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LE REGOLE E LE COSTITUZIONI
Per guidare i loro figli nella via della perfezione, i Fondatori di Ordini religiosi hanno dato loro
Regole o Costituzioni o l'una e l'altra cosa insieme. La Chiesa, approvandole, le ha “canonizzate”,
ha dato loro un valore ufficiale e ha garantito la loro capacità di condurre alla perfezione cristiana
tutti quelli che le osservano fedelmente. Giovanni XXII poté dire senza esagerazione: “Datemi un
religioso che abbia osservato fedelmente e per tutta la vita la sua Regola e io lo canonizzo senza
esame”.
Il termine regola, in senso canonico, indica la norma di vita imposta al religioso, perché possa
aspirare alla perfezione con maggior efficacia. La Chiesa riconosceva ufficialmente solo le quattro
regole dette di san Basilio, sant'Agostino, san Benedetto e san Francesco. Per esempio san
Domenico del ordine dei predicatori scelse quella di sant'Agostino, alla quale aggiunse, più tardi,
come appendice, le disposizioni peculiari del proprio Ordine, che vennero approvate con una bolla
del 1216. (per noi costituzioni)
Regola, quindi, è un codice generale che può essere comune a molte famiglie religiose, mentre le
Costituzioni sono esclusive d'una famiglia.
Molti Ordini, specialmente quelli fondati dopo il secolo XVI, non hanno adottato nessuna delle
regole antiche. In questo caso, le loro Costituzioni sostituiscono la regola. Le Congregazioni
religiose, canonicamente, hanno solo le Costituzioni, però, nel linguaggio comune, esse vengono
chiamate indifferentemente Costituzioni e Regole.
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mia regola con la maggiore perfezione che mi fosse possibile". Questa è l'origine della riforma
carmelitana.
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Da questi pensieri sulla santità della Regola, derivano alcune conclusioni di ordine pratico e morale,
e cioè che un religioso eviterà sempre di giudicare, disistimare, criticare e peggio ancora,
disprezzare la Regola.
Giudicarla? E con quale diritto? È la Regola che ci accuserà al tribunale di Dio!
Disistimarla? Allora dovremmo disistimare il Vangelo, Gesù e Dio stesso. Chi non stima la
Congregazione e la Regola, non stima Dio» ha detto S. Alfonso.
c)-Efficacia santificatrice; L'aspirazione costante alla perfezione cristiana, obbligo fondamentale
dello stato religioso, trova la sua realizzazione nella fedele osservanza della regola. Per santificarsi,
basta seguirla con diligenza e con amore. Essa è una via così diritta e sicura, che ogni pericolo di
deviazione viene eliminato (cfr. Is 35,8). La santità, infatti, consiste nella conformità della nostra
volontà con quella di Dio; e il religioso che osserva la sua regola non fa altro che uniformare la sua
volontà a quella di Dio in ogni momento della sua vita.
1-Certezza nella perseveranza: Il religioso trova nell'osservanza della regola il grande principio di
stabilità nel bene e una sicura garanzia di poter perseverare nella grazia di Dio e nella vocazione,
raggiungendo la perseveranza finale.
2-Perseveranza nella vocazione: Colui che segue scrupolosamente le prescrizioni della sua regola,
non sentirà mai la voglia di tradire sacrilegamente i suoi voti tornando nel mondo. Chi è fedele nel
poco, è fedele anche nel molto” (Lc 16,10).
3-La perseveranza finale. La perseveranza finale, grazia suprema che nessuno può meritare, può
essere sperata con sicurezza da colui che è fedele alla preghiera e alla pratica diligente dei suoi
doveri religiosi, che si concretano nell'osservanza della regola. Chi muore baciando l'abito del suo
istituto, muore col segno più chiaro e inequivocabile dei predestinati.
4-Efficacia nell'apostolato. lo zelo del religioso deve uscire dal chiostro e andare in cerca dei suoi
fratelli nel mondo. E in realtà, anche se resta sepolto nella sua cella o sperduto in un deserto come il
P. de Foucauld, il religioso santo esercita un efficacissimo apostolato.
Santa Teresa del Bambino Gesù non fece altro che osservare la sua regola con eroica ostinazione
e per amore di Dio; e la Chiesa l'ha dichiarata compatrona di tutte le missioni cattoliche, a fianco di
san Francesco Saverio.
5-Ordine, pace e fervore nelle comunità: Una casa religiosa vale quello che vale la sua osservanza
regolare. Dove si osserva la regola, regnano disciplina e puntualità; ognuno è sempre al suo posto, fa
quello che deve fare e lo fa con perfezione. Ecco l'ordine.
L'osservanza della regola comporta il silenzio, la discrezione, la tolleranza vicendevole, l'obbedienza
nei sudditi e la bontà nei superiori; e di qui, nasce la pace che e la tranquillità nell'ordine.
Se si osserva la regola, si praticano tutte le virtù: la pietà, il raccoglimento, la mortificazione,
l'umiltà, la modestia, la povertà e l'edificazione vicendevole; e, di conseguenza, nella comunità,
regnerà il fervore.
San Giovanni Berchmans, un santo che, nella sua vita, non ebbe altro merito peculiare, se non quello
d'aver portato fino all'eroismo la fedeltà ai voti e alle regole del suo istituto, usava dire che la sua
maggiore mortificazione era costituita dalla vita comune. Quelli che la praticano fedelmente, non se
ne meraviglieranno. Accettare le disposizioni dei superiori in tutto, nell'orario, nel cibo, nel
arredamento, nella partecipazione agli atti comuni, nella parte della casa in cui si deve stare, nella
ricreazione ecc. può essere facile per qualche tempo, ma, a lungo andare, richiede un enorme spirito
di sacrificio, una grandissima carità, e un eccezionale spirito d'abnegazione.
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6-Vitalità interna ed esterna dell'istituto. Vi sono vecchi Ordini che si sono conservati giovani
attraverso i secoli per essere rimasti ostinatamente fedeli alle loro leggi, e nei quali si possono
riscontrare, sempre intatti, l'anelito verso la santità e lo spirito del Fondatore. Il culto della regola è
per gli istituti quello che sono i Sacramenti e la liturgia per la Chiesa: una fonte perenne di grazia.
La riforma d'un istituto decaduto dal suo primitivo fervore comporta sempre, come insegna il
Concilio Vaticano II, “il continuo ritorno alle fonti d'ogni forma di vita cristiana e allo spirito
primitivo”.
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4. Il capitolo delle colpe. Il capitolo delle colpe delle volte è più tollerato che amato. Tuttavia, è
certo che, ben inteso e ben praticato, esso contribuisce potentemente a conservare e rafforzare il
culto della regola. Ma, per ottenere questi buoni effetti, occorre evitare i due scogli dell'abitudine e
della superficialità.
Il capitolo sarebbe efficace qualora ciascuno dei religiosi vi si presentasse coi cinque elementi
necessari per una buona Confessione: esame, confessione, contrizione, proposito e riparazione.
b-La parte dei superiori: I superiori sui quali pesa la gravissima responsabilità d'assicurare alle
comunità religiose l'osservanza regolare sono il superiore locale, il provinciale, il visitatore e i
Capitoli provinciale e generale. In un certo senso, si può dire che, fra questi, il superiore locale è
quello che può influire sull'osservanza regolare in modo più decisivo.
La visita canonica è sempre, o almeno dovrebbe sempre essere uno sforzo straordinario dell'autorità
e dei sudditi in favore della perfetta osservanza e della regola.
Il compito del visitatore può essere condensato in due parole: Vedere, provvedere.
Vedere con chiarezza nell'intricata matassa d'apprezzamenti, giudizi, affermazioni, lamentele e
critiche che i religiosi gli presentano sulle persone e sulle cose della comunità.
Provvedere alla miglior osservanza della regola, mettendo in risalto i punti che sono stati dimenticati
o sottovalutati, condannando le massime equivoche, rettificando le false interpretazioni, estirpando
gli abusi e ricordando a tutti, superiori e non superiori, la responsabilità che hanno dinanzi a Dio.
Deve, quindi, illuminare, incoraggiare e anche disapprovare per poter ristabilire l'osservanza della
regola in tutta la sua purezza e integrità.
II OBBEDIENZA
L'obbedienza è senza dubbio l'elemento più importante e più delicato fra i tre voti che costituiscono
l'essenza della vita religiosa. Perciò, non può destar meraviglia che il Concilio Vaticano II, per
mezzo del decreto Perfectce caritatis, n. 14, abbia imposto, riguardo a questo voto, un rinnovamento
assai più radicale che riguardo agli altri due. In particolare, tanto il decreto come il
Motu Proprio Ecclesice sanctce che ne costituisce l'applicazione concreta, mirano a favorire, nella
pratica dell'obbedienza religiosa, la corresponsabilità di tutti i membri dell'istituto e il dialogo fra i
superiori e i non superiori.
1-Eccellenza dell'obbedienza
San Tommaso si chiede espressamente, nella Somma Teologica, se l'obbedienza sia la più grande
delle virtù. E risponde, naturalmente, che non è la più grande, poiché le virtù teologali ci uniscono
direttamente a Dio e, per conseguenza, sono più perfette che l'obbedienza, che è una virtù morale.
Però, fra queste ultime, essa occupa il primo posto per i beni terreni che sacrifica.
Ecco le parole testuali del Dottore Angelico; “Come il peccato consiste nella preferenza che si dà
ai beni terreni con disprezzo dei divini, così, al contrario, il merito dell'atto virtuoso consiste
nell'unione con Dio con disprezzo dei beni creati… Fra le virtù morali, sarà la prima quella che
disprezza più beni terreni per unirsi a Dio. Vi sono però tre classi di beni terreni che l'uomo può
disprezzare per amore di Dio: i beni più bassi, che sono quelli inferiori all'uomo; i beni medi, che
corrispondono al corpo umano, e i beni supremi, che appartengono all'anima. Fra questi, si distingue
la volontà, poiché, con essa, l'uomo usa e gode di tutti gli altri beni. Perciò, l'obbedienza, in sé
stessa, è la più nobile fra le virtù morali. (II-II, 104,3).
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L'obbedienza religiosa costituisce il più eccellente e meritorio fra i consigli evangelici, come spiega
san Tommaso (II-II, 104,3): Primo: perché, col voto d'obbedienza, l'uomo offre a Dio un bene più
eccellente, la propria volontà, il cui valore supera assai quello del corpo e delle cose esterne, che
vengono offerte a Dio coi voti di castità e di povertà.
Secondo: perché il voto di obbedienza contiene gli altri due, mentre non è contenuto in essi. Infatti,
il voto di obbedienza obbliga il religioso a praticare gli altri due voti di povertà e di castità e a fare
molte altre cose.
Terzo: perché il voto di obbedienza ha come oggetto proprio gli atti che hanno una più stretta
relazione col fine della vita religiosa…Perciò, il voto di obbedienza è il più eccellente dello stato
religioso, poiché nessuno potrà essere religioso, se non ha il voto di obbedienza, anche supponendo
che abbia fatto i voti di povertà e di castità.
2- S. Caterina da Siena e la obbedienza
Ogni volta che la santa loda l’obbedienza in quanto virtù 1 (che in noi è anche voto), chiama in causa
altri oggetti con cui si relaziona essenzialmente e dai quali non possiamo separarla: La fonte dove
trovarla, la madre che la genera, la sua inseparabile sorella e la sua nutrice. In questa “parentela”
troviamo la vera essenza dell’obbedienza, il segno di possederla o meno.
1.La “fonte” dell’obbedienza:
Dove la trovi? “La truovi conpitamente nel dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo. Fu
tanto pronpta in lui questa virtú che, per conpirla, corse all'obrobriosa morte della croce”.
2. La “madre” dell’obbedienza
Come Cristo in visione perfetta, noi nell’imperfezione della Fede, contempliamo per amare. La
carità, l’amore a Dio, a Gesù Cristo, è madre che genera nelle anime amanti la vera obbedienza.
“Oh, quanto è dolce e gloriosa questa virtú dell’obbedienza, in cui sonno tucte l'altre virtú! Perché
ella è conceputa e partorita dalla carità.”
3. L’inseparabile “sorella” dell’obbedienza
Passiamo dunque a questa inseparabile sorella dell’obbedienza che la santa considera la pazienza. In
essa possiamo noi vedere che si riferisce anche ad ogni modo di dominio di sé, di pace nel cuore, di
serenità interiore, che accompagna sempre l’obbedienza quando questa è autentica.
La pazienza, caratteristica vera di chi è obbediente, è secondo la santa il segno di una vera e
autentica obbedienza. “El segno che tu abbi questa virtú è la pazienzia; e, non avendola, ti dimostra
che tu non l'hai, la inpazienzia”.
4. La “nutrice” dell’obbedienza
Questa ultima “parente” della obbedienza è fondamentale per unirla alle altre… La “nutrice” è la
donna che provvede all’allattamento di un bambino altrui. La carità genera l’obbedienza insieme
alla pazienza ed è la loro madre… ma entrambe vengono nutrite dall’umiltà. In essa, possiamo
capire che la santa intenda il desiderio di essere umiliati, l’amore per la croce. L’obbedienza e
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“O obbedienzia, che navighi senza fadiga, e senza pericolo giogni a porto di salute! Tu ti conformi col Verbo, unigenito mio
Figliuolo; tu sali nella navicella della sanctissima croce, recandoti a sostenere per non trapassare l’obbedienzia del Verbo, né
escire della doctrina sua. Tu se' unta di vera umilità, e però non appetisci le cose del proximo fuore della volontà mia. Tu se' dricta
senza veruna tortura, ché fai el cuore dricto e non ficto, amando liberalmente e non fictivamente la mia creatura. Tu se' una aurora,
che meni teco la luce della divina grazia.
Tu se' una margarita nascosta e non cognosciuta, calpestata dal mondo, avilendo te medesima, sottoponendoti alle creature. Egli è
si grande la tua signoria, che veruno è che ti possa signoreggiare, perché se' escita della mortale servitudine della propria
sensualità, la quale ti tolleva la dignità tua. Morto questo nemico, con l'odio e dispiacimento del proprio piacere, hai riavuta la tua
libertà”.
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l’amore si vedono, secondo la santa, particolarmente nell’amore alle umiliazioni e avversità per
Cristo. L’umiltà “veste” l’obbedienza con molte umiliazioni. Gesù assume l’obbedienza dalle cose
che patì… patimenti e obbedienza andranno sempre insieme.
3-Vantaggi dell’obbedienza
l. ALL'INTELLIGENZA:
a) Certezza di conoscere e di compiere sempre la volontà di Dio.
b) Certezza d'avere l'aiuto di Dio:
c) Certezza d'una buona riuscita sul piano soprannaturale
2. ALLA VOLONTÀ:
a) fonte della vera libertà
b) fonte di fortezza
3. AL CUORE:
a) è una fonte di pace individuale e collettiva.
b) è il principio dell'ordine.
4-OBBIEZIONI
1-L'obbedienza diminuisce il valore e il merito dei nostri atti. Il bene che si compie
spontaneamente, è più meritorio che quello che si compie per necessità o per imposizione d'un
altro.
Il Dottore Angelico risponde: “La necessità che proviene da coazione rende l'atto involontario, e
quindi, lo priva del diritto alla lode e al merito; ma la necessità che nasce dall'obbedienza, non è
coazione, ma completamente libera in quanto che l'uomo liberamente, vuole obbedire.
2-L'obbedienza distrugge la nostra personalità, impedendoci ogni iniziativa e obbligandoci a
vivere in un perpetuo infantilismo.
Risposta: la vera e autentica personalità cristiana consiste nella perfetta imitazione di Gesù Cristo.
L'obbedienza religiosa non distrugge in noi ogni senso di iniziativa, ma la dirige e le dà
maggiore Sicurezza. sant'Ignazio di Loyola nella sua famosa Lettera ai religiosi del Portogallo
diceva; “Non si esclude però che, qualora, su una questione particolare, aveste un modo di vedere.
diverso da quello del superiore, e dopo aver pregato, vi sembrasse opportuno per l'onore divino,
farglielo presente, lo possiate fare. Però, se volete procedere con la sicurezza di non lasciarvi
guidare dall'amor proprio o da un soverchio attaccamento al vostro modo di vedere, dovete restare
nell'indifferenza prima e dopo averlo fatto presente non solo quanto a fare o tralasciare la cosa di cui
si tratta, ma anche quanto a preferire e stimare meglio quello che il superiore dispone”.
La condotta dei santi conferma spesso questo criterio. -Santa-Teresa di Gesù non era priora, ma
suddita, nel monastero dell'Incarnazione d’Avila, quando, per ordine diretto di Gesù Cristo, prese la
risoluzione così difficile e rischiosa di riformare il Carmelo; e, pur obbedendo con assoluta
sottomissione ai suoi superiori quando questi le imponevano di non occuparsi della cosa, era
fermamente convinta che la riforma sarebbe avvenuta attraverso vie e con mezzi che essa non
conosceva (Vita cap 33). Dio, quando vuole una cosa, appiana tutte le difficoltà senza che l'inferiore
debba minimamente mancare all'obbedienza che deve ai suoi superiori.
3-Obbedienza, libertà e coscienza:
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Documento Il servizio dell’autorità e l’obbedienza della Congregazione per gli Istituti di Vita
Consacrata e le Società di Vita Apostolica (nn. 26-27).
“…quando l’obbedienza si fa difficile, e anche «assurda» in apparenza, può sorgere la tentazione
della sfiducia e anche dell’abbandono: vale la pena continuare? Non posso realizzare meglio le mie
idee in un altro contesto? Perché consumarsi in contrasti sterili?”
Si deve riconoscere, da una parte, che è comprensibile un certo attaccamento a idee e convinzioni
personali, che sono frutto della riflessione o dell’esperienza e si sono maturate nel tempo; e che è
cosa buona cercare di difenderle e portarle avanti (…) Però non bisogna dimenticare, d’altra parte,
che il modello è sempre Gesù di Nazareth, che nella Passione chiese a Dio di compiere la sua
volontà di Padre, senza retrocedere di fronte alla morte di croce (cfr. Eb 5, 7-9).
A questo punto, può sorgere una domanda: possono esserci situazioni in cui la coscienza personale
sembri non permettere di seguire le indicazioni date dall’autorità? O, in altro modo, può succedere
che il consacrato si veda obbligato a dichiarare, rispetto alle norme o ai propri superiori: «Bisogna
obbedire a Dio prima che agli uomini» ( At 5, 29)? Sarebbe il caso della cosiddetta obiezione di
coscienza, della quale ha parlato Paolo VI (Evangelica testificatio), e che si deve intendere nel suo
significato autentico.
Se è vero che la coscienza è l’ambito nel quale risuona la voce di Dio che ci indica come
comportarci, non è meno necessario imparare ad ascoltare questa voce con grande attenzione, per
saperla riconoscere e distinguerla dalle altre voci. In effetti, non si deve confondere questa voce con
altre che sorgono da un soggettivismo che ignora o trascura le fonti e i criteri irrinunciabili e
vincolanti nella formazione del giudizio di coscienza: «il «cuore» convertito al Signore e all’amore
del bene è la fonte dei giudizi «veri» della coscienza», (S. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica
Veritatis splendor (6 agosto 1993), 64) e «la libertà della coscienza non è mai libertà «rispetto» alla
verità, ma sempre e solo «nella» verità» (S. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis splendor
(6 agosto 1993), 64).
Di conseguenza, la persona consacrata dovrà riflettere con calma prima di concludere che la volontà
di Dio le è espressa, più che dal comando ricevuto, da ciò che lei sente nel suo interiore. E dovrà
ricordare che la legge della mediazione è vigente in tutti i casi, astenendosi dal prendere decisioni
gravi senza confronto o approvazione alcuna. Non si discute, certamente, che ciò che importa è
arrivare a conoscere e compiere la volontà di Dio; ma dovrebbe essere ugualmente indiscutibile che
la persona consacrata si è impegnata con voto a captare questa santa volontà attraverso determinate
mediazioni. Affermare che ciò che conta è la volontà di Dio e non le mediazioni, e rifiutarle o
accettarle solo se conviene, può togliere il significato al voto e svuotare la propria vita di una delle
sue caratteristiche essenziali.
Di conseguenza, «fatta eccezione di un comando che fosse manifestamente contrario alle leggi di
Dio o alle costituzioni dell’Istituto, o che implicasse un male grave e certo –nel cui caso l’obbligo di
obbedire non esiste-, le decisioni del superiore si riferiscono a un campo in cui il valore del bene
migliore può variare secondo i punti di vista. Voler concludere, per il fatto che un comando dato
appaia oggettivamente meno buono, che è illegittimo e contrario alla coscienza, vorrebbe dire
ignorare, in maniera poco reale, l’oscurità e l’ambiguità di non poche realtà umane. Inoltre, rifiutare
l’obbedienza implica un danno, a volte grave, per il bene comune. Un religioso non dovrebbe
ammettere facilmente che ci sia contraddizione fra il giudizio della sua coscienza e quello del
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superiore. Tale situazione eccezionale comporterà alcune volte un’autentica sofferenza interiore,
secondo l’esempio di Cristo stesso «che imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5, 8)»
È dunque l’esempio di Cristo, di cui siamo chiamati a imitare il modo di vita, ciò che spinge ad
abbracciare l’obbedienza. Opporre obbedienza a libertà è considerare che lo stesso Cristo non fu
libero. Perché di Lui, la Scrittura esalta propriamente la sua obbedienza al Padre, la cui volontà era
suo alimento, la cui preghiera fu dal momento del suo ingresso in questo mondo (nell’Incarnazione)
fino alla sua passione: Padre, si compia la tua e non la mia volontà… non come voglio io, ma come
vuoi tu. Fu Lui che si fece obbediente fino alla morte, e alla morte di croce, e che Pur essendo
Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì, e che fu ascoltato precisamente per il suo pieno
abbandono, cioè, per la sua umile sottomissione.
(cost n 77) Se noi fossimo religiosi veramente obbedienti, si realizzerebbe ciò che dice San
Giovanni Bosco:: “Se voi realizzate l’obbedienza nel modo indicato vi posso assicurare, in nome del
Signore, che passerete nella congregazione una vita tranquilla e felice. Ma allo stesso tempo devo
avvertirvi che dal giorno in cui, metterete da parte l’obbedienza e seguirete solo i vostri capricci,
comincerete a sentirvi afflitti del vostro stato. Se nelle varie congregazioni religiose si trovano degli
scontenti e anche alcuni per cui la vita di comunità è di gran peso, guardate con attenzione e vedrete
che questo scaturisce dalla mancanza di obbedienza”. (Regole e costituzioni della Società di San
Francesco di Sales, VIII)