induce a valutare la probabilità
di un’ipotesi in base ad un giudizio di similarità.
Questa euristica implica che un elemento venga considerato appartenente a una determinata
categoria perché la sua descrizione è simile o rappresentativa di quella stessa categoria, e in
particolare del suo prototipo.

- Luca è un musicista che indossa sempre jeans larghi e strappati, ha numerosi piercing, tatuaggi e i
capelli a forma di cresta. È più probabile che sia un cantante rock oppure un tenore?
- Jack è un uomo di 45 anni; è sposato e ha 4 figli. Non si interessa di argomenti sociali né politici e
passa gran parte del suo tempo libero in hobby come i rompicapo matematici, il bricolage e la vela.
(Kahneman e Tversky, 1972)

- La probabilità che Jack sia uno dei 30 ingegneri nel campione di 100 è di __ %
- La probabilità che Jack sia uno dei 70 ingegneri nel campione di 100 è di __ %
Nonostante la diversa probabilità di base, nei due casi la stima è molto simile (e molto alta): questo
perché, nel pensiero comune, la descrizione proposta è rappresentativa di un ingegnere.

 L’Euristica della disponibilità


L’euristica della disponibilità comporta che sia privilegiata la scelta di elementi maggiormente
accessibili in memoria.
"Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità". Joseph Goebbels,
ministro della propaganda nazista
Quando le persone forniscono un giudizio sulla probabilità di un evento o la frequenza di certi accadimenti,
attivano spontaneamente dalla memoria gli esempi relativi a quegli eventi, giudicando quindi in base ad un
campione limitato e soggettivo.
Es: consigliare un acquisto sulla base della propria esperienza con una data marca.
È una procedura economica e a volte funzionale, ma può produrre errori  es: influenza dei media.
In Italia muoiono più persone a causa di tumori o per omicidi/aggressioni?
Tumori: > 170.000 vs omicidi: < 600

Problem solving
Giudicare se, nel vocabolario, sono più frequenti le parole che iniziano con R (o L, N, V) o quelle che hanno R
(o L, N, V) come terza lettera. (Kahneman e Tversky, 1973)
La probabilità viene sempre giudicata più alta per la prima posizione, contrariamente al dato oggettivo.
Il procedimento cognitivo naturale per fornire la risposta prevede l’evocare il maggior numero di parole
possibili contenenti le lettere richieste e confrontarle, ma spontaneamente si evoca una parola partendo da
quella iniziale e quindi se ne evocano di più.
Il problem solving può essere definito come l’”arte di risolvere problemi”, siano essi di natura personale o
delle organizzazioni di cui facciamo parte (aziende, enti, comunità, ecc).
Se abbiamo un problema del quale non riusciamo a trovare la soluzione, continuare a utilizzare gli stessi
schemi di pensiero – che si sono rivelati insufficienti a questo scopo – non potrà mai sbloccare la situazione.
Per risolvere il problema è necessario vedere qualcosa che ancora non abbiamo considerato, aprire la
mente a possibilità che ancora non abbiamo esplorato.

Il problem solving, quindi, si basa sull'acquisizione delle capacità di visione d'insieme, per cogliere i
collegamenti e le interdipendenze tra le parti che compongono il fenomeno indagato.
Es: “in una provetta sono contenuti germi il cui numero raddoppia ogni minuto. Con tale velocità di
riproduzione, la provetta sarà piena in un'ora. Quanto tempo occorre affinché la provetta sia piena per
metà?”
Risolvere tale problema partendo dalle condizioni iniziali e cercando di prevedere cosa succede al
trascorrere del tempo non è affatto semplice. Il problema diventa però banale se si ragiona a ritroso: se i
germi raddoppiano ogni minuto e la provetta è piena in un'ora, essa sarà piena per metà esattamente un
minuto prima. La risposta, quindi, è 59 minuti. Come si vede, è sufficiente un cambiamento di prospettiva
per semplificare drasticamente il problema.

Insight
Il termine insight, proposto da Koehler, indica il momento in cui la situazione si riorganizza ai nostri occhi e
diventa “trasparente”: il soggetto ristruttura gli elementi a propria disposizione e risolve il problema. In
termini popolari, l'insight è l’illuminazione che ci porta alla soluzione.
Collegate i 9 punti con 4 segmenti di retta senza staccare la matita dal foglio e
senza percorrere un tratto già percorso. (Maier, 1930)

La difficoltà nel trovare la soluzione è determinata dalla fissazione, tendenza psicologicamente forte, che in
questo caso si manifesta nel concentrarsi all’interno dell’area del quadrato senza considerare la possibilità
di uscire da essa.

PARTE II: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO


PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
Studio scientifico ed oggettivo del comportamento e dello sviluppo di bambini e adolescenti.
Occorre evitare una visione ingenua e soggettiva, in quanto questa presenta diversi ostacoli/bias potenziali:
1. Presupposto che i bambini/adolescenti interpretino e si rappresentino la realtà con gil stessi canoni
degli adulti.
2. Tentativo di capire bambini/adolescenti utilizzando i nostri ricordi.
 Difficilmente i nostri ricordi datano un periodo precedente al quarto/quinto anno
 Per effetto del passare del tempo si sono degradati e/o modificati
 Sono personali e non generalizzabili
3. Tentativo di comprendere attraverso il resoconto verbale, ponendo ai bambini/adolescenti
domande dirette.
 Per bambini e adolescenti le parole possono avere significati diversi da quelli che hanno per gli
adulti, quindi non è detto che capiscano ciò che intendiamo chiedere
 Tendenza alla compiacenza per i bambini; tendenza alla “ribellione” per gli adolescenti
4. Tentativo di comprendere attraverso l'osservazione spontanea, condotta in modo casuale e non
programmato.
 Non essendoci un piano prestabilito, si osservano i fenomeni più vistosi ma non si pone
attenzione a dettagli di fondamentale importanza
 Si rischia di fare delle generalizzazioni inappropriate
 Tendenza a stabilire delle connessioni causali per effetto delle aspettative (es: se ci si aspetta
che il divorzio abbia conseguenze negative sul bambino/adolescente, si vedranno solo quegli
aspetti che confermano l'ipotesi)
Per ovviare ai principali ostacoli/bias sono state messe a punto varie procedure scientifiche:
 Diversi tipi di osservazione (naturalistica vs controllata/di laboratorio)
 Interviste strutturate e semi-strutturate
 Test e questionari con dati normativi in funzione della popolazione
 Disegni di ricerca longitudinali vs studi trasversali

1. Sviluppo affettivo

2. Sviluppo emotivo

3. Sviluppo cognitivo
1. SVILUPPO AFFETTIVO
 Le emozioni del bambino regolano l'interazione con il caregiver (la madre)
 Gli scambi emotivi tra madre e bambino sono essenziali per lo sviluppo
In passato si pensava che il legame affettivo con la madre fosse solo strumentale alla gratificazione di
bisogni primari  es. cibo
Siamo sicuri che l'attaccamento derivi solo dalla soddisfazione dei bisogni primari?
 Studi di Konrad Lorenz  imprinting
 Studi di Harry Harlow  attaccamento nelle scimmie

 Imprinting
 Secondo l'etologo Lorenz (1935) gli animali sarebbero programmati alla nascita per apprendere
e memorizzare la figura del proprio caregiver.
 Periodo critico (prime ore/giorni di vita) in cui certi animali seguono il primo oggetto in
movimento. Il fine sarebbe quello di mantenersi vicino alla madre e quindi garantirsi la
sopravvivenza

 Studi di Harry Harlow sull’attaccamento


 Meglio una finta madre di ferro che mi fornisce del cibo o una finta madre di pezza che mi
fornisce protezione?
 Potendo scegliere, quanto tempo passeranno le scimmie a contatto con una madre e con l'altra?
 Quando si sentono minacciate, da quale delle due madri andranno?

Le scimmie tendono a stare con la madre di pezza (calda e accogliente). Vanno dalla mamma di
ferro solo per nutrirsi. Quando si sentono minacciate corrono dalla madre di pezza, l'unica in
grado di dare conforto.
La scoperta di Harlow (fine anni '50) confuta ciò che si ipotizzava sul legame madre – bambino.
Non si tratta solo di soddisfare la fame e la sete, il legame va oltre. Il contatto continuo con la
madre garantisce protezione e sicurezza, specialmente nei momenti di paura.

Secondo la Teoria dell'Attaccamento proposta da John Bowlby (fine anni '60), l’attaccamento del bambino
alla madre ha una base innata, centrata sulla necessità di stabilire uno stretto contatto fisico.
L'attaccamento sarebbe un bisogno non meno importante del cibo. L'affetto del bambino per la propria
madre è determinato da una motivazione intrinseca, derivante dal bisogno di contatto e di conforto.
Esistono schemi pre-programmati di attaccamento del bambino alla madre (es: aggrapparsi, piangere,
sorridere) e risposte pre- programmate della madre verso il bambino (es: accorrere con prontezza,
decodificare il tipo di pianto, consolare).
I comportamenti di attaccamento si manifestano soprattutto quando l’ambiente è reputato pericoloso, sia
per una fonte reale esterna che per la sola assenza momentanea della madre. Il bambino percepisce la
pericolosità dell’ambiente quando comincia ad esplorarlo e ad elaborare cognitivamente le informazioni
che provengono da esso.
La vicinanza alla madre e l’esplorazione dell’ambiente sono i due poli opposti del processo di attaccamento.

Vicinanza alla madre Esplorazione dell’ambiente

(sicurezza) (ignoto)
Quando il bambino esplora l'ambiente, la risposta di protezione da parte della madre tranquillizza il
bambino, che può tornare ad esplorare.
Quando la madre è assente e non può accorrere in aiuto del figlio (oppure quando essa non risponde in
maniera appropriata) si verifica l’ansia da separazione.
Mary Ainsworth ha sviluppato il paradigma della strange situation e ha individuato 4 stili di attaccamento:

1. LEGAME SICURO
 madre: “base sicura”, perché risponde alle richieste e supporta in episodi di stress.
 bambino: si sente libero di esplorare l’ambiente sia in presenza che in assenza della madre; in
sua assenza può dare segni di sconforto e piangere, ma quando ritorna va a salutarla e poi
riprende a giocare/esplorare.
 rappresentazione interna della relazione : modello mentale del sé come persona che si aspetta di
essere amata e, contemporaneamente, si aspetta dagli altri aiuto in caso di necessità.
 ripercussioni sulla vita adulta: persona autonoma, in grado di valutare razionalmente le
esperienze del passato; si riconosce l’importanza dell’attaccamento, ma ormai si è indipendenti
da esso.

2. LEGAME INSICURO DI TIPO ANSIOSO-AMBIVALENTE


 madre: imprevedibile nelle risposte alle richieste del bambino; molto affettuosa quando il
bambino non lo richiede e rifiutante quando invece il bambino avrebbe bisogno di supporto  è
la madre ad avere bisogno del supporto del bambino.
 bambino: in presenza della madre si mantiene stretto ad essa, in sua assenza mostra sconforto,
piange e non esplora, raramente riesce a giocare da solo.
 rappresentazione interna della relazione : modello mentale del sé come persona continuamente
vulnerabile, che non può contare sull’aiuto dell’altro, perché l’altro è reputato inaffidabile. C’è
un continuo bisogno di controllare le persone care, per paura di essere lasciati o traditi.
 ripercussioni sulla vita adulta: persona che esprime spesso rabbia per come è stata trattata da
piccola; appare ancora molto dipendente dalle figure genitoriali, non riesce ad avere un’identità
separata da quella della famiglia.

3. LEGAME INSICURO DI TIPO ANSIOSO-EVITANTE


 madre: rifiuta il contatto fisico anche in situazioni di stress del bambino.
 bambino: in presenza o in assenza della madre, sembra indifferente e tutto preso dai giochi;
mostra indifferenza alla separazione e alla solitudine.
 rappresentazione interna della relazione : modello mentale del sé come persona indegna di
essere amata, e degli altri come persone ostili da cui non si può avere niente; controllo altissimo
delle emozioni; ci si fida solo di se stessi; si evita ogni legame, dato che potrebbe trasformarsi in
un rifiuto.
 ripercussioni sulla vita adulta: persona disinteressata ai legami affettivi; nega che l’attaccamento
abbia avuto un ruolo importante; si definisce forte, autosufficiente e non influenzabile dalle
emozioni; la memoria di eventi relativi all’infanzia è molto scarsa.

4. LEGAME DI ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO


 madre con gravi disturbi psichiatrici
 bambino: non possiede un sistema coerente che gli consenta di affrontare lo stress; mostra
comportamenti contradditori nei confronti della madre (es: ricerca della vicinanza seguita
immediatamente dall’evitamento), che indicano confusione e paura della relazione.
 rappresentazione interna della relazione: disorientante.
 ripercussioni sulla vita adulta spesso molto gravi e patologiche.
I modelli operativi interni non sono affatto immodificabili con le esperienze della vita: esistono infiniti
fattori protettivi e/o di rischio che vanno a mitigare o esacerbare le modalità con cui le persone si
relazionano ad altre persone. Tuttavia Bowlby riteneva che i primissimi modelli interni che costruiamo
siano tendenzialmente più resistenti, poiché sono in larga misura inconsci e quindi non facilmente
accessibili.
Il maltrattamento in età precoce favorisce lo sviluppo di psicopatologie (es: depressione, disturbi da stress),
la delinquenza, nonché la propensione a ripetere tale modalità comportamentale, quindi maltrattare a loro
volta a figli. La paura verso i genitori porta a non sviluppare quel senso di sicurezza, quella capacità di
modulare le emozioni e quelle abilità sociali indispensabili per l’equilibrio psichico.
Analoghe considerazioni valgono anche quando il bambino è spettatore di ripetute violenze tra i genitori.

2. SVILUPPO EMOTIVO
Oltre allo sviluppo affettivo, nel contesto relazionale si va incontro anche allo sviluppo emotivo,
caratterizzato da 3 punti fondamentali:
1. la consapevolezza del proprio stato emotivo
2. controllare e modulare l’espressione delle proprie emozioni (differenze tra culture)
3. riconoscere correttamente le emozioni nelle altre persone
Le emozioni sono reazioni soggettive ad un evento saliente, caratterizzate da cambiamenti fisiologici,
esperienziali e comportamentali (Sroufe 1996).
Le emozioni sono legate a:
 evento scatenante (es: un rumore improvviso genera paura)
 componente fisiologica (es: accelerazione del battito cardiaco)
 componente esperienziale (es. l’esperienza privata che ognuno di noi ha nel momento in cui
sperimenta un’emozione)
 cambiamento comportamentale manifesto (es: cambiamenti della voce o gesti particolari)

• Le emozioni sono reazioni soggettive ad un evento saliente, caratterizzate da cambiamenti fisiologici,


esperienziali e comportamentali (Sroufe 1996).
• I sentimenti, invece, sono degli stati d’animo, ossia una condizione cognitivo-affettiva che dura di più
rispetto alle emozioni, dato che possono rimanere attivi per un periodo più lungo e che presentano una
minore incisività rispetto alle emozioni.

Attaccamento ed emozioni
Il modo in cui i genitori reagiscono alla manifestazione delle emozioni dei bambini è decisivo per il loro
sviluppo.
- Madri sensibili  bambini in grado di regolare ed esprimere adeguatamente le emozion
- Madri insensibili o incoerenti  bambini con scarse capacità di regolare ed esprimere adeguatamente le
emozioni.
 Bambini con attaccamento sicuro: hanno imparato che, se manifestano le emozioni, le madri
rispondono adeguatamente in funzione di ciò che viene espresso dai bambini stessi.
 Bambini con attaccamento ansioso-ambivalente : hanno raccolto manifestazioni incoerenti e
incostanti quando esprimevano le loro emozioni. Di conseguenza sviluppano reazioni emotive
esagerate soprattutto per il dolore e la rabbia, nel tentativo disperato di attirare l’attenzione.
 Bambini con attaccamento ansioso-evitante : hanno raccolto svariati rifiuti delle loro manifestazioni
emotive, in particolare delle emozioni negative verso le quali le madri sono meno reattive. Di
conseguenza tali bambini nascondono la sofferenza per paura del rifiuto o del rimprovero. Simile la
situazione per le emozioni positive: molto spesso, infatti, la madre non risponde nemmeno ad esse.
Competenza emotiva: abilità di gestire le proprie emozioni e riconoscere e affrontare le emozioni altrui.

- Consapevolezza del proprio stato emotivo - Capacità di riconoscere le emozioni altrui

- Capacità di usare il vocabolario delle emozioni - Empatia

- Capacità di comprendere che lo stato emotivo interiore non corrisponde necessariamente a quello
Anche da adulti ci capita di non saper modulare le nostre emozioni!
La competenza emotiva è condizionata da …
… influenze interpersonali, ossia le relazioni con i genitori e con i pari
… influenze ecologiche, ossia l’ambiente più esteso in cui si cresce
… influenze biologiche e genetiche
La competenza emotiva è strettamente associata alla competenza sociale:
 maggiore competenza nel controllo delle emozioni
 maggiore capacità di segnalare come ci si sente
 maggiore precisione nell’identificare le proprie e altrui emozioni
 maggiore capacità di gestire e affrontare la rabbia in maniera costruttiva
 miglior rapporto con gli atri

3. SVILUPPO COGNITIVO
PIAGET
Secondo Jean Piaget il bambino non è un passivo recettore di pressioni ambientali (comportamentismo) né
il veicolo di idee innate (innatismo), bensì un attivo costruttore delle proprie conoscenze.
Tale costruzione avviene attraverso una continua interazione con l'ambiente.

Piaget adotta quindi un approccio organismico:


 l'organismo è attivo e interattivo e si modifica attraverso gli scambi con l'ambiente;
 l’organismo è costituito da strutture organizzate, e lo sviluppo consiste nella trasformazione di tali
strutture;
 le strutture interne dell'organismo si modificano continuamente per assolvere a nuovi e vecchi
bisogni. Tali modificazioni sono il risultato di 2 processi che regolano lo scambio tra soggetto e
ambiente: l’assimilazione e l’accomodamento.
Assimilazione e accomodamento
 Assimilazione: si realizza ogni qualvolta si incorpora nelle proprie strutture psicologiche un
elemento esterno e lo si trasforma in funzione delle strutture interne
 le nuove esperienze e le nuove informazioni vengono assorbite e poi elaborate in modo da
“inserirsi” in categorie mentali che già possediamo
 Es. un nuovo cane (diverso dal proprio cane), sarà comunque inserito nella categoria "cane”.

 Accomodamento: consiste nella modificazione delle strutture psicologiche in base alle


caratteristiche della realtà assimilata; le strutture si adeguano alla realtà
 di fronte ad una nuova esperienza siamo costretti a modificare le nostre categorie già esistenti,
se non ve ne sono di disponibili in cui inserirla.
 Es. un gatto (diverso dal proprio cane) non potrà essere inserito nella categoria "cane", quindi
devo creare una nuova struttura
Assimilazione e accomodamento promuovono l'adattamento dell'individuo all'ambiente. In qualunque
momento dello sviluppo l'organismo tende a darsi un'organizzazione, cioè a costruire delle strutture che
interagiscono tra loro.
Le forme assunte dall'organizzazione interna sono chiamate strutture.
Le prime forme molto elementari di struttura sono dette schemi di azione. Lo schema di azione non si
identifica con l'azione medesima, ma con un programma motorio rispetto al quale le azioni ne costituiscono
le manifestazioni esterne (es: lo schema di azione della suzione).
Gli schemi di azione sono generalizzabili (es: succhiare il proprio dito, non solo il seno) e tendono a
coordinarsi e integrarsi con altri schemi (es: lo schema della prensione si coordina con quello del gettare a
terra, per cui un oggetto viene preso per essere poi gettato).
Lo sviluppo cognitivo avviene attraverso l'evolversi di strutture interne che si costruiscono nell'interazione
con l'ambiente, per mezzo di processi conoscitivi realizzati attivamente dal bambino. Nel corso dello
sviluppo si verificano, nell'organizzazione psicologica, delle modificazioni strutturali così rilevanti da
contrassegnare dei veri e propri stadi, cioè livelli qualitativamente diversi tra loro.
A ciascuno stadio di sviluppo corrisponde una particolare forma di organizzazione interna, con i propri
contenuti, conoscenze e interpretazioni della realtà. Le acquisizioni di uno stadio non vanno perse con il
raggiungimento dello stadio successivo, ma vengono integrate in strutture più evolute.
Gli stadi sono connessi secondo i principi di:
 necessità logica (nessuno stadio può essere saltato)
 universalità (la sequenza è la medesima per tutti)

1. Stadio sensomotorio (0-2 anni)


2. Stadio pre-operatorio (2-6/7 anni)
3. Stadio del pensiero operatorio concreto (6/7-11/12 anni)
4. Stadio del pensiero operatorio formale (dopo gli 11/12 anni)

3. Stadio operatorio concreto (6/7 anni – 11/12 anni)


 Seriazione: abilità di organizzare mentalmente gli elementi per criteri come peso, altezza, tempo e
velocità  Inferenze transitive: se A corre più veloce di B e B corre più veloce di C, chi corre più
veloce tra A e C?

 Classificazione: capacità di classificare gli oggetti in gruppi in base a certi criteri e di individuare la
relazione tra i gruppi.

 Idea di numero: comprensione che i numeri possono essere organizzati in categorie e


sottocategorie.

 Comprensione del fenomeno della conservazione: comprensione del fatto che le caratteristiche
essenziali degli oggetti non vengono modificate dai cambiamenti nel loro aspetto superficiale (es:
conservazione dei liquidi).

4. Stadio operatorio formale (dopo gli 11/12 anni)


Emerge il pensiero ipotetico deduttivo, che opera su premesse ipotetiche e ricava quindi conclusioni
logiche. Ragionamento sulle astrazioni: il pensiero non è più legato a eventi o oggetti concreti; ora i bambini
sono in grado di affrontare nozioni puramente ipotetiche e astratte. Sono in grado di riflettere sul futuro
proprio e altrui, e di conseguenza anche di fare progetti. Per realizzare questo tipo di pensiero non c'è più
bisogno di supporti materiali.
Punti di forza della teoria piagetiana
 Il pensiero dei bambini è qualitativamente diverso da quello degli adulti.
 Lo sviluppo cognitivo è continuo e costante fin dalla nascita.
 I bambini sono apprendisti attivi delle loro acquisizioni, ossia sono motivati dalla curiosità a
sperimentare e apprendere, non attendono passivi gli stimoli che gli adulti forniscono loro.
 La successione degli stadi è la stessa per ogni cultura.
 Le acquisizioni dello stadio precedente vengono inglobate in quelle dello stadio successivo.

Punti di debolezza della teoria piagetiana


 Le età indicate per alcune acquisizioni sono troppo elevate (es: la conservazione può essere
osservata già verso i 4 anni  metodologia).
 La successione degli stadi è la medesima per tutte le culture, ma le influenze culturali determinano
la velocità con cui avvengono le acquisizioni (es: in alcune civiltà aborigene dell’Australia centrale,
lo stadio operatorio formale non viene raggiunto nemmeno in età adulta).
 I cambiamenti non avvengono in maniera repentina ed improvvisa.

Vygotskii e la Teoria dello sviluppo socio-cognitivo


Lev Semënovič Vygostkij propone la teoria dello sviluppo socio- cognitivo, secondo cui lo sviluppo dipende
principalmente dal contesto sociale e culturale, mentre la maturazione fisiologica ha un ruolo secondario.
Lo sviluppo cognitivo, dunque, sarebbe un processo sociale, che avviene su tre livelli:
 livello culturale
 livello interpersonale
 livello individuale
L’integrazione tra questi tre livelli determina il futuro percorso individuale.

Livello culturale
Lo sviluppo del bambino si basa sulla trasmissione della saggezza accumulata dalle generazioni precedenti,
trasmessa attraverso l’interazione con i caregiver. In particolare, ogni società ha perfezionato degli
strumenti culturali per portare avanti le proprie tradizioni, che devono essere tramandate da una
generazione all’altra. Grazie a questi strumenti, i bambini imparano a comprendere come funziona il
mondo.
Strumenti culturali:
- tecnologici (libri, computer, penne, orologi, ecc)
- psicologici (linguaggio, teorie, valori, ecc)
Lo strumento culturale di maggior valore è il linguaggio, che ha un’importanza fondamentale nello sviluppo
cognitivo. Fin dall’inizio della vita il linguaggio ha funzione comunicativa verso l’esterno e successivamente
si interiorizza e diventa pensiero. (Piaget, invece, sosteneva che nei primi anni il linguaggio è egocentrico,
ossia non ha funzione comunicativa)

Livello interpersonale
Lo sviluppo cognitivo del bambino ha luogo essenzialmente grazie al supporto dell’adulto. Il bambino
raggiunge i progressi massimi quando opera con un tutor più progredito piuttosto che quando opera da
solo.
Zona di sviluppo prossimale: rappresenta la distanza tra ciò che un bambino può conseguire senza
l’assistenza di altre persone e ciò che può ottenere con l’aiuto di una persona più esperta. Quanto accade
nella ZSP non riguarda solo le attività didattiche ma anche altri tipi di interazione (es: gioco, conversazioni),
che hanno un potenziale analogo di incremento della conoscenza dei bambini.

Livello individuale
Costruttivismo sociale: orientamento secondo il quale l’apprendimento del bambino è basato sullo sforzo
attivo di comprendere il mondo, incrementato dall’aiuto di altre persone.
Sforzo individuale incrementato dal supporto sociale.

Da Vygotskii . . .
In che modo gli adulti possono sostenere i bambini nelle loro acquisizioni?
Scaffolding: guida e supporto forniti dagli adulti ai bambini nella zona di sviluppo prossimale per
identificare il genere di azioni necessarie per favorire l’apprendimento.
Regole fondamentali per uno scaffolding efficace:
 quando il bambino fa fatica, il tutor dovrebbe subito dare aiuto;
 quando il bambino riesce nel compito, il tutor dovrebbe ridurre il suo aiuto
Aspetti fondamentali che caratterizzano una relazione di tutoring efficace:
 i tutor fanno da ponte tra conoscenze già acquisite e nuove conoscenze da acquisire;
 offrendo una guida, i tutor forniscono un sostegno alla capacità di problem solving del bambino;
 il tutor aiuta il bambino a risolvere compiti complessi che all’inizio potevano sembrare fuori della
sua portata;
 il tutor aiuta il bambino a sentirsi responsabile dei risultati che ottiene.
La capacità di dare e ricevere aiuto dipende da tre fattori:
• sensibilità dall’adulto di sintonizzarsi con i bisogni del bambino. Un adulto privo di sensibilità può
sovraccaricare il bambino, esercitare un controllo eccessivo su ciò che fa o sottovalutare le sue
capacità creando in lui noia;
• il tipo di attaccamento può influenzare il modo in cui i bambini riescono a trarre profitto dagli
insegnamenti ricevuti sia dai genitori che da altri tutor;
• i bambini si differenziano nelle loro capacità di ricevere aiuto.

MOTIVAZIONE
Cos’è la motivazione?
Il processo che regola ogni comportamento diretto ad un obiettivo specifico, determinandone l’avvio, la
direzione, il mantenimento e l’eventuale declino.
La motivazione spiega cosa spinge una persona (o un gruppo) a fare certe cose e a rifiutarsi di farne altre.
Comprendere la motivazione alla base di un determinato comportamento significa capirne il perché (sia che
si tratti di noi stessi che di qualcun altro).
È difficile studiare empiricamente la motivazione perché:
 lo stesso comportamento può derivare da motivazioni diverse
 la stessa motivazione può portare a comportamenti diversi
 esistono differenze individuali, situazionali e temporali
 a volte non si è (pienamente) consapevoli delle motivazioni
 fenomeno complesso determinato da molteplici variabili
La motivazione intrinseca porta ad intraprendere un'attività per proprio piacere, piuttosto che per un
incentivo esterno. I rinforzi tendono ad agire negativamente sulla memoria intrinseca. Questa è rafforzata
dalla percezione di competenza e dall’eccitamento per una sfida.
La motivazione estrinseca è finalizzata all'ottenimento di ricompense esterne, quali denaro, voti o altri tipi
di incentivi.
La Piramide dei bisogni di Maslow

La motivazione del successo


Le persone sono motivate quando hanno la percezione di poter aver successo (Atkinson, 1964).
Le persone sarebbero spinte da due motivazioni opposte:
• da un lato, la ricerca di successo
• dall'altro, l'evitamento del fallimento
Persone maggiormente orientate al successo VS Persone maggiormente orientate ad evitare il fallimento
 Le persone motivate al successo evitano compiti troppo facili o troppo difficili.
 Le persone poco motivate al successo (orientate ad evitare il fallimento) invece preferiscono compiti
facili o impossibili ed evitano compiti mediamente difficili.

Attribuzioni causali
Secondo Weiner (1972), le persone ricercano sempre le cause di un evento per poterlo spiegare. La
spiegazione che ci si dà per interpretare un successo o un insuccesso influenza le azioni future.
Locus of control (Rotter, 1954)
 interno: fattori individuali, motivazione, abilità
 esterno: fattori ambientali, caso

 Le persone con locus of control interno sono convinte che il proprio destino sia nelle proprie mani. I
successi e i fallimenti dipendono sa se stessi.
 Le persone con locus of control esterno sono convinte che il proprio destino sia nelle mani di eventi
esterni. I successi e i fallimenti dipendono da eventi casuali, da altre persone, dalla fortuna.
Le attribuzioni causali influenzano la formazione dei propositi e l’erogazione degli sforzi (Rotter, 1954).
Attribuzioni causali p. 11 schema
Orientamento al compito e orientamento al sé
Nicholls (1992) propone la distinzione tra due tipi di obiettivi correlati alla costruzione del livello di
competenza individuale in ogni situazione, quindi due orientamenti motivazionali:
 orientamento al compito
 orientamento al sé
Sono due dimensioni indipendenti, quindi si può essere molto orientati in una sola “direzione” e non
nell'altra, oppure poco (o molto) in entrambe.
Orientamento al compito
 Ricerca dello sviluppo di abilità
 Desiderio di mostrare competenza
 Priorità al confronto con se stessi
 La percezione della competenza dipende dai progressi effettivi
 Correlazione negativa con il desiderio di imbrogliare e di offrire un'immagine di sé migliore di quella
reale
Orientamento al sé
 Dimostrazione dell'abilità in confronto agli altri
 La percezione della riuscita dipende dal confronto competitivo
 Ricerca di riconoscimenti positivi
 Ricerca di acquisizione di status
 Correlazione positiva con il desiderio di imbrogliare e di offrire un'immagine di sé migliore di quella
reale
Le persone maggiormente orientate al compito ritengono che il successo derivi principalmente
dall'impegno individuale e hanno come obiettivo l'apprendimento di nuove abilità/conoscenze.
Le persone maggiormente orientate al sé, invece, ritengono che il successo sia determinato principalmente
dalle proprie abilità individuali e dal proprio talento e hanno come obiettivo la supremazia sugli altri.

L’Autoefficacia
L'autoefficacia (Bandura, 1997) è il grado di convinzione che una persona ha rispetto alla propria capacità di
gestione di quella situazione specifica. È la percezione di essere all’altezza della situazione da affrontare.
Fa riferimento a quanto una persona si ritiene competente/capace, quindi efficace, in un determinato
ambito. L’autoefficacia è specifica per attività/compito.
Tre aspetti importanti (Caprara, 1996):
 l’autoefficacia può essere rafforzata
 l’autoefficacia sulla quale si può intervenire è specifica per una determinata classe di compiti
 modificare l’autoefficacia comporta mutamenti nella prestazione, nell’umore, nell’impegno, nel
benessere

Le persone con bassa autoefficacia … Le persone con alta autoefficacia …


… sottostimano le proprie capacità … dimostrano alti livelli di aspirazione personale
… esagerano gli ostacoli … intensificano gli sforzi per affrontare gli ostacoli
… sono maggiormente vulnerabili al rischio di … si riprendono facilmente dai fallimenti (in
fallimento quanto spiegati come scarso impegno)
… dimostrano bassi livelli di aspirazione personale
 si (auto)predispongono al fallimento  si (auto)predispongono al successo
La conferma (o la disconferma) del senso di autoefficacia personale deriva dalla valutazione dei risultati
della propria condotta  Si genererebbero aspettative che traggono la propria “legittimità” dall’esperienza.
Per intervenire sull’autoefficacia si può far ricorso all’utilizzo di feedback adeguati e al goal setting.
Un feedback è un’informazione relativa ad una nostra azione (o comportamento) che non sempre
riusciamo a cogliere direttamente.
I feedback possono derivare da fonti diverse, e sono utili per modificare le nostre azioni in funzione del
raggiungimento di un obiettivo.
Per risultare veramente utili, i feedback dovrebbero essere …
 corrispondenti ad un resoconto fedele (oggettivo) dei fatti
 descrittivi (della prestazione) e non valutativi (della persona)
 molto specifici
 parsimoniosi (dare poche informazioni, ma significative e chiare
 contestuali all’azione
 sia positivi che negativi
Feedback con queste caratteristiche forniscono l’occasione di verifica delle proprie capacità e stimolano la
ricerca di soluzioni alternative.
Il goal setting consiste in una precisa definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere in un
determinato ambito. È fondamentale definire non solamente gli obiettivi finali a lungo termine, ma anche
quelli intermedi – a breve e medio termine – necessari per raggiungere quelli finali.
Tale “programma di obiettivi” da un lato vincola all’impegno personale, dall’altro consente di monitorare i
progressi. Gli obiettivi devono essere quanto più possibile specifici, chiari, verificabili, stimolanti e adattati
alle necessità individuali.
Gli obiettivi intermedi (o micro-obiettivi) permettono di monitorare i progressi e di ottenere quindi un
rinforzo  aumento dell’autoefficacia percepita.
È fondamentale che gli obiettivi siano riferiti alla prestazione e non (solamente) al risultato.

DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO


Con l’acronimo DSA intendiamo una categoria diagnostica che riguarda i disturbi specifici delle abilità
scolastiche, in un quadro in cui il funzionamento intellettivo generale è intatto.
Situazioni in cui a dei ragazzi/e vengono diagnosticati dei disturbi specifici dell’apprendimento che
riguardano in maniera specifica alcune abilità legate all’ambito scolastico in un contesto in cui il
funzionamento intellettivo funziona normalmente.
Da un punto di vista intellettivo sono persone normalissime come tutti, ma hanno dei disturbi specifici che
riguardano in particolare alcune abilità che differiscono da un punto di vista statistisco dal resto della
popolazione.
 Alcune caratteristiche importanti sono sono il carattere di a) specificità, b) di discrepanza e c) il
carattere evolutivo-neurobiologico:
a) si tratta di disturbi che coinvolgono specifico dominio di abilità
b) c’è una differenza tra le abilità delle persone che hanno questo tipo di disturbo su quelle abilità
specifiche e coloro che non ce l’hanno. Le prestazioni nell’abilità interessata sono inferiori al livello
medio atteso per la classe frequentata; intelligenza nella norma. (discrepanza di prestazione)
c) si tratta di deficit funzionali dovuti ad alterazioni di natura neurobiologica che interferiscono con
la normale acquisizione/evoluzione di alcune abilità scolastiche.
 Inoltre, i DSA hanno anche un forte impatto a più livelli: individuale e sociale.
Impatto individuale: questi disturbi interferiscono su quella che è la normale acquisizione di
determiante abilità, quindi vanno a influenzare l’apprendimento da certi punti di vista.
Impatto sociale: all’internod elle relaizoni della classe ci possono essere delle difficoltà relaizonali
che derivano in qualche modo da questo tipo di disturbo (es. un allievo che non sa leggere bene
potrebbe essere preso in giro dai compagni per questo suo disturbo).
Quindi oltre all’impatto a livello individuale, dell’apprendimento scolastico, c’è anche un impatto
potenziale a livello sociale. Tuttavia, questo non vuol dire che ciò accada sempre, però è una
componente che aumenta la possibilità che detemrinate dinamiche psicosociali intervengano in
certi casi, con certi ragazzi/e che hanno questi disturbi.
 Un altro aspetto importante relativo ai DSA è la comorbidità, ovvero la compresenza di più DSA o
compresenza di altri disturbi neuropsicologici (es. ADHD: Disturbo da Deficit di Attenzione
Iperattività) e psicopatologici (ansia, depressione e disturbi della condotta). I DSA possono essere
associati a più situaizoni problematiche a livello individiuale che poi si riflettono anche a livello
sociale.
 Si tratta di disturbi di carattere tendenzialmente cronico: disturbi tendenzialmente atabili la cui
espressività si modifica nel tempo. Il disturbo rimane ma il modo in cui il disturbo si manifesta può
variare nel tempo, anche in funzione delle tappe dello sviluppo.
 Sono disturbi resistenti al trattamento: si tratta di un problema fondamentalmente di natura
biologica, il tipo di intervento didattico apportabile può portare a dei vantaggi ma non
all’automatizzazione di un determinato processo. Si può migliorare la situazione ma rimane un gap.
Fattori di rischio per lo sviluppo di un DSA

COSA NON SONO I DSA


- Non sono difficoltà scolastiche aspecifiche possibilmente legate al contesto familiare, sociale, culturale
(non sono da confondere questi aspetti)
- Non si tratta di disabilità intellettiva
- Non sono deficit neurologici, sensoriali e motori
Non dipendono da problemi psicologici, da pigrizia o poca motivazione

Per fattire di rischio si intende una specifica condizione che risulta statisticamente associata a una malattia
e che pertanto si ritiene possa concorrere alla sua patogenesi, favorirne lo sviluppo o accelerarne il
decorso. Fattori che aumentano la probabilità che questa malattia emerga, o che venga
accelerata/accentuata, anche quando magari, in condizioni diverse, non emergerebbe nella stessa maniera:
 due o più anestesie generali prima del quarto anno di vita
 sesso biologico: i maschi hanno una maggior probabilità di essere diagnosticati come DSA rispetto
alle femmine (rischio 2,5 volte maggiore)
 una storia genitoriale di alcolismo/uso di sostanze può far emergere dei fattori che vanno ad
influire sullo sviluppo di questi disturbi
 familiarità (casi in famiglia diagnosticati con DSA)
Rilevanza del fenomeno in Italia
Prevalenza attorno al 2-2,5% della popolazione in età evolutiva in Italia (ma si ritiene che sia una
sottostima). Le conseguenza di questo fenomeno, soprattutto in caso di una mancata diagnosi, è il rischio di
abbandono scolastico e anche una bassa realizzazione delle potenzialità sociali e lavorative. Abbiamo il
rischio sulle persone che vengono diagnosticate, se non trattate adeguatamente, o ancora peggio se le
persone non vengono diagnosticate e non vengono quindi supportate.
Una volta identificato un determinato disturbo possiamo supportare le persone che ce l’hanno facendo in
mondo di metterle nelle stesse condizioni di colore che non hanno quel tipo di disturbo.
E’ importante riuscire a rilevare questi fenomeni per poter aiutare le persone a sviluppare al massimo le
loro potenzialità.
Da un punto di vista diagnostico ci possono essere delle differenze. Il dato medio in Italia è in realtà
influenzato anche dalle diagnosi che vengono fatte in maniera non uniforme su tutto il territorio nazionale.
Questo può essere un problema nel momento in cui non c’è una sufficiente attenzione a determinati stati di
difficoltà, quindi non vi si può porre rimedio.
TIPOLOGIE DI DSA
Esistono diverse tipologie di DSA, quelle che studieremo sono tra le più comuni/rilevanti.
Sulla base del deficit funzionale coinvolto, si distinguono le seguenti condizioni cliniche:
- DISLESSIA (decodifica del testo scritto)
- DISORTOGRAFIA (codifica fonologica e competenza ortografica)
- DISGRAFIA (abilità grafo-motoria)
- DISCALCULIA (comprendere e operare numeri)

Per quanto riguarda i disturbi della scrittura, questi possono interessare diversi livelli di competenza:
componente linguistica  Disortografia: deficit nei processi di cifratura
componente motoria Disgrafia: deficit nei processi di realizzazione grafemi

DISLESSIA
Disturbo specifico nell’automatizzazione funzionale dell’abilità di lettura decifrativa, la capacità di tradurre
dei simboli – le lettere – in parole, in una lettura.
Caratteristiche principali:
 lettura lenta, stentata e con errori
 espressività tendenzialmente poco accentuata, soprattutto nelle fasi iniziali, perché non si riesce a
integrare da un punto di vista funzionale il significato delle parole, che tuttavia migliora con la
crescita, anche se permane una lentezza eccessiva
 difficoltà con le lingue straniere
 problemi di memoria a breve termine = memoria di lavoro debole (può risultare deficitaria)
Come Leggiamo
Al fine di capire quali meccanismi stanno alla base, bisogna capire come noi leggiamo.
Da un punto di vista della psicolinguistica esiste, per quanto riguarda la lettura e non solo, un modello a
due vie di Coltheart che indica due sistemi diversi che ci porterebbero ad una lettura fluida, sia di parole
che conosciamo e che non.
1) Via fonologica: Lettura mediante regole di conversione grafema - fonema
Ci permette di tradurre un grafema in fonema= ogni lettera corrisponde a un suono. Non è una via molto
efficiente, ma è necesseria in certe situazioni.
- procede lentamente in quanto consiste in un’analisi lettera per lettera delle parole da leggere
- tuttavia, il vantaggio è che ci permette di leggere nonparole, parole nuove o conosciute
2) Via lessicale: Lettura mediante analisi globale della parola a recupero diretto della corrispondente
forma fonologica. Non leggiamo lettera per lettera ma percepiamo la parola nella sua unità. Questo ci
permette
- lettura veloce (automatizzazione lettura)
- recupero di alte info sulla aprola (accento)
Nelle prime fasi dell’apprendimento noi ci basiamo sulla via fonologica, i bambini quando imparano
fanno l’analisi lettera per lettera, ma successivamente si utilizza prevalentemente una lettura per via
lessicale. Per chi soffre di dislessia, il problema risulta ovviamente nella via lessicale, ossia nella capacità
di cogliere la parola nel suo complesso e dover quindi procedere con un’analisi più specifica, lettera per
lettera. Inoltre, nella dislessia sarebbe deficitaria la via lessicale poiché la lettura lenta è il tratto
distintivo di questo dsa. Tuttavia, la lingua italiana ci agevole perché c’è un buon grado di
corrispondenza tra la forma scritta e quella orale. Gran parte delle parole possono essere lette sulla base
di regole di conversione grafema-fonema. (Nelle lingue straniere in cui non c’è questa corrispondenza,
la lettura diventa più difficile)
Evoluzione velocità

EVOLUZIONE VELOCITÀ DI LETTURA DI UN BRANO


6
5,32
La distanza tra
5 4,8
4,3 normolettori e bambini
4
3,79 con dislessia, rispetto
3,28
al parametro di
SILL/SEC

2,77
3 normolettori
2,26 2,13
2,43 velocità, in termini
1,83 dislessici
2 1,53 assoluti si mantiene e
1,23
1 0,63
0,93 aumenta

0 1,63 2,89
2 EL 3 EL 4 EL 5 EL 1 2
MEDIA sill/sec
MEDIA sill/sec

Tressoldi, Stella e Fagella, 2001

Il gap tra i ragazzi con dislessia e i normolettori permane nonostante ci sia un miglioramento.

Tipologie di errori
Errori fonologici o visivi/lessicali
 incapacità di distinguere lettere simili per la forma (m e n; b e d; b e p) o per il suono (d e t; b e p);
 inversione di lettere nell’ambito di una sillaba (lad per dal; id per di);
 omissione di lettere o sillabe nell’ambito di una parola (doni per domani);
 sostituzione di intere parole (auto alposto di aereo)
 salti di riga

Le capacità cognitive di elaborazione dei concetti sono intatte, si tratta di un disturbo specifico in
un’abilità specifica, non di un disturbo intellettivo.

DISORTOGRAFIA (riguarda la competenza linguistica)


Specifico disturbo relativo alla compromissione dello sviluppo delle capacità di compitazione legato ad
abilità linguistiche. Si tratta quindi di un disturbo della scrittura la cui origine è legata all’elaborazione del
linguaggio.
Caratteristiche principali:
 Lentezza esecutiva nella realizzazione dei grafemi ed errori ortografici che derivano da
un’elaborazione di tipo linguistico.
 Difficoltà nella composizione di testi scritti (errori, punteggiatura, organizzazione).
 Spesso in associazione con altri DSA come dislessia o discalculia
Come scriviamo
Dobbiamo capire com’è la nostra produzione linguistica scritta. Analogamente alla lettura, anche qui
abbiamo due vie.
1) Via fonologica: decodificare mediante la conversione fonema-grafema, quindi sostanzialmente
scrivere lettera per lettera.
- segmentazione della parola
- scrittura che procede lentamente
2) Via lessicale: decodifica mediante recupero della parola nella sua completezza, e quindi della sua
forma ortografica, in modo diretto.
- recupero di altre informazioni sulla parola (regole ortografiche). Ad esempio so come si scrive una
parola, so quali sono le regole ortografiche legate as essa, quindi riesco a riprodurle senza problemi.
- scrittura veloce (automatizzazione scrittura) ( fluidità dell’elaborazione linguistica a cui l’output
motorio è associato non ha ostacoli derivanti da un problema che sta “a monte”)
Tipologie di errori
Errori fonologico
 Sostituzione di lettere fonologicamente simili (f/v, p/b, c/g, t/d, r/l)
 Omissione e/o aggiunta di lettere o sillabe (es. taolo per tavolo)
 Inversioni (li per il, tende per dente)
 Grafema/grafemi inesatti (pese per pesce, agi per aghi)
Errori non fonologici (lessicali e visivo-ortografici)
 Separazioni illecite (in sieme, l’avato per lavato)
 Fusioni illecite (nonè per non è, cisono)
 Scambio di grafema omofono (squola per scuola, qucina)
 Omissione o aggiunta di h (ha casa, lui non a fame)
Errori fonetici
 omissione o aggiunta di accenti (perche per perché, ando per andò)
 omissione o aggiunta di doppie (picolo per piccolo, sagio per saggio)
Nella fase di apprendimento ci sono tantisismi errori di grammatica che possono essere fatti. Tuttavia,
quando la cosa diventa patologica allora ci può essere necessità di consultare un esperto. Quando si
notano determinati errori bisogna capire se è soltato una svista della fase di apprendimento o meno e
valutare come agire di conseguenza, consultando i propri colleghi. Sarà necessario applicare delle
strategie per cercare di migliorare e agevolare i ragazzi nei quali si notano delle difficolta. Se nonostante
un supporto maggiore le difficoltà persistono, allora saranno necessari ulteriori accertamenti e verrà
eventualmente fatta una diagnosi da un esperto per un DSA.

DISGRAFIA (riguarda la componente motoria)


Problema di tipo/natura motoria che riguarda la difficoltà nella realizzazione del grafema, nell’esecuzione di
quei movimenti che determinano la produzione dei grafemi.
Caratteristiche principali:
 scrittura tendenzialmente illeggibile (dimensioni lettere irregolari, disposizione nello
spazio/allineamento, ad esempio non si rispettano le righe del quaderno, parole molto attaccate o
con spazi irregolari, modulazione della forza nella fase di scrittura/ prensione della penna..
 velocità solitamente rallentata
 Tratto grafico irregolare, mancato rispetto dei margini e righe, spaziatura irregolare tra lettere e
parole
 Difficoltà nella modulazione della forza, nella prensione

DISCALCULIA (comprender e operare con i numeri)


Difficoltà nell’acquisire l’automatismo del calcolo e nell’elaborazione dei numeri.
Caratteristiche principali:
 difficoltà nel conteggio (avanti e indietro)
 difficoltà nelle abilità di leggere e scrivere i numeri
 prestazioni inferiori nella capacità di calcolo
 difficoltà nella comprensione delle quantità e nel confronto tra quantità
 problemi nella comprensione di concetti base (operazioni) e nel riconoscimento di simboli numerici
 allineamento dei numeri, inserimento di decimali, organizzazione in forma scritta dei calcoli
 difficoltà nel calcolo a mente
Tipologie di errori
 Difficoltà nell’incolonnamento delle operazioni
 Non considerazione del valore posizionale delle cifre
 Cunfusione tra operazioni
 Lettura errata dei numeri

DSA: FASI DEL PERCORSO

 SCUOLA
- Identifica casi sospetti DSA
- Esegue interventi di potenziamento (4-6 mesi)
- Comunicazione scritta dei casi “resistenti” alla famiglia
Se vengono notate difficoltà specifiche di questo tipo, la scuola deve intervenire con delle attività di
potenziamento (4-6 mesi) in cui si può vedere se si tratta davvero di un dsa, o soltanto di una fase. Nella
stessa classe si possono trovare ragazzi che hanno sostanzialmente 1 anno di differenza (nati e
gennaio/dicembre) quindi magari a qualcuno nato prima si sta chiedendo un po’ troppo, inoltre lo
sviluppo non è lineare, non tutti raggiungono le stesse capacità/abilità cognitive allo stesso momento. Se
invece non si ottengono risultati di miglioramento, allora ci si confronta con gli altri insegnanti e si
procede con una comunicazione alla famiglia che c’è questo tipo di difficoltà.

 FAMIGLIA
- Si rivolge al pediatra per poter intraprendere approfondimento diagnostico
- Contatta i servizi di neuropsichiatria infantile
La famiglia si rivolge a un pediatra per approfondire una diagnosi  neuropsichiatria infantile e
eventualmente viene fatta una diagnosi, ecc. Sapere COME comportarsi quando in classe ci sono
ragazzi/e che hanno questo tipo di disturbo.

 SERVIZI SANITARI
- Esegue valutazione ed effettua diagnosi
- Rilascia una certificazione

STRUMENTI COMPENSATIVI E MISURE DISPENSATIVE


Come comportarsi quando all’interno della classe ci sono dei ragazzi o delle ragazze che hanno un disturbo
specifico dell’apprendimento?
«…obbligo di garantire l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento
alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non
essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere» (Legge 170/2010). Per legge un insegnante
è obbligato a garantire l’introduzione di strumenti compensativi e misure compensative.

Strumenti compensativi Misure dispensative

Sono strumenti didattici e tecnologici che Interventi che permettono di svolgere con alcuni
sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta accorgimenti o non svolgere le prestazioni che
nell’abilità deficitaria: risultano particolarmente difficili a causa del
proprio DSA:
 Sintesi vocale
 Registratore  Tempi supplementari (circa +30%)
 Computer e correttore ortografico  Interrogazioni programmate
 Calcolatrice  Interrogazioni orali vs scritte
 Tabelle, formulari, mappe concettuali  Valutazione contenuto e non forma
 Dispensa da lettura ad alta voce
Dovremo dare/adottare misure che permettono un riequilibrio delle capacità del ragazzo/a che ha questo
tipo di disturbo e in qualche modo portarlo ad allinearsi con coloro che non hanno questo tipo di disturbo e
avere la loro stessa possibilità/base di partenza.
NON è una FACILITAZIONE, serve semplicemente per metterli allo stesso livello. Si tratta di trovare dei
sistemi per facilitare l’apprendimento per quello che è il loro disturbo, ma NON è un vantaggio.
Suggerimenti per la didattica
- Rafforzare la consapevolezza di potercela fare da soli (vedi autoefficacia, strategia motivazione). Fare in
modo che ci sia un traguardo che viene raggiunto da questi ragazzi, quindi l’idea che con un certo impegno
riesco a raggiungere un piccolo traguardo che serve a dar rinforzo e quindi mi aumenta la consapevolezza di
poter avere comunque determinate abilità.
- Rafforzare l’indipendenza offrendo la possibilità di informarsi, apprendere e comunicare utilizzando forme
alternative (bisogna essere in qualche modo creativi). Ad esempio utilizzare dei testi che offrono
illustrazioni grafiche e non testuali, offrire la possibilità di apprendere tramite canali alternativi o di
comunicare tramite metodi diversi, qualsiasi mezzo che possa raggirare questo tipo di difficoltà.
- Accesso all’apprendimento mediante vie alternative alla letto-scrittura

 via orale: lettore automatico, audiolibri, registrazioni


 canale visivo: immagini, mappe

PARTE III: PSICOLOGIA SOCIALE

PSICOLOGIA DEI GRUPPI


Cos’è un gruppo?
 Dal vocabolario Treccani: “Insieme di più cose o persone, distinte l’una dall’altra, ma riunite insieme
in modo da formare un tutto”.
 Dal punto di vista psicologico: “Un gruppo può essere definito come un insieme formato da due o
più persone che interagiscono tra loro e che dividono delle mete e delle norme comuni che
stanno a capo della loro attività, sviluppando una rete di ruoli e di relazioni affettive”. (Harré,
Lamb e Mecacci. Psicologia – Dizionario enciclopedico) Ogni persona all’interno di un gruppo ha un
ruolo che può essere più o meno esplicito e formale e che comunque ci garantisce di poterci creare
una sorta di aspettativa circa quello che le persone faranno in un determinato contesto.

I GRUPPI DELLA VITA DI UN INDIVIDUO


I gruppi hanno un’importanza rilevante nella soggettività di ogni persona: la personalità di basa e si
costruisce sulle relazioni. Nella nostra vita avremo una rete di relazioni enorme e entreremo a far parte di
molti gruppi.

RELAZIONE CON LA MADRE


GRUPPO FAMIGLIA
GRUPPO/I COETANEI
GRUPPO LAVORO
GRUPPO “FAMIGLIA COSTRUITA”

Gruppi primari
Gruppi nei quali siamo strettamente associati agli altri membri, come la famiglia e gli amici.
 Sono definiti gruppi primari quei gruppi nei quali siamo strettamente associati agli altri membri,
come la famiglia e gli amici.
 I gruppi primari prevedono maggior interazione faccia a faccia, maggiore cooperazione e sentimenti
più profondi di appartenenza.

Gruppi secondari
 Si tratta di gruppi più ampi e meno personali, come ad esempio gli operai di un’azienda, sono
generalmente organizzati attorno a una specifica attività o al completamento di un compito.
 Il gruppo secondario è limitato allo scopo, all’obiettivo condiviso dai membri del gruppo.

GRUPPI: DEFINIZIONI
Definire il termine “gruppo” è d’uso molto comune e il senso dell’utilizzo quotidiano differisce almeno in
parte dalle principali definizioni degli studiosi; il suo senso non è necessariamente coincidente col senso che
viene utilizzato dagli psicologi.
“Se è vero che ogni gruppo è una aggregazione di persone, ogni aggregazione di persone non è
necessariamente un gruppo” (McGrath, 1984). Il fatto che ci siano più persone assieme non è sufficiente
per dire che si tratta di un gruppo, in questo caso. Ad esempio, delle persone che fanno la fila alla posta
sono un gruppo, ma non condividono niente, quindi si parla in realtà di aggregazione di persone.
“Non è sempre facile distinguere in modo netto fra gruppo e non gruppo. Sono frequenti ‘casi intermedi’
fra aggregati e gruppi, nei quali le interazioni fra i membri sono anche molto diverse.” (De Grada, 1999).
 Gruppo non sociale (aggregato)
Nella sua forma più semplice un gruppo non sociale può essere definito come un insieme di
persone che stanno nello stesso posto nello stesso momento. Secondo questa definizione non è
necessario che le persone interagiscano tra loro per essere considerate un gruppo, basta che
stiano insieme.
Esempi: persone in coda alla posta, passeggeri in un aereo, persone dentro un cinema.
Anche i gruppi non sociali possono influenzare i comportamenti degli individui.
 Gruppo sociale
Un gruppo di due o più persone che interagiscono tra loro e sono interdipendenti, nel senso che i
loro bisogni e i loro scopi fanno sì che dipendano uno dall’altro.
- Cooperazione ed interazione
- Obiettivi comuni (gli individui condividono obiettivi e scopi comuni e formano un gruppo per
svolgere una funzione)
- Senso di appartenenza (percepiscono o credono di far parte di un gruppo)
- Interdipendenza tra i membri (cioè ogni membro può influenzare ed essere influenzato dagli altri;
influenza “concettuale” che può riguardare tutta una serie di opinioni, ragionamenti, ecc.)
Esempi: famiglia, amici, classe, squadra, giunta comunale, partito politico, congregazione religiosa.

Caratteristiche di un gruppo
Più queste caratteristiche sono presente, più un gruppo può definirsi come un vero gruppo sociale:
- relazioni affettive (che si sviluppano all’interno di un gruppo e che ne sono il collante)
- interazione prolungata
- percezione del gruppo come un’unità a sé stante
- obiettivi comuni
- norme interne
- presenza di ruoli

 Relazioni all’interno del gruppo


Nel gruppo più semplice che è la coppia, abbiamo una singola
relazione, una linea che unisce A e B. Se ci sono più persone, il
numero di relazioni fra singoli membri aumenta e aumenta anche la
complessità delle relazioni all’interno del gruppo stesso. Più i gruppi
sono grandi più abbiamo una complessità relazionale che cresce in
maniera esponenziale.

 Tanti gruppi  una rete sociale


Una rete sociale è la rete dei legami diretti e indiretti che
connettono un individuo ad altre persone che influenzano
direttamente o indirettamente il suo comportamento.
La nostra famiglia, i nostri amici, compagni, insegnanti e colleghi di lavoro costituiscono la nostra rete
sociale.
In-group vs out-group
 In-group: gruppo in cui una persona si identifica e verso il quale prova un sentimento di lealtà.
 Out-group: qualsiasi gruppo verso il quale una persona sente opposizione, rivalità o ostilità.
Gran parte di noi è collegata ad u certo numero di in-group (“noi”)e out-group (“loro”) sulla base del nostro
background etnico familiare, professionale, educativo, religioso, ecc.
I concetti di in-group e out-group sono basati sull’appartenenza al gruppo.

LE DINAMICHE DEI GRUPPI


I gruppi sono “entità vive” e per questo esibiscono dinamiche interne, le quali rappresentano l’impalcatura
che permette al gruppo stesso di esistere e funzionare; ciò differenzia un gruppo da un insieme casuale di
persone (aggregato). Ogni gruppo ha delle sue relazioni interne

- STATUS (stabilisce le gerarchie all’interno dei membri di un gruppo)


- RUOLI (ci danno informazioni sui comportamenti attesi dalle persone)
- NORME (regole che ci diano in modo formale o informale in un gruppo)
- LEADERSHIP (processo di condurre/guidare il gruppo verso determinati obiettivi)
IL SISTEMA DI STATUS NEL GRUPPO
Lo status è una delle dinamiche all’interno del gruppo e stabilisce le gerarchie all’interno dei membri di un
gruppo in base al livello e all’importanza sociale che una persona ha all’interno di questo gruppo.
I membri di un gruppo non sono tutti allo stesso livello, non hanno cioè la stessa importanza e centralità, lo
stesso potere e consenso, lo stesso status. Alcuni membri sono più ascoltati di altri, possono dare direttive
agli altri, e sono valutate/considerate consensualmente come più importanti.

STATUS: livello sociale che riflette importanza, centralità e potere di un membro verso gli altri membri
del gruppo, è il “prestigio” che una persona ha all’interno di un gruppo.
 “Si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo, unitamente alla valutazione di tale

Lo status esprime:
- il grado con cui un individuo contribuisce al raggiungimento del successo; il grado con cui una persona
facilita il raggiungimento del successo di quel gruppo.
- quanto potere o controllo un individuo ha sui risultati del gruppo
- quanto un individuo può influenzare le opinioni degli altri membri del gruppo. Uno status elevato sarà
associato ad una persona che contribuisce attivamente al raggiungimento del successo di un
determinato gruppo, che ha un riconoscimento.

posizione in una scala di prestigio.” (Scilligo, 1973) L’idea è che si abbia una sorta di scala di prestigio
dove ci sono persone che occupano le posizioni più alte, la cui opinione ha un peso maggiore, e altre
che occupano le posizioni più basse, la cui opinione ha peso minore.
 Lo status sociale definisce il pattern generale di influenza sociale fra i membri del gruppo.” (Levine e
Moreland, 1990) L’influenza che può derivare da una persona che ha uno status elevato sarà
sicuramente maggiore di una persona che ha uno status basso. La capacità di influenzare gli altri
membri sarà diversa in funzione del prestigio che una persona ha all’interno di quel gruppo.

 Uno status elevato è rivelato da due indicatori fondamentali (Brown, 1988):


I) tendenza a promuovere iniziative (idee e attività)
II) consenso sulla valutazione del prestigio derivante dalla posizione dell’individuo nel gruppo

I) Tendenza a promuovere iniziative


Il potere di iniziativa è direttamente proporzionale allo status.
Esempio: numero più elevato di idee che vengono seguite dal gruppo.
 Chi ha status più alto ha più potere di avviare azioni e prendere iniziative, più potere di manovra.
 Chi ha status meno elevato, per essere propositivo segue un iter obbligatorio: la proposta passa fra
i membri fino al capo/leader, che deciderà il da farsi, deve cercare un po’ il consenso.
Le differenziazioni di status seguono una logica di posizione sociale e caratterizzano tutti i gruppi (anche
quelli animali)

II) Consenso sulla valutazione del prestigio


Le posizioni più alte vengono consensualmente riconosciute dal gruppo.
Il peso delle proposte di chi ha competenze/prestigio consensualmente riconosciuti è maggiore rispetto a
quello degli altri membri.

COME SI CREA/ELEVA LO STATUS?


Secondo alcuni autori (e.g., Weisfeld e Weisfeld, 1984), lo status in un gruppo si costruisce nel tempo
attraverso comportamenti che sono in qualche modo ‘ricompensati’ dal gruppo stesso e che costituiscono
delle fonti di status:
 aiutare il gruppo a raggiungere i propri obiettivi;
 conformarsi alle regole interne al gruppo;
 sacrificarsi in favore del gruppo.
Il sistema di status si forma nelle prime fasi di vita del gruppo e si crea molto rapidamente (es: al primo
incontro per i gruppi neonati nei quali i partecipanti si incontrano per la prima volta).
I membri di un gruppo differiscono per la loro partecipazione, per la loro influenza sulle decisioni di gruppo,
per le azioni tramite cui contribuiscono. Secondo la teoria dell’aspettativa di status (Ridgeway, 2001),
quando inizia un’interazione tra i membri di un gruppo, i membri stessi si formano delle aspettative
riguardo alla “prestazione” potenziale degli altri. Fin da subito, quando inizia l’interazione, ci si fa delle
aspettative su quelle che saranno le potenziali prestazioni delle persone a seconda di determinate
caratteristiche.

Caratteristiche di status
Attributi che forniscono un’indicazione indiretta delle capacità dell’individuo rispetto all’obiettivo
del gruppo; ci sono persone con determinate caratteristiche che sono più ascoltate rispetto ad
altre in un certo contesto. Ad esempio:
 età
 genere
 etnia
 livello di educazione
 attraenza fisica (capacità di esercitare attrazione fisica)
I membri di un gruppo con status più elevato tendono a:
 parlare più degli altri, esprimere più critiche, dare ordini e interrompere gli altri (comportamento
verbale) (Weisfeld & Weisfeld, 1984; Skvoretz, 1988);
 parlare con voce più ferma e senza esitazioni, mantenere più a lungo il contatto visivo con gli altri,
avere una postura eretta (comportamento non verbale) (Harper, 1985).
Tendenzialmente, chi ha uno status più elevato in un determinato gruppo tende a parlare più degli altri, a
fare critiche più spesso, a interrompere gli altri mentre parlano, si sente più “legittimato” ad esprimere
anche dei contrasti in virtù dello status più elevato che questa persona ha rispetto agli altri. Ci sono una
serie di comportamenti verbali e non verbali che contribuiscono a mantenere questa situazione di
asimmetria relazionale all’interno del contesto di gruppo.
Le differenziazioni di status seguono una logica di posizione sociale e caratterizzano tutti i gruppi (anche
quelli animali; si pensi ad esempio all’ordine ‘naturale’ con cui i membri del branco si avvicinano alla preda
per mangiarla). Il sistema di status non è immutabile: si può cambiare. In precedenza abbiamo infatti
parlato di alcuni comportamenti che potrebbero incentivare il proprio status.
Inoltre, per esempio, se un membro di status elevato deve lasciare il gruppo ci sono due possibilità:
I) un membro di status intermedio “sale di grado”
II) il vertice viene rimpiazzato con l’entrata di un membro esterno

A cosa serve lo status?

Lo status assolve molteplici funzioni:


- crea ordine e prevedibilità all’interno del gruppo
- coordina le relazioni tra i membri
- attiva il gruppo al raggiungimento di un determinato obiettivo
- funzionale all’autovalutazione di ogni membro (nel confronto della propria situazione con quella
altrui, ogni membro matura una valutazione di sé ed un insieme di aspettative concernenti le proprie
capacità e i propri valori). Ci permette di autovalutarci all’interno di quel contesto.

Lo status è qualcosa di legato a ciascun gruppo. Per esempio, io potrei avere lo status più elevato in un
gruppo e minore in un altro. Non è qualcosa di intrinseco in una persona, è contestuale, dipende dal gruppo
e dalla situazione.
Le ricerche sullo status evidenziano:
 Legame status-autostima: le persone che tendenzialmente hanno lo status più elevato all’interno di
un gruppo hanno in genere anche una maggiore autostima rispetto ai membri con status più basso
 Legame status-giudizio: A parità di prestazioni, i membri con status più elevato vengono giudicati più
positivamente dai membri con status più basso, il che contribuisce a consolidare la fiducia in sé e la
percezione positiva del proprio valore. E’ una sorta di forma per mantenere lo “status quo”.
Status e conformità nei gruppi
Lo status può determinare fenomeni di conformità (adeguamento) dei comportamenti di alcuni membri
alle attese/aspettative del gruppo, anche a rischio di svolgere prestazioni ad un livello più basso di quanto
si potrebbe realmente fare.
Esempio: membri abituati ad avere un ruolo di secondo piano e con status basso in un gruppo sociale (es:
tra amici) rischiano di avere scarse prestazioni quando si trovano in altri contesti (es: in classe) con gli stessi
(o altri) membri, pur avendo maggiori capacità e potenzialità. Quindi se io all’interno del mio gruppo di
amici ho lo status basso potrei avere questo stesso status basso anche all’interno del contesto classe e
conseguentemente potrei rendere meno di quello che realmente potrei. IO avrei maggiori potenzialità, ma
siccome sono abituato a stare in disparte e non dire la mia, perché così faccio nel gruppo di amici, potrei
replicare la stessa dinamica anche nel contesto scolastico. Questo potrebbe inibire la mia capacità di
esprimere le potenzialità che realmente ho. Questo è ulteriormente incentivato se nella classe sono
presente degli amici facenti parte del gruppo in cui io uno status basso, i quali magari hanno status più
elevati.
Adeguamento = mancata espressione del mio massimo potenziale
I docenti devono essere attenti a individuare le situazioni in cui qualcuno ha delle potenzialità ma non le
esprime perché magari è coinvolto in dinamiche particolari. Potrebbe essere un’occasione persa per la
persona in questione se viene trascinato in un sottogruppo che ha le sue dinamiche/da determinate
situazioni. In questo caso si può lavorare sul “piccolo gruppo”. I piccoli gruppi di 4-5 persone sono
tendenzialmente molto funzionali e permettono di lavorare in classe scombinando quelle dinamiche che si
creano naturalmente. Una volta che il docente si è creato una sorta di “mappatura” di quelle che sono le
relazioni del suo gruppo classe, può “giocare” a scombinarle e ricombinarle. In questo modo ci si potrebbe
render conto di alcune dinamiche disfunzionali e si potrebbe provare a romperle creando dei gruppi di
lavoro più funzionali.

I RUOLI NEI GRUPPI


Lo Status rappresenta l’architettura essenziale a livelli gerarchici dei gruppi.
Il Ruolo riguarda il tipo di comportamenti esibiti ed attesi dei membri.
 RUOLO = insieme dei comportamenti e di aspettative condivise sul modo in cui si dovrebbe
comportare un membro che occupa una certa posizione in un gruppo. Mentre lo status ci aiuta a
leggere quanto è prestigiosa quella persona all’interno di quel contesto, Il ruolo ci dice cosa ci
dobbiamo attendere da quella persona.
Ci sono diverse tipologie di ruoli, formali e informali, istituzionalizzati oppure che emergono nell’interazione
spontanea tra gruppi. Se pensiamo ai ruoli formali troviamo ad esempio: insegnanti, allenatori, dirigenti
d’industria, medici, psicologi, ecc. Ognuno ha un ruolo specifico all’interno del proprio ambito
professionale, nei team e nella società, a partire dal quale ci aspettiamo una serie di comportamenti.
Sappiamo cosa aspettarci da questi ruoli e come ciascuno preveda dei comportamenti diversi.
Il Ruolo ci aiuta a leggere la società in termini di comportamenti attesi.
RUOLO  “Insieme di attività e relazioni attese da parte di una persona che occupa una determinata
posizione all’interno di un gruppo (o comunità/società) e da parte degli altri nei confronti della persona in
questione.” (Bronfenbrenner, 1986)
Il ruolo definisce cosa deve fare chi ricopre un ruolo e come si devono comportare gli altri con questa
persona. Quindi definisce anche come gli altri si devono comportare nei confronti della persona in
questione. L’insegnante si comporta in un modo, l’alunno anche, ecc. Tutti avranno delle attese sia nei
confronti del comportamento che quelle persone esibiranno, ma avranno attese anche su come gli altri si
relazioneranno con quella stessa persona. Modi diversi di relazionarsi con i colleghi, il dirigente, gli alunni.
Ogni ruolo implica una serie di aspettative sul proprio comportamento e su come gli altri si comporteranno
con noi.
Grazie ai ruoli, le persone sanno cosa aspettarsi dagli altri. In generale, quando le persone si comportano e
vengono trattate in linea con quanto previsto dal proprio ruolo, queste tendono ad essere soddisfatte e a
fornire buone prestazioni. Quando questo viene meno, si possono creare delle dinamiche disfunzionali che
creano caos all’interno dell’organizzazioni, delle situazioni conflittuali.
“La suddivisione in ruoli permette una vita di gruppo prevedibile e ordinata; è funzionale al
conseguimento degli scopi di gruppo.” (Brown, 1988)
Grazie ai ruoli abbiamo delle aspettative su come si comporterà il gruppo e come le persone si
comporteranno all’interno di quel contesto. Questo è funzionale al fine del conseguimento degli scopi di
gruppo.

Tipologie di Ruoli
I ruoli sono definiti dalla collocazione che i singoli membri occupano all’interno dei gruppi e possono essere
formali o informali.
RUOLI FORMALI: prescritti dalla natura e dalla struttura del gruppo, sono insiti nella formalità del gruppo in
un contesto definito e strutturato. Ad esempio, nella scuola sono il preside, l’insegnante, lo studente, ecc.

RUOLI INFORMALI: emergono ed evolvono dalle interazioni fra i membri del gruppo. I membri del gruppo,
nell’interagire fra loro, fanno emergere ulteriori ruoli, non formali, ma caratteristici e facilmente osservabili:
 Leader: colui che conduce il gruppo e che ha lo status più elevato, ruolo informale specifico, è colui
che più di tutti determina e regola le attività del gruppo stesso.
 Mediatore: ruolo “diplomatico”, soprattutto in caso di dissidi/scontri/ dispute fra i membri ci sarà
qualcuno che cercherà di mediare fra più posizioni per risolvere i conflitti. DI solito le persone con
questa capacità di mediare sono persone che possono svolgere questa funziona sia internamente al
gruppo, fra i membri stessi, che “esternamente” fra i vari gruppi, trovano dei compromessi;
mediazione razionale.
 Capro espiatorio: colui che si sacrifica (o viene sacrificato) per risolvere conflitti interni/per il bene
comune.
 Giullare: persona che “la butta sul ridere”, usa l’ironia per spezzare delle situazioni di tensione,
facilita la risoluzione dei conflitti attraverso uno strumento diverso (rispetto ad esempio al
Mediatore), ruolo socio-emozionale.
 Leader dell’opposizione: colui che si oppone e che usa pensiero divergente. Status elevato al pari, o
quasi, del leader, e che ha in genere il suo gruppo di “seguaci” e che si pone in contrapposizione al
leader sviluppando un pensiero divergente. Non ha necessariamente un’accezione negativa, è colui
che pezza il “pensiero di gruppo”. Egli si oppone al leader, ha il “potere” di mettere in discussione
alcune idee del leader in quanto anch’egli ha lo status elevato, può far analizzare un problema da
una prospettiva diversa, porta spesso a una crescita del gruppo.
All’interno di un gruppo esistono tutte queste dinamiche che portano alla sua crescita e alla crescita del
risultato che quel gruppo può esprimere. Osservabile tanto all’interno di un gruppo di lavoro quanto
all’interno di un qualsiasi gruppo in contesto di classe o sottogruppo, con modalità diverse. Una classe sarà
strutturata per avere delle figure di questo genere in cui si svilupperanno determinate dinamiche e
l’insegnante potrà “manipolare” queste dinamiche creando dei gruppi diversi e mischiandoli, in modo da
poter successivamente riaggiustare i gruppi in funzione di alcuni ruoli che vorremmo far emergere, o nel
caso in cui si voglia caricare o togliere determinate responsabilità a determinate persone. Se ad esempio si
crea un gruppo con gli alunni che sono tendenzialmente più passivi o in disparte, non necessariamente
meno bravi, e si dà loro un compito, tra loro qualcuno dovrà emergere e proporre una soluzione all’interno
di quel contesto per raggiungere lo scopo del gruppo. (= “palestra” per mettere all’opera anche chi di solito
non tende a collaborare molto.)

Funzioni dei ruoli nei gruppi


Ci sono almeno tre funzioni principali dei ruoli nel gruppo (Brown*, 1990):
1. Facilitano il raggiungimento degli scopi di gruppo poiché i ruoli suddividono la mole di lavoro fra i
membri (ad esempio, nei gruppi di lavoro la divisione dei ruoli è elemento cruciale per la
prestazione). Il fatto di avere ruoli diversi permette di suddividere il lavoro tra i membri all’interno
del gruppo. Suddivisione del lavoro  raggiungimento degli scopi facilitato.
2. Portano ordine e prevedibilità perché si basano su aspettative condivise (ognuno sa cosa aspettarsi
dall’altro) e assegnano ad ogni membro un compito specifico nell’ottica della condivisione del lavoro
funzionale al raggiungimento degli obiettivi.
Con i ruoli stabiliti, tutti i membri sanno cosa aspettarsi e da chi, sanno chi deve fare cosa e così via.
3. Definiscono l’identità di ogni membro all’interno del gruppo. Contribuiscono all’auto-definizione
dei membri e alla loro reciproca consapevolezza. Ogni persona che appartiene a un gruppo sa di
avere un determinato ruolo, ciò aumenta la propria consapevolezza rispetto a cosa deve fare lui e
cosa aspettarsi dagli altri. L’identità di ogni membro è definita dal ruolo stesso.
* Brown ha scritto il manuale per eccellenza sulla psicologia dei gruppi.

Ambiguità e conflitti di ruolo nei gruppi


I ruoli possono suscitare anche conflitti fra membri nei gruppi.
Esempi:
- in fase di assegnazione dei ruoli, quando si decide chi deve ricoprire una certa mansione;
- disaccordo fra i membri su come dovrebbe essere svolto un certo ruolo.
Le ambiguità ed i conflitti di ruolo producono sicuramente un aumento delle tensioni, dei conflitti, ed un
decremento delle prestazioni. Si verificano, ad esempio, quando un individuo ricoprire più ruoli
contemporaneamente all’interno dello stesso gruppo (Jackson & Schuler, 1985).
Le ambiguità e i conflitti e situazioni poco chiare portano sempre a creare situazioni di disaccordo/tensione.
Quindi, se si vuole migliorare l’efficacia di un team di lavoro sono (es. una commissione della quale faremo
parte come insegnanti, ecc.) due concetti molto importanti sono I) la chiarezza di ruolo e II) l’accettazione
di ruolo dei singoli membri, ovvero facendo in modo che tutti i membri
 sappiano cosa e come fare (role clarity)
 accettino il proprio ruolo (role acceptance)
I) Chiarezza di ruolo nei gruppi
Aspetti fondamenti della chiarezza:

 Scopi e responsabilità: chiarezza su obiettivi e responsabilità del gruppo e dei singoli membri.
Chiaro anche dal punto di vista pratico/comportamentale.
 Responsabilità comportamentali: chiarezza sui comportamenti necessari per soddisfare le
responsabilità individuali di uno specifico ruolo nel gruppo. Se non si hanno delle chiare mansioni c’è
il rischio che la responsabilità non è individuata chiaramente in una persona e si creano dei
malfunzionamenti a livello di funzionalità di una determinata organizzazione.
 Valutazione della performance: chiarezza su come verrà valutata la performance relativa ad un
singolo ruolo. Utilizzabile anche nel momento in cui si assegnano dei compiti (si creano magari
gruppi di lavoro) per creare/svolgere un esercizio, anche da questo punto di vista potrebbe essere
utile condividere con gli studenti i parametri utilizzati per valutare gli studenti, così da far capire loro
quali sono gli aspetti che riteniamo importanti e sui quali quindi loro dovranno lavorare per
raggiungere una valutazione positiva. Valutazione usata in modo strumentale al fine di spingere su
alcuni aspetti specifici del loro compito per eseguire una performance che riteniamo adeguata.
 Conseguenza delle responsabilità tradite: chiarezza sulle conseguenze del fallimento di un
singolo ruolo. Le sanzioni previste se non si porta a termine il proprio ruolo. Chiarezza che
determina una maggior successo della gestione organizzativa del gruppo.
II) Accettazione di ruolo nei gruppi
L’accettazione di ruolo all’interno di un’organizzazione, una classe, migliora la struttura e la prestazione
del gruppo.
Tale accettazione dipende da:
 opportunità di utilizzare abilità e competenze specifiche;
 riconoscimento del ruolo dall'individuo e dagli altri; se ad esempio si stabilisce chi è il “capoclasse”,
può stabilirlo l’insegnante o la classe, quel ruolo deve essere condiviso da tutti, se non è riconosciuto
dallo stesso individuo che magari non si sente “all’altezza” di quel ruolo o non è riconosciuto dagli
altri, allora quel ruolo sarà inutile, non funzionale all’ottenimento dello scopo che si vuole
raggiungere.
 significato e scopo del ruolo (sentirsi utili e condividere scopi);
 autonomia e opportunità di lavorare in modo indipendente.

LE NORME DI GRUPPO
In ogni gruppo esistono delle norme che definiscono i comportamenti consentiti e quelli non consentiti
all’interno del gruppo stesso. Ogni gruppo ha delle norme che stabiliscono quindi i comportamenti
ammissibili e non all’interno di quel contesto sociale.
“Una norma definisce […] il limite al di là del quale un certo comportamento può essere biasimato, tramite
disapprovazione o altre sanzioni, a seconda della gravità della violazione” (Sherif, 1984).
Non tutte le norme sono uguali.
Le NORME specificano come si devono comportare tutti i membri del gruppo, anche coloro che hanno
uno status elevato, e anzi loro a maggior ragione, devono rispettare le norme.
Le norme sono “scale di valori” che definiscono ciò che è accettabile e non accettabile all’interno di un
gruppo (comunità, organizzazione, ecc.).
Levine e Moreland (1990) definiscono le norme come “aspettative condivise” dai membri sul modo in cui
essi dovrebbero comportarsi. Aspettative condivise su come le persone appartenenti a quel gruppo
dovrebbero comportarsi.
Le norme sono un prodotto collettivo e non includono solo regole comportamentali, ma anche una serie di
modalità espressive (ad esempio linguaggio tecnico o gergale), abbigliamento (ad esempio giacca e cravatta
vs maglietta e felpa), ecc. che sono definite da quella collettività, da quel gruppo. A seconda del tipo di
contesto sarà preferibile usare und determinato tipo di linguaggio, di abbigliamento, ecc. Anche le tipologie
di abbigliamento fanno in qualche modo parte di una norma che viene stabilita in maniera informale
all’interno di un gruppo di persone.

Tipologie di norme
Le norme possono essere classificate in più tipologie:
 ESPLICITE: nei gruppi formali; sono esplicitamente condivise da tutti i membri (esempio:
regolamento scritto); regolamenti identificati in forma scritta e che sono esplicitati nei gruppi
formali. Es. gruppo formale = classe, formalmente definita, ad una determinata classe appartengono
determinate persone poiché così è stato deciso. Gruppi formali-norme esplicite, regale condivise in
forma scritta e esplicitamente dichiarate.

 IMPLICITE: nei gruppi formali ed informali; non sono scritte né espresse in modo diretto/esplicito,
ma hanno comunque un impatto sul comportamento dei membri (esempio: come vestirsi per
andare a un matrimonio o al supermercato). Le persone che appartengono a un determinato gruppo
(che sia formalmente definito o meno) sviluppano delle regole non scritte, alle quali ci si attiene
comunque. Il mondo è pieno di norme implicite che derivano dalla nostra società, dall’esperienza
comune.
Esempio: non andiamo vestiti allo stesso modo ad un matrimonio e al supermercato, sono due
contesti diversi e sappiamo che ognuno è caratterizzato da un abbigliamento più adeguato, benché
non ci sia una norma esplicita che mi vieta di andare ad un matrimonio ad esempio coi pantaloncini
corti. E’ una norma implicita condivisa che in determinato contesti ci si comporta in un determinato
modo.
Esempio: essere sostenitori di un partito politico può prevedere come norma sociale implicita
"sostenere sempre il proprio partito e manifestare ostilità per gli altri partiti in ogni occasione".
Sostanzialmente bisogna supportare il nostro in-group e manifestare ostilità nei confronti dell’out-
group. Le norme di un gruppo non sono necessariamente condivise dagli altri gruppi di cui uno fa
parte, come la famiglia, la classe o la società sportiva.
La mia aderenza a un determinato gruppo avrà delle norme ma non necessariamente tutti i gruppi di
cui faccio parte hanno le stesse norme. Anzi, è probabile che ogni gruppo a cui io afferisco abbia le
sue norme e che queste siano tra loro diverse.

 CENTRALI: si riferiscono a questioni importanti per quel gruppo, che hanno conseguenze per il
gruppo, anche gravi, per la sua esistenza o funzionamento (ad esempio, in ambito sportivo, non
andare in discoteca la sera prima della partita); se queste norme vengono violate si mette in crisi il
funzionamento del gruppo stesso/ la sua esistenza. (“Regole più importanti”

 PERIFERICHE: riguardano questioni considerate dal gruppo come più marginali. La violazione di
queste norme non porta a delle sanzioni così gravi come la violazione delle norme centrali.
Esempio: se appartengo ad una squadra di calcio, la sera prima della partita non posso andare a
ballare e bere, non è ammissibile (=norma centrale, la sera prima della partita devo andare a
dormire presto); una norma periferica potrebbe essere che se il giovedì sera dopo allenamento ci si
ferma tutti insieme a cena tra compagni e per quanto ci si debba adeguare a quello che fanno gli
altri, se una sera ogni tanto non mi fermo perché ho un impegno, non vengo sanzionato. (= norma
periferica). (“Regola meno importante”)
Per una norma, l’essere implicita/esplicita non è per forza legato a centrale/periferica. In un gruppo di amici
è una regola centrale non mancare di rispetto all’altro, indipendentemente dall’essere implicita/esplicita.
Sono due livelli diversi di catalogazione.

Come si creano le norme di gruppo?


Le norme possono generarsi all’interno di un gruppo a partire da modalità diverse.
Opp (1982) distingue tre tipi di norme con origini diverse:
1. ISTITUZIONALI: sono imposte dal leader o da un’autorità esterna al gruppo (es: norma stabilita dal
docente, regolamento d’istituto, ecc.), ossia un’autorità che impone determinate norme che
derivano da un’istituzione.
2. VOLONTARIE: nascono dalle negoziazioni fra i membri del gruppo per prevenire o ridurre conflitti
(es: rotazione di incarichi, ecc.).
Esempio: all’interno della classe vengono attribuiti dei ruoli a delle persone e alcuni sono più
“prestigiosi” (rappresentante ad esempio), e gli stessi membri del gruppo possono stabilire che
questo tipo di incarico è bene che abbia una rotazione tra i vari membri e che non ci sia sempre lo
stesso capoclasse tutto l’anno, per permettere a tutti di avere il ruolo. In questo caso questo tipo di
norma, la rotazione di un incarico, è qualcosa di volontario che nasce tra un confronto dei membri
del gruppo classe e l’insegnante.
3. EVOLUTIVE: si producono quando i comportamenti che soddisfano alcuni membri vengono appresi
e diffusi anche fra gli altri (“si è sempre fatto così”, “è una prassi”). Ad esempio, davanti a un
problema, la soluzione trovata da un membro diventa la soluzione del gruppo come una sorta di
“prassi”; quando una metodologia funziona, allora può essere condivisa. In un contesto lavorativo,
la risoluzione di problema o la gestione di una situazione particolare diventa una “prassi”. La
soluzione trovata da un membro diventa la soluzione del gruppo ed è condivisa, evolve e cresce col
gruppo.

A cosa servono le norme di gruppo?


Le norme assolvono almeno quattro funzioni (Cartwright e Zander, 1968):
1. Avanzamento del gruppo: senza norme, un gruppo difficilmente raggiunge i propri scopi; le
pressioni verso l’uniformità possono servire al raggiungimento degli obiettivi (es: gestione di
emergenze, conflitti, ecc.). La regolamentazione del comportamento ci permette di avere l’ordine
necessario per raggiungere gli obiettivi che quel gruppo si è posto.
2. Mantenimento del gruppo: permettono al gruppo di preservarsi in quanto tale, ne evitano
l’estinzione (es: sagre di paese o incontri regolari tra membri di gruppi di minoranza etnica
permettono il mantenimento di tradizioni che altrimenti rischiano di andare perse, ecc.). Ad
esempio avere degli incontri regolari o creare delle situazioni sociali in cui si riportano le tradizioni
che fanno parte di quel tipo di cultura permette di mantenere queste tradizioni che altrimenti
andrebbero persi.
3. Costruzione della realtà sociale: le norme assicurano al gruppo una comune concezione della
realtà (es: sistema di valori come punto di riferimento per valutazione comportamento dei membri
o per fronteggiare situazioni nuove, ecc.). Le persone che afferiscono a questo gruppo si
costruiscono un sistema di valori, una realtà sociale comune = finalità.
Avere un sistema di valori condiviso porta anche ad avere un punto di riferimento per esempio per
la valutazione del comportamento delle persone all’interno di quella comunità, o per fronteggiare
situazioni nuove che devono essere affrontate seguendo sempre quella realtà sociale che si è
creata attorno al sistema di valori condivisi.
4. Definizione delle relazioni con ambiente esterno: permettono di chiarire le relazioni con il
contesto sociale esterno al gruppo – organizzazioni, istituzioni – e di stabilire quali gruppi siano
“alleati”(condividono gli stessi valori e ideali, ecc.) quali “nemici”, (es: gestione dei rapporti con altri
gruppi, ecc.).
Una volta create, le norme hanno una forte resistenza al cambiamento e tendono alla stabilità: le
tradizioni sono dure a morire.
Tuttavia, le norme non sono immutabili, sono almeno in parte modificabili. Una variabile che incide sul
cambiamento delle norme di gruppo è la partecipazione (Lewin, 1951), che può spingere i membri a mutare
le norme di gruppo. Nel momento in cui il gruppo, in maniera coerente, si rende conto che certe norme che
prima funzionavano ora non vanno più bene, ecco che la partecipazione attiva dei membri può portare a un
mutamento delle stesse norme, sia implicite che esplicite.
Esempio: un gruppo di ragazzi di 15 anni ha determinate norme sociali. Lo stesso gruppo resta unito nel
tempo e i membri continuano a frequentarsi per anni, 10 anni dopo lo stesso gruppo avrà delle norme
diverse poiché la partecipazione delle persone a quel gruppo può aver mutato determinate regole.

Che cosa succede a chi non rispetta le norme?


I devianti ricevono sanzioni e vengono posti al centro dell’attenzione. Se persistono nella posizione
assunta, il gruppo finisce per abbandonarli a sé stessi o allontanarli.
I devianti ricevono sanzioni e vengono posti al centro dell’attenzione. Chi non rispetta le regole/norme
all’interno di un gruppo viene sanzionato/allontanato dal gruppo stesso. Addirittura, la persona stessa si
allontana in quanto non si riconosce più in un determinato sistema di valori/ in delle norme caratterizzanti
un gruppo. Il non rispetto delle norme porta ad una scissione, ad un allontanamento di un membro dal
gruppo perché evidentemente non c’è più l’interesse a rimanere all’interno di quel sistema di norme e a
quella condivisione di valori, di obiettivi e di comportamenti.

Norme di gruppo e conformismo


Le norme di gruppo sono una sorta di codice di comportamento al quale i membri di un gruppo devono
attenersi
 Chi non rispetta le regole non gode di popolarità e rischia l’emarginazione. Una persona non
rispetta le regole del gruppo a cui appartiene non può avere uno status alto. Se una persona con
status alto inizia a non seguire più le regole, la sua popolarità scende, lo status si abbassa.
 Chi entra a far parte del gruppo, per essere accettato, deve conformarsi alle norme del gruppo ,
adeguarsi alle norme del gruppo.
Esempio: gruppo di fan della musica metal, condividono un certo gusto musicale. Se un membro del
gruppo andasse al concerto di Tiziano Ferro, sarebbe popolare? (andrebbe magari a violare una
norma importante per un gruppo simile, non sarebbe particolarmente popolare in quel contesto)
Un nuovo membro, per essere accettato, cosa dovrebbe fare? Potrebbe portare il cd di un gruppo
sconosciuto e magari far vedere che è uno che afferisce alle regole di quel gruppo, che vorrebbe far
parte del gruppo e che i suoi comportamenti sono aderenti a quelli del gruppo.
Le norme di gruppo inducono ad un certo conformismo; inducono le persone a comportarsi in modo simile
fra loro, ad aderire a un certo sistema di comportamenti.
Il conformismo è un aspetto molto importante nell’ambito della psicologia dei gruppi, e in generale della
psicologia sociale, ed è la tendenza ad uniformare il proprio pensiero ed il proprio comportamento a
quello degli altri individui. Le persone si comportano come gli altri per evitare di apparire diverse dagli
altri. E’ un concetto più ampio rispetto a quello delle norme di gruppo, però diventa un elemento
fondamentale all’interno i questo tipo di contesto. Il conformismo può indurre delle persone a comportarsi
come gli altri proprio per questa paura di apparire diverse. Le persone si comportano così perché si sentono
a disagio nel momento in cui sono diverse dagli altri, quindi magari mettono in atto un comportamento per
apparire omogenei agli altri, anche se non capiamo il motivo di quel comportamento. Il conformismo è una
fortissima spinta a mettere in atto dei comportamenti anche se non sappiamo consapevoli della stessa
utilità di quel comportamento.

Esperimento sociale che dimostra quanto il conformismo sia potente.


Le persone hanno una tendenza innata a conformarsi al comportamento di altri individui

Specialmente:
 In situazioni sociali nuove: in genere si osserva cosa fanno gli altri e ci si comporta di conseguenza, si
adeguino a quel tipo di situazione.
 In determinate tappe dello sviluppo: gli adolescenti, ad esempio, sono maggiormente influenzabili
dal comportamento dei pari.

Esperimento di Asch  Esperimento originale svolto sul conformismo


Questo ricercatore – Asch – chiedeva ad un gruppo di soggetti di confrontare la dimensione di alcune linee.
Lui chiamava delle persone nel dipartimento di psicologia per fare degli esperimenti che apparentemente
erano di percezione visiva. In realtà lui voleva mettere i partecipanti in una situazione tale per cui ci fosse
una pressione sociale nei confronti dei partecipanti all’esperimento al fine di studiare come questi
avrebbero reagito nel momento in dovevano dichiarare la lunghezza delle linee in una situazione
conflittuale rispetto ad altre persone.
Venivano presentate una linea target e tre linee di confronto. I partecipanti dovevano dichiarare, uno per
volta e ad alta voce, quale delle tre linee di confronto fosse uguale alla linea target. I partecipanti di
trovavano tutti nella stessa stanza. Erano tutti complici tranne uno, che era il vero partecipante
dell’esperimento, che doveva dare la risposta dopo gli altri  situazione in cui si è creata una certa
pressione sociale data dalla risposta fornita dalle persone prima di lui.
I complici erano istruiti a fornire correttamente le risposte alle prime prove. Ogni tanto però tutti i complici,
uno dopo l’altro, dovevano dare una risposta palesemente sbagliata. In tal modo inducevano una situazione
di conflitto nel vero soggetto dell’esperimento: rispondere correttamente o rispondere come tutti gli altri?
La maggior parte dei soggetti si conformava alla maggioranza e forniva una risposta palesemente sbagliata.
Conformismo così potente da far modificare il giudizio nelle persone, alcuni partecipanti pensavano
realmente che il gruppo avesse ragione e lui avesse torto; altri si conformavano per adeguarsi e sfuggire
alla pressione sociale, per evitare di apparire diversi dagli altri. Conformismo elemento molto forte per
indurre delle modifiche del comportamento.
LA LEADERSHIP
Il leader è “la persona che può influenzare gli altri membri di un gruppo più di quanto sia essa stessa
influenzata” (Brown, 1989). Ha un ruolo determinante nelle decisioni e nelle scelte degli obiettivi di un
gruppo.
La leadership è il processo di esercizio dell’influenza del leader: condurre, guidare, influenzare.
Definizioni di Leadership
 Leadership: processo di guidare e dirigere il comportamento delle persone nell’ambiente di lavoro,
e non solo.
 Leadership formale: la leadership designata ufficialmente sulla base dell’autorità di una posizione
formale. Quando una persona ricopre un incarico formalmente/istituzionalmente definito come
incarico di “livello superiore”. Ad esempio, la leadership esercitata dal dirigente scolastico sarà
formale, è un processo di influenza che deriva da un ruolo definito dal punto di vista istituzionale.
 Leadership informale: leadership non ufficiale, non deriva da un ruolo formale, ma viene accordata
a una persona dagli altri membri del gruppo/organizzazione sulla base della situazione/contesto e
sulla base del fatto che quella persona esercita una determinata influenza, un determinato status e
influenza le persone più di quanto essa stessa sia influenzata dagli altri.
 Followership: il processo di essere guidati e diretti da un leader  processo inverso.

Tipologie di Leader
Sono state fatte parecchie definizioni diverse di Leader, ne analizzeremo due tipologie particolari
I) Leader accentratore o autoritario
 Tiene per sé tutte le responsabilità
 Tiene per sé tutto il potere, ha difficoltà a delegare, a fornire delle deleghe a delle persone senza
esercitare un controllo diretto sui vari compiti da eseguire
 Tiene per sé tutte le informazioni più importanti, non condivide col gruppo le informazioni
importanti. Simmetria marcata tra Leader e gli altri collaboratori/membri del team e del gruppo.
 Dà ordini, non concorda le azioni da compiere; dirige in maniera molto direttiva i compiti da
svolgere.
 Trasferisce i compiti e stabilisce le regole in maniera molto netta, mantenendo il controllo ma senza
negoziazioni.
 Controlla il rispetto delle regole e l'esecuzione dei compiti; presenza costante.
 Non interviene attivamente nella formazione (non supporta i nuovi arrivati), si aspetta che questi si
attengano alle regole e facciano ciò che deve essere fatto.
 Modello molto verticistico
II) Leader partecipativo o autorevole (più efficace, riesce a far funzionare meglio il gruppo)
Coinvolge il team nei problemi, meno autoritario, cerca il consenso del gruppo senza imporle. Le propone
cercando un consenso unisono. Nell’attuare delle strategie cerca il consenso del gruppo attraverso il
confronto. Sa motivare e sa trasferire responsabilità, valorizza le competenze di ciascuno e gratifica le
persone. Attraverso questo lavoro motivi le persone a sentirti parte di un gruppo e responsabili di
determinate attività. Assegna obiettivi specifici, ma allo stesso tempo chiede e stimola suggerimenti, chiede
che vengano avanzate delle proposte che possano aiutare il gruppo a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Interviene attivamente nella formazione (supporta i nuovi arrivati).
 Coinvolge nei problemi
 Nell’attuazione delle strategie cerca il consenso del gruppo
 Sa motivare
 Sa trasferire responsabilità
 Assegna obiettivi specifici
 Chiede e stimola suggerimenti
 Controlla e verifica il raggiungimento degli obiettivi
 Interviene attivamente nella formazione (supporta i nuovi arrivati)
Due tipologie di Leadership ideali, tra loro diverse. La seconda tende ad essere molto più efficace.
Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader:
– Leader centrato sul compito: esercitare la Leadership essenzialmente sulla realizzazione del compito e
sull’organizzazione del lavoro di gruppo.
– Leader centrato sulle relazioni: presta attenzione ai sentimenti dei membri del gruppo; è teso ad
assicurare armonia nel gruppo, una soddisfazione dal punto di vista sociale e relazionale tra i membri del
gruppo stesso.
I due ruoli sono complementari e possono essere svolti dalla stessa persona, ma anche da due persone
diverse. Possono esserci leadership

Competenze richieste ad un Leader


• Self-awareness: consapevolezza di sé e delle sue competenze
• Credibilità: persona credibile ed affidabile
• Empatia: capace di comprendere gli altri
• Onestà: persona corretta, onesta e leale nei confronti del proprio gruppo così come nei confronti
degli altri leader
• Comunicazione: capacità di farsi capire, capacità di esprimere chiaramente le idee e gli obiettivi da
raggiungere
• Active listening: capacità di ascoltare e di capire le persone

Inoltre, un Leader dovrebbe saper


• fornire una VISION
- lettura positiva del futuro (vedere le opportunità future)
- inquadrare i problemi nel medio/lungo periodo
- rappresentare un riferimento professionale
- dare principi e linee di comportamento professionale

All’interno di un gruppo classe bisognerà dimostrare ai ragazzi che lo studio avrà una ricaduta su
quello che sarà il loro futuro, bisogna far veder loro le opportunità in quello che stanno facendo.

• Coinvolgere sugli obiettivi


- trasformare i problemi in sfide professionali
- stimolare la partecipazione nell’analisi dei problemi, tendere verso gli obiettivi
- identificare obiettivi comuni e risultati attesi
- finalizzare gli interventi all’ottenimento di risultati; i membri si devono impegnare a raggiungere
gli obiettivi

• Stimolare la creatività
( leader di opposizione ruolo importante in quanto permette di rompere gli schemi e portare
punti di vista diversi..)
- ricerca il confronto tra i diversi punti di vista: non inibisce punti di vista alternativi ma crea un
confronto tra punti di vista diversi. Dimostra ai ragazzi che gli stessi problemi possono essere
analizzati da più punti di vista diversi.
- facilita la rottura degli schemi consolidati
- valorizza il gruppo come strumento di analisi/risoluzione dei problemi
- stimolare la produzione di idee alternative e verificare tutte le proposte fornite
• Delegare
- Assegnare mandati sulla base delle competenze e delle potenzialità, che permette alle persone
che ricevono l’incarico di sentirsi responsabili e avere la fiducia del leader stesso. Se un leader mi
affida un compito è perché mi ritiene capace di farlo  fiducia del leader = grande motivazione
- fornire risorse e mezzi adeguati garantendo il proprio appoggio
- fissare i criteri di valutazione del risultato
- garantire il feedback sui risultati e sui comportamenti
- consentire il lavoro in autonomia. Nel momento in cui viene assegnato un determinato compito
è importante che questo sia portato avanti in autonomia senza troppe interferenze.

Termine della parte sulle dinamiche sociali dei gruppi. Gli aspetti psico-sociali, soprattutto quelli di gruppo,
possono influire sul lavoro che dovremo svolgere in quanto insegnanti. Saremo immersi i un ambiente
sociale e avremo qualche strumento per leggere meglio le situazioni con le quali ci confronteremo e capire
meglio le dinamiche che coinvolgono le persone con le quali dovremo lavorare (sia alunni che colleghi).

Gruppi e bullismo
Studi pioneristici di Dan Olweus svolti nei paesi scandinavi. Uno studente è oggetto di azioni di bullismo,
ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni
offensive messe in atto da parte di uno o più compagni (Olweus, 1986; 1991).
Il bullismo è un tipo di comportamento aggressivo in cui un individuo attacca, umilia e/o esclude
ripetutamente una persona relativamente impotente (Salmivalli, 2010)
 comportamento aggressivo (aggressività esercitata da qualcuno nei confronti di qualcun altro)
 continuità temporale
 fenomeno di gruppo (bullo, bullizzato, “spettatori” pubblico..), in genere.
 varie forme (fisica, verbale, o indiretta=esclusione/isolamento di qualcuno in un contesto di classe)
 asimmetria di potere o di forza. Minor forza = status basso; maggior forza = status alto
Differenze di status: bullo=status alto; bullizzato=status basso
Norme di gruppo: si possono sviluppare delle norme per cui diventa “normale” vessare una persona. Si
assume che sia normale che ci sia il ragazzo A che umilia/bullizza il ragazzo B
Ruoli diversi: bullo, vittima, complici, osservatori. Ci aspettiamo comportamenti diversi da ciascuno.
Diverse tipologie di bullismo
• Bullismo diretto: si manifesta attraverso attacchi verbali/fisici nei confronti della vittima, più diffuso
tra i maschi
• Bullismo indiretto: consiste in una forma di isolamento sociale e in un’intenzionale esclusione dal
gruppo; più diffuso tra le femmine
- di iniziazione: forme di nonnismo, azioni di “coraggio” atte a consentire l’inserimento in un gruppo
(es. rubare/danneggiare qualcosa a scuola).
• Bullismo di iniziazione: forme di nonnismo, ovvero azioni “di coraggio” atte a consentire
l’inserimento in un gruppo (es: rubare/danneggiare qualcosa a scuola).
Il/la bullo/a è, di norma, un individuo aggressivo anche nei confronti degli adulti. Non rispetta le regole (es:
ritarda spesso a scuola, non svolge i compiti, ha risultati al di sotto della media), ma possiede un certo
carisma che lo porta ad essere rispettato e, a volte, anche imitato.
Il bullo non agisce quasi mai di nascosto, ma apertamente nel contesto sociale, in quanto lo scopo primario
non è tanto il danneggiare la vittima in sé, ma mostrare la propria supremazia, acquisendo così rispetto
mediato dalla paura. Status più elevato/rispetto provocato dalla paura.
Principali caratteristiche per le quali gli studenti sono vittime di bullismo:
 aspetto fisico
 orientamento sessuale reale o percepito
 etnia
 risultati scolastici (paradossalmente positivi)
Chiunque può essere considerato come “diverso” dal gruppo sociale di riferimento per una, o più, di queste
caratteristiche, diventando una potenziale vittima.
Si tratta di fattori che aumentano la possibilità di essere vittime di bullismo.
Bullo/i e vittima sono direttamente coinvolti; i cosiddetti bystanders, invece, possono assumere
comportamenti diversi:
 incoraggiare il bullo, diventarne in qualche modo complici
 osservare passivamente
 disapprovare il bullismo e/o aiutare la vittima
Le persone possono decidere di supportare/aiutare la vittima o avere un comportamento più passivo.
La frequenza del bullismo aumenta durante gli anni della scuola media e diminuisce nel corso degli anni
della scuola superiore (Espelage & Horne, 2008). Non sempre il genere è un predittore significativo, sia
maschi che femmine possono essere coinvolti in entrambi i ruoli.

Cyberbullismo
Forma di bullismo attuata mediante Internet/social network/sistemi di messaggistica.
Forma di bullismo ancora più pericolosa e difficile da gestire.
 Consiste nella condivisione di contenuti negativi per mettere in cattiva luce la reputazione di un
coetaneo, inventando o creando situazioni scabrose o evidenziando eventuali caratteristiche
negative (es: è brutto/a, puzza, veste male, vive in un brutto posto, è stupido, non ha successo con
le ragazze/con i ragazzi, è ancora vergine, ecc.).

 Il cyberbullismo si può sviluppare anche a seguito di episodi di bullismo “concreto” (fisico, con atti
di sopraffazione) che vengono ripresi e condivisi tramite i social.
Forma particolarmente pericolosa: atto di bullismo concreto ripreso e condiviso, arrecando ulteriore
danno alla vittima. Il fatto di filmare l’episodio e condividerlo rende consapevole anche chi non era
presenta, fa quindi perdurare l’atto di bullismo nel tempo e perpetrare l’umiliazione della persona a
lungo termine.
Spesso i filmati non sono realizzati dal bullo stesso, ma da altre persone presenti al momento;
costoro credono che il loro gesto sia molto meno grave dell’episodio di bullismo in sé, ma la
condivisione può avere conseguenze ancora più pesanti per la vittima.

Min. 1:34:00 domande fine corso

Buonasera Silvija,
sono Francesca , una studentessa al terzo anno del corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere
all'Università di Trieste
.
Ho letto che sta cercando qualcuno che possa aiutare suo figlio con il francese e ho deciso di scriverLe in
quanto studentessa di Lingua e Letteratura francese. Inoltre, come suo figlio, anche io ho frequentato un
Liceo Linguistico, presso cui ho conseguito il diploma binazionale italo-francese. Ho un livello di francese B2
e a breve comincerò un tirocinio presso l'Alliance française di Trieste.

Nel caso in cui fosse interessata, sarei felice di poter aiutare suo figlio a superare le difficoltà che ha
incrociato con questa lingua.

Nel caso in cui fosse interessata, sarei felice di poter aiutare suo figlio a superare le difficoltà che ha
incrociato con questa lingua.
Per qualsiasi informazione, mi contatti senza problemi.

Cordialmente,
Francesca

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