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Dipartimento di Filosofia,
Comunicazione e Spettacolo
Laureanda Relatore
SILVIA PRAGLIOLA Prof.ssa FEDERICA GIARDINI
N. Matr. 0490143
Correlatore
Prof. DARIO GENTILI
A.A. 2016/2017
Indice
Introduzione.................................................................................................................................. 5
1. Plusvalore e Capitalismo Cognitivo .................................................................................. 18
1.1. Che cos’è il plusvalore? ............................................................................................... 18
1.2. I fisiocratici................................................................................................................... 18
1.3. Gli economisti classici, l’alba del concetto di plusvalore ......................................... 25
1.4. Plusvalore e lavoro vivo .............................................................................................. 28
1.5. La teoria marxiana del valore e la logica dello sfruttamento .................................. 30
1.6. La crisi del fordismo e il passaggio al postfordismo ................................................. 32
1.7. Il capitalismo cognitivo ............................................................................................... 34
1.8. Capitale umano e lavoro immateriale ........................................................................ 38
1.9. Logiche dello sfruttamento ......................................................................................... 42
2. Verità, soggettivazione, governamentalità ........................................................................ 50
2.1. L’ordine del discorso ................................................................................................... 50
2.2. Lo stretto legame tra conoscenza e verità ................................................................. 53
2.3. Il legame tra sapere e potere ....................................................................................... 57
2.4. La soggettivazione: soggetto, sapere-potere .............................................................. 64
2.5. Governo e governamentalità....................................................................................... 71
2.6. Il governo delle anime – governamentalità cristiana ............................................... 77
2.7. Razionalità economica – governamentalità capitalistica ......................................... 79
2.8. Capitalismo parassitario, moderne tecnologie di sé ................................................. 82
3. Assoggettamento: Debito e crisi come tecnologie securitarie ......................................... 89
3.1. Cosa è il debito? ........................................................................................................... 89
3.2. L’immaterialità della moneta ..................................................................................... 93
3.3. Moneta fiduciaria ........................................................................................................ 95
3.4. Nascita della crisi ......................................................................................................... 97
3.5. Debito e plusvalore ...................................................................................................... 99
3.6. Debito come tecnologia securitaria .......................................................................... 107
3.7. Debito e moralità ....................................................................................................... 123
3.8. Debito e colpa ............................................................................................................. 126
4. Asservimento macchinico e governamentalità algoritmica........................................... 137
4.1. Macchinismi ............................................................................................................... 137
2
4.2. Semiotiche, capitale come operatore semiotico ....................................................... 140
4.3. Asservimento macchinico come acceleratore capitalistico .................................... 147
4.4. La rivoluzione digitale ............................................................................................... 151
4.5. Controllo e governamentalità algoritmica .............................................................. 155
4.6. La società dei dividui ................................................................................................. 161
5. Capitale come assiomatica sociale. Imprinting e la contemporanea crisi del salario . 167
5.1. Plusvalore di rete ....................................................................................................... 167
5.2. Ontogenetica dell’individuazione ............................................................................. 177
5.3. Dal lavoro precario al lavoro gratuito: economia della promessa ........................ 181
5.4. Dote di natura: conservare valore aggiungendo valore ......................................... 188
5.5. Femminilizzazione del lavoro: accumulazione attraverso il corpo ....................... 193
5.6. Assiomatica sociale e imprinting .............................................................................. 197
Bibliografia ................................................................................................................................. 207
3
A mia mamma, mia sorella e alla mia Lisa.
4
Introduzione
5
precedenti, tipo di produzione capace di assorbire veicolare
attitudine non solo produttive, ma anche riproduttive.
6
In questo senso, sull’analisi della produzione di soggettività come
mezzo di assoggettamento al potere e quindi di rimando al
capitalismo prosegue il percorso della tesi. Sulla base dei corsi di
Foucault si analizza il legame tra produzione di verità, potere e
produzione di soggettività. Infatti, potere, produzione di verità e
sapere sono intrinsecamente legati, per cui se apparentemente, la
volontà di verità ha un ruolo positivo, effettivamente essa funziona
come metodo di selezione e costrizione. Così la verità è solamente
un evento frutto della volontà e così pure il soggetto, a causa
dell’"artificialità" dello schema conoscitivo soggetto-oggetto. La
produzione di verità e i discorsi veri diventano costitutivi
dell’assoggettamento dei soggetti ed il soggetto si costituisce perché
sottomesso a una produzione di verità che è il motore del
funzionamento del potere. Simultaneamente il motore di quella
verità è a sua volta la volontà alla quale esso sfugge, pur essendone
determinato attraverso il "discorso vero".
Svelato il legame potere, verità e produzione di soggettività, si
mostra una particolare forma di potere secondo Foucault, un potere
che si esprime direzionandosi sulla vita stessa, ossia che si
costituisce come una forma di potere sulla vita, di biopotere, che si
prende in carico gli esseri umani a partire dal dato biologico che
viene identificato come loro carattere.
Questo nuovo rapporto di potere a livello politico, non sarà più
limitato alla dimensione giuridica ma si aprirà più
complessivamente alla dimensione del governo, con il cui termine
si intende proprio un paradigma utile ad intendere una modalità
attraverso cui il potere si configura. Infatti il termine "governo" per
Foucault oltre al significato propriamente istituzionale, ne assume
anche uno, derivato direttamente dall’etimologia della parola, ossia
il dominio che si può esercitare su se stessi e sugli altri, sul corpo
come sull’anima e sul modo di agire. "Governo" per Foucault è “il
modo in cui la "condotta" degli individui può essere diretta:
7
"condotta" nel senso di “maniera di condursi e farsi condurre, la
maniera in cui ci si comporta sotto l’effetto di una condotta, in
quanto atto di condotta o di conduzione1”.
Quest’idea di governo legata alla condotta di sé e degli altri ha avuto
origine per Foucault all’interno del potere pastorale. Il potere
pastorale è quindi l’inizio di una traiettoria storica attraverso cui nel
tempo si è sviluppato questo dispositivo di potere che viene definito
governamentalità, ossia: “l’insieme di istituzioni, procedure, analisi
e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa
forma e assai complessa di potere, che ha nella popolazione il
bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di
sapere, e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico
essenziale2.”
La direzione di coscienza si sviluppa all’interno di un rapporto di
individualizzazione/soggettivazione in cui all’assoggettato è
richiesta “la produzione di una verità interna, segreta e nascosta.3”
L’autovalutazione diventa il nocciolo dell’arte di governo pastorale
che integra i processi di autoanalisi all’interno della conduzione e
della direzione di coscienza. Il soggetto occidentale è “un soggetto
assoggettato attraverso le reti ininterrotte di obbedienza e
soggettivato estraendo da lui stesso la verità che gli viene imposta.4”
Il potere governamentale ha come scopo quello di far emergere il
rapporto tra le “tecnologie di governo” che caratterizzano il potere
economico e la modalità di “governo di sé” alla base delle tecniche
di produzione dei soggetti, non legati da un rapporto di soggezione,
ma soprattutto con obiettivo di gestire e capitalizzare al suo interno
le risorse individuali.
È su questo ragionamento che si evidenzia un legame tra potere
economico-governamentale e cristianesimo, legame che si basa sul
1
Foucault M., Sicurezza, territorio, popolazione.
2
Ivi.
3
Foucault M., Sicurezza, territorio e popolazione.
4
Hindess B., Discourses of power: from Hobbes to Foucault.
8
meccanismo da cui entrambi sono alimentati. Infatti per il
capitalismo, il punto è “sapere come gli uomini si governano,
attraverso la produzione di verità.5” intendendo con questo “la
gestione di domini in cui la pratica del vero e del falso possa essere
ad un tempo regolata e pertinente6“.
Il neoliberismo, infatti, si basa su una rivendicazione della libertà
applicata a livello capillare. Questo sistema di dominio assicura il
massimo di libertà singolarmente tramite l’autocontrollo e
l’investimento sulle capacità ed attitudini individuali.
È in questa chiava fornita dal rapporto capitalismo e cristianesimo
che viene analizzata la questione del debito contemporaneo e
simultaneamente si collega in questo modo lo stesso concetto di
debito a quello di plusvalore e di conseguenza al concetto di
sfruttamento.
In questo caso, da un lato si segue la teoria dello squilibrio
strutturale per cui non vi è uguaglianza tra domanda ed offerta.
L’offerta è strutturalmente superiore alla domanda e con il
capitalismo veniamo a trovarci in una economia di
sovrapproduzione. Quindi si mostra come questa sovrapproduzione
sia stata aggirata dal capitalismo in primo luogo tramite
l’imperialismo, successivamente con il welfare e ai giorni nostri con
il debito.
Dall’altro, per collegare il debito, non solo alla questione della teoria
del plusvalore e valore, ma anche a quella della produzione di
soggettività basta notare che nel corso della storia uno dei modi più
efficaci per assoggettare gli uomini si è basato sulla schiavitù. La
ragione economia essenziale alla base di creare l’indebitamento è
quindi quella di porli in una condizione di impossibilità di rimborso
del debito e quindi di renderli schiavi.
5
Foucault, M., Dits et écrits.
6
Ibidem
9
L’obiettivo del debito non è tanto quello di riscuotere i debiti, ma
più che altro sul nesso con la morale, la promessa ed il conseguente
processo di assoggettamento, ed è in questo modo che ci
ricolleghiamo nuovamente al cristianesimo e al legame che esso ha
con il capitalismo.
10
indebitante. Il capitalismo con ogni probabilità è il primo caso di un
culto che non redime il peccato, ma genera colpa.7”
7
Benjamin W., Capitalismo come religione.
8
Assaman J., Potere e saggezza. Teologia politica nell’antico Egitto, in Israele e in Europa.
9
Stimilli E., Debito e colpa.
11
In questo processo nasce il cristianesimo. Questa riflessione sulla
legge ebraica, dà vita a un nuovo dispositivo di potere che si fonda
sulla libertà. Ciò che non può essere governato non viene solo
reintegrato all’interno del meccanismo da cui proviene, ma crea
piuttosto una nuova amministrazione, si elabora un nuovo campo di
istituzione normativa a partire da una gestione amministrativa della
comunità.
10
Rouvroy A.e Stiegler B., Le régime de vérité numériquee.
11
I Big Data sono delle quantità enormi di dati bruti, che possono essere registrati automaticamente ed essere poi
associati attraverso le operazioni di datamining, al fine di fornire alle autorità una nuova forma di sapere.
14
Ma se da un lato quindi le macchine in qualche modo direzionano
gli individui trattandolo come dividuali e asservendo quindi i
bisogni stessi al capitalismo e alla sua macchina produttiva.
Dall’altro non bisogna dimenticare come sia il lavoro vivo a dare
inizio e ad istruire le nuove generazioni di macchine. Le macchine,
che siano industriali o cibernetiche, sono “cristallizzazione” del
conflitto sociale. Ed ecco perché lo stesso succede per le macchine
informatiche che risultano anche esse cristallizzazione di tensioni
sociali. Infatti, così come le macchine industriali rimpiazzavano
l’insieme di relazioni sviluppatesi nel periodo manifatturiero, le
macchine informatiche rimpiazzano le relazioni cognitive al lavoro
all’interno della fabbrica industriale.
15
Poiché nel capitalismo cognitivo, dove i circuiti di valorizzazione
cercano di catturare il general intellect e di catturare il valore
prodotto dalla cooperazione sociale, “il lavoro misurato sul tempo
trascorso e certificato dall’impresa spesso non è più che una frazione
del tempo sociale effettivo del lavoro12” ed inoltre è proprio nel
momento in cui il capitale si valida successivamente al processo di
individuazione, che non può che situare la sua azione di controllo
all’interno del processo di soggettivazione, sollecitando
continuamente “i soggetti in divenire ad una norma di inclusione
differenziale.13”
12
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
13
Ivi.
16
che lo sfumare del lavoro salariare coincide proprio con la fine del
lavoro di riproduzione gratuito da parte delle donne, in questo modo
ci si collega anche nuovamente alla teoria dello squilibrio
strutturale.
17
1. Plusvalore e Capitalismo Cognitivo
1.2. I fisiocratici
14Quando Marx indica una componente/elemento oggettivo del capitale, usa il termine gegenständlich; quando
vuole esprimere, invece, il concetto di leggi, per esempio economiche, non arbitrariamente modificate, le denomina
come materiell. In riferimento ai fisiocratici, Marx è interessato a chiarire che il loro problema è comprendere come
18
scompone15 nel corso del processo di lavoro. Ma secondo Marx,
come tutti i successori dei fisiocratici, anche loro, scambiano la
forma capitalistica, propriamente storica, della produzione con la
quella naturale, puramente tecnica; ma anche se commettono questo
fraintendimento, i fisiocratici colgono un aspetto fondamentale,
ossia che le leggi della produzione, intesa in senso storico o naturale,
“valgono a prescindere dall’arbitrio umano, dalla mera volontà, in
questo senso, dalla politica.16”
una singola componente oggettiva (nel senso di gegenständlich) del capitale possa rendere un surplus; ma ciò che
essi pretendono spiegare, considerando la singola componente, a prescindere dall’intreccio interattivo di fattori,
senza di cui, in realtà, non c’è capitale.
15 Il verbo che Marx usa è auseinanderlegen, che suggerisce oltre all’immagine del rompersi anche quella di una
molteplicità di parti, che si dispongono l’una esternamente all’altra. Marx vuol comunicarci è che, nel processo
di esteriorizzazione del capitale, si realizza anche un’apparente indipendenza e reciproca indifferenza tra le sue
singole parti, che si dispongono l’una all’esterno dell’altra.
16 Marx K., Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW). Marx definisca la legge
economica “materielle Gesetz”: “Hegel e gli economisti classici ritenevano che non sia possibile comprendere
molto della società, soffermandosi sulle intenzioni umane e sulle relazioni a cui esse danno luogo; esistono, invece,
leggi regolative che operano anche se da nessuno osservate e sono esse –e non il pensiero umano-, che determinano
i comportamenti.” (Kolakowski, 2005) Pevzner ricava una conseguenza importante sul piano della teoria
propriamente economica: “Le ricerche della misura ideale del valore sono una chimera, un allontanarsi dalla vita
sociale reale. La scienza reale, che si occupa dei rapporti tra le persone e tra le classi nei processi di riproduzione
dei servizi, non può porsi quale obiettivo quello di ricercare una misura stabile e immutabile del valore … è
assolutamente impossibile trovare questa misura nell’ambito delle utilità la cui commensurabilità dipende da un
numero illimitato di fattori, dai gusti di milioni di persone (produttori e consumatori), dai desideri, dalle intenzioni,
dalle possibilità che cambiano continuamente e che sono qualitativamente non confrontabili. L’unico fattore su cui
la scienza è in grado di appoggiarsi nella ricerca di una misura del valore è il lavoro.” (Pevzner, 1987)
17 Per maggior dettagli Marx, K., Forme che precedono la produzione capitalistica.
18
Marx K., Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW).
19
Nell’analisi fisiocratica, il proprietario terriero, si contrappone al
lavoratore come un capitalista (proprietario privato delle condizioni
oggettive di lavoro), vale a dire come chi, in cambio del salario,
ottiene il diritto di usare l’Arbeitsvermögen del lavoratore19, ossia
quella merce che quando si mette in atto si valorizza.
19
“L’estraneazione (Entfremdung) delle condizioni oggettive (gegenständlich) di lavoro e della stessa capacità di
lavoro, evidentemente, sono presupposte in questa scambio (tra capacità di lavoro e salario/Lohn).” Marx K.,
Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW).
20
Marx K., Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW). Il lavoratore agricolo, secondo i fisiocratici,
produce più di quel minimo necessario a vivere, che prende come salario. Questa eccedenza è il plusvalore o
rendita, di cui si appropria chi possiede le condizioni del lavoro. Ma non essendo saliti a quel livello d’astrazione
che consente di ridurre il valore alla sua sostanza semplice (il tempo lavoro), i fisiocratici non arrivano a dire che il
lavoratore lavora oltre il tempo necessario per la riproduzione della sua capacità di lavoro: di conseguenza il valore
che egli crea è più del valore della sua capacità di lavoro; ovvero, il valore che egli ridà è maggiore di quello che ha
ottenuto sotto forma di salario. I fisiocratici dicono, invece, che la somma dei valori d’uso, che il lavoratore
consuma nel corso della produzione, è minore della somma dei valori d’uso che egli crea e, così, resta un surplus
di valori d’uso. (Marx, K.; Engels, Fr.;, 2014)
20
Quindi essendo dato il valore della materia prima e del materiale
impiegati nella produzione, oltre che il valore della capacità di
lavoro, il minimo salariale, il plusvalore deriva da un surplus di
valore fornito dal lavoro, conclusione a cui i fisiocratici non
giungono.
21
I fisiocratici sanno che il plusvalore non nasce, ma si realizza nella circolazione. E sanno anche che il prodotto
vien venduto al suo valore e non al di sopra di esso, ma è proprio perché lo scambio avviene secondo il valore, che
il plusvalore si realizza. Il puro dono della natura, che (secondo i fisiocratici) la terra darebbe, è l’equivalente di
quella parte del valore, che viene venduto al mercato, senza essere stato comprato, dunque, il plusprodotto. [...] Per
la prima volta nella storia del pensiero economico, i fisiocratici affermano giustamente che il plusvalore è lavoro
non pagato, è valore prodotto senza contropartita da parte del lavoratore, ma che il capitalista realizza, vendendolo
al mercato[...] d’altra parte, è pure vero che il plusvalore viene visto dai fisiocratici come un puro dono della natura,
frutto della produttività naturale, dalla quale dipende se il lavoratore nel corso della sua giornata lavorativa è capace
di produrre più di quanto corrisponde al suo salario. (Marx, K.; Engels, Fr.;, 2014)
22
Marx K., Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW)
21
che, secondo questa teoria, non si identifica con una manifestazione
dell’attività umana, ma con una , empiristica indicazione di terra,
natura, materia, variamente modificate23; o anche nella concezione
fisiocratica del lavoro produttivo, identificato con quello agricolo,
essendo l’unico a creare concretamente (schaffen) un plusvalore;
inoltre la rendita fondiaria è l’unica forma di plusvalore,
riconosciuta dai fisiocratici24; ed ancora contrariamente a quanto
accade con il lavoratore agricolo, il lavoratore manifatturiero non
accresce la materia che lavora ma, solo, ne muta la forma25. “Quello
agricolo è il lavoro, in cui la creazione concreta (schaffen) del
plusvalore appare empiricamente afferrabile (materiell
hangreiflich).26”
23
I fisiocratici operano un calcolo fisico del sovrappiù, perché mancano di una teoria del valore.
24
Marx K., Engels Fr., Marx and Engels Collected Works (MECW)
25
Ivi.
26
Ivi.
27
I fisiocratici considerano il profitto solo come una sottrazione dalla rendita, (Marx, K.; Engels, Fr.;, 2014).
D’altronde, secondo Marx, la corretta analisi del profitto e del suo rapporto con il plusvalore e la rendita inizia,
solo, con A. Smith.
22
crescere per far aumentare il valore delle azioni con le quali sono
parzialmente stipendiati.
28
Il tableau économique (Quesnay, F., Il Tableau économique e altri scritti di economia) mostra che, nella
prospettiva fisiocratica, le classi sociali si individuano e distinguono, sulla base della diversa funzione, che
svolgono nel sistema economico.
29
Ciò è naturalmente sta alla base della polemica di Marx contro la concezione usuale della categoria economica,
come a sé stante, come realtà autosufficiente. Al contrario, secondo Marx, le categorie economiche sono
modi reificati di presentarsi dei rapporti sociali.
23
Questo circuito è gestito dal denaro, che, i fisiocratici ritengono, da
un lato come qualcosa di necessario, ma al contempo anche
sufficiente a veicolare gli scambi, in quanto permette di comprare
beni per la sussistenza.
24
1.3. Gli economisti classici, l’alba del concetto di plusvalore
26
rendite pagati al loro livello “naturale30”. Questa seconda teoria del
valore, sicuramente più adeguata a rappresentare la realtà delle
economie industrializzate, è stata formulata da Smith in maniera
molto rudimentale; Smith non è stato in grado di cogliere tutte le
principali implicazioni, soprattutto in relazione ai legami che tale
teoria del valore ha con la teoria della distribuzione del reddito. In
particolare affermando che il prezzo naturale di una merce è dato
dalla somma di salari, profitti e rendite, Smith ha perso di vista i
legami che necessariamente devono sussistere in un sistema
economico tra queste tre variabili distributive: sostanzialmente il
fatto che esse non possono essere fissate indipendentemente l’una
dalle altre, e che l’aumento di una di queste necessariamente
comporta la riduzione di una o di entrambe le altre. Egli scrive, ad
esempio: “the natural price varies with the natural rate of each of its
component parts.31”
30
Non entriamo qui nel merito di che cosa Smith intende per livello “naturale” delle remunerazioni dei fattori.
31
Smith A., Wealth of Nations.
27
1.4. Plusvalore e lavoro vivo
Marx sostiene che il salario non è altro che lo scambio tra capitale e
lavoro, il lavoratore viene pagato x affinché possa comprare merci
per riprodursi che valgono x. Il salario è fissato apriori, prima ossia
che la forza-lavoro entri nel processo produttivo, ma quando questo
succede la forza-lavoro si trasforma in lavoro vivo ed il lavoro
contenuto si trasforma in lavoro vivo. E allora in cosa consiste
questa differenza tra lavoro contenuto e lavoro vivo?
32
Dejours C., Travail vivant.
33
Dejours C., Travail vivant.
34
Marazzi C., Che cos’ è il plusvalore?
28
soggettiva del lavoro. In questo modo si perde il punto principale e
caratterizzante del lavoro, ossia essere un’attività soggettiva carica
di sofferenza, intelligenza, astuzia, creatività, un’attività in cui
bisogna mettere in atto quelle risorse per gestire il vuoto tra il reale
e ciò che è stato prescritto.
35
Dejours C., Travail vivant.
29
1.5. La teoria marxiana del valore e la logica dello sfruttamento
30
(D-M-D’) mostra che per il capitale, nel processo di valorizzazione,
l’obbiettivo non è il consumo e tanto meno il valore d’uso, quanto
l’accumulazione della ricchezza rappresentata dal denaro. La merce
e la produzione sono per il capitale solo degli strumenti per
raggiungere l’accumulazione del denaro e di aumentare
incessantemente il potere di comando che il denaro gli conferisce
sulla società e sul lavoro, che gli permette di appropriarsi di un
plusvalore.
Si può affermare, insieme a Negri36, che la legge del plusvalore si
presenta in prima istanza come una legge dello sfruttamento. Essa è
anteriore alla legge del valore dove il tempo di lavoro astratto è la
misura del lavoro e del valore delle merci. Questa è solo un
sottoprodotto dipendente della legge del plusvalore. Come
notavamo precedentemente, l’origine e il senso storico della legge
del valore/tempo di lavoro sono strettamente legati alla
configurazione del rapporto capitale-lavoro che si sviluppa con la
rivoluzione industriale.
36
Negri A., Marx oltre Marx.
31
1.6. La crisi del fordismo e il passaggio al postfordismo
37
Marx K., Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica.
32
detengono la parte intellettuali della produzione hanno la capacità
di gestirne la regolazione collettiva, cioè a definire le stesse finalità
sociali della produzione.
Questa riflessione viene fatta propria da Taylor, il quale capisce la
necessità di far emergere ed espropriare gli operai dei loro tacit
skills, per convertirli in un sapere codificato in mano al management
e rinviato ai salariati, sotto forma di prescrizione stretta dei tempi e
delle procedure operative. Questi indicatori potevano infatti
ricondurre a un’unità di calcolo nota e omogenea in termini di tempo
che permetteva di indicare in questo modo anche il tasso di
sfruttamento. La norma del tempo di lavoro astratto pretendeva
utopisticamente di creare una organizzazione capitalistica e
manageriale capace di privare il lavoro di ogni autonomia e di ogni
dimensione cognitiva.
38
Marx K., Il Capitale.
33
La crisi del fordismo, è avvenuta attraverso i conflitti che hanno
portato alla formazione di un’intellettualità diffusa e allo sviluppo
dei servizi collettivi del Welfare (sanità, educazione, ricerca). Sono
così nate le condizioni alla base del decollo di un’economia fondata
sul ruolo motore del sapere e sulla sua diffusione.
È obbligatorio sottolineare che la messa in opera di un’economia
che si basa sulla conoscenza precede e inizialmente si oppone alla
formazione del capitalismo cognitivo. Questo, il capitalismo
cognitivo, in realtà è il risultato di un processo di appropriazione
mediante il quale il capitale tenta di assorbire e sottomettere, in
modo parassitario, le condizioni collettive della produzione delle
conoscenze, soffocando il potenziale di emancipazione iscritto nella
società del general intellect.
L’organizzazione postfordista del lavoro infatti si pone come
obiettivo quello di abbattere questa dimensione collettiva della
resistenza del lavoro vivo, reale, al lavoro prescrittivo. Ci prova
alleggerendo i processi produttivi, con la flessibilizzazione del
lavoro, ma lo fa soprattutto gestendo una serie di tonalità emotive
per sostituire la verticalità gerarchica con una orizzontalità al
comando.
Nel momento infatti in cui il lavoro si cognitivizza, ossia diventa
un’attività comunicativa-relazionale non più sottomessa a un rigido
sistema di macchine e da una separazione netta tra tempo del lavoro
e tempo della vita, la gestione del lavoro vivo fa sue determinate
tonalità emotive, alcuni valori negativi diventano competenze
professionali, i disvalori diventano competenze.
34
divengono la posta in gioco principale della valorizzazione del
capitale. Il capitalismo cognitivo si ha dunque nel passaggio del
capitalismo industriale a una nuova fase del capitalismo, dove la
dimensione cognitiva e immateriale del lavoro diventa dominante
dal punto di vista della creazione di valore e della competitività delle
aziende.
La trasformazione maggiore che definisce questo passaggio dal
capitalismo industriale a quello cognitivo è nel ritorno in forza della
dimensione cognitiva e intellettuale del lavoro. Questa si manifesta
in ogni attività produttiva, materiale o immateriale e riguarda anche
le attività con bassa tecnologia.
39
Vercollone C., La legge del valore nel passaggio dal capitalismo industriale al nuovo capitalismo.
35
misurato in unità di lavoro semplice, non qualificato, lo strumento
congiunto della valutazione e della sussunzione reale del lavoro al
capitale. L’espansione della dimensione cognitiva del lavoro
determina una doppia crisi della legge del valore, come Vercellone
ha ben sottolineato40:
40
Ivi.
36
di tutta una serie di strumenti di valutazione della
soggettività del lavoratore e della sua conformità ai valori
dell’impresa.
37
nella controversia sull’origine del celebre goodwill (che designa lo
scarto crescente fra il valore di mercato delle aziende e il valore dei
loro attivi tangibili): il principale attivo immateriale, da cui dipende
il sopravalore incarnato dal goodwill, è il “capitale intellettuale”
ossia la competenza, l’esperienza, il sapere tacito, la capacità di
cooperazione della forza-lavoro. Non è capitale ma qualità e
capacità intellettuale della forza-lavoro, che per definizione
costituisce un attivo non negoziabile sul mercato.
41
Aa. Vv., L'enterprise au XXI siècle.
38
Riportiamo una comunicazione del direttore delle risorse umane di
Chrysler:
Cosa emerge in questo estratto? Emerge che quello che conta sono
le qualità di comportamento, le qualità espressive ed immaginative,
il coinvolgimento personale nel compito da svolgere, il
commitment.
39
culturale che hanno acquisito nel quotidiano tramite lo sport, le
attività musicali, teatrali. È grazie alle attività esterne all’orario di
lavoro che si sviluppano vivacità, improvvisazione, cooperazione.
È questo sapere che l’industria postfordista sfrutta.
42
Boutang, Y. M., La troisième transition du capitalisme.
40
fuori dal lavoro. “Per quanto povera e insignificante sia l’attività,
indegni e ridicoli gli scopi, essa per essere realizzata impegna la
forza mentale e affettiva dell’individuo, quel che ne definisce il
valore ai suoi occhi43”.
43
Combes M., Aspe B., Revenu garanti et biopolitique.
44
Ivi.
41
Ognuno è obbligato a gestirsi, a gestire il proprio capitale umano
per tutta la vita, investendo su di sé con formazione etc., etc.
42
Come lo stesso Marx scrive: “poiché a fondamento della
manifattura rimane l’abilità artigiana e poiché il meccanismo
complessivo che funziona in essa non possiede una ossatura
oggettiva indipendente dai lavoratori stessi, il capitale lotta
continuamente contro l’insubordinazione degli operai45”.
45
Marx K., Storia dell'economia politica. Teoria del plusvalore.
46
Ivi.
47
Marx K., Il Capitale
43
Riassumendo, possiamo con questi parametri quindi definire un
capitalismo mercantilista, con una divisione del lavoro di tipo
manifatturiero, a cui possiamo associare una sussunzione formale.
Successivamente avremo un capitalismo industriale, con una
divisione del lavoro di tipo taylorista, dove la sussunzione è di tipo
reale, dove il lavoro viene sottomesso al capitale all’interno del
processo produttivo.
48
Marazzi C., Diario della crisi infinita.
49
Gorz A., Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica.
44
Sembra ormai lapalissiano che vi è una femminilizzazione del
lavoro, ossia che il lavoro contemporaneo assume sempre più la
forma della cura, che esibisce sempre più lati “femminili”.
50
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
51
Deleuze G., Corso Vincennes 1971.
45
L’assiomatica è la sua delimitazione dentro la quale il capitalismo
fissa le metriche di traduzione della soggettività nel registro della
merce. La caratteristica invariante dell’assiomatica capitalistica è il
rapporto tra plusvalore e sfruttamento, ma questa caratteristica è
elastica, nel senso che non è determinata una volta per tutte e statica.
Il rapporto tra plusvalore e sfruttamento viene continuamente
ridefinito.
46
L’ espressione imprinting, fa pensare agli studi del etologo Lorenz,
ossia l’apprendimento per esposizione, l’impronta del genitore o di
chi viene riconosciuto come tale, questa traccia non impone un
percorso di evoluzione, ma limita i campi di possibilità e di carattere
dell’individuo.
47
immediatamente valorizzata, dunque subito conformi all’assioma di
base.
48
entrare in concorrenza per il suo reddito di sopravvivenza il cui
riconoscimento è sempre più esterno al tempo di lavoro.
49
2. Verità, soggettivazione, governamentalità
52
Foucault M., L’ordine del discorso.
53
Ivi.
50
mette in atto in ogni società nel momento in cui si individua un
numero di testi (religiosi, giuridici, letterari) che vengono
considerati particolarmente importanti, ossia meritevoli di generare
una categoria di discorsi destinati a commentarli, questo per dare
una implicita ricchezza di senso. Un secondo criterio di controllo
interno è dato dall’autore, inteso come principio di raggruppamento
dei discorsi, infatti per i testi letterari, filosofici e scientifici si ha la
necessità di ricondurli ad un autore. La terza procedura di
limitazione è data dal sistema delle discipline, per esempio quelle
scientifiche. Queste ultime sono costituite da “un ambito di oggetti,
un insieme di metodi, un corpus di proposizioni considerate come
vere, un gioco di regole e di definizioni, di tecniche e di
strumenti54”. Se un enunciato non rispetta queste caratteristiche,
viene considerato esterno alla disciplina in cui vorrebbe trovare
posto.
54
Ivi.
51
dei propri interessi, in modo che non offra a tutti le medesime
possibilità di acquisizione del sapere.
La filosofia, secondo Foucault, ha finito con il rafforzare questo
apparato di tecniche, insistendo su nozioni (come quelle della verità
ideale, del soggetto fondatore, dell’esperienza originaria, della
mediazione universale), chi invece vuole orientarsi in senso
opposto, deve “rimettere in questione la nostra volontà di verità;
restituire al discorso il suo carattere di evento; eliminare infine la
sovranità del significante55”. Dato che, nella tradizionale storia delle
idee, si è sempre cercato “il punto della creazione, l’unità di
un’opera, di un’epoca o di un tema, il contrassegno dell’originalità
individuale, e il tesoro indefinito dei significati nascosti56”, ora
diviene necessario procedere in tutt’altro modo, opponendo
“l’evento alla creazione, la serie all’unità, la regolarità
all’originalità, e la condizione di possibilità al significato 57”.
Le analisi che Foucault condurrà sono raggruppabili in due insiemi.
Il primo che si definisce critico studia perché e come si sono formate
le tecniche di esclusione e limitazione del discorso. Sono di tipo
critico anche ricerche come quelle sul costituirsi storico della
volontà di sapere, oppure delle pratiche e dei sistemi discorsivi che
caratterizzano il sistema penale, o gli sviluppi della medicina fra il
XVI e il XIX secolo. Il secondo insieme di ricerche si definisce
genealogico, verte sulle serie di discorsi al fine di esaminare “quali
sono state le loro condizioni di apparizione, di crescita, di
variazione58”.
55
Ivi.
56
Ivi.
57
Ivi.
58
Ivi.
52
legame di produzione di soggettività e potere, ma anche dalle prime
nozioni che ci sembrano porre le basi per discorso sul potere e per
giungere poi a quello che viene delineato come governamentalità.
Vorremmo partire dalla nozione di verità e dal suo legame con il
sapere, vorremo mostrare come questo legame tra sapere/verità sia
stato usato come modalità di veicolazione del potere, quali siano le
sue declinazioni storiche, come la verità sia connessa alla
creazione/produzione della soggettività. Questo seguendo il filo
conduttore lasciatoci da Foucault. Partiremo dunque dal corso sulla
volontà di sapere, ci spingeremo poi a parlare con potere pastorale,
delle tecniche della cura di sé fino ad arrivare alla biopolitica.
Mostreremo come la razionalità economica si sia definita durante i
secoli come verità. L’obiettivo sarà quello di delineare il percorso
che ha portato ad intendere la razionalità come invariante
antropologico, ossia quello di attribuire un valore assoluto alla
ragione.
59
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
53
piacciono per se stesse e, più di tutte, le sensazioni visive60”.
Secondo Foucault, questo passo implica diverse asserzioni: che
esiste un desiderio di conoscere, che tale desiderio è universale e
che è dato dalla natura. Aristotele cerca di dimostrarlo tramite un
entimema, tecnica retorica che si ha “quando, date certe premesse,
risulta per mezzo di esse qualcosa di altro e di ulteriore per il fatto
che esse sono tali o universalmente o per lo più61”. In questo caso la
dimostrazione segue dal fatto che le sensazioni (specie quelle
visive) suscitano piacere, e lo fanno di per sé, indipendentemente
dalla loro utilità.
Foucault obietta che in questa argomentazione vengono attuati tre
spostamenti rispetto all’asserzione iniziale: 1) si passa dalla
conoscenza alla sensazione; 2) il naturale desiderio di conoscere
viene collegato alla sensazione fuori da ogni utilità, come se anche
la non-utilità fosse naturale; 3) si passa dal “desiderio” al “piacere”
di conoscere.
60
Aristotele, Metafisica.
61
Aristotele, Retorica.
62
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
54
verità a far sorgere, dalla connessione di questi due elementi,
l’identità del soggetto.
63
Ivi.
55
non è che un sintomo di questo bruciante desiderio. Ormai
“dimostrare la realtà” è divenuta l’ossessione triste che soddisfa la
certezza di esistere del soggetto-conoscente. Nelle nostre società la
verità è diventata secondo Foucault un sinonimo di “realtà”. La
funzione della verità sarebbe divenuta, quindi quella di vociferare il
vero, dove per “vero” si intende il giusto, il garantito, l’inattaccabile.
Ossia: il sacro, il garante, il dominante.
“Sotto tutti i ragionamenti, per quanto rigorosamente costruiti si
credano, perfino sotto il fatto di riconoscere qualcosa come
un’evidenza, c’è sempre e bisogna sempre supporre una particolare
affermazione, un’affermazione che non è dell’ordine logico della
constatazione o della deduzione, in altre parole un’affermazione che
non è esattamente dell’ordine del vero o del falso, ma che è piuttosto
una sorta di impegno, di professione. Sotto ogni ragionamento, c’è
sempre questa affermazione o professione che consiste nel dire: se
è vero, mi inchinerò; è vero, dunque mi inchino.64”
Ma questo dunque, ossia l’ergo della formula cartesiana, questo
elemento decisivo che causa e garantisce l’identità del soggetto con
la cosa che pensa, non ha una necessità logica: questo dunque è
effetto politico di un certo regime di verità, è una forma di legame
sociale dominante nella nostra società. Legame sociale che anche
Lacan aveva chiamato il discorso del padrone moderno o del
capitalista mettendo sotto accusa la storia della filosofia di essere un
fedele e morboso alleato di tale discorso65.
“Questo dunque che lega l’“è vero” con il “mi inchino”, e che dà
alla verità il diritto di dire “tu sei costretto ad accettarmi perché io
sono la verità”, in questo dunque, in questo “tu sei costretto”, “tu sei
obbligato”, “tu devi inchinarti”, in questo “tu devi” della verità c’è
qualcosa che, nella sua struttura e nel suo contenuto, non dipende
dalla verità stessa. Il “tu devi” interno alla verità, il “tu devi”
64
Foucault M., Del governo dei viventi.
65
Lacan J., Rovescio della psicanalisi. Seminario XVII (1969-1970).
56
immanente alla manifestazione della verità, è un problema che la
scienza in se stessa non può giustificare e che non può risolvere.
Questo “tu devi” è un problema, un problema storico-culturale che
credo sia fondamentale.66”
Sembrerebbe, seguendo Foucault, che esista solo un’unica vera
grande censura politica nell’epoca del neoliberalismo. È vietato fare
la verità, è vietato desiderare di subirla da qualcun altro (a meno che
non sia oggettiva, buona e giusta).
66
Foucault M., Del governo dei viventi.
67
Spinoza B., Trattato sull’emendazione dell’intelletto.
57
differente da essa: un gioco d’istinti, d’impulsi, di desideri, di paura,
di volontà d’appropriazione. È sulla scena in cui questi lottano che
la conoscenza ha modo di prodursi; – si produce non come effetto
della loro armonia, del loro felice equilibrio, bensì del loro odio, del
loro compromesso incerto e provvisorio, di un patto fragile che essi
sono sempre pronti a tradire. La conoscenza non è una facoltà
permanente, bensì un evento, o almeno una serie di eventi; – è
sempre serva, dipendente, interessata (non a se stessa, ma a quel che
è suscettibile di interessare all’istinto o agli istinti che la dominano);
– e se si dà come conoscenza della verità, è perché produce la verità,
tramite il gioco di una falsificazione prima, e sempre rinnovata, che
pone la distinzione tra il vero e il falso68”. È chiaro che, dal punto di
vista di Foucault, tali posizioni nietzschiane sono condivisibili. Per
Foucault Nietzsche è stato il primo filosofo, ad essersi impegnato
nel disfare il legame tra conoscenza e verità. C’è qualcosa di
paradossale nel nichilismo gnoseologico. “Dire di sapere” che non
c’è niente da sapere riguardo alla verità, è un’affermazione che, se
considerata da un punto di vista prettamente
apofantico/gnoseologico, è senza senso e senza valore. Ma questo
tipo di posizione acquista un enorme valore, se la consideriamo dal
punto di vista che fa della verità qualcosa da essere e da subire nella
vita, e non più una realtà da descrivere o disvelare. È in quest’ottica
che questa posizione può avere un valore: cambiare la relazione tra
soggetto e verità. Non si tratta di dimostrare che niente nel mondo è
reale ma di cercare un’altra esperienza della soggettività,
dell’alterità e dell’intersoggettività sospendendo il regime politico-
linguistico della verità-descrizione.
Ma torniamo alla lezione del 16 dicembre 1970, e dunque alla
contrapposizione fra i due modelli teorici. Secondo Foucault per
cercare di oltrepassare i limiti della conoscenza e di portarsi in una
specie di esteriorità ad essa, Nietzsche si espone a un’obiezione di
68
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
58
tipo kantiano: “O ciò che si dice sulla conoscenza è vero, ma questo
può accadere solo all’interno della conoscenza. Oppure si parla fuori
dalla conoscenza, ma allora nulla permette di affermare che ciò che
si dice è vero69”. Per uscire dal dilemma, esiste una sola via: quella
che conduce a negare la coappartenenza di verità e conoscenza.
Infatti, mentre Kant postula una verità inaccessibile e una
conoscenza limitata, Nietzsche procede a una “disimplicazione” dei
due elementi.
Non è Kant ma quindi Spinoza a costituire l’avversario più temibile,
proprio in quanto “lega nella maniera più rigorosa la verità e la
conoscenza70”.
Nietzsche, che si propone all’opposto di separarle, deve pertanto
sbarazzarsi di Spinoza. Lo fa in vari modi, ossia mostrando che
“conoscere è detestare [...], poiché si conosce per dominare, per
prevalere”, che lo sviluppo storico della conoscenza è guidato “da
una regola di volontà”, e infine che “dietro l’atto stesso della
conoscenza, dietro il soggetto che conosce nella forma della
coscienza, si dispiega la lotta degli istinti, degli io parziali, delle
violenze e dei desideri71”. Foucault ha in mente un passo della Gaia
scienza, nel quale si legge: “Non ridere, non lugere, neque detestari,
sed intelligere! dice Spinoza, con quella semplicità e sublimità che
è nel suo carattere. Ciò nondimeno: che cos’è in ultima analisi
questo intelligere se non la forma in cui appunto ci diventano a un
tratto avvertibili questi tre fatti? Un risultato dei tre diversi e fra loro
contraddittori impulsi a voler schernire, compassionare, esecrare?
Prima che sia possibile un conoscere, ognuno di questi impulsi deve
avere già espresso il proprio unilaterale punto di vista sulla cosa o
sul fatto: in seguito nasce il conflitto tra queste unilateralità, e a
partire da esso talora un termine medio, una pacificazione [...]. Noi,
che siamo consapevoli soltanto delle ultime scene di conciliazione
69
Ivi.
70
Ivi.
71
Ivi.
59
e della liquidazione finale di questo lungo processo, riteniamo
perciò che intelligere sia qualcosa di essenzialmente contrapposto
agli impulsi: mentre esso è soltanto un certo rapporto degli impulsi
tra di loro. [...] Sì, forse esiste nelle nostre lotte interiori parecchio
eroismo nascosto, ma non certo qualcosa di divino, che riposa
eternamente in sé, come pensava Spinoza72”.
La lezione del 23 dicembre 1970 risulta assente dal manoscritto.
Tuttavia il curatore del volume, ritiene che vi sia una sostanziale
sovrapponibilità confrontando gli appunti presi quel giorno da
un’uditrice con quelli redatti da Foucault come base per una
conferenza tenuta nell’aprile 1971, Comment penser l’histoire de la
vérité avec Nietzsche sans s’appuyer sur la vérité.73
In quella circostanza Foucault inizia con la citazione di un famoso
passo nietzschiano: “In qualche angolo sperduto di quest’universo,
il cui bagliore si spande in innumerevoli sistemi solari, ci fu una
volta un astro su cui degli animali intelligenti hanno inventato la
conoscenza. Fu l’istante più menzognero e arrogante della storia
universale74”. Parlare della conoscenza come di un’invenzione
significa, secondo Foucault che: essa non rappresenta un istinto
relativo alla natura umana, non è preceduta da un modello anteriore
di carattere divino, non si costituisce come decifrazione della
struttura del mondo e che è il risultato di un’operazione complessa.
Dopo aver ricordato il brano antispinoziano di Nietzsche, Foucault
sottolinea il carattere crudele della conoscenza: “Non si tratta di
riconoscersi nelle cose, ma di tenersene a distanza, di proteggersi da
esse (tramite il riso), di differenziarsene attraverso la
svalorizzazione (disprezzare), di volerle respingere o distruggere
(detestare)”; ma occorre tener presente che è in causa “una
malvagità rivolta anche verso colui che conosce75“.
72
Nietzsche F., La gaia scienza.
73 Come pensare la storia della verità con Nietzsche senza fare affidamento sulla verità.
74
Nietzsche F., Su verità e menzogna in senso extramorale.
75
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
60
Per Nietzsche, la conoscenza non ha come scopo l’utile, ed è crudele
in quanto comporta la rinuncia alla comodità delle illusioni. In oltre
si conosce solo in maniera prospettica e incompiuta. La verità
costituisce un’invenzione tardiva e segue un suo corso storico, non
nel senso di considerarla la meta finale. Anche prima che ci fosse
l’esigenza della verità, esistevano due forme del conoscere: l’una
finalizzata al bisogno di padroneggiare le cose, in rapporto alle
esigenze corporee e vitali; l’altra più trasgressiva e malvagia, volta
a scoprire per svelare e profanare. Solo successivamente è apparso
l’atteggiamento ascetico, che aspira alla verità e vorrebbe,
neutralizzando il corpo, esaminare tutto con distaccato e
imparzialità. Scrive Nietzsche: “D’ora innanzi guardiamoci meglio
[...] dal pericoloso, antico favoleggiamento concettuale, che ha
impiantato un “puro, senza volontà, senza dolore, atemporale
soggetto della conoscenza”; guardiamoci dalle prensili braccia di
tali concetti contraddittori come “pura ragione”, “assoluta
spiritualità”, “conoscenza in sé” [...]. Esiste soltanto un vedere
prospettico, soltanto un “conoscere” prospettico; e quanti più affetti
lasciamo parlare sopra un determinata cosa, quanti più occhi,
differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa,
tanto più completo sarà il nostro “concetto” di essa, la nostra
“obiettività”76“.
La conoscenza si basa su una rete di relazioni, ma la volontà di
potenza che agisce in noi ci induce a cercare delle analogie
all’interno di questa caotica molteplicità, ad imporre a certe
differenze un contrassegno che le unifichi, costituendole come cose,
rendendole pertanto utilizzabili e dominabili. È a partire da qui che
nasce il cogito e la coppia soggetto-oggetto, che la filosofia
tradizionale considerava invece il fondamento stesso della
conoscenza. “Nietzsche introduce in luogo e al posto del cogito [...]
76
Nietzsche F., Genealogia della morale.
61
il gioco del contrassegno e del volere, della parola e della volontà di
potenza, o ancora del segno e dell’interpretazione77”.
Nietzsche dice: “La verità non è [...] qualcosa che esista e che sia da
trovare, da scoprire, – ma qualcosa che è da creare e che dà il nome
a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che di per sé
non ha mai fine: introdurre la verità, come un processus in infinitum,
un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa che
sia “in sé” fisso e determinato. È una parola per la “volontà di
potenza78”.
La tradizione credeva che la volontà avesse la funzione di favorire
l’accesso alla verità. Nietzsche ribalta la situazione dicendo che la
verità è una violenza fatta alle cose.
Nella lezione del 17 marzo 1971, Foucault sintetizza i punti
essenziali del paradigma di Nietzsche: “Il modello nietzschiano
vuole [...] che la Volontà di sapere rinvii a tutt’altro che alla
conoscenza, che dietro la Volontà di sapere ci sia non una sorta di
conoscenza preliminare, che sarebbe qualcosa come la sensazione,
bensì l’istinto, la lotta, la Volontà di potenza. Il modello
nietzschiano vuole, inoltre, che la Volontà di sapere non sia legata
originariamente alla Verità; vuole che la Volontà di sapere
componga illusioni, fabbrichi menzogne, accumuli errori, si
dispieghi in uno spazio di finzione in cui la verità non sarebbe essa
stessa che un effetto. Vuole, per di più, che la Volontà di sapere non
sia data sotto la forma della soggettività e che il soggetto sia soltanto
una specie di prodotto della Volontà di sapere, nel doppio gioco
della Volontà di potenza e della Verità. Infine, per Nietzsche, la
Volontà di sapere non suppone che una conoscenza esista già
preliminarmente; la verità non è data in anticipo, ma viene prodotta
come un evento79”.
Ma dopo tale analisi da parte di Nietzsche cosa rimane e che
77
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
78
Nietzsche N., Frammenti postumi 1887-1888.
79
Foucault M., Lezioni sulla volontà di sapere.
62
beneficio ne trae Foucault tanto da richiamarsi a questo modello
teorico? Foucault risponde che in realtà si hanno numerosi vantaggi,
in quanto questo metodo permette: “– di parlare di segno e
d’interpretazione, della loro inscindibilità, al di fuori di una
fenomenologia; – di parlare di segni al di fuori d’ogni
“strutturalismo”; – di parlare d’interpretazione al di fuori d’ogni
riferimento a un soggetto originario; – di articolare le analisi dei
sistemi di segni sulle analisi delle forme di violenza e di dominio; –
di pensare la conoscenza come un processo storico prima di ogni
problematica della verità, e in modo più fondamentale che non nel
rapporto soggetto-oggetto80”.
Capiamo quindi che, nel corso tenuto al Collège de France nel 1979-
80, Foucault ha precisato che la verità e potere sono strettamente
connessi: “Non è esattamente l’atteggiamento dell’εποχή, dello
scetticismo, della sospensione di tutte le certezze o di tutte le
posizioni tetiche della verità. È un atteggiamento che consiste, in
primo luogo, nel dirsi che nessun potere va da sé [...], che nessun
potere, per conseguenza, merita di essere accettato fin dall’inizio81”.
Riassumendo per Foucault, il sapere implica un doppio rapporto con
gli oggetti della conoscenza e con il sé conoscente. Sin dall’età
classica, questo rapporto si è espresso attraverso il discorso sulla
razionalità che ha separato il razionale dal non razionale, il normale
dal patologico. In questa cornice il sapere esprime la volontà di dare
un ordine al mondo e di governare gli individui. Il suo obiettivo è
disciplinare il mondo attraverso la produzione di saperi che
disciplinano il potere stesso. Non si tratta di “conoscere”, ma di
“sussumere, schematizzare, intendersi e calcolare”. Il conoscere è
dunque il risultato del dominio delle cose e del disciplinamento delle
persone.
80
Ivi.
81
Foucault M., Del governo dei viventi.
63
Da questi brevi tratti si comprende la centralità del nesso tra sapere
e potere che Foucault spiega studiando Nietzsche.
64
rapporti di dominazione intrinsechi al sistema di potere cui il
soggetto è connesso.
82
Foucault M., Perché studiare il potere. La questione del soggetto.
83
Foucault M., Tecnologie del sé.
65
Per definire il tipo di condizionamento che interessa l’individuo
nella relazione con gli altri e con se stesso, Foucault utilizza il
termine "tecnologie", ossia quelle pratiche associate a particolari
forme di dominio, e implicanti specifici metodi di educazione e
modificazione delle sue capacità e dei suoi atteggiamenti. Foucault
indica quattro tipi interdipendenti di tecnologie, tra le quali figurano
come ultime “le tecnologie del potere, che regolano la condotta
degli individui e li assoggettano a determinati scopi o domini
esterni, dando luogo a un’oggettivizzazione del soggetto; le
tecnologie del sé, che permettono agli individui di eseguire, con i
propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di operazioni
sul proprio corpo e sulla propria anima - dai pensieri, al
comportamento, al modo di essere - e di realizzare in tal modo una
trasformazione di se stessi.84”
Tecnologie quindi indica l’impiego di regole atte a dirigere
un’attività e a raggiungere un effetto, da parte del potere sugli
individui, e dall’altra dell’individuo su se stesso e sugli altri.
Le tecnologie implicano l’interazione di quelle tecniche, che
confluiscono in un esercizio, una strategia di potere, e di una norma
prodotta da un regime di verità, da un investimento di sapere.
L’individuo è soggetto e insieme oggetto di "giochi di verità",
perché soggetto e oggetto di elementi di conoscenza, che esercitano
effetti di potere. Il sapere è tale in quanto esercita un potere, perché
mentre ogni enunciato considerato vero crea una possibilità, ovvero
esercita un certo potere, ogni esercizio di potere implica un saper
fare.85
Foucault ha evidenziato che il principale oggetto del suo studio non
fosse il potere, ma il soggetto: il potere deve essere studiato laddove
la sua intenzione sia investita all’interno di pratiche reali e di effetti
reali; in più bisogna chiedersi non chi e perché voglia dominare, ma
84
Ivi.
85
Ivi.
66
quale sia il processo di assoggettamento di corpi, gesti,
comportamenti.
Foucault afferma che “il potere non è un’istituzione, e non è una
struttura, non è una certa potenza di cui alcuni sarebbero dotati: è il
nome che si dà a una situazione strategica in una società data86”. La
situazione strategica cui fa riferimento è provocata dalla
molteplicità dei rapporti di forza che generano situazioni di potere.
Il potere non è mai sempre uguale a se stesso, ma è onnipresente,
perché non proviene da un’unica entità; non può definirsi in termini
di proprietà, ma si esercita a partire da innumerevoli punti
localizzati all’interno di relazioni, immanenti ad altri tipi di rapporti
quali quelli economici, di conoscenza, relazioni sessuali, etc. e
produttivi rispetto ad essi dal punto di vista di effetti che
determinano all’interno del corpo sociale delle forme di
dominazione: queste forme non sono spiegabili dal punto di vista di
un’istanza superiore, ma sono intelligibili perché attraversate da un
calcolo. 87
Il potere non è una sostanza che si applica alle relazioni, ma una
condizione di queste ultime, dove gli individui sono gli elementi
attraverso i quali esso transita. Strumenti del potere sono le
tecnologie, queste ci permettono di comprendere come il sapere
nella sua costituzione faccia parte del gioco del potere, e come a tale
gioco partecipi anche quella verità che attraverso di esso si produce.
La costituzione correlativa del soggetto e dell’oggetto si ha tramite
un modo di agire e di pensare che Foucault definisce "pratiche":
l’analisi delle relazioni di potere assume un ruolo fondamentale
quando le pratiche vengono inserite in contesti istituzionali in cui le
tecnologie agiscono per mezzo di esse modificando il
comportamento dell’individuo.
86
Foucault M., La volontà di sapere.
87
Ivi.
67
Foucault ci mostra come le forme di "governo" degli individui, e in
particolare di alcune tipologie di individui, come i folli, i malati, i
criminali, siano state determinanti nei differenti modi di
oggettivazione del soggetto.
Il termine "governo" per Foucault oltre al significato propriamente
istituzionale, ne assume anche uno derivato direttamente
dall’etimologia della parola, ossia il dominio che si può esercitare
su se stessi e sugli altri, sul corpo come sull’anima e sul modo di
agire. "Governo" per Foucault è “il modo in cui la "condotta" degli
individui può essere diretta: "condotta" nel senso di “maniera di
condursi e farsi condurre, la maniera in cui ci si comporta sotto
l’effetto di una condotta, in quanto atto di condotta o di
conduzione88”.
La condotta che agisce sulle azioni o condotte degli altri è
l’esercizio del potere che sancisce una relazione di potere. Il potere
esiste solo in atto, non è solo una relazione tra individui, ma si
instaura agendo come soggetti nella relazione sulle azioni dell’altro,
che viene riconosciuto come soggetto che agisce e che è capace di
azioni. Il potere non è quindi manifestazione di un consenso, né un
rapporto di violenza, ma la sua natura è proprio quella condotta
definita come campo aperto di azioni su possibili azioni al fine di
determinare altre azioni possibili. La sua natura consiste nel
governare nel senso di “strutturare il campo di azione possibile degli
altri89”.
Quando Foucault dice che “nel pensiero e nell’analisi politica non
si è ancora tagliata la testa al re90”, sottolinea l’esigenza di
domandarsi, “piuttosto che chiedersi come il sovrano appare in alto,
[...] come si sono a poco a poco, progressivamente, realmente,
materialmente costituiti i soggetti91”. Il soggetto si costituisce
88
Foucault M., Sicurezza, territorio, popolazione.
89
Foucault M., Perché studiare il potere. La questione del soggetto.
90
Ivi.
91
Foucault M., Microfisica del potere.
68
perché sottomesso a una produzione di verità che è il motore del
funzionamento del potere e il motore di quella verità è a sua volta la
volontà alla quale esso sfugge, pur essendone determinato attraverso
il "discorso vero".
La soggettività, dice Foucault, è “il modo in cui il soggetto fa
esperienza di se stesso in un gioco di verità in cui è in rapporto con
sé92”, e avviene attraverso la soggettivazione, il suo costituirsi come
soggetto di conoscenza, e l’oggettivazione, il determinare le
condizioni attraverso le quali stabilire l’oggetto di conoscenza,
ponendosi esso stesso come oggetto, conferendo ai discorsi generati
dai saperi di quella conoscenza valore di verità. Il soggetto
coincidere con la soggettività che gli è connessa e che è una delle
possibilità di organizzare una coscienza di sé. Foucault lo dice
quando afferma che il “soggetto non è una sostanza. È una forma,
questa forma non è mai identica a se stessa.93”.
Non è il "Sé" come istanza psichica, ma il "sé" come
rappresentazione di sé.
Il problema dell’Occidente è che la volontà di sapere, di conoscere
il nostro profondo sé, ci assoggetta a rapporti di potere difficili da
riconoscere. Il desiderio culturale di conoscere la verità su di sé ci
porta a "dire la verità", che viene successivamente messa sotto
esame da altri individui e si connette ad un sapere. Questo sapere
crea effetti di potere che si materializzano nei sistemi di controllo,
dottrine morali e religiose, le scienze, a loro volta generate
attraverso altre tecnologie. L’individuo diviene l’oggetto del sapere,
questo per conoscersi si racconta apprendendo ad operare delle
trasformazioni su di sè, mediante le tecnologie di sé, così come si
trasformava in "corpo docile" sotto tecnologie disciplinari. Le
tecnologie disciplinari sono il prodotto di un "potere disciplinare",
che prende corpo nelle istituzioni chiuse del XIX sec. (prigioni,
92
Foucault M, Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985.
93
Ivi.
69
ospedali, fabbriche, scuole). Questo potere, pone gli individui in un
meccanismo di oggettivazione che rendendoli utili e “disciplinati",
facendone, attraverso un principio di sorveglianza, condizioni
rinnovabili del funzionamento del potere. Le discipline addestrano
e curano il corpo e convertono in valore economico la forza della
persona, assoggettando l’individuo aumentandone l’efficienza,
controllandolo e consacrandolo a un sapere.
Non c’è verità che si oppone dialetticamente al potere, ma c’è un
potere che ha valore di verità, in quanto il sapere che la produce è
condizione del suo funzionamento. E non c’è potere che sia
indipendente da una volontà di verità che l’uomo moderno sente
come parte integrante della propria cultura e natura e che auspica
nell’esperienza della conoscenza di sé. Dire la verità su se stessi
significa prendere parte a tecnologie che si intrecciano a quelle
disciplinari, anche se non sono dello stesso tipo, in una strategia di
potere e di dominio.
Nei secoli XVII e XVIII, dietro grandi garanzie di libertà,
meccanismi di potere hanno inglobato l’individuo e la sua esistenza,
la sua vita biologica, concentrandosi in quello che Foucault chiama
il biopotere: questo unisce alle tecniche disciplinari un principio di
regolazione dei fenomeni di massa, come nascita, morte,
procreazione, malattia. Lo Stato diventa garante della popolazione,
nuovo concetto biologico–politico che viene posto al centro
dell’interesse scientifico.
L’individuo diventa per questo oggetto di un sapere politico e
scientifico da cui nascono le scienze umane e sociali. L’unificazione
di "interesse per la specie" e "politica del corpo" si realizza tramite
il discorso sul sesso, erede del meccanismo di controllo e di sapere
sugli individui già presente all’interno della pratica cristiana della
confessione, legittimante un rapporto di sé con sé in termini di
verità94.
94
Foucault M., La volontà di sapere.
70
2.5. Governo e governamentalità
Foucault alla fine del corso del 1976 mette in campo un’idea
assolutamente inedita ed innovativa, ossia il riconoscimento della
comparsa di una nuova e specifica modalità di organizzazione del
potere.
Un potere che si esprime direzionandosi sulla vita stessa, ossia si
costituisce come una forma di potere sulla vita, di biopotere, che si
prende in carico gli esseri umani a partire dal dato biologico che
viene identificato come loro carattere. Il potere penetra nella
dimensione biologica umana e tramite la presa in carico di questa
dimensione costituisce forme di saperi scientifici.
Il paradigma riguardante la società disciplinare generalizzata,
secondo Foucault, era insufficiente a comprendere fenomeni sociali
e politici che andavano delineandosi a partire dal diciottesimo
secolo in poi.
Bisognava quindi trovare nuovi strumenti analitici per comprendere
come il potere giungesse al corpo, al di là dei meccanismi
disciplinari.
Come sottolinea lo stesso Foucault “possiamo dire che, dopo una
prima presa di potere sul corpo che si è effettuata secondo
l’individualizzazione, abbiamo una seconda presa del potere che
non è più individualizzante, ma procede nel senso della
massificazione. Essa si realizza, infatti, non in direzione dell’uomo
corpo, ma dell’uomo specie”.95
Tale tematica si avrà anche nel volume sulla storia della sessualità
quando, riferendosi all’emergere del potere sulla vita, lo si tradurrà
in due modi: da un lato, un’anatomo-politica del corpo umano, il
sistema disciplinare dettagliatamente descritto in precedenza;
dall’altro, una ‘biopolitica della popolazione’ che prende in carico i
processi biologici dell’uomo inteso come specie, attraverso processi
95
Foucault M., Bisogna difendere la società
71
di regolazione e strumenti di sapere (i tassi di natalità, mortalità,
indici demografici etc.).
La dimensione da affrontare era quella del potere sulla vita, la
biopolitica che veniva definita come “un insieme biologico e statale:
la bioregolazione attraverso lo stato96.”
Da qui, la dimensione giuridico-politica classica ritornava di nuovo
in gioco anche se in uno scenario di fatto mutato.
La teoria della sovranità giuridica, infatti, si rappresenta con un tipo
di potere limitativo della libertà che impone una volontà, stabilendo
un comando, esigendo obbedienza con la minaccia della forza.97
Questa teoria non è sufficiente a cogliere i mutamenti avvenuti
nell’ambito dei meccanismi di potere. A tal proposito Foucault dice
che “siamo entrati, oramai da alcuni secoli, in un tipo di società in
cui il discorso giuridico può sempre meno codificare il potere o
servirgli da sistema di rappresentazione. [...] Si resta legati a una
certa immagine del potere-legge, del potere-sovranità, che i teorici
del diritto e dell’istituzione monarchica hanno definito. È di questa
immagine che bisogna liberarsi, cioè del privilegio teorico della
legge e della sovranità, se si vuol fare un’analisi del potere nel gioco
concreto e storico dei suoi modi di funzionamento. Bisogna
costruire un’analitica del potere che non prenda più per modello e
per codice il diritto.98”
Foucault per fronteggiare questa incapacità teorica mette in campo
l’analisi genealogica al fine di evidenziare le differenti modalità
attraverso cui si sono configurati i meccanismi di potere.
Questo serve per fare emergere le forme, le esperienze e le
razionalità a partire da cui in occidente è stato possibile che si
organizzasse il potere sulla vita.
Foucault quindi all’inizio del corso del 1977 cercherà di mettere a
fuoco tre modelli di potere che si erano sviluppati nel corso dei
96
Ivi.
97
Barry A., Government in Foucault, Canadian Journal of Philosophy, Vol. 21, N. 4, 1991.
98
Foucault M., La volontà di sapere.
72
secoli: il codice sovranista-legale; il sistema disciplinare; ed i
meccanismi di sicurezza99.
Per delineare questi tre modelli Foucault utilizza tre esempi legati
alla gestione di tipi diversi di contagio all’interno di un contesto
urbano100. Il primo esempio è la gestione sovranista-legale della
lebbra, dove i contagiati venivano segregati in un’area separata,
creando una separazione binaria tra sani e malati.
Nel secondo caso, si analizza quello della peste in cui il territorio
era sottoposto ad una regolamentazione che disciplinava i
comportamenti delle persone.
Nell’ultimo caso, il caso del vaiolo, la malattia veniva gestita
cercando di conoscere la dimensione quantitativa del fenomeno
rispetto alla popolazione colpita, identificando le caratteristiche
della popolazione di riferimento tramite le statistiche che era
possibile ricavare.
Il primo è il modello della norma imperativa con conseguente
punizione per chi la viola. Questo è il modello classico della
sovranità. Il secondo è il modello disciplinare. Il terzo, è il nuovo
modello dei meccanismi di sicurezza.
“Per dirla in maniera generale, il dispositivo di sicurezza inserirà
innanzitutto il fenomeno in questione all’interno di una serie di
eventi probabili. In secondo luogo, inserirà anche le relazioni del
potere a tale fenomeno in un calcolo dei costi. Infine, invece di
instaurare una relazione binaria tra ciò che è permesso e ciò che è
vietato, determinerà una media considerata ottimale e poi fisserà i
limiti dell’accettabile, oltre i quali il fenomeno non dovrà più
accadere101.”
La sicurezza è la vera novità, essa si configura come una nuova
modalità attraverso cui il potere si articola all’interno della società.
99
Foucault M., Sicurezza, territorio e popolazione.
100
Ibidem.
101
Ivi.
73
La sicurezza funziona direzionandosi ad un insieme sociale
complessivo, la popolazione.
La nozione di popolazione risulta uno strumento attraverso cui poter
pensare gli esseri umani nella loro dimensione aggregata, a partire
dagli elementi biologici che li costituiscono. La dimensione
aggregata viene valutata con dei nuovi strumenti e il tipo di
relazione che si instaura con essa non sarà orientato al comando, ma
alla gestione non tramite divieti e obblighi, ma governando i
fenomeni a partire da un sapere che si rifà alla natura stessa dei
fenomeni.
“Il meccanismo di sicurezza funziona sulla base di tale realtà, si
appoggia su di essa e cerca di far giocare tra loro gli elementi che la
compongono. [...] la sicurezza senza vietare o prescrivere, dotandosi
eventualmente di qualche strumento di interdizione o di prescrizione
ha la funzione essenziale di rispondere ad una realtà in maniera tale
da annullarla o limitarla o frenarla o regolarla102.”
Con l’avvento della nuova categoria di popolazione, il rapporto di
potere a livello politico, non sarà più limitato alla dimensione
giuridica ma si aprirà più complessivamente alla dimensione del
governo, con il cui termine si intende proprio un paradigma utile ad
intendere una modalità attraverso cui il potere si configura.
Il discorso dell’economia diventa essenziale all’interno dei discorsi
e delle pratiche del potere politico, e l’attività di governo si
configura come attività di governo di tipo economico. “Il governo è
precisamente l’arte di esercitare il governo nella forma
dell’economia. [...] se nel XVI secolo la parola “economia”
designava una forma di governo, nel XVIII secolo designerà un
livello di realtà, un campo di intervento per il governo in virtù di
una serie di processi complessi.103”
102
Ivi.
103
Ivi.
74
Foucault evidenzia che se in Machiavelli il governo si riduce
all’attività del principe sovrano, in altri autori come Guillaume de
la Perrière, l’attività di governo non riguarda solamente l’attività del
sovrano, ma coinvolge altre figure sociali, dal padre di famiglia, al
superiore di un convento, dai pedagoghi ai magistrati. Questo indica
l’esistenza di una pluralità di governi di cui l’attività sovrana
centrale è solo una delle tante, il governo infatti implica una serie di
pratiche multiple che sono immanenti rispetto alla figura statuale.
Questo tipo di governo non si giustifica attraverso una finalità alta
come ad esempio il bene comune, come per la sovranità, ma come
disposizione gestionale delle cose.
Lo stesso La Perrière definisce il governo come “la retta
disposizione delle cose di cui ci si occupa per indirizzarle ad una
fine conveniente104.”
Questa arte di governo trova proprio il suo punto di massima
espressione con l’emergere della popolazione. Come dice Foucault
“la prospettiva della popolazione, la realtà dei fenomeni tipici della
popolazione consentiranno di accantonare definitivamente il
modello della famiglia e di incentrare la nozione di economia su
qualcos’altro105.”
A partire dal diciottesimo secolo in avanti incomincia a configurarsi
il superamento della visione familiare della gestione economica
tramite la categorizzazione della popolazione e dei suoi rapporti con
il territorio e la ricchezza. I meccanismi sociali di potere iniziano a
configurarsi attraverso meccanismi di governo.
Da questi elementi Foucault ha concepito il concetto di
governamentalità, che viene inteso come: “l’insieme di istituzioni,
procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di
esercitare questa forma e assai complessa di potere, che ha nella
popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma
104
Ivi.
105
Ivi.
75
privilegiata di sapere, e nei dispositivi di sicurezza lo strumento
tecnico essenziale106.”
Il potere che si esprime nella modalità del governo secondo “la
tendenza, la linea di forza che, in tutto l’Occidente e da lungo tempo,
continua ad affermare la preminenza di questo tipo di potere che
chiamiamo governo su tutti gli altri – sovranità, disciplina – col
conseguente sviluppo, da un lato di una serie di apparati specifici di
governo, e di una serie di saperi. Infine, per governamentalità
bisognerebbe intendere il processo, o piuttosto il risultato del
processo, mediante il quale lo stato di giustizia nel Medioevo,
divenuto stato amministrativo nel corso del XV e XVI secolo, si è
trovato gradualmente governamentalizzato.107”
La nozione di governamentalità è un concetto usato per analizzare i
meccanismi di potere ponendosi all’esterno dell’istituzione,
focalizzando la tecnologia di potere in un’ottica più ampia e
generale. Lo stato stesso deve essere concepito come interno alle
tattiche generali del potere. L’idea di governamentalità è quindi uno
strumento di analisi della forma del potere adeguata al governo.
Quest’idea di governo è concepita anche come “l’insieme di
tecniche e procedure per la direzione del comportamento umano. Il
governo dei bambini, il governo delle anime e delle coscienze, della
famiglia, dello stato, o di se stesso.108”
Lo stato quindi è solo una parte dell’attività di governo, che in senso
generale è attività di produzione di soggettività. Foucault analizzerà
il governo nei termini di razionalità e pratiche applicate alla
sovranità politica.
106
Ivi.
107
Ibidem.
108
Foucault M., Del governo dei viventi.
76
2.6. Il governo delle anime – governamentalità cristiana
109
Foucault M., Sicurezza, territorio e popolazione.
77
obiettivo quello di modificare e modulare la condotta dei soggetti
che ne fanno parte.
La metafora del gregge e del pastore mostra che tale tipo di governo
supera i limiti spaziali perché il pastore governa il gregge al di là del
territorio. Il governo si rivolge agli individui. L’esistenza del gregge
si ha attraverso l’attività del suo pastore: senza di lui esso si
disperderebbe in una massa di individui atomizzati. Il pastore si
prende cura del suo gregge sia individualmente che collettivamente,
ossia sia pensando agli individui intesi come singoli, sia pensando
al gregge nella propria interezza.
Il pastore agisce in base ad un insegnamento basato su un sapere
concreto modulato attorno alle circostanze specifiche della
quotidianità.
Compito del pastore non è quello di insegnare la verità ma di
dirigere la coscienza del suo gregge.
La direzione di coscienza si sviluppa all’interno di un rapporto di
individualizzazione/soggettivazione in cui all’assoggettato è
richiesta “la produzione di una verità interna, segreta e nascosta.110”
L’autovalutazione diventa il nocciolo dell’arte di governo pastorale
che integra i processi di autoanalisi all’interno della conduzione e
della direzione di coscienza.
Il soggetto occidentale è “un soggetto assoggettato attraverso le reti
ininterrotte di obbedienza e soggettivato estraendo da lui stesso la
verità che gli viene imposta.111”
Il problema della conduzione della condotta verrà ripreso in ambito
pubblico dove il potere politico inizierà ad interrogarsi sul come
farsi carico di compiti che prima erano a carico della conduzione
pastorale.
110
Foucault M., Sicurezza, territorio e popolazione.
111
Hindess B., Discourses of power: from Hobbes to Foucault.
78
2.7. Razionalità economica – governamentalità capitalistica
112
Benjamin, W, Gesammelte Schriften.
79
Benjamin in questo passaggio riflette sul ruolo del cristianesimo
basandosi sulla tesi weberiana dell’origine del capitalismo
individuando tra questi una derivazione parassitaria.
Questa prospettiva risulta affine a quella di Foucault. Quest’ultimo
determina un legame tra potere economico-governamentale e
cristianesimo, questo legame si basa sul meccanismo da cui
entrambi sono alimentati, ossia una derivazione di tipo parassitaria
usando i termini di Benjamin.
Uno dei punti che Foucault ha saputo evidenziare è che la grande
trasformazione avvenuta nel neoliberalismo ha mostrato una
premessa implicita al capitalismo stesso, ossia che quest’ultimo è un
complesso sistema economico-istituzionale.
Detto altrimenti il campo istituzionale non deriva da una
sovrastruttura ideologica estranea al campo economico, ma è parte
di esso, tanto da riprodurre il tipo di meccanismo di potere messo in
atto all’opera dell’esperienza della vita cristiana.
Il capitalismo quindi non seguirebbe un unico modo di produzione
economica basandosi su una legge naturale, ma esso risulta un
complesso economico-istituzionale che ammette differenti
elaborazioni di un dispositivo istituzionale di potere. È proprio
questo dispositivo istituzionale che in realtà ne permette il suo
continuo riadattarsi e lo sfruttare le crisi a proprio favore come
evidenziato nel primo capitolo.
Inoltre secondo Foucault neppure l’approccio weberiano di un
processo di razionalizzazione riesce a spiegarne il complesso
sistema economico-istituzionale che ha dato origine al capitalismo.
Infatti questo tipo di approccio attribuisce un valore assoluto alla
ragione invece di “vedere come alcune forme di razionalizzazione
si inscrivano nelle pratiche, e nei sistemi di pratiche, e quale ruoli vi
giochino.113”
113
Foucault, M., Dits et écrits.
80
Anche per il capitalismo il punto è “sapere come gli uomini si
governano, attraverso la produzione di verità.114” intendendo con
questo “la gestione di domini in cui la pratica del vero e del falso
possa essere ad un tempo regolata e pertinente115“.
Sono domini normativi che si istituiscono da pratiche di governo.
Quindi il potere governamentale può esistere solo in atto, essendo
appunto messa in atto di una tecnica di sé su di sé. Da questo come
estremizzazione, massima attualizzazione si ha il capitalismo
cognitivo e tutte le pratiche di estrapolazione di valore tramite il
capitale umano, come massima espressione di quella pratiche di sé
su si sé.
Infatti il potere governamentale non si risolve con un consenso
passivo, il dominio non si esaurisce con una violenza, e non consiste
nella rinuncia della libertà.
È un potere che si esercita solo su “soggetti liberi e in quanto sono
liberi116“ che si materializza in una dinamica tra libertà e potere, in
cui la libertà e la condizione stessa di esistenza di questo potere.
Gli studi di Foucault sulle tecniche di sé si inseriscono proprio in
questo contesto, ossia sono complementare agli studi sulla
governamentalità liberista.
Il neoliberismo si basa su una rivendicazione della libertà applicata
a livello capillare. Questo sistema di dominio assicura il massimo di
libertà singolarmente tramite l’autocontrollo e l’investimento sulle
capacità ed attitudini individuali. Questo tipo di governamentalità
assicura una grande efficacia con un basso contenuto restrittivo.
Quindi la presa del potere sulla vita si ha facendo coincidere
esercizio del potere con la piena libertà di ognuno di dar vita e di
investire sulle proprie competenze. È la figura dell’imprenditore di
sé già precedentemente analizzata, questa figura che si estende a
tutti gli ambiti della vita sociale e politica.
114
Ibidem
115
Ibidem
116
Ibidem
81
In questo senso la razionalità economica risulta essere una
razionalità governamentale.
82
neoliberale costituisce un sistema dall’elevata efficacia
antropotecnica, nozione utilizzata da Peter Sloterdijk per indicare le
diverse modalità, consapevoli e inconsapevoli, usate per la
formazione dei soggetti, questa nozione permette di nominare gli
effetti di soggettivazione e di assoggettamento, di fatto inseparabili,
prodotti da tutte le strutture sociali in cui siamo inseriti. Sloterdijk
colloca questo processo all’interno di un quadro antropologico,
legato all’effetto del feedback che ogni azione, iterata o
cristallizzata in abitudini ed esercizi oppure, collettivamente, in
istituzioni, ha sull’agente.
Parlare di antropotecniche significa dunque descrivere l’uomo come
“un essere che vive nel recinto delle discipline, sia di quelle
involontarie sia di quelle volontarie117”.
L’estensione della razionalità economica neoliberale volta alla
performance a ogni ambito della società e della vita porta a un
modellamento delle forme di soggettivazione degli individui fino a
delineare la sfera della “cura di sé”, ossia lo spazio di relazione del
soggetto con se stesso.
Questo fenomeno è testimoniato dal successo della saggistica
definita come “self-management”. Sono testi che ci esortano a
migliorare, conquistare la nostra autonomia, scoprire la nostra
dimensione autentica, cambiare la nostra vita e realizzarci. Oltre alla
volontà di ottenere determinate tecniche per aumentare le
performance personali, si ha anche la richiesta di un surplus di senso
necessaria per l’integrazione nel sistema sociale in cui viviamo che
giustifichi l’adesione alla sua razionalità. Sembra di avere a che fare
con dei testi di etica, con quell’azione che Aristotele definisce prassi
(prâxis), il cui fine è insito in essa. C’è uno sfumare dei confini e
una commistione di ciò che Max Weber definiva l’agire razionale
rispetto allo scopo e l’agire razionale rispetto al valore. Questo
intreccio dei discorsi e delle pratiche incentrate sul cambiamento di
117
Sloterdijk, P., Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica.
83
sé, sull’autorealizzazione, sulla ricerca dell’autenticità e
dell’autonomia individuale è ormai un fenomeno diffuso in tutti i
contesti sociali e locali. In questi trattati di teoria manageriale
camuffati in forma di guide esistenziali è possibile riconoscere
l’equivalente contemporaneo dei manuali di consigli e suggerimenti
di Benjamin Franklin dai quali Weber distillava il primo spirito del
capitalismo. Questo fenomeno è emblematico della pervasività di
un modello di razionalità prettamente economico a tutte le sfere
dell’agire umano, anche le più intime. Anche da questo punto di
vista è possibile affrontare l’analogia precedentemente presentata
ossia l’idea della struttura religiosa del capitalismo. Vi è un altro
celebre passaggio su un frammento di Benjamin secondo cui “il
capitalismo serve essenzialmente all’appagamento proprio di quelle
preoccupazioni, tormenti, inquietudini a cui davano risposta un
tempo le cosiddette religioni118”. Il capitalismo quindi cercherebbe
di rispondere e di appropriarsi di quelle etiche della cura dell’anima
e della definizione della condotta di vita.
Focalizzandoci sull’interpretazione funzionale della religione, si
può accomunare dal punto di vista del principio esplicativo due
fenomeni che caratterizzano lo spirito del capitalismo
contemporaneo come cornice complessiva dell’esistenza, al fine di
testimoniarne l’incredibile potenza antropotecnica. Il primo
fenomeno è quello dei macro-sistemi sociali, il secondo è quello
della sfera etica individuale, dell’agire umano orientato a un fine in
sé.
Sul primo il capitalismo ha portato a termine “la più efficace delle
totalizzazioni, l’unificazione della Terra per mezzo del denaro in
tutte le sue forme119”, risucchiando così al suo interno tutto ciò che
prima ne costituiva il fuori. La sfera del capitale ha cominciato a
valere come metasfera, sistema dei sistemi, ruolo tradizionalmente
118
Benjamin, W., Capitalismo e Religione.
119
Sloterdijk, P., Il mondo dentro il capitale.
84
rivendicato dalla religione. Nella sua teoria funzionale dei sistemi
sociali, Luhmann definisce il sistema della religione come una
funzione del sistema sociale globale in riferimento al suo ambiente,
con compito di rappresentare la complessità del mondo.
Confrontandosi con la contingenza del mondo, le dogmatiche
religiose mirano a rispondere ai problemi strutturali della società
nella sua articolazione in sottosistemi. Il primato della religione
entra in crisi con il processo di secolarizzazione che può essere
spiegato come un processo di “differenziazione funzionale” del
sistema sociale in sottoinsiemi sempre più numerosi e specializzati,
questo non permette a un sistema specifico di porsi in una posizione
esterna. Lo spirito del capitalismo, come razionalità in evoluzione
che giustifica l’adesione a un sistema economico, a differenza della
religione, è stato capace, per la sua flessibilità notevolmente
maggiore rispetto al dogma religioso e per la capacità di
metabolizzare gli elementi di critica che gli vengono mossi, di
sussumere i diversi sottoinsiemi ponendosi come orizzonte comune
dell’intera società. Di fronte a questa differenziazione, la razionalità
del capitalismo ha manifestato un’efficienza trasversale con cui ha
potuto proporsi come modello unitario e complessivo. È proprio su
tale efficacia e trasversalità su cui fa leva la razionalità economica
neoliberale sul piano antropologico, che porta a una
naturalizzazione del discorso dell’economia.
Da questo punto di vista il capitalismo neoliberale può considerarsi
come un equivalente funzionale della religione. Ed è interessante
capire su quale confessione o etica religiosa e su quali elementi
cultuali o dogmatici il capitalismo si sia sviluppato
parassitariamente.
Il secondo fenomeno si ha in quanto quello che si impone come
orizzonte totalizzante dell’intera società è inevitabilmente ciò che
prima di tutto ha effetto nelle decisioni più importanti per
l’individuo, dove decide che soggetto vuole diventare. La religione
85
infatti vincola più di ogni altro aspetto il soggetto nella sua intimità.
L’esperienza religiosa orienta l’agire e l’esistenza del soggetto.
La razionalità economica del capitalismo neoliberale manifesta
un’intima affinità con l’esperienza religiosa: l’autoreferenzialità che
caratterizza la religione, corrisponde al “profitto per il profitto” sul
versante dell’azione economica capitalistica. Così quest’ultima
replica l’autofinalità o “finalità senza scopo” implicita nell’azione
umana, alienandola e astraendola in un potere con un fine separato
dall’uomo in modo da orientare il suo agire in maniera indiscutibile.
In un nuovo e specifico intreccio di discorsi e pratiche
antropotecniche un maggiore investimento del soggetto si ha a
partire dallo sviluppo della teoria delle organizzazioni e del
management.
Da questo punto di vista possiamo individuare un duplice processo,
dove, da un lato, con lo sfumare dei confini tra vita e lavoro,
l’autorealizzazione viene introiettata nel mondo aziendale;
dall’altro, la razionalità manageriale dell’impresa, estesasi allo
spazio della cura di sé, di un soggetto inteso come “imprenditore di
se stesso”, si diffonde in tutti gli ambiti della società e della vita
personale.
Il nuovo discorso, presenta il lavoro come qualcosa di totalizzante
ed eccitante, promettendo la liberazione dei vincoli gerarchici, ma
soprattutto la realizzazione e la crescita di sé. Centrale diventa la
spinta all’autorealizzazione all’interno dell’impresa, dove, i
processi di soggettivazione sono vincolati oltre che dalla natura
contrattuale, anche e maggiormente da una retorica che dietro una
scelta da adottare volontariamente, cela una strada senza alternative.
Da un lato sembra crearsi uno spazio per la realizzazione personale
sul lavoro, ma al contempo è impostato in modo da orientare verso
una specifica forma di realizzazione. D’altro lato però visto che il
lavoro pretende che vengano inglobati sempre maggiori ambiti della
soggettività, gli individui stessi chiedono di più al lavoro.
86
Come più volte sottolineato in tutti gli ambiti della società e della
vita personale si diffonde la razionalità dell’impresa e del
management che plasma lo spazio della cura di sé, il rapporto del
soggetto con se stesso, dove questo costruisce la propria identità e
realizzazione. L’estensione del linguaggio manageriale alla vita
mostra visibilmente come le tecnologie del sé si siano permeate
dallo spirito del capitalismo. La cura di sé viene resa produttiva e
calcolata in termini di accumulazione di “capitale umano” e di
rendita. La cura di sé viene messa a valore mercificando e
strumentalizzando il desiderio di cambiamento e di
autorealizzazione.
Ma cosa più importante il soggetto in tutte le scelte intime e
personali, utilizza la razionalità economica, conformando la propria
esistenza e ricercando l'autorealizzazione. L’investimento su di sé
sul piano esistenziale e morale lo trasforma in una specie di
“investitore morale”, che si confronta nel mare di offerte di etiche e
di forme di realizzazione.
Questo sistema di richieste istituzionalizzate schiaccia i soggetti in
un dispositivo antropotecnico e di assoggettamento piuttosto che
condurli su una strada di emancipazione. Da qui emergono due
elementi.
Il primo ha a che fare con la costrizione alla soggettivazione o alla
cura di sé in cui pratiche spingono il soggetto, provocando il
capovolgimento paradossale dell’autorealizzazione in un rapporto
di costrizione esterna. Infatti l’imperativo alla performance,
all’efficienza, alla flessibilità, all’investimento su di sé porta alla
nascita di una nuova forma di super-io che esercita su di sé
costrizione, anche se in modalità di accrescimento di sé. Questa
imposizione ad essere se stessi elimina lo spazio di un reale lavoro
di soggettivazione e preclude un qualsiasi percorso del soggetto
verso una ricerca di identità. Una ripetizione passiva dell’imperativo
87
alla performance e all’efficienza una sorta di antropotecnica
inconsapevole.
Il secondo elemento è la standardizzazione degli obiettivi, che crea
soggettivazioni preformattate e omologate. “L’individuo-impresa”
è totalmente vincolato, da un lato dagli obiettivi produttivi e
organizzativi del lavoro, e dall’altro dalla razionalità dello spazio
sociale in cui cerca il riconoscimento fondamentale per la
costruzione dell’identità. I discorsi e le pratiche dedicate alla cura e
allo sviluppo di sé sono quindi programmi di comportamento
preconfezionati che danno vita a un’identità standardizzata,
funzionale al sistema stesso di cui replica la razionalità.
La società neoliberale ci impone così una rappresentazione
precostituita del desiderio. È una autonomia eterodiretta e
un’autenticità fittizia verso cui dirigere una cura di sé o una ricerca
di realizzazione.
Il soggetto sente inadeguati i suoi sforzi in relazione all’ideale
performativo dominante, e di fronte al vuoto non riesce a trovare un
punto di riferimento per una scelta esistenziale. Vi è uno
svuotamento del progetto emancipativo e di libertà connesso
all’autonomia e a quello di felicità personale connesso alla
realizzazione di sé.
88
3. Assoggettamento: Debito e crisi come tecnologie securitarie
120
Graeber, D., Debito. I primi 5000 anni.
89
Ma cosa si intende con la parola debito?
Il dizionario Treccani riporta alla voce debito: “Obbligo del debitore
di adempiere una determinata prestazione a vantaggio del creditore,
consistente di solito nel dare o restituire qualcosa, soprattutto
denaro. Anche la prestazione stessa, considerata dal punto di vista
del soggetto tenuto ad adempiere.121”
Ciò che si prende in prestito e che poi deve essere restituito non
risulta dal punto di vista del debito né prelevato, né scambiato, ossia
non riguarda né l’appropriazione e né lo scambio.
Il prestito implica di solito un interesse, ma nel momento in cui
l’interesse è troppo alto allora si può parlare di furto ai danni del
debitore, viceversa se il prestito non viene restituito questo diventa
una deduzione ai danni del creditore. Si potrebbe quindi parlare di
una appropriazione. Invece se vi fosse un prestito con interessi
ragionevoli che fosse poi restituito al creditore si potrebbe
paragonare allo scambio.
In realtà il rapporto debitore/creditore è molto complesso.
Da un primo punto di vista questo inserisce un vincolo che obbliga
nel tempo. Questo tipo di vincolo avvicina il debito al dono.
Così scrive Mauss nel suo Saggio sul dono:
“In tutte le società possibili, la natura del dono è proprio quella di
obbligare nel tempo. [...]. Per eseguire ogni controprestazione è
necessario il “tempo”. La nozione di termine è da ritenersi, perciò,
logicamente implicata quando si tratta di restituire [...] La storia
economia e giuridica corrente è in grave errore su questo punto.
Imbevuta di idee moderne, essa si costruisce delle idee a priori sulla
evoluzione, segue una logica, così detta necessaria; in sostanza resta
legata alle vecchie tradizioni. Niente di più pericoloso di questa
“sociologia inconsapevole” [...]. Cuq, per esempio, afferma: “Nelle
società primitive, si concepisce solo il regime del baratto; in quelle
più avanzate, si pratica la vendita in contati. La vendita a credito
121
http://www.treccani.it/enciclopedia/debito/
90
caratterizza una fase superiore della civiltà; essa appare anzitutto
sotto una forma impropria, combinazione della vendita in contatti e
del prestito.” In effetti il punto di partenza è altrove. Esso risiede in
una categoria di diritti che giuristi e economisti lasciano da parte,
disinteressandosene; si tratta del dono, fenomeno complesso,
soprattutto nella forma più antica, quella della prestazione totale
[...]; ora il dono si porta necessariamente dietro la nozione di credito.
L’evoluzione non ha fatto passare il diritto dall’economia del
baratto alla vendita, e la vendita da quella in contanti a quella a
termine. È da un sistema di doni, dati e ricambiati a termine, che
sono sorti, invece, da una parte il baratto, per semplificazione, per
avvicinamento di tempi prima separati, e dall’altra l’acquisto e la
vendita, quest’ultima a termine e in contanti, e anche il prestito.122”
La cosa interessante che emerge da questo estratto è che la relazione
economica risulta connessa a un fattore sociale, che seppure legato
all’accrescimento di prestigio e/o ricchezza, non è solamente legata
al soddisfacimento di bisogni ed utilità personali. A muovere la
relazione economica è di mettere in primo piano aspetti
comunicativi caratterizzanti l’agire umano. Questo succede
soprattutto nella relazione debitore/creditore. Il rapporto per alcuni
studiosi è fatto risalire all’uso della moneta, dove la moneta non
viene riconosciuta come mezzo di pagamento o unità per lo scambio
di merci, ma la moneta risulta strettamente connessa al linguaggio
rivelando si essere una istituzione che costituisce il processo di
valutazione nel fenomeno comunicativo sociale. La moneta è quindi
nelle sue origini la modalità concreta di creare un rapporto sociale,
mezzo con cui l’ordine sociale accede all’esistenza. Questo ruolo è
basato sull’accordo concorde di coloro che entrano nella relazione
economica che riconoscono come vincolo. Ossia il valore dato dalla
moneta non è derivante dalla sua utilità come mezzo di scambio, ma
dalla fiducia nella sua generale accettazione. Da cui deriva la sua
122
Mauss M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche.
91
“potenza collettiva” oltre che sociale ed economica. Il valore è
potere d’acquisto, è un rapporto di fiducia, un atto di fiducia e
credito, credito/fiducia che l’oggetto acquistato conserverà il valore
economico. Da qui nasce l’associazione moneta-credito.
Georg Simmel in Filosofia del denaro afferma che moneta e credito
si identificano: “La possibilità che la promessa insita nel denaro non
venga soddisfatta, conferma il carattere di puro credito del denaro
stesso123” o ancora “ogni moneta è in effetti moneta di credito, dato
che il suo valore si basa sulla fiducia del ricevente di ottenere una
certa quantità di merce in cambio.124”
Il credito relativo al denaro è legato alla fiducia e all’impegno di
restituire tale quantità ed inoltre le relazioni economiche nascono da
una forma di credito che è quella stessa alla base della relazione tra
debitore e creditore. In questo rapporto c’è il credito, l’obbligo di
restituzione e il tempo in cui questo legame si avrà fino a che non si
estinguerà il debito.
Mauss nel suo Saggio sul dono fa riferimento al nexum.
Il Nexum era una forma di garanzia, forse la più solenne che fosse
prevista nell'ordinamento legale di Roma ed era stato codificato in
forma scritta nelle Leggi delle XII tavole, dove il debitore dava in
garanzia se stesso al creditore, diventando assoggettato a
quest'ultimo. Infatti se il debitore non restituiva la somma dovuta
nei tempi fissati, diventava addictus, ossia entrava nella totale e
materiale disponibilità dell’altro. Anche se non usciva dallo status
che conferiva cittadinanza romana e libertà, era una condizione di
schiavitù, infatti, il creditore poteva trascinarlo con sé, legarlo per
sessanta giorni e venderlo al mercato, se non avesse trovato
acquirenti poteva anche ucciderlo. Mauss afferma “la sanzione
dell’obbligo di ricambiare è la schiavitù per debiti125”.
123
Simmel G., Filosofia del denaro.
124
Ivi.
125
Mauss M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche.
92
La situazione peculiare qui riportata del diritto romano in cui il
debitore risulta allo stesso tempo libero e schiavo sembra quasi
ricordare la odierna situazione di assoggettamento delle popolazioni
mondiali a tempi della crisi contemporanea.
Furness scoprì che questa comunità, che non era mai stata
colonizzata, aveva a disposizione solo tre beni: merluzzo, cocco e
cetriolo di mare. Una comunità in cui il baratto potrebbe essere
facile ed in cui poche persone si scambiano solo queste tre merci.
Questa moneta era del tutto simbolica, una moneta immateriale, non
si poteva spostare, era una forma di testimone degli scambi che vi
erano nella comunità. Infatti se per esempio una famiglia perdeva i
suoi fei, per esempio perché affondati in mare, anche se questi non
vi erano più materialmente, la famiglia manteneva il suo status di
ricchezza, in quanto rimaneva il ricordo e la consapevolezza della
loro ricchezza in relazione ai fei posseduti.
Questo per sottolineare che c’è una importante differenza tra moneta
e denaro, la moneta è un oggetto simbolico del sistema di crediti e
compensazione che sono il denaro nella sua essenza.
“La moneta è una delle forme del denaro e nel contempo il denaro
è la forma idealizzata della moneta. Il denaro agisce senza essere
una cosa fisica e senza essere legato direttamente alla materia, se
non come simbolo, avvalorando così il fatto che il denaro ha una
natura ideale. La moneta, in quanto segno monetario, ha un volto
significante attraverso il quale indica la sua unità computazionale,
la sua funzione di mezzo di misura, di pagamento e di scambio, e un
volto significato, che è il denaro, che rimanda a un puro concetto di
valore equivalente, di merce, o di bene potenziale.129”
126
Martin, F., Denaro. La storia vera: quella che il capitalismo non ha capito.
127
Ivi.
128
Ibidem.
129
Turri, M.G., La distinzione fra moneta e denaro. Ontologia sociale dell’economia.
94
Nella storia del capitalismo l’oro è stato considerato la moneta,
questo perché riusciva a tenere traccia degli scambi di merci a
mezzo di banconote. Durante il gold standard si è riusciti a
mantenere la commensurabilità degli scambi proprio grazie all’oro.
L’oro come moneta è stato per un determinato periodo del
capitalismo mercantilistico l’oggetto simbolico per lo scambio di
merci in base alla quantità di lavoro contenuto in esse, questo senza
che ci fosse una corrispondenza quantitativa tra il valore delle merci
scambiate e quella della moneta aurea, infatti dalle crisi
ottocentesche si evince quanto poco oro ci fosse in circolazione per
far fronte alla richiesta di “moneta sonante” da parte di chi deteneva
banconote o similari alla moneta cartacea.
95
Il denaro è un mezzo di pagamento immateriale questo emerge nel
momento in cui si acquista la forza-lavora. Infatti quest’ultima viene
pagata successivamente e non prima della sua messa a lavoro,
l’operaio fa in un certo senso credito al capitalista di un mese. Inoltre
la forza-lavoro viene però pagata prima che la merce che ha prodotto
venga venduta. Da questo punto di vista il capitale variabile, il
salario, viene anticipato dal capitalista. Però risulta essere il lavoro
futuro a creare il fondo salario che non esiste e con il quale viene
pagato il lavoro anteriore.
96
La moneta come oggetto simbolico, l’oro, è divenuta immateriale,
ossia simbolo dell’economia capitalista dove il lavoro salariato è il
fulcro per l’accumulazione di capitale, a tal punto da non potere
avere problemi dovuti dalla dinamica di tesaurizzazione del denaro
tramite la domanda di moneta sonante.
Le crisi come quelle che vediamo oggi e che c’è stata nel 1929, non
sono crisi per mancanza di liquidità, ma bensì crisi di
sovrapproduzione.
99
Si tratta di un rapporto tra il centro della produzione, in questo caso
l’occidente ed i paesi del emisfero boreale ed il sud ossia i paesi
poveri.
101
Quindi come primo aspetto dell’imperialismo per gestire la
contraddizione di valore e plusvalore abbiamo la creazione di
domanda esterna tramite la creazione della trappola del debito.
102
L’altra soluzione trovata per cercare di aggirare il problema della
contraddizione valore plusvalore è quella del welfare state, lo stato
sociale. A partire dalla fine degli anni quaranta del secolo scorso, lo
stato sociale è stato il dispositivo per cercare di creare una domanda
aggiuntiva all’interno del circuito economico stesso.
Marx nei Grundrisse ci dice che il denaro creato dal debito pubblico
è un “polizza sul lavoro futuro130”.
130
Marx K., Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica.
103
Il salario è stato sostituito da remunerazioni di tipo post salariali, per
poi trasformarsi nel lavoro gratuito.
104
La finanziarizzazione è entrata in crisi nel 2008, ma si ostina a
riprodurre lo stesso meccanismo.
105
funzionano grazie alla creazione di convenzioni, credenze
collettive, che determinano l’agire della moltitudine. È la potenza
della moltitudine degli investitori che crea le convenzioni che
generano profitti monetari. Processo che viene reso possibile dalla
predisposizione delle banche ad erogare crediti sulla falsariga
dell’aumento del valore degli assets su cui si concentrano le scelte
degli investitori. Se il valore di un insieme di attivi cresce allora la
domanda su questi attivi aumenta e questo è reso possibile perché le
banche lo rendono possibile fornendo il credito necessario al loro
acquisto. Quindi la moneta creata e messa in circolazione si fa
totalmente autoreferenziale, perdendo ogni legame con il valore del
bene su cui si stanno spostando gli investimenti. Inoltre le scelte di
investimento non si basano su informazioni in base al valore
sostanziale del bene, ma provengono da processi di imitazione.
131
Orléan A., Le pouvoir de la finance.
106
squilibri, ma anzi li aumentano, deprimendo la crescita ed
aggravando la povertà.
132
Graeber, D., Debito. I primi 5000 anni.
107
l’indebitamento è quindi quella di porli in una condizione di
impossibilità di rimborso del debito e quindi di renderli schiavi.
133
Ivi.
108
Il debito è quindi uno strumento di valorizzazione finanziaria, e allo
stesso tempo dispositivo di produzione di soggettività.
134
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
109
La fabbrica del debito, la costruzione e lo sviluppo di un rapporto di
potere tra creditori e debitori, è una delle strategie del capitalismo
neoliberale. Dal 1979 con la mossa di Volker i tassi nominali, ossia
gli interessi da pagare per rimborsare il debito, sono raddoppiati,
passando dal 9% al 20%, “questi tassi elevati hanno creato di sana
pianta degli indebitamenti cumulativi degli Stati (debito pubblico)
o dei paesi (debito estero). Le classi agiate costruiscono così un
dispositivo di polarizzazione estrema dalle proporzioni gigantesche
tra creditori e debitori135”.
135
Duménil G. E Lévy D., La finance capitalist: rapports de production et rapports de classe.
110
politica sociale e la volontà di fare della protezione sociale una
funziona di impresa sono i fondamenti dell’economia del debito.
Il debito crea una morale che si accoppia con quella del lavoro, per
cui alla coppia sforzo-ricompensa propria dell’ideologia lavorativa
si affianca quella della promessa di onorare il proprio debito, e
quella dell’errore, ossia di aver contatto il debito.
111
Riprendendo Nietzsche, Deleuze scrive: “Nel credito, Nietzsche
scopre l’archetipo dell’organizzazione sociale136”.
136
Duménil G. E Lévy D., La finance capitalist: rapports de production et rapports de classe
137
Graeber, D., Debito. I primi 5000 anni.
112
uno sviluppo del baratto. [...] Viene prima il baratto, poi la moneta:
il credito si sviluppa solo più tardi.138”
E continua: “la moneta non è affatto una “cosa”. Non si può toccare
un dollaro o un marco tedesco più di quanto si possa toccare un’ora
o un centimetro cubo. Le unità monetarie – dunque – sono semplici
unità astratte di misura e [...] storicamente questi sistemi astratti di
conto sono emersi molto prima di qualsiasi valore di scambio.140”
138
Ivi.
139
Ivi.
140
Ivi.
141
Ivi.
142
Ivi.
113
società del debito è perché il retaggio della guerra, della conquista e
della schiavitù non ci ha mai completamente abbandonati. È ancora
lì, inculcato nei nostri concetti più intimi di onore, proprietà, libertà,
ma non riusciamo più a vederlo.143”
143
Ivi.
144
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
145
Nietzsche F., Genealogia della morale.
114
tramite il rapporto debitore/creditore. Ossia Nietzsche fa del credito
il paradigma della relazione sociale. Se il credito, e non lo scambio,
è alla base dell’organizzazione sociale, è dovuto al fatto che le forze
in gioco non sono uguali, ma asimmetriche. Il debito è la sede di
uno scontro tra forze superiori e forze inferiori, che ha come
obiettivo la costruzione di una soggettività capace di promettere.
146
Ivi.
147
Ivi.
115
restituzione come dovere e obbligazione, il debitore dà in pegno, in
forza del contratto, al creditore, per il caso che non paghi, qualcosa
d’altro che ancora “ possiede”, su cui ha ancora potere, per esempio
il proprio corpo o la propria donna o la propria libertà o anche la
propria vita ( oppure, stando a determinati presupposti religiosi,
persino la sua beatitudine, la salvezza della sua anima, e infine,
forse, anche la pace nel sepolcro).148”
148
Ivi.
149
Ivi.
150
Ivi.
151
Il valore è potere d’acquisto, è un rapporto di fiducia, un atto di fiducia e credito, credito/fiducia che l’oggetto
acquistato conserverà il valore economico.
116
L’Anti-Edipo “la società non è scambista, il socius è scrittore: non
scambiare, ma marcare i corpi.152”
152
Deleuze G., Guattari F., L’Anti-Edipo.
153
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
154
Nietzsche F., Genealogia della morale.
155
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
117
“Il debito non è solo un dispositivo economico, è anche una
tecnologia securitaria di governo volta a ridurre l’incertezza dei
comportamenti dei governati. Educare i governati a “promettere” (a
onorare il proprio debito), il capitalismo dispone anticipatamente
“del (loro) futuro” dato che le obbligazioni del debito permettono di
prevedere, calcolare, misurare e stabilire equivalenze tra i
comportamenti attuali e quelli futuri. Sono gli effetti di potere del
debito sulla soggettività (colpevolezza e responsabilità) a consentire
al capitalismo di gettare un ponte tra il presente e il futuro.
156
Ivi.
157
Le Goffe J., La borsa e la vita.
118
Anche per Marx il prestito usuraio è paragonabile al processo del
capitale, un processo del denaro che produce se stesso.
Marx, già alla sua epoca, riesce a capire la posizione del capitale
finanziario rispetto a quello industriale, infatti per lui il denaro che
si ha nelle banche è un denaro in potenza, mentre quello industriale
è attualizzato. Il denaro finanziario anche per Marx è una ricchezza
158
Ivi.
159
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
160
Ivi.
119
futura, una possibilità di scelta e di decisione sia sulla produzione,
ma soprattutto sui rapporti di potere futuri: “Sul mercato monetario
si trovano di fronte unicamente chi dà prestito e chi prende a
prestito. La merce non ha che una forma, il denaro. Tutte le forme
particolari che il capitalismo assume, secondo il suo investimento in
particolari sfere di produzione o di circolazione, sono qui cancellate.
Esso esiste qui nella forma omogenea, uguale a se stessa, del valore
autonomo del denaro. La concorrenza fra le sfere particolari qui
cessa; esse sono tutte riunite nella figura di chi prende a prestito, ed
anche il capitale si trova di fronte a tutti nella forma nella quale esso
è ancora indifferente rispetto alla determinata natura e maniera del
suo impiego161”.
161
Marx K., Il Capitale.
162
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
120
La potenza del nostro agire ed “il successo di un’azione dipendono
dall’energia impiegata nell’atto e l’energia a sua volta è subordinata
all’intima certezza di riuscire163”, possiamo quindi dire che è legata
alla fiducia che riponiamo in quello che facciamo e negli altri.
L’azione dipende dalla fiducia e quest’ultima dal desiderio.
163
James W., La volontà di credere.
164
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
121
Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre a un
incrocio.165”.
165
Benjamin W., Esperienza e povertà.
166
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
167
Ivi.
122
3.7. Debito e moralità
168
Ivi.
123
Come abbiamo visto il credito sollecita non tanto il lavoro, ma
soprattutto l’azione etica e il lavoro di costituzione di sé sia a livello
individuale che collettivo. Questo perché ciò che viene messe in
gioco è la moralità del debitore, il suo ethos. L’economia del debito
ha infatti la particolarità di appropriarsi non solo del tempo del
lavoro, ma anche dell’azione, del tempo della scelta e delle forze
implicate per tale azione. Nel credito l’uomo si relazione
direttamente con un altro uomo al quale deve dare fiducia:
169
Marx K., Estratti dal libro di James Mill, “élemens d’économie politique”,
170
Lazzarato M., La fabbrica del uomo indebitato.
171
Ivi.
124
Nella società della libertà, dove libertà vuol dire farsi carico su di sé
della precarietà, della disoccupazione e della povertà, in questa
società in cui si perde fiducia, in cui l’altro diventa un rivale, si ha
bisogno di sistemi di sicurezza per difendersi dall’altro, è la coppia
libertà- sicurezza.
172
Ivi.
125
come accade nel rapporto di credito. [...] Il credito è il giudizio
economico sulla moralità di un uomo. Nel credito, al posto del
metallo o della carta, l’uomo stesso è diventato l’intermediario dello
scambio, non però in quanto uomo, ma in quanto esistenza di un
capitale e dei suoi interessi. Il medio dello scambio è dunque
certamente tornato e trasferito, dalla sua figura materiale,
nell’uomo, ma solo perché l’uomo stesso, estraniato a sé, è diventato
egli stesso una figura materiale. [...] Non è già il denaro ad essere
nell’uomo, nel rapporto di credito, ma è l’uomo stesso che viene
mutato in denaro, ovvero è il denaro che si è incorporato in lui.
L’individualità umana, la morale umana è diventata essa stessa sia
un articolo di commercio, sia un materiale in cui esiste il denaro.
Non più moneta e carta, ma la mia propria esistenza personale, la
mia carne ed il mio sangue, la mia virtù ed il mio valore sociale sono
la materia, il corpo dello spirito del denaro. Il credito strappa il
valore del denaro non più dal denaro stesso, ma dalla carne umana
e dal cuore umano173.”
173
Marx K., Estratti dal libro di James Mill, “élemens d’économie politique”,
126
Benjamin scrive: “Il capitalismo è la celebrazione di un culto “sans
trêve et sans merci”. Non esistono “giorni feriali” non c’è alcun
giorno che non sia festivo, nel senso terribile del dispiegamento di
tutta la pompa sacrale, dell’estrema tensione che abita
l’adoratore.174”
Una bella analisi della relazione tra debito e colpa viene data Elettra
Stimilli che mostra come il dispositivo del debito, sia una modalità
di assoggettamento, dandone una interpretazione non banale, il
debito infatti viene visto come un dispositivo di potere che non deve
essere saldato, ma piuttosto amministrato e perpetuato.
174
Benjamin W., Capitalismo come religione.
175
Ivi.
127
Stimilli cerca di mostrare come la condizione della colpa, innescata
dal debito, non sia solo un meccanismo repressivo, ma anche un
dispositivo da cui poter trarre profitto. Per fare questo Stimilli
conduce la sua analisi partendo dall’ebraismo per arrivare al
cristianesimo, individuando nell’istituzione della norma la base di
questo duplice significato.
176
Assaman J., Potere e saggezza. Teologia politica nell’antico Egitto, in Israele e in Europa.
177
Ivi.
128
Solo la violazione di una divina promessa di salvezza fa diventare
l’individuo anche peccatore.
178
Ivi.
179
Stimilli E., Debito e colpa.
129
istituzione normativa a partire da una gestione amministrativa della
comunità.
180
Anderson G., Il peccato la sua storia nel mondo giudaico-cristiano.
181
Ivi.
130
amministrazione economica della fede. È la fede in Cristo a
permettere che il debito venga trasformato in qualcosa da
amministrare e che ne rechi profitto. Nel cristianesimo è possibile
rintracciare una pratica economica in cui il debito viene attuato
come un capitale da amministrare. Non bisogna effettivamente
riscattarsi dal debito originario, ma bisogna investire su un agire
indebitante, che va amministrato.
Paolo Napoli per esempio ritiene che il “deposito della fede” sia
archetipo di una forma di potere normativo di tipo amministrativo
piuttosto che giuridico.
182
Napoli P., Il deposito. Genealogia di un archetipo amministrativo.
183
Ivi.
184
Ivi.
185
Ivi.
131
L’economia del deposito, non si basa sullo scambio, ma è di tipo
gestionale.
186
Stimilli E., Debito e colpa.
132
giuridico. Il senso di colpa e la nevrosi nascono da queste forme di
repressione, ossia dalla disfunzione del patto.
133
dell’insufficienza che con una malattia della colpa, più con
l’universo della disfunzione che con quello della legge.187”
187
Ehrenberg A., La fatica di essere se stessi.
188
Butler J., La vita psichica del potere. Teoria del soggetto.
189
Ivi.
134
ontologicamente aperta all’origine della vita umana, per assumere il
potere di cui pare dispone, trovi le modalità per autoaccusarsi di una
colpa, di una mancanza, di un essere in debito che risulta così ciò su
cui unicamente può investire per dar valore a quanto sembra non
averne.190”
190
Stimilli E., Debito e colpa.
135
“L’efficacia del disciplinamento dell’azione in sé inaugurato dal
capitale si misura oggi sul forte investimento dell’attuale economia
sul così detto “capitale umano”, in virtù del quale la produzione di
merci dà il paio con la produzione del sé, con la necessità, cioè, di
mettere a frutto, capitalizzandola, la propria individualità, secondo
le dinamiche di una vera e propria strategia auto-imprenditoriale.
Mettere a profitto se stessi significa allora obbedire al diktat, in sé
illogico, di omologarsi al meccanismo di accumulazione fine a se
stessa, propria del capitale: significa mutarsi in capitale, essere
capitale.191”
191
Ivi.
136
4. Asservimento macchinico e governamentalità algoritmica
4.1. Macchinismi
192
Marx K., Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica.
137
Deleuze e Guattari non concedono alla soggettività umano un ruolo
privilegiato, ma mostrano come ci sono altre istanze che possono
essere vettori di soggettivazione.
138
l’utente della macchina, il soggetto e l’oggetto, l’umano e il non
umano formano insieme una gigantesca macchina. L’asservimento
produce questa mega macchina, i cui agenti non sono delle persone
o degli individui, dal momento che ad essere coinvolte sono solo le
componenti molecolari della soggettività. L’asservimento
macchinico non passa per la coscienza, in quanto utilizza delle
semiotiche definite da Guattari a-significanti, quali il denaro, il
codice informatico, la borsa ossia segni che operano e trasformano
il reale.
Da un lato abbiamo l’assoggettamento sociale che funzionava con
la politica, come potere esterno alla società civile, dall’altro
abbiamo l’asservimento macchinico che opera con l’economia e con
la scienza e si basa sulla dimensione molecolare immanente,
facendo leva sulle forze preindividuali ed impersonali, inconsce ed
asoggettive; flussi umani, flussi tecnologici, flussi di segni.
L’assoggettamento mette in atto tecnologie che mobilitano i saperi
e le pratiche discorsive, producendo degli individui, questo
assegnando a ciascuno una identità, un sesso, una nazionalità, una
professione. È “una trappola semiotica significante193”. Il fine
ultimo di questo processo nel capitalismo contemporaneo è il
capitale umano.
L’asservimento macchinico ha a che fare con tecnologie
“operazionali, diagrammatiche, che funzionano sfruttando
soggettività parziali, modulari, subindividuali.194” L’asservimento
produce i dividuali. “Il capitalismo ricostruisce un asservimento in
cui l’uomo, allo stesso modo dei pezzi meccanici, funziona da
componente e da elemento umano macchinico. Per le imprese
industriali, ma anche per quelle che gestiscono reti sociali (ad
esempio Facebook) o motori di ricerca (Google), per le agenzie di
sondaggi, per le banche-dati, per gli studi di mercato, per le società
193
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
194
Ivi.
139
di marketing, noi non siamo solo soggetti, bensì una fonte di
produzione, di scambio e di trasformazione delle informazioni.195”
195
Ibidem.
140
segni-particella, dei segni potenza, dei segni a-significanti che
agiscono direttamente sui flussi materiali.
“La trama stessa del mondo capitalista è fatta di questi flussi di segni
deterritorializzati, di segni monetari, economici, di prestigio, ecc. I
significati, i valor sociali (quelli che possono essere interpretati) si
manifestano sul piano delle formazioni di potere, ma il capitalismo
si sostiene su macchine a-significanti. I movimenti in borsa, ad
esempio, non hanno alcun senso [...] il potere capitalistico
attribuisce a ognuno di noi un ruolo: medico, bambino, maestro,
uomo, donna, omosessuale. Ognuno dovrà poi adattarsi al sistema
di significanti che gli è stato preparato. Ma sul piano dei poteri
effettivi, questo tipo di ruolo non conta mai: il potere non è
necessariamente localizzato a livello di direttore o ministro, bensì
agisce nei rapporti finanziari, nei rapporti di forza, tra gruppi di
pressione. Le macchine a-significanti non conoscono né i soggetti,
né le persone, né i ruoli, e nemmeno gli oggetti delimitati. 196”
196
Guattari F., Rivoluzione molecolare.
197
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
141
I segni sottomettono il linguaggio alle semiotiche a-significanti
della scienza e dell’economia. Il linguaggio si unisce alle semiotiche
a-significanti di moneta, finanza e programmazione, come diceva
Pasolini siamo in “un momento storico in cui il linguaggio verbale
è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato); il linguaggio del
comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva
importanza198”.
198
Pasolini P.P., Scritti corsari.
199
Ivi.
200
Guattari F., Les années d'hiver.
142
lingue delle infrastrutture, diciamo pure le lingue della
produzione.201”
201
Pasolini P.P., Empirismo eretico.
202
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
203
Ibidem.
143
processo significativo, producendo un senso operativo, un senso a-
significante.
204
Ivi.
205
Guattari F., Rivoluzione molecolare.
144
l’individuazione e la soggettivazione avvengono tramite la lingua,
Guattari chiama questo processo “personologizzazione”.
206
Guattari F., Les années d'hiver.
207
Guattari F., Rivoluzione molecolare.
208
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
145
aggiungono possibili. Ad esempio possiamo portare la moneta che
presa nel suo valore di scambio è un segno impotente, in quanto è
un semplice equivalente, la moneta come credito invece è un segno-
potenza in quanto rappresenta il futuro, anticipa il futuro
sfruttamento della forza-lavoro.
209
Guattari F., Chimères.
146
espressione e funzioni di contenuto di qualunque natura, umane e
non umane, microfisiche e cosmiche, materiali e incorporee.210”
210
Lazzarato M., Il governo del uomo indebitato.
211
Deleuze G. e Guattari F., L’anti-Edipo.
212
Rouvroy A. e Berns Th., Governementalité algoritmique et perspectives d’émancipation.
213
Hannah Arendt in Vita activa definisce la modalità dell’opera: “Avere un inizio definito e una fine definita e
prevedibile è il segno distintivo della fabbricazione, che solo per questa caratteristica si distingue dalle altre attività
147
circolazione pura di dati, di denaro, di cifre, quello che può essere
definito un “progetto” vuoto. Quest’ultimo porta a una
accelerazione dei flussi dove ciò che passa in questi flussi è a-
significante. Questa a-significantizzazione permette di eludere
qualsiasi forma di soggettivazione, che ha come risultato un
asservimento macchinico, molecolare, a-significante ed
operazionale.
“Vi è un inconscio macchinico molecolare, che proviene da sistemi
di codificazione, da sistemi automatici, da sistemi di calcolo, da
sistemi di prestiti, ecc. che non mettono in gioco né delle catene
semiotiche, né dei fenomeni di soggettivazione di rapporti
soggetto/oggetto, né dei fenomeni di coscienza; che mettono in
gioco ciò che chiamo dei fenomeni di asservimento macchinico, in
cui delle funzioni, degli organi entrano direttamente in interazione
con dei sistemi macchinici, dei sistemi semiotici. L’esempio che
faccio sempre è quello della guida automobilistica in stato di sogno.
Tutto funziona al di fuori della coscienza, tutti i riflessi, si pensa ad
altro, e persino, al limite, si dorme; e poi, vi è un segnale semiotico
di risveglio che, d’un sol colpo, fa riprendere coscienza, e
reintroduce delle catene significanti. Vi è dunque un inconscio
d’asservimento macchinico.214”
I dati digitalizzati “allo stato grezzo” sono oggi la “tessitura” del
capitalismo, “segnali”, che provocano “reazioni” o “riflessi” nei
dispositivi informatici, invece che segni con dei significati.
Se le capacità degli esseri razionali e le loro capacità linguistiche
definiscono la specificità degli animali umani, il profilaggio
algoritmico, con la “sospensione riflessiva”, ed il tempo necessario
umane. […] il processo di fabbricazione, diversamente dall’azione, non è irreversibile; ogni cosa prodotta dalle
mani umane può esserne distrutta, e nessun oggetto d’uso è così necessario nel processo della vita che il suo artefice
non possa sopravvivere ad esso e permettersi di distruggerlo. Homo faber è quindi un signore e padrone, non solo
perché è, o viene fatto, padrone di tutta la natura, ma perché è padrone di se stesso e delle proprie opere. […] Solo
con l’immagine del prodotto futuro l’homo faber è libero di produrre, e solo di fronte all’opera delle sue mani è
libero di distruggere” (Arendt, 1994).
214
Guattari F., Rivoluzione molecolare.
148
alla valutazione e alla decisione, ci porta a diffidare del umanismo
antropo-logocentrico, a favore di una versione dell’essere umano
essenzialmente tecnico.
Questi dispositivi tecnici ci privano delle capacità di “astrazione” e
di “distanziamento” dal “reale calcolato”, ci privano della nostra
attitudine a desiderare e a progettare, poiché queste capacità
“immaginifiche” sono sottomesse a macchine automatiche.
Inoltre poiché i segnali “possono essere calcolati quantitativamente
al di là del loro significato215”, il significato sembra non essere
necessario, come se “riterritorializzarsi” gli uni agli altri attraverso
il linguaggio significante non fosse più essenziale.
Questi nuovi dispositivi sembrano realizzare una forma perfetta di
capitalismo come la intendeva Félix Guattari:
“La testura stessa del mondo capitalista è fatta di questi flussi di
segni deterritorializzati, i segni monetari, economici, di prestigio,
ecc. Le significazioni, i valori sociali (quelli che si possono
interpretare) si manifestano a livello di formazioni di potere, ma il
capitalismo si sostiene essenzialmente su macchine a- significanti. I
movimenti in borsa, ad esempio, non hanno alcun senso; il potere
capitalistico a livello economico, non fa discorsi, cerca soltanto di
controllare le macchine semiotiche a-significanti, di manipolare gli
ingranaggi a-significanti del sistema. Esso attribuisce a ognuno di
noi un ruolo: medico, bambino, maestro, uomo, donna,
omosessuale. Ognuno dovrà poi adattarsi al sistema di significati
che gli è stato preparato. Ma sul piano dei poteri effettivi, questo
tipo di ruolo non conta mai; il potere non è necessariamente
localizzato a livello di direttore o di ministro, bensì agisce nei
rapporti finanziari, nei rapporti di forza, nei gruppi di pressione. Le
macchine a-significanti non conoscono né i soggetti, né le persone,
né i ruoli, e nemmeno gli oggetti delimitati. È proprio questo che
conferisce loro una specie di onnipotenza: esse passano attraverso i
215
Eco U., Trattato di semiotica generale.
149
sistemi di significati nei quali si riconoscono e si alienano i singoli
soggetti. Il capitalismo, non si sa mai dove comincia e dove
finisce.216”
216
Guattari F., Rivoluzione molecolare.
150
privilegiando le sue funzioni rappresentative. Nel secondo caso,
invece, esso non organizza il discorso, non parla, ma funziona, mette
in movimento, connettendosi direttamente sul “sistema nervoso, sul
cervello, sulla memoria, ecc.”, attivando delle relazioni affettive,
transindividuali, difficilmente attribuibili a un soggetto, a un
individuo, a un io.217”
217
Lazzarato M., Le pluralisme sémiotique et le nouveau gouvernement des signes. Hommage à Félix Guattari.
218
Berandi F., Neuro-totalitarismo in Tecnomania. Google colonizzazione connettiva dell’esperienza e prospettiva
neuro-plastica.
151
questo vuol dire che la cattura digitale dell’attenzione ha
trasformato tutte le interazioni in rete.
219
Weiner N., L’ introduzione alla cibernetica. L’ uso umano degli esseri umani.
152
cibernetico”220
Ma il cyberspazio, soprattutto negli anni '90, è apparso come una
terra di nessuno aperta a sperimentazioni (anche politiche), dove gli
utenti potevano accedere liberamente, senza mediazioni, a spazi di
sapere sterminati.
Secondo Lévy, l’impersonalità della rete allarga le possibilità
virtuali di produrre intelligenza collettiva, di progredire in
comunità221.
L’evoluzione tecnologica però ha preferito, rispetto alle potenze
collettive della virtualità, la diffusione del dispositivo della digitalità,
che opera tramite processi soggettivi-individualistici. Hanno quindi
più valore il computer a interfaccia intuitiva, il formato digitale ad alta
definizione, ciò che può offrire il dispositivo tecnologico, rispetto al
processo creativo e collettivo del virtuale.
Con la rivoluzione digitale, la collettività si dissolve nello schermo, gli
utenti sono abbandonati ad esperienze del mondo della rete solitarie,
individualistiche e contemporaneamente rassicuranti.
Le analisi di Bernard Stiegler sottolineano la problematicità del
rapporto cognitivo che si instaura tra mente umana e apparato
macchinico. Mente e computer a interfaccia sono il binomio tecno-
estetico dove si instaurano i processi di soggettivazione
contemporanei.
220
Baudrillard J., Lo scambio simbolico e la morte.
221
Lévy P., Le tecnologie dell'intelligenza. Il futuro del pensiero nell'era dell'informatica.
153
determinando una dinamica strategica descritta in termini di
psicopotere222.
Stiegler sostiene che molti strumenti tecnologici sono progettati
seguendo un modello industriale che causa spinte consumistiche,
che in generale aumentano la “proletarizzazione223” delle
soggettività. Ad esempio seguendo la velocità messaggistica della
rete si perde la conoscenza della grammatica, perdendo ogni segno
ortografico. L’interattività si manifesta nell’imposizione all’accesso
e alla produzione di messaggi che caotici ed individuali, non
permettono la socializzazione ma la crescita del narcisismo.
Da un lato abbiamo la spinta consumistica che agisce come
dispositivo tossico di controllo, dall’altra la progettazione
industriale degli hypomnémata224 che impediscono agli individui di
migliorare e ingrandire i propri saperi.
Così la governamentalità del cyberspazio predilige l’informazione
alla formazione, l’opinione irriflessiva al dialogo razionale e le
soggettività si depotenziano.
222
Stiegler B., Prendersi cura. Delle gioventù e delle generazioni.
223
Secondo il filosofo, “è proletarizzato colui il quale perde il proprio sapere: il produttore proletario perde il suo
saper-fare, passato nella macchina, e diviene pura forza lavoro; il consumatore proletario perde il suo saper-vivere,
divenuto modo di impiego, e non è più che un potere d’acquisto” (Stiegler 2012). È facendo leva su queste
molteplici perdite di saperi che i valori “del populismo industriale” contrastano i valori dello spirito, i saper-vivere,
causando dissociazioni psichiche, dis-identificazioni che condannano le soggettività “al destino sciagurato del
consumo” e al “regno dell’ignoranza” (ivi).
224
Secondo Stiegler (2014), gli hypomnémata sono tutti quegli oggetti che vengono generati in funzione di supporto
esterno della memoria: dalla selce scheggiata come rimemorazione di una tecnica di caccia al taccuino di appunti,
dal cd-rom ai chip nanotecnologici. La loro capacità di conservare e rendere disponibili i dati, evidentemente
cresciuta in maniera esponenziale con l’introduzione delle memorie digitali, è per il filosofo francese comunque ed
in ogni tempo indissociabile dai processi di individuazione e soggettivazione. Il ché significa, in breve, che
acquisendo il controllo di questi oggetti si possono governare le soggettività e i loro processi di produzione e
rappresentazione. Ciò avviene in modo ancora più radicale se facciamo riferimento al cyberspazio, dove tali mnemo-
tecnologie attuano al contempo come memorie e come dispositivo di accesso a tali memorie, costituendo un doppio
livello di controllo.
154
4.5. Controllo e governamentalità algoritmica
225
Foucault M., Sicurezza, territorio, popolazione.
226
Deleuze G., Foucault.
155
Deleuze individua queste condizioni come nuove rispetto all’epoca
precedente dove la trasformazione degli individui in cifre e lo
sviluppo di una modulazione universale tramite le tecniche
informatiche, non derivano da un assoggettamento sociale, ma da
un asservimento macchinico. Deleuze parla delle società di
controllo, chiamandole “società di comunicazione”, società delle
macchine cibernetiche, mentre i computer il cui tipo di
comunicazione è uno scambio di informazioni tramite un sistema
input/output, permettono il trasferimento del messaggio. Dando
questo tipo di denominazione Deleuze ne evidenzia il rischio in cui
il linguaggio venga trasformato nel sistema binario usato
dall’informatica, ossia sottolinea l’emergere di un mondo di codici
sempre più controllabili. Gli individui si trasformano in dei dividuali
e le masse in un ammasso di dati. L’asservimento macchinico
produce esiti peggiori dell’assoggettamento disciplinare.
Antoinette Rouvroy ha cercato di definire una nuova forma di
governamentalità basata sull’asservimento macchinico
denominandola regime di governamentalità algoritmica. Per
Rouvroy, vi è una produzione, da parte delle società di
comunicazione, di tecnologie normative; le macchine sono ormai ad
uno sviluppo tale da essere esse stesse fonti di normatività, ma non
sul piano politico, sono norme al di fuori della legge.
Per Rouvroy la governamentalità algoritmica si fonda su un regime
di verità numerica, che implica una “numerizzazione della vita
stessa, alla quale è sostituita, non una verità, ma una realtà numerica,
realtà che si pretende (essere) il mondo, ovvero che si pretende non
costruita227”. Rouvroy riprende l’espressione foucaultiana di regime
di verità, ma con un senso diverso, infatti se per entrambi con tale
termine si individuano i processi che stabiliscono ciò che è ritenuto
vero, da un lato per Foucault in questa produzione della verità sono
impegnati sia le istituzioni che gli individui, mentre per Rouvroy, al
227
Rouvroy A.e Stiegler B., Le régime de vérité numériquee.
156
contrario, non è interpellato nessuno nella costituzione del vero.
La governamentalità algoritmica non necessita di nessun processo
di soggettivazione dato che interpella solo cifre, numeri e profili.
Il data behaviourism agisce sul presente, solo come effetto
collaterale, diminuendo la potenza di agire/sentire, infatti questa
anticipa, formatta e seleziona il futuro potenziale dei nostri corpi228.
I sintomi di anestetizzazione, individuale e collettiva, rinviano a una
forma di governo che Rouvroy indica come assolutamente nuova,
definita come governamentalità algoritmica:
“Con “governamentalità algoritmica” intendo un modo inedito di
governo per lo più alimentato da segnali infra-personali, senza
significato ma quantificabili (dati grezzi e metadati), indirizzato agli
individui attraverso i loro “profili” – modelli comportamentali
prodotti su base puramente induttiva – piuttosto che attraverso le
loro comprensioni e volontà. Presentati come “personalizzazione”
(nelle applicazioni commerciali), realtà aumentata
(nell'intrattenimento e nei contesti di auto-quantificazione), o come
metabolismo routinizzato della sicurezza (rafforzamento delle
operazioni di polizia, prevenzione del crimine e del terrorismo,
rilevamento delle frodi, controllo dell'occupazione), l'estrazione di
dati e le tecniche di profilaggio seducono le industrie e le istituzioni
governative con la promessa del tempo reale e del rilevamento
automatico, dunque presumibilmente “oggettivo”, nonché
dell'ordinamento e della valutazione a lungo termine degli invisibili
rischi e opportunità portati dagli individui.229”
228
“A differenza del governo attraverso il diritto, la “forza” del governo algoritmico consiste nel separare i soggetti
dalla loro abilità di fare o non fare certe cose. Il suo obiettivo – come attesta il suo focus sulla predizione e sulla
prelazione – è la contingenza in quanto tale, il modo condizionale della formula “cosa potrebbe un corpo”, laddove
questo modo condizionale è definitorio della facoltà come tale” (Rouvroy, The end(s) of critique : data-behaviourism
vs. due-process, 2013)
229
Rouvroy A., Transmediale – All Watched Over by Algorithms.
157
e ai progetti dei singoli, ma tramite le macchine produce una verità
sterile basata sui Big Data230 e sull’attività di profiling. I Big Data
servono per costruire dei profili, esempio di potenziali consumatori,
le macchine sono in grado di trattare autonomamente questi dati
dando vita ad una nuova forma di razionalità statistica ed induttiva,
che riproduce dei pattern, senza utilizzare meccanismi di selezione.
I risultati di questo profiling algoritmico vengono quindi percepiti
come oggettivi, perché prodotti da macchine, dando loro una
parvenza di verità “numerica” inaccessibile all’uomo. In questo
tentativo di ridurre il mondo a numero, priviamo l’individuo di
qualsiasi spazio d’azione:
“A differenza del mondo fisico, l’universo numerico,
deterritorializzato, non è popolato da nessun oggetto, da nessuna
forma residua, ma solamente da reti di dati. Inoltre nessun corpo
individuale, soggetto, attuale, suscettibile di eventi, può essere
incontrato. L'unico soggetto che è anche l'unico dominatore
dell'universo digitale è un corpo statistico, impersonale, virtuale, un
generico e mutevole modellamento dei "rischi e opportunità"
rilevati in tempo reale, alimentati da frammenti sub-personali
dell'esistenza quotidiana, aggregati a livello sovraindividuale sotto
forma di modelli di comportamento, o profili, ai quali
corrispondono, con determinate combinazioni di tratti ogni volta
specifici, una moltitudine di persone.231”
230
I Big Data sono delle quantità enormi di dati bruti, che possono essere registrati automaticamente ed essere poi
associati attraverso le operazioni di data-mining, al fine di fornire alle autorità una nuova forma di sapere.
231
Rouvroy A., Des données sans personne: le fétichisme de la donnée à caractère personnel à l’éprouve de
idéologie des Big Data.
158
algoritmica, tramite il calcolo statistico predice il futuro,
intervenendo direttamente sull’attuale, ci priva dell’avvenire.
232
Rouvroy A., Pour une défense de l’éprouvante inopérationnalité du droit face à l’opérationnalité sans épreuve
du comportementalisme numérique.
233
Stirgler B., La société automatique:1. Avenir du travail.
159
singolarità che ha come risultato un individuo, inteso come una
relazione di scambio tra individuo e ambiente. L’individuo, invece
non è altro che la fissazione del processo di individuazione, che
blocca la riattivazione di qualsiasi divenire e di qualsiasi scambio
con l’ambiente esterno, così che l’individuo rimane identico a se
stesso. L’individuazione simondoniana, tradotta da Deleuze come
processo di differenziazione, si annulla a favore di un appiattimento
delle differenze, prodotto dalla governance algoritmica, che
Stiegler, non a caso, chiama anche società automatica.
Riassumendo, nella governamentalità algoritmica, il bersaglio
concettuale è il soggetto, sia intenso passivamente (sub-jectum) sia
attivamente, ossia come soggetto capace di azioni, comportamenti,
immaginazione, desideri, critica, ecc. Inoltre per Rouvroy, la
governamentalità algoritmica annuncia la crisi della
governamentalità neoliberale:
“Il governo algoritmico contrasta perciò con ciò che noi conosciamo
del modo di governo neoliberale, il quale produce i soggetti di cui
ha bisogno. Attraverso l'ingiunzione ubiquitaria – e la sua
interiorizzazione da parte dei soggetti – la massimizzazione delle
prestazioni (produzione) e del godimento (consumo), il
neoliberalismo produce “iper-soggetti” che come orizzonte
normativo hanno il progetto continuamente reiterato di “diventare
loro stessi”, impegnati appassionatamente nell'autocontrollo,
nell'auto-imprenditoria e nell'auto-valutazione. La
governamentalità algoritmica non produce alcun tipo di soggetto.
Essa affetta, senza indirizzarsi davvero ad esse, le persone in ogni
situazione di possibile criminalità, frode, inganno, consumo, ecc.,
situazioni in cui ad esse non è richiesto di produrre nulla, e
sicuramente non soggettivazione. Diremo piuttosto che la
160
governamentalità algoritmica aggira la coscienza e la riflessività e
opera nel modo degli avvertimenti e dei riflessi.234”
234
Rouvroy A., The end(s) of critique: data-behaviourism vs. due-process.
235
Ivi.
236
Ivi.
161
dividuazione, trasforma i soggetti in “profili”, identificandoli
attraverso flussi di dati, ed è integrale, ossia avvolge i corpi e le
menti, in linea con la prospettiva simondoniana
I concetti foucaultiani di governamentalità e di “regime di verità,
quelli simondoniani di “individuazione, “transindividuale”
e“disparazione”, e l'inconscio macchinico di Deleuze e di Guattari
vengono usati nelle analisi di Berns e Rouvroy che si muovono su
due piani strettamente interdipendenti
Rouvroy afferma che il data behaviorism e la governamentalità
algoritmica hanno reificato alcuni dei concetti usati da Deleuze,
Guattari e Simondon:
“Siamo tutti ossessionati dal “reale”: tempo reale, costi reali, reality
shows, in cui il reale significa il vivo, il non mediato, l'inedito, il non
tradotto, l'immediato. Ciò sembra proprio come se il sogno
dell'immanenza diventasse realtà – qualcosa che, a un primo
sguardo, ma solo a un primo sguardo, appare come la realizzazione
definitiva di alcuni degli ideali ereditati dalla critica degli anni
Sessanta e Settanta: mi riferisco a Gilbert Simondon [...], a Gilles
Deleuze e Felix Guattari [...], ma anche a Foucault […]. In realtà, la
governamentalità algoritmica è una radicale forclusione237 degli
ideali di emancipazione degli anni Sessanta e Settanta: l'ideologia
dei Big Data è una chiusura del digitale su se stesso e una
neutralizzazione del “fuori”, del non-digitale e dunque del “pensiero
del fuori” (come direbbe Deleuze).238”
Questa vera e propria messa alla prova della realtà evidenziata nel
passaggio sopra riportato esprime una profonda consapevolezza
della crisi inerente ai concetti sopra menzionati, ma non finisce solo
in questa riattivazione costruttiva, poiché ha portato in risalto
l'attendibilità della governamentalità algoritmica. Questa messa
sotto riflettori dei vecchi concetti usati da Foucault, Deleuze e
237
Meccanismo che cancella definitivamente un avvenimento, che non rientra più nella memoria psichica.
238
Rouvroy A., A few thoughts in preparation for the Discrimi- nation and Big Data conference.
162
Guattari ha contagiato anche le analisi di Stiegler. Il filosofo della
tecnologia in La société automatique suggerisce la possibilità di un
connubio esaustivo con la governamentalità algoritmica.
In questo testo l’autore descrive il raggiungimento di un limite
«entropico» nelle società di mercato, delle tecnologie digitali e della
finanziarizzazione, e il più grande rischio a cui il capitalismo
odierno stia conducendo i processi d'individuazione psico-sociali.
Per Stiegler, similmente a Rouvroy e Berns, e a Deleuze a Guattari,
l'emergere del dividuale è il risultato di un processo di dis-
individuazione come “individualizzazione” o atomizzazione della
vita sociale, che è rispettivamente effetto del processo di
grammatizzazione239, dinamiche di registrazione, formalizzazione e
discretizzazione dei comportamenti umani. Queste dinamiche sono
una memoria esterna all'uomo, essendo archiviazioni di tracce
passate, che tramite la trasformazione di un continuo temporale ne
permettono la riproducibilità futura. Il processo di
grammatizzazione ha il potere di orientare i comportamenti presenti
e futuri dei gruppi umani, determinandone le condizioni di
possibilità. Le tecnologie digitali, nella società automatica, sono
l'ultimo livello di grammatizzazione, dove la discretizzazione dei
comportamenti e dei flussi affettivi, tramite il calcolo algoritmico e
computazionale, è diventata talmente penetrante da poter essere
definita come uno psicopotere totalizzante. Nello specifico “uno dei
modi principali in cui oggi avviene la dividuazione consiste nella
“grammatizzazione delle relazioni” effettuata dal social
239
Stiegler concepisce il processo di grammatizzazione come la discretizzazione del continuo vivente, ossia “la
storia tecnica della memoria” che si dà attraverso l'esteriorizzazione della memoria umana. La reale costruzione
filosofica prodotta da Stiegler risiede però nel fatto che i prodotti della grammatizzazione sono definiti “ritenzioni
terziarie”, ossia tracce della memoria spazializzata su supporti materiali (dalla selce scheggiata al libro, dai
fotogrammi alla scrittura digitale). La nozione di ritenzione proviene chiaramente da Husserl, sebbene la ritenzione
terziaria ne segna anche una sorta di fuga materialista. Husserl concepisce le ritenzioni primarie come ciò che è
trattenuto e selezionato dalla coscienza nel presente del flusso percettivo e i ricordi (che Stiegler definisce ritenzioni
secondarie) come selezioni delle ritenzioni primarie precedenti, le ritenzioni terziarie di Stiegler sono esterne alla
coscienza e sovradeterminano la selezione e la formazione della memoria interna, ossia delle ritenzioni secondarie,
che a loro volta sovradeterminano le ritenzioni primarie (Stiegler B. , La technique et le temps. Tome 3: Le temps
du cinéma et la question du mal-être., 2001).
163
networking240”.
“Il processo di grammatizzazione è la base del potere politico inteso
come il controllo del processo d'individuazione psichica e
collettiva. L'epoca iper-industriale è caratterizzata dallo sviluppo
di uno nuovo stadio del processo di grammatizzazione, ora esteso,
nella discretizzazione dei gesti, dei comportamenti e dei movimenti
in generale, ad ogni genere di dominio, andando ben al di là
dell'orizzonte linguistico. Ciò è anche quel che costituisce il
biopotere di Foucault – che è simultaneamente controllo delle
coscienze, dei corpi e dell'inconscio. Ma, dal momento che
l'inconscio non può essere controllato, la società di controllo è una
società di censura di nuovo genere, che sta inevitabilmente
incubando un'esplosione di pulsioni – preceduta da miriadi di
discorsi variamente lenitivi e compensatori. Non si tratta qui di
piangere o di sperare, ma di “trovare nuove armi”, ossia di battersi,
per quanto poltroni si possa essere. Perché questa è la “vergogna di
essere un uomo”. 241“
240
Stiegler B., La société automatique I. L'avenir du travail.
241
Stiegler B., De la misère symbolique.
242
Jonathan Crary (2013) in merito a ciò che quest'ultimo definisce il capitalismo 24/7 (riferendosi allo
sfruttamento sempre più globalizzato delle facoltà fisiologi- che e psichiche degli individui, 24 ore al giorno, 7
giorni alla settimana).
243
Stiegler B., La société automatique I. L'avenir du travail.
244
Ivi.
164
dividuali Stiegler sostiene che si parla di pulsioni, di automatismi
psico-fisiologici, mediati socialmente e tecnicamente, non di
desiderio:
“Oggi la società automatica tenta di canalizzare, controllare e
sfruttare quei pericolosi automatismi che sono le pulsioni,
sottomettendoli a nuovi dispositivi ritensionali anch'essi automatici,
che catturano gli automatismi attraverso la loro velocità:
formalizzati dalle matematiche applicate, concretizzati dagli
algoritmi di captazione e di sfruttamento delle tracce generate dai
comportamenti individuali e collettivi, gli automatismi interattivi
reticolari sono dispositivi di cattura delle espressioni
comportamentali.245”
245
Ivi.
246
Ivi.
247
Ivi.
165
“(a)biopolitica”.
La governamentalità algoritmica non necessita più della
transindividuazione248 poiché ci si “limita” a immagazzinare i dati
delle preferenze, delle condivisioni e dei “mi piace” degli utenti.
Per Stiegler siamo all’ultimo stadio della transindividuazione, la
transidividuazione automatica, non si individuano più gli individui
psichici, ma è la tecnica che s'individua e si transindividua, per
esempio con Internet degli oggetti (IoT), o con gli aggiornamenti
delle apps e dei social networks. Questa individuazione tecnica,
tenuta sotto controllo dal mercato, ha come effetto deleterio l’arresto
dei i processi d'individuazione psichica e collettiva che conducono
gli esseri umani alla perdita d'individuazione: “la
“transindividuazione” automatica non è più ciò che produce il
transindividuale, bensì il “transdividuale”, attraverso una
“dividuazione”, ossia il tratto specifico che emerge nelle società di
controllo e si impone come l'anormatività delle società di iper-
controllo.249”
248
Transindividuazione: creazione da parte degli individui di elementi culturali, di saperi, di norme, di significati, di
relazioni profonde e di sistemi di cura sociali, spirituali o comunitari
249
Stiegler B., La société automatique I. L'avenir du travail.
166
5. Capitale come assiomatica sociale. Imprinting e la
contemporanea crisi del salario
250
Simondon G., Mentalité technique.
251
Alquati R., Composizione organica del capitale e forza-lavoro alla Olivetti.
167
Alquati definisce il concetto di “informazione valorizzante” per
mostrare ed identificare come la burocrazia della fabbrica discende
nei corpi dei lavoratori attraverso il fluido vitale che scorre e
alimenta i circuiti cibernetici e delle macchine. In questo modo la
moderna concezione di informazione penetra nella definizione di
lavoro vivo legandosi così al concetto di plusvalore, che viene
assorbito nelle macchine e inglomerato nelle merci.
252
Ivi.
253
Ibidem.
168
dell’operaio complessivo polverizzate nelle micro-decisioni
individuali: il ‘bit’ salda l’atomo operaio alle ‘cifre’ del ‘Piano’.254”
Le micro-decisioni innovative che i lavoratori prendono durante il
processo produttivo per creare il prodotto finale e per dare forma
all’apparato macchinico stesso, sono definite da Alquati come
informazione.
La macchina è espressione sempre del diagramma delle relazioni di
potere tra classi, infatti parallelamente all’operaismo classico,
l’innovazione parte dai lavoratori, è infatti il lavoro vivo che da
inizio ed istruisce le nuove generazioni di macchine. Le macchine,
che siano industriali o cibernetiche, sono “cristallizzazione” del
conflitto sociale.
La macchina prende sempre il posto occupato da una precedente
divisione del lavoro, lo stesso Marx ce ne dà conoscenza citando
Babbage in Miseria della filosofia: “Quando, per effetto della
divisione del lavoro, ciascuna operazione particolare è stata ridotta
all’impiego di uno strumento semplice, la riunione di tutti questi
strumenti azionati da un solo motore costituisce una macchina.”
Su questo processo di installazione si crea la base per una
espansione a un livello superiore di complessità.
“Grazie all’applicazione della macchina e del vapore la divisione
del lavoro ha potuto assumere tali dimensioni che la grande
industria, distaccata ormai dal suolo nazionale, dipende unicamente
dal mercato mondiale, dagli scambi internazionali, da una divisione
del lavoro internazionale. Infine, la macchina esercita tale influenza
sulla divisione del lavoro, che quando nella fabbricazione di un
prodotto qualsiasi si è trovato il mezzo di produrre a macchina
qualche parte di esso, la sua fabbricazione si divide immediatamente
in due gestioni indipendenti l’una dall’altra.255”
254
Ivi.
255
Karl M., Miseria della filosofia,
169
sulla divisione del lavoro, questo perché, la divisione del lavoro è da
considerarsi come una specie di macchina astratta. Marx ci dice che
ogni macchina è la riterritorializzazione di precedenti relazioni di
potere e che la divisione del lavoro si modella sui conflitti sociali e
sulla resistenza dei lavoratori, e da questo segue l’evoluzione
tecnologica. Ossia Marx ci mostra come non ci sia un determinismo
tecnologico. Le parti del “meccanismo” sociale si adeguano alla
composizione tecnica contemporanea in relazione al grado di
resistenza e conflitto. Le macchine sono plasmate dalle forze sociali
ed evolvono in sintonia con esse.
Lo stesso succede per le macchine informatiche che risultano anche
esse cristallizzazione di tensioni sociali, così come le macchine
industriali rimpiazzavano l’insieme di relazioni sviluppatesi nel
periodo manifatturiero, le macchine informatiche rimpiazzano le
relazioni cognitive del lavoro all’interno della fabbrica industriale.
La divisione del lavoro è articolazione delle parti meccaniche
rispetto a quelle intellettuali: “È nella grande industria
organizzatasi sul fondamento delle macchine che si verifica la
separazione delle facoltà intellettuali dal processo di produzione dal
lavoro manuale, e la trasformazione di queste facoltà in forze del
capitale sul lavoro. L’abilità specifica del singolo operatore-
macchina s’annulla come accessorio assolutamente trascurabile di
fronte alla scienza, alle gigantesche forze naturali e al lavoro sociale
di massa, che sono incorporati nel sistema meccanico e formano
insieme ad esso il potere del “maestro”.256”
Marx inizia il capitolo sulle macchine nel Capitale affermando che
la macchina è “un mezzo per la produzione di plusvalore”,
successivamente chiarirà che la macchina è un mezzo per
l’amplificazione di plusvalore, infatti le macchine non possono
produrre plusvalore, non potendo essere “sfruttate”, solo i lavoratori
producono plusvalore. Invece nei Grundrisse Marx sembra far
256
Karl M., Il Capitale.
170
riferimento ad una dimensione autonoma della conoscenza, un
sapere vivo che c’è prima di essere cristallizzato nelle macchine,
queste ultime incarnano una conoscenza collettiva, che governa
l’aumento di plusvalore così da diventare parte del capitale fisso. Da
questo punto di vista l’intuizione di Alquati della cibernetica come
dispositivo per accumulare l’informazione valorizzante risulta
essere estensione dell’idea di macchina marxiana come mezzo per
l’amplificazione di plusvalore. In entrambi, la relazione del
lavoratore con la macchina è conflittuale e l’informazione viva
(sapere vivo) alla base della macchina cibernetica è campo di
resistenza e lotta.
257
Deleuze G. e Guattari F., Millepiani.
171
compare di fatto nella radice etimologica stessa della parola
macchina258.
La macchina è quindi un apparato per l’amplificazione e
accumulazione di un dato flusso (energia, lavoro, informazione,
ecc.), la macchina si definisce in relazione ad un surplus piuttosto
che ad un assemblaggio.
Nell’Anti-Edipo Deleuze e Guattari introducono il concetto di
“plusvalore macchinico prodotto dal capitale costante”,
“riconoscendo che anche le macchine lavorano o producono valore,
che esse hanno sempre lavorato, e lavorano sempre più rispetto
all’uomo, che cessa così d’essere parte costitutiva del processo di
produzione per diventare adiacente a questo processo.259”
258
Negli studi correnti sul post-strutturalismo, quando la nozione di macchinico è rimandata alla sua etimologia,
ovvero al latino machina e al greco antico mechané, questa viene sempre risolta nei significati di mezzo,
strumento, artefatto, dispositivo, struttura. I dizionari più precisi, invece, ricordano nello specifico la radice mach-
che in diverse lingue indo-europee significa crescita, aumento, amplificazione di forza. La stessa radice mach-
affiora, ad esempio, sia nel latino magia che in magnus. Nell’alto tedesco antico la paro- la macht si riferisce a
potere, capacità, abilità e ricchezza in maniera simile al latino potentia.
259
Deleuze G. e Guattari F., L’anti-Edipo.
172
dal lavoro manuale dell’operaio (evoluzione dell’oggetto
tecnico).260”
260
Ivi.
261
Marazzi C., Capitalismo digitale e modello antropogenetico del lavoro. L’ammortamento del corpo macchina.
173
passato262”.
“L’ipotesi di lavoro sulla quale merita soffermarsi è la seguente: nel
nuovo capitalismo, nel modello antropogenetico emergente che lo
contraddistingue, il vivente contiene in sé entrambe le funzioni di
capitale fisso e di capitale variabile, cioè di materiale e strumenti di
lavoro passato e di lavoro vivo presente. In altre parole, la forza-
lavoro si esprime come la somma di capitale variabile (V) e di
capitale costante (C, più precisamente la parte fissa del capitale
costante).263”
C’è quindi esternamente al capitale industriale “fissato” nelle
macchine un aspetto macchinico della conoscenza, Marx nei
Grundrisse lo chiama “general intellect”, “sapere sociale generale”,
“lavoro scientifico generale” ecc. Il general intellect è produttivo da
un lato incarnandosi fisicamente nei macchinari industriali,
infrastrutture di comunicazione e network digitali, dall’altro tramite
una intellettualità di massa che gestisce la nuova divisione del
lavoro producendo nuove forme di vita che si trasformano in merci.
Infatti, il lavoro immateriale a livello individuale può essere distinto
in lavoro cognitivo (che lavora dentro la macchina creando nuove
macchine materiali, immateriali e sociali) e lavoro informazionale
(che opera di fronte alla macchina producendo informazione
valorizzante).
L’emergere del lavoro e del capitalismo cognitivo è quindi
fortemente legato alla crisi della legge del valore-tempo di lavoro,
ossia alla crisi della modalità di valorizzazione del capitale
industriale. Carlo Vercellone pone l’accento sul fatto che tale
valorizzazione basata sul tempo di lavoro sia una variante storica
determinata dalla legge del plusvalore, che invece di generale
prescrive solamente che il plus-lavoro sia da considerarsi alla base
della creazione dei profitti e delle rendite.
262
Ivi.
263
Ibidem.
174
“L’origine e il senso storico della legge del valore-tempo di lavoro
sono, infatti, direttamente legati alla configurazione del rapporto
capitale-lavoro che si sviluppa in seguito alla rivoluzione industriale
e alla logica della sussunzione reale del processo di lavoro al
capitale. In questa prospettiva, la legge del valore-tempo di lavoro
si presenta come l’espressione concreta dell’impresa di
disciplinamento e di astrazione del contenuto stesso del lavoro che
ha fatto del tempo dell’orologio, e poi del cronometro, i mezzi per
eccellenza per quantificare il valore economico emanato dal lavoro,
per prescriverne la modalità operative e aumentarne la
produttività.264”
264
Vercellone C., Lavoro, distribuzione del reddito e valore nel capitalismo cognitivo. Una prospettiva storica e
teorica.
265
Ivi.
266
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
267
Per Boutang il lavoro vivo si divide in due parti, a un primo stadio vi sono le attività basilari di appetenza,
movimento e coordinazione nello spazio, la tensione muscolare incorporata nella forza lavoro. Ci sono invece poi
attività superiori come la memoria e le funzioni cognitive, quella che potrebbe chiamarsi forza invenzione.
Buotang ritiene che lo sfruttamento del periodo mercantilistico ed industriale si basi sul primo livello, mentre nel
capitalismo cognitivo lo sfruttamento si basa sulla forza invenzione, piuttosto che sulla forza-lavoro.
175
cognitivo sta nel fatto ch’esso ricava la propria legittimità dalla
natura specifica della sua accumulazione. A cosa si riferisce la
qualità di questa accumulazione? Al fatto ch’essa si fonda
essenzialmente sullo sfruttamento di livello 2. Nel momento in cui
la redditività del capitale investito nell’attività produttiva proviene
quasi esclusivamente dallo sfruttamento di livello 2 (vale a dire che
lo sfruttamento di livello 1 riprodotto alla sua espressione più
semplice), siamo giunti al pieno dispiegamento del capitalismo
cognitivo. Prima ancora di essere un regime stabilizzando, un modo
di accumulazione, il capitalismo è la tendenza alla trasformazione
del modo di sfruttamento.268”
268
Boutang M., Le capitalisme cognitif.
269
Ivi.
270
Nella sussunzione reale, il capitale, si trova queste entità già formate, per quella formale, invece, il capitale
disciplina tali entità, partendo da entità formalmente libere di vendere la propria forza-lavoro volte ad incasellare il
lavoratore all’interno della categoria di salariato.
271
Individuarsi in modo non disciplinare se pur sempre controllato.
176
valore, che usi al suo interno un tipo di sfruttamento basato sui
processi di individuazione, per l’appunto l’imprinting.
272
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
273
“Nella struttura dialettica, tipicamente triadica, la sintesi effettivamente contiene la tesi e l’antitesi attraverso il
superamento della contraddizione che li lega; perciò, la sintesi si pone come gerarchicamente, ontologicamente e
logicamente superiore in relazione ai termini che riunisce. Al contrario, la relazione ottenuta attraverso una rigorosa
trasduzione mantiene la caratteristica asimmetrica dei termini [...] Nel pensiero trasduttivo non c’è un risultato di
sintesi, ma piuttosto una relazione sintetico-complementare: la sintesi non si completa mai[...] Questa é la ragione
per la quale possiamo chiamare una vera situazione dialettica una translettica, la quale implica un superamento che
é sempre prolungato tramite una attività di risoluzione di un problema che a sua volta procede attraverso l’incrocio
di fasi successive dell’essere.” (Simondon G. , L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information,
2005)
177
da affrontare. Questa dinamica è ciò che Simondon definisce come
individuazione, Il processo di individuazione non potrà mai essere
completo poiché questo si ha “nella formazione di un ente
strutturato (l’individuo) e di un contesto che conserva
completamente o in parte i potenziali274 presenti nel pre-individuale
(l’ambiente associato).275”
274
Questa riserva di potenziali inattualizzati è la conditio sine qua non del proseguimento dell’individuazione.
275
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
276
Stato di instabilità, tensione irrisolta entro una fase.
277
L’individuo vitale ha una riserva di potenziali inattualizzati più elevata rispetto all’individuo fisico sia dal punto
di vista di un ambiente associato, che di apertura interna verso inediti fattori individuanti. Infatti tanto più
l’individuo biologico potrà liberamente disporre del proprio potenziale inattualizzato, tanto più esso sarà
incompleto, ossia dipendente da altre entità individuali per quello che riguarda la soluzione delle proprie
problematicità.
178
Lo sfasamento dell’individuo vitale può avvenire anche da
dinamiche esterne ad esso, in questo modo “l’elemento psichico””
ricerca nell’ambiente associato una reciprocità che equilibri la
radicale indeterminatezza, scoprendo il trans-individuale, luogo di
una aggiuntiva individuazione, ossia quella collettiva: “ il collettivo
è il significato ottenuto per sovrapposizione in un unico sistema di
esseri che, uno per uno, sono disparati; è un contatto tra forme
dinamiche eretto a sistema, è un significato realizzato, consumato,
che esige il passaggio ad un livello superiore: l’avvento del
collettivo come sistema unificato di esseri reciproci. La personalità
collettiva dell’individuo è ciò che può acquisire un significato in
rapporto ad altre personalità collettive, suscitate nello stesso
momento da un gioco di reciproca causalità. La reciprocità, la
risonanza interna, è ciò che rende possibile il collettivo.278”
278
Simondon G., L' individuazione psichica e collettiva.
179
la loro esistenza. Da un lato, la più semplice delle azioni, dal
cucinare un pasto allo scrivere un saggio, impegna il lavoro di
individui distribuiti su tutto il globo terrestre, materializzato in
merci, habitus e macchine; mentre, dall’altro lato, c’è una tendenza
a trasformare ogni cosa, ogni relazione sociale, in qualcosa che
possa essere scambiata come merce.279”
279
Read J., La produzione della soggettività. Dal transindividuale al comune.
280
“Non é un lavoro, ma una dividuazione in quanto impiego di tempo gratuito che, attraverso una captazione
dell’uso del tempo facciamo in quanto individui, rinforza le ritenzioni collettive prodotte automaticamente e
performativamente da un capitalismo puramente computazionale. Questo carattere 24/7 permette a questa nuova
forma di capitalismo di anticipare gli individui e controllarne automaticamente le trans-individuazioni tanto
psichiche che collettive. É esattamente per questo che esso può essere definito totalmente computazionale.”
(Stirgler, 2015)
180
non tanto sulle forme di sfruttamento, ma più sulle pratiche ed i
meccanismi di controllo sociale, lo psicopotere, che annientano i
processi di individuazione.
281
Nicoli M., Le risorse umane.
282
Foucault M., Nascita della biopolitica.
283
Ivi.
181
“perché, in fondo, le persone lavorano? Naturalmente per avere un
salario. Ma che cos’è il salario? Dal punto di vista del lavoratore,
non è il prezzo di vendita della sua forza-lavoro, ma è un reddito.
Che cos’è un reddito? È semplicemente il prodotto o il rendimento
di una capitale. E, inversamente, si chiamerà “capitale” tutto ciò che
può essere, in un modo o nell’altro, fonte di redditi futuri. Di
conseguenza, se si ammette che il salario è un reddito, sarà dunque
il reddito di un capitale.”
182
analizzare la gratuità del lavoro, indagare quali siano le condizioni
che spingono un individuo ad accettare una prestazione non
retribuita e approfondire un contesto in cui la promessa di una
differita retribuzione risulta essere l’unica alternativa alla
disoccupazione.
284
Acquistapace A., Frammenti di auto-inchiesta frocia sul lavoro gratuito.
183
lavoro. Questa tipologia di meccanismo crea una concorrenza
interna tra lavoratori, una concorrenza basata appunto sulla
dedizione e sull’amore che si mette nel lavoro. Il lavoro gratuito è
l’estremizzazione di quello che le risorse umane delle aziende
tendono a produrre ossia il motto per cui la motivazione intrinseca
è molto più produttiva di quelle estrinseca.
184
della meritocrazia. Il lavoro gratuito è fondato e al contempo fonda
questo apparato.
285
Bascetta M., L’epoca della dis-retribuzione.
185
L’economia della promessa per potersi espandere totalmente deve
appropriarsi di ogni sorta di lavoro gratuito, privando ogni
riconoscimento a tutte le attività produttive e riproduttive non
pagate che generano valore. Ossia tutte le interazioni sociali, la
circolazione di sapere, che si sviluppano nella vita individuale e
collettiva non devo essere percepiti come produzione autonoma di
ricchezza sociale. Essendo proprio questo il bacino del lavoro
gratuito, ossia è il contesto della piena occupazione che permette
all’economia della promessa di attingere a lavoro gratuito.
286
Berlant L., Cruel Optimism.
186
politica della promessa e del lavoro gratuito. Infatti l’evento di Expo
Milano 2015 è stato terreno di sperimentazione delle nuove forme
di sfruttamento che abbiamo analizzato, legate a quello che può
essere definito imprinting reale. Expo 2015 ha infatti testato il
lavoro gratuito come condizione normale dell’attività produttiva.
Infatti prima di Expo 2015 il lavoro gratuito veniva giustificato e
consentito in via del tutto eccezionale come attività ponte tra lo
studio e l’inserimento nel mercato del lavoro, denominato stage o
tirocinio, ma successivamente si è trasformato in un contratto di
lavoro che ha progressivamente, negli anni della precarizzazione,
proliferato.
187
5.4. Dote di natura: conservare valore aggiungendo valore
287
Nella teoria Marxista, capitale variabile si riferisce all'investimento del capitalista nella forza-lavoro, visto come
unica fonte di plusvalore. È chiamato "variabile" dato che l'ammontare del valore che può produrre varia con
l'ammontare di quanto consuma. D'altra parte, il capitale costante si riferisce agli investimenti in fattori di
produzione "non-umani", come gli impianti e i macchinari, che secondo Marx contribuiscono solo con il loro valore
di sostituzione ai beni prodotti tramite il loro impiego. È costante nell'ammontare del valore impiegato
nell'investimento originale, e rimane costante anche la remunerazione ottenuta in forma di beni prodotti.
288
Fanno parte del capitale fisso tutti gli investimenti a lungo tempo di recupero, cioè i capitali che avranno il
corrispettivo ricavo oltre l'anno. Questi beni possono anche essere definiti "beni a fecondità ripetuta", poiché il loro
utilizzo concorre alla formazione del prodotto o servizio solo per una determinata parte del loro costo
(ammortamento). Tra questi beni si possono collocare, ad esempio, gli impianti e i macchinari. In sostanza il
188
produzione, questo capitale fisso, che per essere prodotto ha
necessitato di una certa quantità di lavoro, non risulta essere
ammortizzabile.
capitale fisso è quella parte di beni durevoli che costituiscono una fonte redditizia nello svolgimento di un'attività
produttiva. Fanno invece parte del capitale circolante tutti quegli investimenti che vedranno il corrispettivo ricavo
entro l'anno, quindi a breve tempo di recupero. Questi beni possono anche essere definiti "beni a fecondità
semplice", in quanto concorrono alla formazione del costo del prodotto per tutto il loro ammontare. Fanno parte del
capitale circolante, ad esempio, le materie prime, i lubrificanti e i combustibili.
289
Marx K., Storia delle teorie economiche. La teoria del plusvalore da WIlliam Petty a Adam Smith.
189
Il lavoro vivo quindi non crea la parte di valore del capitale fisso
consumata nel processo di produzione.
290
Ivi.
291
Ivi.
190
Nella teoria del valore lavoro si ha una quantità di lavoro produttivo
che non viene riconosciuto e che sarebbe quella parte di lavoro vivo
per l’ammortamento di capitale costante, oltre che quella parte di
domanda effettiva di reddito monetario che fa si che questi beni, il
cui prezzo viene determinato dal salario, dal profitto e
dall’ammortamento, vengano venduti e quindi monetizzati.
292
Marx K., Il capitale.
192
5.5. Femminilizzazione del lavoro: accumulazione attraverso il corpo
293
Curcio A., “Lo chiamano amore”. Note sulla gratuità del lavoro.
193
momento in cui non c’è distinzione tra amore e lavoro che si riesce
a nascondere lo sfruttamento del lavoro gratuito.
194
quantificare il lavoro cognitivo-relazionale ed in questa difficoltà si
introduce la progressiva de-salarizzazione di buona parte del lavoro.
294
Gorz A., Pensare l’esodo dalla società del lavoro e della merce.
195
Il rapporto di lavoro è uno strumento di controllo sulle soggettività
nel nuovo meccanismo del biopotere che superando la separazione
basate su genere, razza o classe, introduce la precarietà come
metodo di esclusione-inclusione. L’esclusione-inclusione quindi
avviene direttamente nel campo lavoro/non lavoro che si fa carico
individualmente di una forma di auto-controllo indotta. La
privatizzazione dei diritti base quali salute e formazione, che solo
coloro che si adeguano al controllo sociale normalizzando i loro
comportamenti hanno accesso, implicano che i diritti non vengono
più elargiti su principio della sessualità o della razza, ma su un
feroce principio produttivistico di utilità. Ed il salario che,
precedentemente esplicitava il sistema patriarcale vita pubblica/vita
privata, entra in crisi nel momento in cui è la riproduzione stessa a
essere principio di valorizzazione, in questo nuovo paradigma
diventa sempre più complesso capire cosa sia lavoro e cosa non lo
sia, chi è incluso e chi escluso. Come dice Cristina Morini “la
mescolanza tra vita e lavoro, esperita dai precari, rende
letteralmente impagabile il lavoro. Il “coinvolgimento” sul terreno
del lavoro supera il rapporto salariale e fa saltare la dicotomia tra
pubblico e privato, tanto più che la condizione di precaria si attaglia
particolarmente a professioni cognitive-relazionali e nell’ambito dei
servizi, dove prevale l’utilizzo di conoscenza e linguaggio, di
emozioni e di corpi.295”
295
Morini C., Divenire donna del lavoro e maschilizzazione dell’esclusione.
196
macchina è sociale nel suo smontarsi in tutti gli elementi connessi
che a loro volta fanno macchina.296”
296
Deleuze G., Guattari F., Kafka. Per una letteratura minore.
197
sfruttamento si realizzava tramite la produzione sociale di offerta di
lavoro operaia e più specificamente attraverso la trasformazione
della forza-lavoro disponibile in capitale variabile.
L’istituto sociale che ne veicolava la tangibilità era la mediazione
salariale che legittimava il rapporto tra la quantità di lavoro pagato
e la quantità di lavoro non pagato all’interno del rapporto sociale di
produzione. Si deve sottolineare che “mentre lo sfruttamento pre-
capitalistico è diretto […] nel caso del capitalismo lo sfruttamento è
indiretto, è mediato dal valore.297”
Questo carattere intrinseco di irriconoscibilità dello sfruttamento
capitalistico genera una disposizione soggettiva di servitù
volontaria298.
È proprio questa disposizione che evidenzia un’ulteriore logica di
estrazione del valore, che non ha come oggetto privilegiato della sua
pratica il lavoratore salariato (la forza-lavoro/capitale variabile), ma
la soggettività desiderante nelle sue diverse espressioni sociali.
Questa logica è stata definita da Chicchi, Leonardi e Lucarelli come
imprinting299.
In una intervista pubblicata sulla rivista americana Diacritics
nell’autunno del 1974, Félix Guattari ci dice che se da un lato il
potere realizza semiologie significanti per addomesticare e orientare
le masse, dall’altra ha bisogno di organizzare semiotiche a-
significanti. Le semiotiche a-significanti influenzano e orientano in
modo differente e a livelli sia molari che molecolari la produzione
sociale della soggettività desiderante. Sono fondamentali perché
creano le condizioni diagrammatiche300 che sono fondamentali per
297
Napoleoni C., Lezioni sul capitolo sesto inedito di Marx.
298
Lordon F., Capitalismo, desiderio e servitù. Antropologia delle passioni e forma dello sfruttamento.
299
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
300
Il concetto di diagramma è ben precisato da Deleuze e Guattari in Mille piani. “Non serve a nulla costruire una
semantica o anche riconoscerne un certo ruolo della programmatica, se si continua a farle passare per una macchina
sintattica o fonologica a cui viene affidato il loro trattamento preliminare. Una vera macchina astratta, infatti si
riferisce all’insieme di un concatenamento: può essere definita come il diagramma di questo concatenamento. Non
è linguistica, ma diagrammatica e sovralineare”. E ancora: “La macchina astratta è come il diagramma di un
concatenamento. Traccia le linee di variazione continua, mentre il concatenamento concreto tratta le variabili e
organizza i loro eterogenei rapporti in funzione di queste linee”
198
rendere possibile una più vasta e inglobante produzione di controllo
sociale.
Nel capitalismo contemporaneo i processi di valorizzazione non
sono più ristretti nelle pratiche di produzione, macchiniche e
standardizzate, della fabbrica industriale. Infatti, “[l]a vera e propria
assiomatica è quella della macchina sociale stessa, che si sostituisce
alle antiche codificazioni, e che organizza tutti i flussi
decodificati301”.
Così si può spiegare come la soggettività è allineata e adeguata ai
processi postfordisti di estrazione del valore.302
L’assiomatica, permette di spostare continuamente i limiti di
funzionamento del sistema, metabolizzare e “mettere a valore” linee
di fuga, utilizzare le crisi interne anche se così facendo il capitalismo
si sottopone a rischiosi movimenti di ristrutturazione dei suoi
apparati di comando e dei suoi criteri di valorizzazione. Inoltre
l’assiomatica, permette di capire come il capitalismo non possa
essere ridotto a una unica logica di funzionamento.
In questo modo si mostra anche l’insufficienza del paradigma della
sussunzione come unica logica del Capitale e dei suoi apparati di
sfruttamento. Come dice Lazzarato: “Deleuze e Guattari approdano
a questa definizione di capitale [...] per rispondere alla necessità di
pensare [...] una società i cui flussi sottoposti alla valorizzazione e
allo sfruttamento non sono unicamente flussi di lavoro, bensì flussi
di comunicazione, flussi linguistici e semiotici, flussi di conoscenza,
flussi sessuali, flussi di “tempo libero”, flussi di soggettività, flussi
urbani.303”
301
Deleuze G., Guattari F., L’Anti-Edipo.
302
“Così l’intera società, ricorrendo tra l’altro al sistema educativo, formativo, orientativo, lavora per produrre
immagini della vocazione che allineano gli individui alle precondizioni di futuri arruolati, condizionati a desiderare
l’arruolamento” (Lordon, 2015)
303
Lazzarato M., Il governo dell’uomo indebitato.
199
di valorizzazione de-territorializzato delle espressioni di flusso della
soggettività sociale304.
L’ampliamento dell’estrazione del valore alla macchina desiderante
permette al capitalismo un radicale di aggiornamento della sua
pratica di sfruttamento.
Christian Marazzi ci ha evidenziato un paradosso del capitalismo
contemporaneo: “[l]a dematerializzazione del capitale fisso e il
trasferimento delle sue funzioni produttive e organizzative nel corpo
vivo della forza-lavoro, è all’origine di uno dei paradossi del nuovo
capitalismo, ossia la contraddizione tra l’aumento d’importanza del
lavoro cognitivo, produttivo di conoscenza, quale leva della
ricchezza e, contemporaneamente, la sua svalorizzazione in termini
salariali e occupazionali.305”
La perdita di centralità del lavoro salariato nella estrazione del
valore viene sostituita dalla cattura delle mediazioni sociali, di quote
di soggettività sociale inserite nei processi di valorizzazione.
Il punto focale da sottolineare nuovamente è che la modalità di
estrazione del valore da parte del capitalismo non avviene più solo
e soltanto tramite una logica di traduzione del valore in capitale via
forza-lavoro. Come anticipa Marazzi alla fine degli anni settanta:
“per quanto paradossale possa sembrare l’obiettivo del capitale è
proprio quello di organizzare il sistema a tal punto che lo
sfruttamento avvenga direttamente nello scambio. L’utopia del
capitale è quella di succhiare plusvalore senza mediazioni senza
quella sequela per fasi successive che è invece tipica del sistema
capitalistico in quanto sistema di classe306”.
304
Per fare solo un esempio, nel capitalismo contemporaneo il peso dei mercati finanziari sulla vita interviene a
spostare sempre di più il peso del coinvolgimento soggettivo dal mercato del lavoro al mercato in generale: “[n]el
capitalismo contemporaneo, la congiunzione dei flussi e il loro sfruttamento è comandato dalla finanza, cioè dai
flussi più deterritorializzati, poiché è questa a decidere (...) dove, come e a quali condizioni di potere produrre. È il
suo punto di vista, cioè il punto di vista della gestione dei flussi astratti perché tradotti in moneta, a predominare su
quello del management dell’impresa privata” (Lazzarato M. , Il governo dell'uomo indebitato, 2013)
305
Marazzi C., Capitalismo digitale e modello antropogenetico di produzione.
306
Marazzi C., Commento al Convenevole.
200
È in base a questo obiettivo che ha preso forma l’imprinting, come
definito da Chicchi, Leonardi e Lucarelli.
Infatti la nuova logica di sfruttamento fa leva su una soggettività che
crea valore dalle sue capacità sociali creative e di innovazione dei
processi, qualità che nella catena di montaggio venivano annientate
all’interno di discipline organizzative.
L’imprinting, invece agevola l’illusoria libertà di agire di questa
soggettività tramite apparati di controllo e sollecitazione anche se,
orientata e vincolata, al regime di verità del mercato307.
Grazie alla prospettiva teorica dell’assiomatica si può osservare
come il capitalismo si determini tramite un rapporto di sfruttamento
basato su diverse logiche in coerenza tra loro che garantiscono il
funzionamento della riproduzione del sistema.
L’assiomatica quindi metabolizza e cattura le linee di fuga prodotte
nel diagramma, e assume le crisi della macchina di valorizzazione
come un suo necessario funzionamento.
Sono queste stesse linee di fuga ad innescare la produzione di nuove
aree di soggettivazione e, allargando il potenziale di realizzabilità
del valore, nutrono la crescita del sistema secondo una logica di
traduzione dei desideri che le animano all’interno della razionalità
economica di mercato.
Inoltre “il fatto è che il capitalismo dispone di una specie di
assiomatica, e, nel momento in cui dispone di qualcosa di nuovo che
non conosce, funziona come ogni assiomatica, è un’assiomatica mai
saturabile al limite: è sempre pronto ad aggiungere un assioma in
più per far sì che funzioni308”.
Quindi assiomatizzare significa in primo luogo allargare
indefinitamente i limiti di operatività del sistema.
L’assiomatica sociale lavora su enunciati a-significanti e astratti
sostituibili non appena il funzionamento del sistema lo renda
307
Dardot P. e Laval C., La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista.
308
Deleuze G., Codici, il capitalismo, il flusso, decodificazione dei flussi, capitalismo e schizofrenia, la psicanalisi,
Spinoza.
201
necessario. Detto diversamente “quando la logica di fondo del
sistema è fondata su principi e assiomi ipotetici (categorie), per lo
più formali e deduttivi (come l’assiomatica moderna prevede), non
vincolati quindi a nessuna risonanza semantica o intuizione
empiricamente fondata, “nulla più impedisce di porne degli altri, di
modificarne uno o di sopprimerne un altro: dalla logica si passa
quindi alle logiche, che saranno costruite a piacere. A sua volta, poi,
questa pluralità di logiche toglie il privilegio alla logica classica la
quale non è più che un sistema tra gli altri e come questi è una mera
architettura formale la cui validità dipende solo dalla coerenza
interna”309”.
Inoltre “con una logica ritenuta unica ed assoluta la corrispondenza
tra la sua forma assiomatizzata ed il suo uso operatorio, per quanto
possa restare parziale, si stabiliva per lo meno da se stessa. Ma non
può essere più così con le logiche costruite ad libitum, poiché la loro
diversità vieta ad esse di rapportarsi allo stesso modo con la stessa
logica operatoria, che difficilmente potremmo ammettere essere
similmente malleabile310”.
Nel capitalismo contemporaneo si genera valore secondo due
logiche operative (sussunzione e imprinting) e si tende a
marginalizzare la relazione sociale di tipo salariale, privilegiando
una logica di tipo impressorio, che si iscrive nei processi di
soggettivazione desiderante.
Infatti “[l]a produzione non è da considerarsi come un processo
puramente economico, governato unicamente da leggi del dare e
avere; in quel processo entrano fattori extraeconomici che si
rivelano tanto più decisivi quanto più il ciclo di lavoro si
intellettualizza. La cultura sociale, le immaginazioni contrastanti, le
attese e le delusioni, l’odio e la solitudine entrano a modificare il
ritmo e la fluidità del processo produttivo. La sfera emozionale,
309
Chicci F., Capitalismo come assiomatica sociale.
310
Blanché R., L’axiomatique.
202
ideologica, linguistica, condizionano la produttività sociale. E
questo diviene tanto più chiaro quanto più sono proprio le energie
emotive, linguistiche, progettuali a essere coinvolte dal processo di
produzione di valore.311”
L’imprinting è un modello di realizzazione dell’assiomatica sociale
per cui la soggettività viene indirizzata per allinearsi ai processi di
valorizzazione del capitale: “Il capitalismo appare come un’impresa
mondiale di soggettivazione proprio costituendo una assiomatica
dei flussi decodificati. [...] È stato recentemente sottolineato come
l’esercizio del potere moderno non si riduca all’alternativa classica
“repressione o ideologia”, ma implichi processi di normalizzazione,
modulazione, modellizzazione e informazione che passando
attraverso micro-concatenamenti riguardano il linguaggio, la
percezione, il desiderio, il movimento, ecc. Questo insieme
comporta sia un assoggettamento sia un asservimento spinti agli
estremi, come due parti simultanee che continuano a rinforzarsi, a
nutrirsi a vicenda.312”
Come asservimento e assoggettamento nell’analisi di Deleuze e
Guattari, sussunzione e imprinting per funzionare devono, però,
riuscire a coordinarsi a vicenda.
L’imprinting, opacizza lo sfruttamento capitalistico, confondendo,
nel diagramma, le linee di gerarchizzazione immanenti ai rapporti
sociali di produzione.
Si ha a che fare con una doppia ingiunzione dell’imprinting: “[e]cco
dunque la doppia ingiunzione dell’imperativo categorico del
capitalismo contemporaneo: (1) sii ciò che vuoi, agisci la tua
autonomia, purché (2) la risultante della tua azione sia traducibile
nell’assiomatica del capitale e nelle sue metriche convenzionali in
continuo mutamento. In altre parole, si tratta di un’inclusione
differenziale basata sull’apparente paradosso di un controllo sociale
311
Berardi F., L’anima al lavoro. Alienazione, estraneità, autonomia .
312
Deleuze G. e Guattari F., Millepiani.
203
che si esprime attraverso la produzione di libertà, di un dispositivo
di governo che organizza la produzione sociale incitando
all’autonomia soggettiva. In ultima istanza, l’imprinting dischiude
uno spazio di sfruttamento al di là della relativa omogeneità
necessaria al dispiegarsi della dinamica salariale: esiste una
specifica forma di subordinazione che trae linfa dall’indefinitezza,
piuttosto che esserne minacciata. In questo senso, l’imprinting
segna una fondamentale riconfigurazione dei rapporti sociali di
produzione.313”
I nuovi flussi di soggettivazione che si producono sono svincolati ai
codici della lotta di classe operaia; non sono predeterminati, anche
se si ha precarietà e promesse non realizzate i processi di
soggettivazione si fanno immanenti alle logiche del mercato e con
difficoltà riescono a percorrere traiettorie di esistenza differenti, sia
da quelle promesse dal principio di concorrenza e dai dispositivi di
imprenditorializzazione della vita, che da quelle che spingono verso
un ritorno-ripiego verso l’oramai esploso e frammentato mondo del
lavoro salariato.
“Quindi, e sempre a partire dalla considerazione tautologica di
poc’anzi, si capisce come gli uomini, i cui investimenti preconsci
d’interesse non vanno o non dovrebbero andare nella direzione del
capitalismo, mantengano un investimento libidinale inconscio
conforme al capitalismo, o che lo minaccia ben poco. Sia che
releghino, localizzino il loro interesse preconscio nell’aumento
salariale che nel miglioramento del livello di vita […] e in effetti
come non si troverebbe il proprio interesse nel buco che si è scavato
con le proprie mani in seno al sistema capitalistico?314”
Il problema per il capitale diviene quello di definire un discorso
sociale paradossale privo di rigidi codici simbolici, di memoria e di
313
Chicchi F., Leonardi E., Lucarelli S., Logiche dello sfruttamento.
314
Deleuze G. e Guattari F., L’anti-Edipo.
204
mediazioni istituzionali che potrebbero rallentare la circolazione del
capitale.
“L’assiomatica non ha infatti alcun bisogno di iscrivere in piena
carne, di segnare i corpi e gli organi o di fabbricare agli uomini una
memoria.315”
L’assiomatica istituisce uno spazio astratto e circoscritto del
comando sociale, che con l’imprinting permette l’esercizio sociale
di una nuova governamentalità capitalistica.
L’imprinting dispone e sollecita la soggettività direttamente in seno
ai processi di valorizzazione del capitale. Il capitalismo
contemporaneo è un insieme di dispositivi e di fantasmi che
tracciano aree elastiche di visibilità/invisibilità nel cuore stesso del
desiderare sociale.
Riassumendo, la logica dell’imprinting sollecita il soggetto al fine
di farlo aderire in modo proattivo all’assiomatica del capitale. La
produzione di soggettività quindi si potrebbe dire si ha tramite
l’alterazione della modalità con cui i soggetti costituiscono il
proprio fantasma inconscio, intendendo con ciò la creazione di
determinate condizioni ambientali affinché le soggettività possano
allinearsi al discorso capitalistico.
Gilles Deleuze in Logica del senso pone la questione del fantasma
sottolineando che questo è dotato di qualità “di mettere in contatto
il suo lato interno e il suo lato esterno per dispiegarli su un unico
lato.316”
Questa caratteristica permette che gli imperativi sociali tendano ad
allinearsi agli imperativi soggettivi e viceversa.
La questione rilevante è la richiesta sociale rivolta al soggetto di
porsi illusoriamente come agente primo. Il soggetto non agisce più
determinato dalla presenza del padrone e dalla verità dell’Altro ma,
fantasmaticamente, dall’illusione di essere libero di aspirare alla
315
Ivi.
316
Deleuze G., Logica del senso.
205
propria soddisfazione al suo pieno godimento. La società
narcisistica, del culto della personalità, dell’individualismo e
dell’idiozia generalizzata.
Il capitalismo contemporaneo si inserisce nelle relazioni sociali e
nei desideri soggettivi tramite una retorica sociale di esaltazione
della libertà e del godimento.
È qui che Lacan rintracciava l’insostenibile astuzia del capitalismo,
basata sulla consumazione compulsiva, sul debito infinito e sulla
finzione dell’Io. Dove si mettono assieme vanità del godimento e
capriccio della merce317; l’umano si riduce a una fittizia e disinibita
unità mimetica e contabile di godimento.
Questa costruzione del fantasma rende operativa la disposizione del
soggetto ad agire come un soggetto del e per il mercato, in una
dimensione fatta di competizione e rivalità.
Il capitalismo contemporaneo, come abbiamo visto, da un lato
agisce consumando i codici di organizzazione sociale dell’ordine
simbolico e dall’altro compensa fantasmaticamente il campo sociale
normativamente sempre più rarefatto.
Il risultato è un soggetto che si crede libero di agire mentre invece
il suo campo libidico è già fin da subito impresso nell’orizzonte
della fantasmagoria della merce.
317
Sul concetto di capriccio della merce di Karl Marx si veda il saggio di Borghi V. e Chicchi F., I capricci della
merce: produzione di merci come produzione di rapporti sociali.
206
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