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Esiste una musica colta e una musica popolare?

Che ruolo gioca realmente la


scrittura e l’ oralità nella pratica musicale?

Queste due domande sono quelle che hanno accesso in me un senso di estrema
curiosità perciò vorrei provare, sulla base degli argomenti trattati durante il
corso e le mie conoscenze acquisite durante la mia formazione musicale, ad
analizzare il problema in questione.
Da quando il mio approccio musicale avviene alla luce dei principi della
fenomenologia non ho potuto fare a meno di constatare che individui diversi
reagiscono in maniera intersoggettiva di fronte ai rapporti fra i suoni. Questo mi
ha attratto e mi ha fatto comprendere, seppure a livello intuitivo, il significato
profondo di musica come linguaggio universale. Ho trovato riscontro a questo
negli studi condotti da Manfred Clynes che paragonando i grafici di diversi stati
emotivi ha constatato come, con uno scostamento l’ uno dall’ altro, fossero
simili anche fra individui diversi. Ha perciò concluso la sua tesi scientifica
affermando che: “La musica è linguaggio di essentic forms stabili e universali,
queste basi biologiche rendono possibili la condivisione delle emozioni
attraverso la musica. Ciò non è in conflitto con variabilità delle forme culturali e
dei sistemi culturali in quanto il carattere distintivo di un capolavoro musicale
non è dato dalla singolarità del suo messaggio emozionale ma dal suo carattere
polisemico.”
Vorrei utilizzare questo concetto per introdurre quella che è stata poi la
riflessione condotta da John Blacking, etnomusicologo e antropologo sociale
britannico nonché pianista, e su cui mi vorrei soffermare.
Blacking con la sua ricerca mette in crisi quella che era la concezione di musica e
la metodologia degli studi sulla musica di quel tempo in quanto, contrariamente
alla prassi, afferma che tutta la musica è musica popolare in quanto ha bisogno
di interazioni umane per esistere. Con questa affermazione mette in dubbio anni
di studi musicologici ed etnomusicologici in quanto distrugge ogni barriera e
punta a creare, cosa che poi avvenne negli anni 90, uno studio che tenta di
mettere in relazione più discipline.
L’etnomusicologia, come rimarca alla fine del primo capitolo del suo libro
“Com’è musicale l’Uomo?”, è qualcosa di più di uno studio areale o di uno studio
sulla musica esotica, è infatti una disciplina che dovrebbe tener conto che nell’
analisi della struttura musicale non può essere disgiunta analisi strutturale da
funzione sociale. Non esiste un sistema chiuso ma esistono più sistemi che
interagiscono fra loro.
Lo studio sulle partiture era arrivato ad essere prettamente analitico così che
non vi era più nessuna relazione fra struttura profonda e struttura di superficie.
Non si può pensare al linguaggio come al prodotto di disposizione di parole, in
contenitori grammaticali, senza curarci dei processi cognitivi che hanno creato
questi schemi. Per andare nel pratico; spesso ci capita di parlare di forma di un
brano musicale e ancora oggi la nostra analisi si ferma al distinguere una Bar
Form da una Bogen Form senza minimamente capire che questo che vediamo
come un semplice “compitino di matematica” è invece il modo per riuscire a
capire quali processi cognitivi siano avvenuti nella mente del compositore così
da appropriarcene e utilizzarli per articolare il linguaggio musicale.
Grazie al contatto avuto con la popolazione Venda, Blacking ha avuto
l’opportunità di poter studiare e vivere da vicino una società lontana dalla
concezione musicale analitica e quindi più libera da preconcetti sulla musica
imposti dalla società. Per la popolazione Venda la musica gioca un ruolo
fondamentale nella società è infatti una manifestazione politica, in quanto
eseguita in numerosi contesti, e spesso per precisi scopi politici. È inoltre politica
nel senso che può coinvolgere gli individui in una significativa esperienza
comunitaria all’ interno della loro cultura, rendendoli perciò più consapevoli di
se stessi e delle loro responsabilità nei confronti degli altri.
A tali tesi arrivarono sia Pitagora che Platone molti anni prima, segno che come
affermavo all’ inizio del mio discorso, la musica contiene qualcosa di
intersoggettivamente valido e che come ha fatto Blacking dobbiamo arrivare a
questo per poterla comprendere e diffondere.

Ora vorrei spostare l’ attenzione verso quello che è il problema della scrittura
che credo sia assolutamente collegato al precedente ragionamento in quanto
sostengo che la scrittura sia uno strumento assolutamente importante e geniale
se visto nel giusto modo.
Avendo avuto l’occasione di lavorare anche con partiture contemporanee ho
potuto notare come si sia frainteso il concetto di scrittura agli inizi del 900.
I compositori hanno iniziato a scrivere in maniera molto più prescrittiva rispetto
al passato cercando di notare ogni minimo particolare che a mio avviso ha
portato a un’ impoverimento musicale in quanto si parte dalla scrittura per
arrivare al contenuto e non il contrario. Approfondendo gli studi di contrappunto
con i grandi nomi del passato come Fux, Bellermann, Schenker si può
apprendere come nella stesura severa ci sia un esercizio continuo ad ascoltare le
forze create dagli intervalli fra i suoni che poi diventeranno effetto nella stesura
libera, ma consapevolmente, così che il compositore conoscendo le leggi della
natura dei suoni può scegliere se andare contro di essa o con essa. Oggi questo
tipo di approccio credo sia venuto meno ed ecco che i compositori hanno dovuto
cambiare modo di scrivere falsando secondo me anche quello che realmente è la
scrittura perché nella scrittura, almeno come era stata ideata, vi è una
consistente parte di oralità una parte di “non detto”.
Trovo così un po' riduttivo distinguere, come inizialmente fa Leydi, musica colta
e musica popolare attraverso le differenti modalità di trasmissione. Non è del
tutto errato ovviamente perché come sappiamo la musica così detta popolare
non ha utilizzato la scrittura e quella “colta” si, ma credo che sia più opportuno
distinguerle per stilemi estetici e non per questo.
La scrittura è stato un mezzo importante che è stato sfruttato per tramandare
della musica che diventava sempre più complessa da ricordare a mente, ma
sostanzialmente sia musica popolare che musica colta sono “figlie della stessa
madre” in quanto concepite da una tradizione orale. L’ evoluzione di entrambe
le ha portate a stabilirsi in diversi modi per via della società e della cultura in cui
si sono sviluppate. Una, quella popolare, si è attaccata alla tradizione
generalmente agricola ed è rimasta legata ad essa, seppur ammettendo delle
evoluzioni prese dalle società più sviluppate economicamente, perché essendo
poste in secondo piano hanno creato nelle loro radici “arcaiche” una propria
identità. Mentre l’ altra, quella colta, ha trovato altre vie più vicine allo studio e
alla ricerca e ad uno stile formale più ricercato esteticamente.
Esiste quindi un genere che può essere classificato come Musica con la M
maiuscolo e uno con la m minuscola? A mio parere no, sono soltanto due diversi
contesti di egual valore. Dopo questi studi ci è più facile comprendere cosa è
Musica e cosa no. Oggi ne avremmo bisogno.

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