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Renè Magritte
e
il gioco sottile dei nonsensi
Renè Magritte, 1898 – 1967
Renè François Ghislain Magritte nasce a Lessines, Belgio, studia
a Bruxelles all’Accademie Royale des Beaux Arts e inizia a
lavorare disegnando carte da parati.
Nessuno potrebbe mai fumare una pipa dipinta, l’oggetto reale e la sua
rappresentazione non hanno le stesse funzioni ed hanno proprietà e
caratteri diversi, anche se chiunque guardando l’immagine di una pipa,
alla domanda “cos’è?” Risponde “è una pipa”.
Per sottolineare la rottura dalle convenzioni del suo dipinto, Magritte ha
aggiunto anche una didascalia in corsivo che richiama l’alfabetiere,
quelle tavole che si utilizzano per imparare a leggere, in cui si guarda
un’immagine nota il cui nome inizia con la lettera da imparare a scrivere
e a leggere.
L’uso della parola I, Renè Magritte,
1928-1929, olio su tela, 54,5x72,5 cm,
Collezione privata, New York
Negli ultimi anni della sua vita finisce per diventare prigioniero
del suo stesso personaggio, sempre più scostante, altezzoso e
imprevedibile.
Muore a Figueres e con lui muore l’ultimo grande protagonista
dell’avanguardia artistica del Novecento.
Il metodo paranoico-critico
Egli mette a punto una tecnica che definisce “metodo
paranoico-critico”.
La paranoia è una malattia mentale cronica caratterizzata da
delusioni sistematiche dovute a manie di persecuzione o di
grandezza e di ambizione.
Iperrealismo: movimento artistico nato negli Stati Uniti nei primi anni
Settanta, caratterizzato dalla proposta di una riproduzione meccanica della
realtà: la pittura si sviluppa da un originale fotografico fortemente ingrandito,
la scultura da calchi ottenuti direttamente, con risultati di sconvolgente
realismo.
Il delirio trova le più raccapriccianti espressioni in esseri
ripugnanti, animali mostruosi, frammenti anatomici, forme
ambigue dai mille significati, figure inquietanti che, a
secondo come si guardano possono sembrare cose diverse.
Le forme anatomiche,
pur avendo caratteri
naturalistici, vengono
usate per comporre un
Costruzione molle con fave bollite: presagio di abominevole essere
guerra civile, Salvator Dalì, 1936, olio su tela, immaginario, evidente
100x99 cm, Philadelphia Museum of Art,
Filadelfia
allegoria della guerra.
Una gigantesca mano
nodosa strizza con furia
violenta un seno di donna.
Un’altra mano poggia a
terra, scarnificata e
deforme…
mentre un microscopico
uomo le si affaccia
incuriosito da dietro.
Un piede scheletrito
poggia su un abbozzo
anatomico di bacino, a
sua volta sorretto da un
altro piede ossuto e
rattrappito.
Al limite superiore del
dipinto, contro un cielo
carico di nubi si staglia
un volto orribilmente
ghignante volge in alto
lo sguardo.
Al suolo un caotico
affastellarsi di ossa, di
fave bollite e di strane
concrezioni minerali, tra
cui spunta, assolutamente
fuori contesto, un
armadio.
La macabra architettura
pietrificata fatta di
frammenti anatomici
esprime violenza, angoscia,
paura.
La tecnica pittorica
realistica contribuisce ad
aumentare il senso di
irrealtà della scena.