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LA

CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO NONO

Beatus populus cuius Dominus


Deus eius.

Ps. cxLIII, 18.

TERZ A1 S E RIE

VOL. NONO

R O MIA
COI TIPI DELLA CIVILTA' CATTOLICA
Via di Borgo Nuovo al Vaticano 81.

1858.
IL CoNGREsso INTERNAZIONALE
. DI BENEFICENZA

A F R A N CO F O RT E
-o-o;9oo

L'uomo, meraviglioso composto di materia e di spirito, è natu


ralmente portato, per la parte materiale a contemplare ed ammira
re quanto ha di esteso, di macchinoso, di strepitoso il mondo ester
no; per la parte spirituale a penetrarne con meraviglia le intriga
tissime cause e l'interno magistero. Ma di queste due contempla
zioni or l'una prevale, or l'altra, secondo le varie tempre del sog
getto contemplatore. La prima occupa fortemente le teste più vol
gari, le quali nella stampa periodica o nelle storie dei popoli corro
no in traccia di avvenimenti strepitosi, di monumenti colossali, di
rivoluzioni, di battaglie, di grandi scoperte meccaniche, di vicende
politiche o religiose d'ogni maniera. Agl'intelletti più sublimi tut
t'altro pascolo è richiesto: e fatti che trascorrono inosservati, idee
che si propagano inavvertite presentano talora l'aspetto di avveni
menti importantissimi, donde germoglieranno a suo tempo i destini
del mondo. Di tal tempra era la mente di quel Vescovo, la cui Me
moria intorno alla propaganda musulmana in Africa e nelle Indie
venne inserita nel Correspondant dei 10 e 25 Maggio 1851, Il Ve
scovo nelle sue missioni in que' paesi, osservando il fanatismo tur
co alla Mecca eil progresso di quella nazione nella marineria di com
IL CoNGREsso INTERNAZIoNALE DI BENEFICENZA A FRANCoFoRTE 169)
mercio e di guerra, annunziava i movimenti odierni dell'India ed
altri che probabilmente non falliranno,come questo nonfalli. Della
stessa tempra era la testa di quel Napier, le cui parole da noi altrove
citate i intorno ai pericoli dell'Impero indobritanno avrebbero dato
ai pari suoi nell'anno, in cui si pronunziarono, soggetto di maggior
meditazione, che tutt'i sovvertimenti presenti, i quali richiamano
oggi la curiosità degli sfaccendati e i tardi pentimenti di chi nulla
previde.
A coteste più acute intelligenze crediamo noi dover raccomandare
come avvenimento importantissimo, dopo tanti altri Congressi in
ternazionali, quello di beneficenza che, tenuta l'anno scorso a Bru
xelles la sua prima tornata, raccolse quest'anno alla seconda, nel
centro della Dieta germanica dal 14 al 19 dello scorso Settembre,
forse 160 persone di varie nazioni sotto la presidenza del Consigliero
intimo di Reggenza a Berlino signor Bethman-Hollweg. Non già,
vedete, che possiamo aspettarcene, come certi filantropi s'andranno
forse immaginando, o una redenzione del proletario o una emanci
pazione della donna, o la santificazione dei carcerati penitenti o al
tre simili beatitudini tante volte promesse e ripromesse indarno;
cui certi goccioloni incorreggibili continuano a sperare dalle ciarle
ufficiali, come gli Ebrei sperano dalle nuvole il loro Messia. Oh! in
questo senso cotesto Congresso non frutterà ai poveri più di quello
che al sapere italiano profittassero i famosi Congressi degli scienzia
ti, o alla pace universale le perorazioni del Cobden e de' suoi com
pagni. In generale la vera carità, la carità cattolica, addottrinata
dal Redentore a non istrombettare le proprie larghezze, rifugge
da coteste clamorose adunanze: le quali per conseguenza servono
piuttosto a chi ama fare parlare di sè, sfoggiare in bei discorsi, av
venturare concetti e divisamenti magnifici e straordinari, trovare
occasione d'intrecciare conoscenze ed amicizie e banchettare feste
volmente cogli uomini del bel mondo; che è la prossima e più si-
cura conclusione di somiglianti Congressi. E Dio volesse che non

1 Vedi Civiltà Cattolica vol. VIII, terza serie, pag. 433.


470 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

vi fosse talvolta di peggio e non si raccogliessero i Congressi di be


neficenza, come già quei della scienza, per preparare alla società
scompiglio, desolazione e pianto.
Sotto l'aspetto dunque di filantropia noi poco speriamo da co
tali adunanze; utilissime quando trattisi d'istituzioni materiali,
come telegrafi, commerci, polizie, medicina e simili. Ma sapete voi
ciò che in simili congressi,e specialmente in questo, crediamo rav
visare d'importante? Noi veggiamo in esso tre elementi degnissi
mi dell'attenzione dei savi: e sono, i progressi della grande unio
ne dei popoli, attuazione dell'idea cattolica; l'intrusione, la tiran
nia, l'indipendenza dello spirito eterodosso che vi si dibatte; l'on
nipotenza meravigliosa del Verbo eterno, che costringe codesto
spirito a servire ai suoi disegni e loro preparare il trionfo.
E in quanto all'unione, che simili congressi manifestano già mo
ralmente o preparata o inoltrata o formata, niunoè che non sap
pia essere cotesta un'idea essenzialmente cattolica,fondata sul va
ticinio del Redentore: Fiet unum ovile et unus pastor: e la Chie
sa, dacchè l'avvivò il Paracleto, lavora a tale impresa assidua
mente, con missionari, con Vescovi, con Ordini religiosi, con
giubilei, con crociate e pellegrinaggi, con Università e congrega
zioni e con mille altri argomenti destinati astabilire, mantenere, fe
condare quella cattolica unità, donde nacque la civiltà europea.
Ma forse i Cattolici stessi non avvertono sempre a quell'essenzial
mente, a quella relazione intima e naturale che passa fra unità mo
rale del genere umano e Chiesa cattolica: specialmente dopochè la
filantropia umanitaria, usurpando al cristianesimo cotesto concetto,
l' ha trombettato al pubblico come una grande novità. Accade qui,
come in altre cattoliche dottrine che, non potendo cancellarsi del
tutto nella civiltà europea, anche dopo l'introduzione del principio
eterodosso, la bellezza del concetto cristiano, già abbracciato come
innegabile, quando l'Europa era interamente cattolica; i nemici,
della fede ne tolgono in prestito una tinta di vero per inorpellarne
e rovi ed iniquità. E come rubando alla fiaccola della Chiesa qual
che isolata scintilla di sue dottrine, i volteriani si facevano inven
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 171

tori e promulgatori di natural probità, gl'illuminati di religione


naturale, i politici costituzionali di potere temperato, i dottrinari
-eclettici diuna pietà senza dommi; così gli umanitari usurpano al
la Chiesa 1 la meravigliosa idea della società di tutti i popoli, sot
traendone però quel fondamento dell'unità di fede, senza di cui
l'unità delle genti altro non può essere che il vecchio sogno del
l'impero universale o la sventura dell' universale schiavitù sotto
un centralismo colossale.
Sia vecchio sogno o universale schiavitù, voi vedete, lettore,
qual tristo compenso ci offrano gli umanitari insurrogazione del
l'unico ovile. Ma tristo e malaugurato qual'è, esso vi mostra pure
come progredisca nella società incivilita tacito ed inosservato l'av
veramento del gran vaticinio. Cotesto medesimo procedere tacito e
inosservato forma parte egli stesso dell' avveramento; essendo
scritto, come voi ben sapete, che il regno di Dio cresce come

1 Cotesti plagi di belle istituzioni cattoliche potrebbero dare soggetto di un


lungo articolo e curioso. Sanno i lettori quante volte fu detto dai libertini stessi
che i vantati penitenziari della civiltà moderna sono semplici imitazioni o rac
conciamenti di ciò che esisteva in Roma fin dal 1700: sanno gli sforzi eroici
fatti da Miss Nothingale per contraffare anglicanamente le Suore di Carità, e
l'eroico fiasco in cui quelli abortirono. Or noi dubitiamo che altro simile pla
gio sia quel Kindergarten (giardino di ragazzi) che il rapporto del sig. Giulio
Duval (ne diremo fra poco) ricorda come istituzione tedesca, appena conosciu
ta fuori di Germania, e raccomandata alle madri di famiglia e alle autorità
municipali dal Congresso filantropico. L'invenzione, che si dice del Froebel,
venne raccomandata nel Congresso dall'infaticabile sua promotrice, la baro
nessa di Marenholtz, come ispirata dall'amor dei fanciulli ed efficacissima alla
lor buona educazione. ll rapporto non ispiega in che consista quella pratica:
ma il titolo ci fa dubitare assai che altro essa non sia in sostanza se non ciò
che nelle scuole di Roma appellasi appunto il Giardino, usitatissimo anche in
Napoli e in Sicilia da tutte le scuole e le pie congregazioni; le quali in qualche
amena villetta raccolgono i loro giovanetti nelle ore di sollievo per congiun
gervi l'allegria della brigata con la tutela dell'innocenza. Se così fossero i
giardini tedeschi, l'invenzione risalirebbe per Roma almeno al secolo di S. Fi
lippo Neri, benchè rivelata per la prima volta ai membri del Congresso (pag.
80) nel 1857.
172 IL CONGRESSO lNTERNAZIONALE

semente raccomandata al terreno mentre l'uom dorme, e non se


ne accorge 1; che giungerà come ladro senza che altri l'aspet
ti; che fermenta nascosto in quella farina che per lui si trasfor
ma. Tutto ciò vi dimostra come il preteso concetto umanitario,
altro non è che una scimmiatura di quel Cattolicismo inventato
18 secoli fa dalla Sapienza incarnata, che agita e fermenta questo
impasto, in cui la Chiesa lo nascose, e tende ad infondervi quell'u
nità, di che per sè stessa egli sarebbe incapace.
Questa incapacità poi che comparisce evidente e dai fatti passati
e dai presenti tentativi,è fondata nella natura, nell'essenza stessa
delle cose. Conciossiachè dovendo ogni unità sociale risultare da
gli atti dell'uomo; e gli atti dell'uomo da una ferma persuasione
della sua ragione; è chiaro che se voi non trovate un mezzo per
congiungere le intelligenze, mai non riuscirete a formare una vera,
umana, durevole società. Ora, tolto il principio cattolico, trovate voi
più nella società incivilita altro universale principio, a cui aderiscano
spontanee le intelligenze? Ne avete in questo momento, dopo tante
altre, la solenne risposta nel Sinodo, ossia commedia, di Berlino
destinata a congiungere in unica alleanza evangelica le dissonanze
del protestantesimo 2. E da codesto microscopico fiasco potete ar
gomentare quale sarebbe l'impotenza di chi tentasse fra elementi
eterodossi il congiungimento delle nazioni. Come! un pugno di mi
nistri protestanti con unica Bibbia alla mano, dopo lo studio erme
neutico di tre secoli,vedendosi ormai vicini a perire, ne hanno di
stillato finalmente nove gocciole di domma; e fanno di tutto per
sorbire almeno queste, come ultimo tentativo contro lo sfacelo della
cancrena; e le nove gocciole non possono trangugiarsi da tutti quei
pochi ministri cointeressati, che debbono sciogliersi senz'aver nulla
concluso; e voi vorreste sperare di unire co' principi medesimi
tutti i popoli della terra! Via via, lettore mio gentile, bando a co
testi sogni. L'unico ovile è idea di Dio,e solo Dio potrà ridurla in

i Semen germinet et increscat dum nescit ille MARC. IV, 27.


2 Vedi Civiltà Cattolica terza serie, vol. VIII, pag. 507.
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 173

atto. Tutti codesti racconti sapete voi che sono? Sono, si parva li
cet componere magnis, le mediocrità architettoniche di Firenze co
spiranti intorno alla cupola di S. Fiora per escluderne la mente in
ventrice del Brunelleschi.
Sebbene nò, il paragone neanche in piccolo non regge. Chè in
fin dei conti la gelosia di quei di Firenze non giunse a demolire il
già fabbricato e sperderne le macerie. Ben essi volevano appro
priarsi il disegno e la gloria: ma si contentavano di continuare la
fabbrica com'era iniziata, e valersi di quelle pietre che erano già
destinate all'edifizio. Non così gli eterodossi nella fabbrica della casa
spirituale: essi vogliono la società universale del genere umano,
ma fuori del cristianesimo e fabbricata col nulla.
Col nulla; sissignori! proprio col nulla: giacchè il gran mezzo,
il gran ripiego da loro scoperto per congiungere in unità perfetta
tutti i popoli della terra, è stato quello di eliminare a poco a poco
tutti que'dommi, con che la Sapienza incarnata volle congiungerli,
ma che trovavano un contraddittore. Così furono esclusi tutti, fuor
chè quei nove; e poichè contra questi ancora le obbiezioni non
mancano, sarà pur forza abbandonare anche questi e fabbricare l'u
nità d'intelligenze senza dottrine, col nulla, o, come suole dirsi,
con la tolleranza universale 1. - -

Comprendete voi pienamente, lettore, l'abisso di assurdità di un


tale concetto? Che direste d'una accademia di disegno, ove alla
scuola notturna de' gessi il professore per ottenere da tutti gli sco
lari una medesima copia, smorzasse i lumi e li lasciasse all'oscuro
senza originale? che direste di una sinfonia, ove per ottenere l'ac
cordo dei musici, si proscrivesse la partitura e il maestro di cap
pella per lasciare liberi i suonatori? Che direste di un viandante
che ignorando la direzione del suo viaggio, e ritrovando dispa
1 Infatti le dotte lettere dell'abbate Guerber intorno al protestantesimo
d'Alsazia lo mostrano colà molto più discreto dell'evangelismo prussiano:
credereste? Si contentano di legare alla loro comunione chiunque ammette i
due dommi dell'unità di Dio e immortalità dell'anima.(Vedi l'Univers dal 17
al 24 Decembre 1857).
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174 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

reri fra coloro, cui ne domanda, si risolvesse a chiudere gli occhi


e camminare alla cieca? Niunasocietà umana potrà mai spogliarsi
del desiderio del bene, dell'amor dell'ordine,del sentimento di giu
stizia: ma per ottenerli è pur necessario, chi nol vede? saper dove
trovinsi quelle belle cose. Dire a tutto un popolo, dire alla molti
tudine di tutti i popoli « Accordatevi di tendere unanimi ad effet
tuare il bene, l'ordine, la giustizia»; e frattanto a tal uopo vietare
universalmente di decidere che cosa sia bene, ordine e giustizia;
egli è proprio un volere che si acciechino per giungere, senza ve
derlo, concordi al termine a cui aspirano.
Or vedete, lettore, se è possibile fuori del Cattolicismo l'unica so
cietà umanitaria !! Se ne vedete l'impossibilità, concederete insieme
che l'unico ovile, come fu concepito solo dal Redentore, cosi solo
nella sua Chiesa e colla sua fede può condursi ad effetto. Di che
siegue ciò che in secondo luogo abbiamo proposto, che quando l'e
terodossia mette mano a tali faccende, ella vi s'intrude come un
guastamestieri, distruggendo in parte il già fabbricato e rendendo
impossibile, finchè ella dura all'impresa, il proseguimento e il com
pimento. Questa conseguenza, che risulta genericamente dall'anzi
detto, riceve un'applicazione e una conferma degnissima dell'atten
zione dei savi nel Congresso di Francoforte.
Codesta solenne adunanza di filantropi benefici,si propone il te–
ma più nobile insieme e più facile che per tali congressi potesse
idearsi. Quale idea più nobile che unificare tutti gli sforzi del mon
do incivilito per asciugare ogni lagrima, confortare ogni travaglio ?
Se vi ha un assunto, ove debba essere facile il congiungere gli ani
mi, per fermo egli è cotesto, a cui tutti naturalmente cospirano gli
animi onesti. Disgraziatamente, qualunque esser possa il merito per
sonale de'concorrenti, lo spirito onde muove l'impresa non è il cat
tolico: è piuttosto quello spirito umanitario immaginato appunto per
contraffare nell'irreligione il Cattolicismo, per ristabilire una unità
fra esseri indipendenti. «L'istituzione del Congresso, diceva nell'a-
pertura il Presidente Bethman, ha la sua ragione nelle profonde
trasformazioni operate nella società dai progressi dell'incivilimento:
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 175

il quale traendo da servitù a indipendenza, da corpi d'arte a li


bertà di lavoro, sollevò l'uomo alla vera sua dignità. Se non che,
atterrate le antiche istituzioni, asilo e sussidio delle moltitudini;
l'individuo isolato nella sua indipendenza dovette soccombere in
nuova lotta; e la società vide nuovi mali riprodursi per ogni dove
sotto la triplice forma di miseria, di degradamento fisico e morale,
di delitti. Ma la libertà che produsse il male, dee produrre il rime
dio: giacchè chi è libero sta mallevadore delle proprie azioni. Ed
ecco l'origine del nostro Congresso, il quale, prescindendo da tutte
le differenze nazionali, politiche, religiose, intende contrapporre
alla miseria la beneficenza, alle tenebre del degradamento l'educa
zione, ai delitti i penitenziari: santa alleanza di nazioni ispirata
dal pensiero cristiano, a fine di preservare la società europea dal
dissolvimento onde è minacciata, e sollevarla all'altezza della sua
missione mediatrice della civiltà del mondo 1. »
Attraverso alle ampollosità di queste frasi, il lettore avrà notato
da sè varie confessioni importanti.Il presidente del Congresso rico
nosce (e questo gli fa onore) che il pensiero è suggerito dal cristia
nesimo. Ma disgraziatamente vuole che prescinda dalle differenze
religiose (il che è un po' difficile a combinarsi specialmente pe' fi
lantropi ebrei). Riconosce inoltre che l'indipendenza è l'anima del
la società moderna; che questa indipendenza, sollevando l'uomo
all'altezza della sua vera dignità,gli partorì miseria, abbrutimen
to, delitto (curiosa dignità, madre di tale figliuolanza!); che cotesta
indipendenza dignitosa conduce a dissolvimento la società: che i
corpi d'arte erano asilo e sussidio, e non già schiavitù delle molti
tudini. Ma l'ingenuità di queste confessioni non basta a velare ad
occhio mediocremente perspicace quella tinta d'indifferentismo re
ligioso, senza cui simili unioni, e in materia tanto intimamente con
nessa con la religione, mai non congiungeranno Cattolici con ete
rodossi,

1 Journal des Économistes, Octobre 1867 pag. 75 e 76.


176 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

Infatti appena terminata la prolusione e introdottasi la trattazio


ne intorno alla beneficenza, la sala si cangiò in arena,in cui gli spi
riti che avevano lottato nel Belgio in favore o contro della carità
cattolica, tornarono a cozzare sì duramente,che per lo meglio con
venne abbandonare il campo e tacere del problema (p. 76). Se non
che cotesto silenzio essendo più utile alla pace che al sapere, que
sto chiese in grazia che una medaglia di 200 fiorini invitasse a scio
gliere per iscritto quel problema, sopra di cui dovevano tacere le
voci. Manco male ! la lotta delle dissertazioni sarà taciturna ed in
Cruenta.

Ma che vale prudenza e tolleranza contro la natura delle cose?


Sopito appena il primo dissidio, ecco riscaldarsene un secondo pei
termini, dice il JoURNAL DEs ÉcoNoMISTEs, più che severi usati dal de
putato di Algeria, l'abate Landmann, qualificando per immorale e
viziosa l'educazione di non so quale istituto di donzelle, ove le gio
vani moresche vengono allevate en dehors de tout proselytisme reli
gieux (pag. 78). Non avendo sott'occhio gli atti del Congresso, non
possiamo porre in fermo alcun giudizio, nè assumere le difese del
sacerdote cattolico con piena cognizione di causa. Dal poco che ci
presenta il giornale economico ci sembra ravvisare nella rimostranza
del deputato d'Algeria un sincero rappresentante dello zelo cattoli
co. Ma ad ogni modo potendosi dare certi casi, in cui la vera pru
denza vieta per minor male il proselitismo, prescinderemo dal me
rito della causa, e ricordiamo il contrasto unicamente perchè si
vegga quanto poca speranza aver si possa di unità umanitaria sotto
gli auspici della sola filantropia.
Nè qui si arrestano gli urti; chè al finir di questo la quistione
intorno ai limiti dell' assistenza pubblica ridesta il dissidio pocanzi
sopito intorno alla beneficenza del Belgio. E le quistioni seguenti
intorno all'istruzione universalmente obbligatoria, alla sua gratui
tà, alla riforma penitenziaria e simili dovettero certamente muo
vere ugualmente gli spiriti. Poichè il relatore, dopo aver riferito
le vive critiche apposte al Dottor Varrentrapp intorno alla riforma
penitenziaria e al sistema cellulare, conclude col Ducpétiaux non
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 77

essersi inteso di deciderne la quistione, ma solo di raccomandarne lo


studio (pag. 81). Quando le risoluzioni sono così discrete, soggiu
gne il giornalista, l'accordarsi è facile: ma una sentenza così inde
cisa perde assai della sua autorità 1 (o come noi diremmo in buon
volgare, non conclude niente). Un altro dissidio degno di osser
vazione è quello intorno alla lingua che nella Capitale della confe
derazione germanica i Tedeschi vollero tedesca. Se ne duole l'eco
nomista francese, e vorrebbe che la cortesia usataverso le persone
si fosse estesa anche alla lingua degli stranieri. Altrimenti, dice, a
Londra si vorrà l'inglese, a Milano l'italiano: il che non garberà ai
Tedeschi. Supponiamo che questi risponderanno al signor Giulio
Duval che, se la cortesia richiedeva tale sacrifizio, toccava ai Fran
cesi darne l'esempio l'anno precedente a Bruxelles: che l'obbligare
i nazionali o uditori a nulla intendere, o interlocutori a stentare
nelle adunanze , è scortesia verso i nazionali maggiore dell' altra
verso i forestieri: che questi quando viaggiano in Germania debbo
no presumersi capire almeno il tedesco: nè vedersi per qual motivo
il francese abbia a godere cotesta preferenza o a Londra o a Mila
no. Queste ragioni tuttavia saranno probabilmente sopraffatte nei
futuri Congressi dalla prevalenza dell'idioma francese, essendosi già
determinato che sia cotesta la lingua dei futuri bullettini dell'asso
ciazione, e che si cerchi frattanto una seconda lingua da introdursi
in tutte le scuole primarie d' Europa a fine di mettere in correla
zione tutti i popoli inciviliti. In altri tempi cotesta lingua univer
sale era un fatto compiuto dal Cattolicismo mercè della lingua la
tina. Ma cotesta anticaglia è troppo cattolica per meritare uno
sguardo da un Congresso d'indipendenti. Essa continuerà a studiarsi
da tutti i Cattolici istruiti: ma questi se vorranno avere accesso ai
Congressi, invece di due dovranno studiare tre lingue,grazie allo
spirito che presiede a coteste riunioni. Bene inteso che per intro
durre una lingua universale in tutte le scuole primarie europee,
ci vorrà una buona dose di leggi,d'ispettori, di multe, che costrin

1 Pagina 81.
Serie III, vol. IX, 12 4 Gennaro 1858
178 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

gano il popolo a godere anche di questa libertà d'istruzione, come


di tante altre libertà che vanno ogni dì più incatenandolo al carro
del Progresso.
Ed eccoci, come vede il lettore, condotti naturalmente a consi
derare i naturali effetti dell'invasione eterodossa nell'unità cattoli
ca trasformata in umanitaria, i quali abbiamo notato pocanzi po
tersi compendiare in queste due parole: dispotismo dei potenti, schia
vitù dei deboli.
Che tale debba essere indubitatamente la condizione di società
umanitaria ; vale a dire di società che voglia farsi universale, senza
abbracciare il Cattolicismo, risulta evidentemente dal suo carattere .
testè descritto. Attesochè, non avendo cotesta società alcuna posi
tiva unità nel pensare, mai non potrà condurre ad unità ragione
volmente spontanea, moltitudini numerose e molto meno l'univer
salità delle genti. Or quando manca spontaneità di azione derivata
da evidenza di ragioni, l'uomo non può essere condotto, se non con
una qualche maniera di forza(forza d'interessi, di minacce, ditor
menti ecc.). Dunque la società umanitaria o non esisterà mai (e
questo crediamo probabilissimo), o sarà la schiavitù del genere uma
no sotto un despotismo colossale.
Se cotestovergognoso ed orrendo spettacolo dovrà vedersi, sa
rà, crediamo, nel regno dell'Anticristo. Frattanto peraltro sicco
me Anticristi in miniatura sono e debbono essere tutti gli avver
sari della Chiesa cattolica;è naturale che lo spirito filantropico
faccia egli pure le sue prove di tirannia, ogni volta che tiene un
seggio d'onore nei Congressi europei per formare la futura Società
umanitaria. E in questo, di cui parliamo, la tirannica idea di co
stringere per via di convenzione diplomatica tutti i contadini e ar
tigiani d'Europa, non che le classi istruite, ad imparare una lin
gua straniera, non è in sostanza se non una speciale applicazione
del principio d'istruzione primaria obbligatoria abbracciato, dice il
Duval, senza che una voce contraria abbia richiamato in favore o
del diritto dei parenti o della libertà assoluta. Anzi vi si aggiunse
poco appresso e per le scuole primarie e per le normali l'insegna
DI BENEICENZA ARANCOFORTE 179)

mento dell'economia politica, la quale, in caso d'insegnamento


obbligatorio, diverrebbe un nuovo carico pel povero popolo, oltre
la lingua europea ch'egli sarebbe costretto ad imparare. Ed anche
cotesto placito di un professore veniva accettato senza difficoltàdal
Congresso (pag. 81 ). Nè è maraviglia, giacchè chi mai avrebbe
richiamato, mentre un Congresso di letterati e scenziati trinciava sì
liberalmente sulla pelle de'contadini e degli artigiani assenti? Que
sta franchezza degli uomini di lettere a tormentare gli assenti non
può recare stupore quando si pensa che anche in Congressi diplo
matici si vituperano talora e si condannano inuditi, non giàfabbri
e bifolchi, ma personaggi di ben altra portata. Laonde il notar
lo non è per noi effetto di meraviglia; è soltanto un argomento di
fatto per confermare che il dispotismo è condizione essenzial6 co
me dell'intera società umanitaria, così d'ogni suo episodio o pre
parativo.
Se a cotesto Congresso fosse penetrato il valente deputato spa
gnuolo Conte Cangua Arguelles 1, buon Cattolico com'egli è, a
vrebbe forse assunto un po'più liberalmente di tanti liberali la di
'fesa della libertà de' bifolchi. « Ricordatevi, avrebb'egli detto, che
la legge civile, e molto meno le ciarle ufficiali, non hanno il di
ritto d'imporre obbligazioni a capriccio, ma solo di esigere ed ef
fettuare nel concreto quelle che vengono imposte dalla naturale
onestà; alla quale una buona lezione di catechismo somministra
tutti gli elementi necessari di vita civile. Quando questi sieno
salvi, ben potrà lodevolmente un Congresso suggerire mezzi di
persuasione onde perfezionare l'istruzione del popolo: ma costrin
gere, e talora con danno epericolo, i genitori volgari a perdere l'a
iuto de'figli e ad arrischiarne l'innocenza, mentre potrebbero con
l'aiuto del sacerdote cattolico procurare ad essi l'istruzione ne
nessaria alla probità civile;questo è uno di que'dispotismi che ven
gono naturalmente suggeriti, quando si vuole ottenere una violen
ta unità, senza verità che persuadano gl' intelletti, senza affetti
che muovano i cuori».

i Vedi la Regeneracion del 4 Novembre 1857.


180 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

Ma se cotesto dispotismo non trovò oppositori, ben ne trovò po


co appresso la proposta dell'insegnamento gratuito. Oh quipero
rava Cicero pro domo sua; giacchè fra tanti scienziati, pochi, e for
se nessuno, avrebbe voluto condannarsi gratuitamente alla mo
lestissima vita del pedagogo. Quando voi, disse taluno, avete re
sa obbligatoria l' istruzione, che occorre più metterla gratuita?
ll gratuito è un'esca potentissima per tirare chi non verrebbe.
Ma quando sono obbligati (dovea dire costretti) a venire,perchè
vestire coi colori dell'elemosina ciò che è una vendita di servigio ?
On conçoit la gratuité, là oui l' obligation n'existe pas: c'est une
amorce toute-puissant. Mais oui l' obligation est prescrite, on ne dé
couvre aucun motif suffisant pour recourir à la gratuité, qui revét
d'une couleur d' aumòne ce qui est au fond un èchange de servi
ces 1. Che delicatezza di sentimento verso il volgo ! Costringerlo a
pagare,perchè non si creda avvilito dall'elemosina !
Questa perorazione è un vero capolavoro: noi, dicono in so
stanza que'filantropi, abbiamo due mezzi per istruire il popolo;
o allettarlo spontaneo con insegnamento gratuito, lasciandogli la
libertà nel benefizio, o costringerlo con la forza e a ricevere il
benefizio e per soprappiù a pagarlo: due liberalità nel primo ca
so, due tirannie nel secondo. Se qualcuno vi avesse detto che co
testa alternativa era proposta in un Congresso di Cattolici, già sa
pete quel che avrebbero scelto; la Chiesa abbondò sempre per
l'insegnamentogratuito e volontario. Ma il Congresso era filantro
pico e liberale: dunque si studi per forza e si paghi.
Per le stesse ragioni non recherà maraviglia che quei dabben fi
lantropi, spinti da una cotale bontà di cuore alla tutela delle don
ne e dei fanciulli vessati ed oppressi nelle officine dell'industria,
abbiano dovuto ricorrere ai soliti mezzi di costringimento ufficiale
contro i loro oppressori. La sezione del Congresso che avea studia
to profondamente l'arduo problema, ricorre, secondoil solito, alla
diplomazia internazionale, i cui trattati, dice, dovrebbere genera

Pag. 80.
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 181

lizzare i benefici delle riforme in favore degli artigiani, ma senza


nuocere agl'interessi legittimi dei sopraccapi 1. Così il signor Audi
ganne in nome della sezione: e la costui domanda era così discre
ta, che lungi dal meritare opposizione, meriterebbe quel nome,
dato dal Duval ad altre sentenze, d' inutile ed inconcludente. Giac
chè come sperare di conciliare l'interesse dei fabbricanti col sollie
vo degli operai? Ci lavora da parecchi lustri il Parlamento inglese,
e che cosa conclude? Ve lo dice UN' ocCHIATA ALL'INGHILTERRA. Or
pensate come sarebbe passata innocentina e tacita la sentenza di
quel Congresso!
Eppure .... eh! caro mio, qui non si trattava degl'interessi di
poveri bifolchi assenti: i sopraccapi dell'industria avevano voce in
capitolo, e la voce questa volta si fece sentire. Cet appel à l'interven
tion des gouvernements n' a pas ètè adopté sans une vive opposi
tion 2. Il professore Arckersdyck e il ConteArrivabene (oh arri
vava bene davvero !) protestavano energicamente in favore della
libera concorrenza, (la quale, come bene intendete, non può es
sere libera ne' sopraccapi, se libera non sia la tassa delle ore e
degli stipendi nel lavoro): e le proteste ebbero effetto. Parecchi
Membri restrinsero la protezione ufficiale alle donne e ai fanciulli
che in vari luoghi già la godono : tutti poi conclusero che, aven
do lo Stato pochissima autorità sopra l' attività industre, molto
meno possono averne le convenzioni internazionali : che per con
seguenza l'assunto del Congresso si ridurrebbe a far sì che in tutti
i paesi d'Europa corrano in tal materia le medesime leggi, affinchè
uno Stato , ov' esse fossero più benigne , non abbia a patire nel
commercio per la minore benignità dei vicini 3. Trattenete il riso,
lettore, se mai foste in compagnia di qualche filantropo; chè il ri
derne sarebbe scortesia. Ma a noi, di grazia, permettete almeno
1 Pag. 78.
2 Pag. 78.
3 Afin que les réformes accomplies par l'initiative de quelque Etat, ne tour
ment pas à son préjudice par la resistance des voisins moins soucieux de l'inté
rét des classes laborieuses (pag. 79).
182 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

che ridendo sotto i baffi, vi diciamo una parolina in un orecchio.


Avete veduto il bel topolino partorito dalla montagna? Si trattava
di affrancare tutti gli operai dall'oppressione : s'incomincia a re
stringere la protezione a sole donne e fanciulli; ma poichè questa
protezione potrebbe indurre disparità nei guadagni, si chiede uni
formità nelle disposizioni benigne. Per poco che coteste disserta
zioni vadano oltre, voi vedete che la protezione degli operai si ri
durrà a far sì che le leggi per essi benigne in certipaesi, sieno ri
formate per non nuocere ai capitalisti ed impresari dei paesi vici
ni. Oh davvero ! ha ragione il Duval: interpretato in tal guisa il
voto del Congresso, gli è cosa innocentissima (almeno pei ricchi):
Le vote du Congrès nous semble à l'abri de tout blåme. Povera filan
tropia umanitaria! Ella è tanto impotente a fare il bene, che ad
ogni piè sospinto s'inginocchia ai Governi, perchè ci costringano
con manette e carceri ad essere dotti, disinteressati, benefici; e
quando poi vuole trarre una conclusione pratica, balbetta formole
inconcludenti che finiranno gittando il debole in balia del forte.
Ma ecco un altro colpo da maestro : si trattava di combattere
l'ubbriachezza degli operai, e il pastor protestante signor Böttcher
chiedeva (ai Governi s'intende)un'anatema contro ogni bevanda
tonica (boisson forte). Misericordia ! sclamò un grido universale.
Ed a ragione, giacchè finalmente toglierci il vino donatoci dal pa
triarca Noè, gli è proprio un diseredare tutto il genere umano.
S'incominciò dunque dal limitare il senso dell'invocato anatema
ministeriale; vino, birra, caffè e ogni altra bevanda o naturale o
semplicemente fermentata vennero issofatto ribenedette, lasciando
soltanto fra gli scomunicati i liquori distillati, come acquavite, gi
nepro e simili 3. Supponiamo che l'acqua distillata voglia fare i suoi
richiami: il relatore peraltro non racconta che per lei si alzasse una
voce. Ma ben richiamarono voci non poche in favore dell'acquavite
e delginepro : e da buone avvocatesse incominciarono dal mostra

1 Anathème réservéaua boissons distillées, telles qu'eau-de-vie, genièvre, et


autres pareilles, ce qui a désarmé l'opposition de beaucoup de membres (pag. 79).
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 183

re,che i liquori forti non influiscono sensibilmente nella mortalità


de' bevitori: essere ingiusta dunque la condanna e improvvido l'af
fidarne ai Governi l'esecuzione. Tanto più, soggiunse il Duprat, che
fra i popoli del mezzodì le bevande forti, specialmente agli operai,
sono una stretta necessità. Laonde sapete voi di chi è la colpa se
que''tapinelli abusano degli spiriti? La colpa è dei Governi che met
tono dazi sul vino. Di che la vera soluzione del problema è pro
cacciare vino agli operai: La vraie solution c'est. . . . l'usage du
vin naturel, mis à la portée des populations laborieuses 1.
Voi tornate a ridere, lettore, e n'avete donde: ed appunto per
questo abbiamo trascritto quà e colà le parole francesi, per non
sembrare autori della farsa o della caricatura. Vero rimedio all'ub
briachezza procurare del vino abuon mercato! Oh capperi! chi se
l'avrebbe aspettato? Ma per comprenderne viepiù il ridicolo e trar
ne argomento in favore del Cattolicismo, tornate prima col pensiero
colà sulle pianure d'Irlanda a mirarvi quel povero Cappuccino, a
piè di cui migliaia di operai del vecchio e nuovo mondo giurano
temperanza. Un grosso saio indosso, un Crocefisso alla mano, una
parola evangelica sul labbro, ecco gli argomenti di temperanza che
non distingue vino da spiriti, che non misura il male dell'ubbria
chezza dalla mortalità de'bevitori, che non chiede aiuto a codici cri
minali, nè a convenzioni diplomatiche. A fronte di cotesto povero
Cappuccino mettete l'adunanza clamorosa nella magnifica sala del
Roemer, fra i monumenti di tutta la grandezza germanica: mirate
que'dottoroni che si stanno spremendo il cervello per isbandeggia
re l'ubbriachezza, e concludono finalmente implorando dai Governi
l'abbondanza del vino; e dite se può darsi più vivo emblema e
più calzante argomento per dimostrare l'impotenza, filantropica,
della società umanitaria 2 a compiere ciò che, per bocca de' più
umili suoi ministri, eseguisce la Chiesa.
1. Pag. 80,
2 Quando scrivemmo questo articolo non credevamo possibile argomento,
più calzante. Oggi peraltro le ridicolezze di una nuova Società di temperanza
tra le donne Americane ci sembrano oscurare le glorie degli Enofilialemanni.
184 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

Ah! conclude qui il Duval, se ilCongresso fosse stato nel mezzodi


d'Europa,le ragioni del Duprat avrebbero vinto. Ma gli uomini del
Nord dominavanonell'assemblea 1. Capite, lettore, quest'altra lezio–
ne? La Chiesa radunò i suoi Vescovi, or sono tre anni, per pubbli–
care il domma dell'Immacolata in numero di circa 300; ed essi ve–
nivano dall'Australia e dalla Groelandia, dalla Cina e dall' Irlanda,
insomma da tutti gli angoli della terra. Udiste voi una sola voce
in cotesta immensa assemblea che sperasse altra decisione dai Ve–
scovi del Sud, che da quelli del Nord? Parlò una voce augusta ed
uno fu il pensare d'ogni mente, l'affetto ossequioso d'ogni volontà.
Oh qui sì che io veggo l'unico ovile, la reale, non che possibile, so
cietà umanitaria ! In Francoforte, 160 filantropi si raccolgono da
La notizia ne fu portata dal Courrier des Etats-Unis, secondo il quale nella
piccola città di Logan un drappello di queste amazzoni, armate di martelli, di
asce, eccetera, percorrevano le vie, precedute da un lugubre cartello, scrit
tovi: Morte ai mercanti di perdizione, dando la caccia a chiunque si ostinava
nel vender vino e liquori. Un droghiere che segretamente ne faceva negozio,
abbarrata la bottega, si appiattò nella retrobottega: ma indarno, chè le apo
stolesse militanti, alzate le scuri e sfondata la porta allagarono il magazzino
di quella mercanzia scomunicata, distruggendo senza pietà barili e bottiglie.
Inanimite dalla vittoria correvano contro un negoziante di vini: ma qui
cambiava la scena. Il buon tedesco ritto alla porta col fucile alla mano aspet
tava il turbine. La carica si ferma e s' incominciano le trattative per l'aboli
zione della mercanzia dannata. Persuadere ad un tedesco di buttare il vino

pensate se era impresa sperabile! Il negoziante stette fermo concedendo alle


eroine di temperanza di ritirarsi con tutti gli onori della guerra. E già partite
costoro, il valent' uomo applaudiva a sè stesso del proprio coraggio; quando
eccoti tutto trafelato ed ansante il suo garzone: « Presto, presto, signor Pa
drone, tutte le botti sono bucate e il vino scorre a torrenti ». Le scaltrite mae
stre di temperanza l'aveano burlato; e mentre la prima fila stava parlamen
tando col negoziante, le ultime s'erano traforate per una porta secreta ed ave
vano fatto il salasso.

Ecco i mezzi di temperanza che stanno a disposizione della filantropia; o


propinare il vino ai bevitori, perchè non si ubbriachino cogli spiriti; o salas
sare le botti perchè si sperda il vino. Eterodossi scegliete quel che vi piace:
noi altri Cattolici ci atterremo per ora alla ricetta del P. Matteo.
1 Pag. 79.
DI BENEFICENtA A FRANCOFORTE 185

poche parti della sola Europa, concludono con sentenze inconclu


denti, risparmiando gli illustri presenti e taglieggiando la plebe lon
tana: e tutta l'armonia delle loro conclusioni si riduce finalmente
a sperare dalla filantropia del Sud l'opposto di ciò chevolle la pre
valentefilantropia del Nord. E costoro sperano la colleganza di tut
ti i popoli? Ah! se la vogliono davvero, perchè non la cercano in
quella società che guidata dall'Uomo Dio seppe idearla, ne intra
prese l'effettuazione, ne presenta anche al di d'oggi sperimenti me
ravigliosi con mezzi da nulla ? -

Fuori di questa società hen potranno farsi delle chiacchiere, ben


potranno scriversi delle dissertazioni 1 : ma conciliarsi davvero in
unità animi e popoli, e condurli praticamente ad una qualche con
clusione; questo, assicuratevene, sarà sempre cosa impossibile per
due ragioni evidentissime che compendiano tutti i lavori dell'assem
blea renana. La prima è, che mancando l'autorità obbligatrice de
gl'intelletti, tutto ciò che vorrà ottenersi dovrà chiedersi con la
forza alla mano; forza che costringa la carità a divenire beneficen
za, il popolo a studiar lingue ed economia, gl'impresari a diminuire
il lavoro e crescere i dispendi, gli operai a tenersi lungi dalla bet
tola e dall'acquavite. La seconda è che, ripugnando generalmente
all'uomo, fuor che ci abbia personale interesse, la tirannia; tutte
le proposte di violentare intere classi a non dovuto progresso , ca
dranno sempre per la ripugnanza degli animi onesti a farsi com
plici del dispotismo. La sola unità, a cui finalmente si giungerà sarà
quella del banchetto finale, il quale venne anche questa volta, dice
il Duval, a suggellare la conformità filantropica con mille brindisi
in mille lingue. Oh qui sì che furono tutti d'accordo! Ma nel rima
nente . . .

Buon per noi che dall'alto veglia a difesa de popoli e tutto guida
agli eterni suoi fini la Providenza: e a Lei servono senza avveder

1 A tre dissertazioni pose premi il Congresso, una contro l'ubbriachezza,


una in favore dei buoi senza corna, una in favore della libertà della carità:
utilissime tutte e tre . . . a chi guadagnerà la medaglia.
486 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

senetutti codesti Congressi umanitari, che rubata una qualche ve


rità alla Chiesa, come si rubò da Prometeo una scintilla al sole,
s' ingegnano di dare unità e vita ai materiali meccanismi dei loro
automi. Essi a buon conto ricordano perpetuamente al genere uma
no e l'unità di famiglia, da cui decadde, e l'unità di destini, a cui
viene chiamato nella Chiesa cattolica.
Ma questo generale concetto, non può nel mondo reale effet
tuirsi se non si congiungono gl'intelletti e le volontà nelle dottrine
e nei doveri del cristianesimo. Ed anche a questo concorrono, sen
za saperlo, i Congressi internazionali, mutuando ciascuno una qual
che verità isolata da quell'immensa sintesi che la Chiesa presenta;
e vi concorrono sotto due aspetti: cioè 1.º mettendo in piena evi
denza e la verità di quel domma e la necessità di quella pratica. Così
i Congressi della pace mostrano la necessità di un arbitro fra i po
tentati, i Congressi degli scienziati la necessità di un'autorità che
ne concordi le dottrine, i Congressi di beneficenza la necessità di
una carità che accenda gli affetti; e così degli altri, analizzando ad
una ad una e rendendo così più intelligibili le sublimi dottrine della
Chiesa. 2° Il secondo aspetto, sotto cui vi concorrono, è il dimo
strare la divinità del concetto con l'impotenza degli sforzi, co'quali
s'ingegnano di attuarlo; e l'affezionare le genti alla verità principio
di unità ragionevole rendendo odioso l'errore con la tirannia, a cui
essi raccomandano l'esecuzione delle loro invenzioni.
Continuino pur dunque a lavorare nella loro impotenza. Essi lavo
rano inconsapevoli per la Chiesa. Dopochè cotesti pigmei, lavorando
per anni e per secoli saranno ridotti a confessare che con sforzi im
mensi nulla conclusero, la necessità riconosciuta di que'beni che va
gheggiarono, l'inutilità riconosciuta di quegli sforzi, con che li pro
cacciarono, la nausea di quella tirannide, con cui vennero pronos
si, condurrà finalmente le generazioni seguenti a chiedere l'effet
tuazione da quell' architetto medesimo che diede il disegno. E la
Chiesa, ricca di quella verità che l'intellingenze abbracciano si cu
pide, ricca di quella carità che corre sì generosa al sacrifizio; tro
verà nei materialisperimenti, nelle osservazioni, nei tentativi d'ogni
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 187

maniera di coloro chevolevano usurparle la gloria, i materiali già


preparati ad ergere l'immenso edifizio. La pace universale e lo sce
mamento degli eserciti si vedranno possibili fra Cattolici per la
spontanea riverenza dei Potentati al Padre comune: dal magistero
universale verranno conciliati nei punti fondamentali del sapere
umano i dispareri de'dotti: da una carità gerarchicamente ordi
nata potrà ottenersi quella beneficenza sapiente che darà pane ai
mendichi senza violentare i ricchi: all'abbrutimento della crapula
metterà un'argine, invece dellaviolenza della polizia, l'associazione
di temperanza: l'universale insegnamento sarà datogratuitamente
perzelo ed accettato universalmente, perchè congiunto alla reli
gione che niuno osa rifiutare. Tutti insomma i veri bisogni dell'u
manità, trovano nella Chiesa provvedimenti di sussidio spontaneo;
ed essi tanto saranno più efficaci per raccogliere le genti nell'unico
ovile, quanto più evidente si sarà mostrata nei Congressi filantro
pici la necessità e l'impotenza di provvedervi.
Ecco, lettore, la conclusione, a cui sembra invitarci la Provvi
denza in questa guerra di Titani pigmei contro il Cielo. Pel Cristia
nesimo, pel Cattolicismo, per l'unico ovile stanno essi lavorando
inconsapevoli. Nè noi probabilmente, nè voi non vedremo compiuto
il gran disegno, il gran trionfo della Provvidenza. Ma il ridicolo to
polino partorito quotidianamente da coteste montagne reboanti,se
si confronti colle colossali imprese che la forza creatrice della Chie
sa trae quotidianamentedal nulla, assicura le nostre congetture e ne
guarentisce l'avveramento futuro.
LA

CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO SETTIMO

Beatus populus cuius Domiaus


Deus eius.
Ps. cxliii, 18.

TERZA SERIE

VOL. QUARTO

ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ' CATTOLICA
Via di Borgo Nuovo al Vaticano Nona. 81.

1856.
LA MENDICITÀ ED I MENDICHI

V^he i nostri antichi fossero meno assediati da pitocchi di quello


che siamo noi , codesto non pare possa asserirsi con fondamento ,
per quanto talora l'importuna insistenza di alcuno di essi ed il
pronto succedergli di un altro e poi d'un altro ci possa far parere
di essere per questo capo al non plus ultra. Già si sa: gl'incomodi
presenti che si sperimentano ci sembrano sempre più gravi dei pas
sati che si leggono o si ascoltano. Ma se i mendichi non sono no
tabilmente cresciuti , è certo cresciuta in gran maniera la smania
di parlarne, di disputarne, di scriverne, da pigliare questa faccen
da quasi sembianza d' una delle più stringenti bisogne del nostro
tempo e delle nostre contrade. A nulla dire delle dissertazioni e dei
libri che ne trattano esclusivamente esprofesso , appena troverete
trattato di Economia pubblica che non si occupi per parecchi capi
di cosi rilevante suggetto. E noi pure ne dicemmo qui e colà alcuna
cosa ; ma ci pare che la «materia richiegga un discorrerne alquanto
più posato ; soprattutto che da un tale parlarne e straparlarne molti
incauti sono condotti, quasi senza essi accorgersene, ad uno scim-
miare insipiente alcune istituzioni forastiere, di cui ignorano le ca
gioni , senza punto badare alle inferenze antilogiche, snaturate e
talora anche crudeli , onde quelle potrebbono essere feconde. Che
se il discorso ci conducesse a prendere il patrocinio dei pezzenti ,
6 LA MENDICITÀ
ci si potrà bene appiccar sonaglio <T ineleganti e di poco forbiti ;
ma almeno saremo al coperto dalla taccia d'interessati o di fare
all'amore cogli stracci. Si vedrà, speriamo, che pure accogliendo
la parte innocente ed utile dei moderni trovati filantropici, è pro
prio ragione e giustizia che ci obbliga a ripudiarne il resto.
E primamente noi non sappiamo se nel tanto arrabbattarsi che
fanno i filantropi e gli economisti per la mendicità e pei mendichi,
ci entri per nulla la compassione, il sentimento di pietà verso i sof
ferenti, l'amor del prossimo o comunque vi piaccia chiamare quel
l'affetto che alla vista delle altrui calamità ci suole compungere.
Noi per onore di quei valorosi vogliam supporre che si ; ma ag
giungendo esser questa una mera gentilezza dalla nostra parte, in
quanto che nei loro scritti o raro assai o per nulla affatto non si
scontra la menzione di quel motivo. I motivi precipui, che il più
spesso si adducono, sono lo sbarattare le splendide contrade da tanto
lurido cenciume, togliendo dalla vista delle gentili persone quei visi
sparuti, quei ceffi scarmigliati, quelle larve ambulanti più simili a
cose morte che a persone vive ; appresso lo impedire che gente svo
gliata della fatica campi a ufo, facendosi far le spese e talora lau
tamente dalla troppo credula altrui carità ; da ultimo aggiungono
un riguardo al costume di questi ultimi, i quali dallo accattare vólto
a mestiere, piglian cagione di poltrire nell'ozio, contraendo tutti
quei vizii e corrompimenti che della vita abitualmente scioperata
sono indivisibili compagni. Di qui inferiscono che ove fosse ster
pato dalla radice quel pubblico pitoccare, se ne avrebbero senza
' _ fallo i vantaggi opposti a quei tre inconvenienti. E cosi le città e i
cittadini non sarebbero contristati dallo aspetto schifoso di tanta
mendicità vagabonda : ed ai furfanti sarebbe disdetto il sottrarsi
colpevolmente alla legge universale della fatica ; il che, oltre al van
taggio sociale di scemare il numero degli esseri improduttivi , ad
essi stessi tornerebbe profittevolissimo, essendo per sè manifesto
quanto conduca al vivere costumato una fatica proporzionata sì alle
forze . ma grave e non interrotta. I quali vantaggi considerati per
sè medesimi non possono essere disconosciuti da alcuno ; e da noi
ED I MENDICHI 7
meno che da qualunque altro. Solo resterebbe a cercarsi se vi è
mezzo da ottenerli, senza scontrare danni maggiori ; e danno mas
simo parrebbe a noi la lesione della giustizia. Noi, che non ci siamo
incaponiti a volere ottenere quei vantaggi ad ogni patto e che sti
miamo esservi nel mondo malanni ben più gravi e minacciosi a cui
si dovrebbe recar rimedio, noi, dico, non siamo in obbligo di pro
porre quei mezzi , e ci dobbiam contentare a vedere se i proposti
fin qui sieno conformi alle norme eterne della equità e della giusti
zia : elementi , come ci sembra , anteriori d' alquanto alle conve
nienze di civile culto ed ai calcoli da render l' uomo produttivo il
più che esser possa.
Ed il mezzo proposto e persuaso dagli economisti , come unica
ed efficace panacea alla mendicità, è semplicissimo ; e non ha certo
il difetto di non poter essere enunziato in poche parole e capito ap
pena enunziato. Vero è che talora prendon la cosa ab ovo e vi ven
gono dopo lunghe giravolte , e lo coprono coll' invoglio di molte
splendide parole; il che giova altresì a non farlo sonar cosi duro,
come sonerebbe, quando fosse recato in mezzo in tutta la sua cru
dezza. Ma noi non abbiamo uopo di cosiffatti riguardi , e possiam
dire la cosa proprio come la è ; e forse a questa maniera se ne po
trà fare più sicura stima. Il mezzo dunque è questo. Proibire seve
ramente e per tutti i casi il mendicare, come qualunque altra azione
illecita. Chi vi è collo, sia rinchiuso; e se abile alla fatica, vi sia co
stretto ; se inabile, vi sia mantenuto 0 del pubblico erario 0 di spon
tanee offerte ; il che torna sempre a dire dalle borse private ; in
quanto da questo solo fondo e può rimpinguarsi l'erario e possono
uscire le offerte , rimanendo la sola differenza nel modo o di tassa
obbligatoria o di limosina.
Se ci chiedete qual sia l'opinar nostro intorno a questo mezzo ,
noi dobbiamo cominciare dallo esprimere ben gagliardi dubbi sopra
la licitezza di quella rigidissima ed assoluta proibizione, poco me
no che se si trattasse del rubare e dell'uccidere. Ed a cui fa ingiu
ria, qual diritto pubblico o privato offende il poveretto che mode
stamente vi stende la mano a domandarvi un obolo, e reietto, non
8 LA MENDICITÀ
offeso della ripulsa si ritira per rivolgersi ad un altro sperando mi
glior fortuna? Nè ci si venga innanzi col pitocco che insulta, colla
turba che infesta, col tempio e colla curia che ne avrebbono di
sturbo, coll' ozioso gagliardo e ben pasciuto che con cancheri men
titi e con posticce fistole inganna il prossimo per ispillar quattrini.
Di queste circostanze diremo appresso ; ma esse per ora non han
nulla che fare colla nostra presente quistione. La nostra presente
quistione versa intorno al vero bisognoso che, veggendosi fallita ogni
altra via di provvedere alla sua necessità, stende la mano a mendi
care. Or voi a pensarvi attorno un anno, non troverete il menomo
appiglio, nei dettami della ragione e della equità naturale, per giu
dicare illecito quell'atto o lesivo di alcun diritto, sicchè possa essere
dalla pubblica Autorità vietato perse medesimo e all'uopo represso
colla forza * . Voi anzi nella vostra ragione e nei dettami di equità
naturale troverete tutto il contrario ; in quanto niente è più sem
plice e naturale di questo, che l'uomo nelle strette di grave bisogno
si rivolga al suo simile per soccorso. 0 vorreste per avventura che
ei si volgesse agli spiriti od alle bestie? Ed è si profondamente in
serito negli umani petti quel sentimento, che a dispetto di tutto il
chiacchierar degli economisti, i quali da quel provvedimento pro
mettono al loro solito un mare di beatitudine sociale, ad onta, dico,
di quel chiacchierio, ogni qual volta si esegue quella legge nella sua
durezza, essa eccita un fremito d'indegnazione in quanti lo veggono
e lo sanno, cominciando da quei medesimi che la eseguono. Il reo
raramente è che tenga fronte a chi lo cattura, la famiglia del crimi
nale stende sopra di esso franca e risoluta la mano, ed i circostanti,
se non applaudiscono, intendono almeno ed approvano quel rigore.

i Da alcuni è stato invocato l'esempio di diversi Sommi Pontefici che con ri


gorose proibizioni disdissero il mendicare per Roma. Noi ne parleremo nell'ar
ticolo seguente: per ora ci basta osservare che quelle prescrizioni riguardavano
tempi e circostanze particolari , in cui possono quelle essere non che utili ma
ancor necessarie. 11 che se non ad altro apparisce a questo che quelle ordina
zioni uscirono di uso come prima cessarono le speciali circostanze che aveanle
suggerite.
ED 1 MENDICHI 9
Tutto altrimenti va la bisogna quando si tratta di metter le mani
addosso al vecchio, alla donna, al fanciullo rei non d' altro che di
aver domandata limosina. Il più indurato bargello balena, tentenna
e bene spesso riesce a non farne niente ; il povero da captivare re
siste, ricalcitra e dà in ismanie; mentre gli spettatori non san fi
nire di persuadersi come e perchè quell'infelice debba essere equi
parato al ladro ed all'assassino. Si fa presto a scombiccherar progetti
di riforme sociali ed a prescrivere ordinazioni di Polizia ! ma non
è ugualmente agevole obliterare dagli animi umani alcuni senti
menti di naturale giustizia, ed il concetto che ci sia un vero diritto
quello che si vorrebbe far passare poco meno che per una furfan
teria. Signori si ! non ci è a torcere il viso ! Lo abbiamo detto e
non ritiriamo quella parola, perchè l'abbiamo ben ponderata prima
di dirla. Il mendicare, nelle condizioni sovraesposte è un verissimo
diritto del bisognoso ; e noi non crediamo che quel diritto meriti
minor riverenza per Va sola ragione che chi n'è investito incede
scalzo ed è circondato di cenci. Anzi quel diritto ci par meritevole
di riguardi tanto più dilicati, quanto dall'esercizio di esso dipende
non lo andare in carrozza più o meno splendida , non lo abitare
casa più o men sontuosa, ma la vita medesima di chi mendica e tal
ora di tali che neppur quello potrebbon fare da loro medesimi.
Egli è appena credibile a quanto lacrimabili casi schiude il varco
quella legge spietata e rigidamente eseguita. Gli economisti ci pas-
san sopra, in quanto le lacrime e le angosce di tanti derelitti sono
quisquilie che non sogliono entrare nei loro calcoli , se non fosse
per trovar modo di toglierli dall'aspetto dei godenti ; ma a noi cri
stiani sarà consentito di tenerne una ragione più accurata, non
tbss' altro per la riverenza a Cristo ed alla benedetta sua Madre ; i
quali se non furono mendichi , poco se ne divariarono , come può
raccogliersi dal non habet ubi caput reclinet 1 e dal non erat ex locus
in diversorio 2.

1 Li;c. IX, 58.


2 Lue. II, 7.
10 LA MENDICITÀ
Ed intorno alla difficoltà di eseguire una siffatta legge ed alle la
mentevoli conseguenze di cui la sua rigida esecuzione potrebbe es
sere feconda, ci si permetta un ricordo di particolari nostre rimem
branze intorno all'Inghilterra e propriamente a Londra che visitam
mo alquanti anni or sono. Ivi la legge proibitiva del mendicare è,
se mai altrove , rigorosissima , e ciò per necessità dolorosa , di cui
diremo più sotto qualche cosa. E nondimeno a Londra, ad eccezio
ne di qualche più splendida contrada, Square o Parco, si chiede li
mosina nè più nè meno di quel che facciasi per tutto altrove ; e la
sola differenza consiste nel farlo con un po' di riguardo , alquanto
dissimulatamente, e soprattutto scegliendo le persone a cui doman
darla. Yoi scorgete nei cantoni delle vie, sul loro incrocicchiarsi e
spesso lungo le vie medesime dei poveretti sparuti, cenciosi di una
cenciosità sconosciuta a noi, i quali stanno l1 o con una scopa in mano
in atto di chi vorrebbe purgar la strada, o con tre penne in mano o
con due lapis, come chi vorrebbe venderli. Guardano essi , con oc
chio scrutatore e per lungo uso sperassimo, i passanti, e sul cui volto
pare ad essi di leggere un animo fatto a pietà, al costui orecchio si
fanno e pur mostrando di. offerirgli a comperare la loro microsco
pica mercatanzia, tra il compassionevole ed il peritoso gli mormo
rano sommesso : Per carità un soceorso : son due giorni che non
prendo bricciolo ; e quasi sempre non lo dicono invano. Che se a
voi passeggiante le vie della smisurata metropoli non è avvenuto di
sentire quelle parole, ahimè ! avete molto a temere non forse sul
vostro sembiante nessun segno non appaia del vostro pietoso ani
mo. Nel resto i Policemen, per quella ragione che dicemmo sopra,
lascian fare , chiudono un occhio , li chiudono ambedue , e quella
sembianza o di scopatori o di mercatanti , onde la mendicità si ca
muffa, basta a metterli al coperto dai rimproveri dei lor maggioren
ti. Guai però se per isbaglio ad uno di questi }a supplice parola fosse
rivolta ! allora sarebbe inevitabile la cattura ed il detestato traspor
to alla Poor hause. Cosi avvenne ad una mal capitata , il cui mise
rabile caso in altre contrade avrebbe compunto di profonda pietà
tutti i cuori ; ma che ivi per la frequenza dei casi simili, e per la
ED I MENDICHI 1f
insigne insensataggine dei più,, passò quasi inosservato, e fu rav
volto in quel vortice incessante che tanti altri dolori ravvolge
ed ingoia.
In un umido e buio sotterraneo dei più luridi ed inesplorati quar
tieri di Londra moriva un poveretto, assistito dalla cara moglie de
solata e da due Limbi seminudi, che stavano accovacciati a piedi di
quel mucchio di paglia su cui giaceva il morente. Questi in quegli
estremi aperse alla compagna il desiderio di gustare non so clie rin
fresco o confettura , a cui comperare neppur bastava tutto il val
sente che era in casa, ma vi mancavano un paio di oboli (one pen-
ny). La poveretta, a cui pareva quasi sacro quel supremo deside
rio del morente, disse che lo avrebbe tosto fatto pago avendone be
ne il come. Usci di casa ed affidata alle tenebre della sera che già
sottcntrava al giorno, alla prima persona civile in cui si avvenne fece
la modesta richiesta. Ma ahimè ! colui era appunto uno degli ufli-
ziali sopra il mantenere la città netta di accattoni ! Non vi voll' al
tro : egli ghermilla spietatamente e senza curare lagrime, scongiu
ri, disperazioni della dolorosa, o certo riputandole arti consuete di
cosiffatta gente, l'ebbe condotta all'ufficio più vicino di polizia, do
ve fu somigliante a miracolo , che le necessarie inchieste per rila
sciarla potessero essere terminate per la seguente mattina. Voi vi
imaginate bene dove volasse quella sconsolata ; ma non v'imaginere-
te a pezza dove andasse a terminare quella tragedia. Trovò morto il
marito, ma colle dita in bocca , le quali aveasi rabbiosamente mor
se, chè certo si sarà creduto schernito, abbandonato, tradito dalla
compagna : dei figliuolini uno era svenuto, l'altro morto dalla ine
dia e dal troppo piangere. Noi non diciamo che somiglianti spet
tacoli siano effetti necessarii e frequenti di una tal legge ; diciamo
severamente che i caldeggiatori di essa vi dovrebbero pensar due
volte ; e certo anche la sola lontana probabilità di somiglianti spet
tacoli dovrebbe avere gran peso, quando si trattasse di una pre
scrizione che nella nostra ipotesi non avrebbe altro oggetto, salvo
quello di risparmiarci la vista del luridume, e la noia dalle impor
tune insistenze dei pitocchi.
12 LA MENDICITÀ
— Ma e dove ponete voi il rischio che il mendicare si volga in
mestiere , sicchè gli schivi della fatica vi trovino modo da vivere in
ozio , con tutti i corrompimenti che vanno congiunti a quella vita,
e con le frodi, coi tranelli che giovano a rendere o più sicura o più
lauta quella vita ?
Signori no ! non li abbiamo dimenticati quegli inconvenienti ; ma
prima di tutto abbiam voluto raffermare quel punto della vera men
dicità che nasce dal vero bisogno , che non teme quei corrompi
menti e che non ha uopo di quelle frodi. Stabilito quel primo pun
to , accostiamoci a questo secondo rispondendo ai tre capi in che
sembra l'opponente averlo partito. E primamente quanto all' ozio
sità, noi certo non siam guari disposti a tesserne l'apologia. Tutta-
volta, considerato il far nulla per sè medesimo, e prescindendo dai
mezzi onde si alimenta e dalle viziose abitudini onde può farsi ra
dice, noi non lo crediamo poi un cosi gran peccato sociale , da do
versi registrare nei codici , reprimere col bargello e punire colla
prigione. In ogni caso ove la civile Autorità credesse suo còmpito
il perseguitar gli oziosi, noi la consiglieremmo a cercarli non tanto
sotto i cenci dei pitocchi, che pure hanno il lor da fare per trovare
le poste più sicure e schivare i concorrenti più pericolosi , quanto
nelle aule dorate dei ricchi , nel tramestio dei caffè e delle bische .
ed in altri cotali ritrovi da sfaccendati. E dove la carcere ne dovesse
essere la pena, noi crediamo che un buon sesto delle città più colte
dovrebbe per questo capo esservi rinchiusa. Anzi in questa secon
da generazione di oziosi , il far niente riesce tanto più fecondo di
vizii, quanto essi hanno più larghi i mezzi da satisfarli ; e noi non
sappiam capire perchè gli economisti dipingano a cosi neri colori
le corruttele dei pitocchi dal loro vivere inQngardo, senza muove
re il menomo dubbio intorno alle corruttele medesime , che certo
dal medesimo vivere infingardo si debbono originare nei non pi
tocchi e negli abbienti. Se un accattone giugnesse con rara fortu
na a raccogliere uno scudo al giorno e di esso vivesse più che mo
destamente , noi chiediamo per qual ragione intrinseca la costui
vita dovrebb' essere inviziata dall' ozio più di quella d' un piccolo
ED I MENDICHI 1£
possidente, che con trenta scudi al mese di rendita vivesse anch' egli
senza far nulla. Direte che vi corre hen grande differenza tra chi
vive del suo, e chi traffica sopra l'altrui credulità e mentisce e in
garbuglia e froda per iscroccare limosine. E codesto diciamo anche,
noi ; osservando tuttavolta che cosi si viene a toccare dei mezzi on
de si mantiene la vita oziosa, i quali nel caso nostro si differenzia
no quanto il ciel dalla terra. Ma considerata la vita oziosa per sè
medesima, noi torniamo a dire e manteniamo, non esservi ragione
speciale, per cui essa debba tornare meno pericolosa a chi ha la
rendita in una cedola di banco, iu un podere od in una casa, che a
chi l'ha nella pubblica pietà uccellata scaltramente da lui.
Che se voi vi restringete a questa iniquità di mezzi , oh ! qui si
che converremo pienamente con voi a riprovarli ed a volerli ster
pati. Tuttavolta la vostra conseguenza d' impedire universalmente
la mendicità, dovrebb'essere allargata da un lato e ristretta dall'al
tro, per essere senza più accettata da noi. Ci dichiariamo : dovrebbe
primamente essere allargata , in quanto non ci pare che a questo
mondo siano gli accattoni solamente a cui è venuta in capo la como
da idea di campare a spese del prossimo, aiutandosi di bugie, di
simulazioni e di frodi, temperate, s'intende, per guisa da non aver
ne brighe col criminale. Ed il mendico che si dice digiuno da tre
giorni per pranzare due volte oggi sulla vostra borsa, in che si dif
ferenzia dal mercatante che giura e sacramenta il lavoro domestico
esser cosa parigina per farlovi pagare un terzo di più? La sola dif
ferenza che io vi veggo è, che nel primo caso il merito della vostra
opera buona non iscema di nulla per l' altrui menzogna , e se il
faceste per amor di Dio, la vostra eterna retribuzione non può fal
lire ; laddove nel secondo voi ne restate pel danno e per la beffa *
non con altro conforto che pur sapendo di essere stato gabbato,
mostrare fermamente di non lo credere. Ma considerando la frode
per sè medesima, se nel caso del mercatante gli economisti non cre
dono che il Governo se ne debba mescolare per nulla , potendo ba
stare la maggiore o minore oculatezza di ciascuno a non lasciarsi
abbindolare ; potrebbe altri pensare che eziandio nel caso del falso
14 LA MENDICITÀ
bisogno l' avvedutezza di chi soccorre può almeno in gran parte ces
sare le frodi. Quello nondimeno per cui queste hanno una speciale
malizia, è che il falso bisogno , potendo essere più aiutante ed im
pudente del vero , assottiglia in gran parte il sovvenimento dalla
carità destinato a questo. Per somigliante motivo ed eziandio per
la generale ragione di frode, soprattutto quando è pubblica ed abi
tuale, noi ammettiamo pienamente che l' Autorità possa cercarne ,
impedirla, punirla come si puniscono o certo si dovrebbono punire
i pubblici frodatori.
Il perchè dicemmo che la conseguenza degli economisti per que
sto secondo capo si dovrebbe restringere. Perciocchè quale strana
guisa d' inferire è mai questa : tra i mendichi ve ne ha alcuni e sia
anche molti , che mentiscono il bisogno per vivere oziosi ; dunque
proibite a tutti lo stender la mano al prossimo per un soccorso ; e
chi ardisce farlo sia menato poco meno che in prigione. Proprio co
me se altri ragionasse: tra i medici ci ha dei cerretani impostori ; tra
gli avvocati si scontrano dagli azzeccagarbugli traditori; dunque
mandate tutti i medici e tutti gli avvocati in galera. Se questo di
scorso applicato agli addetti a quelle nobili professioni vi pare in
giusto, perchè sarà giusto applicato ai poverelli ? Sappiamo che è
bene arduo il distinguere il vero dal simulato bisogno ; e perciò vi
mostrammo, che dove pure in alcuni casi si scambiasse l'uno coll'al-
tro, non è a temerne un conquasso sociale ed un finimondo. Nondi
meno non ci pare tanto arduo da tenersi, almeno universalmente,
per impossibile. Certo se a chiedere abitualmente limosina si facesse
necessario un attestato del proprio parroco, che assicurasse , quel
la tal persona essere in vera grave necessità e non avere altro mez
zo da campare la vita , ci parrebbe abbastanza provveduto al peri
colo di frodi, soprattutto se quello dovesse rinnovarsi, esempligra
zia, ogni mese , potendo avvenire che cangiate le circostanze cessi
di essere necessario un mezzo, che naturalmente non prendesi fuo
ri dei casi estremi. Dicemmo poi che quella facoltà dovrebbe riguar
dare la condizione abituale della vita , e sopra questa condizione
abituale dovrebbe rivolgersi la vigilanza della pubblica Autorità.
ED I MENDICHI 15
Chi ha gualche familiarità colle famiglie povere e ne ha pesati i do
lori e considerati i pericoli sa, come esse spesso vivono a giorno a
giorno, e come una infermità domestica, un incarimento nel prez
zo de! pane , una cessazion del lavoro o qualche altra calamità im
prevista le può gettare da un momento all' altro e solo temporanea
mente ad accattare. E sono tali le sventure a cui una proibizione
assoluta potrebbe schiudere la via , che a noi parrebbe lieve cosa
1' abuso che la malizia scaltra potrebbe farne. In particolar modo
il mancar di lavoro è tal flagello per quegl' innumerevoli che non
hanno altro modo da vivere, che in quei casi è somigliante a scher
no beffardo quella parola , che spesso improvvidamente si getta in
viso al mendico sano e robusto : Andate a lavorare. Ma se questo
appunto desidera quel disgraziato e non ne trova il modo, come vo
lete che esso provvegga alla necessità estrema della moglie forse
inferma e dei Agli infanti? Che se vi fosse certezza che il lavoro non
manca, almeno nella specie di colui che chiede limosina, non solo
gli potreste e diciamo anzi gli dovreste rendere quella risposta; ma
eziandio potrebbe essere costretto alla fatica dalla pubblica Autori
tà e messo in carcere. Ma questo è tutt' altro dalla legge invocata
dagli economisti , i quali bevendo molto grosso nel fatto di masse ,
com'essi dicono, vi vorrebbero mandar chiunque si attenta di men
dicare in pubblico. E cosi se non vì basta il coraggio di allargare
il rinchiudimento a tutti gli oziosi che s'aiutan di frodi, converrà re
stringerlo ai soli mendichi che sono certamente frodatori e lo fanno
per professione. Ma allora questi tali debbono condursi non al Ri
covero, ma alla prigione, se pure il Ricovero non sia somigliante
a prigione, qual certo ci sembra V apparecchiato dai filantropi ai
veri bisognosi .
Ma qui ci pare che essi appena sanno tenersi saldi alle mosse ; e
si arrovellano e strabiliano e gridano alla calunnia, dicendo noi che
essi vogliono poco men che in prigione, cui braman piuttosto vede
re raccolti in Ricoveri o, per dir proprio la loro parola, in Depositi
di mendicità. Questi poi essi prescrivono e descrivono ampi, decen
ti, bene ariosi, meglio provvisti, da potervisi mantenere i poveri
16 hk MENDICITÀ
tolti alla mendicità circondati da tutte quelle cure e forniti di tutti
quei sussidii che alla loro condizione sono necessarii o convenienti .
Bene sta, ripigliamo noi. Ma anche ammettendo i Depositi ed i
"Ricoveri quali si descrivono e si prescrivono (intorno a che più sotto
apriremo qualche nostro dubbio), anche, ripetiamo, ammettendoli
tali, potrebbe bene avvenire che qualche mendico non vi volesse
stare. E in questa ipotesi il menarlovi ed il tenerlovi suo malgrado
è un verissimo tenerlo in prigione, per quanto vi possa avere prov
vedimenti ed agi a lui non possibili altrove. La ragion di carcere
non dimora già nell' esserne lurido e squallido l' albergo, od il non
potervisi mirare il cielo altrimenti che a scacchi : la ragion di carcere
dimora nel dovervi la persona stare per forza; ed il chiudermi mio
malgrado in una regia non sarebbe men prigionia che il chiudermi in
un tugurio. Sarà carcere splendida, agiata, dorata se volete, ma sa
rà sempre carcere fin che mi sia disdetto l'andarmene pei fatti miei .
E se la causa della ripugnanza fosse l'amore di libertà, noi non sap
piamo intendere per qual motivo non debba essere rispettato quel-
l' amore, e per quale insigne utilità sociale quel disgraziato ne. deb
ba far sacrifizio. Ma oltre ad un legittimo amore di libertà vi potreb
bero essere eziandio affezioni anche più dilicate e degne di maggior
riverenza. E non potrebbe egli avvenire che anche il mendico aves
se tale amore al proprio villaggio, al proprio tugurio, alla propria
famiglia, alle consuetudini domestiche ed a qualche persona cara,
da fargli portar con dispetto anche un comodo albergo, che lo stra
niasse da quelli ? E non potrebb' essere legato da doveri eziandio
gravi verso luogo e persone care ? Ed in questi casi con qual diritto
vorreste voi tenerlovi per forza, ed ammassarli in grandi Depositi,
come fareste o delle pecore per condurle al pascolo, o degli stracci
per farne carta ? I nostri lettori sanno pregio altissimo in che noi te
niamo gli affetti domestici, e quinci debbono prendere argomento
del quanto poco ci debbono andare a sangue questi progetti orgo
gliosi di grandi agglomerazioni, che cominciano il più spesso dallo
scardinar le famiglie. 0 credete che un poveretto però solo che è
costretto a mendicar la vita, non possa più avere una moglie, una
ED I MENDICHI 17
sorella, un figliuolino, nelle cui caste affezioni trovare un compenso
a tante ingiure della fortuna? Il qual danno o certamente pericolo è
tanto maggiore quanto che somiglianti istituzioni di Depositi o Ri
coveri, non si potendo stabilire in ogni luoghetto, ma dovendosi
di necessità nella capitale o nelle città maggiori, i più dei raccolti
vi sono stranieri e vi perdettero non che la famiglia, ma ancora la
patria.
Ma se i Ricoveri fossero, non diremo quale li supponemmo fin
qui, ma almeno sufficientemente agiati e provvisti secondo la loro
destinazione, noi avremmo fiducia che molti invitativi, volontaria
mente vi si condurrebbero; e cosi la classe dei mendichi, scemata
dei fraudolenti per opera del Governo, e di questi liberamente rico
verati, si ridurrebbe ad esser cosa appena notevole e certamente
non incomoda. Tuttavolta noi vediamo, che salvo alcune eccezio
ni, e il più spesso sono i Ricoveri governati dalla carità, comune
mente i mendichi mostrano ripugnanza, non superabile che dalla
forza, ad andarvi. Or questo può bene avvenire in alcuni per avver
sione ad una vita disciplinata, in altri per le ragioni toccate più
sopra ; ma nei più noi crediamo che incontri perchè i Ricoveri so
miglianti alle prigioni quanto allo starvi per forza, non sono punto
migliori quanto all'abitazione, al vitto ed a tutti quegli altri ammi-
nicoli di cui una creatura umana può avere bisogno. E ciò diciamo
accennando particolarmente ai paesi eterodossi, dai quali si vorrebbe
derivare ai nostri non solo la istituzione dei Depositi, ma eziandio la
maniera di condurli. Fatti cosa strettamente governativa e buro
cratica, vi sarebbero tutti gli sconci delle crudezze, delle dissimulate
dilapidazioni, dello impinguarsene una falange d'impiegati più nu
merosa forse dei ricoverati, con tutto quel resto che da somiglianti
metodi debbe attendersi, quando non sono ammorbiditi dalla carità
e tutelati dalla coscienza cristiana. Questo certamente non potrebbe
schivarsi, che considerati questi meschini come esseri essenzialmente
improduttivi, vi si vorrà consumare attorno il minimum possibile,
senza impensierirsi gran fatto che una parte ne perisca di disagio e
d' inedia, nel che si vedrà piuttosto uno scemato dispendio. Certo
Serie III, voi. IV. 2 19 Sett. 1886.
18 tX MENDICITÀ
restringendosi l' Amministrazione a non voler dare che il puro ne
cessario, ne sarebbero i Ricoveri anche per questo capo equiquarati
alle prigioni, in quanto in queste le esigenze del puro necessario
non potrebbero essere senza colpa trasandate. Anzi noi sappiamo di
tal città, dove i poveri del Ricovero costano poc' oltre ad otto soldi
al giorno, laddove i malfattori nelle galee ne costan tredici ; e pure
il prigioniero non è cosi diserto di aiuti esteriori,.come dee supporsi
il rinchiuso a titolo di mendicità. Pertanto o che si voglia dire i car
cerati essere trattati meglio che non i poveri, o che si voglia suppor
re nella economia dei primi rubarsi assai più che non in quella dei
secondi , il certo è che quel paragone è poco acconcio ad allettare
i mendichi ad andarvi spontaneamente, se pur non è fatto a cre
scerne e giustificarne le ripugnanze.
Dall' altra parte, onde si caveranno i mezzi per alimentare i così
raccolti nei Ricoveri ? Non ci rispondete per vita vostra la risposta
obbligata e persistente in somiglianti casi : fl Governo , lo Stato , il
pubblico Erario, la Provincia, il Municipio o che che altro meglio vi
piaccia nel giro della cosa pubblica. Perciocchè noi già vel dicem
mo, tutti quegli enti astratti non hanno altro fondo da pescare che
le borse dei privati ; e se alcuna cosa hanno in proprio , questa de-
v' essere deputata ad alleggiare le gravezze che già pesano sopra le
borse. Talmente che in ultima conclusione si viene a dire che i po
veri dovrebbero essere a carico indistintamente di tutti. Ora , se il
veder nostro non erra , in questa uguaglianza, che ai poco accorti
potrebbe parere molto equa , si acclude una molto iniqua disugua
glianza. Oltre alla ragion naturale, il precetto evangelico più chia
ramente e più rigorosamente prescrive , che il soverchio del ricco
sia sollievo e sopperimento alla necessità del povero. Orale pubbli
che tasse e gravezze s' impongono a misura non del soverchio ma
dell'avere ; anzi benchè paia che pesino più sopra i più ricchi, in fin
dei conti si pagano dai poveri nientemeno che dai ricchi, e per certi
capi più forse dai primi che dai secondi. I1 perchè ove si facesse pe
sare il mantenimento dei poveri nei Depositi sopra il pubblico da
naro, si farebbe pesare sopra cui meno dovrebbe, e per buona parte
ED I MENDICHI 19
non i ricchi del loro soverchio sostenterebbero i necessitosi, ma tutti
a caso, e sopra moltissimi che non lo farebbero altrimenti, che reci
dendo per forza non pure dal loro conveniente, ma dal loro neces
sario. Al quale non lieve inconveniente non si occorrerebbe propo
nendo di ammisurare quella tassa non all'avere, ma al soverchio degli
agiati e dei ricchi. Chi cosi pensasse darebbe dav vero vista di non se
ne intendere. Il soverchio ! Ma chi ne sarebbe giudice ? è cosi elastica
quella parola , sono così scaltri e sottili i cavilli della cupidigia dis
umana, che quel precetto dato da Cristo sotto la sanzione dell' in
ferno, resta vuoto di effetto quasi sempre, perchè quel soverchio non
si trova mai. Pensate come si troverebbe quando se ne mescolasse
ro gli uomini coi loro computi bugiardi e interessati ! In una.parola :
essendo il debito della limosina cosa tutta relajtiva al soverchio di
chi dee farla, è indispensabile che il giudizio se ne lasci alla coscien
za della persona, senza che la pubblica Autorità possa intrometter
sene per nulla , avendo bene essa il diritto di prescriver tasse , non
quello di comandare largizioni.
Di qui mantenendo il Ricovero per oblazioni spontanee si evite
rebbe lo sconcio notato di sopra; tuttavolta si scontrerebbe l'altro
in diverso genere , ma non minore , della incertezza cioè a cui sa
rebbe l' istituzione abbandonata. Essendo i due elementi del biso
gno dall'una parte e del soccorso dall'altra essenzialmente variabili,
qual mezzo avreste da mantenerli in un equilibrio abbastanza co
stante ? Anzi ci sarebbe a temere di vederli variare in ragione in
versa tra loro ; stante che le medesime pubbliche strettezze, che fan
crescere il numero dei necessitosi da una banda, fan restringere dal
l'altra la copia delle largizioni. E questo scemamento sarebbe tanto
più a temersi quanto che, supposti tutti i bisognosi sequestrati dalla
vista altrui ed impossibilitati a chiedere per sè medesimi , vi man
cherebbe l' aspetto delle miserie che impietosisce , e non vi sareb
bero le calde sollicitazioni, le quali talora riescono efficaci appunto
perchè sono importune. Ad ogni modo un Ricovero pei mendichi,
ove potesse stabilirsi e mantenersi per ispontanee oblazioni ed ave
re sufficiente fermezza, soprattutto per fondazioni stabili di doni-.
20 LÀ MENDICITÀ ED I MENDICHI
legati o testamenti, sarebbe certo bella e pietosa opera, e gl' istitu
tori e i presidi ne meriterebbon bene del privato e del pubblico.
Ma si noti nondimeno , che così si provvederebbe al modo sicuro
di mantenervi un dato numero di mendichi cui garba lo starci, non
si acquisterebbe il diritto di tenerveli per forza.
Dalle quali cose ci pare che questi cinque punti possono tenersi
siccome certi, e dal detto avverati abbastanza.
I. Il domandar limosina , chi manchi d' ogni altro modo a cam
par la vita, non è cosa per sè medesima illecita, e però non potreb-
b' essere con giustizia universalmente ed assolutamente proibita.
II. È indubitato potere la pubblica Autorità invigilare e impedire
che furbi oziosi vadano, sotto mentiti pretesti, ingannando la pub
blica carità; e quando fosse altrimenti certo che ai volenti il lavoro
non manca, potrebbero supporsi tali tutti i vigorosi ed aitanti cbe
abitualmente mendicano.
III. È utile aprire Asili di carità mantenuti da spontanee offerte
dei doviziosi ed invitarvi i bisognosi, soprattutto quando non aves
sero famiglia; e trattati bene molti senza fallo vi ricorrerebbero.
IV. Essendo il domandar limosina un vero diritto nel veramente
bisognoso, puossi per mezzo di pubblici ordinamenti regolare l' u-
so di quel diritto in certi luoghi, tempi , ecc. come si regola l' uso
di ogni altro diritto civile.
V. Quando l' uso di quel diritto per istraordinarie circostanze si
facesse pubblico pericolo o di fatto creasse un pubblico danno , si
potrebbe temporaneamente disdire, provvedendo al bisogno per al
tre vie.
Vediamo che intorno a questa materia molte altre cose potreb
bero desiderare i lettori , e segnatamente sopra questi medesimi
cinque punti possono non poche difficoltà restarvi tuttavia. Ma noi
non intendiamo di avere esaurito il nostro suggetto in questo arti
colo ; e ci riserbiamo di farlo debitamente nel venturo .
LA MENDICITÀ ED I MENDICHI1

Allorchè gli Economisti sequestrarono il sentimento cattolico dal


le loro disquisizioni, proprio allora condannarono sè medesimi ad
una sterilità di concetti e ad una impotenza di opere che fa doloroso
contrasto ai tanto pomposi vantamenti di pubblica prosperità e di
pregresso. Consumato quell' innaturale dissidio , cominciarono es
sere impossibili le soluzioni di molti problemi sociali, a cui solo quel
sentimento potea darle perfette. Per quanto sia vero che la società
non ha fine ultramondiale, non è men vero che l' averlo gl'individui
onde essa è composta, le fornisce in molti casi la via di occorrere a
parecchi bisogni, i quali, senza quel fine, resterebbero insoddisfatti
o certo molto imperfettamente ; e così potrebbe dirsi con verità, il
provvedimento a molti beni della società terrena non potersi avere
che dal suo riguardo alla celeste. Ove si voglia a tutti i patti prescin
der da quello, crescono da una parte smisuratamente i mah e sce
mano dall'altra le forze ad ovviarvi; e vede ognuno che in somi
glianti condizioni o non si trovano i rimedii, o si trovano monchi,
spesso inefficaci, pregiudizievoli e prevalenti talora in intensità ai
medesimi mali, cui dovrebbero essere riparo e medicina.

1 V. questo Voi. pag. 5 e segg.


LA MENDICITÀ ED I MENDICHI 28»
Le quali considerazioni se in alcun soggetto mai, trovano pienis
simo avveramento nella quistione della Mendicità, di cui in altro*
articolo cominciammo a trattare e la cui materia vorremmo com
piere in questo. Essa nel senso cattolico è cosa naturale, di facile ri
medio; che porge bella occasione alla carità generosa di chi dona
ed all'umile riconoscenza di chi riceve; che non cagionava nè smo
date noie nè minacciante pericolo al consorzio civile , e che per
conseguente non era neppure una quistione od un problema, salvo
i rari casi che circostanze imprevidibili o certo impreviste facessero
necessario qualche pubblico temporaneo provvedimento. Ma quan
do la Mendicità dall' essere condizione accidentale della vita pratica
e cristiana fu trasmutata in conseguenza necessaria ed ampia di non
so quali nuovi sistemi, quando essa dall' essere soggetto di belta
pietà si cangiò in materia di dottrinali disquisizioni dalla parte di
uomini scredenti e mezzo atei , allora la Mendicità si converse in.
un flagello sociale , in un mostro pauroso , in uno spettro trucu
lento , a cui fugare non vi fu rimedio per dispendioso e crude
le che fosse, innanzi a cui dietreggiassero i nostri filantropi. Tan-
t' è I il mendicare non è cosa nuova nel mondo : i moderni sistemi
non hanno il merito di procurare provvedimento ad un bisogno dai
nostri antichi trascurato; ma i moderni sistemi, in quanto tendono
a debilitare nei popoli il sentimento cattolico e lo suppongono quasi
spento, fecero crescere stranamente il numero degli accattoni ; e
costretti pure a trovarvi rimedio, non seppero pensare altro che De
positi, tasse, burocrazia, gendarmi e andate discorrendo per tutti
quegli eterni ed intricati ingegni, onde l'uomo superbo pretende
rifare l' opera di Dio, e sostituire i figmenti del proprio cervello alle
condizioni naturali d' una società cui la mano dell' uomo può bene
straziare e perfino distruggere, ma che certo essa non ha fabbricata.
E dicemmo pensatamente l'opera di Dio, senza escludere da quelle
opere, anzi includendovi espressamente la povertà e la Mendicità ; le
quali non sono tra le meno ammirabili, chi consideri le maravigliose
armonie morali onde quelle due condizioni sono intrecciate coll'agia
tezza e colla dovizia. Dives et pauper obviaverunt sibi; e non fu caso
286 LA MENDICITÀ
lo scontro di quei due diversi nel cammino della vita : fu proprio Dio
chefeceli ambedue, anzi che li costituì ambedue : utriusque operator
est Dominus 4. La qual voce operator indica qualche cosa di più so
pra il semplice fare ; e vi aggiunge il consiglio, il proposito, l'inten
dimento a qualche scopo determinato, il quale nel caso presente do-
vett'essere l'esercizio di preziose virtù;, a cui schiude la via quell'ac
coppiamento di due elementi che sono solamente diversi e che ci si
vorrebbero far considerare siccome opposti e nimici. Guardata sotto
un tale aspetto la Mendicità e supposta in un popolo la cognizione
e la pratica dell' Evangelio, in quella mediocre misura che moral
mente si può sperare dagli uomini confortati dalla grazia, suppo
sto, diciamo, codesto, non ci è a temere che un gran numero voglia
colpevolmente sottrarsi alla legge universale della fatica, quando
essa si accetta anzi come un dovere imposto da Dio e come un mezzo
a schivare i corrompimenti che accompagnano il poltrire nell'o
zio. Molto meno ci sarà a temere la frode, la fìnzione, il mendacio
per carpire una limosina non necessaria, e che per indiretto assot
tiglierebbe i sussidii destinati dalla carità al verace bisogno. Dove
si noti : noi non diciamo che in un popolo cristiano non vi sarebbe
ro pitocchi oziosi e frodolenti; diciamo si veramente che in un tal
popolo sarebbero casi rari, fuori dell'ordinario e cosa in somma co
tanto piccola da non costituire un pubblico danno o pericolo, ed alla
quale sarebbe provveduto, come si suole a tutte le spiacevoli ecce
zioni al regolare andamento del convitto civile. Quel medesimo
sentimento poi che condurrebbe la Mendicità alle sue giuste e na
turali proporzioni nel giro dell' incolpevole e verace bisogno, quel
medesimo sentimento, diciamo, ne apparecchierebbe il facile e pro
porzionato soccorso nella carità degli agiati e dei ricchi .
Anzi quei medesimi che sono infingardi ed infingitori non sareb
bero nella società cristiana raccomandati ai soli bargelli e secondi
ni, che li spoltriscano e gastighino per far loro smettere il reo vezzo
di vivere a ufo ed a spese dell'altrui troppo credula carità. Quando.

l'Prov. 22, a.
ED I MENDICHI 287
alla limosina materiale sì aggiungesse quella condizione divisata e
raccomandata con si calde parole dal sig. Raffaele Lambruschini
in una lettera ricordata da noi con molta lode * , noi crediamo
che sarebbe, non che provveduto al vero bisogno , ma occorso e-
ziandio al pericolo di vederlo troppo cresciuto per vizio e simula
to per menzogna. Gli è pur troppo vero che la limosina , la qua
le getta un pane od un obolo al mendico per cavarsi dattorno la
noia d' un importuno , è cosa ben diversa da queh" altra che sten
de la mano perchè si conduole veramente del male altrui ; perchè
ha veduto e misurato il bisogno e nel soddisfarlo eccita , insegna ,
conforta, schiude la via ad ucciderne il germe; il quale spesso si na
sconde più che nel vizio, nell'abbandono, nello scoraggimento, nel
la solitudine di persone , cui nessuno osa appressarsi per tema di
rimetterci del suo. È manifesto che per questa via non solo si prov-
vederebbe al bisogno, ma si scemerebbe insensibilmente il numero
dei bisognosi ; effetti che indarno si aspetterebbero dai mezzi bu
rocratici e governativi, i quali, per poderosi che siano, non posso
no avere veruno effetto salutare nelle coscienze di cui sovvengono ;
e questa faccenda è di tale indole che se non trova rimedio nell' af
fetto e nella coscienza , non lo può trovare che mancante assai ed
incerto. Di qui voi scorgete quanto siano differenti e per poco non
dicemmo ripugnanti tra loro i mezzi presi dalla carità e quelli pro
posti e raccomandati dalla filantropia. Quella vorebbe vedere le due
generazioni di ricchi e di poveri commiste tra loro come due ope
re dello stesso Padre comune ; e gli agiati visitare nelle loro case i
poverelli e cercarne i bisogni, e indagarne le cagioni, ed aggiunge
re una parola amica, suggerire un consiglio prudente, e confortare
colle speranze celesti , ed invigorire alla tranquilla rassegnazione
colle parole e coll' esempio : appunto come si usa fare dalle ammi
rabili Conferenze di S. Vincenzo da Paoli. Questa per converso ,
cioè la filantropia guarda i ricchi ed i mendichi quasi fossero due
popoli diversissimi , li vorrebbe separati recisamente ; e cacciati

1 Vedi Civiltà Cattolica, seconda serie, voi. X, pag. 183 e segij.


288 LA MENDICITÀ
i mendichi in uno squallido Deposito , i ricchi non ne dovrebbon»
avere altro pensiero , che pagarne ai posti tempi la loro quota di
sussidio , come si paga qualunque altra tassa o pubblica gravezza
per tenere , esempligrazia , purgata la campagna dagli assassini.
Nel resto non ne vedrebbero, non ne saprebbon nulla, se non fosse
gualche occhiata fugace al cader d' ogni anno sopra alquante ci
fre rappresentanti 1' entrata e Y uscita delle spese e dei proventi r
.dei vivi e dei morti. Questo secondo metodo , noi neghiamo , sa
rebbe il più comodo pei godenti del secolo , le cui raffinate delizie
non verrebbero disturbate dalla vista dei cenci e dai lai degli affa
mati ; e se mirano a questo gli Economisti , noi non abbiamo che
replicare. Diciamo anzi che essi si appongono a maraviglia; e, non
foss' altro a mostrarlo, vi sarebbe il fatto di un paese dove Y epicu
reismo dei godenti e l' orribile stremo dei mendichi innumerevoli ,
essendo pur giunti a termini appena credibili , le cose nondimeno
vi sono regolate per guisa, che i primi, non che avere alcun distur
bo dai secondi, neppur saprebbero che vi sono se non fosse la las
sa pei poveri che ne li ammonisce. Ma noi non ci pensavamo nep
pure in sogno che la quistione intorno ai mendichi si dovesse tra
sformare nell'altra al tutto differente del trovar modo a rendere più
imperturbati e deliziosi i beati sonni dei ricchi. Noi credemmo bo-
namente che si trattasse davvero di provvedere ai bisogni dei men
dichi, di correggerne all' uopo la scioperatezza e l' improvidenza,
e sopratutto di attenuarne il numero collo allontanarne al possibile
le cagioni , salvo gli eterni diritti della giustizia e non preterite le
voci soavi della carità. Ove ad altri basti l' animo di prescindere
non che da queste ma eziandio da quelli , allora che serve fantasti
car tanti mezzi e ravvolgervi in tante ambagi? Forse che il Malthus
non vi ha insegnata la via spedita per disfarvi degl'infanti che, non
chiamati, vengono ad assidersi al convito della Natura che non ap
parecchiò posto per essi? Strozzarli sarebbe. certo la maniera più
sbrigativa , più economica e fatevi certi che ci ha paesi in questo
mondo , nei quali se non si pronuncia propriamente quella brutta
parola, si fa un sottosopra quella più brutta cosa ; ed invece del
ED I MENDICHI 289
capestro che strozzi vi è la insalubrità dell' aria che uccide, la scar
sezza del vitto malsano che logora, gli sperimenti chimici , medici
e chirurgici in anima vili che fan la festa a un cristiano assai più
pulito che non farebbe il capestro. Ma questo sia detto per paren
tesi e torniamo a bomba.
Tra noi Cattolici la quistione dei mendichi , se pure è quistione,
non ha altro scopo che di consolarne i dolori, scemarne le privazio
ni , cessarne i pericoli e più d' ogni altro di troncare al possibile le
cagioni di quello stremo, anche a condizione che ai ricchi ne debba
costare il sacrifizio , non che d' un po' di quattrini, ma e di un po'
di tempo, di un po' di cure e di un poco di compassione. E volendo
da cosi fatti principii trarre la soluzione del problema , noi appena
la sapremmo vedere altrove che nella pratica della morale evange
lica ; la quale, imponendo la fatica come dovere, raccomandandola
come espiazione, condannando ogni maniera d' infingimento anche
occultissimo , ritraendo da ogni soverchio massime nel fatto di di
letti e di lusso, uccide come nella radice la mendicità colpevole ; e
dall' altra parte imponendo ai facoltosi lo stretto dovere di soppe
rire alle gravi necessità del fratello , e inducendo a procurarne la
correzione quando mai traviasse, ha apparecchiato non pure il sus
sidio al bisogno innocente , ma eziandio la cessazione del bisogno
colpevole, almeno nel più dei casi, restando la punizione degl' in-
corregibili raccomandata, come si può il meglio, alla umana giusti
zia e con più sicurezza alla divina. Nè queste, vedete, sono utopie
da progettisti , esse sono piuttosto verità di fatti evidenti a chiun
que abbia occhi da vederli e mente sana da giudicarli. Le regioni
agricole, nelle quali vigorisce comunemente il timor di Dio, nelle
condizioni ordinarie dei raccolti, il più spesso hanno nessun ricco,
parecchi agiati, molti poveri e nessun mendico ; e questo per quella
indole singolare del Vangelo che, recidendo ogni smodato desiderio,
conduce soavemente ogni cosa a quella moderanza temperata lon
tana ugualmente dagli eccessi contrarii. E noi siam d' avviso che ,
ove i precetti di Cristo fossero recati in pratica da lutti ed i con
sigli da molti, scomparirebbero a poco a poco dalle società e le
Serie III, voi. IT. 19 18 Ott. 1856.
290 ' LA MENDICITÀ
ricchezze sfondolate e le povertà estreme, o vi resterebber solo in
piccolissima parte, come in un clavicordio si trovan pure gli estremi
gravi e gli estremi acuti pei casi rarissimi, in cui una mano maestra
può fargli entrare senza sconcio nell' armonia dei suoi accordi.
La quale diversissima maniera onde guardano la mendicità gli
Economisti semieterodossi e i Cattolici si origina da questo , che i
primi ed i secondi portano diversissimi e pugnanti giudizii della po
vertà, dalla quale è piccolissimo il varco per passare alla condizione
di mendico. Secondo a noi pare, povero potrebbe dirsi chi ha sot
tilmente il necessario pel solo presente e soffrendone eziandio talora
un qualche difetto. A questa maniera forse ventinove sopra trenta
sono poveri nel genere umano , in quanto che la generazione agri
cola, l'operaria e la vivente comunque alla giornata, nelle città gran
di e piccole tiene grandissima parte , nelle campagne è quasi il tut
to. Ora che ci vuole egli perchè un povero cosi descritto dechini,
senza alcuna sua colpa, alla condizione di mendico? Un improvviso
incarimento della vita , una infermità alquanto diuturna , una do
mestica morte, una imprevista cessazione di lavoro sono più del biso
gno perchè debba oggi stendersi all'obolo mendicato una mano che
ieri traeva onorato sustentamento dal lavoro della terra o dulle arti
meccaniche. È naturale che questa accidentale, ma spesso necessa
ria conseguenza dell' esser povero si guardi con occhio diverso se
condo che è diverso l'occhio onde si guarda la prossima sua cagio
ne. E cosi un sistema che guarda la ricchezza come il sommo bene,
come l'unico bene, come il solo titolo di dignità che vi abbia al mon
do, un tal sistema dee di necessità abborrire la povertà come un fla
gello, spregiarla come un' abbiettezza ed accumulare l'abbominio e
lo scherno sopra la mendicità che della povertà medesima è come la
esagerazione e l'estremo compimento. Tutt' altra cosa essa è all'oc
chio cattolico : a questo essa incolpevole si mostra siccome sequela
inevitabile di una condizione che è la più comune e che dovrebb'es-
sere la più onorata dal cristiano, siccome quella che è più lontana
dalle sfoggiate esorbitanze della voluttà e del lusso; e quando in
qualche parte è colpevole, più che esecrarla e renderla collo spregio
ED I MENDICHI 291
insofferente, la carità si travaglia a farla accorta del suo danno e
dei pericoli più eterni che non temporali , a cui è esposta. In una
parola : essendo tra noi , o certo dovendo essere , se pur ci gover
niamo colle norme dell'Evangelio, in non piccolo pregio la povertà
morigerata , laboriosa ed onesta , non può essere appresso noi vili
pesa e calpesta la Mendicità che da quella , spesso senza colpa ve
runa di chi n'è vittima, si deriva.
Sappiamo pur bene che questa parola del doversi tra i Cattolici ave
re in onore la povertà incolpevole a molti umanitari! e credenti nel
progresso indefmito farà accartocciare gli orecchi ed arricciare in
capo i capegli ; e sappiamo la folle parola d' un deputato subal
pino che volea sterpati gli Ordini religiosi singolarmente i mendi
canti , per la buona ragione , che essi mantengono in onore quelle
due condizioni di vita, cui la civiltà moderna guarda in cagnesco e
come nimiche. Ma che vorreste farci ? quando i nostri cervelli non
si sanno acconciare ai principii dell'Evangelio, è sacrilega profana
zione stiracchiar questi malamente per acconciarli ai figmenti del
nostro cervello ; e tale è senza fallo quella fantasia che il Cristiane
simo civile debba sbandire dal mondo tutti i mali che l' infestano ,
tra cui è precipuo e radice d' infiniti altri la povertà e la Mendicità
che spesso ne deriva. Dall' altra parte non pare che i nuovi siste
mi umanitarii siano finora riusciti, non che a sterpare, neppure a
diminuire questa miseria del mondo ; e nella ipotesi che pure la vi
ci abbia ad essere, a noi non pare cosa civile e pietosa aggiungere
1o scontento , l' impazienza e l' abbiettezza ad uno stato che pure è
inevitabilmente il più comune e che pure è abbastanza pesante per
chi vi si trova. Così in paesi ed in tempi di fede quel concetto che
11 povero era cosa sacra, cara specialmente a Dio e degno, non che
di soccorso ma di riverenza, era comune, faceva parte dei convin
cimenti popolari, ed è incredibile quanto salutarmente dovesse con
tribuire a mantenere serena e tranquilla quella tanta parte della
umana famiglia che versa in istrettezze domestiche, e che lotta in
cessantemente con privazioni e bisogni appena satisfatti ed incalzan
ti tosto con nuove strette. Nè solo nel tempio, nelle sacre liturgìe ,
292 LA MENDICITÀ
nei libri pii e nell'aspetto della volontaria povertà e mendicità clau
strale si porgeva quel conforto ai diseredati dalla fortuna ; ma ne
gli usi comuni della vita e dove meno altri lo avrebbe aspettato ,
si vedea messo sott' occhio quel ricordo cosi consolante pei pove
relli ; e ciò più che altrove in questa Roma, dove quei concetti, per
le speciali condizioni del suo civil reggimento , furono con singo
lare studio intrecciati a quasi tutte le consuetudini della vita pub
blica e della privata. Ci venner sott' occhio un giorno due monete
battute in Roma negli inizii del passato secolo ; e l' una d' oro por
tava la scritta : Vae vobis divitibus ; V altra piccolissima e di rame
aveva : Beati pauperes. Non vi paiono bene scelte per temperare la
smodata cupidità delle prime e per persuadere di contentarsi alle
seconde ? Ci parve cosi bella quella idea, che ne esprimemmo la no
stra compiacenza ad un amico ; ed egli ci mostrò una piccola col
lezione di monetuzze d' argento del valore di cinque o di due ba
iocchi e mezzo (trenta o quindici centesimi di franco) battute circa
quel tempo medesimo ; e le quali portavano quale una e quale un'al
tra di queste scritte : Nocet minus ; In cibos pauperum ; Novit iu-
stus causam pauperis ; Auxilium de Sancto ; Da pauperi ; Oculi eius
in pauperem; Pauperi porrige marium; Dispersit dedit pauperibus;
Ut alat eos in fame; Egeno opes ; Modicum iusto ; Ut salvi fiant ;
Satis ad nocendum e cosi altre molte tutte più o meno ingegnose ,
ma spiranti ugualmente quel cristiano sentimento della preziosa co
sa che è povertà, del quanto sia cara a Dio , e del non dovere però
essere dispetta e paurosa agli uomini.
Direte che a questa maniera cesserà nella gente la voglia di far
quattrini e con lei resterà inerte il più poderoso movente della uma
na attuosità. Ma chi cosi obbiettasse darebbe davvero vista di non
se ne intendere. È cosi arrabbiata quella foga di transricchire, che
quando il Vangelo coi suoi precetti giungesse a ridurla universal
mente alle sue giuste proporzioni, avrebbe portato un trionfo di cui
la storia per nostra sventura non ha esempio ; se non fosse nel pri
mo secolo del Cristianesimo. Pensate un poco se tutti i banchieri e
trafficanti per amore del beati pauperes vorranno farsi frati cappuc
ED I MENDICHI 29?
cini ! Sarà miracolo se il vae divitibus basti ad indurli a scuoiare e
disanguare il prossimo con un po' più di garbo ! Nè più c'impensie
risce l'altro timore che la plebe, avendo in pregio la sua povertà, si
volgerà all' ozio o certo avrà poca voglia di sobbarcarsi a gravi fa
tiche. Se ci parlate di una plebe senza fede, senza legge e senza co
scienza, lo intendiamo anche noi : per piegarla alla fatica non vi sarà
altro mezzo che la fame ed il bastone. Ma se ci parlate di una plebe
cristiana e morigerata, ci permetterete di pensare che essa nella pro
pria coscienza e neh' adempimento dei propri doveri può trovare
motivi sufficienti a piegarsi alacre e volente anche a gravi fatiche, e
più rispondenti alla dignità dell'uomo e del cristiano. Che se gli Eco
nomisti non possono assorgere tant' alto , e ci ripetono : Affamate
il popolo perchè lavori : imprigionate il mendico perchè non vi dis
turbi ; tal sia di loro. Ma noi non sappiamo se sia stupidità o fero
cia codesto ticchio di applicare alla società cristiana alcuni metodi
che appena possono essere buoni per la pagana o per tale che poco
si differenzii da quella.
Queste cose noi ragionammo avendo riguardo alla condizione or
dinaria del nostro tempo e delle nostre contrade ; nelle quali la Men
dicità non è una pubblica calamità, non crea un pubblico pericolo,
e con discreti temperamenti, che comincino dal non offendere il di
ritto di alcuno, può trovare sufficiente rimedio, senza che i Gover
ni prendano a loro carico il provvedervi col ministero del bargello
o colla pecunia. Timor di Dio nei poveri, carità sincera nei ricchi e
Provvidenza pietosa che tenga lungi le grandi pubbliche calamità di
carestie, di mortalità , di stemperate stagioni e somiglianti, e senza
più la Mendicità non diremo che sparirà , ma certo sarà condotta a
così tenue misura , da appena farsi scorgere e certo da non recare
pericolo, noia, danno ad alcuno. Che se di quei tre elementi ricor
dati qualcuno venisse a mancare, ed una plebe scostumata e indisci
plinata si gettasse al pitoccar per mestiere ; o ricchi senza viscere
negassero soccorsi che, atteso il loro soverchio e l'altrui grave biso
gno, sono più veramente uno stretto dovere, che un uffizio di ca
rità ; o se da ultimo calamità gravi ed universali incogliessero a tutto
294 fcA MENDICITÀ
un popolo riducendone una gran parte alla inopia ; in questi casi è
manifesto che la pubblica autorità ha il diritto ed il dovere d'intro-
mettervisi, non foss' altro per cessare quei danni che ne derivereb
bero al sociale consorzio, di cui essa è custode e tutrice. In somi
glianti circostanze sarebbero temporanei i provvedimenti, come ne
sono passeggiere le cagioni : ed essi nulla non avrebbero che fare
contro i rimedii invocati dagli Economisti per la repressione, come
essi dicono, e l'estirpamento della Mendicità, quale che s' abbia in
dole finalmente e da qualsivoglia cagione essa proceda. Nè vale null»
l'esempio che essi recano dall' Inghilterra , dove per questo capo e
sono prescrizioni rigorose, e si effondono ingenti somme, e vi ha una
falange di uffiziali sopra una siffatta bisogna. Non è questo il prima
ed il solo caso, in cui i nostri anglomani si sono fitta in capo la stra
na idea di trapiantale al di qua della Manica alcune istituzioni che
hanno tutto il loro perchè in condizioni sventuratamente affatto spe
ciali a quel popolo cosi degno di migliori destini. Ed essi in cosi
volere non sono più accorti di quel medico che si pensasse il tal far
maco dovere riuscire utile ad un infermo per la sola ragione che
con quello ne guari un altro, dimenticando solo di cercare se la ma
lattia sia la stessa. Ma caro il mio dottore ! e non vi accorgete che
il farmaco onde guariste un malato potrebb' essere la via sicura di
spacciarne un altro ? Cosi a noi che, la Dio mercè, abbiamo povertà
solamente che talora piega a Mendicità, ci si vogliono a tutti i patti
applicare i rimedii del Pauperismo; quando quelle due voci, per so
miglianza che s'abbian nel suono, esprimono due cose tanto tra toro
dissomiglianti e lontane , quanto una qualità naturale e pressochè
inevitabile ad una società ben ordinata si dispaia da una piaga so
ciale che solo può affliggere popoli nelle loro istituzioni radicalmen
te corrotti. E noi Italiani segnatamente siamo così lontani dalla co
sa che neppure ne conosciamo il nome, non si trovando quella ma
laugurata voce di Pauperismo in alcun buono nostro scrittore, ed
indarno la cerchereste nel Vocabolario, nè anche nello stampato in
Napoli dal Tramater che pare suol fare d'ogni erba fascio.
ED I MENDICHI 295
Pauperismo significa propriamente la condizione abituale di una
notevole parte di popolo che, non potendo campare la vita nè colle
proprie fatiche nè colle altrui limosine, minaccerebbe un vero pe
ricolo alla società cui appartiene, la .quale a cessarlo dee prendere
a proprio carico il sustentarli. Egli basta ponderare questa defini
zione, ammessa universalmente dagli Economisti, per convincersi
che nei nostri paesi noi non conosciamo di quel flagello neppure
l'odore. Già s'intende chequi discorresi di condizione abituale ed
ordinaria ; chè quanto alle straordinarie di tremuoti, esempligrazia,
inondazioni, mortalità, carestie e via discorrendo, debbono essere
pubblici e straordinarii provvedimenti a sopperirvi. Ma salvo questi,
presso noi gl'impotenti, in un modo o in un altro, trovano appoggio
nelle fondazioni di carità; e quanto, diciam così, agli eventuali bi
sogni degli aitanti, essi dalla carità privata hanno cos'i larghi sovve-
nimenti, che fan gridare talora al soverchio chi troppo teme che
l'infingardaggine vi trovi conforto ed il vizio alimento. Certo una
generazione di miseri che debba assolutamente vivere a spese del
l' erario noi non abbiamo, se non forse in quanto alcuni erarii im
possessatisi delle pie fondazioni, ne debbono per conseguente soste
nere i carichi almeno in parte. Tutto altrimenti è in Inghilterra, i
cui Depositi di Mendicità si vorrebbero a tutti i patti introdurre tra
noi dai nostri anglomani. Ivi quella generazione pur troppo si trova
ed è numerosa più che non parrebbe neppur verisimile, contando-
visi i capi non a migliaia e miriadi ma a milioni. Signori si ! a mi
lioni; e le statistiche stesse inglesi ce lo hanno accertato. Il Vil-
leneuve de Borgemont, diligentissimo cercatore di somiglianti dati,
fa ascendere a non men di un settimo di tutto il popolo del Regno
unito quella grama generazione; che vuol dire ad oltre tre milioni
di esseri umani spogli di tutto ed ai quali il Governo paga quella
più tassa di guerra o prezzo di tregua, che non largizione di bene
ficenza o limosina. Ed eziandio senza ciò, chi considera che meglio
della metà del pubblico reddito di quella ricchissima nazione è esau
rita ed ingoiata da quel baratro, non avrà neppure uopo di quelle
cifre statistiche per convincersene, e per poco non pensa che le cifre
296 LA MENDICITÀ
si siano tenute al di qua del vero. Soprattutto se aggiungete che
ivi si sono fatti ben lunghi studii e mediche sperienze per deffinire
qual'è quel minimum di patate e di birra che ad una creatura uma
na è indispensabile perchè possa mantenersi sulle gambe una parte
del giorno ; perchè dovete assapere essersi colà in questa occasione
osservato che le più ore passate a giacere scemano la dose del nu
trimento indispensabile a vivere. Non sappiamo quanto questa teo
rica possa piacere a quei magnanimi che poltrendo dodici ore del
giorno sotto le coltri , meriterebbero per questo di vedersi assotti
gliato di un terzo il pranzo e la cena.
Il mostrare le cagioni che inflissero a quel popolo una piaga così
vituperevole e dolorosa sarebbe lungo a dire, e forse non opportu
no a questo luogo. Ma bene è opportunissimo l'osservare che quelle
cagioni sono appunto le innovazioni che, sotto specie di progressi
meravigliosi, ci vanno persuadendo i nostri Economisti alla moda ;
i quali solo hanno torto nella fretta che mostrano di attuare i rime-
dii, quando il malanno ancor non ci ha incolto. Ma essi non avran
no il merito di aver provveduto al nostro Pauperismo, se non quan
do saranno pietosamente riusciti a crcarloci in casa ; e per creato
ci fatevi certi non vi esser mezzo più sicuro che attuare per filo e
per segno i loro sistemi. Spogliate la Chiesa d'ogni suo avere; ina
ridite nei cuori ogni senso di carità ; persuadete tutte le menti non
vi essere altra beatitudine a questo mondo che le ricchezze ; per
procurarle caldeggiate mezzi artificiali e posticci nelle ingenti ma
nifatture , nei giganteschi commercii confortati dal libero scambio
e da macchine che con una caldaia a vapore vi diano il lavoro di
mille braccia ; fate diciamo tutto codesto, e noi vi entriam pagatori
che, dopo un secolo di codesto giuoco, voi non avrete nulla ad in
vidiare all'Inghilterra, se non fossero le perpetue sue nebbie ele
sterili sue campagne. Allora avrete alcune decine di uomini che
toccheranno di reddito cento scudi all' ora , e che faranno splendi
do contrasto con molte miriadi di disperati che costituiranno il
Pauperismo, e l'accademia della Crusca non troverà difficoltà di far
passare quella parolaccia nel suo buratto. Sarà quello il tempo di
ED I MENDICHI 297
costituire per ogni città il suo Deposito, e per mantenerlo, oltre alla
tassa dei poveri, si porranno balzelli sopra le livree, sopra le par
rucche e più sulla polvere onde le portassero incipriate gli staffieri
di quei ricconi. Ma, come vi dicemmo, per venire a tutto codesto
vi bisognerà per la nostra Italia un qualche secolo di quel cotal
giuoco che descrivemmo sopra. Che se alla vostra fretta umanita
ria un secolo par troppo lungo ; noi non sapremmo gravarcene, e ci
parrebbe già molto se i nostri bisnipoti fossero serbati a piangere le
sventure e le vergogne di questa patria.
L'articolo come ognun vede, potrebbe essere finito qui; ma ci
si permetta qualche altra parola intorno ad uno scritto attenentesi
strettamente a questa materia. Venutoci alla mano ammezzo lo
scorso anno un opuscolo di certo giovane Tito Ravuzzi da Ra
venna , tutto pieno ( s' intende lo scritto che lo attestava del gio
vane ) delle moderne idee economiche , noi ne scrivemmo una Ri
vista indottivi non tanto dal valore del libretto , quanto dalle gravi
parole della persona che ce lo mandava. Se al lettore non rincresce
andare a scorrere quella nostra Rivista 1, non la troverà, ci confi
diamo, nè acerba nè scortese, soprattutto chi consideri che si par
lava del lavoro di un giovane appena quadrilustre, e che della im
matura sua età avea pur troppo improntate non poche vestigia nel
proprio scritto. Ma il giovane volle replicare : ed un paio di mesi fa
ce ne venne in mano il secondo scritto 2, in cui con maniere, se non
modestissime , certo abbastanza urbane, manteneva tutto il detto
nel primo, ci accagionava poco meno che di non averlo capito , e
ci porgeva nuovo e lamentabile esempio della confusione in che ver
sano quegl' ingegni giovanili che, per loro sventura, attinsero uni
camente in Autori pericolosi o perversi. La sola cosa che meritasse
una risposta era l'appellar che faceva il Ravuzzi a due Bolle di altret-

1 L' opuscolo avea per titolo : Sui ricoveri designati a benefizio dcgl' indi
genti; e la Iti vista si legge nella seconda serie, voi. X, pag. 183 e scgg.
2 Sui ricoveri designati ecc. preso ad esame dalla Civiltà Cattolica, Apolo.
£ia dell'Autore. 1835.
298 LA MENDICITÀ ED I MENDICHI
tanti Sommi Pontefici 1 che aveano emanate prescrizioni severissi
me ad exlirpandam mendicilatem dalla città di Roma. Ad isgom-
brare questo scrupolo , noi avevamo divisata una Rivista anche di
questo scritto ; e quasi l'avevamo condotta al fine, quando ci cadde
l' occhio sulle poche righe impresse a minutissimi caratteri a tergo
del frontespizio, dove suolsi dichiarare la proprietà letteraria. Ma
che ? questa era asserita dal padre del defunto , che diceva di dare
alla luce quel lavoro postumo del figliuolo, mancato in pochi gior
ni e in cosi giovane età ai vivi. Ci strinse di tanta pietà quel caso,
e ci parve così degna di riverenza l' afflizione di un padre tanto do
lorosamente superstite, che gittammo via la penna ed abbando
nammo la Rivista nel dimenticatoio, rimettendo ad altro tempo il
cogliere il destro da sgombrare quello scrupolo intorno ai tre Pon
tefici ed alle loro Bolle. Or questo ci par che sia desso; e la cosa si
fa in due parole. Leggansi attentamente quelle prescrizioni, e si
troverà che esse nulla fanno meno che condannare universalmente
il dimandar limosina. Pensate! Si sarebbe dovuto cominciare dallo
abolire tutti gli Ordini Mendicanti ; ed i Pontefici , che fino in que
sto secolo ne approvarono qualcuno , non sembrano guari disposti
a queste condiscendenze cogli Economisti. Quelle Bolle dunque mi
rano appunto a quei casi speciali di Mendicità infinta od infingar
da, che reca disturbi e che crea pericoli, nei quali casi già dicemmo
potere l' Autorità civile regolare l' uso di quel diritto, ed anche so
spenderne l'esercizio ; il che tanto più sicuramente si poteva fare in
Roma cosi prodigiosamente ricca d'istituti di carità che bene era più
facile trovare apparecchiato il sovvenimento senza il bisogno , che
non il bisogno a cui non fosse apparecchiato il sovvenimento.

i Quamvis infirma di Sisto V — Ad exercitium pistati! d' Innocenzo XII.


LA

CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO NONO

Beatus populus cuius Dominus

Ps. cxLiii, 8.

TERZ A S E R I E
VOL. UNDECIMO

R O MIA
COI TIPI DELLA CIVILTA' CATTOLICA
Via di Borgo Nuovo alVaticano 8 ,

1858.
L'ECONOMIA ETERODOSSA
A LL E PRESE

COL P AU PER IS MIO


-ooco-o

Se dovessimo rassegnarci ai pronostici, con cui il sig. De Fon


tenay conchiude la rivista dell'opera del sig. Victor Modeste intorno
al Pauperismo, dovremmo deporre il pensiero di scrivere questo
articolo e lacerare la carta, ove l'abbiamo intestato: giacchè, secondo
lui, non si può ormai trattare di pauperismo in generale,senza ac
cettare dal signor Modeste lo spirito, le idee, i mezzi, coi quali egli
vorrebbe rimediarvi 1, spirito, idee, mezzi che escludono positiva
mente ed assolutamente lo spirito, le idee ed i mezzi suggeriti dal
Cattolicismo. Non sappiamo se la modestia del signor Modeste ac
cetterà il privilegio di cotesto monopolio; ma ben sappiamo che gli
scrittori cattolici non sottoscriveranno la sentenza burbanzosa di co
testa esclusione e le ragioni ingiuriose, sopra di cui essa si appoggia.
Credereste? La carità della Chiesa cattolica, quello slancio univer
sale di abnegazione, onde i primordi del Cristianesimo resero atto
nito il mondo, agli occhi di quell'economista è estinta 2; ed è fortuna

1 Quiconque voudrait traiter du paupérisme en général,serait foreément ra


mené di adopter le plan, les divisions, l'esprit, les idées et probablement aussi
les mogens pratiques du livre de M. Modeste. Journal des Èconomistes.Aprile
1888, pag. 47.
2 Cet élan universel d'abnégation dont les premiers temps du christianisme
ont donné le spectacle au monde étonné... Cette ardeur s'est éteinte et elle de
vait forcément s'éteindre (L. c. pag. 42).
L'EcoNoMIA ETERoDossA ALLE PRESE CoL PAUPERIsMo 145

che siasi estinta, non essendovi a parer suo, istituzionepiù contra


ria all'intento di abolire il pauperismo. Non è cotesta abolizione,
anzi non è neppure il sollievo dei patimenti l'intento vero della ca
rità. Ella pensa a salvare le anime immortali; e in quanto ai corpi,
guai per lei se i patimenti finissero! Il mondo avrebbe a piangere la
perdita di una virtù, la Chiesa una via chiusa per sempre di salute
eterna. Que les pauvres.... disparaissent, le monde n' a-t-il pas à
pleurer une vertu, l'Eglise l'une de voies du salut éternel 1 ? Il cer
care in tal guisa un premio nell'altra vita è una mira troppo inte
ressata: molto più nobile è la virtù della beneficenza, la quale ri
strettasi a cercare il bene del suo prossimo, pórtogli l'obolo di soc
corso, già ha compiuto il suo debito ed ottenuto la ricompensa 2.
Tali sono le idee dell'Autore intorno alla carità cattolica: laonde
ben vedete che, se non si può scrivere sul pauperismo senza ab
bracciarle, non è scrittor cattolico che possa entrare in cotesta
giostra, e noi possiamo rinunziare al nostro articolo.
Fortunatamente non corrono più in Italia i bei giorni del 48, in
cui chi non si arrendeva agli oracoli del tripode eterodosso doveva
tacere o per timore dei vituperi, o per mancanza di torchio o pel
muto disprezzo degli organi di pubblicità. Oggi, la Dio mercè, se
qualcuno volesse rispondere al sig. Modeste che il dire estinta la
carità cattolica in Francia, è tale audacia che ha del ridicolo, non
solo avrebbe un torchio a sua disposizione, ma riscuoterebbe ap
plausi nella Francia medesima. Estinta la carità! mentre nella sola
Francia 100 mila Suore ne sono altrettante vittime, alla fiamma del
le quali rende omaggio l'Anglicano, il Foziano, il Turco medesimo?
Estinta la carità in Francia! mentre alle sue frontiere si agita il
Belgio massonico e corre co sassi e con le fiaccole per impossessarsi
dei lasciti che la carità profonde su i poveri? Si direbbe che cote
1 Journal des Economistes. Aprile 1858 pag. 42.
2 La charité ,,. méte à son détachement la pensée de la vie eternelle, et l'on
se demande en la voyant si cette préoccupation intéressée du salut ne laisse pas
la place à une vertu plus haute encore. Dans sa sphère, la bienfaisance est com
plite (l. c. pag. 43).
Serie III, vol. XI. 10 1 Luglio 1858.
146 L'EcoNoMA ETERoDossA

sti scrittori vivono, non in Francia, ove la carità splende da abba


gliare anche i ciechi: ma fra' Patagoni, o piuttosto nel mondo
della luna.
Vero è peraltro che per non offendere soverchiamente i Catto
lici, il sig. Modeste contraddice sè stesso con la medesima auda
cia, con cui contraddiceva il fatto; e dopo aver detto la carità une
sorte d'incapacité sémivolontaire à devenirune institution agissante
et forte, soggiunge tosto con una benignità, di cui i Cattolici deb
bono sapergli grado, che egli permette alla Chiesa di essere libera
a fare del bene ; e che tanto maggior bene ella farà, quanto sarà
più libera . Manco male! L'incapacità quandoè libera fa del bene.
Dopo tali contraddizioni comprenderà il lettore assennato, non
doverci noi tenere per obbligati dalla sentenza delsignor Fontenay,
nè dover riguardare come illecito lo scrivere intorno al pauperismo
con idee tutt'altre da quelle del signor Modeste. Cionondimeno non
è per ora nostra intenzione intraprendere intorno al pauperismo ,
una lunga trattazione che non sappiamo quanto sarebbe la benve
nuta nelle pagine di un periodico , ove i lettori cercano più presto
un divertimento istruttivo, che un insegnamento profondo. Riser
bandoci dunque di tornare all'uopo sopra cotesto argomento, ci con
tenteremo per ora, interrompendo le nozioni elementari che an
diamo svolgendo dell'Economia, di fare un'escursione momentanea
su i campi ove ci chiama l'Economista parigino, il quale assume
così audacemente la funzione di vituperatore della Chiesa, senza co
noscerla, e dà frattanto una validissima conferma alle dottrine di
lei senza avvedersene. Svolgiamo in poche parole queste due pro
posizioni; e se ci riesce di ben chiarirle, il nostro lettore vedrà qual
razza di cervelli sieno gli economisti eterodossi.
E in quanto al primo punto, cioè la poca cognizione che hanno
costoro dell'insegnamento cattolico, ci potremmo sbrigare in pochi

1 En laissant à la charité son mobile élevé et son action d'autant plus bien
faisante qu'elle est libre, M. Modeste se prononce pour une vertu plus humaine
-

et plus directement efficace (pag. 42).


ALLE PRESE COL PAUPERISMO 47

tratti parlando con lettori cattolici : i quali già avranno avuto a


sorridere per compassione sentendo che, sevenissero meno i pove
ri, la Chiesa avrebbe a piangere d'aver perduta una virtù e una
via di salute. « Possibile, diranno eglino seco stessi , che alberghi
tanta stupidezza in una testa umana, che chi scrive coteste strava
ganze non vegga l'impossibilità di persuaderle? Non vede l'Autore
che se la carità non avesse poveri da soccorrere , avrebbe sempre
infermi da assistere, ignoranti da catechizzare , ciechi da guidare
per le vie, sordomuti da restituire alla vita sociale, guerre stermi
natrici ove spargere i suoi balsami, orfani derelitti da abbracciare
con sollecitudine materna; e così la virtù e la via di salute non po
trebbe mancarle ? » Questo avrà detto il lettore per sè medesimo
senz'aver letto il Journal des Economistes: e noi che l'abbiamo letto
potremo aggiungere per divertimento del lettore che codeste assur
dità, già per sè stravaganti, l'articolista le rende ancor più incredi
bili colla contraddizione : giacchè mentre a pagina 42 afferma che
la Chiesa non vuol vedere estinto il pauperismo per tema che man
chi occasione alla virtù , il dabbenuomo si dimentica che a pagi
na 30 avea già riconosciuta colle voci del Vangelo la necessità che
sempre vi sieno de' poveri e permesso alla povertà individuale di
sussistere, purchè si abolisca il pauperismo : cotalchè poveri nel
mondo non mancheranno mai. Or quando non mancano poveri da
soccorrere, non manca l'esercizio di virtù e la via di salute. Come
dunque rifuggirebbe la Chiesa dall' abolire cotesta astrazione del
pauperismo? Persuadetevelo, signor economista, le astrazioni oc
cupano molto le teste dei filantropi ; ma alla carità cristiana quel
che preme è la persona del battezzato, il fratello che patisce. Sieno
molti o pochi o un solo ; si appellino astrattamente pauperismo in
mascolino o povertà in femminino ; si mirino concretamente co
me poveri o come mendichi, ciò nulla le importa: sono tribolati e
ciò basta.

1 La pauvreté individuelle, accidentelle subsistera toujours. . . elle doit mé


me subsister . . . Nous voulons bien avoir toujours des pauvres parminous,
mais nous ne voulons pas avoir toujourslepaupérisme.
148 L'EcoNoMIA ETERoDossA

Ma la calunnia dell'economista aggiunge alla contraddizione e al


l'ingiustizia una inavvertenza(per non dire ignoranza) difatto che
sembrerebbe incredibile,se non sileggesse. Egli sembra ignorare che
il pauperismo è una piaga ignota in que paesi appunto, ove la Chie
sa prevale, ove l'eterodossia mai non ebbe il sopravvento. L'Italia
nostra non sa qual ceffo egli abbia cotesto mostro, che l'articolista
deve aver veduto con orrore in faccia, poichè ce ne descrive una si
terribile ipotiposi. Attribuire alla Chiesa di volere il pauperismo che
non osa mostrarlesi innanzi, ed aspettarne la medicina da quella fi
lantropia, la quale quanto più chiacchiera, tanto più lo diffonde,
egli è proprio un negar la verità conosciuta per trovare un argo
mento da calunniare il Cattolicismo.
Qui peraltro l'Autore potrebbe opporci una risposta scritta da
lui in altro proposito. «Il dirmi che, dove la Chiesa prevale non
comparisce il pauperismo, è un equivoco di chi non sa distinguere
la penuria reale dalla penuria sentita. Nei paesi eterodossi, voi di
te, il pauperismo conta le tante migliaia; nei cattolici appena si
contano le diecine. Sapete perchè? Perchè in Inghilterra tutti so
no ricchi e la ricchezza degli uni fa sentire la povertà degli altri:
in Italia, ove tutti sono poveri, come volete calcolare il pauperismo?
Aspettate che la ricchezza vi penetri, e vedrete se i popoli oggi si
rassegnati non comincieranno a lamentarsi 1 ! ».
Tale è la replica fatta dall'Autore all'argomento sperimentale da
noi dedotto in favore della Chiesa: ma la replica dà poca idea del
ragionatore economista, il quale sembra confondere il luccichio del
lusso, che certamente splende maggiore in Inghilterra, coll'agiatez
za universale del sostentamento, che dà all'Italia nostra un immensa
ed evidente superiorità in ciò che è saviezza d'economia sociale.

1 . . . Pour n'avoir pas su distinguer entre le dénument réel et le déntiment


senti: Ici, disait la statistique, le paupérisme compte tans de milliers de tétes.
Oui,parce qu' ici vous étes dans un milieu riche... Là, continuait-on, nous ne
trouvons pas d'indigents déclarés. Ie le crois bien, c' est un pays où tout le
monde est pauvre: di quoi voulez-vous que se prenne le déntiment parasite ? il
ne se sent méme pas; qu'il vive ou qu'il meure, c' est, d son opinion, comme
cela qu' on doit vivre et mourir (1. c. pag. 33)
ALLE PRESE COL PAUPERlSMO 149

E dove mai troverà egli (se non fosse in Piemonte ove il sistema
inglese già comincia a portare i suoi frutti 1) una statistica dei mor
ti di fame in Italia, come la veggiamo pubblicarsi di tempo in tem
po rispetto all'Irlanda e all' Inghilterra? Edove troverà egli in Ita
lia, in una sola provincia, 80 famiglie che vivano solo d'erbe rac
colte alla campagna? Dove 770 famiglie costrette a dormire per ter
ra? Dove 400 famiglie, ove le donne non abbiano in sei che una
sola veste per uscire 2? E quella spaventevole tassa depoveri,sot
1 Vedi l'Armonia che cita il Cittadino 1 Maggio pag. 393. Notizie. Un
morto di fame. -

2 Vedi la supplica de' sacerdoti irlandesi per la sventurata popolazione di


Donegal (Univers 10 Aprile 1858). Vedi anche nel Margotti Roma e Londra il
Medical-Times, secondo il quale in un solo anno 21,770 Irlandesi morivano
di fame (Capo XXX pag. 523). Raccomandiamo queste cifre alla meditazione
della Rivista di Firenze, la quale schierandosi co' propugnatori della libertà e
dell'uguaglianza contro gli economisti che noi appelliamo cattolici e che essa
dice eterodossi, teme che questi vogliano gratificarci di quanto più orribile e
schifoso ebbe il Medio-evo. Al comparire fra le tenebre della visione notturna
cotesta fantasima, la povera Rivista basisce, già vede il popolo ineducato spen
sieratamente moltiplicare, e accalcarsi di nuovo cencioso e famelico alle porte
de' ricchi monasteri, per ricevere quel tozzo che lo mantiene in stupido o2io e in
avvilimento miserabile ed abbietto (Rivista Maggio 1858 pag. 297). Non sappia
mo se, propugnatrice com'ella è del Malthus, ella preferirebbe vedere alla umi
le e faticante plebe vietato il matrimonio, perchè non moltiplichi spensierata
mente, e interdetta la porta de' ricchi monasteri, affinchè prive di quel tozzo
muoiano di fame a migliaia e si avvicendino l'uso di quei cenci, senza i quali
non possono comparire in pubblico. Se questa condizione dell'umile e fatican
te plebe va à versi alla Rivista di Firenze, non disputeremo de gustibus: cre
diamo però che i celibi forzati famelici, senza pane e senza cenci, preferiran
no ancora il tozzo de' monasteri alla morte de' proletari inglesi rappresentata
da quelle cifre.
Ma forse il prof. Vannucci sarà di que'tanti che mai non leggono, e meno
ancora nominano la Civiltà Cattolica (bene inteso che sanno per superna ispi
razione tutto ciò che vi è scritto sul conto loro). In tal caso lo preghiamo di
leggere i begli studi della sua medesima Rivista sull'India. Vi troverà una
bella descrizione del fasto inglese, dell'ingiustizia, lealtà e ferocia de'domina
tori, delle guarnigioni di Alligatori (pag.267 e segg.) e simili altre piacevo
lezze che suppliranno alle cifre della Civiltà Cattolica per far comprendere
le differenze che passano tra l' Economia cattolica e l'Economia degli Inglesi,
150 L'ECoNoMIA ETERoDossA

tentrata in Inghilterra alla volontaria elemosina della carità catto


lica; quella tassa, primo tentativo di un socialismo mascherato,per
cui lo stato smugne a forza dalla borsa de' ricchi il di che sfamare
la ventraia del mendico minacciante; quella tassa, privilegio finora,
se la memoria non c'inganna, dell' economismo inglese; quella tas
sa senza di cui i poveri morrebbero non più a migliaia, ma a milio
ni, essendovi in Inghilterra un povero sopra sei abitanti, e per con
seguenza quattro milioni di poveri sopra ventiquattro milioni d'abi
tanti, senza parlare delle Indie ancora più spietatamente malmena
te dalla fame; quella tassa, diciamo, dove la troverà egli neipaesi
schiettamente cattolici? Dove specialmente nella povera Italia?
Qui non si tratta di sentire o non sentire la povertà, di accatta
re o non accattare l'elemosina: si tratta di morire o non morire
per l'eccesso di povertà. Si senta questa, o non si senta, quando si
muore, si muore: e se in Italia non si muore di fame come in In
ghilterra, la povertà è minore in Italia che in Inghilterra; e sta sal
do l'argomento da noi recato, evidente l'audacia calunniatrice di
chi accusa rea di pauperismo la carità cristiana , al cospetto della
quale il pauperismo non osa mostrarsi.
Ma più strana ancora e più enorme è l'audacia dell'altro argo
mento, con cui si combatte la carità cattolica. « La carità, dice l'Ar
ticolista, mira a salvare le anime: dunque non rimedia alla nudità
del corpo ch'ella disprezza come perituro. Non basta: la carità ope
ra per ottenere la vita eterna: dunque opera perinteresse ed è infe
riore alla beneficenza,la quale operasolo in riguardo del prossimo 1.
A quanto pare, l'Autore vorrebbe abolire interamente la speran
za cattolica, non meno che la carità. Ma qui pure egli mostra di

E si ricordi che, se questi riuscissero coll'aiuto del Piemonte a predominare


in Italia, essa potrebbe avervi un Lord alto-Commissario simile a quello che ri-

sponde all'opposizione nelle Isole Ionie impiccando gli oppositori.


1 Il s'agit pourelle d'ennoblir et d'épurer, de détacher du monde et de sauver
des dimes immortelles. Est-elle une institution, un effort, un remède contre le
dgnament?... La charité,... méle d son détachement la pensée de la vie éternelle,
et l'on se demande en la voyant si cette préoccupation interessée du salut.... -

laisse... la place à une vertu plus haute encore (L. cit. pagg. 42, 43).
ALLE PRESE COL PAUPERISMO 151

conoscere ben poco e la natura dell'uomo e la dottrina della Chie


sa : poco la natura dell'uomo, se spera nell'universale tanto disin
teresse, che si sterpi il pauperismo per sola naturale compassione:
poco la dottrina della Chiesa, se crede che la carità non sappia
operare se non per acquistare la mercede del godimento eterno. La
suprema, la perfetta carità operaunicamente perchè Dio meritad'es
sere amato ed obbedito, ed è questo motivo più nobile assai e più
ragionevole di quella simpatia tutta umana, alla quale eglivorreb
be ridurre la beneficenza.
Ma questo, dice l'Autore, si fa per puro amor di virtù ! dunque
non soccorrono i corpi ! quasi si potesse praticare cotesta virtù
senza sovvenire ai prossimi. Ma di grazia, signor Modeste, se la
carità non ha da soccorrere i corpi, come avete detto poc'anzi che
mancherebbe la virtù, se mancassero poveri da soccorrere? E quelle
tante Suore che, nel fetore degli spedali o tra il fischiare delle palle
guerriere, infondono i balsami della carità sulle piaghe e riscuotono
l'ammirazione e le benedizioni dei moribondi, credete voi che dis
prezzino quel corpo mortale, per cui vincono tante ripugnanze ed
espongono la vita? È proprio una compassione veder questo po
ver' uomo dibattersi così tra le scempiaggini e le contraddizioni
per la pura smania di malmenare la carità cattolica.
Rechiamone ancora un ultimo argomento. Volete vedere , dice
l'Autore, che la carità cattolica impedisce l'abolizione del pauperi
smo? Eccone una prova di evidenza matematica. «La carità, pre
scrivendo ai ricchi di dare il tutto, conduce ad un comunismo che
distrugge ogni capitale, e rende impossibile la beneficenzaper par
te dei ricchi. La carità stessa ingiungendo al povero di rassegnarsi
pienamente alla miseria, spezza ogni principio d'attività per uscire
dai cenci. Dunque carità e pauperismo vanno qui di conserva 1.
1 Car le précepte du renoncement, d'une part, en prescrivant au riche la
charité absolue qui est le don total et sans réserve, aboutit à un communisme
volontaire destructif du capital ; et par sa contre-partie, en imposant au pau
vre la résignation complète à la misère, il brise le principe d'activité, l'autre res
sort du progrès. (L. c. pag. 42.).
152 L' ECONOMIA ETERoDossA

Voi vi fate le croci, lettore, al veder che in Francia si conosca


da certi economisti la dottrina de' Cattolici intorno a carità, come
in Italia si conoscerebbe la dottrina dei Buddisti o dei Veda. E dove
ha trovato il sig. Fontenay cotesto precetto di rinunziare a tutto,
per cui verrebbe distrutto il capitale? Dove ha trovato cotesto co
munismo volontario, che tutto senza riserbo mette in comune? Noi
altri in Italia sapevamo che il rinunziare in effetto a tuttociò che si
possiede è un consiglio di perfezione, alla quale si ricerca una vo
cazione speciale: sapevamo che quelle anime elette, cui tale spoglia
mento non ripugna, non introducono ombra di comunismo,sia che
lascino i beni alle loro famiglie, sia che li affidino a qualche pia isti
tuzione con uno scopo determinato : sapevamo che, per assicurare
il conseguimento di cotesto scopo, la Chiesa impone a Vescovi o ad
altri visitatori una perpetua vigilanza che ne guarentisca l'adempi
mento : sapevamo (e debbono saperlo anche gli economisti) che ap
punto per questo si grida contro le proprietà della Chiesa, o, come
suol dirsi, di manomorta: sapevamo che cotesta proprietà lunga
mente invidiata forma il primo bottino e le spoglie opime del trion
fatore,appena la giustizia libertina assume la tutela della proprietà
inviolabile. Sapendo tutto questo, sentirci parlare dal sig. Modeste
del precetto di comunismo volontario, ci fa desiderare che gli eco
nomisti, quando vogliono parlare dei Cattolici, si degnino prima di
studiarne, se non la teologia morale, almeno il catechismo che s'in
segna ai fanciulli. Dal quale il sig. Fontenay potrà anche imparare
che la piena rassegnazione alla miseria nulla ha che fare con l'apo
teosi dell'ozio o coll'inerzia del solitario indiano. Sa egli chi scrive
l'apoteosi dell'ozio? La scrive colui che facendo riverenza ad uno
scrigno ben pieno, e concedendo al capitalista pienissima licenza di
ingoiarsi senza lavorare con usure enormi i sudori del povero,gli
somministra i mezzi e la giustificazione d'una vita sibaritica, licen
ziandola ad ogni godimento, quando l'usuraio sia giunto a non ab
bisognare del lavoro. In quanto alla piena rassegnazione suggerita
dalla Chiesa, siccome va sempre congiunta con la spiegazione del
precetto del Genesi. In sudore... vesceris pane; e dell'altro di S. Pao
lo: Si quis non vult laborare nec manducet; essa si riduce a questa
ALLE PRESE COL PAUPERISMO 153

formola che ben può dirsi il simbolo morale dell'Irlandese strito


lato dal Landlord economista: «Mi rassegno, se Dio così comanda,
a faticare tutta la mia vita senz'altra ricompensa che un obolo da
offrire all'altare, due patate che mi sostentino, quattro cenci che
mi ricuoprano e la fame che finalmente mi uccida, anzichè rinun
ziare alla mia fede, alla mia coscienza e ribellare a quella aristocra
zia che mi opprime». Ecco qual è la rassegnazione del Cattolico, di
versa alquanto dall'attività e dal progresso del comunista. Se questa
attività, questo progresso riesca favorevole alla ricchezza delle na
zioni, sel veggano gli economisti: ma non vengano a spacciare co
me dottrina della Chiesa quella rassegnazione infingarda che abo
lisce il lavoro con fatalismo da Musulmano. Altro è che la Chiesa
non consenta alla barbara oppressione dell'operaio proletario, altro
che consenta a costui l'infingardaggine di una stupida noncuranza.
Queste poche parole di risposta non basterebbero certo ad illu
minare l'incomprensibile cecità di chi vuole ignorare la dottrina
della Chiesa per maledirla: ma bastano agl'Italiani cattolici, perchè
misurino con un guardo la statura di cotesta scienza pigmea che se
la piglia con la Sapienza infinita del Vangelo. Cotesto assalto per
altro è un semplice incidente della rivista scritta dal Fontenay in
torno al Saggio sul pauperismo: tutto il rimanente di coteste pagi
ne riuscirebbe, chi voglia spremerne il succo, precisamente al ter
mine opposto da quello inteso dall'Autore, dimostrando non essere
possibile l'abolizione del pauperismo, se non mercè della Chiesa.
A provare cotesto nostro secondo assunto basta solo che vi met
tiamo sott'occhio la sostanza delle dottrine spiegate dal Fontenay,
le quali potrebberono ridursi a queste proposizioni. -

Il pauperismo non è che la semplice povertà sentita: sentita dal


povero che comprende l'eccesso del suo male e dispera; sentita
dal ricco che comprende il proprio pericolo e tenta ripararvi 1.
1 Le paupérisme est parce qu' il est senti, et presque dans la mesure où il est
senti; senti par ceux qu'il atteint, et plus encore peut-étre par ceux qu'il n'at
teint pas (pag. 29... Il y a deux choses distinctes dans le pauperisme: il y a le
dénument matériel, et puis surtout il y a l'absence du ressort moral (pag. 37)
läb L’Econmm ETERODOSSA
L’ essere in tal guisa sentita la povertà nasce dall'aver l‘atto co
noscere al povero i suoi diritti e dal rendergli anche più acerba la
privazione coll’ immagine del lusso nei ricchi 1.
Il Pauperismo è dunque propriamente una piaga morale, e mo‘
raie principalmente debb’ esserne il rimedio: vale a dire istruzione
e moralità; rimedio che non può somministrarglisi se non dalle
classi supreme della società 2.
Cionondimeno siccome la privazione nasce da penuria universale
delle cose appetibili, anche a questa dee rimediarsi. E vi si rimedia
dalla classe mezzana con la sua attività nell’ aumentare la ricchez
za sociale, dalla suprema con la generosità nel largheggiare 3.

t . . . Les premiers instincts des droits, les aspirations vagues à t'. éman
cipation. l’initiative lointaine à la vie civile onl dû faire naître le sentiment
plus vif de l'inférioritê;. .. en se regardant dans le miroir éclatant de notre
luxe, la misère s’ est reconnue et nommée: . . . le contact plus fréquent avec un
monde qui lui était complètement fermé jadis, en lui révélant ses privations,
l’ a rendue plus impatiente de la sou/fiance, plus disposée à la révolte; . . .
cette fermentation douloureuse et menaçante à la fois des convoitises éveillees,
en imposant à la société actuelle des devoirs plus impérieuaa, lui crée des dì/fi
cullés toutes nouvelles et des dangers très-pressants (pag. 131).
Dans la comparaison de notre paupérisme bruyant au paupérisme muet7
des époques précédentes... en a voulu rendre responsables dupaupérisme ces élé
ments de fermentation intellectuelle qui troublent la résignation des masses,
tout ce qui relève leurs idées, leurs aspirations, tout ce qui éveille en elles l’in
stinct de leur valeur et le sentiment de leurs droits, tout ce qui, en grandis
sant t' homme intérieur, lui fait paraître en vie trop ail-dessous delui ( t. c.
pag. 33 ).
2 C'est la torpeur mentale qu’il faut guérir, c' est le coeur, c’est la volonté,
qu’il faut enrichir et activer. Faire penser, faire vouloir (pag. 28).
La marche à suivre . .. ce sera partout (1’ éclairer l’ intelligence et le coeur,
d' éveiller l' attention et la prévoyance, de renforcer la volonté, d' ezciter sans
cesse le sentiment de la valeur personnelle. de susciter le stimulant des besoins
élevés, et, tout en veillant à ce que les difficultés de la lutte ne rendent pas la
victoire impossible, de laisser toujours subsister comme conditIOn de la vie la
lutte qui fait la force (pas. 39).
3 Le principe du mal 1.’ est pas en bas plus qu' en haut, il est partout; il est,
je ne crains pas de le dire, plutôt encore dans les régions élevées que dans les
couches inférieures de l'atmosphère sociale. Il n'y a pas, en effet, dans la socié
ALLE PRESE COL PAUPERISMO 155

Qual è dunque il vero rimedio del pauperimo? Qual'è la solu


zione del terribile problema? Persuadetevelo, risponde presso il
Fontenay M. Modeste: destino eterno dell'uomo è l'aspirare ad un
riposo che mai non arriva (in questo mondo avrebbe aggiunto
un cristiano): per conseguenza la vera soluzione è persuadersi che
ogni successo dee rinnovare la difficoltà, ogni difficoltà invitare a
nuovo successo. Di che per ultimo la soluzione del problema sta
nel metter mano all'opera, di sollevare i poveri riguardando la re
denzione de' miseri come la legittimazione delle ricchezze 1 : e in
tal'opera durare indefessamente, pertinacemente,altro non essen
do il mondo che un interminabile avvicendarsi, ove tutto è ad un
tempo soluzione e problema; e la soluzione di ieri si trasforma do
mani in difficoltà novella 2. Mano dunque all'opera, conclude il
Fontenay: A l'oeuvre donc; c'est le dernier mot du livre(pag. 44).
Non sappiamo quanto sarà consolante pei filantropi cotesto dernier
mot, il quale ci sembra molto somigliante a quello cheviene detto
altrove dall'Autore, bastardo sistema de' palliativi, che tutto si ri
duce per parte de' ricchi a soccorrere, per parte de' poveri a ras
segnarsi 3. Ma piaccia o non piaccia, il rimedio è cotesto: mettere

té, une erreur ou une injustice, pas un système faux , pas un égoisme , une ld
cheté, une corruption, pas un désordre ou une simple faute en politique, en mo
rale, en économie publique, qui ne se traduise matériellement par une perte de
forces productives. (Loco citato pag. 27).
La classe moyenne, plus ardente à acquérir, plus entendue à administrer,
plus dpre à conserver, parait aussi plus spécialement préposée à la realisation
du progrès matériel et à la conquéte de la richesse..., Il ya une classe d'élite su
périeure d la richesse par la noblesse etc.... A cette ambition désintéresse des
intéréts purement matériels,... il faut un idéal grandiose et un but impersonnel,
comme la bienfaisance. (L. c. pag. 44, 45).
1 Le sortéternel de l'homme, est d' aspirerà un repos qu'il n'atteint ja
mais... la solution est la difficulté nouvelle;... la rédemption des misères est
la légitimation des richesses (pag. 44).
2 La solution est-ce autre chose que le travail continu des peuples?... En
vérité tout est solution à la fois et tout est problème. La solution de la veille.
obstacle et danger du lendemain (pag. 44).
3 La conviction, malheureusement très-générale, que la misère est un fait
inhérent à l'imperfection humaine, àpeu près constant et dans tous les cas
156 L'EcoNoMIA ETERoDossA

mano all'opera: i trafficanti seguitino ad accumulare, i grandi a lar


gheggiare, il popolo a faticare: Voilà le dernier mot du livre. E che
sia questa l'ultima parola del libro, noi non vogliamo negarlo, giac
chè infatti nell'ultima pagina del Modeste troviamo questa frase. Le
moment de l'étude est passé. Ce qui resterait maintenant à faire, ce
serait d'entrer résolument dans ce champ du travail exploré par nos
soins 2. Ma se questa è l'ultima parola del libro, essa è tutt'altro che
l'ultima soluzione del problema: e il signor Fontenay, cui sembra
nulla potersi più aggiungere al libro del Modeste, mostra di non
aver compreso egli stesso dove sia veramente il nodo del problema;
o piuttosto mostra d'averlo dimenticato, dopochè con molta chia
rezza l'avea spiegato nel suo esordio.Non dice forse egli a pagina 28
che la soluzione del problema sta nel faire penser, faire vouloir?
Che tout ce qui ne va pas dans ce sens est faux, inutile, désastreux?
Or questo appunto, dice terminando M. Modeste, questo è ciò che
rimane da farsi: c'est ce qui reste à faire. Dunque terminato il libro,
tutto ancora rimane da farsi: seppure il sig. Fontenay non ci di
mostra che il libro è stato letto da tutti in Francia; che appena letto
il libro, il nobile ha rinunziato a sprecare nei capricci del lusso e
del delitto 3; che il medio ceto attende a conquistare la ricchez
za 4 (oh di questo non ne dubitiamo !); che il popolo ha acqui
stato intelligenza, preveggenza, fiducia, gagliardia; e che è per

insuppressible, a donné lieu au système bditard des palliatifs, qui se réduit à


l'assistance du có é des riches et à la résignation du côté des pauvres (pag. 32).
1 A l'oeuvre donc, voilà le dernier mot du livre. L'action ici est doublement
nécessaire et pour ceux qui se débattent au fond du bourbier de l'indigence, et
pour ceux aussi qui vont leur tendre la main d'en haut. La rédemption des mi
sères de la classe souffrante est, je le crois, la légitimation de la richesse des
classes fortunées (pag. 44)
2 MonEstE Du Paupérisme en France Paris Guillaumin et C. pag. 576.
3 Agaspuller en fantaisies folles, dangereuses, coupabtes méme, sa richesse,
son intelligence et sa sensibilité (pag 45).
4. La classe moyenne... préposée à la réalisation du progrès matériel et à
la conquéte de la richesse (pag. 44).
ALLE PREsE col PAUPERIsMo 157

suaso, essere il lavoro non meno un dovere che una necessità 1. Se


in tal guisa tutti i ceti della società hanno incominciato la grande
opera della guarigione, o se egli è certo che, letto il libro, la co
minceranno, allora sì, le dernier mot du livre ci avrà dato la solu
zione del problema. Ma se accadesse anche al libro del sig. Modeste
ciò che a tanti altri, dal Quesnay fino a'tempi nostri, di viaggiare
per gli scrittoi degli economisti, strapparne un elogio, una censura,
una rivista, fiutare un po' d'incenso in un'accademia, incipriarsi di
polvere negli scaffali di una biblioteca e lasciare il mondo quale lo
trovò; allora ci permetta il sig. Fontenay di dirgli, potersi ancora
scrivere un libro intorno al pauperismo, senza partecipare alle idee
di M. Modeste; anzi seguendo idee precisamente contrarie. Sup
pongasi pure che egli avesse trovato il modo di abolire il pauperi
smo, mediante certe proporzioni economiche da stabilirsi nella so
cietà; che vantaggio avremmo dal sapere che coteste proporzioni
esistono e sarebbero efficacissime, se non si trova il modo di per
suadere coloro, da cui dipendono, a darvi la mano? Quel vantaggio
appunto che abbiamo pel nostro commercio dalle dotte opere, ove
M. Lesseps ha dimostrata la possibilità di tagliare un canale nel
l'Istmo di Suez. Tutta l'Europa ne ammira gli studi indefessi; ma
se non si trova il modo di fare che tutte le Potenze, e pensino e vo
gliano come M. Lesseps,il taglio non si farà e il commercio conti
nuerà ad affrontare i tifoni spaventevoli del Capo e le ambasce di
una navigazione bimestre nelle più stemperate regioni equinoziali.
Oh se il sig. Lesseps trovasse un libro che facesse pensare e volere
il taglio, quanto n'andrebbe lieto e superbo!
Non sappiamo se egli avrà questa sorte rispetto all'istmo egizia
no: ma rispetto al pauperismo, crediamo che il libro si possa scri
vere e scrivere con fortuna, purchè si rinunzi all'idee di M. Mo
deste: e il lettore già comprende chi lo scriverà; lo scriverà un Cat
tolico, o piuttosto un Cattolico dimostrerà che cotesto libro è già
scritto da lungo tempo, e si trova nella Biblioteca del Vaticano ge

1 La marche di suivre. . . ce sera partout d'éclairer l'intelligence et le coeur,


d'éveiller l'attention et la prévoyance (pag. 38, 39).
158 L'EcoNoMIA ETERoDossA

losamente custodito dallaChiesa cattolica; e porta per titolo ILSAN


To VANGELo. Questo è quel libro che ha per suo carattere proprio
la virtù di faire penser e faire voluoir. Sono più di 18 secoli che
cotesta sua virtù si sta cimentando alle prove più ardue dell'espe
rienza con un successo che fa meravigliare i fedeli e trasecolare
gl'increduli, al vedere le cose impossibili che egli persuade. Egli è
riuscito a far pensare che l'Uno è Trino, che l'uomo è Dio, che il
pane si trasforma nell'Uomo-Dio, che il corpo morto risorge, che
la libertà non osta alla Provvidenza, e che, ciò che è più anche dif
ficile a credersi, è beato il povero, il disprezzato, il piangente, il
perseguitato, lo straziato, l'ucciso. E tutte queste cose ultime, non
solo ha saputo farle pensare, ma, ciò che ne raddoppia il prodigio,
ha saputo farle volere. Se dunque il libro dell'economista non riesce
nè a far pensare, nè a far volere, ma solo dà una direzione a chi
vorrà pensare e volere; ancor possiamo sperare una soluzione ul
teriore del problema dal libro del Cattolico, la cui efficacia è assi
curata da 18 secoli di esperienza,
Applichiamo dunque cotesta ricetta alla malattia attenendoci al
la diagnosi dell'economista. Il pauperismo è, secondo lui, la povertà
sentita, ma sentita in modo, che il povero freme e il ricco paventa.
Or può egli negare il Fontenay che la Chiesa abbia un sedativo, a
cui cedono e i fremiti del povero e i palpiti del ricco?Lungi dal ne
garlo, egli concede tale essere la condizione dei paesi cattolici, ove
al popolo si parla piuttosto di rassegnazione che di diritti. Mase dal
l'essergli predicati cotesti diritti nasce il dimenticarsi i doveri, spe
cialmente quandoesso paragona col lusso dei ricchi leproprie priva
zioni; non sarebb'egli un buon rimedio predicare ai ricchi l' aboli
zione del lusso e i diritti del povero, predicando ai poveri il dove
re del lavoro e i diritti del proprietario?Questo è ciò che fa la
Chiesa; e ciò che ella ottenne per tal via, non bisogna misurarlo
paragonando la povertà del popolo nel secolo XVII con quella del
XIX: ma con la condizione, in che viveano i poveri o sotto le in
fluenze del paganesimo o nelle prime invasioni dei barbari, quando
la Chiesa ne intraprese la redenzione. Quello è l'abisso, donde la
Chiesa trasse il povero: fame e schiavitù. Paragonate lo schiavo che
ALLE PRESE COL PAUPERISMO 159

perisce sullostrame di un ergastolo col povero ospitato nei maestosi


alberghi di Roma, di Genova, di Napoli, di Palermo, e capirete ciò
che seppe fare la Chiesa per far conoscere al ricco i diritti del
povero e scemare il contrasto fra il lusso dei primi e la miseria del
secondo. Vero è che da più d'un secolo la filantropia e la beneficen
za hanno fatto prodigi: e sebbene certuni rassomiglino cotestipro
digi della beneficenza filantropica ai prodigi dell'apostolato bibli
coi quali tutti restringonsi in lunghe perorazioni sulla sventura
degl'infedeli e in milioni di Bibbie adulterate con mille brutte fal
sificazioni a migliaia e scaraventate a casaccio dove il diavolo le
porta; noi vogliamo essere meno severi e concedere che i milioni
di libri abbiano ottenuto migliaia di lotterie, di sottoscrizioni, di
balli filantropici, di associazioni pietose, di simpatiche dimostra
zioni in favore dei poveri. Solo domandaremo se la filantropia avreb
be mai senza cristianesimo assunto codesta impresa; se avrebbe sa-
puto il nome stesso di fraternità umana; se avrebbe compresa l'u
guaglianza degli uomini; se avrebbe un'idea di quella simpatia ver
soi miseri, alla quale ella spera di raccomandare con frutto la
guarigione della gran piaga sociale. Se cotesti sentimenti nacquero
dal Cristianesimo, se per 17 secoli vi fruttificarono prodigiosamen
te, se dal Cristianesimo li tolse in prestanza la filantropia che se ne
pavoneggia; qual bisogno aveva la Chiesa dei soccorsi di lei per con
tinuare quell'opera di redenzione? E che può ella aspettare dagli e
conomisti per condurla a compimento? Sapete che? Che si trasformi
cotesta grand'opera di carità spontanea e di redenzione riconoscen
te in una beneficenza mossa dalla paura e in una redenzione con
quistata a mano armata 1.
Tale sarà sempre l'esito, tale la soluzione del problema, quando
questo si vorrà risolvere copuri elementi di natura: ele parole stesse
del Fontenay provano che egli sente esser cotesto finalmente il mi
dollo di tutte le trattazioni economistiche. Il soccorso dato dai ricchi

1 Le sentiment plus marqué de la misère est à la fois, pour celui qui la souf
fre un aiguillon par la douleur, pour celui qui l'approche un avertissement par
la memace(pag. 32)
160 L'ECONOMIA ETERODOSSA ALLE PRESE COL PAUPERISMO

nasce da paura, i progressidell'infimo ceto si conquistano con la mi


naccia; il medio ceto, instancabile nel produrre, somministra ma
teria alla larghezza dei ricchi, somministrabottino al saccheggio dei
poveri. In verità, se qua doveva finalmente condurci tutta la scienza
economica, non valeva la spesa di menarne tanto fracasso. In con
clusione, se vogliamo epilogarne le dottrine, esse si riducono a
dirci che il pauperismo nacque quando si predicarono al popolo i
diritti dell'uomo; che quando cotesto popolo adirato minaccia, i
grandi gli gittino per paura una parte di quella ricchezza che il me
dio ceto va continuamente fabbricando; che gittata ieri questa offa
per acchetare il Cerbero latrante, domani ricomincierà il latrato del
Cerbero e la paura del ricco; che durare pertinacemente in questa
perpetua lotta è il destino dell'uomo e della società. Per fermo la so
luzione non è consolante; e se i filantropi sanno acconciarvisi, non
vi si acconcieranno probabilmente i Cattolici: e continueranno a
credere che, ad un male morale, il quale tutto consiste, pel povero
nel sentirsi ingiustamente oppresso, pel ricco nel palpitare ingiusta
mente invidiato, sia molto miglior rimedio quello inventato dalla
Chiesa di persuadere ai ricchi volontaria carità, ai poveri volonta
ria rassegnazione. Bene inteso che se o gli economisti o i governanti
o qual'altra vogliasi persona industre e caritativa trovi il modo di
rendere più ordinata, e per conseguenza più vantaggiosa ai poveri
e alla società l'elemosina; questo lungi dall'esser disapprovato o ri
fiutato dalla Chiesa, verrà anzi da lei usufruttuato, santificato e re
so universale e perpetuo. Chè tale è finalmente lo spirito di cotesta
madre pietosissima degli uomini: mentre gli eterodossi coll'empia
e spietata lor clava sono disposti ad atterrare tutte le istituzioni cat
toliche, a costo di perdervi tesori di lavoro gratuito, di affetti pie
tosi, di ricchezze perpetuamente rinascenti in benefizio degli sven
turati; la Chiesa ogni bene fa suo, tesoreggiando in favor dei poveri
e le scoperte scientifiche e le industrie economiche e le istituzioni
benefiche, purchè riesca a liberarle da qualunque infezione origi
naria che abbiano potuto contrarre, germinando in terre irreligiose
e nimiche.Svolgeremo altravolta questo pensiero, e il libro del si
gnor Modeste potrà somministrarcene copioso tema ed importante.
LA

CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO NONO

Beatus populus cuius Dominus


Deus eius.

Ps. cxLIII, 18.

TERZ A1 S E RIE

VOL. NONO

R O MIA
COI TIPI DELLA CIVILTA' CATTOLICA
Via di Borgo Nuovo al Vaticano 81.

1858.
IL CASTELLo DISFATTo 161

ripigliò quell'uomo, niuno ti toccherà di peccato; ma noi abbiamo


bisogno dell'opera tua per una inferma che abbiamo in casa. La
sciate venire anche il mio compagno, disse pur tremando la gio
vane; ma gli altri risposero: No, egli verrà con noi. L'infelice
Iolanda fu presa dall'uomo per mano e condotta via, contendendo
si indarno Raimondo che volea seguitarla.
Quell'ostello dalla banda di levante calava sopra una rupe sta
gliata, ch'avea le radici in un torrente, cotalchè scendendo ezian
dio di molte scale parea mettere nei sotterranei, ma in fatto le stan
ze avean aria e luce dal lato dellavalle. Entrarono dapprima in uno
androne che riuscia in una gran camera a volta sostenuta per lo
lungo da grossi pilieri d'asprone a bugna, intorno ai quali vedeansi
crogiuoli, calderuoli, mestole e mestolini di ferro, e fornacelle e
forme e staffe da serrarle. Ivi erano ancudini, ancudinette e tassi
con mazze, corbole, martelli a bocca piana,a bocca tonda, a penna
dolce, a penna grossa, a penna lunga, con tanaglie, e morse e ci
soie ne' ceppi. Colà in mezzo erano rizzati due gran strettoi di fer
ro colle pile, i torselli, e i punzoni da stampar le monete, e vi si
travagliavano intorno certi ominacci mezzo ignudi, i quali colle ma
novelle davano gagliardissimi tratti alle viti del torchio, che ne ser
ravano i pani sulle stampe. Niuno là dentro zittiva; tutto faceasi
a segni, e l'opera era concitata e piena d'ardore. Vedeansi ammon
ticellati candelieri, vassoi,vasi, corone, turiboli, croci, reliquieri
tutti d'oro e d'argento, e rotti o tagliati si gittavano a fondere
nelle fornaci con varie leghe di stagno e d'ottone. Insomma Iolan
da s'avvide con orrorech'ella era caduta in empie mani,e che quel
lo era un covo secreto di falsi monetieri.
L'uomo, che aveala rapita, la condusse per una fuga di camere
ov'eran di molti strapunti, sui quali vedeansi colchi uomini che
dormiano russando,in capo alle quali era una stanzetta dipinta con
entrovi un lumicino. Iolanda sbigottita vide là in un canto un gia
ciglietto, e sopravi una giovane donna gravemente inferma. Fan
ciulla, disse quel fiero, questa è mia moglie, siati raccomandata;
ella è grave, ed abbisogna di molta cura;fa che tu le sia sorella;
Serie III, vol. IX. 11 4 Gennaro 1858.
162 LA CONTESSAMATIIDA

e detto questo, e guardata l'inferma pietosamente, gli calaron due


grosse lacrime dagli occhi, e uscì senz'altro dire. Iolanda le si ac
costò e fattole attorno alcuni vezzi donneschi, salutolla, offeren
dosele graziosamente. La giovane le sorrise, e strettasela al petto
Oh, disse, oggimai morrò tranquilla, che mi veggo in si dolci
mani: dimmi che nome è il tuo? – Io mi chiamo Iolanda, e tu?
– Ida, rispose l'inferma–Iolanda la governava con molto amore
e pei servigi da farle intorno dovendo di frequente passare fra quei
falsatori, tutti aveanla in riverenza: di che essa ringraziava Iddio,
egli si raccomandava continuo.
Venuto il giorno Iolanda inginocchiossi a piè del letto, e tratta
dalla tasca di cuoio, che pendeale a fianco, la statuetta di Maria co
minciò a recitare le sue orazioni del mattino. Ida la stava contem
plando tacitamente; e la divozione, l'affetto, la serenità colla quale
pregava rapiano l'inferma a un'ignota dolcezza che tutta l'anima
le occupava. La pietà che fioria su quel viso bello ed amabile, la
- soavità di quegli occhi, l'umiltà di quella fronte, la compostezza di
tutta la persona in sè ristretta, lo spandimento dello spirito che
uscia caldo e innamorato da quelle labbra, moveano la mente della
povera Ida a nuovi sensi ch'ella non avea provato giammai. Co
m'ebbe terminato dipregare, Iolanda rizzossi,e fattasi all'inferma
le disse – Ida mia, bacia l'immagine della Madonna e confida in
Lei – Ida baciolla; e voltasi a Iolanda le disse – Chi è cotesta bel
la Signora che tu mi fai baciare? È fors'ella la Regina vostra? Quan
t'è benigna ? Quanta maestà le spira dal sovrano sembiante! E co
testo caro bambinello è il figliuolo del Re? –
Iolanda a quelle parole stupi, e disse – Ida, non se' tu cristia
na? Non conosci la Madre di Dio, e il Redentore dell'anime no
stre, sceso di cielo, fatto bambino, e poscia morto di croce, Dio
ed uomo?
- Io, rispose, non conosco altro Iddio che Odino figliuolo delgi
gante Borr, e fratello di Wili e di Wè potentissimi degli dei, crea
tori del cielo e della terra, fattori dell'uomo, nel quale Odino spirò
l'anima e la vita–
IL CASTELLO DISFATTO 163

Iolanda non potea rinvenire dal suo stordimento udendo tai cose;
e guardata l'inferma con occhi incerti, le disse – Ida, non se' tu
alemanna?
– Sono luitizia, rispose, e tu sai che i Luitizi non sono cristia
ni; anzi sono in continua guerra coi Sassoni, e coi Danesi, che ado
ran Cristo. Egli è appunto perchè ho salvato un Cristiano, ch'io
mi trovo sbandeggiata dalle mie native foreste e raminga con Duno
mio marito. Tu dei sapere che nell'ultima guerra de' miei Luitizi
coi Sassoni, dopo infinita strage dell'uno e dell'altro campo, cia
scuno ritirossi co' suoi feriti e co' suoi prigionieri entro i propri
confini. Fra i nostri prigioni era un nobile e prode cavaliere, fi
gliuolo d'un gran principe di Sassonia, giovine che non avea tocco
ancora i diciott'anni, ma si gagliardo che niuno resisteva alla sua
spada, e nella battaglia uccise ben tre Capi delle nostre tribù. Es
sendogli stato morto il cavallo, così a piedi si difendeva mirabilmen
te; ma circondato da una gran calca de' nostri dovette cedere, e
fu fatto prigione e condotto alle nostre boscaglie.
Le tribù, cui quel nobile guerriero aveva ucciso i condottieri,
gridarono ammutinate che il fiero Sassone si dovesse svenare all'a
ra di Odino per placare l'ombre dei nostri Duci; e cosi fu conve
nuto di fare. Io sono figliuola del gran sacerdote di Odino, e il gio
vane fu tratto nella capanna di mio padre, ed ivi legato a un cep
po attendea la sua morte. Essendo io figliuola unica dimorava col
marito in casa mio padre, e però mi fu dato a guardia il prigionie
ro, il quale nel suo grand'animo non mostrava segno di paura, nè
punto si rammaricava della sua sventura. Fu mandata la grida per
tutto il vasto paese dei Luitizi, che ivi a tre giorni il gran sacerdote
di Odino avrebbe immolato al suo altare sotto la quercia il più pro
de campione dei Sassoni. Tutti i guerrieri convennero, e campeg
giarono sotto le tende. La notte del terzo di tutti gli uomini erano
nel gran prato del Dio, ragionando intorno alla nuova guerra da
rompere ai Sassoni, e faceano al lume delle tede di pino le danze
guerriere che precedono il sacrifizio.
Io era soletta al fuoco, e vedea il giovane prigioniero postosi gi
nocchione pregare come facevi tu dianzi, e levava le mani al cielo,
164. LA CONTESSA MATILDA

e invocava spesso una Vergine che chiamava anch'egli Madre di


Dio, la quale dovea per certo essere questa bella Signora che tu
baci con tanta riverenza ed amore. Io mi sentiva commover le vi
scere a pietà e tenerezza di sì bello e nobil garzone che alla nuova
aurora doveva essere svenato. Ma quando l'intesi dire– Ema, so
rella mia cara, addio: deh quando saprai la mia morte, prega per
me – Io, che tanto piansi quando mi fu ucciso l'unico mio fratel
lo in battaglia, non potei più rattenere le lacrime, e gli dissi –Pri
gioniero, hai tu una sorella?– Si, mi rispose, e l'amo tanto! –
Allora presa da una prepossente forza di compassione balzai in pie
di, troncai colla scure le ritorte in sul ceppo, e gli dissi–Va, fug
gi, nobil garzone, e consola la tua sorella — Corsi alle stalle, sel
lai un cavallo, e gli dissi – Cala il monte, guada il Reknitz, e tienti
sempre in sulla tua diritta – ll giovane si mise a cavallo e fuggi.
Quattr' ore dappoi, che già era vicina l'aurora, udendo ritornare i
guerrieri, io feci vista di dormire presso ilfuoco semispento: entrò
mio padre con Duno, volserogli occhi al ceppo, e non vi trovando
il prigioniero, mio padre corse a me e scossemi fieramente, gridan
do–Ov'è il Sassone? – Io feci la stordita, ed esclamai – Oh! che
dite? – Dico, ov'è il prigioniero? — La scure era vicina al ceppo,
e disse –Sciocca, perchè lasciastu la scure sì presso? — Io rispo
si – tagliai un pò di legna pel foco, e avendo sonno, la dimenticai
colà in terra.
Il romore fu grande: guerrieri salirono a cavallo, espronaro
no perla via che conduce all'Elba; ma giunti alla riviera del Rek
nitz, la trovarono per subite piogge smisuratamente ingrossata, e
dovettero ritornare. La rabbia dei Luitizi fu inestimabile, e mi vo
leano svenar me all'ara di Odino. Allora mio padre, disse – Sacri
ficheremo un altro Sassone, e la figliuola mia avrà bando di terra
e fuoco — Duno mio marito prese l'oro e l'argento del suo bottino
di guerra, e con tre cavalli ci dipartimmo. Duno s'abbattè nel cam
mino in cotesti monetieri, s'aggiunse con esso loro, e ricoveraro-
no in cotesto castellazzo abbandonato, ove fanno moneta falsa di
marchi d'oro e d'argento, e tengon mano a tutti i ladroni del
COntorno,
IL CASTELLO DISFATTO 165

Iolanda, che aveva ascoltato con affettuosa attenzione i detti del


l'inferma, voltasi a lei con amore dolcissimo – Ida, le disse, togli
ti da questa religione di sangue. Il tuo Odino vuol vittime umane
svenate a'suoi piedi; il nostro sommo Iddio invece,perchè noi vi
viamo in eterno, mise a morte l'unico figliuolsuo Gesù Cristo, Dio
come il Padre, il quale scese in terra, assunse umana carne,pati e
mori in croce per redimere le anime nostre. I suoi sacrifizi sono
d'amore; se noi l'amiamo con tutta l'anima, ci risorgerà da mor
te, e ci farà godere ne'cieli eternamente la sua Divinità, che ci ren
derà felici e beati per sempre.
Ida mirava Iolanda senza batter palpebra, e poscia le disse –Col
tuo Dio vedremo in cielo anche la tua bella Signora?–- Pensa che
sì, ripigliò Iolanda: Ella fu sempre Vergine, e il figliuolo di Dio in
carnò nel suo purissimo seno. QuandoGesù risorse da morte, e sa
lì in cielo, vi volle anco la Madre sua, e ve la fece levare dagli an
gioli santi,e incoronolla regina del cielo e della terra. Ida, tu sal
vasti quel giovinetto cristiano, e Maria vuol rimeritarti col paradi
so di sì bell'atto, e diverrai anche tu più bella di tutte le reine del
mondo. - -

–E che si dee far eglipergiugnere a tanto bene?– richiese Ida.


– Credere in Gesù Cristo, esser battezzato, rispose Iolanda ed
osservare la sua legge, ch'è mite e soave pel conforto della sua gra
zia – In quello entrò Duno, il quale vedendo la sua giovane sposa
tanto serena e tranquilla in volto, le disse – Ida mia cara, cotesta
tua infermiera ti vale per un ristoro – Oh, soggiunse Ida, ella m'ha
detto tante belle cose! dirottele poi tutte: sentirai, Duno, che il
paradiso dei Cristiani è più bello del nostro Wahlalla 1 – Il fiero
Luitizio crollò il capo,e rispose freddamente – Bene, bene: atten
di a guarire.
Ma Ida era divorata da una febbre ardente, che la venia consu
mando, e volgeva con incredibile rapidità verso gli estremi. Iolan
da era continua al suo capo, e tergeale il sudore, e con acqua fre
sca veniala refrigerando a sorso a sorso con una carità così tenera

1 Il Wahlalla è il luogo di delizie, il paradiso degliScandinavi.


166 LA CONTESSA MATILDA

e carezzevole, che Ida esclamava – Quanto sei buona, mia bella a


mica, tu mi sei più che sorella: oh le cristiane son tutte cosi? S'io
fossi cristiana diverrei così buona anch'io?– Più buona di me, ris
pose l'umile Iolanda, perchè col battesimo l'anima tua diverrebbe
più candida della neve, più limpida dell'acqua pura, più lucida e
fulgente del sole
– Dehdunque, riprese l'inferma, battezzami, e fammi bella
e buona come te.
– Io non posso se tu non credi in Gesù Cristo, figliuolo di Dio,
e nella Santissima Trinità –Credo, rispose Ida con impeto di cuo
re, e anco nella tua bella Signora Madre di Dio. Su battezzami, Io
landa, ch'io mi sento morire.
Allora Iolanda rizzatala alquanto, e preso l'acqua, battezzolla,
nè ebbe appena finito, che Ida sentissi l'anima piena di tanto gau
dio, che le traboccava dagli occhi e dalviso,e ripetea continuo –
Iolanda, io mi sento già il paradiso in seno; io bramo di morirpresto
per vedere Gesù e la Signora mia – Il contento la fece migliorare;
e Duno che la visitava spesso non saziavasi di guardarla, dicendo –
Ida, tu sei più bella: che t'ha ella fatto la tua infermiera?essa non
è donna, ma cosa celeste – e Duno mirava Iolanda con riverenza.
Due giorni appresso Ida sentiasi venir meno: Iolanda chiamò Du
no che s'affrettasse, e con lui entrarono altri compagni, i quali ri
masero commossi a veder la morente così chiara e lieta di volto. Es
sa movea le labbra per dire Gesù e Maria, che poteva appena scol
pire; ma aperti gli occhi e veduto il suo Duno, chiamollo, e alzata
la voce, disse– Duno, fatti Cristiano: addio – ripetè Gesù,e spi
rò placida come una colomba. Gli uomini tolsero il marito di colà,
e imposero a Iolanda che la vegliasse. Il giorno vegnente fecero una
fossa nel pratello ricinto, laseppellirono, e Iolanda composta una
croce di legno, piantolla sulla fossa, e pregò a lungo quell'anima
benedetta, acciocchè le ottenesse da Dio la grazia d'uscire di quel
carcere e arrivar sana e salva al sepolcro degli Apostoli a sciogliere
il voto per suo padre.
Erano già passati ben dieci giorni che Iolanda, confinata nella
cameretta ove Ida era morta, vivea prigioniera ed in pianto; nè le
IL CASTELLO DISFATTO 167

valea il promettere che non paleserebbe mai a persona viva chi abi
tasse nei sotterranei di quel castello. Chiedeva di Raimondo,eniu
no le rispondea: quei ceffi la teneano in continuo terrore il giorno
e la notte: pregava la sua Madonnina che si movesse a pietà di lei;
e piangeva e si desolava.
Una notte sente nelle camere vicine un insolito romore, e un ri
dere e sghignazzare, e parlar d' assalti d'una sacristia, e di botti
no d'oro e d'argento, e pareale udire anco una voce donnesca, la
quale millantavasi più dell'altre. Iolanda stava in orecchi e trema
va. Dopo lunga ora di silenzio, perchè cenavano, udì nuovamente
entrar nelle camere contigue e una grossa voce che disse – Va là
in fondo a coricarti, che v'è un'altra donna –e poco appresso en
tra una femmina d'alta persona col lume in mano, la quale chiuse
l'uscio dietro a sè col catenaccio.
Iolanda trasalì a quella vista, e guardata la donna, e conosciu
tala, si getta alle sue ginocchia, e dice sotto voce –Swatiza, aiu
tami per amore di Dio – La zingana abbassa il lume, guarda fiso
la donzella ed esclama – Iolanda, come voi qui? –Sedettero tut
te due sul letticello, e Iolanda le narrò piangendo i suoi casi. Swa
tizapianse, forse per la prima volta in vita sua, tanto la strinse la
pietà di quell'innocente verginella;e presala per mano e carezza
tala affettuosamente – Benefattrice mia, le disse, non temete; io
conosco tutti gli aditi più secreti di questo palagio, e vi farò uscire,
che persona nol saprà: qui sotto il vostro letto è un trabocchello
con una botola a ribaltella, e sopra fu rammattonato; ma i matto
ni non hanno calce e, levatone uno, tutti gli altri si rilevano age
volmente.
– Ma io vorrei salvo anche Raimondo, disse Iolanda – Io ver
rò poi per esso, s'egli è ancor vivo, ripigliò Swatiza, ma intanto
egli non vi è tempo da perdere – E posto da un lato il letticello,
e colla punta d'un trafiere alzato un mattone, tutti gli altri furono
rimossi chetamente: indi alzò la ribalta della botola, prese il lume,
e con Iolanda avviossi peruna scaletta che riusciva sulla ripa del
torrente.
IL CoNGREsso INTERNAZIONALE
. DI BENEFICENZA

A F R A N CO F O RT E
-o-o;9oo

L'uomo, meraviglioso composto di materia e di spirito, è natu


ralmente portato, per la parte materiale a contemplare ed ammira
re quanto ha di esteso, di macchinoso, di strepitoso il mondo ester
no; per la parte spirituale a penetrarne con meraviglia le intriga
tissime cause e l'interno magistero. Ma di queste due contempla
zioni or l'una prevale, or l'altra, secondo le varie tempre del sog
getto contemplatore. La prima occupa fortemente le teste più vol
gari, le quali nella stampa periodica o nelle storie dei popoli corro
no in traccia di avvenimenti strepitosi, di monumenti colossali, di
rivoluzioni, di battaglie, di grandi scoperte meccaniche, di vicende
politiche o religiose d'ogni maniera. Agl'intelletti più sublimi tut
t'altro pascolo è richiesto: e fatti che trascorrono inosservati, idee
che si propagano inavvertite presentano talora l'aspetto di avveni
menti importantissimi, donde germoglieranno a suo tempo i destini
del mondo. Di tal tempra era la mente di quel Vescovo, la cui Me
moria intorno alla propaganda musulmana in Africa e nelle Indie
venne inserita nel Correspondant dei 10 e 25 Maggio 1851, Il Ve
scovo nelle sue missioni in que' paesi, osservando il fanatismo tur
co alla Mecca eil progresso di quella nazione nella marineria di com
IL CoNGREsso INTERNAZIoNALE DI BENEFICENZA A FRANCoFoRTE 169)
mercio e di guerra, annunziava i movimenti odierni dell'India ed
altri che probabilmente non falliranno,come questo nonfalli. Della
stessa tempra era la testa di quel Napier, le cui parole da noi altrove
citate i intorno ai pericoli dell'Impero indobritanno avrebbero dato
ai pari suoi nell'anno, in cui si pronunziarono, soggetto di maggior
meditazione, che tutt'i sovvertimenti presenti, i quali richiamano
oggi la curiosità degli sfaccendati e i tardi pentimenti di chi nulla
previde.
A coteste più acute intelligenze crediamo noi dover raccomandare
come avvenimento importantissimo, dopo tanti altri Congressi in
ternazionali, quello di beneficenza che, tenuta l'anno scorso a Bru
xelles la sua prima tornata, raccolse quest'anno alla seconda, nel
centro della Dieta germanica dal 14 al 19 dello scorso Settembre,
forse 160 persone di varie nazioni sotto la presidenza del Consigliero
intimo di Reggenza a Berlino signor Bethman-Hollweg. Non già,
vedete, che possiamo aspettarcene, come certi filantropi s'andranno
forse immaginando, o una redenzione del proletario o una emanci
pazione della donna, o la santificazione dei carcerati penitenti o al
tre simili beatitudini tante volte promesse e ripromesse indarno;
cui certi goccioloni incorreggibili continuano a sperare dalle ciarle
ufficiali, come gli Ebrei sperano dalle nuvole il loro Messia. Oh! in
questo senso cotesto Congresso non frutterà ai poveri più di quello
che al sapere italiano profittassero i famosi Congressi degli scienzia
ti, o alla pace universale le perorazioni del Cobden e de' suoi com
pagni. In generale la vera carità, la carità cattolica, addottrinata
dal Redentore a non istrombettare le proprie larghezze, rifugge
da coteste clamorose adunanze: le quali per conseguenza servono
piuttosto a chi ama fare parlare di sè, sfoggiare in bei discorsi, av
venturare concetti e divisamenti magnifici e straordinari, trovare
occasione d'intrecciare conoscenze ed amicizie e banchettare feste
volmente cogli uomini del bel mondo; che è la prossima e più si-
cura conclusione di somiglianti Congressi. E Dio volesse che non

1 Vedi Civiltà Cattolica vol. VIII, terza serie, pag. 433.


470 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

vi fosse talvolta di peggio e non si raccogliessero i Congressi di be


neficenza, come già quei della scienza, per preparare alla società
scompiglio, desolazione e pianto.
Sotto l'aspetto dunque di filantropia noi poco speriamo da co
tali adunanze; utilissime quando trattisi d'istituzioni materiali,
come telegrafi, commerci, polizie, medicina e simili. Ma sapete voi
ciò che in simili congressi,e specialmente in questo, crediamo rav
visare d'importante? Noi veggiamo in esso tre elementi degnissi
mi dell'attenzione dei savi: e sono, i progressi della grande unio
ne dei popoli, attuazione dell'idea cattolica; l'intrusione, la tiran
nia, l'indipendenza dello spirito eterodosso che vi si dibatte; l'on
nipotenza meravigliosa del Verbo eterno, che costringe codesto
spirito a servire ai suoi disegni e loro preparare il trionfo.
E in quanto all'unione, che simili congressi manifestano già mo
ralmente o preparata o inoltrata o formata, niunoè che non sap
pia essere cotesta un'idea essenzialmente cattolica,fondata sul va
ticinio del Redentore: Fiet unum ovile et unus pastor: e la Chie
sa, dacchè l'avvivò il Paracleto, lavora a tale impresa assidua
mente, con missionari, con Vescovi, con Ordini religiosi, con
giubilei, con crociate e pellegrinaggi, con Università e congrega
zioni e con mille altri argomenti destinati astabilire, mantenere, fe
condare quella cattolica unità, donde nacque la civiltà europea.
Ma forse i Cattolici stessi non avvertono sempre a quell'essenzial
mente, a quella relazione intima e naturale che passa fra unità mo
rale del genere umano e Chiesa cattolica: specialmente dopochè la
filantropia umanitaria, usurpando al cristianesimo cotesto concetto,
l' ha trombettato al pubblico come una grande novità. Accade qui,
come in altre cattoliche dottrine che, non potendo cancellarsi del
tutto nella civiltà europea, anche dopo l'introduzione del principio
eterodosso, la bellezza del concetto cristiano, già abbracciato come
innegabile, quando l'Europa era interamente cattolica; i nemici,
della fede ne tolgono in prestito una tinta di vero per inorpellarne
e rovi ed iniquità. E come rubando alla fiaccola della Chiesa qual
che isolata scintilla di sue dottrine, i volteriani si facevano inven
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 171

tori e promulgatori di natural probità, gl'illuminati di religione


naturale, i politici costituzionali di potere temperato, i dottrinari
-eclettici diuna pietà senza dommi; così gli umanitari usurpano al
la Chiesa 1 la meravigliosa idea della società di tutti i popoli, sot
traendone però quel fondamento dell'unità di fede, senza di cui
l'unità delle genti altro non può essere che il vecchio sogno del
l'impero universale o la sventura dell' universale schiavitù sotto
un centralismo colossale.
Sia vecchio sogno o universale schiavitù, voi vedete, lettore,
qual tristo compenso ci offrano gli umanitari insurrogazione del
l'unico ovile. Ma tristo e malaugurato qual'è, esso vi mostra pure
come progredisca nella società incivilita tacito ed inosservato l'av
veramento del gran vaticinio. Cotesto medesimo procedere tacito e
inosservato forma parte egli stesso dell' avveramento; essendo
scritto, come voi ben sapete, che il regno di Dio cresce come

1 Cotesti plagi di belle istituzioni cattoliche potrebbero dare soggetto di un


lungo articolo e curioso. Sanno i lettori quante volte fu detto dai libertini stessi
che i vantati penitenziari della civiltà moderna sono semplici imitazioni o rac
conciamenti di ciò che esisteva in Roma fin dal 1700: sanno gli sforzi eroici
fatti da Miss Nothingale per contraffare anglicanamente le Suore di Carità, e
l'eroico fiasco in cui quelli abortirono. Or noi dubitiamo che altro simile pla
gio sia quel Kindergarten (giardino di ragazzi) che il rapporto del sig. Giulio
Duval (ne diremo fra poco) ricorda come istituzione tedesca, appena conosciu
ta fuori di Germania, e raccomandata alle madri di famiglia e alle autorità
municipali dal Congresso filantropico. L'invenzione, che si dice del Froebel,
venne raccomandata nel Congresso dall'infaticabile sua promotrice, la baro
nessa di Marenholtz, come ispirata dall'amor dei fanciulli ed efficacissima alla
lor buona educazione. ll rapporto non ispiega in che consista quella pratica:
ma il titolo ci fa dubitare assai che altro essa non sia in sostanza se non ciò
che nelle scuole di Roma appellasi appunto il Giardino, usitatissimo anche in
Napoli e in Sicilia da tutte le scuole e le pie congregazioni; le quali in qualche
amena villetta raccolgono i loro giovanetti nelle ore di sollievo per congiun
gervi l'allegria della brigata con la tutela dell'innocenza. Se così fossero i
giardini tedeschi, l'invenzione risalirebbe per Roma almeno al secolo di S. Fi
lippo Neri, benchè rivelata per la prima volta ai membri del Congresso (pag.
80) nel 1857.
172 IL CONGRESSO lNTERNAZIONALE

semente raccomandata al terreno mentre l'uom dorme, e non se


ne accorge 1; che giungerà come ladro senza che altri l'aspet
ti; che fermenta nascosto in quella farina che per lui si trasfor
ma. Tutto ciò vi dimostra come il preteso concetto umanitario,
altro non è che una scimmiatura di quel Cattolicismo inventato
18 secoli fa dalla Sapienza incarnata, che agita e fermenta questo
impasto, in cui la Chiesa lo nascose, e tende ad infondervi quell'u
nità, di che per sè stessa egli sarebbe incapace.
Questa incapacità poi che comparisce evidente e dai fatti passati
e dai presenti tentativi,è fondata nella natura, nell'essenza stessa
delle cose. Conciossiachè dovendo ogni unità sociale risultare da
gli atti dell'uomo; e gli atti dell'uomo da una ferma persuasione
della sua ragione; è chiaro che se voi non trovate un mezzo per
congiungere le intelligenze, mai non riuscirete a formare una vera,
umana, durevole società. Ora, tolto il principio cattolico, trovate voi
più nella società incivilita altro universale principio, a cui aderiscano
spontanee le intelligenze? Ne avete in questo momento, dopo tante
altre, la solenne risposta nel Sinodo, ossia commedia, di Berlino
destinata a congiungere in unica alleanza evangelica le dissonanze
del protestantesimo 2. E da codesto microscopico fiasco potete ar
gomentare quale sarebbe l'impotenza di chi tentasse fra elementi
eterodossi il congiungimento delle nazioni. Come! un pugno di mi
nistri protestanti con unica Bibbia alla mano, dopo lo studio erme
neutico di tre secoli,vedendosi ormai vicini a perire, ne hanno di
stillato finalmente nove gocciole di domma; e fanno di tutto per
sorbire almeno queste, come ultimo tentativo contro lo sfacelo della
cancrena; e le nove gocciole non possono trangugiarsi da tutti quei
pochi ministri cointeressati, che debbono sciogliersi senz'aver nulla
concluso; e voi vorreste sperare di unire co' principi medesimi
tutti i popoli della terra! Via via, lettore mio gentile, bando a co
testi sogni. L'unico ovile è idea di Dio,e solo Dio potrà ridurla in

i Semen germinet et increscat dum nescit ille MARC. IV, 27.


2 Vedi Civiltà Cattolica terza serie, vol. VIII, pag. 507.
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 173

atto. Tutti codesti racconti sapete voi che sono? Sono, si parva li
cet componere magnis, le mediocrità architettoniche di Firenze co
spiranti intorno alla cupola di S. Fiora per escluderne la mente in
ventrice del Brunelleschi.
Sebbene nò, il paragone neanche in piccolo non regge. Chè in
fin dei conti la gelosia di quei di Firenze non giunse a demolire il
già fabbricato e sperderne le macerie. Ben essi volevano appro
priarsi il disegno e la gloria: ma si contentavano di continuare la
fabbrica com'era iniziata, e valersi di quelle pietre che erano già
destinate all'edifizio. Non così gli eterodossi nella fabbrica della casa
spirituale: essi vogliono la società universale del genere umano,
ma fuori del cristianesimo e fabbricata col nulla.
Col nulla; sissignori! proprio col nulla: giacchè il gran mezzo,
il gran ripiego da loro scoperto per congiungere in unità perfetta
tutti i popoli della terra, è stato quello di eliminare a poco a poco
tutti que'dommi, con che la Sapienza incarnata volle congiungerli,
ma che trovavano un contraddittore. Così furono esclusi tutti, fuor
chè quei nove; e poichè contra questi ancora le obbiezioni non
mancano, sarà pur forza abbandonare anche questi e fabbricare l'u
nità d'intelligenze senza dottrine, col nulla, o, come suole dirsi,
con la tolleranza universale 1. - -

Comprendete voi pienamente, lettore, l'abisso di assurdità di un


tale concetto? Che direste d'una accademia di disegno, ove alla
scuola notturna de' gessi il professore per ottenere da tutti gli sco
lari una medesima copia, smorzasse i lumi e li lasciasse all'oscuro
senza originale? che direste di una sinfonia, ove per ottenere l'ac
cordo dei musici, si proscrivesse la partitura e il maestro di cap
pella per lasciare liberi i suonatori? Che direste di un viandante
che ignorando la direzione del suo viaggio, e ritrovando dispa
1 Infatti le dotte lettere dell'abbate Guerber intorno al protestantesimo
d'Alsazia lo mostrano colà molto più discreto dell'evangelismo prussiano:
credereste? Si contentano di legare alla loro comunione chiunque ammette i
due dommi dell'unità di Dio e immortalità dell'anima.(Vedi l'Univers dal 17
al 24 Decembre 1857).
--- --- --- --- --- --- --- --- --- ---

174 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

reri fra coloro, cui ne domanda, si risolvesse a chiudere gli occhi


e camminare alla cieca? Niunasocietà umana potrà mai spogliarsi
del desiderio del bene, dell'amor dell'ordine,del sentimento di giu
stizia: ma per ottenerli è pur necessario, chi nol vede? saper dove
trovinsi quelle belle cose. Dire a tutto un popolo, dire alla molti
tudine di tutti i popoli « Accordatevi di tendere unanimi ad effet
tuare il bene, l'ordine, la giustizia»; e frattanto a tal uopo vietare
universalmente di decidere che cosa sia bene, ordine e giustizia;
egli è proprio un volere che si acciechino per giungere, senza ve
derlo, concordi al termine a cui aspirano.
Or vedete, lettore, se è possibile fuori del Cattolicismo l'unica so
cietà umanitaria !! Se ne vedete l'impossibilità, concederete insieme
che l'unico ovile, come fu concepito solo dal Redentore, cosi solo
nella sua Chiesa e colla sua fede può condursi ad effetto. Di che
siegue ciò che in secondo luogo abbiamo proposto, che quando l'e
terodossia mette mano a tali faccende, ella vi s'intrude come un
guastamestieri, distruggendo in parte il già fabbricato e rendendo
impossibile, finchè ella dura all'impresa, il proseguimento e il com
pimento. Questa conseguenza, che risulta genericamente dall'anzi
detto, riceve un'applicazione e una conferma degnissima dell'atten
zione dei savi nel Congresso di Francoforte.
Codesta solenne adunanza di filantropi benefici,si propone il te–
ma più nobile insieme e più facile che per tali congressi potesse
idearsi. Quale idea più nobile che unificare tutti gli sforzi del mon
do incivilito per asciugare ogni lagrima, confortare ogni travaglio ?
Se vi ha un assunto, ove debba essere facile il congiungere gli ani
mi, per fermo egli è cotesto, a cui tutti naturalmente cospirano gli
animi onesti. Disgraziatamente, qualunque esser possa il merito per
sonale de'concorrenti, lo spirito onde muove l'impresa non è il cat
tolico: è piuttosto quello spirito umanitario immaginato appunto per
contraffare nell'irreligione il Cattolicismo, per ristabilire una unità
fra esseri indipendenti. «L'istituzione del Congresso, diceva nell'a-
pertura il Presidente Bethman, ha la sua ragione nelle profonde
trasformazioni operate nella società dai progressi dell'incivilimento:
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 175

il quale traendo da servitù a indipendenza, da corpi d'arte a li


bertà di lavoro, sollevò l'uomo alla vera sua dignità. Se non che,
atterrate le antiche istituzioni, asilo e sussidio delle moltitudini;
l'individuo isolato nella sua indipendenza dovette soccombere in
nuova lotta; e la società vide nuovi mali riprodursi per ogni dove
sotto la triplice forma di miseria, di degradamento fisico e morale,
di delitti. Ma la libertà che produsse il male, dee produrre il rime
dio: giacchè chi è libero sta mallevadore delle proprie azioni. Ed
ecco l'origine del nostro Congresso, il quale, prescindendo da tutte
le differenze nazionali, politiche, religiose, intende contrapporre
alla miseria la beneficenza, alle tenebre del degradamento l'educa
zione, ai delitti i penitenziari: santa alleanza di nazioni ispirata
dal pensiero cristiano, a fine di preservare la società europea dal
dissolvimento onde è minacciata, e sollevarla all'altezza della sua
missione mediatrice della civiltà del mondo 1. »
Attraverso alle ampollosità di queste frasi, il lettore avrà notato
da sè varie confessioni importanti.Il presidente del Congresso rico
nosce (e questo gli fa onore) che il pensiero è suggerito dal cristia
nesimo. Ma disgraziatamente vuole che prescinda dalle differenze
religiose (il che è un po' difficile a combinarsi specialmente pe' fi
lantropi ebrei). Riconosce inoltre che l'indipendenza è l'anima del
la società moderna; che questa indipendenza, sollevando l'uomo
all'altezza della sua vera dignità,gli partorì miseria, abbrutimen
to, delitto (curiosa dignità, madre di tale figliuolanza!); che cotesta
indipendenza dignitosa conduce a dissolvimento la società: che i
corpi d'arte erano asilo e sussidio, e non già schiavitù delle molti
tudini. Ma l'ingenuità di queste confessioni non basta a velare ad
occhio mediocremente perspicace quella tinta d'indifferentismo re
ligioso, senza cui simili unioni, e in materia tanto intimamente con
nessa con la religione, mai non congiungeranno Cattolici con ete
rodossi,

1 Journal des Économistes, Octobre 1867 pag. 75 e 76.


176 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

Infatti appena terminata la prolusione e introdottasi la trattazio


ne intorno alla beneficenza, la sala si cangiò in arena,in cui gli spi
riti che avevano lottato nel Belgio in favore o contro della carità
cattolica, tornarono a cozzare sì duramente,che per lo meglio con
venne abbandonare il campo e tacere del problema (p. 76). Se non
che cotesto silenzio essendo più utile alla pace che al sapere, que
sto chiese in grazia che una medaglia di 200 fiorini invitasse a scio
gliere per iscritto quel problema, sopra di cui dovevano tacere le
voci. Manco male ! la lotta delle dissertazioni sarà taciturna ed in
Cruenta.

Ma che vale prudenza e tolleranza contro la natura delle cose?


Sopito appena il primo dissidio, ecco riscaldarsene un secondo pei
termini, dice il JoURNAL DEs ÉcoNoMISTEs, più che severi usati dal de
putato di Algeria, l'abate Landmann, qualificando per immorale e
viziosa l'educazione di non so quale istituto di donzelle, ove le gio
vani moresche vengono allevate en dehors de tout proselytisme reli
gieux (pag. 78). Non avendo sott'occhio gli atti del Congresso, non
possiamo porre in fermo alcun giudizio, nè assumere le difese del
sacerdote cattolico con piena cognizione di causa. Dal poco che ci
presenta il giornale economico ci sembra ravvisare nella rimostranza
del deputato d'Algeria un sincero rappresentante dello zelo cattoli
co. Ma ad ogni modo potendosi dare certi casi, in cui la vera pru
denza vieta per minor male il proselitismo, prescinderemo dal me
rito della causa, e ricordiamo il contrasto unicamente perchè si
vegga quanto poca speranza aver si possa di unità umanitaria sotto
gli auspici della sola filantropia.
Nè qui si arrestano gli urti; chè al finir di questo la quistione
intorno ai limiti dell' assistenza pubblica ridesta il dissidio pocanzi
sopito intorno alla beneficenza del Belgio. E le quistioni seguenti
intorno all'istruzione universalmente obbligatoria, alla sua gratui
tà, alla riforma penitenziaria e simili dovettero certamente muo
vere ugualmente gli spiriti. Poichè il relatore, dopo aver riferito
le vive critiche apposte al Dottor Varrentrapp intorno alla riforma
penitenziaria e al sistema cellulare, conclude col Ducpétiaux non
DI BENEFICENZA A FRANCOFORTE 77

essersi inteso di deciderne la quistione, ma solo di raccomandarne lo


studio (pag. 81). Quando le risoluzioni sono così discrete, soggiu
gne il giornalista, l'accordarsi è facile: ma una sentenza così inde
cisa perde assai della sua autorità 1 (o come noi diremmo in buon
volgare, non conclude niente). Un altro dissidio degno di osser
vazione è quello intorno alla lingua che nella Capitale della confe
derazione germanica i Tedeschi vollero tedesca. Se ne duole l'eco
nomista francese, e vorrebbe che la cortesia usataverso le persone
si fosse estesa anche alla lingua degli stranieri. Altrimenti, dice, a
Londra si vorrà l'inglese, a Milano l'italiano: il che non garberà ai
Tedeschi. Supponiamo che questi risponderanno al signor Giulio
Duval che, se la cortesia richiedeva tale sacrifizio, toccava ai Fran
cesi darne l'esempio l'anno precedente a Bruxelles: che l'obbligare
i nazionali o uditori a nulla intendere, o interlocutori a stentare
nelle adunanze , è scortesia verso i nazionali maggiore dell' altra
verso i forestieri: che questi quando viaggiano in Germania debbo
no presumersi capire almeno il tedesco: nè vedersi per qual motivo
il francese abbia a godere cotesta preferenza o a Londra o a Mila
no. Queste ragioni tuttavia saranno probabilmente sopraffatte nei
futuri Congressi dalla prevalenza dell'idioma francese, essendosi già
determinato che sia cotesta la lingua dei futuri bullettini dell'asso
ciazione, e che si cerchi frattanto una seconda lingua da introdursi
in tutte le scuole primarie d' Europa a fine di mettere in correla
zione tutti i popoli inciviliti. In altri tempi cotesta lingua univer
sale era un fatto compiuto dal Cattolicismo mercè della lingua la
tina. Ma cotesta anticaglia è troppo cattolica per meritare uno
sguardo da un Congresso d'indipendenti. Essa continuerà a studiarsi
da tutti i Cattolici istruiti: ma questi se vorranno avere accesso ai
Congressi, invece di due dovranno studiare tre lingue,grazie allo
spirito che presiede a coteste riunioni. Bene inteso che per intro
durre una lingua universale in tutte le scuole primarie europee,
ci vorrà una buona dose di leggi,d'ispettori, di multe, che costrin

1 Pagina 81.
Serie III, vol. IX, 12 4 Gennaro 1858
178 IL CONGRESSO INTERNAZIONALE

gano il popolo a godere anche di questa libertà d'istruzione, come


di tante altre libertà che vanno ogni dì più incatenandolo al carro
del Progresso.
Ed eccoci, come vede il lettore, condotti naturalmente a consi
derare i naturali effetti dell'invasione eterodossa nell'unità cattoli
ca trasformata in umanitaria, i quali abbiamo notato pocanzi po
tersi compendiare in queste due parole: dispotismo dei potenti, schia
vitù dei deboli.
Che tale debba essere indubitatamente la condizione di società
umanitaria ; vale a dire di società che voglia farsi universale, senza
abbracciare il Cattolicismo, risulta evidentemente dal suo carattere .
testè descritto. Attesochè, non avendo cotesta società alcuna posi
tiva unità nel pensare, mai non potrà condurre ad unità ragione
volmente spontanea, moltitudini numerose e molto meno l'univer
salità delle genti. Or quando manca spontaneità di azione derivata
da evidenza di ragioni, l'uomo non può essere condotto, se non con
una qualche maniera di forza(forza d'interessi, di minacce, ditor
menti ecc.). Dunque la società umanitaria o non esisterà mai (e
questo crediamo probabilissimo), o sarà la schiavitù del genere uma
no sotto un despotismo colossale.
Se cotestovergognoso ed orrendo spettacolo dovrà vedersi, sa
rà, crediamo, nel regno dell'Anticristo. Frattanto peraltro sicco
me Anticristi in miniatura sono e debbono essere tutti gli avver
sari della Chiesa cattolica;è naturale che lo spirito filantropico
faccia egli pure le sue prove di tirannia, ogni volta che tiene un
seggio d'onore nei Congressi europei per formare la futura Società
umanitaria. E in questo, di cui parliamo, la tirannica idea di co
stringere per via di convenzione diplomatica tutti i contadini e ar
tigiani d'Europa, non che le classi istruite, ad imparare una lin
gua straniera, non è in sostanza se non una speciale applicazione
del principio d'istruzione primaria obbligatoria abbracciato, dice il
Duval, senza che una voce contraria abbia richiamato in favore o
del diritto dei parenti o della libertà assoluta. Anzi vi si aggiunse
poco appresso e per le scuole primarie e per le normali l'insegna
284 LA RICCHEZZA

potete e dare e ricevere in contraccambio nella compravendita. Noi,


deducendo le conseguenze della teorica precedente, daremo qui un
saggio di applicazione.
18. Ed incominciando dall'escludere ciò che non entra in com
mercio, è chiaro che l'uomo nel suo essere sostanziale non può
mettersi in vendita come proprietà arbitrariamente usabile in bene
del padrone; che sarebbe vendere la roba altrui, essendo egli con
tutto l' essere suo cosa di Dio. E se talora fu detto anche onesta
mente che gli schiavi si vendono (come nel sacro testo dicesi de
gli Ebrei), ciò si vuole intendere di tutta l'opera loro, ma non del
la loro persona. Nè possono mettersi in vendita le sue facoltà parte
anch' esse dell' essere umano: ma nulla vieta che l'opera di queste
facoltà, venga dall'uomo alienata per acquistare o sostentamento o
perfezione, poichè appunto a procacciarsela sono destinate dal Crea
tore le opere delle facoltà umane: e tanto vale a conseguire questo
intento l'adoprare immediatamente queste forze a modificare la ma
teria che dovrà sostentarmi,quanto l impiegarle in pro di taluno
che mi somministri quella materia già per opera sua modificata.
Corre tuttavolta grande differenza tra il sostentamento materiale e
la perfezione morale; potendo il primo comunicarsi altrui, laddove
la seconda è tutta personale. Potrà dunque vendersi l'opera che ad
altrui vantaggio è diretta, ma non quella che compie il proprio do
vere morale: potrà l avvocato vendere quel tempo e quell' opera
che impiega a perorare la tua causa, ben potendo impiegare quel
tempo e quell' opera in altri lavori di suo interesse materiale; ma
non potràfarsi pagare nè l'amore, con cui lavora per te, riguar
dandoti come suo prossimo, nè la verità degli argomenti, con cui
sostiene la tua causa, giacchè l'amore del prossimo e il non menti
re sono un compimento del suo dovere 1. Per la stessa ragione il
1 Diciamo che non potràfarsi pagare,vale a dire, esigere un equivalente.
Ma comprende il lettore che non escludiamo per questo ogni rimunerazione o
premio, contraccambio ben diverso dalla mercede. Questa viene retribuita da
contraente uguale per compenso dell'opera ceduta, quella dall'Ordinatore so
ciale per atto esercitato in vantaggio della società.
NELLA ECONOMIA SOCIALE 285

magistrato non è un negoziante di giustizia, nè il missionario di o


nestà, nè il professore di verità, nè il soldato del sangue proprio o
dell'altrui. Tutti costoro hanno assunto comeufficio proprio l' a
dempimento di certi doveri, la cui materia non è venale, nè può
trovare un correspettivo omogeneo nei materiali interessi. Se una
tale proporzione fosse possibile, il senso comune non rimarrebbe
vulnerato al sentirsi dire, esempligrazia, che un magistrato abbia
fabbricato con una sentenza cento scudi di giustizia, o un profes
sore insegnato in una lezione cento franchi di verità. E ci vuole
l'eccesso di corruzione, a cui l' eterodossia ha ridotto gl'Inglesi,
per rendere credibile ciò che pure ne venne riferito, che sieno ac
cettate colà come frasi correnti quelle, con cui si dice che l'inca
rico di deputato alla camera de' Comuni costa mille, duemila ghi
nee ecc. Sente ognuno che cotesti termini sono tanto eterogenei
che non possono trovare fra di loro una proporzione: e come è
impossibile in aritmetica sommare o moltiplicare insieme quindici
sinfonie con venti canne di tela per la disparatezza di tali oggetti;
così vede impossibile ridurre a qualche proporzione que'beni mo
rali coi materiali.
19. — Ma potete voi negare che i clienti e le cause concorrono
più volenterosi in mano ad avvocati onesti? Se questo non negate,
dovete riconoscere, causa di lucro e fattore di ricchezza doversi dire
eziandio l' onestà.
Chi così la discorre sembraci confondere l'accidentale col per sè
deliberato. Certamente tutte le doti pregevoli e dell' anima e del
corpo, traendo le simpatie dell'uomo ragionevole e sensibile, debbo
no avere una qualche influenza sulle sue condizioni sociali. Ma met
tereste voi con proprietà di discorso fra i fattori di ricchezza il con
versare ameno di persona sollazzevole o la bella fisonomia e la car
nagione porporina di una persona avvenente? Se l'onestà, la piace
volezza, la bellezza traggono le affezioni del cuore, e così dànno oc
casione a qualche contratto; ciò è pura accidentalità non richiesta,
nè contemplata da chi possiede que' pregi: i quali anzi perderebbe
ro ogni loro valore, se venissero diretti e calcolati come elementi di
286 LA RICCHEZZA

guadagno. L'onestà venale sarebbe propria dell'ipocrita, la lepidezza


venale del buffone o del cerretano, la beltà venale della prostituta.
E la ragione di questo è che non può computarsi tra le ricchezze
commerciabili ciò che non può cadere in permutazione; nè cade in
permutazione ciò che il possessore non vuole o non può vendere.
Quelle doti dunque che non possono essere dal possessore ragione
volmente gittate nel commercio, mai non potranno dirsi materia
permutabile, ossia ricchezza. Tolgasi dunque di grazia dal catalogo
delle ricchezze mercatabili e l'adempimento dei doveri morali e
tutto ciò che, non confortando direttamente la materiale esistenza,
non può avere un corrispettivo contraccambio nell'ordine materia
le. Ed affinchè in questo non si cada in errore, abbiasi grande av
vertenza a sceverare nelle figure rettoriche ciò che è verità da filo
sofo, dalla veste fantastica che l'eloquenza v'aggiunge. E chi scrive
in tali materie meglio ancora farà, se darà bando a coteste metafore
ingannevoli, sforzandosi a tutt'uomo di esprimere con la parola
schietto e semplice il vero. Contro la qual regolapeccano gli econo
misti poc'anzi citati, i quali trovano lavoro accumulato nelle merci.
20. A queste ragioni che rendono intrinsecamente vituperevoli
tali formole malintese di economia, un'altra in molti casi potrete
aggiungerne, ed è che l'opera, con che si reca altrui certa specie di
servigi, non è propriamente un donargli ciò che egli non ha, ma
solo un aprirgli la via a trovare quel tesoro che virtualmente pos
siede: il che avviene appunto nell' insegnare il Vero o nell'educare
all' Onesto. Il Vero scientifico insegnato dal maestro non è per
lo più se non l'apprensione interna di una verità, alla quale il mae
stro ha solo appianata la via: l'Onesto è un puro conformarsi a
quell'interno insegnamento della coscienza che dall'educatore vie
ne, non già creato, ma solo posto in evidenza ed in rispetto. Ger
mina dunque cotesta specie di beni dall'intelletto e dal cuore del
l'alunno, vale a dire nel proprio fondo di lui, benchè per opera del
l' altrui mano educatrice: cotalchè dire che l' istitutore o lo scrit
tore, vende verità o probità, sarebbe un attribuirgli la proprietà di
cotesti frutti che germogliano dal fondo del suo allievo o del suo
lettore.
NELLA ECONOMIA SOCIALE 287

21. Quello che egli puòfarsi pagare in certi casi è, come abbia
mo detto poc'anzi, il tempo e l'opera che poteva impiegare per
proprio sostentamento, e che ha dovuto spendere non solo nell'eser
cizio attuale di sua funzione, ma nelle lunghe preparazioni, nello
studio indefesso,nel procacciarlibri estromenti necessari, nel man
tenere corrispondenze coi dotti ecc.: cose tutte che a chi voglia co
scienziatamente consecrarsi a tali funzioni potrebbero meritare ben
altro stipendio, che quello talora meschinissimo, onde vengono re
tribuite. Non per questo crediamo assolutamente giustificate certe
doglianze (in parte, a vero dire, ragionevoli) di chi s'indegna al
vedere meglio retribuita una capriuola della Cerrito, che una lezio
ne astronomica dell'Arago. Certamente è ragionevolissimo il disde
gno, quando si vede un pubblico sì bestialmente schiavo della vo
luttà, che voglia pagare a sì caro prezzo quella capriuola. Ma se
trattasi di rimeritare nei due lavori la parte materiale, quell' ora
impiegata dall'Arago nella lezione accademica non ha un minuto di
più dell'ora impiegata ballando dalla Cerrito. La verità poi che egli
discuopre agl'intelletti non è sua merce: egli altro non fa che ad
ditare la via e alzare il sipario a chi vuole contemplarla. Questa
opera certamente è pregevole, com'è pregevole la gentilezza di chi
vi guida per incognite vie. Ma essa non si può permutare col ma
teriale, nè si deve esagerare, quasi ella fosse creatrice di quella ve
rità, alla quale solo vi apre il cammino.
22. Molto più poi debbono porsi fuori d'ogni conteggio econo
mico tutti que'beni spirituali che la soprannaturale liberalità di Dio
pone talvolta a disposizione degli uomini, sia con provvedimento
ordinario d'istituzioni costanti, come nei Sacramenti e nel Sacri
fizio,sia per grazia straordinaria, come nelle rivelazioni e nei mi
racoli. Nei quali casi, chi volesse ridurre a commercio economico
la grazia divina, cadrebbe in quella colpa che dal fatto di Simon
Mago ricevette presso i teologi il nome di Simonia.
Ecco dunque, come vedete, non poche opere escluse dal com
mercio economico, ossia dal corso delle cose venali. E dalle opere
escluse è facile il discernere tutte le altre che restano incluse nella
9288 LA RICCHEZZA NELLA ECONOMIA SOCIALE

ricchezza economica. Ma noi per fornirvi una guida più fedele,


stringeremo qui in poche formolette il fin qui discorso intorno alla
vendibilità.
23. Non può vendersi ciò che non è nostro; ma non tutto il no
stro è per questo stesso vendibile. L'uomo è padrone di sè, in
quanto col libero arbitrio può governarsi. Ma poichè questo arbi
trio ha un fine ed una legge morale che fanno tutto l'uomo servo
di Dio, l'essere dell'uomo non può vendersi: nè per conseguenza
le sue facoltà che formano parte dell'essere.
Gli atti di queste facoltà possono rivolgersi o direttamente al suo
fine morale, o al sostentamento fisico, o a prepararne la materia ne
cessaria. I due primi modi di operazione sono doveri inviolabili, e
però niuno può permutarli con beni materiali. Restano dunque solo
fra le materie mercatabili le materie superflue ai propri bisogni,
e l'azione delle forze, con cui a questi bisogni provvedonsi i mez
zi materiali.
Queste forze sono o intellettuali o materiali; e sì le une che le
altre possono dirigersi a preparare un materiale elemento di agia
tezza. In questo caso il loro esercizio diviene materia permutabile
come quelle materie, in cui la loro operazione si attua. Potrà
dunque un artigiano vendere o il mobile che ha fabbricato, o il la
voro di quattro giorni richiesto a fabbricarne un altro: uno scrit
tore potrà vendere il manoscritto da lui composto o l'opera del
l'ingegno e il tempo richiesto a comporre altro libro o giornale
ecc. Questa opera,questo ingegno egli poteva impiegarli a formarsi
macchine che agevolassero il lavoro, mobili che adagiassero la vita.
Può dunque permutarle con altri oggetti materiali ed equivalenti.
Così sempre più riesce evidente che la ricchezza è, come nota il
Marescotti, nel connubio del lavoro umano con la materia, giacchè
il lavoro stesso in tanto acquista un pregiovenale, in quanto o l'ha
trasformata, o è potenzialmente diretto a trasformarla.
Tale ne sembra l'idea essenziale ed esatta della venalità o per
mutabilità economica, dalla quale vedete voi medesimo sgorgare
quasi corollario la necessità dell'equivalenza nelle permutazioni ,
della quale tratteremo altra volta.
DEL CONCETTO DI VITA
IN GENERALE
--------------

I.

La vitalità è riposta nell'immanenza dell'azione.

La vita si può prendere astrattissimamente, in quanto esprime


in generale ciò che è comune a tutti i gradi di viventi; e si può
prendere in un senso più limitato, in quanto restringesi a signifi
care il solo infimo grado di vita, cioè a dire il grado vegetativo.
Anche questo involge una specie di comunanza, in quanto si trova
come fondamento in tutti i viventi organici; i quali per conservar
si hanno bisogno di nutrizione. Di più la vita può considerars.
in atto primo e in atto secondo. In atto primo ella è l'essere stesso
sostanziale del vivente; in atto secondo è l'operazione che sgorga
da quell'essere. Vita dicitur dupliciter: uno modo ipsum esse viven
tis; . . . alio modo ipsa operatio viventis, secundum quam princi
pium vitae in actum reducitur 1.
Non essendo possibile formarsi una chiara e distinta nozione
del particolare, senza aver prima compreso il generale; noi comin

1 S. ToMMAso Summa Theol. 1. 2, q. 3, art. 2 ad 1.


Serie III, vol. IX. 19 20 Gennaro 1858
290 DEL CONCETTO DI VITA

ceremo dal chiedere in che consiste la vita nel suo significato più
ampio; per quinci passare a dire in che propriamente è posta la
vita nel suo significato più ristretto, in quanto cioè prendesi per la
sola vita vegetale. E perciocchè le cause e le sostanze da noi non
si conoscono altrimenti se non in virtù dei loro effetti e delle loro
operazioni; cercheremo della vita in atto secondo, per inferire in
che essa consiste in atto primo. La quistione adunque, che qui agi
tiamo, si riduce alla seguente: che cosa costituiscegeneralmente
l'azione vitale a differenza della non vitale.
S. Tommaso, bene intendendo non essere ufficio del filosofo il
crearsi dottrine a capriccio, ma ragionare i fatti e prendere le mosse
dagli universali concetti del senso comune, entra in tale investiga
zione facendo quasi il comento a ciò che la natura stessa manifesta
implicitamente a ciascuno, e procede a questo modo. Per conoscere
facilmente in che consiste l'azione vitale, è bene volgere la consi
derazione a quegli esseri, in cui la vita più manifestamente ci si
appalesa. Questi sono appunto gli animali. Ex his, quae manife
ste vivunt, accipere possumus quorum sit vivere et quorum non sit
vivere. Vivere autem manifeste animalibusconvenit 1. Ciò è detto sa
pientemente, perchè la vita nei vegetali è troppo latente, per essere
nell'infimo grado; negl'intelligenti poi è troppo astrusa, per essere
nel grado più alto e non percettibile da noi, se non per riflessione
sopra gli atti della ragione. Nell'animale è nel grado mediano, e più
vicina ai sensi, dai quali prende le mosse l'astrazione intellettiva.
L'animale adunque è l'obbietto più opportuno per aprirci la via
nella presente ricerca; e però noi possiamo a diritto distinguere la
vita, ponendo mente a ciò per cui diciamo che l'animale comincia a
vivere o cessadi vivere. Unde secundum illud oportet distinguere vi
ventia a non viventibus, secundum quod animalia dicuntur vivere; hoc
autem est in quo primo manifestatur vita, et in quo ultimo rema
net 2. Ora, noi cominciamo a dire che l'animale è vivo, quando veg

1 Summa Theol. 1 p. q. 18, a. 1.


2 Luogo citato.
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IN GENERALE 291
giamo che esso comincia a muoversi da sè medesimo; e mentre dura
in esso un tal movimento giudichiamo che in lui continua la vita.
Per contrario, allorchè scorgiamo che l'animale non ha più movi
mento ab intrinseco, ma solo vien mosso da impulso esteriore; di
ciamo che esso è morto, in altri termini che ha perduta la vita.
Primo autem dicimus animal vivere, quando incipit ex se motum
habere; et tamdiu iudicatur animal vivere, quamdiu talis motus in
eo perdurat. Quando vero iam ex se non habet aliquem motum sed
0Uetur tantum ab alio, tunc dicitur animal mortuum per defectum
vitae 1. L'attitudine dunque a muovere sè stesso fa sì che l'animale
chiamisi vivo, come l'assoluta incapacità di eseguire più tal movi
mento fa sì che dicasi morto. Il che non vuole intendersi del solo
movimento locale; ma di qualunque azione generalmente. Impe
rocchè è chiaro che quantunque l'animale stia fermo, nondimeno
noi continuiamo a crederlo vivo, finchè ci accorgiamo che esso con
tinua ad esercitare in sè un qualunque atto, come sarebbe il battito
del cuore, la nutrizione, una percezione sensitiva e va dicendo. Che
se tutte queste funzioni fossero in lui soltanto sospese, diremmo
essere nel medesimo sospesa la vita; della quale lo riputeremmo al
tutto orbo, se ci accertassimo esser quelle cessate senza speranza di
ritorno. Dunque l'essere un soggetto dotato di un principio, da cui
sgorghi un'azione che in lui si compia, è ciò che lo costituisce vi
vente. Sicchè in generale può dirsi che la vita in atto secondo con
siste nel muovere sè medesimo; intendendo ciò non del solo mo
vimento locale, nè della sola mutazione quantitativa o qualitativa
de'corpi misurata dal tempo, ma bensì di qualunque operazione:
nel qual senso dicesi movimento anche il sentire e l'intendere. Ex
quo patet quod illa proprie sunt viventia, quae se ipsa secundum
aliquam speciem motus movent, sive accipiatur motus proprie, sicut
motus dicitur actus imperfecti, idest existentis in potentia, sive mo
tus accipiatur communiter prout motus dicitur actus perfecti, prout
intelligere et sentire dicitur moveri, ut dicitur in tertio de anima; ut

1 Luogo citato.
9292 DEL CONCETTO DI VITA

sicviventia dicantur quaecumque se agunt ad motum vel operationem


aliquam 1.
La medesima dottrina il S. Dottore insegna in tutti i luoghi, do
ve parla della vita; e basti, per non allungarci di troppo, riportar
ne un altro solo. Nel comento al secondo libro de anima dice cosi:
La propria ragione di vita è posta in ciò che un essere sia abile a
muovere sè stesso; intendendo il moto in senso largo, in quanto
cioè si estenda codesta voce ad esprimere qualsivoglia operazione,
eziandio l'intellettuale. Imperocchè quelle cose diciamo orbe di
vita, le quali non possono muoversi, se non in virtù di un esterno
principio. Propria ratio vitae est ex hoc, quod aliquid est natum
movere seipsum; large accipiendo motum, prout etiam intellectualis
operatio motus quidam dicitur. Ea enim sine vita esse dicimus, quae
ab exteriori tantum principio moveri possunt 2.
Onde si vede che quando il senso comune attribuisce la vita alle
piante, implicitamente attribuisce loro un movimento ab intrinseco,
ossia un'operazione che in esse si eseguisca con provenienza da
virtù propria. El'analisi filosofica confermaquestogiudizio del vol
go; attesochè, come nell'altro articolo vedemmo, la pianta in ciò si
distingue dai minerali, che rappresenta una vera totalità, ossia un
composto di molte parti, concorrenti a costituire un solo individuo
con un sol fine, e con operazioni varie bensi, ma tutte al medesimo
fine subordinate. Le molecole dei corpi bruti che ne sono compo
sti, sussistono ed operano ciascuna per conto proprio; l'unità del
tutto è loro imprestata dalla mente nostra, sopra il fondamento della
doro scambievole coesione. Ma la pianta è veramente una, benchè
estesa nell'organismo. In lei la vita si manifesta nella varietà delle
sue molte funzioni; ma siffatte funzioni son per modo intrecciate
tra loro, che tutte cospirino ad uno scopo comune ed identico. Esse
tendono alla conservazione di quell'essere, sia numericamente sia
specificamente considerato; e questo è sempre l'unico scopo che si

1 S. ToMMAso, luogo citato.


2 In 2. de anima, lect. 1,
__ --- -------------------- == ----- ---------- - - - -

IN GENERALE 293

scorge o incoato, o promosso, o compiuto in qualsivoglia atto ve


getativo, dal primo assorbimento delle materie alimentari fino agli
ultimi effetti dell'assimilazione e della fruttificazione. Noi appresso
vedremo non potersi spiegare ciò, senza ammettere nelle piante
una forza centrale e primitiva,un principio vitale, distinto dalle
forze chimiche e fisiche, il quale informi tutte le parti, ond'esse
constano, ed infonda in ciascuno degli organi la diversa loro effica
cia. Per ora ci basti il fatto dell'unità di essere del vegetale; per cui
una medesima individualità, comprensiva di diverse parti e manife
stantesi per diverse azioni, è quella che svolge e nutrisce sè stessa
convertendo nella propriasostanza le particelle di altri corpi, e ge
nerando germi acconci a perpetuarne la specie. La pianta, così fa
cendo,opera propriamente in sèstessa; perchè sè stessa ingrossa ed
assoda crescendo; sè stessa alimenta assimilandosi gli umori che
attrae dal suolo e dall'aria; una parte di sè stessa converte in prin
cipio di propagazione producendo semi,che poscia da lei distaccati
e commessi alla terra germogliano.
Al corpo bruto noi non sappiamo attribuire altra forza, se non re
lativa ad altri corpi da esso veramente distinti. Attrazione, ripulsio
ne, resistenza,gravità e simiglianti; ecco tutta la loro efficenza. Ma
tali forze, come ognun vede, non si esercitano se non sopra unsub
bietto sostanzialmente diverso che ha il suo essere a sè, nè entra per
veruna guisa nell'integrità e nel fine dell'altro. Abbiamo, èvero,
agente e paziente, la molecola verbigrazia attraente e la molecola
attratta; ma l'uno è al tutto fuori dell'altro non solo materialmen
te, ma eziandio formalmente, perchè l'essere e il fine di ciasche-
duno si trova intero e compito in entrambi. Nell'organismo vi
vente non è così; perchè le parti in esso non hanno valore, se non
in ordine al tutto, che sorge dalla loro unione. Esse sono fuori l'una
dell'altra quanto alla loro materialità ed estensione quantitativa;
ma sono in certa guisa l'una nell'altra quanto alla loro formalità
ed estensione, diremo così, virtuale; perchè costituenti un solo or
ganismo ed attuate da virtùsubordinate tra loro e sgorganti da un
solo principio. Ondechè la pianta quando opera, benchè eseguisca le
294 DEL coNCETTo Di vITA

sue funzioni per organi diversi; nondimeno opera in sè medesima,


perchè tanto l'agente quanto il paziente appartengono alla medesi
ma individualità; e per conseguenza la medesima individualità ope
rante è quella che riceve l'azione.
Di che, volendo ridurre a formola più breve le cose dette, pos
siamo affermare generalmente che la vita consiste nella immanenza
dell'azione. Imperocchè è da avvertire che l'operazione può essere
di doppia specie; l'una che dicesi transeunte, l' altra che nomasi
immanente. Azione transeunte si chiama quella che è ricevuta in
un soggetto diverso dall' operante, come il gittare un sasso, o il
battere il grano sull'aia; azione immanente per contrario si chiama
quella che è ricevuta nello stesso soggetto operante, come il senti
re ed il volere. Duplex est actio. Una, quae transit in exteriorem
materiam, ut calefacere et secare; alia quae manet in agente, ut sen
tire et velle. Quarum haec est differentia: quia prima non est perfe
ctio agentis quod movet, sed ipsius moti; secunda autem actio est
perfectio agentis 1. Onde si vede che a costituire l'azione immanen
te due cose si richiedono. La prima che essa sia veramente azio
ne, cioè che essa proceda da un principio interno; altrimenti, se
procedesse da un principio esterno, direbbesi passione. La seconda
è che essa,procedendo da un principio interno al subbietto operan
te, non esca fuori del medesimo subbietto, ma in qualche modo ri
manga in lui. Ilsole illumina, e ciò in virtù d'una forza che in esso
risiede e adesso appartiene. Può dirsi immanente una tale azione?
No; perchè essa si esercita sopra subbietti distinti dall' operante.
Un grave, non sostenuto, cade. Può dirsi immanente quel movi
mento? No; perchè sebbene esso sia ricevuto nel grave;tuttavia
non procede da un principio interno al medesimo grave, ma da un
principio esterno, cioè dall'attrazione della terra che a sè lo tira. Per
contrario quando io sento o cammino, esercito un'azione immanen
te; perchè l'azione del sentire e del camminare procede da me ed
in me si compie. Lo stesso dicasi proporzionevolmente dellapianta,

l S. TomnAso Summa th. 1 p. q. 18, a. 2 ad I


IN GENERALE 295

la quale allorchè converte nella propria sostanza i succhi già pre


disposti, ovvero esplica il proprio organismo e frondeggia e fiori
sce e fruttifica, è dessa certamente che opera ed opera in sè mede
sima.
Obbietterà forsetaluno: Il pittore che dipinge un quadro, o il
citarista che tocca un liuto, esercitano senza dubbio un' azione vi
tale; e nondimeno ella passa in un distinto subbietto. Dunque la
vitalità dell'azione non consiste nell' immanenza.
Al che rispondiamo che quell'azione del pittore e del citarista non
è vitale in quanto precisamente è mozione del pennello e delle cor
de; perchè in tal caso dovrebbe dirsi vitale eziandio l'attrarre che
la calamita fa del ferro, e la spinta che la molla dà alle ruote d'un
oriuolo. Ma bensì quell'azione è vitale in quanto è movimento del
le dita e delle mani dell'artista, le quali per fermo fanno parte del
la sua persona; e però avverano che un medesimo sia il subbietto
che elice e che in sè riceve l' azione.

II.

Il concetto dell'immanenza spiega perchè la vegetazione sia


l'infimo grado di vita.

Da tutti, filosofi e non filosofi, si riconosce concordemente la vi


ta delle piante essere la più bassa che nei viventi si manifesta. Ma
egli è da assegnare la ragione di tale inferiorità; il che faremo ricor
rendo al concetto da noi superiormente stabilito intorno alla vita.
La vita, secondochè dimostrammo, consiste nell'immanenza del
l'azione, o, ciò che torna al medesimo, nel movimento che proce
da daun interno principio. Ora egli èchiaro che la vegetazione par
tecipa dell'immanenza nel menomo grado. E per fermo due cose
dicemmo essere necessarie, acciocchè l'atto sia immanente: l' una,
che esso proceda da interno principio; l'altra che si faccia e riseg
ga nel subbietto stesso da cui procede. Per amendue questi capi la
vita delle piante è la meno perfetta.
296 DEL CoNCETTo Di vITA

E quanto al primo, noi possiamo considerare nell'azione tre cose:


l'esecuzione, la forma che determina l'operante, il fine a cui l'ope
rare è diretto. Ora la pianta è attiva per interno principio a rispetto
soltanto della prima di tali cose; ma è passiva a rispetto delle altre
due. Imperocchè quantunque la pianta operi per forza intrinseca,
e però da sè stessa si dia l'azione; nondimeno non è essa che pre
stabilisce il fine della medesima, nè acquista per propria industria
la forma, che prossimamente la determina ad operare. La pianta
vegeta per conservare sè e la specie. Un tal fine le è imposto dal
supremo Autore del tutto; senza che essa lo apprenda, o lo segua
coll'affetto, e molto meno vedendo la proporzione che i mezzi hanno
per asseguirlo. La forma, per cui opera,è il principio attivo; e que
sto le è comunicato da natura, senza che essa valga a determinarne
in alcuna guisa l'influenza. La sola cosa che essa fa, si è il porre
l'azione, per la quale è insignita di facoltà opportune, dipendente
mente dalle circostanze concrete, in cui vien collocata. Inveniun
tur quaedam quae movent se ipsa non habito respectu ad formam
vel finem, quae inest eis a natura, sed solum quantum ad execu
tionem motus: sed forma, per quam agunt, et finis, propter quem
agunt, determinantur eis a natura. Et huiusmodi sunt plantae,
quae, secundum formam inditam eis a natura, movent seipsas se
cundum augmentum et decrementum 1. Non così nella vita degli
esseri conoscitivi. Questi si muovono ad operare per conoscenza
da loro procacciata; e se sono intellettuali, stabiliscono eziandio il
fine alla propria azione, o almeno ne scorgono l'ordine e la pro
porzione coi mezzi. Onde essi si muovono da sè più assai che non
le piante, le quali per conseguenza giustamente si dicono essere
nell'infimo grado di vita.
Lo stesso è da inferire, se si riguarda l'altro lato dell'imma
nenza, cioè il terminarsi dell' azione nel subbietto medesimo, da
cui essa procede. L'operare della pianta resta nella stessa pianta,
cioè nello stesso subbietto operante, ma non è ricevuto nella stessa '

1 S. ToMMAso Summa Th. 1 p., q. 18, a. 2.


IN GENERALE 297

potenza operativa. Spiegheremo la cosa con un esempio. L'intelle


zione è atto immanente; perchè l'animo stesso che la emette in sè
la ritiene. Ma se si guarda accuratamente, essa è un atto imma
nente assai intimo; perchè viene accolta nella stessa semplice facoltà
intellettiva, da cui si elice. L'intelletto stesso che emette l'intelle
zione, si attua e si avviva della medesima. Ciò non si verifica delle
piante. L'azione che esse fanno, non è ricevuta nella stessa poten
za; anzi neppure nella stessa parte organica che opera, ma bensì
in una parte diversa. La molecola assimilante è distinta certamente
dalla molecola assimilata, benchè questa nel termine del suo tras
mutamento cominci a far parte della medesima pianta. Il perchè
l'azione vegetativa è immanente da questo capo solo, in quanto
cioè essa resta nello stesso soggetto operante, considerato nella sua
individuale totalità; ma in niuna guisa informa la stessa potenza
operatrice. Anzi siffatta azione, se ben si rimira, è tale, che o da
principio comincia ad esercitarsi sopra una materia distinta dall'o
perante e solo nel termine rimane in esso; ovvero se comincia ad
esercitarsi sopra lo stesso subbietto, finisce al di fuori in un termine
estrinseco. Vediamolo partitamente.
Le funzioni del vegetale, considerate ne'loro precipui effetti, ri
duconsi a tre: alla nutrizione, all'aumentazione, alla generazione
o fruttificazione. Identifichiamo tra loro queste due ultime, perchè
il generare ed il fruttare valgono lo stesso, non essendo il frutto
altra cosa, se non il fiore medesimo della pianta, l'ovario o il germe
del quale già fecondato si spoglia degli stami e dei petali, di cui più
non abbisogna, e s'ingrandisce per ingrandimento del tessuto in
cui si l'ovario come il seme sono racchiusi. Ora la nutrizione benchè
abbia per termine la sostanza stessa della pianta, da cui si esercita,
assimilando ad essa le particelle segregate dal succo alimentare;
nondimeno comincia da previe operazioni sopra un'esterna mate
ria, quali sono gli umori che la pianta ässorbe dal suolo, o i fluidi
che attira dall'atmosfera. L'assimilazione è il termine, e compiesi
pel trasmutarsi in sostanza vegetale ciò che prima non era, fuorchè
materia bruta o materia vegetale già morta. Ma quante funzioni
NELLA ECONOMIA SOCIALE 207

guaglianza che sta sempre in favore del più ricco che ha minori
bisogni. E purtroppo lo sapete voi esser questa la condizione dei
contraenti; onde corre in proverbio, che La Roba va alla roba, e
per l'opposto
Il povero uomo non fa mai ben,
Se muor la vacca gli avanza il fien
Se la vacca scampa, il fien gli manca 4.

Bando dunque a cotesto principio spietato che, mentre abban


dona il povero in mano all'avaro, aggiunge al danno lo scherno di
cendolo libero pagatore della propria oppressione, e derivando dal
la soggettiva disuguaglianza dei contraenti l'obbiettiva equivalenza
delle merci. Ma in che consiste dunque cotesta equivalenza?
Capite facilmente che l'equivalenza altro non è che una speciale
applicazione dell'idea di valore. Quando questo valore è uguale nel
le due merci, esse equivalgono. Ora l'idea di valore già venne (e
crediamo con sufficiente chiarezza) spiegata nel quinto volume di
questa serie, incominciando da pagina 398, e compendiata poscia a
pagina 402, nè noi staremo qui a ripeterla. Ma solo, restringendo il
detto colà, vi ricorderemo che il valore permutabile delle cose altro
non è, se non il complesso di quelle condizioni che muovono la vo
lontà a contraccambiare l'altrui prodotto: che queste condizioni si
riducono, 1.º all'utilità, con cui esso soddisfa ad un qualche nostro
bisogno determinando così come causa finale la tendenza di nostra
volontà: 2° al diritto che altri ha di non cederlo senza equo com
penso, il quale diritto si riduce allaproprietà: 3° alla rarità della
materia, alla qualità e quantità delle forze impiegate per trasfor
marla. La prima di queste ragioni, l'utilità, è una relazione di due
termini, vale a dire, del desiderio sentito e della proporzione della
merce ad acquietarlo. Il desiderio è puramente soggettivo, e però
non può entrare come quantità determinante nel giudicare il va
lore. Tocca al compratore di vedere quale sia in lui la forza di tal

1 GIUSTI, Proverbii toscani.


408 VALORE ED EQUIVALENZA

desiderio, e a quali sacrifizi potrà esserne indotto. E voi sapete che


quanto una fantasia è più matta e una passione più accesa, tanto
sono più matte e strane le risoluzioni a cui è strascinata una volon
tà che se ne renda schiava. Di che vedete che dare al desiderio la
funzione di determinare i valori , egli è confidare ad un matto la
funzione di giudice.
4. Stabilito poi l'intento di soddisfare il desiderio, il rimanente
è obbietto proprio della facoltà giudicatrice: a lei tocca p. e. il giu
dicare che tanto pane è necessario a soddisfare la tua fame; che co
testa quantità di pane al prezzo corrente di quel frumento, di quel
fornaio, coi mezzi odierni di panificazione, equivale alla tale som
ma di moneta metallica. E lo stesso dite del panno che comprate
pel vestito, dell'argenteria che per la tavola ecc. Ognuna di cote
ste merci allorchè si presenta sul mercato determina il giudizio del
compratore: prima con la materia, ond'egli guarderà se l'abito è
di panno e di qual panno;se la posata è d'argento e di qual cara
to; e gran differenza passerà fra il ricambio che egli vorrà dare per
lo panno e quello che mi concederàper l'argento: gran differenza
tra il panno di Verviers e quel d'Arpino, tra l'argento di bassa o di
alta lega. La quale differenza si ripete in gran parte dalla rarità e
difficoltà di rinvenire cotesta materia. Vista poi l' opportunità e il
valore intrinseco della materia, a cui le intrinseche proprietà si ap
poggiano, dovrà considerare l'esterna forma sopraggiuntavi relati
vamente al bisogno che egli vuole soddisfare (p. e. il taglio dell'a
bito e la perfezione della cucitura, la forma della posata e la forbi
tezza del lavoro) e alla forza, con cui venne prodotta. Quanto mag
giore è la perfezione del lavoro, tanto crescerà agli occhi della ra
gione il valore della merce. Ma questo lavoro medesimo, oltre il
pregio graduale di sua perfezione, ha una ragione specifica di pre
gio essenziale dalla facoltà, con cui si opera; altro essendo il pre
gio di una facoltà mentale, altro di una facoltà meccanica, altro del
misto di entrambe, altro di certi voli straordinari d'ingegno raris
simi ad incontrarsi. La facoltà del matematico che regola il mec
canismo d'una officina, è molto più rara e sublime della robustezza
NELLA EcoNoMIA socIALE 409)
di quel facchino che mette in movimento la ruota maestra, o ali
menta il vapore nella caldaia. Pure anche la facoltà del matematico,
potendosi da molti conseguire mediante lo studio, sottostà di gran
lunga nel mercato al genio di un Owerberck o di un Bellini, il cui
delicato sentire con niuno studio potrebbe acquistarsi. Il compra
tore dunque pagherà di vantaggio la merce offerta se la vegga pro
cedere dalla potenza mentale del matematico che se dalla materiale
forza del facchino; di vantaggio se vi ravvisi la scintilla dell'inge
gno inventivo, che se la fatica soltanto del calcolo bene eseguito.
Utilità dell'oggetto, pregio della materia, dignità della forza pro
duttrice, ecco tre elementi che indurranno il compratore ad aumen
tare il valore nel ricambio. Ma notate che la forza produttrice va
soggetta a due condizioni di tempo, che influiscono sul valore; cioè
di tempo passato, in cui si predispone, e di tempo corrente, in cui
si esercita. Gli studi dunque e remoti e immediati, con cui il pro
duttore dovette prepararsi all'opera, gli alimenti ed agiatezze ne
cessari nell'atto stesso del lavoro a sostentare la forza esecutrice,
sono due nuovi elementi che debbono ragionevolmente determi
nare il valore di un prodotto, ossia la quantità d'altro prodotto che
potrà pareggiarglisi nella permutazione. -

5. Tutti cotesti calcoli potrebbero sembrare così complicati, che


un galantuomo avesse a perderci il cervello. Ma a spianarli e rende
re liscia liscia la bisogna, interviene lo stato sociale, nel quale come
nasce il bisogno e il desiderio delle permutazioni, così viene som-
ministrata una norma facile ed universale per ben discernere i gradi
del valore: e la norma sta nella consuetudine delle persone oneste,
ridotta aformola esatta e universalmente intelligibileper mezzo della
moneta. Norma tanto più necessaria per la grande mutazione che in
tale stato soffrono i valori delle cose, divenendo più o meno rara la
materia col maggiore o minore numero cui dee soddisfare, più o
meno singolari gl'ingegni e le forze secondo la popolazione, la ca
pacità, l'istruzione, l'educazione eccetera, del paese in cui vi trova
te. Vendete panno od argento? Le 100 misure che ne avete in ma
gazzino appena troveranno compratori in un casale di 50 fuochi.
i0 VALORE ED EQUIVALENZA

Passate in un borgo di 500 famiglie, quanto sembrerà maggiore la


rarità della vostra derrata! E quanto più se la trasporterete in una
popolatissima capitale! All'opposto le forze con cui si lavorò la mer
canzia,nel picciolo casale erano uniche. Ma trasportate nella capi
tale, quanto perdono di pregio e per la concorrenza di forze mi
gliori e pel comodo di crescerle associandole!
6. Quindi vedete che il giudizio portato dalla ragione intorno ai
valori, deve commisurarsi principalissimamente allo stato sociale e
ad esso acconciarsi. Infatti che dic'egli l'oracolo della ragione tas
sando l'equivalenza?Egli dice che con una quantità n, di frumento
p. e., potrò ottenere una quantità q di vestimenta. Or che io possa
avere realmente la quantitàq, dipende precisamente dalla condizio
ne di società, in cui mi trovo. Fuori di tale condizione, patteggiando
in terre inospite, fra uomini estrasociali, la cosa potrebbe andare
tutt'altrimenti. In terra selvaggia il miovicino imperito di sartoria
avrà impiegato una settimana a cucirsi malamente alcune pelli per
vestimento: e se io desidero averlo per me è pur giusto che gli pa
ghi quella settimana di lavoro. Ma se in una società incivilita il
sarto mandriano mi offerisse il suo rozzo zamberlucco a sì alto
prezzo, perchè v'impiegò una settimana: « Peggio per te, rispon
derei,se non sai il tuo mestiere! Io comprerò l'abito da un sarto,
e a metà di prezzo avrò doppiamente pregevole il lavoro. »
7. Lo vedete, lettore, nella società civile il valore, intorno al quale
si patteggia fra contraenti, è il valore sociale, non l'individuale. Il
compratore che vuole fare negozio non è obbligato a rivedere i li
bri del venditore o le sue officine per sapere quanto costò a lui la
materia prima, quante giornate di lavoro furono impiegate da lui a
trasformarla o trasportarla: basta conoscere il prezzo che corre sul
mercato. Quando questo non sia evidentemente e artificialmente
falsato, dee corrispondere alla materia e al lavoro di conscienziati
produttori: una superiorità eccessiva indicherà imperizia o cupi
dità nel produttore;una smodata inferiorità al prezzo correntesarà
all'opposto un grave indizio di merce o adulterata o rubata. Indi
zio, diciamo, e non certa prova, per essere molte le cause, donde,
NELLA ECONOMIA SOCIALE 11

senza tali frodi, può nascere talora anche repentinamente gravis


simo squilibrio nelle merci.
Quando queste ragioni non intervengano,vede il lettore ciò che
al principio abbiamo accennato, le cause determinatrici dei valori
essere tutt'altro che soggettive ; queste cause sortire gravi muta
zioni quando passano da relazioni individuali a relazioni pubbliche.
In queste relazioni essere anche più assurdo che nelle private il dire
che i prezzi vengono determinati dalla discussione de' due privati.
I due privati che discutono ben potranno perfrode, persciocchez
za, per errore, per bisogno urgente alterare in quel fatto i prezzi
correnti, ma non potranno far mai che se il prezzo pubblico della
derrata è 10, per la loro discussione divenga 12.
8. E qui permetteteci, lettore, una breve intramessa per tesservi
un panegirico del Progresso. Povero progresso ! Dobbiamo sì spes
so farlo il malarrivato, dannandolo a vitupero ed infamia, grazie ai
malefici , di cui da certuni gli viene addossata la complicità ! Ora
che ci viene il destro di attribuirgli pur qualche vanto, non voglia
mo lasciarne sfuggire l'occasione. Questa ci si presenta dal poco
che abbiamo detto intorno all' origine del valore sociale, il quale
nasce con la permutabilità dalla divisione e suddivisione del lavoro.
Se con tal divisione e suddivisione ogni operaio acquista facilità e
perfezione nei suoi lavori, vede il lettore come a misura che le arti
progrediscono, i compratori si trovano naturalmente in possesso di
maggiori utilità con minore dispendio, se non di moneta, certo al
meno di fatica. Quando nella rozza società io voleva vestirmi di
pelli, doveva pagare coteste pelli a più caro prezzo che oggi non
pago un panno fino: e a proporzione della materia doveva pagare
il lavoro. E perchè ciò? Perchè un mandriano senza pratica impiega
una settimana, dove un sarto civile impiega un giorno; perchè le
pelli sono più rare in società rozza, che i panni in società industre.
Quantopiù dunqueverràagevolata l'industria, tanto andrà crescen
do a parità del resto l'agiatezza nel popolo.
Ciò non vuol dire che la felicità di quel popolo ne pareggerà
sempre il progresso, essendo cose diversissime agiatezza e felicità,
412 VALORE ED EQUIVALENZA

Ma poichèuna certa somma di agiatezza è realmente voluta dal


Creatore, finchè il progresso agevolerà alla comunanza civile il
possedimento di tale agiatezza, esso dovrà dirsi un vero bene del
la società, la quale è destinata a compiere gl'intenti del Creatore.
9. Posto poi che tanto influisce la diversa condizione dello stato
sociale nelle diverse proporzioni del valore,si comprenderà esservi
certi dati, per cui il pubblico ordinatore ben può essere e indotto e
illuminato a tassare equamente certe permutazioni piùusitate, quan
do vi sia pericolo che l'improbità di qualche privato costringa, con
la necessità o con la frode, i compratori a tollerare l'alterazione dei
valori. Così veggiamo il pubblico magistrato civile tassare su i mer
cati la così detta meta del pane e di altre civaie: così i giudici nei
tribunali condannare i monopoli artificiosi e le lesioni enormi.
Quegli economisti, che ogni ragione del valore riducono all'estima–
zione dei contraenti, gridano qui, come nell'usura e nelle altre ma
terie, contro i vincoli arbitrari del commercio. Ma se il nostro
lettore avrà approvato ciò che abbiamo detto intorno alla permuta
zione e al valore, egli vedrà che cotesto grido di libertà nei privati
contratti vuole in gran parte (non diciamo in tutto ) accoppiarsi
con tutti gli altri gridi di libertà eterodossa. Può certamente un
Municipio, un tribunale or prendere abbaglio, or abusare l'au
torità tassando falsamente l'equivalenza o su i mercati o fra litigan
ti : e sarà cotesta o sventura o colpa. Ma inferirne l' assoluta con
danna d'ogni ingerenza autorevole nella tassa dei valori sarebbe
trarre conseguenza universale da premesse, non solo particolari,
ma eccettuative. -

10. Per asserire in generale che mai non sia lecito all'autorità
intervenire nel contratto fra i privati, converrebbe sostenere una
delle proposizioni seguenti: - -

L'equivalenza delle merci permutate non è richiesta per giustizia


delle permutazioni:
L'equivalenza delle merci non ha alcun dato intrinseco, ma tut
ta si riduce all'arbitraria determinazione dei contraenti:
NELLA ECONOMIA SOCIALE 413

Qualunque sia il principio, da cui viene determinato il valore,


i contraenti sono incapaci di violare nei contratti le leggi della
giustizia:
La violazione di queste leggi non ha alcuna influenza sull'ordine
pubblico, e però non va soggetta al pubblico ordinatore.
Chi non ha coraggio di affermare qualcuna di queste quattro
proposizioni da noi o dall'evidenza stessa dimostrate false, dovrà
confessare che alla pubblica autorità può competere in tali materie
una qualche ingerenza; e che l'escludernela assolutamente e sempre
perqualche fallo dei governanti, è un volerci esporre a tutti gl'in
convenienti delle passioni volgari, per impedire qualche inconve
niente dell'autorità protettrice: egli è un ridurre i cittadini in ma
teria d'interesse alla condizione degli Americani in materia di pub
blica sicurezza: i quali, diceva un giornale americano, per non
sottostare agli abusi della polizia sono costretti, se vogliono sicura
la vita, ad avere pronto sempre un muro, a cui appoggiare le spal
le e un revolver con cui ribattere di fronte l'assassino. Non sare
mo certo noi che prenderemo a fare il panegirico degli abusi di
polizia. Ma nell'alternativa li preferiremmo a quei della piazza;
e questa stessa alternativa non la crediamo una necessità socia
le, finchè almeno può avere qualche forza la legge e la coscienza
cattolica.
11. Concludiamo dunque che il valore delle cose venali dipende
1.º dalla materia considerata nel suo pregio intrinseco e nella sua
rarità; 2.º dal lavoro considerato secondo il pregio della facoltà,
da cui deriva, secondo il grado di perfezione , con cui venne
impiegata, secondo il dispendio delle preparazioni richieste a per
fezionarla, secondo i mezzi di sostentamento e di agiatezza ne
cessari ad esercitarla; 3° dallo stato sociale più o meno colto,
in cui il contratto viene patteggiato, e che toglie alle influenze
soggettive dell'individuo la tassa dei valori, trasportandola nell'or
dine oggettivo delle condizioni sociali.
12. A queste tre condizioni regolatrici del valore venale dee pre
supporsi il bisogno, il desiderio, la domanda ecc. in quanto senza
414 VALORE ED EQUIVALENZA

bisogno non vi sarebbe domanda, nè senza domanda, permutazio


ne: e se i bisogni, le domande, le permutazioni fossero pochissi
me, la materia perdendo il pregio della rarità perderebbe un ele
mento che influisce realmente, come poc'anzi è detto, sulla tassa
dei valori: di che voi vedete che l'offerta e la domanda, ossia il biso
gno del venditore e del compratore, lungi dall'essere i supremi de
terminatori del valore, non vi hanno altra influenza che quella di
rendere più o meno rara la merce: dànno bensì un impulso alla
permutazione, ma non danno immediatamente in una società one
sta e cattolica le leggi e le misure dell'equivalenza.
13. L'osservazione è nella pratica di molta importanza, special
mente quando trattasi di fissare il valore all'opera degli operai. Nel
le altre merci si può per lo più o sospendere le pattuizioni, o invoca
re dall'autorità qualche provvedimento: e così il valore può in qual
che modo dibattersi fra le parti, ordinariamente a condizioni poco
meno che uguali. Ma i poveri operai, il cui numero di giorno in
giorno va crescendo, possono eglino aspettar la domane pel vitto
quotidiano, come i padroni possono aspettarlo per mettere mano
al lavoro ? Incalzati dalla fame, essi corrono ad offerire le braccia;
e la copia ed urgenza di questa offerta, secondo l'economia dell'in
teresse, dee naturalmente farne abbassare il prezzo a quell'infima
tassa che appena basta a campar la vita. E sapete voi, lettor mio
cortese, quanto purtroppo sia nei paesi eterodossi fedelmente ri
dotta in pratica la legge degli economisti?
14. Ma introducete nella società col sentimento cattolico le due
leggi di giustizia e di carità, delle quali altrove parlammo, e vedre
te cangiare ad un tratto quella tassa spietata. Il padrone che dee
condurre un operaio a giornata, sarà egli il primo a calcolare il
giusto valore del vitto cotidiano che a lui non potrebbe equa
mente negarsi: e dall'affollata moltitudine delle offerte, invece di
trarre la spietata conseguenza di ribassare il salario, inferirà l'e
stremo della miseria e della fame, alla quale que' miseri sono ri
dotti. Donde risulterà una legge economica assai diversa dalla pre
cedente: vale a dire che quando l'offerta delle braccia è cagionata
NELLA ECONOMIA SOCIALE 415

dal caro de' viveri, a proporzione di questo deve crescere lo sti


pendio degli operai.
15. Ed affinchè non crediate essere queste leggi d'economia cat
tolica un sogno di medio evo, permetteteci che vi ricordiamo qual
che fatto, dal quale potrà vedersi che le utopie del medio evo in
ciò che è perfezione sociale, ben possono riprodursi anche a mez
zo il secolo XIX tostochè si ristori il sentimento cattolico.
Dedurremo l'esempio da quei tempi di calamitosa carestia del
1855 e 1856, nei quali l'antico Ministro della Ristorazione Con
te di Montebel, mentre tutti i salari scemavano per la miseria
che costringeva il popolo ad offrire le braccia, ordinava al suo
agente di aumentare di un sesto le liste presentate dai taglialegna,
e zappatori nella suaterra di Vauxbois, edi un ottavo quelle de'chia
vaiuoli,stipettieri, muratori e simili artigiani: e ciò per compensa
re il caro degli alimenti 1.
Se non che intendiamo benissimo che un Ministro della Ristora
zione, codino incipriato, se mai ne fu, non farà grande autorità
presso gli avversari. Ma che diranno essi se ricorderemo loro ciò
che notava la Patria di Torino (16 Novembre 1855) che in quel
l'epoca stessa, mentre i capi di fabbrica inglesi deliberavano disce
mare concordemente lo stipendio agli operai, i francesi all'opposto
andavano formando associazioni, ove si prendeva l'impegno di con
cordemente aumentarlo ?
Ecco qual è l'influenza del principiogiuridico e del religioso nei
calcoli del valore ! L'aumento delle derrate agli occhi del Francese
cattolico aumentava il valore di quelle opere, che dalle derrate dove
vano trarre l'alimento: laddove l'Inglese coll'interesse nel cuore e
con la legge economica della domanda-offerta alla mano, trovava
un nuovo titolo per condannare a fame più rigida del consueto i
sempre famelici suoi artigiani, scemandone il salario come ne ridon
dava l'offerta.
16. E per maggiore evidenza dell'argomento notate, lettore ac
corto, la Francia è ben lungi dall'essere adesso ciò che fu altre vol

1 Univers 16 Decembre 1856.


3416 VALORE ED EQUIVALENZA NELLA ECONOMIA SOCIALE

te, una nazione pienamente, universalmente, praticamente catto


lica. Eppure tanto ancora vi può il sentimento del Cattolicismo! Or
fate ragione se in una nazione ove il Cattolicismo fosse pieno, uni
versale e pratico, la tassa de'valori condotta con tali principi sa
rebbe un'utopia, o non piuttosto una realità pratica ed universale.
17. Raccogliamo da ultimo sotto una sola occhiata il tema dei
tre ultimi articoli.
Andavamo investigando il soggetto materiale della sociale eco
nomia; di quella cioè che indirizza il governante a bene ordinare i
sudditi nelle loro relazioni spettanti all'uso degli averi. Il soggetto
materiale di tale scienza sono, abbiamo detto, gli averi. Ma quali
averi ? Quelli propriamente, i quali stanno a disposizione dei sud
diti e presentano così l'occasione di violare le leggi di giustizia e di
benevolenza scambievole.
Averi a disposizione dei sudditi non sono le loro persone, nè le
cose non possedibili o non permutabili equamente. Equamente per
mutabili rimangono soltanto o le cose materiali o le opere misura
bili col tempo, che nel trasformare esse cose vengono impiegate. Gli
averi dunque si riducono alle cose e alle opere materiali, che posso
no in altre cose ed in altre opere trovare l'equivalente.
Ma qual è la norma per misurare l'equivalenza ? È il valore; il
quale, abbiamo detto, ha la sua prima cagione nel desiderio pre
supposto di provvedere ad un qualche bisogno. Presuppostopoi un
tal desiderio, riceve la sua determinazione dalla ragione giudica
trice, a proporzione 1.º dell'utilità a soddisfare il bisogno; 2° della
rarità della materia; 3° della quantità e qualità delle forze trasfor
matrici; 4.º delle condizioni sociali.
Il giudizio complessivo risultante da cotesti elementi o premes
se, difficile per sè a ridursi in formola esatta e sicura, viene agevo
lato dal giudizio sociale di tutta la comunanza ed espresso in for
mola universalmente intelligibile per mezzo della moneta.
Qui peraltro veggiamo il bisogno di dare qualche schiarimento
intorno a queste ultime parole,e si lo faremo nel seguente articolo
aggiungendo alcune osservazioni economiche intorno alla moneta.
DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA

I.

Necessità pei fisiologi di ben definire la vita.

La fisiologia, senza smettere il proprio carattere di essere osser


vatrice e sperimentale, conviene che si fondiin principi razionali e
filosofici. In altra guisa essa si riduce, come bene spesso è avvenuto
di altre naturali discipline, ad un mero empirismo o collezione di
fenomeni, distribuiti con più o meno d'arte in varie classi, e subor
dinati a quelle, che, col nome di leggi, non sono in sostanza se non
fatti più generali e costanti. Ma mentre ella resta in tale giro, le
mancherà del tutto la ragione di scienza. Imperocchè la scienza
richiede la conoscenza delle cagioni propriamente dette, le quali
sogliono essere occulte e nascose alla sola sperienza, nè altrimenti
si rivelano,se non in virtù di principi trascendenti ed ontologici.
Un altro pregiudizio viene alla fisiologia dal suo sequestrarsi dal
la filosofia, ed è il non poter essere innestata nell'albero enciclope
dico del sapere. Un tale innestoprocede nelle singole discipline dal
la partecipazione d'un vincolo comune che tutte le rannodi in vera
unità di sistema; e siffatto vincolo non si trova nelle particolarità
proprie di ciascuna, ma bensì nel legame delle idee universali e
nelle nozioni quidditative, che loro vengono porte da una scienza
prima e generalissima, la quale è segnata col nome di filosofia.
Scrie III, vol., IX. 27 8 Febbraro 1858,
418 DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA

Quindi non è a meravigliarese tutti quelli, che hanno voluto scri


vere di fisiologia in modo scientifico o valersi delle sue teoriche
per altra scienza da loro professata, si sono sempre mostrati solle
citi di mescolarvi ricerche filosofiche, massimamente intorno all'es
senza stessa della vita. A ciò essivenivano indotti dalle ragioni so
prallegate e dalla persuasione che l'idea madre di qualunque scien
za è appunto quella che riguarda l'oggetto primario e fondamentale
di tutta la trattazione; senza intendere il quale, è impossibile che
gli altri concetti secondari abbiano distinzione e chiarezza.
Senonchè, guasta per Cartesio l'idea di unità sostanziale d'ogni
essere composto, la filosofia non fu più in grado di somministrare
ai fisiologi il vero concetto di vita; la quale non può venire intesa
da chi non sa altro concepire nei corpi, se non estensione e movi
mento. Però ingegni eziandio sublimi e dispostissimi alle ragioni
scientifiche, quantunque si accorgessero lavita essere tutt'altro che
effetto delle forze comuni della materia ; nondimeno miseramente
smarrironsi, quando vennero a definirne l'essenza. A convincersi di
ciò basta leggere qualsivoglia degli scrittori più celebrati, che dopo
la riforma filosofica trattarono di sì fatto argomento. Noi a darne un
saggio in questi nostri articoli, sceglieremo tre nomi chiarissimi tra
quelli che nella scienza o medica o fisiologica o zoologica si studia
rono di non fermarsi alla sola parte fenomenale, ma di elevarsi a con
siderazioni specolative e razionali. Sieno questi Stahl, Bichat e Cu
vier, le cui diverse definizioni della vita discuteremo in tre sepa
rati paragrafi.

II.

Stahl.

Questo celebre medico,fondatore del sistema così detto dell'ani


mismo per l'attribuire che fa i fenomeni vitali all'azione dell'anima,
ripone la vita nella conservazione dell'organismo, quanto alla mistu
ra e disposizione propria delle sue parti. Ciò veramente è da lui sta
DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA 419

bilito a proposito del corpo umano; ma la ragione proporzionevol


mente è la stessa per la vita organica generalmente; la quale non
può negli inferiori viventi esserposta in qualche cosa di meglio che
non sia nell'uomo.
Il discorso dello Stahl si riduce al seguente. Dopo essersi quere
lato che non si fosse fino a suoi tempi conosciuta abbastanza la vera
e formale ragione di vita, egli passa a dimostrare la necessità, che
il corpo vivente ha di peculiar costruttura per adempire le sue fun
zioni, e la somma facilità di corrompersi che in sè racchiude, atteso
i corruttibili elementi ond'è composto. Da tal corruzione peraltro
l'organismo va esente, mentre durano le azioni vitali tendenti a ser
barne l'integrità e l'equilibrio , contro l'influenza di nemiche ca
gioni. Di che è da inferire che nel mantenimento appunto di sì fatta
integrità e di sì fatto equilibrio consiste formalmente la vita, e che
comunicare al corpo la vita nonsuona altro se non cagionare in esso
quell'integrità e quell'equilibrio. Materia corporis, ut in se undi
que, ita cum primis in sanguine, summe corruptibilis; quod tamen
ne in actum corruptionis deducatur, vitae beneficio debet: quae nem
pe nihil est aliud formaliter, quam haec ipsa conservatio corporis in
illa sua mixtione quidem corruptibili , sed sine omni corruptionis
istiusmodi actuali eventu 1.
Definita cosi la vita, di leggieri si scorge in che consistono i mezzi,
coi quali essa si procura dal principio vitale. Imperocchè è manife
sto che alla conservazione del corpo organico in quella sua mistione
corruttibile, senza che ne segua l'attuale corrompimento, coopera
rimotamente il moto de'liquidi alimentari pel sistema de'vasi, e
prossimamente concorrono le secrezioni ed escrezioni opportune.
Ecco dunque gli strumenti rimoti e prossimi della vita, ossia gli atti,
mediante i quali essa è prodotta e mantenuta nel corpo. Agit qui
dem illa (animalis natura vel anima) imo peragit felicissime, quan
tum et quamdiu potest, motu; sed ille motus non est vita absolute et

1 GEoRGII ERNEsTI STAHL Theoria medica vera. Halae MDCCVIII. pag. 561.
Brevis repetitio summorum capitum medicae Physiologiae.
420 DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA

simpliciter et qua talis. Praestat vitam mediante motu humorum


circulatorio; sed hic motus circulatorius non est vita; sed tantum
instrumentum vitae, et quidem remotum. Proxime praestat vitam
per secretiones perpetuas et excretiones tempestivas materiarum non
solum inutilium sed etiam nocitivarum. Interim neque secretiones
hae, neque excretiones sunt vita, sed solum verum ultimum et magis
immediatum instrumentum vitae, nempe eliminando aliena, ut ma–
neant propria et ad corpus vere pertinentia. Ita demum vita effi
citur, nempe conservatio corporis et mixtionis eius, atque vindicatio
adversus omnem corruptionem, cui alias e materiali sua indole expo
situm, immo obnoxium est 2.
Questa dottrina non può in veruna guisa abbracciarsi, siccome
quella che rovescia da capo a fondo ogni concetto filosofico della vi
ta. Lasciando stare che si fatta teorica prescinde al tutto dal con
cetto generico ed astrattissimo di vita, in quanto tale (vizio co
mune a tutti i fisiologi, i quali nondimeno non potranno giammai
definire limpidamente la vita organica senza muovere da tal con
cetto); nel medesimo giro così limitato dei soli viventi organici
l'anzidetta teorica non riguarda, se non la sola parte materiale e
meccanica del vivente. L'integrità degli organi essenziali in un
animale o in una pianta, la mistura implicatissima de'loro chimici
elementi, l'equilibrio tra le parti solide e liquide che li compon
gono,sono cose fuor d' ogni dubbio richieste, acciocchè la vita pos
sa in quelli sussistere. Ma sono esse tali, che costituiscano l'essenza
stessa di vita nel senziente o nel vegetale? Se così fosse, non ci sa
rebbe ragione, per cui non dovesse appellarsi vivente eziandio un
orologio o un'altra macchina, quale che siasi, finchè in lei dura
l'artificiosa disposizione de' pezzi e delle ruote ond'è congegnata.
E se Dio, dopo la separazione dell'anima dal nostro corpo, conti
nuasse a mantenere in questo la medesima proporzione di prima
ne' gruppi molecolari delle sue diverse materie organiche, se impe
disse ogni putrefazione del sangue ed ogni dissolvimento di parti,

2 Opera citata pag.76.


DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA 421

se conservasse i singoli tessuti evasi e sistemi nella loro propria inte


rezza(cose al certo non impossibili alla divina onnipotenza); osereb
be lo Stahl di chiamar vivente quel corpo? Eppure in esso, benchè
non informato dall'anima,si avvererebbe appuntino ciò in cui egli
ripone formalmente la vita, cioè la conservazione della corruttibile
mistura, senza l'attuale corrompimento, a cui l'organismo per na
tura è soggetto. Nihil est aliud formaliter, quam conservatio corpo
ris in illa sua mixtione corruptibili, sine corruptionis actuali eventu.
Lo Stahl forse ripiglierà:Un tal corpo, benchè ritenga la sua or
ganizzazione, nondimeno non potrebbe chiamarsi vivente, perchè
quella organizzazione non sarebbe in esso conservata da un'azione
vivificatrice , cioè dal moto prodotto dall'anima per la circolazione
degli umori, e per la secrezione delle particelle utili ed escrezione
delle nocive od inutili. Cotesta risposta pare potersi ricavare da quel
luogo, dove il nostro scrittore distingue la vita in quanto procede
dall'anima e in quanto è ricevuta nel corpo, e ripone la causalità
vivificatrice nell'azione,per cui vengono del continuo rimosse dal
corpo le molecole non più abili a far parte dell'organismo, e in loro
vece ne vengono assimilate delle altre. Bene notanda venit realis illa
penitus diversitas inter vitam, quatenus de corpore dicitur, quo in
quam respectu et intuitu corpus vivum esse dicitur (de qua re nobis
in Physiologia est sermo), et illum respectum quo anima viva dici
tur; quae respectu corporis vivifica solum dici meretur. Peragitta
men in corpore hunc actum vivificationis, non, uti vulgo crassiore
modo interpretantur, per nudam atque simplicem sui unionem; sed
sane per actionem. Neque tamen eamdem simpliciter innominatam,
sed omnino vere mechanico-physicam. Nempe per materiarum sen
sim fatiscentium perpetuam remotionem, quae proprie et directe est
vita instrumentaliter considerata; et in locum harum decedentium
novam receptionem et admotionem recentium, quam nutritionem vo
camus 1.

1 Opera citata pag. 563.


r- a - - - - - - - -

422 DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA

Ma, primieramente, ammessa questa risposta, dovrebbe ritrattar


si ciò, che dallo Stahl era stato asserito in termini così espressivi
la vita del corpo consistere formalmente nella conservazione del
l'organismo; dovendo piuttosto dirsi, secondo il soggiunto testè,
che essa consiste nel movimento che il corpo riceve dall'anima in
tutte le funzioni necessarie al suo nutrimento. Imperocchè la ragione
formale di una cosa qualunque non consiste in ciò che puòstare,
senza che essa si avveri;sibbene in ciò, cui posto, la cosa sorge, e
cui rimosso la cosa cessa di essere. Ora noi vedemmo che l'organiz
zazione potrebbe assolutamente conservarsi nel corpo, senza che
per questo si dovesse il corpo riputare vivente, e solo il moto cagio
nato dall'anima sarebbe quello, che, al vedere dello Stahl, col suo
avverarsi avvererebbe la vita, col suo cessare l'annullerebbe. Oltre
chè se l'azione vivificatrice è, secondo l'accennata risposta, il moto
prodotto dall'anima; questo stesso moto ricevuto nel corpo sarà la
vita del medesimo: non essendo altro la vita del corpo, se non l'ef
fetto immediato dell'atto vivificante. -

In secondo luogo, questo moto circulatorio de'liquidi nel vi


vente, e questa sua azione secretiva ed escretiva, sono certamen
te funzioni vitali, operate per mezzo degli organi stessi già av
vivati. Esse dunque suppongono la vita già comunicata all'orga
nismo, e sol concorrono a conservarla. Dunque non possono essere
mezzo e veicolo, per cui primamente la vita s'impartisca all'or
ganismo. -

In terzo luogo si fatte funzioni possono venire a tempo interrotte,


senza che però cessi sostanzialmente la vita nel corpo organizzato.
Così sembra probabile che avvenga negli animali congelati; i quali,
mentre durano in tale stato, non hanno nè circolazione di sangue,
nè nutrizione veruna, e nondimeno non muoiono; perchè come
prima si disgelano, ripigliano di bel nuovo le funzioni vitali. Lo
stesso èda dire degli animali asfisiati, e di quelle che i zoologi ap
pellano larve; nellequali niun fenomeno di operazione vitale si ma
nifesta, e nondimeno la vita, sostanzialmente considerata, non è
DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA 423

ancora estinta 1. L'atto dunque che vivifica sostanzialmente l'or


ganismo, non può essere nè la circolazione nè la nutrizione.
In fine, noi domanderemo al sig. Stahl se la circolazione degli
umori nell'organismo e l'azione degli organi secretori ed escretori
producano la vita in quanto“ l'uno è semplice corso di un liquido,
e l'altra è semplice analisi o sintesi di gruppi molecolari; ovvero se
la producano in quanto amendue sono moti provegnenti da un prin
cipio vivente. Per fermo non può dirsi la prima di queste cose; al
trimenti dovremmo appellare causa divita eziandio l'ascensione
dell'acqua in una tromba aspirante, e l'azione del ferro che sotto
un grado di conveniente temperatura scompone il vapore di acqua
e se ne incorpora l'ossigeno.
Si accetterà dunque la seconda parte del proposto dilemma. Ma
se un moto impresso dall'anima ad un umor circolante basta ad
avvivare il corpo, per ciò solo che quel moto procede da un essere
vivente; perchè il moto impresso dalla mia mano alla penna che
verga un foglio non basterà ad avvivare essa penna e la carta ezian
dio in cui va a terminarsi? Non è parimente un moto che procede
da una causa vivente ?
Si ripiglierà, la differenza esser questa, che il principio motore
della penna è estrinseco ad essa penna, laddove il principio motore
dell'organismo è intrinseco ad esso organismo. Ottimamente ; ma

1 Il peut méme se faire que tout phénomine de nutrition et par suite, que
toute vitalité soit suspendue, pendant un temps plus ou moins long, soit dans
les graines, soit chez les larves de quelques animaux placées dans certaines
conditions de température, de sécheresse ou d'humiditá. Mais si ces conditions
n'ont pas amené de lésion dans l'organisation, la nutrition et par suite le déve
loppement, pourront reparaitre et continuer, jusqu' à la période de la reprodu
ction. Ainsi dans ces cas-là l'organisme est conservé à l'état statique, c' est-à
dire non apte à agir, ou à manifester les actes propres à la substance organi
sée; c'est un état de mort apparente , mais non réelle; puisque l'organisme
n'est point lésé, et manque seulement des conditions extérieures physico-chimi
ques nécessaires à l'accomplissement des actions qui caractérisent la vie et qui
reprennent dés que celles-ci lui sont rendues. Eléments de physiologie de l'hom
me etc. par le Docteur BERAUD etc. Tome 2, sixième partie, pag., 678; Vitalité.
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424 DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA

che intendesi di dire con questa voce d'intrinseco? Che quel prin
cipio non applica la virtù sua stando al di fuori del corpo ma stando
al di dentro; sicchè il moto da lui comunicato al mobile si propaghi
non dalla superficie al centro ma dal centro alla superficie? Sareb
be ridicola al sommo una tale risposta; perchè farebbe pullulare la
vita dalla sola diversa posizione d'un movente, e quindi dalla op
posta direzione che prende il moto da lui prodotto. Oltrechè, se
un diavolo invasasse un cadavere, cagionando in esso tutti i movi
menti analoghi a quelli d'un organismo animato; osereste dire che
quel corpo è tornato a novella vita? Nondimeno la causa del movi
mento gli sarebbe interna, nel senso soprallegato, cioè starebbe
dentro, non fuori; ed il moto anderebbe dal centro alla superficie,
non dalla superficie al centro.
La fervida fantasia di Dante immaginò di vedere nell'inferno l'a
nima di un traditore, di cui il corpo tuttavia sulla terra mostrava di
mangiare e di bere e di esercitare tutte le altre funzioni vitali.
. . . . Col peggiore spirto di Romagna
Trovai un tal di voi, che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra 1.

E la ragione di tale apparenza la pose in ciò, che quel corpo era


stato dato in balia di un demonio, che ne governasse le membra.
Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece,
Non eragiunto ancora Michel Zanche;
Che questi lasciò un diavol in sua vece
Nel corpo suo, e d'un suo prossimano,
Che il tradimento insieme con lui fece 2.

Questa finzione poetica dell'Alighieri può servirci d'esempio ipote


tico nella presente materia. Diciamo dunque: se fosse veramente

1 Inferno c. 33,
2 Ivi,
DI ALCUNE DEFINIZIONI DELLA VITA 425,

accaduto quel caso, il quale non ha perfermo alcuna intrinseca ri


pugnanza, sarebbe potuto dirsi veramente vivo quel corpo mosso
dal maligno spirito? No, certamente. Eppure in esso si sarebbono
verificati i movimenti prodotti da un principio vivente, ed intimo
in questo senso, in quanto era dentro non fuori del corpo mosso.
Dunque allorchè si dice per costituire un corpovivo richiedersi che
il principio de' suoi movimenti gli sia intrinseco, non dee intendersi
con questa parola una semplice presenza interna, cioè un'esistenza
al di dentro ; ma vuolsi intendere una congiunzione sostanziale,
per cui il principio di vita talmente si unisca a quel corpo, che si
formi una sola sostanza ed un sol subbietto di azione e di passione.
Sicchè il moto, che ne conseguita, talmente proceda dal principio
informante il corpo, che possa dirsi procedere eziandio dal corpo,
in quanto proceda da una potenza, la quale appartenga all'uno ed
all'altro congiunti insieme, ossia che appartenga al composto. In tal
modo si avvererà che il corpo muova realmente sè stesso; quantun
que in virtù del principio vitale che lo informa, e che informan
dolo fa in esso pullulare le posse operatrici nei diversi organi da
lui avvivati.
Noi vedremo meglio a suo luogo in che consiste quest'unione
sostanziale, nè possiamo qui in pochi cenni chiarire unaquistione sì
astrusa. Per ora bastici fermare contro dello Stahl che nè la sempli
ce organizzazione può costituire la vita di un corpo, nè il semplice
moto cagionato da un principio vivente può costituire l'atto vivi
ficatore. L' organizzazione di per sè non esce dai confini della sola
materialità, e vi dà solamente l' idea di macchina non di vivente.
Il moto poi, comunicato adun corpo da un principiovivente, sia vi
sibile sia invisibile, sia operante al di fuori sia al di dentro, di per
sè non esce dai confini di azione transeunte; e però non ha che fare
coll'azione vitale, la quale, come vedemmo, consiste nell'immanen
za 1. Quest'immanenza non può avverarsi, dove un medesimo non
sia l'operante e il subbietto ricettivo dell'azione; nè questa medesi

1 CiviLTA' CATToLICA, terza serie, vol. IX, pag. 289.


IN D) I CE
-o-o-o-o

GLI ORGANI DELLA OPINIONE. . . . . . . . . 5


ANALISI CRITICA DEI PRIMI CONCETTI DELL'ECONO
MIA SOCIALE. . . . . . . . . . . . . . 17
S. I. Le Potenze motrici dell'uomo rispetto all'economia . ivi
SAGGIO D INTOLLERANZA NEGLI ANGLICANI. . . . 35
LA CONTESSA MATILDA DA CANOSSA E IOLANDA DI
GRONINGA 60
Il Ritrovamento . . . . . . . . . . .. . . ivi
Il Castello disfatto . . . . . . . . . . . . 149
Manfredo di Travemunda . . . . . . . . . . 302
Il Solitario del Lago. . . . . . . . . . . . 434
I Bagni d'Abano. . . . . . . . . . . . . 536
DI TRE GRADI DI VIVENTI . . . . . . . . . . 129
I. Diversità dei corpi viventi dai non viventi . . . . ivi
II. Diversità degli animali dai semplici viventi . . . . 137
III. Diversità dell'uomo dai semplici animali . . . . 142
IL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI BENEFICENZA
FRANCOFORTE . . . . . . . . . . . . . 168
NUOVO ATTENTATO E VECCHI PRINCIPII. . . . . 257
LA RICCHEZZA NELLA ECONOMIA SOCIALE. . . . 270
DEL CONCETTO DI VITA IN GENERALE . . . . . 289
I. La vitalità e riposta nell' immanenza dell'azione . . ivi
II. Il concetto dell'immanenza spiega perchè la vegetazione
sia l'infimo grado di vita . . . . . . . . . 295
LE CONQUISTE DELL'OTTANTANOVE . . . . . . 385
VALORE ED EQUIVALENZA NELLA ECONOMIA SOCIALE. 401

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