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Gentile da Fabriano (Fabriano, 1370 circa - Roma 1427)

Madonna dell'Umiltà, tempera su tavola a fondo oro 56 x 41

Proveniente dalla Pia Casa della Misericordia di Pisa, dove si trovava nell’Ottocento. Non sono
chiare le circostanze della commissione della tavoletta, destinata probabilmente per le sue ridotte
dimensioni alla devozione privata. Sono state presentate varie ipotesi circa una commissione
riferibile ad Alemanno Adimari, cardinale fiorentino e arcivescovo di Pisa, che si fece tumulare
dopo la sua morte avvenuta nel 1422 nella chiesa romana di Santa Maria Nova. Il sepolcro fu
decorato dallo stesso Gentile negli ultimi anni della sua vita con un affresco andato perduto, di cui
parla Giorgio Vasari nel 1550 e nel 1568.* Fu testimoniata, in seguito, per la prima volta a Pisa nel
1866 da Cavalcaselle che la vide nella collezione della Pia Casa di Misericordia. Da qui nel 1893
venne richiesta da Supino, direttore dell’appena costruito Museo Civico, per esporla al pubblico.
Nel 1949 confluì, insieme con tutta la raccolta di cui faceva parte, nel Museo Nazionale di San
Matteo.

*particolarmente significativi a conferma di un possibile riferimento al cardinal Adimari, sono i


contatti del prelato con altri committenti di Gentile: Niccolò Trinci da Foligno e Pandolfo Malatesta,
quando tutti e tre erano parte della corte di papa Martino V a Firenze (Ammirato 1848, pp 264-
278). Una committenza Adimari assegnerebbe, ovviamente, alla tavola una datazione ante 1422.

Nonostante i dubbi ancora aperti sulla committenza, resta il fatto che il dipinto appare con
evidenza, per le sue dimensioni e la sua struttura, destinato alla devozione domestica. Ipotesi
confermata dalla Burresi, che afferma che "rimuovendo la cornice moderna, le vernici ossidate e le
precedenti stuccature, si è accertato che la tavola faceva parte di un trittico portatile a sportelli di
cui costituiva l'elemento centrale." E che "la pulitura del retro del primo restauro aveva, inoltre,
riportato alla luce una straordinaria decorazione a finto commesso marmoreo policromo, che può
collegare l'opera con il gusto di un raffinato committente fiorentino."

Il piccolo e preziosissimo dipinto rappresenta, quasi in un contrasto voluto tra soggetto e resa
estetica, una Madonna dell’Umiltà. La Vergine, in adorazione del Bambino, si staglia contro un
ricchissimo drappo d’onore, realizzato con lacca rossa su foglia d’oro, la cui decorazione a sgraffito,
è costituita da tralci floreali dove grandi rose aperte di alternano simmetricamente a piccoli trifogli.
La Vergine è seduta su un cuscino a raffinati motivi realizzati tramite incisioni e punzioni
direttamente sull’oro, mentre la lacca è riservata in questa area a creare effetti di ombra e quindi di
volume. Il cuscino poggia su un pavimento che suggerisce un motivo di piastrelle in maiolica
colorata. Il manto blu della Vergine è arricchito da un bordo con una scritta in caratteri romani, in
cui, frammentaria si legge la salutazione angelica: "AVE M[A]T[ER] DIEGNA [D]EI" (Colasanti 1909,
Burresi 1988). All’interno il manto è foderato di un pesante panno verde a lumeggiature in oro, che
si rivela soprattutto sulla testa della Vergine, dove il manto viene ripiegato su stesso così da
ricoprirla per intero e illuminare del riverbero dell’oro il volto. Il piccolo Gesù è disteso in grembo
alla Madre, su un drappo d’oro, decorato a girali e il cui bordo presenta una lunga e corrente scritta
in caratteri cufici***. Così come una decorazione a caratteri cufici è anche nell’aureola della
Vergine, ove sembra si possa leggere "Ave Maria".

L’opera colpisce, a una lettura approfondita, per la serie continua di rimandi colti, sia iconografici
che estetici, che attestano forse la committenza per cui era stata realizzata cui l’artista sembra
parlare attraverso sottili artifici. La suggestione che il gruppo sacro sia collocato in una piccola
alcova è data dalla posizione stessa, in diagonale, della Vergine col Bambino, sottolineata e ripresa
dalla leggera inclinazione dello scorcio del pavimento, suggerita dalla linea appena arrotondata
della sua terminazione sulla sinistra e dalla leggera inclinazione dell’andamento delle mattonelle in
ceramica. Nella specifica iconografia scelta per la rappresentazione del tema sembrano confluire
vari motivi provenienti da fonti diverse tra loro, a comporre un colto pastiche iconologico: alla
tradizionale Madonna dell’Umiltà**, si sovrappone l'idea iconografica del Bambino disteso in
grembo alla Vergine, memore di un motivo veneto che avrà ampia fortuna fino ad alcune Madonne
ben note dei Vivarini e di Giovanni Bellini, con chiaro intento di prefigurazione della raffigurazione
del Compianto sul Cristo Morto. In questa direzione si situa anche la presenza del drappo su cui
poggia, un rimando al sudario, ma anche al velo liturgico di tradizione bizantina, che sottolinea
l’essenza eucaristica del Dio infante. Ma la virgo humilis non siede più all'aperto su un verde prato,
come consueto negli altaroli veneti, per lei è bensì allestita una calda nicchia di stoffe scintillanti,
corrispondenza stilistica e tecnica, questa, che rimanda probabilmente al periodo fiorentino
dell'artista, in quanto pienamente confrontabile con la Pala Strozzi (1423), mentre la posa del
Bambino ricalcherebbe un'altra opera di quegli anni, l'Adorazione del Bambino del Getty Museum,
databile al 1420-1421 circa, dove però la Vergine Maria è pienamente frontale. Nella tavola di Pisa
invece la Vergine Maria è smussata in una posa di profilo e sinuosa da cui emana una percezione di
fragilità intima e un più forte raccoglimento nel gruppo sacro. La preferenza per la
rappresentazione del Bambino sveglio e il gesto intimistico con cui si sporge ad afferrare il manto
della Madre, quasi a scostarlo per scoprirle il seno, è un suggerimento in direzione del motivo della
Virgo lactans (=Madonna del latte) , un diffusissimo modo di rappresentare la Vergine nella sua
funzione di intercedere presso il Figlio, grazie ai meriti ottenuti con la maternità divina. Altro
motivo importante nell’immagine devozionale di questa Madonna dell’umiltà è quello delle braccia
incrociate sul petto che troverà eco in Beato Angelico che ne farà una sua versione omonima
intorno al 1430 (conservata alla National Gallery di Washington); gesto simbolico dell’accettazione
della volontà divina, mediato dall'Annunciazione e che si ritrova anche nell'Incoronazione della
Vergine proprio per stemperare nel gesto della humilitas dell’ancella di Dio il motivo della regalità
connessa con la maternità divina. Un tributo alla regalità è poi offerto dall'ambientazione contro
un drappo d’onore regale, appeso sul bordo superiore della tavola con un illusionismo appena
accennato e ricadente in pieghe realizzate tramite una modulazione dell’infittirsi e diradarsi e
dell’andamento del sottilissimo tratteggio di linee incise che realizzano la decorazione a sgraffio,
tutto è sontuosamente dipinto nell’oro e nelle lacche rosse; componenti che esaltano il calore
domestico della scena, insieme al particolare trattamento delle carni, molli e quasi brunite.
**La Madonna dell'umiltà (da humus=terra) è un tema iconografico mariano in uso dall'inizio del
XIV secolo, che mostra la Vergine seduta in terra o su un cuscino col Bambino, a differenza della
Maestà che la raffigura in trono. All'inizio tali scelte iconografiche erano legate al ruolo della Chiesa
(simboleggiata dalla Vergine), che gli ordini mendicanti volevano umile e al livello della gente. La
suggestione dell'opera di Gentile si fa appunto ancora più forte proprio in quanto il contrasto fra
soggetto, materiali e resa estetica non potrebbe essere maggiore.

***stile calligrafico della lingua araba di provenienza irachena, caratterizzato da forme


geometriche dei caratteri. L'enigma di queste iscrizioni ha attirato spesso l'attenzione degli
studiosi: si rintracciano infatti spesso nella produzione di Gentile del periodo fiorentino sia come
decorazione delle vesti, sia come motivo ornamentale delle aureole (Adorazione dei Magi, polittico
Quaratesi). Esistono comunque altri casi nella pittura italiana, sia prima di Gentile (si vedano gli
esempi di Giotto nella Madonna di San Giorgio alla Costa, nella Croce di Santa Maria Novella e
nella Madonna di Ognissanti) che in opere a lui contemporanee (si veda l'aureola della Madonna
del trittico di San Giovenale di Masaccio). La sopravvivenza di illustri testimonianze di questo tipo
di decorazioni, cronologicamente precedenti a Gentile, mette in dubbio una troppa stretta
relazione con le vicende storiche ed economiche della Firenze del periodo (come invece vorrebbe
Auld 1986). Al tempo stesso rimangono forti perplessità sulla pertinenza teologica di utilizzare
versetti coranici veri e propri con intenzionalità religiosa, soprattutto nel caso del testo presente
sull'orlo del panno dove è disteso Gesù, dove corre un’iscrizione in caratteri arabi interpretabile, in
principio da Bombe e successivamente da Keene, come ‫ ال إله إال هللا‬- Lā ilāha illa Allāh (“Non c’è altro
Dio al di fuori di Allah”). La maggior parte della storiografia è propensa a pensare che possibili
suggestioni possano riaffacciarsi, in modo ripetuto, grazie alla diffusa presenza in Italia e in Toscana
in particolare, di oggetti preziosi di provenienza orientale, spesso usati come suppellettili liturgiche,
la cui decorazione poteva essere copiata e presa come exemplum soprattutto nel caso di aureole
per le quali il fondo oro risultava affine alla metallurgia araba. Nel caso di decorazioni di stoffe, poi,
va sempre considerata l’importanza dei tessuti serici orientali in cui pervenivano avvolte le reliquie:
il contatto con il frammento sacro, secondo la tradizione religiosa, santificava anche il contenitore
elevandolo a reliquia di seconda classe. Da qui, dunque, la reverenza verso tali oggetti che poteva
condurre all’imitazione di essi in pittura, specialmente in un caso come quello del dipinto in
questione, in cui il tessuto, decorato con scrittura cufica, si pone proprio come involucro della
reliquia per eccellenza, quella che non esiste grazie al miracolo della Resurrezione, e cioè il corpo
di Cristo. Contestualizzate in questo ambito dell'imitazione da altri oggetti, le scritte cufiche hanno
tutto il diritto di non significare niente, in quanto la loro trasposizione da parte di chi non
conosceva l'originale alfabeto arabo, si limitava a un utilizzo di elementi rivissuti e riproposti come
decoro colto.

+ Il Teza (1907) sul lembo della veste della Madonna, avrebbe letto da destra verso sinistra anche le
parole FABR. GEN., firma dell'artista.

L'opera è sempre stata unanimemente riconosciuta a Gentile. Di lui abbiamo quattro diverse
interpretazioni del tema icnografico della "Madonna dell'Umiltà":
1. Nella chiesa dei Servi di Padova (reputata la più antica)
2. Nel museo Fitzwilliam di Cambridge (pubblicata dallo Hunter 1970)
3. Questa presente al Museo di San Matteo di Pisa
4. Quella di Velletri, probabilmente l'unica opera del periodo romano tra il 1426 e il 1427.
La tavola pisana viene generalmente data all'inizio del soggiorno di Gentile a Firenze dove nel 1423
eseguì la famosissima Adorazione dei magi per Palla Strozzi, come detto ampiamente confrontabile
su vari aspetti. Il Grassi (1953) ha, invece, proposto di riferirla al periodo in cui l'artista si trovava a
Brescia ad affrescare una cappella per Pandolfo III Malatesta, cioè tra il 1415 e il 1420. Anche
l'Arslan propone una data verso il 1414-15, notando gli effetti di un rinnovato contatto con
l'ambiente lombardo, mentre Hunter ritorna alla tradizionale datazione del 1423. La tavola si
colloca, comunque, tra la Madonna della Galleria di Perugia e quella del Metropolitan Museum di
New York, che documenterebbe un, seppur liminare, più stretto contatto con l'ambiente fiorentino.
Oggi, a seguito dei due restauri moderni (1963-64 a opera di N. Carusi e 1988 a opera di E. Rossi)
l'inclusione dell'opera nella fase fiorentina della carriera di Gentile è quasi unanime, grazie anche
alle maggiori possibilità di apprezzare importanti elementi di novità come l'impostazione spaziale e
i delicati ma evidenti trapassi chiaroscurali che, delineando membra e panni, misurano con
precisione la profondità della piccola alcova in cui la scena si ambienta, profondità e
tridimensionalità che non trovano riscontro nelle precedenti attività del pittore. Tale collocazione è
stata accolta anche dal De Marchi (1992) che ritiene il dipinto uno dei primi del periodo toscano,
eseguito in parallelo con i lavori per la pala Strozzi, e collegato con altre opere del momento come
la Madonna dell'Umiltà e quattro angeli dell'Ermitage, cui l'accomuna in particolare il modo di
eseguie il sottile velo sulle gambe del Bambino. La sontuosità dell'ambientazione, con il piccolo
spazio tutto rivestito di stoffe, intessute d'oro e decorate da lettere cufiche, precorre inoltre a suo
avviso la Madonna in trono al centro del secondo polittico Quaratesi e anticipa soluzioni che
saranno poi dell'Angelico. [in questo caso decade l'ipotesi di Adimari committente].

"Nella sua preziosità gotica tenuta su una gamma crepuscolare di velluti e ori brumiti, rappresenta
uno dei risultati più esotici di Gentile, che le da un volto felino e la fornisce di un guardaroba raro"
Luciano Bellosi

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