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Relativ It A
Relativ It A
x′ = x − vt , (9.1)
y′ = y , (9.2)
z′ = z , (9.3)
t′ = t , (9.4)
Esempio: Verifichiamo che le equazioni di Maxwell non sono invariati per una trasformazione di Galilei.
Consideriamo allo scopo le equazioni:
∂B
∇× E = − ,
∂t
∇ ⋅ B = 0,
che assumono la stessa forma nel vuoto e nei mezzi materiali, non contenendo le sorgenti ρ e J e pertanto sono più
semplici da manipolare. A tali equazioni corrispondono le equazioni scalari:
1
L’invarianza della carica quando si passa da un sistema di riferimento ad un altro in moto rettilineo uniforme
rispetto al primo è un risultato sperimentale. Consideriamo un materiale conduttore originariamente scarico e i cui
portatori di carica siano costituiti da cariche negative, gli elettroni, e positive, ad esempio degli ioni del materiale.
Siccome gli elettroni posseggono una massa sostanzialmente diversa da quella degli ioni, a seguito del riscaldamento la
loro velocità cambierà in modo diverso da quella degli ioni. Se la carica dipendesse dalle velocità relative, le cariche
degli elettroni e quelle degli ioni, a seguito del riscaldamento, non risulterebbero più bilanciate e il corpo acquisirebbe
una carica netta diversa da zero. Siccome nessun fenomeno di questo tipo è stato mai osservato si conclude che la carica
elettrica di una particella è una quantità che non dipende dalla velocità della particella rispetto all’osservatore.
9-2 Relatività
∂Ez ∂E y ∂B
− =− x ,
∂y′ ∂z′ ∂t ′
∂Ex ∂Ez 1 ∂Ez ∂By ∂Ex ∂Ez ∂ 1
− − =− ; − = − By − Ez ;
∂z′ ∂x′ v ∂t ′ ∂t ′ ∂z′ ∂x′ ∂t ′ v
∂E y 1 ∂E y ∂Ex ∂B ∂E y ∂Ex ∂ 1
+ − =− z ; − = − Bz − E y ;
′
∂x v ∂t ′ ∂y ′ ∂t ′ ∂x′ ∂y ′ ′
∂t v
∂B′ ,
∇′ × E ′ = −
∂t ′
cioè come:
se risulta:
Ex′ = Ex ; Bx′ = Bx ;
1
E′y = Ey ; B′y = By − Ez ;
v
1
Ez′ = Ez ; Bz′ = Bz − Ey .
v
1
By = B′y + Ez ,
v
1
Bz = Bz′ + Ey ,
v
la (9.8) diventa:
Siccome il secondo membro di tale espressione in generale è diverso da zero, ne segue che:
∇′ ⋅ B′ ≠ 0,
ρ
∇⋅E = ,
ε0
∇ ⋅ B = 0,
∂B
∇× E = − ,
∂t
∂E
∇ × B = µ 0ε 0 + µ0 J .
∂t
Inoltre deve essere possibile misurare la velocità di un qualsiasi corpo rispetto a tale sistema di
riferimento privilegiato. Tuttavia i tentativi di stabilire la velocità della Terra rispetto all’etere
fornirono dei risultati negativi, a dispetto dei raffinati approcci sperimentali seguiti. Inoltre, tutte le
proposte per spiegare il risultato negativo di tali misure si rivelarono largamente inadeguate.
Nel 1905 Albert Einstein, partendo da tali risultati negativi
postulò la non esistenza dell’etere e generalizzò il principio di
relatività galileiano, affermando che tutte le leggi della fisica, cioè
sia quelle della meccanica che quelle dell’elettromagnetismo,
devono risultare covarianti in corrispondenza del passaggio da un
sistema di riferimento ad un altro in moto relativo uniforme rispetto
al primo (principio di relatività di Einstein). Siccome le leggi
dell’elettromagnetismo non sono covarianti in corrispondenza delle
trasformazioni di Galileo, se si accetta il postulato di Einstein
occorre o modificare le leggi dell’elettromagnetismo oppure
modificare le trasformazioni di Galileo. I tentativi di modificare le
leggi dell’elettromagnetismo in modo tale che per trasformazioni di Albert Einstein
9-4 Relatività
Galileo il principio di relatività fosse soddisfatto fallirono poiché le nuove espressioni delle
equazioni di Maxwell portarono a previsioni in disaccordo con gli esperimenti. Questo indicò che le
leggi dell’elettromagnetismo dovevano ritenersi corrette e pertanto non si poteva far altro che
modificare le trasformazioni di Galileo.
Nel 1904 Lorentz aveva osservato che le equazioni di Maxwell risultano covarianti in
corrispondenza della trasformazione di coordinate, nota come trasformazione di Lorentz:
x − vt
x′ = , (9.9)
v2
1− 2
c
y′ = y , (9.10)
z′ = z , (9.11)
vx
t− 2
t′ = c . (9.12)
v2
1− 2
c
Esempio: Per verificare la covarianza delle equazioni di Maxwell in corrispondenza dell’applicazione della
trasformazione di Lorentz, stabiliamo inizialmente le regole di calcolo delle derivate. Allo scopo, posto:
v
β≡ , (9.13)
c
1 1
γ≡ = ,
v 2
1− β 2
1− 2
c
x′ = γ ( x − vt ) ,
y′ = y,
z′ = z,
β
t′ = γ t − x ;
c
allora risulta:
Applicando tali regole alle equazioni (9.6) e (9.7) si ottiene: Hendrik Antoon Lorentz
Relatività 9-5
∂Ex ∂E β ∂Ez ∂B ∂B
−γ z +γ = −γ y + γ v y ;
∂z ′ ∂x ′ c ∂t ′ ∂t ′ ∂x′
∂E β ∂E y ∂Ex ∂B ∂B
γ y −γ − = −γ z + γ v z ;
∂x ′ c ∂t ′ ∂y ′ ∂t ′ ∂x′
da cui segue:
∂Ex ∂ ∂ β
γ ( Ez + vBy ) = − γ By + Ez ;
−
∂z′ ∂x′ ∂t ′ c
∂ ∂E ∂ β
γ ( E y − vBz ) − x = − γ Bz − E y .
∂x′ ∂y′ ∂t ′ c
Ex′ = Ex ;
β
E′y = γ ( E y − vBz ) ; B′y = γ By + Ez ;
c
β
Ez′ = γ ( Ez + vBy ) ; Bz′ = γ Bz − Ey .
c
Ricavando Ey e Ez da tali equazioni e sostituendo nella (9.5) e adoperando inoltre le regole di calcolo delle derivate, si
trova:
∂
∂y′
(γ Ez′ − γ vB′y ) − ∂∂z′ (γ E′y + γ vBz′ ) = −γ ∂∂Bt′x + γ v ∂∂Bx′x ,
da cui segue:
∂Bx β ∂Bx ∂ β ∂ β
γ −γ + γ B′y − γ Ez′ + ′ γ Bz′ + E′y = 0 ,
∂x′ ′ ′
c ∂t ∂y c ∂z c
da cui segue:
da cui segue:
Bx′ = Bx ,
O′P = OP − OO′ ,
r ′ = r − v0t .
Tale passaggio risulterebbe ovvio se i tre vettori r , r ′ e v0t fossero tutti misurati in S, tuttavia
siccome r ′ è misurato in S ′ , il passaggio precedente è giustificato solo se gli intervalli temporali e
le distanze spaziali sono gli stessi in tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme l’uno
rispetto all’altro. Questa ipotesi appare naturale essendo confermata dall’esperienza quotidiana, ma
tale ambito di osservazione comporta velocità piccole rispetto a quella della luce, per cui è possibile
unicamente affermare che tale ipotesi è vera limitatamente a quelle velocità.
Oltre al principio di relatività generalizzato ai fenomeni elettromagnetici, Einstein propose di
escludere l’ipotesi precedente sostituendola con un’altra, confermata dagli esperimenti, secondo cui
la velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Tale ipotesi è incompatibile
con l’identità degli intervalli temporali e delle distanze spaziali nei due sistemi. Infatti, se
consideriamo una sorgente posta in un punto A che al tempo t = 0 emette un impulso luminoso
parallelamente alla direzione del moto con velocità c, se A è il punto medio tra B e C solidali con S,
l’impulso giunge simultaneamente ( t B = tC ) in tali punti. Se invece A, B e C sono solidali con S ′ ,
per un osservatore in tale sistema l’uguaglianza c′ = c è incompatibile con il fatto che le distanze
AC e AB siano uguali e t B′ = tC′ .
Le trasformazioni di Lorentz soddisfano, come verificato, la prima delle ipotesi sulle quali si
basa la teoria della relatività di Einstein, cioè il principio di relatività generalizzato ai fenomeni
elettromagnetici, pertanto resta da verificare che attraverso tali trasformazioni la velocità della luce
risulti invariante quando si passa da un sistema di riferimento in quiete ad uno in moto rettilineo
uniforme rispetto al primo.
Relatività 9-7
dx′ = γ ( dx − v0 dt ) , (9.15)
dy′ = dy , (9.16)
dz ′ = dz , (9.17)
β
dt ′ = γ dt − 0 dx , (9.18)
c
dove β 0 vale v0 c . Dividendo membro a membro le (9.15), (9.16) e (9.17) per la (9.18), si ottiene:
dx
− v0
dx′ γ ( dx − v0 dt ) v −v
v′x = = = dt = x 0 , (9.19)
dt ′ β β dx β
γ dt − 0 dx 1 − 0 1 − 0 vx
c c dt c
dy
dy′ dy dt vy
v′y = = = = , (9.20)
dt ′ β0 β 0 dx β0
γ dt − dx γ 1 − γ 1 − vx
c c dt c
dz
dz ′ dz dt vz
v′z = = = = , (9.21)
dt ′ β0 β0 β0
γ dt − dx γ 1 − vx γ 1 − vx
c c c
Esempio: Per verificare che la trasformazione di Lorentz lascia invariata la velocità della luce consideriamo un impulso
luminoso in moto lungo l’asse x. Nel sistema di riferimento S, in quiete, la sua velocità vale:
v = c xˆ ;
la velocità nel sistema di riferimento S ′ in moto traslatorio uniforme lungo l’asse x è pertanto:
c − v0 c − v0 c − v0
c′ = = = =c.
β0 v0 1
1− c 1− ( 0)
c − v
c c c
Quindi, in accordo con l’ipotesi formulata da Einstein, la velocità della luce risulta indipendente dal sistema di
riferimento considerato.
9-8 Relatività
Esempio: Per stabilire le formule di trasformazione inversa, consideriamo la relazione (9.19) ed esprimiamo vx
attraverso v′x ; moltiplicando ambo i membri della (9.19) per il termine 1 − vx β0 c si ottiene:
β0
v′x − v′x vx = vx − v0 ,
c
ovvero:
β
vx 1 + 0 v′ = v′x + v0 ,
c
da cui segue:
v′x + v0 (9.22)
vx = .
β0 ′
1 + vx
c
v′y
vy = ,
β0
γ 1 + v′x
c
v′z
vz = ,
β
γ 1 + 0 v′x
c
cioè tali relazioni si deducono dalle relazioni dirette sostituendo, formalmente −v0 in luogo di v0 .
β
t ′A = γ t A − x A = 0 ,
c
β β
t B′ = γ t B − xB = −γ xB .
c c
Quindi t ′A ≠ t B′ ovvero, a meno che non si verifichino nello stesso punto (cioè non risulti xA = xB ),
eventi che per un osservatore solidale ad S risultano simultanei, non lo sono per un osservatore
solidale a S ′ .
Consideriamo due eventi A e B non simultanei in S, per esempio assumiamo che B segue A (cioè
t B > t A ), che, per semplicità, supponiamo si manifestino entrambi sull’asse x. Ci proponiamo di
Relatività 9-9
β
t ′A = γ t A − xA ,
c
β
t B′ = γ t B − xB ;
c
β β
tB − xB < t A − xA ,
c c
cioè:
xB − x A
tB − t A < β = β TAB ,
c
dove TAB rappresenta il tempo che impiega un impulso luminoso per percorrere la distanza xB − x A .
Siccome β < 1 , dalla relazione precedente si ha:
t B − t A < TAB ,
ovvero si avrebbe t B′ < t ′A solo se il tempo che intercorre tra gli eventi A e B in S è inferiore al tempo
di propagazione della luce tra i punti x A e xB . D’altra parte, richiedere che t B′ < t ′A comporta una
violazione del principio di causa ed effetto, così, per impedire tale violazione necessariamente
nessun agente fisico può propagarsi con velocità maggiore di quella della luce.
Supponiamo che due osservatori, rispettivamente solidali con y
S e S ′ vogliano stabilire la lunghezza di una sbarra rigida S y'
disposta parallellamente all’asse x, comune tra S e S ′ , e in quiete S'
′
rispetto al sistema di riferimento in moto S . A tale scopo,
l’osservatore in S, rispetto al quale la sbarra si muove con r
v
velocità v , dovrà, in un certo istante, segnare simultaneamente le
posizioni x A e xB degli estremi della sbarra, e, successivamente O x A¢
O¢
misurarne la distanza. Siano A e B i due eventi rappresentati dal xB¢
z
tracciamento degli estremi della sbarra da parte dell’osservatore z' x º x'
in S e supponiamo che entrambi avvengano all’istante iniziale per
S (cioè t A = t B = 0 ). La lunghezza l della sbarra misurata in S sarà:
l = xB − x A .
l ′ = x′B − x′A ,
x′A = γ ( x A − vt A ) = γ x A ,
x′B = γ ( xB − vt B ) = γ xB .
Pertanto:
l ′ = x′B − x′A = γ ( xB − x A ) = γ l ,
cioè la misura della lunghezza della sbarra fatta dall’osservatore in moto risulta minore della stessa
misura eseguita dall’osservatore in quiete, di un fattore pari a γ. Con un analogo calcolo è possibile
provare che, per una sbarra disposta perpendicolarmente alla direzione del moto non esiste alcuna
differenza tra i risultati delle due misure.
Consideriamo due eventi successivi A e B che avvengono nello stesso punto relativamente ad un
osservatore solidale con S ′ , ad esempio supponiamo che uno avvenga al tempo iniziale t ′ e l’altro
dopo un tempo ∆t ′ e che siano entrambi situati nell’origine del sistema di riferimento S ′ :
x′A = 0, t ′A = t ′;
xB′ = 0, t B′ = t ′ + ∆t ′.
Invertendo la relazione (9.12) è possibile stabilire i tempi t A e t B in corrispondenza dei quali hanno
luogo gli eventi A e B dal punto di vista di un osservatore solidale col sistema in quiete:
β
t A = γ t ′ + x′A = γ t ′,
c
β
t B = γ t ′ + ∆t ′ + xB′ = γ ( t ′ + ∆t ′ ) .
c
∆t ≡ t B − t A ,
∆t = t B − t A = γ ( t ′ + ∆t ) − γ t ′ = γ∆t ′ ,
cioè:
∆t
∆t ′ = ,
γ
ovvero un intervallo di tempo tra due eventi stabilito da un osservatore in moto ha durata maggiore
dell’intervallo tra gli stessi eventi misurato da un osservatore in quiete.
Relatività 9-11
Ex′ = Ex ; Ex = Ex′ ;
E′y = γ ( Ey − vBz ) ; Ey = γ ( E′y + vBz′ ) ;
Ez′ = γ ( Ez + vBy ) ; Ez = γ ( Ez′ − vB′y ) ;
Bx′ = Bx ; Bx = Bx′ ;
β β
B′y = γ By + Ez ; By = γ B′y − Ez′ ;
c c
β β
Bz′ = γ Bz − E y ; Bz = γ Bz′ + E′y .
c c
Facendo uso dei simboli e ⊥ per denotare i vettori diretti, rispettivamente, parallelamente e
ortogonalmente alla direzione in cui il sistema in moto S ′ si sposta relativamente al sistema in
quiete S con velocità v , allora, siccome l’asse x è orientato come tale direzione, si ha:
E ′ = Ex′ xˆ = Ex xˆ = E ′;
E⊥′ = E ′y yˆ + Ez′ zˆ = γ ( E y − vBz ) yˆ + γ ( Ez + vBy ) zˆ =
( )
= γ E y yˆ + Ez zˆ + v × B = γ E⊥ + v × B ;
⊥ ⊥
( )
B′ = Bx′ xˆ = Bx xˆ = B′;
β β
B⊥′ = B′y yˆ + Bz′ zˆ = γ By + Ez yˆ + γ Bz − E y zˆ =
c c
1 1
c ⊥
(
)
= γ By yˆ + Bz zˆ + 2 v × E = γ B⊥ + 2 v × E .
c ⊥
( )
Da tali relazioni segue che i vettori E e B , orientati parallelamente alla direzione della velocità
relativa dei due sistemi di riferimento, restano invariati nella trasformazione, mentre i vettori
perpendicolari E⊥ e B⊥ si trasformano in una mescolanza di campi elettrici e magnetici.
E = Ex xˆ + E y yˆ + Ez zˆ ;
essendo il campo nel sistema S puramente elettrico. Tuttavia, dalle relazioni di trasformazione dei campi segue che in
corrispondenza del campo E in S è presente un campo magnetico in S ′ pari a:
β β β β
B′ = Bx′ xˆ + B′y yˆ + Bz′ zˆ = Bx xˆ + γ By + Ez yˆ + γ Bz − Ey zˆ = γ Ez yˆ − γ Ey zˆ .
c c c c
Pertanto il puro campo elettrico E osservato in S viene visto in S ′ come una sovrapposizione di campi elettrico e
magnetico.
(
F = q E+v×B ; )
d’altra parte, siccome F = dp dt , dove p è la quantità di moto della particella, l’espressione
precedente può scriversi:
dp
dt
(
= q E+v×B . )
Nella meccanica classica la quantità di moto si esprime come:
p = mv
dv
m
dt
(
= q E+v×B . )
Affinché tale identità soddisfi il principio di relatività di Einstein essa deve risultare covariante
rispetto ad un cambiamento di sistema di riferimento inerziale, ossia in corrispondenza
dell’applicazione della trasformazione di Lorentz. Tuttavia nei paragrafi precedenti abbiamo
constatato come le formule di trasformazioni delle grandezze (la velocità e i campi) non contengono
la massa m. Pertanto se si assume, come accade nell’ambito della meccanica classica, che la massa
sia un invariante per cambiamento di sistema di riferimento, la precedente relazione non può
risultare covariante per una trasformazione di Lorentz. Ne segue che occorre formulare una nuova
definizione della quantità di moto tale che la conseguente seconda legge della dinamica sia
invariante per trasformazione di Lorentz, ma che nel limite delle piccole velocità ( v c ) si
riconduca all’espressione classica.
Relatività 9-13
sono uguali ed opposte in modulo e prima dell' urto dopo l' urto
di conseguenza la velocità del centro di massa è nulla. Dopo l’urto, siccome si conserva la velocità
del centro di massa, la particella di massa 2m si trova a riposo nel sistema di riferimento
considerato. Prima dell’urto la quantità di moto del sistema è:
pi′ = mv − mv = 0
mentre, dopo l’urto, siccome la velocità del centro di massa è nulla, si ha:
p′f = 0
pi = m ( 2v ) = 2mv .
p f = ( 2m ) v = 2mv .
S S' S S'
Se anziché adoperare le regole y y' y y'
m m 2m
classiche di composizione della
r r
velocità applichiamo la formula r
v
u r
v
v
relativistica (9.22), la velocità u
della particella diretta nel verso
opposto a quello del sistema vale: O O' x º x' O O' x º x'
prima dell' urto dopo l' urto
v+v 2v 2v
u= = = ; (9.23)
v v 2
1+ β 2
1 + v 1 + 2
c c
2mv
pi = mu = .
1+ β 2
D’altra parte, dopo l’urto S osserva ancora la particella di massa 2m in moto con velocità v, per cui:
p f = ( 2m ) v = 2mv .
m ( u ) + m0 = M ( v ) . (9.24)
Inoltre, utilizzando questa nuova definizione della massa, il principio di conservazione della
quantità di moto si esprime come:
m (u ) u = M ( v ) v . (9.25)
v
M ( v ) + m0 = M ( v ) ,
u
v
M ( v ) 1 − = m0 ,
u
m0 m0 m0 2m0
M (v) = = = = .
1−
v
1−
v 1
1 − (1 + β )
2 1 − β 2
u 2v 2
1+ β 2
2m0 2m0 − m0 + m0 β 2 m0 + m0 β 2 1+ β 2 m0
m (u ) = − m0 = = = m0 = =
1− β 2 1− β 2 1− β 2 1− β 2
(1 − β 2 )
2
(1 + β )2 2
m0 m0 m0
= = = =
1 + β 4 − 2β 2 1 + β 4 − 2β 2 + 2β 2 − 2β 2 1 + β 4 + 4β 2 − 4β 2
(1 + β ) 2 2
(1 + β ) 2 2
(1 + β ) 2 2
m0 m0 m0 m0
= = = = ,
(1 + β ) − 4β2 2 2 2 2
2
2β 2v 1 u
1− 2
1− 2
1−
(1 + β ) 2 2 1+ β c 1+ β c
m0
m= . (9.26)
2
v
1−
c
2
Ciò si ha, ad esempio, nel caso delle particelle emesse da nuclei radioattivi o nel caso delle particelle che
costituiscono i raggi cosmici o, ancora, nel caso delle particelle accelerate nelle moderne macchine acceleratici. Ad
esempio gli elettroni accelerati nel tubo catodico di un televisore con tensione di accelerazione pari a 20 kV hanno una
massa che risulta il 4% circa maggiore della loro massa a riposo.
9-16 Relatività
m0 v m0 v
p = mv = = ;
v
1−
2
(1 − β )
2 12
c
d dv dm
F= ( mv ) = m + v , (9.27)
dt dt dt
pertanto nell’ambito della relatività la derivata della quantità di moto, ovvero la forza, non è uguale
al prodotto della massa per l’accelerazione. Dalla (9.26) segue:
dm dm d β β m0 dv
= = ,
dt d β dt c (1 − β ) dt
2 32
d m0 β 2 m0 v
F= ( )
mv = a + a . (9.28)
(1 − β ) (1 − β ) v
12 32
dt 2 2
Tale relazione, che al solito, per v c tende all’espressione classica ma , ha quale immediata
conseguenza che la forza F non risulta, in generale, parallela all’accelerazione a in quanto il
secondo addendo è diretto secondo la velocità v .
Esempio: Un caso particolare in cui l’accelerazione è parallela alla forza si ha quanto la forza F è parallela alla
velocità v , come accade in un moto uniformemente accelerato. In tale circostanza la (9.28) si scrive nella forma:
(1 − β 2 )3 2
F=
m0
a+
β 2 m0
a= a
m0
+ β2 =
m0
a
(1 − β )
2 3
+β =
2
(1 − β ) (1 − β ) (1 − β ) (1 − β )
(1 − β )
1− β 2
2 1 2 2 3 2 2 3 2 2 1 2 2 32
m0 m0
a (1 − β 2 ) + β 2 =
2
= a.
(1 − β )
2 32
(1 − β 2 )
32
per specificare che tale risultato ha valore nella sola circostanza in cui F e a sono paralleli, generalmente tale
espressione viene indicata come:
m0
F = a ,
(1 − β )2 32
e il termine m0 (1 − β 2 )
32
prende il nome di massa longitudinale. Un'altra situazione in cui l’accelerazione è parallela
alla forza si ha quando il vettore F è perpendicolare a v e quindi risulta F ⋅ v = 0 . In questo caso il secondo addendo
della (9.28) è nullo e tale relazione si scrive nella forma:
Relatività 9-17
m0
F⊥ = a⊥ ,
(1 − β )
2 12
dove il termine m0 (1 − β 2 )
12
prende il nome di massa trasversa.
dL = F ⋅ dr ,
dal teorema dell’energia cinetica è noto che tale lavoro determina una variazione dEk = dL
dell’energia cinetica del punto, pertanto:
dEk = F ⋅ dr ,
dividendo ambo i membri di tale relazione per dt , siccome la velocità v del punto vale dr dt , si
ha:
dEk dr
=F⋅ = F ⋅v ,
dt dt
cioè il prodotto scalare F ⋅ v rappresenta il tasso di variazione dell’energia cinetica del corpo
considerato. Dalla relazione (9.27) segue:
dEk dv dm dv dm dv dm 2
= F ⋅v = m + v ⋅v = m ⋅v + v ⋅v = m ⋅v + v ,
dt dt dt dt dt dt dt
per cui la variazione infinitesima dell’energia cinetica dEk del punto materiale vale:
dEk = m dv ⋅ v + dm v 2 . (9.29)
Consideriamo ora la relazione (9.26), elevando al quadrato ambo i membri e moltiplicando ambo i
membri per il fattore 1 − v 2 c 2 , segue:
v2
m 2 1 − 2 = m0 2 ,
c
ovvero;
m 2 c 2 − m 2 ( v ⋅ v ) = m0 2 c 2 .
9-18 Relatività
2m dm c 2 − 2m dm v 2 − m 2 2 ( dv ⋅ v ) = 0
m dv ⋅ v + dm v 2 = c 2 dm .
dEk = c 2 dm .
Se la forza F agisce sulla particella originariamente a riposo nel sistema di riferimento considerato,
l’energia cinetica in corrispondenza di un generico istante vale:
m
Ek = ∫c
2
d µ = ( m − m0 ) c 2 = mc 2 − m0 c 2 .
m0
La relazione
Ek = mc 2 − m0 c 2 , (9.30)
rappresenta il teorema dell’energia cinetica nel caso relativistico ed è possibile verificare facilmente
come tale espressione tenda alla relazione classica nel limite v c .
Esempio: Per verificare il limite classico della relazione (9.30), scriviamo tale espressione facendo uso della (9.26):
m0c 2 1
Ek = mc 2 − m0c 2 = − m0c 2 = m0c 2 − 1 ,
(1 − β )
2 12 (1 − β 2 )
1 2
1 1 3
= 1+ β 2 + β 4 +… ,
(1 − β ) 2 12 2 8
4
Ek = m0c 2
1
− 1 = m0c 2 1 + 1 β 2 + 3 β 4 + … − 1 = 1 m0v 2 + 3 m0 v + … ,
(1 − β 2 )1 2
2 8 2 8 c 2
1
Ek ≈ m0v 2 ,
2
∆E = c 2 ∆m .
m0 c 2
E ≡ mc = Ek − m0 c =
2 2
,
(1 − β )2 12
prende il nome di energia totale della particella e comprende l’energia cinetica e l’energia di riposo.
Esempio: Ad ogni massa in quiete corrisponde un elevato contenuto energetico, ad esempio l’energia contenuta in un
corpo di massa pari ad un grammo vale:
cioè in un grammo di materia è contenuta un’energia pari a quella prodotta in 5 giorni circa da una centrale elettrica da
200 MW .
Esempio: Nel processo di fusione di due nuclei atomici la massa del nucleo così composto risulta minore della massa
dei singoli nuclei componenti. La differenza, denominata difetto di massa è pari al rapporto EB c 2 , dove EB è l’energia
che si libera nel processo sotto forma di radiazione elettromagnetica o calore (energia di legame). L’energia liberata in
questo processo di fusione nucleare è responsabile dell’intenso flusso luminoso delle stelle fisse.